Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: L'attività delle Commissioni nella XVI legislatura - VII Commissione Cultura
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 7
Data: 22/03/2013
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione

La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.

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Indice

Scuola e università 1
L'organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 5
Interventi per la scuola 8
Il riordino della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione 15
Il riordino degli istituti di istruzione secondaria superiore 19
L'istruzione tecnico-professionale, l'istruzione e formazione professionale, il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore 24
Gli interventi normativi in materia di dotazioni organiche della scuola nella XVI legislatura 31
La rete scolastica 38
La valutazione degli studenti 42
Libri di testo 47
Precari della scuola 52
Sicurezza degli edifici scolastici 55
Francia: legge sulla lotta contro l'assenteismo scolastico 65
Regno Unito: legge sugli istituti di istruzione primaria e secondaria 67
Formazione iniziale degli insegnanti 68
Integrazione scolastica dei minori stranieri 71
Centri d'istruzione per gli adulti 73
Interventi per l'università 76
La nuova governance e la nuova organizzazione interna delle università statali 82
La nuova disciplina per il reclutamento dei professori e ricercatori universitari 87
Misure per la qualità del sistema universitario 94
Il diritto allo studio nell'istruzione universitaria 98
Contabilità, dissesto finanziario e commissariamento delle università e novità in materia di tesoreria unica 105
Personale delle Università e degli Enti di ricerca 109
Fondazioni universitarie di diritto privato 112
Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università 113
Germania: legge sulle borse di studio universitarie 117
I test di ammissione alle facoltà universitarie nei principali paesi europei (17 ottobre 2011) 118
Sanità universitaria 123
Innovazione digitale nella scuola e nell'università 134
Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM) 137
Cultura, spettacolo, sport 141
L'organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali 145
Tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale 149
La nozione di bene culturale 158
Interventi per le fondazioni lirico-sinfoniche 161
Lo spettacolo 164
Il Fondo unico per lo spettacolo 168
Le professioni dei beni culturali 171
Promozione dello sport 173
Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) 179
Francia: la nuova legge sulla professione di agente sportivo 185
Ricerca 186
Personale degli enti di ricerca 188
Gli enti di ricerca vigilati dal Miur 189
Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR 192
Ricerca e innovazione 196
Credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo 200
Programma Orizzonte 2020 per ricerca e innovazione nell'UE 202
Informazione e Comunicazioni 204
La giurisprudenza costituzionale 209
Le iniziative europee nelle telecomunicazioni: l'Agenda digitale europea 212
L'attuazione dell'Agenda digitale europea 214
Il Ministero dello sviluppo economico: le competenze in materia di comunicazioni 218
Gli stanziamenti in materia di comunicazioni nella XVI Legislatura 221
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) 224
Le comunicazioni elettroniche e l'Agenda digitale nazionale 226
Il digital divide 231
I finanziamenti per la banda larga 233
L'attuazione dell'Agenda digitale nazionale 236
L'attività conoscitiva e di indirizzo della IX Commissione in materia di comunicazioni 239
Le modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche e al codice per la protezione dei dati personali 241
Servizi di media audiovisivi 243
Il digitale terrestre 247
La tutela del diritto di autore sulle reti di comunicazione elettronica 249
Interventi per l'editoria 252
Il sistema di contribuzione diretta all'editoria: in particolare, la disciplina transitoria introdotta dal D.L. 63/2012 257
Le agevolazioni postali nell'editoria 265
Il prezzo dei libri 267
Giornalisti 269
Francia: la nuova legge sulla protezione delle fonti giornalistiche 272

VII Cultura

Scuola e università



Premessa

Le politiche perseguite nel corso della XVI legislatura in ambito scolastico e universitario hanno inteso riorganizzare i relativi sistemi, tenendo conto anche della necessità di razionalizzare la spesa.

In particolare, sul fronte della razionalizzazione della spesa, le riduzioni agli stanziamenti dei Ministeri determinate da vari interventi normativi (dal D.L. 112/2008, al D.L. 95/2012) per il MIUR hanno determinato una riduzione - al netto degli oneri relativi al rimborso del debito pubblico - da 58.649 milioni di euro risultanti dal Rendiconto 2008, a 51.084 milioni di euro risultanti dalla Legge di bilancio 2013, con una incidenza percentuale sulla spesa finale del bilancio dello Stato che passa, nel periodo indicato, dal 10,6% al 9,1%.

L’intervento normativo si è attuato soprattutto tramite decreti-legge e regolamenti di delegificazione. Fa eccezione la riforma del sistema universitario, operata con una legge la quale, a sua volta, ha previsto l’emanazione di numerosi decreti legislativi e regolamenti di delegificazione, che, a loro volta, hanno fatto rinvio all’intervento di successivi atti secondari.

Le principali novità intervenute nel corso della legislatura sono, dunque, di iniziativa governativa, in vari casi, comunque, adottate previo parere parlamentare.

L’unico grande tema dibattuto durante la legislatura per iniziativa parlamentare ha avuto per oggetto, nel testo finale - meno ampio di quello iniziale - l’autogoverno delle istituzioni scolastiche (A.C. 953 e abb.): dopo essere stato approvato dalla Camera, il provvedimento non ha, però, concluso il suo iter al Senato.



Da due Ministeri a uno

Ad un più adeguato uso delle risorse può essere riferita la riunificazione delle funzioni in materia di istruzione, università e ricerca in un solo Ministero (D.L. 85/2008), come già disposto dal d.lgs. 300/1999, cui, tuttavia, aveva fatto seguito la nuova suddivisione in due Ministeri (D.L. 181/2006).



Scuola

Per la scuola, il motore delle riforme è stato rappresentato dall’art. 64 del D.L. 112/2008 che, disponendo l’intervento di vari regolamenti di delegificazione, ha avviato una revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico, con riferimento a dotazioni organiche , curricoli e piani di studio , costituzione delle classi ,rete scolastica.

L’art. 64 citato ha determinato un ulteriore intervento della Corte costituzionale sul nuovo assetto delle competenze delineato dall’art. 117 della Costituzione.

Con la sentenza 200/2009, la Corte, proseguendo un ragionamento già avviato con la sentenza 279/2005, ha ritenuto attribuibili alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. n), Cost.), in quanto norme generali, le disposizioni atte a definire la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e ad assicurare, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento fra gli utenti (fra le altre, la regolamentazione dell'accesso al sistema ed i termini del diritto-dovere alla sua fruizione, la definizione degli standard minimi formativi richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli, i princípi della valutazione complessiva del sistema e quelli della valutazione degli insegnanti). La Corte ha, invece, ribadito - sancendo l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni dell’art. 64 citato - che appartengono alla competenza concorrente di Stato e regioni, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., le disposizioni incidenti più direttamente sulle realtà territoriali, quali quelle relative al dimensionamento della rete scolastica.

Per quanto riguarda la connessione tra sistema formativo e mondo del lavoro, è stato operato il rilancio dell’offerta formativa tecnico-professionale. Pertanto: sono stati riordinati i relativi segmenti tecnico-professionali dell’istruzione secondaria di secondo grado (DPR 87 e 88 del 2010); sono stati avviati, a regime, i percorsi di istruzione e formazione professionale, di competenza regionale (sulla base dell’Accordo raggiunto in Conferenza Stato-regioni il 29.4.2010); dal 2011, sono stati avviati i percorsi degli Istituti tecnici superiori, quale canale formativo di livello postsecondario, parallelo ai percorsi accademici; è stato ridisciplinato l’apprendistato (d.lgs. 176/2011), finalizzandone due tipologie al conseguimento di titoli di studio. Ora è in corso, ai sensi dell’art. 52 del D.L. 5/2012 un processo volto a realizzare un'offerta coordinata tra i diversi percorsi formativi tecnici e professionali , a sostegno dello sviluppo delle filiere produttive del territorio e dell’occupazione dei giovani.
Nello stesso ambito, occorre, altresì, ricordare l’estensione agli istituti di istruzione secondaria di secondo grado dell’obbligo, già previsto per le università, di rendere pubblici e gratuitamente accessibili sui relativi siti istituzionali, i curricula dei propri studenti all'ultimo anno di corso, nonché l’inclusione dei consorzi universitari fra i soggetti che possono svolgere attività di intermediazione in materia di lavoro (art. 29 D.L. 98/2011).

Per assicurare maggiore qualità al sistema scolastico e superare le carenze della scuola italiana sul terreno degli apprendimenti degli studenti, sono state ridisegnate, sulla base di una previsione recata dalla legge finanziaria 2008, le modalità della formazione iniziale degli insegnanti (DM 249/2010). Il disegno riformatore, tuttavia, è ancora in corso di attuazione: infatti, in occasione della presentazione, il 23 gennaio 2013, dello schema di DM (Atto 535) che, modificando il DM 249/2010, dispone l’istituzione di percorsi abilitanti speciali per i docenti precari in possesso di determinati requisiti di servizio, il Governo ha rappresentato le difficoltà derivanti dalla mancata attivazione delle lauree magistrali e dei diplomi accademici di secondo livello validi ai fini dell’abilitazione nelle classi di concorso della scuola secondaria di secondo grado, nonché dalla mancata conclusione dell’iter volto alla revisione delle classi di concorso.

Non è stato, poi, avviato un ragionamento sulle modalità di reclutamento dei docenti, previsto dalla stessa legge finanziaria 2008.

E’ stato, invece, varato  un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente e ATA per gli anni 2011-2013 (art. 9, co. 17, D.L. 70/2011) – che dovrebbe determinare, al termine del periodo, l’assunzione, al massimo, di circa 74.000 unità di personale docente e di circa 50.000 unità di personale ATA -; nella seconda parte della legislatura, inoltre, è stato emanato, con riferimento ai posti risultanti vacanti e disponibili negli a.s. 2013/2014 e 2014/2015, un bando di concorso, per titoli ed esami, per il reclutamento, su base regionale, di 11.542 docenti nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado (GU n. 75 del 25.09.2012).

E’ stata, altresì, prevista l’individuazione di un nuovo sistema nazionale di valutazione del sistema scolastico, costituito da Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (INVALSI), e corpo ispettivo (art. 2, co. 4-undevicies, D.L. 225/2010), per la quale il Governo ha presentato alle Camere, il 23 gennaio 2013, lo schema di regolamento n. 536 , approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri l'8 marzo 2013.

Nell’ambito del processo di ricorso alle nuove tecnologie è stata prevista la progressiva adozione di libri di testo digitali (da ultimo, art. 11 D.L. 179/2012). Inoltre, è stata avviata, dall’a.s. 2012/2013, l’iscrizione on line  ed è stata prevista la redazione della pagella on line (art. 7, co. 27-32, D.L. 95/2012).

Per gli studenti, oltre agli interventi di riordino dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado e agli altri interventi per favorire il raccordo fra istruzione e lavoro, sopra ricordati, le principali novità sono consistite nella reintroduzione del voto in condotta nelle scuole secondarie di I e II grado e della valutazione con voto in decimi nelle scuole primarie e secondarie di I grado (artt. 2 e 3 D.L. 137/2008).



Università e Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale


Con riguardo all’universita' , alle istituzioni di alta cultura e alle accademie, le disposizioni legislative costituiscono limiti all’interno dei quali si sviluppa l’autonomia riconosciuta dall’art. 33 Cost.

Il settore universitario è stato oggetto di un complessivo intervento di riforma (L. 240/2010, che ha fatto seguito alle misure adottate con il D.L. 180/2008)  volto - come esplicitato già nelle Linee guida del Governo per l’università del novembre 2008 - a  coniugare autonomia e responsabilità,  valorizzare il merito, combinare didattica e ricerca. 

Sono stati, pertanto, ridefiniti i meccanismi di governance e il sistema di reclutamento del personale docente e sono stati previsti l'accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio - come condizione per la loro sussistenza - la revisione del sistema di contabilita' universitario, l’introduzione del costo standard per studente, l’applicazione di meccanismi premiali nella distribuzione dei fondi, l’attribuzione di una quota del FFO (Fondo per il finanziamento ordinario) sulla base della valutazione delle politiche di reclutamento.

Non è stato, invece, istituito un apposito fondo di rotazione a garanzia del riequilibrio finanziario degli atenei, pur previsto dalla L. 240/2010, in quanto, come evidenziato nella relazione illustrativa dello schema di d.lgs. n. 437, non sono state reperite le risorse finanziarie necessarie a garantirne la copertura.

Alcuni dei provvedimenti adottati necessitano, tuttavia, per la piena operatività, dell’intervento di ulteriori atti normativi, allo stato non intervenuti.

Con la stessa L. 240/2010 è stato, inoltre, istituito un Fondo per il merito, volto alla promozione dell’eccellenza degli studenti universitari attraverso un sistema di prestiti e premi di studioe, successivamente, è stata costituita la Fondazione per il merito come strumento operativo di gestione. Alla Fondazione possono affluire capitali pubblici e privati. In particolare, la norma istitutiva della stessa Fondazione ha previsto un’autorizzazione di spesa di 9 milioni di euro per il 2011 e di 1 milione di euro a decorrere dal 2012 (art. 9, co. 3 e ss. D.L. 70/2011).

Infine, sono state ridefinite le modalità di valutazione del sistema universitario e della ricerca: in particolare, il 2 maggio 2011 si è insediata l’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (ANVUR), istituita con l’art. 2, co. 138-142, del D.L. 262/2006, ma non divenuta operativa fino all’intervento del DPR 76/2010, che ne ha delineato struttura e funzionamento.

Con riferimento alle Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM), i principali interventi hanno riguardato la determinazione di settori artistico disciplinari, obiettivi formativi e ordinamenti didattici, così come già fatto per i corsi universitari (D.L. 180/2008), nonché la definizione di un sistema di equipollenza dei titoli di studio da esse rilasciati con i titoli di studio universitari (L. 228/2012).

L'organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca

Nella XVI legislatura le funzioni in materia di istruzione, università e ricerca sono state riunificate in un solo Ministero. E' stato, conseguentemente, adottato, previo parere parlamentare, un nuovo regolamento di organizzazione. Al momento è peraltro in corso l'adozione di un DPCM di ulteriore riorganizzazione del MIUR.

Premessa

 Nella XVI legislatura le funzioni in materia di istruzione, università e ricerca sono state riunificate in un solo Ministero (D.L. 85/2008), come già disposto dal d.lgs. 300/1999, cui, tuttavia, aveva fatto seguito la nuova suddivisione in due Ministeri competenti, rispettivamente, in materia di Istruzione e in materia di Università e ricerca (D.L. 181/2006).

L’organizzazione del nuovo Ministero è stata definita, previo parere parlamentare, con il D.P.R. 17/2009. Con il D.P.R. 16/2009, adottato sempre previo parere parlamentare, è stata, invece, definita l’organizzazione degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro.

In seguito, il D.P.R. 17/2009 è stato modificato con il D.P.R. 132/2011, in attuazione dell’art. 2, co. 8-bis, del D.L.194/2009, che ha previsto un’ulteriore diminuzione degli uffici e delle dotazioni organiche.

Altre riduzioni sono state disposte, senza modificare il D.P.R. 132/2011, a seguito dell’art. 1, co. 3, del D.L. 138/2011.

Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 95/2012 ha disposto un’ulteriore riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche dei Ministeri, disponendo che a ciò si deve provvedere con DPCM. Quest’ultimo è in fase di adozione.

Attuale articolazione centrale del MIUR

A livello centrale, il MIUR è articolato in 3 dipartimenti e 12 direzioni generali, a ciascuna delle quali è assegnato un determinato numero di uffici dirigenziali non generali (individuati con il DM 27 luglio 2009), fino a un massimo di dieci.

Dipartimenti

Direzioni generali

Istruzione

- Ordinamenti scolastici e autonomia scolastica

- Istruzione e formazione tecnica superiore e rapporti con i sistemi formativi delle regioni

- Personale scolastico

- Studente, integrazione, partecipazione e comunicazione

Università, alta formazione artistica, musicale e coreutica e ricerca

 - Università, studente e diritto allo studio universitario

- Alta formazione artistica, musicale e coreutica

- Coordinamento e sviluppo della ricerca

- Internazionalizzazione della ricerca

Programmazione e gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali

- Risorse umane del Ministero, acquisti e affari generali

- Politica finanziaria e per il bilancio

- Studi, statistica e sistemi informativi

- Affari internazionali

Il D.P.R. 132/2011 ha apportato alcune modifiche, in particolare, alle competenze della direzione generale per la politica finanziaria e per il bilancio, al fine di allinearle alle innovazioni introdotte dalla legge di contabilità (L. 196/2006).

Attuale articolazione periferica del MIUR

A livello periferico operano 18 uffici scolastici regionali (USR), che hanno sede in ciascun capoluogo di regione e ai quali, in particolare, spetta la vigilanza sul rispetto delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni, sull'attuazione degli ordinamenti scolastici, sui livelli di efficacia dell'azione formativa, nonché la cura dei rapporti con l’amministrazione regionale e con gli enti locali.

Per ciascun USR è stabilito il numero degli uffici dirigenziali non generali in cui esso si articola. Per l’individuazione degli stessi uffici dirigenziali non generali sono stati emanati altrettanti decreti ministeriali in data 29 dicembre 2009, pubblicati nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 2010.

A seguito del D.P.R. 132/2011 l’USR non costituisce più un autonomo centro di responsabilità amministrativa, né assegna le risorse finanziarie alle istituzioni scolastiche. Infatti, secondo la L. 196/2006, centro di responsabilità organizzativa sono le unità organizzative di primo livello, cioè i dipartimenti.

Il coordinamento

 La funzione di coordinamento tra i diversi uffici è garantita dalla conferenza permanente dei capi dipartimento e dei direttori generali degli uffici centrali e degli USR, convocata in adunanza plenaria almeno ogni sei mesi.

Attuale dotazione organica del MIUR

Il D.P.C.M. 22 giugno 2012, adottato a seguito delle riduzioni di organico previste dall’art. 1, co. 3, del D.L. 138/2011, ha disposto che:

L'ulteriore riorganizzazione del MIUR

Nella seduta dell’Assemblea della Camera del 14 novembre 2012 il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, rispondendo all’interrogazione a risposta immediata n. 3-02602, ha fatto presente che, in attuazione dell'art. 2 del D.L. 95/2012, è in corso di adozione uno schema di DPCM di riorganizzazione del MIUR, che prevede la riduzione di sette uffici dirigenziali generali (dunque, da 34 a 27) e l'accorpamento degli uffici scolastici delle regioni con il minor bacino di popolazione studentesca. Ha, peraltro, precisato che nelle regioni coinvolte dall'accorpamento degli uffici scolastici non cambierà il servizio prestato all'utenza, grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie.

 

 

 

Dossier pubblicati

Interventi per la scuola

Gli interventi per la scuola sviluppati nella XVI legislatura hanno riguardato organici, ordinamenti e rete scolastica, valutazione degli studenti e previsione di un nuovo sistema nazionale di valutazione della scuola, formazione iniziale degli insegnanti, vari aspetti inerenti la didattica, nonchè dematerializzazione delle procedure. Alla Camera è stato approvato anche un testo per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche statali, che non ha però concluso il suo iter al Senato.

Organici, ordinamenti e rete scolastica

L’ art. 64 del D.L. 112/2008 e i regolamenti conseguenti

L’art. 64 del decreto-legge 112/2008 ha disposto interventi di riorganizzazione della scuola incentrati su 3 linee direttrici:

Gli interventi sono stati specificati dal Governo in un Piano programmatico (Atto n. 36) - sul quale si sono espresse le Commissioni parlamentari di Camera e Senato - cui sono seguiti i regolamenti di delegificazione riguardanti rete scolastica e razionale utilizzo delle risorse umane (D.P.R. 81/2009), scuola dell'infanzia e primo ciclo di istruzione (D.P.R. 89/2009), organici ATA (D.P.R. 119/2009), riordino dell'istruzione secondaria superiore (D.P.R. 87/2010, D.P.R. 88/2010, D.P.R. 89/2010).

Inoltre, il D.P.R. 29 ottobre 2012, n. 263 (Atto 194) ha riguardato la riorganizzazione dei Centri per l'istruzione degli adulti.

Non è, invece, stato presentato alle Camere lo schema di regolamento relativo alle classi di concorso, di cui il Consiglio dei Ministri ha svolto l'esame preliminare il 12.6.2009.

Altri interventi relativi alla scuola primaria

Con riferimento all’organizzazione didattica della scuola primaria, è stata prevista, a partire dall'a.s. 2009/2010 per le prime classi, la costituzione di classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti su 24 ore settimanali, tenendo comunque conto delle esigenze delle famiglie di una più ampia articolazione del tempo-scuola (art. 4 del D.L. 137/2008).

Altri interventi in materia di rete scolastica

Con riferimento alla rete scolastica, sono intervenuti anche l’art. 3 del D.L. 154/2008, modificato durante l’esame parlamentare, e l’art. 19, co. 4, del D.L. 98/2011, poi dichiarato incostituzionale dalla Corte con sentenza 147/2012. La Corte ha altresì dichiarato incostituzionali, con sentenza n. 200/2009, le disposizioni in materia recate dall’art. 64 del D.L. 112/2008, mentre con sentenza n. 92/2011 la Corte ha annullato l'art. 2, co. 4 e 6, del D.P.R. 89/2009.

Altri interventi in materia di personale della scuola

In materia di personale della scuola sono intervenute varie, altre, disposizioni, che hanno riguardato diversi aspetti.

Innanzitutto, sono stati definiti i requisiti e le modalità della formazione iniziale degli insegnanti (DM 249/2010) - oggetto di ulteriori proposte di modifica dopo lo scioglimento delle Camere (Atto 535) - ed è stato previsto un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente e ATA per gli anni 2011-2013 (art. 9, co. 17, D.L. 70/2011).

 Inoltre:

- la non applicazione del d.lgs. 368/2001 ai contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze nella scuola;
- dall'a.s. 2011-2012, l'aggiornamento delle graduatorie degli insegnanti ogni 3 anni, con possibilità di trasferimento in un'unica provincia;
- la possibilità di trasferimento dopo 5 anni di effettivo servizio.

- dall'a.s. 2012/2013, il mantenimento al massimo delle dotazioni organiche di personale docente ed ATA relative all'a.s. 2011/2012;
- nuove misure in materia di organico di sostegno e di personale docente inidoneo per motivi di salute.

- la riduzione del personale impegnato presso le scuole italiane all'estero;

- nuove misure per il transito nei ruoli ATA di personale docente inidoneo per motivi di salute e per l'utilizzazione dei docenti in esubero.

Altre disposizioni hanno previsto misure di sostegno per i precari per gli a.s. 2009-2010, 2010-2011 e 2011-2012.

 

 

Didattica

Libri di testo

L'art. 15 del D.L. 112/2008 aveva previsto che dall’a.s. 2008/2009 doveva essere data la preferenza, nelle scelte dei docenti, a libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet e che questa diventava la regola entro l’a.s. 2011/2012.

L'art. 5 del D.L. 137/2008 aveva poi disposto che le adozioni erano consentite, di norma, ogni 5 anni per le scuole primarie e ogni 6 per le scuole secondarie di I e II grado (v. anche art. 1-ter D.L. 134/2009).

Da ultimo, l'art. 11 del D.L. 179/2012 ha disposto che, a decorrere dalle adozioni riferite all’a.s. 2014/2015, progressivamente - a partire dalle classi I e IV della scuola primaria, dalla I classe della scuola secondaria di I grado e dalla I e III classe della scuola secondaria di II grado -, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista. Ha altresì disposto l’abrogazione, dal 1° settembre 2013, dell’art. 5 del D.L. 137/2008.

Cittadinanza e Costituzione

L’art. 1 del D.L. 137/2008 ha previsto, a decorrere dall’a.s. 2008/2009, l’avvio di una sperimentazione nazionale per l’insegnamento, nel I e nel II ciclo di istruzione, di «Cittadinanza e Costituzione». Il Documento di indirizzo è stato emanato dal MIUR il 4.3.2009.

In tale ambito, la legge n. 222/2012 ha disposto che, a decorrere dall’a.s. 2012/2013, nelle scuole di ogni ordine e grado sono organizzati percorsi didattici, iniziative e incontri celebrativi sugli eventi e sul significato del Risorgimento, nonché sulle vicende che hanno condotto all’Unità nazionale, alla scelta dell’Inno di Mameli - di cui è previsto l’insegnamento - e della bandiera nazionale e all’approvazione della Costituzione. Sull'argomento, il 6 marzo 2013 è intervenuta una nota ministeriale.

Disturbi specifici di apprendimento

La L. 170/2010 ha inteso sostenere il successo scolastico degli alunni affetti da disturbi specifici di apprendimento (dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia), individuando misure didattiche di supporto e autorizzando il finanziamento di un milione di euro per ciascuno degli anni 2011 e 2012 per la formazione del personale dirigente e docente.

Valutazione degli studenti e sistema nazionale di valutazione della scuola

Gli articoli 2 e 3 del D.L. 137/2008 hanno reintrodotto, a decorrere dall'a.s. 2008-2009, la valutazione del comportamento degli studenti nella scuola secondaria di primo e secondo grado e l'utilizzo del voto per la valutazione degli apprendimenti anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado.

 L'art. 2, co. 4-undevicies, del D.L. 225/2010, ha previsto che con regolamento di delegificazione è individuato un nuovo sistema nazionale di valutazione della scuola, costituito da Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (INVALSI), e corpo ispettivo. In seguito, l'art. 51 del D.L. 5/2012 ha affidato all'INVALSI il coordinamento funzionale del sistema e ha disposto che le scuole partecipano come attività ordinaria di istituto alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti degli studenti. L'anagrafe nazionale degli studenti (art. 3 d.lgs. 76/2005) costituisce anche supporto del sistema nazionale di valutazione (art. 48 del D.L. 5/2012).

Inoltre, al nuovo sistema nazionale di valutazione l’art. 9, co. 8, D.L. 70/2011 ha affidato la realizzazione delle prove per l'accesso al fondo per il merito degli studenti universitari (art. 4 L. 240/2010).

Sull'argomento sono intervenuti anche l'art. 19, co. 1-3, del D.L. 98/2011, e l'art. 4, co. 82, della L. 183/2011 che ha istituito il "Fondo per la valorizzazione dell’istruzione scolastica, universitaria e dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica” destinato, fra l'altro, allo sviluppo del sistema nazionale di valutazione.

Lo schema di regolamento relativo all’istituzione del nuovo sistema nazionale di valutazione della scuola (Atto 536) è stato presentato alle Camere il 23 gennaio 2013. Sullo stesso, si è espressa solo la 7a Commissione del Senato, che il 14 febbraio 2013 ha approvato un parere favorevole con osservazioni. Il Consiglio dei Ministri ha approvato definitivamente il regolamento l'8 marzo 2013.

Utilizzo delle nuove tecnologie

Si veda il tema Innovazione digitale nella scuola e nell'universita'.

L'autogoverno delle istituzioni scolastiche statali e ulteriori iniziative legislative non concluse

Il 10 ottobre 2012 la VII Commissione della Camera ha concluso l'esame del testo unificato dell' A.C. 953 e abb, apportando alcune modifiche.
Il provvedimento - che prevedeva l'autonomia statutaria e ridefiniva il sistema degli organi collegiali - non ha concluso il suo iter al Senato (A.S. 3542).

Inoltre, durante la legislatura erano state avviate iniziative parlamentari volte ad introdurre l'insegnamento delle specificità antropologiche, culturali e storiche delle comunità territoriali (A.C. 1428), approvato in un nuovo testo, in sede legislativa, il 19 dicembre 2012, ma di cui il Senato non ha avviato l’esame (A.S. 3639) e lo studio dell'universal design nei programmi delle scuole secondarie di secondo grado a indirizzo tecnico (A.C. 2367), nonché volte a favorire la continuità didattica delle scuole situate nei territori di montagna, nelle piccole isole e nei territori a bassa densità demografica (A.C. 5268).

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il riordino della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione



Premessa

L'art. 64, co. 4, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), nell’ambito della revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, ha previsto la rimodulazione dell'organizzazione didattica della scuola primaria.

Immediatamente dopo, l’art. 4 del D.L. 137/2008 ha previsto, a partire dall'a.s. 2009/2010 per le prime classi, la costituzione di classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti su 24 ore settimanali, tenendo comunque conto delle esigenze delle famiglie di una più ampia articolazione del tempo-scuola.

Si tratta della principale novità che ha interessato la scuola primaria.

 Su tali basi, è stato emanato il D.P.R. 20 marzo 2009, n. 89, concernente la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione, che ha fatto salve, fra le altre, le disposizioni recate dai d.lgs. 59/2004 (che, sulla base della delega conferita dalla L. 53/2003, ha dettato le norme generali relative a tali ordini di scuole).



Le Indicazioni nazionali per il primo ciclo

 L’art. 1 del D.P.R. 89/2009 ha disposto che, per un periodo non superiore a tre a.s., a partire dall'a.s. 2009-2010, si applicavano le Indicazioni nazionali di cui agli allegati da A a D del d.lgs. 59/2004, come aggiornate dalle Indicazioni per il curriculo di cui al DM 31 luglio 2007.

Tali Indicazioni stabiliscono conoscenze, abilità e competenze che gli studenti devono acquisire a conclusione di ogni fase d’istruzione.

Sulla base di un monitoraggio delle attività delle istituzioni scolastiche, previsto dallo stesso D.P.R. 89/2009, il regolamento ministeriale n. 254 del 16 novembre 2012 ha sostituito le precedenti Indicazioni. Ad esse le scuole devono fare riferimento dall’a.s. 2012/2013, mentre l’editoria scolastica adegua i contenuti dei libri di testo a partire dalle adozioni per l’a.s. 2014-2015.

Con riferimento alle discipline di insegnamento nel primo ciclo, il regolamento fa riferimento a italiano, lingua inglese e seconda lingua comunitaria, storia, geografia, matematica, scienze, musica, arte e immagine, educazione fisica, tecnologia. Nell'ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale è assicurato l’insegnamento di Cittadinanza e costituzione (introdotto dall’art. 1 del D.L. 137/2008).

Con decreto ministeriale sarà costituito un Comitato scientifico nazionale per l’attuazione delle Indicazioni nazionali e il miglioramento continuo dell’insegnamento.

 



Scuola dell'infanzia

Ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 89/2009, la scuola dell’infanzia accoglie i bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni compiuti entro il 31 dicembre dell'a.s. di riferimento. A questi si possono aggiungere, su richiesta delle famiglie e a determinate condizioni - riguardanti, fra l’altro, la possibilità materiale di accoglienza e la valutazione pedagogica e didattica da parte dei docenti - i bambini che compiono 3 anni entro il 30 aprile dello stesso a.s. (c.d. anticipi).

Agli anticipi si aggiungono, per i bambini dai due ai tre anni di età, gli interventi delle sezioni primavera, previo accordo in sede di Conferenza unificata.

Si ricorda che l’anticipo nell’iscrizione alla scuola dell’infanzia era previsto dall’art. 2, co. 1, lett. e), della L. 53/2003 e dall’art. 2 del d.lgs. n. 59/2004.

L’art. 2 del d.lgs. n. 59/2004 è stato, poi, abrogato dall’art. 1, co. 630, della L. 296/2006, che ha previsto l’attivazione di sezioni sperimentali (c.d. classi primavera) destinate ai bambini dai 24 ai 36 mesi di età, previo accordo in sede di Conferenza unificata.

Il D.P.R. 89/2009 ha, dunque, confermato la possibilità di attivare sezioni primavera e ha ripristinato l’istituto degli anticipi.

L'orario di funzionamento della scuola dell’infanzia è stabilito in 40 ore settimanali, con possibilità di estensione sino a 50 ore. È possibile il tempo scuola ridotto, limitato alla sola fascia del mattino, per 25 ore settimanali.

Ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 59/2004, l'orario annuale delle attività educative per la scuola dell'infanzia si diversifica da un minimo di 875 ad un massimo di 1700 ore, a seconda dei progetti educativi delle singole scuole, tenuto conto delle richieste delle famiglie.

 Con sentenza n. 92/2011, la Corte Costituzionale ha annullato i co. 4 e 6 dell'art. 2 del DPR n. 89/2009, i quali disponevano, rispettivamente:

Al riguardo, la Corte ha evidenziato che non spettava allo Stato intervenire, perché la materia attiene in maniera diretta al dimensionamento della rete scolastica sul territorio, che rientra nelle competenze concorrenti tra Stato e regioni.



Primo ciclo di istruzione

 Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria, della durata di 5 anni, e dalla scuola secondaria di primo grado, della durata di 3 anni. La frequenza di questi percorsi è obbligatoria per tutti i bambini italiani e stranieri.

La riforma del primo ciclo ha avuto inizio, a seguito del d.lgs. 59/2004, con l’a.s. 2004-2005. Tra gli elementi innovativi introdotti va ricordata la previsione di apprendimento di una seconda lingua dell’UE nella scuola secondaria di primo grado. Il percorso si conclude con un esame di Stato che dà titolo all’accesso al secondo ciclo (art. 4 d.lgs. 59/2004).

In base all’art. 3 del D.P.R. n. 89/2009, l'istituzione e il funzionamento di scuole statali del primo ciclo è affidata a collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati, anche riuniti in consorzi.



Scuola primaria

 Ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 89/2009, sono iscritti alla scuola primaria i bambini che compiono 6 anni entro il 31 dicembre dell'a.s. di riferimento e possono esservi iscritti, su richiesta, anche quelli che compiono 6 anni entro il 30 aprile dello stesso anno. 

Il tempo scuola è articolato, nei limiti delle risorse di organico assegnate, in un orario scolastico settimanale di 24, 27 e 30 ore (nel caso delle 27 ore sono escluse le attività opzionali e gratuite che le scuole possono organizzare per complessive 99 ore annue; esse sono, invece, incluse nel caso delle 30 ore), secondo il modello dell'insegnante unico, che supera il precedente assetto del modulo e delle compresenze.

Se il docente non è in possesso di specifici titoli per l'insegnamento della lingua inglese e della religione cattolica, possono essere previsti ulteriori docenti.

Rimane affidato all'autonomia delle singole istituzioni scolastiche adeguare i diversi modelli orario agli obiettivi formativi e dei piani di studio.

E’ previsto, altresì, il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno (reintrodotto dall’art. 1, co. 1, del D.L. 147/2007 – L. 176/2007). In tal caso, sono previsti due docenti per classe, eventualmente coadiuvati da insegnanti di inglese e di religione cattolica. Per il potenziamento del tempo pieno è prevista l’attivazione di piani pluriennali sulla base di intese con le rappresentanze dei comuni, precedute da un accordo-quadro con le autonomie locali in sede di Conferenza unificata.

Sulla base dell'orario da soddisfare, è determinata la dotazione organica di ciascun istituto: in particolare, per le classi funzionanti secondo il modello del maestro unico, la dotazione è fissata in 27 ore settimanali. In aggiunta, devono essere considerati il fabbisogno per l'integrazione degli alunni disabili e per il funzionamento delle classi a tempo pieno.

Sulla base di quanto previsto dall’art. 4, co. 10, del D.P.R. 89/2009, con il decreto ministeriale 31 gennaio 2011 n. 8 sono stati individuati i titoli prioritari per impartire l'insegnamento di musica e pratica musicale.



Scuola secondaria di primo grado

 L'orario annuale obbligatorio è fissato in 990 ore, corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento delle materie letterarie. 

E’, peraltro, previsto il tempo prolungato, mediamente per 36 ore settimanali, elevabili fino a 40 in presenza di una richiesta della maggioranza delle famiglie. Le classi funzionanti a tempo prolungato sono ricondotte all'orario normale in mancanza di servizi e strutture idonei.

E' definito, poi, il quadro orario settimanale e annuale delle discipline e le classi di concorso, distinguendo tra orario normale e tempo prolungato.

L’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione” è inserito nell'area disciplinare storico-geografica. I corsi a indirizzo musicale si svolgono oltre l’orario obbligatorio delle lezioni.

E' previsto il potenziamento dell'insegnamento della lingua inglese, ovvero della lingua italiana per gli alunni stranieri, utilizzando le due ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria, a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico e l’assenza di esuberi della seconda lingua comunitaria.



Documenti e risorse web

MIUR - Coordinamento gruppo paritetico nazionale sezioni primavera –Monitoraggio 2011 del sistema “sezioni primavera”

Approfondimento: Il riordino degli istituti di istruzione secondaria superiore



Premessa

L’art. 64 del D.L. del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), nell’ambito della revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, ha previsto la ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali.

Su questa base, sono stati adottati i regolamenti di riordino degli istituti di istruzione secondaria superiore, pubblicati nella Gazzetta ufficiale del 15 giugno 2010.

Inoltre, le Camere hanno espresso il parere sullo schema di regolamento per l'organizzazione dei percorsi della sezione liceale ad indirizzo sportivo (Atto n. 501) che è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2013, ma che non è ancora stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale.



I nuovi regolamenti

ll 23 ottobre 2009 sono stati presentati alle Camere gli schemi di regolamento per il riordino di licei (Atto n. 132), istituti tecnici (Atto n. 133) e istituti professionali (Atto n. 134). Su tali testi la VII Commissione della Camera ha espresso 3 pareri favorevoli con condizioni e osservazioni il 20 gennaio 2010, mentre la 7a Commissione del Senato ha espresso i pareri il 27 gennaio 2010.

I regolamenti sono stati adottati con D.P.R. 15 marzo 2010, n. 87, D.P.R. 15 marzo 2010, n. 88 e D.P.R. 15 marzo 2010, n. 89, relativi, rispettivamente, agli istituti professionali, agli istituti tecnici ed ai licei.

Il testo dei provvedimenti, che recepisce varie indicazioni contenute nei pareri parlamentari, delinea il seguente quadro:

- i percorsi di istruzione secondaria superiore continuano ad avere durata quinquennale, e sono articolati in 2 bienni (di cui, il I è finalizzato all’assolvimento dell’obbligo scolastico) e in un V anno. Al termine, si sostiene l’esame di Stato, che dà accesso all’istruzione post-secondaria (universitaria e non);

- i licei sono sei e l’orario settimanale è, con alcune eccezioni, di 27 ore nel primo biennio  e 30 ore nel secondo biennio e nel quinto anno:

- gli istituti tecnici si articolano in 2 settori (a fronte dei precedenti 10) e 11 indirizzi (a fronte di 39). L'orario settimanale è di 32 ore.

Settore

Indirizzi

Economico

  • Amministrazione, finanza e marketing
  • turismo

Tecnologico

  • Meccanica, meccatronica ed energia
  • Trasporti e logistica
  • Elettronica ed elettrotecnica
  • Informatica e telecomunicazioni
  • Grafica e comunicazione
  • Chimica, materiali e biotecnologie
  • Sistema moda
  • Agraria e agroindustria
  • Costruzioni, ambiente e territorio

 

Gli istituti professionali si articolano in 2 settori (a fronte di 5) e 6 indirizzi (a fronte di 27). L’orario settimanale è di 32 ore.

Settore

Indirizzi

Servizi

  • Servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale
  • Servizi socio sanitari
  • Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera
  • Servizi commerciali

Industria e artigianato

  • Produzioni industriali e artigianali
  • Servizi per la manutenzione e l’assistenza tecnica

 

Sia per gli istituti tecnici che per i professionali è prevista la possibilità di attivare opzioni legate al mondo del lavoro e al territorio.

Relativamente alle novità didattiche, si ricordano, per il V anno dei licei, l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica; per gli istituti tecnici e professionali, l’insegnamento, nel primo biennio, di “Scienze integrate” (a cui concorrono “Scienze della terra e biologia”, “Fisica” e “Chimica”) e l’aumento delle ore di laboratorio.

Il sistema sarà costantemente monitorato e i risultati di apprendimento saranno periodicamente valutati.

Altre novità organizzative riguardano la possibilità di costituire, presso le istituzioni scolastiche autonome, dipartimenti (come articolazioni funzionali del collegio dei docenti per il sostegno alla didattica e alla progettazione) e un comitato scientifico, composto da docenti ed esperti (con funzioni di proposta per l’organizzazione degli spazi di autonomia).

Le nuove regole sono state applicate, a partire dall’a.s. 2010-2011, alle I classi. Negli istituti tecnici e professionali, le classi successive a quelle interessate dall’applicazione piena delle nuove regole hanno proseguito secondo i piani di studio precedenti, ma con un orario inferiore.

La sezione ad indirizzo sportivo nell'ambito del liceo scientifico potrà essere attivata dall'a.s. successivo a quello della pubblicazione del regolamento nella Gazzetta ufficiale, ossia, come esplicitato dal MIUR con nota n. 170 del 22 gennaio 2013, dall’a.s. 2014/2015.



Misure di accompagnamento della riforma

Al fine di accompagnare la transizione tra vecchio e nuovo ordinamento, recependo le istanze provenienti dalle istituzioni e dalle associazioni degli insegnanti, è stata costituita presso il MIUR una Cabina di regia con il compito di coordinare e orientare i diversi provvedimenti collegati al nuovo ordinamento dei licei (DM 5 agosto 2009 n. 75).

È stata, inoltre, istituita una Commissione di studio, composta da membri aventi specifiche professionalità (DM 11 marzo 2010 n. 26), al fine di coordinare e orientare le Indicazioni nazionali per gli stessi licei, nonché per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo.

Per attuare sperimentalmente le principali innovazioni organizzative, metodologiche e didattiche previste dal riordino degli istituti tecnici, nell’a.s. 2009/2010 è stata costituita una “Unità di consegna” dell’innovazione, denominata Delivery Unit Nazionale (decreto MIUR, AOOUFGAB/2081/GM, 6/03/2009), composta da esperti del mondo della scuola, dell’università e della ricerca, nonché dai Direttori Generali degli Uffici Scolastici Regionali di Lazio, Lombardia, Puglia, Sicilia, Veneto. Sono state costituite, inoltre, anche Delivery Unit Regionali, per coordinare la sperimentazione a livello territoriale.

Per dare, quindi, continuità al lavoro svolto, nel successivo a.s. le Delivery sono state costituite anche in altre regioni, estendendo la sfera di competenza delle stesse a tutti gli ordini scolastici. Presso ogni USR sono stati dunque attivati: un gruppo regionale di coordinamento, uno sportello unico territoriale; tre gruppi di lavoro, rispettivamente per l’istruzione liceale, tecnica e professionale (nota prot. 269 del 14 gennaio 2011).



Gli atti successivi

Gli atti intervenuti a seguito dei D.P.R. 87/2010, D.P.R. 88/2010 e D.P.R. 89/2010 sono pubblicati sul sito dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE).

Tra i principali, si ricordano in questa sede:



Dossier pubblicati

Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei - Schema di regolamento n. 132 (art. 17, co. 2, L. 400/1988 e art. 64, co. 4, D.L. 1122008) Elementi per l'istruttoria normativa (03/11/2009)

Norme sul riordino degli istituti tecnici - Schema di regolamento n. 133 (art. 17, co. 2, L. 400/1988 e art. 64, co. 4, D.L. 1122008) Elementi per l'istruttoria normativa (03/11/2009)

Norme sul riordino degli istituti professionali - Schema di regolamento n. 134 (art. 17, co. 2, L. 400/1988 e art. 64, co. 4, D.L. 1122008) Elementi per l'istruttoria normativa (03/11/2009)

Riforma del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione- Schemi di regolamento nn. 132 (licei), 133 (istituti tecnici), 134 (istituti professionali) (art. 17, co. 2, L. 400/1988 e art. 64, co. 4, D.L. 1122008) Normativa di riferimento e documentazione (12/11/2009)

(Schema di decreto del Presidente della Repubblica n. 132) Regolamento concernente la revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei - Verifica delle quantificazioni (19/11/2009)

(Schema di decreto del Presidente della Repubblica n. 133) Regolamento concernente norme sul riordino degli istituti tecnici - Verifica delle quantificazioni (19/11/2009)

(Schema di decreto del Presidente della Repubblica n. 134) Regolamento concernente norme sul riordino degli istituti professionali - Verifica delle quantificazioni (19/11/2009)

Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria - D.L. 98/2011 - A.C. 4509 - Sintesi delle modifiche introdotte al Senato e schede di lettura (art. 19, comma 16) (14/07/2011)

Regolamento di organizzazione della sezione ad indirizzo sportivo del sistema dei licei - Schema di regolamento n. 501 (art. 17, co. 2, L. 400/1988; art. 64, co. 4, lett. b), D.L. 112/2008; art. 3, co. 2, D.P.R. 89/2010) - Elementi per l'istruttoria normativa (26/09/2012)



Legislazione comparata

Istituti tecnici e professionali. Organi collegiali interni (01/03/2010)



Documenti e risorse web

Ministero della Pubblica Istruzione - I percorsi formativi della scuola secondaria di secondo grado statale tra corsi di ordinamento, sperimentazioni e autonomia (Marzo 2007)

ISTAT, Noi Italia 2010, 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo, Istruzione (edizione 2013)

MIUR - Nota del 9 dicembre 2010: Avvio delle attività di formazione dei docenti di disciplina non linguistica (DNL) in lingua straniera, secondo la metodologia Content and Language Integrated Learning (CLIL)

MIUR - Focus "Le iscrizioni al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione" - Anno Scolastico 2012/2013 (marzo 2012

MIUR - La scuola secondaria superiore. Profili e quadri orari (edizione 2011)

Approfondimento: L'istruzione tecnico-professionale, l'istruzione e formazione professionale, il sistema di istruzione e formazione tecnica superiore



Premessa

L’art. 52 del D.L. 5/2012 ha dettato disposizioni per la semplificazione e la promozione dell’istruzione tecnico-professionale - riordinata con il D.P.R. 87/2010 e il D.P.R. 88/2010 - e degli Istituti tecnici superiori (ITS).

In particolare, esso ha previsto la definizione di linee guida da adottare con decreto interministeriale, d’intesa con la Conferenza unificata.

Quest’ultima è stata raggiunta il 26 settembre 2012. Il MIUR ne ha dato notizia con un comunicato del 27 settembre 2012, al quale è allegato, fra l’altro, lo schema di decreto, al momento non ancora formalmente adottato.



L'art. 52 del D.L. 5/2012

In base all’art. 52 del D.L. 5/2012, le linee guida sono volte al coordinamento:

a) a livello territoriale, dell’offerta dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado di tipo tecnico e professionale e dei percorsi di istruzione e formazione professionale di competenza regionale.

Al riguardo si ricorda, peraltro, che l’art. 19, co. 16, del D.L. 98/2011 aveva previsto l’emanazione, entro il 6 luglio 2012, di un regolamento di delegificazione volto a garantire la piena coerenza dei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al D.lgs. 226/2005 con le modifiche ordinamentali apportate al secondo ciclo dell’istruzione ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008. Il regolamento non risulta intervenuto;

b) a livello nazionale, dell’offerta di percorsi degli Istituti tecnici superiori (istruzione terziaria non universitaria), in modo da valorizzare la collaborazione multiregionale e facilitare l’integrazione delle risorse disponibili con la costituzione, al massimo, di un ITS in ogni regione per la medesima area tecnologica e relativi ambiti.

Ulteriori obiettivi riguardano:

c) la promozione della costituzione dei poli tecnico-professionali;

d) la promozione della realizzazione di percorsi in apprendistato per il conseguimento della qualifica e del diploma professionale;

e) la semplificazione degli organi di indirizzo, gestione e partecipazione previsti dagli statuti delle fondazioni ITS;

f) la previsione, nel rispetto del principio di sussidiarietà, che le delibere del consiglio di indirizzo degli ITS possano essere adottate con voti di diverso peso ponderale e con diversi quorum funzionali (prevedendo, cioè un diverso numero di voti minimo per l’adozione di ciascuna decisione), e strutturali (prevedendo, cioè, un diverso numero legale necessario per la valida costituzione delle diverse sedute).



Il riordino dell’istruzione tecnica e professionale

Con riferimento all’obiettivo di cui alla lett. a), si ricorda che per gli istituti professionali e gli istituti tecnici le principali linee generali del riordino - attuato con i D.P.R. 87/2010 e D.P.R. 88 del 15 marzo 2010, sulla base dell’art. 64, co. 4, del D.L. 112/2008 - sono consistite, come illustrato nelle rispettive relazioni governative, nel semplificare i piani di studio, ridurre gli indirizzi curriculari e l’orario settimanale di lezione, potenziare la dimensione laboratoriale dell’apprendimento, tener conto della specificità del territorio e dell’utenza. A tal fine, è stata prevista la creazione di un Comitato tecnico-scientifico finalizzato a rafforzare il raccordo tra gli obiettivi educativi della scuola, le innovazioni della ricerca, le esigenze del territorio e i fabbisogni del mondo produttivo. E’ stato, inoltre, ribadito l’obiettivo di fornire agli studenti competenze spendibili per l’inserimento nel mondo del lavoro e per il passaggio ai livelli superiori di istruzione. Pertanto, fra gli strumenti didattici sono stati inseriti stage e alternanza scuola-lavoro.

Per quanto riguarda gli istituti tecnici, l’articolazione è stata prevista in 2 settori (a fronte dei precedenti 10) e in 11 indirizzi (a fronte di 39), con un orario settimanale di 32 ore. Per gli istituti professionali, l’articolazione è stata definita in 2 settori (a fronte di 5) e 6 indirizzi (a fronte di 27), con un orario settimanale di 32 ore. Sia per gli istituti tecnici che per i professionali è prevista la possibilità di attivare opzioni legate al mondo del lavoro e al territorio.

I relativi percorsi continuano ad avere durata quinquennale, articolati in 2 bienni (di cui, il primo è finalizzato all’assolvimento dell’obbligo scolastico) e in un V anno, al termine del quale si sostiene l’esame di Stato.

Con Direttive del Ministro n. 57 del 15 luglio 2010 e n. 65 del 28 luglio 2010 sono state emanate le linee guida per il primo biennio, rispettivamente, degli istituti tecnici e degli istituti professionali; con Direttive del Ministro n. 4 e n. 5 del 16 gennaio 2012 sono state emanate le linee guida per il secondo biennio e il quinto anno di entrambi i percorsi.

In base alle indicazioni contenute nelle linee guida, i nuovi istituti tecnici sono chiamati ad intercettare l’evoluzione del fabbisogno di competenze che emerge dalle richieste del mondo del lavoro e ad offrire una risposta alle nuove necessità occupazionali; gli istituti professionali perseguono, invece, l’obiettivo di far acquisire al diplomato, nell’ambito di settori produttivi relativamente ampi, capacità operative che lo mettano in grado di applicare le tecnologie a processi specifici e di prospettare e realizzare soluzioni anche innovative.

Pertanto, il riordino di entrambi i segmenti formativi vuole corrispondere alla necessità non solo di modernizzare l’impianto curricolare, ma anche di aumentare le possibilità di scelta degli studenti oltre il ciclo secondario, anche verso il “nuovo cantiere” dell’Istruzione tecnica superiore.



Il sistema IeFP

Per il sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP) - i cui percorsi rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione - la competenza legislativa esclusiva è delle regioni, spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. In particolare, ai sensi del D.lgs. 226/2005, le regioni assicurano l'articolazione di percorsi di durata triennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di qualifica professionale, che consente l'accesso al quarto anno del sistema dell'istruzione e formazione professionale - e di percorsi di durata almeno quadriennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di diploma professionale, che consente l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore.

Chiusa una fase di sperimentazione, il primo anno di attuazione dei percorsi di IeFP (nei quali può essere assolto l’obbligo di istruzione, ex art. 64, co. 4-bis, del D.L. 112/2008), coincidente con l’anno scolastico e formativo 2010-2011, è stato avviato sulla base dell’Accordo raggiunto in Conferenza Stato-regioni il 29.4.2010, poi recepito con D.I. 15.6.2010. In particolare, l’Accordo, prodromico alla disciplina specifica definita da ciascuna regione, ha individuato le figure professionali e gli standard minimi formativi.

Nel frattempo, l’art. 2, co. 3, del già citato D.P.R. 87/2010 ha disposto che, nel rispetto delle competenze esclusive delle regioni, gli Istituti professionali possono svolgere, in regime di sussidiarietà, un ruolo integrativo e complementare nei confronti dell’offerta delle istituzioni formative del sistema IeFP ai fini del conseguimento, anche nell'esercizio dell'apprendistato, di qualifiche professionali (in esito a percorsi triennali) e diplomi (in esito a percorsi quadriennali).

Il 16 dicembre 2010 è stata poi raggiunta un’intesa in Conferenza Unificata in ordine all’approvazione delle linee guida (di cui all’art. 13, co. 1-quinquies, del D.L. 7/2007) finalizzate alla realizzazione di raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi IeFP. Le linee guida sono state adottate con DM 18 gennaio 2011.

Nell’intesa si sottolinea che i raccordi sono in particolare finalizzati a sostenere e garantire l’organicità sul territorio dell’offerta dei percorsi a carattere professionale, prevenire la dispersione scolastica e formativa, facilitare i passaggi tra i sistemi formativi. Si stabilisce, inoltre, che la prima attuazione delle linee guida è oggetto di specifici accordi territoriali tra i competenti Assessorati delle regioni e gli Uffici scolastici regionali, e che ciascuna regione stabilisce i percorsi che gli istituti professionali possono erogare in regime sussidiario.

Il 27 luglio 2011, in sede di Conferenza Stato-Regioni, è stato poi raggiunto l’accordo - recepito con DM 11 novembre 2011 - riguardante gli atti necessari per il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di istruzione e formazione professionale. La messa a regime del Capo III del d.lgs. n. 226/2005 riguarda, a partire dall'a.s. e formativo 2011-2012, i percorsi di durata triennale e quadriennale.



I poli tecnico-professionali

Con riferimento all’obiettivo di cui alla lett. c), si ricorda che l’art. 13, co. 2, del D.L. 7/2007 ha disposto che possono essere istituiti, a livello provinciale o sub-provinciale, “poli tecnico-professionali” tra gli istituti tecnici e gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell’art. 1, co. 624, della L. 296/2006, e gli istituti tecnici superiori (per i quali, v. infra).

I “poli” sono costituiti sulla base della programmazione dell’offerta formativa a livello regionale, che comprende anche la formazione tecnica superiore. Le regioni pertanto concorrono alla realizzazione degli stessi con strutture formative di competenza regionale. Essi sono costituiti in forma di consorzio, secondo le modalità già previste per le reti di scuole ai sensi dell’art. 7, co. 10, del D.P.R. 275/1999, con il fine di promuovere in modo stabile e organico la diffusione della cultura scientifica e tecnica e di sostenere le misure per la crescita sociale, economica e produttiva del Paese, e sono dotati di propri organi indicati in base alle convenzioni stipulate con gli enti interessati.



L’apprendistato per la qualifica e il diploma

Con riferimento all’obiettivo di cui alla lett. d), si ricorda che, sulla base della delega recata dall’art. 46 della L. 183/2010 (il cui art. 48, co. 8, ha previsto che l’obbligo di istruzione si intende assolto anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione), è intervenuto il D.lgs. n. 167/2011, che ha confermato, nella sostanza, le tre tipologie di apprendistato esistenti, di cui due finalizzate al conseguimento di titoli di studio. In particolare, la tipologia cui fa riferimento l’art. 52 del D.L. 5/2012 è quella di cui all’art. 3, vale a dire l’apprendistato per i giovani dai 15 ai 25 anni finalizzato alla qualifica e al diploma professionale (e pertanto all’assolvimento dell’obbligo di istruzione), la cui regolamentazione con riferimento ai profili formativi è rimessa alle regioni e alle province autonome.

Al riguardo, si ricorda che il 15 marzo 2012 è stato raggiunto, nell’ambito della Conferenza Stato-regioni, l’accordo per la regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale mentre il 19 aprile 2012, nel medesimo ambito, è stato raggiunto l’accordo per la certificazione delle competenze acquisite in apprendistato, poi recepito con DI 26 ottobre 2012.



Gli Istituti tecnici superiori

Con riferimento all’obiettivo di cui alla lett.b), si ricorda, preliminarmente, che l’art. 69 della L. 144/1999 ha istituito il sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), disponendo che allo stesso si accede, di norma, con il possesso del diploma di scuola secondaria superiore. Si tratta, dunque, di un sistema di formazione terziaria non universitaria.

Successivamente, l’art. 1, co. 631, della L. 296/2006 ha stabilito, a decorrere dal 2007, una riorganizzazione del sistema IFTS, secondo linee guida da adottare con DPCM. A tal fine, il co. 875 ha previsto l’istituzione di un apposito Fondo (v. infra).

E’ stato pertanto emanato il D.P.C.M. 25 gennaio 2008 che ha stabilito che la riorganizzazione, da realizzare progressivamente a partire dal triennio 2007-2009, comprende tre tipologie di intervento. Si tratta degli ITS - già citati dall’art. 13 del D.L. 7/2007-, dei percorsi di IFTS e dei poli tecnico-professionali.

Gli ITS possono essere costituiti se previsti nei piani territoriali adottati ogni triennio dalle regioni nell’ambito della programmazione dell’offerta formativa di loro competenza, con riferimento agli indirizzi della programmazione nazionale in materia di sviluppo economico e rilancio della competitività. Alla realizzazione dei piani concorrono le risorse messe a disposizione dal MIUR a valere sul Fondo di cui si è detto, oltre che risorse delle regioni o messe a disposizione da soggetti pubblici e privati e dall’UE. Ai fini del sostegno dei piani, il Ministero verifica preventivamente la sussistenza di alcuni elementi, fra i quali la messa a disposizione, da parte delle regioni e delle province autonome, di risorse finanziarie pari ad almeno il 30% del contributo del Ministero stesso.

Gli ITS realizzano percorsi di durata biennale (per particolari figure, i percorsi possono avere durata superiore, nel limite massimo di sei semestri) volti al conseguimento di un diploma di tecnico superiore riferito alle aree tecnologiche considerate prioritarie dagli indirizzi nazionali di programmazione economica, con riferimento al quadro strategico dell’Ue (efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, tecnologie dell’informazione e della comunicazione).

Con DI 7 settembre 2011 sono state definite le norme generali concernenti i diplomi degli ITS e le relative figure nazionali di riferimento, la verifica e la certificazione delle competenze.

Gli ITS sono configurati secondo il modello della fondazione di partecipazione (alla quale possono partecipare: un istituto tecnico o professionale, statale o paritario, che risulti ubicato nella provincia sede della fondazione; una struttura formativa accreditata dalla regione per l'alta formazione, anch’essa ubicata nella provincia; un’impresa del settore produttivo cui si riferisce l'ITS; un dipartimento universitario o altro organismo appartenente al sistema della ricerca scientifica e tecnologica; un ente locale) e acquistano la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture (art. 1 del D.P.R. 361/2000). Gli istituti tecnici e professionali ne costituiscono gli enti di riferimento, pur conservando, ai sensi dell’all. A) del DPCM, la distinta e autonoma soggettività giuridica rispetto all’ITS .

L’all. A del DPCM prevede che gli organi degli ITS sono costituiti da Consiglio di indirizzo, Giunta esecutiva, Presidente, Comitato tecnico-scientifico, Assemblea di partecipazione e un Revisore dei conti. Le relative funzioni sono indicate nell’all. B, che riporta lo schema di statuto delle Fondazioni.

Infine, con riferimento alla gestione della fondazione, il predetto all. A dispone che il patrimonio degli ITS è composto: da un fondo di dotazione (costituito dai conferimenti, in proprietà, uso o possesso a qualsiasi titolo di denaro o beni mobili e immobili, o altre utilità impiegabili per il perseguimento degli scopi, effettuati dai Fondatori all'atto della costituzione e dai partecipanti); dai beni mobili e immobili; dalle elargizioni fatte da enti o da privati con espressa destinazione a incremento del patrimonio; da contributi attribuiti al patrimonio dall'Unione europea, dallo Stato, da enti territoriali o da altri enti pubblici.

Da settembre 2011 sono stati attivati 62 ITS.



Le linee guida adottate dalla Conferenza unificata il 26 settembre 2012

In base alle linee guida sulle quali è stata raggiunta l’intesa in Conferenza unificata il 26 settembre 2012, in particolare:

L’intesa ha, inoltre, disciplinato l’organizzazione delle commissioni chiamate ad esaminare gli studenti a conclusione dei percorsi biennali degli ITS e ha fissato gli indicatori per il monitoraggio e la valutazione (tra cui composizione della domanda, efficacia interna del percorso ordinamentale, qualità della formazione, indicatori di rete, di efficienza e di risultato).

Con riferimento alle risorse per gli ITS - oggetto di intervento normativo, da ultimo, ex art. 7, co. 37-ter, del D.L. 95/2012 - le linee guida hanno disposto che le risorse stanziate sul Fondo previsto dall’art. 1, co. 875, della L. 296/2006 sono assegnate agli ITS sulla base sia di criteri e requisiti minimi di avvio e riconoscimento del titolo, sia di indicatori di realizzazione e di risultato.

Al riguardo si ricorda che l’art. 1, co. 875, della L. 296/2006, al fine di assicurare una più efficace utilizzazione delle risorse finanziarie destinate all’attuazione degli interventi di riorganizzazione dell’Istruzione e formazione tecnica superiore, ha istituito nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, come ante accennato, il Fondo per l’istruzione e la formazione tecnica superiore.

Il D.P.C.M. 25 gennaio 2008, dando attuazione all’art. 1, co. 631, della stessa L. 296/2006, ha poi stabilito che il 5% delle risorse complessivamente disponibili sul Fondo è destinato alla realizzazione delle misure nazionali di sistema, compresi il monitoraggio e la valutazione, il 70% alla realizzazione degli ITS e il 30% alla realizzazione dei percorsi di IFTS. Tuttavia, lo stesso DPCM ha disposto che per il triennio 2007-2009 le risorse destinate alla istituzione degli ITS sono determinate nel 50% delle risorse stanziate. Tale previsione è stata poi prorogata fino al 31.12.2010 – nel limite di spesa di 10 milioni di euro – dall’art. 7, co. 5-quater, del D.L. 194/2009.

Da ultimo, in base alla modifica all’art. 1, co. 875, della L. 296/2006 recata dal D.L. 95/2012, al Fondo confluisce, per essere destinata agli ITS, quota parte, pari a 14 milioni di euro, dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 1, co. 634, della stessa L. 296/2006 (che è finalizzata anche alla riorganizzazione dell’Istruzione e formazione tecnica superiore), mentre non confluiscono più le risorse previste sul Fondo per l’offerta formativa di cui alla L. 440/1997 (in parte finalizzate anche alla formazione post-secondaria non universitaria).

Rimangono in ogni caso iscritte al Fondo le risorse assegnate dal CIPE, per quanto riguarda le aree sottoutilizzate, per progetti finalizzati alla realizzazione dell’istruzione e formazione tecnica superiore, con l’obiettivo di migliorare l’occupabilità dei giovani che hanno concluso il secondo ciclo di istruzione e formazione.

 



Dossier pubblicati

Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo - D.L. 5/2012 - A.C. 4940-A - Schede di lettura (art. 52 Misure di semplificazione e promozione dell'istruzione tecnico-professionale e degli istituti tecnici superiori - ITS) (9 marzo 2012)

Proroga di termini previsti da disposizioni legislative - D.L. 194/2009 - A.C. 3210 - Schede di lettura (art. 7, comma 5-quater Istituti tecnici superiori) (17 febbraio 2010)



Documenti e risorse web

Gli Istituti tecnici superiori

Primo rapporto sull’attività realizzata dagli istituti scolastici nell’applicazione delle Linee guida per il primo biennio degli Istituti tecnici e professionali per l’a.s. 2010/2011. L’attività è stata monitorata da Ansas - Indire su incarico MIUR

Approfondimento: Gli interventi normativi in materia di dotazioni organiche della scuola nella XVI legislatura



Le previsioni generali per il ridimensionamento delle dotazioni organiche

L’art. 64 del decreto-legge 112/2008 (L. 133/2008) - facendo seguito ad analoghi interventi degli anni precedenti (in particolare, art. 1, co. 605-620, della L. 296/2006) - ha previsto:

Inoltre, ha disposto, fra l’altro, la revisione dei criteri per la determinazione delle dotazioni organiche del personale docente e ATA.

La relazione tecnica al D.L. stimava la riduzione del numero di docenti in 87.341 unità (con una riduzione di 42.105 unità nell’a.s. 2009/2010, di 25.560 unità nell’a.s. 2010/2011 e di 19.676 unità nell’a.s. 2011/2012) e quella del personale ATA in 42.500 unità (con una riduzione di 14.166 unità in ciascun anno del triennio).

Il piano programmatico conseguentemente presentato dal Governo (Atto n. 36) ha poi indicato le misure attraverso le quali si sarebbe concretizzata la riduzione del personale docente, fra le quali il ricorso ai criteri di flessibilità nell’utilizzo, la riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre di scuola secondaria di I e II grado, il superamento delle attività di codocenza, la ridefinizione dell’organico dei docenti impegnati nei corsi di istruzione per gli adulti con riferimento alla serie storica degli alunni scrutinati e non di quelli iscritti, il sostegno allo sviluppo di sistemi di istruzione a distanza, la graduale, piena, attuazione della disciplina di cui all’art. 2, co. 413, della L. 244/2007, relativa alla determinazione dei posti di sostegno per gli alunni disabili, la formazione dei docenti che non avevano ancora il titolo per poter insegnare inglese nella scuola primaria, l’attivazione di corsi di riconversione professionale per i docenti facenti parte delle classi di concorso in esubero, nonché l’attivazione di corsi per altri docenti, finalizzati all’inserimento in classi di concorso più ampie, la revisione degli istituti giuridici relativi a comandi, collocamenti fuori ruolo, utilizzazioni, al fine di ridurre l’incidenza della spesa rappresentata dal pagamento dei supplenti in sostituzione.

Gran parte di queste previsioni sono state declinate nel D.P.R. 81/2009, emanato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (v. in particolare: art. 7 - formazione delle classi e dei corsi per l’istruzione degli adulti; art. 10 - insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria; art. 15 - organizzazione per moduli flessibili dell’attività didattica nelle sezioni di scuola media funzionanti in situazioni di particolare isolamento; art. 18 - costituzione di classi di educazione fisica negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado; art. 19 - riconduzione a 18 ore settimanali delle cattedre di scuola secondaria di primo e di secondo grado; art. 23 - modalità di utilizzo del personale docente in esubero. Quest’ultima materia è stata, peraltro, in seguito ridisciplinata dall’art. 14, co. 17-20 e co. 21, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012).

In materia di comandi sono, invece, intervenuti, l’art. 4, co. 68, della L. 183/2011 – che ha ridotto da 500 a 300 unità il contingente di docenti e dirigenti scolastici di cui l’amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica – e l’art. 1, co. 57-59, della L. 228/2012, che ha ulteriormente ridotto tale contingente a 150 unità e ha disposto la riduzione da 100 a 50 unità del contingente da destinare alle associazioni professionali del personale direttivo e docente e agli enti cooperativi da esse promossi, nonché agli enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica, facendo salvi i provvedimenti di collocamento fuori ruolo già adottati per l’a.s. 2012/2013.

Quanto al personale ATA, il piano programmatico ha disposto che la riduzione del 17% sarebbe stata attuata mediante la revisione delle tabelle relative alla determinazione dell’organico dei vari profili professionali e ha previsto la promozione di iniziative di qualificazione professionale, procedendo anche alla costituzione dell’organico dell’area C, riferito alla figura dei coordinatori amministrativi o tecnici.

 Gli organici del personale docente per i tre anni scolastici interessati dalla riduzione prevista dall’art. 64 del D.L. 112/2008, ossia 2009/2010, 2010/2011, 2011/2012, sono stati definiti - da ultimo - con D.I. 98, 99 e 100 del 2011, pubblicati nel S.O. n. 21 della GU del 27 gennaio 2012. In base agli stessi D.I., le riduzioni di posti complessive (escluso il sostegno) sono state pari a 42.104 nell’a.s. 2009/2010, 25.617 nell’a.s. 2010/2011, 19.699 nell’a.s. 2011/2012.

 L’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha, poi, disposto un consolidamento delle riduzioni complessive di personale scolastico, stabilendo che, a decorrere dall'a.s. 2012/2013, le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'a.s. 2011/2012.

Per l’a.s. 2011-2012, il D.I. 100/2011 ha indicato la consistenza degli organici di personale docente in 81.216 unità per la scuola dell’infanzia, 198.339 unità per la scuola primaria, 132.192 unità per la scuola secondaria di primo grado, 189.073 unità per la scuola secondaria di secondo grado (per un totale di 600.820 unità), 90.469 unità (in organico di fatto) per i posti di sostegno.

Per l’a.s. 2012-2013, il D.I. 75 del 22 agosto 2012, pubblicato nella GU n. 276 del 26 novembre 2012, richiamato in premessa quanto previsto dall’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011, indica la consistenza organica complessiva del personale docente in 600.839 unità, indicandola quale “identica” a quella relativa all’a.s. 2011/2012.

Per quanto concerne il personale ATA, la dotazione organica complessiva relativa all’a.s. 2011-2012 fissata dal D.I. 29 luglio 2011, pubblicato nella GU n. 239 del 13 ottobre 2011, è stata pari a 207.123 unità, comprensive dei posti da accantonare a seguito della terziarizzazione dei servizi, quantificati in 11.857 unità.

Per l’a.s. 2012-2013, il MIUR ha trasmesso lo schema di D.I. con nota prot. 5060 del 3 luglio 2012, nella quale si fa presente che la consistenza dell’organico di tutti i profili professionali è mantenuta immutata a livello nazionale, fatta eccezione per il decremento (pari a 2.234 unità) di quella relativa ai direttori dei servizi generali e amministrativi, in applicazione dell’art. 4, co. 70, della legge di stabilità 2012. Infatti, l’art. 4, co. 70, della L. 183/2011 ha disposto che, a decorrere dall’a.s. 2012/2013, alle istituzioni scolastiche con meno di 600 studenti, ridotto fino a 400 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, non può essere assegnato in via esclusiva un posto di direttore dei servizi generali ed amministrativi e stabilendo, dunque, che il posto è assegnato in comune con altre istituzioni scolastiche individuate fra quelle nella medesima situazione.

 Da ultimo, l’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) ha previsto l’adozione con decreto interministeriale di linee guida (il decreto sarebbe dovuto intervenire entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione), in particolare stabilendo:

La relazione tecnica qualificava l’organico dell’autonomia come “dotazione di personale docente, educativo ed ATA che consenta alle istituzioni scolastiche di far fronte a tutte le esigenze derivanti sia dall’organizzazione delle attività didattiche ordinarie, sia dalle situazioni di fatto che, all’avvio o nel corso dell’anno scolastico, determinino scostamenti dalle previsioni iniziali (variazione di alunni rispetto al valore stimato prima delle iscrizioni, aumento delle certificazioni mediche per il sostegno o assenze brevi e temporanee dei docenti, fenomeni di dispersione scolastica, etc.)”;

Il decreto per la determinazione degli organici per gli a.s. 2013-2014, 2014-2015, 2015-2016 doveva essere adottato entro 120 giorni dall’entrata in vigore del DDL di conversione.

In materia, è opportuno ricordare che è stato previsto il passaggio nei ruoli ATA di personale docente dichiarato permanentemente inidoneo alla propria funzione per motivi di salute, ma idoneo ad altri compiti, e di personale docente appartenente ad alcune classi di concorso (si vedano art. 19, co. 12-15, del D.L. 98/2011 e art. 14, co. 13-15, del D.L. 95/2012). Ulteriori disposizioni per l’accantonamento di posti di assistente tecnico sono state recate dall’art. 4, co. 81, della L. 183/2011.



I criteri per la definizione delle dotazioni organiche

Preliminarmente, si evidenzia che l’art. 19, co. 10, del D.L. 98/2011, recante interpretazione autentica dell'art. 22, co. 2, della L. 448/2001 (L. finanziaria 2002), ha disposto che il parere delle competenti Commissioni parlamentari deve essere acquisito ogni volta che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, modifica i parametri per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA.

Per completezza si evidenzia, peraltro, che l’art. 22, co. 2, della L. 448/2001 riguarda esclusivamente il personale docente.



Criteri per la definizione delle dotazioni organiche del personale docente (esclusi gli insegnanti di sostegno)

 I criteri per la determinazione delle dotazioni organiche del personale docente sono attualmente recati dal D.P.R. 81/2009.

 In particolare, l’art. 2 prevede che le dotazioni organiche complessive sono definite annualmente sia a livello nazionale che per ambiti regionali (in questo secondo caso sentita la Conferenza unificata, anche ai fini della distribuzione) tenuto conto degli assetti ordinamentali, dei piani di studio e delle consistenze orarie previsti dalle norme in vigore, nonché dei criteri da esso recati, in base: a) alla previsione dell'entità e della composizione della popolazione scolastica e con riguardo alle esigenze degli alunni disabili e degli alunni di cittadinanza non italiana; b) al grado di densità demografica delle province di ogni regione e della distribuzione della popolazione tra i comuni di ogni circoscrizione provinciale; c) alle caratteristiche geo-morfologiche e alle condizioni socio-economiche e di disagio delle diverse realtà territoriali; d) all'articolazione dell'offerta formativa; e) alla distribuzione degli alunni nelle classi sulla base di un incremento del rapporto medio, a livello nazionale, alunni/classe di 0,40 da realizzare nel triennio 2009-2011; f) alle caratteristiche dell'edilizia scolastica.

Sotto quest’ultimo profilo, il DPR ha previsto, in particolare, che:

Inoltre, l’art. 8 ha disposto che nelle scuole di determinate realtà (piccole isole, comuni montani, zone abitate da minoranze linguistiche, aree a rischio di devianza minorile o con rilevante presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione), possono essere costituite classi uniche per anno di corso e indirizzo di studi, con un numero di alunni inferiore a quello minimo previsto per la scuola primaria e la scuola secondaria di primo e di secondo grado. Inoltre, l’art. 11 del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) ha previsto che, nelle stesse realtà, possono essere istituiti centri scolastici digitali.

 Sempre l’art. 2 del D.P.R. 81/2009 ha disposto che le dotazioni dell'istruzione secondaria di I e II grado sono, inoltre, determinate con riguardo alle diverse discipline ed attività contenute nei curricoli delle singole istituzioni.

Ha, altresì, disposto che i dirigenti preposti agli uffici scolastici regionali provvedono alla ripartizione delle consistenze organiche a livello provinciale. L'assegnazione delle risorse è effettuata con riguardo alle specifiche esigenze ed alle diverse tipologie e condizioni di funzionamento delle istituzioni scolastiche (tenendo conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, con particolare riguardo ai comuni montani e alle piccole isole, nonché alle aree che presentano elevati tassi di dispersione e di abbandono), nonché alle possibilità di impiego flessibile delle stesse risorse, in coerenza con quanto previsto dal D.P.R. 275/1999.



Criteri per la definizione delle dotazioni organiche di sostegno

In materia di organico di sostegno, l’art. 5 del D.P.R. 81/2009 aveva disposto che le dotazioni organiche complessive dei posti di sostegno restavano definite ai sensi dell'art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007.

Il co. 413 della L. 244/2007 ha fatto salvo l’art. 1, co. 605, lett. b), della L. finanziaria 2007, che ha disposto la modifica del rapporto docenti di sostegno/alunni - definito dall’art. 40, co. 3, della L. 449/1997 in ragione di uno ogni 138 alunni frequentanti le scuole della provincia – procedendo all’individuazione di organici corrispondenti alle effettive esigenze. Ha disposto, inoltre, che il numero dei posti dei docenti di sostegno attivabili a decorrere dall’a.s. 2008-2009 non deve superare il 25% del numero di sezioni e classi dell’organico di diritto dell’a.s. 2006-2007, mediante criteri definiti con D.I. Il co. 414 ha disposto la progressiva rideterminazione della dotazione organica di diritto dei docenti di sostegno nel triennio 2008-2010, fino al raggiungimento del 70% del numero dei posti di sostegno attivati nell’a.s. 2006-2007. Ha modificato, inoltre, l’art. 40, co. 1, della L. 449/1997, sopprimendo la previsione di nomina di docenti di sostegno con contratto a tempo determinato, in deroga al rapporto alunni-docenti.

In seguito, con sentenza n. 80/2010, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 413 citato nella parte in cui ha fissato un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e del co. 414 nella parte in cui ha escluso la possibilità di assumere insegnanti di sostegno in deroga.

A seguire, l’art. 19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha disposto che l’organico dei posti di sostegno è determinato applicando quanto previsto dall’art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007, ma con possibilità di istituire posti in deroga in relazione a situazioni di particolare gravità, e che è assegnato complessivamente alla scuola o alle reti di scuole appositamente costituite, considerando un docente ogni due alunni disabili. Ha, altresì, disposto che l’azione didattica e di integrazione degli alunni disabili è assicurata sia dai docenti di sostegno che dai docenti di classe.

Il D.I. n. 75 del 22 agosto 2012 indica la consistenza dell’organico di fatto degli insegnanti di sostegno per l’a.s. 2012/2013 in 90.469 unità - salve le deroghe da autorizzare - identica a quella fissata per l’a.s. 2011/2012 e, già prima, per l’a.s. 2010/2011.







Criteri per la determinazione delle dotazioni organiche del personale ATA

Per quanto concerne le dotazioni organiche del personale ATA, l’art. 1 del D.P.R. 119/2009 ha disposto che la consistenza numerica complessiva è definita a livello nazionale in base ai criteri da esso previsti e secondo i parametri di calcolo previsti dalle annesse tabelle 1, 2, 3/A, 3/B e 3/C.

L’art. 2 ha disposto che la consistenza numerica complessiva dei posti definita a livello nazionale è ripartita in dotazioni organiche regionali, sentita la Conferenza unificata, con riguardo alle specificità degli ambiti territoriali interessati, alle peculiarità strutturali, organizzative e operative delle istituzioni scolastiche, alle diversità conseguenti alle situazioni ambientali e socio-economiche, alle funzioni ed ai compiti previsti per i profili professionali del personale. Nella ripartizione si tiene conto altresì, in relazione ai diversi contesti territoriali, dei fenomeni migratori, dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, delle condizioni logistico-strutturali, delle distanze e dei collegamenti tra le istituzioni scolastiche situate nei comuni montani e nelle piccole isole.

Il dirigente regionale provvede alla ripartizione della dotazione organica regionale in dotazioni organiche provinciali. Inoltre, nel limite della dotazione organica regionale, determina le dotazioni organiche di istituto.

L’art. 4 ha disposto che nelle istituzioni scolastiche in cui i compiti del profilo di collaboratore scolastico sono assicurati, in tutto o in parte, da personale esterno all'amministrazione, è indisponibile, a qualsiasi titolo, il 25% dei posti del corrispondente profilo professionale. Ha disposto, inoltre, che il dirigente regionale può promuovere intese finalizzate al più efficace ed efficiente utilizzo del personale già addetto ai lavori socialmente utili, attualmente impegnato nelle istituzioni scolastiche in compiti di carattere amministrativo e tecnico, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con conseguente accantonamento di un numero di posti della dotazione organica del profilo di appartenenza, corrispondente al 50%.



Dirigenti scolastici

L’art. 19, co. 5, del D.L. 98/2011 ha previsto che la direzione delle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 500 unità, ridotto fino a 300 per specifici contesti (istituzioni site in piccole isole, comuni montani, aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche) è assegnata in reggenza a dirigenti scolastici già titolari di incarico per altri istituti.

In seguito, l’art. 4, co. 69, della L. 183/2011 ha innalzato da 500 a 600 (e da 300 a 400 per i contesti specifici) il numero di alunni al di sotto del quale la direzione è affidata in reggenza.

L’art. 14, co. 16, del D.L. 95/2012, con norma di interpretazione autentica, ha poi disposto che per "aree geografiche caratterizzate da specificità linguistica", ai fini dell'applicazione dei parametri per l'assegnazione dei dirigenti scolastici, si intendono quelle nelle quali sono presenti minoranze di lingua madre straniera (e non quelle in cui vi sono minoranze linguistiche riconosciute ex L. 482/1999)

I criteri per l’applicazione di tali previsioni per l’a.s. 2012/2013 sono stati indicati con Nota prot. n. 4488 del 13 giugno 2012.



Piano di assunzioni di personale docente e ATA 2011-2013 e nuovo reclutamento di personale docente

L’art. 9, co. 17, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) - anche in tal caso facendo seguito ad analoghi interventi degli anni precedenti (in particolare, art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006) - ha disposto che, all’esito di una sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale per il personale della scuola, con decreto interministeriale sarebbe stato definito un piano triennale per l’assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno e nel rispetto degli obiettivi programmati di finanza pubblica, stabilendo, altresì, che ogni anno si doveva procedere alla verifica del piano ai fini di eventuali rimodulazioni.

La programmazione triennale delle assunzioni è stata effettuata con DM 3 agosto 2011, pubblicato nella GU n. 250 del 26/10/2011: per l’a.s. 2011/2012 è stata prevista l’assunzione di 30.300 unità di personale docente ed educativo, di cui 10.000 a completamento della richiesta di assunzioni effettuata per l'a.s. 2010/2011, con retrodatazione giuridica al medesimo anno e utilizzando per le assunzioni le graduatorie ad esaurimento vigenti nell'anno 2010/2011, e 36.000 unità di personale ATA; per ciascuno degli a.s. 2012/2013 e 2013/2014 è stata prevista l'assunzione di un numero massimo, rispettivamente, di 22.000 docenti e di 7.000 unità ATA, in ogni caso previa verifica circa la concreta fattibilità del piano. Con DM 10 agosto 2012, n. 74, è stata prevista l’assunzione a tempo indeterminato di 21.112 unità di personale docente ed educativo per l’a.s. 2012/2013.

Con bando di concorso, per titoli ed esami, pubblicato nella GU n. 75 del 25.09.2012, è stato, infine, avviato il reclutamento, su base regionale, di 11.542 docenti nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado, autorizzato con DPCM 12 settembre 2012 (GU n. 247 del 22 ottobre 2012). Il bando si riferisce ai posti risultanti vacanti e disponibili negli a.s. 2013/2014 e 2014/2015.

Approfondimento: La rete scolastica

 



Il quadro normativo vigente all'avvio della XVI legislatura

Gli articoli 137 e 138, co. 1, lett. b), del d.lgs. n. 112/1998 hanno, rispettivamente, confermato l’attribuzione allo Stato delle funzioni concernenti i criteri e i parametri per l'organizzazione della rete scolastica, previo parere della Conferenza unificata, e delegato alle regioni le funzioni amministrative relative alla programmazione della medesima rete, sulla base dei piani provinciali.

Subito dopo, il D.P.R. 233/1998, recante norme per il dimensionamento ottimale delle istituzioni scolastiche, ha disposto, all’art. 2, che l’autonomia amministrativa, organizzativa, didattica, nonché di ricerca e progettazione educativa, è riconosciuta alle istituzioni scolastiche che raggiungono le dimensioni idonee a garantire l’equilibrio ottimale fra domanda di istruzione e organizzazione dell’offerta formativa, prevedendo, a tal fine, la definizione dei piani provinciali di dimensionamento.

In particolare, ha stabilito che, per acquisire o mantenere la personalità giuridica, gli istituti devono avere, di norma, una popolazione, consolidata e prevedibilmente stabile per almeno un quinquennio, compresa fra 500 e 900 unità, con alcune deroghe (in particolare, nelle piccole isole, nei comuni montani, nonché nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, gli indici di riferimento possono essere ridotti fino a 300 alunni per gli istituti comprensivi di scuola materna, elementare e media, o per gli istituti di istruzione secondaria superiore che comprendono corsi o sezioni di diverso ordine o tipo). Per agevolare il conseguimento dell’autonomia, ha altresì previsto, per le scuole che non raggiungono gli indici di riferimento, l’unificazione orizzontale con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale, ovvero l’unificazione verticale in istituti comprensivi.

In base all’art. 3 del medesimo DPR - del quale poi è stata prevista l’abrogazione nei termini che si diranno - i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche sono definiti in conferenze provinciali di organizzazione della rete scolastica, nel rispetto degli indirizzi di programmazione e dei criteri generali preventivamente adottati dalle regioni. Le regioni approvano il piano regionale di dimensionamento, sulla base dei piani provinciali.

Ai sensi dell’art. 4, infine, agli enti locali è attribuita la competenza in materia di soppressione, istituzione, trasferimento di sedi, plessi, unità delle istituzioni scolastiche che abbiano ottenuto l’autonomia. Tale competenza è esercitata su proposta e, comunque, previa intesa, con le istituzioni scolastiche interessate.



Gli interventi normativi e le vicende che si sono sviluppati nella XVI legislatura

L’art. 64, co. 4, lett. f-bis) ed f-ter), del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) ha previsto la definizione di criteri, tempi e modalità per l’azione di ridimensionamento della rete scolastica e la possibilità che lo Stato, le regioni e gli enti locali prevedano misure finalizzate a ridurre il disagio degli utenti nel caso di chiusura o accorpamento di istituti scolastici localizzati nei piccoli comuni.

Il piano programmatico conseguentemente presentato dal Governo (Atto n. 36), precisando che sarebbero stati individuati parametri e criteri per il dimensionamento e per l’individuazione dei punti di erogazione del servizio, che le regioni dovevano tenere presente nell’esercitare la loro competenza in materia di programmazione della rete scolastica, ha motivato l’intervento facendo riferimento allo scostamento che si è registrato, negli anni, fra numero di alunni previsto perché alla scuola potesse essere riconosciuta l’autonomia e numero di alunni effettivo.

Complessivamente, il piano stimava che una percentuale di istituzioni scolastiche compresa fra il minimo certo del 15% e il massimo probabile del 20% non fosse legittimata a funzionare come istituzione autonoma. Quanto al numero degli alunni, evidenziava che, su poco più di 28.000 punti di erogazione del servizio, il 15% aveva meno di 50 alunni e un altro 21% aveva meno di 100 alunni.

Nel frattempo, l’art. 3 del D.L. 154/2008 (L. 189/2008) aveva previsto che i piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche dovevano essere ultimati dalle regioni e dagli enti locali competenti entro il 30 novembre di ogni anno. In caso di inadempienza, disponeva l’attivazione del potere di diffida ad adottare gli atti necessari entro 15 giorni dalla scadenza del termine e, in caso di inutile decorso del termine, la nomina di un commissario ad acta, con addebito alle regioni e agli enti locali delle eventuali, relative, spese.

Durante l’esame parlamentare, tuttavia, l’art. 3 indicato è stato modificato, prevedendo che per l'a.s. 2009/2010 le regioni e gli enti locali dovevano assicurare il dimensionamento delle istituzioni scolastiche nel rispetto dei parametri fissati dall'art. 2 del D.P.R. 233/1998 e che per tale a.s. la consistenza numerica dei punti di erogazione dei servizi scolastici non doveva superare quella relativa all’a.s. 2008/2009.

Per gli a.s. 2010/2011 e 2011/2012, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, dovevano promuovere, entro il 15 giugno 2009, la stipula di un'intesa in sede di Conferenza unificata per disciplinare l'attività di dimensionamento della rete scolastica, con particolare riferimento ai punti di erogazione del servizio scolastico. In particolare, l’intesa doveva prevedere appositi protocolli d'intesa tra le regioni e gli uffici scolastici regionali.

A sua volta, l’art. 1 del D.P.R. n. 81/2009 - adottato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 -, ha disposto che alla definizione dei criteri e dei parametri per il dimensionamento della rete scolastica e per la riorganizzazione dei punti di erogazione del servizio scolastico si provvedesse con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata, rimanendo ferma, fino alla data di entrata in vigore dello stesso, la normativa previgente. L'art. 24 dello stesso DPR ha quindi disposto l’abrogazione dell’art. 3 del D.P.R. 233/1998 con decorrenza dall'adozione del decreto interministeriale.

Il percorso in Conferenza unificata si è peraltro interrotto (come riferito dal Governo il 6 settembre 2011, in risposta all’interrogazione 4-11383) a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 200/2009, che ha confermato l’esclusiva competenza delle regioni in materia di determinazione della rete scolastica, disponendo l’illegittimità costituzionale delle disposizioni recate dalle lett. f-bis) ed f-ter) del co. 4 dell’art. 64 del D.L. 112/2008 e ribadendo che, dunque, tale materia non può formare oggetto di disciplina regolamentare da parte dello Stato.

In particolare, con riferimento alla lett. f-bis) del co. 4 dell’art. 64 del D.L. 112/2008, la Corte ha evidenziato che, alla luce del fatto che già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione prevedeva la competenza regionale in materia di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, “è da escludersi che il legislatore costituzionale del 2001 abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita sia pure soltanto sul piano meramente amministrativo”. “Ed in effetti, se si ha riguardo all'obiettivo perseguito dalla disposizione in esame, si deve constatare che la preordinazione dei criteri volti alla attuazione di tale dimensionamento ha una diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle varie realtà territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche di ciascun territorio, che ben possono e devono essere apprezzate in sede regionale”. La Corte ha altresì rilevato che “non è senza significato che il comma 4-quater dello stesso art. 64, introdotto dall'art. 3, comma 1, del successivo decreto-legge n. 154 del 2008, come convertito nella legge n. 189 del 2008, abbia previsto – in sostanziale discontinuità con quanto contenuto nella disposizione censurata – che le Regioni e gli enti locali, «nell'ambito delle rispettive competenze (…) assicurano il dimensionamento delle istituzioni scolastiche»â€ť.

Analoghe considerazioni la Corte ha svolto per la lettera f-ter) del co. 4 dell’art. 64 del D.L. 112/2008, rilevando che la stessa “opera una estensione allo Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante l'attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, in quanto quello della chiusura o dell'accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali”.

Nel prosieguo, la Corte ha censurato ulteriori disposizioni ritenute attinenti al dimensionamento della rete scolastica.

In particolare, con sentenza n. 92/2011, ha annullato i co. 4 e 6 dell’art. 2 del D.P.R. 89/2009 – adottato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 – i quali disponevano, rispettivamente, con riferimento alla scuola dell’infanzia:

Al riguardo, la Corte ha evidenziato che non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime.

In particolare, con riferimento al co. 4 dell’art. 2 del D.P.R. 89/2009, la Corte ha rilevato che “la istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento della rete scolastica sul territorio”, mentre, con riferimento al co. 6, ha rilevato che “Le misure previste dal comma in questione del suddetto regolamento sono chiaramente volte ad eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio scolastico” nelle realtà indicate. “È, dunque, del tutto ovvio che spetta alle Regioni, nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente in materia di istruzione pubblica, non disgiunta (è bene aggiungere) da rilevanti aspetti di competenza regionale, di carattere esclusivo, in tema di servizi sociali, l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari utenti del servizio scolastico”.

Con sentenza 147/2012, la Corte ha poi sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, co. 4, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) che aveva disposto che, dall’a.s. 2011/2012, le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado fossero aggregate in istituti scolastici comprensivi, con conseguente soppressione delle corrispondenti istituzioni scolastiche autonome e che, per il conseguimento dell’autonomia scolastica, i citati istituti comprensivi dovessero avere un numero minimo di 1000 alunni, ridotti a 500 per le scuole collocate in piccole isole, comuni montani e aree geografiche con specifiche caratteristiche linguistiche.

In particolare, la Corte ha rilevato che “è indubbio che la disposizione in esame incide direttamente sulla rete scolastica e sul dimensionamento degli istituti”. “Il carattere di intervento di dettaglio nel dimensionamento della rete scolastica emerge, con ancor maggiore evidenza, dalla seconda parte del comma 4, relativa alla soglia minima di alunni che gli istituti comprensivi devono raggiungere per ottenere l’autonomia: in tal modo lo Stato stabilisce alcune soglie rigide le quali escludono in toto le Regioni da qualsiasi possibilità di decisione, imponendo un dato numerico preciso sul quale le Regioni non possono in alcun modo interloquire”.

Inoltre, la Corte ha evidenziato che â€śÈ indubbio che competa allo Stato la definizione dei requisiti che connotano l’autonomia scolastica, ma questi riguardano il grado della loro autonomia rispetto alle amministrazioni, statale e regionale, nonché le modalità che la regolano, ma certamente non il dimensionamento e la rete scolastica, riservato alle Regioni nell’ambito della competenza concorrente”.

A seguito della sentenza 147/2012, la 7a Commissione del Senato il 10 luglio 2012 ha approvato la risoluzione Doc. VII-bis, n. 1, impegnando il Governo “a rispettare le specificità regionali, stabilendo parametri da considerare come media regionale; in particolare, si sottolinea la necessità di individuare un parametro che consenta di determinare il contingente di dirigenti scolastici da assegnare a ciascuna Regione nell'ambito del quale ciascuna possa compiere le scelte più adatte al proprio territorio. Esso deve essere basato, da un lato, sul numero di alunni di ciascuna Regione e, dall'altro, sull'esigenza di contenimento della spesa pubblica, tenendo in debito conto anche le caratteristiche dei territori, al fine di permettere alle amministrazioni regionali di definire la propria rete scolastica autonomamente, senza dover rispettare un numero di alunni uguale per tutte le scuole, dimensionando queste ultime a seconda delle diverse realtà territoriali. Alla luce della normativa vigente, si suggerisce ad esempio un parametro medio regionale non superiore a 900 alunni”.

Alla Camera, invece, rispondendo all’interrogazione in Commissione 5-07243 il 4 luglio 2012, il Governo ha evidenziato che “tenuto conto delle argomentazioni svolte dalla Corte nella sentenza n. 147 del 2012, la strada per la corretta attuazione della suddetta pronuncia può individuarsi nella costituzione di un tavolo di concertazione con la Conferenza unificata, nell'ambito del quale dovranno essere individuate le soluzioni più appropriate alla questione in argomento. A tal fine, il Ministero sta elaborando un parametro che consenta di determinare il contingente di dirigenti scolastici da assegnare a ciascuna regione e tale parametro dovrà rispondere a due criteri fondamentali: il numero di alunni di ciascuna regione ed il contenimento della spesa pubblica, già raccomandato in sede di accertato mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dall'articolo 64.

L'assegnazione di un contingente di dirigenti scolastici consentirà alla regione di definire la propria rete scolastica prescindendo da un numero fisso di alunni, minimo o massimo, per ciascuna istituzione scolastica e definendo il dimensionamento delle stesse a seconda delle esigenze legate alle varie realtà territoriali, con particolare riferimento alle scuole di montagna e delle piccole isole”.

Approfondimento: La valutazione degli studenti



Premessa

Per gli studenti dei diversi ordini di scuola è prevista una valutazione periodica e una valutazione finale, riferite sia ai livelli di apprendimento acquisiti, sia al comportamento.

Le ultime novità in materia sono state introdotte con gli articoli 2 e 3 del D.L. 137/2008 che hanno previsto, rispettivamente, la reintroduzione del “voto in condotta” nella scuola secondaria di primo e di secondo grado e la valutazione in decimi del rendimento nella scuola primaria e secondaria di primo grado.

Le disposizioni in materia di valutazione degli studenti sono state coordinate, come previsto dallo stesso D.L. 137/2008, con il D.P.R. 122/2009 che, in relazione alla ridefinizione degli assetti del sistema scolastico derivanti dall’art. 64 del D.L. 112/2008, potrà essere oggetto di modifiche ed integrazioni (art. 14, co. 8).

Il regolamento era stato preceduto dal decreto ministeriale 16 gennaio 2009, n. 5 (poi abrogato dal D.P.R. 122/2009) - che aveva definito le modalità applicative dell’art. 2 del D.L. 137/2008 e aveva esplicitato le finalità della valutazione del comportamento, nonché indicato i criteri per l’attribuzione di una valutazione insufficiente - e da due circolari ministeriali (Circolari n. 10 del 23 gennaio 2009 e n. 50 del 20 maggio 2009).

Successivamente al D.P.R. 122/2009 è, invece, intervenuto il DM 16 dicembre 2009, n. 99 in materia di criteri per l’attribuzione della lode nei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e tabelle di attribuzione del credito scolastico.

Annualmente, inoltre, il MIUR fornisce indicazioni operative per la valutazione (con riferimento agli a.s. dal 2010/2011 al 2012/2013 sono intervenute, tra le altre, la nota del 9 novembre 2010 e le circolari n. 94 del 18 ottobre 2011 e n. 89 del 18 ottobre 2012).

 A decorrere dall’a.s. 2012-2013, la pagella in cui e' espressa la valutazione degli studenti e' redatta in forma elettronica (art. 7, co. 29, D.L. 95/2012).



La valutazione del rendimento scolastico nel primo ciclo

In base all’art. 3 del D.L. 137/2008 e agli artt. 2 e 3 del D.P.R. 122/2009:

In entrambi gli ordini di scuola, fa eccezione la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica, che è espressa senza voto (art. 2, co. 4, D.P.R. 122/2009 e art. 309, co. 4, d.lgs. 297/1994).

Nella scuola primaria, i docenti possono non ammettere l’alunno alle classi successive con decisione all’unanimità e solo in casi eccezionali e comprovati da specifica motivazione.

Nella scuola secondaria di primo grado, invece, è ammesso all’anno successivo o all’esame a conclusione del ciclo lo studente che ha ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, almeno sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline (nonché un voto di comportamento non inferiore a sei decimi; è, altresì, richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell'orario annuale, salvo deroghe in casi eccezionali, deliberate dal collegio dei docenti a condizione che le assenze complessive non pregiudichino la possibilità di procedere alla valutazione: art. 2, co. 10, D.P.R. 122/2009).

In entrambi gli ordini di scuola, i docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutti gli alunni (art. 2, co. 5, D.P.R. 122/2009).

I docenti esterni e gli esperti di cui si avvale la scuola, che svolgono attività per l’ampliamento dell’offerta formativa, compresi i docenti incaricati delle attività alternative all’insegnamento della religione cattolica, forniscono preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi sull’interesse manifestato e sul profitto raggiunto da ogni alunno.

Conseguono il diploma a conclusione del primo ciclo gli studenti che ottengono una valutazione non inferiore a sei decimi.

Il voto finale è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove scritte e orali - inclusa la prova scritta nazionale di cui all’art. 11, co. 4-ter, del d.lgs. 59/2004 - e nel giudizio di idoneità necessario per sostenere l’esame.

Ai candidati che conseguono il punteggio di dieci decimi, la Commissione può assegnare, all’unanimità, la lode.

L’esito dell’esame finale è illustrato con una certificazione analitica dei traguardi di competenza raggiunti.

All’esame sono ammessi anche i candidati privatisti che abbiano compiuto, entro il 30 aprile dell'anno scolastico di riferimento, il tredicesimo anno di età e che siano in possesso del titolo di ammissione alla prima classe della scuola secondaria di primo grado, nonché i candidati che abbiano conseguito il predetto titolo da almeno un triennio e i candidati che nell'anno in corso compiano ventitre anni di età.



La valutazione del rendimento scolastico nel secondo ciclo

Per gli studenti della scuola secondaria di secondo grado, l’art. 3 del D.L. 137/2008 non ha introdotto novità.

Le norme vigenti sono state coordinate dagli artt. 4 e 6 del D.P.R. 122/2009.

Gli apprendimenti continuano ad essere valutati in decimi (art. 193, co. 1, D.lgs. 297/1994), fatta eccezione, anche in tal caso, per la valutazione dell’insegnamento della religione cattolica.

La valutazione, periodica e finale, degli stessi apprendimenti è effettuata dal consiglio di classe, con deliberazione assunta a maggioranza.

Anche in tal caso, i docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutti gli alunni.

Per il personale docente esterno e gli esperti vale quanto esposto nel precedente paragrafo.

Sono ammessi alla classe successiva gli alunni che in sede di scrutinio finale hanno riportato una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline (nonché un analogo voto di comportamento: anche in tal caso, inoltre, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell'orario annuale, salve deroghe in casi eccezionali, deliberate alle stesse condizioni già viste per il primo ciclo: art. 14, co. 7, D.P.R. 122/2009).

Nello scrutinio finale, il consiglio di classe sospende il giudizio per gli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline. A conclusione dei corsi di recupero, il consiglio di classe accerta il superamento delle carenze formative e procede alla formulazione del giudizio finale che, in caso di esito positivo, determina l’ammissione alla classe successiva.

 Gli stessi requisiti sono richiesti per l’ammissione all’esame di Stato (disciplinato dalla L. 425/1997, come modificata dalla L. 1/2007).

Per gli esami di Stato relativi all’a.s. 2008/2009, tuttavia, l’ordinanza ministeriale n. 40 dell’8 aprile 2009 (pubblicata nella GU n. 139 del 18 giugno 2009) ha ritenuto necessario che l’ammissione all’esame di Stato restasse regolata dal DM 22 maggio 2007, che richiedeva la “media del 6”.

All’esame di Stato sono ammessi anche, a domanda, i cosiddetti “ottisti”.

Si tratta di studenti che non hanno frequentato l’ultimo anno di corso, ma che nel quarto anno hanno riportato una votazione di almeno otto decimi in ogni disciplina o gruppo di discipline e nella valutazione del comportamento, nonché hanno riportato una votazione di almeno sette decimi in ogni disciplina o gruppo di discipline e di almeno otto decimi nella valutazione del comportamento negli scrutini finali del secondo e del terzo anno e non sono incorsi, negli stessi anni, in ripetenze.

Allo scrutinio finale partecipano tutti i docenti della classe, compresi gli insegnanti di educazione fisica e gli insegnanti di religione cattolica, limitatamente agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento.



La valutazione del comportamento nel primo e nel secondo ciclo

L’art. 2 del D.L. 137/2008 ha reintrodotto la valutazione del comportamento, a decorrere dall’a.s. 2008/2009, per gli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di scrutinio intermedio e finale e con riferimento anche alle attività realizzate dalle scuole fuori della propria sede, mediante l’attribuzione di un voto espresso in decimi.

La valutazione inferiore a sei decimi comporta la non ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo del ciclo (al riguardo, si ricorda che il giudizio di ammissione agli esami di maturità è stato reintrodotto dalla L. 1/2007, mentre quello di ammissione dell’esame di Stato conclusivo della scuola secondaria di primo grado è stato ripristinato dall’art. 1, co. 4, del D.L. 147/2007).

Il “voto in condotta” nella scuola secondaria di secondo grado era previsto dall’art. 193, co. 1, del D.lgs. 297/1994, ai sensi del quale concorreva, insieme con il voto di profitto, a determinare l’esito dello scrutinio finale. In particolare, ai fini della promozione era necessario un voto in condotta non inferiore a otto decimi. Esso era poi stato eliminato sulla base dell’abrogazione, con effetto dal 1° settembre 2000, disposta dall’art. 17 del D.P.R. 275/1999.

Per la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, il riferimento alla valutazione del comportamento è presente negli artt. 8, co. 1, e 11, co. 1, del d.lgs. 59/2004.

Il D.P.R. 122/2009 ha precisato (art. 2, co. 8) che nella scuola primaria la valutazione del comportamento è espressa dal docente - o dai docenti contitolari della classe - attraverso un giudizio.

Nella scuola secondaria di primo grado e di secondo grado la valutazione in decimi è espressa collegialmente: in quest’ultima, inoltre, tale valutazione concorre alla determinazione dei crediti scolastici e dei punteggi utili per beneficiare degli interventi in materia di diritto allo studio.

L’art. 7 del D.P.R. 122/2009 ha ricapitolato – facendo seguito all’abrogato DM 5/2009 – le finalità della valutazione del comportamento e ha disciplinato l’attribuzione di un voto inferiore a sei decimi, che deve essere motivata.

Quest’ultimo può essere attribuito per gravi violazioni dei doveri degli studenti definiti dallo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria (D.P.R. n. 249/1998), purché prima sia stata irrogata una sanzione disciplinare.



La valutazione degli alunni disabili, degli alunni con DSA e degli alunni in ospedale

L’art. 9 del D.P.R. 122/2009 dispone che la valutazione degli alunni con disabilità certificata è riferita al comportamento e alle attività svolte sulla base del piano educativo personalizzato ed è espressa con voto in decimi.

Per l’esame conclusivo del primo ciclo sono predisposte prove d’esame differenziate - comprensive della prova a carattere nazionale -, corrispondenti agli insegnamenti impartiti, idonee a valutare il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali.

Le prove sono sostenute con l’uso di ogni attrezzatura tecnica o sussidio didattico necessario.

Nel diploma è riportato il voto finale in decimi, senza menzionare le modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.

Per l’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo, sono richiamate le modalità di cui all’art. 318 del D.lgs. 297/1994 che, in particolare, prevedono prove equipollenti e tempi più lunghi per l'effettuazione delle prove scritte o grafiche e la presenza di assistenti per l'autonomia e la comunicazione.

Con riferimento agli alunni che presentano difficoltà specifiche di apprendimento adeguatamente certificate (ai sensi della L. 170/2010, si tratta di dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia), l’art. 10 del D.P.R. n. 122/2009 prevede che la valutazione e la verifica degli apprendimenti, anche in sede di esame conclusivo dei cicli, devono tenere conto delle specifiche situazioni soggettive; a tal fine, nello svolgimento dell’attività didattica e delle prove di esame devono essere adottati gli strumenti metodologico-didattici compensativi e dispensativi ritenuti più idonei.

Anche in tal caso, nel diploma finale non sono menzionate le modalità di svolgimento e di differenziazione delle prove.

Per gli alunni che frequentano per periodi rilevanti corsi di istruzione funzionanti in ospedale, l’art. 11 del D.P.R. 122/2009 dispone che i docenti che impartiscono gli insegnamenti trasmettono alla scuola elementi di conoscenza per la valutazione periodica e finale; tuttavia, se la frequenza in ospedale è prevalente rispetto a quella nella classe di appartenenza, lo scrutinio è effettuato dai docenti in ospedale, previa intesa con la scuola di riferimento. Si procede allo stesso modo quando l’alunno, ricoverato nel periodo di svolgimento degli esami conclusivi, deve sostenere le prove in ospedale.



Dossier pubblicati

Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università D.L. 137/2008 - A.C. 1634 - Schede di lettura (10/09/2012)

Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università D.L. 137/2008 - A.C. 1634 - Elementi per l'istruttoria legislativa (10/09/2012)

Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università D.L. 137/2008 - A.C. 1634 - Elementi per l'esame in Assemblea (25/09/2012)

Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università (D.L. 137/2008) - Verifica delle quantificazioni (24/09/2008)



Documenti e risorse web

Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione

MIUR - Focus in breve sull'istruzione - Aggiornamento sugli esiti degli esami di Stato della scuola secondaria di II grado - Andamento nel quinquennio 2004/2005-2008/2009 (giugno 2010)

MIUR - Comunicato stampa del 15 luglio 2010 - Presentanzione del Piano nazionale Qualità e merito

INVALSI - Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2011/2012

MIUR - Servizio Statistico - Notiziario. Esiti dell’esame di Stato e degli scrutini nella scuola secondaria di I grado (settembre 2012)

MIUR - Notiziario - Esiti degli scrutini e degli Esami di Stato del secondo ciclo di istruzione (Settembre 2012)

Approfondimento: Libri di testo



La gratuità e il prezzo massimo di copertina

Con la L. n. 719/1964 si è disposta la distribuzione gratuita dei libri di testo a tutti gli alunni delle scuole elementari (ora, scuola primaria).

La norma è, in seguito, confluita nel “Testo unico della scuola” (D.lgs. n. 297/1994); quest’ultimo, nello stabilire che i libri di testo sono adottati dal collegio dei docenti, sentiti i consigli di classe, prevede, all’articolo 156, la fornitura gratuita da parte dei comuni, secondo modalità indicate dalla legge regionale.

L’art. 27 della L. 448/1998 ha poi previsto che nell’a.s. 1999-2000 i comuni dovevano garantire la gratuità, totale o parziale, dei libri di testo agli alunni della scuola dell’obbligo (allora comprendente, oltre ai 5 anni della scuola elementare, i 3 anni della scuola media), e dovevano assicurare la fornitura in comodato agli studenti delle scuole secondarie superiori.

Per tali finalità, il provvedimento ha autorizzato una spesa non superiore a 200 miliardi di lire, rinviando ad un D.P.C.M. l’individuazione dei requisiti per fruire delle agevolazioni.

Il D.P.C.M. 320/1999 ha quindi indicato in trenta milioni di lire (ora, 15.493,71 euro) il reddito annuale massimo del nucleo familiare necessario per l’accesso al beneficio.

L’applicazione delle misure agevolative è stata estesa all'anno scolastico 2000-2001 dalla legge finanziaria 2000 (art. 53 della L. 488/1999), che ha confermato la spesa di 100 miliardi di lire, integrandola con ulteriori 100 miliardi di lire (tabella D della stessa legge finanziaria).

La fornitura gratuita dei libri di testo è stata, quindi, rifinanziata per gli anni seguenti, sempre per l’importo di 200 miliardi di lire - divenuti 103,3 milioni di euro con l’introduzione della nuova moneta - con la tabella D di successive leggi finanziarie. Da ultimo, per gli esercizi 2007, 2008, 2009, è stata rifinanziata dalla legge finanziaria 2007 (L. 296/2006).

Per gli anni 2010, 2011 e 2012 le risorse sono state individuate dalle leggi finanziarie (poi, di stabilità) nell’ambito del Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili, istituito dall’art. 7-quinquies, co. 1, del D.L. 5/2009 nello stato di previsione del MEF, sempre nella misura di € 103 mln. Da ultimo, l’art. 23, co. 5, del D.L. 95/2012 ha autorizzato in via permanente, a decorrere dal 2013, la spesa di € 103 mln.

Al riparto delle somme tra le regioni - ivi comprese, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 2001, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta, nonché le Province autonome di Trento e Bolzano - provvedono, in ragione del numero degli alunni, decreti dirigenziali emanati annualmente. Per l’anno scolastico 2012/2013 è stato emanato il decreto dirigenziale 11 luglio 2012 (G.U. n. 167 del 19 luglio 2012).

L’art. 27 della L. 448/1998 ha, inoltre, introdotto un “tetto” alla spesa delle famiglie per i testi scolastici prevedendo che, con decreto del Ministro della pubblica istruzione, dovevano essere individuati i criteri per la determinazione del prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno della scuola dell’obbligo, da assumere come limite all’interno del quale i docenti dovevano operare le proprie scelte.

Nel frattempo, è intervenuta la L. 9/1999, che ha elevato l’obbligo di istruzione a 10 anni disponendo, però, che fino ad un riordino generale del sistema scolastico, l’obbligo aveva durata novennale.

Il DM n. 547 del 1999,  emanato in attuazione della L. 448/1998, e che ha considerato l’innovazione introdotta dalla L. 9/1999, ha fissato i criteri per la determinazione del prezzo dei testi scolastici fino al primo anno di corso della scuola superiore, a decorrere dall’a.s. 2000-2001. Il medesimo DM ha indicato, altresì, le avvertenze tecniche per la compilazione del libro di testo da utilizzare nella scuola dell'obbligo.

La legge finanziaria 2007 (art. 1, commi 622, 628, 629), contestualmente all’elevazione dell’obbligo scolastico ad almeno dieci anni (coincidenti con i sedici di età e con il secondo anno del percorso successivo al primo ciclo), ha, poi, disposto:

Da ultimo, per l’a.s. 2012-2013, il DM 11 maggio 2011, n. 42 ha fissato i prezzi di copertina dei libri di testo della scuola primaria, stabilendo che per gli acquisiti effettuati a carico del MIUR e degli enti locali viene praticato uno sconto non inferiore allo 0,25 per cento. Il prezzo massimo complessivo della dotazione libraria necessaria per ciascun anno di ciascuna tipologia di scuola secondaria superiore è stato invece fissato con DM 11 maggio 2011, n. 43, ai sensi del quale eventuali incrementi degli importi indicati sono consentiti entro il limite del 10%. In tal caso, le delibere di adozione dei testi scolastici devono essere adeguatamente motivate da parte del Collegio dei docenti e approvate dal Consiglio di istituto.



Libri di testo non cartacei

Alcune disposizioni hanno innovato in maniera significativa la disciplina relativa alle modalità di fruizione dei libri di testo, anche allo scopo di ridurre progressivamente i costi sostenuti dalle famiglie.

Innanzitutto, l’articolo 15 del D.L. 112/2008 aveva introdotto nuove modalità di adozione, realizzazione e fruizione dei testi didattici. In particolare, aveva previsto che:

Aveva, inoltre, previsto che le Università e le Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, nel rispetto della loro autonomia, predisponevano per l’adozione dei testi di studio linee di indirizzo ispirate agli stessi principi indicati per i percorsi scolastici.

Il medesimo art. 15 aveva, poi, fatto rinvio ad un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per la determinazione:

Successivamente, l'articolo 11, comma 1, del D.L. 179/2012 - nel testo approvato dalle Camere - ha novellato l'art. 15 del D.L. 112/2008 introducendo, anzitutto, la versione digitale del libro di testo (che va a sostituire quella on line scaricabile da internet) e fornendo una definizione legislativa di versione mista, in base alla quale la stessa è costituita, alternativamente, da un testo in formato cartaceo e contenuti digitali integrativi, ovvero da una combinazione di contenuti digitali e digitali integrativi accessibili o acquistabili in rete anche in modo disgiunto.

A decorrere dall’a.s. 2014/2015, il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista, progressivamente a partire dalle classi prima e quarta della scuola primaria, dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado e dalla prima e terza classe della scuola secondaria di secondo grado.



I termini di adozione dei libri di testo

L’art. 5 del D.L. 137/2008, sempre con lo scopo di ridurre i costi per le famiglie, aveva disposto l’adozione di testi in relazione ai quali l’editore si fosse impegnato a mantenere invariato il contenuto per un quinquennio, fatta salva l’eventuale predisposizione di appendici di aggiornamento, da rendere comunque disponibili separatamente.

Aveva stabilito, inoltre, che l’adozione dei libri di testo doveva avvenire con cadenza pluriennale - ogni cinque anni nella scuola primaria, e ogni sei nella scuola secondaria di primo e secondo grado -, a meno che non ricorressero specifiche e motivate esigenze. Con riferimento a queste ultime, l'art. 1-ter del D.L. 134/2009, introdotto durante l'esame parlamentare, aveva precisato che esse dovessero essere connesse con la modifica degli ordinamenti scolastici o con la scelta di testi in formato misto o scaricabili da internet.

Spettava al dirigente scolastico l’obbligo di vigilare affinché i collegi dei docenti assumessero le proprie determinazioni in materia di libri scolastici nel rispetto della normativa vigente.

Successivamente, il comma 2 del già citato art. 11 del D.L. 179/2012 ha disposto, dal 1° settembre 2013, l'abrogazione dell'art. 5 del D.L. 137/2008.

Al riguardo, connota MIUR prot. 378 del 25 gennaio 2013, è stato chiarito che è da ritenere che il legislatore ha inteso mantenere invariata per l'a.s. 2013-2014 la dotazione libraria già in uso. Inoltre, non essendo ancora intervenuto al momento delle adozioni per l'a.s. 2013-2014 (seconda decade di maggio) l’effetto abrogativo del vincolo temporale, risulta ancora pienamente applicabile l'art. 5 del D.L. 137/2008, inclusa, quindi, la riserva che fa salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, connesse con la modifica di ordinamenti scolastici. La nota ha, inoltre, fatto presente che il passaggio ai libri di testo nella nuova versione digitale richiede, in ogni caso, l'adozione del DM che ne deve definire le caratteristiche tecniche.



I provvedimenti di attuazione dell'art. 15 del D.L. 112/2008 e dell'art. 5 del D.L. 137/2008

In relazione alla disciplina previgente il D.L. 179/2012, dettata dall’art. 15 del D.L. 112/2008 e dall’art. 5 del D.L. 137/2008, sono stati emanati, da ultimo, la Circolare n. 18 del 9 febbraio 2012, che ha definito le indicazioni operative per l’adozione dei testi per l’anno scolastico 2012/2013, ed il DM 8 aprile 2009, n. 41, che ha definito le caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione a stampa e nella versione on line e mista.

La circolare n. 18/2012, richiamando integralmente il contenuto della precedente circolare ministeriale n. 16 del 10 febbaio 2009, ha fornito alcune precisazioni in merito alla scelta dei libri di testo nelle scuole statali di ogni ordine e grado, ferma restando la cadenza pluriennale (ogni cinque anni per la scuola primaria e ogni sei per la scuola secondaria di I e II grado) delle adozioni. In particolare, la circolare ha specificato che per l'a.s. 2012/2013 non potevano più essere adottati né mantenuti in adozione testi scolastici esclusivamente cartacei.

In particolare, la citata circolare n. 16/2009, oltre ad illustrare le disposizioni normative (allora) recentemente introdotte, confermava il possibile ricorso al comodato d’uso gratuito e al noleggio dei testi scolastici. Con riguardo agli alunni con disabilità visiva, prescriveva l’utilizzo di testi trascritti in Braille, per allievi non vedenti, o con caratteri ingranditi, per allievi ipovedenti, anche in relazione alle regole per l’accessibilità agli strumenti didattici e formativi dettate dal D.P.C.M. 30 aprile 2008, emanato in attuazione della L. 4/2004, recante disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici. Inoltre, nello specificare le procedure di adozione ed i relativi vincoli – che si applicavano per le nuove adozioni di libri di testo per l'a.s. 2009-2010, non per le conferme - la circolare escludeva che l’assegnazione di altro docente nella classe, a decorrere dal 1° settembre 2009, potesse comportare modifiche alle scelte già deliberate entro il 15 aprile 2009 per le classi di scuola secondaria di I grado ed entro la seconda decade di maggio per tutte le classi di scuola primaria e secondaria di II grado. Veniva richiamato, in proposito, l’obbligo di vigilanza dei dirigenti scolastici.

Per completezza di informazione si ricorda, inoltre, che, con ordinanza 7 maggio 2009, n. 2049, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio aveva accolto la richiesta di sospensiva della Circolare ministeriale n. 16/2009, nella parte in cui prevedeva che l'assegnazione di altro docente nella classe, a decorrere dal 1° settembre 2009, non consentisse in alcun modo una diversa scelta di libri di testo già effettuata. Ad avviso del giudice amministrativo, il provvedimento ministeriale non era conforme al disposto dell’art. 5 del D.L. n. 137/2008, in quanto non contemplava la possibilità di derogare alla cadenza quinquennale o sessennale prescritta per le adozioni nel caso di "specifiche e motivate esigenze" quale, ad esempio, il cambio di docente; si configurava, pertanto, la circostanza che con una norma di rango sub secondario (la circolare), venissero dettati criteri più restrittivi di quelli stabiliti dalla norma di rango primario (la legge).

Il Consiglio di Stato, con ordinanza 19 maggio 2009, n. 2540, aveva, poi, accolto l'appello presentato dal MIUR per l'annullamento dell'ordinanza n. 2049/2009, con la seguente motivazione: “l’impostazione seguita dall’amministrazione nella circolare impugnata, secondo la quale il trasferimento dell’insegnante non costituisce specifica e motivata esigenza che consente, ai sensi dall’art. 5 del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137, il cambio di libri di testo prima del decorso del quinquennio, appare conforme al dettato normativo, che sottolinea l’eccezionalità dei casi nei quali è consentito il suddetto cambio, e non appare irrazionale, in quanto le valutazioni del docente subentrante non costituiscono evento obiettivo, tale da imporsi come eccezione alla volontà del legislatore”.

In relazione a tale decisione, il MIUR, con nota del 20 maggio 2009, prot. 5361, aveva chiarito che la circolare ministeriale n. 16 del 10 febbraio 2009 restava in vigore.

In seguito, con sentenza 24 luglio 2009, n. 7528, il TAR del Lazio ha accolto nel merito il ricorso e, sostanzialmente ribadendo le argomentazioni già adottate con l'ordinanza, ha disposto l'annullamento della circolare n. 16/2009, nella parte in cui non prevede la deroga recata dall'espressione "Salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze" stabilita dal secondo periodo dell'art. 5 del D.L. 137/2008 nella cadenza quinquennale per l'adozione dei libri di testo.

Con ordinanza 25 agosto 2009, n. 4328, il Consiglio di Stato aveva confermato l'orientamento già espresso in precedenza sulla questione; pertanto la piena validità della circolare n. 16/2009 è stata confermata dal MIUR con circolare 15 settembre 2009, n. 80.

Per affrontare la situazione così determinatasi, è intervenuto l'art. 1-ter del D.L. 134/2009, di cui si è dato conto nel paragrafo relativo ai termini di adozione dei libri di testo.

Approfondimento: Precari della scuola



Il decreto-legge 134/2009

Il D.L. 134/2009, convertito dalla L. 167/2009, ha stabilito in primo luogo che i contratti a tempo determinato del personale della scuola non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato prima dell'immissione in ruolo.

La questione della continuità didattica e lavorativa del personale è affrontata con l'introduzione di specifici benefici, economici e di carriera, a favore dei precari già titolari di incarico annuale (o fino al termine della attività didattiche) nel precedente anno scolastico 2008-2009 (circa 18 mila lavoratori), nonchè dei docenti che nell'anno scolastico 2008-2009 abbiano conseguito, attraverso graduatorie d'istituto, una supplenza temporanea di almeno 180 giorni, ai quali non sia stato rinnovato il contratto per carenza di posti disponibili.

Ai lavoratori precari in questione viene innanzitutto riconosciuta, in deroga alla normativa vigente, precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze per l’anno scolastico 2009-2010 nel caso in cui, per carenza di posti disponibili, non abbiano potuto ottenere il rinnovo dell’incarico annuale.

Inoltre, si introduce la facoltà per l'amministrazione scolastica di promuovere, in collaborazione con le regioni e a valere su risorse finanziarie messe a disposizione dalle regioni medesime, specifici progetti per attività di carattere straordinario, di durata variabile da 3 a 8 mesi, da realizzare prioritariamente mediante l'utilizzo dei suddetti lavoratori precari, percettori di indennità di disoccupazione, ai quali può anche essere corrisposto un compenso di partecipazione.

Ai fini dell’attribuzione del punteggio nelle graduatorie, infine, ai suddetti lavoratori precari viene riconosciuta, indipendentemente dall’effettiva durata dell’impiego nel corso dell’anno scolastico, la valutazione dell’intero anno di servizio.

Il provvedimento, poi, ha definito le modalità di collocamento nelle graduatorie di province diverse da quella di residenza ed è ha riconosciuto la validità del titolo di abilitazione conseguito da alcune categorie di docenti ammessi con riserva a corsi abilitanti speciali. Altre disposizioni riguardano, infine, la validità di taluni concorsi a dirigente scolastico (poi abrogate dal D.L. 170/2009), il controllo sugli insegnanti che si avvalgono dei benefici di cui alla L. 104/1992 (per l'assistenza a familiari disabili) che chiedano l'inserimento in una provincia diversa da quella di residenza, il recupero di risorse inutilizzate dalle scuole, l'adozione e il formato dei libri di testo, l’implementazione dell’anagrafe degli studenti e gli esami preliminari agli esami di Stato per i candidati "esterni".



Il decreto-legge 194/2009

L'articolo 7, comma 4-ter, del decreto-legge 194/2009 (proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, ha disposto la proroga all’anno scolastico 2010-2011 dei benefici previsti dal decreto-legge 134/2009 (precedenza assoluta nel conferimento delle supplenze; partecipazione a progetti per attività di carattere straordinario promossi dalle scuole in collaborazione con le regioni; valutazione dell'intero anno scolastico per l'attribuzione del punteggio nelle graduatorie) concernenti il personale a tempo determinato della scuola titolare di incarico a tempo determinato annuale o fino al termine delle attività didattiche nell’anno scolastico 2008-2009.



Il decreto-legge 70/2011

Da ultimo, interventi in materia di personale precario della scuola sono recati dall'articolo 9, commi 17-21, del D.L. 70/2011, convertito dalla L. 106/2011. In particolare, si prevede:

- la definizione di un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente e ATA per gli anni 2011-2013, sulla base dei posti vacanti e disponibili (piano approvato con il DM 3 agosto 2011, che ha previsto l'assunzione di 30.300 unità di personale docente ed educativo e 36.000 unità di personale ATA per l'anno scolastico 2011-2012, nonchè l'assunzione di 22.000 unità di personale docente ed educativo e 7.000 unità di personale ATA per ciascuno degli anni scolastici 2012-2013 e 2013-2014);

- la non applicazione del D.Lgs. 368/2001 (che disciplina il contratto a tempo determinato, prevedendo, in particolare, l'automatica trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato nel caso rinnovi oltre il triennio) ai contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze nella scuola;

- la stabilizzazione al 31 agosto di ogni anno del termine per le assunzioni a tempo indeterminato e per i provvedimenti di assegnazione o utilizzazione comunque di durata annuale del personale insegnante e ATA di ruolo (incluse le supplenze annuali), nonché per il conferimento degli incarichi di presidenza;

- dall'anno scolastico 2011-2012, l'aggiornamento delle graduatorie degli insegnanti ogni 3 anni, con possibilità di trasferimento in un'unica provincia (in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2011);

- la possibilità per gli insegnanti con nomina a tempo indeterminato decorrente dallo stesso anno scolastico di chiedere il trasferimento dopo 5 anni di effettivo servizio nella provincia di titolarità;

- la proroga per l'anno scolastico 2011-2012 di specifiche disposizioni del decreto-legge 134/2009 (precedenza nelle assegnazioni delle supplenze; facoltà, per l'amministrazione scolastica, di promuovere, in collaborazione con le regioni, specifici progetti inerenti ad attività straordinarie della durata di tre mesi, prorogabili a otto; riconoscimento di specifici punteggi ai fini del collocamente nelle graduatorie ai docenti ed al personale ATA utilizzati per le supplenze temporanee o per i progetti regionali di formazione) relativamente al personale che, nel richiamato anno, non abbia potuto stipulare, per carenza di posti, contratti di supplenza della stessa tipologia di quello dell’anno precedente o, comunque, dell’ultimo anno lavorativo nel triennio precedente.



Dossier pubblicati

Approfondimento: Sicurezza degli edifici scolastici

Gli stanziamenti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici hanno seguito, nell’ultimo decennio, tre filoni di intervento: un primo filone scaturito dalle risorse individuate nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche avviato dalla c.d. legge obiettivo (L. 443/2001), un secondo filone derivante dalla programmazione dell'edilizia scolastica prevista dalla L. 23/1996 e, infine, un terzo filone residuale, contenente ulteriori interventi finalizzati all’adeguamento antisismico delle strutture scolastiche, avviato con la finanziaria 2008 (L. 244/2007).

Con l'emanazione del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, è stato poi previsto un nuovo "Piano nazionale di edilizia scolastica" nell'ambito di una serie di disposizioni (recate dall'art. 53 del decreto) finalizzate alla modernizzazione e all'efficientamento energetico del patrimonio immobiliare scolastico.



Gli interventi inseriti nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS)



Il 1° piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici

In seguito al crollo della scuola elementare “Francesco Iovine” di San Giuliano di Puglia, avvenuto in data 31 ottobre 2002, con la legge finanziaria 2003 (art. 80, comma 21, della L. 289/2002) è stato istituito, nell’ambito del "Programma delle Infrastrutture Strategiche" (PIS), un "Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici".

Esso risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006) per complessivi 489,083 milioni di euro (come attestati dalla delibera ricognitiva del CIPE n. 10/2009) riferiti a 1.594 interventi,

Sullo stato di attuazione del Piano il Governo ha risposto all'interpellanza urgente n. 2-00635 nella seduta dell’Assemblea della Camera dell'11 marzo 2010 nonché all'interrogazione n. 5-02369 nella seduta del 9 marzo 2010 della VII Commissione Cultura.
Successivamente, con la delibera n. 76/2011 il CIPE ha approvato la "Relazione semestrale al 31 dicembre 2010 sullo stato di avanzamento del 1° e del 2° programma stralcio".
In relazione al 1° Programma stralcio, la relazione ha evidenziato che risulterebbero non avviati interventi per un valore di 18,5 milioni di euro (11% del totale) a causa di ritardi relativi all'autorizzazione e alla sottoscrizione dei relativi contratti di mutuo; con riferimento al 2° Programma stralcio si sono riscontrati ritardi analoghi con interventi non avviati per un ammontare di 91,2 milioni di euro (pari al 30% del totale).
La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012, ha preso atto che sono stati attivati dagli enti locali beneficiari 1.320 interventi (pari all'83% dei 1.593 interventi programmati) dell'importo di 386 milioni di euro (il 79% del valore dell'intero Piano). Risultano completati 329 interventi (21%) per un importo complessivo di 85,3 milioni di euro (17 % del totale). Gli importi complessivi assegnati al Mezzogiorno assommano a circa il 67 % del totale delle risorse.

Per approfondimenti sul citato Piano, si veda la scheda n. 181 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).

E' stato inoltre previsto un terzo programma stralcio, da alimentare con le risorse stanziate dall’art. 7-bis del D.L. 137/2008 e quantificate dalla delibera CIPE 114/2008 in due contributi annuali di 10,5 milioni di euro a valere sui contributi quindicennali autorizzati dall’art. 21 del decreto-legge n. 185/2008.

Si ricorda, in proposito, che il comma 1 dell'art. 7-bis del D.L. 137/2008 ha previsto l’assegnazione, al Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici di un importo non inferiore al 5% delle risorse stanziate per il PIS, all'interno del quale il piano stesso è ricompreso.
Il punto 2.1. della delibera CIPE 114/2008 ha accantonato, a valere sullo stanziamento di cui all’art. 21 del D.L. 185/2008, per la prosecuzione dell’attuazione del piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, una quota di 3 milioni di euro per 15 anni, a valere sul contributo di 60 milioni di euro decorrente dal 2009, ed una una quota di 7,5 milioni di euro per 15 anni, a valere sul contributo di 150 milioni di euro decorrente dal 2010. La stessa delibera ha previsto che “la definitiva assegnazione delle quote di cui al punto 2.1 avverrà sulla base del 3° programma stralcio”.

Nelle more dell’adozione del 3° programma stralcio, la legge finanziaria 2010 (art. 2, comma 239, L. 191/2009) ha introdotto alcune norme procedurali finalizzate a garantire condizioni di massima celerità nella realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole. Tale comma ha infatti previsto, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari, l’individuazione (entro il 30 giugno 2010) di interventi "di immediata realizzabilità fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137”.

Nonostante la risoluzione sia stata approvata il 25 novembre 2010 dalle Commissioni Bilancio e Cultura della Camera (risoluzione n. 8-00099) e successivamente riapprovata in data 2 agosto 2011 (risoluzione n. 8-00143), l’approvazione del 3° stralcio non è intervenuta.
La riapprovazione della risoluzione n. 8-00099 è stata decisa dalle medesime Commissioni, sulla base delle risultanze dell'audizione svolta dal Sottosegretario per le infrastrutture presso le Commissioni riunite V e VII, in data 21 luglio 2011, che ha evidenziato la necessità, per i soggetti richiedenti i finanziamenti, di produrre idonea certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge finanziaria 2010.

Al fine di addivenire all'approvazione di tale 3° stralcio, l’art. 30, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 (convertito dalla L. 214/2011, pubblicata sulla G.U. del 27 dicembre 2011) ha imposto al Governo, al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole, di dare attuazione entro il 12 gennaio 2012 (vale a dire, così recita la norma, entro “quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione" del decreto-legge) al citato atto di indirizzo approvato il 2 agosto 2011.

In attuazione delle norme citate, con il D.M. Infrastrutture e trasporti 3 ottobre 2012, pubblicato nella G.U. del 9 gennaio 2013, si è provveduto all'approvazione del programma di edilizia scolastica in attuazione della citata risoluzione n. 8-00143.Ai sensi dell'art. 1 di tale D.M., il programma riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111,8 milioni di euro.
Nelle tabelle allegate al decreto sono elencati gli interventi, con l'indicazione del comune, la denominazione dell'edificio scolastico e l'importo preventivato per gli interventi corrispondente al limite superiore del finanziamento statale.




Il 2° piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici o “Piano straordinario stralcio”

L'art. 18 del decreto-legge 185/2008, convertito con modificazioni dalla legge 2/2009, ha previsto, al comma 1, lettera b), che il CIPE provveda all'assegnazione, per la messa in sicurezza delle scuole, di una quota delle risorse nazionali del FAS (Fondo aree sottoutilizzate) al Fondo infrastrutture di cui all'art. 6-quinquies del decreto-legge 112/2008.

La delibera CIPE 3/2009 ha quindi assegnato al Fondo Infrastrutture 1 miliardo di euro da destinare al Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici. La successiva delibera 32/2010 del 13 maggio 2010 (rettificata dalla delibera 67/2010) ha assegnato la prima quota del miliardo di euro (358,42 milioni) per il “Piano straordinario stralcio”, da erogare “secondo modalità temporali compatibili con i vincoli di finanza pubblica correlati all’utilizzo delle risorse FAS”.
La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012, ha preso atto che gli enti locali hanno sottoscritto 1.630 convenzioni con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un valore di circa 347 milioni di euro (97% del totale) e i pagamenti effettuati sono stati pari a 59,5 milioni di euro (16,6 %). La stessa delibera ha evidenziato che l’attuazione del piano è stata ritardata dalla mancata messa a disposizione di parte delle relative risorse, a seguito della legge di stabilità 2012 (v. infra), risorse poi ristorate con la delibera CIPE n. 6/2012.

Per approfondimenti sul citato Piano, si veda la scheda n. 186 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).



Le disposizioni del D.L. 201/2011

Con il decreto-legge 201/2011 sono state introdotte due disposizioni relative alla sicurezza degli edifici scolastici. La prima, contenuta nell'art. 25, comma 1-bis, prevede che le somme non impegnate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (vale a dire il 28 dicembre 2011) per la realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, di cui all'art. 2, comma 239, della legge finanziaria 2010, in misura pari all'importo di 2,5 milioni di euro, come indicato nella risoluzione approvata dalle competenti Commissioni della Camera il 2 agosto 2011, sono destinate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui all' art. 44 del D.P.R. 398/2003.

La seconda disposizione introdotta dal D.L. 201/2011 è quella recata dall'art. 30, comma 5-bis, che, al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, ha imposto al Governo di provvedere, entro il 12 gennaio 2012:

Il comma 5-bis prevede anche che il Governo deve riferire alle Camere in merito all'attuazione delle disposizioni in esso recate.
Relativamente all'art. 33, commi 2-3, della legge 183/2011, si ricorda invece che esso ha previsto che le risorse del FSC (istituito dall'art. 4 del D.lgs. n. 88/2011 in luogo del Fondo per le aree sottoutilizzate - FAS - di cui all'art. 61 della legge 289/2002) vengano assegnate dal CIPE con indicazione delle relative quote annuali e che a tale fondo venga assegnata una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, “da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese sulla base di titoli giuridici perfezionati alla data del 30 settembre 2011, già previsti nell'ambito dei programmi nazionali per il periodo 2007-2013. I predetti interventi sono individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, su proposta del Ministro interessato al singolo intervento”.



Le misure per gli edifici scolastici dell'Abruzzo

L’art. 4, comma 4, del decreto-legge 39/2009, convertito con modificazioni dalla legge 77/2009, ha previsto misure per la messa in sicurezza delle scuole mediante la destinazione alla regione Abruzzo di una quota aggiuntiva delle risorse del Fondo infrastrutture.

Con l’art. 15 dell’O.P.C.M. 3782/2009 è stato, quindi, conferito l'incarico al Presidente della Regione Abruzzo, in qualità di Commissario delegato, d’intesa con il Presidente della Provincia dell’Aquila e i Sindaci dei Comuni interessati, di elaborare un programma-stralcio di interventi urgenti sull’edilizia scolastica per consentire l’avvio regolare dell’anno scolastico 2009/2010 nei Comuni colpiti dal terremoto.
Lo stesso art. 15 ha previsto al comma 3, nel testo integrato dall’O.P.C.M. 3820/2009, che “per le finalità di cui al presente articolo si provvede”, nel limite di 30,6 milioni di euro, “a valere sulle risorse previste dall'art. 18 del decreto-legge 29 novembre 2009, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, destinate al finanziamento degli interventi in materia di edilizia scolastica. Le predette somme sono trasferite ad apposita contabilità speciale da istituire presso la Tesoreria dello Stato di L'Aquila in favore del competente Provveditore interregionale alle opere pubbliche, che opera quale soggetto attuatore degli interventi”.

Successivamente la delibera CIPE 47/2009, ha destinato 226,4 milioni di euro in favore della regione Abruzzo per il finanziamento degli interventi di edilizia scolastica connessi agli eventi sismici.
Nella Relazione del Ministro per la Coesione Territoriale del 12 giugno 2012 sullo” Stato di avanzamento delle misure urgenti per la semplificazione, il rigore e il superamento dell’emergenza del dopo-sisma in Abruzzo”, per quanto riguarda la “Messa in sicurezza edifici scolastici” si evidenzia che sono stati programmati 269 interventi (166 in provincia dell’Aquila, 15 in provincia di Chieti, 40 in provincia di Pescara, 48 in provincia di Teramo) e che rimangono da utilizzare 144,8 milioni di euro.

Per approfondimenti si veda la scheda n. 183 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).



La programmazione dell'edilizia scolastica

La legge 23/1996 (art. 4, comma 2)  ha previsto che  la programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni. Tali piani, sentiti gli uffici scolastici regionali, sono adottati sulla base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti, sentiti gli uffici scolastici provinciali. A tale scopo, questi uffici sono chiamati ad adottare le procedure consultive dei consigli scolastici distrettuali e provinciali.

La procedura per l’emanazione dei suddetti piani, disciplinata ai successivi commi 3-9, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza Stato-regioni, che fissa gli indirizzi per assicurare il coordinamento degli interventi ai fini della programmazione scolastica nazionale, stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni, indica le somme disponibili nel primo triennio suddividendole per annualità. Successivamente alla pubblicazione del decreto, le regioni approvano e trasmettono al MIUR i piani generali triennali contenenti i progetti preliminari, la valutazione dei costi e l’indicazione degli enti territoriali competenti che, in assenza di osservazione del Ministero, vengono pubblicati nei rispettivi bollettini ufficiali. In seguito, gli enti territoriali competenti approvano i progetti esecutivi degli interventi previsti nel primo anno del triennio e provvedono a richiedere la concessione dei mutui alla Cassa depositi e prestiti che è chiamata, dopo il ricevimento della deliberazione di assunzione del mutuo e la comunicazione dell’avvenuta concessione, a darne avviso alle regioni. Specifici termini sono previsti anche per i piani generali triennali che sono formulati dalle regioni successivamente al primo: nella ripartizione dei fondi disponibili, infatti, si tiene conto, oltre che dei criteri di riparto, anche dello stato di attuazione dei piani precedenti. Se gli enti territoriali non provvedono agli adempimenti di loro competenza, in via sostitutiva le regioni o le province autonome provvedono automaticamente; in caso di inadempienza di regioni e province autonome, provvede in via sostitutiva il commissario di Governo. Come previsto dal'articolo 7  della medesima legge 23, inoltre, per la programmazione delle opere di edilizia scolastica le regioni e gli enti locali interessati possono avvalersi dei dati dell'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica.

In materia è di recente intervenuto l’art. 11, commi da 4-bis a 4-octies, del D.L. 179/2012, che ha indicato nuove modalità di predisposizione e approvazione di appositi piani triennali di interventi di edilizia scolastica, nonché dei relativi finanziamenti, senza, tuttavia, chiarire il raccordo con le previsioni della L. 23/1996 (alle quali, come si vedrà infra, fa riferimento l’art. 53 del D.L. 5/2012, che ha previsto l’approvazione di un nuovo Piano nazionale di edilizia scolastica).

In particolare, i commi indicati hanno previsto che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza unificata, sono definiti le priorità strategiche, le modalità e i termini per l’approvazione dei predetti piani che saranno articolati per ciascuna annualità al fine di consentire il regolare svolgimento del servizio scolastico in ambienti adeguati e sicuri.

Per l’inserimento in tali piani, gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all’uso scolastico presentano un’apposita richiesta alle rispettive regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano. Tali enti, sulla base delle richieste pervenute da parte degli enti locali, trasmettono al MIUR il piano di interventi nei termini indicati dal decreto ministeriale, pena la decadenza dai finanziamenti assegnabili nell’arco del triennio.

Il MIUR deve verificare i piani trasmessi dalle regioni e dalle province autonome e, in assenza di osservazioni da formulare, comunica l’avvenuta approvazione alle regioni affinché siano pubblicati, nei successivi trenta giorni, sui rispettivi bollettini ufficiali regionali.

Nell’assegnazione delle risorse si tiene conto della capacità di spesa degli enti locali nell’utilizzo delle risorse assegnate nell’annualità precedente, “premiando” le regioni “virtuose” con l’attribuzione di una quota non superiore al venti per cento, aggiuntiva rispetto all’entità di risorse spettanti in sede di riparto.

Per le predette finalità è stata prevista l’istituzione, a decorrere dal 2013, di un Fondo unico per l’edilizia scolastica nello stato di previsione del MIUR, al quale confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato destinate agli interventi di edilizia scolastica.

Quanto alle misure di finanziamento, si ricorda che la legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 625, della legge 296/2006) ha autorizzato la spesa di 250 milioni di euro per il triennio 2007-2009 (50 milioni di euro per l'anno 2007 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009) per i piani di edilizia scolastica di cui all'art. 4 della legge 23/1996. Con il D.M. 16 luglio 2007 sono stati ripartiti i finanziamenti autorizzati dalla predetta legge finanziaria 2007  a favore delle regioni, per l'attivazione dei piani di edilizia scolastica, per il triennio 2007-2009.

Il predetto D.M. 16 luglio 2007 ha, peraltro, indicato, come si legge nella premessa, anche gli indirizzi volti ad assicurare il coordinamento degli interventi regionali. In base alle citate norme, il 50% delle predette risorse è destinato al completamento delle attività di messa in sicurezza e di adeguamento a norma degli edifici scolastici da parte dei competenti enti locali; per questi specifici interventi le regioni e gli enti locali interessati, nell’ambito dei piani sopra citati, concorrono al finanziamento, ciascuno nella misura di un terzo.

Si segnala, poi, che il 28 gennaio 2009 è stata sottoscritta un’intesa in sede di Conferenza unificata sugli «indirizzi per prevenire e fronteggiare eventuali situazioni di rischio connesse alla vulnerabilità di elementi anche non strutturali negli edifici scolastici». Essa prevede la costituzione, presso ciascuna regione e provincia autonoma, di appositi gruppi di lavoro, composti da rappresentanze degli Uffici Scolastici Regionali, dei Provveditorati Interregionali alle Opere Pubbliche, dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM, con il compito di creare apposite squadre tecniche incaricate dell’effettuazione di sopralluoghi sugli edifici scolastici del rispettivo territorio e di compilare apposite schede, il cui contenuto è destinato a confluire successivamente nell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica. L’intera iniziativa dovrà essere completata entro sei mesi dalla pubblicazione dell’intesa ed, a tal fine, sono stati previsti 10 giorni per la costituzione dei gruppi di lavoro e 15 per la formazione delle squadre. E’ stato altresì previsto che eventuali ritardi, superiori ai 40 giorni, comporteranno l’intervento sostitutivo del Prefetto.

Per il triennio 2010-2012, non sono state stanziate risorse nazionali per i piani triennali ex art. 4 della L. 23/1996, e la formulazione degli indirizzi per la programmazione in materia di edilizia scolastica è stata effettuata a livello regionale. In proposito nella delibera CIPE n. 66/2012 si sottolinea che, a partire dal 2009, la predetta legge non è stata più rifinanziata con risorse nazionali.



Ulteriori interventi per l'adeguamento antisismico

La legge finanziaria 2008 (art. 2, comma 276, L. 244/2007) ha previsto un finanziamento di 20 milioni di euro attraverso l’incremento del Fondo per gli interventi straordinari della Presidenza del Consiglio (istituito dall’art. 32-bis del decreto-legge 269/2003, per la realizzazione di interventi infrastrutturali con priorità per quelli volti alla riduzione del rischio sismico).

Il citato Fondo è stato quindi incrementato, ai sensi del citato comma 276, di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008, al fine di conseguire l'adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché la costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico.

Con successive ordinanze di protezione civile sono state determinate le modalità di attivazione del citato Fondo ed i criteri per l'assegnazione delle risorse.
L’O.P.C.M. 3728/2008 ha ripartito tra le regioni e le province autonome la somma di 20 milioni di euro relativa all'anno 2008, prevedendo che gli interventi da realizzare e le risorse da destinare a ciascun intervento siano individuati, conformemente a quanto previsto nei piani predisposti dalle regioni, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M. 12 gennaio 2010). Il riparto per gli anni 2009, 2010 e 2011 è stato successivamente effettuato con le ordinanze 3864/2010, 3879/2010 e 3927/2011. Si segnala, inoltre, che con il D.P.C.M. 2 marzo 2011 sono state assegnate alle regioni le risorse del Fondo a valere sulle risorse già assegnate con O.P.C.M. 3864/2010, riprogrammando, per ogni regione, il piano degli interventi a valere sulle assegnazioni 2009 e sulle riassegnazioni non utilizzate 2008. Con il successivo D.P.C.M. 28 ottobre 2011, infine, sono state ripartite tra le regioni le risorse a valere sulle assegnazioni 2011 (Allegato 4 O.P.C.M. 3927/2011) e sui residui derivati dalle somme non trasferite nelle annualità 2008, 2009 e 2010.

Dalla possibilità di beneficiare dello stanziamento in parola sono stati esclusi gli interventi già finanziati nell'ambito del piano straordinario di cui all'art. 80, comma 21, della L. 289/2002 (v. supra).

Ulteriori interventi di adeguamento antisismico degli edifici del sistema scolastico sono stati previsti dall’art. 2, comma 1-bis, del D.L. 137/2008 (convertito dalla L. 169/2008), che ha disposto il versamento al bilancio dello Stato di somme iscritte nel conto dei residui del bilancio medesimo per l'anno 2008, a seguito di quanto disposto dall'art. 1, commi 28-29, della L. 311/2004 e non utilizzate alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, da destinarsi al finanziamento di interventi per l'edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli istituti scolastici ovvero di impianti e strutture sportive dei medesimi.
Si ricorda che i citati commi 28-29 hanno finanziato una serie di interventi rivolti a tutelare l'ambiente e i beni culturali e, in generale, a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio per il triennio 2005-2007.

Lo stesso comma 1-bis ha demandato il riparto delle risorse, con l'individuazione degli interventi e degli enti destinatari, ad apposito decreto interministeriale, da emanarsi in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
In attuazione di tale disposizione, in data 23 dicembre 2008, le Commissioni riunite V e VI della Camera hanno approvato la risoluzione n. 8-00025 di indirizzo al Governo, cui quest'ultimo ha dato seguito con il D.M. 29 aprile 2009 (pubblicato nella G.U. n. 102 del 5 maggio 2009 (pag. 12), che ha provveduto a ripartire, tra gli enti indicati in allegato al decreto stesso, la somma di 12,5 milioni di euro.



Il (nuovo) "Piano nazionale di edilizia scolastica"

Al fine di garantire su tutto il territorio nazionale l’ammodernamento e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare scolastico, anche in modo da conseguire una riduzione strutturale delle spese correnti di funzionamento, l’art. 53 del D.L. 5/2012 ha previsto l’approvazione da parte del CIPE di un Piano nazionale di edilizia scolastica.

Si ricorda in proposito che, in precedenza, la sentenza n. 552 del 20 gennaio 2011 del Tar del Lazio, confermata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 3512 del 9 giugno 2011) ha accolto parzialmente un ricorso presentato dal Codacons, ordinando al MIUR e al MEF l’emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dal’art. 3 del DPR 81/2009. La sentenza ha infatti evidenziato che avendo tale decreto innalzato il limite massimo di alunni per aula, si è dato carico delle conseguenti implicazioni in termini di maggiore affollamento delle aule e di possibile inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità. In particolare, con l’art. 3, co. 2, il decreto avrebbe inteso imporre al MIUR di attendere, d’intesa con il MEF, non soltanto all’individuazione delle istituzioni scolastiche da sottrarre temporaneamente (per il solo anno scolastico 2009-2010) all’immediata operatività dei nuovi limiti massimi di alunni per aula, quanto piuttosto alla elaborazione di un vero e proprio atto generale, a natura programmatica.

Il comma 1 del citato articolo disciplina il procedimento di approvazione del piano stabilendo, tra l’altro, che essa avvenga su proposta dei Ministri dell’istruzione, e delle infrastrutture (di concerto con i Ministri dell’economia e dell’ambiente, previa intesa in sede di Conferenza unificata) ed intervenga entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

A tutt’oggi tale Piano non è tuttavia ancora stato emanato.

La norma stabilisce altresì che l’approvazione avvenga sulla base delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province e dai comuni, tenendo conto di quanto stabilito dagli articoli 3 e 4 della L. 23/1996 (vedi supra).

 Il comma 2 specifica in dettaglio gli interventi da realizzare attraverso il Piano, che dovranno essere sia di ammodernamento e recupero del patrimonio scolastico esistente, anche ai fini della messa in sicurezza degli edifici, sia di costruzione e completamento di nuovi edifici scolastici. Lo stesso comma elenca i criteri generali che dovranno guidare l’attuazione del Piano; viene infatti previsto che gli interventi citati dovranno essere realizzati in un’ottica di razionalizzazione e contenimento delle spese correnti di funzionamento, nonché di efficientamento energetico e di riduzione delle emissioni inquinanti e favorendo il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.

Tra gli interventi strumentali alla realizzazione del Piano, il comma 2, come novellato dal comma 4 dell’art. 11 del D.L. 179/2012, ricorda, come utilizzabili:

 

Per le finalità indicate dal comma 2, viene previsto l’utilizzo delle risorse di cui all'art. 33, comma 8, della L. 183/2011, nonché delle risorse a valere sui fondi di cui all'art. 33, comma 3, della medesima legge, già destinate con delibera CIPE n. 6/2012 alla costruzione di nuove scuole.

La legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), all'art. 33, comma 8, ha previsto l'istituzione per l'anno 2012 di un apposito fondo con una dotazione di 750 milioni di euro, destinato, tra l’altro, quanto a 100 milioni di euro al MIUR per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. La ripartizione del citato fondo è operata dal Ministro dell'economia e delle finanze. Il comma 3 del medesimo articolo 33 assegna al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese. La relazione tecnica al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 5/2012 (A.S. 3533) evidenziava che le risorse sono state destinate con delibera CIPE 20 gennaio 2012, n. 6, alla costruzione di nuove scuole; e considerato che l'art. 5, comma 1-bis, del D.L. n. 74 del 2012 ha destinato il 60 per cento delle predette risorse alla ripresa delle attività scolastiche nelle aree interessate dal sisma in Emilia del 20 maggio 2012, le risorse disponibili ammonterebbero complessivamente a 80 milioni di euro, di cui i 40 milioni relativi al FSC soggiacciono al vincolo di destinazione territoriale dell'85 per cento nelle regioni del Mezzogiorno.

Da segnalare altresì le disposizioni dettate dal comma 3 che prevede la stipula di appositi accordi di programma per concentrare gli interventi sulle esigenze dei singoli contesti territoriali e promuovere e valorizzare la partecipazione di soggetti pubblici e privati per sviluppare utili sinergie.

Ancora più rilevante il disposto del comma 5 che individua i seguenti interventi urgenti da attuare nelle more della definizione e approvazione del Piano, al fine di assicurare il tempestivo avvio di interventi prioritari e immediatamente realizzabili di edilizia scolastica coerenti con gli obiettivi di cui ai commi 1 e 2:

Si ricorda che il citato comma 626, nella logica degli interventi per il miglioramento delle misure di prevenzione di cui al D.Lgs. 38/2000 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), ha previsto la definizione, in via sperimentale per il triennio 2007-2009, da parte dell’INAIL, d'intesa con i Ministri del lavoro e dell’istruzione e con gli enti locali competenti, di indirizzi programmatici per la promozione ed il finanziamento di progetti degli istituti di istruzione secondaria di primo grado e superiore per l'abbattimento delle barriere architettoniche o l'adeguamento delle strutture alle vigenti disposizioni in tema di sicurezza e igiene del lavoro. Lo stesso comma ha demandato all’INAIL la determinazione dell'entità delle risorse da destinare annualmente alle finalità di cui al presente comma, la definizione dei criteri e delle modalità per l'approvazione dei singoli progetti, nonché l’approvazione dei finanziamenti dei singoli progetti. In attuazione di tale disposizione la delibera del Consiglio di Indirizzo e di Vigilanza dell'INAIL n. 8 del 3 aprile 2007 ha determinato in 100 milioni di euro per il triennio 2007/2009 l'entità delle risorse da destinare alle finalità di cui al citato comma 626.

Ulteriori disposizioni riguardano la semplificazione delle procedure e l’emanazione di norme tecniche-quadro volte a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale, nonché ulteriori norme relative a misure di gestione, conduzione e manutenzione degli edifici adibiti a istituzioni scolastiche, università ed enti di ricerca e finalizzate all’efficientamento energetico sulla base di apposite linee guida ministeriali.



Dossier pubblicati



Documenti e risorse web

Approfondimento: Francia: legge sulla lotta contro l'assenteismo scolastico



Loi n. 2010-1127 du 28 septembre 2010 visant à lutter contre l?absentéisme scolaire (J.O. del 29 settembre 2010)

http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000022862522&fastPos=1&fastReqId=1614682703&categorieLien=cid&oldAction=rechTexte

 La legge in esame ha l’obiettivo di contrastare il fenomeno dell’assenteismo scolastico, che negli ultimi dieci anni si è intensificato, divenendo un tema cui è particolarmente attenta la classe politica francese, che ne ha spesso rilevato anche le dannose conseguenze sul piano della crescita dei fenomeni di marginalizzazione sociale e di delinquenza. Il provvedimento dispone essenzialmente alcune modifiche alla procedura di sospensione dei sussidi familiari nel caso di non rispetto dell’obbligo scolastico.

Ai sensi dell’art. L 131-1 del Code de l’éducation l’istruzione è obbligatoria per i cittadini francesi e gli stranieri residenti in Francia che abbiano un’età compresa tra i 6 e i 16 anni.

Il mancato rispetto dell’obbligo scolastico è sottoposto sia a sanzioni penali (art. 227-17 e R 624-7 del Code pénal), che a sanzioni amministrative.

In particolare, con la loi n. 2006-396 du 31 mars 2006 pour l’égalité des chances, è stato istituitoil “contratto di responsabilità genitoriale”, mediante il quale si è inteso responsabilizzare i genitori creando un legame diretto tra l’assegnazione di sussidi familiari e il rispetto dell’obbligo scolastico. In generale, in caso di assenteismo scolastico, di disturbi arrecati al funzionamento dell’istituto scolastico e di ogni altra difficoltà legata alla carenza dell’autorità genitoriale su un determinato alunno, il presidente del Consiglio generale del dipartimento competente è autorizzato a proporre ai genitori o al rappresentante legale del minore un “contratto di responsabilità genitoriale”, che richiama gli obblighi dei titolari dell’autorità e prevede le misure di aiuto e di azione sociale volte a risolvere la situazione (art. L222-4-1 del Code de l’action sociale et des familles, inserito dall’articolo 48 loi n.2006-396). La legge ha inoltre previsto che alla famiglia cui è proposto tale contratto siano sospesi i sussidi familiari relativi al figlio, per un periodo di tre mesi. La sospensione è rinnovabile fino ad un massimo di dodici mesi (art. L552-3 del Code de la sécurité sociale, inseritodall’art. 49 della loi n.2006-396).

La loi n. 2010-1127, che si compone di sette articoli, reca nuove disposizioni nell’ambito della disciplina relativa ai “contratti di responsabilità genitoriale”. Nell’ “Exposée des motifs”che precede la proposta di legge in materia, oltre ad essere rilevato l’aumento dell’assenteismo scolastico, è in particolare notato lo scarso riscorso al dispositivo dei “contratti di responsabilità genitoriale” nei dipartimenti, ad eccezione del caso del dipartimento delle Alpi-Marittime.

L’art. 1 della legge modifica l’art. L131-8 del Code de l’éducation, che riguarda i soggetti coinvolti nel rilevamento dell’assenteismo scolastico di un alunno. Le modifiche riguardano in particolare tre aspetti. In primo luogo l’avviso (avertissement) con cui “l’ispettore di accademia” (ossia il funzionario pubblico del Ministero dell’educazione nazionale, i cui compiti sono disciplinati dagli artt. R241-18 e ss. del Code de l’éducation) comunica ai genitori (o ai rappresentanti legali del minore) l’assenza ingiustificata dello stesso dalle aule scolastiche o la sua assenza senza motivo legittimo per almeno quattro mezze giornate nell’arco di un mese. Nell’avertissement sono comunicate ai genitori non solo le sanzioni penali del mancato obbligo scolastico, come era prima del 2010, ma anche le sanzioni amministrative. Inoltre, sono comunicate, in tale circostanza, anche le misure di “assistenza dei genitori” alle quali essi possono ricorrere per sanare la situazione di non frequentazione della scuola da parte del minore. In secondo luogo, è specificato che “l’ispettore di accademia” possa immediatamente informare il presidente del Consiglio generale del dipartimento competente di eventuali casi di assenteismo scolastico, ai fini di una rapida predisposizione delle misure di assistenza ai genitori dell’alunno inadempiente, come ad esempio la stipulazione di un “contratto di responsabilità genitoriale”. In terzo luogo, nel nuovo articolo L131-8 del Codice dell’educazione sono disciplinati i casi della recidiva di assenteismo scolastico. In particolare è previsto che, se un minore compie, nello stesso anno scolastico, una nuova assenza di almeno quattro mezze giornate in un mese, l’ “ispettore di accademia” può contattare direttamente il direttore dell’organismo che gestisce i sussidi familiari per far sospendere immediatamente il versamento degli stessi. È dunque stabilito che un funzionario pubblico possa autonomamente decidere i casi di sospensione dei pagamenti dei sussidi nei casi di recidiva, senza ottenere l’assenso del presidente del Consiglio generale di dipartimento, in modo tale da rendere la misura sanzionatoria più rapida ed efficace. Sono comunque previste alcune garanzie per i responsabili del minore inadempiente, come ad esempio la possibilità riconosciuta alle famiglie di presentare le proprie osservazioni prima che l’ispettore decida la sospensione dei sussidi.L’art. 2 dispone l’introduzione del nuovo art. L491-3 nel Codice dell’educazione, relativo alla presentazione ai genitori di un alunno del progetto della scuola e del regolamento interno.

Gli altri articoli della legge si limitano a disporre le modifiche da apportare ad altri Codici in seguito alla nuova disciplina disposta nell’art. L131-8 del Codice dell’educazione. L’art. 3 apporta modifiche al Codice della sicurezza sociale, stabilendo le nuove funzioni riconosciute all’ “ispettore di accademia” e al direttore della cassa per i sussidi familiari. L’art. 4 introduce modifiche al Codice dell’azione sociale e delle famiglie, con riferimento ai nuovi ruoli ricoperti dall’ “ispettore di accademia” e dal presidente del Consiglio generale del dipartimento in materia di assenteismo scolastico. È inoltre stabilito nel nuovo art. L222-4-1 di tale Codice che anche i genitori di un alunno possano domandare la stipulazione di un “contratto di responsabilità genitoriale”, prerogativa che era riconosciuta, nella loi n. 2006-396, esclusivamente al presidente del Consiglio generale del dipartimento. L’art. 5 reca alcune modifiche al medesimo Codice relative alla misura di sospensione dei sussidi familiari. L’art. 6 stabilisce che i Consigli di scuola, per le scuole primarie e i Consigli di amministrazione, per gli istituti di istruzione secondaria, presentino una volta all’anno un rapporto d’informazione sull’assenteismo scolastico. L’art. 7 dispone che, entro il 31 dicembre 2011 il Governo presenti al Parlamento un rapporto di valutazione sui dispositivi introdotti per combattere tale fenomeno sulle eventuali proposte di modifiche legislative o regolamentari in materia.

Approfondimento: Regno Unito: legge sugli istituti di istruzione primaria e secondaria



Academies Act 2010 (Legge promulgata il 27 luglio 2010)

La legge abilita gli istituti di istruzione scolastica primaria e secondaria ad ottenere la qualifica di academy, alla quale si correlano, oltre al conferimento di fondi pubblici, particolari condizioni di autonomia gestionale, organizzativa e con riguardo alla la predisposizione dell’offerta formativa.

Dotate di un riconoscimento ministeriale (academy order) che dà titolo a ricevere finanziamenti statali, le academies si avvalgono frequentemente del patrocinio di enti privati a carattere culturale, economico, volontaristico oppure confessionale, e si pongono in particolare relazione con l’ambito territoriale in cui esse sono istituite, talora con la finalità di rilevare le funzioni assolte da altri istituti scolastici e di migliorare l’offerta formativa.

La legge stabilisce i requisiti necessari affinché gli istituti scolastici esistenti possano convertirsi in accademie, differenziandoli sulla base dell’orientamento dei loro programmi, generalista oppure rivolto a specifiche esigenze educative.

Nel primo caso è richiesta a tali istituti la formulazione di programmi ampi e bilanciati nei contenuti (balanced and broadly based curriculum), nei quali sia previsto, ove si tratti di istituti di istruzione secondaria, l’insegnamento di alcune materie specialistiche; nel secondo caso sono fatte salve le caratteristiche organizzative dirette a soddisfare, come previsto dalla legislazione vigente, i particolari bisogni educativi degli alunni più svantaggiati (special educational needs).

Il finanziamento pubblico, della durata minima di sette anni, è conferito a questi istituti sulla base di un accordo tra l’autorità ministeriale e l’ente proprietario o titolare della loro gestione (academy arrangements), oppure attraverso specifici accordi di assistenza finanziaria già disciplinati dall’Education Act 2002 (arrangement for academy financial assistance). Gli accordi dell’uno e dell’altro tipo sono oggetto di una relazione presentata al Parlamento dal competente Secretary of State all’inizio di ogni anno accademico.

Formazione iniziale degli insegnanti

Nella XVI legislatura sono state ridisegnate le modalità della formazione iniziale degli insegnanti: in particolare, il DM 249/2010 ha inteso contemperare il rafforzamento delle conoscenze disciplinari con lo sviluppo di capacità didattiche, psico-pedagogiche, organizzative, relazionali e comunicative. Dopo lo scioglimento, le Camere hanno esaminato uno schema di DM che apporta alcune modifiche al DM 249/2010, in particolare per consentire l'istituzione di percorsi abilitanti speciali.

IL DM 249/2010

Il regolamento in materia di formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di I e II grado (DM 249/2010) dà seguito all’art. 2, c. 416, della L. finanziaria 2008 (L. 244/2007), ma in coerenza con le previsioni del piano programmatico di interventi adottato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (v. Interventi per la scuola).

La relazione introduttiva dello schema presentato alle Camere (Atto 205) evidenziava che l’esigenza di intervenire derivava dai risultati non buoni conseguiti dalla scuola italiana, in occasione di ricerche nazionali e internazionali, per le conoscenze disciplinari, in particolare linguistiche e di scienze matematiche, fisiche e naturali. Occorreva, quindi, puntare ad un rafforzamento delle conoscenze disciplinari e allo sviluppo di capacità didattiche, psico-pedagogiche, organizzative, relazionali e comunicative, affinché l’insegnante fosse capace di orientarsi a seconda delle diverse fasce di età degli studenti e potesse individuare le modalità educative adatte a promuovere il successo scolastico.

La VII Commissione della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 26 maggio 2010. La 7ª Commissione del Senato ha espresso parere favorevole con osservazioni il 7 luglio 2010. Nel testo finale sono state recepite alcune delle indicazioni formulate.

L’accesso ai nuovi percorsi formativi - che devono essere attivati a decorrere dall'anno accademico 2011/2012 - è a numero programmato e prevede il superamento di una prova. Il numero dei posti annualmente disponibili è determinato sulla base della programmazione del fabbisogno di personale docente nelle scuole statali, maggiorato nel limite del 30% in relazione al fabbisogno dell’intero sistema nazionale di istruzione (costituito da scuole statali e paritarie).

Il percorso per insegnare nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria si articola in un corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico, cui si accede con il diploma di istruzione secondaria di II grado. Dal II anno è previsto un tirocinio di 600 ore: esso si conclude con la discussione di tesi e relazione finale, che costituiscono esame con valore abilitante.

Il percorso per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado si articola in un corso di laurea magistrale (biennale) – o, per l’insegnamento di discipline artistiche, musicali e coreutiche, in un corso di diploma accademico di II livello - e in un tirocinio formativo attivo, al quale accedono coloro che hanno conseguito la laurea magistrale. Il TFA è un “corso di preparazione all’insegnamento” che sostituisce il percorso effettuato, fino all’a.a. 2007-2008, nelle scuole di specializzazione (SSIS). Esso si conclude con la stesura di una relazione e con l’esame finale con valore abilitante. La gestione delle attività è affidata al consiglio del corso di tirocinio.

Per tutti i percorsi formativi si prevedono tutor coordinatori e tutor dei tirocinanti. Nei corsi di laurea magistrale a ciclo unico sono presenti anche tutor organizzatori. I tutor sono docenti e dirigenti in servizio nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione.

La specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni disabili, in attesa della istituzione di specifiche classi di abilitazione, si consegue solo presso le università, con la partecipazione a un corso di durata almeno annuale, a numero programmato, che deve comprendere almeno 300 ore di tirocinio. Possono partecipare gli insegnanti abilitati. A conclusione, si sostiene un esamefinale che consente l’iscrizione negli elenchi per il sostegno.

Presso le università sono, inoltre, istituiti corsi di perfezionamento per l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera (CLIL): possono partecipare gli insegnanti abilitati per l’insegnamento nella scuola secondaria di II grado che abbiano competenze linguistiche certificate di livello avanzato. I corsi durano almeno un anno e comprendono almeno 300 ore di tirocinio. A conclusione, si sostiene un esame finale e si consegue un certificato che attesta le competenze acquisite.

Le università possono attivare Centri interateneo per assicurare supporto e coordinamento didattico ai corsi di laurea magistrale e alle attività relative al TFA.

I percorsi formativi sono oggetto di monitoraggio e valutazione da parte del MIUR, che può avvalersi di ANVUR, ANSAS (sostituita, dal 1° settembre 2012, da INDIRE, ex art. 19, co. 1, D.L. 98/2011) e INVALSI.

Sono previste, infine, norme transitorie e finali.

I provvedimenti adottati sulla base del DM 249/2010

A seguire sono intervenuti vari atti applicativi. In particolare: con DM 4 aprile 2011, n. 139 sono stati definiti i requisiti necessari per l'istituzione e l'attivazione dei corsi di studio per la formazione iniziale degli insegnanti; con DM 4 agosto 2011 sono state definite le modalità di svolgimento e le caratteristiche delle prove di accesso ai corsi di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico per l'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria; con DM 30 settembre 2011, sono stati definiti criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di perfezionamento per l'insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera nelle scuole; con DM 11 novembre 2011 sono state definite le modalità di svolgimento e le caratteristiche delle prove di accesso ai percorsi di TFA per i soggetti di cui all'art. 15, co. 1, lett. a), b) e c); con altro DM 11 novembre 2011 sono state definite le caratteristiche delle prove di accesso e le modalità di svolgimento dei percorsi di abilitazione per la scuola dell'infanzia e la scuola primaria riservati ai diplomati che hanno titolo all'insegnamento nella scuola materna o primaria ai sensi del DM 10.3.1997; con ulteriore DM 11 novembre 2011, n. 194 sono state definite le caratteristiche delle prove di accesso ai corsi accademici di II livello per l'insegnamento delle discipline artistiche e musicali nella scuola secondaria di I grado; con D.M. 8 novembre 2011 sono stati riordinati i corsi biennali di secondo livello ad indirizzo didattico attivati presso i conservatori di musica, gli istituti musicali pareggiati e le accademie di belle arti; con DM 14 marzo 2012, n. 31 sono stati definiti i posti disponibili a livello nazionale per l'a.a. 2011/2012 per le immatricolazioni al TFA per l'insegnamento nella scuola secondaria di I grado (4.275) e per l'insegnamento nella scuola secondaria di II grado (15.792); con D.M. 30 settembre 2011 sono stati definiti criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attivita' di sostegno; con D.M. 8 novembre 2011 è stata definita la disciplina per la determinazione dei contingenti di personale della scuola necessario per lo svolgimento dei compiti di tutor, la loro ripartizione e i criteri per la selezione; con DD 23 aprile 2012, n. 74 sono state fornite le indicazioni operative per le prove di selezione per l'accesso al TFA.

Da ultimo, con nota Prot. 549 del 28 febbraio 2013 il MIUR ha fornito chiarimenti su diverse problematiche inerenti l'organizzazione e lo svolgimento dei percorsi di abilitazione, per coordinare le azioni della fase di prima attuazione e maturare orientamenti univoci.

Lo schema di DM Atto n. 535

Il 23 gennaio 2013 è stato presentato alle Camere lo schema di DM Atto 535 che apporta alcune modifiche al DM 249/2010: le principali riguardano il meccanismo per la determinazione del numero dei posti annualmente disponibili per l’accesso ai percorsi formativi e la previsione di percorsi abilitanti speciali per i docenti non abilitati che hanno prestato servizio per almeno tre anni.

La 7^ Commissione del Senato ha espresso parere favorevole con osservazioni il 29 gennaio 2013, mentre la VII Commissione della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 6 febbraio 2012. Tra le condizioni è stata inserita la necessità di differenziare, attraverso i punteggi da attribuire, la condizione di coloro che sosterranno il TFA speciale da quella di coloro che stanno partecipando al TFA ordinario e la necessità che sia considerato valido per il raggiungimento dei cinquecentoquaranta giorni il servizio scolastico prestato nell'a.s. 2012/2013.

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Integrazione scolastica dei minori stranieri

Nella XVI legislatura, la Commissione Cultura della Camera ha svolto un'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza dei minori stranieri nelle scuole italiane. Con alcuni atti di indirizzo, inoltre, il Governo si è impegnato ad assumere iniziative volte all'integrazione scolastica.

Nell'ambito del fenomeno "immigrazione", primario è da considerarsi il ruolo della scuola per la piena integrazione degli stranieri. Il rapporto degli alunni stranieri sul totale degli alunni è in continua crescita per ciascun ordine di studio: nell'a.s. 2011/2012, su 100 alunni, 8,4 erano stranieri, a fronte del 7,9% sul totale registrato nell'a.s. 2010/2011, del 7,5% registrato nell'a.s. 2009/2010 e dell'1,5% registrato nell'a.s. 1999/2000.

L'integrazione dei minori stranieri

L’art. 38 del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che i minori stranieri presenti sul territorio nazionale sono soggetti all’obbligo scolastico e che ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all’istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica.

In base all'art. 45 del Regolamento sull'immigrazione (D.P.R. n. 394 del 1999), i minori stranieri hanno diritto all’istruzione - indipendentemente dalla regolarità della propria posizione -, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani. L’iscrizione può essere richiesta in qualunque periodo dell’anno scolastico.

Per quanto concerne l’inserimento, lo stesso art. 45 prevede che i minori sono iscritti alla classe corrispondente all’età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l’iscrizione ad una classe diversa, tenendo conto di: ordinamento degli studi del Paese di provenienza, corso di studi seguito, livello di preparazione raggiunto.

Sempre il collegio dei docenti definisce il necessario adattamento dei programmi di insegnamento. Allo scopo, possono essere adottati specifici interventi individualizzati o per gruppi di alunni per facilitare l’apprendimento della lingua italiana. Il consolidamento della conoscenza della lingua italiana può essere realizzato anche mediante l’attivazione di corsi intensivi sulla base di specifici progetti.

L'attività parlamentare

Il 12 gennaio 2011 la Commissione Cultura della Camera ha approvato il documento conclusivo di un’indagine conoscitiva deliberata il 5 maggio 2009 per approfondire le problematiche connesse all’accoglienza dei bambini stranieri nelle scuole italiane, anche in confronto con le politiche scolastiche di altri paesi UE.

Nel documento, la Commissione ha sottolineato che è compito precipuo della scuola offrire alle nuove generazioni gli strumenti cognitivi e formativi per affrontare il nuovo mondo globale, con solide basi culturali che permettano di capire le lingue degli altri. L’interculturalità, intesa come rispetto e dialogo tra le culture, è il primo passo per arrivare ad un contesto co-culturale in cui, accanto alla cultura propria di ciascuno, si forma una cultura condivisa, fatta di valori e conoscenze comuni, su cui fondare la convivenza. Da qui, l’attenzione non solo agli alunni immigrati, ma all’intera popolazione scolastica.

La Commissione ha evidenziato, quindi, l’importanza di misure che siano di sostegno al compito di docenti e dirigenti. In particolare, si è auspicato: la previsione di risorse certe; un veloce adeguamento delle competenze richieste sia a livello centrale, sia nelle singole istituzioni scolastiche; un continuo monitoraggio della presenza di alunni non italofoni e degli esiti attesi; l’accertamento delle conoscenze pregresse degli studenti e, in particolare, della lingua italiana, con la connessa possibilità di mettere tempestivamente in atto corsi per l’apprendimento dell’italiano lingua seconda; la previsione, nell’ambito della formazione iniziale e in servizio di docenti e dirigenti scolastici, di moduli su didattica e pedagogia interculturale; la dimensione interculturale delle singole discipline; l’avvio di un percorso per mettere a punto sinergie fra i diversi attori e pervenire ad un accordo quadro in sede di Conferenza unificata.

Precedentemente, con alcuni atti di indirizzo, la Camera aveva impegnato il Governo a:

Al riguardo, l'8 gennaio 2010 il MIUR ha emanato la circolare n. 2 che ha stabilito, in particolare, che dall'a.s. 2010-2011 il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ogni classe non può superare, di norma, il 30% del totale degli iscritti. Il limite è stato introdotto in modo graduale, a partire dal primo anno di tutti gli ordini di scuola. In vista dell'applicazione di tale provvedimento, il Servizio Statistico del MIUR, elaborando i dati dell'Anagrafe degli studenti, ha pubblicato un Focus, al fine di dare conto della dimensione del fenomeno.

Documenti e risorse web

Centri d'istruzione per gli adulti

Il 25 febbraio 2013 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il DPR 263/2012, recante norme generali per la ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione per gli adulti, compresi i corsi serali. Il DPR, adottato in adempimento del Piano programmatico predisposto sulla base dell'art. 64 del decreto-legge 112/2008, era stato oggetto di esame parlamentare nel 2010.

L'iter dello schema di regolamento: in particolare, i pareri parlamentari

Nell’ambito della riorganizzazione della scuola, il 3 marzo 2010 era stato presentato alle Camere lo schema di regolamento relativo alla ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione per gli adulti (Atto n. 194), di cui si prevedeva l'avvio dall’anno scolastico 2010-2011.

La 7a Commissione del Senato aveva espresso parere favorevole con condizioni il 20 ottobre 2010. In particolare, aveva chiesto che l'età per l'accesso ai Centri fosse abbassata a 15 anni e che fosse possibile conseguire altri diplomi di istruzione liceale, oltre a quello di liceo artistico.

La VII Commissione della Camera aveva approvato un parere favorevole con condizioni e osservazione il 10 novembre 2010.

Tra le condizioni, era stata segnalata la necessità di:

Il DPR è stato approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 4 ottobre 2012 ed è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 25 febbraio 2013.

Il DPR 263/2012

Nella premessa del DPR si evidenzia che le condizioni contenute nei pareri delle Commissioni parlamentari sono state accolte compatibilmente con i vincoli imposti dalla finanza pubblica.

Tempi della ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione degli adulti

La ridefinizione dell’assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione degli adulti, compresi i corsi serali, si attua gradualmente, a partire dall’a.s. 2013/2014 e, comunque, entro l’a.s. 2014/2015: in particolare, le nuove disposizioni si applicano, a partire dall’a.s. 2013/2014, alle classi prime, seconde, terze e quarte dei corsi serali dell’istruzione tecnica, dell’istruzione professionale e dei licei artistici, al fine di rendere conformi gli ordinamenti di tali corsi con quelli dei corsi diurni in vigore per le citate quattro classi nello stesso a.s.

Il passaggio al nuovo ordinamento è definito da linee guida approvate con decreto interministeriale (per la cui emanazione non è indicato un termine) ed è accompagnato da misure di sistema per l’aggiornamento di dirigenti, docenti e personale amministrativo, tecnico ed ausiliario dei Centri. Altre misure di sistema saranno destinate a favorire gli opportuni raccordi fra le diverse tipologie di percorsi (v. infra).

I nuovi percorsi per l’istruzione degli adulti

Per effetto della ridefinizione, i percorsi di istruzione degli adulti sono riorganizzati in:

a) percorsi di primo livello, finalizzati al conseguimento del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione e della certificazione attestante l’acquisizione delle competenze di base connesse all’obbligo di istruzione;

b) percorsi di secondo livello, finalizzati al conseguimento del diploma di istruzione tecnica, professionale e artistica;

c) percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana, finalizzati al conseguimento del titolo di conoscenza della lingua italiana corrispondente almeno al livello A2.

I percorsi di cui alle lett. a) e c) sono realizzati dai Centri per l’istruzione degli adulti, mentre quelli di cui alla lett. b) sono realizzati dalle istituzioni scolastiche presso le quali funzionano i percorsi di istruzione tecnica, professionale e liceale artistica. Le istituzioni scolastiche presso le quali funzionano i percorsi di istruzione liceale possono prevedere la realizzazione di percorsi finalizzati al conseguimento di diplomi ulteriori rispetto a quello di liceo artistico, nei limiti delle risorse finanziarie ed umane disponibili.

I percorsi per il conseguimento del diploma conclusivo del primo ciclo si svolgono in 400 ore, incrementabili fino ad un massimo di altre 200 ore.

Gli altri percorsi hanno un orario complessivo obbligatorio pari al 70% di quello previsto dai corrispondenti ordinamenti.

I percorsi sono organizzati in modo personalizzato, sulla base del patto formativo individuale, che costituisce anche la base della valutazione. L’obiettivo è la valorizzazione di tutte le competenze acquisite dall’adulto nel corso della vita.

Specifiche disposizioni riguardano gli organi collegiali dei Centri e le dotazioni organiche.

Utenza

Ai Centri per l’istruzione degli adulti possono iscriversi:

a) gli adulti, anche stranieri, che non hanno assolto l’obbligo di istruzione o non sono in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione, nonché – con riferimento ai percorsi di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana e ai fini del superamento del test necessario per il rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo – gli adulti stranieri in età lavorativa, anche se in possesso di titoli di studio conseguiti nel paese di origine;

b) coloro che hanno compiuto 16 anni e che non sono in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione. A seguito di accordi specifici fra regioni e uffici scolastici regionali, possono iscriversi, in presenza di particolari e motivate esigenze, e nei limiti dell’organico assegnato, anche coloro che hanno compiuto 15 anni.

Alle istituzioni scolastiche possono iscriversi:

a) gli adulti, anche stranieri, che sono in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione;

b) coloro che hanno compiuto 16 anni e che, già in possesso del titolo di studio conclusivo del primo ciclo di istruzione, dimostrano di non poter frequentare il corso diurno.

Monitoraggio e rapporto alle Camere

Il sistema sarà costantemente monitorato da parte del MIUR, anche attraverso l’INDIRE, e i risultati di apprendimento saranno periodicamente valutati dall’INVALSI.

Ogni tre anni il Ministro presenterà al Parlamento un rapporto sui risultati del monitoraggio e della valutazione.

Dossier pubblicati

Interventi per l'università

La legge 240/2010 ha ridisciplinato governance degli atenei, stato giuridico e reclutamento del personale, e ha delegato il Governo ad adottare incentivi per la qualità. Le Camere hanno dunque esaminato vari provvedimenti attuativi. Numerose modifiche sono state poi apportate alla L. 240 dal D.L. 5/2012 e dal D.L. 95/2012. Altri interventi hanno riguardato corsi e classi di laurea e laurea magistrale.

I principi ispiratori della L. 240/2010 - promulgata il 30.12.2010 dal Presidente della Repubblica, che ha contestualmente inviato una lettera al Presidente del Consiglio, e che è in vigore dal 29.01.2011 - fanno riferimento, come indicato dalle ”Linee guida del Governo per l’Università”, ai concetti di autonomia e responsabilità; valorizzazione del merito; combinazione di didattica e ricerca.
Vari passaggi della L. 240/2010 sono stati modificati con gli artt. 31, 49 e 54 del D.L. 5/2012, nonchè con l'art. 7, co. 42-ter del D.L. 95/2012.

Organi e articolazione interna

La L. 240/2010 ha delineato indirizzi per la revisione degli statuti delle università statali riguardo a composizione, durata e funzioni degli organi, organizzazione interna. In particolare, ha previsto un limite al mandato del rettore (6 anni, non rinnovabile), che può essere sfiduciato, e l’istituzione presso ogni università del collegio di disciplina, nonchè l'adozione del codice etico. Ha, poi, stabilito che i componenti del nucleo di valutazione devono essere in prevalenza esterni e ha distinto le funzioni di Senato accademico (scientifiche) e Consiglio di amministrazione (gestionali); ha sostituito la figura del direttore amministrativo con quella del direttore generale; ha individuato i dipartimenti quale luogo di raccordo fra ricerca e didattica.

Disposizioni particolari riguardano le università che hanno conseguito stabilità di bilancio e risultati di elevato livello e gli istituti ad ordinamento speciale.

L'art. 7, co. 42-ter, del D.L. 95/2012 ha, poi, disposto una interpretazione autentica in materia di prorogatio dei rettori.

Reclutamento

In materia di reclutamento la L. 240/2010 - i cui interventi hanno fatto seguito a quelli adottati con il D.L. 180/2008 volti, tra l’altro, a subordinare le assunzioni ad una gestione responsabile delle risorse finanziarie e a privilegiare il ricambio generazionale incentivando le assunzioni dei ricercatori - ha previsto:

Ha previsto anche la chiamata di professori di II fascia dal 2011, utilizzando parte delle risorse del FFO. Sono stati dunque adottati il DM 15.12.2011, relativo alle chiamate per il 2011, e il DM 28.12. 2012, relativo alle chiamate per il 2012 e il 2013. Sull'argomento sono intervenuti anche l'art. 1, co. 5, e l'art. 14, co. 2-quater, del D.L. 216/2011, nonchè l'art. 49 del D.L. 5/2012.

Infine, la L. 240 ha ridisciplinato i settori concorsuali (DM 336/2011 e 159/2012), la chiamata diretta di studiosi impegnati all'estero, i contratti per attività di insegnamento, gli assegni di ricerca.

In presenza di determinati vincoli di parentela o affinità fino al IV grado, è vietato partecipare ai reclutamenti.

Qualità del sistema universitario e della ricerca

Con D.P.R. 76/2010 è stato adottato il regolamento concernente l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), argomento sul quale la 7^ Commissione del Senato il 19.4.2011 ha approvato la risoluzione Doc. XXIV, n. 21. Il 7.11.2011 l'ANVUR ha approvato il bando per la valutazione della qualità della ricerca 2004-2010.

La L. 240/2010, al fine di favorire il rilancio di qualità ed efficienza del sistema universitario, ha delegato il Governo, in particolare, ad adottare misure per:

Inoltre, sono stati istituiti:

Infine:

Con l'art. 16 del D.L. 112/2008 era stata prevista la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato.

Il 1.2.2012 la 7^ Commissione del Senato ha approvato il documento conclusivo di una indagine conoscitiva sull'eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea. Sullo stesso tema, il 22.3.2012 il MIUR ha avviato una consultazione pubblica, chiusa il 24.4.2012.

Stato giuridico ed economico di professori e ricercatori

La L. 240/2010 ha confermato che il regime di impegno di professori e ricercatori è a tempo pieno o definito e ha introdotto un impegno orario figurativo pari a 1500 ore per il tempo pieno (750 per il tempo definito). Una quota di tale orario, specificamente indicata, è riservata a compiti di didattica e di servizio agli studenti. Sono state disciplinate, inoltre, le incompatibilità, ed introdotti incentivi per la mobilità interuniversitaria.

Per la revisione del trattamento economico è stato emanato il D.P.R. 232/2011. In materia è intervenuto anche l'art. 5, co. 10-ter, del D.L. 95/2012.

La L. di stabilità 2012 (art. 4, co. 78 e 79, L. 183/2011) e l'art. 49 del D.L. 5/2012 sono intervenuti in materia di c.d. anno sabbatico di cui possono fruire professori e assistenti universitari per attività di studio e ricerca.

Diritto allo studio

Sulla base della delega conferita dalla L. 240/2010 a rivedere le norme sul diritto allo studio e a definire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP), anche con riferimento ai requisiti di merito ed economici, per assicurare a tutti il conseguimento del successo formativo, è stato emanato il d.lgs. 68/2012.

Corsi e classi di laurea e di laurea magistrale

E' stata abrogata l'equipollenza della laurea in scienze motorie a quella in fisioterapia (L. 63/2011) ed è stata definita la classe di laurea magistrale in restauro dei beni culturali (DM 2 marzo 2011).

Le Camere hanno, inoltre, espresso il parere sugli schemi di DM per l'adeguamento degli ordinamenti del corso di laurea magistrale in giurisprudenza (Atto 227) e del corso di laurea e di laurea magistrale in scienze della difesa e della sicurezza (Atto 355) che, tuttavia, non risultano aver concluso il proprio iter.

La VII Commissione ha, inoltre, esaminato l' A.C. 121, che prevedeva una riserva di posti per i cittadini italiani residenti all'estero ai fini dell'accesso ai corsi a numero programmato. L'esame non si è concluso.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: La nuova governance e la nuova organizzazione interna delle università statali

L’art. 2 della legge 240/2010 – come successivamente modificato dall’art. 49, co. 1, lett. a), del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – ha fissato gli indirizzi per la revisione degli statuti delle università statali riguardo a composizione, durata e funzioni degli organi, nonché all’organizzazione interna.

Peraltro, in base all’art. 1 della legge, le università che hanno conseguito stabilità e sostenibilità del bilancio e risultati di livello elevato nel campo della didattica e della ricerca possono sperimentare propri modelli organizzativi e funzionali, comprese modalità di costituzione e composizione degli organi di governo e forme sostenibili di organizzazione della didattica e della ricerca su base policentrica diverse da quelle indicate dall’art. 2, sulla base di accordi di programma con il MIUR.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2, anche gli istituti di istruzione universitaria ad ordinamento speciale adottano proprie modalità organizzative, pur nel rispetto di alcuni principi indicati per le università statali, e fatto salvo il controllo di legittimità e di merito degli statuti e dei regolamenti di ateneo, da parte del Ministro.

Al riguardo si ricorda che gli Istituti universitari statali ad ordinamento speciale sono: la Scuola Normale Superiore di Pisa; l’Università per stranieri di Perugia; la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (S.I.S.S.A.) di Trieste; la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento “S. Anna” di Pisa; l’Università per stranieri di Siena; l’Istituto Universitario di Studi Superiori (I.U.S.S.) di Pavia; la Scuola IMT (Istituzioni, Mercati, Tecnologie) Alti Studi di Lucca; l’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze. L’Università per stranieri “Dante Alighieri”, con sede a Reggio Calabria, è, invece un istituto non statale con ordinamento speciale.



Organi delle università statali

Gli organi necessari sono sei: rettore, senato accademico, consiglio di amministrazione, collegio dei revisori dei conti, nucleo di valutazione, direttore generale.



Rettore

E’ stata prevista una ridefinizione del ruolo del rettore, quale “organo propulsore delle attività scientifiche e didattiche e dello sviluppo strategico dell’ateneo nel suo complesso” (cfr. A.S. 1905, relazione introduttiva): a tale figura fanno capo la rappresentanza legale dell’università e la responsabilità del perseguimento delle finalità.

Sotto quest’ultimo profilo, in particolare, al rettore sono attribuite funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche, funzioni di proposta del direttore generale, del documento di programmazione triennale di ateneo (art. 1-ter, D.L. 7/2005 – L. 43/2005) – tenuto anche conto delle proposte e dei pareri del senato accademico –, e dei documenti di bilancio, nonché funzioni di iniziativa dei procedimenti disciplinari.

 

Altre novità hanno riguardato:



Senato accademico e Consiglio di amministrazione

E’ stata introdotta una distinzione delle funzioni del senato accademico (scientifiche) e del consiglio di amministrazione (gestionali).

In particolare, al Senato accademico sono attribuite, oltre alla proposizione della mozione di sfiducia nei confronti del rettore:

Al Consiglio di amministrazione sono, invece, attribuite:

Con riguardo alla composizione:

Per i componenti di entrambi gli organi sono stabilite norme in materia di incompatibilità. In particolare, sussiste il divieto di:



Direttore generale

La figura del direttore generale ha sostituito quella del direttore amministrativo.

Al direttore generale sono affidati, in particolare - sulla base degli indirizzi forniti dal Cda -, la complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo. Il direttore generale partecipa, altresì, alle sedute del Cda, senza diritto di voto.

L’incarico è conferito dallo stesso Cda (su proposta del rettore, sentito il parere del Senato accademico) a personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza. La durata massima dell’incarico – regolato con contratto di lavoro di diritto privato – è pari a quattro anni ed è rinnovabile.

La definizione di criteri e parametri per la determinazione del trattamento economico spettante al direttore generale è stata demandata ad un decreto interministeriale MIUR-MEF. In attuazione di tale disposizione, per il triennio 2011-2013 è stato emanato il D.M. 21 luglio 2011, n. 315 (G.U. n. 254 del 2011).



Collegio dei revisori dei conti

Il collegio dei revisori dei conti ha tre componenti effettivi - dei quali, due devono essere iscritti al Registro dei revisori contabili (ora, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 39/2010, di recepimento della direttiva 2006/43/CE, Registro dei revisori legali) e uno, con funzioni di presidente, deve essere scelto tra i magistrati amministrativi e contabili e tra gli avvocati dello Stato - e due supplenti. L’incarico, conferito con decreto rettorale, dura al massimo quattro anni, è rinnovabile una sola volta e non può essere conferito a personale dipendente della medesima università.



Nucleo di valutazione

Per il nucleo di valutazione dell’ateneo, le novità principali rispetto alla normativa previgente (L. n. 370/1999) attengono al fatto che esso è composto in prevalenza da soggetti esterni all’ateneo e che vi fa parte anche una rappresentanza degli studenti. Il coordinatore può essere individuato tra i professori di ruolo dell’ateneo.

Il nucleo ha funzioni di verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica, verifica dell'attività di ricerca svolta dai dipartimenti, verifica della congruità del curriculum scientifico o professionale degli esperti titolari dei contratti di insegnamento.

Il nucleo svolge anche, in raccordo con l’attività dell’ANVUR, le funzioni dell’organismo di valutazione della performance di cui all’art. 14 del d.lgs. 150/2009, relative alle procedure di valutazione delle strutture e del personale.

Come già nella legislazione previgente, non è stabilito un termine di durata dell’organo.



Avvicendamento e regime di prorogatio degli organi

Sono state previste disposizioni distinte per gli organi collegiali e per il rettore.

Per gli organi collegiali, è stata prevista la decadenza al momento della costituzione di quelli previsti dal nuovo statuto.

L’art. 49 del D.L. n. 5/2012 (L. 35/2012) ha esteso agli “organi monocratici elettivi” la previsione di decadenza al momento della costituzione di quelli previsti dai nuovi statuti. Al riguardo, il rappresentante del Governo, rispondendo all’interrogazione 5-06528 il 24 aprile 2012, ha chiarito che l’innovazione introdotta “non riguarda specificamente la carica rettorale, già disciplinata da disposizioni speciali, come tali prevalenti”. Peraltro, secondo quanto riferito dalla stampa “a livello ministeriale (…) si spiega che gli «organi monocratici elettivi» indicati dalla norma sono quelli a capo delle varie articolazioni universitarie, ma non i rettori, a cui continuano ad applicarsi le vecchie regole” (Il Sole 24 ore, 2 aprile 2012).

Per il mandato dei rettori sono state disciplinate diverse fattispecie. In particolare, è stato previsto che:



Articolazione interna delle università statali

In tale ambito, i criteri direttivi per le modifiche statutarie hanno riguardato, in particolare, l’attribuzione di un ruolo centrale ai dipartimenti.

 



Dipartimenti e strutture di raccordo

Al dipartimento competono sia funzioni di ricerca scientifica, sia attività didattiche e formative (queste ultime precedentemente attribuite alle facoltà), nonché attività rivolte all’esterno. Ad essi deve afferire un numero minimo di professori, ricercatori di ruolo e ricercatori a tempo determinato, appartenenti a settori scientifico-disciplinari omogenei.

La novità ha inteso ampliare le maglie del previgente assetto organizzativo, anche al fine di creare una base più ampia per la costituzione delle commissioni esaminatrici (Cfr. A.S. 1905, relazione introduttiva).

 E’ stata, peraltro, prevista la possibilità di istituire strutture di raccordo – comunque denominate – fra più dipartimenti (raggruppati secondo criteri di affinità disciplinare), in un numero proporzionale alle dimensioni dell’ateneo e comunque non superiore a dodici, con un proprio organo deliberante.

Ulteriore novità è stata costituita dalla previsione che in ogni dipartimento, o in ogni struttura di raccordo, è presente una commissione paritetica docenti-studenti, competente a svolgere attività di monitoraggio dell’offerta formativa, della qualità della didattica e dell’attività di servizio agli studenti, ad individuare indicatori per la valutazione dei risultati delle stesse e a formulare pareri sull’attivazione e sulla soppressione di corsi di studio.

 Per gli atenei con un organico inferiore a 500 unità è prevista la possibilità di darsi un’articolazione organizzativa interna semplificata, nell’ambito della quale le funzioni attribuite alle strutture di raccordo sono assegnate ai dipartimenti.



Rappresentanza degli studenti

La rappresentanza elettiva degli studenti nel senato accademico, nel consiglio di amministrazione, nel nucleo di valutazione, nell’organo deliberante delle strutture di raccordo, nella commissione paritetica docenti-studenti è stata confermata in misura non inferiore al 15%. Ogni mandato è di durata biennale ed è rinnovabile una sola volta.



Documenti e risorse web

CRUI - Elenco delle modifiche agli statuti universitari, a seguito della L. 240/2010

CRUI - Scadenze del mandato di alcuni rettori delle università statali

Approfondimento: La nuova disciplina per il reclutamento dei professori e ricercatori universitari



Premessa

La L. 240/2010, riprendendo il meccanismo a suo tempo previsto dalla L. 230/2005, ma mai diventato operativo, ha disposto che per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari (rispettivamente, ordinari e associati) è necessario acquisire un’abilitazione scientifica nazionale, che consente di partecipare alle procedure di chiamata indette dalle singole università.

Per i ricercatori, la L. 240/2010 ha confermato, anticipandola, la scelta, già fatta dalla L. 230/2005, di messa ad esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato. In particolare, ha disposto - previo il superamento di una selezione di ateneo – la stipula di un contratto a tempo determinato, articolato in due tipologie successive, e l'eventuale passaggio al ruolo degli associati, previo conseguimento dell'abilitazione.

Si tratta delle sole procedure che possono essere avviate a decorrere dal 29 gennaio 2011, data di entrata in vigore della legge indicata.



Accesso al ruolo dei professori universitari



L’abilitazione scientifica nazionale

L’abilitazione scientifica nazionale – prevista dall’art. 16 della L. 240/2010, come successivamente modificato dall’art. 49 del D.L. 5/2012 e dall’art. 1, co. 398, della L. 228/2012 – attesta la qualificazione scientifica necessaria per l’accesso alla prima e alla seconda fascia del ruolo dei professori, ha durata quadriennale e richiede requisiti differenti per la fascia dei professori ordinari e per quella dei professori associati. Il suo conseguimento non costituisce titolo di idoneità, né dà alcun diritto per il reclutamento in ruolo o per promozioni, se non nell’ambito delle procedure previste dagli artt. 18 e 24, commi 5 e 6, della medesima L. 240/2010 (v. infra).

Le procedure per il conseguimento dell'abilitazione sono svolte per settori concorsuali, raggruppati in macrosettori concorsuali. Ciascun settore concorsuale può essere articolato a sua volta in settori scientifico-disciplinari (art. 15, L. 240/2010).

I settori concorsuali sono stati determinati con DM 336/2011 e successivamente rideterminati con DM 159/2012.



Le procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale

Le modalità di espletamento delle procedure finalizzate al conseguimento dell’abilitazione sono state disciplinate con il DPR 222/2011 – emanato previo parere parlamentare –, cui ha fatto seguito il DM 76/2012.

In particolare, il DPR 222/2011, come modificato dall’art. 1, co. 399, della L. 228/2012, ha disposto che le procedure per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale sono indette ogni anno entro il mese di ottobre. Ha disposto inoltre, che esse devono concludersi (di regola) entro cinque mesi dalla pubblicazione del bando (salvi meccanismi di proroga e di eventuale sostituzione della commissione). L’art. 1, co. 398, della L. 228/2012, tuttavia, modificando l’art. 16 della L. 240/2010, ha disposto che il termine di cinque mesi decorre dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande da parte dei candidati.

Il primo bando è stato pubblicato il 27.7.2012. Il secondo bando è stato pubblicato il 28.1.2013.

Per l’espletamento delle procedure è prevista, ogni due anni, la costituzione di una commissione nazionale per ciascun settore concorsuale, composta da cinque membri, di cui quattro sono professori ordinari di università italiane sorteggiati all’interno di una lista formulata dal MIUR fra quanti – in possesso di determinati requisiti – abbiano avanzato domanda per esservi inclusi. Il quinto commissario è individuato mediante sorteggio all'interno di una lista, predisposta dall'ANVUR, composta da almeno quattro studiosi o esperti di pari livello, in servizio presso università di un Paese aderente all’OCSE, diverso dall'Italia.

La procedura per la formazione delle Commissioni nazionali è stata definita con Decreto Direttoriale 27 giugno 2012, n. 181, poi integrato con Decreto Direttoriale 10 agosto 2012, n. 251.

La commissione, deliberando a maggioranza dei quattro quinti dei componenti, attribuisce l'abilitazione con motivato giudizio espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare, e fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche presentati da ciascun candidato, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte. Essa può acquisire pareri scritti pro veritate da parte di esperti revisori.

Il mancato conseguimento dell'abilitazione preclude la partecipazione alle procedure di abilitazione indette nel biennio successivo per il medesimo settore concorsuale della medesima fascia, ovvero della fascia superiore.

Il DM 76/2012 ha, invece, definito i criteri e parametri utilizzabili ai fini della valutazione dei candidati e dell’accertamento della qualificazione degli aspiranti commissari. Con il medesimo decreto è stato fissato, altresì, il numero massimo di pubblicazioni, distinto per fascia e per area, che ciascun candidato può presentare nella procedura di abilitazione, comunque non inferiore a 12.

Con riferimento al conseguimento dell’abilitazione, gli artt. 4 e 5 del DM stabiliscono, rispettivamente per la prima e per la seconda fascia, che la commissione si attiene nella valutazione delle pubblicazioni scientifiche a criteri e parametri relativi tra l’altro, alla qualità della produzione scientifica, valutata all’interno del panorama internazionale della ricerca, sulla base dell’originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo. Per la valutazione dei titoli sono individuati diversi parametri cui la commissione deve attenersi, il primo dei quali è l’impatto della produzione scientifica complessiva, valutato sulla base di indicatori numerici specifici e delle relative regole di utilizzo (definiti negli allegati A e B al medesimo decreto).

In particolare, per ciascuno degli indicatori si calcola la mediana della distribuzione distintamente per i professori di prima e di seconda fascia di ogni settore concorsuale.

L’art. 1, co. 1, lett. p), del DM 76/2012 definisce mediana il valore di un indicatore o altra modalità prescelta per ordinare una lista di soggetti, che divide la lista medesima in due parti uguali.

Per i settori concorsuali individuati dall’Allegato A, ottengono una valutazione positiva dell’importanza e dell’impatto della produzione scientifica complessiva i candidati all’abilitazione i cui indicatori sono superiori alla mediana in almeno due degli indicatori bibliometrici (numero di articoli su riviste contenute nei principali database internazionali e pubblicate nei dieci anni precedenti la pubblicazione del bando; numero di citazioni ricevute; indice h di Hirsch, anch'esso fondato su numero di lavori e citazioni ricevute); per i settori concorsuali individuati dall’Allegato B, ottengono una valutazione positiva i candidati all’abilitazione i cui indicatori sono superiori alla mediana in almeno uno degli indicatori di attività scientifica non bibliometrici ivi individuati (numero di libri e numero di articoli su rivista e di capitoli su libro dotati di ISBN pubblicati nei dieci anni precedenti la pubblicazione del bando; numero di articoli su riviste riconosciute come eccellenti a livello internazionale per il rigore delle procedure di revisione e per la diffusione, stima e impatto nelle comunità degli studiosi del settore, c.d. “riviste di classe A”).

Ai sensi dell’art. 3 del DM, l’individuazione del tipo di pubblicazioni, la ponderazione di ciascun criterio e parametro da prendere in considerazione e l’eventuale utilizzo di ulteriori criteri e parametri più selettivi ai fini della valutazione delle pubblicazioni e dei titoli sono predeterminati dalla Commissione, con atto motivato pubblicato sul sito del MIUR e dell’università sede della procedura di abilitazione. La ponderazione dei criteri e dei parametri deve essere equilibrata e motivata.

Sulle modalità di calcolo degli indicatori da utilizzare ai fini della selezione degli aspiranti commissari e della valutazione dei candidati per l’abilitazione scientifica nazionale è intervenuta anche la delibera ANVUR n. 50/2012.

Sull’argomento, si ricorda peraltro, che, in risposta ad alcuni dubbi circa l’applicazione della nuova disciplina, formulati da più parti – ed esplicitati anche in vari atti di sindacato ispettivo, tra i quali la mozione n. 1/01152 –, il MIUR ha emanato in data 11 gennaio 2013 la circolare prot. n. 754 con la quale, ricordando che, di norma, l’abilitazione deve essere attribuita dalle commissioni esclusivamente ai candidati che soddisfino entrambe le condizioni (giudizio di merito della produzione scientifica e superamento degli indicatori di impatto della medesima produzione), è stato evidenziato che, come previsto dall’art. 6, co. 5, del DM 76/2012, le commissioni possono discostarsi da tale regola generale dandone rigorosa motivazione, sia in sede di predeterminazione dei criteri che di giudizio finale.

Ciò significa che “le commissioni possono non attribuire l’abilitazione a candidati che superano le mediane prescritte per il settore di appartenenza, ma con un giudizio di merito negativo della commissione, ovvero possono attribuire l’abilitazione a candidati che, pur non avendo superato le mediane prescritte, siano stati valutati dalla commissione con un giudizio di merito estremamente positivo”.



La chiamata da parte delle università

Ai sensi dell’art. 18 della L. 240/2010 – come modificato dall’art. 49 del D.L. 5/2012 – la chiamata dei professori di prima e di seconda fascia è disciplinata dalle università con proprio regolamento, nel rispetto dei principi da esso indicati. In particolare, possono essere ammessi al procedimento di chiamata:

L’idoneità conseguita ai sensi della L. 210/1998 è equiparata all'abilitazione limitatamente al periodo di durata della stessa (art. 29, co. 8, L. 240/2010). Inoltre, chi ha conseguito l'idoneità per i ruoli di professore associato e ordinario può essere ancora destinatario di chiamata ai sensi della L. 210/1998, fino al termine del periodo di durata dell'idoneità stessa (5 anni dal conseguimento) (art. 29, co. 4, L. 240/2010).

Fino al 31 dicembre del sesto anno successivo alla data di entrata in vigore della legge, possono essere sottoposti a valutazione da parte dell’ateneo, ai fini della chiamata nel ruolo di professore di prima e seconda fascia, secondo la procedura di cui all’art. 24, co. 5, L. 240/2010 (v. infra), i professori di seconda fascia e i ricercatori a tempo indeterminato in servizio nell’università che abbiano conseguito l’abilitazione scientifica (art. 24, co. 6, L. 240/2010).

Non possono partecipare ai procedimenti di chiamata coloro che hanno un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, o con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

I procedimenti di chiamata sono effettuati sulla base della programmazione triennale dei reclutamenti e si concludono previa valutazione delle pubblicazioni scientifiche (di cui le università possono stabilire il numero massimo che, comunque, anche in tal caso, non può essere inferiore a 12), del curriculum e dell’attività didattica degli studiosi. Le università, inoltre, possono accertare le competenze linguistiche del candidato in relazione al profilo plurilingue dell’ateneo ovvero alle esigenze didattiche dei corsi di studio in lingua estera.

Per consentire l’accesso a soggetti esterni all’ateneo, ciascuna università statale deve riservare le risorse corrispondenti ad almeno un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo alla chiamata di coloro che nell’ultimo triennio non hanno prestato servizio nella stessa università (ovvero non sono stati titolari di assegni di ricerca o iscritti a corsi universitari).

La proposta di chiamata è effettuata dal dipartimento con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei professori di prima fascia per la chiamata di professori di prima fascia e dei professori di seconda fascia per la chiamata di professori di seconda fascia ed è approvata con delibera del consiglio di amministrazione.



I contratti per ricercatori a tempo determinato

L’art. 24 della L. 240/2010 – come modificato dall’art. 49 del D.L. 5/2012 – individua due tipologie di contratto a tempo determinato per lo svolgimento di attività di ricerca, di didattica, di didattica integrativa e di servizio agli studenti.

I destinatari sono scelti mediante procedure pubbliche disciplinate con regolamento delle università, nel rispetto di alcuni criteri specifici. In particolare, sono ammessi alle procedure i possessori del titolo di dottore di ricerca o del diploma di specializzazione medica, nonché di eventuali ulteriori requisiti definiti dal regolamento di ateneo, con esclusione dei soggetti già assunti a tempo indeterminato come professori di prima o seconda fascia o come ricercatori, anche se cessati dal servizio.

In via transitoria, fino al 2015, possono partecipare alle procedure di selezione anche coloro che possiedono una laurea magistrale o equivalente e un curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca.

Il procedimento di selezione è articolato in due stadi (tranne nel caso in cui il numero dei candidati è pari o inferiore a sei):

Sono escluse prove scritte e orali, ad eccezione di una prova orale volta ad accertare l’adeguata conoscenza di una lingua straniera, che si svolge contestualmente alla discussione di titoli e pubblicazioni.

La prima tipologia di contratto ha durata triennale, prorogabile per due anni (3+2), per una sola volta, previa positiva valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte, effettuata sulla base di modalità, criteri e parametri definiti con DM 242/2011. I contratti possono prevedere il regime di tempo pieno o di tempo definito, con un impegno annuo complessivo per lo svolgimento di attività di didattica, didattica integrativa e servizio agli studenti pari, rispettivamente, a 350 e a 200 ore.

La seconda tipologia consiste in contratti triennali stipulati esclusivamente in regime di tempo pieno, non rinnovabili, ed è riservata a candidati che hanno usufruito di contratti di cui alla prima tipologia ovvero, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca o di borse post-dottorato, oppure di contratti, assegni o borse analoghi in università straniere, nonché a coloro che hanno usufruito per almeno tre anni di contratti a tempo determinato stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 14, della L. 230/2005.

Ai sensi dell’art. 24, co. 5, della L. 240/2010, il titolare del contratto che abbia conseguito l’abilitazione scientifica nazionale è sottoposto nel terzo anno di contratto alla valutazione dell’università, in conformità agli standard qualitativi riconosciuti a livello internazionale, individuati con un apposito regolamento di ateneo nell’ambito dei criteri fissati con DM 344/2011. Se la valutazione ha esito positivo, il titolare del contratto, alla scadenza dello stesso, è inquadrato come professore associato.

In particolare, a decorrere dal settimo anno, l’università può utilizzare le risorse corrispondenti fino alla metà dei posti disponibili di professore di ruolo per le chiamate a professore associato dei ricercatori che hanno svolto la seconda tipologia di contratto e siano stati valutati positivamente (art. 24, co. 6, ultimo periodo, L. 240/2010).

I contratti a tempo determinato non danno luogo a diritti in ordine all’accesso ai ruoli. Essi costituiscono titolo di preferenza nei concorsi per l’accesso alle pubbliche amministrazioni.

Per tutto il periodo di durata dei contratti, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono collocati, senza assegni, né contribuzione previdenziale, in aspettativa o in posizione di fuori ruolo nei casi in cui tale posizione sia prevista dagli ordinamenti di appartenenza.



Chiamata diretta di professori e di ricercatori

L’art. 1, co. 9, della L. 230/2005 – come modificato, da ultimo, dall’art. 29, co. 7, della L. 240/2010 – prevede che le università, nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, possono procedere alla copertura dei posti di professore ordinario e associato e di ricercatore mediante chiamata diretta di:

Il programma c.d. “Rientro dei cervelli” è stato avviato dal DM 13/2001, al fine di incentivare la mobilità di studiosi ed esperti italiani e stranieri stabilmente impegnati all’estero. In particolare, il DM aveva stabilito diversi stanziamenti, a valere sul FFO: per la stipula di contratti di diritto privato (di durata fino a tre anni accademici) con studiosi ed esperti italiani e stranieri stabilmente impegnati all’estero da almeno un triennio in attività didattica e scientifica; per sostenere specifici programmi di ricerca da affidare ai titolari dei contratti suddetti; per sostenere ed incentivare le chiamate nel ruolo della docenza di prima fascia di professori stranieri o italiani stabilmente impegnati all’estero in attività didattiche o di ricerca. Successivamente, prima con DM 501/2003, poi con il DM 18/2005, si è previsto che ogni anno un’apposita quota del FFO fosse destinata alla stipula di contratti da parte delle università statali con studiosi ed esperti stranieri o italiani stabilmente impegnati all’estero in attività didattica e di ricerca. Il programma si rivolgeva a studiosi di ogni disciplina e nazionalità, purché in possesso almeno del titolo di dottore di ricerca o equivalente. L’art. 1, co. 9, della L. 230/2005 ha, poi, sancito a livello legislativo la chiamata diretta di studiosi italiani impegnati all’estero.

Nell’ambito delle relative disponibilità di bilancio, le università possono altresì procedere alla copertura di posti di professore ordinario mediante chiamata diretta di studiosi di chiara fama.



Piano straordinario per la chiamata di professori associati

L’art. 1, co. 24, della L. di stabilità 2011 (L. 220/2010) ha incrementato la dotazione del FFO delle università per un importo pari a € 800 mln per il 2011 e a € 500 mln annui a decorrere dal 2012, destinandone una parte (non quantificata) al finanziamento di un piano straordinario per la chiamata di professori di seconda fascia per gli anni 2011-2016.

Successivamente, l’art. 29, co. 9, della L. 240/2010 – come modificato dall’art. 49, D.L. 5/2012 –, ha fissato la misura delle risorse aggiuntive riservate a tal fine in non più di € 13 mln per il 2011, € 93 mln per il 2012 ed € 173 mln a decorrere dal 2013 e ha stabilito che la chiamata deve essere effettuata secondo le procedure di cui agli artt. 18 e 24, co. 6, della medesima L. 240/2010, ovvero mediante chiamata diretta (art. 1, co. 9, L. 230/2005). La disciplina per l’utilizzo delle risorse è stata demandata ad un decreto del MIUR, di concerto con il MEF, previo parere conforme delle Commissioni parlamentari.

In attuazione, sono stati emanati i DI 15 dicembre 2011 e DI 28 dicembre 2012 che hanno indicato, rispettivamente, i criteri per l’utilizzo delle risorse per il 2011 e per il 2012-2013.

Sull’argomento si ricorda che, ai sensi dell’art. 14, co. 2-quinquies, D.L. 216/2011, le risorse destinate al piano per il 2012 e 2013 sono da ripartire tra tutte le università statali e le istituzioni ad ordinamento speciale.



Documenti e risorse web

ANVUR, Abilitazione scientifica nazionale

Approfondimento: Misure per la qualità del sistema universitario



Le misure per la qualità del sistema universitario: dal D.L. 180/2008 alla L. 240/2010

Al fine di promuovere l’incremento qualitativo delle attività delle università statali e di migliorare l’efficacia e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse, l’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 1/2009) – sul quale è poi intervenuto anche l’art. 13 della L. 240/2010 – ha previsto che, a decorrere dal 2009, una quota non inferiore al 7% (con incrementi negli anni successivi) del Fondo di finanziamento ordinario di cui all’art. 5 della L. 537/1993 – nonché del fondo straordinario per l’incremento dell’efficienza e dell’efficacia del sistema universitario istituito, per gli anni 2008-2010, dall’art. 2, co. 428, L. 244/2007 – è ripartita fra le università in base alla qualità dell’offerta formativa e dei risultati dei processi formativi, alla qualità della ricerca scientifica, alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche.

Il decreto ministeriale recante i criteri di ripartizione del FFO per l’anno 2010 ha riservato a tale quota premiale circa il 10% del totale delle risorse disponibili. Nei decreti di riparto relativi agli anni successivi, la quota premiale è stata pari al 12% e al 13% del totale (rispettivamente per il 2011 e per il 2012).

 Misure per promuovere la qualità delle attività didattiche e di ricerca sono state previste anche per le università non statali legalmente riconosciute dall’art. 12 della L. 240/2010, che ha stabilito che una quota non superiore al 20% dei contributi statali – erogati ai sensi della L. 243/1991 – , da incrementare progressivamente, è ripartita sulla base di criteri determinati tenuto conto degli indicatori previsti per le università statali.

 L’adozione di misure volte a valorizzare la qualità e l'efficienza delle università è stata, più in generale, oggetto della delega recata dall’art. 5 della stessa L. 240/2010 che, a tal fine, ha previsto:



Il D.Lgs. 19/2012

In attuazione della delega, il d.lgs. 19/2012 ha disciplinato l’introduzione del sistema nazionale di valutazione, assicurazione della qualità e accreditamento delle università, articolato in un sistema integrato di Autovalutazione, Valutazione periodica (esterna) e Accreditamento iniziale e periodico (c.d. AVA).

Tali disposizioni si applicano a tutte le istituzioni universitarie, statali e non statali, compresi gli istituti universitari ad ordinamento speciale e le università telematiche.

Con riferimento ai corsi di studio, tuttavia, le disposizioni sull’accreditamento non si applicano ai corsi di dottorato di ricerca, per i quali la disciplina è recata – in attuazione dell’art. 19 della L. 240/2010 – dal DM 8 febbraio 2013, n. 94.

Inoltre, il medesimo d.lgs. 19/2012 ha stabilito che la quota premiale di cui all’art. 2 del D.L. 180/2008 è ripartita annualmente tra gli atenei migliori, sulla base della relazione predisposta dall’ANVUR sui risultati dell’attività di monitoraggio e di autovalutazione, in cui sono evidenziati:

I nuovi sistemi di accreditamento e di valutazione entrano in vigore dall’a.a. successivo a quello di definizione degli indicatori.



Il sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio



Accreditamento iniziale

Il d.lgs. 19/2012 dispone che l’accreditamento iniziale – ossia l’autorizzazione ministeriale ad attivare sedi e corsi di studio – comporta l’accertamento della rispondenza degli stessi agli indicatori definiti ex ante dall’ANVUR, volti a misurare requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e della ricerca.

L’accreditamento delle sedi e dei corsi di studio è concesso (o negato) con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, su conforme parere dell’ANVUR.

In particolare, per sedi e corsi di studio già esistenti/attivati alla data di entrata in vigore del d.lgs., la procedura di accreditamento è rimessa ad un programma, stabilito dall’ANVUR, di durata massima quinquennale. Qualora non ottengono l’accreditamento iniziale, le sedi già esistenti e i corsi già attivati sono soppressi. Conseguentemente, l’ANVUR può proporre la federazione o fusione delle predette sedi ovvero l’accorpamento dei suddetti corsi o altre misure di razionalizzazione dell'offerta formativa.

La procedura di accreditamento di nuove sedi ha, invece, inizio con la presentazione al MIUR della richiesta di istituzione della sede e di contestuale accreditamento dei nuovi corsi che vi si intendono istituire. L’eventuale esito negativo dell’accreditamento di uno o più corsi non preclude l’accreditamento iniziale della sede.

Con riferimento all’accreditamento di nuovi corsi presso sedi già esistenti, è prevista la verifica preliminare – in ordine al rispetto degli indicatori di accreditamento iniziale definiti dall’ANVUR – da parte del nucleo di valutazione interna dell’università.



Definizione e monitoraggio degli indicatori per l’accreditamento

Gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari sono definiti dall’ANVUR – tenendo conto degli standard e delle linee guida stabilite dall’Associazione europea per l’assicurazione della qualità del sistema universitario, degli obiettivi qualitativi definiti annualmente dal MIUR, delle linee generali di indirizzo della programmazione triennale delle università, e dell’accertamento della sostenibilità economico-finanziaria – e adottati con decreto ministeriale.

In attuazione, è intervenuto il DM 30 gennaio 2013, n. 47 con il quale, tra l’altro, sono stati definiti i requisiti didattici, di qualificazione della ricerca, strutturali, organizzativi e di sostenibilità economico-finanziaria per l’accreditamento iniziale dei corsi di studio e delle sedi (rispettivamente, allegati A e B).

In base al d.lgs. 19/2012, gli indicatori sono revisionati periodicamente, con cadenza triennale per quelli relativi ai corsi di studio e quinquennale per quelli relativi alle sedi, al fine, fra l’altro, di tener conto degli esiti dell’attività di monitoraggio sulla loro applicazione.

Quest’ultima è svolta dall’ANVUR, avvalendosi del contributo dei nuclei di valutazione interna, i quali devono predisporre una relazione quinquennale sui risultati dell’applicazione degli indicatori alle sedi e una relazione triennale sui risultati dell’applicazione degli indicatori ai corsi di studio. Ferme restando tali scadenze, i nuclei devono comunicare tempestivamente l’eventuale mancata rispondenza delle sedi o dei corsi agli indicatori.

I risultati dell’attività di monitoraggio confluiscono nel Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca (il quale, ai sensi dell’art. 4, co. 3, del DPR 76/2010, è presentato, con cadenza biennale, dall’ANVUR al Ministro, che lo trasmette a sua volta a Governo, CIPE e Parlamento).



Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio

L’accreditamento periodico è basato sulla verifica della persistenza dei requisiti accertati per l’accreditamento iniziale, su ulteriori indicatori (anch’essi definiti ex ante dall’ANVUR – all. C del già citato DM 47/2013) e sugli esiti della valutazione periodica, ed è effettuato almeno ogni 5 anni per le sedi e almeno ogni 3 anni per i corsi di studio.

All’esito di tale verifica e in base alle risultanze dell’attività di monitoraggio sopra descritta, l’ANVUR propone al Ministero il mantenimento o la revoca dell’accreditamento della sede o dei corsi di studio. L’Agenzia può proporre, altresì, l’accorpamento dei corsi ovvero l’attivazione delle procedure di federazione e fusione di atenei e di razionalizzazione dell’offerta formativa.

La conferma – o la revoca – dell’accreditamento è disposta con decreto del ministro, su conforme parere dell’ANVUR.

 

 



Il sistema di accreditamento per i collegi universitari

Sulla base della delega recata dal medesimo art. 5 della L. 240/2010, il d.lgs. 68/2012 ha introdotto un sistema di riconoscimento e successivo accreditamento anche per i collegi universitari, subordinando a quest’ultimo l’assegnazione dei finanziamenti statali.

Nello specifico, il decreto legislativo ha disposto che, ai fini del riconoscimento da parte del MIUR, il collegio universitario deve dimostrare di possedere requisiti e standard minimi a carattere istituzionale, logistico e funzionale. L’accreditamento è concesso, in presenza di ulteriori requisiti, ai collegi universitari che abbiano ottenuto il riconoscimento da almeno cinque anni.



Il sistema di valutazione periodica (VP)

Nell’ambito del sistema integrato AVA, il d.lgs. 19/2012 ha demandato ad un decreto ministeriale l’adozione di criteri e indicatori, definiti dall’ANVUR, per la valutazione periodica dell’efficienza, della sostenibilità economico-finanziaria e dei risultati conseguiti dalle singole università e dalle loro articolazioni interne nell’ambito delle attività di didattica e ricerca.

I criteri e gli indicatori – elaborati sulla base degli stessi elementi utilizzati per la definizione dei parametri per l’accreditamento – sono soggetti a revisione periodica con cadenza triennale, anche al fine di tener conto degli esiti dell’attività di monitoraggio sulla loro applicazione, svolta dall’ANVUR. Anche i risultati di tale attività di monitoraggio confluiscono nel Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca.

In attuazione di tali previsioni, il citato DM 47/2013 (allegati E ed F) ha definito gli indicatori e parametri per la valutazione periodica delle attività formative, nonché quelli per la valutazione periodica della ricerca e delle attività di terza missione (brevetti, spin-off e altro, attività di “terza missione” rispetto a quelle formative e di ricerca) (v. Anvur, VQR 2004-2010, Bando di partecipazione, 7 novembre 2011).



Il potenziamento del sistema di autovalutazione

In base al d.lgs. 19/2012, i nuclei di valutazione interna svolgono il controllo annuale dell’applicazione dei criteri e degli indicatori per la valutazione periodica. A tal fine le università adottano metodologie interne di monitoraggio, anche prevedendo autonomi indicatori, adeguatamente armonizzati con quelli definiti dall’ANVUR.

Gli esiti dell’attività di controllo confluiscono nella relazione annuale dei nuclei di valutazione interna – redatta sulla base di specifiche indicazioni dell’ANVUR – che i nuclei trasmettono al MIUR e all’ANVUR. Nella relazione annuale i nuclei tengono conto, altresì, delle proposte inserite nella relazione annuale delle commissioni paritetiche docenti-studenti (di cui all’art. 2, co. 2, lett. g), L. 240/2010).

Le proposte delle commissione paritetiche – finalizzate a migliorare la qualità e l’efficacia delle strutture didattiche – sono elaborate anche sulla base delle risultanze di questionari somministrati agli studenti.

Approfondimento: Il diritto allo studio nell'istruzione universitaria



Il dettato costituzionale e la L. 240/2010

Le radici del diritto allo studio universitario sono rinvenibili negli artt. 3 e 34 della Costituzione.

Infatti, il secondo comma dell’art. 3 affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

L’art. 34 prevede, per quanto qui interessa, che i capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e stabilisce che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

 La riforma del titolo V della parte II della Costituzione – operata con la L. cost. 3/2001 – ha attribuito alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.).

Nell’ambito di tale titolo, la potestà legislativa in materia di diritto allo studio universitario spetta poi esclusivamente alle regioni, non rientrando né tra le materie di potestà esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente.

In precedenza, invece, era stato realizzato un sistema di concorrenza tra norme statali e norme regionali, prima con l’art. 44 del DPR 616/1977 - attraverso il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative esercitate dallo Stato in materia di assistenza scolastica a favore degli studenti universitari -, e, successivamente, con la L. 390/1991, mediante l’attribuzione allo Stato delle funzioni di indirizzo, coordinamento e programmazione in materia di diritto agli studi universitari, e alle regioni del compito di attivare gli interventi.

 Nel contesto costituzionale descritto, l’art. 5 della L. 240/2010 ha conferito al Governo una delega per la revisione – in attuazione del titolo V – della normativa di principio in materia di diritto allo studio, al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano l’accesso all’istruzione superiore, e per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) erogate dalle università statali.



La normativa vigente in materia di diritto allo studio: in particolare, il D.Lgs. 68/2012

In attuazione della delega recata dalla L. 240/2010, è stato emanato il d.lgs. 68/2012, le cui disposizioni hanno effetto a decorrere dall’a.a. 2012-2013 e riguardano gli studenti iscritti ai corsi svolti dalle università, dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) e dalle Scuole superiori per mediatori linguistici abilitate a rilasciare titoli equipollenti ai diplomi di laurea conseguiti presso le università.



La ripartizione delle competenze

L’art. 3 del d.lgs. 68/2012 prevede un sistema integrato di strumenti e servizi per la garanzia del diritto allo studio, al quale partecipano, nell’ambito delle rispettive competenze, diversi soggetti. In particolare:

 L’art. 12, inoltre, attribuisce al MIUR il compito di promuovere accordi di programma e protocolli di intese per favorire il raccordo tra le diverse istituzioni che concorrono al successo formativo degli studenti e potenziare la gamma di servizi e interventi posti in essere dalle stesse.



Gli strumenti per il conseguimento del successo formativo

L’art. 6 del d.lgs. 68/2012 indica gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo. Si tratta, in particolare, di servizi abitativi e di ristorazione, attività a tempo parziale, trasporti, assistenza sanitaria, accesso alla cultura, servizi di orientamento e tutorato, servizi per la mobilità internazionale, materiale didattico, nonché, per gli studenti meritevoli, anche se privi di mezzi, in possesso di determinati requisiti (v. infra), borse di studio. Regioni, province autonome, università, istituzioni AFAM, possono definire altri servizi.

L’entità, le modalità di erogazione e i requisiti per l’accesso ai servizi (ad eccezione delle borse di studio) sono stabiliti da regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM – per gli interventi di rispettiva competenza – in coerenza con i requisiti economici fissati per l’accesso alle borse di studio (art. 8, co. 4, d.lgs. 68/2012). A tal fine, i soggetti indicati utilizzano risorse proprie (art. 18, co. 9, d.lgs. 68/2012).



La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni

L’art. 7 del d.lgs. 68/2012 definisce i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) per il conseguimento del pieno successo formativo con riferimento all’assistenza sanitaria e alla borsa di studio.

In particolare, i LEP di assistenza sanitaria – garantiti a tutti gli studenti iscritti ai corsi, uniformemente su tutto il territorio nazionale – consistono nella fruizione dell’assistenza sanitaria di base nella regione o provincia autonoma in cui ha sede l’università (o istituzione AFAM) cui gli studenti sono iscritti, anche se diversa da quella di residenza.

Con riferimento alla borsa di studio, stabilisce che la determinazione dell’importo standard – cui si provvede con decreto MIUR-MEF, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentito il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU) – tiene in considerazione le differenze territoriali correlate ai costi di mantenimento agli studi. Questi ultimi sono calcolati, in maniera distinta per gli studenti in sede, pendolari o fuori sede, con riferimento alle voci di costo riferite a materiale didattico, trasporto, ristorazione, alloggio, accesso alla cultura.

Il decreto è aggiornato con cadenza triennale.

Una bozza di decreto interministeriale è attualmente all’esame della Conferenza Stato-regioni.

 Per l’a.a. 2012/2013, il DM 22 maggio 2012 – esplicitamente intervenuto nelle more dell’entrata in vigore della normativa di revisione in materia di diritto allo studio – ha definito gli importi minimi delle borse di studio in € 4.905,40 per gli studenti fuori sede, € 2.704,27 per gli studenti pendolari, € 1.848,95 per gli studenti in sede.



I requisiti per la concessione delle borse di studio

In base all’art. 8 del d.lgs. 68/2012, la concessione delle borse di studio è assicurata, nei limiti delle risorse disponibili, a tutti gli studenti in possesso dei requisiti relativi al merito e alla condizione economica definiti con il medesimo decreto interministeriale che fissa con cadenza triennale l’importo della borsa di studio.

Nelle more dell’emanazione del provvedimento, continuano ad applicarsi le disposizioni relative ai requisiti di merito e di condizione economica recate dal DPCM 9 aprile 2001.

Il DPCM 9 aprile 2001 individua i requisiti di merito utilizzando come parametro i crediti formativi universitari (CFU).

Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell’ISEE. Sono previste come modalità integrative di selezione l’Indicatore della situazione economica all’estero e l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente. I limiti massimi di ciascun indicatore – entro cui regioni, province autonome e università (per gli interventi di rispettiva competenza) possono fissare la soglia massima – sono aggiornati annualmente con decreto ministeriale.

Per l’a.a. 2012/2013, un ulteriore DM 22 maggio 2012 – anch’esso esplicitamente intervenuto nelle more dell’entrata in vigore della normativa di revisione in materia di diritto allo studio – ha fissato i limiti massimi dell'ISEE tra i 15.093,53 ed i 20.124,71 euro e i limiti massimi dell'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente tra i 26.413,70 ed i 33.960,46 euro.

 Con riguardo ai requisiti di merito, il d.lgs. 68/2012 stabilisce che essi sono stabiliti tenendo conto della durata normale dei corsi di studio, anche con riferimento ai valori mediani della relativa classe.

Le condizioni economiche saranno individuate sulla base dell’ISEE, anche tenendo conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l’università o l’istituzione AFAM. Il d.lgs. dispone, inoltre, che si prevedono modalità integrative di selezione, quali l’Indicatore della situazione economica all’estero e l’Indicatore della situazione patrimoniale equivalente.



Il sistema di finanziamento delle borse di studio

L’art. 18 del d.lgs. 68/2012 dispone che – nelle more della completa definizione dei LEP e dell’attuazione delle disposizioni in materia di federalismo fiscale (d.lgs. 68/2011) – al fabbisogno finanziario necessario per garantire la concessione delle borse di studio si provvede, in particolare, attraverso:

In particolare, sul Fondo confluiscono le risorse del “Fondo integrativo per la concessione di borse di studio e prestiti d'onore” (art. 16, L. 390/1991). I criteri e le modalità di riparto saranno definiti con il D.I. che fissa l’importo della borsa di studio.

Per l’anno 2013, il DM 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli, reca in corrispondenza del Fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (cap. 1710, stato di previsione del MIUR) un importo pari a € 150,6 milioni.

La misura minima della tassa regionale è fissata, rispettivamente per le diverse fasce, in € 120, € 140 e € 160. Le regioni e le province autonome possono stabilire l’importo della tassa fino ad un massimo di € 200 (da aggiornare annualmente, in base al tasso di inflazione programmato). Qualora non vi provvedano, la stessa è fissata in € 140.



Il prestito d’onore

L’art. 3 del d.lgs. 68/2012 dispone che regioni, province autonome, università e istituzioni AFAM – nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio, e sulla base di criteri definiti con decreto MIUR-MEF, sentita la Conferenza Stato-regioni – disciplinano le modalità per la concessione di prestiti d’onore agli studenti che possiedono i requisiti di merito.

Il decreto non risulta ancora emanato.

I medesimi soggetti possono altresì concedere un prestito d’onore aggiuntivo rispetto alla borsa di studio – a condizioni agevolate e in misura massima pari all’importo della borsa – agli studenti iscritti ai corsi di laurea magistrale e di dottorato (nonché agli studenti iscritti almeno al quarto anno dei corsi di laurea magistrale a ciclo unico), in possesso dei requisiti per l’accesso alle borse di studio.



Tassa di iscrizione e contributi universitari

L’art. 9 del d.lgs. 68/2012 dispone l’esonero totale dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti in possesso dei requisiti per l’accesso alle borse di studio, gli studenti disabili con un’invalidità pari almeno al 66%, gli studenti stranieri beneficiari di borsa di studio erogata dal Governo italiano nell’ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo e degli accordi intergovernativi culturali e scientifici, gli studenti costretti a interrompere gli studi a causa di infermità gravi e prolungate (per il periodo di infermità), gli studenti che intendono ricongiungere la carriera dopo un periodo di interruzione.

Le università statali e le istituzioni AFAM – nei limiti delle proprie disponibilità di bilancio – possono disporre autonomamente ulteriori esoneri (totali o parziali) dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari, tenuto conto della condizione economica degli studenti (che rileva, insieme con altri elementi, ai fini della graduazione dei contributi), in favore di studenti diversamente abili con invalidità inferiore al 66%, studenti che concludono gli studi entro i termini previsti dai rispettivi ordinamenti con regolarità nell’acquisizione dei crediti previsti dal piano di studi, studenti che svolgono una documentata attività lavorativa.

L’art. 9 del d.lgs. 68/2012 prevede anche che le università non statali legalmente riconosciute devono riservare una quota del contributo statale di cui alla L. 243/1991 per l’esonero totale in favore degli studenti in possesso dei requisiti di accesso alla borsa di studio e degli studenti disabili con invalidità superiore al 66%, nonché per eventuali ulteriori esoneri autonomamente stabiliti. Al tal fine, con il riparto dei contributi di cui alla L. 243/1991 sono definiti specifici incentivi che tengono conto dell’impegno nelle politiche per il diritto allo studio.

 In materia, l’art. 5 del DPR 306/1997 – come modificato dall’art. 7, co. 42, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) – dispone che, con riguardo ai soli studenti in corso, il totale della contribuzione studentesca (contributi universitari e tassa di iscrizione) non può eccedere il limite del 20% del finanziamento ordinario annuale dello Stato (FFO).

L’ammontare della contribuzione degli studenti fuori corso non è invece computata ai fini del raggiungimento del limite del 20%. I relativi importi possono essere incrementati dalle università fino al doppio di quelli stabiliti per gli studenti in corso, secondo limiti e criteri individuati con decreto annuale del MIUR. Tali incrementi sono destinati, in misura pari almeno al 50%, a integrare le risorse disponibili per le borse di studio e, per la parte residua, a finanziare altri interventi di sostegno al diritto allo studio.

Per tre anni accademici a decorrere dall’a.a. 2013/2014, l’incremento della contribuzione per gli studenti in corso il cui ISEE familiare non superi i 40 mila euro non può essere maggiore dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività.



Servizi abitativi

Il d.lgs. 68/2012 dispone la collaborazione fra i soggetti che offrono servizi per il diritto allo studio, per il potenziamento dell'offerta abitativa nazionale e per la programmazione integrata della disponibilità di alloggi pubblici e privati.

In particolare, l’art. 13 demanda ad un decreto adottato dal MIUR, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentito il CNSU, la definizione, fra l’altro, delle caratteristiche tecniche peculiari delle diverse tipologie di alloggio.

Il decreto non risulta ancora emanato.

Con riguardo agli utenti delle strutture, l’art. 14 del d.lgs. prevede che agli studenti universitari venga destinata la prevalenza delle giornate di presenza (su base annua).

E’ inoltre consentito destinare i posti alloggio a dottorandi, borsisti, assegnisti, docenti e altri esperti coinvolti nell'attività didattica e di ricerca (eventualmente prevedendo una contribuzione alle spese differenziata), o a soggetti diversi, in particolare nei periodi di chiusura estiva.



Attività di collaborazione a tempo parziale per gli studenti

L’art. 11 del d.lgs. 68/2012 dispone che le università, le istituzioni AFAM e gli enti delle regioni e delle province autonome erogatori dei servizi per il diritto allo studio disciplinano con propri regolamenti forme di collaborazione degli studenti ad attività connesse ai servizi offerti (escluse attività di docenza, svolgimento di esami e assunzione di responsabilità amministrative). L’assegnazione delle collaborazioni avviene nei limiti delle rispettive risorse e sulla base di graduatorie formulate secondo criteri di merito e condizione economica.

Le prestazioni richieste non possono superare le 200 ore per a.a., per un importo massimo di 3.500 euro annui (esente da imposte). Il corrispettivo orario è determinato dalle università o dalle istituzioni, che provvedono anche alla copertura assicurativa contro gli infortuni.

Tale forma di collaborazione non si configura come rapporto di lavoro subordinato e non dà luogo ad alcuna valutazione ai fini dei pubblici concorsi.



Monitoraggio sull’attuazione del diritto allo studio

L'art. 20 del d.lgs. 68/2012 dispone l’istituzione – con decreto del MIUR – dell’Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario, cui compete, in particolare, la creazione di un sistema informativo per il monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni recate dal d.lgs., anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio.

Entro il mese di marzo di ogni anno l'Osservatorio presenta al MIUR una relazione annuale sull'attuazione del diritto allo studio.

A sua volta il Ministro presenta al Parlamento, ogni 3 anni, un rapporto sull'attuazione del diritto allo studio.



Fondo per il merito

Al fine di promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti universitari, l’art. 4 della L. 240/2010 ha istituito presso il MIUR un Fondo destinato a erogare premi di studio (a fondo perduto) e buoni studio (di cui una quota, determinata in relazione ai risultati accademici conseguiti, corrisposta in forma di prestito) e a costituire una garanzia per finanziamenti concessi agli studenti.

I beneficiari delle provvidenze sono individuati, per gli iscritti al primo anno per la prima volta, mediante prove nazionali standard e, per gli iscritti agli anni successivi al primo, mediante criteri nazionali standard di valutazione.

 Successivamente, l’art. 9 del D.L. 70/2011 (L. 106/2011) ha istituito la Fondazione per il merito, come strumento operativo cui viene affidata la gestione del Fondo.

In particolare, la Fondazione attua il coordinamento operativo della somministrazione delle prove nazionali standard – cui partecipano gli studenti dopo l’esame di maturità – e disciplina criteri e modalità di utilizzo del Fondo, inclusa la ripartizione delle relative risorse tra le differenti destinazioni.

Alla Fondazione possono affluire capitali pubblici e privati. In particolare, per la costituzione del fondo di dotazione della Fondazione, l’art. 9, co. 15, del D.L. 70/2011 ha autorizzato la spesa di 9 milioni di euro per il 2011 e di 1 milione di euro a decorrere dal 2012.

Approfondimento: Contabilità, dissesto finanziario e commissariamento delle università e novità in materia di tesoreria unica



La nuova disciplina di contabilità degli atenei

L’art. 5 della L. 240/2010 ha delegato il Governo a rivedere la disciplina della contabilità degli atenei al fine di garantirne coerenza con la programmazione triennale di ateneo e maggiore trasparenza e omogeneità, nonché di consentire l’individuazione della esatta condizione patrimoniale dell’ateneo e dell’andamento complessivo della gestione.

 Il d.lgs. 18/2012, conseguentemente emanato, ha disposto che, entro il termine del 1° gennaio 2014, le università devono adottare un sistema di contabilità economico-patrimoniale e il bilancio unico di ateneo, e dotarsi di sistemi e procedure di contabilità analitica, ai fini del controllo di gestione.

Per le università che hanno adottato il sistema di contabilità economico-patrimoniale e il bilancio unico entro il 1° gennaio 2013, è stata prevista la concessione di una quota a valere sul FFO per il 2011 e 2012. Al riguardo, il DM 16 aprile 2012 n. 71, recante criteri di ripartizione del FFO per l’anno 2012, ha destinato a tale finalità € 500.000, da ripartire secondo le modalità indicate nell’all. 5. La stessa cifra era stata destinata per il 2011 dall’art. 12 del DM 3 novembre 2011, n. 439, recante criteri di ripartizione del FFO per l’anno 2011.

 In particolare, in base alle nuova normativa – che deve essere completata con l’emanazione di vari atti secondari – il quadro informativo economico-patrimoniale delle università è formato da: bilancio unico d’ateneo di previsione annuale autorizzatorio; bilancio unico d’ateneo di previsione triennale; bilancio unico d’ateneo di esercizio; bilancio consolidato con le proprie aziende, società o altri enti controllati.

Le sole università considerate amministrazioni pubbliche ai sensi della L. 196/2009 sono tenute anche a predisporre un bilancio preventivo unico d’ateneo non autorizzatorio e un rendiconto unico d’ateneo in contabilità finanziaria, al fine di consentire il consolidamento e il monitoraggio dei conti delle amministrazioni pubbliche.

Le medesime università considerate amministrazioni pubbliche predispongono il bilancio unico d’ateneo di previsione annuale strutturandolo in centri di responsabilità dotati di autonomia gestionale e amministrativa – la stessa attribuita ora ai dipartimenti, in luogo della pregressa “autonomia finanziaria ed amministrativa” – , nonché un apposito prospetto (da allegare al bilancio unico d’ateneo di previsione annuale e al bilancio unico d’ateneo di esercizio) contenente la classificazione della spesa complessiva per missioni e programmi.

Con riguardo ai termini annuali di approvazione dei documenti, si stabilisce che le università considerate amministrazioni pubbliche predispongono il bilancio unico d'ateneo di previsione annuale autorizzatorio, il bilancio unico d'ateneo di previsione triennale e il bilancio preventivo unico d'ateneo non autorizzatorio in contabilità finanziaria entro il 31 dicembre dell'anno precedente all'esercizio di riferimento.

Il bilancio unico d'ateneo d'esercizio (nonché, per le sole università considerate amministrazioni pubbliche, il rendiconto unico d'ateneo in contabilità finanziaria) è approvato entro il 30 aprile di ciascun anno ed è accompagnato da una relazione del collegio dei revisori dei conti che attesta la corrispondenza del documento alle risultanze contabili e che contiene valutazioni e giudizi sulla regolarità amministrativo-contabile della gestione e proposte in ordine alla sua approvazione.

 Il sistema è monitorato dalla Commissione per la contabilità economico-patrimoniale delle università.

 La nuova disciplina si applica alle “università non statali legalmente riconosciute” solo per la parte relativa all’adeguamento degli schemi di bilancio e dei principi contabili per “ragioni di comparazione e per gli obblighi di trasmissione legati al contributo pubblico di cui beneficiano” (Cfr. Atto del Governo n. 395, relazione illustrativa).



Rientro del sistema universitario nel regime di Tesoreria unica

L'art. 35, co. 8-13, del D.L. 1/2012 (L. 27/2012) ha previsto che, fino al 31 dicembre 2014, è sospeso lo speciale regime di tesoreria unica (c.d. “misto”, art. 7, d.lgs. 279/1997) – esteso, a decorrere dal 1999, anche alle università statali dall'art. 51, co. 3, L. 449/1997 – e, dunque, anche per le università torna ad applicarsi l’ordinarioregime di tesoreria unica (art. 1, L. 720/1984).

In sostanza, mentre con il regime speciale le università erano tenute a versare in tesoreria unica soltanto le entrate provenienti dal bilancio dello Stato (le entrate “proprie”, escluse dal riversamento nella tesoreria statale, dovevano essere depositate direttamente presso il sistema bancario e utilizzate prioritariamente per i pagamenti), con il regime ordinario di tesoreria unica tutte le entratedevono essere versate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.

In base alle disposizioni citate, il sistema di tesoreria unica è inoltre reintrodotto, fino all’adozione del bilancio unico di ateneo, anche per i dipartimenti universitari e gli altri centri di responsabilità dotati di autonomia gestionale e amministrativa, che ne erano fuoriusciti a decorrere dal 1999 (art. 29, co. 10, L. 448/1998, ora abrogato). E’ pertanto venuta meno la possibilità per i dipartimenti di utilizzare le proprie entrate per i pagamenti, senza versarle nella tesoreria statale.

Successivamente, a decorrere dall'adozione del bilancio unico d'ateneo –dunque, al massimo dal 1° gennaio 2014 –, le risorse liquide delle università, comprese quelle dei dipartimenti e degli altri centri dotati di autonomia gestionale e amministrativa, sono gestite in maniera accentrata. Si tratta, cioè, dell’introduzione di un sistema c.d. “cash pooling”.

Al riguardo, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, intervenendo il 29 novembre 2011 presso la VII Commissione della Camera nell’ambito dell’esame dello schema di decreto legislativo relativo al nuovo sistema di contabilità delle università, aveva evidenziato che, in alcune esperienze, si era cercato di ovviare alla dicotomia tra il bilancio dell'ateneo e il bilancio dei singoli dipartimenti – per cui si verificava che il bilancio di ateneo fosse costantemente senza cassa, mentre quello dei dipartimenti poteva finanziare gli investimenti avendo disponibili in cassa somme più o meno consistenti – con la modalità del cash pooling, vale a dire accentrando in capo ad un unico soggetto giuridico la gestione delle correnti disponibilità finanziarie, al fine di ottenere la miglior gestione della tesoriera aziendale in relazione ai rapporti con gli istituti di credito.



Disciplina del dissesto finanziario e del commissariamento delle università

Un ulteriore obiettivo fissato dalla L. 240/2010 – nell’ambito dell’art. 5 già citato – concerne l’individuazione di meccanismi di commissariamento in caso di dissesto finanziario degli atenei.

 In attuazione della delega, è stato emanato il d.lgs. 199/2011, le cui disposizioni – che si applicano a tutte le università statali, compresi gli istituti universitari ad ordinamento speciale – produrranno a pieno i loro effetti con l’adozione della contabilità economico-patrimoniale (nelle more, si applica una disciplina transitoria).

A regime, il provvedimento prevede, innanzitutto, che il Collegio dei revisori dei conti dell’ateneo, con la relazione annuale al bilancio unico di esercizio ed entro il 30 aprile di ciascun anno, verifica la condizione economica, finanziaria e patrimoniale dell’università applicando alle risultanze del bilancio unico d’esercizio i parametri economico-finanziari che saranno definiti con successivo regolamento.

Tali parametri individuano i valori critici e deficitari relativi a: sostenibilità del costo complessivo del personale di ruolo e di quello a tempo determinato rispetto alle entrate complessive; sostenibilità del costo dell’indebitamento; andamento e relazione tra proventi e costi della gestione corrente; andamento delle dinamiche dei crediti e dei debiti; presenza di anticipazioni di tesoreria negli ultimi due esercizi; adeguatezza dei fondi di riserva a garanzia dei contenziosi in corso; indicatori di regolarità contributiva previdenziale ed assistenziale.

All’esito di differenti combinazioni di valori critici e/o deficitari dei parametri, il decreto individua due distinte situazioni – di gravità crescente – cui solo eventualmente può far seguito il commissariamento dell’ateneo.



Situazione di criticità

La sussistenza di una situazione di criticità ricorre quando determinati parametri presentano valori compresi tra il livello critico e quello deficitario. In tale circostanza, il Collegio dei revisori dei conti deve redigere e trasmettere al MIUR e al MEF una relazione sull’andamento della gestione evidenziando, in particolare, l’evoluzione dei parametri negli ultimi due esercizi finanziari e il programma di azioni eventualmente adottato dall’ateneo per il ripristino della sostenibilità del bilancio.

Il programma di azioni – approvato dal Consiglio di amministrazione su proposta del Rettore, sentito il Senato accademico (per gli aspetti di competenza) – è articolato per obiettivi annuali e ha durata massima quinquennale.

In relazione al livello di criticità, il MIUR (sentito il MEF) può richiedere all’ateneo di aggiornare il programma di azioni adottato, ovvero di predisporne uno nuovo. Il monitoraggio sulla situazione dell’ateneo, con particolare riguardo all’andamento dei parametri e al grado di raggiungimento degli obiettivi definiti nel programma di azioni, è operato da entrambi i Ministeri.



Situazione di dissesto

L’esistenza di una situazione di dissesto può essere attestata:

Il dissesto finanziario è dichiarato dal Consiglio di amministrazione dell’università che, a seguito di ciò, è tenuto a rivedere il bilancio di previsione annuale già approvato, potendosi autorizzare solo le spese obbligatorie e quelle per le quali sia stato assunto un obbligo giuridicamente vincolante verso i terzi. Inoltre, sulla base delle linee guida stabilite da MIUR e MEF, deve essere predisposto – entro un termine stabilito – un piano di rientro che, articolato per obiettivi annuali e di durata massima quinquennale, deve essere sottoposto all’approvazione di entrambi i Ministeri. Il documento è deliberato dal Cda dell’ateneo su proposta del Rettore e previo parere del Senato accademico (per gli aspetti di competenza).

Il controllo annuale sull’attuazione del piano di rientro è effettuato dal MIUR, che provvede a comunicarne gli esiti a università, MEF e Procura regionale della Corte dei conti.



Commissariamento

Il commissariamento dell’ateneo – la cui durata non può comunque superare cinque anni – è deliberato dal Consiglio dei ministri, su proposta del MIUR e del MEF:

La delibera di commissariamento comporta innanzitutto la nomina di un organo commissariale – composto da uno o tre membri, a seconda delle dimensioni dell’ateneo, e da altrettanti supplenti –, di cui non possono far pare il rettore e coloro che hanno rivestito una qualunque carica negli organi dell’ateneo commissariato.

All’organo commissariale competono la rappresentanza legale dell’università (sottratta al rettore) e le funzioni del Cda (che decade), oltre alla amministrazione e gestione del dissesto finanziario, compresa l’eventuale elaborazione o modifica del piano di rientro – che deve essere comunque approvato da MIUR e MEF – e l’adozione degli atti necessari per la sua attuazione. In particolare, l’organo effettua una ricognizione dei creditori da inserire nel piano di rientro.

L’organo è tenuto a elaborare e a trasmettere a MIUR, MEF e Procura regionale della Corte dei conti una relazione annuale sullo stato di avanzamento del piano di rientro (che può contenere modifiche e integrazioni dello stesso), e una relazione finale, corredata dal rendiconto della gestione commissariale.

La relazione finale è poi trasmessa anche all'ANVUR che, oltre a valutare i risultati della fase di commissariamento, esprime il proprio parere circa il mantenimento dell’accreditamento dell’istituzione universitaria, e può avanzare proposte di federazione o fusione con altri atenei o di razionalizzazione dell’offerta formativa dell’ateneo commissariato.

Approfondimento: Personale delle Università e degli Enti di ricerca

Per quanto attiene il contenimento delle spese per il personale delle Università e degli Enti di ricerca, nel corso della XVI Legislatura sono stati emanati vari provvedimenti volti a limitare le facoltà assunzionali, peraltro attraverso una disciplina speciale rispetto a quella generale.

Anche in questo caso la principale norma è da rintracciare nel D.L. 112/2008, il cui articolo 66, comma 13, nella sua formulazione originaria, aveva previsto che per il triennio 2009-2011 le assunzioni delle atenei fossero soggette al limite del 20% della spesa relativa al personale cessato nell’anno precedente, e che, in ogni caso, il numero delle unità assunte non potesse eccedere, ogni anno, il 20% delle unità cessate l’anno precedente.

In seguito alle modifiche intervenute (da ultimo l’articolo 1, comma 3, del D.L. 216/2011, fermi restando i limiti in materia di programmazione triennale di cui all’articolo 1, comma 105, della L. 311/2004 (finanziaria per il 2005) che, abrogato dal 18 maggio 2012, prevedeva l’adozione di programmi triennali, da parte delle università statali, del fabbisogno di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo, a tempo determinato e indeterminato, per il quadriennio 2009-2012 le università statali hanno potuto procedere, per ogni anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al50% di quella relativa al personale a tempo indeterminato cessato dal servizio nell’anno precedente.

Le richiamate limitazioni non si applicano alle assunzioni di personale appartenente alle categorie protette, mentre sono fatte salve le assunzioni dei ricercatori previste in attuazione del piano straordinario di assunzioni di cui all’articolo 1, comma 648, della L. 296/2006, nei limiti di specifiche risorse.

Lo stesso comma ha altresì disposto che nei limiti previsti fosse compreso, per l’anno 2009, anche il personale oggetto di procedure di stabilizzazione in possesso degli specifici requisiti previsti dalla normativa vigente.

Per completezza, si ricorda che l’articolo 1 del D.L. 216/2011, ha anche soppresso la norma (contenuta nello stesso articolo 66, comma 13), che introduceva, a decorrere dal 2012, anche il vincolo che il numero delle unità da assumere non potesse eccedere il 50% delle unità cessate nell’anno precedente.

Oltre a ciò, la norma ha prorogato al 31 dicembre 2012 il termine per procedere alle assunzioni di personale a tempo indeterminato – tra l’altro – delle università statali e degli enti di ricerca relative alle cessazioni verificatesi negli anni 2009 e 2010. Le relative autorizzazioni ad assumere, ove previste, potevano essere concesse entro il 31 luglio 2012.

Per quanto attiene agli enti di ricerca, lo stesso D.L. 112/2008 (articolo 66, comma 13) così come modificato da successivi provvedimenti (articolo 35 del D.L. 207/2008, articolo 9 del D.L. 78/2010, articolo 14 del D.L. 95/2012), ha stabilito che i richiamati enti possano assumere personale a tempo indeterminato- per il quadriennio 2011-2014 - entro il limite del 20% delle risorse derivanti dai pensionamenti dell'anno precedente, nel 2015 entro il limite del 50% e nel 2016 entro il limite del 100%.

Il successivo articolo 74, inoltre, ha previsto l’obbligo, per gli stessi enti, di ridefinire la propria organizzazione e ridurre conseguentemente gli organici per tutti i livelli, nelle percentuali indicate per ciascuno, vietando, in caso di inadempienza, nuove assunzioni.

 

Il D.L. 180/2008 ha inoltre recato disposizioni in materia di reclutamento nelle università e per gli enti di ricerca.

In particolare, è stato previsto che le università statali che alla data del 31 dicembre di ogni anno abbiano superato il livello massimo di spesa per il personale di ruolo (fissato al 90% dei trasferimenti statali sul Fondo per il finanziamento ordinario delle università) non possano procedere all’indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, né all’assunzione di personale. Sono fatte salve, tuttavia, le disposizioni che escludono alcune voci di costo dal computo del 90%, nonché le assunzioni relative alle procedure concorsuali per ricercatore già espletate e a quelle in corso di svolgimento.

Allo stesso tempo, è stato elevato dal 20% al 50% il limite al turn-over nelle università, previsto dall’articolo 66 del D.L. 112/2008. Ciascuna università destina tale somma per una quotanon inferiore al 60% all’assunzione di ricercatori e per una quota non superiore al 10% all’assunzione di professori ordinari. Sono fatte salve le assunzioni di ricercatori previste in attuazione del piano straordinario di assunzioni di cui all’articolo 1, comma 648, della L. 296/2006.

 

Per gli enti di ricerca, l’articolo 1 del D.L. 180/2008 ha escluso i medesimi enti dall’obbligo di ridurre la spesa per il personale non dirigenziale, misura in seguito confermata dall’articolo 2, comma 8-bis, del D.L. 194/2009 (che per le P.A. in generale ha stabilito un'ulteriore riduzione degli organici).

Per quanto attiene alle università, invece, l’articolo 7, comma 4-bis, del D.L. 194/2009 ha previsto la non applicazione delle disposizioni che limitano il turn over nelle università ad alcuni istituti universitari ad ordinamento speciale (Istituto universitario di studi superiori di Pavia, Istituto italiano di scienze umane di Firenze e Scuola IMT - Istituzioni, Mercati, Tecnologie Alti Studi di Lucca).

 

Riguardo agli enti di ricerca, l'articolo 29, comma 28, del D.L. 78/2010 ha esentato i medesimi dall'obbligo di ridurre del 50%, rispetto al 2009, l'importo destinato al reclutamento di personale precario, confermando, allo stesso tempo, che la spesa in questione non possa superare il 35% delle somme impegnate per analoghe finalità nel 2003.

 

Successivamente, l’articolo 1 del D.L. 138/2011 ha stabilito per gli enti di ricerca (ed in generale per le amministrazioni pubbliche) l’impegno ad apportare, entro il 31 marzo 2012, all'esito dei processi di riduzione degli assetti organizzativi derivanti dal D.L. 112/2008, un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10% di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del D.L. 194/2009; nel contempo è stata confermata l'esenzione degli enti di ricerca dalla ulteriore rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, prevista per la generalità delle P.A. dallo stesso D.L. n. 138/2011.

 

Con specifico riferimento alla programmazione del reclutamento negli atenei, si ricorda che è in vigore dal 18 maggio 2012 il D.Lgs. 49/2012 che reca la disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento, in attuazione dell’art. 5 della L. 240/2010. In particolare, gli articoli 3 e 4 del citato D. Lgs. introducono l’obbligo per le università di predisporre un piano triennale, rispettivamente, economico-finanziario e del personale. Il piano triennale comprende le previsioni relative al personale docente, ricercatori, dirigenti e tecnici-amministrativi, compresi i collaboratori ed esperti linguistici, a tempo indeterminato e determinato e di esso devono tenere conto le università al fine della predisposizione dei documenti di bilancio(secondo la nuova disciplina del sopra citato articolo 3, prevista a decorrere dal 2014).

La programmazione del reclutamento di ateneo, infatti, deve essere realizzata assicurando la piena sostenibilità delle spese di personale. Relativamente al primo triennio successivo all’entrata in vigore del decreto, tale programmazione segue specifici indirizzi, relativi al rapporto tra l’organico del personale dirigente e tecnico-amministrativo a tempo indeterminato, alla composizione dell’organico dei professori e al reclutamento dei ricercatori a tempo determinato ammessi con titolo di dottore di ricerca o con diploma di specializzazione medica.

 

Infine, l’articolo 14, comma 3, del D.L. 95/2012, il quale, novellando l’articolo 66 del D.L. 112/2008, ha sostanzialmente disposto che le università statali potranno procedere al turn-over nella misura del 20% del personale cessato dal servizio nell’anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016.

Le misure percentuali indicate valgono con riferimento “al sistema” nel suo complesso, mentre all’attribuzione del contingente di assunzioni spettante a ciascuna università si provvede con specifico decreto ministeriale, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 7 del D.Lgs. 49/2012 (relativo al rispetto dei limiti per le spese di personale e per le spese per indebitamento degli atenei).

Le disposizioni sul turn-over non si applicano, fino al 31 dicembre 2014, agli istituti universitari ad ordinamento speciale in precedenza richiamati.

 

Il D.L. 95/2012 è intervenuto anche sugli enti di ricerca. In particolare, l’articolo 2, comma 1, ha disposto la riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al 20% di quelle esistenti, per il personale dirigenziale (di livello generale e di livello non generale), nonché del 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, per il personale non dirigenziale: tale riduzione opera anche per il personale degli enti di ricerca, ad eccezione dei ricercatori e tecnologi.

Il successivo articolo 14, comma 4, disponendo, in merito ai limiti assunzionali per gli enti di ricerca, ha prevista che gli stessi potranno procedere al rinnovo del turn-over nella misura del 20% del personale cessato dal servizio nell’anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016.

Approfondimento: Fondazioni universitarie di diritto privato

L’art. 16 del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008 (A.C. 1386) ha previsto che le università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato ed ha dettato alcuni principi relativi allo status e al regime giuridico applicabile, nonché alle forme di vigilanza e controllo da parte dello Stato.

La fondazione universitaria è caratterizzata da autonomia gestionale, organizzativa e contabile. Essa subentra in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dell'università, inclusa la titolarità del patrimonio, acquista la proprietà dei beni immobili già in uso all'ateneo, ed è ente non commerciale: pertanto, eventuali rendite, proventi o utili derivanti dallo svolgimento delle attività statutarie devono essere interamente reimpiegati in funzione degli scopi istituzionali.

La trasformazione è deliberata dal Senato accademico, a maggioranza assoluta, e approvata dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Ai due dicasteri spettano, altresì, l’approvazione dello statuto e dei regolamenti di amministrazione e di contabilità e l’esercizio delle funzioni di vigilanza; qualora si riscontrino gravi violazioni di legge relative alla corretta gestione della fondazione stessa, è prevista la nomina di un commissario straordinario e, quindi, la nomina dei nuovi amministratori.

La Corte dei Conti opera il controllo sulla gestione finanziaria e riferisce annualmente al Parlamento.

I contributi e le erogazioni liberali alle fondazioni sono esenti da tasse e imposte indirette e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante, mentre le spese notarili per gli atti di donazione sono ridotte: in tal modo, si è inteso incentivare l’afflusso di risorse private.

Resta, peraltro, fermo il sistema di finanziamento pubblico, per la cui ripartizione l'entità dei finanziamenti privati di ciascuna fondazione costituirà elemento di valutazione a fini perequativi.

Alle fondazioni universitarie continuano ad applicarsi tutte le disposizioni vigenti per le università statali, purché compatibili con la loro natura privatistica.

Approfondimento: Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università



L'istituzione e la struttura del Fondo

Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), istituito nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (ora, MIUR) dall’art. 5, co. 1, lett. a), della L. 537/1993, è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica, ad eccezione della quota destinata ai progetti di ricerca di interesse nazionale – destinata a confluire nel Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) (art. 1, co. 870, L. 296/2006) – e della spesa per le attività sportive universitarie.

Lo stesso art. 5, co. 1, della L. 537/1993 ha previsto altresì l’istituzione del Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche (lett. b)), relativo alla quota a carico del bilancio statale per la realizzazione di investimenti per le università in infrastrutture edilizie e in grandi attrezzature scientifiche, compresi i fondi destinati alla costruzione di impianti sportivi, e del Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario (lett. c)), relativo al finanziamento di specifiche iniziative, attività e progetti, compreso il finanziamento di nuove iniziative didattiche.

La legge istitutiva del FFO – come successivamente modificata, in particolare, dall’art. 51 della L. 449/1997 – ha previsto che il fondo sia articolato in una quota base, da ripartirsi tra le università in misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute direttamente dallo Stato per ciascuna università nell'esercizio 1993, e una quota di riequilibrio, da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentito il CUN e la CRUI, relativi a standard dei costi di produzione per studente, al minore valore percentuale della quota relativa alla spesa per il personale di ruolo sul FFO e agli obiettivi di qualificazione della ricerca. Ha, altresì, stabilito che, a partire dal 1995, la quota base è progressivamente ridotta e la quota di riequilibrio è aumentata almeno di pari importo. 



Lo stanziamento del Fondo

Il Fondo per il finanziamento ordinario delle università è allocato sul cap. 1694 (Missione 2. Istruzione universitaria, Programma 2.3. Sistema universitario e formazione post-universitaria) dello stato di previsione del MIUR.

Fino al 2010, l’importo del FFO è stato determinato annualmente in tabella C della legge finanziaria. A partire dalla legge di bilancio e dalla legge di stabilità per il 2011, il cap. 1694 non è più esposto in tab. C, dalla quale, ai sensi dell’art. 52 della nuova legge di contabilità (L. 196/2009), sono state espunte le spese obbligatorie (sono tali le spese relative al pagamento di stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse, le spese per interessi passivi, quelle derivanti da obblighi comunitari e internazionali, le spese per ammortamento di mutui, nonché quelle così identificate per espressa disposizione normativa: art. 21, co. 6, L. 196/2009).

Per l’anno 2013 gli stanziamenti del cap. 1694 – quali risultanti dal Decreto 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 – ammontano a 6.694,7 milioni di euro.

Di seguito si riporta l'andamento delle risorse (in milioni di euro) allocate sul cap. 1694 negli anni 2008-2013: 

  2008 (consuntivo) 2009 (consuntivo) 2010 (consuntivo) 2011 (consuntivo) 2012 (assestamento) 2013 (bilancio)
cap. 1694 7.443,7 7.513,1 6.681,3 6.969,3 6.998,6 6.694,7


La ripartizione del FFO tra gli atenei

Il riparto del FFO fra gli atenei è effettuato con decreto ministeriale.

In prima applicazione è stato adottato un modello di ripartizione predisposto dalla Commissione Tecnica Spesa Pubblica (Ministero del Tesoro); nel 1998 è stato predisposto dall’Osservatorio nazionale per la valutazione del sistema universitario del Ministero un nuovo modello di riparto della quota di riequilibrio (Doc 3/98), che è stato applicato dal Ministero fino al 2003.

Nel gennaio 2004 è stato predisposto dal Comitato per la valutazione del sistema universitario (CNVSU) un ulteriore modello per la ripartizione annuale del FFO (Doc 1/04), poi approvato, con alcune integrazioni e precisazioni richieste dalla CRUI, con  DM 24 luglio 2004, n. 246. Il modello è stato adottato dal 2004 al 2009.

In sintesi, il modello teneva conto dei seguenti elementi:

Al riguardo, nel luglio 2007 la Commissione tecnica per la finanza pubblica (CTFP) del Ministero dell’Economia e delle finanze (istituita dalla legge finanziaria per il 2007) osservò come, a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, “il FFO sia stato allocato quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa, nonostante la predisposizione, da parte del CNVSU, di un modello di ripartizione” ed evidenziò che ciò aveva determinato università finanziate in eccesso (fino al 36%) e università finanziate per difetto (fino al 43,1%).

Si veda  Doc. 2007/3 bis, Misure per il risanamento finanziario e l’incentivazione dell’efficacia e dell’efficienza del sistema universitario, in particolare: pag. 8 e Tabella 4.

Dal 2010, come si evince anche dalla premessa al decreto di riparto del FFO per l’annualità indicata ( DM 655/2010), a seguito delle disposizioni introdotte, a decorrere dal 2009, dall’art. 2, D.L. 180/2008 – in base alle quali una quota non inferiore al 7% del FFO, con incrementi negli anni successivi, è ripartita tra le università in relazione alla qualita' dell’offerta formativa e dei risultati dei processi formativi, alla qualità della ricerca scientifica, alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche – si è ritenuto opportuno adottare un modello unico di finanziamento, all'interno del quale confluiscono gli elementi distintivi del modello di finanziamento teorico di cui al documento del CNVSU (Doc 1/04) e i criteri utilizzati per l'assegnazione della quota premiale.

A sua volta, al fine di accelerare il processo di riequilibrio delle università statali, l’art. 11 della L. 240/2010 ha previsto che, a decorrere dal 2011, una quota pari almeno all’1,5% del FFO è ripartita fra le università che, sulla base delle differenze percentuali del valore del FFO consolidato del 2010, presentino un situazione di sottofinanziamento superiore al 5% rispetto al modello per la ripartizione teorica del medesimo FFO elaborato dagli organi di valutazione del sistema universitario.

L’intervento perequativo è ridotto proporzionalmente laddove la situazione di sottofinanziamento deriva dall’applicazione delle misure di valutazione della qualità previste, in particolare, dall’art. 2 del D.L. 180/2008. Inoltre, il calcolo degli squilibri finanziari dei singoli atenei può tenere conto della specificità delle università che siano sede di facoltà di medicina e chirurgia collegate ad aziende ospedaliere nate da ex policlinici a gestione diretta, con esclusione di ogni intervento per il ripiano di eventuali disavanzi.

Inoltre, l'art. 5, commi 1, lett. c), e 5, della L. 240/201 ha previsto l'attribuzione di una quota non superiore al 10% del FFO correlata alla valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, da effettuare in base a meccanismi elaborati dall’ANVUR. In attuazione, è intervenuto l'art. 9 del d.lgs. 49/2012.

Per l’anno 2012, il DM 16 aprile 2012, n. 71 ha ripartito il fondo fra gli atenei destinando €. 5.560.719.948 alla quota base.
La quota residua è stata destinata, fra l'altro, a:

Approfondimento: Germania: legge sulle borse di studio universitarie



Gesetz zur Schaffung eines nationalen Stipendienprogramms (Stipendienprogramm-Gesetz - StipG) vom 7. Juli 2010 (BGBl. I, S. 957) (Legge per l'istituzione di un Programma nazionale di borse di studio)

Con la Legge per l’istituzione di un Programma nazionale di borse di studio, del 7 luglio 2010, il Parlamento federale si è posto l’obiettivo di sostenere gli studenti particolarmente dotati concedendo loro una borsa di studio universitaria sulla base del rendimento scolastico, accademico o professionale, nonché dell’evoluzione della loro personalità (§ 3). Inoltre, tra i criteri di selezione degli studenti più meritevoli vengono presi in considerazione: l’impegno sociale, la disposizione, l’assunzione di responsabilità o particolari circostanze sociali, familiari o personali che possano risultare dalla provenienza familiare o dal background migratorio (§ 3).

Il Programma nazionale di borse di studio (nationale Stipendienprogramm), voluto dai gruppi di maggioranza CDU/CSU e FDP, uniti dal comune obiettivo di valorizzare e sostenere le giovani leve, promuove lo sviluppo di una cultura delle borse di studio in Germania e favorisce un maggiore impegno da parte del mondo economico e dei soggetti privati. Obiettivo del Programma è di motivare i giovani dotati ad intraprendere un percorso di studi che ne valorizzi le capacità e di concluderlo con successo. Il programma è volto a favorire le prestazioni di eccellenza e, conseguentemente, a rendere la Germania più competitiva a livello internazionale e ad incrementarne la forza innovativa. Il Programma nazionale di borse di studio mira, infine, ad accrescere il numero di studenti, poiché un’offerta attendibile, ampia e diversificata di borse di studio universitarie può agevolare l’iscrizione ad un corso universitario ed impedire l’interruzione degli studi (dai risultati di una ricerca elaborata, nel dicembre 2009, dalla HIS Hochschul-Informations-System GmbH, società di consulenza e di assistenza nel settore universitario, si evince che tra le cause ed i motivi che inducono uno studente ad interrompere il corso di studi, oltre al rendimento scolastico, vi sono le difficoltà finanziarie).

La legge in oggetto dispone che le borse di studio siano finanziate dalla Federazione e dai Länder da una parte, e da investitori privati dall’altra (§ 11). I fondi privati vengono raccolti dalle università grazie ai contributi di aziende, fondazioni, associazioni, consorzi e privati. L’importo delle borse di studio ammonta a 300 euro mensili (§ 5).

In base al § 12 della legge, il Ministero federale per la formazione e la ricerca (Bundesministerium für Bildung und Forschung) è autorizzato ad istituire un organo di consulenza (Beirat) che ha il compito di riferire in ordine all’applicazione della legge e di verificare l’evoluzione dei regolamenti relativi alle borse di studio. Tale Consiglio è composto dai rappresentanti delle autorità regionali, degli studenti, delle università, degli investitori privati, della scienza, dei datori di lavoro e dei lavoratori, nominati dal Ministero federale per la formazione e la ricerca per una durata complessiva di quattro anni (§ 12).

Approfondimento: I test di ammissione alle facoltà universitarie nei principali paesi europei (17 ottobre 2011)



Francia

In Francia le disposizioni relative alle modalità di iscrizione al primo ciclo degli studi universitari sono contenute nell’articolo L612-3 del Code de l’Education, che consente l’iscrizione a tutti i titolari di baccalauréat (titolo di studio corrispondente alla maturità italiana) o di titolo equivalente, lasciando allo studente la scelta dell’ateneo, ma affermando il diritto di iscrizione in un’università situata nell’area territoriale in cui è stato conseguito il diploma di scuola secondaria superiore o di residenza dello studente. Qualora le domande di accesso ad un determinato ateneo dovessero eccedere rispetto alle possibilità di accoglienza dello stesso, spetta al “rettore cancelliere” pronunciarsi sulle iscrizioni, considerando il domicilio, la situazione familiare e le preferenze dei singoli candidati.

L’articolo L612-3 è stato di recente modificato dalla Loi n. 2007-1199 du 10 août 2007 relative aux libertés et responsabilités des universités. La nuova normativa, applicata a partire dall’anno accademico 2008-2009, ha sostanzialmente rafforzato il principio della libertà di iscrizione al primo ciclo di studi e della esclusione di qualsivoglia modalità di selezione, anche se in alcuni casi specifici il Ministro dell’istruzione superiore può disporre delle forme di selezione per limitare l’ingresso in determinati istituti universitari.

La riforma ha altresì introdotto l’obbligo della pre-iscrizione che offre ai candidati la possibilità di beneficiare dei servizi di informazione e orientamento che ogni singola università è tenuta ad organizzare.



Germania

In Germania le disposizioni normative che, a livello federale, regolano l’accesso degli studenti all’università sono contenute negli artt. 27-35 della Legge quadro sull’istruzione supeiore (Hochschulrahmengesetz – HRG) del 26 gennaio 1976, da ultimo modificata con una legge del 2007. Le novità più rilevanti nel sistema di ammissione agli studi universitari con accesso limitato sono state, tuttavia, introdotte dalla settima legge di modifica della legge quadro, in vigore dal 4 settembre 2004.

Il numero massimo di studenti che ciascuna università può accogliere, esclusivamente in relazione a singoli corsi di studio e per un periodo di tempo non superiore ad un anno, è stabilito con legge regionale, sulla base delle indicazioni fornite dagli stessi atenei alle autorità regionali competenti ed illustrate in un’apposita relazione.

Prima della riforma del 2004 la distribuzione dei posti nell’ambito dei percorsi universitari era stabilita esclusivamente dall’Ufficio centrale per l’assegnazione dei posti di studio (Zentralstelle für die Vergabe von Studienplätzen - ZVS).

Ora l’articolo 32 della legge dispone la seguente ripartizione:

dei restanti 7/10:

a. grado di qualifica (votazione media conseguita nell’esame finale di maturità);

b. singoli voti riportati nel titolo di studio, che possano fornire indicazioni sulle specifiche attitudini dello studente;

c. esito di un test che accerti le capacità del candidato rispetto a determinate materie di studio;

d. tipo di formazione professionale o l’attività lavorativa svolta;

e. risultato di un colloquio selettivo, volto ad accertare le motivazioni dello studente, nonché l’identificazione con il corso di studio scelto e con l’attività professionale auspicata.

Questi criteri, compresa la preferenza per una specifica sede universitaria, possono essere adottati dalle singole università anche nel caso in cui le stesse decidano di procedere ad una preselezione (Vorauswahl) per limitare il numero dei partecipanti alle prove successive.

Nell’ambito delle competenze che la normativa federale attribuisce alla legislazione regionale, i Länder possono prevedere l’adozione di ulteriori criteri selettivi, come le attività extrascolastiche, e impartire alle singole università specifiche direttive ai fini della procedura di selezione, prevedendo ad esempio come obbligatoria l’applicazione di criteri diversi accanto alla votazione media dell’esame di maturità.

Il testo completo della Legge quadro sull’istruzione superiore è consultabile anche in lingua inglese (testo aggiornato al 2005) all’indirizzo http://www.bmbf.de/pub/hrg_20050126_e.pdf.



Regno Unito

Le università del Regno Unito, in esercizio della loro autonomia, definiscono la struttura e il contenuto delle prove di ammissione per l’immatricolazione degli studenti, le quali si concretano nelle admissions policies predisposte dalle singole facoltà. L’intervento pubblico, in questo ambito, si è esplicato nella definizione di strumenti diretti, in una prospettiva di giustizia sociale e di promozione delle pari opportunità, a porre limiti massimi per l’incremento delle rette universitarie (tuition fees) e a garantire l’equità (fairness) dei criteri di ammissione.

In relazione a specifici corsi di studio, è frequente la condivisione, da parte delle università, di criteri standardizzati di ammissione riferiti alle singole discipline. E’ il caso, ad esempio, del National Admission Test for Law (LNAT) per gli studi giuridici, oppure del Graduate Medical School Admission Test (GAMSAT) e dello UK Clinical Aptitude Test (UKCAT) per gli studi medici.

Nel primo caso (LNAT) il test consiste nella compilazione di questionari a risposta multipla e nell’elaborazione di un testo scritto, che il candidato è chiamato a svolgere con strumenti informatici ed entro determinati limiti di tempo. Più in dettaglio, i questionari sono diretti a valutare le capacità di comprensione, di interpretazione, di analisi e deduttive del candidato, mentre la prova scritta verte su temi di attualità ed è finalizzata a mettere in luce la sua capacità di argomentazione e proprietà di linguaggio. Le prove in questione, che richiedono la previa registrazione in via telematica del candidato ed il pagamento di una tassa, si svolgono presso centri diffusi sul territorio nazionale, i quali provvedono a valutare i risultati e a trasmetterli alle sole università in cui i candidati medesimi hanno presentato domanda di iscrizione.

Nel 2003, il Dipartimento per l’istruzione ha diffuso un “Libro bianco” in cui si prefigurava l’adozione di misure rivolte ad introdurre criteri di equità e di pari opportunità nell’accesso all’istruzione universitaria. Nel documento, in particolare, veniva fatto riferimento ad accordi tra un soggetto regolatore di nuova istituzione e le singole università, alla cui ottemperanza da parte di queste ultime sarebbe stata condizionata l’erogazione di fondi pubblici. Tali misure, a fronte di un imminente incremento dei costi di iscrizione (determinatosi per effetto dell’introduzione, nel settembre 2006, delle variable tuition fees), venivano ritenute essenziali per garantire l’accesso all’istruzione universitaria da parte dei soggetti meno abbienti o appartenenti a gruppi sociali minoritari.

Facendo seguito a queste prime indicazioni, lo stesso Dipartimento annunciava la costituzione di un’apposita autorità indipendente con compiti di controllo e di supervisione, l’Office for Fair Access:  

http://www.dcsf.gov.uk/hegateway/strategy/hestrategy/pdfs/DfES-HigherEducation.pdf

http://www.dius.gov.uk/higher_education/~/media/publications/E/EWParticipation

Un’inchiesta sulle procedure di ammissione agli istituti di istruzione superiore ed universitaria veniva altresì condotta, ancora su impulso del Dipartimento per l’istruzione, da una commissione indipendente insediata allo scopo, la cui relazione finale, corredata da raccomandazioni di buona pratica, è stata pubblicata nel settembre 2004:

http://www.admissions-review.org.uk/downloads/finalreport.pdf

 Gli indirizzi delineati in tali documenti venivano recepiti dal legislatore nel 2004:

http://www.opsi.gov.uk/acts/acts2004/ukpga_20040008_en_1

 Istituito dalla legge del 2004, l’Office for Fair Access (OFFA) riporta nel proprio sito Internet gli accordi (access agreements) stipulati con le singole università, medianti i quali si intendono garantire la condizione di parità dei candidati all’ammissione ai corsi e la trasparenza dei relativi procedimenti:

http://www.offa.org.uk/access-agreements/

 All’interno del quadro normativo appena indicato (e fatto salvo il rispetto della legislazione in materia di diritti umani e contro le discriminazioni), i criteri di ammissione vengono autonomamente definiti dalle singole università. Nondimeno, è diffusa l’applicazione di schemi uniformi all’interno di raggruppamenti o di consorzi universitari, le cui previsioni hanno portata generale oppure sono riferite a specifici corsi universitari.

 Uno schema uniforme per l’espletamento di prove di ammissione, al quale hanno aderito diversi atenei del Regno Unito, è stato messo a punto congiuntamente da Cambridge Assessment - dipartimento dell’Università di Cambridge preposto ai sistemi di valutazione nel settore dell’istruzione superiore - e dall’Australian Council for Educational Research (ACER). Lo schema, finalizzato alla equità e alla trasparenza dei procedimenti di esame dei candidati, è stato oggetto nel 2006 di un rapporto in cui si è formulato un primo bilancio della sua applicazione:

Un “codice di buona pratica” per l’ammissione ai corsi universitari, nel quadro di parametri qualitativi individuati dalla Quality Assurance Agency for Higher Education (QAA), agenzia indipendente con compiti di valutazione delle università, è stato redatto nel 2006 e rimesso alla spontanea adesione degli atenei:

 Un servizio di orientamento per gli studenti, con indicazione dei requisiti specificamente richiesti per l’iscrizione alle diverse facoltà universitarie, è fornito dallo Universities and Colleges Admissions Service – UCAS:

http://www.dius.gov.uk/research_and_analysis/~/media/publications/D/DIUS_RR_09_02

Sempre l’UCAS riporta sul proprio sito le informazioni sulla struttura di ciascun test di ammissione e indica le università in cui esso è applicato:

http://www.ucas.ac.uk/students/choosingcourses/admissions/

I criteri di orientamento degli studenti che alla conclusione del ciclo scolastico si avviano alla scelta del corso universitario sono oggetto di un recente rapporto:

http://www.dius.gov.uk/research_and_analysis/~/media/publications/D/DIUS_RR_09_02



Spagna

In Spagna l’art. 38 della Ley Orgánica 2/2006, de 3 de mayo, de Educación prevede che l’accesso agli studi universitari sia subordinato al superamento di una prova preliminare (Prueba de acceso a la universidad – PAU) tesa a valutare in termini obiettivi la maturità accademica, le conoscenze acquisite e la capacità di portare a termine gli studi universitari dei richiedenti. Saranno ammessi a sostenere la prova suddetta gli studenti che sono in possesso del certificato di Bachillerato (titolo rilasciato al termine dei due anni di studio successivi al ciclo di istruzione obbligatoria).

A distanza di due anni e mezzo dall’approvazione della legge il Governo ha emanato il Real Decreto 1892/2008, de 14 de noviembre, vale a dire il regolamento attuativo dell’art. 38 della Legge del 2006.

La PAU è articolata in due parti, una generale, l’altra specifica.

La parte generale consiste in quattro esercizi relativi alle seguenti materie: lingua e letteratura spagnola; lingua straniera; una materia, a scelta del candidato, tra quelle del secondo anno di Bachillerato comuni a tutti gli indirizzi (“Storia della filosofia” e “Storia di Spagna” con l’eventuale aggiunta di “Scienza per il mondo contemporaneo” e “Filosofia e cittadinanza”); una materia, a scelta del candidato, tra quelle del secondo anno di Bachillerato proprie di un determinato corso di studi (materia de modalidad). Nelle Comunità Autonome in cui si utilizza una seconda lingua ufficiale è previsto un quinto esercizio sulla seconda lingua.

La parte specifica consiste in un questionario scritto sulle materie de modalidad (diverse da quella oggetto di uno degli esercizi della parte generale) indicate dal candidato al momento della presentazione della domanda di ammissione.

La votazione finale è data dalla ponderazione tra la qualificazione ottenuta nelle prove scritte (40%) e la qualificazione media del curriculum di Bachillerato (60%)

Per quanto concerne il numero di posti messo a disposizione, spetta alle Comunità Autonome, d’intesa con le stesse università, predisporre la programmazione degli insegnamenti a carattere ufficiale e dei posti disponibili nelle università pubbliche che insistono sul proprio territorio. Tale programmazione viene inviata entro il 1° aprile di ciascun anno al Consiglio di Coordinamento Universitario, che elabora l’offerta generale di posti e la rende pubblica sul Boletín Oficial del Estado (la Gazzetta Ufficiale spagnola) entro il successivo 1° giugno. L’aggiudicazione dei posti dipende dalla votazione finale riportata alle prove di accesso. A tal fine viene concessa agli studenti la possibilità di presentarsi agli appelli successivi, anche dopo aver superato la prova, per migliorare la loro qualificazione, tenendo sempre in considerazione il punteggio più alto conseguito in ciascuna prova.

Approfondimento: Sanità universitaria



Collegamento fra università ed assistenza ospedaliera

Il collegamento fra le università e le attività di assistenza ospedaliera è stato inizialmente previsto dalla legge 132/1968 che ha introdotto lo strumento della convenzione tra università ed enti ospedalieri stabilendo che l’ordinamento interno delle cliniche e degli istituti universitari deve essere adeguato all’ordinamento interno degli ospedali ed avere un’analoga organizzazione.

Il successivo, D.P.R. 129/1969, conferma lo strumento convenzionale, ed individua la materie oggetto del relativo accordo, rimandando, per le convenzioni, ad uno schema tipo emanato con decreto ministeriale 24 giugno 1971.

Il decreto ministeriale del 1971 definisce le relazioni intercorrenti fra le due istituzioni attraverso la creazione di strutture universitario-ospedaliere: l'ente ospedaliero assume la gestione dell'assistenza connessa con i fini istituzionali dell'università e utilizza l'assistenza fornita dalle cliniche e istituti universitari di ricovero e cura, d’altra parte le Università utilizzano il potenziale didattico e di ricerca dell’ente ospedaliero, sempre in base a precisi accordi.



La riforma sanitaria del 1978

Affinché le regioni e le università realizzino un idoneo coordinamento delle rispettive funzioni istituzionali, l’articolo 39 della legge 833/1978 riconferma transitoriamente, fino alla riforma dell'ordinamento universitario e delle facoltà di medicina, lo strumento della convenzione. In tal senso le convenzioni fanno parte dei piani sanitari regionali poiché disciplinano l'apporto delle facoltà di medicina alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale.

La legge 833/1978 delinea due diversi modelli organizzativi del collegamento università-assistenza ospedaliera:



Integrazione fra attività assistenziale, didattica e ricerca

Il D.Lgs. 502/1992, dedica l’articolo 6 ai rapporti tra università e SSN, stabilendo che, per soddisfare le specifiche esigenze del SSN connesse alla formazione degli specializzandi ed all’accesso ai ruoli dirigenziali del SSN, le università e le regioni stipulano specifici protocolli d’intesa per disciplinare le modalità di reciproca collaborazione. I rapporti in attuazione di tali intese sono regolati con appositi accordi tra università e Aziende ospedaliere, unità sanitarie locali e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. La titolarità dei corsi di insegnamento universitari è affidata a dirigenti delle strutture presso le quali si svolge la formazione stessa, in conformità ai protocolli di intesa che fra l’altro sanciscono che la formazione del personale avvenga in sede ospedaliera.

Ferma restando la disciplina in tema di formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 257/1991, risulta pertanto chiara la volontà del legislatore di non considerare più in capo al solo medico universitario il compito di prestare servizio ai fini assistenziali, didattici e di ricerca. Anche al medico ospedaliero competono infatti funzioni e prerogative, oltre all’attività assistenziale, relative alle attività didattiche e di ricerca, intimamente collegate alla peculiarità del percorso formativo del personale medico.

Tale impostazione è allargata al personale infermieristico, tecnico e della riabilitazione di cui si prevede la formazione in sede ospedaliera ovvero in altre strutture del SSN.

Con il D.M. 31 luglio 1997 i Ministeri competenti, dell’Università e della Sanità d’intesa con la Conferenza Stato-Regione, licenziano le Linee Guida, che sulla scorta delle indicazioni fornite dal D.lgs. n. 502/92, forniscono le prime indicazioni utili per elaborare i Protocolli.



Definizione della disciplina in materia di collaborazione e coordinamento tra SSN e università - Decreto legislativo 517/1999

Il D.Lgs. 517/1999, tuttora vigente, norma i rapporti tra SSN e università, riunificando in un unico modello, l’Azienda ospedaliero–Universitaria (AOU), le funzioni di assistenza, ricerca e didattica. Il modello di azienda integrata nasce anche sulla base delle esperienze e delle soluzioni adottate per il Policlinico Umberto I di Roma, che condecreto legge 343/1999, è stato il primo policlinico universitario ad essere stato trasformato in azienda ospedaliero-universitaria.

In primo luogo si stabilisce che l'attività assistenziale, necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle università, è determinata nel quadro della programmazione nazionale e regionale in modo da assicurarne la funzionalità e la coerenza con le esigenze della didattica e della ricerca, secondo specifici protocolli d'intesa stipulati dalla Regione con le università ubicate nel proprio territorio.

In tal senso, vengono di fatto superati i precedenti diversi modelli aziendali (quali policlinici universitari e aziende miste) in favore di una nuova tipologia di azienda, che mira alla integrazione, e non più all’inscindibilità, di assistenza, didattica e ricerca.

Per conseguire simile obiettivo il D.Lgs. 517/1999 punta essenzialmente su due strumenti:

In particolare, i protocolli regionali devono: promuovere e disciplinare l'integrazione dell'attività assistenziale, formativa e di ricerca; definire le linee generali della partecipazione dell'università alla programmazione sanitaria; definire i parametri per l'individuazione delle attività necessarie allo svolgimento delle funzioni istituzionali e di ricerca; definire i parametri per l'individuazione delle strutture assistenziali complesse funzionali alle esigenze della didattica e della ricerca dei corsi di laurea delle Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Aziende Integrate; definire il volume di attività ed il numero dei posti letto essenziali anche in rapporto al numero degli iscritti ai corsi di laurea con criteri e modalità di adeguamento agli standard fissati, secondo le indicazioni del Piano Sanitario Regionale; disciplinare le modalità di reciproca collaborazione per le esigenze del SSN connesse alla formazione degli specializzandi, alla formazione del personale sanitario mediante lo svolgimento delle attività formative presso le Aziende ospedaliere di riferimento o presso altre Aziende sanitarie pubbliche e private accreditate; definire i criteri generali per l'adozione dell'atto aziendale, per la costituzione, l'organizzazione ed il funzionamento dei dipartimenti integrati (DAI); definire forme e modalità di accesso dei dirigenti sanitari del SSN ai fondi di Ateneo e ad incarichi didattici; prevedere il trattamento economico aggiuntivo di cui all'art.6 del D.Lgs. 517/1999; definire i criteri generali per l'attuazione dei principali atti di gestione delle Aziende Ospedaliero-Universitarie.

Il D.Lgs. 517/1999, costituito da otto articoli, interviene sui seguenti aspetti:



Linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra regioni ed università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università

La concreta ed omogenea attuazione del D.Lgs. 517/1999 è stata demandata ad atti di indirizzo e coordinamento, il principale dei quali è il D.P.C.M. del 24 maggio 2001 - Linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra regioni ed università per lo svolgimento delle attività assistenziali delle università nel quadro della programmazione nazionale e regionale ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n.517.

Le Linee guida ribadiscono la partecipazione attiva degli atenei alla programmazione sanitaria regionale. Le università, attraverso la partecipazione al processo formativo dei piani sanitari regionali, devono concorrere, ai sensi dell'art. 7 del D.P.C.M., all'elaborazione dei medesimi relativamente alle esigenze didattiche e di ricerca biomedica, anche estese alla formazione specialistica, infermieristica, tecnica, riabilitativa e prevenzionale.

Inoltre prima dell'adozione o dell'adeguamento del piano sanitario regionale, le regioni sono tenute ad acquisire formalmente il parere delle università sedi della facoltà di medicina e chirurgia ubicate nel territorio della regione di riferimento. I pareri espressi dagli Atenei sono allegati al progetto di piano e trasmessi al Ministro della Sanità per l'espressione dell'avviso di congruità con il piano sanitario nazionale. Pertanto, il processo elaborativo si compone di due momenti: un primo momento caratterizzato dall’informalità, che si esprime attraverso un tavolo concertativo tra regioni ed atenei finalizzato alla realizzazione della bozza di piano, il secondo, invece, di carattere formale, che trova realizzazione nel parere sui contenuti di piano.

Le Linee guida specificano inoltre che i Protocolli d'Intesa devono contenere indicazioni relative alla tipologia delle strutture sanitarie coinvolte, ovvero delle Aziende Integrate. Sempre ai sensi delle Linee guida, i Protocolli d'Intesa devono inoltre individuare le modalità attraverso le quali le AOU concorrono alla realizzazione sia dei compiti istituzionali dell'università che di quelli assistenziali. Occorre però rilevare l'assenza, nel D.P.C.M. 24 maggio 2001, di qualsiasi indicazione in merito alla gerarchia delle possibili opzioni tra strutture pubbliche e private.

Relativamente al personale, sia universitario, sia sanitario, si prevede che i Protocolli d'Intesa debbano stabilire i criteri per la quantificazione dell'impegno assistenziale medio ed assicurare un equilibrato rapporto con quello della dirigenza sanitaria. Ciò è finalizzato alla determinazione delle dotazioni organiche e di programmazione dell'attività. Il legislatore, all'art. 3, comma 2, lett. c), delle Linee Guida, preferisce rinviare l'articolazione dell'orario di servizio del personale universitario a un piano di lavoro predisposto dalle singole strutture aziendali di appartenenza che deve essere oggetto d'intesa con l'Ateneo e deve tener conto sia dell'impegno assistenziale che di quello didattico scientifico.

Sempre relativamente al personale, i Protocolli d'Intesa devono inoltre prevedere che il trattamento economico integrativo dei docenti e ricercatori sia composto, in analogia al personale medico dipendente dal SSN, dalla retribuzione di posizione, correlata alla direzione di struttura (dipartimenti, unità operative complesse e semplici) e dalla retribuzione di risultato, rapportata ai risultati assistenziali conseguiti. L'importo del trattamento economico viene attribuito dall'azienda all'università e da questa ai docenti universitari.

Per quanto riguarda gli aspetti di tipo organizzativo, vengono disciplinati gli assetti istituzionali delle aziende, dei dipartimenti, delle strutture complesse e semplici nonché quelli relativi al dimensionamento delle strutture oggetto dei protocolli d'intesa.

Relativamente agli assetti istituzionali delle Aziende, le linee guida incaricano i Protocolli d'Intesa di determinare la composizione dell'Organo di Indirizzo di cui all'art. 4, comma 4 del D.Lgs. 517/99. Unica indicazione in merito è la previsione che i componenti devono essere paritariamente designati dalla Regione e dall'Università, tenendo conto di un membro di diritto rappresentato dal Preside della Facoltà di Medicina.

Le Linee Guida inoltre rimettono all'atto aziendale, di cui all'art. 3, comma 2, del D.Lgs. 517/99, l'organizzazione delle Aziende Ospedaliere Universitarie "in modo da assicurare il pieno svolgimento delle funzioni didattiche e scientifiche delle Facoltà di Medicina e Chirurgia in un quadro di coerente integrazione con l'attività assistenziale e con gli obiettivi della programmazione regionale”. Tale atto è assunto dal Direttore Generale d'intesa con il Rettore. La materia organizzativa viene inoltre regolata, in via preventiva, anche dai Protocolli d'Intesa cui spetta individuare, sulla base di specifici criteri di cui all'art. 4, comma 3, le strutture assistenziali complesse essenziali alle esigenze di didattica e di ricerca dei corsi di laurea di medicina e chirurgia. L'individuazione delle strutture assistenziali compete pertanto sia all'atto aziendale sia ai protocolli d'intesa, ed,al fine di evitare il conflitto di competenze, concordemente si assegna all'atto di organizzazione, assunto d'intesa con il Rettore, il compito di disciplinare gli assetti organizzativi interni, lasciando ai Protocolli d'intesa , il ruolo di disciplinare i criteri di massima.

Infine, le Linee Guida prevedono indicazioni circa i criteri della compartecipazione degli Atenei ai risultati delle Aziende Integrate da realizzarsi attraverso la definizione, nei Protocolli d'Intesa, dalla messa a disposizione del personale docente e non docente e dei beni mobili ed immobili. In caso di risultati positivi della gestione aziendale, gli utili vengono impiegati per il finanziamento di programmi di ricerca di interesse assistenziale e di sviluppo della qualità delle prestazioni. In caso invece di risultati negativi, la Regione e l'Università concordano specifici piani di rientro attraverso l'utilizzo delle risorse ordinarie delle Aziende Integrate. In caso di mancato accordo tra Regione ed Università, la Regione, dopo aver sentito il comitato regionale di coordinamento delle università, disdetta il Protocollo d'Intesa per quanto concerne l'azienda interessata e ripristina autonomamente l'equilibrio economico finanziario.

In ultimo, le Linee Guida impongono alle Regioni gli adeguamenti delle remunerazioni delle strutture oggetto dei Protocolli d'Intesa. L'art. 1, comma 7 prevede infatti che la Regione è tenuta a corrispondere alle aziende pubbliche e private coinvolte nei Protocolli d'Intesa i maggiori costi indotti sulle attività assistenziali dalle funzioni di didattica e di ricerca, detratta la quota derivante dai risparmi ottenuti dall'apporto del personale universitario. Ciò si traduce in un aumento dei Diagnosis Related Group (D.R.G.) che la Regione dovrà riconoscere in relazione alla produzione assistenziale assicurata, alle suddette Aziende.



Indagine del Ministero della salute sull'Integrazione tra Assistenza, Didattica e Ricerca

L’istituzione delle Aziende Ospedaliere Universitarie prevista dal D.Lgs. 517/1999, avrebbe dovuto superare il dualismo storico esistente tra Policlinici Universitari e Aziende Tuttavia tale risultato non è stato raggiunto soprattutto per un’applicazione disomogenea delle norme in materia, molto spesso condizionata dall’organizzazione a livello locale.

Nel 2011, il Ministero della salute ha realizzato una indagine sul grado di integrazione raggiunto, avvalendosi per l’occasione della collaborazione di un network composto da 24 strutture ospedaliero- universitarie (AOU).

L’indagine, relativamente ai protocolli siglati dalle regioni, rileva che “le norme contenute nei protocolli d’intesa risultano particolarmente astratte e generali, senza ricadute immediate dal punto di vista operativo. Solamente in rari casi vengono date delle indicazioni concrete in merito all’organizzazione delle AOU, mentre viene dato largo spazio a concetti generali ripresi soprattutto dalla normativa nazionale nessun protocollo presenta novità di particolare rilievo rispetto a quanto disciplinato dal legislatore statale”. Inoltre, l’indagine sottolinea che tali norme, già astratte e generiche, sono per lo più accompagnate da rimandi ad ulteriori protocolli attuativi, all’atto aziendale o ad altri accordi in ambito regionale e locale.

L’indagine sottolinea anche la difficoltà delle università italiane a garantire il turn over del personale docente e a fornire quindi un contributo costante alle attività assistenziali tramite tale tipologia di personale.

L’indagine sottolinea come “un vero fattore di originalità potrebbe essere costituito dalla possibilità di adottare e di disciplinare, all’interno dei protocolli, modelli comuni di organizzazione e funzionamento delle aziende ospedaliero-universitarie, più rispondenti alle esigenze di integrazione, pur preservandone la flessibilità di contestualizzazione a livello locale, e dalla possibilità di sviluppare soluzioni alle problematiche connesse ai rapporti tra università e SSN., mettendo a frutto l’interscambio di esperienze. Queste forme di coordinamento tra le aziende ospedaliero-universitarie su scala nazionale potrebbero portare da un lato a rafforzare e migliorare la potestà legislativa delle regioni e dall’altro ad adattare i modelli e le connesse modalità operative all’evoluzione dei rapporti tra il sistema della tutela della salute ed il sistema della formazione”.

Per quanto riguarda l’integrazione, viene misurata la dipendenza dell’università dal personale del SSR di riferimento, per le funzioni di didattica e ricerca. A questo proposito, sia nel 2008 che nel 2009 risulta che “la dipendenza dell’università dal personale del SSR è superiore all’entità della dipendenza del SSR dall’università” per le funzioni assistenziali. Relativamente alla presenza dei Dipartimenti ad attività integrata che possono diventare una sede unitaria per coordinarsi con le attività della facoltà di medicina, l’indagine segnala un miglioramento nel biennio 2008-2009: nel 2009 sono state rilevate sei aziende che hanno dichiarato di essere organizzate esclusivamente con dipartimenti ad attività integrata a fronte delle quattro del 2008. Più difficile l’integrazione delle procedure» (obiettivi di budget, programmazione, controllo, attività amministrative ecc.) dove l’indice di integrazione non supera il 50% nel 2009 (contro il 40% del 2008).



Legge 240/2010 - Riforma dell'università

In via preliminare occorre ricordare che il D.Lgs. 517/1999, all’articolo 8, comma 5, stabilisce che alle procedure concernenti il trasferimento o l'utilizzazione del personale non docente nelle aziende ospedaliero-universitarie si provvede con uno o più decreti interministeriali dei Ministri della salute, dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (ora dell'istruzione, dell'università e della ricerca), della funzione pubblica (ora per la pubblica amministrazione e la semplificazione) e del tesoro (ora dell'economia e delle finanze), sentite le organizzazioni sindacali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. Come sottolineato dal rappresentante del Governo, nella risposta all’interrogazione 5-07050 dell'on. Palagiano, tali decreti non sono stati adottati in ragione di una divergenza di tesi interpretative della norma. In particolare, da un lato si riteneva  che il costo del personale delle AOU dovesse essere assunto dalle Regioni, e dall’altro si sosteneva – soprattutto da parte del Ministero Economia e Finanze, come più volte ribadito in sede di riunioni tecniche -, che le Università dovessero trasferire unitamente al personale anche le risorse necessarie per gestire il medesimo personale.

Successivamente è intervenuto l’articolo 6, comma 13, della legge 240/2010, in vigore dal 10 febbraio 2012, che prevede che il MIUR, di concerto con il Ministero della salute, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentita la Conferenza dei presidi delle facoltà di medicina e chirurgia, predisponga lo schema-tipo delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del SSN. La schema-tipo deve essere predisposto con riguardo alle strutture cliniche e di ricerca traslazionale (trasformazione di scoperte fondamentali in applicazioni cliniche) necessarie per la formazione nei corsi di laurea di aerea sanitaria di cui alla direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

La direttiva europea 2005/36/CE, recepita in Italia con il D.Lgs. 206/2007, sostituisce le quindici direttive che precedentemente hanno disciplinato il riconoscimento delle qualifiche professionali riguardanti le professioni d'infermiere professionale, odontoiatra, veterinario, ostetrica, architetto, farmacista e medico. Nel quadro della disciplina concernente il riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri dell'Unione europea ai fini dell'esercizio in Italia delle relative attività professionali, il D.Lgs. 206/2007 ha dettato specifiche norme in materia di formazione e di riconoscimento dei titoli relativi alle professioni sanitarie.

Nel maggio del 2011, il network di Aziende Ospedaliero-Universitarie che hanno partecipato all’indagine del Ministero della salute (v. supra), hanno elaborato un documento finalizzato alla predisposizione dello schema tipo di convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni nel regolare i rapporti in materia di attività sanitarie per conto del SSN, auspicando un ampio confronto con gli interlocutori istituzionali.

In ultimo, nel rispetto della norma della legge 240/2012, è stato predisposto lo schema di decreto volto a definire i rapporti tra università e regioni in materia di attività integrate di didattica, ricerca e assistenza. In particolare, sono state individuate:

Lo schema di decreto è all’esame del coordinamento tecnico della Commissione salute della Conferenza Stato-regioni dal 9 agosto 2012.



Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico - IRCCS

Gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) sono enti a rilevanza nazionale dotati di autonomia e personalità giuridica che, secondo standards di eccellenza, perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico ed in quello dell'organizzazione e gestione dei servizi sanitari, unitamente a prestazioni di ricovero e cura di alta specialità.

La peculiarità dell’attività di ricerca degli IRCCS sta quindi nello scambio continuo di conoscenze scientifiche fra laboratorio e clinica; ogni ricerca deve infatti trovare necessariamente sbocco in applicazioni terapeutiche ospedaliere.

Il D.Lgs. 288/2003 ha disposto il riordino degli IRCCS prevedendo come aspetto prioritario la condivisione tra il Ministero della Salute e le Regioni della trasformazione degli istituti pubblici in fondazioni e della definizione dei loro organi di gestione. Il decreto stabilisce, inoltre, che gli istituti che non verranno trasformati saranno organizzati sulla base di criteri che garantiscano le esigenze di ricerca e la partecipazione a reti nazionali di centri di eccellenza.

Gli IRCCS hanno natura giuridica diversa, pubblica o privata. Gli IRCCS pubblici sono veri e propri enti pubblici e si caratterizzano per la maggiore ingerenza dello Stato sull’andamento della loro gestione (al Ministro spetta la nomina del direttore scientifico). Dal 2003 gli IRCCS di diritto pubblico, su istanza della Regione in cui l'Istituto ha la sede prevalente di attività clinica e di ricerca, possono essere trasformati in Fondazioni di rilievo nazionale, aperte alla partecipazione di soggetti pubblici e privati e sottoposte alla vigilanza del Ministero della salute e del Ministero dell'economia e delle finanze. Gli enti trasformati assumono la denominazione di Fondazione IRCCS. Gli IRCCS privati invece hanno una maggiore libertà di azione ed il controllo su di essi viene effettuato soltanto sulla valenza delle ricerche effettuate.

Gli IRCCS sono sottoposti alla vigilanza del Ministero della Salute che garantisce che la ricerca da essi svolta sia finalizzata all’interesse pubblico e di supporto tecnico ed operativo agli altri organi del SSN per l'esercizio delle funzioni assistenziali al fine del perseguimento degli obiettivi del Piano Sanitario Nazionale in materia di ricerca sanitaria e per la formazione del personale.

Realtà ospedaliere emergenti che trattano patologie di rilievo nazionale, vengono qualificate come IRCCS attraverso una procedura che riconosce il loro carattere scientifico. Tale riconoscimento conferisce il diritto alla fruizione di un finanziamento statale (che va ad aggiungersi a quello regionale) finalizzato esclusivamente allo svolgimento della attività di ricerca relativa alle materie riconosciute.

L'articolo 14, commi 9-bis-12, del decreto legge 158/2012 hanno proceduto ad una manutenzione del sistema regolatorio nazionale degli IRCCS, con disposizioni volte a precisare la procedura per il riconoscimento, la revoca del medesimo e la documentazione a tal fine necessaria. L’intervento è stato attuato intervenendo sul D.Lgs. 288/2003.

Ai sensi dell’art. 13 del decreto 288/2003, il riconoscimento del carattere scientifico è soggetto al possesso, in base a titolo valido, dei seguenti requisiti: personalità giuridica di diritto pubblico o di diritto privato; titolarità dell'autorizzazione e dell'accreditamento sanitari; economicità ed efficienza dell'organizzazione, qualità delle strutture e livello tecnologico delle attrezzature; caratteri di eccellenza del livello delle prestazioni e dell'attività sanitaria svolta negli ultimi tre anni; caratteri di eccellenza della attività di ricerca svolta nell'ultimo triennio relativamente alla specifica disciplina assegnata; dimostrata capacità di inserirsi in rete con Istituti di ricerca della stessa area di riferimento e di collaborazioni con altri enti pubblici e privati; dimostrata capacità di attrarre finanziamenti pubblici e privati indipendenti; certificazione di qualità dei servizi secondo procedure internazionalmente riconosciute. I commi 9-bis e 9-ter dell'articolo 14 del decreto legge 158/2012 hanno modificato un requisito, posto ai fini del riconoscimento dell'IRCCS e consistente (nella norma precedentemente vigente) nei caratteri di eccellenza del livello e di alta specialità dell'attività di ricovero e cura svolta negli ultimi tre anni. La novella
prevede che il requisito possa consistere, in alternativa, nel carattere di eccellenza del contributo tecnico-scientifico fornito - nell’àmbito di un’attività di ricerca biomedica riconosciuta a livello nazionale ed internazionale - , inteso ad assicurare una più altaqualità dell’attività assistenziale, ttestata da strutture pubbliche del SSN. Resta fermo il requisito concorrente del carattere di eccellenza dell'attività di ricerca svolta nell'ultimo triennio, relativamente alla specifica disciplina assegnata.

I commi 10 e 10-bis dell'articolo 14 del decreto legge 158/2012 sostituisce i commi 1 e 2 dell’articolo 14 del D.Lgs. 288/2003 in materia di procedimento per il riconoscimento del carattere scientifico. In tal senso si stabilisce che la domanda di riconoscimento è presentata, dalla struttura interessata, alla regione competente per territorio. Tale domanda è presentata unitamente alla documentazione, individuata con decreto del Ministro della salute, sentita la Conferenza Stato-regioni, comprovante la titolarità dei requisiti prima elencati. La regione inoltra la domanda al Ministero della salute. Nella domanda va precisata la sede effettiva di attività della struttura e la disciplina per la quale si richiede il riconoscimento, evidenziando la coerenza del riconoscimento con la propria programmazione sanitaria. Si ricorda che a legislazione previgente non era previsto il decreto ministeriale relativo alla documentazione. Per quanto riguarda la procedura di valutazione, il Ministro della salute nomina una commissione di valutazione formata da almeno due esperti nella disciplina oggetto della richiesta di riconoscimento. Gli esperti svolgono l’incarico a titolo gratuito. Entro trenta giorni dalla nomina, la commissione esprime il proprio parere motivato sulla sussistenza dei requisiti, sulla completezza della documentazione allegata alla domanda e su quella eventualmente acquisita dalla struttura interessata. La commissione può anche effettuare sopralluoghi. Entro dieci giorni dal ricevimento del parere, il Ministro della salute trasmette gli atti alla Conferenza Stato-regioni, che deve esprimersi sulla domanda di riconoscimento entro quarantacinque giorni dal ricevimento. Il riconoscimento è disposto con decreto del Ministro dalla salute, previa intesa con il Presidente della Regione interessata. L'eventuale decisione difforme dai pareri deve essere motivata.

Il procedimento di conferma e revoca del carattere scientifico è disciplinato ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. 288/2003, completamente modificato dal comma 11 dell'articolo 14 del decreto legge 158/2012.Le Fondazioni IRCCS, gli Istituti non trasformati e quelli privati inviano ogni due anni, a legislazione previgente ogni tre anni, al Ministero della salute i dati aggiornati circa il possesso dei requisiti necessari per il riconoscimento. Innovando rispetto alla disciplina previgente, il Ministero della salute, nell’esercizio delle funzioni di vigilanza, può verificare in ogni momento la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento delle Fondazioni IRCCS, degli Istituti non trasformati e di quelli privati. Nel caso di sopravvenuta carenza di tali condizioni, il Ministero informa la regione territorialmente competente ed assegna all’ente un termine non superiore a sei mesi – precedentemente il termine era fissato a un anno - entro il quale reintegrare il possesso dei requisiti prescritti. Il Ministro della salute e la regione competente possono immediatamente sostituire i propri designati all’interno dei consigli di amministrazione e, innovando, sospendere cautelativamente l’accesso al finanziamento degli enti interessati. Alla scadenza di tale termine, sulla base dell’esito della verifica, il Ministro della salute, d’intesa con il Presidente della regione interessata, conferma o revoca il riconoscimento. In caso di revoca del riconoscimento, le Fondazioni IRCCS e gli Istituti, pubblici e privati, riacquistano la natura e la forma giuridica rivestite prima della concessione del riconoscimento, fermo restando l'obbligo di terminare i progetti di ricerca finanziati con risorse pubbliche o, in caso di impossibilità, di restituire i fondi non utilizzati.

Il decreto legge 158/2012 ha inoltre previsto che entro il 31 dicembre 2012 dovrà essere adottato un decreto del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e la Conferenza Stato-regioni, in cui saranno stabiliti i criteri di classificazione degli IRCCS non trasformati, delle Fondazioni IRCCS e degli altri IRCCS di diritto privato sulla base di indicatori quali-quantitativi di carattere scientifico di comprovato valore internazionale. Il medesimo decreto dovrà individuare le modalità attraverso cui realizzare l’attività di ricerca scientifica in materia sanitaria a livello internazionale. Il decreto non è stato finora emanato.

Ricordiamo infine che gli IRCCS sono attori importanti della ricerca sanitaria: la normativa vigente li individua come destinatari istituzionali della ricerca sanitaria finalizzata, anche l'attività di ricerca sanitaria corrente è svolta dagli IRCCS attraverso l'elaborazione di progetti. Le attività di ricerca sanitaria corrente e finalizzata sono infatti svolte dalle regioni, dall'Istituto superiore di sanità, dall'INAIL (per le attività in precedenza svolte dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, ora soppresso), dall'Agenzia per i servizi sanitari regionali, dagli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e privati nonché dagli Istituti zooprofilattici sperimentali. Alla realizzazione dei progetti possono concorrere, sulla base di specifici accordi, contratti o convenzioni, le Università, il Consiglio nazionale delle ricerche e gli altri enti di ricerca pubblici e privati, nonché imprese pubbliche e private.

Innovazione digitale nella scuola e nell'università

Nell'ambito dei numerosi progetti per lo sviluppo delle tecniche digitali nel settore dell'istruzione, il D.L. 112/2008 aveva previsto il passaggio graduale a libri di testo per le scuole disponibili nella rete internet. Il D.L. 5/2012 ha poi disposto l'obbligo di iscrizione telematica alle università e la realizzazione di un portale in italiano e in inglese, mentre il D.L. 95/2012 ha disposto l'obbligo di iscrizione on line alle scuole e l'introduzione della pagella in formato elettronico. Da ultimo, il D.L. 179/2012 ha previsto diverse disposizioni volte ad accelerare il processo di dematerializzazione amministrativa in ambito scolastico e universitario, incluso il passaggio graduale a libri di testo nella versione digitale o mista.

Nell'obiettivo più generale dell'Informatizzazione della pubblica amministrazione, il MIUR e il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'innovazione hanno siglato il 30 ottobre 2008 un Protocollo d'intesa per la realizzazione di programmi di innovazione digitale nella scuola e nell'università.

Il protocollo prevedeva la realizzazione di 5 progetti: Scuole in rete, per il collegamento delle scuole italiane alla rete Internet; Contenuti digitali per la didattica, per l’innovazione delle metodologie didattiche; Servizi scuola-famiglia via Web, per semplificare le relazioni; Anagrafe scolastica nazionale, per realizzare una anagrafe scolastica unitaria; Servizi on-line e Wifi per le università; Università digitale.

Per la realizzazione dei progetti sono stati anche siglati protocolli d'intesa con realtà imprenditoriali e associazioni del settore.

Scuola e università nel Piano di e-government 2012

Il Piano di e-government 2012, presentato dal Governo nel gennaio 2009, ha definito circa 80 progetti, aggregati in 4 ambiti di intervento e 27 obiettivi, volti a modernizzare e rendere più efficiente e trasparente la PA, migliorando la qualità dei servizi erogati a cittadini e imprese e diminuendo i costi per la collettività. 

Con l'Obiettivo Scuola, il MIUR e il Ministero per la PA e l'Innovazione hanno avviato una serie di interventi volti all’innovazione digitale della scuola. In particolare, in tale ambito: è stato realizzato il portale Scuola Mia, che permette alle scuole aderenti all'iniziativa di erogare servizi digitali a studenti e famiglie; sono state distribuite nelle scuole statali oltre 40.000 lavagne interattive digitali (LIM); è stata avviata l’operazione Scuole in WiFi che mira a far sì che le scuole abbiano una connessione gratuita riservata alla didattica.

Il 18 settembre 2012, da ultimo, il MIUR ha stipulato convenzioni con 12 regioni - facendo seguito all'Accordo quadro approvato il 25 luglio 2012 in Conferenza Stato-Regioni - al fine di favorire la diffusione delle tecnologie digitali nel settore dell'istruzione.

L'Obiettivo Università è volto a incrementare l'efficacia e l'accessibilità dei sistemi di istruzione universitaria, semplificare le relazioni amministrative di famiglie e studenti con le istituzioni universitarie, nonché a realizzare la piena condivisione dei dati e l'automazione dei flussi amministrativi tra le stesse istituzioni universitarie e le altre pubbliche amministrazioni centrali e locali. L'obiettivo è articolato in due progetti: Servizi on-line e reti WiFi e Università digitale.
Nell'agosto 2012, da ultimo, il MIUR ha trasmesso agli atenei le nuove Linee Guida elaborate, in collaborazione con il Dipartimento per la digitalizzazione della PA e l'innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio, nell'ambito dell'obiettivo, invitando a recepirne le indicazioni.

I D.L. 112/2008, 5/2012, 95/2012 e 179/2012

L'art. 15 del D.L. 112/2008 aveva previsto che dall'a.s. 2008/2009 doveva essere data la preferenza, nelle scelte dei docenti, a libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet, e che questa diventava la regola entro l'a.s. 2011/2012. L'art. 11 del D.L. 179/2012 ha poi disposto che, a decorrere dalle adozioni riferite all'a.s. 2014/2015, progressivamente - a partire dalle classi I e IV della scuola primaria, dalla I classe della scuola secondaria di I grado e dalla I e III classe della scuola secondaria di II grado - il collegio dei docenti adotta esclusivamente libri nella versione digitale o mista.

L'art. 48 del D.L. 5/2012 ha disposto l'obbligo di iscrizione telematica alle università e, dall'a.a. 2013/14, la verbalizzazione elettronica degli esami di profitto e di laurea. Ha, inoltre, previsto la costituzione, da parte del MIUR, di un portale unico, almeno in italiano e in inglese, che faciliti agli studenti il reperimento di dati utili per la scelta.

L'art. 7, co. 27-32, del D.L. 95/2012 ha previsto che, dall'a.s. 2012/2013:

Al riguardo si ricorda che già il 2 ottobre 2008 era stato presentato il Progetto “Scuola/famiglia via web” (registro elettronico, rilevazione di assenze e presenze con comunicazione via cellulare o e-mail, accesso in rete al fascicolo dello studente, prenotazione dei colloqui, pagella on-line).
Inoltre, con circolare n. 108 del 27 dicembre 2011 il MIUR aveva comunicato la nascita, a partire dal 12 gennaio 2012, del progetto “Scuola in chiaro” che mette a disposizione in una forma organica le informazioni relative a tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado. Con circolare n. 110 del 29 dicembre 2011, relativa alle iscrizioni per l’a.s. 2012/2013, è stata comunicata la possibilità di utilizzare a tal fine il portale Scuola in chiaro.

L'art. 10 e l' art. 11 del D.L. 179/2012 dispongono, oltre a quanto già visto per i libri di testo:

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM)

Nella XVI legislatura, gli interventi più rilevanti sulle Istituzioni AFAM sono rappresentati dall'art. 3-quinquies del D.L. 180/2008 - volto alla determinazione di settori artistico disciplinari, obiettivi formativi e ordinamenti didattici, così come già fatto per i corsi universitari - e dalla legge di stabilità 2013 che, in particolare, ha disposto l'equipollenza fra i titoli di studio rilasciati dalle stesse Istituzioni e alcuni titoli di studio rilasciati dalle Università.

Premessa

L'art. 2 della L. n. 508/1999 ha disposto che le Accademie di belle arti, l'Accademia nazionale di arte drammatica e gli Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), nonché, con la trasformazione in Istituti superiori di studi musicali e coreutici, i Conservatori di musica, l'Accademia nazionale di danza e gli Istituti musicali pareggiati, costituiscono il sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale (AFAM).

Le istituzioni istituiscono e attivano corsi di formazione – ai quali si accede con il possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado –, nonché corsi di perfezionamento e di specializzazione e rilasciano diplomi accademici di primo e secondo livello, nonché di perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca in campo artistico e musicale.

Il D.L. 180/2008 e i provvedimenti conseguenti

L'art. 3-quinquies del decreto-legge 180/2008 ha disposto che con decreti ministeriali sono determinati (come già avvenuto per i corsi di laurea e di laurea magistrale) i settori artistico disciplinari e gli obiettivi formativi delle Istituzioni AFAM.

Quanto al primo obiettivo, sono intervenuti il D.M. 3.7.2009, n. 89 per le Accademie di Belle Arti, il D.M. 3.7.2009, n. 90 per i Conservatori di musica (modificato e integrato dal D.M. 119/2013), il D.M. 30.9.2009, n. 125 per l' Accademia Nazionale di Danza, il D.M. 30.9.2009, n. 126 per l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica, il D.M. 30.9.2009, n. 127 per gli istituti Superiori per le Industrie Artistiche.

Quanto al secondo obiettivo, con riferimento, per ora, agli ordinamenti didattici dei corsi di studio per il conseguimento dei diplomi accademici di primo livello, sono intervenuti il D.M. 30 settembre 2009, n. 123 per le Accademie di Belle Arti, il D.M. 30 settembre 2009, n. 124 per i Conservatori di Musica (modificato e integrato dal D.M.120/2013; per questi ultimi, inoltre, il 5 marzo 2010 il MIUR ha emanato le Linee guida per la formulazione del regolamento didattico dei corsi di diploma accademico di primo livello delle Istituzioni musicali AFAM), il D.M. 3 febbraio 2010, n. 17 per gli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, il D.M. 3 febbraio 2010, n. 22 per l'Accademia Nazionale di Arte Drammatica, il D.M.3 febbbraio 2010, n. 16, integrato dal D.M.25 giugno 2010, n.109, per l'Accademia Nazionale di Danza.

La legge di stabilità 2013 e l'A.C. 4822

L’art. 1, co. 102-107, della legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) ha disposto, innanzitutto, un sistema di equipollenze fra i diplomi accademici di primo e di secondo livello rilasciati dalle istituzioni AFAM e, rispettivamente, i diplomi di laurea e di laurea magistrale appartenenti ad alcune classi, al fine esclusivo della partecipazione ai pubblici concorsi. In particolare:

Diploma accademico di I livello

Classe di laurea

  • Accademie di belle arti
  • Accademia nazionale arte drammatica
  • Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA)
  • Conservatori di musica
  • Accademia nazionale di danza
  • Istituti musicali pareggiati

L-3 (Discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda)

Diploma accademico di II livello

Classe di laurea magistrale

  • Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA)
  • Accademie di belle arti (scuola di “Progettazione artistica per l’impresa”)

LM-12 (Design)

  • Conservatori di musica
  • Accademia nazionale di danza
  • Istituti musicali pareggiati

LM-45 (Musicologia e beni musicali)

  • Accademia nazionale di arte drammatica
  • Accademie di belle arti – scuole di “Scenografia” e di “Nuove tecnologie dell’arte”

LM-65 (Scienze dello spettacolo e produzione multimediale)

  • Accademie di belle arti (tutte le scuole ad eccezione di: “Progettazione artistica per l’impresa”, “Scenografia” e “Nuove tecnologie dell’arte”)

LM 89 (Storia dell'arte)

 Ha, altresì, disposto:

Sono stati in tal modo ripresi alcuni dei contenuti dell' A.C. 4822, già approvato dal Senato, di cui la VII Commissione della Camera aveva avviato l’esame - non concluso - il 18 gennaio 2012, in abbinamento con altre proposte di legge.

Ulteriori interventi normativi

L’art. 29, co. 21, della L. 240/2010 ha previsto la contemporanea iscrizione a corsi di studio universitari e a corsi di studio presso i conservatori di musica, gli istituti musicali pareggiati e l’Accademia nazionale di danza.
La disciplina applicativa è stata definita con DM 28 settembre 2011.

Nell’ottica di razionalizzare la spesa, la L. di stabilità 2012 (L. 183/2011) ha, tra l'altro: ridotto da 3 a 2 il numero dei revisori dei conti delle istituzioni AFAM e rideterminato il loro trattamento economico (art. 4, co. 71); disposto il blocco degli incrementi economici dei docenti per il triennio 2012-2014 e ridisciplinato le modalità di fruizione dei permessi per attività di studio, ricerca e produzione artistica (art. 4, co. 73-77); disposto che, in caso di esonero del direttore di un’istituzione dall’attività didattica, il posto non è coperto attraverso un supplente (art. 4, comma 80). Su quanto disposto è intervenuta la nota MIUR n. 6372 del 15 novembre 2011.

 Con l'art. 14, co. 2, del D.L. 216/2011 era stata disposta la proroga fino al 31 dicembre 2012 del Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale (CNAM).

Sull’argomento, l' A.C. 4822  prevedeva una nuova disciplina della composizione e delle modalità di designazione e di elezione dei membri del CNAM.

Infine, con DM 8 novembre 2011, sono stati riordinati i corsi biennali di secondo livello ad indirizzo didattico attivati presso i conservatori di musica, gli istituti musicali pareggiati e le accademie di belle arti.

 

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VII Cultura

Cultura, spettacolo, sport



Premessa

Le politiche in materia di cultura sviluppate nel corso della XVI legislatura – pur indirizzate a perseguire l’azione di tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio artistico e culturale, al fine di migliorarne la fruizione da parte dei cittadini, anche attraverso l’utilizzo della rete web – si sono sviluppate in un quadro economico caratterizzato dalla perdurante riduzione dei finanziamenti pubblici.

In particolare, le riduzioni agli stanziamenti dei Ministeri disposte da vari interventi normativi lungo tutto l’arco della legislatura (dal D.L. 112/2008 al D.L. 95/2012) hanno determinato, per il Ministero per i beni e le attività culturali (Mibac), una riduzione degli stanziamenti - al netto degli oneri relativi al rimborso del debito pubblico – dai 2.098 milioni di euro risultanti dal Rendiconto 2008, ai 1.512 milioni di euro risultanti dalla Legge di bilancio 2013, con una incidenza percentuale sulla spesa finale del bilancio dello Stato diminuita, nel periodo indicato, dallo 0,4% allo 0,3%.

Alle risorse assegnate allo stato di previsione del Mibac si affiancano, tuttavia, ulteriori risorse (provenienti, fra l’altro, da Fondi Lotto, dalle fondazioni di origine bancaria, e dalle erogazioni liberali).



L’assetto delle competenze

Gli attori delle politiche culturali sono lo Stato e le regioni, che agiscono nel quadro di competenze delineato dal nuovo articolo 117 della Costituzione. In particolare, la tutela dei beni culturali è affidata alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.), mentre la valorizzazione dei beni culturali e la promozione e organizzazione di attività culturali – che comprendono lo spettacolo e le attività cinematografiche (Corte Cost., sent. nn. 255/2004 e 285/2005) – è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.).

La Corte ha, peraltro, evidenziato, già prima della XVI legislatura (sent. nn. 478/2002 e 307/2004), che lo sviluppo della cultura corrisponde a finalità di interesse generale “il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 Cost.), anche al di là del riparto di competenze fra Stato e regioni”.



La riorganizzazione del Mibac

Nello scenario descritto in premessa, il D.P.R. 91/2009, di riorganizzazione del Mibac, ha disposto l’istituzione della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale, caratterizzata da competenze trasversali finalizzate, tra l’altro, ad intensificare i rapporti di collaborazione tra Ministero ed enti locali ed a favorire la partnership tra pubblico e privato.

I primi risultati positivi sono stati riferiti alla VII Commissione cultura della Camera il 18 febbraio 2010. In quella sede, il rappresentante del Governo ha evidenziato che i dati 2009 circa il numero di visitatori dei luoghi di cultura e i conseguenti introiti testimoniavano un aumento, rispetto al 2008, dell'8,53% e del 15,55%.

Il trend si è confermato: in base agli ultimi dati resi noti dall'ufficio statistica del Mibac, nel 2011, rispetto al 2010, si è registrato un aumento degli ingressi nei luoghi statali della cultura (musei, monumenti e aree archeologiche), del 7,49%, mentre gli incassi sono aumentati del 5,69%. In termini assoluti, nel 2011 sono stati conteggiati 40.134.446 ingressi (+2.797.485 rispetto al 2010), per un introito, al lordo dell'aggio spettante ai concessionari del servizio di biglietteria, di 110.430.672 euro (+5.946.366 euro rispetto al 2010).



I principali interventi normativi in materia di cultura e spettacolo

Gli interventi normativi più rilevanti sono stati attuati attraverso decreti-legge e attraverso le leggi di stabilità - ovvero hanno riguardato la ratifica di atti internazionali - e sono, dunque, derivati dall’iniziativa governativa.

Interventi per i beni culturali

In particolare, il D.L. 34/2011 ha previsto un programma straordinario di interventi conservativi da realizzare nell'area archeologica di Pompei, attraverso l’adozione di procedure semplificate per l’affidamento dei lavori e l’autorizzazione all’assunzione di personale, anche in deroga ad alcune norme di blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.

Ulteriori disposizioni agevolative delle assunzioni presso il Mibac sono state introdotte, al fine di assicurare l'espletamento delle funzioni di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale, con la legge di stabilità 2012 (L. 183/2011) e con il D.L. 201/2011, mentre per Pompei è stato poi avviato, anche sulla base di un finanziamento messo a disposizione dall’UE, Il grande progetto Pompei.

Misure di semplificazione e razionalizzazione sono state poi previste dal D.L. 5/2012 e dal D.L. 95/2012, nonché dalla L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), con riferimento, fra l’altro, al sostegno finanziario dello Stato per gli interventi conservativi effettuati dai privati sui beni culturali, alla verifica dell'interesse culturale nell'ambito delle procedure di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, alla messa in liquidazione della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS Spa dal 1° gennaio 2014 e alla riconduzione delle relative attività al MIBAC.

Con L. 45/2009 è stata autorizzata la ratifica del Secondo Protocollo relativo alla Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, mentre con L. 157/2009 è stata ratificata la Convenzione UNESCO del 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo.

Per iniziativa mista Parlamento-Governo, nell’ultimo scorcio della legislatura è stata approvata la L. 7/2013 (A.C. 5613), che modifica la disciplina transitoria per il conseguimento delle qualifiche di restauratore e di collaboratore restauratore di beni culturali, mentre non si è concluso l’esame di una proposta di legge (A.C. 1614) che recava disposizioni in materia di esercizio di altre professioni dei beni culturali.

Non è, inoltre, giunto a compimento l’iter di numerosi progetti di legge di iniziativa parlamentare, riguardanti, principalmente, interventi di restauro e promozione di monumenti e altri luoghi della cultura.


Interventi per lo spettacolo

Con riferimento allo spettacolo, il D.L. 64/2010, ampiamente modificato durante l'esame parlamentare, ha disposto un primo, urgente, intervento nel settore lirico-sinfonico , per razionalizzare le spese e al contempo implementare la produttività e i livelli di qualità delle produzioni offerte, prevedendo l’adozione di successivi regolamenti.

Tuttavia, mentre è stato adottato il regolamento (D.P.R.117/2011) per il riconoscimento di forme organizzative speciali ad alcune fondazioni lirico-sinfoniche in relazione a peculiarità, assoluta rilevanza internazionale, eccezionali capacità produttive, rilevanti ricavi propri o significativo e continuativo apporto finanziario di privati – che ha poi determinato il riconoscimento previsto per l’Accademia di Santa Cecilia di Roma (DM 23 gennaio 2012) e per il Teatro La Scala di Milano (DM 16 aprile 2012) - lo schema del regolamento che disciplina l’ordinamento e l’organizzazione delle fondazioni - a fronte di un termine per l’emanazione fissato al 31 dicembre 2012 dal D.L. 201/2011 - è stato esaminato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 2012, ma non è ancora giunto all’esame delle Camere.

Il D.L. 64/2010 ha peraltro determinato un intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 153/2011, ha ribadito la qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorché da tempo privatizzati a seguito del d.lgs. 367/1996.

Nel medesimo ambito, l’argomento più rilevante discusso alla Camera per iniziativa parlamentare ha riguardato lo spettacolo dal vivo: infatti, sin dall’inizio della legislatura, la VII Commissione ha cercato di definire un quadro normativo organico, specificando, tra l’altro, le attribuzioni spettanti ai singoli livelli di governo e riaffrontando il problema del supporto economico al settore, attualmente assicurato principalmente dal Fondo Unico per lo Spettacolo , la cui dotazione, pari a 513 milioni di euro nel Rendiconto 2008, diminuita a 398,9 milioni di euro nel Rendiconto 2010, poi aumentata – a seguito dell’intervento del D.L. 34/2011 – a 423,4 milioni di euro nel rendiconto 2011 – è ora nuovamente pari, nella legge di bilancio 2013, a 398,1 milioni di euro.

L’esame del provvedimento (A.C. 136 e abb.) non si è, però, concluso. Analogamente, non è giunto a conclusione l’iter, avviato dalla XI Commissione, di alcune proposte di legge (A.C. 762 e abb.) in materia di tutela professionale dei lavoratori dello spettacolo.

La 7a Commissione del Senato, invece, ha esaminato progetti di legge finalizzati a promuovere le attività cinematografiche e audiovisive (A.S. 87 e abb.), anche in tal caso senza conclusione dell’attività. Per il settore cinematografico, peraltro, sono stati prorogati (art. 2, co. 4-ter, D.L. 98/2011) fino al 31 dicembre 2013 gli incentivi fiscali introdotti dalla L. finanziaria 2008 e sono state ridefinite la natura societaria e le funzioni di Cinecittà Luce Spa, divenuta Istituto Luce-Cinecittà srl (art. 14, co. 6-14, D.L. 98/2011).



Lo sport

L'ordinamento sportivo rientra tra le materie che la Costituzione affida alla competenza concorrente; esso si caratterizza, peraltro, per una spiccata autonomia organizzativa, in quanto articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale (art. 1, D.L. 220/2003).

Le politiche intraprese nella XVI legislatura - che fanno capo al Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri (alla quale sono state trasferite dall'art. 1, co. 19, del D.L. 181/2006) - sono state orientate allo sviluppo di strategie che incentivino l'attivita' fisica e sportiva fra tutti gli strati della popolazione, anche attraverso l’istituzione di un apposito Fondo (art. 64, D.L. 83/2012 – L. 134/2012) e, da ultimo, l’approvazione, il 26 settembre 2012, del Piano nazionale per la promozione dell’attività sportiva . In quest'ultimo si evidenzia che lo sport è un settore dinamico, che può contribuire anche al raggiungimento di obiettivi di crescita e di creazione di posti di lavoro e che, per altro verso, i valori veicolati dallo sport e dalla pratica sportiva in generale concorrono a sviluppare la conoscenza, la motivazione, lo spirito di sacrificio, l’osservanza delle regole, il rispetto degli altri, la solidarietà e la disciplina. Si evidenzia, altresì che, come ribadito anche in ambito europeo, lo sport tende ormai a configurarsi come un diritto della cittadinanza che le istituzioni devono garantire, promuovendo un’offerta sportiva qualificata e sana che stimoli l’ampliamento della base dei praticanti.

Con particolare riferimento alla pratica sportiva delle giovani generazioni, inoltre, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha emanato, nel 2009, linee guida per la riorganizzazione delle attività di educazione fisica e sportiva nelle scuole secondarie di I e II grado ed ha avviato un progetto di alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, la cui terza annualità riguarda l’a.s. 2012/2013. Alla pratica sportiva scolastica viene affidato il compito di educare le giovani generazioni alla competizione come momento di incontro, promuovendo comportamenti di dialogo e non violenza.

Il tema più rilevante di cui ha discusso il Parlamento per iniziativa dei suoi membri ha riguardato la costruzione degli impianti sportivi e la ristrutturazione di quelli esistenti. In particolare, la 7a Commissione del Senato, dopo aver svolto una indagine conoscitiva sullo sport di base e dilettantistico, ha approvato un testo riguardante i grandi impianti, modificato poi dalla Camera (A.C. 2800 e abb.) e rinviato al Senato, dove l’esame non è stato portato a compimento. Sempre al Senato è stato avviato l’iter di altri progetti di legge (A.S. 1813 e abb.) riguardanti gli impianti di minori dimensioni, anch’esso non concluso.

Un ulteriore tema affrontato aveva la finalità di garantire alle atlete pari opportunità, aiutandole a conciliare sport e maternità: anche in tal caso, tuttavia, l’iter del testo - di iniziativa parlamentare - approvato dalla Camera (A.C. 4019 e abb.) non si è concluso al Senato (A.S. 2829 ).

L'organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali

Nella XVI legislatura, l'organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali è stata modificata, ridefinendo le competenze delle direzioni generali e delle strutture periferiche.

 

Premessa

 Nella XVI legislatura, il D.P.R. 2 luglio 2009, n. 91, in attuazione dell’art. 74 del D.L. 112/2008, ha novellato il regolamento di organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC) di cui al D.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 - emanato in base all’art. 1, co. 404, della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006) – nonché il D.P.R. 6 luglio 2001, n.307, che disciplina l’organizzazione degli uffici di diretta collaborazione con il Ministro.

L’intervento operato con il D.P.R. 91/2009 ha comportato sia una riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche ulteriore rispetto a quella derivante dal D.P.R. 233/2007, sia una ridefinizione delle competenze delle direzioni generali - in particolare, con la creazione della Direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale - e delle strutture periferiche del Ministero.

 E’ opportuno ricordare anche che l’art. 12, co. 31-38, del D.L. n. 95 del 2012 aveva previsto la soppressione dell’Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi e la trasformazione della Fondazione centro sperimentale di cinematografia in Istituto centrale. Tali disposizioni sono state soppresse durante l’esame parlamentare.

 Complessivamente, il MIBAC si articola in una amministrazione centrale e in una amministrazione periferica. Vi sono, altresì, organi consultivi centrali, istituti centrali e istituti dotati di autonomia speciale.

Articolazione centrale del MIBAC

 Secondo la configurazione adottata con il D.L. 262/2006 - che ha soppresso i Dipartimenti - il Ministero si articola, a livello centrale, in un segretariato generale e in direzioni generali.

In particolare, le direzioni generali, a seguito del D.P.R. 91/2009, sono otto e a ciascuna di esse fa capo un determinato numero di uffici dirigenziali non generali (udng: di seguito, indicati fra parentesi):

DG per l’organizzazione, gli affari generali, l’innovazione, il bilancio, ed il personale (6)

DG per le antichità (7)

DG per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee (12)

DG per la valorizzazione del patrimonio culturale (2)

DG per gli archivi (9)

DG per le biblioteche, gli istituti culturali ed il diritto d’autore (8)

DG per il cinema (3)

DG per lo spettacolo dal vivo (3)

 Ai direttori generali centrali competono, per le materie di settore, le funzioni concernenti progetti o iniziative che coinvolgono interessi interregionali o nazionali o facenti capo a più amministrazioni.

Inoltre, essi esercitano i diritti dell’azionista nelle società controllate dal Ministero (ARCUS; ALES; Cinecittà) e di vigilanza sulle Fondazioni o, a seconda dei casi, società (Triennale di Milano; Quadriennale di Roma; Biennale di Venezia; Fondazione MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo; SIAE).

 Le attività delle direzioni generali sono coordinate da un Segretario generale, che opera alle dirette dipendenze del Ministro, attuando l’indirizzo da questi impartito. In particolare, il Segretario generale assicura il coordinamento e l'unità dell'azione amministrativa e riferisce periodicamente al Ministro gli esiti della sua attività.

Il segretariato generale si articola in 6 uffici dirigenziali di livello non generale, compresi il Servizio ispettivo, gli Istituti centrali e l’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro.

Altri due uffici di livello dirigenziale generale sono costituiti presso il gabinetto del Ministro.

 Sia il segretariato generale, sia le direzioni generali, costituiscono centro di responsabilità amministrativa.

 Il segretariato generale e le direzioni generali esercitano la vigilanza sugli Istituti centrali, gli Istituti nazionali e gli Istituti dotati di autonomia speciale.

Istituti centrali e istituti dotati di autonomia speciale

Gli istituti centrali sono 7 (Istituto centrale per il catalogo e la documentazione; Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche; Opificio delle pietre dure; Istituto centrale per la demoetnoantropologia (di nuova istituzione); Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario; Istituto centrale per gli archivi; Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi.

Gli istituti dotati di autonomia speciale sono 11 (Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei; Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Napoli; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Roma; Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Firenze; Istituto superiore per la conservazione ed il restauro (che subentra all'Istituto centrale del restauro); Biblioteca nazionale centrale di Roma; Biblioteca nazionale centrale di Firenze; Centro per il libro e la lettura; Archivio centrale dello Stato).

Organi consultivi centrali

 Sono organi consultivi centrali il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici e 7 Comitati tecnico-scientifici.

Il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici esprime pareri, fra l’altro, sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa annuali e pluriennali, sugli schemi di accordi internazionali in materia di beni culturali, sui piani strategici di sviluppo culturale e sui programmi di valorizzazione dei beni culturali, sui piani paesaggistici elaborati congiuntamente con le regioni. Esso è composto dai presidenti dei Comitati tecnico-scientifici e da otto eminenti personalità del mondo della cultura (di cui, 3 designate dalla Conferenza unificata) ed è integrato, in determinati casi, con tre rappresentanti del personale del Ministero. Dura in carica tre anni, con eventuale proroga per non più di tre anni.

7 Comitati tecnico-scientifici (per i beni archeologici; per i beni architettonici e paesaggistici; per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico; per gli archivi; per le biblioteche e gli istituti culturali; per la qualità architettonica e urbana e per l’arte contemporanea; per l’economia della cultura) hanno funzioni consultive.

Ciascun comitato è composto da un rappresentante eletto, al proprio interno, dal personale tecnico-scientifico dell’amministrazione; da due esperti di chiara fama designati dal Ministro; da un professore universitario di ruolo designato dal CUN.

Articolazione periferica del MIBAC

 Sono organi periferici del MIBAC:

a) 17 direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici: per ciascuna di esse è indicato il numero degli uffici dirigenziali non generali, fino ad un massimo di 14;

b)  le soprintendenze: per i beni archeologici; per i beni architettonici paesaggistici; per i beni storici, artistici ed etnoantropologici;

c)   le soprintendenze archivistiche;

d)  gli archivi di Stato;

e)  le biblioteche statali;

f)   i musei.

In particolare le direzioni regionali, che sono uffici dirigenziali generali, coordinano l’attività delle altre strutture periferiche presenti nel territorio regionale. Ad esempio, esprimono il parere di competenza del Ministro in sede di conferenza di servizi per gli interventi in ambito regionale che riguardano le competenze di più soprintendenze di settore. Curano, inoltre, i rapporti del Ministero e delle strutture periferiche con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione medesima.

Costituiscono centri di costo e dipendono funzionalmente, per quanto riguarda gli aspetti contabili, dalla direzione generale per l’organizzazione, gli affari generali, l’innovazione, il bilancio ed il personale.

Deputato ad esprimere pareri è il Comitato regionale di coordinamento, presieduto dal direttore regionale e composto dai soprintendenti di settore operanti in ambito regionale e, in composizione integrata, anche dai responsabili di tutti gli uffici periferici operanti in ambito regionale.

Attuale dotazione organica

La dotazione organica è stabilita in 223 dirigenti, di cui 29 di prima fascia e 194 di seconda fascia.

La dotazione organica delle aree è pari a 21.232 unità.

Dossier pubblicati

Tutela e valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale

Nella XVI legislatura, gli interventi normativi più rilevanti sono stati effettuati attraverso decreti-legge o leggi di stabilità, ovvero hanno riguardato la ratifica di atti internazionali. In particolare, il D.L. 34/2011 ha previsto un intervento finanziario a decorrere dal 2011 per la manutenzione e la conservazione di beni culturali e per gli enti culturali, nonchè un potenziamento delle funzioni di tutela dell'area archeologica di Pompei e l'autorizzazione all'assunzione di personale. Le assunzioni sono state agevolate anche con la legge di stabilità 2012 e con il D.L. 201/2011. Misure di semplificazione e razionalizzazione sono poi state previste dai D.L. 5/2012 e 95/2012, e dalla legge di stabilità 2013.

Premessa

Nel dicembre 2009 il Consiglio UE ha inserito la conservazione del patrimonio culturale tra i temi per i quali è necessario coordinare i programmi di ricerca degli Stati membri. All’Italia è stato affidato il ruolo di coordinamento.

Il 25.2.2010 MIUR e MIBAC hanno siglato la dichiarazione che ha avviato le attività di coordinamento della Programmazione congiunta della Ricerca europea nel settore. A seguito, poi, della raccomandazione della Commissione UE del 26 aprile 2010, relativa all'iniziativa di programmazione congiunta nel settore della ricerca "Patrimonio culturale e cambiamenti globali: una nuova sfida per l'Europa" (2010/238/Unione Europea), MIUR e MIBAC hanno istituito un tavolo di concertazione per l'attuazione della raccomandazione attraverso la definizione ed implementazione di un Piano di attività che individui gli obiettivi, le strategie e le modalità di partecipazione alle iniziative europee e internazionali nel settore della ricerca sul patrimonio culturale.

Il 10 gennaio 2013 si è aperta la Call Pilota transnazionale nell’ambito dell’Iniziativa di Programmazione congiunta JPI Cultural Heritage, con uno stanziamento complessivo di circa 3 milioni di euro. Per l'Italia, enti promotori sono MIUR e MIBAC, che gestiscono un budget di 750.000 euro.

In ambito europeo, infine, con Decisione n. 1194/2011 dell'Unione Europea del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 novembre 2011 è stata istituita un'azione dell'Unione europea per il marchio del patrimonio europeo, da attribuire a siti ubicati nell'Unione e che rivestono un ruolo importante nella storia, nella cultura e nella costruzione dell'Europa. Possono presentare le loro candidature: i monumenti, i siti naturali, subacquei, archeologici, industriali o urbani, i paesaggi culturali, i luoghi della memoria, i beni culturali e il patrimonio immateriale associati a un luogo, compreso il patrimonio contemporaneo.

La protezione dei beni culturali

Con L. 45/2009 (A.C. 1929) è stata autorizzata la ratifica del Secondo Protocollo relativo alla Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato. Il Protocollo affianca ai regimi di protezione “generale” e “speciale” il regime intermedio della “protezione rafforzata”. Possono essere qualificati a protezione rafforzata i beni di grandissimo rilievo per l'umanità, di eccezionale valore storico e culturale, e che non siano utilizzati per scopi militari. 

Con L. 157/2009 (A.C. 2411) è stata autorizzata la ratifica della Convenzione UNESCO (Parigi, 2001) sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo. Rientrano in tale definizione siti, strutture, edifici, resti umani, navi affondate, oggetti preistorici. Tra i principi generali della Convenzione vi sono la conservazione in situ del patrimonio culturale subacqueo come opzione prioritaria e il divieto di sfruttamento di tale patrimonio a fini commerciali.

Con L. 111/2009 (A.C. 867), di iniziativa parlamentare, è stato istituito il premio annuale Arca dell’arte – Premio nazionale Rotondi ai salvatori dell’arte, ideato per ricordare la figura di P. Rotondi, soprintendente delle Marche che durante la II guerra mondiale coordinò le operazioni di salvataggio di migliaia di opere d'arte italiane. Esso ha la finalità di segnalare le figure che si sono contraddistinte nelle attività di salvataggio di opere d'arte ed è stato assunto sotto l’egida del MIBAC per superare la difficoltà degli enti locali promotori dell’iniziativa di continuare a sostenerne gli oneri.

Stanziamenti aggiuntivi e misure agevolative delle assunzioni

Il D.L. 34/2011 ha disposto, dal 2011, lo stanziamento di ulteriori 80 milioni di euro per la manutenzione e la conservazione dei beni culturali e ha previsto l'adozione di un programma di interventi conservativi da realizzare nell'area archeologica di Pompei. A tale ultimo fine, ha autorizzato assunzioni e reclutamenti in deroga al divieto di assunzioni di cui all'art. 2, co. 8-quater, del D.L. 194/2009, l'utilizzazione di risorse derivanti dal fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) e l'adozione di procedure semplificate per l'affidamento dei lavori. Ulteriori 7 milioni di euro sono stati destinati, dal 2011, agli enti culturali.

Ulteriori agevolazioni delle assunzioni presso il MIBAC, al fine di assicurare l'espletamento delle funzioni di tutela, fruizione e valorizzazione del patrimonio culturale, sono derivate dall'art. 24, co. 2, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) e dall'art. 30, co. 8, del D.L. 201/2011.

In precedenza, l'art. 14 del decreto-legge sulla protezione civile (D.L. 195/2009), aveva autorizzato il Dipartimento della protezione civile ad avviare procedure straordinarie di reclutamento di personale a tempo indeterminato per fronteggiare le richieste d’intervento volte, tra l'altro, alla tutela del patrimonio culturale.

L'art. 32, co. 16, del D.L. 98/2011 ha poi destinato alla spesa per la tutela e gli interventi a favore di beni e attività culturali, a decorrere dal 2012, una quota fino al 3% del Fondo infrastrutture stradali e ferroviarie, istituito dal co. 1 dello stesso art. 32 nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con una dotazione di € 930 mln per il 2012 e di € 1000 mln per gli esercizi dal 2013 al 2016.
L'art. 12, co. 29 e 30, del D.L. 95/2012 ha disposto che la destinazione in questione è fino al 2016 e che le risorse sono finalizzate alla realizzazione di progetti di assoluta rilevanza nazionale e internazionale per la tutela, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale e per la promozione e la realizzazione di attività culturali di pari rilevanza, nonché alla realizzazione di infrastrutture destinate alla valorizzazione e alla fruizione di detti beni.

Il Museo delle arti del XXI secolo

L’art. 25 della L. 69/2009 (A.C. 1441-bis-B) ha previsto la trasformazione del “Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee”, istituito nel 1999 a Roma come polo nazionale espositivo dedicato all'arte e all'architettura contemporanee, in fondazione di diritto privato Fondazione MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, per incrementarne la dotazione di bilancio attraverso la partecipazione di privati ed enti locali. Restano fermi i compiti di raccolta, conservazione, valorizzazione ed esposizione delle testimonianze materiali della cultura visiva internazionale. Il museo è stato inaugurato il  27 maggio 2010.

Non si è, invece, concluso l'esame dell' A.C. 4698 e abb., volto a garantire al Museo nazionale dell'emigrazione italiana una copertura finanziaria stabile e una localizzazione definitiva.

I provvedimenti per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale

Con L. 92/2009 (A.C. 1889), di iniziativa parlamentare, è stata disposta la realizzazione di un progetto per la valorizzazione del complesso dell’Abbazia della Santissima Trinità di Cava de' Tirreni. Il Comitato nazionale per la realizzazione del progetto è stato poi costituito con DPCM 28 ottobre 2009. La sua operatività è stata prorogata fino al 31 dicembre 2014 con DPCM 6 febbraio 2013.

Con riguardo alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale, con L. 155/2009 (A.C. 2500) è stato riconosciuto alla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC) un contributo annuo di 300.000 euro, mentre con L. 76/2011 (A.C. 2064) è stato incrementato il contributo dello Stato a favore della Biblioteca italiana per ciechi "Regina Margherita" di Monza, che ha la finalità di soddisfare le diverse esigenze culturali e di apprendimento dei minorati della vista. Infine, con L. 169/2011 (A.C. 2774) sono stati concessi contributi per il finanziamento della ricerca sulla storia e sulla cultura del medioevo italiano ed europeo. In tutti e tre i casi, l'iniziativa è stata parlamentare.

Il 21 dicembre 2012, inoltre, la VII Commissione della Camera ha approvato in sede legislativa l' A.C. 5309, che prevedeva la concessione di un contributo annuale al Centro di studi per la ricerca letteraria, linguistica e filologica Pio Rajna per 9 anni, dal 2013 al 2021, anno nel quale si celebrerà il settimo centenario della morte di Dante, e l' A.C. 4333, concernente l'istituzione del 'Premio biennale di ricerca Giuseppe Di Vagno' e il potenziamento della biblioteca e dell'archivio storico della Fondazione Di Vagno. A causa dello scioglimento delle Camere, tuttavia, i due provvedimenti non sono stati esaminati dal Senato (A.S. 3651 e A.S. 3649).

Non si è concluso neanche l'esame di altri provvedimenti di iniziativa parlamentare riguardanti monumenti e luoghi significativi per la memoria civile e storica dell'Italia, tra cui: Duomo di Milano, area archeologica di Paestum, Museo nazionale della psichiatria del San Lazzaro di Reggio Emilia, Campo di concentramento di Fossoli, complesso monastico di San Giovanni Battista del Monte Venda, Sacro Eremo e Cenobio di Camaldoli, Rocca di Canossa (A.C. 4071, nonchè, per alcuni luoghi, A.C. 2298 e A.C. 2967 e abb.), Abbazia di Montecassino, Monastero di San Benedetto in Subiaco e Museo dell'Areonautica in Vizzola Ticino (A.C. 2165 e abb.), Reggia di Caserta (A.C. 1797), Basilica di San Petronio in Bologna (A.C. 2955). Non si è, inoltre, concluso l'esame dell' A.C. 4371, concernente la salvaguardia e il recupero, oltre che il completamento e la valorizzazione culturale e turistica, delle città e dei nuclei di fondazione.

Nella stessa materia, la VII Commissione della Camera aveva avviato l'esame dell'A.C. 2302 che, sull'esempio di altri Paesi europei, nonchè della Soprintendenza del mare istituita nel 2004 in Sicilia, proponeva l'istituzione della Soprintendenza del mare e delle acque interne, al fine di tutelare, valorizzare e rendere fruibile il patrimonio storico-culturale sommerso.

In tema di celebrazioni, la L. 206/2012 (A.C. 1373), di iniziativa parlamentare, nell'ambito delle finalità di salvaguardia e di promozione del patrimonio culturale, storico, artistico e musicale, ha inteso celebrare la figura di G. Verdi nella ricorrenza, nel 2013, del secondo centenario della sua nascita.

Non si è, invece, concluso l'esame di altri provvedimenti, sempre di iniziativa parlamentare, concernenti le celebrazioni relative al IX centenario della morte della contessa Matilde di Toscana nel 2015 e al millenario della fondazione dell'Eremo e del Cenobio di Camaldoli (A.C. 4071), al centenario della fondazione dell'Istituto nazionale per il dramma antico (A.C. 5239), al centenario della nascita di A. Burri (A.C. 5397). Quest'ultimo, in particolare, è stato approvato dalla VII Commissione della Camera, in sede legislativa e in un nuovo testo, il 21 dicembre 2012, ma non è stato esaminato dal Senato, a causa dello scioglimento delle Camere (A.S. 3652).

In tema di valorizzazione del patrimonio culturale immateriale, non si è concluso l'esame di due proposte di legge concernenti cortei in costume, rievocazioni e giochi storici (A.C. 3461 e A.C. 3605).

Un ulteriore tema affrontato durante la legislatura riguardava l’insequestrabilità delle opere d’arte prestate all’Italia per esposizioni temporanee, allo scopo di favorire l’esposizione di opere d’arte ed altri beni di rilevante interesse culturale in Italia (A.C. 4432 e abb.). Il provvedimento, già approvato dal Senato, era stato modificato dalla VII Commissione della Camera con l'approvazione di un nuovo testo il 9 novembre 2011. L'esame non è stato però concluso.

Nel giugno 2011, infine, MIBAC e Associazione delle Città d’arte e cultura (CIDAC), d'intesa con ANCI, hanno siglato il protocollo d'intesa per l'individuazione di azioni comuni volte a migliorare la valorizzazione del patrimonio culturale delle città d’arte.

Arcus

L'art. 12, co. 24-28, del D.L. 95/2012 ha previsto, nell'ambito della soppressione e dell’accorpamento di alcuni enti ed organismi pubblici necessari per ridurre la spesa pubblica, la messa in liquidazione della Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo - ARCUS Spa dal 1° gennaio 2014, riportando nell'ambito dell'ordinaria gestione del MIBAC le attività ad essa demandate. Fino al 31 dicembre 2014 opera un commissario liquidatore.

La Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale

L’art. 5 del d.lgs. 61/2012 (v. anche"Il secondo decreto su Roma Capitale") – che, in generale, disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite a Roma Capitale dall’art. 24, co. 3, della L. 42/2009, fra le quali il concorso alla valorizzazione dei beni storici e artistici - ha disposto, a tal fine, l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale.

In particolare, la Conferenza è chiamata a coordinare le attività di valorizzazione della Sovraintendenza ai beni culturali di Roma capitale e degli organi centrali e periferici del Mibac che hanno competenza sul patrimonio storico e artistico presente in Roma, decidendo “il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l'immagine di Roma capitale”. Inoltre, la Conferenza si pronunciasul rilascio di titoli autorizzatori, nulla osta e pareri eventualmente necessari per la realizzazione degli interventi di valorizzazione ad essa sottoposti.

Sono esclusi dalle funzioni conferite a Roma capitale i compiti connessi con la tutela e la valorizzazione dei beni storici ed architettonici amministrati dal Fondo edifici di culto.

Trasferimento a regioni ed enti territoriali di beni culturali

L’art. 5, co. 2, del d.lgs. 85/2010 - che in generale concerne l’attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'art. 19 della L. 42/2009 – ha escluso dal trasferimento i beni appartenenti al patrimonio culturale, “salvo quanto previsto dalla normativa vigente e dal comma 7”. A seguito del parere parlamentare sullo schema di D.lgs, è stato poi inserito il co. 5 - successivamente modificato dall’art. 27, co. 8, del D.L. 201/2011 - che, collegandosi sostanzialmente al co. 2, ha previsto il trasferimento alle regioni e agli altri enti territoriali di cose e beni culturali inalienabili (art. 54, co. 3, d.lgs. 42/2004) indicati nell’ambito di specifici accordi di valorizzazione.

Le linee guida per l’elaborazione dei programmi di valorizzazione necessari sono state emanate con circolare del Segretariato Generale del MiBAC 18 maggio 2011, n. 18.

Ulteriori interventi normativi

L'art. 1, co. 77, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), novellando l’art. 1, co. 26-ter, del D.L. 95/2012, ha disposto la sospensione dei contributi statali per interventi conservativi volontari sui beni culturali, fatta eccezione per i contributi già concessi e non ancora erogati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 95/2012, che aveva disposto la sospensione fino al 31 dicembre 2015.
In precedenza, l’art. 42 del D.L. n. 5/2012 aveva previsto che l’ammissione dell’intervento autorizzato ai contributi statali è disposta dagli organi del Ministero in base all’ammontare delle risorse disponibili, determinate annualmente con decreto interministeriale.

L' art. 43 dello stesso D.L. 5/2012 ha inteso semplificare le procedure di verifica dell'interesse culturale, di cui all’art. 12 del d.lgs. 42/2004, al fine diaccelerare la dismissione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico.

Approfondimenti

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Approfondimento: La nozione di bene culturale



Premessa

Le disposizioni di tutela di cui al Titolo I della Parte seconda del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) hanno ad oggetto i beni culturali.

Tra le disposizioni di tutela sono ricomprese, in particolare, misure di protezione (artt. 21 e ss., che stabiliscono, tra l’altro, le tipologie di interventi vietati o soggetti ad autorizzazione), misure di conservazione (artt. 29 e ss., che includono anche obblighi conservativi), nonché norme relative alla circolazione dei beni (artt. 53 e ss.), nel cui ambito rientrano anche le disposizioni concernenti i beni inalienabili.



Beni culturali di appartenenza pubblica

L’articolo 10, comma 2, del Codice considera beni culturali, ex lege,qualora appartenenti a soggetti pubblici (cioè, allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico):

a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi;

b) gli archivi e i singoli documenti;

c) le raccolte librarie delle biblioteche (escluse le raccolte che assolvono alle funzioni delle biblioteche popolari, delle biblioteche del contadino nelle zone di riforma, dei centri bibliotecari di educazione permanente, indicati all’art. 47, co. 2, D.P.R. 616/1977).

Tali beni rimangono sottoposti a tutela anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica (art. 13, co. 2, Codice).

Ai sensi del comma 1 del medesimo art. 10 del Codice sono, altresì, beni culturali le cose (immobili e mobili) appartenenti ai medesimi soggetti pubblici indicati al comma 2, nonché a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: si tratta, cioè, delle cose per le quali sia intervenuta la verifica dell’interesse culturale (di cui all’art. 12 del Codice: v. infra).

In particolare, possono essere riconosciuti quali beni culturali (art. 10, co. 4, Codice):

a) cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;

b) cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio;

c) manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, nonché libri, stampe e incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio;

d) carte geografiche e spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;

e) fotografie, con relativi negativi e matrici, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio;

f) ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico;

g) pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;

h) siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;

i) navi e galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;

j) architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell'economia rurale tradizionale.



Beni culturali appartenenti a privati

L’articolo 10, comma 3, del Codice individua, a sua volta, altri beni, i quali, a chiunque appartenenti, sono considerati beni culturali quando sia intervenuta la dichiarazione diinteresse culturale (art. 13 ss. del Codice: v. infra).

Si tratta, in particolare, di:

a) cose immobili e mobili (tra quelle individuate dall’art. 10, co. 4, del Codice: v. ante) che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante;

b) archivi e singoli documenti che rivestono interesse storico particolarmente importante;

c) raccolte librarie di eccezionale interesse culturale;

d) cose immobili e mobili che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;

e) collezioni o serie di oggetti che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.



La verifica dell'interesse culturale

Ai sensi dell’art. 12 del Codice – come modificato, da ultimo, dall’art. 4, co. 16, lett. b), del D.L. 70/2011 – la verifica della sussistenza dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (c.d. interesse culturale), richiesto ai fini della definizione di bene culturale, è effettuata, d’ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, da parte dei competenti organi del Ministero per i beni e le attività culturali.

In caso di accertamento positivo dell’interesse culturale ( decreto di vincolo), i beni restano definitivamente soggetti alle disposizioni di tutela di cui al Titolo I della Parte seconda del Codice. Qualora la verifica si concluda con un esito negativo, i beni sottoposti al procedimento vengono esclusi dall’applicazione della disciplina richiamata.



Presunzione di interesse culturale

Le cose indicate all’art. 10, co. 1, del Codice, opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risale adoltre cinquanta anni, se mobili, o adoltre settanta anni, se immobili, sono sottoposte alle disposizioni di tutela – e per esse, quindi, vige la presunzione di interesse culturale – fino a quando non sia stata effettuata la relativa verifica.

Per completezza si evidenzia che non sono soggette alle disposizioni di tutela le cose indicate all’art. 10, co. 1, opera di autore vivente o la cui esecuzione risalga, se mobili, a meno di 50 anni o, se immobili, a meno di 70 anni, nonché le cose indicate al co. 3, lett. a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione risalga a meno di cinquanta anni (art. 10, co. 5, del Codice, come modificato dall’art. 4, co. 16, lett. a), del D.L. 70/2011).



La dichiarazione di interesse culturale

In base all’art. 13 del Codice, la dichiarazione di interesse culturale accerta la sussistenza dell'interesse richiesto dall'art. 10, comma 3, ai fini della definizione dei “beni culturali”, sottoponendo così il bene privato ai "vincoli" di tutela dettati dalla normativa.

La dichiarazione dell'interesse culturale è adottata dal Ministero a conclusione di un procedimento avviato dal soprintendente (anche su motivata richiesta della regione o di ogni altro ente territoriale interessato) (art. 14). La dichiarazione è notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto (art. 15).

Interventi per le fondazioni lirico-sinfoniche

Con il decreto-legge 64 del 2010, modificato ampiamente durante l'esame parlamentare (legge 100/2010), è stato disposto un primo, urgente, intervento nel settore dello spettacolo, e in particolare nel settore lirico-sinfonico, per razionalizzare le spese e al contempo implementare la produttività e i livelli di qualità delle produzioni offerte. Con DPR 117/2011 è stato adottato il primo regolamento di delegificazione per il riconoscimento di forme organizzative speciali ad alcune fondazioni. Il D.L. 201/2011 ha posticipato al 31 dicembre 2012 il termine per l'emanazione degli ulteriori regolamenti, uno dei quali è stato esaminato dal Consiglio dei Ministri del 22 dicembre 2012 e riguarda l'ordinamento e l'organizzazione delle fondazioni. Il testo non è ancora pervenuto alle Camere.


Il decreto-legge 64/2010

Il decreto-legge 64/2010, come modificato durante l'esame parlamentare (A.C. 3552) (A.S. 2150-b) e ulteriormente modificato dall'art. 22, co. 5 del D.L. n. 201/2011 (L. 214/2011), ha previsto:

Tra i criteri indicati per la revisione dell’organizzazione e del funzionamento vi sono: tutela e valorizzazione professionale dei lavoratori; efficienza; corretta gestione; economicità; imprenditorialità; controllo e vigilanza sulla gestione economico-finanziaria; incentivazione del miglioramento dei risultati gestionali attraverso la rideterminazione dei criteri di ripartizione del contributo statale e destinazione di una quota crescente di quest’ultimo in base alla qualità della produzione; revisione organica del sistema di contrattazione collettiva; incentivazione della contribuzione da parte degli enti locali; eventuale previsione di forme organizzative speciali per alcune fondazioni; valorizzazione dei grandi teatri d’opera; valorizzazione delle finalità e del carattere sociale delle fondazioni e del loro ruolo educativo verso i giovani.

In relazione al procedimento di contrattazione collettiva, il D.L. ha previsto che il CCNL è sottoscritto, per la parte datoriale, da una delegazione individuata dalle fondazioni lirico-sinfoniche - che si avvale dell'ARAN - e dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori dipendenti dalle stesse fondazioni. 

Per quanto concerne il personale dipendente:

Altre disposizioni hanno riguardato:

Il D.L. 64/2010 ha peraltro determinato un intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 153/2011, ha ribadito la qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorché da tempo privatizzati a seguito del d.lgs. 367/1996.

Il DPR 117/2011

I criteri per il riconoscimento di forme organizzative speciali alle fondazioni lirico-sinfoniche sono stati definiti con il DPR 117/2011.
Il riconoscimento avviene con decreto ministeriale, sulla base di presentazione di istanza da parte della fondazione interessata e previa istruttoria sul possesso dei requisiti, che consistono:
a) nella peculiarità in campo lirico-sinfonico;
b) nella assoluta rilevanza internazionale;
c) nella eccezionale capacità produttiva;
d) nella capacità di conseguire l'equilibrio economico-patrimoniale di bilancio.
Ove, in seguito, si accerti una sopravvenuta carenza dei requisiti, il riconoscimento può essere revocato.
Per le fondazioni in questione, l'erogazione del contributo statale triennale avviene sulla base di programmi di attività triennali. Inoltre, le stesse possono contrattare un autonomo contratto di lavoro che regoli all'unico livello aziendale le materie disciplinate dal CCNL di settore e dagli accordi integrativi aziendali. 

Sulla base del DPR 117/2011 è stata riconosciuta la forma organizzativa speciale all'Accademia di S. Cecilia (DM 23 gennaio 2012) e al Teatro alla Scala (DM 16 aprile 2012).

L'adozione degli ulteriori regolamenti

Nella seduta del 22 dicembre 2012 il Consiglio dei Ministri ha svolto l'esame preliminare di uno schema di regolamento che disciplina l’ordinamento e l’organizzazione delle fondazioni lirico-sinfoniche. Il testo non è ancora pervenuto alle Camere.

 

 

 

Dossier pubblicati

Lo spettacolo

Singoli interventi per il settore dello spettacolo sono stati disposti soprattutto con decreti-legge del 2010 e del 2011. Non è, invece, giunto a conclusione l'esame di progetti di legge che intervenivano, più organicamente, sullo spettacolo dal vivo, sui lavoratori dello spettacolo e sulla promozione delle attività cinematografiche.

Lo spettacolo dal vivo

Il progetto di legge quadro

Il 24 febbraio 2010 la VII Commissione della Camera, al termine del lavoro del Comitato ristretto, che aveva proceduto a varie audizioni, ha adottato un testo unificato delle proposte di legge sullo spettacolo dal vivo (A.C. 136 e abb.). A seguito dei pareri espressi dalle altre Commissioni, sono stati adottati, in successione, due ulteriori nuovi testi, il primo il 26.7.2011, il secondo il 9 maggio 2012. A quest'ultimo sono poi stati riferiti alcuni emendamenti del relatore volti a recepire, in particolare, i rilievi della Commissione bilancio. Gli emendamenti sono stati approvati nella seduta del 18 dicembre 2012, che ha rappresentato l'ultima seduta dedicata all'argomento prima dello scioglimento delle Camere.

Il T.U., che si proponeva come “legge quadro”, recava la definizione dei principi fondamentali dell’azione pubblica in materia di spettacolo dal vivo. Nell’espressione erano compresi musica, teatro, danza, circo, spettacolo viaggiante, incluse le esibizioni degli artisti di strada.

Lo spettacolo dal vivo veniva riconosciuto:

L’azione pubblica a sostegno del settore era mirata, tra l’altro, a:

Un primo obiettivo dell’intervento normativo era quello di definire le attribuzioni spettanti ai singoli livelli di governo. Si disciplinavano, peraltro, forme di intesa e coordinamento istituzionale tra Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni per organizzare la politica nazionale dello spettacolo e favorire la partecipazione di risorse private. Un ruolo importante veniva attribuito alla Conferenza unificata.

Tra gli altri ambiti di intervento rientravano:

I lavoratori dello spettacolo

La XI Commissione della Camera ha esaminato le pdl A.C. 762 e abb., in materia di tutela professionale dei lavoratori dello spettacolo.

Esse erano volte ad estendere alcune forme di tutela previdenziale e sociale ai lavoratori del settore, che ne sono sprovvisti. Il 17 marzo 2010 la Commissione ha approvato un testo unificato, inviato alle Commissioni competenti per il parere. L'esame non si è tuttavia concluso entro la fine della legislatura.

Inoltre, il D.L. 64/2010 (art. 1, 2 e 3) ha introdotto nuove disposizioni in materia di contrattazione e di assunzioni del personale delle fondazioni lirico-sinfoniche e ha ridefinito l'età pensionabile di tersicorei e ballerini .

Attività cinematografiche

La 7ª Commissione del Senato, nei primi mesi del 2009, aveva avviato l’esame di progetti di legge finalizzati a promuovere e valorizzare attività cinematografiche e audiovisive (A.S. 87 e abb.).

Tra le disposizioni recate dai provvedimenti erano previsti, talvolta con modalità e termini differenti:

Il 21.9.2010, ai progetti di legge era stato abbinato il ddl di iniziativa governativa A.S. 2324, recante disposizioni in materia di attività cinematografiche ed istituzioni culturali. Il ddl intendeva modificare il D.Lgs. 28/2004 (c.d. legge sul cinema) rispetto all'evoluzione normativa e giurisprudenziale degli ultimi anni. Conteneva, inoltre, disposizioni che miravano a riformare, attraverso il ricorso a un regolamento di delegificazione, le modalità di contribuzione statale a sostegno delle istituzioni culturali di rilievo nazionale di cui alla L. 534/1996.

In materia di cinema era intervenuto anche il D.L. 64/2010, che aveva ridefinito le funzioni del gruppo Cinecittà Luce Spa. Le relative disposizioni erano state soppresse in sede di conversione. La ridefinizione della natura societaria e delle funzioni di Cinecittà Luce Spa, diventata Istituto Luce-Cinecittà srl, è stata poi operata dall'art. 14, co. 6-14, del D.L. 98/2011.

Inoltre, l'art. 2, co. da 4 a 4-quater, del D.L. 225/2010 (L. 10/2011) ha previsto disposizioni agevolative per il settore cinematografico disponendo, tra l'altro, la proroga, fino al 31.12.2013, degli incentivi fiscali introdotti dalla L. finanziaria 2008. Il contributo speciale di un euro sui biglietti cinematografici, istituito dall'art. 2, co. 4-ter, del medesimo D.L. 225/2010, è stato abrogato dal D.L. 34/2011.

Ulteriori interventi normativi

La L. 238/2012 ha previsto la concessione di un contributo straordinario in favore di quattro festival musicali e operistici italiani, a decorrere dal 2013, per complessivi 4 milioni di euro annui. Si tratta della Fondazione Rossini Opera Festival, della Fondazione Festival dei due Mondi, della Fondazione Ravenna Manifestazioni e della Fondazione Festival Pucciniano.

Inoltre, la VII Commissione della Camera aveva avviato l'esame dell' A.C. 3428, recante modifiche alla L. 337/1968 e all'art. 7 della L. 135/2001, in materia di spettacolo viaggiante e parchi divertimento, nonchè alla L. 392/1978, per la tutela delle attività alberghiere, teatrali e cinematografiche, il cui esame non si è concluso entro la fine della legislatura.

La giornata mondiale del teatro

Con Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 6.11.2009, il Governo ha individuato la data del 27 marzo per la celebrazione dellaGiornata Mondiale del Teatro, aderendo alla manifestazione lanciata a Vienna nel 1961 dall’International Theatre Institute e promossa dalle Nazioni Unite e dall'UNESCO.

Per l'organizzazione degli eventi celebrativi della Giornata è stato costituito un comitato organizzatore.

Approfondimenti

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Approfondimento: Il Fondo unico per lo spettacolo

 

Il Fondo unico per lo spettacolo (FUS), istituito dalla L. 163/1985 al fine di ridurre la frammentazione dell'intervento statale e la conseguente approvazione di apposite leggi di finanziamento, è attualmente il principale strumento di sostegno al settore dello spettacolo dal vivo e della cinematografia.

Le finalità del FUS consistono nel sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché nella promozione e nel sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all’estero.



Le risorse destinate al FUS

 

L’importo complessivo del Fondo è stabilito annualmente in Tabella C della legge di stabilità ed è allocato in differenti capitoli, sia di parte corrente che di parte capitale, dello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali.

Si tratta di: cap. 1390 – Osservatorio per lo spettacolo; cap. 1391 – Consiglio nazionale dello spettacolo e interventi integrativi per i singoli settori; capp. 6120 e 6620 – Commissioni per l’erogazione dei contributi; cap. 6621 – Fondazioni lirico sinfoniche; cap. 6622 – Attività musicali; cap. 6623 –Attività teatrali di prosa; cap. 6624 – Danza; cap. 6626 – Attività teatrali di prosa svolte da soggetti privati; cap. 8721 – Attività circensi e spettacolo viaggiante; cap. 8570 – Produzione cinematografica; cap. 8571 – Produzione, distribuzione, esercizio e industrie tecniche; cap. 8573 – Promozione cinematografica.

Per l’anno 2013 gli stanziamenti complessivi del Fondo – quali risultanti dal Decreto 111878 del 31 dicembre 2012, di ripartizione in capitoli delle unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2013 e per il triennio 2013-2015 – ammontano a 398,1 milioni di euro.

 

Andamento delle risorse destinate al FUS (2008-2013) (in milioni di euro)

 
2008 (consuntivo) 2009 (consuntivo) 2010 (consuntivo) 2011 (consuntivo) 2012 (assestamento) 2013 (bilancio)
 Interventi      
 cap. 1390  0,7
 0,7  0,3  0,4  0,4  0,5
 cap. 1391  0,0  0,0  0,0  0,0  0,0  0,0
 cap. 6120  0,2  0,1  0,1  0,1  0,1  0,3
 cap. 6620  0,1  0,0  0,1  0,0  0,1  0,1
 cap. 6621  232,2  198,8  190,4  206,6  193,8  182,0
 cap. 6622  69,9  54,1  55,5  57,6  58,2  57,7
 cap. 6623  90,7  61,9  18,0  20,5  26,3  26,1
 cap. 6624  10,2  8,5  9,5  10,0  10,1  10,0
 cap. 6626  --  --  43,0  45,8  40,5  40,2
 Investimenti      
 cap. 8570 31,0  31,2  4,3  20,0  20,6  20,4
 cap. 8571 38,9  71,4  31,0  14,6  17,9  17,7
 cap. 8573 31,4  28,4  40,5  41,5  37,6
 36,9
 cap. 8721  7,7  5,8  6,3  6,3  6,3  6,2
 TOTALE  513,0  461,0  398,9  423,4  411,9  398,1


Il riparto del FUS

Ai sensi dell’art. 2 della L. 163/1985, in particolare, il FUS è ripartito tra i diversi settori, in ragione di quote non inferiori al 45% per le attività musicali e di danza, al 25% per le attività cinematografiche, al 15% per quelle del teatro di prosa ed all’1% per le attività circensi e dello spettacolo viaggiante.

Attualmente, i criteri per l’assegnazione dei contributi del FUS sono determinati con decreto ministeriale, d’intesa con la Conferenza unificata.

Si è addivenuti a tale procedura dopo l’intervento del nuovo art. 117 della Costituzione che ha affidato alla competenza legislativa concorrente la promozione e l’organizzazione di attività culturali, fra le quali la Corte costituzionale ha ricompreso lo spettacolo (sentenze n. 255 e 256 del 2004 e 285 del 2005).

Più in particolare, dopo la riforma del titolo V della Costituzione, l’intervento dei decreti in materia è stato in primis previsto dall’art. 1, co. 2, del D.L. 24/2003 (L. 82/2003) che, proprio in attesa che la legge di definizione dei principi fondamentali di cui all’art. 117 della Costituzione definisse gli ambiti di competenza dello Stato medesimo, ha stabilito che i criteri e le modalità di erogazione dei contributi alle attività dello spettacolo, previsti dalla L. 163/1985, e le aliquote di ripartizione annuale del FUS fossero indicati annualmente con decreti del Ministro per i beni e le attività culturali non aventi natura regolamentare. La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 255 del 2004, pur confermando la legittimità della norma, in ragione del suo carattere transitorio, ha segnalato l’esigenza di prevedere opportuni strumenti di collaborazione con le autonomie regionali. Dopo l’intervento del D.L. 314/2004 (L. 26/2005), che confermava per il 2005 la disciplina transitoria, è intervenuta la L. 239/2005 che, in linea con quanto richiesto dalla Corte, ha introdotto l’intesa con la Conferenza unificata nella procedura di adozione dei decreti ministeriali previsti dal D.L. 24/2003 e ha eliminato la cadenza annuale per l’emanazione di questi ultimi.

Da ultimo, il DM 23 febbraio 2012, recante il riparto del FUS per il 2012, ha stabilito l’assegnazione delle seguenti quote:

a) Fondazioni liriche: 47,00%

b) Attività musicali: 14,10%

c) Attività di danza: 2,50%

d) Attività teatrali di prosa: 16,04%

e) Attività circensi e spettacolo viaggiante: 1,54%

f) Attività cinematografiche: 18,59%

Quote residue sono destinate all’Osservatorio dello Spettacolo e alle spese per il funzionamento di Comitati e Commissioni.

I criteri e le modalità di erogazione dei contributi con riferimento a ciascun settore sono stati definiti – da ultimo – con i provvedimenti di seguito indicati: DM 29 ottobre 2007 (Fondazioni fondazioni lirico-sinfoniche); DM 8 novembre 2007 (Danza); DM 9 novembre 2007 (Attività musicali); DM 12 novembre 2007 (Attività teatrali); DM 20 novembre 2007 (Attività circensi e spettacolo viaggiante).



Documenti e risorse web

MIBAC, Fondo unico per lo spettacolo

Le professioni dei beni culturali

Il 18 dicembre 2012 la VII Commissione della Camera ha approvato definitivamente, in sede legislativa, una modifica della disciplina transitoria relativa al conseguimento delle qualifiche di restauratore e di collaboratore restauratore di beni culturali (L. 7/2013). Inoltre, la stessa Commissione aveva avviato l'esame di una proposta in materia di esercizio di altre attività nel settore dei beni culturali, che non è giunto a conclusione.

Le professioni di restauratore e collaboratore restauratore di beni culturali

La L. 7/2013, pubblicata nella GU del 30 gennaio 2013 (A.C. 5613), modifica l'art. 182 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), in materia di disciplina transitoria per il conseguimento delle qualifiche di restauratore e di collaboratore restauratore di beni culturali.

Per entrambe le figure professionali, la legge prevede, in presenza di determinati requisiti, l'acquisizione diretta in esito ad una procedura di selezione pubblica basata sulla valutazione di titoli e attività, ovvero, in presenza di altri requisiti, l'acquisizione previo superamento di una prova di idoneità.

La qualifica di restauratore di beni culturali in esito alla procedura di selezione pubblica - che doveva essere indetta entro il 31 dicembre 2012 e che si deve concludere entro il 30 giugno 2015 - si consegue con un punteggio (derivante dai titoli di studio e dalle esperienze professionali indicate nell'allegato) pari a 300.
Le modalità di svolgimento della prova di idoneità dovevano essere definite con un decreto MIBAC-MIUR da emanare, d'intesa con la Conferenza unificata, entro il 31 dicembre 2012.
La qualifica riguarda uno o più settori di competenza, fra quelli indicati nell'allegato.

Anche per la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali la procedura di selezione pubblica doveva essere indetta entro il 31 dicembre 2012.
Le modalità di svolgimento della prova di idoneità sono, invece, definite con decreto MIBAC da emanare, d'intesa con la Conferenza unificata, entro il 30 giugno 2014.

Al momento, non è intervenuto alcuno degli adempimenti previsti dalla legge. Il Mibac ha comunicato sul proprio sito che l'8 febbraio 2013 si è insediato il Gruppo di Lavoro “Qualifiche professionali in materia di restauro”, che ha il compito di curare gli adempimenti propedeutici, amministrativi e tecnici necessari per avviare l’apposita procedura di selezione pubblica.

In materia, inoltre, con DM 2 marzo 2011 è stata definita la classe di laurea magistrale in restauro dei beni culturali.

Le altre professioni dei beni culturali

La VII Commissione aveva avviato anche l'esame dell'Atto C. 1614, recante disposizioni in materia di esercizio della professione dei soggetti impegnati nelle attività di tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione e fruizione dei beni culturali, a tal fine prevedendo (in via transitoria) l'istituzione di registri nazionali ai quali sono tenuti ad iscriversi i professionisti idonei allo svolgimento degli interventi.

L'esame non è stato concluso entro la fine della legislatura.

Dossier pubblicati

Promozione dello sport

Nella XVI legislatura il Parlamento ha intrapreso varie iniziative legislative per il sostegno, anche economico, dello sport e per la realizzazione di impianti sportivi ed ha svolto una indagine conoscitiva sullo sport di base e dilettantistico. Inoltre, nell'ottobre 2012 è stato adottato il Piano nazionale per la promozione dell'attività sportiva, mentre nel maggio 2011 il Consiglio UE ha approvato il primo piano di lavoro UE per lo sport.

Premessa

Il ruolo dell'UE nello sport è quello di sostenere, integrare e coordinare le azioni degli Stati membri e di sviluppare una dimensione europea dello sport (art. 165 TFUE).

In tale quadro, nel maggio 2011 il Consiglio dell'UE ha approvato la risoluzione 2011/C 162/01 su un piano di lavoro dell'UE per lo sport per il 2011-2014. La risoluzione, riconosciuto che lo sport può contribuire alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 ai fini di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, include fra i settori prioritari d'intervento i valori sociali dello sport (salute, inclusione sociale, educazione).

In data 8 novembre 2011 la Commissione UE ha approvato il finanziamento di dodici progetti transnazionali volti ad affrontare, da un lato, il problema della violenza e dell'intolleranza nello sport e, dall'altro, il rafforzamento dell'organizzazione dello sport in Europa. Le sovvenzioni (da 125 mila a 200 mila euro a progetto) rientrano nell'ambito di un insieme di "azioni preparatorie" propedeutiche all'avvio di un sottoprogramma UE per lo sport destinato anche alla promozione, al livello di base, dell'attività fisica, all'inclusione sociale attraverso lo sport e alla lotta contro il doping. L'Italia ha partecipato a 5 progetti.

Il piano nazionale per la promozione dell'attività sportiva e il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva

Il 29 ottobre 2012 è stato firmato il decreto ministeriale che approva il Piano nazionale per la promozione dell'attività sportiva, firmato il 26 settembre 2012. Il Piano, frutto dell’esercizio avviato il 7 marzo 2012 con la costituzione del "Tavolo nazionale per la governance nello sport” – TANGOS, istituito con DPCM 28 ottobre 2011 e presieduto dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, raccoglie il contributo dei soggetti cui l'ordinamento attribuisce competenze in materia di sport e si propone quale strumento utile per ottimizzare, sia a livello centrale che territoriale, l'utilizzo delle risorse. Esso fa seguito alle linee guida adottate con DPCM 3.11.2011 ed esplica efficacia per 12 mesi.

Le direttrici di intervento riguardano infanzia (progetti di alfabetizzazione motoria e diffusione di corretti stili di vita), adolescenti e giovani (giochi sportivi studenteschi, promozione dello sport nelle università, sport e legalità nella scuola, sport negli istituti penitenziari per minori), persone con disabilità e categorie deboli (avviamento allo sport), anziani (prevenzione della non autosufficienza). Presentando il Piano il 30 gennaio 2013, il Ministro ha fatto presente che a sostegno delle azioni previste dallo stesso sono stati stanziati circa 36 milioni di euro, di cui 23 saranno destinati alla costruzione e alla riqualificazione di impianti sportivi localizzati in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Dovrebbe trattarsi dei 23 milioni di euro stanziati, per l'anno 2012, dall'art. 64 del D.L. 83/2012, che ha istituito il Fondo per lo sviluppo e la capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le età e tra tutti gli strati della popolazione, finalizzato alla realizzazione di nuovi impianti sportivi, o alla ristrutturazione di quelli esistenti.

Nell'ambito del Piano nazionale, inoltre, il 18 ottobre 2012 è stato firmato un protocollo di intesa per la promozione dell'attività fisica fra le persone con disabilità. Il protocollo prevede l'impegno di 400 mila euro, di cui 300 messi a disposizione dal Dipartimento per gli Affari regionali - Ufficio per lo Sport e 100 dal Comitato italiano paralimpico (CIP).

L'attività sportiva nelle scuole

Nell'agosto 2009 il Governo ha emanato le Linee guida per le attività di educazione fisica, motoria e sportiva nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, che sottolineano come lo sport in ambito scolastico ha il compito di sviluppare una nuova cultura sportiva e di contribuire ad aumentare il senso civico degli studenti, migliorare l'aggregazione, l’integrazione e la socializzazione, e ridurre le distanze fra lo sport maschile e lo sport femminile. Da un punto di vista organizzativo, le linee guida suggeriscono l'istituzione dei Centri sportivi scolastici.

Il 2 dicembre 2009 è stato poi presentato un progetto pilota per l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, nato dalla collaborazione fra Presidenza del Consiglio dei Ministri, MIUR e CONI, con il supporto del CIP, la cui terza annualità si svolge nell'a.s. 2012-2013. 

Sull'argomento, la 7^ Commissione del Senato - che aveva già svolto un’indagine conoscitiva sullo sport di base e dilettantistico - aveva avviato l'esame - non concluso entro la fine della legislatura - dell'A.S. 1728, volto anche ad istituire nuovi Giochi della gioventù. Inoltre, nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva, approvato il 14 giugno 2011, aveva auspicato un protocollo di intesa con ANCI e UPI per l'utilizzo in orari extrascolastici delle strutture sportive degli istituti scolastici.

Alla Camera, invece, la VII Commissione il 6 aprile 2011 ha approvato la risoluzione 8-00116 che, in relazione alla mancata partecipazione degli alunni disabili ad alcune finali nazionali dei giochi sportivi studenteschi, ha impegnato il Governo a intervenire sugli accordi con i partner istituzionali per ovviare ad una situazione discriminatoria. In precedenza, il 24.11.2009, l'Assemblea aveva approvato il testo modificato nel corso della seduta delle mozioni nn. 1-00222, 1-00274 e 1-00286, concernenti iniziative a favore delle associazioni sportive che promuovono le formazioni giovanili e per la tutela dei c.d. "vivai nazionali", pervenendo ad un progressivo contenimento dell'utilizzo degli atleti extracomunitari negli sport di squadra.

Infine, il 5 ottobre 2011 é stato siglato tra i Ministri della difesa, della gioventù e delle pari opportunità ed il Presidente del CONI un Protocollo d’intesa “Sport e legalità”, finalizzato a contrastare criminalità e disagio sociale attraverso la pratica sportiva, in particolare realizzando poli di aggregazione giovanile in infrastrutture sportive militari. Il primo progetto pilota interessa il quartiere napoletano di Scampia.

Impianti sportivi

Le Camere hanno esaminato vari progetti di legge di iniziativa parlamentare in materia di impiantistica sportiva.

In particolare, con L. 65/2012 è stata disposta la destinazione delle risorse finanziarie residue assegnate all'Agenzia per lo svolgimento dei Giochi olimpici «Torino 2006», al netto di quelle necessarie alla chiusura dei contenziosi e al pagamento degli oneri a carico della gestione liquidatoria, all'esecuzione di interventi di manutenzione e riqualificazione degli impianti sportivi indicati nell'all. 1 della L. 285/2000, tra cui, prioritariamente, quelli siti nei territori montani interessati dai Giochi olimpici invernali «Torino 2006».

Inoltre, il 23 febbraio 2011 la VII Commissione della Camera, dopo aver svolto una indagine conoscitiva, aveva approvato un ulteriore nuovo testo dell' A.C. 2800, relativo ai c.d. "grandi impianti", già approvato dal Senato. Allo stesso testo erano poi stati riferiti emendamenti, approvati nella seduta dell'11 aprile 2012. Tornato al Senato, tuttavia, il nuovo testo A.S. 1193-b e abb. non è stato approvato entro la fine della legislatura.

Il provvedimento era finalizzato ad accelerare, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative, il processo di realizzazione e ristrutturazione di impianti sportivi con almeno 7.500 posti a sedere allo scoperto o 4.000 al coperto, secondo criteri di sicurezza, fruibilità e redditività, con lo scopo di prevenire fenomeni di violenza e migliorare l’immagine dello sport in Italia, anche in vista della candidatura per manifestazioni di carattere internazionale.

Inoltre, la 7^ Commissione del Senato aveva avviato l'esame dell'A.S. 1813 e abb., relativo agli impianti di minori dimensioni, anch'esso non concluso.

Nel corso della legislatura è stato, tuttavia, ricostituito l’Osservatorio nazionale per l’impiantistica sportiva, previsto dall'art. 2, co. 564, della L. 244/2007 (DPCM 23 giugno 2009 e, a seguire, DPCM 8 novembre 2011).

Eventi sportivi

Con la L. 47/2009, di iniziativa parlamentare, il Parlamento ha inteso favorire la candidatura dell’Italia come Paese ospitante della Coppa del mondo di rugby  del 2015 e 2019, concedendo una garanzia dello Stato. Tuttavia, il Consiglio dell’International Rugby Board ha indicato quali sedi delle due edizioni l’Inghilterra e il Giappone.

Un’ulteriore garanzia dello Stato, per il 2009, è stata concessa dal D.L. 185/2008 per gli impegni assunti dalle Federazioni sportive nazionali per l'organizzazione di grandi eventi sportivi correlati all'Expo Milano 2015.

Inoltre, l'art. 23, co. 21-bis, del D.L. 78/2009, ha stanziato 10 milioni di euro per il 2010 a favore del Fondo per gli eventi sportivi di rilevanza internazionale.

Il Governo ha, poi, autorizzato il Dipartimento della protezione civile a trasferire al Comitato organizzatore mondiali di nuoto “Roma 2009” la somma di 500 mila euro, al fine di consentire il complessivo funzionamento organizzativo dell’evento (Ordinanza Presidente del Consiglio dei ministri n. 3791 del 15 luglio 2009).

Infine, a seguito dell'ordine del giorno 9/2187-A/14, accolto dal Governo alla Camera il 6 aprile 2009, sono stati stati destinati ai XVI giochi del Mediterraneo 12 milioni di euro, provenienti dal Fondo per le esigenze urgenti e indifferibili. I giochi si sono tenuti a Pescara dal 26 giugno al 5 luglio 2009, coinvolgendo 23 nazioni.

Sostegno economico al CONI e al CIP

Le risorse destinate al finanziamento del CONI sono allocate sul cap. 1896 dello stato di previsione del MEF. In base alla L. 229/2012, per il 2013 al CONI sono destinati 403,8 milioni di euro.

Inoltre, il CONI fruisce di una quota delle entrate erariali ed extraerariali derivanti dai giochi pubblici ed assegna contributi agli altri organismi sportivi. Da ultimo, l’art. 30-bis, co. 4, del D.L. 185/2008 ha fissato in € 470 mln la quota riservata all'ente per ciascuno degli esercizi 2009 e 2010 ed ha previsto che, a decorrere dal 2011, l’importo è determinato con decreto del MEF.

Il finanziamento del CIP disposto dall'art. 1, co. 580, della L. 266/2005, è stato incrementato negli anni successivi fino al triennio 2008-2010 (art. 63, co. 9-bis, del D.L. 112/2008).

Sia il CONI che il CIP sono stati inclusi, per il triennio 2010-2012, tra i destinatari delle risorse del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili istituito dall'art. 7-quinquies del D.L. 5/2009 (art. 1, co. 23-ter  e 23-octiesdecies, lett. b), del D.L. 194/2009). Con risoluzione 8-00117 del 7.4.2011, la V Commissione della Camera ha impegnato il Governo a destinare al CIP 6 milioni di euro nell'ambito delle risorse del Fondo stanziate dalla legge di stabilità 2011.

Identica cifra è stata destinata al CIP, per il 2012, dall'art. 4, co. 5, del D.L. 5/2012 e, per il 2013, dall'art. 1, co. 276, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

Ulteriori iniziative legislative non concluse

Il 14 giugno 2011 le Commissioni VII e XI della Camera hanno approvato un nuovo testo delle proposte di legge A.C. 4019-1286-3655-A, che intendeva garantire alle atlete pari opportunità, aiutandole a conciliare sport e maternità, anche attraverso la corresponsione di una indennità giornaliera di maternità. L'esame del testo A.S. 2829 non è stato concluso dal Senato.

Inoltre, la VII Commissione della Camera aveva avviato l'esame dell' A.C. 3019, per l'adeguamento dell'organizzazione del CONI in senso federalista, regionale e provinciale.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI)



Disciplina generale

La disciplina del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), nato nel 1914 come emanazione del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), è stata riordinata dal D.Lgs. 242/1999, successivamente modificato dal D.Lgs. 15/2004.

L’ente, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, è la Confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate e si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal CIO.

Ai sensi dell’art. 1, co. 19, del D.L. 181/2006, è sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con Decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e del Ministro per la semplificazione normativa del 19.11.2008, il CONI è stato incluso nell’elenco degli enti pubblici non economici con organico inferiore alle 50 unità confermati al fine di evitarne la soppressione ex lege altrimenti disposta dall'art. 26, co. 1, primo periodo, del D.L. 112/2008.



I compiti

Il CONI cura l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale, ed in particolare la preparazione degli atleti e l'approntamento dei mezzi idonei per le Olimpiadi e per le altre manifestazioni sportive nazionali o internazionali. Cura, inoltre, d'intesa con la Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive, l'adozione di misure di prevenzione e repressione dell'uso di sostanze che alterano le naturali prestazioni fisiche degli atleti, nonché la promozione della diffusione della pratica sportiva, sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato italiano paraolimpico, per i disabili. Infine, adotta iniziative contro la discriminazione e la violenza nello sport.

In ragione della autonomia dell’ordinamento sportivo, il CONI riconosce, a fini sportivi, le Federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, le società sportive, gli enti di promozione sportiva e le associazioni benemerite e stabilisce i principi fondamentali dei loro statuti.

Le federazioni sportive nazionali (attualmente, 45) e le discipline sportive associate (attualmente, 19) hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato (tranne 3 FSN, ossia Aeroclub Italia, Automobile club d’Italia e Unione italiana tiro a segno che, ai sensi dell’art. 18, co. 6, del D.Lgs. 242/1999, hanno conservato la natura giuridica di diritto pubblico), non perseguono fini di lucro, e svolgono l'attività sportiva in armonia con gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI (art. 15 e 16 del D.Lgs. 242/1999). A differenza delle federazioni, le discipline sportive associate sono preposte all’organizzazione di discipline sportive non olimpiche. I bilanci delle strutture citate sono approvati annualmente dall'organo di amministrazione federale e sottoposti alla approvazione della Giunta nazionale del CONI.

Le società sportive si configurano come professionistiche, ovvero dilettantistiche: la disciplina delle prime è recata dagli artt. 10-13 della L. 91/1981. L’art. 10, in particolare, prevede che possono stipulare contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o società a responsabilità limitata e stabilisce che, prima di procedere al deposito dell’atto costitutivo, la società deve ottenere l’affiliazione da una o più federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI.

La disciplina delle società dilettantistiche è recata dall’art. 90 della L. 289/2002, il cui comma 17 – come successivamente modificato dall’art. 4 del D.L. 72/2004 – specifica che esse possono assumere una delle seguenti forme: associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli artt. 36 e ss. c.c.; associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato, ai sensi del D.P.R. 361/2000; società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro.

Gli enti di promozione sportiva sono organizzazioni polisportive d’importanza nazionale che svolgono attività di diffusione e promozione dello sport; al loro riconoscimento da parte del CONI (art. 32, co. 2, DPR 157/1986) consegue l’attribuzione di contributi e l’esercizio di un’attività di vigilanza da parte dell’ente (art. 16-bis D.Lgs. 242/1999).

Le associazioni benemerite, anch’esse previste dall’art. 32, co. 2, DPR 157/1986, sono a carattere nazionale e svolgono attività a vocazione sportiva (di ordine culturale, scientifico o tecnico) di notevole rilievo, realizzate anche attraverso iniziative promozionali.



Gli organi

Gli organi del CONI sono il presidente, il consiglio nazionale, la giunta nazionale, il segretario generale, il collegio dei revisori dei conti. Essi restano in carica quattro anni; il Presidente e i componenti della Giunta nazionale che rappresentano le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva e le strutture territoriali non possono restare in carica, di norma, oltre due mandati.

In particolare, il presidente ha la rappresentanza legale dell'ente.

Il Consiglio nazionale, nel rispetto delle deliberazioni e degli indirizzi emanati dal CIO, opera per la diffusione dell’idea olimpica e disciplina e coordina l’attività sportiva nazionale, armonizzando a questo scopo l’azione delle Federazioni e delle discipline sportive nazionali. Tra i suoi compiti vi sono quelli di eleggere il Presidente e i componenti della Giunta nazionale, adottare lo Statuto e gli atti normativi di competenza, e i relativi atti di indirizzo interpretativo e applicativo, stabilire i principi fondamentali ai quali devono uniformarsi, ai fini del riconoscimento, gli statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva e delle associazioni e società sportive, deliberare i provvedimenti di riconoscimento di tali enti, stabilire criteri e modalità per l’esercizio dei controlli e, su proposta della Giunta nazionale, del commissariamento delle federazioni sportive nazionali o delle discipline sportive associate.

Alla Giunta nazionale sono, invece, attribuite le funzioni di indirizzo generale dell’attività amministrativa e gestionale del CONI, definendone gli obiettivi e i programmi e verificando la rispondenza dei risultati agli indirizzi impartiti.

 



Lo Statuto e l'organizzazione periferica del CONI

Lo statuto del CONI è adottato a maggioranza dal consiglio nazionale, su proposta della giunta, ed è approvato, entro 60 giorni dalla sua ricezione, dalla Presidenza del Consiglio.

Esso disciplina, fra l’altro, l’organizzazione periferica dell’ente (art. 2, co. 3, del D.Lgs. 242/1999).

Quest’ultima è stata oggetto di modifiche con deliberazione del consiglio nazionale del CONI n. 1451 del 30 novembre 2011, approvata con DPCM 10 maggio 2012: in particolare, come annunciato nel documento programmatico Lo sport verso il 2010 approvato dal Consiglio nazionale il 30 settembre 2011, è stata prevista la soppressione dei Comitati provinciali e la contestuale istituzione della figura del delegato provinciale, componente di diritto del Consiglio regionale, la cui nomina e il cui coordinamento sono effettuati dai presidenti regionali.

Il delegato provinciale ha il compito, tra l’altro, di coordinare l’attività dei fiduciari locali e di promuovere ed attuare le iniziative indicate nell’ambito degli indirizzi predisposti dal comitato regionale (articolo 16).

E’ stata, inoltre, soppressa la Conferenza nazionale dell’organizzazione territoriale deputata ai compiti di rappresentanza e coordinamento dell’organizzazione territoriale (articolo 14).

La questione è stata oggetto di alcuni atti di sindacato ispettivo presentati alla Camera: fra gli altri, rispondendo all’interrogazione a risposta scritta n. 4-15589 (risposta pubblicata il 7 agosto 2012) il Governo ha fatto presente che “Il previsto riordino dell'organizzazione territoriale non comporta il venir meno delle funzioni attualmente svolte dai comitati provinciali, ma una razionalizzazione delle stesse, che verranno demandate in parte al comitato regionale e in parte ai delegati provinciali che rappresentano il presidio di livello provinciale dell'ente, attraverso un'adeguata rete comunicazionale informatica che valorizzerà ulteriormente l'apporto del volontariato. Ciò comporterà nel tempo una razionalizzazione degli spazi e degli assetti lavorativi, con evidenti ricavi, nell'ottica della modernizzazione e non della smobilitazione”. Ha, inoltre, evidenziato che “l'ente ha precisato che la nomina del delegato provinciale sarà disciplinata in un apposito regolamento delle strutture territoriali del CONI e che la modifica organizzativa non sarà produttiva di effetti pregiudizievoli nei confronti dell'associazionismo sportivo a livello territoriale periferico, in quanto il nuovo assetto sarà modulato in armonia con il sistema delle associazioni e istituzioni interessate”. Ha altresì rilevato che “Con il decreto di approvazione le amministrazioni vigilanti hanno espresso la necessità che il delegato provinciale sia designato sulla base delle indicazioni delle strutture periferiche provinciali delle federazioni sportive e che sia mantenuto un minimo di organizzazione per ogni delegato provinciale”.

Ha, infine, fatto presente che “con nota del 24 maggio 2012 il CONI ha trasmesso al dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport la deliberazione n. 1465 concernente il «Regolamento delle strutture territoriali del CONI». Al riguardo, in esito all'istruttoria effettuata, è emersa la necessità di acquisire ulteriori elementi da parte dell'ente che hanno, pertanto, comportato l'interruzione dei termini previsti per l'approvazione.”

Come emerge dalla risposta scritta all’interrogazione n. 4-16258 (risposta pubblicata il 3 dicembre 2012), la richiesta di chiarimenti riguardava l'aumento del numero dei revisori dei conti dei comitati regionali, alla luce della richiesta, presente nel DPCM 10 maggio 2012, che, a decorrere dal primo rinnovo successivo all'entrata in vigore del D.L. 78/2010, la composizione dell'organo di controllo deve essere ridotta, a norma dell'art. 6, co. 5, dello stesso decreto.



Il riassetto e il personale

L’art. 8 del D.L. 138/2002 ha disposto la costituzione di una società per azioni, denominata CONI Servizi SpA, a totale partecipazione pubblica (le azioni sono attribuite al MEF), chiamata a supportare l’insieme delle attività del CONI. In particolare, ha previsto che i rapporti tra il CONI e la CONI Servizi SpA sono disciplinati da un contratto di servizio annuale e che la CONI Servizi succede in tutti i rapporti attivi e passivi, compresi i rapporti di finanziamento con le banche, nonché nella titolarità dei beni facenti capo all’ente pubblico.

Parallelamente alla costituzione della società, è stato disposto (art. 8, co. 11) il passaggio del personale alle dipendenze dell'ente pubblico CONI alle dipendenze della CONI Servizi SpA, a partire dall'8 luglio 2002. La medesima norma ha rinviato ad un DPCM – che sarebbe dovuto essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del D.L., ma che non risulta intervenuto – la definizione delle modalità attuative del trasferimento del personale del CONI alla CONI Servizi SpA, anche ai fini della salvaguardia, dopo il trasferimento e nella fase di prima attuazione della disposizione, delle procedure di mobilità verso enti della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 30, 31 e 33 del D.lgs. n. 165/2001.

La possibilità per i dipendenti ex CONI, poi CONI Servizi, di usufruire delle procedure di mobilità verso altri enti della p.a. è stata prorogata fino al 31 dicembre 2007 (v. art. 16, co. 3, L. 246/2005 e art. 1, co. 6-bis, D.L. 300/2006), nonché fino al 31 dicembre 2012 (art. 1, co. 6-ter, D.L. 300/2006), per il solo personale distaccato in servizio presso le Federazioni sportive nazionali nel caso in cui, successivamente al passaggio alle dipendenze delle Federazioni, fosse risultato in esubero a seguito di ristrutturazione aziendale, ferma restando la possibilità di ripristino del rapporto di lavoro originario con la CONI Servizi.

Peraltro, già prima della costituzione della CONI Servizi Spa, il CONI dotava di proprio personale le Federazioni Sportive Nazionali (Ciò, sulla base dell'art. 14 della L. 91/1981. Con l’art. 3 della L. n. 138/1992 tali disposizioni erano poi state abrogate ed era stato previsto l'inquadramento nei ruoli del personale CONI di tutto il personale in servizio presso le federazioni sportive nazionali al 31.12.1990 con rapporto di lavoro di diritto privato a tempo indeterminato). E, dopo la costituzione della Società, parte del personale ad essa transitato ha continuato ad essere impiegato presso le stesse Federazioni.

Peraltro, contestualmente alla possibilità di usufruire delle procedure di mobilità descritte, l’art. 30 del CCNL del personale non dirigente della CONI Servizi S.p.A. e delle Federazioni Sportive Nazionali (valido per il quadriennio normativo 2006/2009 e primo biennio economico 2006/2007 – sottoscritto il 26 maggio 2008) ha previsto il passaggio volontario del personale dipendente di CONI Servizi SpA, operante presso le Federazioni, alle stesse Federazioni presso le quali presta opera, previa concessione di un periodo di aspettativa non retribuita, quinquennale e rinnovabile..

In seguito, l’art. 35, co. 4, del D.L. 207/2008 ha previsto che il personale, ex dipendente CONI, successivamente transitato alle dipendenze di CONI Servizi S.p.A., ed in servizio presso le Federazioni sportive nazionali, permane in servizio presso le stesse ai fini del loro funzionamento.

Da ultimo, l’art. 12, co. 90-bis, del D.L. 95/2012 ha disposto che al personale alle dipendenze dell’ente CONI alla data del 7 luglio 2002, transitato alla CONI servizi S.p.A. in attuazione dell’articolo 8 del D.L. 138/2002, si applica, non oltre il 31 dicembre 2013, la disciplina della mobilità volontaria, di cui all’art. 30 del D.lgs. 165/2001.

Sull’argomento, il 26 luglio 2012 alla Camera si era svolta l’interpellanza urgente n. 2/01579 che aveva evidenziato le problematiche inerenti il personale della CONI Servizi ritenuto eccedente.

In particolare, l’interpellanza evidenziava che CONI Servizi Spa ha “aperto la procedura di mobilità confermando il rifiuto dell’azienda di assorbire i propri dipendenti”. [….] “la CONI Servizi Spa ha sostenuto la necessità di questo passaggio affermando di non poter tenere alle proprie dipendenze personale considerato non funzionale per competenze ed esperienze professionali al CONI ente, poiché al momento in cui la società è entrata in azione questo era in servizio presso le federazioni sportive nazionali ed era pertanto estraneo ai processi e alle attività â€core’ del CONI”.

In risposta all’interpellanza, il rappresentante del Governo, dopo aver ripercorso l’evoluzione della questione – sia da un punto di vista normativo, che da un punto di vista delle vicende relative agli organici – ha assicurato che lo stesso Governo, nell’ambito delle sue prerogative, avrà modo di verificare che si applichi sempre la regola della buona pratica gestionale, per non disperdere il patrimonio di professionalità formatesi nel tempo, nell’interesse del sistema sportivo italiano.

In particolare, il rappresentante del Governo ha fatto presente che al 1° giugno 2012 il personale impiegato dalle federazioni sportive con rapporto di lavoro subordinato era pari a 1.530 unità, di cui 854 assunte nel tempo direttamente dalle stesse federazioni. I dipendenti della CONI servizi Spa che si erano avvalsi della possibilità prevista dall’art. 30 del CCNL erano 535, mentre altri 141 non avevano ritenuto di avvalersi della stessa possibilità. Ha, inoltre, fatto presente che le uscite di personale dal sistema CONI-federazioni-CONI servizi Spa erano sino ad allora avvenute tutte su base volontaria ed avevano prevalentemente riguardato persone che comunque avevano maturato i requisiti per il pensionamento o che, dietro richiesta, avevano acceduto alla mobilità, in presenza di capienza nelle piante organiche di soggetti della P.A.

In risposta, poi, il 12 settembre 2012, all’interrogazione a risposta immediata 3-02462 il Governo ha evidenziato che il 2 agosto era stato sottoscritto un accordo che prevedeva l’assunzione a tempo indeterminato da parte delle federazioni presso cui il personale prestava servizio, chiarendo che, pertanto, sarebbero stati considerati in esubero solo i dipendenti che non avessero presentato istanza di passaggio alle federazioni. Le federazioni avevano poi ricevuto indicazioni per consentire il transito dei dipendenti dal 1 ottobre.



Il finanziamento

Le risorse per il finanziamento del CONI sono allocate al capitolo 1896 dello stato di previsione del MEF, nell’ambito della missione Giovani e sport, programma Attività ricreative e sport.

La tabella che segue mostra l’andamento delle risorse destinate all’ente nelle leggi di bilancio triennale 2011-2013, 2012-2014 e 2013-2015:

(in milioni di euro)

Bilancio 2011-2013
(L. n. 221/2010)

Bilancio 2012-2014
(L. n. 184/2011)

Bilancio 2013-2015
(L. n. 229/2012)

2011

2012

2013

2012

2013

2014

2013

2014

2015

447,8

432,8

432,8

409,0

409,1

414,0

403,8

408,3

407,5

Inoltre, l’ente fruisce di una quota delle entrate erariali e extraerariali derivanti dai giochi pubblici. Da ultimo, l’art. 30-bis, co. 4, del D.L. 185/2008 ha assegnato al CONI un finanziamento pari a 470 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010, prevedendo che, a decorrere dal 2011, l’importo sia determinato con decreto del MEF.

Il CONI inoltre è chiamato all’assegnazione dei contributi agli altri organismi sportivi. Il bilancio e la relazione della sua attività sono trasmessi annualmente alle Camere dal Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’ultimo invio, riferito agli esercizi 2010 e 2011, è stato annunciato il 5 settembre 2012.

Il controllo sulla gestione finanziaria dell’ente è effettuato dalla Corte dei conti, la cui ultima relazione alle Camere, riferita all’esercizio 2011, è stata annunciata il 18 dicembre 2012 (Doc. XV, n. 486).

Approfondimento: Francia: la nuova legge sulla professione di agente sportivo



Loi n. 2010-626 du 9 juin 2010 encadrant la profession d'agent sportif (J. O. del 10 giugno 2010)

La questione degli agenti sportivi costituisce un grosso problema dello sport professionista. Gli agenti sportivi sono presenti, in primo luogo, nel calcio, nell’ambito del quale si è assistito alle “derive” più evidenti (dalla sopravvalutazione dei giocatori e all’acquisto di giocatori “fantasma” fino alla frode fiscale e al riciclaggio di denaro sporco), ma anche negli sport di squadra, come il rugby o il basket, e in quegli sport individuali che hanno maggiore risonanza mediatica.

 La legge n. 2010-626 modifica le disposizioni del Code du Sport relative allo sport professionale (Code du Sport, artt. L222-1 e ss.) per facilitare l’inquadramento giuridico degli agenti sportivi e il controllo delle loro attività, nonché migliorare la “moralizzazione” dell’ambiente sportivo.

 La nuova legge definisce innanzitutto l’attività dell’agente sportivo, che consiste nel curare, dietro retribuzione, i rapporti tra le parti interessate (club sportivi e giocatori) per l’eventuale stipula di un contratto relativo all’esercizio remunerato di un’attività sportiva o di un’attività di allenamento. L’attività di agente sportivo non potrà essere esercitata se non da una persona fisica titolare di una specifica licenza rilasciata da una federazione sportiva. L’esclusione delle persone giuridiche permetterà di identificare meglio le persone collegate ad uno sportivo.

 La legge disciplina più severamente le incompatibilità tra la professione di agente sportivo e quelle attività suscettibili di provocare conflitti d’interesse o di presentare rischi di collusione con altri attori dello sport (funzioni di direzione o di allenatore sportivo, di organizzatore di competizioni sportive, etc.) e le incapacità collegate ad alcune condanne penali o al fallimento delle persone. La remunerazione dell’agente sarà limitata al 10% del totale dei contratti firmati.

 L’attività degli agenti sportivi sul territorio nazionale potrà essere esercitata anche da cittadini degli Stati dell’UE e sarà sottoposta alle norme europee relative alla libertà d’impresa e di stabilimento. Gli agenti di Paesi terzi dovranno concludere una convenzione con un agente titolare di licenza in Francia. Il provvedimento prevede anche l’estensione agli agenti sportivi degli obblighi derivanti dalle norme anti-riciclaggio, in particolare la dichiarazione obbligatoria di alcune operazioni alla cellula TRACFIN (trattamento di informazioni e azione contro i circuiti finanziari clandestini).

 La legge rafforza inoltre la protezione dei minori sportivi, di età pari o inferiore a 16 anni, per i quali la conclusione di un contratto relativo ad un’attività sportiva non può dare luogo ad alcuna remunerazione o vantaggio per le persone che abbiano messo in relazione le parti interessate alla conclusione di tali contratti. I club sportivi saranno ora ufficialmente autorizzati a retribuire gli agenti sportivi (cosa che fino ad oggi avveniva non ufficialmente), ma dovranno trasmettere alle federazioni l’insieme dei contratti firmati con agenti.

 Infine la legge ha inasprito le sanzioni contro gli agenti che esercitano illegalmente la loro attività: esercitare l’attività di agente sportivo senza aver conseguito la licenza sarà passibile di 30.000 euro di ammenda e di 2 anni di detenzione.

VII Cultura

Ricerca

Nell’ambito dell’obiettivo, fissato dalla strategia Europa 2020 , di accrescere gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo fino a un livello del 3% del PIL, l’Italia si è posta l’obiettivo di raggiungere nel 2020 un livello di investimenti pari all’1,53% (partendo da 1,26 punti percentuali). Peraltro, come indicato nel Programma nazionale di riforma 2012 , l’obiettivo potrebbe essere ridefinito in occasione della revisione di medio termine della strategia, qualora le riforme producano i risultati auspicati sulla propensione a investire delle imprese e, dunque, sulle spese per ricerca e sviluppo del settore privato.

In primo luogo è stata introdotta una complessiva riforma del sistema degli incentivi alle imprese , elaborata sulla base di un Rapporto, noto come rapporto Giavazzi , nel quale si suggerisce il mantenimento di quei soli incentivi che servono alle imprese per raggiungere obiettivi socialmente desiderabili e la cui attività riveste carattere addizionale, nel senso che la stessa non verebbe svolta senza quel sussidio. Tali sarebbero, per esempio, le spese per la ricerca e l'innovazione. La riforma approvata prevede l'istituzione di un Fondo speciale per la crescita sostenibile, che sostituisce il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT), ed è chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali. Sono state, poi, ridefiniti le tipologie, gli strumenti di intervento nonché i soggetti ammessi ai contributi per la ricerca scientifica e tecnologica. La definizione delle spese ammissibili, delle caratteristiche delle attività nonché delle modalità e dei tempi di attivazione è stata rinviata ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che al momento non risulta emanato.

Al fine di sostenere gli investimenti in ricerca e la collaborazione tra università e imprese, sono state concesse inoltre alcune agevolazioni - sotto forma di credito d'imposta - in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca o che assumono riceratori o profili altamente qualificati.

In tale contesto, il 23 marzo 2011 il CIPE ha approvato il Programma nazionale della ricerca (PNR) 2011-2013 , che persegue quali obiettivi strategici la crescita della competitività del Paese in aree tecnologiche prioritarie, il miglioramento della qualità della ricerca pubblica e privata e la promozione del trasferimento dei risultati della ricerca al settore produttivo, il consolidamento e l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, la valorizzazione del capitale umano, il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la partecipazione alle infrastrutture di ricerca europee. Gli obiettivi sono declinati in 18 azioni di ricerca, nell’ambito delle quali sono individuati 14 “Progetti bandiera” che devono essere realizzati dagli enti di ricerca vigilati dal MIUR . Questi ultimi sono stati oggetto della riorganizzazione operata con il d.lgs. 213/2009, proprio al fine di promuovere, rilanciare e razionalizzare le attività nel settore della ricerca. In particolare, agli enti è stata riconosciuta un'ampia autonomia statutaria, la ripartizione dei contributi statali è stata collegata alla valutazione e al merito, e sono stati introdotti finanziamenti premiali dal 2011.

Sulla base delle competenze affidate all’ANVUR dal DM 76/2010, con DM 15 luglio 2011 è stata anche disciplinata la Valutazione della qualità della ricerca (VQR) 2004-2010 , poi avviata dall’Agenzia con bando del 7 novembre 2011. La valutazione dei risultati della ricerca, organizzata nelle 14 aree indicate dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), riguarda, in particolare, università statali, università non statali autorizzate a rilasciare titoli accademici, enti di ricerca vigilati dal MIUR, dipartimenti. La relazione finale sarà stilata dall’ANVUR entro il 30 giugno 2013.

Tra gli interventi normativi più pregnanti si ricorda il D.L. 83/2012, la cui relazione illustrativa (A.C. 5312) sottolineava la necessità di definire obiettivi di ricerca collegati funzionalmente alle politiche economiche del Paese, di specializzare la ricerca verso particolari ambiti e settori per rendere il sistema più competitivo a livello internazionale, di rendere sempre connesse la ricerca di base e quella applicata, congiungendo l’attività di ricerca pubblica con quella più tipicamente industriale, di rivedere le procedure di valutazione, semplificandole e accentuando l’importanza delle valutazioni ex post.

Va, inoltre, ricordata l’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia svolta dalla VII Commissione della Camera tra il 7 aprile 2009 e il 30 marzo 2011, il cui documento conclusivo evidenzia che le principali criticità, che derivano dalla progressiva riduzione delle risorse, ma soprattutto dalla mancanza di una strategia capace di coinvolgere tutti i potenziali attori, a livello nazionale e locale, impediscono il decollo e l’attrattività del sistema. E’, dunque, necessario razionalizzare e semplificare le norme, concentrare e coordinare programmi, interventi e risorse disponibili, superando i limiti vigenti nell’erogazione dei finanziamenti, favorire l’autonomia responsabile delle strutture di ricerca e l’investimento privato, intervenire sul rapporto ricerca-sistema produttivo.

Personale degli enti di ricerca

Il contenimento delle spese di personale della P.A., perseguito attraverso misure volte alla ridefinizione delle dotazioni organiche e alla limitazione del turn-over, ha investito, sebbene in forma attenuata, anche il personale degli enti di ricerca.

Il contenimento delle spese di personale della P.A., perseguito attraverso misure volte alla ridefinizione delle dotazioni organiche ha investito anche il settore degli enti di ricerca. Prendendo atto del rilievo strategico della ricerca e della necessità di non far venir meno le risorse necessarie al suo sviluppo, l'applicazione agli enti di ricerca delle misure di ridimensionamento degli assetti organizzativi secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità, perseguito attraverso una lunga serie di provvedimenti, è stata tuttavia temperata da parziali deroghe alla normativa generale, che hanno riguardato in particolare il personale adibito ad attività di ricerca.
Il decreto-legge 112/2008 (primo di una lunga serie di provvedimenti intervenuti in materia, successivamente modificato dall’art. 35 del D.L. 207/2008, poi dall'art. 9 del D.L. 78/2010 e, da ultimo, dall’art. 14 del D.L. 95/2012) ha autorizzato gli enti di ricerca ad assumere personale, includendoli tuttavia (almeno in parte) nelle misure di riorganizzazione previste per le amministrazioni statali.
Successivamente, l’art. 1 del D.L. 180/2008 ha escluso gli enti di ricerca dall’obbligo di ridurre la spesa per il personale non dirigenziale. Quest'ultima misura è stata confermata dal co. 8-bis dell'art. 2 del D.L. 194/2009, che per le P.A. ha previsto un'ulteriore riduzione degli organici.
Sulla materia è intervenuto, quindi, l'art. 29, co. 28, del D.L. 78/2010, che ha esentato gli enti di ricerca dall'obbligo di ridurre del 50%, rispetto al 2009, l'importo destinato al reclutamento di personale precario; nel contempo, ha confermato che la spesa in questione non può superare il 35% delle somme impegnate per analoghe finalità nel 2003.
L’articolo 1 del D.L. 138/2011 ha quindi stabilito per gli enti di ricerca (ed, in generale, per le amministrazioni pubbliche) l’impegno ad apportare, entro il 31 marzo 2012, all'esito dei processi di riduzione degli assetti organizzativi derivanti dal D.L. 112/2008, un'ulteriore riduzione degli uffici dirigenziali di livello non generale, e delle relative dotazioni organiche, in misura non inferiore al 10% di quelli risultanti a seguito dell'applicazione dell'art. 2, comma 8-bis, del D.L. 194/2009. Viene, invece, confermata l'esenzione degli enti di ricerca dalla ulteriore rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, prevista per la generalità delle P.A.dallo stesso D.L. n. 138/2011.
Da ultimo, è intervenuto il D.L. 95/2012 che, nel disporre (articolo 2, comma 1), la riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato (in misura non inferiore al 20% per il personale dirigenziale e del 10% della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organic, per il personale non dirigenziale), ha previsto che essa operi anche per il personale degli enti di ricerca, con esclusione tuttavia dei ricercatori e tecnologi (la riduzione riguarda, cioè, il solo personale amministrativo). Per quanto riguarda i limiti assunzionali, il provvedimento ha inoltre disposto (articolo 14, comma 4) che gli enti di ricerca potranno procedere al rinnovo del turn-over nella misura del 20% del personale cessato dal servizio nell’anno precedente per il triennio 2012-2014, del 50% per il 2015 e del 100% dal 2016.

Gli enti di ricerca vigilati dal Miur

Nella XVI legislatura è stata attuata la delega per il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR, prevista dall'art. 1 della L. 165/2007. Gli stessi enti, inoltre, sono destinatari delle misure per la riduzione della spesa previste dal D.L. 95/2012.

Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR

Con il D.Lgs. 213/2009 è stata attuata la delega per il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR prevista dall'art. 1 della L. 165/2007 (come modificato dall’art. 27 della L. 69/2009). La riorganizzazione si è resa necessaria per evitare la soppressione disposta dall’art. 26 del D.L. 112/2008, nell’ambito della soppressione degli enti pubblici non economici.

Tra le principali novità introdotte dal D.Lgs. - sul cui schema la VII Commissione della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 16.12.2009 - si segnalano:

Il D.Lgs. ha riconfermato, infine, la natura di ente di ricerca per l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (INVALSI), dotato di autonomia amministrativa, contabile, patrimoniale, regolamentare e finanziaria.

Il Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca vigilati dal MIUR

L’art. 7 del D.lgs. 204/1998 ha previsto che gli stanziamenti da destinare annualmente a vari enti di ricerca – tra cui CNR e Agenzia spaziale italiana (ASI) – affluissero in un unico Fondo, finanziato dal MIUR, il cui ammontare è determinato in tab. C della legge finanziaria (ora, di stabilità). L'art. 4 del d.lgs. 213/2009 ha previsto che dal 2011 una quota non inferiore al 7% del Fondo è destinata al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti, anche congiunti, proposti dagli enti.

La ripartizione annuale del Fondo tra i suddetti 12 enti di ricerca è pubblicata sul sito del MIUR. Per il 2012, la ripartizione - per un importo complessivo pari a 1.652.963.075 euro - è stata effettuata con DM del 9 agosto 2012 (registrato alla Corte dei Conti in data 2 ottobre 2012).

L'art. 8, co. 4-bis, del D.L. 95/2012 ha previsto una riduzione del Fondo per € 51,2 mln dal 2013, nell'ambito delle misure di contenimento della spesa delle pubbliche amministrazioni.

 

 

 

Ulteriori interventi normativi

L'art. 31-bis del D.L. 5/2012 ha previsto che l'Istituto nazionale di fisica nucleare attiva la Scuola sperimentale di dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute, che opera in via sperimentale per un triennio, dall'a.a. 2013/2014, attivando corsi di dottorato di ricerca e curando attività di formazione post-dottorato nel campo delle scienze di base e dell'intermediazione ricerca-impresa.
Il piano strategico della Scuola è stato presentato dal Ministro Profumo il 1° agosto 2012.

Con DM 27 novembre 2012 è stata definita la Convenzione quadro tra atenei ed enti pubblici di ricerca per consentire a professori e ricercatori universitari a tempo pieno di svolgere attività di ricerca presso un ente pubblico e ai ricercatori di ruolo degli enti pubblici di ricerca di svolgere attività didattica e di ricerca presso un’università.

Attività conoscitiva del Parlamento

Il 30 marzo 2011 la VII Commissione della Camera ha approvato il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, deliberata il 7 aprile 2009.

Il documento conclusivo evidenzia che gli interventi legislativi degli ultimi anni, adottati al fine di innescare processi virtuosi di semplificazione e ottimizzazione, non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati. Le principali criticità, che derivano dalla progressiva riduzione delle risorse, ma soprattutto dalla mancanza di una strategia capace di coinvolgere tutti i potenziali attori, a livello nazionale e locale, impediscono il decollo e l’attrattività del sistema, che rappresenta un volano della crescita del Paese. E’, dunque, necessario razionalizzare e semplificare le norme, concentrare e coordinare programmi, interventi e risorse disponibili, superando i limiti vigenti nell’erogazione dei finanziamenti, favorire l’autonomia responsabile delle strutture di ricerca e l’investimento privato, intervenire sul rapporto ricerca-sistema produttivo. Infine, il percorso di qualificazione e ottimizzazione del sistema deve essere costantemente monitorato e valutato, mutuando modalità e strumenti anche dalle migliori esperienze internazionali.

La 7a Commissione del Senato ha svolto una discussione sul partenariato europeo per i ricercatori approvando, il 6 ottobre 2009, una risoluzione (DOC XXIV, n. 6 ).

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR



Premessa

Sulla base della delega conferita dall’art. 1 della L. 165 del 2007 - come modificata, sia in relazione a principi e criteri direttivi, sia in relazione al termine per l’esercizio, dall’art. 27, co. 1, della L. 69 del 2009 - è stato emanato il decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, che ha operato il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR.

Al riordino - finalizzato a promuovere, sostenere, rilanciare e razionalizzare le attività nel settore della ricerca e a garantire autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca - si sarebbe dovuto provvedere entro il termine originario di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, poi fissato al 31 dicembre 2009 dalla legge 69 del 2009 che, al contempo, ha disposto che le disposizioni c.d. “taglia enti” di cui all’art. 26, co. 1, secondo periodo, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) non si sarebbero applicate agli stessi enti di ricerca qualora entro la data indicata fossero stati adottati i decreti legislativi attuativi della delega prevista dalla L. 165/2007.

Gli enti di ricerca vigilati dal MIUR sono dodici: A.S.I. - Agenzia Spaziale Italiana; C.N.R. - Consiglio Nazionale delle Ricerche; I.N.RI.M. - Istituto nazionale di ricerca metrologica; I.N.D.A.M. - Istituto Nazionale di Alta Matematica; I.N.A.F. - Istituto Nazionale di Astrofisica; I.N.F.N. - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; I.N.G.V. - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale- O.G.S.; Istituto Italiano di Studi Germanici; Consorzio per l'Area di Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trieste; Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche "Enrico Fermi"; Stazione Zoologica "Anton Dohrn".

Ad essi si affianca l’INVALSI - Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione -, qualificato ente di ricerca dall’art. 2 del d.lgs. 286/2004 e riordinato con lo stesso d.lgs. 213/2009 e non con il regolamento di delegificazione previsto dall’art. 2, co. 634, della L. 244/2007.



Le principali novità per i 12 enti recate dal d.lgs. 213/2009 e le misure per la razionalizzazione della spesa recate dal D.L. 95/2012



L’autonomia statutaria

Agli enti è stata riconosciuta autonomia statutaria (art. 2 d.lgs. 213/2009), nel rispetto dell’art. 33, sesto comma, della Costituzione e in coerenza con i principi della Carta europea dei ricercatori.

Si è trattato di una previsione aggiuntiva rispetto a quelle recate dall’art. 8 della L. 168/1989, che aveva attribuito agli enti di ricerca a carattere non strumentale autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, unitamente alla facoltà di darsi ordinamenti autonomi, nel rispetto delle proprie finalità istituzionali, con propri regolamenti.

La Carta europea dei ricercatori, allegata alla raccomandazione n. 2005/251/CE della Commissione, dell'11 marzo 2005, reca una serie di princìpi generali e di requisiti che specificano i ruoli, le responsabilità ed i diritti dei ricercatori, nonché dei loro datori di lavoro e/o finanziatori. Tra i principi generali applicabili ai ricercatori, che la Carta declina, si ricordano, in particolare: la libertà di ricerca; la responsabilità professionale; la diffusione e valorizzazione dei risultati; l’impegno verso l’opinione pubblica; lo sviluppo professionale continuo.

Gli statuti specificano la missione e gli obiettivi di ricerca, che sono individuati con atti di indirizzo e direttive adottati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con altri Ministri eventualmente interessati, in coerenza con i contenuti del Programma nazionale di ricerca (PNR) e con gli obiettivi strategici fissati dall’Unione europea.

Inoltre, essi devono prevedere misure di snellimento degli organi di direzione, amministrazione, consulenza e controllo degli enti, attraverso la riduzione del numero dei componenti, nonché l’adozione di forme organizzative atte a garantire trasparenza ed efficienza della gestione: in ogni caso, devono essere garantiti l’alto profilo scientifico e professionale, le competenze tecnico-organizzative e la rappresentatività dei componenti.

Per quanto concerne l’adozione dei nuovi statuti, il d.lgs. ha previsto che ciò avvenisse entro 6 mesi dalla data della sua entrata in vigore (art. 3), previo controllo di legittimità e di merito adottato dal Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca, da effettuare entro 60 giorni dalla loro ricezione (art. 7).



  Il finanziamento

L’art. 4 del d.lgs. 213/2009 ha disposto che la ripartizione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca (art. 7 del d.lgs. 204/1998) è effettuata sulla base della programmazione strategica preventiva, nonché tenendo conto della valutazione della qualità dei risultati della ricerca, effettuata dall’Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca (ANVUR).

Inoltre, come già stabilito per le università dall’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 1/2009), ha previsto che, dal 2011, una quota del Fondo – non inferiore al 7 per cento, destinata ad incrementarsi progressivamente negli anni successivi –, sarebbe stata diretta al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti, anche congiunti.

Per la definizione di criteri e motivazioni di assegnazione della quota è stato previsto l’intervento di un decreto del Ministro.

Con il DM 9 agosto 2012, n. 506/Ric. si è proceduto alla ripartizione della quota premiale del 7% del Fondo ordinario per il 2011 (DM 28 novembre 2011, n. 1031/Ric), pari, complessivamente, a 125,1 milioni di euro.

La ripartizione annuale del Fondo tra i suddetti 12 enti di ricerca è pubblicata sul sito del MIUR.

Per il 2012, la ripartizione - per un importo complessivo pari a 1.652.963.075 euro - è stata effettuata con DM del 9 agosto 2012 (registrato alla Corte dei Conti in data 2 ottobre 2012).



  La programmazione strategica preventiva

L’art. 5 del d.lgs. 213/2009 ha disposto che, in conformità alle linee guida enunciate nel PNR, i consigli di amministrazione dei singoli enti, previo parere dei rispettivi consigli scientifici, adottano un piano triennale di attività, aggiornato annualmente, ed elaborano un documento di visione strategica decennale. Il piano è valutato e approvato dal MIUR, anche ai fini della identificazione e dello sviluppo degli obiettivi generali di sistema, del coordinamento dei PTA dei diversi enti di ricerca, nonché del riparto del fondo ordinario.



  Il Consiglio di amministrazione

Il numero di componenti del consiglio di amministrazione degli enti di ricerca non può superare:

Ai fini delle nomine di designazione governativa, il Ministro nomina un comitato di selezione - composto da esperti della comunità scientifica ed esperti in alta amministrazione - che fissa le modalità e i termini per la presentazione di candidature e propone al Ministro 5 nomi per la carica di Presidente e 3 nomi per la carica di consigliere.

Tutti i componenti, compreso il Presidente, sono nominati con decreto del Ministro, durano in carica 4 anni e possono essere confermati una sola volta. I decreti ministeriali di nomina sono comunicati al Parlamento (artt. 8 e 11 d.lgs. 213/2009. E’, pertanto, venuta meno la previsione, recata dall’art. 6, co. 2, del d.lgs. 204/1998, in base alla quale le Commissioni parlamentari si esprimevano sulla nomina dei Presidenti degli enti di ricerca).

Disposizioni particolari sono previste per la composizione dei consigli di amministrazione di CNR, ASI e INFN (art. 9 d.lgs. 213/2009).



  Organizzazione interna e dirigenza

Gli enti di ricerca, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano i propri ordinamenti ai principi generali sul pubblico impiego (art. 4 e Capo II del Tit. II del d.lgs. 165/2001) e sul procedimento amministrativo (L. 241/1990).

Pertanto, gli statuti e i regolamenti interni sono elaborati tenendo conto della separazione tra compiti di programmazione ed indirizzo strategico, competenze e responsabilità gestionali e funzioni valutative e di controllo (art. 12 d.lgs. 213/2009).



 Le possibilità di chiamata diretta

Previo nulla osta del Ministro, gli enti di ricerca possono assumere per chiamata diretta, a tempo indeterminato, entro il limite del 3% dell’organico dei ricercatori e dei tecnologi e nei limiti delle disponibilità di bilancio, ricercatori e tecnologi italiani e stranieri di altissima qualificazione scientifica, che si siano distinti per merito eccezionale (art. 13 d.lgs. 213/2009).



  Le misure per la razionalizzazione della spesa

L’art. 14 del d.lgs. 213/2009 ha esteso agli enti di ricerca vigilati dal MIUR l’applicabilità delle misure di razionalizzazione delle sedi previste dall’art. 12 del d.lgs. 149/1999, disponendo che entro il 31 dicembre 2010 gli enti dovevano predisporre un piano volto alla riorganizzazione della localizzazione degli uffici, anche tra enti diversi, ed alla realizzazione di economie di spesa.

Inoltre, l’art. 15 ha disposto che gli statuti individuano misure e soluzioni organizzative finalizzate alla gestione coordinata delle infrastrutture e delle strutture di ricerca da parte degli enti e delle imprese, allo scopo di produrre economie di scala e di accrescere la loro efficienza e internazionalizzazione.

In seguito, l’art. 8, co. 4-bis, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), come convertito, ha previsto che una razionalizzazione della spesa per consumi intermedi sia conseguita, per i 12 enti che svolgono ricerca scientifica a carattere non strumentale, attraverso la riduzione del Fondo ordinario, a decorrere dal 2013, per un importo complessivo pari a 51,2 milioni di euro.



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MIUR - Statuti degli enti di ricerca

Ricerca e innovazione

Con i due decreti sulla crescita del 2012 sono state previste norme per agevolare la nascita delle start up innovative e sono stati ridefiniti gli interventi di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, estese ai processi di sviluppo sperimentale.

La legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) ha previsto numerose disposizioni relative alla ricerca, tra cui agevolazioni a favore della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione. In particolare, sono state destinate risorse agli interventi individuati dal Ministero dello sviluppo economico in determinati ambiti, tra cui:

La disciplina relativa ai progetti di innovazione industriale (PII) è stata introdotta dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 296/2006, art. 1, commi 842-846) per favorire lo sviluppo di una specifica tipologia di prodotti e servizi ad alto contenuto di innovazione in aree tecnologiche strategiche per la crescita e la competitività del Paese:


Inoltre, con la medesima legge 99/2009 sono state individuate, in aggiunta alle aree tecnologiche di cui alla legge finanziaria 2007, quelle relative alla:

Peraltro, la legge prevede la possibilità di individuare nuove aree tecnologiche per i progetti di innovazione industriale ovvero di aggiornare o modificare quelle già individuate, entro tre mesi dall’entrata in vigore del provvedimento e - a regime - entro il 30 giugno di ogni anno.

Il D.M. 23 luglio 2009 - modificato dal D.M. 28 aprile 2010 - in attuazione dell'art. 1, comma 845, della legge finanziaria 2007, ha disciplinato la concessione di agevolazioni per la realizzazione di investimenti produttivi innovativi - riguardanti le suddette aree tecnologiche per i PII - finalizzati allo:

  1. programmi qualificati di ricerca o di sviluppo sperimentale
  2. programmi di investimento volti al risparmio energetico e alla riduzione degli impatti ambientali delle unità produttive interessate;

La legge 99/2009 recava poi una delega per riordinare, semplificandolo e razionalizzandolo, il sistema delle stazioni sperimentali per l'industria, enti pubblici economici sottoposti alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico. Nell'aprile 2010 il Governo ha approvato uno schema di decreto di riordino che non è stato poi approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri.

Successivamente, l'articolo 7, comma 20, del decreto-legge 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 (A.C. 3638), ha disposto la soppressione delle stazioni sperimentali per l'industria e il trasferimento dei compiti ed attribuzioni esercitati e del personale alle Camere di commercio.

Sempre con la legge 99/2009 è stata istituita, sotto la vigilanza del Ministro dello sviluppo economico, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), che subentra all'ente designato con la medesima sigla contestualmente soppresso. L'Agenzia è un ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca e all’innovazione tecnologica nonché alla prestazione di servizi avanzati nei settori dell'energia, con particolare riguardo al settore nucleare, e dello sviluppo economico sostenibile.

Per quanto concerne l'innovazione, l’articolo 4 del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008 (A.C. 1386), ha autorizzato la costituzione di appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, per la realizzazione di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive ad elevato contenuto innovativo.

L'articolo 39, comma 2, della legge 69/2009 (A.C. 1441-bis), poi, ha incentivato la creazione di imprese nei settori innovativi promosse da giovani ricercatori. Si prevede infatti che, a tal fine, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie definisca, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adotti un programma di incentivi e di agevolazioni, dando priorità ai progetti volti a migliorare qualitativamente e a razionalizzare i servizi offerti dalla pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici alla ricerca applicata o industriale nonché per favorire il trasferimento tecnologico alle imprese, si segnalano i seguenti decreti:

- D.M. 14 dicembre 2009, che disciplina i contratti di innovazione tecnologica tra Ministero, imprese ed organismi di ricerca pubblici e privati, fissando le condizioni, i criteri e le modalità agevolative per progetti di rilevanti dimensioni finalizzati a promuovere azioni di innovazione tecnologica;

- D.M. 22 dicembre 2009, che ha indetto un bando per il finanziamento di progetti di diffusione e trasferimento di tecnologie al sistema produttivo e creazione di nuove imprese ad alta tecnologia nell'ambito del Programma RIDITT (Rete italiana per la diffusione dell'innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese);

- D.M. 18 gennaio 2010, che invitava alla presentazione di progetti di ricerca industriale, nell'ambito del Programma operativo nazionale (PON) "Ricerca e Competitività" 2007-2013. Tale Programma promuove iniziative e progetti nei campi della ricerca scientifica, della competitività e dell'innovazione industriale nelle Regioni meno avanzate, comprese nell'Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). I progetti dovevano rientrare nei nove ambiti strategici di riferimento previsti dagli accordi di programma e riguardare lo sviluppo della ricerca industriale, di attività non preponderanti di sviluppo sperimentale e le connesse attività di formazione di ricercatori e tecnici di ricerca;

- D.M. 29 ottobre 2010, che, nell'ambito del PON "Ricerca e Competitività" 2007-2013, destina per le Regioni della Convergenza 389 milioni di euro allo sviluppo e al potenziamento dei distretti ad alta tecnologia e dei laboratori pubblico-privati e 526 milioni di euro alla creazione di nuovi distretti ad alta tecnologia o di nuove aggregazioni pubblico-private.

Inoltre, il D.M. 24 settembre 2010 (v. Sostegno alle attività produttive) prevede agevolazioni finanziarie per progetti di ricerca industriale e prevalente sviluppo sperimentale.

A livello fiscale, il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 è intervenuto in materia di ricerca. In particolare, l’articolo 1 ha istituito un credito d’imposta (v. Credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo), per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca. Il credito d’imposta competeva nella misura del 90% della spesa incrementale di investimento, rispetto alla media di investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010. I primi due commi dell’articolo 9 hanno, poi, introdotto nuove forme di contratti di programma per la ricerca con soggetti pubblici o privati, anche in forma associata, al fine di realizzare iniziative oggetto di programmazione negoziata volte a valorizzare prevalentemente le aree sottoutilizzate e del Mezzogiorno.

Per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese che presentano profili di eccellenza tecnologica ed innovativa, l'articolo 31 del decreto-legge 98/2011 ha introdotto una misura a sostegno del venture capital.

Il D.L. 83/2012 ha previsto alcune misure per la ricerca scientifica e tecnologica (articoli 60-63) finalizzate a rendere più funzionale il sistema pubblico della ricerca allo sviluppo ed all’innovazione del Paese. Sono stati ridefiniti gli interventi di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, estese ai processi di sviluppo sperimentale, con gli obiettivi di indirizzare le disponibilità finanziarie verso progetti collegati funzionalmente alle politiche economiche del Paese, specializzando la ricerca verso settori nel quale si intende raggiungere un’eccellenza a livello internazionale, rendere sempre più connessa la ricerca di base e quella applicata e rivedere le procedure di valutazione, semplificandole e accentuando l’importanza delle quelle ex post. Per rispondere alla particolare situazione di crisi economico-finanziaria, il decreto ha previsto, nell’ambito del Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica (FIRST), una modalità di "copertura a garanzia" degli anticipi concessi alle imprese mediante la trattenuta dell'accantonamento di una quota del finanziamento dei progetti.

Il Ministro dello Sviluppo Economico ha istituito, nel mese di aprile 2012, una task force con il mandato di avanzare proposte su come rendere l’Italia un Paese che incoraggia la nascita e lo sviluppo di startup innovative. I risultati di questa riflessione sono contenuti nel Rapporto “Restart, Italia!”. Con il decreto legge 179/2012 è stato introdotto per la prima volta nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (startup).

 

 

 

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Credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo

Al fine di sostenere gli investimenti in ricerca e la collaborazione tra università e imprese, nel corso della legislatura sono state concesse alcune agevolazioni - sotto forma di credito d'imposta - in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca o che assumono riceratori o profili altamente qualificati.

Credito d'imposta per la ricerca scientifica

L’articolo 1 del D.L. 70/2011 ha istituito un credito d’imposta, per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca le quali possono sviluppare i progetti così finanziati anche in associazione, in consorzio, in joint venture ecc. con altre qualificate strutture di ricerca, anche private, di equivalente livello scientifico.

Il comma 5 dell’articolo 1 quantifica gli oneri connessi all’attuazione delle disposizioni recate dall’articolo in esame in 55 milioni di euro per l'anno 2011, 180,8 milioni di euro per l'anno 2012, 157,2 milioni di euro per l'anno 2013 e 91 milioni di euro per l'anno 2014. Il Ministro dell'economia e delle finanze è tenuto al monitoraggio di tali oneri.

La norma, inoltre, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità generale dello Stato (articolo 17, comma 12, legge n. 196/2009), dispone una specifica clausola di salvaguardia, nelle ipotesi in cui gli effetti finanziari derivanti dalla norma risultassero superiori rispetto alla previsione di spesa. In particolare, la clausola di salvaguardia dispone che, nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni, il Ministro dell’economia e delle finanze provvede, con proprio decreto, alla riduzione lineare delle dotazioni finanziarie, iscritte a legislazione vigente, nell'ambito delle spese rimodulabili  delle missioni di spesa di ciascun Ministero, nella misura necessaria alla copertura dello scostamento finanziario riscontrato.

Dalle riduzioni lineari sono esclusi:

Credito d'imposta per profili altamenti qualificati

Successivamente l’articolo 24 del D.L. 83 del 2012 ha istituito un credito d'imposta in favore di tutte le imprese, indipendentemente dalle dimensioni e dalla forma giuridica, che effettuino nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili "altamente qualificati". Il credito d'imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l'assunzione; l'importo del credito non può superare i 200.000 euro annui per impresa. In particolare, il credito d’imposta è riservato alle assunzioni relative a dottori di ricerca con titolo conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia o personale in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato in attività di ricerca e sviluppo specificatamente descritte dalle norme stesse. Sono destinati alla misura 25 milioni di euro per il 2012 e 50 milioni annui a decorrere dal 2013, rinvenienti dalle risorse che provengono annualmente dalla riscossione delle tasse sui diritti brevettuali.

Il comma 13-bis pone, nell'ambito delle relative risorse finanziarie, una quota di riserva in favore delle assunzioni in oggetto da parte di imprese che abbiano la sede o unità locali nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.

Fondo per credito d'imposta per ricerca e sviluppo

Da ultimo la legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228 del 2012, commi da 95 a 97 dell’articolo 1) ha istituito un fondo per la concessione di un credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, nonché per ridurre il cuneo fiscale.

Detto fondo è istituito presso la Presidenza del Consiglio ed è finanziato dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese. Il credito d’imposta è riservato alle imprese e alle reti d’impresa che affidano progetti di ricerca e sviluppo a università ed enti/organismi di ricerca o che realizzano investimenti nel settore. Il Ministro dell’economia e il Ministro dello sviluppo economico sono tenuti a riferire alle Commissioni parlamentari competenti circa l’individuazione e la quantificazione dei trasferimenti e dei contributi concessi, ai fini dell’adozione delle conseguenti iniziative di carattere normativo. L’istituzione del fondo avviene secondo criteri e modalità definiti di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con il Ministero dello sviluppo economico.

Detto fondo è finanziato mediante le risorse derivanti dalla progressiva riduzione degli stanziamenti di parte corrente e di conto capitale iscritti in bilancio destinati ai trasferimenti e ai contributi alle imprese. Pertanto tale Fondo non avrebbe, al momento, alcuno stanziamento, ma verrebbe alimentato a seguito della revisione degli incentivi sopra citata.

Il credito d'imposta è riservato alle imprese e alle reti di impresa che affidano attività di ricerca e sviluppo a università, enti pubblici di ricerca o organismi di ricerca, ovvero che realizzano direttamente investimenti in ricerca e sviluppo.

Credito d'imposta per borse di studio

I commi 285-287 dell’articolo unico della legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228 de 2012) hanno previsto un credito di imposta per gli anni 2013 e 2014 a favore dei soggetti che erogano borse di studio agli studenti degli istituti universitari statali e delle università non statali legalmente riconosciute.

Il beneficio è concesso nel limite di 1 milione di euro per il 2013 e di 10 milioni di euro per il 2014.

I criteri per l'attribuzione del beneficio devono essere definiti con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Programma Orizzonte 2020 per ricerca e innovazione nell'UE

Nell'ambito delle azioni previste nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020, la Commissione europea ha presentato il 30 novembre 2011 un pacchetto di proposte relative all'istituzione di un nuovo strumento di finanziamento per la ricerca e l'innovazione nell'UE (programma Orizzonte 2020 - Horizon 2020).

Il nuovo strumento è destinato a riunire in un unico programma i finanziamenti erogati dall’UE - nell'attuale periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 - a sostegno dell'intera catena dell'innovazione nell’ambito del settimo quadro del Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico (7PQ), del Programma per la Competitività e l'Innovazione (CIP) e dei finanziamenti per l'Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT).

Il totale dei finanziamenti previsti dalla Commissione europea è pari a 80 miliardi di euro per il periodo dal 2014 al 2020, 26 miliardi in più rispetto al periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 (l’entità dello stanziamento dovrà essere confermata alla luce dell’accordo raggiunto dal Consiglio europeo del 7 ed 8 febbraio 2013 sul quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2014-2020).

La proposta della Commissione individua tre priorità o settori di intervento:

Ciascuna delle suddette priorità è articolata in una serie di obiettivi specifici.

Il pacchetto di misure proposte, illustrate in una comunicazione della Commissione del 30 novembre 2011, comprendono:

 Nel contesto della proposta relativa a Orizzonte 2020 la Commissione ha inoltre presentato:

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VII Cultura

Informazione e Comunicazioni



Agenda digitale e comunicazioni elettroniche

Nel campo delle comunicazioni elettroniche, la XVI Legislatura ha visto un significativo impegno di governo e Parlamento nella promozione della realizzazione delle reti mobili di nuova generazione (in particolare la banda larga); questo impegno si è andato ad intrecciare con l’iniziativa assunta in materia di Agenda digitale europea. Per le comunicazioni elettroniche il contesto è ancora quello segnato dal processo di liberalizzazione avviato dall’Unione europea e caratterizzato dall’inclusione delle reti di trasporto del segnale televisivo nell’insieme delle reti di comunicazione elettronica; dal sistema della denuncia di inizio attività per l’impresa che voglia entrare nel settore; dall’individuazione dei mercati rilevanti e delle imprese che in tali mercati occupino un significativo potere di mercato (generalmente gli ex-monopolisti) ai fini dell’imposizione di specifici obblighi a loro carico. In questo quadro, è venuta poi maturando la consapevolezza del ruolo che le tecnologie dell’informazione possono assumere come contributo alla crescita economica; al riguardo in Italia si è sviluppata la discussione sulle migliori modalità di promozione dello sviluppo della banda larga ovvero se questa debba essere realizzata attraverso la realizzazione di nuove reti di fibra ottica o attraverso l’utilizzo, in varia misura, della rete telefonica esistente.

Con riferimento alla promozione delle reti mobili di nuova generazione:

  1. l’articolo 2 del decreto-legge n. 112/2008 ha stabilito norme per agevolare i lavori di infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche, attraverso il ricorso alla procedura della denuncia di inizio attività;
  2. l’articolo 1 della legge n. 69/2009 ha stanziato 800 milioni di euro di risorse FAS della programmazione 2007-2013 da destinare alla promozione delle reti di comunicazione elettroniche nelle aree sottoutilizzate, successivamente ridotte dal CIPE a 400 milioni;
  3. l’articolo 14 del decreto-legge n. 179/2012 ha stanziato 150 milioni di euro per il 2013 per il completamento del piano nazionale della banda larga.

La IX Commissione trasporti della Camera ha inoltre svolto una significativa attività conoscitiva e di indirizzo in materia. In particolare:

  1. nel 2008 è stata svolta un’indagine conoscitiva sulle comunicazioni elettroniche che ha evidenziato, tra le altre cose, un ritardo italiano sia nella diffusione della banda larga sia nello sviluppo delle reti di fibra ottica;
  2. nel giugno 2009 è stato presentato alla Commissione il rapporto Caio sullo sviluppo della banda larga;
  3. nel febbraio-marzo 2012 è stato svolto un ciclo di audizioni sullo sviluppo delle reti di nuova generazione;
  4. il 5 luglio 2012 è stata approvata la risoluzione 8-00188 che invita il Ministero dello sviluppo economico a predisporre un tavolo di concertazione fra tutti gli operatori di telecomunicazioni coinvolti in progetti di sviluppo e realizzazione della rete in fibra ottica, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa volta a massimizzare le potenzialità dei servizi di banda ultralarga;
  5. nel 2012 è stata svolta un’indagine conoscitiva sulla sicurezza informatica delle reti che ha evidenziato, tra le altre cose, la necessità dell’elaborazione di una strategia nazionale di sicurezza informatica, volta anche a promuovere la sensibilizzazione degli operatori sui rischi del web; l’esigenza di intervenire in materia di identità digitale fornendo credenziali universali, accettate da tutti i service provider, per evitare il furto di identità elettronica e l’opportunità di affrontare le nuove problematiche poste dalle tecnologie di cloud computing.

Come già si è accennato queste iniziative si sono andate intrecciando con l’adozione, il 19 maggio 2010, da parte della Commissione europea, della comunicazione "Un'agenda digitale europea" (COM(2010)245), che, tra le altre cose, si propone di realizzare un mercato unico digitale; di garantire un Internet "veloce" e "superveloce" accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione; di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle Tecnologie dell' informazione e della comunicazione. Successivamente, il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione COM(2010)472 che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Mbitps e per almeno il 50% delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbitps.

In attuazione dell’Agenda digitale europea sono state assunte a livello nazionale le seguenti iniziative:

  1. l'art. 47 del decreto-legge n. 5/2012 ha istituito la Cabina di regia per l'Agenda digitale italiana presso il Ministero dello sviluppo economico con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda, coordinando gli interventi dei diversi soggetti pubblici;
  2. gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge n. 83/2012 hanno istituito l'Agenzia per l'Italia digitale che, assorbendo anche le funzioni dei preesistenti organismi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, ha il compito di promuovere la realizzazione in Italia dell'Agenda digitale europea;
  3. numerose disposizioni del decreto-legge n. 179/2012 hanno riguardato l’attuazione dell’agenda digitale nazionale (tra queste: l’articolo 5 amplia l’obbligo di utilizzo della posta elettronica certificata; l’articolo 9 introduce l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere disponibili i dati in formato aperto; gli articoli 10, 11, 12-13 e 16 promuovono l’utilizzo di procedure telematiche, rispettivamente, nell’Università, nella scuola, nella sanità e nell’amministrazione della giustizia).

Per quanto concerne più in generale le comunicazioni elettroniche, il decreto-legislativo n. 70/2012, recependo le direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, ha modificato il codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo n. 259/2003 che costituisce, in attuazione delle direttive dell’Unione europea, il punto di riferimento in materia. Tra le altre cose, il provvedimento è intervenuto su:

  1. requisiti delle analisi dei mercati da compiere per individuare i mercati rilevanti ai fini della definizione delle imprese con significativo potere di mercato: in particolare si è prevista la possibilità di imporre alle imprese verticalmente integrate la costituzione di un’entità operante in modo indipendente, che dovrà fornire prodotti e servizi a tutte le imprese del settore, compresa la società madre;
  2. gestione efficiente dello spettro radio, con possibilità di trasferimento e affitto delle radiofrequenze, con esclusione di quelle utilizzate per la diffusione televisiva;
  3. misure di trasparenza e tutele per gli utenti, con particolare riferimento agli utenti disagiati (disabili, anziani, minori e portatori di esigenze sociali particolari);
  4. istituzione di un CERT nazionale (Computer Emergency Response Team). 

Inoltre, il decreto legislativo n. 69/2012, anch'esso di recepimento delle direttive 2009/136/CE e 2009/140/CE, ha modificato il codice in materia di protezione dei dati personali, in particolare introducendo nel codice l’obbligo per le imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico di notificare sollecitamente al Garante ogni avvenuta violazione di dati personali.



Servizi di media audiovisivi

Con riferimento ai servizi di media audiovisivi il principale intervento nel corso della XVI Legislatura è stato rappresentato dal recepimento, con il decreto-legislativo n. 44/2010, della direttiva 2007/65/CE.

La direttiva 2007/65/CE interviene sulla direttiva 89/552/CEE Televisione senza frontiere (TSF), adottata nel 1989 e modificata una prima volta nel 1997. In particolare, si pone la necessità di facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell'informazione e di applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media audiovisivi, vale a dire ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè, ai servizi di media audiovisivi lineari), e ai servizi di media audiovisivi a richiesta (cioè, ai servizi di media audiovisivi non lineari - video on demand). Si prevede poi l'abolizione del tetto orario giornaliero fissato per le inserzioni pubblicitarie e le televendite in relazione al tempo complessivo di trasmissione di un'emittente, lasciando inalterata la quantità massima di spot pubblicitari e di televendita consentiti in un'ora (12 minuti). Inoltre, si autorizzano le emittenti televisive a scegliere liberamente la collocazione degli spot all'interno dei programmi, purché non ne venga pregiudicata l'integrità.

Il decreto legislativo n. 44/2010, nel recepire la direttiva ha, tra le altre cose:

  1. sostituito nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 177/2005 il concetto di "servizi di media audiovisivi e radiofonici", in luogo della formulazione di "radiotelevisione";
  2. precisato l'ambito di applicazione della definizione di servizio di media audiovisivo, nella quale non rientrano i servizi prestati nell'esercizio di attività non economiche e che non sono in concorrenza con la radiodiffusione televisiva, quali i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio, né i servizi nei quali il contenuto audiovisivo è meramente incidentale e non ne costituisce la finalità principale;
  3. previsto quote di riserva a favore della diffusione di opere europee degli ultimi cinque anni (10% per le emittenti televisive private, compresa la pay per view, e 20% per la RAI).

Nel corso della XVI Legislatura è stato completato il passaggio dal sistema televisivo analogico al digitale terrestre. Questo passaggio ha determinato un c.d. “dividendo digitale esterno” ed un c.d. “dividendo digitale interno”. Con la prima espressione (“dividendo digitale esterno”) si fa riferimento alle frequenze in tecnica analogica liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale: a tale proposito è intervenuto l’art. 1, co. 8-13, della legge n. 220/2010 che ha disposto che le frequenze nella banda da 790 MHz a 862 MHz (corrispondenti ai nove canali nazionali in tecnica analogica) siano destinate al servizio mobile terrestre (vale a dire alla telefonia mobile). La gara, conclusasi il 29 settembre 2011, ha fatto registrare un introito complessivo per l'erario di 3.945.295.100 euro. Con l’espressione “dividendo digitale interno” si fa invece riferimento a frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 181/09/CONS . La medesima delibera prevedeva per l’assegnazione di queste frequenze l’utilizzo del meccanismo del c.d. “beauty contest”. Tale sistema – assimilabile a quello della licitazione privata – consiste in una selezione fra i soggetti interessati, al fine di individuare quello più idoneo all’aggiudicazione del bene, a titolo gratuito, sulla base di una serie di requisiti (affidabilità, esperienza maturata, risorse finanziarie, caratteristiche del progetto, etc.). Successivamente, l’articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 16/2012 ha eliminato la possibilità di ricorre alla procedura del beauty contest e previsto che le frequenze siano assegnate mediante gara pubblica onerosa, le cui procedure sono state rimesse alla definizione da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Nel corso della Legislatura è venuto anche a scadenza, il 31 dicembre 2010, il termine originario del divieto, stabilito dall’articolo 2, comma 12, del decreto legislativo n. 177/2005, di incroci proprietari che impedisce ai soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma, i quali conseguono ricavi superiori all'8% del SIC (sistema integrato delle comunicazioni), e alle imprese del settore delle comunicazioni elettroniche che detengono una quota superiore al 40% dei ricavi di detto settore, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di quotidiani, esclusi i quotidiani diffusi unicamente in modalità elettronica. Tale termine è stato però oggetto di successive proroghe e da ultimo fissato, con l’articolo 1, comma 427, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) al 31 dicembre 2013.



Editoria

In tema di editoria, la maggiore novità - dopo la fase di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi, attuata con DPR 223/2010, sulla base della previsione recata dall'art. 44 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) - è l'abolizione del sistema di erogazione dei contributi diretti dal 31.12.2014, con riferimento alla gestione 2013 (art. 29, c. 3, D.L. 201/2011), e la revisione dall'1.1.2012 dello stesso DPR 223/2010.

La fase transitoria è stata quindi disciplinata con il D.L. 63/2012 (L. 103/2012).

Per la disciplina a seguire era stato presentato un disegno di legge delega per la definizione di nuove forme di sostegno all’editoria e per lo sviluppo del mercato editoriale (A.C. 5270). Durante l'esame parlamentare, tuttavia, è stato elaborato un nuovo testo - il cui esame non si è concluso - che prevedeva l’istituzione di un Fondo per il pluralismo dell'informazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da utilizzare per i contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, per sostenere l’innovazione tecnologica delle imprese editrici, per incentivare l’avvio di nuove imprese editrici e per sostenere i trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti dipendenti da aziende in ristrutturazione.

Ulteriori misure adottate nel corso della legislatura concernono la disciplina di rimborso delle riduzioni tariffarie praticate da Poste italiane S.p.A. per la spedizione di prodotti editoriali, l’estensione dei prepensionamenti per i giornalisti iscritti all’INPGI, nonchè la promozione dell'equo compenso per i giornalisti c.d. free lance (L. 233/2012).

Con L. 128/2011, infine, è stata introdotta una nuova disciplina concernente il prezzo dei libri.

 

 



Il settore postale

Con riferimento al settore postale, la XVI Legislatura è stata caratterizzata dal recepimento, con il decreto legislativo n. 58/2011, della direttiva 2008/6/CE con la quale è stato ulteriormente sviluppato il processo di liberalizzazione del mercato dei servizi postali nei paesi della UE.

Tra le misure più significative del provvedimento merita ricordare:

  1. l’individuazione di un’autorità indipendente di regolazione del settore, inizialmente stabilita (decreto legislativo n. 58/2011) in un’Agenzia nazionale sul modello delle agenzie fiscali e poi individuata (decreto-legge n. 201/2011) nell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
  2. la ridefinizione del perimetro del servizio universale, escludendone la pubblicità diretta per corrispondenza e consentendo, in presenza di particolari condizioni da comunicare alla Commissione europea, la fornitura del servizio a giorni alterni. Alla luce delle modifiche introdotte, il servizio universale viene a comprendere:

Il provvedimento ha inoltre significativamente ridotto la parte del servizio universale riservata in via esclusiva al fornitore del servizio stesso (e cioè Poste italiane Spa; il decreto legislativo n. 261/1999 prevede infatti che singole parti, diverse da quelle riservate in esclusiva, del servizio universale possano essere fornite anche da altri prestatori e non dal solo fornitore): la parte riservata in esclusiva è ora limitata alle notificazioni e comunicazioni a mezzo posta degli atti giudiziari e alle notificazioni dei verbali delle violazioni del codice della strada (in precedenza la parte riservata comprendeva tutta la corrispondenza relativa a procedure amministrative e giudiziarie e tutta la corrispondenza interna e trasnfrontaliera superiore a 50 grammi).

La giurisprudenza costituzionale

Nel corso della XVI Legislatura la giurisprudenza della Corte costituzionale è intervenuta sul riparto di competenze tra Stato e regioni nella materia di legislazione concorrente "ordinamento della comunicazione", con un orientamento volto, da un lato, a tutelare l'esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato e, dall'altro lato, ad individuare idonee procedure concertative e di coordinamento orizzontale con le regioni.

Con riferimento alla materia di legislazione concorrente “ordinamento della comunicazione” appare rinvenibile nella giurisprudenza costituzionale la tendenza a tutelare l’esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato, contemperata dall’individuazione di procedure concertative e di coordinamento orizzontale con le regioni quando, in una materia come l’ordinamento della comunicazione di legislazione concorrente, si ponga l’esigenza dell’”attrazione in sussidiarietà” dell’esercizio della funzione da parte dello Stato (cfr. ex plurimis la sentenza n. 303/2003).

L'esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato

Richiama l’esercizio delle funzioni unitarie da parte dello Stato, ad esempio, la sentenza n. 272/2010 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in quanto contrastanti con i principi fondamentali della materia, di alcuni articoli della legge della Regione Toscana n. 54/2000 (si tratta in particolare degli articoli 7, comma 6 e 9, comma 6). 

Tali disposizioni prevedevano, nel primo caso, che venissero posti a carico dei richiedenti l’autorizzazione all’installazione od alla modifica degli impianti di telefonia mobile gli «oneri relativi allo svolgimento dei controlli effettuati dall’ARPAT all’atto del rilascio dell’autorizzazione»; nel secondo caso che risultassero a carico «dei titolari degli impianti fissi per la telefonia mobile, nonché dei concessionari per radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi a carattere commerciale» gli oneri relativi all’effettuazione dei controlli, compiuti dall’ARPAT nell’ambito delle sue funzioni «di vigilanza e controllo».

Le disposizioni sono state ritenute in contrasto con l’articolo 93 del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003), che stabilisce un divieto di imposizione di oneri e canoni «per l’impianto di reti» e «per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica». In tale disposizione la Corte ha rinvenuto un principio fondamentale della materia collegato all’esigenza di impedire che le Regioni possano «liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio» e, dunque, di scongiurare il rischio «di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. La medesima esigenza si pone nello stesso modo, per tutti gli obblighi pecuniari, siano essi imposti in occasione del rilascio dell’autorizzazione ovvero previsti per interventi di vigilanza e di controllo che si rendano necessari nel corso dello svolgimento del servizio e che, dunque, siano inerenti al rapporto instauratosi con l’amministrazione proprio in forza dell’originario titolo autorizzativo.

L'individuazione di procedure concertative e di coordinamento tra Stato e regioni

Più recentemente, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 163/2012, ha accolto la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla regione Liguria con riferimento all’articolo 30, commi 1 e 3 del decreto legge n. 98/2011. 

Tali disposizioni prevedevano che il Ministero dello sviluppo economico, con il concorso delle imprese e gli enti titolari di reti e impianti di comunicazione elettronica fissa o mobile, predisponesse un progetto strategico nel quale, sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale e di partenariato pubblico-privato, venissero individuati gli interventi finalizzati alla realizzazione dell’infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e ultralarga, anche mediante la valorizzazione, l’ammodernamento e il coordinamento delle infrastrutture esistenti e, al comma 3, che, con un decreto del Ministro per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, venissero adottati i «provvedimenti necessari per l’attuazione delle disposizioni dei commi precedenti». 

Al riguardo, la Corte costituzionale ha ritenuto sussistere in relazione al progetto strategico per la realizzazione della banda larga l’esigenza di esercizio unitario della funzione amministrativa, in quanto risultano soddisfatti sia il requisito della proporzionalità che quello della pertinenza rispetto allo scopo perseguito. Quanto al requisito della proporzionalità, esso risulta dimostrato, non solo dalla necessità di dare attuazione alle indicazioni dell’Unione europea in materia di agenda digitale e banda larga, ma anche dalla stessa natura “strategica” del progetto, in relazione alla quale la realizzazione degli interventi in esso previsti deve procedere “in modo unitario e coordinato” (così sentenza n. 165 del 2011; sentenza n. 303 del 2003). Quanto al requisito della pertinenza, viene ritenuto soddisfatto in considerazione del fatto che la realizzazione del progetto strategico di individuazione degli interventi finalizzati alla realizzazione dell’infrastruttura di telecomunicazione a banda larga e ultralarga non è demandata alla disponibilità di capitale privato, bensì al partenariato pubblico-privato, senza sollevare in alcun modo lo Stato dal compito di provvedere.

La Corte ha invece ritenuto violato il principio di leale collaborazione con le regioni. Le disposizioni impugnate, infatti, pur legittimamente adottate, incidendo su una materia di competenza regionale concorrente, non prevedevano alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, né in relazione all’adozione del progetto strategico, né con riguardo alla realizzazione concreta sul territorio regionale degli interventi in esso previsti.

In proposito, la sentenza ricorda che in tema di assoluta esigenza di esercizio unitario delle funzioni, la Corte ha affermato che «affinché (…) nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente attribuire funzioni amministrative a livello centrale ed al tempo stesso regolarne l’esercizio, è necessario che essa detti una disciplina (…) che sia adottata a seguito di procedure che assicurino la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di leale collaborazione o, comunque, attraverso adeguati meccanismi di cooperazione per l’esercizio concreto delle funzioni amministrative allocate in capo agli organi centrali» (da ultimo, sentenza n. 278 del 2010). Infatti, solo la presenza di tali presupposti, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, consente di giustificare la scelta statale dell’esercizio unitario di funzioni, allorquando emerga tale esigenza (si veda di recente, sentenza n. 232 del 2011 ).

Con riferimento, in specie, al rispetto del principio di leale collaborazione, la sentenza n. 163/2012 ha richiamato la  giurisprudenza della Corte che ha precisato che «nei casi di attrazione in sussidiarietà di funzioni relative a materie rientranti nella competenza concorrente di Stato e Regioni, è necessario, per garantire il coinvolgimento delle Regioni interessate, il raggiungimento di un’intesa, in modo da contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 383 del 2005  e n. 6 del 2004  )» (sentenza n. 165 del 2011; v. anche sentenza n. 278 del 2010; sentenze n. 383 e n. 62 del 2005, n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).

In particolare, in relazione alla previsione della attribuzione allo Stato della determinazione degli indirizzi per lo sviluppo delle reti nazionali di trasporto dell’energia elettrica e di gas naturale, la Corte ha, inoltre, osservato che, premesso che la chiamata in sussidiarietà «può essere giustificata sulla base della necessità che in questa materia sia assicurata una visione unitaria per l’intero territorio nazionale», la «rilevanza del potere di emanazione di tali indirizzi sulla materia energetica e la sua sicura indiretta incidenza sul territorio e quindi sui relativi poteri regionali rende costituzionalmente obbligata la previsione di un’intesa in senso forte fra gli organi statali ed il sistema delle autonomie territoriali rappresentato in sede di Conferenza unificata» (sentenza n. 383 del 2005).


 

Le iniziative europee nelle telecomunicazioni: l'Agenda digitale europea

Nel corso della XVI Legislatura particolare rilievo ha assunto, con riferimento al settore delle telecomunicazioni, la comunicazione della Commissione europea in materia di Agenda digitale europea. Nel settore delle comunicazioni l'Unione europea ha anche assunto nel corso della XVI Legislatura iniziative con riferimento alle comunicazioni elettroniche e all'audiovisivo.

Nell’ambito delle iniziative dell’Unione europea in materia di telecomunicazioni,  Il 19 maggio 2010 la Commissione europea ha adottato la comunicazione "Un'agenda digitale europea"(COM(2010)245) . L'Agenda rappresenta una delle sette "iniziative faro" della Strategia per la crescita "Europa 2020". In particolare, l'Agenda propone di realizzare un mercato unico digitale; di garantire un Internet "veloce" e "superveloce" accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione; di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). Successivamente, il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione COM(2010)472 che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Megabit per secondo (Mbit/s) e per almeno il 50% delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbit/s. Nel corso della XVI Legislatura, l’Unione europea è anche intervenuta in materia di comunicazioni elettroniche e di audiovisivo, argomenti per i quali si rinvia ai temi pertinenti.

La politica europea delle telecomunicazioni

L’Unione europea interviene in materia di telecomunicazioni:

  1. attraverso le azioni in materia di cultura ai sensi dell’articolo 167 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) che prevede, anche nel settore audiovisivo, l’adozione, con procedura legislativa ordinaria, di azioni di incentivazione e raccomandazioni, con esclusione però di qualsiasi armonizzazione legislativa;
  2. nell’ambito della politica in materia di reti transeuropee ai sensi degli articoli 170-172 del TFUE che prevede, anche nel settore delle telecomunicazioni, l’adozione, con procedura legislativa ordinaria, di qualsiasi iniziativa utile al coordinamento delle legislazione (e quindi anche regolamenti e direttive);
  3. attraverso le azioni per la promozione della ricerca e dello sviluppo tecnologico, ai sensi degli articoli 179 e 182 del TFUE, che prevedono l’adozione, con procedura legislativa ordinaria, di un programma quadro e delle relative misure di attuazione, nonché, con procedura legislativa speciale (e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale), di programmi specifici.

L'Agenda digitale: obiettivi

L’Agenda digitale europea (AGE) è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 (Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva COM(2010)2020 ), lanciata a marzo 2010 dalla Commissione europea, con l’intento di uscire dalla crisi e di preparare l’economia dell’UE per le sfide del prossimo decennio. La strategia mira a stabilire il ruolo chiave delle TIC per raggiungere gli obiettivi che l’Europa si è prefissata per il 2020 e prevede sette grandi linee d'azione:

 La Commissione europea ha presentato poi a settembre 2010 un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo, nel quadro dell’agenda digitale, di fornire ai cittadini europei l’accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020).

Il pacchetto è composto da una comunicazione per promuovere gli investimenti nella rete di bandalarga (COM(2010)472) , una raccomandazione sull’accesso regolato alla rete Next Generation Access (NGA) (C(2010)572) , pubblicato in G.U. U.E. L. n. 251 del 25.9.2010) e una proposta di decisione sulla creazione di un programma per la politica dello spettro radio (COM(2010)471) (approvata definitivamente e pubblicata in G.U. U.E., decisione n. 243/2012/CE del 14 marzo 2012).

Per una descrizione di queste misure e delle ulteriori iniziative assunte nel quadro dell’Agenda digitale europea si rinvia all'approfondimento: L'attuazione dell'Agenda digitale europea.

Approfondimenti

Approfondimento: L'attuazione dell'Agenda digitale europea

Nel quadro dell’Agenda digitale europea, la Commissione europea ha presentato, a settembre 2010, un pacchetto di misure finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo, nel quadro dell’agenda digitale, di fornire ai cittadini europei l’accesso alla banda larga (base per il 2013 e veloce per il 2020).

Il pacchetto è composto da una comunicazione per promuovere gli investimenti nella rete di bandalarga (COM(2010)472) , una raccomandazione sull’accesso regolato alla rete Next Generation Access (NGA) (C(2010)572) , pubblicato in G.U.U.E. L, n. 251 del 25.9.2010) e una proposta di decisione sulla creazione di un programma per la politica dello spettro radio (COM(2010)471) (approvata definitivamente e pubblicata in G.U.U.E.: decisione n. 243/2012/CE del 14 marzo 2012).



Comunicazione sulla banda larga

La comunicazione “La banda larga in Europa: investire nella crescita indotta dalla tecnologia digitale” (COM(2010)472) indica come obiettivo, da raggiungere entro il 2020, quello di assicurare l’accesso a internet per tutti i cittadini ad una velocità di connessione superiore a 30 megabit per secondo, e per almeno il 50% delle famiglie la disponibilità di un accesso a internet con una velocità superiore a 100 Megabit per secondo.

Secondo la Commissione il ruolo che la rete svolgerà nella ripresa economica, costituendo sostegno all'innovazione in tutti i settori economici, è paragonabile al ruolo cruciale svolto a suo tempo dall’energia elettrica e dai trasporti.

La diffusione di reti veloci e superveloci, aperte e competitive, stimolerà un circolo virtuoso nello sviluppo dell'economia digitale, perché permetterà il decollo di nuovi servizi che richiedono grandi capacità di banda, alimentando la domanda crescente dei cittadini, che a sua volta favorirà lo sviluppo della banda larga.

La comunicazione indica alcuni obiettivi di prestazione fondamentali nel settore della banda larga, tratti essenzialmente dal Benchmarking framework 2011-2015 (quadro di valutazione comparativa 2011-2015) approvato dagli Stati membri dell'UE nel novembre 2009:



Obblighi degli Stati membri

Gli Stati membri sono chiamati a: elaborare e rendere operativi, entro il 2012, piani nazionali per la banda larga per raggiungere gli obiettivi in materia di copertura, velocità e adozione definiti nella strategia Europa 2020, utilizzando finanziamenti pubblici conformi alle norme UE in materia di aiuti di stato e di concorrenza; adottare misure per facilitare gli investimenti nella banda larga, ad esempio assicurando che le opere di edilizia coinvolgano sistematicamente i potenziali investitori, eliminando i diritti di passaggio, procedendo alla mappatura delle infrastrutture passive disponibili che si prestano al cablaggio e aggiornando il cablaggio degli edifici; utilizzare i fondi strutturali e per lo sviluppo rurale già accantonati per investimenti in infrastrutture e servizi TIC; mettere in atto il programma sulla politica europea in materia di spettro radio, in modo che le frequenze dello spettro siano assegnate in modo coordinato per raggiungere il 100% di copertura di internet a 30 Mbps entro il 2020, e adottare la raccomandazione sulle reti NGA.



Spettro radio

La decisione n.243/2012/CE del 14 marzo 2012 che stabilisce il primo programma relativo alla politica in materia di spettro radio (proposta (COM(2010)471) ) espone orientamenti per la pianificazione strategica e l'armonizzazione dell'uso dello spettro radio per realizzare il mercato interno; mira a garantire l'uso e la gestione efficiente dello spettro radio, la promozione della neutralità della tecnologia e del servizio, l'applicazione di un sistema di autorizzazione più snello.

Fra gli obiettivi da perseguire da parte degli Stati membri e della Commissione vi sono: favorire il più possibile la disponibilità, la flessibilità, l’efficienza dello spettro radio, evitare distorsioni della concorrenza, nonché interferenze e disturbi nocivi, armonizzare le condizioni tecniche e garantire la tutela della salute; migliorare la visibilità dell'UE nelle trattative internazionali e offrire un ausilio agli Stati membri nelle trattative con i paesi terzi.

Entro il 2015 la Commissione dovrà trasmettere una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio e gli Stati membri dovranno attuare la decisione.

 Si ricorda che il la Commissione europea il 3 settembre 2012 ha adottato una comunicazione COM(2012)478 final, volta a promuovere l'uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno. In linea con il programma strategico in materia di spettro radio (RSPP), adottato con la decisione di cui sopra, la Commissione mira a ottenere il più ampio consenso politico possibile al fine di sostenere le innovazioni senza fili nell'UE e di garantire che lo spettro attualmente assegnato sia pienamente valorizzato.



Reti di nuova generazione

Del pacchetto sulla banda larga fa parte anche la raccomandazione relativa all'accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione (NGA) (C(2010)572) con lo scopo di favorire lo sviluppo del mercato unico rafforzando la certezza del diritto e promuovendo gli investimenti, la concorrenza e l'innovazione sul mercato dei servizi a banda larga, in particolare nella transizione alle reti di accesso di nuova generazione (NGA).

Le reti di accesso di nuova generazione (NGA) sono reti di accesso cablate costituite in tutto o in parte da elementi ottici e in grado di fornire servizi d'accesso a banda larga con caratteristiche più avanzate (quale una maggiore capacità di trasmissione) rispetto a quelli forniti tramite le reti in rame esistenti.

Il documento indica una serie di misure relative all’accesso all'ingrosso alle infrastrutture fisiche di rete, all’accesso a larga banda all’ingrosso, alla migrazione, ai criteri per la fissazione dei prezzi per l’accesso alle reti NGA, alle infrastrutture di ingegneria civile, al nodo metropolitano, alla rete in rame, ai criteri per la determinazione del premio di rischio.



Quadro di valutazione dell'agenda digitale

Il 18 giugno la Commissione europea ha adottato il quadro di valutazione annuale sull'agenda digitale che ne analizza i progressi compiuti e le questioni critiche nonché lo stato del mercato delle telecomunicazioni dell'UE, e la competitività digitale europea.

Tra le problematiche analizzate: la scarsa conoscenza e il modesto utilizzo di internet da parte di circa la metà della forza lavoro e la totale assenza di competenza per circa il 25%; il ricorso limitato allo shopping online e al commercio elettronico e l'alto prezzo delle tariffe in roaming.



Telecomunicazioni e TIC

Nell’ambito del pacchetto di misure “Meccanismo per collegare l'Europa” (Connecting Europe Facility), presentato ad ottobre 2011, la Commissione europea aveva previsto 9,2 miliardi di euro (ridotti a 1 miliardo di euro in seguito all'accordo raggiunto in seno al Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013) per sostenere gli investimenti in reti a banda larga veloci e ultraveloci e in servizi digitali paneuropei. Il finanziamento del meccanismo potrà attrarre altri finanziamenti privati e pubblici, dando credibilità ai progetti infrastrutturali e riducendone i profili di rischio. Basandosi su stime relativamente prudenti, la Commissione ritiene che il finanziamento per le infrastrutture di rete promuoverà investimenti pari a oltre 50 miliardi di euro.

Per quanto riguarda i servizi digitali, il meccanismo prevede sovvenzioni per costruire le infrastrutture necessarie per l'identificazione elettronica, gli appalti pubblici elettronici, le cartelle cliniche elettroniche, Europeana , eJustice e servizi doganali. I fondi serviranno a garantire l'interoperabilità e a finanziare i costi di gestione e di interconnessione delle infrastrutture a livello europeo.



UE: priorità per la società digitale

Il 18 dicembre 2012 la Commissione europea ha adottato sette nuove priorità per l'economia e la società digitali (COM(2012)784): creazione di un nuovo contesto normativo stabile per la banda larga nonchè nuove infrastrutture per servizi digitali pubblici attraverso il Meccanismo per collegare l’Europa, di una grande coalizione sulle competenze e i posti di lavoro in ambito digitale, predisposizione di una strategia UE in materia di sicurezza informatica, aggiornamento del quadro UE relativo al mercato unico del digitale con riferimento anche ai diritti d'autore (COM(2012)789), accelerazione del "cloud computing" attraverso il potere d'acquisto del settore pubblico, avvio una nuova strategia industriale per l'elettronica.



UE: aiuti di Stato nel settore della banda larga

Il 19 dicembre 2012 la Commissione europea ha adottato una comunicazione (pubblicata in Gazzetta ufficiale UE del 26 gennaio 2013) in cui vengono illustrati gli orientamenti dell’Unione europea per l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga. La comunicazione segue una consultazione pubblica lanciata nel mese di giugno 2012 allo scopo di adattare le linee guida in vigore agli obiettivi dell'Agenda digitale UE per costruire un quadro normativo dinamico in questo settore strategico che incentivi gli investimenti, razionalizzi le regole e favorisca decisioni più rapide.

Il Ministero dello sviluppo economico: le competenze in materia di comunicazioni

All'inizio della XVI Legislatura il decreto-legge n. 85/2008 ha trasferito al Ministero dello sviluppo economico le funzioni in precedenza attribuite al Ministero delle comunicazioni. Il Ministero è stato interessato dai successivi provvedimenti di contenimento della spesa assunti nel corso della Legislatura.

La riorganizzazione del Ministero

All’avvio della XVI Legislatura, le funzioni dell’ex Ministero delle comunicazioni sono confluite nell’ambito del Ministero dello sviluppo economico, ai sensi del decreto-legge n. 85/2008.

In particolare, all’interno del Ministero dello sviluppo le competenze in materia di comunicazioni sono svolte dal Dipartimento delle comunicazioni, articolato nelle direzioni generali per i servizi di comunicazioni elettronica e di radiodiffusione; per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico; per la regolamentazione del settore postale, nonché negli ispettorati territoriali regionali. Il Dipartimento si avvale anche come organismo scientifico di consulenza dell’Istituto superiore per le comunicazioni.

Lo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico (Tabella 3) accoglie pertanto le missioni, i programmi, i macroaggregati, i centri di responsabilità amministrativa (il dipartimento per le comunicazioni) ed i capitoli in precedenza riferiti al Ministero delle comunicazioni.

 In particolare, risultano di interesse l’intera missione 15 “Comunicazioni”, nonché il programma 17.18 “Innovazione tecnologica e ricerca per lo sviluppo delle comunicazioni” nella missione 17 “Ricerca e innovazione” ed il programma 18.10 “Prevenzione e riduzione dell’inquinamento elettromagnetico” nell’ambito della missione 18 “Sviluppo sostenibile e tutela dell’ambiente”.

Per ulteriori elementi si rinvia all'approfondimento: Gli stanziamenti in materia di comunicazioni nella XVI legislatura.

 

 

I provvedimenti di riduzione della spesa: le osservazioni della Corte dei conti

Anche il Ministero dello sviluppo è stato interessato dai successivi provvedimenti di contenimento e revisione della spesa pubblica adottati nel corso della XVI Legislatura. Al riguardo, la Corte dei conti, nella sua relazione sul Rendiconto generale dello Stato 2011 (legge n. 181/2012) evidenzia in particolare, per gli aspetti che qui interessano, che, nell’ambito dell’attività del Nucleo del Ministero per la valutazione della spesa, istituito ai sensi dell’art. 30 della legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/2009), è stata avviata un’attività di rilevazione dei fabbisogni delle strutture periferiche (individuazione dei fabbisogni in relazione ai livelli di servizi da erogare ed analisi dei criteri di ripartizione delle risorse disponibili tra le strutture con l’individuazione di eventuali squilibri allocativi). Questa attività coinvolge principalmente la rete di strutture periferiche afferenti al Dipartimento per le Comunicazioni, costituita dai sedici Ispettorati territoriali regionali per le comunicazioni.

 

 

 

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Approfondimento: Gli stanziamenti in materia di comunicazioni nella XVI Legislatura

Nell’ambito del Ministero dello sviluppo economico (Tabella 3- MISE), sono confluite, in base all’art. 1, comma 7, del D.L. n. 85/08, le funzioni dell’ex Ministero delle comunicazioni: al Dipartimento per le comunicazioni sono state quindi attribuite le funzioni in materia di poste, telecomunicazioni, reti multimediali, informatica, telematica, radiodiffusione sonora e televisiva, tecnologie innovative applicate al settore delle comunicazioni.

Nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico (MISE), negli stanziamenti della missione 15 “Comunicazioni”, sono inseriti tre programmi di interesse della IX Commissione:

A questo vanno aggiunti:

Altri stanziamenti in materia di comunicazioni sono previsti nell’ambito del Ministero dell’economia e delle finanze (Tabella 2- MEF), in particolare nel programma 15.3 che reca gli stanziamenti per i servizi postali e telefonici.



Stanziamenti 2013 in materia di comunicazioni (Tabella 3- MISE)

Di seguito sono riassunti gli stanziamenti in materia di comunicazioni previsti per i cinque programmi del Ministero dello sviluppo economico, per i quali  è previsto complessivamente, nel bilancio 2013, uno stanziamento di 181,69 milioni di euro:

TABELLA 3- MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

(in milioni di euro e con variazioni rispetto al bilancio assestato 2012)

Dipartimento per le comunicazioni

2013 Competenza

Var. %

Missione 15: Comunicazioni:

di cui:

-Programma 15.5 (Pianificazione, regolamentazione, vigilanza e controllo delle comunicazioni elettroniche e radiodiffusione)

-Programma 15.7 (Regolamentazione e vigilanza nel settore postale)

-Programma 15.8 (Servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione)

171,74

 

47,86

3,54

120,33

-2,74%

Missione 17: programma 17.18 “Innovazione tecnologica e ricerca per lo sviluppo delle comunicazioni e della società dell’informazione”

8,82

- 0,51%

Missione 18: programma 18.10 “Prevenzione e riduzione dell’inquinamento elettro-magnetico”

1,13

- 0,16%

Totale

181,69

-13,41%



Previsioni di bilancio 2013 dettagliate per i singoli programmi della Missione 15 "Comunicazioni"

Singoli programmi della Missione 15 "Comunicazioni"
(previsioni di competenza 2013 in milioni di euro)

Pianificazione, regolamentazione, vigilanza e controllo delle comunicazioni elettroniche e radiodiffusione (Programma 15.5)

Tot. 47,86

Sorveglianza e protezione dei servizi pubblici essenziali da interferenze ai servizi di comunicazione

6,46

Contenzioso nel settore delle comunicazioni elettroniche e radiodiffusione

6,46

Vigilanza sugli obblighi derivanti da titoli abilitativi per i servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione

6,14

Rilascio autorizzazioni alla ottimizzazione e modifica impianti radiotelevisivi

4,11

Coordinamento partecipazione nelle sedi UE e internazionali

4,87

Monitoraggio transizione al digitale terrestre

2,94

Assegnazione delle frequenze per i servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, privato e per eventi particolari

1,51

 

Regolamentazione e vigilanza nel settore postale (Programma 15.7)

Tot. 3,54

Concorso nella spesa dell’UPU

0,74

Licenze individuali e autorizzazioni generali

0,63

Vigilanza e controllo

0,64

 

Servizi di comunicazione elettronica e di radiodiffusione (Programma 15.8)

Tot. 120,33

 

Erogazione contributi nel settore della radiodiffusione televisiva

79,08

Erogazione contributi nel settore della radiodiffusione sonora

14,21

Attività amministrativa istituzionale per la gestione dei servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico

20,55

Attività amministrativa istituzionale per la gestione dei servizi di comunicazione elettronica ad uso privato

2,05



Previsioni definitive di competenza in materia di comunicazioni a consuntivo per gli anni 2008-2011 e previsioni 2012 e 2013 (Tabella 3-MISE)

TABELLA 3 – MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO(in milioni di euro)

Missione /programma

2008

2009

2010

2011

Assestamento 2012

Previsione 2013

Totale Missione 15

288,3

291,6

164,5

417,4

182,4

171,74

Prog. 17.18

8,7

8,9

9,6

10,8

9,2

8,82

Prog. 18.10

2,1

5,4

1,7

1,7

1,3

1,13

Totale

299,1

305,9

175,8

430,0

192,9

181,69

 



Altri stanziamenti della Missione 15 Comunicazioni (Tabella 2- MEF)

Ulteriori stanziamenti relativi alla missione 15 “Comunicazioni” sono iscritti, nell’ambito dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (Tabella 2- MEF), nel programma 15.3 che  reca gli stanziamenti per i servizi postali e telefonici.

Di seguito sono riportate le previsioni per il 2013 e l’andamento delle previsioni di spesa negli anni precedenti.

Tabella 2 MEF- previsioni di bilancio 2013 (in milioni di euro)

Programma 15.3- Servizi postali e telefonici

Bilancio 2013 Competenza

2012 Assestamento

Var. %

556,71

553,08

+ 0,6%

Tabella 2 MEF: variazioni delle previsioni definitive di competenza del Programma Servizi postali e telefonici
dal 2009 al 2011 e previsioni 2012- 2013
(in milioni di euro)

Programma 15.3
Servizi postali e telefonici

2009

2010

2011

2012

Previsioni 2013

520,7

761,4

756,5

553,08

556,71

L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM)

Nel corso della XVI Legislatura l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha visto ridotto il numero dei suoi componenti, ampliate le sue competenze in particolare con riferimento al settore postale ed aumentate, con riferimento alle sue funzioni nel settore delle comunicazioni elettroniche, le proprie garanzie di indipendenza. Si è inoltre proceduto al rinnovo dei componenti l'Autorità.

Nel giugno-luglio 2012 si è proceduto al rinnovo dei componenti l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il numero dei componenti dell’Autorità, in base all’articolo 23 del decreto-legge n. 201/2011 è stato ridotto da nove a cinque (Presidente più quattro componenti). Inoltre, il medesimo provvedimento, all’articolo 21, ha trasferito all’Autorità le competenze di autorità di regolazione del mercato postale. La XVI Legislatura ha inoltre aumentato, con il decreto-legislativo n. 70/2012, i requisiti di indipendenza dell’Autorità con riferimento al settore delle comunicazioni elettroniche.

La riduzione del numero dei componenti l'Autorità

L’art. 23, comma 1 del decreto-legge n. 201/2011 ha disposto, nell’ambito di misure di contenimento della spesa che hanno interessato tutte le Autorità amministrative indipendenti, che il numero dei componenti del Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia ridotto da otto a quattro. A questi si aggiunge il Presidente.

Le nuove disposizioni sulla nomina dei componenti dell’AGCOM sono quindi state applicate a partire dal rinnovo dell’AGCOM del giugno 2012.

L’articolo 1, comma 2-bis del decreto-legge n. 29/2012 ha previsto che siano apportate, per omogeneità, anche le necessarie modificazioni in forma di novella all'articolo 1, comma 3, della legge n. 249/1997, istitutiva dell’AGCOM. E’ stata quindi novellata la legge istitutiva portando da quattro a due il numero dei commissari di ciascuna delle due Commissioni che compongono l’AGCOM (infrastrutture e reti e servizi e prodotti).

Riguardo la procedura di nomina dei componenti la norma ha stabilito che il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggano due (anziché quattro come in precedenza) commissari ciascuno e che ciascun senatore e ciascun deputato esprima il voto indicando pertanto un solo nominativo per il Consiglio, anziché due voti come previsto in precedenza.

Le Assemblee di Camera dei deputati e Senato della Repubblica procedono pertanto ciascuna all’elezione di due commissari con voto limitato.

Risulta invece confermata la procedura di nomina del presidente che prevede che questi sia nominato con DPR su proposta del presidente del Consiglio dei ministri d'intesa con il ministro dello sviluppo economico. Il presidente del Consiglio procede pertanto alla designazione del nominativo del presidente e la designazione deve essere previamente sottoposta al parere delle commissioni parlamentari competenti. Ai sensi del rinvio operato all’art. 2 della legge n. 481 del 1995, le commissioni si esprimono a maggioranza dei due terzi dei componenti ed il parere è da ritenersi necessario e vincolante.

I componenti dell’Autorità durano in carica sette anni e non possono essere riconfermati, a meno che non siano stati eletti per un periodo inferiore a tre anni, in sostituzione di commissari che non abbiano portato a termine il mandato.

Le nuove competenze dell'Autorità

L’articolo 21 del decreto-legge n. 201/2011 ha previsto la soppressione dell'Agenzia nazionale di regolamentazione del settore postale (peraltro istituita pochi mesi prima con il decreto legislativo n. 58/2011) e il trasferimento delle sue funzioni all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ha conseguentemente istituito, nel dicembre 2012, la direzione per i servizi postali. La mancata istituzione di un'Autorità indipendente di regolazione nel settore postale costituiva uno dei rilievi avanzati all'Italia dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2009/2149; l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aveva sollecitato, in una segnalazione al Parlamento del 19 febbraio 2010, l'attribuzione alla stessa Autorità della relativa competenza

Successivamente, il decreto legislativo n. 70/2012, di recepimento della direttiva 2009/140/CE e della direttiva 2009/136/CE; modificando il codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003) ha esplicitato il ruolo dell’Autorità come autorità nazionale di regolamentazione per le comunicazioni elettroniche chiamata ad esercitare i propri poteri, come definiti dal Codice, in modo imparziale, trasparente e tempestivo. Essa inoltre deve disporre di risorse finanziarie e umane adeguate per svolgere i compiti ad essa assegnati, opera in indipendenza e non sollecita né accetta istruzioni da alcun altro organismo nell'esercizio dei compiti ad essa affidati.

L’Autorità deve inoltre disporre di risorse finanziarie e umane sufficienti affinché possa partecipare e contribuire attivamente all’Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC). Essa sostiene attivamente gli obiettivi del BEREC relativamente alla promozione di un coordinamento e di una coerenza normativi maggiori e, allorché adotta le proprie decisioni, tiene nella massima considerazione i pareri e le posizioni comuni adottate dal BEREC.

Infine, ha avuto impatto sull'attività dell'Autorità il decreto legislativo n. 69/2012, di recepimento della direttiva 2009/136/CE e della direttiva 2009/140/CE, che ha modificato il codice in materia di protezione dei dati personali, in particolare introducendo nel codice l’obbligo per le imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico di notificare sollecitamente al Garante ogni avvenuta violazione di dati personali.

Dossier pubblicati

Le comunicazioni elettroniche e l'Agenda digitale nazionale

La XVI Legislatura ha visto un significativo impegno di governo e Parlamento nella promozione della realizzazione delle reti mobili di nuova generazione (in particolare la banda larga); questo si è andato ad intrecciare con le iniziative assunte in materia di attuazione a livello nazionale dell'Agenda digitale europea. E' inoltre proseguito il recepimento della legislazione europea in materia di comunicazioni elettroniche.

Con il termine Agenda digitale si intendono un insieme di specifiche politiche volte al potenziamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. L’Agenda digitale europea è stata presentata dalla Commissione Europea nel maggio 2010 (Comunicazione "Un'agenda digitale europea"(COM(2010)245) con lo scopo di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l'innovazione, la crescita economica e la competitività (per ulteriori elementi cfr. l' approfondimento). L'Agenda rappresenta una delle sette "iniziative faro" della Strategia per la crescita "Europa 2020". proponendo di realizzare un mercato unico digitale; di garantire un Internet "veloce" e "superveloce" accessibile a tutti e a prezzi competitivi, attraverso reti di nuova generazione; di favorire gli investimenti privati e raddoppiare le spese pubbliche nelle sviluppo delle TIC. Il 20 settembre 2010, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di misure di attuazione dell'Agenda, tra le quali la comunicazione (COM(2010)472) che indica l'obiettivo di assicurare entro il 2020 l'accesso ad Internet a tutti i cittadini con una velocità di connessione superiore a 30 Mbitps e per almeno il 50% delle famiglie con velocità superiore a 100 Mbitps.

Nel quadro dell’Agenda digitale un particolare rilievo è assunto dalla promozione di reti mobili di comunicazione di nuova generazione ed, in particolare dalla banda larga. Il Legislatore nazionale, già prima dell’adozione dell’Agenda digitale europea, era intervenuto con misure di sostegno della banda larga, in particolare con il decreto-legge n. 112/2008 e con la legge n. 69/2009, misure poi integrate nel quadro dell’attuazione dell’Agenda digitale europea, con l’articolo 14 del decreto-legge n. 179/2012.

A livello nazionale, al fine di attuare le politiche dell’Agenda digitale, è stata istituita nel 2012 l’Agenda digitale italiana che si sostanzia nella relativa Cabina di regia (D.L. n. 5/2012) e nell'Agenzia per l'Italia digitale (D.L. n. 83/2012). Numerose misure di attuazione dell'Agenda digitale italiana sono state inserite nel D.L. n. 179/2012 e prospettate nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2012, in particolare nell’allegato Infrastrutture.

La IX Commissione della Camera ha poi svolto, nel corso della Legislatura, una significativa attività conoscitiva e di indirizzo sui temi della promozione delle comunicazioni elettroniche, della promozione delle reti di nuova generazione e della sicurezza informatica delle reti.

Nel corso della Legislatura, infine, con il decreto legislativo n. 70/2012, si è provveduto al recepimento delle direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, apportando alcune modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259/2003). 

La banda larga

La promozione di reti di banda larga è ritenuta di importanza centrale al fine del superamento del c.d. digital divide (per ulteriori elementi cfr. l' approfondimenti: il digital divide).

Con il termine “banda larga”, nella teoria dei segnali, sono indicati i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Esso è però divenuto col tempo sinonimo di "alta velocità" di connessione alla rete Internet e di trasmissione ed è pertanto un concetto relativo e in evoluzione con l'avanzamento tecnologico. L'attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come di "banda larga" le connessioni in Europa superiori a 2 Mbit/s (Megabit per secondo).

L’Agenda digitale europea fa riferimento anche alla banda “ultra-larga”, termine con il quale sono generalmente indicate velocità di connessione superiori a 30 Mbit/s e che possono raggiungere anche i 100 Mbit/s.

E’ in corso una discussione sulle migliori modalità di promozione dello sviluppo della banda larga ovvero se questa debba essere realizzata attraverso la realizzazione di nuove reti di fibra ottica o attraverso l’utilizzo, in varia misura, della rete telefonica esistente. In particolare, si confrontano le opzioni della realizzazione di una rete integrale, “fino all’abitazione”, di fibra ottica per la banda larga (c.d FBTH Fiber to the home) e quella della realizzazione di una rete in fibra ottica fino agli "armadi" della rete di distribuzione, utilizzando per la trasmissione del segnale in banda larga nel tratto dagli "armadi" all’abitazione la rete telefonica tradizionale (tale tecnologia è denominata Fiber to the Cabinet FBTC). Al riguardo cfr. anche infra il paragrafo l' attivita' conoscitiva di indirizzo della IX Commissione.

Le iniziative di promozione della banda larga

Nell’ottica di promuovere la banda larga sono intervenuti, nel corso della Legislatura:  

1) l’articolo 2 del decreto-legge n. 112/2008, che ha stabilito norme per agevolare i lavori di infrastrutturazione nel settore delle comunicazioni elettroniche, attraverso il ricorso alla procedura della denuncia di inizio attività;

2) l’articolo 1 della legge n. 69/2009, che ha stanziato 800 milioni di euro di risorse FAS della programmazione 2007-2013 da destinare alla promozione delle reti di comunicazione elettroniche nelle aree sottoutilizzate;

3) l’articolo 14 del decreto-legge n. 179/2012, che ha stanziato 150 milioni di euro per il 2013 per il completamento del piano nazionale della banda larga predisposto nell'ottobre 2011 dal Ministero dello sviluppo economico.

 Per ulteriori elementi cfr. l' approfondimento: I finanziamenti per la banda larga.

L'Agenda digitale italiana

L'Agenda Digitale Italiana (ADI) è stata istituita, come disposto dall’art. 47 del decreto legge n. 5/2012, il primo marzo 2012, contestualmente ad un’apposita Cabina di Regia (organo operativo dell’ADI) con il compito di accelerare il percorso di attuazione dell'Agenda digitale italiana. La Cabina di Regia definisce la strategia italiana per l'Agenda digitale attraverso la cooperazione di sei Ministeri: Il Ministero per lo sviluppo economico, il Ministero delle infrastrutture e trasporti, il Ministero della Funzione pubblica e semplificazione, il Ministero dell'Istruzione, il Ministero dell'Economia e Finanze, il Dipartimento per la Coesione territoriale ed il Dipartimento per l'editoria. La Cabina di Regia è articolata in sei gruppi di lavoro che curano i principali target dell’Agenda Digitale: Infrastrutture e sicurezza; eCommerce; eGovernment e Open Data; Alfabetizzazione Informatica - Competenze digitali; Ricerca e Innovazione; Smart Cities and Communities.

L'Agenzia per l'Italia Digitale, istituita con gli articoli 19, 20 e 21 del decreto legge n. 83/2012 (c.d. “decreto crescita"), è preposta alla realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, in coerenza con gli indirizzi elaborati dalla Cabina di regia, con particolare riferimento allo sviluppo delle reti di nuova generazione e dell'interoperabilità tra i sistemi informatici delle pubbliche amministrazioni e tra questi e quelli dell'Unione europea. L’Agenzia dovrà monitorare in particolare l'attuazione dei piani di TIC delle pubbliche amministrazioni, promuovendone annualmente di nuovi, in linea con l’Agenda digitale europea. Essa assorbe anche le funzioni dei preesistenti organismi DigitPA e Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione.

Le azioni intraprese o programmate per l'attuazione dell'Agenda digitale italiana

Una prima serie di azioni per la realizzazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana sono state adottate con il decreto legge n. 179 del 2012 (c.d. decreto crescita 2.0).

Alcune delle misure del provvedimento riprendono il contenuto del testo unificato delle due proposte di legge di iniziativa parlamentare esaminate dalla IX Commissione in materia di agenda digitale (A.C. 4891 e A.C. 5093), testo approvato nella seduta del 26 luglio 2012.

Tra le misure contenute nel decreto-legge n. 179/2012 si segnalano:

Ulteriori azioni, sono state programmate nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2012 ed in particolare nell’Allegato Infrastrutture contenuto nella Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2012 (Doc. LVII, n.5-bis). In tale ambito, il Piano di Azione Coesione per l’Agenda Digitale italiana prevede:

Per ulteriori elementi cfr. l' approfondimento :L'attuazione dell'Agenda digitale nazionale.

L'attività conoscitiva e di indirizzo della IX Commissione della Camera

La IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera ha svolto una significativa attività conoscitiva e di indirizzo sui temi delle comunicazioni elettroniche.

In particolare, nel 2008 è stata svolta un’indagine conoscitiva sulle comunicazioni elettroniche che aveva già evidenziato, tra le altre cose, un ritardo italiano sia nella diffusione della banda larga sia nello sviluppo delle reti di fibra ottica. Nel giugno 2009 è stato presentato alla Commissione il Rapporto Caio sullo sviluppo della banda larga. Nel febbraio-marzo 2012 è stato svolto un ciclo di audizioni sullo sviluppo delle reti di nuova generazione. Il 5 luglio 2012 è stata approvata la risoluzione 8-00188 che invita il Ministero dello sviluppo economico a predisporre un tavolo di concertazione fra tutti gli operatori di telecomunicazioni coinvolti in progetti di sviluppo e realizzazione della rete in fibra ottica, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa volta a massimizzare le potenzialità dei servizi di banda ultralarga.

La IX Commissione ha infine svolto, nel 2012, un’indagine conoscitiva sulla sicurezza informatica delle reti, per approfondire i significativi problemi di sicurezza ed affidabilità emersi sia con riferimento all’espansione delle transazioni in moneta elettronica, sia per quanto concerne la riservatezza dei dati presenti sulle reti elettroniche. L’indagine si è focalizzata su tre argomenti principali: l’identità digitale, le reti di telecomunicazione wired e wireless, i sistemi distribuiti di servizio e il Cloud computing.

 Per ulteriori elementi cfr. l' approfondimento: L'attivita' conoscitiva e di indirizzo della IX Commissione della Camera.

Ulteriori interventi in materia di comunicazioni elettroniche

Il decreto legislativo n. 70/2012 ha recepito le direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, in materia di comunicazioni elettroniche, modificando il Codice delle comunicazioni elettroniche, decreto legislativo n. 259/2003.

Le nuove norme affidano al Ministero dello sviluppo economico, l’individuazione di misure minime di sicurezza di natura tecnica ed organizzativa che gli operatori di rete ed i fornitori di servizi di comunicazione elettronica sono tenuti ad adottare per gestire adeguatamente i rischi.

Presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito un unico CERT nazionale (Computer Emergency Response Team) operante sui comportamenti ostili registrati in Rete e sugli incidenti informatici e sulle relative procedure di segnalazione alla Commissione europea ed agli appositi organismi internazionali.

Il provvedimento è anche intervenuto sui requisiti delle analisi dei mercati rilevanti che l’AGCOM deve svolgere al fine dell’imposizione di specifici obblighi per i soggetti che vengano individuati come detentori di un significativo potere di mercato. In particolare, si prevede la possibilità di imporre alle imprese verticalmente integrate la costituzione di un’entità operante in modo indipendente, che dovrà fornire prodotti e servizi a tutte le imprese del settore, compresa la società madre.

In attuazione della direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, è intervenuto anche il decreto legislativo n. 69/2012, apportando alcune modifiche al codice per la protezione dei dati personali (decreto legislativo n. 196/2003) con riferimento al tema dell'identità digitale.

 Per ulteriori elementi cfr. l' approfondimento:Le modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche e al codice per la protezione dei dati personali.

In materia di disciplina delle reti di comunicazione elettronica si segnala infine la predisposizione, nel 2011, da parte dell' Autorità per le garanzie delle comunicazioni in attuazione del decreto legislativo n. 44/2010 dello Schema di regolamento in materia di tutela del diritto di autore sulle reti di comunicazione elettronica (Delibera n. 398/11/CONS), sottoposto a consultazione pubblica. Per ulteriori elementi si rinvia al tema media audiovisivi e all'approfondimento la tutela del diritto di autore sulle reti di comunicazione elettronica

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il digital divide

Uno degli obiettivi primari dell’Agenda digitale è quello della riduzione del digital divide e dei forti divari regionali che si registrano nel nostro paese.



Il digital divide nel piano nazionale per la banda larga

Il digital divide è definito dal Piano nazionale della banda larga predisposto nell'ottobre 2011 dal Ministero per lo sviluppo economico come assenza di sufficiente connettività di banda larga dovuta a:

Non sono invece considerate in digital divide le aree: 1) coperte da un servizio Internet con velocità di trasmissione superiore a 20 Mbitps 2) coperte da un servizio Internet con velocità di trasmissione compreso tra 2 e 20 Mbitps

Nella Tabella, ripresa dal Piano, è indicata la percentuale di popolazione italiana, ripartita su base regionale, residente in aree in digital divide



L'accesso ad Internet: dati ISTAT

I dati ISTAT (2012) mostrano che in Italia esiste ancora un forte gap infrastrutturale rispetto alla network society. L’accesso a Internet è disponibile in media nel 55,5% delle famiglie italiane e solo meno della metà di queste, il 48,6%, possiede una connessione a banda larga.

I dati evidenziano in generale un forte digital divide culturale: la maggior parte delle famiglie che non dispone di un accesso a Internet da casa indica come principale motivo del non utilizzo della rete l’incapacità di gestire tale tecnologia (43,3%).

Nell’Unione europea, se si considerano le famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 74 anni che possiede un accesso a Internet da casa, la media è pari al 73%, mentre l’Italia registra un valore pari al 62%, corrispondente al 22° posto nell’UE a 27.

Il personal computer è disponibile in oltre il 61% delle famiglie del Centro e del Nord Italia e solo nel 53,5% delle famiglie residenti nelle regioni del Sud e nel 55,6% delle Isole. Analogamente, nel Centro-nord si riscontra la quota più elevata di famiglie che dispongono di un accesso a Internet (oltre il 57%, contro il 49,6% nel Sud) e di una connessione alla banda larga (oltre il 50% rispetto al 41,2% del Sud).]]



Il gap generazionale: dati ISTAT

I dati mostrano che esiste poi un forte gap generazionale, perché nelle famiglie in cui è presente almeno un minorenne il personal computer e l’accesso a Internet sono disponibili, rispettivamente, nell’83,9% e nel 79% dei casi. Sul versante opposto, nelle famiglie costituite esclusivamente da persone di 65 anni e oltre, appena il 13,9% di esse possiede il personal computer e soltanto l’ 11,8% dispone di una connessione per navigare in Internet.



Le tipologie di utilizzo: dati ISTAT

Circa le modalità di connessione alla rete e di utilizzo della stessa, i dati mostrano che nel 2012 il 28,6% degli individui di 14 anni e più che hanno usato Internet si è connesso alla rete da luoghi diversi da casa o dal posto di lavoro mediante un telefono cellulare, smartphone o altro dispositivo mobile, e in prevalenza per spedire o ricevere email (66,5%), partecipare a siti di social network (54,4%), per l’utilizzo del GPS o di altre applicazioni per il rilevamento della localizzazione (54,2%).

Approfondimento: I finanziamenti per la banda larga



La banda larga

Con “banda larga” si definiscono, nella teoria dei segnali, i metodi che consentono a due o più segnali di condividere la stessa linea di trasmissione. Tuttavia il termine è in realtà divenuto sinonimo di “alta velocità” di connessione. In Italia la Task Force sulla banda larga, commissione interministeriale di studio istituita nel 2001 dal Ministero delle comunicazioni e dal Ministero per l’innovazione e le tecnologie ha definito la banda larga come “l’ambiente tecnologico che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività”. L’attuale sviluppo tecnologico indica generalmente come di “banda larga” le connessioni superiori a 2 Mbitps(megabyte per secondo); il Piano nazionale di banda larga predisposto dal Ministero dello sviluppo economico indica il livello minimo in 2 Mbitps . 

Infrastrutture di banda larga possono essere realizzate attraverso:

Nel contesto dell’ultimo miglio le architetture di accesso a banda larga possono basarsi su:



Le iniziative legislative

Nel corso della XVI legislatura l’attenzione si è focalizzata sulla necessità di concentrare le risorse finanziarie nella modernizzazione della rete e nello sviluppo della banda larga.

 Su questa tematica, Parlamento e Governo sono così intervenuti:



Il piano nazionale per la banda larga

A seguito delle iniziative legislative sopra richiamate, il Ministero dello sviluppo economico ha predisposto, nell'ottobre 2011, il piano nazionale per la banda larga Piano nazionale banda larga.
Rispetto alle aree individuate nel piano come in digital divide (cfr. il relativo approfondimento), prefigura tre tipologie di intervento:

E’ prevista per la realizzazione del Piano un fabbisogno economico complessivo di 1,471 miliardi di euro così ripartito:

Come si evince dalla tabella, ripresa dal Piano non tutte le risorse necessarie risultavano, al momento della presentazione del piano, disponibili e assegnate (cfr. le colonne “FEASR non ancora assegnate” e “Legge 69/2009 (800 m) + Quota project financing: risorse non ancora ripartite tra le regioni”). Nella tabella è riportato il fabbisogno confrontato con le diverse tipologie di risorse:



Il contributo delle risorse dell'Unione europea

Come già si è ricordato, i fondi disponibili per la realizzazione del piano nazionale per la banda larga fanno anche leva sull’utilizzo dei fondi comunitari, in particolare sullo sblocco del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) che costituisce la quota di cofinanziamento nazionale ai Fondi comunitari necessaria per attivare i fondi europei. Vi è poi una quota assegnata alle Regioni e sono altresì utilizzabili i Fondi strutturali ricerca ed innovazione in campo ICT per le Regioni Convergenza.

Risultano programmate per il periodo 2009-2013 le seguenti risorse:

- completamento Banda Larga nel Sud: 209,8 mln € cui vanno aggiunti altri 24 mln sulla base di convenzioni MISE-Regioni (FAS regionali e D.M. Distretti);

Nell’aggiornamento del 3/02/2012 del Piano Azione Coesione presentato dal Ministro per la coesione territoriale risultano in dettaglio programmati 41,6 mln a carico del Piano Azione Coesione, 84,651 mln a carico del FEASR e 85,536 mln a carico del FESR Grandi Progetti.

- Progetto Agenda Digitale Rete Banda Ultra Larga: 443,051 mln;

Nell’aggiornamento del 3/02/2012 del Piano Azione Coesione risultano in dettaglio programmati 158,675 mln a carico del Piano Azione Coesione e 284,375 mln a carico del FESR Grandi Progetti.

- Progetto Agenda Digitale realizzazione Data Center: 121 mln.

Approfondimento: L'attuazione dell'Agenda digitale nazionale



Il decreto-legge n. 179/2012

Il decreto-legge n. 179/2012, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, contiene le prime disposizioni in materia di attuazione dell'Agenda digitale italiana e di promozione della dotazione infrastrutturale italiana.

Alcune delle misure del provvedimento riprendono il contenuto del testo unificato delle due proposte di legge di iniziativa parlamentare esaminate dalla IX Commissione in materia di agenda digitale (AA. CC. 4891 e 5093), testo approvato nella seduta del 26 luglio 2012.

In particolare, nel decreto-legge n. 179/2012:



Ulteriori azioni programmate

Numerose azioni sono state programmate nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2012 e prevedono:

Proposte specifiche in attuazione dell’Agenda Digitale Italiana sono in particolare state inserite nell’Allegato Infrastrutture della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza 2012(Doc. LVII, n.5-bis) e saranno oggetto di monitoraggio sistematico annuale, in quanto considerate a tutti gli effetti una delle reti portanti del sistema delle comunicazioni per la crescita e lo sviluppo del Paese.

Si prospettano quattro assi di indirizzo normativo:

 Il Piano per l’Agenda Digitale italiana prevede:



Il contributo delle risorse dell'Unione europea

I fondi disponibili fanno leva anche sull’utilizzo dei fondi comunitari, in particolare sullo sblocco del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) che costituisce la quota di cofinanziamento nazionale ai Fondi comunitari necessaria per attivare i fondi europei. Vi è poi una quota assegnata alle Regioni e sono altresì utilizzabili i Fondi strutturali ricerca ed innovazione in campo TIC per le Regioni dell'obiettivo convergenza.

Con riferimento al tema della banda larga, l'articolo 1 della legge n. 69/2009 ha stanziato 800 milioni di euro del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) da destinare, nel rispetto delle competenze regionali e previa delibera del CIPE, alla realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento delle reti di comunicazione elettronica nei territori interessati dagli interventi del FAS. Il CIPE, con la delibera n. 1/2011, ha tuttavia operato una riduzione di 400 milioni di euro di tali risorse.

Risultano programmate per il periodo 2009-2013 risorse per:

Nell’aggiornamento del 3/02/2012 del Piano Azione Coesione presentato dal Ministro per la coesione territoriale risultavano in dettaglio programmati 41,6 mln a carico del Piano Azione Coesione, 84,651 mln a carico del FEASR e 85,536 mln a carico del FESR Grandi Progetti.

Nell’aggiornamento del 3/02/2012 del Piano Azione Coesione risultano in dettaglio programmati 158,675 mln a carico del Piano Azione Coesione e 284,375 mln a carico del FESR Grandi Progetti.

Approfondimento: L'attività conoscitiva e di indirizzo della IX Commissione in materia di comunicazioni



L'indagine conoscitiva sulle comunicazioni elettroniche (2008)

La IX Commissione (Trasporti) il 30 luglio 2008 ha deliberato un’indagine conoscitiva sull'assetto e sulle prospettive delle nuove reti del sistema delle comunicazioni elettroniche nel nostro Paese, svolgendo 42 audizioni, nel corso delle quali sono stati sentiti i Ministri competenti, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, gli operatori, le società produttrici di contenuti, gli internet providers, le industrie manifatturiere, le parti sociali e le associazioni rappresentative del settore. La Commissione ha approvato il documento conclusivo nella seduta del 2 dicembre 2008.

Nel corso dell’indagine sono stati messi in rilievo i seguenti aspetti:



L'indagine conoscitiva sulla sicurezza informatica delle reti (2012)

La IX Commissione (Trasporti, poste e telecomunicazioni) ha svolto, nel 2012, un’indagine conoscitiva sulla sicurezza informatica delle reti, per approfondire i significativi problemi di sicurezza ed affidabilità emersi sia con riferimento all’espansione delle transazioni in moneta elettronica, sia per quanto concerne la riservatezza dei dati presenti sulle reti elettroniche. L’indagine deliberata il 1° febbraio 2012 si è conclusa, dopo lo svolgimento di dieci audizioni, il 18 dicembre 2012. Il documento conclusivo è stato approvato nella seduta del 22 gennaio 2013. L’indagine si è focalizzata su tre argomenti principali: l’identità digitale, le reti di telecomunicazione wired e wireless, i sistemi distribuiti di servizio e il Cloud computing.

L’indagine conoscitiva ha in primo luogo evidenziato una ripartizione complessa tra le diverse amministrazioni pubbliche dei compiti in materia di sicurezza informatica delle reti. In tal senso una prima indicazione emersa è quella della necessità di giungere all’elaborazione di una strategia nazionale di sicurezza informatica, che possa coordinare l’operato di tutte le diverse amministrazioni coinvolte.

La strategia nazionale per la sicurezza informatica dovrebbe includere:

 Per quanto riguarda l’identità digitale, le possibili misure legislative da adottare dovranno necessariamente raccordarsi con la proposta di regolamento in discussione da parte delle istituzioni dell’Unione europea. La direzione comunque nella quale appare necessario muoversi è quella della fornitura al cittadino di credenziali universali, accettabili da tutti i service provider privati e pubblici e “federate” con gli altri fornitori di identità digitale nonché regolamentare e sanzionare opportunamente il reato di furto di identità elettronica. E’ inoltre emersa la necessità di dare una rapida attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo n. 70/2012 in materia di istituzione, presso il Ministero dello sviluppo economico, di un CERT nazionale le modalità di coinvolgimento dell’Agenzia per l’Italia digitale.

Circa il cloud computing, è emersa la necessità per l’Italia di dotarsi di linee guida e di strumenti di approccio standardizzati ai servi cloud, sia in ambito governativo che in quello delle infrastrutture critiche, garantendo il rispetto da parte dei fornitori dei servizi in Cloud delle diverse norme vigenti negli Stati in cui hanno sede le società che utilizzano tali servizi.

Sul tema del Cloud computing si segnala peraltro che nel 2011 sono stati prodotti due significativi documenti da parte di amministrazioni pubbliche: il quaderno Consip Cloud Security: una sfida per il futuro, concepito come strumento di approfondimento e di orientamento, e la scheda di documentazione del Garante per la protezione dei dati personali Cloud computing: indicazioni per l’utilizzo consapevole dei servizi, che mira a contribuire all’aumento della conoscenza dei temi rilevanti per la sicurezza nell’utilizzo dei servizi cloud. A questi due documenti si sono poi aggiunte le raccomandazioni e le proposte sull’utilizzo del cloud computing nella pubblica amministrazione elaborate da Digit-PA.



Ulteriori attività della IX Commissione

Nell’audizione del 9 giugno 2009 è stato presentato alla Commissioni competenti di Camera e Senato uno studio governativo (il c.d Rapporto Caio) sullo sviluppo della banda larga.

La IX Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera ha svolto, nel febbraio-marzo 2012, un ciclo di audizioni informali sulle reti di comunicazione di nuova generazione e l’audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulle prospettive di realizzazione in Italia delle reti NGN.

Il 5 luglio 2012 è stata approvata la risoluzione 8-00188 che invita il Ministero dello sviluppo economico a predisporre un tavolo di concertazione fra tutti gli operatori di telecomunicazioni coinvolti in progetti di sviluppo e realizzazione della rete in fibra ottica, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa volta a massimizzare le potenzialità dei servizi di banda ultralarga.

Approfondimento: Le modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche e al codice per la protezione dei dati personali



Il decreto legislativo n. 70/2012

Il decreto legislativo n. 70/2012, ha recepito le direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, in materia di comunicazioni elettroniche, modificando il Codice delle comunicazioni elettroniche, decreto legislativo n. 259/2003, che costituisce il quadro normativo di riferimento in materia.

La IX Commissione (Trasporti) ha espresso parere favorevole con osservazioni nella seduta del 23 maggio 2012.

Con il D.Lgs. n. 70/2012 è stata affidata al Ministero dello sviluppo economico, l’individuazione di misure minime di sicurezza di natura tecnica ed organizzativa che gli operatori di rete ed i fornitori di servizi di comunicazione elettronica sono tenuti ad adottare per gestire adeguatamente i rischi.

La verifica del rispetto delle misure compete al medesimo Ministero, o ad un organismo indipendente da esso incaricato, che può applicare sanzioni in caso di violazioni o di inadempimenti alle norme. Al fine di tale verifica, le imprese sono tenute a fornire al Ministero le informazioni necessarie.

Al Ministero dello sviluppo economico è anche affidata la definizione di uno schema per la notifica da parte degli operatori e dei fornitori di servizi degli incidenti di sicurezza, classificati come significativi sulla base dei valori di soglia stabiliti nello schema stesso. Le segnalazioni degli incidenti di sicurezza sono indirizzate dagli operatori al Ministero che provvede a comunicarle, su base annuale o quando lo richieda alla Commissione europea ed all’ENISA (L'Agenzia dell'Unione europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione). E’ stato inoltre istituito, presso il Ministero dello sviluppo economico, un unico CERT nazionale (Computer Emergency Response Team) operante sui comportamenti ostili registrati in Rete e sugli incidenti informatici e sulle relative procedure di segnalazione.

Il Decreto legislativo n. 70 è intervenuto inoltre nei seguenti ambiti:



Il decreto legislativo n. 69/2012

Con riferimento all’identità digitale occorre ricordare il decreto legislativo 28 maggio 2012, n. 69, anch'esso volto a recepire le direttive 2009/140/CE e 2009/136/CE, che ha modificato il codice in materia di protezione dei dati personali, in particolare introducendo nel codice l’obbligo per le imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico di notificare sollecitamente al Garante ogni avvenuta violazione di dati personali.

Servizi di media audiovisivi

Il decreto legislativo n. 44/2010, che reca attuazione della direttiva 2007/65/CE, ha apportato importanti modifiche al testo unico in materia di servizi di media audiovisivi, con particolare riferimento alla semplificazione della fornitura dei servizi lineari, alla disciplina dei servizi non lineari (video on demand), ai limiti di affollamento pubblicitario e alla tutela delle opere europee. Nel corso della Legislatura è stato inoltre completato il passaggio al digitale terrestre, mentre si è intervenuti normativamente sull'assegnazione dei c.d. "dividendo digitale interno" e "dividendo digitale esterno". Nella legislatura è stato inoltre oggetto di proroga il divieto di incroci proprietari tra imprese televisive ed imprese editoriali.

La direttiva 2007/65/CE

La direttiva 2007/65/CE "Servizi di media audiovisivi" interviene sulla direttiva 89/552/CEE Televisione senza frontiere (TSF), adottata nel 1989 e modificata una prima volta nel 1997, con l'obiettivo di istituire un quadro normativo moderno, flessibile e semplificato per i contenuti audiovisivi, anche per adeguarli allo sviluppo tecnologico e agli sviluppi del mercato del settore audiovisivo in Europa. In particolare, si intende facilitare la realizzazione di uno spazio unico dell'informazione ed applicare almeno un complesso minimo di norme coordinate a tutti i servizi di media audiovisivi, vale a dire ai servizi di radiodiffusione televisiva (cioè, ai servizi di media audiovisivi lineari), e ai servizi di media audiovisivi a richiesta (cioè, ai servizi di media audiovisivi non lineari - video on demand).

Sulla base di questa differenziazione, la direttiva semplifica il quadro normativo per i servizi lineari, e introduce norme minime per i servizi non lineari, in materia di tutela dei minori, di prevenzione dell'odio razziale e di divieto della pubblicità occulta. In materia di pubblicità, la direttiva ritiene non più giustificato il mantenimento di una normativa dettagliata, poiché gli spettatori hanno maggiori possibilità di evitare la pubblicità grazie al ricorso a nuove tecnologie, quali i videoregistratori digitali personali e l'aumento dell'offerta di canali. Pertanto si prevede l'abolizione del tetto orario giornaliero fissato per le inserzioni pubblicitarie e le televendite in relazione al tempo complessivo di trasmissione di un'emittente, lasciando inalterata la quantità massima di spot pubblicitari e di televendita consentiti in un'ora (12 minuti). Inoltre, si autorizzano le emittenti televisive a scegliere liberamente la collocazione degli spot all'interno dei programmi, purché non ne venga pregiudicata l'integrità. La legge comunitaria 2008 (L. 88/2009) ha poi dettato criteri specifici di delega per la sua attuazione, prevedendo una disciplina restrittiva per l'inserimento di prodotti all'interno di programmi audiovisivi (c.d. product placement).

Si segnala infine che la citata direttiva 89/552/CE è stata successivamente abrogata e codificata dalla direttiva 2010/13/UE. Quest’ultima direttiva sostituisce la precedente e non deve essere recepita.

I decreti legislativi di attuazione

Il D.Lgs. n. 44/2010, di attuazione delle direttiva, ha apportato importanti modifiche al D.Lgs. n. 177/2005 (testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici), introducendo la nozione di "servizi di media audiovisivi e radiofonici", in luogo della precedente formulazione di "radiotelevisione", e intervenendo su diversi aspetti della disciplina ivi prevista, quali: trasmissioni transfrontaliere, garanzie per gli utenti, limiti di affollamento pubblicitari, sponsorizzazioni, tutela dei minori, produzione audiovisiva europea. Il decreto, modificato rispetto allo schema originario (atto n. 169) a seguito delle indicazioni fornite dalle commissioni parlamentari competenti, prevede tra l'altro:

 

Con il D.Lgs. n. 120/2012, anche al fine di venire incontro ad alcuni rilievi formulati dalla Commissione europea (EU Pilot 1890/11/INSO), sono state emanate disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. n. 44/2010 (di fatto riferite direttamente al testo del D.Lgs. n. 177/2005). Il decreto legislativo, sul quale le Commissioni competenti della Camera hanno espresso il 19 giugno 2012 un articolato parere favorevole con condizioni , si riferisce alla tutela dei minori, ai limiti di affollamento pubblicitario e alla promozione delle opere cinematografiche di espressione originale italiana.

Il digitale terrestre

Nel corso della XVI legislatura, oltre ai sopra illustrati sviluppi normativi, è stato anche completato il passaggio dalle trasmissioni analogiche a quelle digitali. Il passaggio dall’utilizzo delle frequenze in tecnica analogica alle frequenze in tecnica digitale ha determinato un c.d. “dividendo digitale esterno” ed un c.d. “dividendo digitale interno”. Con la prima espressione (“dividendo digitale esterno”) si fa riferimento alle frequenze in tecnica analogica liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale; con la seconda espressione (“dividendo digitale interno”) si fa invece riferimento, in conseguenza del maggior numero di frequenze della tecnologia digitale rispetto a quella analogica, alle frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti.

 Per gli interventi normativi in proposito si rinvia all'approfondimento: "Digitale terrestre".

Il Sistema integrato delle comunicazioni

Secondo l’articolo 2 del D.Lgs. 177/2005, il Sistema integrato delle comunicazioni (SIC) comprende le attività concernenti: stampa quotidiana e periodica; editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet; radio e servizi di media audiovisivi; cinema; pubblicità esterna; iniziative di comunicazione di prodotti e servizi; sponsorizzazioni. L’articolo 43 del D.Lgs. 177/2005 ha introdotto specifiche limitazioni al fine evitare il determinarsi di posizioni dominanti nel SIC. Il co. 9 dell’art. 43 prevede che i soggetti tenuti all'iscrizione nel registro degli operatori di comunicazione - costituito ai sensi dell'art. 1, co. 6, lett. a), num. 5), della L. n. 249/1997 - non possono né direttamente, né attraverso soggetti controllati o collegati, conseguire ricavi superiori al 20 per cento dei ricavi complessivi del SIC. Il co. 10 indica in dettaglio quali sono i ricavi che devono essere presi in considerazione ai fini dell’applicazione del co. 9.

Il comma 12 reca il divieto di incroci proprietari impedendo ai soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma, i quali conseguono ricavi superiori all'8% del SIC, e alle imprese del settore delle comunicazioni elettroniche che detengono una quota superiore al 40% dei ricavi di detto settore, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di quotidiani, esclusi i quotidiani diffusi unicamente in modalità elettronica. Tale divieto, inizialmente previsto sino al 31 dicembre 2010, è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2013 dall’articolo 1, comma 427, della legge n. 228/2012.

La questione della proroga del divieto di incroci proprietari era stata oggetto di una segnalazione dell'AGCOM al Governo del 24 novembre 2010, nella quale si auspicava il mantenimento del divieto, a tutela del pluralismo dei mezzi di comunicazione e di informazione, anche sulla base delle indicazioni date dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 826/1988, nonché della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha riconosciuto, al fine di garantire la protezione del pluralismo informativo di cui all’art. 11, comma secondo della Carta Europea dei diritti fondamentali, il diritto degli Stati membri a mantenere una legislazione speciale in materia, più restrittiva del diritto della concorrenza.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Approfondimento: Il digitale terrestre

La fase di transizione dal sistema di trasmissione analogico al digitale terrestre si è conclusa nel luglio 2012. Il passaggio al sistema digitale ha comportato la disponibilità di un maggior numero di frequenze, denominato "dividendo digitale", che dovrà essere assegnato agli operatori del settore.



Il passaggio al digitale terrestre

Il definitivo passaggio dal sistema televisivo analogico al digitale terrestre (switch off), iniziato in Sardegna nel luglio del 2008, si è concluso il 4 luglio 2012 con lo spegnimento delle trasmissioni analogiche in Sicilia, ultima regione prevista dal calendario della transizione.

Il passaggio dall’utilizzo delle frequenze in tecnica analogica alle frequenze in tecnica digitale ha determinato un c.d. “dividendo digitale esterno” ed un c.d. “dividendo digitale interno”.



Il dividendo digitale esterno

Con la prima espressione (“dividendo digitale esterno”) si fa riferimento alle frequenze in tecnica analogica liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale: a tale proposito è intervenuto l’art. 1, co. 8-13, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011) che ha disposto che le frequenze nella banda da 790 MHz a 862 MHz (corrispondenti ai nove canali nazionali in tecnica analogica) siano destinate al servizio mobile terrestre (vale a dire alla telefonia mobile). La gara, conclusasi il 29 settembre 2011, ha fatto registrare un introito complessivo per l'erario di 3.945.295.100 euro.

In materia di “dividendo digitale esterno”, si deve registrare da ultimo che l’articolo 14 del decreto-legge n. 179/2012 ha rinviato ad appositi decreti ministeriali le modalità di intervento da porre a carico degli operatori delle telecomunicazioni assegnatari delle frequenze del dividendo al fine di minimizzare le interferenze, che appaiono suscettibili di verificarsi, tra i servizi a banda ultralarga mobile nella banda degli 800 MHz e gli impianti per la ricezione televisiva domestica



Il dividendo digitale interno

Con l’espressione “dividendo digitale interno” si fa invece riferimento a frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti.

I criteri per l’assegnazione delle nuove frequenze televisive sono stati in un primo momento dettati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera n. 181/09 del 7 aprile 2009. L’allegato A della citata delibera, recante “Criteri per la completa digitalizzazione delle reti televisive terrestri”, prevede la disponibilità di un dividendo digitale “interno”, non inferiore a cinque reti nazionali, la cui assegnazione sarebbe dovuta avvenire attraverso procedure selettive basate sui criteri obiettivi, proporzionati, trasparenti e non discriminatori. La delibera prevedeva in particolare l’utilizzo del meccanismo del c.d. “beauty contest”. Tale sistema – assimilabile a quello della licitazione privata – consiste in una selezione fra i soggetti interessati, al fine di individuare quello più idoneo all’aggiudicazione del bene, a titolo gratuito, sulla base di una serie di requisiti (affidabilità, esperienza maturata, risorse finanziarie, caratteristiche del progetto, etc.).



La previsione della gara pubblica

Successivamente, l’art. 3-quinquies del decreto-legge n. 16/2012 ha eliminato la possibilità di ricorrere alla procedura del beauty contest, annullando il bando già pubblicato e il relativo disciplinare di gara e concedendo un indennizzo ai partecipati alla procedura annullata. L’articolo prevede che le frequenze siano assegnate mediante gara pubblica onerosa, le cui procedure dovranno essere definite dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:  

a)  le frequenze dovranno essere suddivise in differenti lotti e dovrà essere assicurata la separazione verticale fra fornitori di programmi e operatori di rete, con obbligo per gli operatori di rete di consentire l'accesso ai fornitori di programmi, a condizioni eque e non discriminatorie;

b)  i lotti dovranno essere composti in base al grado di copertura e tenendo conto della possibilità di conseguire obiettivi di efficienza e innovazione tecnologica;

c)  la durata dei diritti d'uso di ciascun lotto dovrà essere fissata in modo da garantire la tempestiva destinazione delle frequenze agli usi stabiliti dalla Commissione europea.



Le iniziative dell'AGCOM

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, il 20 settembre 2012, ha approvato una prima bozza dello schema di provvedimento concernente le procedure di gara. Lo schema è stato trasmesso alla Commissione europea, la quale, con lettera in data 31 ottobre 2012, ha formulato alcune osservazioni, sulla base delle quali l'Autorità ha predisposto un nuovo schema di provvedimento in data 14 novembre 2012, da sottoporre a cosultazione pubblica.

Approfondimento: La tutela del diritto di autore sulle reti di comunicazione elettronica



Contesto dello schema

Lo schema di regolamento di cui alla delibera n. 398/11/Cons, in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica, approvato il 6 luglio 2011 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), mira a definire un sistema di norme relative al diritto d'autore che sia appropriato all'era digitale attuale.

In materia il quadro giuridico italiano è stato aggiornato con il recepimento della direttiva 2000/31/CE, da parte del D. Lgs. n. 70/2003, in relazione a taluni aspetti giuridici dei servizi di informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Con tale direttiva si è voluto, in particolare, affermare la possibilità per gli Stati membri di richiedere al prestatore di servizi (Internet service provider) di adempiere al dovere di diligenza previsto dal diritto nazionale finalizzato ad individuare e prevenire taluni tipi di attività illecite. Il principio sottostante a tale dovere, in ogni caso, è di non responsabilità del prestatore di servizi a condizione che egli non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività è illecita e che, non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere il contenuto o disabilitarne l’accesso.

I nuovi compiti assegnati all’Agcom dallo stesso D. Lgs. n. 70/2003 e dal successivo D. Lgs. n. 44/2010 (c.d. “decreto Romani”) - ampliando i poteri di vigilanza dell’Autorità in materia di diritto d’autore contenuti nella legge fondamentale in materia (art. 182-bis della legge n. 633/41, introdotto dalla legge n. 248/2000) – prevedono che l’Autorità possa esigere, al pari di quella giudiziaria, che il prestatore di servizi impedisca e ponga fine alle violazioni commesse, ovvero emanare disposizioni regolamentari necessarie per rendere effettiva la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale per i servizi di media audiovisivi.

Con la delibera n. 668/10/CONS del 17 dicembre 2010, recante “Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, è stata indetta una consultazione pubblica su una prima versione dello schema di regolamento; una nuova consultazione pubblica è stata quindi aperta sullo schema nella sua versione definitiva.

A seguito della consultazione pubblica, come si ricava anche dall'audizione del presidente dell'AGCOM del 21 marzo 2012 di fronte alle Commissioni riunite Istruzione e Lavori pubblici del Senato, l'AGCOM ha deciso di non procedere all'adozione del regolamento in attesa di una modifica legislativa che definisca meglio "la competenza e i poteri nella materia del diritto d'autore" 



Lo schema: la promozione dell'offerta legale di contenuti accessibili

Lo schema di regolamento si caratterizza per un approccio che, da un lato, punta a favorire l’offerta legale di contenuti accessibili ai cittadini e, dall’altro, prevede azioni di enforcement per la rapida eliminazione dalla rete dei contenuti inseriti in violazione del copyright, nel rispetto tuttavia della libertà di espressione e senza alcuna inibizione all’accesso ai siti Internet. Vi è da sottolineare che vengono escluse dall’ambito applicativo del regolamento – a differenza di quanto avviene ad esempio nell’ordinamento francese - le applicazioni con le quali gli utenti possono scambiare contenuti direttamente con altri utenti attraverso le reti di comunicazione elettronica (peer-to-peer).

Tra le altre iniziative previste nello schema vi è l’elaborazione di codici di condotta dei gestori dei siti e dei fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici, nonchè la creazione di un osservatorio per monitorare i miglioramenti della qualità e le riduzioni dei prezzi dell’offerta legale di contenuti.

Tali azioni saranno inoltre sviluppate con il concorso di tutte le categorie interessate e delle associazioni dei consumatori attraverso l’istituzione di un Tavolo tecnico che supporterà l’azione dell’Autorità nella tutela del diritto d’autore on line.



Lo schema: le azioni di enforcement

Nella seconda parte dello schema, tra le misure a tutela del diritto d’autore, sono previste quindi le procedure di enforcement a tutela di tale diritto, che si articolano in due fasi. In una prima fase, relativa al cosiddetto “notice and take down”, il gestore del sito, ricevuta la richiesta dal titolare del diritto, può rimuovere selettivamente il contenuto illegale (counter notice). Accanto a questo meccanismo è stato introdotta, innovando lo schema comune delle procedure previste nella maggior parte dei Paesi europei, la procedura di contro-notifica. Quest’ultima prevede che il soggetto che abbia caricato il contenuto illegale (uploader), ricevuto dal gestore del sito l’avviso di notifica della rimozione, possa fare opposizione alla rimozione di tale contenuto, garantendo in tal caso un controbilanciamento di domande di rimozione a carattere abusivo ovvero erroneo.

Qualora l’esito della procedura davanti al gestore non risulti soddisfacente per una delle parti, questa potrà rivolgersi entro 7 giorni all’Autorità, la quale, a seguito di un trasparente contraddittorio della durata di 10 giorni - che consente anche la possibilità di un adeguamento spontaneo senza alcuna conseguenza sul piano sanzionatorio - potrà impartire nei successivi 20 giorni (prorogabili di altri 15 in casi più complessi) un ordine di rimozione selettiva dei contenuti illegali o, rispettivamente, di loro ripristino a seconda di quale delle richieste rivolte all’Autorità risulti fondata. In caso di mancato rispetto dell’ordine impartito, l’Autorità potrà irrogare le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge 31 luglio 1997, n. 249.

La procedura dinanzi all’Autorità è alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria e si blocca se una delle parti decide di ricorrere al giudice. Pertanto, non solo la scelta dell’azione da intraprendere è rimessa alle parti, ma si scongiura il rischio di una sovrapposizione tra pronunce giudiziarie ed amministrative, riconoscendo la preminenza della sede giudiziaria.

Peraltro, le decisioni in materia di diritto d’autore potranno essere impugnate dinanzi al TAR del Lazio, come tutti i provvedimenti dell’Agcom. Le diverse fasi del procedimento delineato dall’Autorità dovrebbero dunque consentire, almeno nella maggior parte dei casi, di risolvere le questioni senza arrivare alla lite giudiziaria e, in tal senso, presentano numerose analogie con le procedure di risoluzione extragiudiziaria delle controversie tra utenti e tra utenti ed operatori, che sia la legge 249 del 1997 sia il Codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. n. 259 del 2003) affidano all’Autorità nei settori di propria competenza, sulla base delle direttive europee.

Nel caso di siti esteri si è previsto che, qualora in esito all’attività istruttoria svolta, l’Agcom chieda la rimozione dei contenuti destinati al pubblico italiano in violazione del diritto d’autore e il sito non ottemperi alla richiesta, il caso è suscettibile di essere segnalato alla magistratura per i provvedimenti di competenza.

Lo schema di regolamento tiene conto di parametri che attenuano la portata delle norme secondo un sistema di fair use prevedendo talune eccezioni alle azioni di vigilanza e controllo prescritte nel caso in cui ricorrano ragioni precise e compatibili con gli interessi dei titolari dei diritti (artt. 65 e 70 della legge 633/1941), vale a dire: nel caso di uso didattico e scientifico, del diritto di cronaca, commento, critica e discussione nei limiti dello scopo informativo e dell’attualità; in caso di assenza della finalità commerciale e dello scopo di lucro; in relazione alla occasionalità della diffusione, della quantità e qualità del contenuto diffuso rispetto all’opera integrale, che non pregiudichi il normale sfruttamento economico dell’opera.

Interventi per l'editoria

Nella XVI legislatura, dopo un primo intervento di riordino delle modalità di accesso ai contributi, operato con il DPR 223/2010, il D.L. 201/2011 ha disposto la cessazione dei contributi diretti dal 31 dicembre 2014, con riferimento alla gestione 2013, e ha affidato al Governo la revisione dello stesso DPR, con effetti a decorrere dal 1° gennaio 2012. Il D.L. 63/2012 ha, quindi, introdotto una disciplina transitoria. Per la definizione della disciplina a regime il Governo aveva presentato un disegno di legge di delega, il cui esame però non è stato concluso.

Interventi in materia di contributi

Il regolamento di riordino della disciplina

Il regolamento per la semplificazione e il riordino della disciplina dei contributi all’editoria, emanato -  in attuazione dell’art. 44 del D.L. 112/2008 - con DPR 223/2010, ha disposto la semplificazione della documentazione per accedere ai contributi e del procedimento di erogazione degli stessi, ha incluso fra i requisiti per l’accesso ai contributi una percentuale minima di copie vendute (su quelle distribuite) e ha previsto nuove modalità di calcolo per i contributi diretti, riferite all’effettiva distribuzione della testata (invece che al previo criterio della tiratura). Ha anche stabilito che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per l’editoria costituiscono limite massimo di spesa e che sono destinate prioritariamente ai contributi diretti. In caso di insufficienza delle risorse, i contributi sono erogati mediante riparto proporzionale tra gli aventi diritto, ai sensi di quanto già disposto dalla L. 191/2009. La vigenza del regolamento è decorsa dal bilancio di esercizio 2011 delle imprese beneficiarie.

L’ art. 29, comma 3, del D.L. 201/2011

Allo scopo di contribuire all'obiettivo del pareggio di bilancio entro la fine dell'anno 2013, l'art. 29, co. 3, del D.L. 201/2011 ha disposto la cessazione del sistema di erogazione dei contributi diretti all'editoria dal 31.12.2014, con riferimento alla gestione 2013, e la revisione dall'1.1.2012 del DPR 223/2010, al fine di una più rigorosa selezione nell'accesso alle risorse e di un risparmio di spesa. Ha anche disposto che il risparmio conseguito, compatibilmente con le esigenze del pareggio del bilancio, sarà destinato alla ristrutturazione delle aziende già destinatarie della contribuzione diretta, all'innovazione tecnologica del settore, a fronteggiare l'aumento del costo delle materie prime, all'informatizzazione della rete distributiva.

Il D.L. 63/2012

In tale contesto, le modifiche al DPR 223/2010 sono state apportate dal D.L. 63/2012 (A.C. 5322), con il quale è stata dettata una scheda disciplina transitoria, nelle more di una più compiuta ridefinizione delle forme di sostegno al settore editoriale. Le disposizioni decorrono a partire dai contributi relativi all’anno 2012 o, in alcuni casi, 2013.

Per conseguire la razionalizzazione della spesa, il D.L. - modificato durante l'esame parlamentare - opera su più fronti e, in particolare, su:

 

Il disegno di legge di delega

Quasi contestualmente all'emanazione del D.L. 63/2012, il Governo ha presentato un disegno di legge (A.C. 5270) che conferiva allo stesso Governo una delega per la definizione - a regime - di nuove forme di sostegno all'editoria e per lo sviluppo del mercato editoriale. In particolare, si prevedevano: il riordino della normativa vigente, al fine di contenere gli oneri e consentire una maggiore selezione dei beneficiari; incentivi per l'avvio di nuove imprese editoriali, per l'innovazione tecnologica e per la multimedialità; la promozione della lettura; la ridefinizione del quadro delle competenze, anche in materia di diritto d'autore e comunicazione istituzionale.

Durante l'esame parlamentare - avviato dalla VII Commissione della Camera il 12 luglio 2012 - è stato adottato, il 7 dicembre 2012, un nuovo testo che prevedeva l’istituzione di un Fondo per il pluralismo dell'informazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da utilizzare per i contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, per sostenere l’innovazione tecnologica delle imprese editrici, per incentivare l’avvio di nuove imprese editrici e per sostenere i trattamenti di pensione di vecchiaia anticipata per i giornalisti dipendenti da aziende in ristrutturazione.

L'esame del provvedimento non è stato concluso entro la fine della legislatura.

 

 

Agevolazioni postali

La disciplina delle agevolazioni postali per la spedizione di prodotti editoriali è contenuta nel D.L. 353/2003, che ha posto il principio del rimborso a posteriori, da parte dello Stato, alla società Poste italiane S.p.A. della differenza tra costo unitario della spedizione e tariffa agevolata praticata alle imprese editoriali, nella misura prevista da appositi decreti ministeriali. Il rimborso viene effettuato nei limiti dei fondi appositamente stanziati. L’art. 56, co. 4, della L. 99/2009 ha stabilito che il rimborso andasse calcolato in relazione al prezzo stabilito nella convenzione in essere, in analoga materia, più favorevole al prenditore, ma l'incertezza su quale fosse questa convenzione ha cagionato la sospensione della liquidazione dei rimborsi dovuti a Poste Italiane SpA. ed un lungo contenzioso, risolto dall’art. 4, co. 3, del D.L. n. 63/2012. Tale norma ha identificato la “convenzione più favorevole”, per i rimborsi relativi al periodo tra il 1º gennaio 2010 e il 31 marzo 2010, con le tariffe stabilite, per l’anno 2012, dal D.M. 21 ottobre 2010 per gli invii non omologati destinati alle aree extraurbane . E' stata confermata invece l’applicazione delle tariffe piene ai fini della liquidazione dei rimborsi in favore della società Poste Italiane SpA, per il periodo compreso tra il 14 agosto (data di entrata in vigore della legge n. 99/2009) ed il 31 dicembre 2009.

L’applicazione delle tariffe postali agevolate è stata sospesa a partire dal 1 aprile 2010, in applicazione dell’art. 10-sexies, co. 2, del D.L. 194/2009. In attuazione di un accordo fra editori e Poste italiane S.p.A., l’art. 2, co. 1-bis del D.L. n. 125/2010, che ha sospeso le agevolazioni postali fino al 31dicembre 2013, ha poi previsto l’emanazione di un decreto ministeriale per la determinazione, senza oneri per lo Stato, le tariffe massime applicabili alle spedizioni di prodotti editoriali. Alla norma è stata data attuazione con il D.M. 21 ottobre 2010.

Specifiche agevolazioni tariffarie sono state concesse per le spedizioni effettuate dalle associazioni ed organizzazioni senza fine di lucro nell’anno 2010 con l'art. 2, co. 2-undecies, del D.L. 40/2010 e il relativo decreto attuativo (D.M. 23 dicembre 2010). Per gli anni 2012-2013, l’art. 21, co. 3, del D.L. n. 216/2011, ha autorizzato i gestori dei servizi postali ad applicare apposite tariffe alle spedizioni di prodotti editoriali effettuate da queste associazioni e organizzazioni nonchè dalle associazioni d'arma e combattentistiche, previa iscrizione al ROC, ma senza oneri per lo Stato. L’art. 5-bis del D.L. 63/2012 ha poi previsto l’applicazione delle tariffe agevolate di cui al DM 13 novembre 2002 per le spedizioni postali di stampe promozionali e propagandistiche da parte di soggetti operanti nel terzo settore, anche in questo caso senza oneri per lo Stato, prevedendo quindi la non applicazione del rimborso a Poste italiane Spa.

Il Contratto di programma tra il Ministero  dello sviluppo economico e Poste Italiane  per il triennio 2009-2011  e' stato approvato con legge 12 novembre 2011, n. 183, fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria. L'efficacia del contratto è stata quindi perfezionata con la decisione della Commissione europea del 20 novembre 2012 C(2012)8230final , che ha approvato i trasferimenti statali verso Poste Italiane a parziale copertura degli oneri connessi con lo svolgimento degli obblighi di servizio postale universale.

L'AGCOM con delibera del 20 dicembre 2012 Delibera n. 640/12/CONS ha approvato la manovra tariffaria di Poste Italiane applicabile dal 1° gennaio 2013 e consistente in una rimodulazione delle tariffe per gli invii di corrispondenza rientranti nel servizio universale (invii di posta non massiva per l'interno e per l'estero, invii raccomandati per l'interno e invii attinenti alle procedure giudiziarie). La manovra ha la finalità di perseguire la progressiva copertura dei costi di erogazione del servizio e conseguire in tal modo una riduzione dell'onere derivante dagli obblighi di servizio universale.

Per approfondimenti si rinvia al focus: Le Agevolazioni postali nella editoria.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il sistema di contribuzione diretta all'editoria: in particolare, la disciplina transitoria introdotta dal D.L. 63/2012



Premessa

La prima disciplina organica degli interventi a sostegno dell’editoria è stata dettata con la L. 416/1981, successivamente modificata ed integrata da numerosi interventi – tra i quali, principalmente, la L. 67/1987, la L. 250/1990, e la L. 62/2001 – che hanno dato luogo a un sistema normativo frammentario.

A causa di ciò, negli anni più recenti – pur in presenza di nuove norme dirette a singole situazioni – sono stati compiuti tentativi di razionalizzazione.

In particolare, in attuazione dell’art. 44 del D.L. 112/2008, è stato emanato il DPR 223/2010 – la cui vigenza è decorsa dal bilancio di esercizio 2011 delle imprese beneficiarie – che ha disposto la semplificazione della documentazione per accedere ai contributi e del procedimento di erogazione degli stessi, ha incluso fra i requisiti per l’accesso ai contributi una percentuale minima di copie vendute (su quelle distribuite) e ha previsto nuove modalità di calcolo per i contributi diretti, riferite all’effettiva distribuzione della testata (invece che al previo criterio della tiratura). Con riferimento all’occupazione professionale, essa rileva nel regolamento sia come requisito per l’accesso ai contributi, sia come parametro ai fini del calcolo degli stessi.

Inoltre, il DPR ha stabilito che le somme stanziate nel bilancio dello Stato per l’editoria costituiscono limite massimo di spesa e che sono destinate prioritariamente ai contributi diretti. In caso di insufficienza delle risorse, i contributi sono erogati mediante riparto proporzionale tra gli aventi diritto (ai sensi di quanto già disposto dalla L. 191/2009).

L’art. 2, co. 62, della L. 191/2009 (L. finanziaria 2010), infatti, ha limitato l’erogazione delle provvidenze in favore dell’editoria all’effettivo stanziamento iscritto nel bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri (capp. 465-Contributi alle imprese radiofoniche ed alle imprese televisive e 466-Contributi alle imprese editrici di quotidiani e periodici), procedendo, ove necessario, al riparto in quote proporzionali all’ammontare del contributo spettante a ciascuna impresa. Successivamente, diverse disposizioni hanno escluso – relativamente ai contributi 2009 e 2010 – determinate categorie di beneficiari dall’applicazione del "tetto" introdotto dalla L. 191/2009, nell’ambito del quale erano comunque fatte salve le risorse da destinare alle convenzioni e agli oneri inderogabili.

Nel bilancio dello Stato le spese per interventi di sostegno ai settori dell’informazione e dell’editoria sono collocate per la gran parte nello stato di previsione del MEF, all’interno della missione Comunicazioni, programma Sostegno all’editoria. Ulteriori stanziamenti per interventi nel settore dell’informazione insistono nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico. In particolare, nell’ambito della missione Comunicazioni, programma Servizi di comunicazione elettronica e radiodiffusione, sono previsti stanziamenti per contributi alle emittenti radiofoniche e televisive in ambito locale.



I contributi diretti

L’intervento dello Stato nel settore dell’editoria si esplica in misure di sostegno economico di tipo diretto o indiretto.

In particolare, gli aiuti economici diretti consistono nell’erogazione, alle imprese editrici che presentino i requisiti richiesti, di un contributo calcolato in ragione dei parametri di volta in volta indicati (vendite, distribuzione, tiratura, costi o altro), mentre gli aiuti economici indiretti sono costituti da riduzioni tariffarie, agevolazioni fiscali e credito agevolato.



Le previsioni dell'art. 29, comma 3, del D.L. 201/2011

Allo scopo di contribuire all'obiettivo del pareggio di bilancio entro la fine del 2013, l’art. 29, co. 3, del D.L. 201/2011 ha disposto la cessazione del sistema di contribuzione diretta all’editoria di cui alla L. 250/1990 dal 31 dicembre 2014, con riferimento alla gestione 2013.

Ha altresì previsto, al fine di conseguire risparmi di spesa mediante la riduzione della contribuzione pubblica e allo scopo di stabilire una più rigorosa selezione per l'accesso alle risorse, che il Governo provvedesse alla revisione del regolamento di cui al DPR 223/2010. Ha, altresì, previsto che, compatibilmente con le esigenze di pareggio di bilancio, i risparmi sono destinati alla ristrutturazione delle aziende già destinatarie della contribuzione diretta, all'innovazione tecnologica del settore, a contenere l'aumento del costo delle materie prime, all'informatizzazione della rete distributiva.



La disciplina transitoria introdotta dal D.L. 63/2012

Nel contesto appena descritto, le modifiche al DPR 223/2010 sono state, in realtà, introdotte con il D.L. 63/2012 e costituiscono una disciplina transitoria, nelle more di una più compiuta ridefinizione delle forme di sostegno al settore editoriale.

Le disposizioni decorrono a partire dai contributi relativi all’anno 2012 o, in alcuni casi, 2013 (nel prosieguo, ove non diversamente indicato, si intende quale anno di decorrenza il 2012).

Per conseguire la razionalizzazione della spesa, il D.L. opera su più fronti e, in particolare, su:



Nuovi requisiti di accesso ai contributi



Certificazione dei dati relativi a tiratura, distribuzione e vendita

Per tutte le imprese editrici, i dati relativi a tiratura, distribuzione e vendita devono essere attestati da dichiarazioni sostitutive di atto notorio rese dal legale rappresentante dell’impresa e devono essere comprovati da certificazione analitica resa da una società di revisione iscritta nell’apposito albo tenuto dalla CONSOB (art. 1, co. 4, lett. c), D.L.).

Per le imprese di quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3, co. 2-ter, terzo e quarto periodo, L. 250/1990), l’obbligo della relazione di certificazione dei bilanci (art. 6, co. 3, DPR 525/1997) è esteso anche ai dati relativi alle copie distribuite e vendute, con specificazione delle diverse tipologie di vendita (art. 1, co. 5, D.L.).



Divieto di distribuzione degli utili

L’obbligo di avere adottato il divieto di distribuzione degli utili (di cui all’art. 3, co. 2, lett. d), L. 250/1990) si estende a tutte le imprese che percepiscono contributi diretti (art. 1, co. 6, D.L.).



Percentuali minime di vendita 

Con riguardo a determinate categorie di beneficiari, il D.L. dispone che – fermi restando tutti gli altri requisiti di legge – i contributi possono essere richiesti a condizione che la testata, nazionale o locale, sia venduta, rispettivamente, nelle misure di almeno il 25% e il 35% delle copie distribuite.

Sono testate nazionali quelle che, oltre ad essere distribuite in almeno 3 regioni, in ciascuna regione raggiungono una percentuale di distribuzione non inferiore al 5% della propria distribuzione totale. Disposizioni specifiche riguardano poi il calcolo delle copie distribuite (art. 1, co. 2 e 3, D.L.).

Tali requisiti si applicano a: quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (art. 3, co. 2 e 2-quater, L. 250/1990); quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 2-bis, L. 250/1990); quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (art. 3, co. 2-ter, primo periodo, L. 250/1990); quotidiani e periodici organi di movimenti politici  editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001 (art. 153, co. 4, L. 388/2000).



Numero minimo di dipendenti

Per avere accesso ai contributi, le medesime imprese tenute al rispetto delle disposizioni circa le percentuali minime di vendita, nonché le imprese editrici di quotidiani e periodici organi di forze politiche (art. 153, co. 2, L. 388/2000 e art. 20, co. 3-ter, D.L. 223/2006) devono avere impiegato, nell'intero anno di riferimento del contributo, un numero minimo di dipendenti, con prevalenza di giornalisti, regolarmente assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato (non necessariamente a tempo pieno), pari a 5 o 3, rispettivamente nel caso di imprese editrici di quotidiani o periodici (art. 1, co. 4, lett. b, D.L.)).



Eliminazione dei limiti alle entrate pubblicitarie

Per ottenere i contributi non è più previsto alcun limite alle entrate pubblicitarie (art. 6, co. 1, lett. c, D.L.)).

Le norme abrogate dal D.L. (art. 3, co. 2, lett. c), e co. 3, lett. a), L. 250/1990) prevedevano che per l’accesso ai contributi era necessario non avere acquisito, nell'anno di riferimento dei contributi, entrate pubblicitarie superiori al 30% (40% nel caso di imprese editrici di periodici senza scopo di lucro) dei costi complessivi dell'impresa risultanti dal bilancio dell'anno medesimo.

Tale requisito era richiesto per: quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (art. 3, co. 2 e 2-quater, L. 250/1990); quotidiani e periodici editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 2-bis e 3, L. 250/1990); quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (art. 3, co. 2-ter, primo periodo, L. 250/1990); quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3, co. 2-ter, terzo e quarto periodo, L. 250/1990); quotidiani e periodici organi di movimenti politici editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001 (art. 153, co. 4, L. 388/2000).



Cooperative giornalistiche: nuovi requisiti per l’accesso ai contributi e facilitazioni

Per accedere ai contributi, le cooperative editrici devono essere composte esclusivamente da giornalisti, poligrafici e grafici editoriali, con prevalenza di giornalisti. La maggioranza dei soci – mantenendo il medesimo criterio di prevalenza di giornalisti – deve risultare dipendente della cooperativa con contratto di lavoro a tempo indeterminato (non necessariamente a tempo pieno).

Le cooperative devono altresì essere in possesso del requisito della mutualità prevalente (di cui agli artt. 2512 e ss. c.c.) (art. 1, co. 4, lett. a, D.L.)).

Inoltre, a decorrere dai contributi relativi al 2012, le cooperative che siano subentrate al contratto di cessione in uso o abbiano acquistato una testata di cui sia cessata o sospesa la pubblicazione, la quale abbia avuto accesso ai contributi entro il 31 dicembre 2011, sono esentate dal possedere i requisiti relativi ai tempi minimi di costituzione e di edizione della testata (art. 3, co. 2, lett. a) e b), L. 250/1990) e, nel caso siano subentrate al contratto di cessione in uso, dal requisito di essere proprietarie della testata (art. 1, co. 7-bis, D.L.).

Infine, si estende anche alle cooperative che operano nel settore dell’informazione – tra le quali, dunque, le cooperative giornalistiche – la possibilità di essere sovvenzionate o finanziate dalle fondazioni bancarie (art. 1, co. 7-ter, D.L.).



Nuovi requisiti per la stampa periodica pubblicata all’estero o edita in Italia e diffusa prevalentemente all’estero

Per accedere ai contributi, i periodici italiani pubblicati all’estero e le pubblicazioni con periodicità almeno trimestrale edite in Italia e diffuse prevalentemente all’estero (art. 26, L. 416/1981) devono essere in possesso del requisito minimo di 3 anni di anzianità di pubblicazione o di diffusione.

Tale requisito può essere soddisfatto anche attraverso abbonamenti a titolo oneroso a pubblicazioni on line (art. 1-bis, D.L.).



Nuovi criteri di calcolo e liquidazione dei contributi

I nuovi criteri di calcolo introdotti dal D.L. 63/2012 decorrono dai contributi relativi al 2012.

Con riguardo alla liquidazione del contributo, si stabilisce, in particolare, che il termine per la conclusione del procedimento relativo all’erogazione dei contributi diretti alla stampa scade il 31 marzo dell’anno successivo a quello di presentazione delle relative domande.

A tale data il provvedimento deve essere adottato comunque, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, ferma restando la ripetizione delle somme indebitamente percepite.



Importi massimi e nuovo calcolo dei contributi

Il contributo per le imprese destinatarie dell’art. 2, co. 2, del D.L. è calcolato come somma di:

Ad esempio, nella categoria delle spese per il personale sono ammesse (e fino a determinati importi) solo quelle relative a giornalisti e poligrafici dipendenti.

Sono inoltre fissati differenti limiti massimi ai valori complessivi delle due quote.

Si stabilisce infine che l’importo complessivo corrisposto a ciascuna impresa non può comunque superare quello erogato con riferimento al 2010.

Destinatari delle disposizioni introdotte sono: quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (art. 3, co. 2 e 2-quater, L. 250/1990); quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 2-bis, L. 250/1990); quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (art. 3, co. 2-ter, primo periodo, L. 250/1990); quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3, co. 2-ter, terzo e quarto periodo, L. 250/1990); quotidiani e periodici organi di movimenti politici editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001 (art. 153, co. 4, L. 388/2000); quotidiani e periodici organi di forze politiche (art. 153, co. 2, L. 388/2000; art. 20, co. 3-ter, DL 223/2006).



Quota destinabile ai periodici senza scopo di lucro

I nuovi criteri di calcolo di cui all’art. 2, co. 2, del D.L. non si applicano ai contributi in favore dei periodici editi da cooperative, fondazioni o enti morali, ovvero da società con maggioranza del capitale detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali che non abbiano scopo di lucro (art. 3, co. 3, L. 250/1990), per i quali si stabilisce, invece, che le risorse complessivamente destinabili sono pari al 5% dell’importo stanziato per i contributi diretti alla stampa sul pertinente capitolo del bilancio autonomo del Dipartimento per l’informazione e l’editoria.

In caso di insufficienza delle risorse, il contributo è liquidato mediante riparto proporzionale fra gli aventi diritto (art. 2, co. 4, D.L.).



Riduzione del contributo alle imprese radiofoniche organi di partiti politici

Il contributo annuo alle imprese radiofoniche organi di partiti politici presenti in almeno un ramo del Parlamento (art. 4, L. 250/1990) è ridotto dal 70% al 40% della media dei costi risultanti dai bilanci degli ultimi due esercizi, inclusi gli ammortamenti (art. 2, co. 6, D.L.). Resta fermo il limite massimo già fissato in 4 miliardi di lire (circa € 2,1 milioni).

E’ ridotto invece (dall’80%) al 50% dei costi anche il limite della somma di tutti i contributi percepibili.

Ai sensi dell’art. 4, co. 2, L. 250/1990, ove le entrate pubblicitarie siano inferiori al 25% dei costi di esercizio annuali, è concesso un ulteriore contributo integrativo pari al 50% del contributo annuo. Tale contributo integrativo è stato poi raddoppiato dall’art. 2, co. 1, L. 278/1991.



Calcolo dei contributi per le agenzie di informazione radiofonica

Il contributo annuo concesso alle agenzie di informazione radiofonica costituite in forma di cooperative di giornalisti (art. 53, co. 15, L. 449/1997) è (ancora) pari al 30% dei costi, ma questi vengono ora circoscritti alle spese per il personale e per la diffusione. Il limite massimo del contributo è ridotto (da 1 milione) a 800 mila euro (art. 2, co. 5, D.L.).



Contributi per la stampa periodica pubblicata all’estero o edita in Italia e diffusa prevalentemente all’estero

L’importo complessivo del contributo in favore dei periodici italiani pubblicati all’estero e delle pubblicazioni con periodicità almeno trimestrale edite in Italia e diffuse prevalentemente all’estero (art. 26, L. 416/1991) è fissato, nell’ambito delle risorse stanziate sul pertinente capitolo del bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio, in 2 milioni di euro annui (misura sostanzialmente invariata). Una quota è riservata alle testate che esprimono specifiche appartenenze politiche, culturali e religiose.

La definizione di criteri e modalità di concessione dei contributi è demandata ad un DPR, da adottare, sentite le competenti Commissioni parlamentari, tenendo conto del numero di uscite annue, delle pagine pubblicate e delle copie vendute, anche in formato digitale (art. 1-bis, D.L.).



Sostegno all'editoria digitale

L’art. 3 del D.L. reca disposizioni volte a favorire il passaggio all’editoria digitale. In particolare, si stabilisce che le imprese editrici già destinatarie dei contributi per l’anno 2011 possono continuare a percepire i contributi qualora la testata sia pubblicata, anche non unicamente, in formato digitale.

La testata in formato digitale deve essere accessibile online e produrre (con almeno dieci articoli al giorno) almeno 240 uscite per i quotidiani, 45 per i settimanali e i plurisettimanali, 18 per i quindicinali e 9 per i mensili. Ulteriori caratteristiche tecniche sono richieste a decorrere dai contributi relativi al 2013.

La misura del contributo cui hanno diritto le imprese per la pubblicazione della testata in formato digitale – fermo restando il rispetto dei tetti massimi previsti dall’art. 2 del D.L. – è articolata in una quota pari (per i primi due anni) al 70% dei costi sostenuti (tra le tipologie ammissibili, da definire con DPCM) e una quota di 0,10 euro corrisposta per ciascuna copia digitale venduta in abbonamento (tale importo non può essere comunque superiore all’effettivo prezzo di vendita di ciascuna copia digitale).

In caso di pubblicazione non esclusivamente in formato digitale, si ribadisce il massimale fissato per la quota di contributo rapportata ai costi, cui concorrono in tal caso i costi di produzione dell’edizione cartacea e quelli relativi alla edizione in formato digitale.

Possibili destinatari delle disposizioni introdotte sono: quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti (art. 3, co. 2 e 2-quater, L. 250/1990); quotidiani editi da imprese editrici la cui maggioranza del capitale è detenuta da cooperative, fondazioni o enti morali non aventi scopo di lucro (art. 3, co. 2-bis, L. 250/1990); quotidiani editi in lingua francese, ladina, slovena e tedesca nelle regioni autonome Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (art. 3, co. 2-ter, primo periodo, L. 250/1990); quotidiani italiani editi e diffusi all’estero (art. 3, co. 2-ter, terzo e quarto periodo, L. 250/1990); quotidiani e periodici organi di movimenti politici editi da società trasformatesi in cooperativa entro il 1° dicembre 2001 (art. 153, co. 4, L. 388/2000); quotidiani e periodici organi di forze politiche (art. 153, co. 2, L. 388/2000; art. 20, co. 3-ter, DL 223/2006).



Semplificazioni per i periodici web di piccole dimensioni

Le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on line, che non abbiano fatto domanda di accesso ai contributi e conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100 mila euro, sono esentate dall’applicazione di alcune previsioni legislative (obbligo di registrazione presso il tribunale e di iscrizione al ROC; obblighi in materia di titolarità delle imprese editrici) (art. 3-bis, D.L.).



Modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita

Per favorire la modernizzazione del settore e assicurare un’adeguata certificazione delle copie distribuite e vendute, l’art. 4 del D.L. dispone l’obbligatorietà, a decorrere dal 1° gennaio 2013, della tracciabilità delle vendite e delle rese di quotidiani e periodici, attraverso l’utilizzo di opportuni strumenti informatici e telematici basati sulla lettura del codice a barre.

Al fine di sostenere l’adeguamento tecnologico degli operatori, è previsto un credito di imposta per il 2012, fino ad un limite massimo di 10 milioni di euro.

Infine, i rivenditori di quotidiani e periodici possono svolgere attività connesse all'erogazione di servizi delle P.A., mediante l’utilizzo di una rete telematica.

Approfondimento: Le agevolazioni postali nell'editoria

Il D.L. n. 353/2003 ha stabilito una disciplina delle agevolazioni postali per le spedizioni di prodotti editoriali, prevedendo un sistema di rimborso a posteriori da parte dello Stato alla società Poste italiane S.p.A. in base al quale la società deve praticare alle imprese editoriali una tariffa agevolata, nella misura prevista da appositi decreti ministeriali (si tratta di tre decreti del Ministro delle comunicazioni, di concerto con il Ministro dell’economia, emanati il 13 novembre 2002 e confermati dal successivo decreto del Ministro delle comunicazioni del 1° febbraio 2005), e ottiene dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il rimborso della differenza tra il costo unitario della spedizione e la tariffa agevolata applicata. Il rimborso è effettuato nei limiti dei fondi appositamente stanziati.

L’art. 56, co. 4, della L. 99/2009 ha successivamente previsto che - a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge stessa (14 agosto 2009) – il rimborso a favore di Poste Italiane SpA delle riduzioni tariffarie applicate per la spedizione di prodotti editoriali fosse calcolato in relazione al prezzo stabilito nella convenzione in essere, in analoga materia, più favorevole al prenditore. L'incertezza su quale fosse questa convenzione ha cagionato la sospensione della liquidazione dei rimborsi dovuti a Poste Italiane SpA. L’art. 4, comma 3 del D.L. n. 63/2012 ha risoltoil contenzioso applicativo instauratosi, individuando precisamente il criterio per determinare il rimborso spettante a Poste Italiane SpA nel periodo intercorrente tra il 1º gennaio 2010 e il 31 marzo 2010 (data di cessazione dell’applicazione delle agevolazioni tariffarie), identificando la “convenzione più favorevole” con le tariffe stabilite, per l’anno 2012, dal D.M. 21 ottobre 2010 (Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 21 ottobre 2010, pubblicato nella G.U. 23 novembre 2010, n. 274), per gli invii non omologati destinati alle aree extraurbane. E' rimasta invece ferma l’applicazione delle tariffe piene ai fini della liquidazione dei rimborsi in favore della società Poste Italiane SpA, per il periodo compreso tra il 14 agosto (data di entrata in vigore della legge n. 99/2009) ed il 31 dicembre 2009.

L’applicazione delle tariffe agevolate è stata sospesa, per l’anno 2010, a decorrere dal 1° aprile 2010, dal D.M. 30 marzo 2010, emanato in applicazione dell’articolo 10-sexies, co. 2, del D.L. n. 194/2009. Quest’ultimo articolo ha destinato al rimborso delle agevolazioni tariffarie postali del settore dell'editoria un importo di 50 milioni di euro per il 2010. Essendo stato già maturato nel primo trimestre del 2010 un importo di circa 50 milioni di euro, il D.M. 30 marzo 2010 ha stabilito che le vigenti tariffe agevolate si applicano fino al 31 marzo 2010, sospendendole per il rimanente periodo del 2010. Successivamente il regime delle tariffe agevolate è stato sospeso per il periodo tra il 1° settembre 2010 e il 31 dicembre 2012 dal comma 1-bis dell’art. 2 del D.L. 125/2010 ed il successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico 21 ottobre 2010 ha individuato le tariffe massime applicabili per tale periodo alle spedizioni di prodotti editoriali, ad esclusione dei libri spediti tramite pacchi.

Un particolare regime agevolativo è stato stabilito con l’art. 5-bis del D.L. n. 63/2012, per le spedizioni postali di stampe promozionali da parte di soggetti operanti nel terzo settore richiamati dall’articolo 1, co. 3, del D.L. 353/2003. Si tratta di: ONLUS, associazioni di volontariato, associazioni non governative di cooperazione allo sviluppo, associazioni di promozione sociale, fondazioni con scopi religiosi, enti ecclesiastici, associazioni di tutela ambientale e di ricerca oncologica in possesso di determinati requisiti, associazioni dei profughi sloveni, istriani e dalmati, nonché delle associazioni d’arma e combattentistiche. In questo caso è stata prevista la non applicazione del rimborso a Poste italiane Spa della differenza tra la tariffa agevolata e la tariffa ordinaria, in deroga alla disciplina delle agevolazioni tariffarie nei prodotti editoriali posta dal D.L. 353/2003. L’agevolazione riguarda le spedizioni in abbonamento postale di stampe promozionali e propagandistiche, anche finalizzate alla raccolta di fondi, e consiste nella applicazione delle tariffe agevolate previste dal decreto del Ministero delle comunicazioni del 13 novembre 2002. La necessità di prevedere apposite tariffe agevolate anche per la spedizione di materiale promozionale era stata anche sollecitata nel corso dell’audizione informale presso la 1ª Commissione permanente del Senato dall’Associazione italiana sclerosi multipla (seduta del 7 giugno 2012).

Il prezzo dei libri

La legge 27 luglio 2011, n. 128 ha fissato una nuova normativa per la determinazione del prezzo di vendita dei libri, che si applica dal 1° settembre 2011.

La L. 128/2011 è intervenuta sulla disciplina del prezzo di vendita dei libri,  precedentemente recata dall’art. 11 della legge 62/2001, come modificato dall’art. 2 del D.L. 99/2001.

Secondo quanto indicato nell’art. 1 del provvedimento, l’obiettivo della disciplina del prezzo dei libri è quello di contribuire allo sviluppo del settore librario, al sostegno della creatività letteraria, alla promozione del libro e della lettura, alla diffusione della cultura e alla tutela del pluralismo dell’informazione.

In base alla nuova disciplina, che si applica dal 1° settembre 2011, il prezzo al consumatore finale dei libri è liberamente fissato dall’editore o dall’importatore: lo sconto al consumatore finale, compresi i libri venduti per corrispondenza anche nell’ambito di attività di commercio elettronico, non deve essere superiore al 15% del prezzo fissato.

Lo sconto può arrivare fino al 20% per i libri venduti in occasione di manifestazioni fieristiche e per quelli destinati a particolari categorie di consumatori (ONLUS, scuole, centri di formazione, università, istituzioni o centri scientifici e di ricerca, biblioteche, archivi e musei pubblici).

Alcune categorie di libri sono comunque escluse dall’applicazione di tali previsioni (in particolare, libri per bibliofili, libri d’arte, libri antichi, libri usati, libri posti fuori catalogo).

Alcune novità riguardano la disciplina delle campagne promozionali: ad eccezione del mese di dicembre, gli editori possono realizzare campagne promozionali distinte fra loro, non reiterabili nel corso dell’anno solare e di durata non superiore a un mese, con sconti fino al 25% del prezzo fissato. E’ fatta salva la facoltà dei venditori al dettaglio di non aderire alle campagne promozionali, pur dovendo essere in ogni caso informati e messi in grado di partecipare alle medesime condizioni.

La vendita di libri effettuata in difformità da quanto disposto comporta l’applicazione di sanzioni.

La legge prevede anche che, decorsi 12 mesi, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria trasmette alle Camere una relazione governativa sugli effetti delle nuove disposizioni sul settore del libro. Al momento, la relazione non è pervenuta.

Il 25 settembre 2012, peraltro, ad un anno dall'approvazione della legge, alla Camera si è svolto un convegno organizzato dalla VII Commissione, trasmesso in diretta sulla webtv di Montecitorio.

Il 2 ottobre 2012, infine, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha inviato al Parlamento una segnalazione contenente Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2013. In tale documento, l'Autorità ha evidenziato che la previsione di tetti massimi agli sconti sul prezzo dei libri può limitare la libertà di concorrenza dei rivenditori finali, senza produrre sostanziali benefici per i consumatori in termini di servizi offerti o di ampliamento del numero di libri immessi sul mercato. Ha, dunque, segnalato che "Nonostante la norma sul tetto agli sconti ricada in una delle ipotesi di cui, ai sensi dell’articolo 3, comma 9, lett. h) del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, è stata già prevista l’abrogazione in termini generali, l’Autorità ritiene, in ogni caso, necessario disporne l’abrogazione espressa al fine di garantire maggiore certezza giuridica agli operatori".

Dossier pubblicati

Giornalisti

Il 4 dicembre 2012 la VII Commissione della Camera ha approvato in via definitiva un progetto di legge volto a promuovere l'equo compenso per i c.d. free lance (L. 233/2012). Inoltre, con il decreto legislativo di recepimento della Direttiva Servizi nel mercato interno è stata adeguata la disciplina della professione alla normativa comunitaria. In precedenza erano state adottate disposizioni volte a favorire, in determinate condizioni, il prepensionamento dei giornalisti. Non si è, invece, concluso l'esame di un progetto di legge di modifica dell'ordinamento della professione di giornalista.

All’Ordine dei giornalisti, istituito con la legge n. 69 del 1963, appartengono:

Le funzioni relative alla tenuta dell’albo e quelle relative alla disciplina degli iscritti sono esercitate, per ciascuna regione, da un Consiglio dell’Ordine. Il Consiglio nazionale dell'Ordine ha sede presso il Ministero della giustizia.

Equo compenso per i c.d. free lance

La L. 233/2012 ha introdotto norme volte a promuovere l'equo compenso per i giornalisti iscritti all'albo titolari di un rapporto di lavoro non subordinato (c.d. free lance). In particolare, ha previsto l'istituzione di una Commissione che definisca il compenso equo e rediga un elenco dei soggetti che garantiscono il rispetto dello stesso. Dal 1° gennaio 2013, la mancata iscrizione nell'elenco per un periodo superiore a 6 mesi comporta la decandenza dall'accesso ai contributi in favore dell'editoria, fino alla successiva iscrizione.

L'attuazione della Direttiva 2006/123/CE, relativa ai Servizi nel mercato interno

L'art. 54 del decreto legislativo n. 59 del 2010 (GU 23 aprile 2010), (schema di decreto legislativo n. 171), di attuazione della Direttiva 2006/123/CE (vedi L'attuazione della direttiva servizi), relativa ai Servizi nel mercato interno, ha apportato modifiche alla L. n. 69 del 1963.

In particolare, il provvedimento ha previsto che:

Prepensionamento dei giornalisti

Anche al fine di sostenere il settore dell'editoria, è stata estesa ai giornalisti dipendenti delle imprese editrici di giornali periodici la facoltà di optare per il pensionamento anticipato, già prevista per i giornalisti professionisti iscritti all'INPGI, dipendenti di aziende in ristrutturazione o riorganizzazione per crisi aziendale, dipendenti delle imprese editrici di giornali quotidiani e di agenzie di stampa a diffusione nazionale (art. 41-bis del D.L. 207/2008, commi da 5 a 7).

Per il sostegno dell’onere derivante dal richiamato prepensionamento, sono stati stanziati complessivamente 20 milioni di euro.

Le modalità di accesso al prepensionamento sono state definite - in attuazione dell'art. 7-ter, comma 17, del D.L. 5/2009, convertito dalla L. 33/2009 - dal DM 24 luglio 2009 (GU 24 agosto 2009).

Il provvedimento di modifica dell'ordinamento della professione di giornalista

Il 2 agosto 2011 la VII Commissione della Camera aveva approvato in sede legislativa un nuovo testo della proposta di legge A.C. 2393, che modificava taluni aspetti della L. n. 69 del 1963, relativi, in particolare, alle modalità di accesso alla professione di giornalista e al Consiglio nazionale dell'Ordine. Al Senato il provvedimento è stato assegnato alla I Commissione (A.S. 2885), che non ne ha avviato l'esame.

Iscrizioni e prove

Il testo prevedeva che, ai fini dell'iscrizione nel registro dei praticanti, i soggetti che hanno almeno la laurea non devono sostenere l'esame di cultura generale. Introduceva, invece, lo stesso esame per l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti, disponendo che esso è diretto ad accertare l'attitudine all'esercizio dell'attività pubblicistica, nonchè la conoscenza dei principi di deontologia professionale. Inoltre, disponeva che i soggetti che intendono iscriversi nell’elenco dei professionisti possono presentare, in ciascun anno solare, solo due domande di ammissione alla prova di idoneità professionale.

Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti

Con riferimento al Consiglio nazionale dell’Ordine, il testo affidava il compito di disciplinarne la composizione e definirne le modalità di elezione ad un regolamento emanato dal Ministro della giustizia, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, stabilendo che i componenti fossero al massimo 90, con un rapporto di 2 a 1 fra professionisti e pubblicisti.

Una disposizione di natura procedurale modificava la modalità di convocazione del Consiglio.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Francia: la nuova legge sulla protezione delle fonti giornalistiche



Loi n. 2010-1 du 4 janvier 2010 relative à la protection du secret des sources des journalistes (J.O. del 5 gennaio 2010)

Il 4 gennaio 2010 è stata promulgata la Legge n. 2010-1 sulla protezione delle fonti dei giornalisti, che modifica la legge-base sulla libertà di stampa del 29 luglio 1881. A garanzia del rispetto della libertà di informazione la nuova legge consacra il diritto del giornalista a tutelare il segreto delle sue fonti come principio generale dell’ordinamento. In conformità alla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, non sarà ammesso attentare, in modo diretto o indiretto, al segreto giornalistico se non “quando un imperativo preponderante d’interesse pubblico lo giustifichi”.

Le autorità giudiziarie, nel corso di un procedimento penale, potranno cercare di identificare l’origine di una informazione giornalistica solo in via eccezionale in ragione della particolare natura e gravità del reato e a condizione che le misure investigative “siano strettamente necessarie e proporzionate al legittimo scopo perseguito”.

In nessun caso il giornalista è obbligato a rivelare le sue fonti.

Nell’ambito del medesimo quadro di tutela i giornalisti beneficeranno, inoltre, di nuove garanzie per quanto riguarda le perquisizioni delle quali possono essere oggetto. Tali garanzie, equiparabili a quelle degli avvocati, non saranno più limitate alle perquisizioni nei locali delle testate giornalistiche, ma estese anche al domicilio e al veicolo professionale del giornalista.

Le perquisizioni potranno avvenire solo in presenza di un magistrato e il giornalista potrà contestare e opporsi al sequestro di documenti che permettano di identificare i suoi informatori e ottenendo che sulla contestazione si pronunci il Juge des libertés et de la détention.

La legge estende, infine, a tutte le fasi del procedimento penale il diritto del giornalista, se chiamato a testimoniare sulle informazioni raccolte nell’esercizio della sua professione, di non rivelare le proprie fonti.