Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Titolo: | L'attività delle Commissioni nella XVI Legislatura - VI Commissione Finanze | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 6 | ||
Data: | 21/03/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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Nel quadro di riferimento della normativa dell’UE volta a migliorare le politiche di regolazione e vigilanza, sono state introdotte norme dirette al rafforzamento patrimoniale degli istituti finanziari, alla revisione delle politiche remunerative e di governance, fino alle disposizioni per il processo di unificazione della vigilanza bancaria nell’area euro.
Con successivi decreti-legge sono state innanzitutto adottate misure tendenti a favorire un rafforzamento patrimoniale delle banche e a prevedere la possibilità di garanzia dello Stato sui depositi bancari; sono state emanate norme relative, fra l’altro, alla possibilità di rifinanziamento delle banche con meccanismi di scambio di titoli, all’amministrazione straordinaria e alla gestione provvisoria delle banche. E’ stata, in particolare, prevista una modalità di finanziamento dell'economia mediante un adeguato livello di patrimonializzazione del sistema bancario attraverso la sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie speciali (D.L. n. 185 del 2008).
Più di recente, il D.L. 95 del 2012 ha autorizzato la sottoscrizione, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di nuovi strumenti finanziari emessi dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (MPS) e computabili nel patrimonio di vigilanza, fino all’importo di euro 3,9 miliardi di euro. L’intervento è finalizzato a rispettare l’impegno preso dall’Italia in occasione del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, a seguito dell’impossibilità di MPS di ricorrere, per una parte dell’importo richiesto dall’Autorità di vigilanza europea, a soluzioni private volte al rafforzamento del patrimonio, a causa delle attuali condizioni di mercato altamente volatili.
Nel luglio 2011 la Commissione europea ha presentato proposte legislative volte a dare attuazione nell’Ue all’accordo di Basilea 3 , definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, che fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche. In particolare, l’accordo impone alle banche di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività.
Le proposte originarie della Commissione prospettavano l’introduzione graduale in misura del 20% all’anno dal 2014 per raggiungere il 100% nel 2018. Si rammenta in proposito che nel corso del mese di gennaio 2013 l’organo direttivo del Comitato di Basilea ha modificato la decorrenza dei requisiti di capitale richiesti agli istituti di credito (in particolare, il cd. “requisito minimo dell’indicatore di breve termine”, Liquidity Coverage Ratio - LCR), la cui piena operatività è stata posticipata dal 2015 al 2019.
Una parziale anticipazione dell’assetto prospettato dalle proposte della Commissione europea è stata peraltro determinata dalla raccomandazione adottata dall'Autorità bancaria europea (EBA) il 9 dicembre 2011, che imponeva - in via eccezionale e temporanea ed entro la fine di giugno 2012 – alle banche europee di creare una riserva supplementare di fondi propri, in particolare al fine di compensare la svalutazione dei titoli di debito sovrano di alcuni Stati membri dell’UE da esse detenuti.
La Commissione Finanze, nel documento finale adottato in esito all’esame delle proposte della Commissione europea sopra richiamate, approvato il 29 febbraio 2012, ha espresso il timore che i forti incrementi richiesti nella capitalizzazione delle banche possano tradursi in una riduzione delle risorse disponibili per il sistema produttivo italiano, costituito soprattutto da piccole e medie imprese, la cui principale fonte di finanziamento è costituita dal canale bancario. La Commissione ha quindi auspicato l’approvazione di alcuni emendamenti per ridurre i potenziali “effetti collaterali” sull'erogazione del credito, tra i quali, in particolare, l’applicazione dell'aumento dei requisiti patrimoniali - laddove i crediti siano concessi alle PMI, con una eventuale estensione anche alle ONLUS e alle cooperative sociali - mediante l'introduzione di uno specifico “fattore correttivo” dei parametri richiesti da Basilea 3.
Nell’ambito del processo di rafforzamento dell'integrazione economica e fiscale dell'eurozona, dopo la creazione, nel corso del 2010, del sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF ), nel settembre 2012 la Commissione europea ha presentato proposte legislative volte alla creazione di un sistema di vigilanza bancaria unificata . Dopo un complesso negoziato è stato raggiunto un accordo in seno al Consiglio ECOFIN del 13 dicembre 2012 in base al quale dal 1° marzo 2014 la BCE assumerà i poteri di vigilanza diretta sulle banche che hanno attivi per almeno 30 miliardi di euro o un patrimonio almeno pari al 20% del Pil del Paese (circa 200 su oltre 6.000 banche presenti nell'eurozona). Le banche sotto quella soglia resteranno sotto la vigilanza delle autorità nazionali, ferma restando la responsabilità ultima (e relativo il potere di avocazione) della BCE.
La creazione del sistema di vigilanza unificato costituisce, tra l’altro, la precondizione affinché il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) possa ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito in difficoltà, evitando in tal modo che il supporto finanziario al sistema bancario vada a gravare sui bilanci pubblici dei Paesi membri.
La Commissione Finanze della Camera ha approvato, in esito all’esame delle proposte sopra indicate, un documento finale (dicembre 2012) con cui ha sollecitato la rapida realizzazione di un'unione bancaria, che viene considerata il primo e più urgente passo per spezzare il legame tra debito sovrano e debito bancario e porre rimedio alla frammentazione del mercato europeo dei servizi finanziari.
Sul medesimo argomento la Commissione Finanze e tesoro del Senato ha svolto un ciclo di audizioni, conclusesi il 12 dicembre 2012 con l'approvazione di una risoluzione Doc. XVIII, n. 179 .
Con la legge comunitaria 2010 sono state introdotte disposizioni volte complessivamente ad attuare la direttiva 2010/76/CE sul portafoglio di negoziazione e sulla revisione delle politiche remunerative da parte delle autorità di vigilanza, nonché ad ampliare i poteri della Banca d'Italia; in particolare, all’Autorità è stato conferito il potere di emanare norme generali aventi a oggetto il governo societario, l'organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni, i sistemi di remunerazione e incentivazione.
La Banca d'Italia può anche adottare provvedimenti interdittivi specifici nei confronti di singoli istituti e impartire alle società a capo dei gruppi bancari istruzioni anche in tema di governance societaria, controlli interni e sistemi di remunerazione dei pagamenti e di utilizzo della fatturazione elettronica.
Al fine di favorire la trasparenza e la liberalizzazione del mercato bancario-finanziario, il D.L. n. 78 del 2010 ha ripristinato il divieto per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni bancarie di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate (divieto di interlocking). Al riguardo il decreto legge n. 1 del 2012 (c.d. liberalizzazioni) ha esteso l’incompatibilità all’esercizio di cariche nelle società concorrenti della banca conferitaria o di società del suo gruppo. Una norma di analogo tenore è stata prevista dal decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) per i titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e per i funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari. Gli statuti delle fondazioni, inoltre, devono prevedere, tra l’altro, modalità di designazione e di nomina dell'organo di indirizzo ispirate a criteri oggettivi e trasparenti, improntati alla valorizzazione dei principi di onorabilità e professionalità.
L'esigenza di rivedere la disciplina del credito al consumo nasce a seguito delle indicazioni fornite in sede europea, ma anche dall'esame in sede parlamentare delle più rilevanti problematiche legate all'istituto, in relazione al protrarsi della crisi economica e finanziaria.
Il recepimento della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori ha rappresentato l’occasione per un processo di rivisitazione complessiva del Testo Unico Bancario e del Codice del Consumo: sono state quindi ricondotte all’interno del TUB disposizioni in materia di trasparenza dei contratti bancari e di spese addebitabili al cliente, e si è provveduto ad una revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, con particolare riguardo alla disciplina delle incompatibilità, dei requisiti d’accesso (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) e dell’organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
Anche a seguito delle risultanze dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo svolta dalla Commissione Finanze, sono stati rafforzati i poteri, anche sanzionatori, attribuiti alle autorità di vigilanza, soprattutto per quanto riguarda la trasparenza nei rapporti tra operatori del credito e consumatori ed il contrasto alle pratiche commerciali scorrette, stimolando le autorità stesse ad orientare maggiormente la loro attività verso i profili di tutela dei consumatori. E’ stato istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità.
Tra gli interventi realizzati, si ricorda la legge 3/2012 con la quale è stata disciplinata una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità del singolo debitore, al quale non si possono applicare le ordinarie procedure concorsuali. Su tale disciplina è poi intervenuto il D.L. 179/2012 che ha modificato alcuni aspetti della procedura e ne ha esteso l'applicazione al sovraindebitamento del consumatore.
Le politiche adottate in questo settore, in sintonia con le decisioni assunte in ambito europeo, sono state finalizzate a contrastare la crisi finanziaria attraverso la garanzia di un sufficiente livello di liquidità alle istituzioni creditizie e dei depositi. Sono state quindi adottate una serie di misure agevolative sui contratti di mutuo immobiliare: tra queste, si ricorda il “Piano famiglie” firmato il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo fino a marzo 2013) che ha previsto la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni. Diversi interventi hanno consentito di rinegoziare i mutui a tasso variabile; sono state migliorate le condizioni di estinzione anticipata e portabilità dei mutui e semplificate le procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia nonché per garantire il diritto di recesso dai contratti bancari; si è inoltre introdotta una più dettagliata disciplina della remunerazione spettante a banche e intermediari in rapporto agli affidamenti e agli sconfinamenti, con particolare riferimento alle commissioni bancarie per le linee di credito. Oltre all’istituzione dell'Osservatorio sull'erogazione del credito, è stato previsto un conto corrente di base che le banche sono tenute ad offrire senza costi di gestione. E’ stato infine rifinanziato il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa.
Sul versante delle imprese, è stata introdotta la possibilità di finanziamenti da parte della Cassa depositi e prestiti alle piccole e medie imprese tramite banche e intermediari finanziari ed è stata stipulata una convenzione tra il MEF e l'ABI avente ad oggetto una moratoria dei crediti delle piccole e medie imprese, più volte prorogata. E’ stata incrementata la dotazione del Fondo di garanzia per le PMI e sono stati modificati i parametri per la concessione della garanzia e della controgaranzia a valere sul Fondo, aumentando la percentuale di copertura e azzerando la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Sono state previste misure a favore delle società non quotate che emettono cambiali finanziarie e obbligazioni e agevolazioni fiscali e finanziarie in favore delle cd. start-up innovative, con particolare riguardo alla raccolta di capitale di rischio attraverso portali online (c.d. crowdfunding), introducendo una modalità innovativa di raccolta di capitale, volta ad agevolare l'investimento in tali società.
Il problema dei ritardi di pagamento da parte dello Stato e degli enti locali nelle transazioni commerciali è stato affrontato nel corso della legislatura con una serie di interventi normativi finalizzati a dare attuazione alle direttive comunitarie sulla materia. Pur in presenza di tali interventi, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione costituisce, nell'attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese, per le quali la disponibilità di credito è uno dei driver necessari per allontanare il credit crunch ed acquisire competitività. La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della P.A. è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti del settore sanitario.
La problematica del ritardo dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali relative a contratti di fornitura di beni e servizi è stata affrontata in vario modo dal legislatore nel corso della XVI legislatura, attraverso una serie di interventi legislativi finalizzati a dare concreta attuazione alla Direttiva 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 e alla successiva Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, sostitutiva della prima.
Il nuovo provvedimento comunitario, il cui termine di recepimento nel diritto interno degli Stati membri era fissato al 16 marzo 2013, è stato recepito in anticipo nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192. Il provvedimento dispone, per i contratti conclusi a decorrere dal 1° gennaio 2013:
Nonostante le misure adottate nel corso della legislatura, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione si mantiene elevato. L'Eurostat, in una apposita Nota pubblicata ad ottobre 2012, ha indicato l'ammontare complessivo dei debiti commerciali nell’ordine di oltre 67 miliardi di euro nel 2011.
Tale elevato ammontare continua a costituire, nell’attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese che sono più esposte alla variazione dei flussi di cassa e ai maggiori costi da sostenere per il recupero dei crediti.
La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della pubblica amministrazione è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti commerciali del settore sanitario.
Con riferimento specifico ai crediti vantati dalle imprese nei confronti delle amministrazioni regionali e locali per somministrazioni, forniture e appalti, il legislatore è intervenuto, all’inizio della legislatura, con l’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, il quale ha introdotto una disciplina specifica che prevede la certificazione, da parte degli enti territoriali debitori, dei crediti in questione nei confronti dei soggetti interessati anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi crediti nei confronti di banche o intermediari finanziari.
La procedura prevede che, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali certificano, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentirne la cessione a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Il termine per la certificazione è stato originariamente fissato in 60 giorni dalla data di ricezione dell'istanza.
La legge di stabilità per il 2012 (articolo 13, legge n. 183/2011) ha modificato la normativa in questione introducendo la previsione secondo la quale, scaduto il termine di sessanta giorni, su nuova istanza del creditore, provvede alla certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, la quale, ove necessario nomina un commissario ad acta con oneri a carico dell’ente territoriale.
Successivamente, il termine per la certificazione dei crediti da parte degli enti territoriali è stato ridotto da sessanta a trenta giorni dall’articolo 13-bis del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 il quale ha inoltre reso obbligatoria – e non più eventuale - la nomina di un Commissario ad acta, su nuova istanza del creditore, qualora, allo scadere del termine previsto, l’amministrazione non abbia provveduto alla certificazione.
Il meccanismo della certificazione dei crediti per somministrazioni, forniture e appalti è stato esteso anche agli enti del Servizio sanitario nazionale dal D.L. n. 52/2012, e alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, dall’articolo 12 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16. Tale ultimo decreto ha in particolare stabilito che la certificazione possa essere finalizzata a consentire al creditore la cessione del credito a favore di banche o intermediari finanziari, oltre che pro soluto - che esonera il cedente dal rispondere dell'eventuale solvibilità del debitore - anche pro solvendo, che implica invece per il cedente l’obbligo di rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore.
La certificazione dei crediti non può essere rilasciata, a pena di nullità, dagli enti locali commissariati né dagli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi.
Le regole per procedere alla certificazione dei crediti sono contenute in due decreti emanati dal Ministro dell’economia e delle finanze: il Decreto 22 maggio 2012, come modificato dal D.M. economia 24 settembre 2012, concernente la certificazione dei crediti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali, e il Decreto 25 giugno 2012 relativamente alla certificazione da parte delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, integrato dal successivo D.M. economia 19 ottobre 2012.
Nonostante che il quadro regolamentare risulti ormai completato, ed il procedimento di certificazione sia disponibile anche su piattaforma elettronica, realizzata dalla Ragioneria Generale dello Stato e gestita da Consip Spa, la certificazione medesima sembra procedere con lentezza, sulla base di primi dati osservabili all’inizio del 2013.
Secondo le indicazioni fornite dal ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, nel corso di un Convegno organizzato da Assolombarda l'11 febbraio 2013, risultavano al momento rilasciate soltanto 71 certificazioni, per un importo di 3 milioni di euro, con solo 1.227 amministrazioni pubbliche abilitate all'utilizzo della piattaforma (di cui oltre 900 comuni del Centro Nord, e con solo 70 sono enti del servizio sanitario) e 289 imprese.
Ai fini dell’accelerazione dello smaltimento dei debiti da parte degli enti territoriali, l’articolo 31 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 ha introdotto una ulteriore misura, che consente la compensazione dei crediti, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili e certificati secondo la procedura sopra esposta, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo.
L’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 ha esteso l’istituto della compensazione con le somme dovute iscritte a ruolo anche ai crediti vantati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
La possibilità di utilizzare eventuali crediti per compensare, da parte del medesimo soggetto, i propri debiti con l’amministrazione, è disciplinata dal Decreto 25 giugno 2012, come integrato dal D.M. economia 19 ottobre 2012, emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze, nei termini seguenti:
Per ciò che specificamente concerne l’intervento di Cassa depositi finalizzato a fronteggiare la problematica dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, in data 6 marzo 2012, CDP e ABI hanno stipulato una Convenzione che fissa termini e modalità con le quali Cassa mette a disposizione delle banche la cifra massima di 10 miliardi di euro, dei quali 8 miliardi sono destinati al finanziamento di spese di investimento e di esigenze di incremento del capitale circolante del comparto imprenditoriale (Plafond Investimenti) e 2 miliardi di euro destinati alle banche per le operazioni di acquisto ovvero per le altre operazioni consentite sui crediti certificati vantati dalle PMI nei confronti della pubblica amministrazione per somministrazioni, forniture e appalti, (Plafond Crediti vs. PA).
L’accordo del 6 marzo 2012 tra Cassa depositi e prestiti e di ABI si inserisce nel più generale quadro delle recenti iniziative di sostegno all’economia e, in particolare, al tessuto imprenditoriale nazionale, che vedono una stretta collaborazione tra Governo, banche e imprese, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 16 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che disciplina interventi del settore creditizio a favore del pagamento delle imprese creditrici degli enti territoriali.
Tale collaborazione si è concretizzata in un Accordo per il credito alle PMI, firmato il 28 febbraio 2012 dal Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti, dal Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, dai rappresentanti dell’ABI e delle Associazioni d’impresa il nuovo Accordo per il credito alle PMI. In tale accordo, le parti si sono impegnate ad agevolare un rapido smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese verso la pubblica amministrazione rendendone operativi i meccanismi di certificazione, in modo da qualificare i medesimi certi ed esigibili, ovvero attraverso altre forme di anticipazione dei crediti da parte del settore bancario.
Un successivo Accordo sottoscritto il 22 maggio 2012 tra l’ABI e le Associazioni delle imprese ha definito le modalità operative per lo smobilizzo, presso il settore bancario, dei crediti certificati vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
In tale Accordo, ABI si impegna a mettere a disposizione delle imprese uno specifico plafond per lo smobilizzo dei crediti PA (cd. Plafond “Crediti P.A.”) di ammontare minimo pari a 10 miliardi di euro. Tale ammontare è la risultante di plafond individuali, attivati dalle singole banche aderenti all’iniziativa, utilizzando la provvista acquisita dalla Cassa depositi e prestiti, la provvista acquisita dalla BCE, ovvero acquisita attraverso altri canali di finanziamento particolarmente competitivi che consentano di praticare all’impresa condizioni di accesso al credito vantaggiose. Le modalità per l’utilizzo del plafond sono:
L’anticipazione non potrà essere inferiore al 70 per cento dell’ammontare del credito che l’impresa vanta nei confronti della pubblica amministrazione, e la durata verrà rapportata alla data di pagamento prevista nel credito. Le banche aderenti all’operazione dovranno deliberare l’operazione entro 30 giorni dalla presentazione delle richieste, da presentarsi entro la data del 31 dicembre 2012.
L’articolo 9 del D.L. n. 185/2008 ha previsto l'intervento delle imprese di assicurazione e della SACE s.p.a. - i cui ambiti operativi sono stati pertanto estesi - nella prestazione di garanzie finalizzate ad agevolare la riscossione dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche, con priorità per le ipotesi nelle quali sia contestualmente offerta una riduzione dell'ammontare del credito originario.
Si tratta, specificamente, della concessione di garanzie a banche o intermediari finanziari finalizzate a coprire il rischio del mancato rimborso dei finanziamenti dalle stesse accordati ad imprese fornitrici di beni e servizi che vantano crediti verso la P.A., utilizzati a garanzia dei medesimi finanziamenti.
Secondo l’Accordo SACE – ABI del 30 giugno 2009, la garanzia prestata da SACE copre il 50% dell’importo (in linea di capitale ed interessi) finanziato alle imprese.
Con la finalità di agevolare, da parte dei soggetti interessati, l’utilizzo dei crediti che gli stessi vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche - ma anche, più in generale, per favorire le operazioni finanziarie destinate all’attività d’impresa - l’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 prevede che le certificazioni dei crediti possono essere utilizzate anche ai fini dell’ammissione al Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese.
Si ricorda che l’intervento del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese è stato previsto dall’articolo 39 del D.L. 201/2011 (cd. Salva Italia). Per ciò che specificamente concerne l’intervento del Fondo a sostegno delle imprese creditrici delle pubbliche amministrazioni, l’articolo 4 del D.M. sviluppo economico 26 giugno 2012, attuativo della misura in questione, stabilisce che:
Con riferimento specifico alla liquidazione dei debiti delle amministrazioni centrali, si ricorda che l’articolo 9 del D.L. n. 78/2009, oltre ad aver introdotto misure volte a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie – anche attraverso la previsione di una specifica responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa – ha previsto per i Ministeri l’obbligo di procedere alla liquidazione dei debiti in essere alla data di entrata del 1° luglio 2009 per somministrazioni, forniture ed appalti. Con la direttiva emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2009 le amministrazioni centrali sono state autorizzate ad emettere titoli di pagamento per crediti esigibili vantati dalle imprese private riferibili a somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti, per 7 miliardi di euro.
L’articolo 35 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ha poi introdotto nuove misure per l’estinzione dei debiti pregressi dei Ministeri esistenti alla data del 24 gennaio 2012, connessi a transazioni commerciali per acquisto di servizi e forniture, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, disponendo, da un lato, un incremento dei fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti per complessivi 2,7 miliardi di euro per il 2012 e, dall’altro, introducendo una modalità alternativa di estinzione dei crediti commerciali maturati alla data del 31 dicembre 2011 - in luogo del pagamento attraverso le risorse iscritte sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti - consistente nell'estinzione degli stessi mediante assegnazione di titoli di Stato, su richiesta dei soggetti creditori, nel limite massimo di 2 miliardi di euro.
Tale misura alternativa ha trovato attuazione con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 maggio 2012 il quale stabilisce che i titolari dei crediti commerciali di ammontare (al netto degli interessi) non inferiore a 1.000 euro, possono chiederne all’Amministrazione statale l’estinzione mediante assegnazione di titoli di Stato.
A tal fine l’Amministrazione debitrice, verificato che i crediti in questione risultano iscritti nel conto dei residui passivi al 31 dicembre 2011, ovvero costituiscono residui passivi perenti iscritti sul conto del patrimonio, trasmettono la documentazione agli uffici finanziari competenti; su tale base il Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento del tesoro procede all’assegnazione ai creditori di speciali Certificati di credito del Tesoro, con decorrenza 1° novembre 2012 e scadenza 1° novembre 2016, con taglio minimo di mille euro e tasso d’interessa fisso pagabile in rate semestrali posticipate.
In base a quanto sopra illustrato, la massa finanziaria messa a disposizione delle imprese per lo smobilizzo dei crediti verso la P.A. – non considerando i 2,7 miliardi iscritti sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti dei Ministeri per il 2012 - ammonterebbe complessivamente a 14 miliardi, di cui:
Rispetto alle risorse indicate, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche risulta di gran lunga superiore.
In occasione dell’audizione tenuta presso la V Commissione bilancio della Camera in sede di indagine conoscitiva sulla Relazione annuale sulla crescita 2012, il 13 marzo 2012, la Corte dei conti ha espresso alcune valutazioni in merito alle oggettive difficoltà di poter pervenire ad una stima di tali importi.
Secondo la Corte, infatti, se una ricostruzione dei debiti commerciali pregressi dello Stato può essere effettuata a partire dai bilanci pubblici, nell’ambito della categoria economica dei consumi intermedi della spesa corrente (stimati nell’ordine di circa 7 miliardi di euro nel 2010), valutazioni affidabili sulla stima dei debiti commerciali delle amministrazioni locali richiedono istruttorie molto più complesse, in quanto nella massa complessiva dei debiti degli enti locali, individuati nei residui passivi del bilancio, sono inglobate fattispecie molto diversificate, che richiedono prudenza nell’interpretazione. Oltre a ciò, la Corte mette in evidenza il problema delle passività nel settore sanitario, che costituiscono una parte rilevante dell’intera massa debitoria delle amministrazioni locali per l’acquisizione di servizi e forniture.
Da ultimo, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali dell'intero comparto delle pubbliche amministrazioni è stato contabilizzato da Eurostat, in una Nota, Note on stock of liabilities of trade credits and advances dell’ottobre 2012, con riferimento a tutti gli Stati membri dell’Unione europea: per l’Italia, lo stock di debiti commerciali è indicato, sebbene in via ancora provvisoria, in 62,5 miliardi di euro nel 2010, che salgono a 67,3 miliardi di euro nel 2011.
Il 20 luglio 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento ed una proposta di direttiva volti a sostituire le vigenti direttive allo scopo di recepire a livello UE l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche.
L’accordo, definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche ed introduce un nuovo schema internazionale per la liquidità. I membri del Comitato avevano inizialmente concordato di attuare l’accordo a partire dal 1° gennaio 2013, secondo una tabella di marcia graduale corredata di disposizioni transitorie. Il 6 gennaio 2013 il Gruppo dei Governatori delle banche centrali e delle Autorità di vigilanza - organo di governo del Comitato di Basilea – ha tuttavia stabilito che le nuove norme in materia di requisiti patrimoniali entreranno in vigore, come previsto, il 1 ° gennaio 2015, ma con applicazione progressiva, che si completerà il 1° gennaio 2019 (si partirà nel 2015 con il 60% del valore del requisito minimo, con un incremento annuo del 10%, fino ad arrivare al 100% nel 2019). Tale decisione è stata accolta con soddisfazione dal Commissario europeo per i servizi finanziari, Michel Barnier.
Le due proposte in esame (COM(2011)452 e COM(2011)453 volte a sostituire le vigenti direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE ) – oltre a dare attuazione all’accordo di Basilea 3, tenendo conto tuttavia di alcune peculiarità ed esigenze del sistema bancario dell’UE – intendono procedere ad un più generale riassetto, in un corpus normativo organico, della legislazione europea in materia.
In particolare, la proposta di regolamento prevede l’obbligo per le banche e le imprese di investimento di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività. A questo scopo, si tiene fermo l’attuale requisito per cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza totale dell'8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio ma, al tempo stesso, ne viene modificata la composizione stabilendo:
Come ulteriore tutela contro le perdite, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, si prevede l’introduzione di due riserve di capitale (c.d. buffer o cuscinetti):
La proposta mira altresì:
Le proposte seguono la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione). Il 28 febbraio 2013 Consiglio dell'UE, Parlamento europeo e Commissione hanno raggiunto, in sede di trilogo, un accordo su un testo comune, che dovrebbe essere approvato dal PE nella sessione del 15-18 aprile 2013, e successivamente, in via definitiva, in una delle prossime sessioni del Consiglio.
L’accordo prevede, tra le altre cose, quanto segue:
L’ Autorità bancaria europea (European banking authority, EBA) in data 8 dicembre 2011 ha adottato una raccomandazione che prevedeva, entro la fine di giugno 2012, la creazione, in via eccezionale e temporanea, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche per raggiungere un livello pari al 9% del capitale di classe 1 (Core Tier 1).
La costituzione di tale riserva supplementare era stata motivata dall’EBA richiamando l’esigenza di creare un cuscinetto di capitale, a fronte delle esposizioni delle banche interessate verso gli emittenti sovrani. La quantificazione delle necessità di ricapitalizzazione delle singole istituzioni finanziarie è stata operata in base ai prezzi di mercato rilevati a settembre 2011 (criterio market to market).
Secondo le indicazioni della Banca d’Italia, la raccomandazione imponeva a quattro gruppi bancari italiani (Unicredit, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Unione di Banche Italiane) una ricapitalizzazione di ammontare pari complessivamente a 15,366 miliardi (ai fronte dei circa 30 miliardi di euro chiesti alle banche greche, 26 miliardi di euro per quelle spagnole, 13 per le tedesche e 7 miliardi per le francesi).
Il 4 ottobre 2012 l’Autorità bancaria europea (ABE) ha pubblicato un rapporto in cui rileva che la ricapitalizzazione complessiva ha superato i 200 miliardi di euro, e che le 27 banche a cui era stato richiesto un aumento di capitale, hanno immesso 116 miliardi di euro, riportando il Core Tier al livello medio del 9,7%. Tra le banche italiane esaminate, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Banco popolare sono risultate in linea con l’obiettivo del 9%, mentre il Monte dei Paschi ha registrato un deficit patrimoniale (shortfall) al 30 giugno scorso di 1,72 miliardi di euro. In un comunicato stampa successivo alla pubblicazione del rapporto, Monte dei Paschi ha precisato che “la cessione di Biver Banca e l’operazione di riacquisto di titoli subordinati” ridurrebbero il dato a 1,44 miliardi.
La Commissione Finanze della Camera ha esaminato le proposte legislative relative all’attuazione dell’accordo di Basilea 3 approvando, il 29 febbraio 2012, un documento finale.
Il documento – che è stato trasmesso, oltre che al Governo al quale rivolge indirizzi, anche alle Istituzioni dell’UE nell’ambito del dialogo politico informale –esprime condivisione in linea generale per le proposte della Commissione, considerando al tempo stesso necessari:
La Commissione Finanze e tesoro del Senato ha approvato il 15 maggio 2012 una risoluzione Doc. XVIII n. 160 con la quale sono state condivise in linea generale le proposte presentate in ambito comunitario.
Secondo la Commissione l’azione dell’EBA, pienamente giustificata in quanto a controllo e monitoraggio degli effetti della situazione, ha tuttavia comportato conseguenze non positive sul settore creditizio italiano; i tempi e le modalità di calcolo del cuscinetto straordinario di capitale e la sua stessa elevatezza, hanno gravemente appesantito i corsi azionari delle banche italiane, esponendole a rischi di scalate. La Commissione ha rilevato peraltro che la proposta di regolamento non reca uno specifico riferimento alla definizione dei titoli pubblici, con qualunque durata e scadenza, ai fini del calcolo dei fondi propri o del capitale di vigilanza, ed ha sollecitato un approfondimento in tal senso. Rispetto alla raccomandazione dell’EBA, viene sollecitato il Governo nazionale affinché nelle sedi negoziali appropriate proponga di ampliare i termini temporali entro cui le banche dovranno procedere all’attuazione dei piani di ricapitalizzazione. La Commissione ha inoltre confidato nell’adozione da parte della Banca d’Italia di misure attuative in grado di considerare adeguatamente le esigenze e le specificità del sistema creditizio italiano. La Commissione ha infine richiamato le specificità degli intermediari finanziari, e segnatamente di quelli operanti del settore del leasing, osservando che poiché i nuovi parametri appaiono riferibili più correttamente solo agli intermediari che raccolgono depositi andrebbe esclusa l’applicazione dei requisiti di liquidità ai soggetti non bancari.
L'esigenza di rivedere la disciplina del credito al consumo nasce a seguito delle indicazioni fornite in sede europea (direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008), ma anche dall'esame in sede parlamentare delle più rilevanti problematiche legate all'istituto, in relazione alla disciplina degli operatori finanziari.
La direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 è stata emanata al fine di armonizzare il quadro normativo, regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori; le autorità europee hanno infatti osservato che lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all'interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi. La delega ad operare tali interventi di riordino è contenuta nell’articolo 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), come modificato dalla legge comunitaria 2009 (articolo 13 della legge n. 96 del 2010).
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha recepito nell’ordinamento italiano in primo luogo le norme in materia di contratti di credito ai consumatori (al Titolo I), recando le modifiche al Testo Unico Bancario – TUB ed al Codice del Consumo. Accanto a tale intervento, il provvedimento ha ricondotto all’interno del TUB altre disposizioni, contenute in leggi speciali, intervenute nel tempo in materia di trasparenza dei contratti bancari (Titolo II). Il Titolo III del D.Lgs. n. 141/2010 ha operato una revisione della disciplina degli operatori finanziari. Il Titolo IV è intervenuto in materia di agenti in attività finanziaria e di attività di mediazione creditizia. Accanto alle modifiche al TUB, sono state inoltre emanate disposizioni in materia di incompatibilità e di requisiti (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) richiesti ai predetti soggetti. E’ stato compiutamente disciplinato l’organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi; infine, è stata introdotta la fattispecie criminosa di esercizio abusivo dell’attività di mediazione creditizia e di agenzia in attività finanziaria.
In materia di credito al consumo, la Commissione VI (Finanze) ha approvato il 23 febbraio 2010 il documento conclusivo della relativa indagine conoscitiva. L’indagine ha esaminato le principali problematiche che presenta tale forma di finanziamento, anche in relazione all'impatto della normativa comunitaria sulla legislazione interna e ai dati statistici concernenti la diffusione del fenomeno, allo scopo di elaborare linee-guida di revisione.
La medesima Commissione il 27 maggio 2010 ha approvato la risoluzione 7-00340 (Pagano) con la quale ha impegnato il Governo a introdurre norme specifiche relative all'operatività dei sistemi di informazione creditizia, prevedendosi nel dettaglio che il consumatore debba essere informato esplicitamente delle conseguenze, rispetto all'accesso al credito, di eventuali segnalazioni negative a suo carico inserite nei predetti sistemi, e che tali segnalazioni negative, prima di essere inserite nei predetti sistemi, siano previamente comunicate al consumatore interessato, consentendo a quest'ultimo di avanzare, entro un determinato termine, eccezioni rispetto alle segnalazioni effettuate, al fine di evitarne l'inserimento nei sistemi di informazione creditizia.
Il D.Lgs. n. 218 del 2010 ha recato integrazioni e correzioni al predetto D.Lgs. 141 /2010, al fine di riallineare e a chiarire i tempi di entrata in vigore della disciplina da esso dettata, nonché per ricondurre alla fonte legislativa la relativa disciplina di attuazione. Il D.Lgs. n. 64 del 2011, in ottemperanza alle disposizioni della citata legge comunitaria 2008, ha istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità. Da ultimo, il decreto legislativo n. 169 del 2012 ha apportato ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 141 del 2010. Tra le novità più rilevanti si ricorda l'ampliamento dell'ambito operativo delle norme poste a tutela dei consumatori, in particolare di quelle relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali.
L’articolo 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 ha delegato il Governo a rimodulare la disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario, nonché a dettare nuove regole sull'attività di mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria. In ordine a questi ultimi soggetti, è stato previsto che l'attuazione della delega assicuri trasparenza dell’operato e professionalità tramite l’innalzamento dei requisiti professionali, con la creazione di un organismo rappresentativo di tali professionisti, avente il compito di gestire gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria e sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia.
In attuazione della delega, il Titolo IV del D. Lgs. n. 141 del 2010 ha ridisegnato l'assetto delle predette professioni. Accanto alle modifiche al Testo Unico Bancario, sono state emanate anche disposizioni in materia di incompatibilità e di requisiti (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) richiesti a mediatori ed agenti; è stato disciplinato l’organismo competente alla gestione degli elenchi.
Da ultimo, il decreto legislativo n. 169 del 2012 ha apportato ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 141 del 2010. Tra le novità più rilevanti si ricordano le norme volte ad accelerare l'avvio del nuovo assetto dei soggetti operanti nel settore finanziario, ivi compresi quelli che esercitano l'attività di microcredito; è recata una disciplina compiuta dei cambiavalute, nei confronti dei quali è modificata la disciplina sull'uso del contante e quella antiriciclaggio.
I confidi - consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi – sono i soggetti che, ai sensi della cosiddetta legge sui confidi (art. 13 del D.L. 269/2003), svolgono l'attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi e i servizi connessi o strumentali, a favore delle piccole e medie imprese associate, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge. La garanzia dei confidi è rappresentata da un fondo al quale contribuiscono tutti i soci del consorzio.
Nel corso della XVI legislatura si è manifestata una rinnovata considerazione per l’operato dei confidi, testimoniata anche dal sostegno finanziario dell’operatore pubblico a favore dei consorzi. L’utilizzo dei confidi per veicolare i fondi verso le micro-aziende beneficiarie rappresenta una peculiarità rilevante dell’intervento pubblico per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese in Italia.
I principali interventi legislativi sul tema hanno inteso riformare il sistema di vigilanza sui confidi (D.Lgs. n. 141 del 2010 e successivi interventi correttivi, in particolare il D.Lgs. n. 169 del 2012) e rafforzare la patrimonializzazione degli stessi (D.L. n. 201 del 2011 e D.L. n. 179 del 2012).
Il D.Lgs. n. 141/2010, attuativo della direttiva n. 48/2008 in tema di credito al consumo, ha riformato la disciplina relativa ai confidi, confermando la previsione di due distinte tipologie di confidi sottoposti a regimi di controllo differenziati, ma nel complesso più rigorosi e potenzialmente più efficaci rispetto al passato. Attraverso modifiche al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, TUB) si prevede l'istituzione di un nuovo elenco dei confidi, anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi, tenuto da un apposito Organismo. I confidi maggiori sono invece autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina.
I confidi iscritti ai sensi dell'art. 155, comma 4, del TUB nell'apposita sezione dell'elenco generale, possono svolgere esclusivamente l'attività di garanzia collettiva dei fidi, che consiste nella "prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie" volta a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario (art. 13, comma 1, del D.L. 269/2003). A tali operatori è pertanto precluso l'esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico nonché l'esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari ex art. 106.
I confidi devono avere una compagine sociale costituita da piccole e medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole, come definite dalla disciplina comunitaria.
In relazione ai descritti limiti operativi e alla finalità di sostegno delle PMI, tali confidi sono espressamente sottratti all'applicazione delle disposizioni del Titolo V del TUB relative agli intermediari finanziari e la loro operatività non è sottoposta al regime di vigilanza prudenziale della Banca d'Italia, che viene invece esercitato nei confronti dei confidi “maggiori”. Più specificatamente nei confronti dei confidi iscritti ex art. 155, comma 4, i poteri e gli interventi di controllo della Banca d'Italia sono finalizzati a verificare l'osservanza delle norme sulla trasparenza delle operazioni loro consentite.
Il D.Lgs. n. 141/2010 ha modificato la disciplina dei confidi (articolo 112 del TUB) e ha introdotto una nuova forma di vigilanza sui confidi “minori”. I confidi, anche di secondo grado, sono iscritti in un elenco tenuto da un Organismo (dotato di autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria competente per la gestione dell'elenco dei confidi) ed esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell'economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla legge. L'iscrizione nell’elenco è subordinata al ricorrere delle condizioni di legge (articolo 13 del D.L. 269/2003) nonché al possesso da parte degli amministratori di requisiti di onorabilità.
I confidi iscritti nell'albo esercitano in via prevalente l'attività di garanzia collettiva dei fidi e possono svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, attività connesse (prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; gestione di fondi pubblici di agevolazione; stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione). I confidi iscritti nell'albo possono, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell'articolo 106, comma 1, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d'Italia.
Il nuovo articolo 112-bis del TUB disciplina l’Organismo per la tenuta dell'elenco dei confidi. L'Organismo svolge ogni attività necessaria per la gestione dell'elenco e vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della disciplina cui sono sottoposti. Nell'esercizio di tali attività può avvalersi delle Federazioni di rappresentanza dei Confidi espressione delle Organizzazioni nazionali di impresa. Resta fermo il coinvolgimento della Banca d’Italia nel comparto, chiamata a sua volta a vigilare, secondo criteri di proporzionalità ed economicità, sull’Organismo al fine di verificare l’adeguatezza delle procedure adottate per lo svolgimento dell’attività.
Il D.Lgs. 169/2012 ha eliminato l’obbligo per tale soggetto di costituirsi in forma di associazione e ha affidato al MEF, sentita la Banca d’Italia, sia l’approvazione del relativo statuto, sia la nomina di un proprio rappresentante nell’organo di controllo. L’Organismo dei confidi si intende costituito, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, nel momento in cui l’Organismo, fornito di tutte le risorse – umane e materiali – necessarie, è in grado di avviare la gestione dell’elenco secondo le nuove norme.
In caso di violazioni legislative o amministrative da parte degli iscritti all’elenco tenuto dall’Organismo, il medesimo (e non più la Banca d’Italia, previa istruttoria dell’Organismo) può irrogare sanzioni, nella forma del divieto di intraprendere nuove operazioni o dell’obbligo di ridurre le attività.
Al Ministro dell’economia e delle finanze – su proposta della Banca d’Italia – è assegnato il potere di scioglimento degli organi di gestione e di controllo dell’Organismo, qualora risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività dello stesso.
I confidi che hanno un volume di attività finanziaria pari o superiore a 75 milioni di euro, erano tenuti, ai sensi dell'art. 15 del D.M. 17 febbraio 2009, n. 29, ad iscriversi nell'elenco speciale (previgente articolo 107 del TUB). Il D.Lgs. n. 141/2010 (riforma del Titolo V del TUB) ha sostituito il precedente sistema, caratterizzato da un doppio elenco (uno generale e uno speciale), con l’obbligo di iscrizione in un albo unico per gli intermediari finanziari autorizzati (nuovo articolo 106 del TUB), i quali esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Tali soggetti sono sottoposti all’attività di vigilanza della Banca d’Italia (art. 108). I confidi tenuti ad iscriversi nell'albo di cui all'articolo 106 sono esclusi dall'obbligo di iscrizione nell'elenco tenuto dall'Organismo previsto all'articolo 112-bis.
Il nuovo articolo 112, comma 3, prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, determini i criteri oggettivi, riferibili al volume di attività finanziaria in base ai quali sono individuati i confidi che sono tenuti a chiedere l'autorizzazione per l'iscrizione nell'albo previsto dall'articolo 106. La Banca d'Italia stabilisce, con proprio provvedimento, gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del volume di attività finanziaria. In deroga all'articolo 106, per l'iscrizione nell'albo i confidi possono adottare la forma di società consortile a responsabilità limitata.
Nel disegno del D.Lgs. 141/2010, i confidi maggiori sono autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina. Rispetto all’attuale assetto di vigilanza, che è confermato nel suo impianto, la supervisione sugli intermediari finanziari e, quindi, anche sui confidi maggiori, risulta in via generale rafforzata attraverso:
- la previsione di un formale provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività;
- l’introduzione ex novo di poteri di controllo sugli assetti proprietari, subordinando ad autorizzazione della Banca d’Italia l’acquisizione di partecipazioni rilevanti nel capitale;
- l’incremento dei poteri di intervento (ad es. restrizione della struttura territoriale, divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria);
- l’introduzione della disciplina di vigilanza consolidata, con la definizione della nozione di gruppo finanziario;
- l’applicazione di procedimenti di gestione delle crisi (gestione provvisoria, revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa).
Il ricorso al Fondo di garanzia per le PMI (di cui all'art. 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662) gestito dal Mediocredito Centrale è aumentato soprattutto in relazione al riconoscimento della garanzia dello Stato di ultima istanza, avvenuto con i provvedimenti anti-crisi del 2008, che consente di applicare la ponderazione zero alla quota parte di finanziamento coperta dalla garanzia del Fondo.
L'articolo 8, comma 5, lettera b), del D.L. n. 70 del 2011 ha demandato ad un decreto ministeriale la modifica dei criteri e delle modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo, anche introducendo differenziazioni in termini di percentuali di finanziamento garantito e di onere della garanzia e che a tali fini, il Fondo può anche sostenere con garanzia concessa a titolo oneroso il capitale di rischio investito da fondi comuni d'investimento mobiliari chiusi.
Con Dm del 26 giugno 2012 (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto 2012) il ministro dello Sviluppo economico e quello dell'Economia e delle finanze hanno aumentato la percentuale di copertura e azzerato la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Secondo quanto emerge nella Relazione annuale della Banca d'Italia per il 2011, il comparto dei confidi iscritti all'elenco speciale ha evidenziato un marcato deterioramento delle garanzie rilasciate. Le cause di questo indebolimento sono imputabili: alla crescita dei fallimenti delle imprese e la conseguente insolvenza dei confidi; al fatto di rientrare nella categoria dei confidi vigilati dalla Banca d'Italia che comporta costi crescenti; ai requisiti di Basilea in base ai quali, non tutti i contributi dati ai confidi vengono attribuiti al patrimonio ma sono considerati debito, il che comporta l’obbligo di una maggiore patrimonializzazione per la società (dato che il capitale deve essere proporzionato al credito garantito).
Da più parti si sollecita pertanto un processo di razionalizzazione dei confidi: questi, infatti, hanno un assetto frammentato a fronte di una grande concentrazione del mercato delle garanzie.
Alla luce del deterioramento del patrimonio dei confidi, che riduce la possibilità di concedere garanzie alle imprese, le associazioni di categoria hanno chiesto di poter computare strumenti ibridi di patrimonio derivanti dalla contribuzione pubblica, a patrimonio di primo pilastro dei confidi; in più chiedono la possibilità di aprire i confidi a sinergie con Cassa Depositi e Prestiti.
Tra le misure volte a rafforzare i confidi, si ricorda l’articolo 39, comma 7, del D.L. 201 del 2011, il quale ha consentito alle imprese non finanziarie di grandi dimensioni e agli enti pubblici e privati l’ingresso nel capitale sociale dei confidi e delle banche cooperative di garanzia collettiva dei fidi, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione. Tale ingresso, tuttavia, deve essere minoritario: le piccole e medie imprese socie devono disporre di almeno la metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea; inoltre la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica deve essere riservata all’assemblea.
Successivamente, l’articolo 10 del D.L. n. 1 del 2012 ha esteso tale facoltà anche ai confidi costituiti tra liberi professionisti, la cui costituzione era stata precedentemente prevista dal decreto-legge 70/2011.
L'articolo 36, commi 1 e 2, del D.L. 179 del 2012 ha poi introdotto norme volte a rafforzare patrimonialmente i confidi, senza porre oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, consentendo di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva, i fondi rischi alimentati da contributi pubblici oggetto di vincoli di destinazione, mediante una delibera dell’assemblea ordinaria. E’ possibile altresì accantonare i predetti contributi per la copertura dei rischi. In tal modo i fondi perdono i vincoli preesistenti, acquisendo la possibilità di essere computati nel patrimonio di vigilanza.
In realtà, le risorse interessate dalla disposizione in esame farebbero già parte dei mezzi propri dei confidi ma su di esse potrebbero gravare dei vincoli di destinazione (per esempio territoriali) che non consentono il loro utilizzo a presidio dei rischi complessivamente assunti. Attraverso la destinazione di tali contributi al fondo consortile o al capitale sociale tali vincoli verrebbero pertanto fatti cadere ope legis.
Le risorse vengono attribuite unitariamente al patrimonio, anche a fini di vigilanza, dei relativi confidi, senza vincoli di destinazione, nel caso siano destinati ad incrementare il patrimonio; la relativa delibera è di competenza dell’assemblea ordinaria.
Viene poi precisato che le eventuali azioni o quote corrispondenti, costituiscono azioni o quote proprie dei confidi e non attribuiscono alcun diritto patrimoniale o amministrativo, né sono computate nel capitale sociale o nel fondo consortile ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea.
La disposizione si applica:
La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, comma 481 dell’articolo 1) ha prorogato per il 2013 le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro. Ove la disciplina di attuazione non sia emanata entro il 15 gennaio 2013, il Governo – previa comunicazione alle Camere – dovrà promuovere un'apposita iniziativa legislativa per finalizzare le risorse stanziate:
Il D.Lgs. 169 del 2012, mediante modifiche all’articolo 25 del D.Lgs. 231 del 2007 (antiriciclaggio) ha incluso i confidi tra i soggetti che possono avvalersi del regime semplificato di adeguata verifica della clientela. E’ stato inoltre allineato l’impianto sanzionatorio previsto dagli articoli 55, 56, 58 e 60 del D.Lgs. 231 del 2007 alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 141/2010. In particolare:
Nel corso della XVI legislatura la disciplina degli operatori finanziari è stata modificata in maniera molto incisiva da due interventi di riforma, sulla scia del recepimento nell’ordinamento interno di direttive comunitarie: si tratta del D.Lgs. n. 141 del 2010 sui contratti di credito ai consumatori e del D.Lgs. n. 11 del 2010 sui servizi di pagamento, e dei successivi interventi correttivi (si citano in particolare: il D.Lgs. n. 218 del 2010; il D.Lgs. 230 del 2011, il D.Lgs. 169 del 2012, il D.Lgs. n. 45 del 2012). Entrambi i decreti sono intervenuti sul Testo Unico Bancario - T.U.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993) modificando e introducendo nuovi Titoli, riguardanti rispettivamente: i Soggetti operanti nel settore finanziario (Titolo V), la moneta elettronica e gli Istituti di moneta elettronica (Titolo V-bis) e gli Istituti di pagamento (Titolo V-ter). Successivamente sono stati adottati diversi decreti legislativi correttivi.
La concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico è riservata a intermediari soggetti a una regolamentazione sostanzialmente equivalente – per gli aspetti disciplinati e per incisività – a quella degli altri intermediari regolamentati (banche, SIM, istituti di pagamento). Sono previsti controlli più incisivi al momento dell’accesso al mercato, nel corso dell’operatività, in caso di crisi.
Alcune tipologie di attività (microcredito, confidi), caratterizzate dal rilievo sociale e solidaristico, godono di un alleggerimento degli oneri regolamentari. La loro vigilanza è affidata a organismi di autoregolamentazione, sottoposti a forme di controllo della Banca d'Italia; per il microcredito, in via transitoria tale compito spetterà alla Banca d’Italia sino a quando non verrà raggiunto un numero di iscritti congruo per consentire la costituzione e il funzionamento dell’organismo ad hoc.
Il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 ha operato numerose innovazioni all’interno del Testo Unico Bancario (TUB), al fine di recepire nell’ordinamento italiano la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori. In particolare il D.Lgs. 141 del 2010 ha unificato la disciplina degli intermediari finanziari, ovvero di quei soggetti che esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Si è passati in sostanza da un sistema in cui la vigilanza in capo a tali soggetti era graduata in base alle dimensioni operative degli stessi - con iscrizione in due elenchi separati, ex articoli 106 e 107 del TUB - alla riconduzione ad unum della disciplina di tutti gli intermediari, assoggettati complessivamente ad autorizzazione preventiva da parte di Banca d'Italia, con forme di vigilanza equivalente e con iscrizione in un unico albo.
Oltre all’attività di concessione di finanziamenti gli intermediari finanziari possono altresì: prestare servizi di pagamento ed emettere moneta elettronica, a condizione che siano a ciò autorizzati (articoli 114-novies e 114-quinquies del TUB); prestare servizi di investimento, ove autorizzati ai sensi dell’articolo 18, D.Lgs. n. 58/1998 (TUF); esercitare altre attività eventualmente consentite dalla legge nonché connesse o strumentali.
Non sono più considerate attività riservate l’assunzione di partecipazioni né quella di intermediazione in cambi: la riserva di attività a favore degli intermediari finanziari è circoscritta alla sola erogazione del credito. Inoltre, non assume più rilevanza la distinzione tra l’attività esercitata nei confronti del pubblico e quella non esercitata nei confronti del pubblico.
E' prevista pertanto l’istituzione dell’albo unico degli intermediari finanziari che esercitano nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma, la cui tenuta è affidata alla Banca d’Italia (articolo 106 del TUB). Nell’albo unico si devono iscrivere anche i confidi di maggiori dimensioni e le agenzie di prestito su pegno, mentre è prevista l’iscrizione in una sezione separata del medesimo albo delle società fiduciarie controllate da una banca o aventi un capitale versato non inferiore al doppio di quello previsto dal codice civile per le società per azioni (art. 199 del TUF).
Le forme giuridiche richieste ai fini dell’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari sono quelle di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria anche gli esponenti aziendali del richiedente debbano possedere specifici requisiti di professionalità, indipendenza e onorabilità. È, infine, introdotto un regime di vigilanza consolidata sui gruppi finanziari.
La completa attuazione della riforma richiede l’emanazione della normativa secondaria da parte del Ministero dell’economia e delle finanze e della Banca d’Italia, la quale nel gennaio 2012 ha pubblicato come documento per la consultazione le “Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari”.
La disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi è stata modificata dal D.Lgs. 141/2010, con l’obiettivo di assicurare operatori finanziari professionalmente idonei, patrimonialmente solidi, adeguati dal punto di vista organizzativo; canali distributivi diversificati, competenti, affidabili, anche a beneficio della concorrenza; regole adeguate di tutela della clientela; un sistema di enforcement efficace. Il decreto ha previsto l’istituzione di un organismo responsabile della tenuta degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (in precedenza la vigilanza sugli agenti in attività finanziaria era esercitata dalla Banca d’Italia).
Agente in attività finanziaria è il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, banche o Poste Italiane. Gli agenti in attività finanziaria possono svolgere esclusivamente le attività indicate, nonché attività connesse o strumentali. Per gli agenti che svolgono esclusivamente servizi di pagamento è prevista l’istituzione di un’apposita sezione del citato elenco (articolo 128-quater del TUB; D.M. 28 dicembre 2012, n. 256).
Mediatore creditizio è il soggetto (non persona fisica) che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma (articolo 128-sexies del TUB). I collaboratori dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria non possono essere persone giuridiche, ma soltanto persone fisiche.
Il D.Lgs. 141 del 2010 ha riformato la disciplina relativa ai confidi, confermando la previsione di due distinte tipologie di confidi sottoposti a regimi di controllo differenziati, ma nel complesso più rigorosi e potenzialmente più efficaci rispetto al passato. Attraverso modifiche al TUB si prevede l'istituzione di un nuovo elenco dei confidi, anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi, tenuto da un apposito organismo. I confidi maggiori sono invece autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina. Per una completa disamina dei confidi si rinvia al relativo approfondimento.
I soggetti operanti nel microcredito sono stati sottoposti ad un regime meno severo di vigilanza (analogamente a quanto avviene per gli agenti e i mediatori creditizi): si tratta dei soggetti che soddisfano il bisogno di credito di una fascia di operatori economici non in grado di ottenere finanziamenti dai canali bancari tradizionali. Per effetto del D.Lgs. 141/2010 i soggetti che vorranno esercitare l'attività di microcredito dovranno iscriversi in un apposito elenco tenuto da un organismo di diritto privato, istituito in forma di associazione e vigilato da Banca d'Italia. L’organismo per i microcredito sarà istituito in un secondo momento. Ai fini dell’iscrizione nell’albo degli intermediari e nell’elenco degli operatori del microcredito, le forme giuridiche richieste agli enti sono quelle di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa per azioni a responsabilità limitata.
I finanziamenti concessi per l'avvio o l'esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa hanno le seguenti caratteristiche: sono di ammontare non superiore a euro 25.000, non assistiti da garanzie reali; sono finalizzati all'avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all'inserimento nel mercato del lavoro; sono accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati. Possono essere erogati in via non prevalente finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, per un importo massimo di euro 10.000, non assistiti da garanzie reali, accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, allo scopo di consentire l'inclusione sociale e finanziaria del beneficiario, a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato
E' eliminato l’obbligo di iscrizione ad apposita sezione dell’elenco degli esercenti il microcredito per i soggetti diversi dalle banche che, costituiti prima della vigenza del D.Lgs. 141/2010, senza fine di lucro raccolgono tradizionalmente in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti (cd. “casse peota”). Tali soggetti possono dunque continuare a svolgere la propria attività, in considerazione del carattere marginale della stessa, nel rispetto delle modalità operative e dei limiti quantitativi determinati dal CICR. La stessa impostazione si applica agli organismi costituiti tra i dipendenti di una medesima P.A. (articolo 112, comma 7, TUB).
Cambiavalute sono i soggetti che esercitano professionalmente l'attività consistente nella negoziazione (acquisto e vendita) a pronti di mezzi di pagamento in valuta (articolo 155, comma 5, del TUB). I cambiavalute possono altresì esercitare attività strumentali e connesse, attività connesse al turismo o alla prestazione di servizi di trasporto di persone e attività numismatica, in conformità al regime proprio di ciascuna di esse (art. 14 del D.M. 29/2009).
L’agenzia in attività finanziaria è compatibile con l’attività di cambiavalute soltanto nel caso di agenzia limitata alla prestazione di servizi di pagamento (inclusi i money transfer). Il cambiavalute non può essere però mediatore; la normativa sui cambiavalute non consente agli stessi l'esercizio di altre attività se non quelle connesse al turismo o alla prestazione di servizi di trasporto di persone e attività numismatica.
L’attività di cambiavalute è riservata ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto presso l’Organismo relativo ad agenti e mediatori (art. 128-undecies T.U.B.); sono previste sanzioni amministrative per l’esercizio abusivo dell’attività. Fino all'emanazione del provvedimento ministeriale che illustra l'obbligo e le specifiche di segnalazione, l'attività di cambiavalute continua a essere regolata dalla disciplina previgente (articolo 155 TUB). Per svolgere l’attività di cambiavalute è necessario ottenere una licenza da parte della Questura.
L’attività di money transfer è definita come il servizio di pagamento dove, senza l’apertura di conti di pagamento a nome del pagatore o del beneficiario, il prestatore di servizi di pagamento riceve i fondi dal pagatore con l’unico scopo di trasferire un ammontare corrispondente al beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del beneficiario, e/o dove tali fondi sono ricevuti per conto del beneficiario e messi a sua disposizione (articolo 1, comma 1, lettera n), del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della Direttiva sui servizi di pagamento, Payment Services Directive - PSD).
L’attività di money transfer può essere svolta da istituti di pagamento (disciplinati dal Titolo V-ter del TUB, inserito dal citato D.Lgs. n. 11 del 2010) ovvero per il tramite di agenti in attività finanziaria (disciplinati dal Titolo VI-bis del TUB, inserito dal D.Lgs. n. 141 del 2010 e successive modificazioni).
Si segnala che la circolare del MEF del 15 novembre 2011, in materia di attività di prestazione di servizi di pagamento per conto di istituti comunitari, ha chiarito che gli agenti money transfer che svolgono la propria attività per conto di istituti di pagamento comunitari sono sottoposti alla disciplina di settore del paese in cui l’intermediario ha ottenuto l’autorizzazione (home country control) e pertanto, per il combinato disposto degli articoli 144-decies e 128-quater, comma 7, del TUB, tali soggetti pur operanti in Italia, non sono tenuti ad iscriversi nella citata sezione speciale dell’albo degli agenti in attività finanziaria, ma devono essere iscritti nel registro pubblico tenuto dalle autorità del paese di origine in cui viene data evidenza degli istituti di pagamento autorizzati, dei relativi agenti e delle succursali.
Gli agenti in attività finanziaria che svolgono l’attività di money transfer devono conservare per dieci anni i dati del titolo di soggiorno (in luogo della copia del documento) di chi dispone il trasferimento, ove l’ordinante sia un cittadino extracomunitario; sono adeguate a tale nuovo obbligo sia le modalità di conservazione dei suddetti dati, sia la loro mancata trasmissione alle autorità preposte.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.
Gli istituti di pagamento sono le imprese, diverse dalla banche e dagli IMEL (istituti di moneta elettronica), autorizzati a prestare i servizi di pagamento. Sono iscritti, previa autorizzazione, in un Albo tenuto dalla Banca d’Italia. Possono esercitare attività accessorie alla prestazione di servizi di pagamento, quali la concessione di crediti e la prestazione di garanzie connesse al servizio di pagamento.
In particolare gli istituti di pagamento operano direttamente nei confronti del pubblico e possono, ove autorizzati alla prestazione dello specifico servizio: emettere strumenti di pagamento, incluse le carte di credito; detenere conti intestati ai cliente (“conti di pagamento”) sui quali possono essere disposte operazioni quali depositi e prelievi, bonifici o addebiti diretti; erogare credito con durata non superiore ai 12 mesi, a condizione che sia strumentale all’erogazione di servizi di pagamento; effettuare servizi di trasferimento fondi e di rimesse di denaro (money transfer).
Con il D.Lgs. n. 230 del 2011 sono state apportate disposizioni correttive al D.Lgs. n. 11/2010, al fine di allineare la disciplina degli Istituti di pagamento a quella vigente per gli Istituti di moneta elettronica sotto il profilo contabile.
Si segnala che la Banca d'Italia il 20 giugno 2012 ha pubblicato il Provvedimento recante "Disposizioni di Vigilanza per gli istituti di pagamento e di moneta elettronica".
Gli istituti di moneta elettronica sono soggetti diversi dalle banche che svolgono in via esclusiva l'attività di emissione di moneta elettronica. Possono anche svolgere attività connesse e strumentali all'emissione di moneta elettronica e offrire servizi di pagamento. Non possono svolgere l'attività di concessione di crediti, in alcuna forma, né possono concedere interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica. Sono iscritti in un apposito Albo tenuto dalla Banca d’Italia (si veda il Titoli V-bis del T.U.B.).
Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"); quanto poi al capitale sociale, l'ammontare minimo è diminuito da 1 milione di euro a 350.000 euro; è stata altresì introdotta la figura del c.d. "IMEL a operatività limitata", ovvero un IMEL cui si applicano specifiche limitazioni operative (limitato ammontare di moneta elettronica in circolazione) a fronte dell'esenzione da talune disposizioni previste nella normativa di vigilanza.
Si ricorda che la Banca d'Italia il 20 giugno 2012 ha pubblicato il Provvedimento recante "Disposizioni di Vigilanza per gli istituti di pagamento e di moneta elettronica".
Il promotore finanziario è la persona fisica che, in qualità di agente collegato ai sensi della direttiva 2004/39/CE (MiFID), esercita professionalmente l'offerta fuori sede - come dipendente, agente o mandatario - esclusivamente nell'interesse di un solo soggetto: egli è abilitato alla promozione e al collocamento di prodotti finanziari e servizi di investimento in luogo diverso dalla sede e dalle dipendenze del soggetto abilitato per cui opera (SIM, SGR, banche). La relativa attività è disciplinata dall’articolo 31 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.).
I promotori finanziari devono iscriversi all'Albo unico dei promotori finanziari (APF), tenuto dall'organismo appositamente costituito. La nuova regolamentazione prevede la compatibilità tra l'attività di promotore finanziario e agente in attività finanziaria e dispone l'incompatibilità tra l'attività di promotore finanziario e quella di mediatore creditizio. L'attività di promozione e collocamento di contratti relativi alla concessione di finanziamenti o alla prestazione di servizi di pagamento, effettuate per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l'incarico di promotore finanziario, non richiede per essere svolta l'iscrizione all'elenco degli agenti in attività finanziaria tenuto dall'OAM, non costituendo esercizio di agenzia in attività finanziaria.
E' previsto un regime transitorio per l'iscrizione, qualora necessaria, entro il 31 dicembre 2012 al nuovo elenco degli agenti in attività finanziaria, per i promotori finanziari che abbiano svolto l'attività di agenzia in attività finanziaria per uno o più periodi di tempo complessivamente pari a tre anni nel quinquennio precedente la data di istanza di iscrizione. I promotori già iscritti nell’elenco degli agenti in attività finanziaria ovvero nell’albo dei mediatori creditizi presso Banca d’Italia alla data del 30 giugno 2011 possono chiedere l’iscrizione nei nuovi elenchi in regime di esonero dalla specifica prova valutativa, in seguito alla presentazione della documentazione attestante il possesso dei requisiti previsti per l’iscrizione nei nuovi elenchi.
I soggetti che svolgono l’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa sul territorio italiano, residenti o con sede legale in Italia, devono iscriversi nel Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI), istituito dal D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle Assicurazioni), in attuazione della Direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, e disciplinato dal Regolamento ISVAP n. 5 del 16 ottobre 2006. In base a tale normativa, l’esercizio dell’attività di intermediazione è riservato ai soli iscritti nel Registro. Il Registro è suddiviso in 5 sezioni:
Non è consentita la contemporanea iscrizione dello stesso intermediario in più sezioni del Registro, con l’eccezione degli intermediari iscritti nelle sezioni A ed E per i soli incarichi di distribuzione relativi al ramo r.c.auto.
L'attività di agente di assicurazione è compatibile con quella di agente in attività finanziaria, mentre quella di broker lo è con quella di mediatore creditizio, sempreché siano rispettati i rispettivi requisiti e obblighi d'iscrizione. L'obbligo d'iscrizione negli elenchi OAM per agenti e broker assicurativi entrerà comunque in vigore decorsi 30 giorni dall'emanazione del regolamento per gli agenti che prestano in via esclusiva servizi di pagamento (decreto 28 dicembre 2012, n. 256, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 dell’11 febbraio 2013). Inoltre, sulla base delle nuove disposizioni, l’iscrizione nell’apposito elenco costituisce presupposto necessario per lo svolgimento della cosiddetta attività di "segnalazione", che risulta pertanto esclusa ai soggetti non iscritti, come, ad esempio, nel caso degli agenti immobiliari.
Si segnala che il D.L. n. 179 del 2012 consente agli intermediari assicurativi di poter collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori. Lo stesso provvedimento ha stabilito che non costituiscono esercizio di agenzia in attività finanziaria la promozione e il collocamento, su mandato diretto di banche e intermediari finanziari, di contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma da parte degli agenti di assicurazione regolarmente iscritti nel Registro unico degli intermediari. La norma ricalca la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 169 del 2012 per i promotori finanziari, i quali nel proporre contratti di finanziamento o di servizi di pagamento per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l’incarico non sono qualificati come agenti in attività finanziaria.
Si prevede, inoltre, che il soggetto mandante debba curare l'aggiornamento professionale degli agenti assicurativi mandatari e assicurare il rispetto da parte loro della disciplina in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti; il soggetto mandante, infine, risponde per i danni cagionati dagli agenti assicurativi mandatari nell'esercizio dell'attività prevista dal presente comma, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
In merito alle operazioni relative alla cessione del quinto, resta la possibilità, per i soggetti eroganti i finanziamenti, di fare ricorso, in fase di distribuzione del servizio, a soggetti terzi rispetto alla propria organizzazione. In tali ipotesi, tuttavia, viene chiarito che i terzi devono essere in possesso di specifici requisiti soggettivi: deve infatti trattarsi di banche, intermediari finanziari, Poste italiane S.p.A., ivi comprese le rispettive strutture distributive, agenti in attività finanziaria o mediatori creditizi iscritti negli appositi elenchi, nei limiti delle riserve di attività previste dalla legislazione vigente.
La stipulazione di prestiti estinguibili mediante la cessione del quinto della retribuzione è disciplinata dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180. A norma dell’articolo 15, sono ammessi a concedere prestiti, verso cessione di quote di stipendio o salario, soltanto:
L’estensione ai dipendenti delle aziende private è stata disposta dall’articolo 1, comma 137, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. L’articolo 13-bis, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, ha previsto che i pensionati pubblici e privati possono contrarre con banche e intermediari finanziari, prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione fino al quinto della stessa, valutato al netto delle ritenute fiscali e per periodi non superiori a dieci anni.
Le fondazioni di origine bancaria, nate nell'ambito del processo di privatizzazione delle banche pubbliche (c.d. legge Amato, n. 218 del 1990), sono soggetti non profit, privati e autonomi, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Attualmente le fondazioni sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni che devono investire in attività diversificate, prudenti e fruttifere; dagli utili derivanti dalla buona gestione di questi investimenti traggono le risorse per sostenere attività d'interesse collettivo sulla base della legge (D.Lgs. n. 153 del 1999) e del loro statuto.
In origine le fondazioni bancarie furono pensate prevalentemente come depositarie dei patrimoni delle Casse da privatizzare. Con la cosiddetta legge Ciampi, la n. 461 del 1998 e il successivo decreto legislativo n. 153 del 1999, fu invece imposto loro l’obbligo di rinunciare al controllo delle relative banche. Un obbligo tuttora vigente, salvo per le fondazioni con patrimonio contabile netto inferiore a 200 milioni di euro nel 2002 o con sede in regioni a statuto speciale.
Il ruolo delle fondazioni bancarie e la natura giuridica di soggetti privati non profit sono stati definitivamente chiariti dalla sentenza n. 300 del 2003 della Corte Costituzionale che le ha confermate come "persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale" il cui scopo è quello di contribuire alla realizzazione di interessi di carattere generale in determinati settori.
Le fondazioni bancarie non hanno un ruolo gestionale nelle banche di cui sono azioniste. Esse sono, infatti, investitori istituzionali che dall'investimento dei loro patrimoni traggono gli utili necessari per svolgere l'attività filantropica, che si concretizza in oltre un miliardo di donazioni all'anno, rivolte a vari settori di interesse collettivo, fra i quali i principali sono: arte, attività e beni culturali; ricerca; educazione, istruzione e formazione; volontariato, filantropia e beneficenza; sviluppo locale; assistenza sociale; salute pubblica; protezione e qualità ambientale; sport e ricreazione. In questi settori le Fondazioni intervengono sia direttamente sia tramite progetti realizzati da soggetti terzi, privati e pubblici, purché non profit; non possono, infatti, fare donazioni a soggetti profit o a singoli cittadini.
L'articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010, con una norma interpretativa, ha chiarito che la vigilanza di legittimità sulle fondazioni di origine bancaria, di cui all'articolo 10 del D.Lgs. n. 153 del 1999, è attribuita al Ministero dell'Economia e delle Finanze fino a quando, nell'ambito di una riforma organica delle persone giuridiche private di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, non verrà istituita una nuova Autorità sulle medesime. Le fondazioni che manterranno direttamente o indirettamente il controllo sulle società bancarie rimarranno sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze anche successivamente all'istituzione della nuova Autorità.
Lo stesso articolo 52, come modificato dalla legge di conversione, prevede inoltre che il Ministero dell'Economia e delle Finanze, come tutte le Authority, relazioni ogni anno al Parlamento, entro il 30 giugno, circa l'attività svolta dalle fondazioni nell'anno precedente con riferimento, tra l'altro, agli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo economico-sociale nei territori locali in cui operano le medesime fondazioni. La prima Relazione sull’attività delle fondazioni bancarie (relativa agli esercizi 2009 e 2010) è stata trasmessa alla Camera dei deputati il 16 settembre 2011.
L’articolo 23, comma 16 del decreto legge n. 98 del 2011 ha previsto la disapplicazione delle sanzioni irrogate alle fondazioni bancarie per le indebite detrazioni agevolative (aliquota Irpeg ridotta a metà, esonero dalla ritenuta sui dividendi) indicate nelle proprie dichiarazioni dei redditi. In questo modo, le fondazioni bancarie possono chiudere i loro contenziosi con l’Agenzia delle Entrate, subentrata al Ministero delle finanze nella gestione dei contenziosi riferiti al periodo antecedente alla disciplina fiscale delle fondazioni bancarie.
In tema di incompatibilità il citato articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010 ha ripristinato il divieto per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate. I soggetti che svolgono funzioni di indirizzo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria (articolo 4, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 153 del 1999). Al riguardo l'articolo 27-quater del decreto legge n. 1 del 2012 (c.d. liberalizzazioni) ha esteso l’incompatibilità all’esercizio di cariche nelle società concorrenti della banca conferitaria o di società del suo gruppo. Una norma di analogo tenore è stata prevista dall’articolo 36 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) per i titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e per i funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari. Gli statuti delle fondazioni, inoltre, devono prevedere, tra l’altro, modalità di designazione e di nomina dell'organo di indirizzo ispirate a criteri oggettivi e trasparenti, improntati alla valorizzazione dei principi di onorabilità e professionalità.
Le misure di contrasto al cosiddetto interlocking directorates, cioè la co-presenza di un individuo in due o più Consigli di Amministrazione, sono volte ad evitare fenomeni di incroci personali tra gruppi bancari concorrenti e ad impedire a chi svolge funzioni di indirizzo, gestione e controllo nelle fondazioni di sedere allo stesso tempo negli organi di gestione e di controllo di società bancarie concorrenti della banca conferitaria. Si intende in tal modo favorire la concorrenza, la trasparenza nonché la liberalizzazione del mercato bancario-finanziario, nell’ottica di introdurre benefici per i consumatori.
Il decreto-legge n. 63 del 2012, per effetto delle modifiche apportate durante l'esame parlamentare, annovera tra gli enti sovvenzionabili o finanziabili dalle fondazioni bancarie, accanto alle imprese strumentali, alle imprese sociali e alle cooperative sociali, anche le cooperative che operano nel settore dell’informazione – tra le quali, dunque, rientrano le cooperative giornalistiche – e quelle che operano nei settori dello spettacolo e del tempo libero.
Il D.L. n. 174 del 2012 (articolo 9, comma 6-quinquies) ha sottratto gli immobili delle fondazioni bancarie dall’esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in relazione allo svolgimento di determinate attività. Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) sarà dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.
L'articolo 36 (ai commi da 3-bis a 3-decies) del D.L. n. 179 del 2012 ha disciplinato il futuro assetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. In particolare, le norme individuano i meccanismi per la conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in circolazione, attualmente in possesso delle Fondazioni bancarie e disciplinano, in alternativa, le modalità di esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti privati.
Il decreto-legge n. 179 del 2012 (articolo 36, commi da 3-bis a 3-decies) ha recato disposizioni concernenti l’assetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
In particolare, le norme hanno individuato i meccanismi per la conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in circolazione, attualmente in possesso delle Fondazioni bancarie: hanno disciplinato, in alternativa, le modalità di esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti privati.
L’assetto azionario di CDP e la conversione delle azioni privilegiate in possesso dell’azionista privato
Si ricorda che Cassa depositi e prestiti (CDP) S.p.A. è una società per azioni non quotata, costituita in tale forma giuridica ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269. Essa è controllata dallo Stato, che possiede il 70per cento del capitale, mentre il restante 30per cento è posseduto da 66 Fondazioni di origine bancaria., Tale assetto azionario è frutto dell’operazione di dismissione effettuata nel dicembre 2003, all’atto della trasformazione della Cassa in società per azioni. Il citato articolo 5 del D.L. n. 269 del 2003, oltre alla trasformazione di CDP in società per azioni, ha infatti disposto l’attribuzione delle relative quote azionarie allo Stato, con esercizio dei diritti dell’azionista da parte del MEF, consentendo a fondazioni bancarie ed altri soggetti pubblici o privati di detenere quote complessivamente di minoranza del capitale della società.
In attuazione della legge citata, il capitale sociale è stato determinato (D.M. del 5 dicembre 2003) in 3,5 miliardi di euro, suddiviso in 350.000.000 di azioni del valore nominale di 10 euro, di cui 245.000.000 di azioni ordinarie (70per cento del capitale sociale) e 105.000.000 di azioni privilegiate (30per cento del capitale sociale).
In data 5 dicembre 2003 sono stati poi emanati due D.P.C.M. che, rispettivamente, hanno disposto: a) l’approvazione dello Statuto di CDP contenente, tra l’altro, la trasferibilità delle azioni a favore di fondazioni bancarie nonché di banche ed intermediari finanziari vigilati e le regole per la conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie a far data dal 1° gennaio 2010; b) la cessione e le modalità di alienazione delle azioni privilegiate ai sensi della disciplina di legge.
A tal fine il MEF ha perfezionato la dismissione del 30 per cento del capitale della società a 65 Fondazioni bancarie, cedendo 105.000.000 azioni privilegiate del valore nominale complessivo di euro 1,05 ad un prezzo di vendita corrispondente al valore nominale delle azioni.
I contratti di compravendita sono stati stipulati con le singole fondazioni con accettazione da parte delle stesse dell’information memorandum e dello Statuto di CDP. La fissazione del prezzo di vendita delle azioni privilegiate è stata effettuata, ai sensi della legge n. 474 del 1994, sulla base di valutazione delle stesse azioni privilegiate rilasciate dai consulenti finanziari del Ministero, JP Morgan e Deutsche Bank. Le analisi svolte dai valutatori costituivano un parere sulla congruità del prezzo delle azioni privilegiate, al loro valore nominale, tenuto conto anche delle norme statutarie che attribuivano particolari diritti alle stesse. Tali pareri, pertanto, non rappresentavano una perizia di stima del patrimonio effettivo di CDP.
Lo statuto di CDP, nel 2003, prevedeva alcune specifiche caratteristiche delle azioni privilegiate. Ad esse erano infatti attribuiti particolari diritti di governance (tra cui il potere di blocco per l’approvazione delle delibere da assumere in assemblea, la nomina di un terzo dei componenti degli Organi sociali e la designazione di tutti i componenti del Comitato di supporto degli azionisti privilegiati) Venivano altresì riconosciuti peculiari diritti economici, in particolare:
Nell’imminente scadenza del termini per la conversione automatica delle azioni privilegiate, le fondazioni hanno prospettato al Ministro dell’economia e delle finanze l’opportunità di posticipare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013, con la contestuale eliminazione del privilegio di rendimento per le fondazioni previsto dalla Statuto (pari al dividendo preferenziale del 3 per cento, maggiorato dell’inflazione del periodo). Pertanto, nel corso del 2009, l’assemblea di CDP – fermo restando il meccanismo di calcolo del valore delle azioni privilegiate in caso di conversione o di recesso – ha modificato lo statuto nel senso di rinviare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013; di eliminare il diritto al dividendo preferenziale e diritto di recesso ad esso connesso ed attribuire la facoltà di recesso in caso di mancata percezione di utili per due esercizi consecutivi.
Con lettera del 14 settembre 2012, indirizzata al Ministero dell’economia e delle finanze, il Presidente di CDP annunciava l’affidamento, in relazione all’imminente avvio delle procedure per la conversione, da parte del CdA della società del mandato di redigere una valutazione del patrimonio netto effettivo di CDP a Deloitte & Touche, successivamente depositata presso CDP.
Rendeva inoltre noti i dubbi delle fondazioni bancarie sulla legittimità della clausola statutaria concernente la determinazione del valore delle azioni privilegiate da applicarsi in caso di conversione o recesso (articolo 9, comma 3), ritenendo che la valorizzazione delle quote dovesse effettuarsi non a termini di statuto (valore nominale decurtato dell’extradividendo) ma a valori patrimoniali, secondo quanto previsto dall’articolo 2437-ter del codice civile, norma modificata dalla riforma diritto societario entrata in vigore dal 2004 (legge sopravvenuta rispetto al quadro normativo vigente al momento della trasformazione di CDP in S.p.A. ed al momento di approvazione dello statuto di CDP).
Le opzioni riservate alle fondazioni, nel caso della conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie e considerando l’adesione di tutte le fondazioni alla medesima opzione per l’intera loro partecipazione, venivano ipotizzate nella relazione trasmessa il 27 settembre 2012 al Consiglio di Stato dal Ministro dell’economia e delle finanze, con la quale era richiesto un parere sulla legittimità delle clausole statutarie della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. relative alla conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
In particolare, si contemplavano le seguenti possibilità:
La facoltà di conversione alla pari con conguaglio e la facoltà di recedere avrebbero potuto essere esercitate nel periodo dal 1° ottobre 2012 al 15 dicembre 2012.
Il Ministero chiedeva dunque l’avviso del Consiglio di Stato in relazione alla legittimità delle clausole statutarie e su una possibile soccombenza del Ministero/CDP in sede di eventuale contenzioso civile con le fondazioni bancarie.
Nel caso di dubbi di legittimità dello Statuto o sulla eventuale soccombenza, era dunque chiesto al Consiglio di Stato di individuare un percorso alternativo per la determinazione del corretto criterio di valorizzazione delle azioni privilegiate in sede di conversione o di recesso, anche mediante modifiche statutarie.
Con decreto del 4 ottobre 2012 veniva costituita una Commissione speciale, presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato, al fine di rendere tale parere.
In estrema sintesi, la Commissione rendeva noto che, al fine di scongiurare un eventuale contenzioso tra CdP e l’azionariato delle Fondazioni, potesse essere ritenuto equo e quindi meritevole di tutela l’interesse a conseguire quote del patrimonio nel caso di exit: l’interesse tutelabile sarebbe stato, in particolare, quello al conseguimento da parte delle fondazioni di una quota – corrispondente alla frazione detenuta del capitale sociale – degli incrementi patrimoniali (e solo di tali incrementi patrimoniali) conseguiti da CDP dal momento dell’ingresso delle fondazioni al momento dell’esercizio del diritto di recesso.
In ordine agli interventi coi quali si poteva prefigurare tale risultato, la Commissione non ravvisava utile la modifica statutaria, atteso che a fronte di modifiche statutarie di tale fatta, ove i soci di minoranza non fossero stati soddisfatti, avrebbero potuto invocare il diritto di recesso (di cui all’art. 2437 comma 1 lett. f) del codice civile).
Né il CdS valutava utile un intervento arbitrale, in quanto lo si reputava limitato alla mera (e non facilmente prevedibile) determinazione dei valori economici delle partecipazioni.
Il Consiglio di Stato ha dunque rinvenuto una possibile soluzione in un intervento normativo che determinasse il valore di concambio delle azioni privilegiate e di liquidazione, in modo da tener conto della necessità di circoscrivere la meritevolezza della partecipazione delle fondazioni agli incrementi patrimoniali conseguiti successivamente al loro ingresso nell’azionariato CdP.
Aderendo a quanto prospettato dal Consiglio di Stato, il legislatore è intervenuto con il richiamato decreto-legge n. 179 del 2012.
In particolare, è stato fissato il termine del 31 gennaio 2013 perché CDP provveda a determinare il rapporto di conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
Tale conversione è stata pianificata secondo i seguenti passaggi:
Si ricorda infatti che l’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 consente a CDP S.p.A. di utilizzare i fondi derivanti dalla raccolta del risparmio postale (fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste italiane S.p.A. o società da essa controllate) per finanziare, sotto qualsiasi forma, lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico. Il secondo periodo della lettera a) consente l’utilizzo delle suddette risorse anche per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale di CDP S.p.A., nei confronti dei suindicati soggetti o dai medesimi promossa, tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione;
Nel caso in cui il rapporto di conversione non risulti pari, le norme consentono ai titolari delle azioni privilegiate di beneficiare di un rapporto di conversione alla pari (nel quale il valore nominale delle azioni privilegiate coinciderà col valore nominale delle azioni ordinarie) versando alla CDP un conguaglio di importo pari alla differenza tra il valore di una azione ordinaria e il valore di una azione privilegiata.
Ove i titolari delle azioni privilegiate non esercitano il diritto di recesso nella finestra temporale compresa tra il 15 febbraio 2013 e il 15 marzo 2013, essi devono versare al Ministero dell’economia e delle finanze, a titolo di compensazione, un importo forfetario pari al 50 per cento dei maggiori dividendi corrisposti da CDP dal 12 dicembre 2003 per le azioni privilegiate per cui avviene la conversione, rispetto a quelli che sarebbero spettati per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio delle azioni privilegiate in ordinarie (ovvero per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio).
Tale importo può essere versato ratealmente: in una quota non inferiore al 20 per cento entro il 1° aprile 2013, e per la quota residua (l’80 per cento o una quota inferiore) in quattro rate uguali alla data del 1° aprile dei quattro anni successivi, con applicazione degli interessi legali.
Il periodo per l’esercizio del diritto di recesso decorre dal 15 febbraio 2013 e termina il 15 marzo 2013 e le azioni privilegiate sono automaticamente convertite in azioni ordinarie a far data dal 1° aprile 2013. Le condizioni economiche per la conversione sono riconosciute al fine di consolidare la permanenza di soci privati nell’azionariato di CDP. Esse opereranno dunque solo ove i soci privati (le Fondazioni bancarie) decidano di mantenere la propria partecipazione in CDP.
Di conseguenza, le norme precisano che i soggetti che esercitino il diritto di recesso vedranno applicate, quanto alla determinazione del valore di liquidazione delle azioni privilegiate, le vigenti disposizioni dello statuto della CDP.
Si rammenta che l’articolo 9, comma 3 dello Statuto prevede che, in tutti i casi di esercizio del diritto di recesso, il valore di liquidazione delle azioni privilegiate risulta pari alla differenza tra la quota del capitale sociale per cui è esercitato il recesso (ovvero il valore nominale della partecipazione) e - con riferimento agli utili degli esercizi sociali chiusi sino al 31 dicembre 2008 compreso - e “l’extradividendo” percepito dalle azioni privilegiate (la differenza fra il dividendo effettivamente percepito e il “dividendo preferenziale”, che in origine spettava per le azioni privilegiate in base al vecchio testo del'articolo 30, comma 2, dello Statuto, come già esposto supra).
Inoltre, dal 1° aprile 2013 e fino alla data di approvazione da parte dell’assemblea degli azionisti CDP del bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2012, a ciascuna fondazione bancaria azionista di CDP è concessa la facoltà di acquistare dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è obbligato a vendere, un certo numero di azioni ordinarie di CDP; esso non può risultare superiore alla differenza tra il numero di azioni privilegiate già detenuto e il numero di azioni ordinarie ottenuto ad esito della conversione. Tale facoltà di acquisto è trasferibile a titolo gratuito tra le fondazioni bancarie azioniste di CDP.
La facoltà di acquisto di cui al comma precedente viene esercitata al prezzo corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012 (come calcolato ai sensi delle norme in commento).
Tale importo può essere corrisposto al Ministero dell’economia e delle finanze in più soluzioni: una quota non inferiore al 20 per cento è versata entro il 1° luglio 2013, mentre la quota residua è corrisposta in quattro rate uguali, alla data del 1° luglio dei quattro anni successivi, con applicazione dei relativi interessi legali.
Le dilazioni previste dalle norme sono accordate dal MEF su richiesta dell’azionista e a fronte della costituzione in pegno di azioni ordinarie a favore del Ministero, fino al completamento dei pagamenti dovuti. Il numero delle azioni da costituire in pegno è determinato sulla base degli importi dovuti per i pagamenti dilazionati comprensivi degli interessi, tenendo conto del valore delle azioni ordinarie corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012. Il pegno di azioni non implica la sospensione del diritto di voto e del diritto agli utili, che comunque spettano alla fondazione concedente garanzia. In caso di inadempimento delle obbligazioni assunte, il Ministero dell’economia e delle finanze acquisisce a titolo definitivo le azioni corrispondenti all’importo del mancato pagamento.
il Consiglio di Amministrazione di CDP del 29 gennaio 2013 ha determinato il rapporto di conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie nella misura di 49 azioni ordinarie ogni 100 azioni privilegiate, corrispondente a un rapporto unitario di conversione di 0,49 azioni ordinarie per ciascuna azione privilegiata.
E’ stato calcolato, secondo le modalità previste dalla legge e dello Statuto CDP, sulla base delle risultanze delle perizie giurate di stima di Deloitte Financial Advisory Srl, nelle quali il valore di CDP alla data di trasformazione in società per azioni è stato stimato in 6.050.000.000 di euro, mentre il valore di CDP al 31 dicembre 2012 è stato stimato in 19.030.000.000 di euro.
Nel periodo compreso tra il 15 febbraio e il 15 marzo 2013 gli azionisti privilegiati possono esercitare la facoltà di beneficiare di un rapporto di conversione alla pari, al fine di conservare la propria quota partecipativa, versando a CDP, a titolo di conguaglio, circa 32,74 euro per ogni azione privilegiata da convertire in ordinaria.
Il Consiglio di Amministrazione ha inoltre determinato il valore di liquidazione delle azioni privilegiate. Per ciascuna azione privilegiata per la quale sia esercitato il diritto di recesso, il valore di liquidazione, determinato sulla base delle specifiche disposizioni dello statuto, è pari a 6,299 euro. La determinazione del valore di liquidazione sarà applicata alle richieste di recesso pervenute, nel periodo 1 ottobre – 15 dicembre 2012, da due soci di CDP, titolari complessivamente di n. 9.084.000 azioni privilegiate (pari al 2,60% del capitale sociale), e alle eventuali richieste che potranno pervenire nel prossimo periodo di recesso previsto dal vigente Statuto (15 febbraio - 15 marzo 2013).
Le Fondazioni bancarie sono i soggetti che hanno effettuato le operazioni di conferimento dell'azienda bancaria, ai sensi delle disposizioni della cd “legge Amato (legge 30 luglio 1990, n. 218), attuata con il D.Lgs. n. 356/90.
Per la trasformazione delle aziende bancarie in Spa, la legge Amato aveva individuato infatti una complessa procedura, tale da comportare il conferimento dell’azienda bancaria, da parte degli istituti di credito, in apposita società per azioni: in tal modo si è prevenuti alla costituzione di due distinti soggetti, l'ente conferente (comunemente noto come “fondazione bancaria”) e la società conferitaria, ovvero la banca vera e propria. Per incentivare la trasformazione in società per azioni delle banche pubbliche, la legge n. 218 aveva previsto uno speciale regime tributario volto ad agevolare le operazioni di fusione, scissione, trasformazione e conferimento.
Con l'approvazione della legge delega 23 dicembre 1998, n.461 (cd. “legge Ciampi”) ed il successivo decreto legislativo n. 153 del 1999 si è inteso mutare significativamente l’assetto delle fondazioni. In base ad esso, l’adeguamento degli statuti delle fondazioni alla disciplina individuata dal decreto medesimo avrebbe sancito la definitiva trasformazione delle fondazioni in enti di diritto privato con piena autonomia statutaria e gestionale, in coerenza con quanto previsto dalla citata legge Amato.
In particolare, il decreto legislativo prevedeva che le fondazioni fossero tenute a perseguire fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, operando nel rispetto del principio di economicità e gestendo il patrimonio in modo da ottenerne un’adeguata redditività. Venivano indicati alcuni settori rilevanti: ricerca scientifica, istruzione, arte, sanità, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, assistenza alle categorie sociali più deboli. Per quel che concerne gli organi di governo delle fondazioni, si individuavano tre organi necessari con funzioni, rispettivamente, d’indirizzo, di amministrazione e di controllo. Nell’organo d’indirizzo doveva essere assicurata un’adeguata e qualificata rappresentanza del territorio.
Inoltre, l'iniziale obbligo di detenere la maggioranza del capitale sociale delle banche conferitarie era sostituito da un obbligo di segno opposto: il decreto prevedeva infatti che, entro quattro anni dalla sua entrata in vigore (quindi entro il 15 giugno 2003), le fondazioni dovessero dismettere le partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. Era consentito alle fondazioni di mantenere le partecipazioni per ulteriori due anni oltre il termine; decorso tale ulteriore termine, il compito di provvedere alla dismissione veniva affidato all’autorità di vigilanza (individuata nel Ministero del tesoro e, quindi, nel Ministero dell’economia e delle finanze). Il termine per la dismissione è stato poi prorogato al 31 dicembre 2005 dal decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143.
A tale disposizione si accompagnava l’assimilazione del regime fiscale delle fondazioni a quello degli “enti non commerciali”, con l’applicazione dell’imposta sui redditi (ora IRES) con aliquota dimezzata rispetto a quella ordinaria. Tale agevolazione sarebbe venuta meno qualora entro il termine di quattro anni le fondazioni non avessero provveduto alla dismissione delle partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. In altre parole, le fondazioni che si fossero avvalse della facoltà di detenere, per ulteriori due anni rispetto al termine del 15 giugno 2003, le partecipazioni di controllo avrebbero perso l’agevolazione.
Alle disposizioni recate dal d.lgs. n. 153/99 hanno fatto seguito, ad opera del Ministero del Tesoro nelle vesti di Autorità di vigilanza pro-tempore sulle fondazioni, un atto di indirizzo a carattere generale in materia di adeguamento degli statuti (Provvedimento 5 agosto 1999) ed uno recante le indicazioni per la redazione, da parte delle fondazioni, del bilancio chiuso al 31 dicembre 2000 (Provvedimento 19 aprile 2001).
Una profonda riforma delle fondazioni bancarie è stata recata con la legge finanziaria 2002 (articolo 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448)
In particolare:
a) sono stati estesi gli ambiti d’intervento delle fondazioni bancarie, con riferimento a settori caratterizzati da rilevante valenza sociale;
b) sono state rafforzate le previsioni in ordine alla rappresentanza degli enti territoriali nell’organo di indirizzo della fondazione: tale partecipazione doveva essere non già “adeguata e qualificata”, come originariamente previsto dal decreto legislativo n. 153 del 1999, ma “prevalente e qualificata”; sono state altresì rafforzate le disposizioni in materia di incompatibilità, nel senso di prevedere che sia i soggetti ai quali è attribuito il potere di designare i componenti dell’organo di indirizzo, sia i componenti stessi degli organi delle fondazioni non debbono essere destinatari degli interventi delle fondazioni
c) è stato modificato il regime delle partecipazioni delle fondazioni nel capitale delle banche: il divieto di detenere interessenze di controllo è stato esteso dalle ipotesi di controllo individuale ai casi in cui esso sia esercitato congiuntamente da più fondazioni; al tempo stesso, per le fondazioni veniva differito di tre anni (fino al giugno 2006) il termine per la dismissione della partecipazione nelle banche conferitarie, a condizione che essa venisse affidata, prima del 15 giugno 2003, a una società di gestione del risparmio (SGR) che la gestisse in nome proprio. In tal caso la fondazione avrebbe conservato le descritte agevolazioni fiscali.
Sulla materia è poi intervenuta la Corte costituzionale, che con le sentenze n. 300 e 301 del 2003 si è pronunciata sulla legittimità costituzionale delle disposizioni introdotte nel 2001.
In sintesi:
d) è stata ribadita la natura privatistica delle fondazioni bancarie, affermando che l'evoluzione legislativa intervenuta dal 1990 ha spezzato quel "vincolo genetico e funzionale", "che in origine legava l'ente pubblico conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del primo in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro […] della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante" (sentenza n. 300);
e) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 153 del 1999 e, in particolare, quelle che disponevano la prevalenza negli organi di indirizzo delle fondazioni di rappresentanti di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, anziché “una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, pubblici e privati, espressivi delle realtà locali”; quelle che prevedevano forme d’indirizzo del Ministero del tesoro; la Corte ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizioni che attribuivano agli enti territoriali una rappresentanza prevalente negli organi d’indirizzo delle fondazioni bancarie.
Con il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, il Ministro dell’economia e delle finanze ha emanato un nuovo regolamento, che ha recepito sostanzialmente gli indirizzi dettati dalle predette sentenze della Consulta.
Il regolamento ha infatti previsto che l’organo d’indirizzo della fondazione debba essere composto in via prevalente da rappresentanti di enti, pubblici e privati, espressione delle realtà locali; ha stabilito l’incompatibilità tra le funzioni di amministrazione, direzione, indirizzo e controllo presso la fondazione e gli incarichi presso la società bancaria conferitaria o le società da questa controllate o partecipate. La nozione di controllo congiunto su una banca viene circoscritta ai casi in cui più fondazioni, mediante accordi da provare in forma scritta, realizzino una delle situazioni rilevanti ai fini del controllo individuale.
La cd. “legge sul risparmio” (legge 28 dicembre 2005, n. 262), con decorrenza dal 1° gennaio 2006, ha introdotto il divieto per le fondazioni di esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società bancarie conferitarie e delle altre società non strumentali da esse partecipate per le azioni eccedenti il 30 per cento del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto nelle medesime assemblee. Sono escluse dall’applicazione di questa disposizione le fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale.
Da ultimo, l'articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010 ha chiarito che la vigilanza di legittimità sulle fondazioni di origine bancaria è attribuita al Ministero dell'economia e delle finanze fino a quando, nell'ambito di una riforma organica delle persone giuridiche private di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, non verrà istituita una nuova Autorità sulle medesime.
Le fondazioni che manterranno direttamente o indirettamente il controllo sulle società bancarie rimarranno sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze anche successivamente all'istituzione della nuova Autorità.
Lo stesso articolo 52 ha previsto che il MEF invii entro il 30 giugno di ogni anno una relazionare al Parlamento circa l'attività svolta dalle fondazioni nell'anno precedente, con riferimento, tra l’altro, agli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo economico-sociale nei territori locali in cui operano le medesime.
Anche a seguito della grave crisi dei mercati finanziari - che all'estero ha condotto al fallimento di banche e intermediari finanziari - sono stati adottati specifici provvedimenti volti a promuovere la stabilità del sistema creditizio e la tutela dei depositanti. La linea adottata dal Governo italiano, in sintonia con le decisioni assunte in ambito europeo, ha seguito una strategia finalizzata a contrastare la crisi finanziaria attraverso la garanzia di un sufficiente livello di liquidità alle istituzioni creditizie e ai depositi bancari.
Un primo gruppo di disposizioni relative al settore creditizio è stato inizialmente inserito nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 e nel decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157, accorpati nel corso dell’esame in sede referente del D.L. n. 155.
Tali provvedimenti hanno introdotto misure straordinarie per garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del risparmio, in linea con le conclusioni assunte già in sede europea. Si ricordano in questa sede i seguenti interventi:
Un secondo gruppo di interventi sul settore è stato poi previsto dal decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, provvedimento che ha introdotto altresì misure di sostegno dell’economia reale.
In particolare (articolo 12 del D.L. 185/2008) il Ministero dell'economia e delle finanze è stato autorizzato a sottoscrivere, su richiesta delle banche interessate, strumenti finanziari, privi dei diritti tipicamente incorporati nelle azioni, emessi da banche italiane quotate, aventi anche la forma di strumenti convertibili in azioni ordinarie, fino al 31 dicembre 2010. Finalità dell’intervento è di assicurare un adeguato flusso di finanziamenti all'economia e un adeguato livello di patrimonializzazione del sistema bancario.
La sottoscrizione di tali strumenti è stata subordinata a specifiche condizioni, quali l’economicità dell’operazione, l’obbligo di tener conto delle condizioni di mercato e di essere funzionale al perseguimento delle finalità indicate dalla legge e, soprattutto, l’obbligo per gli emittenti di assumere gli impegni definiti in un apposito protocollo con il Ministero dell'economia e delle finanze (relativi al livello e alle condizioni del credito da assicurare alle piccole e medie imprese e alle famiglie, al perseguimento di politiche dei dividendi coerenti con l'esigenza di mantenere adeguati livelli di patrimonializzazione, nonché all’impegno di garantire adeguati livelli di liquidità per i creditori delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, anche attraverso lo sconto di crediti e senza alcun onere a carico per la finanza pubblica). Agli emittenti è stato fatto obbligo di adottare un codice etico contenente, tra l'altro, previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali.
La sottoscrizione degli strumenti è stata subordinata ad una previa valutazione della Banca d'Italia delle condizioni economiche dell'operazione e della computabilità degli strumenti finanziari nel patrimonio di vigilanza. Le norme hanno poi previsto il monitoraggio parlamentare dell’attività svolta in relazione a tali strumenti finanziari.
In attuazione delle prescrizioni recate dall’articolo 12 è stato emanato il D.M.25 febbraio 2009 del Ministero dell’economia e delle finanze: esso reca criteri, modalità e condizioni della sottoscrizione degli strumenti finanziari speciali.
L’articolo 8 del decreto-legge n. 201 del 2011 ("salva-Italia") ha introdotto norme volte alla concessione della garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane. In particolare, fino al 30 giugno 2012 è stata riconosciuta al Ministero dell'economia e delle finanze la facoltà di rilasciare la garanzia statale su finanziamenti erogati dalla Banca d'Italia alle banche italiane e alle succursali di banche estere in Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità, richiamando in particolare i cosiddetti casi di emergency liquidity assistance (i.e. offerta di liquidità di ultima istanza).
La legge finanziaria 2010 (articolo 2, commi da 161 a 182 della legge 23 dicembre 2009, n. 191) ha recato un’articolata disciplina volta alla costituzione della Banca del Mezzogiorno.
La Banca del Mezzogiorno è stata concepitacomeistituzione finanziaria di secondo livello, partecipata dallo Stato (in qualità di socio fondatore) e da altri soggetti creditizi privati, invitati a parteciparvi da un Comitato promotore all’uopo istituito. Decorsi cinque anni dall’inizio dell’operatività della Banca, l’intera partecipazione posseduta dallo Stato, tranne un’azione, verrà ridistribuita tra i soci fondatori privati.
A tal fine, la Banca agisce attraverso la rete delle banche e delle istituzioni che aderiscono all’iniziativa con l’acquisto di azioni e può stipulare apposite convenzioni con la società Poste italiane Spa. Scopo della Banca è quello di sostenere i progetti di sviluppo delle PMI aumentando la disponibilità di credito a medio – lungo termine; l'offerta dell’istituto è riservata alle piccole, medie e microimprese con sede legale nel mezzogiorno. Nell’agosto 2011 Poste italiane (società integralmente partecipata dallo Stato, e in particolare dal MEF) ha acquisito il controllo di MedioCredito Centrale S.P.A., istituto specializzato nell’erogazione di credito industriale e agevolato nonché nella gestione di fondi agevolativi, al fine di costituire la Banca del Mezzogiorno coi suindicati scopi.
Per favorire il riequilibrio territoriale dei flussi di credito per gli investimenti a medio-lungo termine delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno e sostenere progetti etici, l'articolo 8, comma 4 del cd. "Decreto Sviluppo" (decreto-legge n. 70 del 2011) ha autorizzato l’emissione – fino ad un massimo di 3 miliardi di euro - di specifici Titoli di Risparmio per l’Economia Meridionale, fiscalmente agevolati e dedicati ai soli investitori privati, da parte di banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia. Si tratta di titoli obbligazionari che possono essere emessi da qualunque banca, ideati per favorire l’incremento dell’offerta di credito nel Mezzogiorno e ridurre lo squilibrio esistente tra Regioni meridionali e altre aree del Paese. L’obiettivo è attrarre risorse incrementali per sostenere lo sviluppo di lungo termine delle imprese del Mezzogiorno. Le risorse raccolte con l’emissione dei titoli sono impiegate per finanziare progetti di investimento di durata superiore a 18 mesi di PMI del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia). Tali titoli sono tassati con un’aliquota agevolata al 5 per cento.
Il Capo II del decreto legge n. 87 del 2012, confluito negli articoli 23-sexies e seguenti del D.L. 95 del 2012, reca misure finalizzate alla ripatrimonializzazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (MPS). L’intervento normativo si inserisce nel solco delle indicazioni e delle direttive fornite in sede europea per il rafforzamento dei requisiti di capitale degli istituti di credito, stante le perduranti tensioni sui mercati finanziari con particolare riferimento ai titoli di debito sovrano. Le citate norme del D.L. 95 del 2012 hanno autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze a sottoscrivere nuovi strumenti finanziari, emessi da MPS, per l’importo massimo di 2 miliardi; a tale importo si aggiunge l’emissione di ulteriori 1,9 miliardi, destinata a sostituire le obbligazioni emesse dalla banca nel 2009 (ai sensi del citato D.L. n. 185 del 2008) e non ancora rimborsati. L’importo complessivo dell’emissione autorizzato è stato dunque pari ad un massimo di 3,9 miliardi.
Il 28 novembre 2012 il Consiglio di Amministrazione di MPS ha autorizzato la predetta emissione di strumenti finanziari governativi per l’importo complessivo massimo fissato ex lege, ovvero 3,9 miliardi di euro. Il 17 dicembre 2012 la Commissione europea ha approvato temporaneamente, in base alle norme UE sugli aiuti di Stato, la predetta operazione di ricapitalizzazione per ragioni di stabilità finanziaria.
Le caratteristiche degli strumenti finanziari sono recate dagli articoli 23-sexies e seguenti del citato D.L. n. 95 del 2012, come modificato dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012). In particolare:
La Banca d’Italia ha trasmesso con nota del 26 gennaio 2013 il parere (previsto dall’articolo 23-novies del decreto-legge n. 95 del 2012) che subordina la sottoscrizione dei nuovi strumenti finanziari alla positiva valutazione della medesima Autorità.
Il peggioramento del ciclo economico e, soprattutto, l’insorgere delle tensioni sui titoli del debito sovrano dei paesi dell’Area Euro hanno indotto la Banca Centrale Europea a porre in essere un piano di rifinanziamento a lungo termine (long term refinancing operation - LTRO), consistente in una “asta di liquidità”: la Banca Centrale ha concesso prestiti alle banche richiedenti della durata di 3 anni, con un tasso di interesse pari alla media del tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale calcolata nel periodo dell'operazione stessa. In cambio la BCE riceve dalle banche una garanzia “collaterale” sul prestito così concesso, composta da obbligazioni governative (titoli degli stati membri dell'UE). La lista degli asset eligibili per essere usati come collaterale viene pubblicata sul sito della BCE ed è aggiornata più volte al mese. Le due tranche di operazioni sono avvenute il 21 dicembre 2011 ed il 29 febbraio 2012.
Loi n. 2010-1249 du 22 octobre 2010 de régulation bancaire et financière (Journal Officiel, 23 octobre 2010)
La Legge di regolamentazione bancaria e finanziaria, approvata il 22 ottobre 2010, dà attuazione a livello nazionale alle decisioni del G20 adottate per rafforzare la regolamentazione, la sorveglianza e il controllo degli attori e dei mercati finanziari. La Francia è il primo Paese ad aver riformato il dispositivo nazionale di supervisione del sistema finanziario.
La nuova legge istituisce un Consiglio per la regolamentazione finanziaria e per il rischio sistemico e regola la registrazione delle agenzie di rating e il controllodelle vendite allo scoperto e dei mercati derivati. I poteri di controllo e di sanzione della “Autorità di controllo dei mercati finanziari” (AMF) sono stati rafforzati e ad essa sono stati attribuiti poteri speciali per permetterne l’intervento in caso di urgenza.
Le nuove disposizioni recepiscono nell’ordinamento francese la Direttiva 2009/65/CE sugli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e la Direttiva 2009/44/CE relativa ai sistemi di pagamento e di regolamento titoli, nonché ai contratti di garanzia finanziaria; il dispositivo legislativo approvato completa anche la trasposizione delle norme fissate in sede di G20 per l’inquadramento giuridico delle remunerazioni degli operatori bancari che svolgono attività a rischio per gli istituti bancari di appartenenza (in parte già regolate dall’arrêté del 3 novembre 2009).
La Legge ratifica inoltre l’ordinanza relativa alla fusione delle autorità di autorizzazione e controllo “Banche e Assicurazioni” in un’unica Autorità, la nuova “Autorità di Controllo prudenziale” (ACP), che avrà il compito di tutelare i consumatori di prodotti finanziari.
Altre disposizioni della legge mirano al sostegno della ripresa economica. Al fine di modernizzare il regime dell’offerta pubblica, è previsto un rafforzamento dei meccanismi di finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI). In particolare la nuova legge detta regole per un finanziamento “garantito” da parte delle banche e per la fusione delle tre banche dell’OSEO, l’organismo pubblico dedicato a supportare il finanziamento delle PMI durante tutte le tappe della loro crescita, attraverso l’aiuto all’innovazione, la garanzia della partecipazione creditizia delle banche e degli investitori con fondi propri ovvero un finanziamento in partenariato.
La legge prevede inoltre la creazione di obbligazioni che dovrebbero favorire il rifinanziamento dei prestiti immobiliari.
Il provvedimento si collega, infine, alla Loi de finances 2011 (Loi n. 2010-1657, du 29 décembre 2010),che completa la regolamentazione dei mercati finanziari, rafforzandola ulteriormente con due disposizioni: l’istituzione di una tassa sistemica sulle attività più a rischio delle grandi banche e l’aumento delle risorse destinate all’AMF al fine di fornire all’Autorità dei mercati i mezzi per allargare il suo campo d’intervento.
Il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) è stato creato nel corso del 2010 mediante l'istituzione, con appositi regolamenti di tre nuove autorità di vigilanza europee competenti, rispettivamente per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, e di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale.
Si tratta in particolare dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, che istituisce l'Autorità bancaria europea (EBA), n. 1094/2010 che istituisce l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), n. 1095/2010 che istituisce l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS).
La creazione del SEVIF fa seguito alle proposte elaborate da un gruppo di esperti (cd. gruppo “de Larosière”) incaricato dalla Commissione europea, nel novembre 2008, di formulare delle raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei a fronte della crisi finanziaria.
In base ai regolamenti istitutivi nei settori di pertinenza le Autorità europee di vigilanza (AEV) possono:
1) elaborare progetti di norme tecniche da presentare alla Commissione per l'adozione mediante atti delegati o di esecuzione (decisioni o regolamenti).
La direttiva 2010/78/UE (cd. Omnibus) del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 individua una prima serie di tali settori - senza ostare all'inclusione di altri settori in futuro - per creare un corpus normativo armonizzato che non complichi la regolamentazione vigente e faccia salve le competenze attribuite agli Stati membri. I progetti di norme tecniche così elaborati sono sottoposti alla Commissione entro tre anni dall'istituzione delle AEV. Entro il 10 gennaio 2014 la Commissione dovrà sottoporre al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulla presentazione da parte delle AEV di progetti di norme tecniche previsti dalla direttiva e formulare proposte appropriate.
2) gestire un meccanismo di risoluzione delle controversie tra autorità nazionali competenti (cd. binding mediation) nei casi in cui esse non possano risolvere tra di loro problemi procedurali o di merito legati all'osservanza degli atti giuridici dell'Unione.
La direttiva 2010/78/UE individua i casi in cui è necessario risolvere una questione, procedurale o di merito, di conformità al diritto dell'Unione ove le autorità nazionali competenti non siano in grado di risolverla da sole: in tale ipotesi una delle autorità nazionali competenti interessate può sottoporre il problema alla propria Autorità europea di vigilanza. L'Autorità europea di vigilanza interessata può prescrivere alle autorità competenti interessate di adottare provvedimenti specifici, o astenersi dal farlo, per risolvere la questione e assicurare la conformità al diritto dell'Unione, con effetti vincolanti per le autorità coinvolte. Nei casi in cui il pertinente atto giuridico dell'Unione conferisca un potere discrezionale agli Stati membri, le decisioni adottate da un'Autorità europea dì vigilanza non si sostituiscono all'esercizio del potere discrezionale da parte delle autorità competenti, conformemente al diritto dell'Unione;
3) stabilire contatti con le autorità di vigilanza di paesi terzi volte all'elaborazione delle decisioni in materia di equivalenza dei regimi di vigilanza nei paesi terzi. A tal fine la direttiva modifica la direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (direttiva MiFlD), e la direttiva 2006/48/CE relativa all'accesso e all'esercizio della funzione creditizia.
4) redigere, pubblicare e aggiornare regolarmente gli elenchi di tutti gli operatori finanziari dell'Unione.
In particolare tali elenchi riguardano:
Con l’articolo 15 della legge comunitaria 2010 (legge n. 217 del 2011) il legislatore ha delegato il Governo a recepire la suddetta direttiva 2010/78/UE.
Il richiamato articolo 15 enuncia i princìpi e criteri direttivi da rispettare nell’esercizio della delega, tra cui: l’obbligo di tener conto dell’integrazione del sistema di vigilanza nazionale nel nuovo assetto di vigilanza del settore finanziario dell’Unione; la previsione di sistemi di cooperazione tra le Autorità nazionali e quelle europee, nonché di metodi volti a consentire l’esercizio della delega di compiti tra Autorità nazionali competenti, e tra le stesse e le Autorità europee; la previsione di modalità attraverso le quali le autorità nazionali tengano conto, nell'esercizio delle loro funzioni, della convergenza in ambito europeo degli strumenti e delle prassi di vigilanza; la disciplina delle ipotesi in cui le Autorità europee possono chiedere informazioni direttamente ai soggetti vigilati dalle Autorità nazionali.
Inoltre, l’articolo 15 specifica che, nell’esercizio della delega, si tenga conto della natura direttamente vincolante delle norme tecniche di attuazione e delle norme tecniche di regolamentazione adottate dalla Commissione europea in conformità ai regolamenti istitutivi delle Autorità di vigilanza europee, nonché delle raccomandazioni formulate nelle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del 14 maggio 2008 affinché le autorità di vigilanza nazionali, nell'espletamento dei loro compiti, prendano in considerazione gli effetti della loro azione in relazione alle eventuali ricadute sulla stabilità finanziaria degli altri Stati membri, anche avvalendosi degli opportuni scambi di informazioni con le Autorità di vigilanza europee e degli altri Stati membri.
Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 130 ha dato attuazione alla predetta direttiva.
Si ricorda che il ddl comunitaria 2012 (A.C. 4925) – che non ha concluso il proprio iter parlamentare prima della fine della legislatura - recava la delega per il recepimento della direttiva 2011/89/UE in materia di vigilanza supplementare sulle imprese finanziarie appartenenti a un conglomerato finanziario, da attuare entro il 10 giugno 2013. Lo scopo principale della direttiva è quello di garantire una portata appropriata alla vigilanza dei conglomerati finanziari, colmando le distanze che si sono venute a creare tra la disciplina della vigilanza supplementare dell’Unione e le direttive di settore relative ai servizi bancari e assicurativi.
In sede di relazione sul ddl, la Commissione Finanze della Camera ha rilevato come una maggiore coesione nelle scelte adottate a livello UE, un più marcato accentramento delle decisioni in capo alle autorità di settore, il ricorso ad una più chiara ripartizione di competenze tra le autorità stesse secondo il principio della vigilanza per finalità, dovrebbero favorire la prevenzione e la gestione delle crisi finanziarie, scongiurando il rischio che alcuni Paesi o soggetti possano avvantaggiarsi degli arbitraggi normativi e delle lacune esistenti, a danno della stabilità dei mercati, e, soprattutto, dei risparmiatori nel loro complesso.
La Commissione ha altresì evidenziato come la gravissima crisi economico - finanziaria mondiale, le cui vicende sono tuttora fonte di forte preoccupazione, dimostri come il rafforzamento della normativa prudenziale e della vigilanza sui principali attori del sistema finanziario internazionale, tra i quali sono certo da annoverarsi i conglomerati finanziari, rappresenti un obiettivo cui occorre puntare con determinazione, sia a livello nazionale sia a livello globale, al fine di evitare che le distorsioni ed i rischi eccessivi emersi nell'operatività di molti operatori finanziari determini conseguenze distruttive per gli stessi mercati, e per le prospettive dell'economia mondiale.
In occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario svoltosi il 14 maggio 2012, il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, nel proprio discorso al mercato finanziario ha evidenziato alcuni rilievi sul nuovo assetto delle AEV.
In particolare, il Presidente ha evidenziato la necessità, in ragione della dinamica congiunturale dei mercati, di ripensare alcuni aspetti strutturali della vigilanza in ambito europeo: ha rilevato in proposito che un primo livello di criticità è rappresentato dalla ripartizione dei ruoli in seno alla nuova architettura europea, entrata in vigore il 1° gennaio 2011. Le Autorità condividono i medesimi obiettivi di carattere generale (la protezione degli investitori, l’integrità dei mercati e la stabilità del mercato finanziario europeo), con possibili duplicazioni e sovrapposizioni di competenze, particolarmente perniciose in periodi di crisi. Inoltre, un secondo profilo problematico è stato individuato nelle modalità con cui ciascuna autorità europea dovrebbe favorire il coordinamento tra le autorità nazionali in caso di crisi, anche mediante l’elaborazione di piani di intervento comuni. La difficoltà di conciliare interessi e visioni, talvolta contrastanti, e la mancanza di un decalogo di misure di emergenza possono pregiudicare, tuttavia, il raggiungimento di questo obiettivo. Un più marcato accentramento delle decisioni in capo alle autorità europee di settore, secondo una puntuale divisione di competenze per finalità, potrebbe consentire una migliore prevenzione e gestione di eventuali crisi future e scongiurare il rischio di free riding da parte di alcuni paesi, a danno dei risparmiatori di altri.
Il Presidente Vegas ha auspicato dunque che la revisione del regolamento istitutivo delle Autorità europee, che dovrà essere avviata dalla Commissione Europea entro il 2 gennaio 2014, potrebbe costituire l’occasione per eliminare le attuali sovrapposizioni di competenze delle tre Autorità e modificare i poteri dell’Esma, per renderne più efficace ed efficiente l’operato, particolarmente in caso di crisi.
Nell'ambito del processo di rafforzamento dell'integrazione economica, finanziaria e fiscale dell'eurozona, nel settembre 2012 la Commissione europea ha presentato alcune proposte legislative volte alla creazione di un sistema di vigilanza bancaria unificata nell'area euro.
Nel quadro del Sistema europeo delle autorita' di vigilanza finanziarie, le proposte della Commissione europea danno seguito ad una richiesta del Consiglio europeo di giugno 2012. Il pacchetto si articola in due proposte di regolamento e in una comunicazione:
Le due proposte legislative prospettano in estrema sintesi:
Le proposte sono state oggetto di un complesso negoziato in esito al quale è stato raggiunto un accordo in seno al Consiglio ECOFIN che ha adottato, in data 12 dicembre 2012 un orientamento generale, avallato dal Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012. L’accordo prevede quanto segue:
L’orientamento generale dell’ECOFIN costituisce la base negoziale del Consiglio dell’UE nelle trattative con il Parlamento europeo, in vista dell’adozione definitiva delle proposte che, come raccomandato dal Consiglio europeo di dicembre, dovrebbe avvenire entro la fine del 2013.
Nel disegno della Commissione europea, avallato dal Consiglio europeo di dicembre 2012, la vigilanza centralizzata costituisce il primo pilastro della futura unione bancaria dell’eurozona, unitamente ad altri tre interventi legislativi:
Il 12 dicembre 2012 la Commissione Finanze ha approvato, in esito all’esame delle proposte sopra indicate, un documento finale. Il documento finale ha anzitutto evidenziato quale prioritaria la rapida adozione delle proposte di regolamento relative alla vigilanza bancaria unificata e, successivamente delle altre proposte relative alla creazione di un'unione bancaria, con particolare riferimento alla proposta di direttiva sul quadro comune per la risoluzione delle crisi e alla futura proposta relativa ad uno strumento unico di risoluzione delle crisi a livello europeo, contestualmente procedendo a definire le modalità con le quali il Meccanismo europeo di stabilità (MES) potrà erogare un sostegno diretto alle banche.
Il documento ha quindi sottolineato l'esigenza di:
Lo stesso 12 dicembre 2012 la Commissione Finanze e tesoro del Senato ha approvato una risoluzione Doc. XVIII, n. 179 formulando nel complesso un parere positivo sulle proposte presentate.
Secondo la Commissione la proposta per la creazione di un sistema europeo di vigilanza bancaria rappresenta un passo coraggioso che contiene, tuttavia, anche alcuni profili critici. La scelta di accentrare in capo alla BCE l’esercizio dei poteri di vigilanza sugli enti creditizi essenzialmente per gli Stati membri dell’area euro, lasciando fuori i soggetti vigilati residenti negli Stati la cui moneta non è l’euro, a meno di un’adesione volontaria, potrebbe creare a parere della Commissione rischi di frammentazione del mercato: da qui l'opportunità di valutare un’estensione dell’applicazione delle nuove regole comuni sulla vigilanza.
Per quanto riguarda l’impostazione dei rapporti tra le autorità nazionali di vigilanza e la BCE, la Commissione, apprezzato l’obiettivo di garantire l’esistenza di un solo sistema di regole, ha evidenziato l’opportunità di ricalibrare l’intervento diretto delle autorità europee, limitandolo, di norma, alle banche cross-border di dimensioni maggiori, assegnando così alle autorità nazionali la vigilanza sulle banche minori sotto la sorveglianza dell’autorità europea, che assicurerebbe la corretta applicazione degli standard comuni fissati dall’EBA.
In relazione al modello di governance del sistema, a parere della Commissione andrebbe assicurata una più efficace separazione tra le funzioni di politica monetaria e quelle di supervisione bancaria all’interno della BCE; riguardo invece al ruolo dell’Autorità bancaria europea, al fine di assicurare un maggiore coordinamento tra tale organismo e la BCE, andrebbe valutata l’opportunità di attribuire al presidente dell’EBA il diritto di voto nelle riunioni del consiglio di vigilanza (anziché assegnargli il ruolo di semplice osservatore).
Nella costruzione del sistema unico di supervisione bancaria europea, la Commissione ha altresì rimarcato l’esigenza di tenere conto – in relazione agli intermediari sottoposti a vigilanza – della dimensione, dei modelli di business e dei diversi profili di rischiosità all’interno del sistema bancario, evitando il rischio di un’omologazione delle regole e delle pratiche di vigilanza. Tale esigenza riguarda in particolare le specificità del modello societario delle banche cooperative italiane, tradizionalmente impegnate nel sostegno alle piccole comunità ed economie locali.
In linea con le risultanze dell'istruttoria parlamentare, il decreto legge n. 179 del 2012 ha modificato la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all'autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, ai fini dell'esercizio di specifici diritti azionari (relativi all'ordine del giorno in assemblea e all'elezione con voto di lista del CdA).
Le banche popolari, sono istituti di credito, di norma costituiti come società cooperative, che operano sostanzialmente nel mercato nazionale, lasciando agli Istituti di credito classici le opportunità di investimenti in mercati esteri. Si distinguono dagli enti aventi natura giuridica di S.p.A., per alcune peculiarità, tra cui: il limite di possesso di capitale sociale di ogni socio; la mutualità non prevalente, che prevede la detenzione della maggioranza delle quote da clienti dell'istituto; il voto capitario, con cui ogni socio è titolare di un singolo voto e la clausola di gradimento che prevede la subordinazione del trasferimento dei titoli al preventivo consenso del Cda.
Nel corso della XVI legislatura, l’attenzione del legislatore si è concentrata a lungo su progetti di riforma delle banche popolari (con i progetti di legge nn. 437, 709, 799, 926, 940 e 1084 esaminati dalla Commissione Finanze del Senato).
Le Autorità di vigilanza, Banca d’Italia e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, avevano più volte rilevato la necessità di una riforma relativamente alla disciplina delle banche popolari, in relazione alle caratteristiche di tali enti e al loro impatto sul territorio.
Tra le questioni emerse nel corso dell’esame parlamentare si ricorda, in particolare, che nel corso dell’Audizione tenutasi presso la Commissione 6° del Senato il 22 giugno 2011, il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia ha evidenziato alcuni punti rilevanti da tenere in considerazione nel realizzare una riforma, ovvero: l’opportunità di innalzare i limiti al possesso azionario, specialmente per le popolari quotate, con maggiori possibilità di possesso azionario in capo agli investitori istituzionali; il riconoscimento per questi ultimi di strumenti atti a proteggere il valore del capitale da essi apportato; infine la libera trasferibilità delle azioni e una semplificazione dell’iter procedurale di ammissione a socio.
E’ stata presa in considerazione la proposta che permette la trasformazione volontaria da banca popolare a società per azioni, soprattutto nel caso di banche popolari quotate e di grandi dimensioni.
Inoltre data la scarsa partecipazione dei soci in assemblea, è stata ventilata una estensione della possibilità per un socio di farsi rappresentare tramite delega, oppure l’introduzione di mezzi di telecomunicazione, in modo tale che si possa tenere l’assemblea contestualmente in luoghi diversi.
La Banca d’Italia ha inoltre rilevato che, in sede di recepimento della direttiva sui diritti degli azionisti, le banche popolari quotate sono state escluse dalle novità introdotte per le S.p.A., volte a rimuovere i vincoli alla partecipazione dei soci all’assemblea e ad accrescere il loro livello di tutela; tale scelta ha comportato l’inopportuna coesistenza di regole differenziate tra S.p.A. e cooperative quotate.
Analogamente, nella segnalazione inviata al Parlamento dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Marcato, l’Antitrust segnalava i profili problematici attinenti alla governance e alla struttura delle banche popolari, in particolare quelle quotate.
Da un lato, l’Antitrust rileva che le banche popolari quotate stanno diventando complessi gruppi societari, di dimensione nazionale, con al vertice la banca popolare/holding finanziaria, che controlla numerose società per azioni e beneficia degli utili delle controllate. Il perseguimento dello scopo degli utili, appare quindi, prevalente rispetto allo spirito mutualistico. Inoltre, la disciplina legale agevola assetti societari gestiti da un ristretto numero di soci, che controllano la holding popolare, senza però rappresentare la maggioranza del capitale sociale. Non c’è pertanto coincidenza tra potere di controllo di una società e rischio assunto mediante investimento del capitale.
L’Antitrust suggerisce quindi che il loro status giuridico sia funzionale ad assicurare lo scopo mutualistico, che la banca “rimanga in mano ai soci”, con un forte legame di appartenenza con il territorio di riferimento.
Per le banche popolari quotate, l’Antitrust ipotizza una riforma che le renda sempre più assimilabili alle S.p.A., attraverso l’eliminazione della clausola di gradimento, l’abolizione del limite all’uso delle deleghe e un ripensamento sul voto per testa e i limiti alla partecipazione azionaria.
In linea con le risultanze dell’istruttoria parlamentare, l’articolo 23-quater,del decreto legge n. 179 del 2012 ha modificato le disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, ai fini dell’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA).
Si modifica in più punti il Testo Unico Bancario, elevando in primo luogo il limite del possesso azionario, diretto o indiretto, nelle banche popolari dallo 0,5 all’1 per cento del capitale sociale. E’ fatta salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
In deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al 3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria, ciò a condizione che il superamento del limite sia dovuto ad operazioni di aggregazione.
E’ anche consentito allo statuto delle Banche Popolari di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta la decadenza dalle qualità assunte, ciò al fine di favorire la patrimonializzazione della società.
Si affida agli statuti delle Banche Popolari la determinazione del numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando il limite di 10 deleghe previsto dal codice civile.
In materia di integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea e di presentazione di nuove proposte di delibera delle società quotate, i soci che rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea (ovvero entro cinque giorni nei casi specificamente previsti dalla legge), l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare. Le domande, unitamente alla certificazione attestante la titolarità della partecipazione, sono presentate per iscritto, anche per corrispondenza, ovvero in via elettronica.
Per effetto della nuova disciplina, si dispone che, per le società cooperative quotate, la misura rilevante del capitale venga determinata dagli statuti, anche in deroga alle disposizioni (articolo 135 del TUF) che impongono che le percentuali di capitale siano rapportate al numero complessivo dei soci.
In tema di elezione e composizione del Cda, lo statuto dovrà prevedere sia che i componenti del consiglio di amministrazione vengano eletti sulla base di liste di candidati, sia la quota minima di partecipazione richiesta per la loro presentazione. Queste non devono superare un quarantesimo del capitale sociale o la diversa misura stabilita dalla Consob. Ove la società abbia forma di cooperativa, la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga alle richiamate disposizioni del TUF.
Alla luce del contesto socio-economico dell'ultimo quinquennio, caratterizzato da una profonda crisi economico-finanziaria e dalla conseguente riduzione dell'offerta creditizia nei confronti, in particolare, delle famiglie e dei clienti retail, il legislatore è intervenuto allo scopo di garantire una maggiore trasparenza nei rapporti tra banche e clienti e, complessivamente, per potenziare gli strumenti di tutela dei consumatori.
Con un primo gruppo di misure legislative, Parlamento e Governo hanno introdotto una compiuta disciplina orientata al contenimento dei costi delle commissioni bancarie: in particolare, è stata predeterminata ex lege sia la misura, sia la modalità di computo della remunerazione spettante alle banche per il servizio di messa a disposizione di somme al cliente oltre l’effettiva disponibilità (cd. affidamenti e sconfinamenti). Tale compiuta disciplina è confluita nell’articolo 6-bis del D.L. 201 del 2011, il quale ha introdotto l'articolo 117-bis nel D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario), successivamente modificato e integrato. Per ulteriori informazioni - e per una breve disamina dell’evoluzione della disciplina nel corso della legislatura - si rimanda al relativo approfondimento.
In materia di credito al consumo, il D.Lgs. 141/2010 (successivamente modificato e integrato nel tempo), oltre al recepire la direttiva 2008/48/CE, ha introdotto norme in materia di trasparenza dei contratti e, più in generale, in materia di tutela dei consumatori. Ha altresì recato una compiuta disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario. Si rinvia all’apposito tema web per ulteriori informazioni.
In considerazione della riduzione della soglia massima di utilizzo del contante a 1.000 euro, nonché dell’obbligo alle Pubbliche Amministrazioni di effettuare le operazioni di pagamento di importo superiore a tale ammontare mediante strumenti di pagamento elettronici, il legislatore ha avvertito l’esigenza di tutelare maggiormente i consumatori – e in particolare quelli appartenenti, per ragioni anagrafiche o sociali, alle fasce più deboli - imponendo agli istituti di credito di predisporre forme semplificate e non onerose di gestione dei risparmi.
In particolare, l'articolo 12 del D.L. 201 del 2011 (ai commi da 3 a 8) ha demandato ad una apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, il compito di definire le caratteristiche di un conto corrente semplificato, detto “conto corrente di base” (o un conto di pagamento di base) che le banche sono tenute ad offrire senza costi di gestione.
La convenzione, che definisce modalità e caratteristiche del conto, firmata il 28 marzo 2012, è operativa dal 1° giugno 2012. Il conto di base è rivolto:
Il conto di base include, a fronte di un canone annuale onnicomprensivo, un certo numero di operazioni annue per determinati servizi (incluse le relative eventuali scritturazioni contabili). E’ prevista la gratuità del canone per i consumatori rientranti nelle fasce socialmente svantaggiate, nonché la gratuità di particolari servizi per i titolari di trattamenti pensionistici fino a 1.500 euro mensili.
La disciplina positiva dei contratti bancari è stata oggetto, nel corso dell’ultimo quinquennio, di una complessa e stratificata serie di novelle.
In primo luogo è stata modificata la disciplina del Testo Unico Bancario in materia di. “jus variandi”, e cioè la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (D.Lgs. n. 141 del 2010, che ha novellato l’articolo 118 del D.Lgs. n. 385 del 1993; sulla materia è poi intervenuto il D.L. n. 70 del 2011). Nel dettaglio, sono state precisate le condizioni alle quali banca e cliente possono convenire la facoltà dell’istituto di modificare unilateralmente alcune condizioni contrattuali; è stato circoscritto l’ambito di tali modifiche; è stata compiutamente disciplinata anche l’informazione da fornire a cliente in rapporto a tali modifiche (anche in considerazione della tipologia di clienti, privati o imprese).
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha condotto nell’alveo del Testo Unico Bancario la disciplina del diritto di recesso e delle spese addebitabili al cliente. Si rinvia alla scheda di approfondimento per ulteriori informazioni.
Anche la materia della cd. “portabilità” dei mutui è stata trasfusa nel Testo Unico Bancario ad opera del D.Lgs. 141/2010; attualmente è contenuta nell’articolo 120-quater del predetto Testo Unico.
Il citato articolo 120-quater consente al debitore di avvalersi della portabilità senza penali o altri oneri di qualsiasi natura. Sono nulli i patti che impediscono o rendono oneroso l'esercizio della "portabilità”. In materia è da ultimo intervenuto il decreto-legge “liberalizzazioni” (articolo 27-quinquies del D.L. n. 1 del 2012) che ha abbreviato i termini utili per il tempestivo perfezionamento della procedura ed ha modificato l’importo del danno risarcibile in caso di ritardo.
Si rinvia alla scheda di approfondimento per una disamina più approfondita delle ultime novità in materia di contratti bancari.
Si veda inoltre il tema web in materia di [tema: disciplina_mutui|mutui e finanziamenti al settore produttivo]] per quanto riguarda le misure volte ad incentivare la concessione di credito a famiglie e imprese.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione trasmessa il 2 ottobre 2012, ha segnalato al Parlamento l’esigenza di disporre la separazione societaria dell'attività di BancoPosta dalle attività postali tradizionali, con lo scopo di aumentare il grado di concorrenza nel settore bancario e di garantire maggior trasparenza nel settore postale tradizionale.
L’articolo 24-ter del D.L. 179 del 2012 ha modificato in più punti la disciplina dell’attività di bancoposta svolta da Poste italiane S.p.a.. Accanto al recepimento di alcune novità intervenute nel corso del tempo nella legislazione bancaria (tra l’altro in materia di servizi di pagamento e tutela dei consumatori), il suindicato provvedimento ha incluso tra le attività di bancoposta l’esercizio in via professionale del commercio di oro; ha consentito a Poste Italiane di stabilire succursali negli altri Stati comunitari ed extracomunitari per l’esercizio di attività di bancoposta; ha previsto che la comunicazione ai clienti delle variazioni contrattuali unilaterali sfavorevoli sia effettuata, in luogo della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o avviso inviato ai correntisti, con le medesime garanzie e tutele previste dal testo unico bancario in materia di contratti di durata e di servizi di pagamento; ha autorizzato Poste a svolgere nei confronti del pubblico il servizio di collocamento di strumenti finanziari (senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente).
La normativa in materia di contenimento dei costi delle commissioni bancarie ha lo scopo di disciplinare sistematicamente la remunerazione dovuta a banche e intermediari per i cd. “affidamenti” (ovvero per l’utilizzo di fidi bancari concordati con la banca) e gli “sconfinamenti” (nel caso di utilizzo di somme oltre la disponibilità effettiva, per conti correnti non affidati), per esigenze sia di certezza del diritto, sia di tutela del cliente bancario, in particolar modo se quest’ultimo è un consumatore.
Sino alla fine del 2008 vigeva, per gli affidamenti in conto corrente e per i conti non affidati (in caso di saldo negativo) un sistema di commissioni che si aggiungevano al tasso debitore, dette di “massimo scoperto”. Tale strumento consentiva di remunerare l’intermediario per il fatto di dover fronteggiare l’utilizzo di somme oltre il fido accordato (ovvero in assenza di fido) al cliente sul conto corrente. Le commissioni erano solitamente determinate applicando una percentuale, pattuita contrattualmente, al livello massimo di utilizzo del fido o di scoperto in conto raggiunto nel periodo di rendicontazione (normalmente trimestrale), indipendentemente dalla durata di tale utilizzo/scoperto.
Con una prima serie di interventi, il legislatore (secondo l’originario articolo 2-bis del D.L. n. 185 del 2008) aveva inizialmente disposto la nullità - a determinate condizioni - di alcune clausole bancarie particolarmente onerose per il cliente, tra cui:
Tale nullità non avrebbe operato ove il corrispettivo fosse stato predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, in forma scritta e con specifiche cautele per il consumatore, volte a garantirne l’effettiva consapevolezza.
L’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, nell’audizione del 21 aprile 2010 presso la Commissione Finanze del Senato (in materia di problematiche relative alle commissioni di massimo scoperto), rilevava come - a seguito dell’entrata in vigore di tale disposizione - la generalità delle banche avesse eliminato la commissione di massimo scoperto e tuttavia introdotto nuove commissioni, distinte per gli affidamenti e gli scoperti in conto.
Per gli affidamenti, tali commissioni erano volte a remunerare l’impegno della banca a mettere a disposizione del cliente una certa somma per un determinato periodo di tempo. Esse, pertanto, non erano più commisurate al livello massimo di utilizzo della linea di credito messa a disposizione, ma all’importo complessivo della medesima; le nuove spese erano applicate in modo fisso, poiché non proporzionali al maggior utilizzo del fido, costituendo esse delle “flat fee” per la disponibilità di quest’ultimo.
Nel caso degli scoperti, le commissioni erano mirate a compensare l’attività istruttoria della banca necessaria per valutare correttamente l’affidabilità del cliente in caso di richieste di credito improvvise.
La 6ª Commissione del Senato, nella risoluzione Doc. XXIV, n. 10 approvata il 29 giugno 2010 proprio in relazione alla segnalazione dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, per quanto concerne i costi degli affidamenti e degli extrafidi ha individuato come un presupposto errato quello di prevedere, in aggiunta al tasso di interesse, una commissione espressa in percentuale fissa o commisurata alle spese di istruttoria veloce. La Commissione si è pertanto espressa per un meccanismo di determinazione del costo dell’utilizzo di somme non a disposizione sul conto corrente ovvero eccedenti il fido in base al quale l’estratto del conto corrente, comunicato dalla banca al cliente, esponga univocamente il tasso effettivo di costo del rapporto.
Con un secondo intervento (articolo 2, comma 2 del D.L. n. 78 del 2009), per accelerare i benefici derivanti dal divieto della commissione di massimo scoperto, veniva successivamente posto un tetto al corrispettivo omnicomprensivo previsto per il servizio di messa a disposizione delle somme (per i rapporti affidati), nella misura massima dello 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento a pena di nullità della relativa clausola contrattuale.
Considerazioni di tenore analogo a quelle dell’AGCM erano formulate anche dalla Banca d’Italia in occasione dell’audizione presso la Commissione Finanze del Senato del 17 novembre 2010. In particolare, l’Istituto segnalava che la disciplina del 2008-2009, oltre a contemplare alcune ipotesi di legittimità della commissione di massimo scoperto, non chiariva il regime commissionale per gli utilizzi extra-fido e per gli sconfinamenti.
Con il D.L. 201 del 2011 (articolo 6-bis) è stata introdotta nel Testo Unico Bancario una complessiva disciplina delle remunerazioni per affidamenti e sconfinamenti, in relazione a determinate tipologie contrattuali (articolo 117-bis).
Ai sensi del comma 1 del richiamato articolo 117-bis, gli unici oneri a carico del cliente per i contratti di apertura di credito sono costituiti da:
Per quanto concerne l’onere a carico del cliente a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento, ovvero oltre il fido, nei contratti di apertura di credito e di conto corrente, è prevista l’applicazione
Sono nulle ex lege le clausole che prevedano oneri diversi o non conformi a quelli previsti dai precedenti commi: tale nullità non si estende al contratto. Si demanda (comma 4) al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR l’emanazione di norme di applicazione della disciplina in esame, con la possibilità che i suddetti provvedimenti estendano la disciplina su affidamenti e sconfinamenti anche ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente. Lo stesso CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non è dovuta la commissione di istruttoria veloce.
Per effetto del D.L. “liberalizzazioni” e delle disposizioni integrative e modificative del medesimo(articolo 27-bis del D. L. n. 1 del 2012, come modificato dal D.L. n. 29 del 2012) è stato precisato che la nullità di tutte le clausole che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, è limitata alle sole clausole stipulate in violazione delle disposizioni di attuazione adottate dal CICR ai sensi del richiamato articolo 117-bis del Testo Unico Bancario.
Il medesimo D.L. “liberalizzazioni” (articolo 27, comma 4) ha conseguentemente disposto l’abrogazione delle suesposte disposizioni del D.L. n. 185 del 2008.
L'articolo 1, comma 1, lettera b) del D.L. n. 29 del 2012 ha poi introdotto e disciplinato il nuovo "Osservatorio sull'erogazione del credito da parte delle banche alla clientela" con l'obiettivo di attivare interventi contro l'ingiustificata restrizione creditizia ai danni del sistema imprenditoriale. Il Prefetto può attivare l’Arbitro bancario finanziario – ABF attraverso una segnalazione per specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari, su istanza del cliente in forma riservata. Il Prefetto, dopo un’informativa sul merito dell’istanza, invita la banca a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito. In seguito, il Prefetto può effettuare la relativa segnalazione all’ABF il quale si pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione.
Per quanto concerne la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali nei contratti bancari (cd. jus variandi) da parte degli enti creditizi, il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha modificato l’articolo 118 del Testo Unico Bancario, su cui è successivamente intervenuto anche il D. L. n. 70 del 2011.
In particolare, le norme vigenti distinguono espressamente tra contratti di durata a tempo indeterminato, nei quali può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo, e contratti di durata a tempo determinato: per questi ultimi la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo e comunque, anche in questi casi, la facoltà di modifica unilaterale deve essere approvata specificamente dal cliente.
Per effetto delle modifiche operate dal citato D. L. n. 70 del 2011, se il cliente è particolarmente qualificato (ovvero non è un consumatore né una micro-impresa) nei contratti di durata a tempo determinato possono essere inserite clausole, purché espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare unilateralmente i tassi di interesse, purché al verificarsi di specifici eventi e condizioni predeterminati nel contratto.
Le modifiche unilaterali devono essere comunicate espressamente al cliente con preavviso minimo di due mesi (anziché di trenta giorni, come disposto in precedenza), con uno specifico schema denominato “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. Le modifiche si intendono approvate ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In sostanza è garantito il termine minimo di due mesi di preavviso, in luogo del precedente termine fisso di sessanta giorni
Sono inefficaci le variazioni contrattuali per cui non siano state osservate le suddette prescrizioni.
Per quanto concerne il diritto di recesso, l’articolo 10, comma 2, del D. L. n. 223/2006 ha previsto la possibilità per il cliente bancario, nei contratti di durata, di recedere liberamente, ovvero senza penalità e senza spese di chiusura. Il D.Lgs. n. 141/2010 ha inserito nel Testo Unico Bancario l’articolo 120-bis, ove sono contenute le disposizioni in materia di diritto di recesso: in particolare, al cliente è consentito di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato senza penalità e senza spese. Si demanda a una delibera del CICR l’individuazione dei casi in cui la banca o l'intermediario finanziario possono chiedere al cliente un rimborso delle spese sostenute in relazione a servizi aggiuntivi da questo richiesti in occasione del recesso.
La relazione al D.Lgs. n. 141 del 2010 ha precisato che il riferimento ai “contratti a tempo indeterminato”, anziché ai “contratti di durata” ha lo scopo di eliminare le incertezze interpretative sorte nel vigore della previgente disciplina. Dunque nei contratti a tempo indeterminato (quali, ad esempio, l’apertura di credito) al cliente spetta la facoltà di recesso a norma del predetto articolo 120-bis, mentre nei contratti di durata (ad es. mutui ed aperture di credito a tempo determinato) la facoltà di recesso spetta al cliente soltanto se pattuita contrattualmente a norma dell’art. 1373 c.c.
Nei contratti di mutuo, il diritto di recesso spetta nel caso di finanziamenti fondiari (ai sensi dell’articolo 40 del TUB) e nelle ipotesi – già illustrate - di mutui per l’acquisto dell'abitazione, di cui all’articolo 120-ter del TUB .
Il richiamato D.Lgs. 141 del 2010 ha introdotto una disciplina sistematica delle spese addebitabili al cliente, inserendola all’articolo 127-bis del TUB.
Nel dettaglio, si vieta a banche e intermediari di addebitare al cliente spese, comunque denominate, inerenti alle informazioni e alle comunicazioni previste ai sensi di legge trasmesse con strumenti di comunicazione telematica; le comunicazioni relative all’esercizio dello ius variandi unilaterale, ai sensi dell’articolo 118 TUB, sono gratuite indipendentemente dagli strumenti di comunicazione impiegati.
Il contratto può prevedere che, se il cliente richiede alla controparte informazioni o comunicazioni ulteriori o più frequenti rispetto a quelle previste dalla legge, ovvero la loro trasmissione con strumenti di comunicazione diversi da quelli previsti nel contratto, le relative spese sono a carico del cliente.
In ogni caso, le spese addebitate per informazioni o comunicazioni devono essere adeguate e proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca o dall'intermediario finanziario, fatto salvo il caso dei contratti di finanziamento, per i quali la consegna di documenti personalizzati può essere subordinata al pagamento delle spese di istruttoria, nei limiti e alle condizioni stabilite dal CICR.
Per “portabilità” dei mutui bancari si intende una serie di disposizioni, in prima battuta recate dell’articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, con le quali si consentire al debitore di sostituire più facilmente l’istituto erogante con uno nuovo, eventualmente a condizioni più favorevoli, allo scopo di accrescere il grado di concorrenza nel mercato dei mutui bancari.
La c.d. portabilità è realizzata mediante l’istituto giuridico della surrogazione del creditore. In sostanza, si permette al debitore di sostituire la banca che ha erogato inizialmente il finanziamento con una nuova banca (perché, ad esempio, quest’ultima propone condizioni migliori), mantenendo viva l’ipoteca originariamente costituita. Nel caso in cui si decida di trasferire il mutuo ad altro intermediario non è quindi più necessaria la cancellazione della vecchia garanzia e l’attivazione di una nuova, con riduzione di formalità e soprattutto di costi notarili. La banca che subentra provvederà a pagare il debito che residua e si sostituirà a quella precedente. Il debitore rimborserà il mutuo alle nuove condizioni concordate.
Il pagamento con surrogazione è disciplinato dagli articoli da 1201 a 1205 del codice civile. In generale, con la surrogazione si consente al debitore di sostituire il creditore iniziale senza necessità di consenso di quest’ultimo, previo pagamento del debito (art. 1202 c.c.). Secondo l’articolo 1204 c.c., la surrogazione ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore. Se il pagamento è parziale, ai sensi dell’articolo 1205 c.c., il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario.
Le disposizioni in materia di portabilità dei mutui sono state trasfuse nell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario (di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) per effetto del D.Lgs. 141/2010, recependo sostanzialmente le disposizioni in materia di portabilità introdotte dal 2007 in poi.
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato, lasciandone intatta la vigenza, l’articolo 8, comma 4-bis del D. L. n. 7 del 2007, che dispone agevolazioni fiscali applicabili al caso in cui il mutuante surrogato subentri nelle garanzie accessorie, personali e reali, accessorie al credito surrogato. In particolare, non si applicano l’imposta di registro, di bollo, le imposte ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative; né trova applicazione l'imposta sostitutiva delle predette forme di prelievo che ordinariamente grava - tra l’altro - sulle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine concluse dagli intermediari.
Il vigente articolo 120-quater dispone, in primo luogo, il debitore può esercitare la facoltà di surrogazione anche se il credito non è esigibile del credito o se è stato pattuito un termine a favore del creditore.
Per effetto della surrogazione il mutuante surrogato subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce (ad es. ipoteca). La surrogazione comporta il trasferimento del contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. L’annotazione della surrogazione presso i registri immobiliari può essere richiesta senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. L’articolo 8, comma 8 del D.L. 70/2011 ha introdotto la possibilità di presentare l’atto di surrogazione per via telematica.
Al cliente non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di surrogazione. Resta salva la possibilità del finanziatore originario e del debitore di rinegoziare il finanziamento in essere, senza spese, mediante scrittura privata anche non autenticata.
Inoltre, è espressamente prevista la sanzione della nullità di ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione. Si tratta di una nullità relativa, che non si estende – per espressa previsione di legge – al contratto.
Il D. L. 78/2009 (articolo 2, comma 3; il relativo contenuto è stato trasfuso nel comma 7 dell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario) ha introdotto la possibilità di risarcimento del danno da ritardo per il caso di intempestivo perfezionamento della surrogazione. Su tale disciplina sono poi intervenuti il D.L. 70/2011 e il D.L. n. 1 del 2012.
Le norme vigenti prevedono che, ove la surrogazione non si perfezioni entro il termine di trenta giorni lavorativi dalla data della richiesta – formulata dalla banca surrogata al finanziatore originario - di avvio delle procedure di collaborazione, il finanziatore originario è tenuto a risarcire il cliente in misura pari all'uno per cento del debito residuo del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili. Infine, la surrogazione per volontà del debitore e l’eventuale rinegoziazione non comportano il venir meno dei benefici fiscali.
La surrogazione si applica (comma 8 dell’articolo 120-quater):
Essa non si applica ai contratti di locazione finanziaria.
In attuazione delle norme sulla portabilità, l’Associazione bancaria italiana (ABI) ha definito una procedura di collaborazione interbancaria volta a contribuire alla migliore realizzazione delle operazioni di portabilità del mutuo, improntata a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.
Si ricorda che l’articolo 8-bis del decreto-legge n. 7 del 2007 ha vietato, nell’ambito dei rapporti assicurativi e bancari, di addebitare al cliente le spese di predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate, relative alle comunicazioni derivanti dall’applicazione, tra l’altro, delle norme sulla surrogazione.
L’articolo 4 del D.Lgs. n. 141 del 2010 ha inserito nel testo unico bancario l’articolo 120-ter, in cui sono state trasfuse le disposizioni in materia di estinzione anticipata dei mutui immobiliari recate dall’articolo 7 del D. L. n. 7/2007. In particolare, è nullo qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclusione del contratto, che vincola il mutuatario al pagamento di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante per l'estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche. Tale nullità è relativa e non comporta la nullità del contratto.
Da ultimo, l'articolo 27-ter del D. L. n. 1 del 2012 ha semplificato le procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia di mutui: in particolare, l’ipoteca si estingue automaticamente anche in caso di mancata rinnovazione entro il termine di vent’anni dall’iscrizione. Essa è cancellata d’ufficio al verificarsi di una delle cause di estinzione legale disciplinate dal codice civile.
Il 19 dicembre 2012 il Governo francese ha presentato al Parlamento un progetto di legge sulla separazione e regolamentazione delle attività bancarie (Assemblée Nationale, XIV legislatura, Projet del loi n. 566(NdR: per il seguito dell’iter si segnala il relativo Dossier legislatif).
Il testo punta a riformare l’attuale sistema bancario francese con l’obiettivo di separare le attività bancarie “utili al finanziamento dell’economia” dalle attività “speculative”, traendo insegnamento dalla recente crisi internazionale.
In particolare le nuove disposizioni proposte impongono agli istituti bancari l’obbligo di affidare ad una filiale creata ad hoc le operazioni sui mercati finanziari effettuate a puro fine speculativo “per conto proprio” e non collegate al servizio ai clienti. Gli istituti bancari potranno pertanto continuare ad effettuare operazioni “sul mercato” per investimenti chiesti e pagati dai clienti e dovrebbero essere ammesse attività finalizzate alla copertura dei rischi propri, ad assicurare un corretto funzionamento del mercato (azionario e obbligazionario) e alla gestione di cassa.
Il progetto di legge contiene anche disposizioni relative alla disciplina della risoluzione delle crisi degli istituti di credito e prevede misure di tutela dei consumatori in materia bancaria.
Il testo legislativo rafforza, infatti, la supervisione delle attività sui mercati, attribuendo maggiori poter all’attuale Autorité de contrôle prudentiel che diventerà l'Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (ACPR), al fine di prevenire e intervenire precocemente in caso di difficoltà delle banche. Ciascun istituto dovrà dotarsi di un “piano preventivo” di soluzione che indichi come l’Autorità di supervisione possa intervenire in caso di pericolo di defaut. Sulla base di tali piani l’Autorité potrà obbligare le banche ad adottare le opportune misure, comprese quelle strutturali se necessarie.
Sempre allo scopo di assicurare una più efficace vigilanza dei poteri pubblici volta ad anticipare e prevenire possibili crisi bancarie future, le nuove disposizioni attualmente all’esame del Parlamento prevedono la creazione di una nuova autorità, il Conseil de stabilité financière, che avrà il compito di individuare tempestivamente il profilarsi di un eventuale rischio sistemico all’interno del settore bancario. Il Conseil sarà dotato di poteri d’intervento per limitare tali rischi, imponendo riserve in fondi propri supplementari o dettando le regole per la concessione del credito attraverso le banche.
Il progetto di legge vieta inoltre le attività speculative su derivati legati alle materie prime agricole o effettuate attraverso operazioni di trading ad alta frequenza (è ancora in via di definizione la velocità di trading al secondo oltre la quale interverrà il divieto).
Il 6 febbraio 2013 la Commissione Finanze dell’Assemblea nazionale ha approvato, con alcuni emendamenti, il progetto legislativo ed il 12 febbraio è iniziata la discussione in Aula.
Tra gli emendamenti al progetto iniziale si segnalano la disposizione che attribuisce al Ministro dell’Economia il potere di fissare una soglia oltre la quale le operazioni sul mercato debbano essere ricondotte alla citata filiale ad hoc e la norma che inquadra giuridicamente le attività “sul mercato” fornendone una precisa definizione.
La Commissione Finanze ha, infine, adottato un emendamento che si inserisce nel quadro della lotta ai paradisi fiscali, obbligando gli istituti bancari a pubblicare, per ogni paese, la natura delle loro attività, i loro prodotti netti bancari e la loro consistenza.
La legge dovrebbe entrare in vigore nella primavera del 2015.
Nella riunione del 6 febbraio 2013 il Governo federale ha approvato il testo di un progetto di legge presentato dal Ministro federale delle finanze Schäuble, intitolato "Entwurf eines Gesetzes zur Abschirmung von Risiken und zur Planung der Sanierung und Abwicklung von Kreditinstituten und Finanzgruppen" (Disegno di legge per la protezione dai rischi, la pianificazione per il risanamento e la risoluzione delle crisi di istituti di credito e di gruppi finanziari). I punti chiave della nuova disciplina riguardano: la semplificazione delle procedure di risoluzione e di risanamento degli enti creditizi e dei gruppi finanziari (art. 1); la separazione delle attività bancarie di rischio da quelle di deposito (art. 2) ; l’introduzione di chiare regole sanzionatorie per i dirigenti di banche ed assicurazioni che abbiano trasgredito i propri obblighi (artt. 3 e 4).
Per quanto concerne il primo campo di applicazione, il progetto di legge governativo contiene disposizioni specifiche per la pianificazione del risanamento e della risoluzione delle crisi di enti creditizi e finanziari, finalizzate all’adozione di misure tempestive e preventive volte ad evitare l’aggravarsi dei problemi e a ridurre i rischi di dissesto bancario. A tal fine gli istituti finanziari interessati dovranno redigere piani di risanamento (Sanierungspläne) contenenti modalità e misure che consentano di intervenire in fase precoce per ripristinare la sostenibilità economica in caso di grave deterioramento della loro situazione finanziaria. Le autorità di vigilanza potranno quindi agire più rapidamente, evitando gli ostacoli che si frappongono alla risoluzione delle crisi di un ente o di un gruppo finanziario.
Il secondo fulcro del progetto governativo è costituito da norme volte a migliorare la protezione dai rischi derivanti da speculazioni finanziarie, a beneficio dei clienti delle banche stesse e, in ultima analisi, di tutti i contribuenti. Sulla base delle raccomandazioni contenute nel rapporto elaborato dal gruppo di esperti per la riforma della struttura del settore bancario dell’Unione Europea (presieduto da Erkki Liikanen, governatore della Banca centrale finlandese), anche il Governo federale ha deciso di introdurre, per le banche, la separazione legale tra l’attività di credito e quella di trading finanziario sopra una certa soglia: le attività di investimento devono ammontare a più del 20% del totale complessivo di bilancio (valore di soglia relativo) o superare i 100 miliardi di euro (valore di soglia assoluto). Inoltre il valore di soglia relativo è integrato da un semplice criterio, in base al quale rientrano nella disciplina solo le imprese con un totale di bilancio maggiore di 90 miliardi di euro, onde evitare che nell’applicazione del valore di soglia relativo vengano comprese troppe banche di piccole dimensioni.
Il disegno di legge affronta, infine, anche la questione della responsabilità individuale. La violazione dei fondamentali obblighi di gestione del rischio da parte di dirigenti di banche ed assicurazioni è punita con la detenzione fino a cinque anni oppure con una sanzione pecuniaria.
Come tutte le iniziative legislative governative, il disegno di legge è stato presentato anticipatamente al Bundesrat stampato BR 94/13 l’8 febbraio: il normale termine di sei settimane attribuito al Bundesrat per esprimere un proprio parere è stato ridotto a tre settimane, poiché il provvedimento è stato eccezionalmente designato come urgente dal Governo federale ai sensi dell’art. 76, comma 2 della Legge fondamentale. Entro tale termine abbreviato il progetto sarà quindi trasmesso al Bundestag per proseguire l’iter parlamentare. Stando al testo del disegno di legge, si tratta di una legge per la quale il successivo parere del Bundesrat non è vincolante.
Per quanto riguarda la previsione relativa all'entrata in vigore delle nuove disposizioni, l'art. 5 del disegno di legge stabilisce che alcune modifiche alla legge bancaria (Kreditwesengesetz – KWG) saranno applicabili a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della nuova legge sulla Gazzetta ufficiale federale, mentre altre modifiche entreranno in vigore dopo la legge di attuazione della direttiva Basilea III-CRD IV nel gennaio 2014; la separazione delle sfere di attività delle banche avverrà quindi entro luglio 2015.
Alla Camera dei Comuni è stato presentato, il 4 febbraio 2013, il Financial Services (Banking Reform) Bill, progetto di legge d’iniziativa del Governo in materia di riforma del sistema bancario e finanziario.
Il testo persegue obiettivi di stabilità finanziaria, di tutela della libertà nella scelta dei prodotti finanziari da parte dei consumatori e di competitività dell’intero settore, in conformità alle raccomandazioni formulate dalla Independent Commission on Banking (ICB, istituita nel 2010), che nel proprio “Libro bianco” pubblicato nel giugno 2012 (Banking reform: delivering stability and supporting a sustainable economy) aveva individuato nei suddetti obiettivi le condizioni necessarie ad una maggiore stabilità dell’intero sistema economico messo alla prova dall’attuale crisi finanziaria.
Le più ampie coordinate entro cui tali obiettivi sono stati indicati al legislatore si rinvengono in precedenti documenti della medesima Commissione, la quale, nella propria relazione per il 2011, aveva raccomandato la riforma strutturale del settore bancario, assieme a misure ritenute idonee ad incrementare la capacità delle banche di assorbire le perdite e a mantenere inalterati servizi di rilievo cruciale per la clientela e per la vitalità dell’economia. In particolare, l’elemento portante di una riforma in quest’ambito sarebbe costituito – secondo la Commissione – dalla separazione tra le banche al dettaglio e le banche commerciali, da introdurre con misure idonee ad isolare (“ring-fencing”) le attività del primo tipo nel quadro dell’operatività del gruppo bancario di riferimento.
Peraltro, il progetto di legge fa seguito alla recente modifica dell’assetto istituzionale degli organi di controllo introdotta dal Financial Services Act 2012. La legge, che ha ricevuto il Royal Assent il 19 dicembre dello scorso anno, segna il superamento del modello del single regulator che ispirò, nel 2000, l’istituzione della Financial Services Authority (FSA), evidentemente oggetto di revisione critica alla luce degli effetti della nota crisi finanziaria. Essa ha infatti conferito alla banca centrale (Bank of England) la competenza generale di vigilanza sulla stabilità del sistema finanziario, esercitata attraverso il Financial Policy Committee (FPC), istituito al’interno della banca centrale medesima, e la Prudential Regulation Authority (PRA), destinata ad operare dall’aprile 2013 come sua articolazione indipendente. I due organismi di nuova istituzione sono responsabili, rispettivamente, della regolazione macro e micro-prudenziale, avendo riguardo, nel primo caso, all’integrità del sistema nel suo insieme, e nell’altro alla vigilanza sui singoli istituti esposti a rischi significativi in ragione della loro attività nel mercato finanziario. La legge del 2012 ha altresì istituito la Financial Conduct Authority (FCA), autorità indipendente di regolazione i cui obiettivi sono individuati nel corretto funzionamento del mercato finanziario, nella sua competitività e nella tutela dei consumatori.
A queste innovazioni ordinamentali ha dunque fatto seguito il Financial Services (Banking Reform) Bill (preceduto da un draft bill sottoposto al previo esame della Parliamentary Commission on Banking Standards istituita ai Comuni nel luglio 2012), le cui disposizioni intendono attuare le indicazioni della Independent Commission on Banking in ordine alla riforma del sistema bancario. Esse delineano, in primo luogo, un sistema di protezione dei depositi posti a fronte della potenziale esposizione debitoria delle banche, siano esse commerciali o operanti nel settore retail. A tal fine viene inoltre modificata la legislazione fallimentare in modo da includere i depositi bancari nella categoria dei crediti privilegiati, purché eleggibili per il sistema di tutela (Financial Services Compensation Scheme, introdotto dal legislatore nel 2000).
Per altro verso, le disposizioni del progetto mirano ad introdurre la già richiamata separatezza tra i due principali ambiti dell’operatività bancaria, affinché le attività dirette ai privati e alle piccole e medie imprese (individuate nel progetto come “core business”) siano tenute distinte da quelle esposte a maggiore rischio e come tali suscettibili di un’incidenza globale sul sistema finanziario.
La riforma portata avanti dal progetto di legge si integra con il riordino di competenze tra gli organi di vigilanza e di controllo, la cui fisionomia operativa vi è delineata per quanto attiene alla separazione tra le attività finanziarie di diversa natura. La Prudential Regulation Authority, tenuta a vigilare sull’applicazione delle norme in materia di sana e prudente gestione delle banche di raccolta, delle società di assicurazione e delle banche di affari, è chiamata ad esercitare il controllo sul rispetto delle regole che precludono, all’interno dei gruppi bancari e al fine di ridurne la complessità strutturale, l’esercizio di determinate attività alle singole banche non abilitate (in quanto “ring-fenced”). D’altra parte, la Financial Conduct Authority, nel quadro delle sue competenze orientate alla tutela dell’integrità del mercato finanziario, è preposta alla vigilanza sui depositi bancari, sulle operazioni finanziarie e sulle infrastrutture che supportano le relative attività (anche nel ruolo di Listing Authority precedentemente ricoperto dalla FSA).
Nel corso della XVI Legislatura, Parlamento e Governo hanno emanato numerose misure volte a fronteggiare l'emergenza di liquidità (credit crunch) che ha colpito le banche e le istituzioni finanziarie, con la conseguente netta riduzione dei finanziamenti alle imprese ed ai consumatori. Il trend di riduzione dei prestiti bancari al settore privato non finanziario è stato registrato anche dall'ultimo Bollettino Economico della Banca d'Italia (gennaio 2013). In particolare, tra settembre e novembre 2012 tali prestiti sono diminuiti del 2,6 per cento (in ragione d'anno, al netto dei fattori stagionali e dell'effetto contabile delle cartolarizzazioni). Tale flessione ha riguardato soprattutto i prestiti alle imprese (-4,0 per cento, contro il -0,8 di quelli alle famiglie). Gli interventi in tal senso adottati hanno dunque inteso tutelare i piccoli risparmiatori dagli effetti della crisi e fornire adeguato sostegno finanziario al tessuto imprenditoriale italiano; tali scopi sono stati perseguiti sia mediante iniziative di tipo esclusivamente legislativo, sia mediante sinergie ed accordi con gli esponenti delle istituzioni creditizie.
Rimandando al tema web sulle liberalizzazioni nel sistema bancario per quanto attiene alla disciplina positiva dei mutui e, più in generale, sulle modifiche apportate in materia di contratti bancari nel corso del quinquennio, in questa sede preme ricordare gli interventi volti a garantire un adeguato livello di liquidità finanziaria nei confronti dei consumatori. Le misure recate hanno interessato soprattutto il comparto immobiliare, colpito duramente dalla crisi economico-finanziaria.
Il richiamato Bollettino economico della Banca d’Italia (gennaio 2013) evidenzia una recente, lieve flessione del costo del credito alle famiglie. Il tasso sui nuovi mutui si attesta al 3,5 per cento per le operazioni a tasso variabile (oltre i due terzi delle erogazioni complessive), rimanendo invece invariato nel breve periodo (al 4,8) per quelle a tasso fisso. Pur beneficiando dell’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari, la riduzione dei tassi è frenata dalla percezione di un rischio di credito elevato da parte degli intermediari.
In una prima fase, il legislatore italiano è intervenuto al fine di consentire ai consumatori di rinegoziare i mutui a tasso variabile accesi per acquistare, costruire e ristrutturare l'abitazione principale (D.L. n. 93/2008 e 185/2008). Per i predetti mutui, in particolare, l'articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 ha predeterminato ex lege la misura delle rate da corrispondere nel corso dell’anno 2009, applicando specifici parametri. Inoltre, la stessa norma ha disposto che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e quelli derivanti dall'applicazione delle condizioni originarie del contratto di mutuo fosse corrisposta dallo Stato. Sono stati introdotti ulteriori vantaggi a favore del mutuatario, soprattutto per quanto attiene all’abbattimento degli onorari notarili e al divieto di applicazione di costi per le formalità concernenti le operazioni di portabilità.
L'articolo 8, comma 6 del D.L. 70/2011 ha consentito di rinegoziare i mutui a tasso variabile, fino al termine del 31 dicembre 2012. Tale agevolazione riguarda i finanziamenti di importo non superiore a 200 mila euro, a condizione che l’ISEE del mutuatario non fosse superiore a 35 mila euro e, salvo accordo tra le parti, non avesse avuto ritardi nel pagamento delle rate.
Con la legge di riforma del mercato del lavoro (articolo 3, commi 48 e 49 della legge n. 92 del 2012) si è provveduto a novellare la disciplina del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, istituito dalla legge finanziaria 2008 (articolo 2, ai commi da 475 a 480, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) e operativo dal 15 novembre 2010.
Scopo del Fondo è di consentire ai mutuatari, per i contratti di mutuo relativi all’acquisto di immobili da adibire a prima casa di abitazione, di chiedere in determinate ipotesi la sospensione del pagamento delle rate; il Fondo provvede altresì a sollevare il mutuatario da specifici costi (ad es. da quelli delle procedure bancarie). Per effetto della sospensione la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione stessa; al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti.
La dotazione iniziale del Fondo, ai sensi della citata legge finanziaria 2008, era di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente l’articolo 13, comma 20 del D.L. 201 del 2011 ha rifinanziato il Fondo con 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
La richiamata legge n. 92 del 2012 ha esteso le misure di sospensione a carico del Fondo anche a ulteriori tipologie di mutui; ha precisato le condizioni alle quali non può essere richiesta la sospensione delle rate; ha codificato in norma primaria le condizioni alle quali si accede ai benefici della sospensione e dell’intervento del Fondo, precedentemente recate dalle sole disposizioni di attuazione.
Accanto alle iniziative di natura legislativa, si rammenta in questa sede l'Accordo per una misura straordinaria di sostegno alle famiglie in difficoltàa seguito della crisi, firmato per la prima volta il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo, fino a marzo 2013), che dispone la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni. La misura riguarda in particolare i mutui di importo fino a 150.000 euro accesi per l'acquisto, la costruzione o ristrutturazione dell'abitazione principale (anche cartolarizzati) e per i clienti con un reddito imponibile fino a 40.000 euro annui che hanno subito nel biennio 2009 e 2010 eventi particolarmente negativi (morte, perdita dell'occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione). Le banche aderenti all'iniziativa possono migliorare tali condizioni. In merito all’iniziativa, l’ABI ha reso noto che (dati di dicembre 2012) le banche hanno sospeso 84.995 mutui, pari a circa 9,8 miliardi di debito residuo, garantendo alle famiglie interessate una liquidità complessiva di 606 milioni di euro (media annua per famiglia di 7.130 euro).
Il peculiare tessuto del sistema imprenditoriale italiano - costituito prevalentemente da piccole e medie imprese - ha legato a doppio filo il sistema bancario al sistema produttivo. Quest’ultimo si avvale infatti delle istituzioni creditizie sia per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti, sia per il funzionamento ordinario delle proprie strutture. Rimane invece relativamente marginale il ruolo dei mercati dei capitali, come peraltro sottolineato all’esito dell’indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, svolta dalla VI Commissione (Finanze) della Camera nel corso della XVI Legislatura.
Sul tema si ricorda altresì l'indagine conoscitiva sui rapporti tra banche e imprese con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento, svolta dalla Commissione Finanze e tesoro del Senato.
La richiamata congiuntura economico-finanziaria, che ha condotto le istituzioni finanziarie e creditizie a diminuire l’offerta di credito alle imprese, ha posto il legislatore italiano innanzi alla necessità di intervenire – ancora una volta in via normativa e in via convenzionale – con lo scopo di approvvigionare di liquidità il tessuto produttivo del Paese.
Tra le misure legislative adottate a tal fine, si rammenta in questa sede il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese ad opera del D.L. n. 201/2011, che ne ha incrementato la dotazione di 400 milioni annui per il biennio 2012-2014. Con decreto del MEF del 26 marzo 2012 (pubblicato sulla G.U. del 24 aprile) sono state definite le modalità per l'incremento della dotazione del Fondo, mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle regioni e di altri enti ed organismi pubblici, ovvero con l'intervento della SACE S.p.A.. Il decreto del 26 giugno (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto) del ministro dello Sviluppo economico e dell'Economia e delle Finanze è intervenuto in rettifica dei parametri per la concessione della garanzia e della controgaranzia, a valere sul Fondo, aumentando la percentuale di copertura e azzerando la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Tra le principali misure di natura convenzionale, si ricorda che nel febbraio del 2012 è stata sottoscritta l’intesa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’ABI e le altre Associazioni di rappresentanza delle imprese, denominata “Nuove misure per il credito alle PMI” volta alla sospensione dei pagamenti da parte di talune imprese e all’allungamento dei piani di finanziamento.
L’accesso alla misura è riservato alle imprese con adeguate prospettive economiche, prive di gravi anomalie nel rimborso dei debiti: rispetto al precedente intervento, i requisiti di ammissibilità appaiono più restrittivi, in particolare per le imprese che già presentino temporanee tensioni di liquidità. La predetta intesa ricalca quanto previsto dal cd. “Avviso comune”, varato sin dal 2009: esso prevedeva la sospensione per dodici mesi dei rimborsi della quota di capitale relativa ad alcune forme di debito delle piccole e medie imprese.
Nel solco dell’innesto di liquidità al sistema si collocano le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa depositi e prestiti (per effetto del combinato disposto dell’articolo 22 del D.L. 185 del 2008 e dell’articolo 3, comma 4-bis del D.L. 5 del 2009) che ha di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell’economia.
In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa depositi e prestiti Spa.
Le convenzioni sottoscritte nel tempo tra l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e la Cdp hanno consentito all’Istituto di strutturare, attraverso apposite convenzioni, specifici plafond di risorse, finalizzati a favorire l’accesso al credito delle PMI. Inoltre, l'ABI e la Cassa depositi e prestiti hanno sottoscritto, il 1° marzo 2012, una nuova convenzione che disciplina le modalità con cui le banche potranno utilizzare il nuovo plafond di 10 miliardi di euro per il finanziamento delle piccole e medie imprese, messo a disposizione dalla stessa Cdp a seguito del sostanziale esaurimento del plafond di 8 miliardi attivato a fine 2009.
Si rammenta che il 20 giugno 2012 la Camera ha approvato la risoluzione 6-00110 che, tra l’altro, impegna il Governo ad aiutare il sistema creditizio tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, cambiando l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese. In particolare si chiede che la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea (si veda in merito il tema web sulla stabilita' del sistema creditizio ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e che siano adottate iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito.
In questa sede è opportuno fare cenno alle ulteriori, seguenti misure che, sebbene non attuate mediante i canali creditizi, sono state finalizzate al rifinanziamento delle imprese ed a favorire la provvista di liquidità:
Il decreto-legge "sviluppo" (D.L. 83 del 2012) ed il decreto "sviluppo-bis” (D.L.n. 179 del 2012) hanno introdotto disposizioni volte a consentire anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del capitale di debito, soprattutto a causa della crisi economica che ha ridotto la capacità di fornire prestiti da parte delle banche. Con la riforma delle disposizioni civilistiche e fiscali relative alle cambiali finanziarie e ai titoli obbligazionari, dunque, anche alle società italiane non quotate è ora permesso ricorre all’emissione di strumenti di debito destinati ai mercati domestici ed internazionali. E' stato inoltre disciplinato il regime fiscale applicabile alle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). L'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 6 marzo 2013 ha indicato il regime fiscale e le modalità applicative riguardo ai nuovi strumenti di finanziamento per le PMI: cambiali finanziarie, titoli obbligazionari e project bond.
Si ricordano, da ultimo, le modifiche normative intervenute in materia di partenariato pubblico-privato per le quali si rinvia al tema Il Codice dei contratti pubblici, che hanno inciso in modo particolare sulla disciplina delle infrastrutture strategiche.
Per quanto concerne la finanza di progetto (project financing), l'art. 41, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 ha disciplinato una specifica procedura che si applica alla lista delle infrastrutture inserite nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) qualora intendano ricorrervi i soggetti aggiudicatori. In relazione alla possibilità di presentare proposte, analogamente a quanto previsto per le procedure di finanza di progetto ordinarie, l’articolo 42 del decreto legge n. 1 del 2012 ha introdotto il diritto di prelazione per il proponente che apporta le eventuali modifiche intervenute in fase di approvazione del CIPE.
Nuove misure per agevolare il finanziamento delle opere da parte dei privati riguardano la cosiddetta defiscalizzazione introdotta dall'art. 18 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), modificata in più occasioni nel corso del 2012 e da ultimo dall'art. 33, comma 3, del D.L. 179/2012. In particolare, al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, possono essere previste, per le società di progetto nonché, a seconda delle diverse tipologie di contratto, per il soggetto interessato, ivi inclusi i soggetti concessionari, misure agevolative, che consistono nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo, in modo da assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di partenariato pubblico privato tenuto conto delle condizioni di mercato.
L’art. 33, comma 1, del D.L. 179/2012, al fine di agevolare la realizzazione di nuove opere infrastrutturali, riconosce, in via sperimentale, ai soggetti titolari di contratti di PPP, ivi comprese le società di progetto, un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa. Tali opere devono essere di importo superiore a 500 milioni di euro e realizzate mediante l’utilizzazione dei contratti di PPP. Devono, inoltre, essere approvate – in relazione alla progettazione definitiva - entro il 31 dicembre 2015, non devono usufruire di contributi pubblici a fondo perduto; ne deve essere, infine, accertata, in esito a una specifica procedura che coinvolge il CIPE, la non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).
Da ultimo,si segnala che è stata introdotta la possibilità per le imprese di assicurazione di utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, anche attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture (art. 42, commi 6 e 7, del D.L. 201 del 2011) e l'emissione di obbligazioni "di scopo”, vale a dire finalizzate al finanziamento di specifiche opere pubbliche, da parte degli enti locali (art. 54 del D.L. 1/2012).
L'attività parlamentare in tema di strumenti di pagamento ha mirato ad adeguare le norme interne alle indicazioni europee - anche per realizzare l'Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) - e rafforzare gli organi preposti alla lotta al finanziamento del terrorismo. Diversi interventi hanno promosso l'utilizzo di pagamenti tracciabili, disincentivando l'uso del contante, anche in funzione del contrasto all'evasione fiscale.
Incidendo sull'articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 (contrasto al riciclaggio) l'articolo 12 del D. L. 201/2011 ha disposto il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro. La soglia precedente per l'utilizzo del danaro contante e dei titoli al portatore era di 2.500.
Successivamente sono stati disciplinati due casi in cui è possibile derogare al generale divieto di utilizzo del contante dai 1.000 euro: il D.L. 16/2012 ha previsto che gli operatori del settore del commercio al minuto e agenzie di viaggio e turismo possono vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, in deroga alle norme sulla limitazione all’uso del contante, utilizzando un'apposita procedura; il D.Lgs. 169/2012 ha elevato a 2.500 euro la soglia per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti.
ll D.L 158/2012 ha disposto che i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici sia negli studi autorizzati in rete, sia intramoenia, dovranno essere effettuati unicamente mediante mezzi di pagamento che assicurino la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo.
In considerazione della riduzione della soglia massima di utilizzo del contante a 1.000 euro e del previsto obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di effettuare le operazioni di pagamento - ivi compresi l'erogazione di stipendi, pensioni e compensi - di importo superiore a mille euro mediante strumenti di pagamento elettronici e carte elettroniche istituzionali, l'articolo 12 del D.L. 201 del 2011 (ai commi da 3 a 8) ha previsto l'istituzione del conto di base (conto corrente o conto di pagamento) che le banche sono tenute ad offrire senza prevedere costi di gestione per determinate categorie. La Convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento che definisce modalità e caratteristiche del conto, firmata il 28 marzo 2012, è operativa dal 1° giugno 2012. Il conto di base include, a fronte di un canone annuale onnicomprensivo, un certo numero di operazioni annue per determinati servizi. E’ prevista la gratuità del canone per i consumatori rientranti nelle fasce socialmente svantaggiate, nonché la gratuità di particolari servizi per i titolari di trattamenti pensionistici fino a 1.500 euro mensili.
Sul versante dei pagamenti verso la pubblica amministrazione l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che, a partire dal 1° giugno 2013, le PA e i gestori di pubblici servizi nei loro rapporti con l'utenza siano tenuti ad accettare pagamenti loro spettanti anche attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione: a tal fine devono comunicare sui propri siti istituzionali il codice IBAN per il pagamento tramite bonifico ovvero gli identificativi del conto corrente postale. Gli stessi soggetti si avvalgono, inoltre, di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l'addebito in conto corrente, indicando sempre le condizioni, anche economiche, per il loro utilizzo.
Per quanto riguarda i pagamenti nei settori del commercio e dei servizi, l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che a decorrere dal 1° gennaio 2014 i soggetti che effettuano l'attivita' di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito ovvero attraverso carte di pagamento. Con D.M. saranno disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalita' e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al tema "La tutela del cliente bancario".
Il D. Lgs. 11 maggio 2009, n. 54 ha introdotto disposizioni sull’accesso agli atti del Comitato di sicurezza finanziaria, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze in ottemperanza agli obblighi internazionali dell’Italia nel contrasto al finanziamento del terrorismo e all'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale. Il Comitato ha il compito di operare le misure di congelamento di beni disposte dalle Nazioni unite e dall'Unione europea per i scopi antiterroristici. Le norme di attuazione (decreto ministeriale) cui è demandata la disciplina del funzionamento del Comitato devono prevedere quali categorie di documenti, formati o comunque rientranti nella disponibilità del Comitato, sono sottratti alla disciplina del normale diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi. In attuazione della suddetta prescrizione è stato emanato il D.M. 20 2010 n. 203.
Si segnala che il D. Lgs. 25 settembre 2009, n. 151 ha recato alcune correzioni e integrazioni alle vigenti norme antiriciclaggio (contenute nel D. Lgs. 231/2007) .
L'articolo 3 del Piano straordinario contro le mafie (legge n. 136 del 2010, come modificata dal D.L. n. 187/2010) ha introdotto disposizioni volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche: è previsto in particolare che i contraenti debbano utilizzare – salvo eccezioni specificamente indicate – conti correnti dedicati alle pubbliche commesse, ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, ed effettuare i pagamenti con modalità tracciabili. La tracciabilità dei flussi finanziari è altresì tutelata mediante l’obbligo di indicare il Codice unico di progetto – CUP, assegnato a ciascun investimento pubblico sottostante alle commesse pubbliche, al momento del pagamento relativo a ciascuna transazione effettuata in seno ai relativi interventi.
Numerose disposizioni hanno interessato la materia dell’intermediazione finanziaria e la disciplina delle società quotate nei mercati regolamentati, sia in conseguenza del recepimento di provvedimenti dell'Unione europea sia, più in generale, per contribuire a fornire segnali di stabilità ai mercati rafforzando il capitale proprio delle imprese. Allo scopo di uniformare la disciplina fiscale del settore finanziario, nella seconda parte della legislatura l'attività parlamentare si è interessata dei profili fiscali delle transazioni e degli strumenti finanziari.
A livello europeo, si segnala - nel 2010 - la nascita di un sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) mediante l'istituzione, con appositi regolamenti, di tre nuove autorità di vigilanza europee competenti, rispettivamente per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, e di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale.
In primo luogo, nell’ambito dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari (conclusa dalla Commissione Finanze nel luglio 2011 ) sono state rilevate la debolezza dei mercati dei capitali e la scarsità dei canali a disposizione delle imprese per alimentare finanziariamente la propria capitalizzazione e le proprie prospettive di crescita. E’ emersa quindi l'esigenza di promuovere taluni interventi correttivi, tra i quali, in primo luogo, la diversificazione dei canali e degli strumenti attraverso cui le risorse finanziarie affluiscono al sistema delle imprese, affiancando al finanziamento bancario altri meccanismi che prevedano un più ampio ricorso al mercato dei capitali.
Tra le proposte della Commissione Finanze che si sono trasformate in provvedimenti legislativi, si segnala il D.L. 83 del 2012, che ha consentito alle società non quotate di emettere cambiali finanziarie e obbligazioni.
Al fine di sostenere la crescita di nuove imprese, il legislatore (con il D.L. n. 98 del 2011) ha quindi introdotto specifici incentivi a vantaggio dei sottoscrittori di "Fondi di Venture Capital" specializzati nelle fasi di avvio delle nuove imprese, esentandone da imposizione i proventi derivanti dalla partecipazione.
In relazione ai prospettati meccanismi fiscali agevolativi per favorire gli investimenti nel capitale delle imprese, si ricordano poi le misure a favore delle start-up innovative (decreto-legge n. 179 del 2012) e i project bond emessi dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (decreto-legge n. 83 del 2012). Il decreto-legge 179/2012 ha quindi esteso la possibilità di emissione di obbligazioni e di titoli di debito per la realizzazione di specifici progetti infrastrutturali alle società titolari delle autorizzazioni per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica e a quelle titolari delle licenze individuali per l’istallazione e la fornitura di reti di telecomunicazioni pubbliche.
A livello europeo, si segnala che il 7 novembre 2012 la Commissione europea e la Banca europea per gli investimenti hanno sottoscritto un accordo di cooperazione che, attraverso una base finanziaria di 230 milioni di euro, consente di avviare la fase pilota dell'iniziativa “Prestiti obbligazionari Europa 2020”, intesa a finanziare progetti infrastrutturali nel settore delle reti transeuropee dei trasporti e dell'energia nel biennio 2012-2013 attraverso l’impiego di prestiti obbligazionari europei (project bond), secondo quanto previsto dal regolamento (UE) n. 670/2012.
Al fine di rafforzare le tutele “anti-scalata” nei riguardi di società con azioni quotate nei mercati regolamentati, è stata dapprima modificata la disciplina in materia di offerta pubblica di acquisto (OPA) rendendo derogabile - per consentire una più efficace difesa del controllo azionario - l'obbligo per le società oggetto di OPA di tenere comportamenti neutrali (non difensivi) nel perdurare dell’offerta (cd.passivity rule). Successivamente (decreto-legge n. 185 del 2008) è stata attribuita alle società la facoltà di introdurre nello statuto la regola di "neutralizzazione" delle limitazioni al trasferimento dei titoli che potrebbero ostacolare un'offerta pubblica di acquisto (cd. breakthrough rule) ed è stata aumentata la misura della quota di partecipazione che l'azionista di controllo può incrementare senza essere obbligato a promuovere una OPA totalitaria (decreto-legge n. 5 del 2009).
Sotto il profilo del sostegno alla stabilità del sistema produttivo, la Cassa Depositi e Prestiti è stata autorizzata ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale (decreto-legge n. 34 del 2011) mentre, al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori strategici e d'interesse nazionale, è stata modificata la disciplina della c.d. golden share(decreto-legge n. 21 del 2012), riformulando le condizioni e l'ambito di esercizio dei poteri speciali dello Stato sulle società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni.
Con riguardo alla tutela degli investitori, rileva l’estensione delle norme recate dal Testo unico in materia di intermediazione finanziaria concernenti la tutela dai cosiddetti "abusi di mercato" anche ai mercati non regolamentati. In materia di prospetti e mercati degli strumenti finanziari, le disposizioni relative alla comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate e al potere di richiedere informazioni da parte della Consob vengono rese applicabili anche agli emittenti strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni nei sistemi multilaterali di negoziazione (D.Lgs. n. 101 del 2009). In materia di prospetti informativi e informazioni su emittenti quotati, si è intervenuti poi - anche a livello regolamentare - in termini di riduzione degli oneri per gli operatori e semplificazione degli adempimenti.
In ambito UE sono state avviate una serie di iniziative che mirano a rafforzare la trasparenza del mercato dei servizi finanziari e la tutela degli investitori. In particolare, il 3 luglio 2012 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte comprendente:
Si segnala, in pimo luogo, l'introduzione (ad opera del decreto-legge 78/2010) di alcuni requisiti per entrare nella disciplina dei fondi comuni di investimento (in estrema sintesi: la pluralità di partecipanti e l’autonomia della Sgr) - volta ad arginare il fenomeno dei cosiddetti «fondi veicolo», ossia quei fondi a ristretta base partecipativa costituiti principalmente con lo scopo elusivo di usufruire dei benefici fiscali previsti dall'attuale normativa - nonché l'istituzione di una imposta sostitutiva delle imposte sui redditi a carico delle società di gestione del risparmio (SGR) che hanno istituito fondi comuni d'investimento immobiliari. Successivamente, è stata riformata la tassazione dei fondi comuni di investimento (decreto-legge n. 225 del 2010), con il passaggio dalla tassazione del cosiddetto “maturato” in capo ai fondi alla tassazione del cosiddetto “realizzato” in capo ai partecipanti al fondo che abbiano sottoscritto le relative quote, di modo che il reddito prodotto dal fondo venga tassato soltanto al momento dell’effettiva percezione da parte del sottoscrittore, ovvero al disinvestimento. E' stato quindi modificato il regime fiscale dei fondi immobiliari (decreto-legge n. 70 del 2011), introducendo un regime di tassazione per trasparenza per i partecipanti, diversi da quelli istituzionali, che possiedono una quota superiore al 5 per cento. I medesimi redditi, se conseguiti da soggetti non residenti, sono soggetti in ogni caso alla ritenuta del 20 per cento.
A livello europeo si segnala che ill 14 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2013)71) relativa all’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie negli 11 Paesi (Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) che hanno richiesto – e ottenuto, a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE – di procedere ad una cooperazione rafforzata in questo ambito (scelta che si è resa necessaria per l’impossibilità di raggiungere l’unanimità dei 27 Governi degli Stati membri richiesta dai Trattati nel settore della fiscalità). La proposta di direttiva prevede, al fine di ridurre al minimo le possibilità di elusione, di assoggettare ad imposta tutte le transazioni finanziarie in cui una delle parti è stabilita in uno Stato membro partecipante (“principio di residenza”), nonché quelle che riguardano strumenti finanziari emessi negli 11 Stati membri, anche se quanti li negoziano non sono stabiliti nei medesimi 11 Stati (“principio di emissione”). L’aliquota sarebbe dello 0,1per cento per le azioni e obbligazioni e dello 0,01 per cento per i derivati. L’imposta non si applicherebbe alle attività finanziarie dei cittadini e delle imprese (ad esempio a prestiti, pagamenti, assicurazioni, depositi ecc.). Secondo i dati forniti nella valutazione d’impatto della Commissione europea, l’imposta sulle transazioni finanziarie dovrebbe produrre entrate di 30-35 miliardi di euro l’anno. La proposta di direttiva dovrà essere approvata all’unanimità dagli 11 Paesi che hanno aderito alla cooperazione rafforzata, previo parere del Parlamento europeo.
Nelle more, la legge di stabilità 2013 ha introdotto una imposta sulle transazioni finanziarie e sui derivati .
Tra gli altri interventi, si ricorda il decreto-legge 78/2009, che ha introdotto la possibilità di rimpatriare o regolarizzare le attività detenute illegalmente all'estero alla data del 31 dicembre 2008 (cd. scudo fiscale ). Sono state dunque oggetto di rimpatrio le somme di denaro e le altre attività finanziarie, tra le quali le azioni e gli strumenti finanziari assimilati, titoli obbligazionari, certificati di massa, quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, polizze assicurative produttive di redditi di natura finanziaria. Il rimpatrio ha riguardato anche titoli o altre attività finanziarie emesse da soggetti italiani purché detenuti all’estero. Il decreto-legge n. 201 del 2011 ha poi introdotto un'imposta sulle attività cd. "scudate".
Si è quindi provveduto ad una complessiva revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria, al fine di unificare le aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento (decreto-legge n. 138 del 2011). E' stata altresì modificata l’aliquota dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli e, al contempo, ampliata la base imponibile su cui insiste l’imposta. E' stata infine introdotta un'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato (decreto-legge n.201 del 2011).
Nel settore assicurativo, i principali interventi hanno riguardato norme volte a contrastare il fenomeno delle frodi assicurative e a migliorare la concorrenza nel settore dell'R.C. auto, con l'intento di offrire maggiori tutele ai consumatori. Nell'ottica di una piena integrazione delle attività di vigilanza, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria, si è provveduto alla soppressione dell'ISVAP e alla contestuale costituzione dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni - IVASS (decreto-legge n. 95 del 2012).
Sotto il profilo della disciplina sostanziale del contratto, sono state approvate (con la legge 23 luglio 2009, n. 99) modifiche alla normativa in tema di assicurazioni pluriennali. In caso di contratto poliennale si prevede una riduzione del premio rispetto a quello previsto per la stessa copertura dal contratto annuale. Se il contratto supera i cinque anni l’assicurato, trascorso il quinquennio, ha facoltà di recedere dal contratto con preavviso di sessanta giorni.
Si è quindi provveduto a modificare il sistema di risarcimento diretto nonché di accertamento e liquidazione dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli. Sono state inasprite le sanzioni previste per la falsa attestazione di uno stato di invalidità derivante da incidente stradale. In aggiunta, oltre alla dematerializzazione dei contrassegni, è previsto che la preventiva ispezione del veicolo o l'installazione della cd. “scatola nera” possano consentire una riduzione delle tariffe. Si introduce, poi, una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona. Si stabilisce quindi l'obbligo per gli intermediari che offrono servizi e prodotti R.C. auto e natanti di informare il cliente sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre compagnie assicurative non appartenenti ai medesimi gruppi (decreto-legge n. 1 del 2012, cd. liberalizzazioni).
Successivamente, la durata del contratto di assicurazione obbligatoria R.C. auto è stata stabilita in un anno con il divieto di rinnovo tacito. Al fine di favorire una scelta contrattuale maggiormente consapevole da parte del consumatore, è prevista inoltre la definizione di uno schema di “contratto base” di assicurazione responsabilità civile auto, nel quale inserire tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria. Ogni compagnia assicurativa, nell'offrirlo obbligatoriamente al pubblico, anche attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi (decreto-legge n. 179 del 2012).
Con lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, il legislatore è intervenuto ridisciplinando organicamente (con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21) la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo in tale settore, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea.
Per mezzo del decreto-legge n. 21 del 2012 sono stati ridefiniti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (DPCM), l’ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio da parte dello Stato (in particolare, del Governo) dei cosiddetti “poteri speciali”, attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici.
Per “poteri speciali” si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni. L’obiettivo del provvedimento è di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che si ricollega agli istituti della "golden share" e "action spécifique" – previsti rispettivamente nell’ordinamento inglese e francese - e che in passato era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia UE.
Per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una apposita Comunicazione, con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su "criteri obiettivi, stabili e resi pubblici" e se è giustificato da "motivi imperiosi di interesse generale". Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico.
Nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito. Gli indirizzi contenuti nella predetta Comunicazione hanno costituito la base per l’avvio da parte della Commissione delle procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 332/1994, recanti la disciplina generale dei poteri speciali. Procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato anche il Portogallo, il Regno Unito, la Francia, il Belgio, la Spagna e la Germania.
Nel dettaglio, il decreto-legge reca anzitutto (all’articolo 1) la nuova disciplina dei poteri speciali esercitabili dall’esecutivo rispetto alle imprese operanti nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale.
La principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell’ambito operativo della nuova disciplina, che consente l’esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Per effetto delle norme in commento, alla disciplina secondaria (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) saranno affidate le seguenti funzioni:
Le norme fissano puntualmente il requisito per l’esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuato nella sussistenza di una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. L’esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Sono poi disciplinati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze che derivano dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte.
Con il D.P.C.M. 30 novembre 2012, n. 253 è stato adottato il regolamento che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale al fine dell’esercizio dei poteri speciali e gli atti/operazioni infragruppo esclusi dall’ambito operativo della nuova disciplina.
L’articolo 2 reca la disciplina dei poteri speciali nei comparti dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Con disposizioni simili a quelle previste dall’articolo 1 del provvedimento per il comparto sicurezza e difesa, alla disciplina secondaria - attraverso regolamenti (anziché DPCM) da adottare previo parere delle Commissioni parlamentari competenti - sono affidate le seguenti funzioni:
I poteri speciali esercitabili nel settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni consistono nella possibilità di far valere il veto dell’esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ovvero imporvi specifiche condizioni; di porre condizioni all'efficacia dell'acquisto di partecipazioni da parte di soggetti esterni all’UE in società che detengono attivi “strategici” e, in casi eccezionali, opporsi all'acquisto stesso. Le norme, in rapporto alle tipologie di poteri esercitabili e alle loro modalità di esercizio, ripropongono – con alcune differenze - la disciplina prevista dall’articolo 1 in relazione alle società operanti nel comparto difesa e sicurezza, secondo quanto segnalato di seguito.
Gli obblighi di notifica sono estesi alle delibere, atti o operazioni aventi ad oggetto il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie riguardanti l’introduzione di limiti al diritto di voto o al possesso azionario. Il veto alle delibere, atti o operazioni può essere espresso qualora essi diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa – nazionale ed europea - di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, ivi compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi pubblici essenziali. Nel computo della partecipazione rilevante ai fini dell’acquisto si tiene conto della partecipazione detenuta da terzi con cui l’acquirente ha stipulato patti parasociali. Anche per le violazioni di cui al presente articolo è prevista la sanzione della nullità degli atti.
Sui regolamenti di attuazione è previsto un parere rinforzato del Parlamento: qualora i pareri espressi dalle Commissioni parlamentari competenti rechino identico contenuto, il Governo, ove non intenda conformarvisi, trasmette nuovamente alle Camere lo schema di regolamento, indicandone le ragioni in un'apposita relazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti sono espressi entro il termine di venti giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, il regolamento può essere comunque adottato.
L'articolo 3 reca norme transitorie e abrogazioni al fine di includervi tutti i provvedimenti riguardanti la previgente disciplina. Si prevede inoltre una condizione di reciprocità operante per l'acquisto, da parte di un soggetto estraneo all'Unione europea, di partecipazioni in società che detengono attivi di rilevanza strategica.
È quindi abrogata la disciplina dei poteri speciali indicata dall'articolo 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, la quale ha luogo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti ovvero dei regolamenti che completano l’individuazione dei singoli settori.
L’articolo novella, inoltre, l'articolo 3, comma 1, del citato decreto-legge n. 332/94, prevedendo che la facoltà – ivi prevista - di introdurre nello statuto societario un limite massimo di possesso azionario trovi applicazione con riferimento alle società a controllo diretto o indiretto pubblico operanti nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e degli altri pubblici servizi (secondo le modifiche intervenute in sede parlamentare).
S’introducono, infine, alcune novelle al codice del processo amministrativo, volte a estendere il rito abbreviato e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (TAR del Lazio) ai provvedimenti adottati nell'esercizio dei poteri speciali nei settori disciplinati dal decreto-legge.
Il nuovo articolo 3-bis prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri trasmetta al Parlamento una relazione sull’attività svolta sulla base dei poteri attribuiti, con particolare riferimento ai casi specifici e agli interessi pubblici che hanno motivato l’esercizio di tali poteri.
Si rinvia ai dossier in calce al presente documento per una sintetica cronistoria della disciplina antecedente il D. L. 21/2012 e le relative censure sollevate nel tempo in sede europea.
In via generale occorre ricordare che, oltre alla disciplina della “golden share”, altri interventi normativi hanno perseguito - con diverse modalità – scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l’economia nazionale.
In particolare, ulteriori diritti speciali in capo all’azionista pubblico sono stati previsti nella disciplina codicistica delle società, nonché, successivamente, nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che ha introdotto nell’ordinamento italiano la cd. “poison pill” (pillola avvelenata) che consente, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile riguardante società partecipate dalla mano pubblica, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l’azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata non concordata. Nella medesima logica di salvaguardia delle società d’interesse nazionale, s’innesta, da ultimo, l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, che ha autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. In particolare, sono state definite "di rilevante interesse nazionale" le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi.
In ragione dell'utilizzo sempre più ampio degli strumenti finanziari derivati da parte degli territoriali, il legislatore ha riformato la materia dettandone una disciplina più dettagliata e restringendone l'emissione entro precisi e severi limiti.
La questione inerente la sottoscrizione di strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali è sorta a seguito dell’instaurarsi di una prassi, consolidata negli anni, in base alla quale regioni, province e comuni hanno fatto ampio ricorso alla finanza derivata sia nella gestione del proprio debito che, in particolare, in fase di ristrutturazione dell’indebitamento. Gli enti (non solo quelli territoriali, in quanto il fenomeno ha avuto incidenza anche presso le amministrazioni centrali) hanno fatto ricorso a tale categoria di strumenti finanziari per gestire l’esposizione ai rischi di mercato o di credito che l’ente stesso assume in relazione alla propria attività.
Per “strumenti finanziari derivati” si intendono gli strumenti finanziari il cui valore dipende (“deriva”) dall’andamento di un’attività sottostante (chiamata underlying asset). Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come, ad esempio, i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come, ad esempio, il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, etc.).
Il decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58 (articolo 1, commi 2 e 3) , recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), fa una prima, ma non esaustiva elencazione delle forme in cui si possono presentare tali strumenti. La pratica internazionale ha tuttavia consentito lo sviluppo di numerose tipologie di contratti, ulteriori a quanto codificato dalla legge, che si possono ritenere appartenenti alla categoria dei derivati.
La particolare complessità di tali strumenti implica un elevato profilo di rischio collegato alla loro sottoscrizione.
Si rammenta che con il regolamento UE n. 648/2012 - European Market Infrastructure Regulation – Regolamento EMIR è stata individuata una cornice europea comune in materia di regolamentazione del mercato dei derivati negoziati fuori dai mercati regolamentati, allo scopo di ridurre i rischi sistemici che vi sono connessi. Il regolamento, adottato il 4 luglio 2012, è formalmente entrato in vigore il 16 agosto 2012. In modo particolare, il predetto regolamento intende regolamentare i derivati "OTC" (over the counter, cioè negoziati singolarmente tra le due controparti e non scambiati su mercati regolamentati), imponendo a tutti gli operatori del settore nuovi e stringenti obblighi, la cui effettiva entrata in vigore è prevista secondo un calendario che prevede varie scadenze in maniera scaglionata.
Da ultimo, il Parlamento Europeo ha approvato (il 7 febbraio 2013) gli standard tecnici al regolamento EMIR: essi entreranno in vigore 20 giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea.
L’attenzione del legislatore alla problematica si è concretata – in particolar modo a cavallo tra la XV e la XVI legislatura – nella progressiva disciplina dell’accesso degli enti locali al mercato dei capitali, nonché dei criteri per l’ammortamento del debito e le operazioni in derivati.
Come anche rilevato dalla Corte dei conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, numerosi enti territoriali, specie di grandi dimensioni, a partire dal 1996 (in virtù della legge 539 del 1995 che consentiva agli enti di effettuare operazioni di swap sui tassi di cambio) hanno iniziato a far ricorso a questo strumento per le suindicate finalità.
Le leggi finanziarie 2007 (legge 29 dicembre 2006, n. 296) e 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) hanno, rispettivamente, limitato l’utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte di regioni ed enti locali e improntato la sottoscrizione dei contratti a criteri di massima trasparenza.
In particolare, la legge finanziaria per il 2007 ha previsto l’obbligo di comunicare i contratti al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze prima della sottoscrizione; il MEF ne verifica la conformità alla normativa vigente e, ove ravvisi violazioni, deve informare la Corte dei Conti affinché possa intervenire in virtù delle proprie competenze. In ossequio al principio della trasparenza, inoltre, gli enti locali debbono trimestralmente fornire allo stesso ministero l'elenco delle operazioni effettuate nonché i dati relativi all'utilizzo del credito bancario a breve termine, ai mutui accesi presso soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione, alle emissioni obbligazionarie e alle cartolarizzazioni. I criteri e gli obiettivi del legislatore della finanziaria 2007 sono stati condivisi anche nella finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) nella quale è stata chiarita la necessità che le modalità contrattuali siano espressamente dichiarate in una nota allegata al bilancio.
Da ultimo, la materia è stata oggetto di modifica con la legge finanziaria per il 2009 (legge 22 dicembre 2008, n. 203, articolo 3), con lo scopo di contenere l’indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali.
In particolare è stato disposto il divieto, per le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, di stipulare contratti relativi a strumenti finanziari derivati fino alla data di entrata in vigore di un apposito regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, cui è demandata l’individuazione della tipologia dei contratti su derivati che possono essere stipulati dagli enti territoriali.
Le norme dispongono la nullità dei contratti emessi in violazione delle norme del suddetto regolamento o privi di un’attestazione scritta dell’ente, nella quale si dichiari di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi. La nullità è di tipo relativo, in quanto può essere fatta valere solo dall’ente stesso.
Le norme hanno previsto stringenti requisiti di forma del contratto (ad esempio, esso deve recare tutte le informazioni in lingua italiana), che deve avere un contenuto tipico.
Alle Regioni e agli enti locali è stato fatto obbligo di allegare al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo una nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratti di finanziamento che includono una componente derivata.
Vengono inoltre accentuati i controlli della Corte dei Conti e vengono ampiamente estesi gli obblighi informativi e di trasparenza.
Ad oggi il regolamento del MEF previsto dalla finanziaria 2009 in materia di contratti derivati stipulati da Regioni ed enti locali non risulta ancora adottato (ancorché vi sia una bozza sul sito del Dipartimento del Tesoro) .
Di tali tematiche si è occupata la Commissione Finanze e tesoro del Senato con un'indagine conoscitiva sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni. Nel documento conclusivo approvato nel marzo 2010 a conclusione dell’indagine Doc. XVII n. 5 viene evidenziata tra l'altro la necessità di un riordino della normativa di settore diretta al rafforzamento delle regole di correttezza, trasparenza e tutela dell’affidamento degli amministratori pubblici; i principi cardine di tale azione potrebbero essere individuati tra l'altro:
A parere della Commissione andrebbe altresì considerata la possibilità di rafforzare i poteri di controllo in materia del Ministero dell’economia e delle finanze.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2012, con riferimento alla mancata previsione di copertura finanziaria di oneri imprevisti derivanti da contratti derivati stipulati dalla Regione Campania, ha affermato che le norme introdotte hanno, tra l’altro, la finalità di garantire che le modalità di accesso ai contratti derivati da parte delle Regioni e degli enti locali siano accompagnate da cautele in grado di prevenire l’accollo da parte degli enti pubblici di oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione. Ciò in considerazione della natura di questa tipologia di contratti, aventi caratteristiche fortemente aleatorie, tanto più per le finanze di un’amministrazione pubblica. In definitiva, secondo la Corte, proprio le peculiari caratteristiche di tali strumenti hanno indotto il legislatore statale a prevedere, limitatamente alle contrattazioni in cui siano parte le regioni e gli enti locali, una specifica normativa non solo per l’accesso al relativo mercato mobiliare, ma anche per la loro gestione e rinegoziazione, che presentano, parimenti, ampi profili di spiccata aleatorietà in grado di pregiudicare il complesso «delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere, appunto, pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività» (sentenza n. 52 del 2010).
E’ stata comunque prevista una deroga a tale disciplina per i territori dell’Abruzzo colpiti dagli eventi calamitosi dell’aprile 2009. In particolare, il decreto-legge “Abruzzo” (articolo 4, comma 8 del 28 aprile 2009, n. 39) con riguardo alla durata massima di una singola operazione di indebitamento, ha autorizzato la regione Abruzzo, la provincia di L'Aquila e gli altri comuni colpiti dal sisma a rinegoziare con la controparte i prestiti, in qualsiasi forma contratti, in essere al 28 aprile 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge); si veda il tema relativo al terremoto in Abruzzo . La durata di ogni singolo prestito può essere estesa per un periodo non superiore a cinquanta anni a partire dalla data della rinegoziazione.
Il decreto-legge 26 giugno 2009, n. 78 (articolo 17, comma 32) ha autorizzato le regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia, in presenza di eccezionali condizioni economiche e dei mercati finanziari, a ristrutturare le operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati al fine esclusivo della salvaguardia del beneficio e della sostenibilità delle rispettive posizioni finanziarie.
Come osservato dalla Corte dei conti nella già citata relazione, sia la giurisprudenza che la dottrina giuridica ritengono che, per valutare la convenienza economico-finanziaria delle operazioni di finanza derivata degli enti pubblici (territoriali in particolare) occorre esaminare non solo le conseguenze finanziarie relative alle singole annualità - in conformità agli ordinari principi della contabilità pubblica -, ma è necessario correlare le loro conseguenze di natura contrattualistico-civile al complesso dei risultati conseguibili nel periodo di validità del contratto.
Il contenzioso tra enti/amministrazioni pubbliche da un lato e banche dall’altro, in materia di contratti derivati, ha infatti principalmente interessato il giudice ordinario (penale e civile) e il giudice amministrativo, e solo in via residuale, e con grandi difficoltà applicative, la Corte dei conti nell’esercizio della funzione giurisdizionale di responsabilità.
Il giudice penale ha perseguito in diverse fattispecie la condotta di funzionari di banca che hanno venduto derivati ad enti locali prospettandone la vantaggiosità in danno dell’ente. Si ricorda in proposito la sentenza dal Tribunale di Milano del 19 dicembre 2012, che ha condannato Depfa Bank PLC, Deutsche Bank AG, JP Morgan Chase Bank N.A. e UBS Limited in favore del Comune di Milano (il giudice ha dichiarato colpevoli i manager coinvolti nella vendita dei prodotti derivati al Comune di Milano disponendo la confisca del profitto dei reati per un totale di 88 milioni di euro).
Il giudice civile è giunto ad affermare che la carenza di una causa legittima rende nullo il contratto di swap. In particolare il Tribunale di Milano, pronunciatosi il 14 aprile 2011, ha ritenuto nulli per carenza di causa i contratti di swap sottoscritti da enti locali che alla data della sottoscrizione presentavano un valore di mercato (mark to market) negativo non compensato mediante l’erogazione, da parte della banca, di un corrispondente premio di liquidità.
Successivamente il Tribunale di Orvieto ha reso un’importante pronuncia il 12 aprile 2012, in sede di reclamo avverso il provvedimento cautelare con cui, in via cautelare, era stato sospeso l’addebito di differenziali negativi connessi ad operazioni del tipo interest rate swap (il contratto col quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, flussi di pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad un capitale nozionale). Confermando il provvedimento cautelare, la corte ha osservato che perché sia garantito un sano equilibrio tra le posizioni dei due contraenti, è indispensabile che lo scambio di flussi legato al differenziale tra i due rispettivi tassi di interesse, al momento della stipula dell’operazione, sia pari a zero, “altrimenti il contratto partirà squilibrato a favore di uno dei due contraenti, evidenziando una possibile patologia della fattispecie negoziale”. Nella suindicata pronuncia, il Tribunale di Orvieto osserva che l’attività di rinegoziazione di uno swap costituisce di per sé una deviazione dalla normale operatività in derivati che un ente pubblico può compiere in ossequio alle esigenze di copertura del debito.
Secondo tale prospettazione, non può essere consentito ad un Comune, al fine di scongiurare l’imminente addebito di differenziali negativi, di ristrutturare il derivato accettando nell’immediato di incamerare liquidità ma al contempo accollandosi un nuovo derivato dal valore già negativo, spostando solo più in là nel tempo il rischio di andare incontro a flussi di cassa negativi. Tutto ciò non rientrerebbe nelle finalità conservative connesse all’attività finanziaria di un ente pubblico ma sfocerebbe, nella sostanza, in un’operazione negoziale non già di copertura bensì dal significato intrinsecamente aleatorio.
Anche il giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sentenza n. 5032 del 7 settembre 2011) ha ritenuto legittima la decisione di una Provincia di annullare nell’esercizio del potere di autotutela operazioni in strumenti finanziari derivati.
Atti di indirizzo e controllo
Nell'ambito dell'iniziative volte a rafforzare al regolamentazione dei mercati finanziari in risposta alle lacune evidenziate dalla crisi economica, le Istituzioni dell'Unione sono intervenute a più riprese sulla disciplina delle agenzie di valutazione del credito (agenzie di rating).
Gli interventi dell'UE sono stati determinati dalla necessità di assicurare che l’attività delle agenzie di rating, volta a misurare la qualità del credito delle società e degli strumenti di debito e quindi la loro capacità di adempiere agli obblighi di rimborso del debito, offra giudizi indipendenti, obiettivi e della massima qualità.
Un primo intervento è stato operato con il regolamento (CE) n. 1060/2009 che ha, tra le altre cose, imposto alle agenzie di rating di rispettare le norme di comportamento per attenuare possibili conflitti di interesse e garantire che i rating e il processo di rating siano di elevata qualità e sufficiente trasparenza.
Un secondo intervento è stato operato con il regolamento (UE) n. 513/2011 che, modificando il regolamento n. 1060/2009, ha attribuito all'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (AESFEM o ESMA, secondo l’acronimo inglese) - una delle tre nuove autorità europee di vigilanza istituite dal regolamento (UE) n. 1095/2010 – la competenza sulle registrazione e la vigilanza sulle agenzie di rating del credito.
Mentre tale ultimo regolamento era ancora in corso di esame è emersa, a fronte dell’acuirsi della crisi del debito sovrano di alcuni Stati membri e delle iniziative assunte in ambito al G20, la necessità di un ulteriore intervento legislativo europeo per rivedere gli specifici requisiti di trasparenza e procedurali nonché i tempi di pubblicazione inerenti ai rating sovrani.
A questo scopo la Commissione europea ha presentato il 15 novembre 2011 un pacchetto di proposte relativo alle agenzie di rating, comprendente:
Il 16 gennaio 2013 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza testo di compromesso, concordato con il Consiglio dell’UE, che prevede, tra le altre cose:
Le due proposte, una volta approvate in via definitiva dal Consiglio dell’UE, verranno pubblicate prossimamente della Gazzetta Ufficiale dell’UE.
Nella seduta del 27 luglio 2011, la VI Commissione (Finanze) della Camera ha approvato la risoluzione n. 7-00649, che impegnava il Governo:
La 6ª Commissione del Senato già il 28 luglio 2010 aveva approvato una risoluzione che sottolineava la necessità di: elaborare regole e procedure idonee a garantire l'indipendenza e l'autonomia delle agenzie di rating di fronte agli emittenti oggetto di valutazione, in modo da eliminare gli effetti dei conflitti di interesse; assicurare la verifica oggettiva della qualità professionale dei collaboratori e dei dipendenti incaricati della procedura di emissione del rating; introdurre strumenti sanzionatori ed istruzioni di vigilanza in grado di prevenire e reprimere la violazione delle regole.
Con una successiva risoluzione la stessa Commissione il 6 marzo 2012 aveva formulato una serie di osservazioni, evidenziando anzitutto la necessità di adottare una definizione giuridica del credit rating più vicina al concetto di «attività di servizio di informazione» basate su dati oggettivi e analisi motivate. Con riferimento ai giudizi sul debito sovrano, la Commissione aveva proposto di introdurre un espresso divieto di emissione di rating non richiesti, ipotizzando altresì che detti i rating, ove difformi dalle analisi delle autorità dell’UE, ma anche del FMI o dell’OCSE, dovessero essere ampiamente e analiticamente motivati. Era stata pertanto sollecitata l'istituzione da parte dell’UE di un organismo indipendente per la valutazione dei titoli di debito pubblico e dell’affidabilità creditizia dei paesi membri dell’Unione. Altra proposta avanzata dalla Commissione concerneva la revisione delle norme vigenti al fine di abrogare tutte le disposizioni che obbligano gli operatori a operare in maniera automatica in relazione ai giudizi emessi, con particolare riferimento alle scelte di portafoglio degli investitori istituzionali e ai titoli di Stato. Con riferimento al possesso azionario, la Commissione aveva sollecitato l’introduzione di un divieto di partecipazioni incrociate tra le società di rating in quanto fattore di non concorrenzialità e di opacità. Infine, stante il modello di finanziamento della agenzie (legato alle commissioni pagate dagli emittenti titoli che richiedono il giudizio), veniva sollecitata l'introduzione di un divieto assoluto per le società di rating di detenere azioni di società emittenti o di società aventi il controllo, diretto o indiretto, o partecipazioni rilevanti.
Il 7 marzo 2012 l'Aula del Senato ha quindi approvato il 7 marzo 2012 una mozione che impegnava il Governo, tra l'altro, a sostenere in ambito UE l'attivazione di un organismo indipendente che svolga attività di rating sui titoli del debito sovrano e di valutazione dell'affidabilità creditizia.
L'attività parlamentare in materia assicurativa ha inciso sia sul profilo strutturale e fiscale dell'impresa di assicurazione, inasprendone la tassazione, sia sulla disciplina sostanziale del contratto di assicurazioni.
Si segnala, in primo luogo, che l’articolo 13 del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto la soppressione dell'ISVAP (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo) e la contestuale costituzione dell'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS). Il nuovo Istituto ha la finalità di assicurare la piena integrazione dell’attività di vigilanza nel settore assicurativo, anche attraverso un più stretto collegamento con la vigilanza bancaria. L'IVASS è presieduto dal Direttore Generale della Banca d'Italia. L'Istituto opera sulla base di principi di autonomia organizzativa, finanziaria e contabile, oltre che di trasparenza ed economicità, per garantire la stabilità e il buon funzionamento del sistema assicurativo e la tutela dei consumatori.
Il decreto legislativo 3 novembre 2008, n. 173, con il quale è stata recepita la direttiva 2006/46/CE in materia di conti annuali e conti consolidati di taluni tipi di società, tra cui le imprese di assicurazione, ha modificato le norme in tema di documenti contabili, con finalità di trasparenza e comparabilità documentale a livello europeo. Inoltre, le medesime disposizioni (articolo 4 del D.Lgs. n. 173 del 2008) hanno esteso le competenze regolamentari dell’Istituto per la vigilanza delle assicurazioni private (ora IVASS), disponendo che tale Autorità possa emanare regolamenti recanti istruzioni esplicative ed applicative, ovvero prescriventi informazioni integrative o più dettagliate, anche in materia di operazioni con parti correlate e di accordi non risultanti dal bilancio, la cui trasparenza è assicurata dal recepimento della direttiva 2006/46/CE.
Il D.L. n. 216/2011 (articolo 29, comma 16-terdecies), al fine di contrastare gli effetti negativi della recente crisi del debito sovrano sul patrimonio delle imprese assicurative, ha prorogato la possibilità per tali imprese di valutare i titoli emessi da Stati dell'Unione europea al valore di iscrizione in bilancio, anche ai fini del calcolo della solvibilità, fino all'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione della direttiva 2009/138/CE (c.d. "Solvency II). Al riguardo sono attribuiti all'ISVAP specifici poteri di vigilanza, al fine di verificare il rispetto delle deroghe così introdotte.
Al fine di attrarre capitali privati per la realizzazione di infrastrutture l'articolo 42, commi 6 e 7, del D.L. n. 210 del 2011 ha demandato all'Isvap l’emanazione di un regolamento che disciplini le modalità, i limiti e le condizioni alle quali le imprese di assicurazione possono utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, ospedaliere, delle telecomunicazioni e della produzione e trasporto di energia e fonti energetiche. Nel definire nuove categorie di attivi e relativi limiti, l’Autorità ha tenuto conto del fatto che l’investimento nel settore delle infrastrutture ha le caratteristiche di impiego di lungo termine, con scarso livello di liquidità ed elevato profilo di rischio. In tal senso, con il provvedimento 18 luglio 2012, n. 2992 sono state apportate modifiche al Regolamento n. 36 del 31 gennaio 2011 al fine di consentire l’utilizzo, ai fini della copertura delle riserve tecniche, delle obbligazioni ed altri titoli di debito, c.d. project bond, emessi dalle società di progetto, dalle società titolari di un contratto di partenariato pubblico privato che operano nel settore delle infrastrutture sopra richiamate.
L’articolo 82 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto modifiche concernenti la determinazione della base imponibile delle imprese operanti, tra l’altro nel settore assicurativo e bancario. In primo luogo, è stata disposta la parziale indeducibilità ai fini fiscali degli interessi passivi contabilizzati. In particolare, per l’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 la quota deducibile ai fini fiscali è pari al 97 per cento degli interessi, mentre a decorrere dall’esercizio successivo gli interessi passivi possono essere imputati in riduzione dell’imponibile fiscale per una quota pari al 96 per cento. Il medesimo articolo 82, inoltre, è intervenuto su alcuni criteri di deducibilità fiscale dei costi delle imprese di assicurazione (riserve sinistri, riserve ramo vita, svalutazione dei crediti) che hanno comportato, nel breve periodo, un incremento della base imponibile fiscale dovuto in parte alla introduzione di una parziale indeducibilità e in parte ad un ampliamento dell’arco temporale nel quale tali oneri possono essere dedotti per quote costanti. Si ricorda, inoltre, l’assoggettamento all’imposta di registro in misura proporzionale delle locazioni di immobili effettuate tra società appartenenti allo stesso gruppo bancario o assicurativo nonché dell’applicazione dell’IVA sulle prestazioni ausiliarie infragruppo effettuate nel 2009 tra società operanti nel settore del credito e dell’assicurazione.
Il decreto-legge n. 78 del 2010 è ulteriormente intervenuto sulla disciplina fiscale delle imprese di assicurazione disponendo, a regime, la parziale indeducibilità delle riserve tecniche relative al ramo danni (art. 38, co. 13-bis); è stata innalzata (articolo 23 del D.L. 98 del 2011) al 5,90 % (in luogo dell'ordinaria misura del 3,9%) l'aliquota IRAP per le imprese di assicurazione.
La legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) ha aumentato la misura dell'acconto dell’imposta sulle riserve tecniche per le imprese di assicurazione, che viene portato allo 0,50 per cento per il periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2012, e allo 0,45 per cento a decorrere dai periodi di imposta successivi. Il versamento dell’acconto del prelievo sulle riserve tecniche può essere compreso tra i crediti d'imposta da utilizzare ai fini della copertura delle riserve tecniche, nonché tra gli attivi delle gestioni separate.
Si ricorda, in primo luogo, che l'articolo 36-bis del D.L. 201 del 2011 ha qualificato come pratica commerciale scorretta il comportamento di banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini di stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è stipulato. Al riguardo, l’ISVAP, con il Provvedimento 2946 del 6 dicembre 2011 - recante una nuova disciplina delle polizze legate ai mutui - ha introdotto norme volte a stabilire che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possano ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari (o vincolatari) delle stesse, al fine di far cessare un conflitto d’interesse penalizzante per i consumatori. In materia è altresì intervenuto il D.L. n. 1 del 2012 che subordina l'obbligo di polizze assicurative legate al mutuo la possibilità del contribuente di scegliere tra almeno due compagnie, che devono appartenere a gruppi diversi.
Le compagnie di assicurazione, ai sensi dell'articolo 22, comma 8, del D.L. n. 179 del 2012, devono garantire una corretta e aggiornata informativa on line ai propri clienti mediante predisposizione sui relativi siti internet di aree riservate, accessibili mediante sistemi di riconoscimento che tutelino la privacy (user-id, password, sistemi di accesso controllato). In tali aree i clienti devono poter verificare lo stato delle proprie coperture assicurative, le scadenze, i termini contrattuali sottoscritti, la regolarità dei pagamenti di premio, i valori di riscatto ovvero le valorizzazioni delle polizze vita, secondo procedure simili agli attuali sistemi di home banking.
Il D.L. n. 179 del 2012 (articolo 22), oltre a rafforzare i requisiti professionali degli intermediari assicurativi favorendone la formazione per via telematica, prevede che gli intermediari assicurativi possano collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. All’IVASS è attribuita la vigilanza in materia ed è data inoltre la possibilità di adottare le più opportune direttive per la corretta applicazione della norma. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo e di accrescere il grado di libertà dei diversi operatori.
Tale disciplina si pone in linea di continuità con quanto previsto dai c.d. decreti Bersani (articolo 8 del D.L. n. 233/2006 e articolo 5, comma 1, del D.L. n. 7 del 2007), i quali hanno disposto il divieto di clausole di esclusiva tra agente assicurativo e compagnia, in funzione dello sviluppo di reti di plurimandato. Il plurimandato nel settore assicurativo è stato più volte auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Al fine di incentivare lo sviluppo delle predette forme di collaborazione nei rami assicurativi danni e di fornire impulso alla concorrenza attraverso l'eliminazione di ostacoli di carattere tecnologico, l'IVASS, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico e sentite l'ANIA e le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi, dovrà definire specifiche e standard tecnici uniformi ai fini della costituzione e regolazione dell'accesso ad una piattaforma di interfaccia comune per le attività di consultazione nonché di preventivazione, monitoraggio e valutazione dei contratti di assicurazione contro i danni. La legge n. 228 del 2012 ha previsto che la definizione dei predetti standard tecnici dovrà avvenire entro giugno 2013.
Nel corso della XVI Legislatura i principali interventi di liberalizzazione nel settore assicurativo sono stati operati con il decreto-legge n. 1 del 2012 (c.d. decreto "liberalizzazioni") e con il decreto-legge n. 179 del 2012 (c.d. decreto "crescita"). Il decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto diverse disposizioni volte a rendere più concorrenziale e trasparente il settore assicurativo, al fine di ridurre il costo delle polizze anche attraverso il contrasto alle frodi. Ad esempio sono previste la volontaria ispezione del veicolo e la "scatola nera" che consentono una riduzione delle tariffe, nonché una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona. Il decreto-legge n. 179 del 2012 ha vietato il rinnovo tacito del contratto r.c. auto per il quale ha inoltre previsto la definizione di un "contratto base" nel quale devono essere contenute tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria.
Il D.L. n. 1 del 2012 contiene numerosi articoli concernenti le assicurazioni. L'articolo 28 obbliga le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari che condizionano l'erogazione di un mutuo alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita a sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili al proprio gruppo. Il cliente può, in ogni caso, scegliere sul mercato una polizza più conveniente. Al riguardo il D.L. n. 201 del 2011 (c.d. “Salva Italia”) ha qualificato come pratica commerciale scorretta il comportamento di banche, istituti di credito e intermediari finanziari i quali, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obblighino i clienti a sottoscrivere una polizza assicurativa erogata dal medesimo soggetto col quale il mutuo è stipulato. Sempre sullo stesso argomento, si evidenzia che il Provvedimento 2946 del 6 dicembre 2011 dell’ISVAP, recante una nuova disciplina delle polizze legate ai mutui, ha stabilito che gli intermediari assicurativi, ivi incluse le banche e altri intermediari finanziari, non possono ricoprire simultaneamente il ruolo di distributori di polizze e di beneficiari delle stesse, in quanto in tale pratica si ravvisa un non sanabile conflitto d’interesse penalizzante per i consumatori.
Si segnala, inoltre, il Regolamento n. 40 del 3 maggio 2012 con il quale l'ISVAP ha definito i contenuti mimini del contratto di assicurazione sulla vita connesso a mutuo, con l'obiettivo di agevolare il consumatore nel confronto tra le offerte e nella ricerca della polizza più conveniente. Tra l'altro si prevede che il cliente ha 10 giorni lavorativi dalla consegna del preventivo per cercare contratti che abbiano condizioni migliori. Le imprese di assicurazione che commercializzano i prodotti vita forniscono sul proprio sito internet il servizio gratuito di rilascio del preventivo personalizzato.
Il “decreto liberalizzazioni”, inoltre, ha introdotto all’articolo 34 l'obbligo per gli intermediari che offrono servizi e prodotti R.C. auto e natanti di informare il cliente sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre compagnie assicurative non appartenenti ai medesimi gruppi; in caso di inadempimento è prevista una sanzione a carico dell'impresa mandante che risponde in solido con l'intermediario. Nell’ambito del sistema bonus-malus la variazione in diminuzione del premio si applica automaticamente nella misura preventivamente quantificata in rapporto alla classe di appartenenza attribuita alla polizza ed esplicitamente indicata nel contratto; la violazione di tale norma comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da parte dell’ISVAP. Infine è stato previsto l’obbligo per la compagnia di assicurazione di risarcire il danno derivante da furto o incendio di autoveicolo indipendentemente dalla richiesta del rilascio del certificato di chiusa inchiesta.
Il D.L. n. 179 del 2012 ha previsto che il contratto di assicurazione obbligatoria R.C. auto abbia durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione; è altresì vietato il rinnovo tacito. L'impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni. Inoltre la garanzia prestata con il contratto scaduto deve essere mantenuta operante fino anon oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, fino all'effetto della nuova polizza. Al fine di favorire una scelta contrattuale maggiormente consapevole da parte del consumatore, il D.L. 179 del 2012 ha previsto la definizione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentiti l'IVASS, l'ANIA e le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi, di uno schema di “contratto base” di assicurazione responsabilità civile auto, nel quale prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria. Ogni compagnia assicurativa, nell'offrirlo obbligatoriamente al pubblico, anche attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi (articolo 22). Le compagnie di assicurazione, inoltre, devono garantire una corretta e aggiornata informativa on line ai propri clienti mediante predisposizione sui relativi siti internet di aree riservate, accessibili mediante sistemi di riconoscimento che tutelino la privacy (user-id, password, sistemi di accesso controllato). In tali aree i clienti devono poter verificare lo stato delle proprie coperture assicurative, le scadenze, i termini contrattuali sottoscritti, la regolarità dei pagamenti di premio, i valori di riscatto ovvero le valorizzazioni delle polizze vita, , secondo procedure simili agli attuali sistemi di home banking. La possibilità di effettuare rinnovi e pagamenti in tali aree riservate on line, inizialmente prevista dal testo originario del decreto, è stata espunta nel corso dell’esame in sede referente.
L'Antitrust ha trasmesso il 2 ottobre al Parlamento la segnalazione, richiesta dall'Esecutivo, per la predisposizione anticipata del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza. Per quanto riguarda il settore assicurativo, l'Autorità ha sottolineato l'importante effetto di incentivo alla mobilità della clientela derivante dallo sviluppo di reti in plurimandato e quindi dal divieto delle clausole di esclusiva nella distribuzione assicurativa. Tali aspetti sono stati disciplinati dall'articolo 22 del D.L. n. 179 del 2012: si prevede, infatti, che gli intermediari assicurativi possano collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. All’IVASS è attribuita la vigilanza con la possibilità, inoltre, di adottare le più opportune direttive per la corretta applicazione della norma. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori.
In precedenza, in materia di durata dell’assicurazione, la legge n. 99 del 2009 aveva disposto, con una modifica all’articolo 1899 del codice civile, che nel caso di contratto poliennale vi sia una riduzione del premio rispetto a quello previsto per la stessa copertura dal contratto annuale. Se il contratto supera i cinque anni l’assicurato, trascorso il quinquennio, ha facoltà di recedere dal contratto con preavviso di sessanta giorni.
In precedenza, nel corso della XV legislatura, hanno avuto particolare impatto sulla disciplina assicurativa l'emanazione dei cd. "decreti Bersani", nonché le norme di attuazione del sistema di risarcimento diretto in materia di RC Auto. Il “primo pacchetto liberalizzazioni” (D.L. n. 233 del 2006), nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile auto, ha vietato alle compagnie di assicurazione e ai loro agenti di vendita di stipulare nuove clausole contrattuali di distribuzione esclusiva e di imposizione di prezzi minimi, ovvero di sconti massimi, praticabili nei riguardi dei consumatori contraenti, a pena di nullità. Il “secondo pacchetto di liberalizzazioni” (D.L. n. 7 del 2007) in primo luogoha esteso a tutti i rami danni il summenzionato divieto. In caso di mancato rinnovo del contratto di assicurazione, è stato previsto che l’ultimo attestato di rischio conseguito conserva validità per un periodo di cinque anni. Inoltre, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, l’impresa di assicurazione non può assegnare al contraente una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito. Tale previsione si riferisce in particolare alle ipotesi di stipulazione di un contratto di assicurazione relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o da un componente stabilmente convivente del suo nucleo familiare. Sotto un diverso versante, nell’ambito dei rapporti assicurativi e bancari, è stato posto il divieto di addebitare al cliente le spese relative a una serie di comunicazioni, tra cui quelle - a carico delle imprese di assicurazione - in materia di variazioni peggiorative alla classe di merito. Inoltre è posto a carico delle imprese di assicurazione l’obbligo di comunicare tempestivamente al contraente le variazioni peggiorative apportate alla sua classe di merito, a fini di maggior trasparenza e pubblicità.
Si ricorda inoltre che, in attuazione delle prescrizioni contenute nel Codice delle assicurazioni private, nonché in considerazione delle novità introdotte dai “pacchetti liberalizzazioni”, l’ISVAP ha emanato il regolamento di disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa (Regolamento n. 5 del 16 ottobre 2006).
Il decreto-legge n. 179 del 2012 ha vietato il rinnovo tacito del contratto R.C. auto per il quale ha inoltre previsto la definizione di un "contratto base" nel quale devono essere contenute tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria. In precedenza il decreto-legge n. 1 del 2012 ha previsto diverse disposizioni volte a rendere più concorrenziale e trasparente il settore assicurativo, al fine di ridurre il costo delle polizze anche attraverso il contrasto alle frodi. Ad esempio sono previste la volontaria ispezione del veicolo e la "scatola nera" che consentono una riduzione delle tariffe, nonché una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona.
Il D.L. n. 179 del 2012 ha previsto che il contratto di assicurazione obbligatoria r.c. auto abbia durata annuale o, su richiesta dell’assicurato, di anno più frazione; è altresì vietato il rinnovo tacito. L'impresa di assicurazione è tenuta ad avvisare il contraente della scadenza del contratto con preavviso di almeno trenta giorni. Inoltre la garanzia prestata con il contratto scaduto deve essere mantenuta operante fino a non oltre il quindicesimo giorno successivo alla scadenza del contratto, fino all'effetto della nuova polizza.Al fine di favorire una scelta contrattuale maggiormente consapevole da parte del consumatore, il D.L. 179 del 2012 ha previsto la definizione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentiti l'IVASS, l'ANIA e le principali associazioni rappresentative degli intermediari assicurativi, di uno schema di “contratto base” di assicurazione responsabilità civile auto, nel quale prevedere tutte le clausole necessarie ai fini dell'adempimento di assicurazione obbligatoria. Ogni compagnia assicurativa, nell'offrirlo obbligatoriamente al pubblico, anche attraverso internet, dovrà definirne il costo complessivo individuando separatamente ogni eventuale costo per eventuali servizi aggiuntivi (articolo 22).
Il D.L. n. 1 del 2012 contiene diverse disposizioni volte a rendere più concorrenziale e trasparente il settore assicurativo, al fine di ridurre il costo delle polizze anche attraverso il contrasto alle frodi. Ad esempio sono previste la volontaria ispezione del veicolo e la "scatola nera" che consentono una riduzione delle tariffe, nonché una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona. Il “decreto liberalizzazioni”, inoltre, ha introdotto l'obbligo per gli intermediari che offrono servizi e prodotti R.C. auto e natanti di informare il cliente sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre compagnie assicurative non appartenenti ai medesimi gruppi; in caso di inadempimento è prevista una sanzione a carico dell'impresa mandante che risponde in solido con l'intermediario. Nell’ambito del sistema bonus-malus la variazione in diminuzione del premio si applica automaticamente nella misura preventivamente quantificata; la violazione di tale norma comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da parte dell’IVASS.
La VI Commissione (finanze) il 26 settembre 2012 ha approvato la risoluzione n. 8-00201 Barbato che impegna il Governo ad adottare misure più incisive per favorire la diminuzione del costo dei premi relativi alla copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, segnatamente per quanto riguarda il contrasto alle frodi nel settore.
Sul sito dell’IVASS è stato predisposto uno strumento per confrontare in maniera personalizzata, in base alla loro convenienza economica, i preventivi R.C. auto di tutte le imprese presenti sul mercato (TuOpreventivatOre). I preventivi elaborati dal sistema sono vincolanti per le imprese per almeno 60 giorni dalla data del loro ricevimento e comunque non oltre la durata della tariffa in corso.
Si segnala, infine, che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato il 22 febbraio 2013 ha pubblicato i risultati della indagine conoscitiva riguardante la procedura di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore della RC Auto, allo scopo di accertare le cause dell'andamento dei premi e dei costi, nonché di individuare le possibili implicazioni concorrenziali della disciplina attuativa della procedura di risarcimento diretto.
Il Codice delle assicurazioni private (articoli 149 e 150 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) ha introdotto e disciplinato la procedura di risarcimento diretto nell’ipotesi di sinistri tra veicoli a motore. In sostanza i danni derivanti dal sinistro sono risarciti non già dalla compagnia del responsabile, ma dalla stessa compagnia del danneggiato. Il risarcimento diretto può essere applicato solo nel caso di sinistri intercorsi tra due veicoli a motore: sono dunque esclusi i sinistri che coinvolgono un numero superiore di veicoli.
In attuazione delle predette norme è stato emanato l’apposito regolamento di disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale (D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254). Il D.P.R. n. 254 del 2006 prevede la stipula di una convenzione tra imprese per regolare i rapporti organizzativi ed economici finalizzati alla gestione del risarcimento diretto. In forza di tale disposizione è stata sottoscritta, da tutte le imprese assicurative con sede in Italia, la Convenzione tra Assicuratori per il Risarcimento diretto – CARD. Il regolamento è entrato in vigore il 1° gennaio 2007, applicandosi ai sinistri verificatisi a partire dal 1° febbraio 2007.
Il “decreto liberalizzazioni” (D.L. n. 1 del 2012) intervenendo sul sistema del risarcimento diretto, ha introdotto un nuovo criterio, che deve essere definito dall’IVASS, per il funzionamento del sistema al fine di incentivare l'efficienza produttiva delle imprese ed in particolare il controllo dei costi dei risarcimenti e l’individuazione delle frodi.
Il D.L. n. 1 del 2012 (recependo diverse disposizioni già presenti nel testo unificato delle proposte di legge C. 2699-ter, C. 1964, C. 3544 e C. 3589 approvato, il 30 giugno 2011, in sede legislativa dalla VI Commissione finanze della Camera) ha introdotto l’obbligo per le imprese operanti nel ramo RC auto di trasmettere all'IVASS una relazione annuale nella quale devono essere indicati: il numero dei sinistri a rischio di frodi; il numero delle denunce presentate all'autorità giudiziaria; l'esito dei conseguenti procedimenti penali; le misure organizzative interne adottate per contrastare i fenomeni fraudolenti.
Sulla base della relazione l’IVASS esercita i suoi poteri di vigilanza al fine di assicurare l’adeguatezza dell’organizzazione aziendale e dei sistemi di liquidazione dei sinistri rispetto all’obiettivo di contrastare le frodi nel settore. Il mancato invio della relazione è sanzionato dall’IVASS con un minimo di 10.000 ed un massimo di 50.000 euro. Le imprese sono inoltre tenute a indicare in bilancio e a pubblicare sui propri siti internet una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri conseguente alla attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta. Le imprese di assicurazione devono inoltre rendere pubblica una stima circa la riduzione degli oneri per i sinistri derivante dall'accertamento delle frodi, conseguente all'attività di controllo e repressione delle frodi autonomamente svolta.
Un regolamento ministeriale dovrà definire la dematerializzazione dei contrassegni e la loro sostituzione con sistemi elettronici. La violazione dell’obbligo di assicurazione può essere rilevata anche attraverso i dispositivi di controllo del traffico.
Sono previste, inoltre, la volontaria ispezione del veicolo e la “scatola nera” che rendono possibile una riduzione delle tariffe. È stabilita, inoltre, una restrizione della risarcibilità del danno biologico per le lesioni di lieve entità. E' stata, infine, inasprita la normativa sanzionatoria per gli esercenti una professione sanitaria che attestano falsamente uno stato di invalidità derivante da un incidente stradale da cui derivi il risarcimento del danno connesso a carico della società assicuratrice. Le stesse sanzioni, in quanto applicabili, sono estese ai periti assicurativi per gli accertamenti e le stime falsi di danni a cose.
Il 14 giugno 2012 la Commissione finanze della Camera ha approvato la risoluzione n. 7-00904 D'Antoni con la quale si impegna il Governo a dare quanto prima attuazione alle norme per la riduzione dei costi e per il contrasto alle frodi nel settore delle assicurazioni RC auto, nonché a fornire al Parlamento compiute e dettagliate informazioni al riguardo.
Successivamente l'articolo 21 del D.L. 179 del 2012 ha attribuito all'IVASS il compito di curare la prevenzione amministrativa delle frodi nel settore dell'assicurazione R.C. auto, con riguardo alle richieste di risarcimento e di indennizzo e all'attivazione di sistemi di allerta preventiva contro i rischi di frode. L'IVASS ha il compito di mettere in correlazione le banche dati gestite da soggetti diversi: l'istituzione di un archivio informatico integrato dovrà evidenziare gli indici di anomalia che possano formare oggetto di successivo approfondimento da parte delle Autorità preposte e possano stimolare azioni di vigilanza sulle imprese di assicurazione e la rete dei fiduciari collegati (intermediari, consulenti, periti, liquidatori). Le banche dati da correlare restano di proprietà e in gestione di soggetti pubblici distinti. L'IVASS avrà un ruolo proattivo verso le Autorità giudiziarie per segnalare i parametri di anomalia e incentivare azioni di indagine utilizzando il veicolo della vigilanza assicurativa, eventualmente con la collaborazione delle stesse compagnie coinvolte e vittime dell'ipotesi di frode assicurativa.
L'attività parlamentare, allo scopo di uniformare la disciplina del settore finanziario e per contribuire a fornire segnali di stabilità ai mercati, nel corso dell'ultimo anno si è spesso interessata dei profili fiscali di transazioni e degli strumenti finanziari, anche recependo determinate tendenze emerse in sede europea.
In ambito europeo, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva del Consiglio concernente un sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie, volta ad introdurre un’imposta sulle transazioni finanziarie in tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea. Tale imposta si applicherebbe a tutte le transazioni di strumenti finanziari tra enti per le quali almeno una controparte della transazione sia stabilita all’interno dell’UE. Lo scambio di azioni e obbligazioni sarebbe tassato con un’aliquota dello 0,1%, mentre per i derivati il tasso sarebbe dello 0,01%. Secondo i calcoli della Commissione, che propone l’entrata in vigore dell’imposta il 1° gennaio 2014, il gettito potrebbe aggirarsi intorno ai 57 miliardi di euro ogni anno. Il 22 gennaio 2013 il Consiglio ECOFIN ha approvato la proposta di decisione che autorizza Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia ad instaurare una cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarie (COM(2012)631), già approvata dal Parlamento europeo il 12 dicembre 2012. A seguito dell'approvazione della cooperazione rafforzata da parte di Consiglio e PE, la Commissione dovrebbe presentare a breve la proposta di direttiva relativa all'imposta, applicabile ai soli Paesi che hanno aderito alla cooperazione rafforzata, che tuttavia, secondo le indicazioni fornite dalla stessa Commissione, riproporrà in larga misura i contenuti di quella presentata nel settembre 2011 (COM(2011)594), su cui il Consiglio non è riuscito a raggiungere un accordo unanime (da qui l'esigenza di ricorrere alla cooperazione rafforzata).
La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500) ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie sulle seguenti operazioni:
Con il D.M. 21 febbario 2013 sono state previste le norme attuative dell'imposta sulle transazioni finanziarie (c.d. Tobin tax). L'imposta si applica al trasferimento della proprietà delle azioni e degli strumenti finanziari partecipativi emessi da società residenti nel territorio dello Stato con capitale superiore a 500 milioni di euro, a prescindere dal Paese di provenienza dell'ordine. Al decreto ministeriale è allegato l'elenco degli emittenti italiani con capitalizzazione attualmente inferiore alla predetta soglia. Resta invece escluso dall'applicazione il trasferimento della proprietà di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), ivi incluse le azioni di società di investimento a capitale variabile. Per il 2013, considerata anche la partenza a esercizio già iniziato, la percentuale è fissata nella misura dello 0,22 per cento (per le operazioni over the counter) e dello 0,12 (per le operazioni concluse nei mercati regolamentati). Il calcolo delle somme dovute è effettuato sul saldo netto di fine giornata, relativamente al titolo utilizzato; in caso di acquisto e parziale rivendita è imponibile la differenza positiva. A partire da luglio 2013 saranno imponibili anche le operazioni sui derivati; l'aliquota da applicare in questi casi, però, varierà a seconda del tipo di strumento oggetto della compravendita e del valore del contratto.
Responsabili del versamento della Tobin tax sono le banche, le società fiduciarie e le imprese di investimento che intervengono nell'esecuzione delle operazioni, ovvero i notai. Quando, però, intervengono nell'esecuzione dell'operazione soggetti localizzati in Stati o territori con i quali non sono in vigore accordi per lo scambio di informazioni e per l'assistenza al recupero dei crediti ai fini dell'imposta, tali soggetti sono considerati a tutti gli effetti acquirenti o controparti finali dell'ordine di esecuzione. L'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del decreto 21 febbraio 2013 ha individuato con provvedimento direttoriale del 1° marzo 2013 le nazioni con le quali non sono in vigore accordi per lo scambio di informazioni e per l'assistenza al recupero crediti in materia di transazioni finanziarie.
Si ricorda al riguardo che un’imposta sulle transazioni finanziarie era già prevista nel nostro ordinamento prima del 2007: era applicata su ciascuna operazione di borsa, nella misura dell’1,4 per mille. Dopo alcune modifiche introdotte dal d.lgs. n. 435 del 1997, l’imposta era stata definitivamente cancellata dall’ordinamento con il decreto legge n. 248 del 2007.
Nella XVI legislatura, le mozioni n. 1-00800 e n. 1-00822 (approvate il 25 gennaio 2012) impegnavano il Governo a esprimere il proprio consenso all'applicazione di una tassazione sulle transazioni finanziarie a livello di Unione europea o di Eurozona e a collaborare con le istituzioni europee e con gli altri Governi già favorevoli. Sono di analogo tenore le mozioni n. 1-00817, n. 1-00848, n. 1-00849, n. 1-00850, n. 1-00851, n. 1-00852, n. 1-00853 e n. 1-00854 (approvate il 7 febbraio 2012). Successivamente, la Commissione Finanze della Camera ha calendarizzato alcune proposte di legge volte ad istituire un’imposta sulle transazioni finanziarie (ITF). Mentre l'A.C. 3564 individua l’ambito di applicazione alle sole transazioni valutarie, gli A.C. 3740 e A.C. 4389 lo estendono a tutte le attività finanziarie.
Anche la 6ª Commissione Finanze e tesoro del Senato il 14 marzo 2012 ha approvato una risoluzione Doc. XVIII n. 144 in cui si è espressa favorevolmente sulla proposta comunitaria di un sistema comune d’imposta sulle transazioni finanziarie.
Il testo confluito nella legge di stabilità riprende in parte i contenuti delle proposte parlamentari.
L’articolo 2 (commi da 6 a 12) del decreto-legge n. 138 del 2011 ha previsto, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la complessiva revisione del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria, al fine di unificare le aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, ad un livello intermedio fissato al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.
Successivamente, l’articolo 19 del decreto-legge n.201 del 2011 è intervenuto in materia di tassazione delle attività finanziaria, in primo luogo modificando - a decorrere dal 1° gennaio 2012 – l’aliquota dell’imposta di bollo sulle comunicazioni relative ai depositi di titoli e, al contempo, ampliando la base imponibile su cui insiste l’imposta, al fine di includervi anche i prodotti e gli strumenti finanziari non soggetti all’obbligo di deposito - ad esclusione dei fondi pensione e dei fondi sanitari - per i quali viene prevista un’imposta su base proporzionale pari all’1 per mille per il 2012 e all’1,5 per mille a decorrere dal 2013, calcolati in base al valore di mercato o, in mancanza, a quello “nominale o di rimborso” degli investimenti. Per effetto delle precisazioni operate dal decreto-legge n. 16 del 2012, l'imposta di bollo proporzionale colpisce anche i c.d. "conto deposito", bancari e postali, anche se rappresentati da certificati; per i buoni postali fruttiferi emessi in forma cartacea prima del 1° gennaio 2009, l’imposta è calcolata sul valore nominale del singolo titolo ed è dovuta nella misura minima di euro 1,81. Il comma 509 della legge di stabilità 2013 ha introdotto un limite di 4.500 euro all’imposta, a decorrere dall’anno 2013, per i soggetti diversi dalle persone fisiche. Si segnala che l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti al riguardo con la circolare 48/E del 21 dicembre 2012.
Il medesimo decreto-legge n. 201 del 2011 ha introdotto un'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato ed un'imposta sulle attività emerse a seguito della normativa dello "scudo fiscale".
Il D.L. n. 201 del 2011 ha introdotto l’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE), disciplinata dai commi da 18 a 21 dell’articolo 19. Dalla formulazione delle norme introdotte, tale forma di tassazione sembra riferirsi al solo valore delle attività finanziarie, non colpendo dunque i dividendi percepiti in virtù del loro possesso, né le plusvalenze realizzate dalla loro cessione ma aggiungendosi a tali forme di prelievo, ove applicabili.
Base imponibile è il valore di mercato delle attività finanziarie, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui esse sono detenute, anche utilizzando la documentazione dell’intermediario estero di riferimento e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso. Dall’imposta si deduce, per evitare fenomeni di doppia imposizione, un credito d’imposta, fino a concorrenza del suo ammontare, pari al valore dell’eventuale imposta patrimoniale versata nello Stato in cui sono detenute le predette attività finanziarie. Per quanto concerne i versamenti, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione, le sanzioni, i rimborsi e il contenzioso la normativa rimanda alla disciplina in materia di IRPEF.
La legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 518-519) ha previsto il differimento dell'istituzione dell'IVAFE dal 2011 al 2012; i versamenti già effettuati per l’anno 2011 si considerano eseguiti in acconto per l’anno 2012.
Il decreto legge n. 225 del 2010 (milleproroghe) ha modificato, con decorrenza 1° luglio 2011, la disciplina fiscale dei fondi di investimento mobiliare con sede in Italia, ivi compresi i fondi lussemburghesi storici, al fine di uniformare il regime fiscale a quello dei fondi esteri armonizzati. In particolare, è stato introdotto il principio della tassazione sul realizzato in capo all’investitore in luogo della tassazione del maturato in capo al fondo. Per i soggetti che alla data del 30 giugno 2011 siano in possesso di quote di partecipazione al fondo è prevista una specifica disciplina transitoria. A decorrere da luglio 2011 all’investitore viene trattenuta, al momento del realizzo, una ritenuta in misura pari al 12,50%; la ritenuta è a titolo definitivo se operata nei confronti delle persone fisiche non imprenditori mentre è a titolo di acconto per gli imprenditori individuali e per le società di persone e soggetti equiparati. La ritenuta non si applica nel regime del risparmio gestito (gestioni individuali di patrimoni mobiliari e fondi pensione) e agli OICR con sede in Italia, ivi compresi i fondi di investimento immobiliare.
Il decreto-legge "sviluppo" (D.L. 83 del 2012) ed il decreto "sviluppo-bis” (D.L. n. 179 del 2012) hanno introdotto disposizioni volte a consentire anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del capitale di debito, soprattutto a causa della crisi economica che ha ridotto la capacità di fornire prestiti da parte delle banche. Con la riforma delle disposizioni civilistiche e fiscali relative alle cambiali finanziarie e ai titoli obbligazionari, dunque, anche alle società italiane non quotate è ora permesso ricorre all’emissione di strumenti di debito destinati ai mercati domestici ed internazionali. E' stato inoltre disciplinato il regime fiscale applicabile alle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). Viene a tal fine introdotto un regime fiscale agevolato per gli interessi derivanti dai predetti titoli, consistente nell’assimilazione ai titoli di Stato e, dunque, a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5%. Le disposizioni in esame precisano poi i limiti di deducibilità degli interessi passivi per i project bond; introducono un regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie (e le operazioni ad esse correlate) rilasciate in relazione all’emissione di project bond. L’emissione di detti titoli viene infine consentita anche alle società già operative, per coprire debiti contratti precedentemente sulle infrastrutture esistenti.
L'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 6 marzo 2013 ha indicato il regime fiscale e le modalità applicative delle disposizioni introdotte dal D.L. n. 83/2012 e dal D.L. n. 179/2012 riguardo ai nuovi strumenti di finanziamento per le PMI: cambiali finanziarie, titoli obbligazionari e project bond. L'imposta sostitutiva nella misura del 20% si applica anche agli interessi e altri proventi derivanti dalle cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emessi da banche e da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione, nonché alle cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari negoziate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione emesse dalle altre società. Nella circolare sono forniti chiarimenti anche riguardo alla documentazione e agli adempimenti richiesti ai fini della deducibilità degli interessi passivi da parte della società emittente: agli interessi corrisposti sulle cambiali finanziarie e sulle obbligazioni e titoli similari, negoziati in mercati regolamentati, emesse da società con azioni non quotate, si applicano i limiti di indeducibilità di cui all'articolo 96 del TUIR; in altre parole, viene estesa l'area degli oneri finanziari che sfuggono alla regola che ne subordina la deducibilità per l'emittente a un determinato livello del tasso di rendimento effettivo, calcolato al momento dell'emissione. Si segnala, infine, che le cambiali finanziarie dematerializzate sono esenti dall'imposta di bollo.
A partire dal 1° gennaio 2013, la legge di stabilità 2013 (commi 520-521) ha assoggettato a IVA secondo l’aliquota ordinaria (attualmente al 21 per cento) l’attività di gestione individuale di portafogli titoli, disponendo che sui relativi corrispettivi si debba applicare l'imposta analogamente a quanto previsto dalle norme vigenti per i servizi di custodia e amministrazione dei titoli. Al fine di consentire la detrazione dell'Iva sui costi relativi ai servizi di gestione individuale di portafogli, le norme in commento consentono di optare per l’applicazione separata dell’Iva per i soggetti che svolgono sia il servizio di gestione individuale di portafogli, ovvero prestazioni di mandato, mediazione o intermediazione relative al predetto servizio, sia attività esenti da Iva.
La disciplina sullo scudo fiscale è stata introdotta dall’articolo 13-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009 ed è stata modificata sia dal decreto-legge n. 103 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 141 del 2009 sia dal decreto-legge n. 194 del 2009 (c.d. "milleproroghe"). Ulteriori disposizioni in materia di tassazione delle attività "scudate" sono state introdotte con il D.L. 201 del 2011 e con il D.L. 16 del 2012.
Le norme recano disposizioni in materia di “rimpatrio” ovvero “regolarizzazione” delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione degli obblighi valutari e tributari sanciti dal decreto legge n. 167 del 1990[1], convertito dalla legge n. 227 del 1990.
La disciplina (c.d. scudo-ter) ha consentito la regolarizzazione o il rimpatrio delle attività detenute all’estero in una data non successiva al 31 dicembre 2008. L’operazione, da effettuarsi nel periodo compreso tra il 15 settembre 2009 e il 15 aprile 2010[2], è stata resa perfezionabile con il pagamento dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali istituita dal sopra richiamato articolo 13-bis. Poichè il termine finale, fissato al 15 dicembre 2009 dalla legge di conversione del DL 78/09, è stato modificato dal DL 194/2009 (entrato in vigore il 30 dicembre 2009), le operazioni di emersione effettuate nel periodo compreso tra il 16 e il 29 dicembre 2009 non sono state considerate ammissibili. Il DL n. 194/2009 ha introdotto un incremento della misura dell'imposta dovuta da applicare alle operazioni di emersione effettuate successivamente al 15 dicembre 2009.
In merito alla disciplina generale e agli effetti prodotti i commi 4 e 5 dell’articolo 13-bisrinviano:
- agli articoli 11, 13, 14, 15, 16, 17, 19 commi 2 e 2-bis, 20 comma 3 del decreto legge n. 350 del 2001, recante una precedente disciplina in materia di “scudo fiscale” che ha disposto la possibilità di regolarizzare le attività estere detenute almeno al 1° agosto 2001, nonché al decreto-legge n. 12 del 2002 il quale, agli articoli 1 e 2, reca modifiche ed integrazioni alla disciplina contenuta nel D.L. n. 350[3];
- all’articolo 8, comma 6, lettera c), della legge n. 289 del 2002 (finanziaria 2003). Il richiamato articolo 8, recante “Integrazione degli imponibili per gli anni pregressi”, nell’introdurre la facoltà per i contribuenti di aderire alla definizione agevolata, individua nella lettera c) del comma 8 gli effetti penali conseguenti alla medesima regolarizzazione fiscale.
Nell’illustrare la disciplina in commento si tiene conto anche dei chiarimenti forniti nelle numerose circolari emanate dell'Agenzia delle entrate ed in particolare della circolare n. 43/E dell’Agenzia delle entrate, emanata il 10 ottobre 2009.
La norma non ha individuato espressamente l’ambito soggettivo di applicazione. Tuttavia, in virtù dei rinvii al decreto-legge n. 167 del 1990 e all’articolo 11 del decreto-legge n. 350 del 2001 nonché dei chiarimenti forniti con la richiamata circolare n. 43/E emanata dall’Agenzia delle entrate, la disciplina è stata ritenuta applicabile nei confronti dei seguenti soggetti residenti nel territorio dello Stato: persone fisiche (anche titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo), enti non commerciali, società semplici e associazioni equiparate ai sensi dell’articolo 5 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR).
La circolare n. 43 dell’Agenzia delle entrate, in merito al requisito della residenza, ha rinviato alla nozione contenuta nell’articolo 2, comma 2 del TUIR e a quanto indicato nel comma 2-bis del medesimo articolo 2 ai sensi del quale sono considerati residenti, e pertanto rientrano nell’ambito soggettivo anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati aventi un regime fiscale privilegiato (cosiddetti paradisi fiscali). La stessa circolare, inoltre, ha precisato che il requisito della residenza deve sussistere per il periodo d'imposta in corso alla data di presentazione della dichiarazione riservata (2009), e non necessariamente nei periodi d'imposta precedenti. In particolare, è stato affermato che “si deve ritenere che possano essere inclusi nel novero dei soggetti interessati tutti coloro che, pur non risultando residenti nel territorio dello Stato alla data di presentazione della dichiarazione riservata, vengano ad acquisire successivamente a tale data detto requisito”.
Il comma 7-bis dell’articolo 13-bisha incluso nel campo di applicazione le imprese estere di cui agli articoli 167 e 168 del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), ovvero le imprese situate nei paesi a fiscalità vantaggiata (c.d. paradisi fiscali) le cui partecipazioni di controllo o di collegamento sono detenute da soggetti residenti in Italia ai quali, ai sensi dei richiamati articoli 167 e 168, viene imputato per trasparenza il reddito della partecipata in proporzione alla quota detenuta.
La circolare dell’Agenzia delle entrate ha evidenziatoche la “finalità del provvedimento è quella di consentire l’emersione di attività comunque riferibili al contribuente (…) è ammessa (…) anche nel caso in cui le predette attività siano intestate a società fiduciarie o siano possedute dal contribuente per il tramite di interposta persona”. Sul punto la circolare ha fornito chiarimenti ed esemplificazioni con particolare riferimento alle attività detenute all’estero tramite il trust, ivi compresi quelli “esterovestiti”; l'Agenzia ha precisato, in linea generale, che essi rientrano nell’ambito soggettivo qualora le attività facenti parte del patrimonio del trust continuano ad essere, di fatto, a disposizione del settlor oppure rientrano nella disponibilità dei beneficiari.
Non sono stati inclusi nell’ambito soggettivo:
- gli enti commerciali, le società, siano essi società di persone o società di capitali, ad eccezione delle società semplici;
- coloro che hanno osservato le disposizioni sul monitoraggio fiscale e che hanno violato unicamente gli obblighi di dichiarazione annuale dei redditi di fonte estera (quadro RW nel modello UNICO). Sul punto, con particolare riferimento agli investimenti di natura non finanziaria, la circolare fornisce chiarimenti meglio illustrati nel paragrafo concernente l’ambito oggettivo;
- i soggetti, come precisato nella circolare, “residenti nel comune di Campione d’Italia in relazione alle disponibilità detenute presso istituti elvetici in base alle disposizioni valutarie specificamente riferite al predetto territorio. Tale esclusione è limitata alle disponibilità derivanti da redditi di lavoro, da trattamenti pensionistici, nonché da altre attività lavorative svolte direttamente in Svizzera da soggetti residenti nel suddetto Comune”.
Non sono stati, in ogni caso, ammessi allo scudo fiscale i soggetti nei confronti dei quali, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, fosse già stato notificato l’avvio di attività di controllo. In base a quanto affermato dalla circolare, infatti, “le operazioni di emersione non producono gli effetti previsti qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, la violazione sia stata già constatata ovvero siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamento tributario e contributivo nei confronti del contribuente ovvero siano stati emanati nei confronti del medesimo avvisi di accertamento o di rettifica o atti di contestazione di violazioni tributarie, compresi i predetti inviti, questionari e richieste. Al riguardo, affinché vi sia un effetto preclusivo alla regolarizzazione, gli atti menzionati devono essere stati portati formalmente a conoscenza del contribuente. Per formale conoscenza si intende la notifica degli stessi”. In caso di avvio di attività di controllo nei confronti di una società di persone o di una associazione, l’accesso allo scudo fiscale è stato precluso anche in capo ai soci o associati per i redditi della società o associazione a lui imputabili.
L'Agenzia delle entrate ha fornito, con la circolare n. 48/E del 17 novembre 2009, ulteriori chiarimenti con particolare riferimento ai soggetti residenti in Italia che prestano la propria attività all'estero. L'Agenzia ha precisato che, mentre i dipendenti pubblici in servizio all'estero per la maggior parte del periodo d'imposta non sono soggetti agli obblighi sul monitoraggio fiscale in quanto non aventi il requisito della residenza, i lavoratori frontalieri e i dipendenti di imprese multinazionali che lavorano all'estero e che risultano titolari di depositi e/o conti correnti esteri di ammontare superiore a 10.000 euro, sono invece tenuti ad adempiere agli obblighi in materia di monitoraggio fiscale. Tali ultimi soggetti, evidenzia la circolare, "possono regolarizzare la propria posizione fiscale con riferimento agli anni pregressi, presentando la dichiarazione dei redditi integrativa relativamente al periodo d'imposta 2008"; ciò in quanto si tiene conto della "carenza, nei casi in esame, della volontà di porre in essere comportamenti illeciti (è sintormatica, al riguardo, la circostanza che si tratta di disponibilità detenute all'estero derivanti da redditi di lavoro dipendente e assimilato generalmente assoggettati a tassazione alla fonte a cura del datore di lavoro)". Sul punto è intervenuto, da ultimo, l'articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 194 del 30 dicembre 2009 ("milleproroghe") ai sensi del quale i lavoratori dipendenti e i pensionati che hanno omesso la presentazione del modello RW della dichiarazione dei redditi per il 2008 hanno avuto la possibilità di regolarizzare la posizione entro il 30 aprile 2010 con applicazione delle sanzioni minime (ravvedimento operoso); la relazione illustrativa allegata al DL n. 194 chiariv in merito che tale disposizione era volta a regolarizzare l'intera posizione fiscale anche con riferimento agli anni pregressi secondo le modalità illustrate nella circolare dell'Agenzia delle entrate n. 48/E del 17 novembre 2009".
Sono state previste due modalità diverse da applicare in funzione dello Stato estero nel quale si trovavano le attività interessate dalla disciplina dello "scudo":
- per le attività ubicate in paesi non appartenenti all’Unione europea, ad eccezione di quelli indicati nel punto successivo, la procedura è stata subordinata al cosiddetto rimpatrio dei capitali, ovvero al rientro in Italia del denaro e delle attività.
La circolare dell’Agenzia delle entrate ha chiarito che, oltre al trasferimento fisico delle attività, è stato possibile anche il c.d. rimpatrio giuridico. Esso si considera eseguito, nel caso di rimpatrio di denaro o di attività finanziarie, nel momento in cui l’intermediario assume formalmente in custodia, deposito, amministrazione o gestione le attività anche senza procedere al materiale trasferimento delle stesse; il rimpatrio giuridico delle attività patrimoniali, invece, consiste nel conferimento delle attività stesse in una società costituita nello stesso Paese in cui le attività conferite erano detenute alla data del 5 agosto 2009 e nel conseguente rimpatrio delle partecipazioni nella società.
Inoltre, sempre in base ai chiarimenti forniti dalla circolare, è stata chiarita la possibilità che le attività rimpatriate fossero qualitativamente diverse da quelle indicate nella dichiarazione riservata come, ad esempio, nell’ipotesi in cui le attività detenute fossero rappresentate da titoli successivamente ceduti.
- per attività insistenti in paesi dell’Unione europea ovvero in paesi aderenti allo Spazio economico europeo (SEE)[4] che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa (sul punto si rinvia all’interpretazione, di seguito illustrata, fornita dalla circolare), ai soggetti interessati è stato permesso di scegliere di regolarizzare, ossia di continuare a mantenere le proprie attività all’estero, ovvero di rimpatriare le attività finanziarie e patrimoniali. La possibilità di effettuare il rimpatrio o la regolarizzazione è stata ammessa anche per le imprese estere situate nei paradisi fiscali le cui partecipazioni di controllo o di collegamento fossero detenute da soggetti residenti in Italia.
La circolare n. 43 dell’Agenzia delle entrate ha fornito un’interpretazione estensiva in merito all’applicazione della norma, affermando che la regolarizzazione era ammessa nel caso in cui le attività fossero detenute “in Paesi che consentono un effettivo scambio di informazioni in via amministrativa”.
In proposito, la circolare ha ricordato “i principi generali sottoscritti nei vertici del G8” in materia di cooperazione internazionale sulla fiscalità finanziaria, nonché l’impegno assunto dagli Stati OCSE “volto ad assicurare una maggiore trasparenza bancaria su investimenti e depositi, anche per quelli detenuti nei paesi che assicurano particolari agevolazioni “i cosiddetti paradisi fiscali”. Inoltre, richiamando l’articolo 56 del Trattato UE ai sensi del quale è vietata qualsiasi restrizione ai movimenti di capitale non solo tra Stati membri ma anche con paesi terzi, ha affermato che “si deve ritenere possibile la regolarizzazione delle attività detenute anche nei Paesi extra UE con i quali è in atto un effettivo scambio di informazioni secondo il recenti standard ONU/OCSE”.
Pertanto, secondo quanto affermato nella circolare, la facoltà di scegliere tra la regolarizzazione e il rimpatrio è stata estesa alle attività detenute nei “Paesi dell’OCSE che non hanno posto riserve alla possibilità di scambiare informazioni bancarie. Si tratta, in particolare, dei seguenti Paesi: Australia, Canada, Corea del Sud, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Turchia”.
Ai fini della individuazione del Paese di detenzione delle attività da regolarizzare la circolare dell’Agenzia delle entrate ha stabilito la rilevanza di "quello in cui le attività erano detenute alla data di entrata in vigore del decreto (5 agosto 2009)”.
Ai sensi del comma 5 dell’articolo 13-bis, sono state rese applicabili alle operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione le modalità previste dagli articoli 11, 13, 14, 15, 19 commi 2 e 2-bis, e 20 comma 3 del decreto-legge n. 350/2001 nonché del decreto legge n. 12 del 2002.
Alla luce di tali disposizioni, le operazioni di rimpatrio e regolarizzazione sono state effettuate attraverso una dichiarazione riservata, da presentare ad uno dei seguenti intermediari abilitati:
-banche italiane;
-società di intermediazione mobiliare (SIM) di cui all’articolo 1, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF);
-società di gestione del risparmio (SGR) di cui all’articolo 1, comma 1, lettera o) del TUF, limitatamente alle attività di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi;
-società fiduciarie di cui alla legge n. 1966 del 1939;
-agenti di cambio iscritti nel ruolo unico previsto dall’articolo 201 del TUF;
-Poste italiane S.p.A.;
-stabili organizzazioni in Italia di banche e di imprese di investimento non residenti.
Gli intermediari hanno garantito l’anonimato delle dichiarazioni di emersione delle attività nei confronti dell’amministrazione finanziaria, in quanto non tenuti a verificare la congruità delle informazioni contenute nelle dichiarazioni riservate; tuttavia hanno avuto il compito di verificare la documentazione allegata alla dichiarazione, in caso di regolarizzazione delle attività.
Per l’operazione di rimpatrio, è stato previsto l'obbligo di deposito delle attività presso l’intermediario italiano entro il termine del 15 dicembre 2009; non si è consentita infatti l’operazione di emersione per le attività rimpatriate prima del 15 settembre 2009 ovvero dopo il 15 dicembre 2009. L’operazione di rimpatrio non ha comportato l’esonero per il contribuente dall’applicazione della disciplina in materia di monitoraggio di cui agli articoli 3 e seguenti del decreto legislativo n. 195 del 2008 ai sensi della quale, in caso di trasporto di denaro contante o altre attività finanziarie di importo pari o superiore a 10.000 euro, deve essere presentata apposita dichiarazione all’Agenzia delle Dogane. In tale ipotesi, pertanto, l’intermediario dovrà ricevere, oltre alla dichiarazione riservata, anche la predetta dichiarazione di trasporto dei valori rimpatriati.
Gli intermediari hanno assunto la qualifica di sostituto d’imposta, trattenendo le ritenute fiscali dovute e riversandole allo Stato senza indicare il nominativo del soggetto per conto del quale la ritenuta è stata operata. Sempre in qualità di sostituto d’imposta dovranno presentare una dichiarazione complessiva (mod. 770) concernente il totale delle somme rimpatriate o regolarizzate e le relative ritenute trattenute e versate.
Ai sensi del comma 3 dell’articolo 13-bis gli intermediari non sono stati tenuti agli obblighi di segnalazione di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio disciplinate dall’articolo 41 del decreto legislativo n. 231 del 2007
Ai sensi dell’articolo 41 del D.Lgs. n. 231/1997 devono essere inviate alla Unità di Informazione Finanziaria (UIF) presso la Banca d’Italia apposite segnalazioni quando esiste il sospetto che siano in corso operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità, natura dell'operazione o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, in base agli elementi a disposizione dei segnalanti, acquisiti nell'ambito dell'attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un incarico. Le segnalazioni devono essere effettuate senza ritardo, se possibile prima di eseguire l'operazione, e comunque appena il soggetto tenuto alla segnalazione viene a conoscenza degli elementi di sospetto. Infine, le segnalazioni di operazioni sospette non costituiscono violazione degli obblighi di segretezza, del segreto professionale o di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative e, se poste in essere per le finalità ivi previste e in buona fede, non comportano responsabilità di alcun tipo.
In proposito, la circolare n. 43/E dell’Agenzia dell’entrate, nel dettare le regole attuative dell’articolo 13-bis in esame, ne ha fornito una interpretazione in base alla quale sono stati posti specifici obblighi di segnalazione in capo agli intermediari, cui di fatto è stata attribuita una funzione ricognitiva e valutativa sulla natura delle operazioni che originano la richiesta di emersione. La circolare, infatti, ha affermato il dovere degli intermediari di “rispettare gli obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 in materia di antiriciclaggio. In particolare, gli intermediari abilitati, nonché gli altri soggetti indicati nel citato decreto legislativo, sono tenuti all’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette nei casi in cui sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che le attività oggetto della procedura di emersione siano frutto di reati diversi da quelli per i quali si determina la causa di non punibilità di cui al comma 4 dell’articolo 13-bis del decreto. Al riguardo si fa presente che le operazioni di rimpatrio e di regolarizzazione non costituiscono di per sé elemento sufficiente ai fini della valutazione dei profili di sospetto per la predetta segnalazione, ferma rimanendo la valutazione degli altri elementi previsti dall’articolo 41 del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007”. I reati per i quali si verifica la non punibilità ai sensi del comma 4 sono illustrati nel paragrafo concernente gli effetti.
Per quanto concerne l’ambito oggettivo, la normativa sullo "scudo" è stata resa applicabile alle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero in violazione delle disposizioni in materia di monitoraggio fiscale a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008.
Sono state dunque oggetto di rimpatrio le somme di denaro e le altre attività finanziarie, tra le quali le azioni e gli strumenti finanziari assimilati, titoli obbligazionari, certificati di massa, quote di partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio, polizze assicurative produttive di redditi di natura finanziaria. Il rimpatrio ha riguardato anche titoli o altre attività finanziarie emesse da soggetti italiani purché detenuti all’estero a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008 in violazione degli obblighi tributari e valutari. La circolare dell’Agenzia delle entrate n. 43 ha chiarito che “con particolare riferimento alle opere d’arte si fa presente che restano ferme le disposizioni vigenti in materia di tutela e protezione delle medesime”.
Le operazioni di regolarizzazione sono state estese anche agli investimenti esteri di natura non finanziaria quali, ad esempio, gli immobili, gli oggetti preziosi, le opere d’arte e gli yacht, purché detenuti, secondo quanto affermato dalla circolare dell’Agenzia delle entrate, “in un Paese europeo o in altro Paese che garantisce un effettivo scambio di informazioni fiscali in via amministrativa” a partire da una data non successiva al 31 dicembre 2008.
La più volte richiamata circolare n. 43/E, inoltre, ha fornito un’interpretazione estensiva rispetto all’ambito oggettivo di applicazione della disciplina in argomento. In particolare, nel ricordare le attività detenute all’estero che sono interessate dalla normativa sul monitoraggio fiscale (quali, ad es. le attività che producono reddito, le attività finanziarie di ammontare superiore a 10.000 euro, i titoli pubblici ed equiparati emessi in Italia, ecc.) ha reputato necessaria “una revisione dell’interpretazione della disposizione recata nell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990”. In particolare, ha ritenuto la suddetta da intendersi “da ora in poi riferita non solo a fattispecie di effettiva produzione di redditi imponibili in Italia ma anche ad ipotesi in cui la produzione dei predetti redditi sia soltanto astratta o potenziale. Pertanto, a partire dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso, i contribuenti saranno tenuti ad indicare nel quadro RW non soltanto le attività estere di natura finanziaria ma anche gli investimenti all’estero di altra natura, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia. Esemplificando, quindi, dovranno essere sempre indicati anche gli immobili tenuti a disposizione, gli yacht, gli oggetti preziosi e le opere d’arte anche se non produttivi di redditi”.
L’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 dispone che le persone fisiche, gli enti non commerciali, e le società semplici ed equiparate residenti in Italia che al termine del periodo d'imposta detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione dei redditi. L'obbligo di dichiarazione, tuttavia, non sussiste se l'ammontare complessivo degli investimenti ed attività al termine del periodo d'imposta, ovvero l'ammontare complessivo dei movimenti effettuati nel corso dell'anno, non supera l'importo di 10 mila euro.
In linea con la predetta interpretazione, la circolare - nel ricordare, a titolo esemplificativo, che nel quadro RW vanno indicati gli immobili assoggettati ad imposte sui redditi nello Stato estero (è il caso della Spagna) mentre non devono essere indicati gli immobili tenuti a disposizione in un Paese che non ne prevede la tassazione ai fini delle imposte dirette (è il caso della Francia) e che, pertanto, l’immobile situato in Francia non potrebbe essere oggetto di emersione in quanto non è stato violato alcun obbligo dichiarativo - ha reputato che “in questa fattispecie le violazioni degli obblighi inerenti il monitoraggio fiscale potrebbero essersi verificate precedentemente, per esempio, all’atto del trasferimento all’estero delle somme utilizzate per l’acquisto dell’immobile ovvero in precedenti periodi di imposta nei quali il contribuente abbia locato l’immobile. In tali casi (…) il contribuente può comunque accedere allo scudo fiscale”.
Sono inclusi nella disciplina, sempre secondo quanto indicato nella circolare, anche “gli immobili ubicati in Italia posseduti per il tramite di un soggetto interposto residente all’estero”; sul punto viene richiamata la risoluzione n. 134/E del 30 aprile 2002 emanata con riferimento alla disciplina dello scudo fiscale contenuta nel decreto legge n. 350 del 2001.
La base imponibile è rappresentata dal rendimento presunto determinato in ragione del 2 per cento annuo per un periodo di cinque anni. In sostanza, quindi, l’imposta è stata applicata ad un imponibile corrispondente al 10 per cento del valore delle attività da regolarizzare.
La circolare n. 43 dell’Agenzia delle entrate ha affermatp che le modalità di determinazione della base imponibile rappresentano una “presunzione assoluta che non tiene conto del periodo di effettiva detenzione all’estero delle attività che si intende rimpatriare o regolarizzare né del reale rendimento conseguito”.
Importanti chiarimenti sono stati forniti dalla circolare dell’Agenzia delle entrate in merito alla valutazione delle attività da rimpatriare o regolarizzare. Infatti, mentre nei casi di emersione di somme di denaro o di attività espresse in valuta il corrispondente valore è determinato applicando il tasso di cambio appositamente individuato, per tutti gli altri beni è stata ritenuta necessaria l’applicazione di appositi criteri per la determinazione del valore dell’attività detenuta all’estero.
In proposito la circolare ha affermato:
- che per le attività finanziarie, “il contribuente non è tenuto ad adottare criteri specifici di valorizzazione, fermo restando che gli effetti (…) sono limitati agli importi indicati nelle dichiarazioni riservate”;
- per le attività diverse da quelle finanziarie, che “è necessario che il valore del bene da indicare nella dichiarazione riservata sia quello compreso tra il costo di acquisto documentato e quello risultante da un’apposita perizia di stima”. Tuttavia, chiarisce ancora la circolare, “in mancanza della documentazione attestante il costo di acquisto, al fine di rendere attendibile il valore delle predette attività, si ritiene necessario che esso sia comprovato da un’apposita perizia di stima che deve essere conservata a cura del contribuente ma non obbligatoriamente allegata alla dichiarazione riservata”.
Ai fini del rimpatrio o della regolarizzazione è stata introdotta\ una imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali consistente in una aliquota sintetica comprensiva di sanzioni ed interessi, da applicare al rendimento presunto delle attività detenute all’estero. La misura dell'aliquota è stata del 50 per cento per le operazioni effettuate entro il 15 dicembre 2009, al 60% per le operazioni effettuate entro il 28 febbraio 2010 e al 70% per le operazioni effettuate entro il 15 aprile 2010. In ogni caso, è stata esclusa la possibilità di scomputare dal pagamento dell’imposta dovuta eventuali ritenute o crediti vantati dal contribuente.
La circolare n. 43/E dell’Agenzia delle entrate ha chiarito, inoltre, che “in tutte le ipotesi di materiale rimpatrio delle attività patrimoniali vanno assolti gli obblighi in materia di IVA e diritti doganali eventualmente esistenti”.
I termini per la dichiarazione riservata sono stati compresi tra il 15 settembre 2009 e il 15 aprile 2010. Il termine finale, fissato al 15 dicembre 2009 dal decreto legge n. 109/2009, è stato modificato dal DL 194/2009 che lo ha fissato al 15 aprile 2010; tenuto conto che il DL 194/09 è entrato in vigore il 30 dicembre 2009 le operazioni di emersione effettuate nel periodo compreso fra il 16 dicembre 2009 e il 29 dicembre 2009, come precisato anche dall'Agenzia delle entrate, non sono state considerate ammissibili. Un analogo arco temporale è stato fissato per il pagamento dell’imposta da parte del contribuente all’intermediario.
Secondo quanto indicato nella circolare n.43/E - emanata prima della proroga del termine finale - “qualora alla data del 15 dicembre 2009 le operazioni di emersione non siano ancora concluse per cause oggettive non dipendenti dalla volontà dell’interessato, gli effetti derivanti dalla dichiarazione riservata si producono in ogni caso a condizione che le medesime operazioni siano perfezionate entro una data ragionevolmente ravvicinata al termine previsto dalla norma. In ogni caso l’imposta straordinaria deve essere corrisposta entro e non oltre il 15 dicembre 2009”.
Con successive circolari sono state individuate ipotesi relativamente alle quali, per cause oggettive non dipendenti dalla volontà dell'interessato, non è stato possibile presentare la dichiarazione entro il termine fissato al 15 dicembre 2009 (in quanto alcune operazioni hanno richiesto tempi maggiori per poter giungere a conclusione). Pertanto, fermo restando l'obbligo di effettuare il versamento entro il 15 dicembre 2009, le circolari n. 49/E e 50/E hanno indicato le ipotesi di possibile differimento fino al 31 dicembre 2010 del termine per concludere le operazioni necessarie; la circolare n. 52/E ha disciplinato specificatamente le attività detenute nella Repubblica di San Marino, per le quali il differimento del termine di presentazione della dichiarazione è stato prorogato al 30 giugno 2010.
Le norme in commento hanno fissato la decorrenza degli effetti del rimpatrio o della regolarizzazione dal momento dell’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali.
L’operazione di emersione ha comportato effetti estintivi relativamente agli importi dichiarati e relative sanzioni, con riferimento ai periodi d’imposta per i quali non fossero ancora scaduti i termini per l’accertamento. E’ stata pertanto preclusa l’attività di accertamento tributario e contributivo limitatamente ai periodi d’imposta e agli imponibili oggetto di rimpatrio o regolarizzazione.
La circolare dell’Agenzia delle entrate ha chiarito l'operatività della preclusione anche:
- nei confronti dei soggetti solidalmente obbligati con il dichiarante quali, ad esempio, gli eredi e i donatari;
-con riferimento a tributi diversi dalle imposte sui redditi, sempreché si trattasse di accertamenti relativi ad imponibili riferibili alle attività oggetto di emersione. Per le operazioni di regolarizzazione o rimpatrio effettuate dalle imprese estere operanti nei paradisi fiscali, il comma 7-bis ha disposto che ai redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato nei periodi d’imposta chiusi alla data del 31 dicembre 2008 e imputabili al soggetto residente in Italia, non si applicassero le disposizioni contenute negli articoli 167 e 168 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR).
In virtù dei rinvii contenuti nel comma 4 dell’articolo 13-bis agli articoli 14, 15 e 17 del D.L. 350/2001 nonché all’articolo 8, comma 6, lettera c) della legge n. 289/2002 (finanziaria 2003) l’emersione ha comportato altre effetti estintivi di reati tra i quali la omessa o infedele dichiarazione e il falso in bilancio.
Più dettagliatamente è stata prevista l’estinzione di:
- infedele o omessa dichiarazione dei redditi;
- dichiarazione fraudolenta, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
- dichiarazione fraudolenta, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, mediante l’utilizzo di artifici contabili diversi da quelli previsti nell’articolo 2 del D.Lgs. n. 74/2000 quali, ad esempio, la falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie;
- occultamento o distruzione di documenti finalizzata all’evasione delle imposte sui redditi o dell’IVA, ovvero a consentire l’evasione a terzi, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari;
- false comunicazioni sociali disciplinato dagli articoli 2621 e 2622 del Codice civile;
Ai sensi della lettera c) del comma 6 dell’articolo 8 cui il comma 4 rinvia, l’esclusione della punibilità ha operato nel caso in cui tali reati fossero stati commessi per eseguire od occultare i predetti reati tributari, ovvero per conseguirne il profitto e siano riferiti alla stessa pendenza o situazione tributaria; in base alla medesima disposizione, gli indicati effetti penali non sono stati applicabili “in caso di esercizio dell'azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione integrativa”.
L’articolo 13-bis del D.L. n. 78/2009 ha previsto che i dati e le notizie comunicati dal contribuente agli intermediari per l’operazione di rimpatrio o di regolarizzazione non potessero costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in via autonoma o addizionale, in ogni sede amministrativa o giudiziaria (civile, amministrativa e tributaria).
La circolare ha chiarito che la predetta inutilizzabilità non ha operato per i procedimenti in corso al 4 ottobre 2009 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge n. 103/2009).
Il comma 7 dell’articolo 13-bis, modificando i commi 4 e 5 dell’articolo 5 del D.L. n. 167/1990, ha raddoppiato la la misura minima e massima applicabile delle sanzioni. In particolare, in caso di omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi delle attività detenute all’estero nonché dei trasferimenti di valore da e per l’estero la sanzione è stata elevata ad un ammontare compreso tra il 10% e il 50% dell’importo non dichiarato.
Si segnala, inoltre, che il DL n. 194/2009 è intervenuto sui termini di prescrizione validi ai fini dell'accertamento delle dichiarazioni dei redditi e IVA relative a soggetti che operano nei paradisi fiscali. In particolare, è stato raddoppiato il numero degli anni nei quali l'Amministrazione può effettuare verifiche fiscali ed irrogare sanzioni nei confronti dei richiamati contribuenti.
Il comma 8 dell’articolo 13-bis ha destinato le entrate derivanti dalla disciplina in esame, non quantificate nel provvedimento, dovranno affluire ad un’apposita contabilità speciale per essere destinate all'attuazione della manovra di bilancio per l'anno 2010 e seguenti, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2009.
L'articolo 19, commi da 6 a 12 del D.L. 201 del 2011 ha introdotto un’imposta speciale annuale del 4 per mille sulle attività finanziarie oggetto di emersione a seguito delle disposizioni di cui agli articoli 12 e 15 del decreto legge n. 350 del 2001 e all’articolo 13-bis del decreto legge n. 78 del 2009 (c.d. "scudo fiscale"). Per gli anni 2012 e 2013 l’aliquota, è stabilita, rispettivamente, nella misura del 10 e del 13,5 per mille.
Essa colpisce le sole attività finanziarie emerse, non dunque quelle patrimoniali. Gli intermediari assumono la qualifica di sostituto d’imposta, trattenendo le ritenute fiscali dovute e riversandole allo Stato senza indicare il nominativo del soggetto per conto del quale la ritenuta è stata operata. Sempre in qualità di sostituto d’imposta presentano una dichiarazione complessiva (mod. 770) concernente il totale delle somme rimpatriate o regolarizzate e le relative ritenute trattenute e versate. Nel caso in cui, nel corso del periodo d'imposta, venga meno in tutto o in parte la segretazione, l'imposta è dovuta sul valore delle attività finanziarie in ragione del periodo in cui il conto o rapporto ha fruito della segretazione.
E' consentito lo scomputo dall’imposta speciale dovuta sulle attività finanziarie rimpatriate dell’imposta di bollo corrisposta per il deposito titoli, nonché quella riferita alle medesime attività nel 2011, nel caso in cui l’attività rimpatriata sia costituita da denaro.
Il versamento, con riferimento al valore delle attività ancora segretate al 31 dicembre dell’anno precedente, avviene - entro il 16 luglio di ciascun anno - per il tramite degli intermediari finanziari, che provvedono a trattenere l’imposta del soggetto che ha effettuato l’emersione o ricevono provvista dallo stesso contribuente. Nel caso in cui, nel corso del periodo d'imposta, venga meno in tutto o in parte la segretazione, l'imposta è dovuta sul valore delle attività finanziarie in ragione del periodo in cui il conto o rapporto ha fruito della segretazione.
Gli intermediari segnalano all’Agenzia delle Entrate i contribuenti nei confronti dei quali non è stata applicata e versata l’imposta. Nei confronti dei contribuenti l’imposta è riscossa mediante iscrizione a ruolo. Per l’omesso versamento si applica una sanzione pari all'importo non versato, mentre per l’accertamento e la riscossione dell’imposta, nonché per il relativo contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi.
Per le attività finanziarie oggetto di emersione che, a partire dal 1° gennaio 2011 e fino alla data del 6 dicembre 2011, sono state in tutto o in parte prelevate dal rapporto di deposito, amministrazione o gestione acceso per effetto della procedura di emersione ovvero comunque dismesse, è dovuta, per il solo anno 2012, un’imposta straordinaria pari al 10 per mille. L'intermediario presso il quale il prelievo è stato effettuato provvede a trattenere l'imposta dai conti comunque riconducibili al soggetto che ha effettuato l'emersione o riceve provvista dallo stesso contribuente, anche in caso di estinzione del rapporto acceso per effetto della procedura di emersione.
La legge di stabilità 2013 (’articolo 1, commi 491-500) ha introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie applicabile al trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi nonché di derivati di tali strumenti.
In primo luogo, si prevede che a decorrere dal 1° marzo 2013,il trasferimento della proprietà di:
è assoggettato ad un'imposta sulle transazioni finanziarie con l'aliquota dello 0,2 per cento sul valore della transazione. Per il solo anno 2013 l’imposta è fissata nella misura dello 0,22 per cento.
Per quanto concerne la base imponibile, rappresentata dal valore della transazione, si stabilisce che il tributo si applichi sulla posizione netta dovuta al regolamento giornaliero delle operazioni (come già avviene Francia), in maniera tale da ridurre l’impatto negativo sugli scambi e sulla liquidità.
Viene invece ridotta alla metà, ovvero allo 0,10 per cento (0,12 per il 2013), l’imposta sui trasferimenti che avvengono in mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione. Si ricorda che per mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione la disposizione intende i mercati degli Stati membri dell'Unione europea e degli Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo, che consentono un adeguato scambio di informazioni.
La differenziazione delle aliquote in funzione del grado di regolamentazione del mercato in cui avviene lo scambio è volta a canalizzare le operazioni da mercati over the counter verso forme di mercato più trasparenti, integre e sicure, in tal modo migliorando il contenuto informativo dei prezzi e l'efficienza allocativa delle risorse.
Sono escluse dall'imposta:
Sono altresì esclusi i trasferimenti di proprietà di azioni negoziate in mercati regolamentari o sistemi multilaterali di negoziazione emesse da società la cui capitalizzazione media nel mese di novembre, dell'anno precedente a quello in cui avviene il trasferimento di proprietà, sia inferiore a 500 milioni di euro. Tale misura è volta ad evitare di penalizzare i titoli meno liquidi e le PMI.
Con il D.M. 21 febbario 2013 sono state previste le norme attuative dell'imposta sulle transazioni finanziarie. Al decreto ministeriale, in particolare, è allegato l'elenco degli emittenti italiani con capitalizzazione attualmente inferiore alla predetta soglia di 500 milioni di euro. Resta escluso dall'applicazione il trasferimento della proprietà di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), ivi incluse le azioni di società di investimento a capitale variabile. Responsabili del versamento della Tobin tax sono le banche, le società fiduciarie e le imprese di investimento che intervengono nell'esecuzione delle operazioni, ovvero i notai. Quando, però, intervengono nell'esecuzione dell'operazione soggetti localizzati in Stati o territori con i quali non sono in vigore accordi per lo scambio di informazioni e per l'assistenza al recupero dei crediti ai fini dell'imposta, tali soggetti sono considerati a tutti gli effetti acquirenti o controparti finali dell'ordine di esecuzione. L'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'articolo 19, comma 4, del decreto 21 febbraio 2013 ha individuato, con provvedimento direttoriale del 1° marzo 2013, le nazioni con le quali non sono in vigore accordi per lo scambio di informazioni e per l'assistenza al recupero crediti in materia di transazioni finanziarie.
A decorrere dal1° luglio 2013,inoltre,sono soggette ad imposta in misura fissa - determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto (secondo la tabella 3 allegata alla legge di stabilità) - le operazioni su strumenti finanziari derivati e le operazioni sui valori mobiliari, con un prelievo massimo di 200 euro.
Tra i primi la norma include quelliche abbiano come sottostante azioni o altri titoli partecipativi, o quelli il cui valore dipenda da uno o più dei medesimi strumenti finanziari; tra i secondi, quelli che permettano di acquisire o vendere tali strumenti finanziari o quelli che comportino un loro regolamento in contanti, inclusi warrants, covered warrants e certificates.
L'imposta è dovuta indipendentemente dal luogo di conclusione della transazione e dallo Stato di residenza delle parti contraenti. Nel caso in cui le operazioni prevedano come modalità di regolamento la consegna del sottostante, ovvero delle azioni o degli altri strumenti finanziari partecipativi, il trasferimento della proprietà sarà soggetto alla maggiore imposta prevista per tali tipologie.
Per le operazioni che avvengono in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione, la medesima imposta è ridotta a un quinto, e può essere determinata con riferimento al valore di un contratto standard (lotto), tenendo conto del valore medio di quest’ultimo nel trimestre precedente.
Per quanto concerne la procedura di versamento delle imposte, nel caso di trasferimenti di azioni e altri titoli partecipativi, queste sono dovute dal soggetto a favore del quale avviene il trasferimento; nel caso di operazioni relative a strumenti finanziari derivati l’imposta è dovuta nella misura ivi stabilita da ciascuna delle controparti.
Il soggetto passivo è però diverso dal soggetto tenuto al versamento, in quanto il tributo viene versato dalle banche, dalle società fiduciarie e dalle imprese di investimento abilitate all'esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e delle attività di investimento, nonché dagli altri soggetti che comunque intervengono nell'esecuzione delle predette operazioni, ivi compresi gli intermediari non residenti, che possono nominare un rappresentante fiscale. Qualora nell'esecuzione dell'operazione intervengano più soggetti, l'imposta è versata da colui che riceve direttamente dall'acquirente o dalla controparte finale l'ordine di esecuzione. Nel caso in cui la transazione si realizza senza terzi soggetti, l'imposta è versata dal contribuente e tale adempimento deve essere effettuato entro il giorno sedici del mese successivo a quello del perfezionamento dell’operazione.
Sono esclusi dalla tassazione, in primo luogo, i soggetti che si interpongono nelle medesime operazioni (controparti centrali).
Sono inoltre esenti le operazioni che hanno come controparte l'Unione europea, la Banca centrale europea, le banche centrali degli Stati membri dell'Unione europea e le banche centrali e gli organismi che gestiscono anche le riserve ufficiali di altri Stati, nonché gli enti od organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia.
Sono altresì esenti le transazioni e le operazioni svolte a supporto degli scambi (market making), quelle volte a favorire la liquidità dei mercati e tra soggetti legati da un rapporto di controllo, le forme di previdenza obbligatoria e complementare, nonché le transazioni e le operazioni relative a prodotti e servizi qualificati come etici o socialmente responsabili.
A partire dal 1° luglio 2013 si applica inoltre un’imposta sulle negoziazioni ad alta frequenza relative ad azioni, ad altri strumenti partecipativi e derivati su equity, con l’intento di limitare l’operatività degli high frequency traders, considerati fattore di instabilità.
Ai sensi della norma, si considera attività di negoziazione ad alta frequenza quella generata da un algoritmo informatico che determina in maniera automatica le decisioni relative all'invio, alla modifica o alla cancellazione degli ordini e dei relativi parametri, laddove l'invio, la modifica o la cancellazione degli ordini su strumenti finanziari della medesima specie sono effettuati con un intervallo minimo inferiore al valore stabilito con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Tale valore non può comunque essere superiore a mezzo secondo.
L'imposta è dovuta dal soggetto per conto del quale sono eseguiti gli ordini e si applica con un'aliquota dello 0,02 per cento sul controvalore degli ordini annullati o modificati, che in una giornata di borsa superino la soglia numerica stabilita con decreto ministeriale. Tale soglia non può in ogni caso essere inferiore al 60 per cento degli ordini trasmessi.
Ai fini dell'accertamento, delle sanzioni e della riscossione delle imposte suddette, nonché per il relativo contenzioso, si applicano le disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto. Le sanzioni per omesso o ritardato versamento si applicano esclusivamente nei confronti dei soggetti tenuti a tale adempimento, che rispondono anche del pagamento dell'imposta. Detti soggetti possono sospendere l'esecuzione dell'operazione fino a che non ottengano provvista per il versamento dell'imposta.
L'imposta non è deducibile ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive.
L’articolo 2 del decreto-legge n. 138 del 2011 introduce numerose modifiche in tema di tassazione delle attività finanziarie. La nuova disciplina prevede dunque che, a partire dal 1° gennaio 2012, venga istituita un’aliquota intermedia del 20% con la quale tassare i redditi da capitale e i redditi diversi, in luogo delle precedenti fissate al 12,50 per cento e al 27 per cento.
Restano tuttavia esclusi dall’ambito di applicazione della riforma alcuni importanti comparti, a cui il legislatore vuole riservare un trattamento di favore. Vi rientrano, tra l’altro: i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati inclusi nella cd. white list (vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare.
L’articolo 2, commi da 6 a 34, del decreto-legge n. 138 del 2011, ha introdotto - a decorrere dal 1° gennaio 2012 – un’aliquota unica per la tassazione dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, disciplinando gli aspetti giuridici connessi a tale unificazione e prevedendo un’attenta disciplina transitoria, finalizzata ad evitare il più possibile segmentazioni dei mercati ed operazioni di arbitraggio conseguenti alla variazione dell’aliquota. Ulteriori modifiche alla normativa sono state apportate dall’articolo 29 del decreto-legge n. 216/2011 e dagli articoli 95 e 96 del decreto-legge n. 1/2012.
Tale aliquota - che riguarda i proventi in precedenza tassati con le aliquote del 12,5 e del 27 per cento - è stata fissata nella misura del 20 per cento e comprende l'ammontare delle ritenute e delle imposte sostitutive relative a:
I redditi di capitale derivano dall’impiego di un capitale finanziario in eventi certi ma non rientrano nell’esercizio di una attività d’impresa. Si tratta di interessi da mutui, depositi, conti correnti o prestiti obbligazionari o per i dividendi da partecipazioni al capitale sociale. Essi si distinguono dai redditi diversi, derivanti da eventi incerti, nei quali sono compresi i capital gains, vale a dire le plusvalenze pervenute alla persona fisica da cessioni a titolo oneroso di azioni e di ogni altra partecipazione al capitale sociale, concernenti i redditi in forma associata; tali plusvalenze, se invece sono realizzate nell’esercizio di un’attività d’impresa, individuale o societaria, concorrono alla formazione del reddito d’impresa del soggetto che ha realizzato la plusvalenza.
Sono esclusi dall'ambito di applicazione della riforma, in primo luogo, gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico, i buoni postali di risparmio, le cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti e le altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni pubbliche e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l'adempimento di funzioni statali o di servizi pubblici; le obbligazioni emesse dagli Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni; i piani di risparmio a lungo termine. Tali proventi rimangono tassati con aliquota al 12,5 per cento.
Tuttavia, secondo l’Agenzia delle Entrate l’esclusione per i piani di risparmio a lungo termine non può trovare immediata applicazione in assenza di una normativa primaria che chiarisca quali prodotti, strumenti o servizi finanziari rientrino in tale istituto.
Rimane altresì invariata la disciplina relativa ai titoli di risparmio per l’economia meridionale, che prevede che gli interessi di questi ultimi siano soggetti ad un’imposta sostitutiva del 5 per cento. Si tratta di titoli nominativi o al portatore che hanno una scadenza non inferiore ai diciotto mesi e che possano essere emessi da parte di banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia.
Vengono individuate ulteriori ipotesi di esclusione per le seguenti attività finanziarie: gli interessi infragruppo, vale a dire gli interessi corrisposti a soggetti non residenti, cui si applica una ritenuta del 5 per cento, a condizione che essi siano destinati a finanziare il pagamento di interessi e altri proventi su prestiti obbligazionari emessi dai percettori; gli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad Ires negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, in relazione alle partecipazioni e agli strumenti finanziari emessi da società ed enti la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici e gli strumenti finanziari e i contratti di associazione in partecipazione, non relativi a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato, per i quali la norma prevede una ritenuta operata a titolo di imposta e con l’aliquota dell’1,375 per cento; il risultato netto maturato delle forme di previdenza complementare nonché gli utili corrisposti ai fondi pensione istituiti negli Stati membri dell'UE e negli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list sono soggetti ad imposta con una aliquota ridotta all’11 per cento.
Allo stesso modo, rimane fermo il regime di esenzione previsto dall’articolo 31, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 per i proventi di cui alla lettera g), comma 1, dell’articolo 44 del TUIR derivanti dalla partecipazione ai Fondi per il Venture Capital (FVC).
Per i titoli equiparati, l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 11/E del 28 marzo 2012 ha fornito un apposito elenco che aggiorna quello allegato alla nota del Ministero delle finanze prot. 14/942925 del 1° giugno 1994. L’elenco, non esaustivo, è suscettibile di integrazioni dietro segnalazione degli enti interessati previa verifica dei requisiti richiesti presso i competenti servizi del Ministero degli affari esteri.
Secondo la circolare, poi, per effetto dell’unificazione delle aliquote, sugli utili di esercizio delle Società di Investimento Immobiliare quotate e non quotate (SIIQ e SIINQ) riferibili ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo non trova più applicazione la ritenuta in forma ridotta nella misura del 15 per cento.
In materia di fondi comuni d'investimento mobiliare, si prevede che sui proventi delle quote di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari di diritto estero si effettua una ritenuta del 12,50 per cento.
Con riguardo ai sottoscrittori, il valore e il costo delle quote o azioni è rilevato dai prospetti periodici al netto di una quota dei proventi (e delle perdite) riferibili alle obbligazioni e altri titoli di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 601/1973 ed equiparati e alle obbligazioni emesse dagli Stati inclusi nella white list. A tal fine si applica un criterio forfetario di tipo patrimoniale secondo cui i proventi si considerano riferibili ai titoli pubblici in proporzione alla percentuale media dell’attivo dei predetti Oicr investita direttamente o indirettamente, per il tramite di altri Oicr, nei suddetti titoli.
Le plusvalenze e le minusvalenze realizzate attraverso la cessione o il rimborso (o liquidazione) delle quote o azioni acquistate e/o cedute a prezzi diversi da quelli risultanti dai prospetti periodici rilevano per il loro intero ammontare.
Anche nelle polizze di assicurazione i redditi da assoggettare a ritenuta sono assunti al netto del 37,5 per cento dei proventi e delle perdite riferibili ai titoli pubblici. Tali proventi sono determinati in proporzione alla percentuale media dell’attivo investita nei titoli medesimi direttamente o indirettamente per il tramite di Oicr con sede in Italia (diversi dai fondi immobiliari) e Oicvm esteri conformi ed equiparati.
Con tre decreti del13 dicembre 2011 (G.U. 292 del 16 dicembre 2011), il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato la disciplina attuativa della riforma dei redditi di natura finanziaria operata con il citato D.L. 138/2011. In particolare, i decreti disciplinano:
- lo svolgimento delle operazioni di addebito e di accredito del conto unico;
- la determinazione della quota dei proventi e di redditi riferibili alle obbligazioni ed altri titoli pubblici derivanti - rispettivamente - dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo del risparmio (tale quota si considera riferibile in proporzione alla percentuale media dell'attivo dei predetti organismi investita nei titoli medesimi rilevata sulla base degli ultimi due prospetti, semestrali o annuali; i proventi così determinati sono soggetti alla ritenuta del 20 per cento nel limite del 62,5 per cento del loro ammontare) e dai contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione (tali proventi sono assunti al netto del 37,50 per cento dei proventi riferibili alle obbligazioni e altri titoli; sono determinati in proporzione alla percentuale media dell'attivo investito nei titoli medesimi; la percentuale è rilevata con cadenza annuale sulla base dei rendiconti di periodo approvati);
- le modalità di esercizio della opzione per l'affrancamento delle plusvalenze latenti di cui all'art. 2, commi da 29 a 32, del citato decreto-legge n. 138 del 2011 in modo che la nuova aliquota del 20 per cento incida solo sulle plusvalenze che matureranno successivamente al 31 dicembre 2011; in caso di esercizio dell'opzione, i contribuenti assumono, a decorrere dal 1° gennaio 2012, in luogo del costo o valor di acquisto, il valore delle predette attività finanziarie alla data del 31 dicembre 2011, determinato secondo i criteri definiti nel decreto stesso.
Se le obbligazioni e i titoli similari sono emessi da società o enti, diversi dalle banche, il cui capitale è rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati degli Stati membri dell’UE e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella c.d. white list, ovvero da quote, gli interessi passivi sono deducibili a condizione che il tasso di rendimento effettivo non sia superiore:
a) al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati degli Stati UE e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella lista citata, o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione;
b) al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, per le obbligazioni e i titoli similari diversi dai precedenti.
Gli interessi passivi sono invece indeducibili, nell'ipotesi in cui il tasso di rendimento effettivo all’emissione superi i limiti suddetti.
La tassa sulle transazioni finanziarie in Francia
La Francia è il primo Paese europeo ad aver istituito, all’inizio del 2012, una tassa sulle transazioni finanziarie. Fortemente voluta dall’allora presidente Sarkozy, la nuova tassa è stata approvata dal parlamento francese nell’ambito della I legge correttiva della Loi de finances 2012 (Loi n° 2012-354 du 14 mars 2012 de finances rectificative pour 2012, art. 5). Tra i primi commenti si segnala: Taxe sur les transactions financières, “La Semaine juridique”, édition générale, n. 18, 30 Avril 2012.
La nuova tassa, entrata in vigore a partire dal 1° agosto 2012, si traduce nell’applicazione di tre nuove imposte, ma soltanto su alcuni tipi di transazioni finanziarie:
- sugli acquisti di azioni (taxe sur les acquisitions d'actions –TAAF);
- sul trading ad alta frequenza(taxe sur le trading à haute fréquence - TTHF);
- sugli acquisti “a nudo”di Credit Default Swaps (taxe sur achat de credit default swaps -TCDS) sul debito di Stati membri dell’UE.
L’imposta sulle transazioni finanziarie (TTF) è attualmente regolata dal Code général des Impôts (articoli da 235 ter ZD a 235 ter ZD ter).
Destinato all’origine a ridurre il deficit francese, il ricavato della nuova imposizione fiscale dovrebbe essere destinato all’aiuto allo sviluppo, ma non è stata data ancora alcuna chiara indicazione sulla relativa ripartizione.
Nell’ambito della riforma fiscale del 16 agosto 2012, l’imposta sugli acquisti di azioni (TAAF) è stata perfezionata con un aumento del relativo tasso allo 0,2% dell’ammontare di ciascuna transazione interessata. Il governo francese ipotizza di ricavare dal gettito della nuova tassa a pieno regime un’entrata di circa 1,5 miliardi di euro all’anno.
La TAAF riguarda gli acquisti di azioni (o altri titoli di capitale o assimilati) di imprese con sede legale in Francia e quotate a Parigi con una capitalizzazione di borsa superiore al miliardo di euro al 1° dicembre precedente all’anno d’imposizione (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD, I).
Secondo l’Arrêté del Ministero dell’Economia e finanze del 12 luglio 2012 che ne ha fissato la lista, 109 impresefrancesi rispondono attualmente alla definizione prevista dal Codice (da AIR LIQUIDE a AIR FRANCE-KLM, a LVMH, a VIVENDI).
Ogni acquisto di titolo francese quotato sulla Borsa di Parigi, qualunque sia il luogo nel quale sia stato effettuato, sarà assoggettato a questa tassa. Ad esempio, un investitore con base a New York che decida di acquistare un’azione LVMH quotata 120,5 euro a Parigi, pagherà lo 0,2% di imposta supplementare all’acquisto, ovvero 24,1 centesimi di euro.
Il legislatore ha previsto peraltro l’esonero dall’imposta per diverse operazioni (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD, II), tra le quali in particolare:
- gli acquisti realizzati nell’ambito di emissione di titoli sul mercato primario;
- le operazioni realizzate dalle camere di compensazione e dai depositari centrali nell’ambito dell’esercizio delle loro normali attività;
- le operazioni effettuate con l’obiettivo di assicurare la liquidità del mercato, nell’ambito di attività per la tenuta del mercato;
- le operazioni realizzate per conto delle società emettitrici in vista di favorire la liquidità delle loro azioni nel quadro di pratiche di mercato ammesse e accettate dall’ Autorité des marchés financiers (AMF);
- le acquisizioni di titoli realizzati nel quadro di talune operazioni tra società membri dello stesso gruppo o operazioni di ristrutturazione, a condizione, per queste ultime, che esse beneficino del regime fiscale di favore;
- le operazioni di cessione temporanea di titoli (prestiti - prestiti di titoli, transazioni di acquisto-rivendita o di vendita - riscatto);
- gli acquisti e riscatti effettuati in vista della loro destinazione a meccanismi di risparmio salariale;
- acquisizioni di obbligazioni scambiabili o convertibili in azioni.
L’imposta sarà applicata, al tasso dello 0,2%, sul valore d’acquisto del titolo ed è dovuta sulla posizione netta consegnata alla data del regolamento; pertanto acquisti e vendite eseguiti nella stessa giornata verranno compensati ai fini dell'imposta, che dovrà essere dichiarata e liquidata entro il 25 del mese seguente a quello dell’acquisto.
E’ tenuto al pagamento dell’imposta il broker finanziario che ha eseguito l’ordine d’acquisto o, in mancanza, l’istituto bancario responsabile della custodia del conto strumenti finanziari per l’acquirente. Sarà la camera di compensazione francese, Euroclear France, intermediario tra l’acquirente e il venditore del titolo, a raccogliere il ricavato della tassa e a versarlo al Tesoro francese.
La riforma fiscale dell’estate 2012 ha esteso inoltre il campo di applicazione della TAAF ai “titoli (rappresentanti le azioni delle 109 imprese interessate dalle tassa) emessi da una società, qualunque sia il luogo di stabilimento della sua sede sociale”, relativi in particolare alle imprese francesi quotate a New York attraverso certificati negoziabili (gli American Depositary Receipts - ADR); la legge, tuttavia, ha previsto l’attuazione della tassazione su questi tipi di titolo solo a partire dal 1° dicembre 2012.
Per quanto riguarda le operazioni di trading ad alta frequenza, soggiacciono alla nuova imposta, la TTHF, tutte le imprese che operano in Francia, pertanto non solo le imprese francesi, ma anche le succursali di società straniere, con un campo di applicazione più ampio di quello della TAAF (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD bis, I).
Il legislatore ha stabilito che “costituisce un’operazione ad alta frequenza su titoli di capitale il fatto di indirizzare a titolo abituale ordini, facendo ricorso a meccanismi di trattamento automatizzato di tali ordini caratterizzato dall’invio, la modifica o l’annullamento di ordini successivi su un determinato titolo separati da uno scarto di tempo inferiore ad una soglia fissata per decreto. Tale soglia non può essere superiore ad un secondo» (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD bis, II).
Il Décret di attuazione del 7 agosto 2012 ha fissato lo scarto temporale in mezzo secondo ed ha stabilito anche una soglia di “proporzione”, al di sopra della quale le operazioni di annullamento e di modifica degli ordini sono comunque soggette alla tassa: l’operatore dovrà pagare l’imposta, pari allo 0,01% dell’ammontare degli ordini annullati o modificati che superino l’80% del totale degli ordini trasmessi in una giornata di borsa (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD bis, IV). La TTHF dovrebbe rendere meno valide economicamente le operazioni di trading ad alta frequenza realizzate sul territorio francese e non si prevedono da questa tassa entrate significative per il bilancio nazionale.
La terza imposta sulle transazioni finanziarie riguarda, infine, l’acquisto di Credit Default Swaps - CDS (contratti di scambio sui rischi di insolvenza/ contrats d'échange sur défaut) di uno Stato dell’UE, che avvengano da parte di acquirenti di CDS che non dispongono di titoli rappresentanti il debito di tale Stato – o non siano in posizione per acquistarne al momento dell’acquisto di CDS. La TCDSsi applica per conseguenza alla conclusione dell’acquisto del CDS “a nudo” (senza possesso di titolo), al tasso dello 0,01% del valore nozionale del contratto di scambio (Code général des Impôts, art. 235 ter ZD ter).
Per i prodotti finanziari più complessi, il governo francese ha invece preferito attendere l’evoluzione delle posizioni degli altri Paesi dell’Unione europea sull’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie a livello europeo.
Forti dubbi vengono avanzati sull’effetto dissuasivo di questa nuova tassa sulla speculazione, sia da parte degli investitori che dai sostenitori dell’opportunità di tassare le transazioni finanziarie. Secondo le previsioni di una parte degli operatori del settore finanziario l’applicazione della tassa non dovrebbe provocare grosse fughe di capitali, data l’esiguità della tassa rispetto ai guadagni percentuali per i quali si attivano determinate operazioni finanziarie. Gli stessi operatori finanziari evidenziano inoltre diverse possibilità di sfuggire alla tassa. Per i sostenitori di una finanza più responsabile, d’altro canto, la nuova tassazione delle transazioni finanziarie approvata in Francia, è ancora lontana da una vera e propria “Tobin tax”.
La TAAF adottata in Francia presenta significative differenze rispetto alla proposta di direttiva UE su un sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie, presentata nel 2011 dalla Commissione europea. In particolare, il campo di applicazione della TAAF, che colpisce i titoli di capitale, è molto più stretto di quello della tassa proposta dalla Commissione europea, che dovrebbe essere applicata a tutti i tipi di prodotto finanziario, compresi i c.d. derivati, e anche il campo territoriale di applicazione delle due tassazioni è differente: la TAAF si applica quando il titolo acquistato sia stato emesso da un’impresa emettitrice francese, indipendentemente dal luogo di realizzazione della transazione o dal luogo di stabilimento del venditore, dell’acquirente o dell’intermediario finanziario; la tassa europea, invece, si basa - nella proposta - sul criterio di residenza o di stabilimento all’interno dell’UE di almeno una delle parti della transazione. Infine, per quanto riguarda la TAAF, i casi di esonero sono molto più numerosi di quelli previsti dalla proposta di direttiva UE.
Con la legge 12 luglio 2011, n. 120 sono state apportate significative modifiche al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, allo scopo di tutelare la parità di genere nell'accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. La legge, preso atto della situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle predette imprese, intende riequilibrare a favore delle donne l'accesso agli organi apicali.
La legge 12 luglio 2011, n. 120 sulla parità di accesso agli organi delle società quotate è volta a superare il problema - secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa dell’A.C. 2426 (Golfo) - della scarsa presenza di donne negli organi di vertice delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. A tal fine è previsto un “doppio binario” normativo:
L'articolo 1 della legge (che introduce il comma 1-ter all’articolo 147-ter del testo unico dell’intermediazione finanziaria – TUIF, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) impone che lo statuto societario preveda un riparto degli amministratori da eleggere effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, dovendo il genere meno rappresentato ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti.
E’ prevista un’articolata procedura per l’ipotesi in cui il CdA eletto non rispetti i predetti criteri di equilibrio dei generi: in particolare, la Consob diffida la società inottemperante affinché si adegui entro il termine massimo di quattro mesi. L’inottemperanza alla diffida comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa (da 100.000 euro a 1 milione di euro) e la fissazione di un ulteriore termine di tre mesi per adempiere. Solo all’inosservanza di tale ultima diffida consegue la decadenza dei membri del CdA.
Le norme proposte affidano allo statuto societario la disciplina delle modalità di formazione delle liste e dei casi di sostituzione in corso di mandato, al fine di garantire l’equilibrio dei generi.
Le disposizioni in materia di equilibrio di genere sono estese (inserendo, all'articolo 147-quater del TUIF, il comma 1-bis) anche al consiglio di gestione, ove costituito da almeno tre membri; affidano all'atto costitutivo della società il compito di disciplinare il riparto dei membri del collegio sindacale (a tal fine inserendo il comma 1-bis all'articolo 148 del TUIF) secondo i già commentati criteri di tutela del genere meno rappresentato.
Anche per tale ipotesi si prevede l'attivazione di apposita procedure di diffida da parte della Consob per l'ipotesi di inottemperanza, con eventuale applicazione di una sanzione pecuniaria (da 20.000 a 200.000 euro) e, in ultima istanza, la decadenza dei membri del collegio sindacale della società inottemperante.
Le norme (articolo 2) troveranno applicazione dal primo rinnovo degli organi societari interessati successivo al 12 agosto 2012 (ovvero un anno dall'entrata in vigore delle norme stesse). Sono inoltre previste disposizioni transitorie per il primo mandato degli organi eletti secondo le nuove prescrizioni, al fine di renderne graduale l’applicazione: almeno un quinto degli organi amministrativi e di controllo societario devono essere riservati al genere meno rappresentato.
Come già anticipato, le disposizioni in materia di equilibrio di genere (articolo 3 della legge) si applicano anche alle società a controllo pubblico non quotate. Si demanda però a un regolamento la definizione di termini e modalità di attuazione delle prescrizioni in tema di equilibrio dei generi negli organi di amministrazione e controllo delle società pubbliche, con lo scopo di recare una disciplina uniforme per tutte le società interessate.
Al predetto regolamento è affidata la disciplina della vigilanza sull’applicazione delle norme introdotte, nonché delle forme e dei termini dei provvedimenti da adottare e le modalità di sostituzione dei componenti decaduti.
In particolare, il già richiamato DPR n. 251/2012 impone – come avviene per le società private - agli statuti delle società pubbliche non quotate di prevedere modalità di nomina degli organi di amministrazione e di controllo, se a composizione collegiale, secondo modalità tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo. Anche in tali ipotesi gli statuti disciplinano le formazione delle liste in applicazione del criterio di riparto tra generi, prevedendo modalità di elezione e di estrazione dei singoli componenti idonee a garantire il rispetto delle previsioni di legge.
Tuttavia, il DPR n. 251 del 2012 vieta agli statuti delle società pubbliche di prevedere il rispetto del criterio di riparto tra generi, ove le liste presentino un numero di candidati inferiore a tre. Inoltre gli statuti disciplinano l'esercizio dei diritti di nomina, ove previsti, affinché non contrastino con quanto previsto dal regolamento stesso.
Anche in tale ipotesi, per il primo mandato degli organi apicali la quota riservata al genere meno rappresentato deve essere pari ad almeno un quinto del numero dei componenti dell'organo.
La vigilanza sul rispetto delle disposizioni in materia di parità di genere al Presidente del Consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità, con presentazione al Parlamento di apposita relazione triennale.
A tal fine, le società sono obbligate a comunicare la composizione degli organi sociali entro quindici giorni dalla data di nomina degli stessi o dalla data di sostituzione, ove avvenuta. L’organo di amministrazione e quello di controllo comunicano altresì la mancanza di equilibrio tra i generi, anche in corso di mandato. Tale segnalazione può essere altresì fatta pervenire da chiunque vi abbia interesse.
Ove si accerti il mancato rispetto della quota di un terzo nella composizione degli organi sociali, si prevede una diffida alla società a ripristinare l'equilibrio tra i generi entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza alla diffida, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per le pari opportunità fissano un nuovo termine di sessanta giorni ad adempiere, con l'avvertimento che, decorso inutilmente detto termine, ove la società non provveda, i componenti dell'organo sociale interessato decadono e si provvede alla ricostituzione dell'organo nei modi e nei termini previsti dalla legge e dallo statuto. Rispetto, dunque, alla disciplina delle società private, non è prevista alcuna sanzione pecuniaria.
Francia
In Francia, alcune disposizioni sulle quote di rappresentanza femminile negli organi direttivi delle società pubbliche e private erano state inserite dal legislatore nel 2006 nella Loi relative à l’égalité salariale entre les femmes et les hommes (Loin. 2006-340). In particolare il Titolo III della legge (artt. 21-26) aveva l’obiettivo di agevolare l’accesso delle donne alle istanze deliberative nell’impresa e alle giurisdizioni professionali; tale parte della legge venne però allora dichiarata incostituzionale dal Consiglio costituzionale il 16 marzo 2006 (decisione n. 2006-533 DC) e la legge venne promulgata il 23 marzo 2006, senza le disposizioni del Titolo III.
La revisione costituzionale del 23 luglio 2008 e l’iscrizione nell’art. 1 della Costituzione francese del principio secondo il quale “la legge favorisce l’uguale accesso alle donne e agli uomini ai mandati elettorali e funzioni elettive, così come alle responsabilità professionali e sociali”, hanno reso possibile un nuovo ricorso allo strumento legislativo.
La nuova legge del gennaio 2011 (Loi n. 2011-103 du 27 janvier 2011 relative à la représentation équilibrée des femmes et des hommes au sein des conseils d'administration et de surveillance et à l'égalité professionnelle), promuove l’uguaglianza professionale tra uomini e donne in seno all’impresa e impone la ricerca di una “rappresentanza equilibrata tra uomini e donne” negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in Borsa, delle imprese del settore pubblico e degli enti pubblici a carattere industriale e commerciale soggetti al diritto privato. La proporzione degli amministratori di ciascun sesso non può essere inferiore al 40%, proporzione da raggiungere nell'arco di 6 anni, con il raggiungimento minimo del 20% entro 3 anni dalla promulgazione della legge. Negli organi di amministrazione con un massimo di 8 membri, lo scarto tra i rappresentanti dei due sessi non può essere superiore a 2. In base al nuovo provvedimento il mancato rispetto delle quote fissate comporterà la nullità delle nomine dei consigli di amministrazione, avvenute in violazione a tali percentuali - ad eccezione delle nomine di amministratori appartenenti al sesso sotto-rappresentato nel cda - e implicherà l’obbligo di convocare una nuova assemblea generale per regolarizzare la composizione del Consiglio di amministrazione.
Inoltre, per quanto riguarda i membri degli organi di amministrazione o controllo scelti da una lista di candidati, quest’ultima dovrà essere composta da candidati uomini e donne in egual numero, alternati.
Norvegia
Nella Legge sull’eguaglianza di genere, del 9 giugno 1978, n. 45 (Lov om likestilling mellom kjønnen. - Likestillingsloven – likestl), modificata nel 2005, l’articolo 21 dispone che la rappresentanza femminile nelle commissioni di enti pubblici, nei comitati aziendali, nei consigli di amministrazione di società, etc, sia assicurata nei seguenti modi:
Dal 2006 le medesime norme sono contenute dalla Legge sulle società quotate in borsa e sulle società controllate dallo Stato, del 13 giugno 1997, n. 45 (Lov om allmennaksjeselskaper - allmennaksjeloven), modificata nel 2003[1]. La legge prevede altresì lo scioglimento dell'azienda in caso di non adempimento.
Infine, anche la Legge sulle cooperative,del 29 giugno 2007, n. 81 (Lov om samvirkeforetak –Samvirkelova), all’art. 69, prevede le medesime disposizioni delle due leggi prima citate in relazione alla rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione.
Un’apposita sezione del sito del Ministero dell’infanzia e dell’uguaglianza di genere offre una sintesi dell’attuale disciplina in materia di rappresentanza dei sessi nei Consigli di Amministrazione (testo consultabile all’indirizzo ).
Infine sul sito dell’Ambasciata norvegese in Italia una breve scheda, datata 30 dicembre 2009 e dedicata alle donne nella poltica norvegese, presenta un paragrafo specifico relativo alla rappresentanza dei sessi nei consigli aziendali:
Spagna
Nella Legge organica per la parità effettiva tra gli uomini e le donne, del22 marzo 2007, n. 3 una norma specifica disciplina la partecipazione delle donne nei cda aziendali:
Articolo 75. Partecipazione delle donne nei Consigli di amministrazione delle aziende.
Le società aventi l’obbligo di presentare un conto perdite e profitti non abbreviato cercheranno di includere nel proprio Consiglio di amministrazione un numero di donne che consenta di raggiungere una presenza equilibrata di donne e uomini in un periodo di otto anni a partire dall’entrata in vigore della presente Legge.
Quanto previsto nel precedente capoverso sarà preso in considerazione per le nomine da realizzare man mano che scadono i mandati dei consiglieri designati prima dell’entrata in vigore della presente Legge.
Il governo Zapatero ha introdotto nel 2007 un principio di best practice nel codice sulla corporate governance per promuovere le rappresentanze femminili negli organi di gestione delle società quotate, con l'obiettivo per il 2015 di arrivare a una presenza femminile del 40% nei consigli di amministrazione; ad oggi, tuttavia, le donne nei cda delle società quotate spagnole sono appena l'11% del totale.
Inoltre, uno studio dal titolo Las mujeres en los consejos de administración y organismos de decisión de las empresas españolas, pubblicato nel marzo 2011 dalla società “Informa D&B” (la società, del gruppo CESCE, leader in Spagna per l’informazione nei settori della finanza, del commercio e del marketing), ha evidenziato come, a quattro anni di distanza dall’approvazione della legge summenzionata, la rappresentanza femminile nei Consigli di amministrazione delle aziende continui ad essere piuttosto scarsa, segnalando che il 68,73% delle imprese spagnole non conta alcuna presenza femminile nei propri cda.
La situazione in altri paesi europei
In altri paesi europei, come la Germania, il Regno Unito e la Svezia, non vi sono norme sulla rappresentanza femminile nelle società quotate, ma solo "raccomandazioni" nei rispettivi codici di corporate governance.
In Germaniaè stato di recente modificato il Corporate Governance Kodex per tentare di aumentare la rappresentanza femminile nelle principali società. Al riguardo va segnalato l'esempio della Deutsche Telekom, che ha introdotto una quota rosa per statuto, prevedendo che entro il 2015 il 35% delle posizioni di management debba essere ricoperto da donne; sono state inoltre nominate sei donne come membri dell'organismo di controllo.
Nel Regno Unito un rapporto del 24 febbraio 2011, curato dal Department for Business, Innovation and Skills (Ministero per le imprese, l’innovazione e le competenze) e intitolato “Women on Boards”, ha evidenziato come nell’arco di sei anni la presenza femminile all’interno dei consigli di amministrazione delle cento maggiori società quotate in borsa sia salita di poco più del 3%, passando dal 9,4% del 2004 al 12,5% del 2010. Dieci sono le raccomandazioni contenute nel rapporto, tra le quali si segnalano anzitutto il raggiungimento dell’obiettivo di almeno il 25% di rappresentanza femminile nei cda delle società “top-100” entro il 2015 e, in secondo luogo, l’obbligo delle società quotate di rendere noti ogni anno i dati relativi alle percentuali femminili nei consigli di amministrazione e nell’intera struttura societaria.
In Svezia, pur in assenza di norme specifiche in materia, la rappresentanza femminile nelle società è comunque fra le più alte in Europa.
Un rapporto pubblicato da tre studiose svedesi nel giugno 2010, intitolato “Women on the Corporate Board in Sweden”, analizza la qualità del contributo fornito dalle donne nei consigli di amministrazione societari.
Ulteriori informazioni sulla presenza delle donne nei cda societari possono essere reperite sul sito dello European Professional Women’s Network (EPWN). Si segnala in particolare lo “EuropeanPWN Board Women Monitor 2010”, che presenta statistiche (aggiornate al 2008) riguardanti 17 paesi europei.
Gli interventi normativi in tema di mercati finanziari e società quotate condotti durante la XVI legislatura sono stati finalizzati alla tutela di un'ampia platea di soggetti: anzitutto di soci ed azionisti - chiarezza dell'informazione societaria, tutela contro offerte pubbliche d'acquisto "ostili" e equilibrio di genere negli organi di vertice della società - ma anche di creditori e risparmiatori, mediante la compiuta disciplina dei professionisti operanti nel settore. In tale ottica la VI Commissione Finanze ha svolto un'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari.
Per maggiore trasparenza dei documenti contabili di specifiche tipologie societarie - tra cui anche gli istituti finanziari - il Governo (decreto legislativo 3 novembre 2008, n. 173), ha recepito le indicazioni europee (direttiva 2006/46/CE) in materia di conti annuali e consolidati. E’ stato a tal fine integrato il contenuto della relazione sulla gestione delle società emittenti valori mobiliari ammessi alle negoziazioni in mercati regolamentati (articolo 5 del D.Lgs. n. 173 del 2008, che ha modificato il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF, di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58): tale documento deve contenere un’apposita sezione recante informazioni relative al governo societario ed agli assetti proprietari.
In materia di prospetti informativi e informazioni su emittenti quotati, il D.Lgs. n. 184 del 2012 ha attuato la direttiva 2010/73/UE, che modifica le Direttive Prospetti e Trasparency, comportando una riduzione degli oneri previsti per gli operatori e la complessiva semplificazione degli adempimenti. Al fine di recepire in via amministrativa le predette norme, la Consob ha emanato la delibera che modifica il Regolamento Emittenti e il Regolamento Mercati.
Il D.lgs. 22 giugno 2012, n. 123 ha semplificato la disciplina delle fusioni e delle scissioni riducendo gli obblighi gravanti sulle società. In particoalre, è ora possibile effettuare gli adempimenti di pubblicità legale relativi ai progetti di fusione, di scissione e agli altri documenti da rendere disponibili ai soggetti interessati, tramite pubblicazione degli stessi sul web (sito della società medesima ovvero altro sito web designato a tale scopo dagli Stati membri) e l'invio di copia via posta elettronica, purché siano soddisfatte le garanzie di integrità e autenticità dei medesimi atti e documenti.
Il D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 27 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2007/36/CE concernente l'esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate, successivamente modificato dal D.Lgs.18 giugno 2012, n. 91. Tale provvedimento ha apportato rilevanti modifiche in materia di intervento in assemblea e diritto di voto (concernenti la convocazione assembleare, la pubblicità delle relazioni degli organi societari, il sito internet, l'esercizio del voto per corrispondenza e mediante procedimento elettronico, etc.). Le nuove norme sono estese, in misura limitata ai termini di convocazione e all'informativa preassembleare, anche alle società cooperative quotate.
Con particolare riferimento all’esercizio dei diritti sociali è stata introdotta nell’ordinamento interno la cd. regola della record date, per effetto della quale la legittimazione a partecipare alle assemblee delle società le cui azioni siano ammesse al sistema di gestione accentrata si acquisisce sulla base delle evidenze contabili risultanti, presso l'intermediario che tiene il dossier dell'azionista, al termine della giornata contabile del settimo giorno di mercato aperto precedente la data dell'assemblea in prima convocazione. Dunque ha il diritto di partecipare all'assemblea solo chi sia socio nel suddetto momento, con l’effetto di rendere indifferenti eventuali movimentazioni effettuate posteriormente a questo termine. Si consente a una rappresentanza qualificata di soci di chiedere l’integrazione dell’ordine del giorno; le relative richieste devono essere accompagnate da una relazione predisposta dai soci sulle materie di cui si propone la trattazione, da pubblicare prima dell’assemblea. È inoltre previsto uno specifico meccanismo di identificazione degli azionisti; viene consentito l’uso dei mezzi elettronici per la partecipazione alle assemblee e l’esercizio del voto.
Occorre anzitutto rammentare l’opera di revisione della disciplina in materia di offerta pubblica di acquisto (OPA), nell'ottica di predisporre adeguati strumenti di difesa in favore delle società oggetto di OPA "ostile" e di recepire le indicazioni fornite in sede europea (direttiva 2004/25/CE).
In particolare, l'obbligo per le società oggetto di offerta pubblica di acquisto di tenere comportamenti neutrali (non difensivi) nel perdurare dell’offerta (cd. passivity rule) è stato reso derogabile, in tutto o in parte, da apposite norme statutarie (articolo 1, comma 3 del decreto legislativo 25 settembre 2009, n. 146, che ha integrato e corretto il D.Lgs. 19 settembre 2007, n. 229), allo scopo di consentire alle società una più efficace difesa del controllo azionario. Con il "decreto anticrisi" (articolo 13 del decreto-legge n. 185 del 2008) è stata attribuita alle società italiane la facoltà di introdurre nello statuto la regola di "neutralizzazione" delle limitazioni al trasferimento dei titoli che potrebbero ostacolare un'offerta pubblica di acquisto (cd. breakthrough rule). Inoltre il decreto “incentivi” (D.L. 10 febbraio 2009, n. 5; articolo 7, commi da 3-quater a 3-sexies) ha aumentato la misura della quota di partecipazione che l'azionista di controllo può incrementare senza obbligo di promuovere una OPA totalitaria. La Consob, al fine di recepire i suddetti interventi normativi, ha operato le relative modifiche al regolamento emittenti (delibera 17731 del 2011). Si veda, per ulteriori informazioni, la scheda di approfondimento in materia.
La disciplina della revisione legale dei conti è oggi contenuta nel D. Lgs. n. 39 del 2010, con il quale è stata recepita nell’ordinamento interno la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati ed è stata unificata in un corpus normativo omogeneo la disciplina dell’attività di revisione. Il suddetto provvedimento contiene infatti disposizioni concernenti, tra l’altro, l’abilitazione e la formazione continua dei soggetti abilitati all'attività di revisione (articolo 2), il Registro dei revisori legali e delle società di revisione (le cui informazioni sono conservate in forma elettronica e sono accessibili gratuitamente via Internet, ai sensi dell’articolo 7), lo svolgimento dell’attività di revisione legale, la responsabilità dei revisori. In particolare, l’articolo 14 del D. Lgs. n. 39 del 2010 dispone che la persona fisica o la società incaricata di effettuare la revisione legale dei conti esprimono con apposita relazione un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto, e verificano nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili.
In tale ambito si ricorda altresì il D.Lgs. 31 marzo 2011, n. 56 (di attuazione della direttiva 2009/49/CE) volto a ridurre gli oneri amministrativi per le società di piccole e medie dimensioni, in particolare nei settori della contabilità e della revisione contabile.
Il D.lgs. 4 giugno 2008, n. 142 (di attuazione della direttiva 2006/68/CE) modificato dal d.lgs. 29 novembre 2010, n. 224ha introdotto norme in materia di costituzione delle società per azioni e salvaguardia del capitale sociale, con riferimento alla disciplina dei conferimenti di beni in natura o crediti senza relazione di stima, dei fatti eccezionali che incidono sulla valutazione, nonché delle operazioni sulle azioni proprie. Obiettivo del legislatore è quello di assicurare che venga effettuata una valutazione oggettiva e veritiera di tali conferimenti, in modo da evitare il rischio che ad essi possa venire riconosciuto un valore nominale superiore a quello reale, con danno per la società, per i soci e per le eventuali ragioni dei terzi.
In ordine all’assetto societario delle imprese “strategiche”, si rammenta che l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività.
L’individuazione dei requisiti per la qualifica di “società di interesse nazionale” è stata effettuata dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell’8 maggio 2011. In particolare, sono state definite "di rilevante interesse nazionale" le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi.
Al di fuori dei settori indicati, sono di rilevante interesse nazionale le società che possiedono un fatturato annuo netto non inferiore a 300 milioni di euro e un numero medio di dipendenti nel corso dell'ultimo esercizio non inferiore a 250 (qualora rientri nel 20% di tali valori, l'attività della società deve risultare rilevante in termini di indotto e di benefici del sistema economico-produttivo del Paese, anche in termini di presenza sul territorio di stabilimenti produttivi).
Con il comunicato stampa del 22 giugno 2011, il cda di Cassa depositi e prestiti ha approvato la costituzione della società per azioni per l’assunzione di partecipazioni strategiche (“Fondo Strategico Italiano”); il successivo 27 luglio ha annunciato l’approvazione del relativo statuto. Il 30 novembre 2011 Cassa Depositi e Prestiti ha deliberato la sottoscrizione di 4 miliardi di euro di aumenti di capitale del Fondo Strategico Italiano (FSI). Grazie all’ingresso di altri soci - enti pubblici, fondazioni di origine bancaria, banche, assicurazioni, casse previdenziali e altri investitori istituzionali, anche esteri - la dimensione di FSI si attesterà a circa 7 miliardi di euro.
Infine si ricorda che il D. L. 21 del 2012, nel riformare la disciplina dei poteri speciali dell'esecutivo in settori di particolare rilevanza strategica (difesa, sicurezza nazionale, trasporti, energia e comunicazioni), ha altresì inciso sulla normativa delle società privatizzate, anche quotate, operanti nei predetti comparti. Si rinvia al tema sulla salvaguardia degli asset strategici per approfondimenti.
La legge 12 luglio 2011, n. 120 reca disposizioni in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. La legge, preso atto della situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle imprese quotate in mercati regolamentati, persegue l'obiettivo di riequilibrare a favore delle donne l'accesso alle cariche direttive di tali società. Si rinvia al relativo tema web per approfondimenti.
Anche in deroga a quanto previsto dalle disposizioni ordinarie in materia di società quotate, nel corso della XVI Legislatura si sono succeduti specifici interventi normativi volti a tutelare le società quotate nazionali considerate di particolare interesse strategico, ai fini del rilancio dell’economia nazionale, della competitività del Paese e del rafforzamento del settore industriale nazionale.
In particolare, in deroga alle disposizioni del già citato D.L. n. 27 del 2010, il decreto-legge 25 marzo 2011, n. 26 ha inteso posticipare i termini per la convocazione dell’assemblea annuale, successiva alla chiusura dell’esercizio 2010, di alcune tipologie di società quotate: tale posticipo ha interessato, in particolare, le società cui si applica l’articolo 154-ter del TUF, ovvero gli emittenti quotati che hanno l'Italia come Stato membro d'origine, investiti dall’obbligo di pubblicare alcune relazioni finanziarie a cadenza periodica (relazione finanziaria annuale, semestrale, resoconto intermedio di gestione).
Nel corso del 2008 la 6a Commissione Finanze e tesoro del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva sulla crisi finanziaria internazionale e sui suoi effetti sull’economia italiana, con un programma di audizioni che ha coinvolto l’ISVAP, l'ANIA, la Consob, Borsa Italiana S.p.A., l'ABI, la COVIP, la Banca d’Italia ed il Ministro dell’economia e delle finanze. Nel documento conclusivo Doc. XVII, n. 1 approvato il 22 dicembre 2008 la Commissione ha espresso forte preoccupazione per gli effetti della crisi finanziaria in termini di perdita di credibilità e affidamento del sistema bancario e finanziario, rilevando l’analogia tra alcune evidenze emerse nel corso degli scandali finanziari degli anni passati e la passività degli operatori rispetto a meccanismi di finanziamento e copertura dei rischi, posti a carico dei risparmiatori in ultima istanza. Il sistema finanziario e bancario italiano, che presenta rispetto ad altri paesi aspetti di maggiore solidità e maggiore capacità di ripresa, a parere della Commissione, deve svolgere un ruolo di sostegno e di accompagnamento delle scelte di investimento per il superamento della difficile congiuntura, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese. La Commissione ha fatto esplicito richiamo alla responsabilità degli amministratori e dei manager al rispetto di principi etici e deontologici all’altezza del loro ruolo; in relazione al ruolo e all’attività di controllo e sanzione delle autorità di vigilanza, è stata sollecitata la creazione di un organismo di vigilanza e controllo a livello europeo; infine è stata sottolineata l’urgenza di una disciplina comunitaria che regolamenti l’attività delle agenzie di rating.
Il 19 luglio 2011 la VI Commissione Finanze della Camera ha concluso l'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, volta sostanzialmente ad approfondire le ragioni dello sviluppo, storicamente limitato, in Italia, di tali mercati, e le ricadute che tale condizione ha avuto sugli assetti complessivi del sistema imprenditoriale nazionale, sui suoi rapporti con il settore finanziario e creditizio, nonché sui modelli di sviluppo del capitalismo italiano, approvando il relativo documento conclusivo.
In particolare, la Commissione ha rilevato che le potenzialità e le arretratezze dei mercati degli strumenti finanziari in Italia attengono principalmente alla debolezza dei mercati dei capitali ed alla scarsità dei canali a disposizione delle imprese per alimentare finanziariamente la propria capitalizzazione e le proprie prospettive di crescita. In tal senso, tra gli interventi correttivi da realizzare, sono emerse esigenze che necessitano di essere affrontate mediante misure di carattere normativo, mentre altre sembrano doversi demandare all'attività di vigilanza svolta sul settore dalle autorità competenti. La Commissione ha quindi fornito alcune specifiche linee guida su cui dovrebbero muoversi i predetti interventi. Per ulteriori informazioni si rinvia alla scheda di approfondimento relativa alla predetta indagine conoscitiva.
Tra le proposte operative formulate dalla Commissione VI Finanze all’esito dell’indagine sui mercati degli strumenti finanziari vi è quella di valorizzare e potenziare nuovi strumenti, aggiuntivi e non sostitutivi del capitale privato, di sostegno pubblico o misto pubblico - privato alla capitalizzazione delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
A tal fine si è proposto di rilanciare lo strumento delle cosiddette “carte commerciali” (commercial papers), anche attraverso la revisione della legge n. 43 del 1994, definendo le condizioni per rilanciare un mercato specifico sul quale negoziare tali titoli di debito, che sia in grado di assicurare la rigorosa tutela degli investitori, di consentire la conoscenza e trasparenza degli emittenti e di ridurre i costi di emissione.
In attuazione delle predette linee-guida, l’articolo 32 del D.L. 83 del 2012 (successivamente modificato ed integrato) ha consentito alle società non emittenti strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di emettere cambiali finanziarie e obbligazioni a specifiche condizioni di legge.
Il Regolamento europeo in materia di short selling (Regolamento UE n. 236/2012) ha introdotto obblighi di segnalazione delle posizioni nette corte sopra una certa soglia e alcune limitazioni alle cd. "vendite allo scoperto" di strumenti finanziari. Esso è entrato in vigore il 1° novembre 2012.
La "vendita allo scoperto” è un'operazione finanziaria che consiste nella vendita, effettuata nei confronti di uno o più soggetti terzi, di titoli non direttamente posseduti dal venditore. Essi, durante l’operazione di short selling, vengono istantaneamente prestati dal loro fornitore al venditore allo scoperto e quindi subito venduti da quest'ultimo. Tale operazione si configura quindi come un prestito non di denaro bensì di titoli e solitamente contempla l’obbligo di corrispondere un interesse al soggetto prestatore. L'ammontare dell'interesse da pagare cresce in relazione all'aumento della durata del prestito di titoli, poiché chi effettua la vendita deve, entro un certo lasso temporale, acquistare sul mercato (quindi a prezzo di mercato) i titoli, rifondendoli così al prestatore: operazione tecnicamente definita ricopertura dello scoperto. Per l'acquirente lo short selling attuato dal venditore è praticamente invisibile e perciò ininfluente, dunque per il compratore non vi è differenza tra i titoli acquistati da una vendita allo scoperto o non allo scoperto.
Per i titoli di Stato e i credit default swap sul debito sovrano (ovvero contratti derivati che tutelano i sottoscrittori dal rischio derivante dai titoli di debito sovrano) il citato Regolamento introduce – tra l’altro - specifici obblighi di segnalazione e trasparenza, nonché il divieto di effettuare vendite allo scoperto in assenza della disponibilità dei titoli e di assumere posizioni uncovered su credit default swap su emittenti sovrani. Sono esenti dalle predette regole le attività svolte dai market maker e dagli operatori principali autorizzati in titoli di Stato, previa notifica alle autorità competenti.
In base a quanto previsto dal nuovo articolo 4-ter del TUF (introdotto dal D.L. 179 del 2012), la Banca d'Italia e la Consob sono le autorità competenti per ricevere le notifiche, attuare le misure ed esercitare le funzioni e i poteri ordinari previsti dal regolamento; il Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) è l'autorità competente per i poteri di intervento in circostanze eccezionali, da esercitare su proposta della Banca d'Italia, sentita la Consob. In particolare, alla Banca d'Italia dovranno essere effettuate le notifiche delle posizioni corte nette sul debito sovrano e le notifiche da parte dei market maker italiani e degli operatori principali autorizzati in titoli di Stato che intendono avvalersi delle esenzioni.
La Banca d’Italia ha emanato un comunicato relativo alle modalità operative delle nuove regole, illustrandone altresì il contenuto.
A seguito del recepimento della direttiva MiFID (direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari), l’autorizzazione ad esercitare attività di consulenza finanziaria è stata estesa, oltre alle banche e alle imprese di investimento, anche ai privati in possesso di specifici requisiti, a patto di non detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti. E’ stato poi stabilito (articolo 19, comma 14 del D.Lgs. n. 164 del 2007) un limite temporale, in origine fissato al 30 giugno 2008 e da ultimo prorogato al 30 giugno 2013 (articolo 1, comma 388, tabella 2, n. 10 della legge di stabilità 2013, legge n. 228 del 2012), per l’esercizio di tale attività da parte dei privati che al 30 ottobre 2007 prestavano già consulenza in materia di investimenti senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti. Conseguentemente, nonostante l'esercizio professionale di servizi e attività di investimento sia riservato dalla legge a banche e imprese di investimento, i soggetti che al 31 ottobre 2007 prestavano consulenza in materia di investimenti possono continuare a svolgere tale servizio, senza detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, fino al 30 giugno 2013.
Inoltre, si ricorda che l’articolo 2 della legge 18 giugno 2009, n. 69 ha disciplinato le società di consulenza finanziaria, consentendo l’esercizio dell'attività a persone giuridiche costituite in forma di società per azioni e società a responsabilità limitata, a determinate condizioni e in possesso dei requisiti stabiliti dalla legge.
Si ricordano infine gli interventi connessi alla attivita' di impresa: in primo luogo, le misure in tema di lotta alla contraffazione ed in generale di tutela dei diritti di proprietà industriale; quelle sulle fusioni e scissioni societarie; la disciplina delle s.r.l. semplificate e a capitale ridotto, le modifiche in materia di societa' cooperative e di mutuo soccorso. Nel settore processuale, va segnalata l'istituzione del cd. Tribunale delle imprese e la soppressione del rito societario. Altri interventi hanno riguardato modifiche alla disciplina del concordato preventivo.
Il D.Lgs. n. 39 del 2010, nel recepire la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, ha disposto la revisione della disciplina previgente. L’attività del revisore è definita revisione legale dei conti e non più controllo contabile. Viene, poi, introdotto un Registro unico, al quale sono iscritti tutti i soggetti abilitati allo svolgimento della revisione, con abolizione dell’Albo speciale delle società di revisione previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF).
Per quanto concerne lo svolgimento dell’attività, le nuove disposizioni tendono ad un generale rafforzamento dei valori professionali e di comportamento richiesti ai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti, attraverso la previsione di specifici principi etici, di indipendenza e di professionalità. La revisione legale dovrà, inoltre, svolgersi nel rispetto dei principi di revisione che saranno adottati dalla Comunità Europea in base alla direttiva 2006/43/CE. In attesa della loro emanazione, la revisione legale sarà svolta in conformità ai principi di revisione elaborati da associazioni e ordini professionali e dalla Consob.
Il registro comprende una sezione (c.d. degli inattivi) in cui sono collocati gli iscritti che non svolgono incarichi di revisione legale per almeno tre anni, nonché coloro che, privi di incarichi, ne facciano espressa richiesta, non essendo ancora trascorsi i tre anni. I revisori legali, iscritti nella sezione del registro c.d. degli inattivi, che intendano accettare un nuovo incarico devono seguire apposito percorso di formazione professionale, secondo le modalità previste dalla disciplina di attuazione.
Il D.Lgs. n. 39/2010 ha affidato al Ministero dell’economia e delle finanze le competenze in materia di revisione legale dei conti. Conseguentemente il Ministro dell’economia e delle finanze ha emanato i seguenti decreti attuativi:
Si segnala, inoltre, che la Banca d’Italia ha assunto il Provvedimento 30 gennaio 2013, con il quale sono individuati gli indicatori di anomalia per le società di revisione e revisori legali con incarichi di revisione su enti di interesse pubblico.
ll 19 luglio 2011 la VI Commissione Finanze ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, volta ad approfondire le ragioni dello sviluppo, storicamente limitato, in Italia, di tali mercati, e le ricadute che tale condizione ha avuto sugli assetti complessivi del sistema imprenditoriale nazionale, sui suoi rapporti con il settore finanziario e creditizio, nonché sui modelli di sviluppo del capitalismo italiano.
L'indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari è stata deliberata dalla VI Commissione Finanze il 29 luglio 2010 con l'obiettivo di analizzare le evoluzioni storiche, l'attuale condizione e le prospettive di questo settore, per quanto riguarda gli aspetti quantitativi ed i profili macroeconomici, verificando in tale contesto anche l'efficacia e l'adeguatezza del quadro normativo nazionale, comunitario ed internazionale, nonché degli assetti regolamentari e di vigilanza sussistenti in materia.
In particoalre, l'indagine ha analizzato nel dettaglio la struttura dei mercati degli strumenti finanziari, regolamentati e non regolamentati, sotto il profilo dei relativi costi di accesso e di permanenza e con specifico riferimento alle problematiche relative alle piccole e medie imprese, nonché della regolamentazione e degli assetti proprietari. Particolare attenzione è stata dedicata alle problematiche relative alla tutela dei piccoli risparmiatori, nonché al ruolo svolto dalle società di gestione del mercato, segnatamente per quanto attiene all'attività di ammissione alla negoziazione ed alle loro competenze regolatorie. L'indagine ha consentito alla Commissione di evidenziare le potenzialità e le arretratezze dei mercati degli strumenti finanziari in Italia, che attengono principalmente alla debolezza dei mercati dei capitali ed alla scarsità dei canali a disposizione delle imprese per alimentare finanziariamente la propria capitalizzazione e le proprie prospettive di crescita.
Nel corso dell'indagine sono stati ascoltati il Presidente della CONSOB, il Vice Direttore generale della Banca d'Italia, il Presidente dell'Associazione bancaria italiana (ABI), il Presidente di ASSONIME, l'Amministratore delegato di Borsa Italiana Spa, esponenti del settore finanziario e creditizio, nonché esperti e studiosi della materia.
ll 19 luglio 2011 la VI Commissione Finanze ha concluso l'indagine conoscitiva ed ha approvato il documento conclusivo.
La Commissione Finanze ha innanzitutto rilevato l'esigenza di promuovere taluni interventi correttivi, che dovranno essere realizzati sia attraverso misure di carattere normativo, sia mediante l'attività di vigilanza svolta sul settore dalle autorità competenti. Tali interventi dovrebbero in particolare orientarsi, ad avviso della Commissione, secondo alcune linee guida, che essa intende proporre al dibattito politico ed alla discussione pubblica, tra le quali si ricordano:
- estendere e diversificare i canali e gli strumenti attraverso cui le risorse finanziarie affluiscono al sistema delle imprese, affiancando al finanziamento bancario altri meccanismi che prevedano un più ampio ricorso al mercato dei capitali;
- favorire la liquidità, ampiezza e trasparenza dei mercati dei capitali, al fine di consentire a questi ultimi di esprimere appieno le loro potenzialità di creazione di valore e di sostegno alla crescita del sistema imprenditoriale, garantendo, al contempo, la tutela dei risparmiatori;
- innovare la cultura dell'imprenditoria e della finanza italiana, nel senso di superare quelle resistenze che si oppongono in maniera ingiustificata ad una maggiore apertura del capitale delle imprese;
- semplificare le regole e gli adempimenti amministrativi e regolamentari in sede di ammissione alla quotazione, evitare duplicazioni e sovrapposizioni normative, sia a livello europeo sia a livello nazionale, nonché assicurare maggiore stabilità nel tempo delle regole vigenti in materia, assicurando un equilibrato bilanciamento tra le predette esigenze di semplificazione delle regole e di riduzione dei costi con quelle di tutela degli azionisti di minoranza;
- rivedere ed uniformare a livello europeo la disciplina delle offerte pubbliche di acquisto (OPA), al fine di: porre tutti gli operatori economici nelle medesime condizioni giuridiche; bilanciare l'esigenza di contendibilità delle imprese con quella di non indurre il ricorso a forme di controllo articolate ed opache; assicurare la trasparenza delle condizioni e degli obiettivi di tali acquisizioni; salvaguardare il patrimonio sociale e tutelare gli azionisti di minoranza;
- ripensare la disciplina sui prospetti e sulla trasparenza dei prodotti finanziari, che non dovrebbe essere più basata prioritariamente sui contenuti informativi del prospetto, sottolineando invece maggiormente la responsabilità, per gli intermediari che collocano presso il pubblico i prodotti, di fornire alla clientela retail un'efficace informativa sul singolo strumento finanziario;
- aprire una riflessione relativamente alla revisione della disciplina sulla quotazione, in particolare per quanto riguarda la ripartizione di compiti fra CONSOB e Borsa Italiana rispetto alle funzioni di listing, assicurando in tale contesto un adeguato contemperamento tra l'esigenza di sviluppo del mercato e quella di tutela degli investitori e della clientela retail;
- riorganizzare il sistema dei mercati degli strumenti di equity su più livelli, nei quali le regole ed il grado di trasparenza siano commisurati adeguatamente alle dimensioni, alle caratteristiche ed agli obiettivi delle società quotate, e superando il concetto di mercato dedicato alle piccole e medie imprese, che non si è rivelato produttivo nel contesto italiano, tenendo conto a questo riguardo degli approfondimenti che la CONSOB sta svolgendo in merito con gli operatori del mercato;
- eliminare dall'ordinamento tributario quegli elementi che possono indurre distorsioni nelle scelte di finanziamento delle imprese, introducendo, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, meccanismi fiscali agevolativi che favoriscano gli investimenti nel capitale delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni;
- valorizzare nuovi strumenti, aggiuntivi e non sostitutivi del capitale privato, di sostegno pubblico o misto pubblico - privato alla capitalizzazione delle imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, garantendo a tal fine criteri che disciplinino chiaramente condizioni e tempi della partecipazione al capitale; piena trasparenza nella selezione delle iniziative imprenditoriali che si intende sostenere; massima conoscibilità di tali strumenti da parte dei soggetti privati interessati; temporaneità della partecipazione al capitale; meccanismi di fuoriuscita dal capitale che non risultino traumatici per l'impresa partecipata;
- ampliare il panorama del mercato del debito, ad esempio rilanciando lo strumento delle cosiddette «carte commerciali» (commercial papers), anche attraverso la revisione della legge n. 43 del 1994, definendo le condizioni per rilanciare un mercato specifico sul quale negoziare tali titoli di debito, che sia in grado di assicurare la rigorosa tutela degli investitori, di consentire la conoscenza e trasparenza degli emittenti e di ridurre i costi di emissione.
Al di là delle questioni specifiche, la Commissione ha rimarcato l'esigenza che la politica si riappropri della capacità di governare i processi di evoluzione che stanno interessando il settore finanziario, in particolare migliorando la capacità di definire un quadro normativo armonizzato e stabile. Il dato più preoccupante che emerge dalle vicende di questi anni, anche alla luce delle turbolenze che stanno caratterizzando gli ultimi mesi, sta infatti nella condizione di subalternità in cui i decisori politici versano rispetto alle istanze dei mercati finanziari, che sembrano ormai in grado di dettare l'intonazione delle variabili macroeconomiche e di fissare gli obiettivi, i contenuti e la tempistica della politica economica perseguita dagli Stati.
Con il decreto legislativo 17 luglio 2009, n. 101 si è inteso attuare due deleghe legislative: la prima (articolo 12 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, “legge sul risparmio”) conferita al fine di integrare e correggere le norme (contenute nel decreto legislativo 28 marzo 2007, n. 51) concernenti il prospetto per l’offerta o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari; la seconda (articolo 1, comma 5 della legge 18 aprile 2005, n. 62) che integra e corregge le norme (D.Lgs. 17 settembre 2007, n. 164) di attuazione della Direttiva sui mercati di strumenti finanziari (MiFID), n. 2004/39/CE.
Il D. Lgs. n. 101/2009 prevede inoltre l’estensione delle tutele, attualmente offerte dal TUF e dalle Autorità di vigilanza per quanto attiene alla negoziazione di strumenti finanziari su mercati regolamentati, anche alla negoziazione di strumenti finanziari sui sistemi multilaterali di scambio, con particolare riguardo alla protezione dagli “abusi di mercato”. L’intervento è motivato dalla necessità di garantire adeguati livelli di tutela (al pari di quanto già avviene negli ordinamenti di altri Stati) per gli investitori che si rivolgono ai sistemi multilaterali di scambio, consentendo anche una riduzione del costo della raccolta di capitale per le piccole e medie imprese i cui titoli siano scambiati su tali mercati.
In attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria 2009 (articolo 50 della legge n. 96/2010) è stato adottato il D.Lgs. 5 ottobre 2010, n. 176, recante l'attuazione del regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito. Le disposizioni attribuiscono alla Consob la competenza a svolgere i compiti indicati dalle norme europee; in particolare, l'Autorità esercita i poteri di vigilanza sulle agenzie di rating (ispezioni, richieste di documentazione etc.) e adotta le opportune misure sanzionatorie, anche di natura interdittiva. Si ricorda inoltre che nell'ottobre 2010 la VI Commissione Finanze, in esito all'esame svolto ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento della Camera, ha approvato un documento finale sulla proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1060/2009 relativo alle agenzie di rating del credito che operano nell'UE.
La Consob ha posto in pubblica consultazione, sul proprio sito internet, un documento che illustra numerose proposte di modifica a diverse fonti secondarie (Regolamento Intermediari, Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d'Italia, disciplina della Banca d'Italia relativa all’autorizzazione delle funzioni di banca depositaria, Regolamento congiunto Banca d'Italia – Consob in materia di organizzazione e controlli degli intermediari che prestano servizi di investimento e di gestione collettiva). Tali modifiche sono volte a recepire, a livello di normazione secondaria, la direttiva 2009/65/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 (UCITS IV) concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in materia di organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), che introduce una serie di misure per promuovere una maggiore integrazione del mercato europeo del risparmio gestito, attraverso regole che agevolano l’operatività transfrontaliera delle società di gestione.
Con la delibera n. 17731 del 5 aprile 2011 la Consob ha operato la revisione del Titolo II, Parte II, del Regolamento Emittenti (approvato dalla Consob con delibera n. 11971 e successive modificazioni) al fine di dare attuazione alle modifiche legislative progressivamente intervenute nella normativa in materia di offerte pubbliche di acquisto o di scambio.
Come precisato dall’Autorità nell’executive summary che ha accompagnato la pubblicazione della delibera, la revisione del Regolamento Emittenti ha da un lato recepito le disposizioni comunitarie contenute nella Direttiva 2004/25/CE (con esercizio delle deleghe regolamentari attribuite alla Consob dalla nuova disciplina contenuta nel TUF), prendendo altresì in considerazione questioni emerse nell’esperienza applicativa della vigente disciplina, nonché dell’analisi comparata degli ordinamenti dei principali Paesi.
La direttiva OPA disciplina la “regola della passività” (cd. “passivity rule”) dell’organo di amministrazione della società-bersaglio, che statuisce un obbligo di astensione dal compimento di misure difensive in pendenza di offerta, salvo che ricorra una preventiva autorizzazione dell’assemblea (articolo 9 della Direttiva) ricevuta dopo la presentazione dell’offerta stessa. Il successivo articolo 12, commi 1 e 2, della Direttiva dispone però che gli Stati membri possono depotenziare l’efficacia della regola richiamata, consentendo di non renderla imperativa ma di permettere alle società nazionali di introdurla in via statutaria.
L’articolo 11 della Direttiva si occupa anche della “regola di neutralizzazione automatica” (cd. “breakthrough rule”), ai sensi della quale non si applicano all’offerente tutte le restrizioni che potrebbero impedire l’acquisto o l’esercizio del controllo, riconoscendo un equo indennizzo per le eventuali perdite subite a seguito dell’applicazione di detta clausola.
In particolare, l’articolo 11 della Direttiva prevede che:
1) tutte le restrizioni al trasferimento di titoli previste nello statuto della società emittente o in accordi contrattuali tra la società emittente e i possessori di titoli della stessa o in accordi contrattuali tra i possessori di titoli della società emittente conclusi dopo l’adozione della direttiva, non si applichino nei confronti dell’offerente durante il periodo entro il quale l’offerta deve essere accettata;
2) tutte le restrizioni al diritto di voto previste nello statuto della società emittente o in accordi contrattuali tra la società emittente e i possessori di titoli della stessa o in accordi contrattuali tra i possessori di titoli della società emittente conclusi dopo l’adozione della direttiva non hanno effetto nell’assemblea generale che decide eventuali misure di difesa conformemente all’articolo 9;
3) i titoli a voto plurimo conferiscono soltanto un voto nell’assemblea generale che decide eventuali misure di difesa conformemente all’articolo 9;
4) qualora, a seguito di un’offerta, l’offerente detenga il 75 per cento o più del capitale con diritto di voto, le eventuali restrizioni al trasferimento di titoli e ai diritti di voto e qualsiasi diritto straordinario degli azionisti riguardante la nomina o la revoca di membri del consiglio di amministrazione previsto nello statuto della società emittente non vengono applicati; i titoli a voto plurimo conferiscono soltanto un voto nella prima assemblea generale che segue la chiusura dell’offerta, convocata dall’offerente per modificare lo statuto societario o revocare o nominare i membri dell’organo di amministrazione.
Tali regole, in considerazione delle diversità che intercorrono tra gli ordinamenti degli Stati membri, sono assoggettate a un regime opzionale (ai sensi del considerando n. 21 e del richiamato articolo 12 della Direttiva). Si consente infatti agli Stati membri di non esigere l’applicazione delle regole di passività e di neutralizzazione; in tal caso le società devono poter applicare (facoltà comunque reversibile) le predette regole in via statutaria, sempre che la relativa decisione sia adottata dall’assemblea degli azionisti e notificata a tutte le autorità di vigilanza degli Stati membri in cui i titoli oggetto di offerta risultino quotati.
Nel disporre quanto sopra, la Direttiva ha altresì previsto che gli Stati membri, in conformità alle condizioni stabilite dagli ordinamenti nazionali, possano introdurre – sia nel caso in cui le regole di passività e/o di neutralizzazione siano state recepite in via legislativa, sia nel caso in cui la relativa applicazione sia rimessa allo statuto – la cd. “clausola di reciprocità”. In base a quest’ultima, gli Stati membri possono consentire alle società nazionali di disapplicare le richiamate regole di passività e di neutralizzazione in caso di offerta promossa da un soggetto (o da società da esso controllata) che non sia tenuto, in base alla normativa del proprio Paese ovvero per una specifica scelta statutaria, al rispetto delle stesse.
La Direttiva 2004/25/CE sulle offerte pubbliche di acquisto è stata recepita con il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 229, che ha apportato modifiche ed integrazioni al Testo Unico sull’Intermediazione finanziaria – TUF (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
La normativa in materia di OPA è stata oggetto di successivi interventi legislativi: il decreto-legge 185/2008[1] ha tra l’altro modificato la normativa in materia di passivity rule e neutralizzazione; il decreto-legge n.5/2009[2], al fine di rafforzare “gli strumenti di difesa da manovre speculative”, ha apportato modifiche al TUF, in materia di OPA da consolidamento e trasparenza proprietaria, e al codice civile per quanto attiene alla disciplina dell’acquisto di azioni proprie; il decreto legislativo n. 146/2009 che ha integrato e corretto il predetto decreto legislativo di recepimento n. 229/2007.
In relazione allapassivity rule, in un primo momento il legislatore (D.Lgs. n. 229/2007) aveva recepito l’obbligo di astensione degli amministratori dal compimento di atti ostili all’opa in assenza di preventiva autorizzazione assembleare. Per effetto delle modifiche legislative apportate dall’articolo 13 del decreto-legge n. 185 del 2008, la disciplina della passivity rule era divenuta opzionale, potendo essere prevista dallo statuto delle società quotate. A seguito degli interventi apportati con l’articolo 1, comma 3, del Decreto legislativo n. 146/2009, è stata ripristinatal’imperatività della regola di passività; viene però prevista la derogabilità in via statutaria, in tutto o in parte, di tali disposizioni (come previsto dal novellato comma 1-ter dell’articolo 104 TUF). Tali modifiche statutarie devono essere comunicate al pubblico, alla Consob e alle autorità di vigilanza in materia di offerte pubbliche di acquisto degli Stati membri in cui i loro titoli sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato o in cui è stata chiesta tale ammissione.
Una specifica disciplina della breakthrough rule non esisteva prima del recepimento della direttiva 2004/25/CE. Il legislatore ha dunque aggiunto al TUF l’articolo 104-bis, che ha disciplinato e in un primo momento reso imperativa la regola di neutralizzazione.
Il citato articolo 13 del D.L. 185/2008, pur mantenendo invariato il contenuto della norma, ha attribuito alle società italiane quotate la facoltà di introdurre nello statuto la regola di neutralizzazione delle limitazioni al trasferimento dei titoli, la quale ha dunque cessato di essere imperativa. Essa è dunque applicabile solo nei confronti di quelle società che, in virtù della propria autonomia statutaria, ne abbiano prevista l’adozione.
La regola di neutralizzazione non trova applicazione con riferimento ai poteri speciali dello Stato, ai limiti al possesso azionario e al diritto di voto previsti per le società privatizzate dall’art. 2 e dall’art. 3 del d.l. 332/1994, convertito nella legge n. 474/1994. Il D.Lgs. 146/2009 ha confermato l’applicazione facoltativa in via statutaria per la regola della neutralizzazione.
Infine, per quanto concerne la regola di reciprocità, al momento di recepire la direttiva OPA è stato inserito nel TUF l’articolo 104-ter, che consentiva la disapplicazione della passivity rule e della clausola di neutralizzazione ove l’offerente, o un soggetto da esso controllato, non fosse soggetto a disposizioni equivalenti; tale scelta conseguiva all’avere imposto per legge alle società quotate le predette due regole. Si intendeva così dar modo alle società italiane di difendersi dagli offerenti esteri per i quali fosse vigente una diversa disciplina in materia di contendibilità societaria.
Nel tempo, il D. L. 185/2009 e il D.Lgs. 146/2009 hanno modificato le predette norme per coordinarne il contenuto con le nuove passivity e breakthrough rule. In particolare, ai sensi dell’articolo 104-ter, comma 1, è prevista una diversa applicazione della regola di reciprocità: per quanto riguarda la neutralizzazione, la reciprocità si applica ove la neutralizzazione medesima discenda da una previsione statutaria, mentre per la passivity rule l’applicazione è automatica, ove ricorrano le condizioni.
Il decreto-legge n.5/2009 ha modificato la disciplina della cd. OPA da consolidamento, prevedendo che l’obbligo di offerta consegua ad acquisti superiori al 5 per cento da parte di coloro che già detengano la partecipazione rilevante ai fini dell’obbligo di OPA senza disporre della maggioranza dei diritti di voto esercitabili in assemblea ordinaria. Inoltre, è stato modificato l’art. 2357 del codice civile sulla disciplina delle azioni proprie; l’intervento normativo ha elevato al 20 per cento, dall’originaria misura del 10 per cento, la soglia prevista per l’acquisto di azioni proprie da parte di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.
Tra gli obiettivi perseguiti con le modifiche operate al regolamento emittenti, la Consob menziona:
L’approvazione della disciplina è avvenuta a seguito di due fasi di consultazione con il mercato: la prima avviata in data 6 ottobre 2010 e la seconda - più rapida - aperta il 18 febbraio 2011.
La revisione del Regolamento emittenti ha interessato prevalentemente la Parte II del titolo II.
Accanto ad una maggiore specificità delle definizioni e maggior precisione dell’ambito applicativo (secondo la tecnica normativa delle direttive comunitarie e secondo le indicazioni sostanziali della direttiva 2004/25/CE), è stata semplificata la normativa in materia di offerte su titoli di debito, al fine di adeguarla al quadro internazionale.
A tale scopo è inserito nel Regolamento emittenti l’articolo 35-ter, che reca la disciplina degli adempimenti per l’ipotesi di offerte pubbliche di scambio finalizzate all’acquisizione di titoli di debito. Con il D.Lgs. 146 del 2009 (articolo 1, comma 2, che ha inserito il comma 4-bis nell’articolo 102 del TUF) il legislatore ha stabilito infatti che, per le offerte pubbliche di scambio che abbiano ad oggetto obbligazioni e altri titoli di debito, l'offerente possa richiedere alla Consob che l'offerta sia soggetta alla disciplina delle offerte al pubblico di vendita e di sottoscrizione. La Consob accoglie la richiesta entro quindici giorni dalla presentazione ove ciò non contrasti con le finalità di tutela degli investitori, di efficienza e trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali. Tale intervento ha lo scopo di allineare la disciplina italiana alle prassi in materia di gestione delle passività (liability management, gestione dei depositi in enti creditizi) prevalenti a livello internazionale, consentendo alla Consob di rendere applicabile la disciplina delle offerte al pubblico di vendita o sottoscrizione anche alle offerte pubbliche di scambio aventi ad oggetto titoli di debito.
L’Autorità quindi ha dato attuazione alle deleghe regolamentari in materia di esenzioni dalla disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio, introducendo l’articolo 35-bis nel Regolamento emittenti, in relazione ad offerte aventi ad oggetto prodotti finanziari diversi dai titoli (articolo 101-bis, comma 3-bis del TUF).
Il regolamento dirime inoltre i dubbi in ordine all’applicazione della disciplina dell’OPA anche alle cd. consent solicitation, operazioni di ristrutturazione del debito soggette alle approvazioni dei titolari dei relativi strumenti. L’Autorità ha puntualizzato che, alla luce dell’analisi comparata e delle particolari modalità di svolgimento di tali operazioni (che prevedono l’approvazione di una delibera da parte dei destinatari della proposta vincolante anche nei confronti di eventuali assenti o dissenzienti), è stato riconsiderato il precedente orientamento, ritenendosi che tali operazioni siano estranee alla categoria delle offerte pubbliche di acquisto e scambio.
Le nuove norme regolamentari, oltre ad adeguare il contenuto della comunicazione relativa all’offerta a quanto previsto dalla direttiva (novellato articolo 37), precisano che la predetta comunicazione può essere effettuata dietro prestazione di adeguate garanzie, ovvero dopo che l’offerente si è posto in condizione di far fronte pienamente ad ogni impegno di pagamento del corrispettivo in contanti, ovvero dopo aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurare il soddisfacimento degli impegni relativi a corrispettivi di altra natura (articolo 37-bis).
Il Regolamento (articolo 38-bis) reca inoltre le condizioni per il riconoscimento, in Italia, del documento di offerta approvato da autorità di vigilanza di altri Stati Membri UE, nonché di altri Stati extracomunitari (articolo 38-ter).
Sotto un diverso profilo, l’Autorità sottolinea le misure adottate per correggere gli effetti della pressure to tender, ovvero la condizione che interessa i piccoli azionisti destinatari di un’offerta pubblica di acquisto i quali, pur non reputando congruo il prezzo di offerta, sono indotti ad aderirvi dal timore che, in caso di successo, il valore di mercato delle azioni post-OPA si deprima per effetto del nuovo assetto di controllo e/o della minore liquidità. La Consob rileva in merito come tale fenomeno assuma caratteristiche più critiche ai fini della tutela degli investitori nelle offerte promosse da insider, ovvero soggetti che detengono una partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento (anche mediante adesione a un patto parasociale), soggetti che occupano posizioni di vertice nell’amministrazione societaria e le persone che agiscono in concerto con le menzionate categorie. In tali ipotesi, l’offerente è in possesso di informazioni privilegiate che può utilizzare nel decidere se e a quali condizioni promuovere l’OPA.
Il nuovo articolo 40-bis del Regolamento prevede, per il caso di successo di un’offerta promossa da insider (comma 1), una riapertura dei termini dell’offerta stessa, al fine di consentire agli investitori che non vi abbiano inizialmente aderito di apportare i propri titoli nel corso del cd. secondo round. Agli offerenti è lasciata la facoltà di prevedere, in alternativa alla riapertura dei termini, che l’offerta sia oggetto di un referendum tra gli oblati e che sia condizionata all’approvazione della maggioranza di coloro che vi aderiscono,
Inoltre, al fine di ridurre le asimmetrie informative a danno degli investitori e in considerazione del rischio che, nelle offerte promosse da insider, i legami dell’organo amministrativo della società target con l’offerente ne condizionino l’obiettività, è stato previsto che gli amministratori indipendenti (articolo 39-bis) redigano un parere contenente le proprie valutazioni sull’offerta. Ove sia integralmente recepito dall’organo amministrativo della società target, il parere degli amministratori indipendenti è contenuto nel comunicato dell’emittente, altrimenti è pubblicato quale allegato a quest’ultimo.
Le previsioni in materia di riapertura dei termini e parere degli amministratori indipendenti si applicano alle offerte (promosse da insider) aventi ad oggetto “titoli” e quote di fondi chiusi.
Le modifiche al Regolamento hanno inoltre interessato le disposizioni in materia di trasparenza e correttezza (articoli 41 e 42 del Regolamento)
In particolare, il regime di trasparenza in corso d’OPA applicabile ai “soggetti interessati” viene esteso anche alle operazioni concernenti strumenti finanziari derivati connessi ai prodotti oggetto di offerta. Inoltre, per le operazioni di vendita da parte dell’offerente dei prodotti finanziari oggetto dell’offerta, è introdotta una disclosure preventiva volta ad ampliare l’informativa del mercato su comportamenti dell’offerente che muovono in direzione opposta rispetto agli obiettivi dell’offerta: a tal fine, i soggetti interessati comunicano entro la giornata alla Consob e al mercato le operazioni, da essi compiute, di acquisto e vendita dei prodotti finanziari oggetto di offerta, nonché quelle aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati connessi ai prodotti oggetto di OPA. (articolo 41, comma 2, lettera c)).
Tra le norme di correttezza, è prevista la regola di adeguamento del prezzo d’offerta al più alto prezzo pagato dall’offerente (best price rule) che trova applicazione non solo nel periodo intercorrente tra la comunicazione dell’offerta e la chiusura della stessa, ma anche nei sei mesi successivi alla data ultima di pagamento (articolo 42, commi 2 e 3).
In tema di offerte concorrenti (articolo 44 del Regolamento), è stato eliminato l’obbligo di promozione di un’offerta concorrente a un corrispettivo superiore a quello dell’offerta originaria. La Consob ha motivato tale scelta con il fine di rimettere quanto più possibile al mercato la valutazione circa la convenienza dell’offerta attraverso la comparazione complessiva degli elementi fondamentali della competizione, ritenendo che tale limitazione potesse ostacolare la presentazione di offerte più convenienti per gli azionisti sotto profili diversi dal prezzo.
Inoltre (articolo 44, comma 2) al fine di ridurre le asimmetrie informative tra offerenti, è stato introdotto un obbligo per l’emittente che fornisca informazioni a uno degli offerenti di comunicare tempestivamente le medesime informazioni agli altri offerenti che abbiano presentato circostanziate richieste di accesso.
L’articolo 44-bis disciplina la rilevanza delle azioni proprie nel calcolo della partecipazione ai fini dell’OPA obbligatoria, con l’obiettivo di evitare che la presenza di tali azioni consenta elusioni sostanziali della relativa disciplina.
In particolare, (comma 1), ove le azioni proprie siano già detenute dell’emittente – per dare rilievo all’effettivo potere di voto che un soggetto viene ad acquisire - esse sono escluse dal capitale sociale su cui si calcola la partecipazione rilevante per l’obbligo di OPA.
Il comma 2 dell’articolo 44-bis fa salvo, ai fini del calcolo della partecipazione rilevante per l’OPA obbligatoria, l’ipotesi di acquisto da parte dell’emittente di azioni proprie, che risultano dunque neutre nei confronti di tutti gli azionisti (di controllo e non, attuali e potenziali) a condizione che la delibera di autorizzazione all’acquisito di azioni proprie sia stata approvata dalla maggioranza degli independent shareholders, ovvero della maggioranza dei soci dell’emittente, presenti in assemblea, diversi dal socio o dai soci che detengono la maggioranza (anche relativa, purché superiore al 10 per cento).
L’Autorità ha così “inteso contemperare le due contrapposte esigenze di evitarne un utilizzo potenzialmente elusivo della disciplina dell’OPA obbligatoria, da una parte, e di consentire alle società di ricorrere al buy-back ove ciò corrisponda all’interesse di tutti gli azionisti, dall’altra”.
Una delle novità principali della riforma è l’introdotta rilevanza degli strumenti finanziari derivati ai fini del superamento della soglia dell’OPA obbligatoria (nonché della determinazione del prezzo dell’offerta), attesa la loro rilevanza sul mercato finanziario e in virtù della delega contenuta all’articolo 105, comma 3-bis del TUF (così modificato dal D.Lgs. 146/2009). E’ stata infatti demandata alla Consob la determinazione modalità con cui gli strumenti finanziari derivati rilevano per l’obbligo di OPA.
La Consob precisa che tale novità rappresenta la risposta a un’evoluzione del mercato che ha visto, in alcuni casi di particolare rilevanza, l’utilizzo di strumenti finanziari derivati con finalità sostanzialmente elusive della disciplina sull’obbligo di OPA.
Nel darvi attuazione la Consob (articolo 44-ter) ha incluso nel calcolo della partecipazione dell’OPA obbligatoria le azioni sottostanti tutti gli strumenti finanziari derivati o contratti che conferiscono al titolare una posizione lunga, a prescindere dalla circostanza che sia previsto un regolamento in contanti o tramite consegna fisica, ancorché essi siano detenuti indirettamente per mezzo di fiduciari o per interposta persona.
Viene introdotta una diversa identificazione delle condotte che configurano un’azione di concerto tra azionisti (in attuazione di quanto previsto dall’articolo 101-bis, comma 4-ter, del TUF). L’articolo 44-quater, al comma 1, elenca i casi in cui si presume – presunzione semplice che ammette la prova contraria - che determinati soggetti agiscano di concerto. In particolare, si tratta di soggetti legati all’offerente da vincoli familiari o da determinati rapporti professionali (advisor). Il successivo comma 2 individua i casi di cooperazione tra azionisti che esulano da tale fattispecie: ad esempio, la presentazione di liste di minoranza o la cooperazione tra azionisti per l’esercizio di diritti a questi spettanti.
La Consob ha precisato che in tal modo si è inteso evitare che incertezze interpretative possano ostacolare la partecipazione attiva delle minoranze alla governance delle imprese.
Nella formulazione novellata, il Regolamento disciplina con precisione le ipotesi di variazione di prezzo dell’OPA ed il relativo procedimento.
Viene disciplinata la rettifica del prezzo in diminuzione, da parte della Consob, in caso di evento “eccezionale e imprevedibile” che abbia comportato un temporaneo e significativo rialzo dei prezzi di mercato, nonché nell’ipotesi di manipolazione che abbia comportato un temporaneo rialzo e come conseguenza di particolari operazioni di compravendita (articoli da 47-bis a 47-quinquies). Le disposizioni regolamentano altresì la facoltà di aumento del prezzo nel caso di pattuizioni per l’acquisto di titoli, per collusione e manipolazione.
La novella ha aumentato le ipotesi di esenzione dall’obbligo di OPA (articolo 49). Nell’executive summary, la Consob ha motivato le scelte normative con la decisione di aumentare il coinvolgimento degli azionisti di minoranza, nel presupposto teorico che sulla rinuncia all’exit, in alcune delle fattispecie delineate dal Legislatore e disciplinate dalla Consob, debbano esprimersi coloro che ne sono potenzialmente danneggiati.
Se l’obbligo di OPA è determinato da operazioni di fusione o scissione, l’esenzione è applicata a condizione che vi sia l’approvazione da parte della maggioranza degli independent shareholders (comma 1, lettera g) dell’articolo 49). Per l’ipotesi di operazioni dirette al salvataggio di società in crisi, al di fuori di determinati casi di crisi accertata, l’esenzione è subordinata al voto favorevole dalla maggioranza degli independent shareholders (comma 1, lettera b), n. 3). Limitatamente al caso di fusione/scissione, è stato consentito alle società di prevedere in via statutaria un quorum di efficacia del voto contrario delle minoranze, in misura non superiore al 7,5 per cento (comma 2 dell’articolo 49).
E’ stata modificata altresì la disciplina dei criteri per la determinazione del prezzo dell’OPA nel caso di “sell-out” (obbligo di acquisto: ai sensi dell’articolo 108 del TUF l’offerente, al raggiungimento del 95% del capitale sociale a seguito di un’offerta totalitaria, è obbligato ad acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta) e di “squeeze-out” (diritto di acquisto: per l’articolo 111 del TUF l'offerente, al raggiungimento a seguito di un’offerta totalitaria del 95% del capitale sociale rappresentato da titoli in una società italiana quotata, ha diritto di acquistare i titoli residui entro tre mesi dalla scadenza del termine per l'accettazione dell'offerta, se ha dichiarato nel documento d'offerta l'intenzione di avvalersi di tale diritto).
L’Autorità in proposito sottolinea che l’esperienza applicativa della previgente disciplina ha reso consigliabile di limitare il grado di discrezionalità della Consob nelle valutazioni da compiere, al fine di ridurre l’incertezza del mercato in corso di OPA e non introdurre nel comportamento degli investitori elementi distorsivi derivanti da aspettative circa un diverso corrispettivo determinato dalla Consob.
Le modifiche apportate ( articoli 50 e da 50-bis a 50-quinquies del Regolamento) estendono, le ipotesi in cui il prezzo dell’obbligo o del diritto di acquisto a seguito di un’offerta totalitaria è fissato in misura pari al prezzo dell’offerta precedente.
Per quanto infine riguarda l’entrata in vigore della nuova disciplina, essa si applica dal 2 maggio 2011, fatta eccezione per alcune norme che avranno efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della delibera in Gazzetta Ufficiale: in particolare, quelle per le offerte sui titoli di debito, i casi di inapplicabilità della disciplina dell’OPA, le esenzioni dall’OPA obbligatoria.
Inoltre sono state introdotte specifiche disposizioni transitorie per il computo degli strumenti finanziari derivati ai fini delle offerte obbligatorie. Tra l’altro è richiesto ai soggetti che si trovino alla data di entrata in vigore, computando gli strumenti finanziari derivati, al di sopra di soglie rilevanti ai fini dell’insorgere dell’obbligo di OPA, di comunicare alla Consob ed al mercato (entro cinque giorni di negoziazione dalla suddetta data) il dettaglio delle componenti della partecipazione detenuta.
L’ampio dibattito relativo al recepimento della direttiva 2004/25/CE, nota come direttiva sulle OPA, ruota intorno al meccanismo con il quale gli Stati membri possono recepire due tra le più rilevanti disposizioni recate dalla direttiva: la c.d. passivity rule (art.9) e la regola della “neutralizzazione” (breaktrough rule art.11). La prima (passivity rule) prevede che gli amministratori di una società oggetto di un’offerta pubblica d’acquisto possano adottare misure difensive successive rispetto all’offerta, solo se autorizzati dagli azionisti; la seconda (breaktrough rule) legittima la neutralizzazione di quelle previsioni contenute negli statuti o nei patti parasociali della società “bersaglio” che, imponendo limiti alla circolazione delle azioni o al diritto di voto multiplo, potrebbero rendere più difficoltoso il successo dell’offerta, se non vanificarla del tutto.
L’articolo 12 della direttiva introduce tuttavia un regime opzionale che riconosce ai legislatori nazionali il diritto di esigere o meno l’applicazione della passivity rule e/o della regola della “neutralizzazione” da parte delle imprese con sede nel loro territorio. I Paesi membri che si avvalgono della facoltà di non recepire, per via legislativa, una o entrambe le “regole” nell’ordinamento nazionale (c.d. opting out) devono in ogni caso lasciare alle società interessate la facoltà (reversibile) di applicarle per via statutaria, salvo consentire l’esonero dall’applicazione quando le società stesse risultino essere oggetto di offerte lanciate da società non sottoposte a norme equivalenti (principio di reciprocità).
La Francia aveva già disciplinato fin dal 1966 gli acquisti di azioni volti ad ottenere il controllo di società quotate in borsa con modalità in gran parte conformi alla direttiva 2004/25/CE. La direttiva sulle OPA è stata recepita con la legge n. 2006-387 (Loi n. 2006-387. du 31 mars 2006 relative aux offres publiques d’acquisition), conciliando la dimensione internazionale delle imprese francesi, la capacità di attrarre capitali sulla piazza finanziaria di Parigi e la capacità per le imprese di disporre di tecniche difensive eque di fronte alle eventuali offerte giudicate non amichevoli.
Il legislatore francese ha scelto soluzioni che prevedono l’applicazione obbligatoria della passivity rule (art. 9 della direttiva) a condizione di reciprocità, mentre non ha ritenuto di rendere obbligatoria la regola della neutralizzazione (art. 11).
La legge del 2006 ha in realtà confermato il principio della neutralità del board già vigente nell’ordinamento francese, che subordina all’approvazione dell’assemblea generale degli azionisti il potere dell’organo amministrativo di adottare misure difensive contro il successo dell’OPA, ad eccezione della ricerca di offerte alternative (Code du Commerce art. L233-32). Tuttavia la stessa legge prevede un meccanismo di reciprocità in base al quale tali limitazioni sono applicate solo nei casi in cui la società titolare dell’offerta sia originaria di un Paese straniero, che applichi disposizioni equivalenti (Code du Commerce art. L233-33). In mancanza di tale reciprocità è sufficiente un’approvazione dell’assemblea generale precedente all’offerta, per mettere in atto operazioni difensive da parte degli amministratori della società “bersaglio” dell’OPA.
Per quanto riguarda invece la “regola della neutralizzazione” (breakthrough rule) l’ordinamento francese la recepisce ma solo in parte, prevedendo che il successo di un’offerta pubblica d’acquisto determini l’inefficacia delle sole limitazioni statutarie alla circolazione delle azioni o delle soglie quantitative all’esercizio di diritti di voto (Code du Commerce art. L233-34), mentre ha adottato la soluzione dell’opting out per le altre operazioni difensive preventive. Le singole società avranno la facoltà di applicare o meno, sulla base di una loro scelta discrezionale, la breakthrough rule alle altre clausole statutarie riguardanti il diritto di voto e agli accordi parasociali che possono paralizzare i poteri del nuovo socio di controllo (Code du Commerce art. L233-35 e ss). Nel caso una società decida di applicare o interrompere l’applicazione delle disposizioni concernenti tali tecniche di difesa preventive è tenuta a informarne l’autorità di mercato (Autorité des Marchés Financiers – AMF) per le relative operazioni di pubblicità.
Le imprese potranno disporre, sotto il controllo dei loro azionisti e dell’autorità di mercato, di misure difensive comparabili a quelle di cui dispone l’autore di un’offerta di acquisto, in applicazione del principio di reciprocità. Una società francese potrà così eventualmente attuare operazioni difensive se fatta oggetto di un’OPA da parte di un’impresa i cui dirigenti possono adottare a loro volta misure difensive al di fuori dellâ€approvazione della loro assemblea generale e non sarà penalizzata in contesti nazionali, che non abbiano attuato un sistema di passivity.
La legge consente d’altra parte ad una società francese di non vedersi opporre da un’impresa europea misure difensive se prende l’iniziativa di una sua OPA nei confronti di un’altra impresa, che applica un regime identico a quello previsto per le imprese francesi.
Pochi mesi prima del varo definitivo della legge, il Governo francese aveva approvato un decreto (Décret n. 2005-1739 du 30 décembre 2005) che ha previsto, distinguendo tra imprese di Stati membri dell’Unione europea e imprese di paesi extracomunitari, l’obbligo di chiedere un’apposita autorizzazione al Ministro dell’Economia per l’acquisizione di aziende, o parti di esse, operanti in una serie di settori ritenuti delicati per l’interesse nazionale.
Per quel che riguarda le imprese di paesi UE, il decreto individua i seguenti sette settori: 1) case da gioco; 2) sicurezza privata; 3) lotta alle frodi sanitarie e all’impiego delle armi chimiche; 4) intercettazioni; 5) tecnologia dell’informazione; 6) sicurezza dei sistemi d’informazione; 7) esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso (elencati nell’Allegato IV del Regolamento CE 1334/2000).
Per ciò che concerne, invece, le imprese di paesi extracomunitari, sono undici i settori elencati nel decreto: 1) case da gioco; 2) sicurezza privata; 3) lotta alle frodi sanitarie; 4) intercettazioni; 5) tecnologia dell’informazione; 6) sicurezza dei sistemi d’informazione; 7) esportazioni di prodotti e tecnologie a duplice uso (elencati nell’Allegato IV del Regolamento CE 1334/2000); 8) crittografia; 9) difesa nazionale; 10) produzione e commercio di armi e di sostanze esplosive; 11) fornitura di beni al Ministero della difesa.
In Germania la direttiva comunitaria è stata attuata con la legge dell’8 luglio 2006 (Übernahmerichtlinie-Umsetzungsgesetz - ÜbernRUmsG), in vigore dal 14 luglio 2006, che ha modificato in particolare la legge sull’acquisto di azioni e di società del 20 dicembre 2001 (Wertpapiererwerbs- und Übernahmegesetz – WpÜG).
Le modifiche introdotte consentono alle società oggetto di un’offerta pubblica di acquisto di optare per le regole comunitarie sulle restrizioni alle misure difensive e sulle restrizioni alle misure di neutralizzazione, recepite nell’ordinamento tedesco dalla citata legge del 2006. Tali vincoli non sono obbligatori nell’ordinamento tedesco, in quanto la Germania si è avvalsa della facoltà di opting- out per entrambe le disposizioni. Tuttavia il legislatore, conformandosi a quanto disposto dalla direttiva stessa, ha riconosciuto alle società la facoltà di optare su base volontaria per queste due norme, previa modifica dello statuto votata dall’assemblea degli azionisti con maggioranza del 75% del capitale sociale.
In caso di opting-in il consiglio di amministrazione della società deve informare l’autorità di vigilanza tedesca e, se del caso, le autorità di vigilanza degli Stati appartenenti allo Spazio Economico Europeo nei quali i titoli della società sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolato. Le azioni consentite al consiglio di amministrazione sono: quelle approvate dall’assemblea degli azionisti dopo il lancio dell’OPA; iniziative che ricadono nell’ambito dell’attività ordinaria (Geschäftsbetrieb) e la ricerca di altre offerte. Una parte della dottrina ha tuttavia osservato, che l’attuazione posta in essere dalla Germania in caso di opting-in, sembrerebbe particolarmente estensiva, in quanto la definizione di attività ordinaria (Geschäftsbetrieb) è più ampia rispetto all’espressione “corso normale delle attività della società” (Geschäftsverlauf), utilizzata dalla direttiva.
Per quanto riguarda in particolare le restrizioni alle misure difensive, se una società decide di non effettuare un opting-in, continuano ad applicarsi le regole della WpÜG, meno restrittive di quelle previste dall’art. 9 della direttiva medesima.
Tali regole previgenti, che si applicano in caso di opting-out, possono essere così riassunte.
Dopo la pubblicazione della decisione di lanciare un’offerta pubblica di acquisto e fino al momento in cui viene reso pubblico l’esito dell’offerta, il consiglio di amministrazione e il consiglio di sorveglianza della società non possono decidere alcuna azione, che possa pregiudicare il successo dell’offerta, con le seguenti eccezioni:
- azioni che avrebbe deciso un amministratore prudente e coscienzioso di una società non soggetta ad offerta pubblica;
- ricerca di un’offerta alternativa;
- azioni approvate dal consiglio di sorveglianza della società;
- azioni soggette all’approvazione degli azionisti, che il consiglio di amministrazione della società abbia deciso su autorizzazione dell’assemblea degli azionisti, approvate inoltre dal consiglio di sorveglianza, volte ad ostacolare l’offerta. La predetta autorizzazione dell’assemblea è valida per un periodo massimo di 18 mesi.
Nel Regno Unito la direttiva 2004/25/CE è stata recepita nell’ambito di un’ampia riforma del diritto societario operata dal Companies Act 2006 dell’8 novembre 2006. Vanno innanzitutto evidenziate alcune peculiarità dell’ordinamento inglese in materia di offerte pubbliche d’acquisto. Nel Regno Unito la disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto è contenuta nel City Code on Takeovers and Mergers, costituito da regole particolarmente analitiche alle quali gli operatori finanziari si conformano su base volontaria. Il Takeover Panel è l’organo di autoregolamentazione, che vigila sulla corretta applicazione del City Code e che attraverso la sua composizione rappresenta gli interessi di tutti i soggetti coinvolti: gli offerenti e la società “bersaglio”.
A seguito del recepimento della direttiva comunitaria il Takeover Panel ha provveduto a modificare la disciplina recata dalla Rule 21 del City Code, che poneva limiti alle azioni difensive degli amministratori (frustrating action). Attraverso tale norma, infatti, il meccanismo della passivity rule trovava già applicazione nel Regno Unito, tuttavia sussistevano alcune differenze tra la versione originaria della Rule 21, che prevedeva un elenco preciso di misure considerate difensive e il contenuto dell’art.9 della direttiva. La portata della norma è stata, quindi, ampliata rendendo il concetto di misura difensiva coerente con quello della norma comunitaria. Inoltre, è stata soppressa la facoltà del Takeover Panel di accordare alla società “bersaglio” una deroga alla regola dell’approvazione preventiva dell’assemblea dei soci, nell’ipotesi in cui la società stessa fosse parte di un rapporto obbligatorio e fosse chiamata ad eseguirlo. Per quanto concerne la regola di neutralizzazione o breaktrough rule, va premesso che il diritto societario inglese, basato sul principio della c.d. “freedom of contract”, non ha imposto alcuna restrizione alle modalità con cui articolare la struttura finanziaria delle società, in termini di emissione di categorie speciali di azioni, di limiti alla loro circolazione o di vincoli ai titoli azionari relativi all’esercizio del diritto di voto. Pertanto il legislatore inglese, pur dichiarandosi a favore di strutture societarie fondate sul principio “one share one vote”, non ha ritenuto opportuno introdurre nell’ordinamento interno la regola della neutralizzazione, avvalendosi della facoltà di opting-out.
La legge di recepimento lascia alle singole società la facoltà di opting-in per il regime previsto dalla disciplina comunitaria, precisando che essa potrà essere esercitata o al momento della costituzione della società o per effetto di una deliberazione successiva.
Per quanto concerne, in particolare, l’acquisizione di società britanniche da parte di investitori stranieri, il Takeover Panel non ha adottato posizioni preclusive, ma ha annunciato interventi diretti a rendere più stringenti le procedure previste per le Opa. Tali misure, ispirate dall’intento di scoraggiare le manovre speculative che frequentemente si verificano in alcune fasi nelle operazioni di acquisizione, sono stati definite ad esito di una consultazione promossa in materia dal Panel (Review of certain aspects of the regulation of takeover bids, pubblicata il 21 marzo 2011) e sono destinate a tradursi in modifiche del City Code rivolte, in particolar modo, ad introdurre ulteriori obblighi di comunicazione per l’offerente (in relazione anche agli interessi dei lavoratori della società soggetta all’Opa), nonché ad abbreviare il periodo intercorrente tra la manifestazione di interesse e la formalizzazione dell’offerta.
In Spagna la direttiva 2004/25/CE è stata recepita da una legge dell’aprile 2007 (Ley 6/2007, de 12 de abril, de reforma de la Ley 24/1988, de 28 de julio, del Mercado de Valores, para la modificación del régimen de las ofertas públicas de adquisición y de la transparencia de los emisores), entrata in vigore quattro mesi più tardi. Nel luglio del 2007 il Governo ha poi emanato le relative norme regolamentari (Real Decreto 1066/2007, de 27 de julio, sobre el régimen de las ofertas públicas de adquisición de valores).
Il legislatore spagnolo ha optato per l’applicazione obbligatoria della passivity rule a condizione di reciprocità, ma non ha reso obbligatoria la regola della neutralizzazione.
L’articolo 8 della legge introduce l’articolo 60bis alla Ley 24/1998 del Mercato de Valores. Tale articolo dispone che gli organi di amministrazione della società sulla quale è stata lanciata l’OPA o delle società del gruppo di appartenenza, dovranno ottenere preventivamente l’autorizzazione dell’assemblea degli azionisti prima di intraprendere qualunque azione che possa ostacolare l’OPA, ad eccezione della ricerca di altre offerte, ed, in particolare prima di avviare qualunque emissione di titoli, finalizzata ad impedire che l’offerente ottenga il controllo della società. L’individuazione del periodo di vigenza della passivity rule sarà decisa per via regolamentare. Conformemente a quanto disposto dalla direttiva le decisioni prese prima del periodo di vigenza della passivity rule, che non si iscrivono nel corso normale delle attività della società e che non sono state ancora attuate, devono essere approvate dall’assemblea degli azionisti.
L’obbligo di astensione non scatterà nel caso in cui la società sia oggetto di un’offerta pubblica d’acquisto formulata da un soggetto che non ha la sede legale in Spagna e che non è sottoposto ad una norma equivalente (clausola di reciprocità).
Va tuttavia segnalato che il dovere di astensione degli amministratori a partire dal momento della sospensione della negoziazione dei titoli della società “bersaglio” fino alla pubblicazione dell’esito dell’OPA trovava già applicazione nell’ordinamento spagnolo (art. 14 RD 1197/1991), in quanto si ritenevano in ogni caso prevalenti gli interessi degli azionisti su quelli degli amministratori.
Come già accennato la legge di recepimento lascia alle società la facoltà di applicare alcune misure di neutralizzazione, come l’inefficacia delle restrizioni alla trasmissione di titoli prevista nei patti parasociali, l’inefficacia delle restrizioni al diritto di voto previste negli statuti, l’inefficacia delle precedenti restrizioni quando dopo un’offerta pubblica d’acquisto l’offerente abbia ottenuto una percentuale maggiore o uguale al 75 per cento del capitale che conferisca diritti di voto.
La decisione di opting-in da parte della società alla regola di neutralizzazione deve essere adottata dall’assemblea degli azionisti e deve essere comunicata alla Comisión Nacional del Mercado de Valores (organismo omologo alla Consob) e alle autorità di vigilanza dei Paesi membri dell’UE in cui le azioni della società sono ammesse alla negoziazione.
In una prima fase della legislatura, l’attività parlamentare in materia di entrate è stata caratterizzata dall’esenzione dal pagamento dell’ imposta comunale sugli immobili (ICI) adibiti ad abitazione principale, disposta nel 2008. Gli interventi in materia di entrate si sono concentrati su specifiche categorie di imprese (in particolare su quelle appartenenti al settore bancario, assicurativo ed energetico) e sui giochi (utilizzati anche a copertura di interventi per calamità naturali, quali il finanziamento dell’emergenza in Abruzzo nel 2009). Si è provveduto quindi ad interventi di efficientamento dell’attività di riscossione .
In un secondo momento, anche a seguito del manifestarsi della grave crisi economica e finanziaria, sono state adottate, oltre a misure in favore della famiglia, misure di sostegno per l’attività d’impresa. Si ricordano in questa sede il bonus fiscale in favore delle famiglie a basso reddito (decreto-legge n. 185 del 2008) e, per venire incontro alle temporanee difficoltà di liquidità finanziaria, il differimento di quota dell'acconto IRPEF (decreto-legge n. 168 del 2009).
Nel corso del biennio 2011-2012 le condizioni del ciclo economico hanno evidenziato un ulteriore deterioramento e una ripresa delle tensioni finanziarie sui mercati internazionali. In questo scenario, accanto al percorso di risanamento dei conti pubblici, realizzato principalmente attraverso l’innalzamento della pressione fiscale (IMU) e la tassazione del patrimonio e delle rendite finanziarie si segnalano misure fiscali a favore del lavoro e delle imprese (detrazioni fiscali per le nuove assunzioni e riduzione del cuneo fiscale ) nonché in favore della famiglia.
Tali interventi hanno anche inteso dare attuazione alle raccomandazioni in materia di politica economica per l'Italia , approvate dal Consiglio ECOFIN il 10 luglio 2012, a conclusione del semestre europeo 2012, nonché all’Analisi annuale della crescita, con la quale la Commissione europea ha dato avvio, il 28 novembre 2012, al nuovo ciclo del semestre europeo per l’anno 2013. In particolare, il Consiglio dell’UE ha raccomandato all’Italia di:
La legislatura è stata altresì caratterizzata dalla approvazione e attuazione - quest’ultima non ancora conclusa - della legge sul federalismo fiscale , con l’obiettivo di elevare l’autonomia di entrata e di spesa delle regioni e degli enti territoriali.
Non hanno invece concluso il proprio iter parlamentare prima della fine della legislatura i due disegni di legge, A.C. 4566 e A.C. 5291-A.S. 3519, delega in materia fiscale . Alcuni degli interventi proposti sono peraltro confluiti in decreti-legge o altri provvedimenti (la tassazione dei redditi di natura finanziaria, l'introduzione di un aiuto alla crescita economica - ACE, la rimodulazione delle aliquote IVA e accise, la revisione della riscossione degli enti locali, gli interventi in materia di semplificazione, ecc).
Al fine di alleggerire l’imposizione sul lavoro, è stato più volte prorogato (da ultimo dalla legge di stabilità 2013) il regime fiscale -oltre che contributivo - agevolato degli emolumenti correlati ad incrementi di produttività, consistente nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali con aliquota del 10 per cento.
Il legislatore ha poi introdotto (decreto-legge n. 201 del 2011) norme che prevedono l’integrale deducibilità delle imposte dirette - IRES e IRPEF – dall’IRAP dovuta dalle imprese in rapporto al costo del lavoro. Inoltre, per favorire l’accesso al lavoro da parte di donne e giovani, è stata aumentata la misura della deduzione IRAP disposta in caso di assunzione di tali tipologie di lavoratori, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno.
Per le predette finalità, il legislatore si è spesso avvalso dello strumento del credito d'imposta: in particolare, disponendone l’attribuzione alle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (nella misura del 90 per cento della spesa incrementale di investimento), nonché (con il D.L. 70 del 2011) ai datori di lavoro che assumono nelle regioni del Mezzogiorno, ove l’assunzione riguardi "lavoratori svantaggiati" o “molto svantaggiati”. Un’analoga agevolazione è stata introdotta per le imprese che assumono, a tempo indeterminato, soggetti con profili altamente qualificati (D.L. 83 del 2012).
Da ultimo, la legge di stabilità 2013 ha previsto una ulteriore riduzione del cd. "cuneo fiscale" conseguita mediante l’incremento degli importi deducibili dall’IRAP per ciascun lavoratore dipendente nonché degli importi delle deduzioni in favore dei soggetti passivi di minori dimensioni; è stato inoltre istituito un Fondo per esentare dall’IRAP, a decorrere dal 2014, le persone fisiche esercenti attività commerciali, arti e professioni, che non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano anche in locazione beni strumentali entro una soglia definita.
Sul versante delle imposte indirette, è stato disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA : l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011 e, per effetto delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2013, dal 1° luglio 2013 essa è rideterminata nella misura del 22 per cento. Rimane ferma l’attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa originariamente destinata ad aumentare).
Nel medesimo filone - imposizione sui consumi - occorre ricordare altresì i progressivi aumenti delle aliquote di accisa sia suiprodotti energetici (aventi lo scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011) che sui tabacchi lavorati.
Non ha trovato applicazione la norma che demandava alla legge di stabilità 2013 il compito di indicare le misure di razionalizzazione della spesa pubblica e quelle volte a limitare il fenomeno di “erosione fiscale” (razionalizzando gli attuali regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale) al fine di destinare i risparmi e le maggiori entrate così ottenuti ad evitare il predetto aumento dell’IVA.
Nell’ottica di favorire la provvista di liquidità delle imprese, è stata ampliata (articolo 32-bis del D.L. 83 del 2012) la platea dei soggetti che possono usufruire del meccanismo di liquidazione dell’Iva per cassa.
Tra le misure che hanno introdotto elementi di tassazione reale, si ricordano, oltre all’IMU già citata:
In tale ambito, il decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES) a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Alcuni interventi si sono rivolti verso un sistema di tassazione del reddito cosiddetto “duale”, in cui i redditi da capitale sono esclusi dalla progressività, che è limitata ai redditi da lavoro (dipendente e autonomo) e da impresa individuale.
E’ stata così riformata la tassazione dei redditi finanziari , unificando le precedenti aliquote sui redditi di capitale e sui redditi diversi ad un livello intermedio fissato al 20 per cento (D.L. 13 agosto 2011, n. 138). L’intervento, oltre all’intento di armonizzare le aliquote dei redditi delle attività finanziarie, si è posto anche l’obiettivo di aumentare il livello di tassazione di tali redditi (per un importo stimato pari a due miliardi di euro).
Un modello di tassazione “piatta” è stato adottato anche per i canoni delle abitazioni locate: il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 in materia di federalismo municipale ha istituito infatti la cosiddetta “cedolare secca” del 21 (o 19) per cento sui redditi derivanti da canoni di locazione.
Al fine di reperire ulteriori risorse finanziarie, è stata incrementata l'offerta di giochi e modificata la disciplina del prelievo erariale unico (PREU). Le disposizioni legislative intervenute durante la legislatura in tale ambito hanno riguardato inoltre le problematiche relative alla concessione della raccolta dei giochi al fine di adeguare il quadro normativo alla legislazione comunitaria in tema di libera concorrenza.
A livello europeo, si segnala che il 14 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (COM(2013)71) relativa all’introduzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie negli 11 Paesi (Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) che hanno richiesto – e ottenuto, a seguito dell’approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE – di procedere ad una cooperazione rafforzata in questo ambito (scelta che si è resa necessaria per l’impossibilità di raggiungere l’unanimità dei 27 Governi degli Stati membri richiesta dai Trattati nel settore della fiscalità). La proposta di direttiva prevede, al fine di ridurre al minimo le possibilità di elusione, di assoggettare ad imposta tutte le transazioni finanziarie in cui una delle parti è stabilita in uno Stato membro partecipante (“principio di residenza”), nonché quelle che riguardano strumenti finanziari emessi negli 11 Stati membri, anche se quanti li negoziano non sono stabiliti nei medesimi 11 Stati (“principio di emissione”). L’aliquota sarebbe dello 0,1 per cento per le azioni e obbligazioni e dello 0,01per cento per i derivati. L’imposta non si applicherebbe alle attività finanziarie dei cittadini e delle imprese (ad esempio a prestiti, pagamenti, assicurazioni, depositi ecc.). Secondo i dati forniti nella valutazione d’impatto della Commissione europea, l’imposta sulle transazioni finanziarie dovrebbe produrre entrate di 30-35 miliardi di euro l’anno. La proposta di direttiva dovrà essere approvata all’unanimità dagli 11 Paesi che hanno aderito alla cooperazione rafforzata, previo parere del Parlamento europeo. La Camera si è espressa a sostegno di un’imposta europea sulle transazioni finanziarie con la mozione sulla politica europea dell’Italia n 1-00800 (Cicchitto, Franceschini e altri), approvata il 25 gennaio 2012.
Nelle more, la legge di stabilità 2013 ha introdotto una imposta sulle transazioni finanziarie e sui derivati .
Tra le agevolazioni fiscali rilevano, in particolare, la detassazione di alcune tipologie di investimenti (operata con il decreto-legge n. 78 del 2009), oltre alle già ricordate agevolazioni IRAP.
In considerazione del peculiare assetto del sistema delle imprese italiane, il legislatore ha introdotto un’articolata disciplina di incentivi – anche fiscali – in favore delle realtà aziendali che prendono parte alle "reti di imprese" (D.L. 78/2010 e D.L. 83 del 2012) . La legge 180/2011 pone, tra i principi generali che concorrono a definire lo statuto giuridico delle imprese, la promozione dell'aggregazione tra imprese anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di imprese.
Sono stati introdotti (D.L. n. 98 del 2011) specifici incentivi a vantaggio dei sottoscrittori di "Fondi di Venture Capital" specializzati nelle fasi di avvio delle nuove imprese, esentandone da imposizione i proventi derivanti dalla partecipazione.
E’ stato inoltre previsto un trattamento tributario di favore per le perdite registrate dalle imprese di recente costituzione (D.L. 98/2011).
Allo scopo di favorire la costituzione di nuove imprese soprattutto da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, è stato modificato (D. L. 98/2011) il regime fiscale semplificato dei c.d. "contribuenti minimi" (con un’imposta sostitutiva pari al 5 per cento) che diviene applicabile esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007.
Nel settore degli investimenti, si individuano misure alternative al contributo pubblico in conto capitale, volte a favorire l’ingresso dei privati e ad assicurare la sostenibilità economica delle operazioni di partenariato pubblico privato (PPP). La legge di stabilità per il 2012 ha introdotto la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali in favore dei soggetti concessionari, al fine di realizzare nuove infrastrutture; l’ ambito di applicazione è stato recentemente esteso (D.L. 83 del 2012) a tutte le nuove infrastrutture in partenariato pubblico-privato.
Tra le misure contenute nel D.L. n. 83 del 2012, si ricorda inoltre il regime fiscale agevolato per gli interessi derivanti dalle obbligazioni emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond), consistente nell’assimilazione ai titoli di Stato e, dunque, a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento.
Al fine di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, è stato introdotto (D.L. 201 del 2011) un Aiuto alla crescita economica – ACE , nella forma di possibilità di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante all’impresa dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.
Sono riconosciute come crediti d’imposta le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio(Deferred Tax Asset), relative al sistema bancario; tale agevolazione, introdotta dal decreto-legge n. 225 del 2010, è stata estesa con la manovra di dicembre 2011 anche alle perdite riportate.
Nel settore edilizio, il decreto-legge 201 del 2011 ha previsto l’introduzione a regime della detrazione dall’IRPEF di quota parte (36 per cento) delle spese sostenute per gli interventi di ristrutturazione edilizia (incrementata al 50 per cento dal D.L. n. 83 del 2012 per i lavori effettuati entro il 30 giugno 2013). Sono state inoltre prorogate al 30 giugno 2013 le agevolazioni fiscali in materia di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio.
Sotto il profilo della lotta all’evasione, l'attenzione del legislatore si è anzitutto rivolta al fronte della tracciabilita' dei pagamenti , con la progressiva riduzione della soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, ridotta da ultimo a 1000 euro (D.L. 201/2011). Per favorire l’emersione di base imponibile, diversi interventi hanno rafforzato le sanzioni amministrative tributarie. Sono stati quindi rafforzati i poteri di controllo e indagine degli organi dell'Amministrazione finanziaria .
Per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, il D.L. 201 del 2011 ha introdotto norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile: sono riconosciuti benefici fiscali a fronte di maggiori obblighi di trasparenza.
Nell’ottica della semplificazione degli adempimenti, con il D.L. 16 del 2012, il contribuente è stato incentivato a scegliere la rateizzazione dei debiti tributari, con una serie di misure volte a eliminare gli ostacoli a carico dei soggetti passivi per accedere al beneficio della dilazione (quale, ad esempio, il gravoso obbligo di prestare garanzie). E’ inoltre ottimizzato il procedimento relativo alla chiusura delle partire IVA inattive.
Le disposizioni in materia di contenzioso tributario hanno perseguito, in primo luogo, il fine di agevolare la risoluzione stragiudiziale delle controversie e l’alleggerimento dell’attività degli organi del contenzioso. Gli interventi volti all’accelerazione ed allo smaltimento delle liti pendenti (articolo 55 del D.L. 112/2008; articolo 3 del D.L. 40/2010 articolo 39, comma 12 del D.L. 98 del 2011) hanno consentito di introdurre forme di definizione agevolata delle controversie di valore non superiore a 20.000 euro. Analoga funzione di alleggerimento del contenzioso è svolta dalle disposizioni della legge di stabilità 2013 che introducono una sanatoria per i debiti fiscali di modesta entità (fino a 2000 euro). Inoltre, sono disposti limiti alle azioni cautelari ed esecutive in tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a 1000 euro.
Nell'ambito della politica di analisi e revisione della spesa pubblica ("spending review"), numerose disposizioni hanno riguardato la razionalizzazione dell'utilizzo degli immobili pubblici attraverso: ricognizione degli immobili in uso; riduzione della spesa per locazioni, assicurando il controllo di gestione dei contratti; definizione di precise connessioni tra superficie occupata e numero degli occupanti; ottimizzazione dell’utilizzo degli immobili di proprietà pubblica anche attraverso compattamenti di uffici e amministrazioni; restituzione all’agenzia del demanio degli immobili di proprietà pubblica eccedenti i fabbisogni.
In materia di dismissione e valorizzazione degli immobili pubblici, oltre a norme per la dismissione dei terreni agricoli e all'obbligo di predisposizione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari da parte delle regioni e degli enti territoriali, sono state adottate diverse misure volte alla costituzione di società, consorzi o fondi immobiliari con la finalità di valorizzare e alienare il patrimonio immobiliare pubblico di proprietà dello Stato, delle Regioni, degli enti locali e degli enti vigilati. Ulteriori norme sulla dismissione del patrimonio immobiliare sono state introdotte nel d.lgs. 85/2010 (federalismo demaniale).
Secondo le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2012, la pressione fiscale è passata dal 42,5% del 2011 al 44,7% del 2012. Nel 2013 la crescita della pressione fiscale proseguirebbe fino al 45,3% per poi tornare nel 2015 al valore iniziale del periodo (44,6%).
Con l’approvazione della risoluzione 6-00109, l’Assemblea della Camera ha impegnato il Governo a destinare prioritariamente le risorse rivenienti dalla spending review e dall’azione di contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale, alla riduzione della pressione fiscale. Nel solco di tali interventi si colloca la previsione (recata nel D.L. 95 del 2012) che prevede la diminuzione delle somme dovute a titolo di aggio all'agente nazionale della riscossione, nonché la complessiva riforma della remunerazione del sistema della riscossione.
Occorre infine segnalare, in questa sede, che il legislatore ha disposto (D.L. n. 138/2011) la destinazione delle maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto all'evasione ad un apposito Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale. La legge di stabilità 2013 ha poi precisato che al predetto fondo affluiscono anche le risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali (cd. tax expenditures). Si prevede quindi la presentazione da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, in allegato alla Nota di aggiornamento al DEF, di un Rapporto annuale contenente i risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione fiscale, indicando le strategie relative alla predetta finalità, aggiornandole e confrontando i risultati con gli obiettivi prefissati.
Nel corso dalla XVI legislatura, gli interventi in materia di accertamento e riscossione dei tributi hanno mirato a molteplici obiettivi, tra cui la semplificazione degli adempimenti del contribuente, il coinvolgimento di enti territoriali nell'attività di accertamento e la lotta all'evasione fiscale. Tale ultimo scopo, in particolare, è stato perseguito in ragione della necessità di reperire risorse utili alla salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica, alla luce della recente crisi del debito sovrano e, più in generale, della recente crisi economico-finanziaria.
All’Agenzia delle entrate è stato affidato un ruolo centrale nel coordinamento del servizio di accertamento e riscossione, anche attraverso l’ottimizzazione delle risorse e la collaborazione con altri enti. Occorre peraltro ricordare in questa sede che, dal 1° dicembre 2012 l'Agenzia del territorio è stata incorporata nell'Agenzia delle Entrate, con contestuale riattribuzione delle funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie (ai sensi dell’articolo 23-quater del decreto legge n. 95/2012 e delle relative norme di attuazione.
La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 531 a 535 della legge n. 228 del 2012) ha disposto l’istituzione di un Comitato di indirizzo e verifica dell’attività di riscossione mediante ruolo, col compito di elaborare criteri per l’individuazione di categorie di crediti oggetto di recupero coattivo e le linee guida generali per lo svolgimento mirato e selettivo dell’azione di riscossione, nonché criteri per consentire il controllo dell’attività svolta sulla base delle indicazioni così impartite. Tali disposizioni si applicano alle quote affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2013.
Per quanto riguarda gli agenti della riscossione, durante la legislatura è stata più volte modificata la disciplina della remunerazione della loro attività (società Equitalia Spa e partecipate).
In particolare, è prevista la futura sostituzione dell’attuale sistema di remunerazione (che avviene mediante “aggio”, ossia corrispondendo all’agente della riscossione una percentuale dell’ammontare riscosso) con un criterio basato invece sul rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato (secondo quanto previsto articolo 10 del D.L. 201 del 2011). Il sistema entrerà in vigore a partire dall'emanazione della disciplina attuativa.
In attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013.
Accanto a tale previsione, è stata prevista un’ulteriore ed eventualeriduzione dell’aggio, correlata alla presenza di maggiori risorse - rispetto a quanto considerato nei saldi tendenziali di finanza pubblica - tratte anche dal processo di ottimizzazione ed efficientamento nella riscossione dei tributi e di riduzione dei costi di funzionamento del gruppo Equitalia S.p.A., e che potrà arrivare fino a ulteriori quattro punti percentuali.
Da ultimo, la citata legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 530della legge n. 228 del 2012) ha prorogato i termini per la presentazione, da parte degli agenti della riscossione, della comunicazione di discarico per inesigibilità dei ruoli. In particolare, sono prorogati dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014 i termini entro i quali gli agenti della riscossione possono presentare comunicazione di inesigibilità dei ruoli consegnati fino al 31 dicembre 2011 (in luogo del 31 dicembre 2010). Sono conseguentemente rimodulati anche i termini per il controllo delle comunicazioni di inesigibilità da parte degli uffici competenti.
Per quanto riguarda l'attività di riscossione delle entrate locali, il D. L. 70 del 2011 (articolo 7, comma 2, lettere gg-ter) e seguenti) ha disposto che Equitalia e le società partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate dei comuni e delle società da essi partecipate. I soggetti successivamente designati dai comuni per l'esercizio di tali funzioni (con procedure ad evidenza pubblica) potranno agire mediante ingiunzione fiscale e mediante le ordinarie disposizioni in materia di accertamento delle imposte erariali, ove compatibili.
I termini di operatività del nuovo sistema di accertamento e riscossione delle entrate comunali è stato da ultimo fissato (dal D.L. n. 174 del 2012) al 30 giugno 2013.
In applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all’evasione fiscale, il legislatore ha complessivamente previsto un maggior coinvolgimento degli Enti territoriali nell’attività di accertamento e riscossione.
Per quanto concerne i comuni, l’articolo 1, comma 1 del D.L. 203/2005 disponeva in origine l’attribuzione a tali enti di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse con il concorso dei medesimi; tale ammontare è stato poi elevato da disposizioni successive e, da ultimo, dall’articolo 1, comma 12-bis, del D.L. 138 del 2011 che ha assegnato ai comuni, per gli anni 2012, 2013 e 2014, l’intero maggior gettito ottenuto a seguito dell’intervento svolto dall’ente stesso nell’attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo.
Per quanto riguarda le regioni, l’articolo 9 del D.Lgs. n. 68/2011 (in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province) ha assicurato il riversamento diretto alle regioni dell'intero gettito derivante dall'attività di recupero fiscale riferita ai tributi propri derivati e alle addizionali alle basi imponibili dei tributi erariali di cui al presente decreto. Ai medesimi enti è poi attribuita una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale in materia di IVA, commisurata all'aliquota di compartecipazione alla medesima in favore delle Regioni.
Relativamente alle province, l’articolo 10 del D.Lgs. n. 149 del 2011 riconosce ai predetti enti una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse con il contributo dei medesimi enti, anche mediante segnalazione all'Agenzia delle entrate ed alla Guardia di finanza di elementi utili ad integrare i dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti per la determinazione di maggiori imponibili fiscali.
Il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 9, commi da 3-bis a 3-sexies) ha introdotto disposizioni volte ad accelerare la riscossione delle risorse proprie tradizionali dell’Unione Europea. In particolare, le norme prevedono che gli atti di accertamento doganale emanati a tale scopo diventino esecutivi decorsi dieci giorni dalla loro notifica; le procedure di espropriazione forzata sono affidate agli agenti della riscossione. Si consente altresì l’accesso al beneficio della rateizzazione del quantum dovuto. La norma in particolare concerne, tra l'altro, anche i dazi riscossi dall'Agenzia delle Dogane e la connessa Iva all'importazione. Per effetto delle norme così introdotte, all'undicesimo giorno la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, è affidata agli agenti della riscossione. Con provvedimento del 21 gennaio 2013 sono state disciplinate le modalità di affidamento agli agenti della riscossione delle somme intimate ai sensi delle suindicate prescrizioni. In particolare, dal 28 marzo 2013 avrà luogo l'applicazione delle disposizioni in materia di riscossione accelerata dei tributi doganali, anche secondo quanto previsto dalla nota dell'Agenzia (prot. 12035) del 1° febbraio 2013, emessa dalla direzione centrale Gestioni tributi dell'agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
L'esigenza di accelerare le procedure di riscossione dei tributi doganali discende dai rilievi mossi dalla Commissione Ue sull'intempestività dei termini nazionali di attivazione del recupero coattivo: poiché a norma dell'articolo 7 del Codice doganale comunitario i crediti erariali per le risorse proprie sono "immediatamente applicabili", l'attività di recupero deve essere improntata alla massima celerità ed efficienza, per non pregiudicare gli interessi finanziari dell'Unione europea.
Il legislatore fiscale negli ultimi hanno ha apportato numerose modifiche alla disciplina in materia di poteri di controllo e indagine da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria, al fine di rendere più efficiente l’azione del fisco nella lotta all’evasione.
Tra i principali interventi si segnala anzitutto la revisione del “redditometro”, ovvero dello strumento di accertamento sintetico del reddito che consente all’amministrazione finanziaria una determinazione indiretta del reddito complessivo del contribuente, basata sulla capacità di spesa del medesimo. L'articolo 22 del D.L. n. 78/2010 ha autorizzato l’Amministrazione finanziaria a determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente anche sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta. Viene fatta salva la prova che il relativo finanziamento sia avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. Pertanto l'onere di fornire la prova contraria è a carico del contribuente, ma vi è una presunzione generale in base alla quale tutto ciò che è stato speso nel periodo d'imposta si presume sostenuto con redditi posseduti nel periodo medesimo. Condizione per tale determinazione sintetica del reddito complessivo è uno scostamento tra il reddito complessivo accertabile e quello dichiarato di almeno un quinto (20 per cento). Il D.M. del 24 dicembre 2012 ha attuato la disciplina del redditometro mediante l’individuazione degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base dei quali può essere fondata la determinazione sintetica del reddito. Si rinvia alla scheda di approfondimento per ulteriori informazioni.
Significative novità ai fini della riscossione sono state introdotte con il cd. istituto dell’ “accertamento esecutivo” (articolo 29 del D. L. n. 78 del 2010): gli accertamenti per imposte sui redditi, IVA e IRAP emessi a partire dal 1° ottobre 2011 contengono anche l’intimazione al pagamento degli importi in essi indicati entro il termine per la presentazione del ricorso. Tali atti sono dunque prontamente esecutivi; pertanto, l’agente della riscossione, sulla base del titolo esecutivo così formato e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, può procedere ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo. Tuttavia, il decreto "sviluppo" (D.L. 70/2011) ha attenuato il principio così posto del "solve et repete", disponendo la sospensione dell’esecuzione forzata eventualmente conseguente ai predetti atti per centottanta giorni, decorrenti dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione.
Nel solco del rafforzamento del ruolo dell’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento, si ricordano le disposizioni in materia di indagini finanziarie che hanno consentito (articolo 23 del D.L. 98 del 2011) agli uffici di acquisire informazioni anche da società ed enti di assicurazione, relativamente alle attività di natura finanziaria. Il medesimo provvedimento ha inoltre introdotto una serie di disposizioni in materia di studi di settore dirette, tra l’altro, a modificare il contenuto degli atti di accertamento nel caso di congruità alle risultanze degli studi di settore e ad innalzare del 50 per cento la misura delle sanzioni per l'ipotesi di omessa presentazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti.
Anche il D.L. 201 del 2011 è intervenuto sulla materia dei poteri di accertamento dell'Amministrazione finanziaria: in particolare (articolo 10) è stata novellata la disciplina relativa ai limiti dell’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei soggetti “congrui” agli studi di settore, purché questi adempiano a specifici obblighi di comunicazione e trasparenza nei confronti del fisco. Il citato provvedimento, sempre nell'ottica di rafforzare i poteri del fisco, ha poi introdotto la fattispecie penale di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi in occasione di richieste formulate dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio dei poteri di accertamento.
Si segnala in particolare l’onere, posto dal citato D.L. 201 del 2011 (articolo 11) in capo agli operatori finanziari, di comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti. La decorrenza di tale onere era prevista in origine dal 1° gennaio 2012. L'Autorità Garante per la protezione dei dati personali con provvedimento del 15 novembre 2012, ha espresso parere favorevole sullo schema di provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate che stabilisce le modalità con le quali gli operatori finanziari dovranno trasmettere all'Agenzia, a fini di controllo fiscale, le informazioni contabili relative ai conti correnti e ai rapporti finanziari per la cosiddetta "comunicazione integrativa annuale". Tali informazioni, obbligatoriamente trasmesse all’Anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, sono utilizzabili anche per semplificare gli adempimenti dei cittadini sulla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica valida ai fini ISEE, nonché in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima dichiarazione.
L'attenzione del legislatore si è rivolta anche al fronte della tracciabilità dei pagamenti sia riducendo (articolo 12 del D.L. 201 del 2011) a 1000 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore, sia prevedendo (articolo 2, comma 5 del D.L. 138/2011) che sia sospeso dall’iscrizione all’albo o all’ordine il professionista cui siano state contestate reiterate violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi.
Si ricordano inoltre le disposizioni antielusive volte a colpire (articolo 2, commi da 36-terdecies a 36-duodevicies del D.L. 138/2011) l’uso di beni intestati fittiziamente a società, ivi compresa l’indeducibilità dei costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato. E’ stata novellata (articolo 2, comma 36-vicies semel) inasprendola, la disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e IVA, con l’intento generale di eliminare disposizioni di favore o abbassare la soglia di imposta evasa a partire dalla quale scatta l'applicazione delle sanzioni penali.
L’articolo 8 del D.L. 16 del 2012 contiene ulteriori misure di contrasto all’evasione fiscale: si segnala la nuova disciplina dei cd. "costi da reato", ai sensi della quale le ipotesi di indeducibilità sono circoscritte a costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di fatti, atti o attività qualificabili come delitto non colposo. E’ inoltre ottimizzato il procedimento relativo alla chiusura delle partire IVA inattive mentre, in tema di accertamenti esecutivi, si introducono specifici obblighi informativi a carico dell’agente della riscossione nei confronti dei contribuenti.
Nel solco degli interventi volti a semplificare i rapporti tra fisco e contribuente e favorire l’adesione spontanea all’obbligazione tributaria, si ricorda in primo luogo che è stata progressivamente estesa l’operatività dell’accertamento con adesione (D.L. n. 112/2008, D.L. n. 185/2008). Parallelamente, sono stati inaspriti i controlli in tema di indebito uso di crediti in compensazione (articolo 27 del D.L. n. 185/2008 e articolo 7 del D.L. n. 5/2009) e sono stati posti limiti più stringenti per accedere a tale beneficio (D.L. n. 16 del 2012).
In materia di compensazione di crediti vantati nei confronti della P.A. con le somme iscritte a ruolo, si segnala l'ampliamento del novero dei crediti compensabili e lo snellimento della relativa procedura, ad opera dell'articolo 13-bis del D.L. 52/2012 e delle relative disposizioni attuative. Per ulteriori informazioni si rinvia al tema web sull’accelerazione dei pagamenti alle imprese.
Numerose disposizioni oggi incentivano il contribuente a rateizzare i debiti tributari (anche tramite l’eliminazione, per quanto possibile, dell'obbligo di prestare idonea garanzia per accedere al beneficio). Da ultimo, l'articolo 1 del D.L. n. 16 del 2012 consente di ottenere un piano di ammortamento a rata crescente fin dalla prima richiesta di dilazione. La possibilità di rateizzare i debiti si applica anche nei confronti degli enti previdenziali, salvo che nei casi di ottemperanza ad obblighi derivanti da sanzioni comunitarie.
In materia di riscossione, il D.L. n. 16 del 2012 ha modificato, differenziandoli, i limiti di pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro; in tema di procedure di espropriazione immobiliare, è stata fissata la soglia di 20.000 euro quale unico limite al di sotto del quale non è possibile avviare l’esecuzione. Il medesimo provvedimento ha innalzato a 30 euro il limite al di sotto del quale non si effettua riscossione dei crediti tributari.
Per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, l'articolo 10 del D.L. 201 del 2011 ha introdotto norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile. Sono infatti (articolo 10, commi da 1 a 8) riconosciuti benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza.
Occorre infine segnalare, in questa sede, che il legislatore ha ritenuto opportuno disporre (articolo 2, comma 36 del D.L. n. 138/2011, modificato dall’articolo 1, comma 299 della legge di stabilità 2013) la destinazione delle maggiori entrate derivanti dall'attività di contrasto all'evasione - al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito – ad un apposito Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale, al fine di ridurre gli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese. La legge di stabilità 2013 ha poi precisato che al predetto fondo affluiscono anche le risorse derivanti dalla riduzione delle spese fiscali (cd. tax expenditures). Si prevede quindi la presentazione da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, in allegato alla Nota di aggiornamento al DEF, di un Rapporto annuale contenente i risultati conseguiti in materia di contrasto all’evasione fiscale, indicando le strategie relative alla predetta finalità, aggiornandole e confrontando i risultati con gli obiettivi prefissati.
I presupposti della disciplina della riscossione coattiva delle somme dovute per obbligazioni tributarie hanno subito profondi mutamenti a seguito dell’entrata in vigore delle norme recate, in materia di “accertamento esecutivo”, dall’articolo 29 del D.L. 78/2010 e successivamente modificate.
Per alcune tipologie di atti (tra cui, precipuamente, gli avvisi di accertamento) emessi a partire dal 1° ottobre 2011 in relazione alle imposte sui redditi, all’IVA e all’IRAP, relativi a periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007, la riscossione coattiva opera dunque in modo diverso dalle forme ordinarie: l’efficacia esecutiva è anticipata all’avviso di accertamento, quindi viene meno la funzione del ruolo e della cartella di pagamento, con concentrazione della riscossione nella fase di accertamento (cfr. infra).
Il sistema della riscossione nell’ordinamento italiano assume connotazioni diverse a seconda dei settori in cui opera, obbedendo in ogni caso al principio di tipicità, secondo il quale la riscossione si svolge nelle forme stabilite dalla legge.
Per quanto riguarda le imposte sul reddito, la riscossione avviene nelle seguenti forme:
L’esazione dell’IVA dovuta sulla base delle dichiarazioni periodiche avviene mediante versamento diretto mediante delega; in mancanza di adempimento spontaneo del contribuente, l’Ufficio forma il ruolo.
Per quanto attiene all’imposta di registro (articoli 41 e segg. del DPR 131/1986), l’imposta riscossa in via principale (ovvero quella dovuta al momento della registrazione dell’atto) è versata per via telematica prima della richiesta di registrazione, se gli atti sono registrati per tale via; altrimenti, è liquidata dall’ufficio e il contribuente effettua il versamento al concessionario mediante delega bancaria o conto corrente postale (modello F23). Analoghe modalità sono previste per l’imposta suppletiva (ulteriore imposta dovuta successivamente alla registrazione, per errori o omissioni dell’ufficio) e l’imposta complementare (dovuta successivamente alla registrazione, in tutti gli altri casi).
L’imposta di bollo è assolta (articolo 3 del DPR 642/1972) mediante versamento diretto al concessionario che rilascia, con modalità telematiche, un apposito contrassegno (recante indicazione del giorno e dell’ora di emissione); ovvero è pagabile in modo virtuale, previsto per alcune categorie di atti. Il pagamento cd. “virtuale” avviene previa autorizzazione dell’Agenzia delle Entrate.
Il versamento diretto è previsto anche per l’esazione dei diritti doganali (articolo 2 D.L. 237/1997), presso il concessionario o tramite banche e uffici postali. I diritti doganali possono essere assolti con pagamenti periodici da parte dei soggetti che effettuano operazioni doganali con carattere di continuità.
Si rammenta in via preliminare che a seguito della riforma del sistema della riscossione (articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203) la riscossione dei tributi è passata dai soggetti privati (titolari di concessione) all’Agenzia delle entrate, che la effettua mediante la società Riscossione S.p.A., operante dal 1° ottobre 2006 ed oggi denominata Equitalia S.p.A. e attraverso le società da essa partecipate.
La remunerazione del servizio di riscossione ha subito, nell’ultimo biennio, numerose modifiche nel quantum e nella disciplina sostanziale. L’articolo 10, ai commi da 13-quater a 13-septies del D. L. n. 201 del 2011 ha previsto la riforma del sistema della remunerazione degli agenti della riscossione.
Tuttavia, sino all’entrata in vigore dei provvedimenti attuativi della nuova disciplina (ai sensi del comma 13-sexies), resta ferma l’antecedente disciplina in materia di remunerazione degli agenti della riscossione, recata dall’articolo 17 del D.Lgs. 112/1999 nella sua antecedente formulazione.
Si rammenta tuttavia che, sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013, ai sensi dell’articolo 5 del D.L. 95 del 2012 agli agenti della riscossione spetta un “aggio” pari all’otto per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, a carico del debitore - in tutto o in parte, secondo la tempestività del pagamento.
La remunerazione del servizio della riscossione ante D.L. 201/2011
Più in dettaglio, agli agenti della riscossione attualmente spetta:In particolare, il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme ivi annotate entro 60 giorni dalla notifica (articolo 25, comma 2 del D.P.R. 602/1973), cui si aggiunge parte dell’aggio, ovvero il 4,65 per cento delle somme iscritte a ruolo (articolo 17, comma 1 del D.Lgs. 112 del 1999); la restante parte dell'aggio è a carico dell'ente creditore. Nel caso di pagamento successivo ai 60 giorni, l’aggio è integralmente a carico del debitore. L'agente della riscossione (articolo 17, comma 4) trattiene l'aggio all'atto del riversamento all'ente impositore delle somme riscosse. La percentuale a carico del debitore nel caso di pagamento entro 60 giorni può essere rideterminata con decreto non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di due punti percentuali di differenza rispetto alle misure stabilite, tenuto conto del carico dei ruoli affidati, dell'andamento delle riscossioni e dei costi del sistema. Nel caso di iscrizione a ruolo non derivante da inadempimento (prevista, ad esempio, per i redditi sottoposti a tassazione separata) l'aggio è a carico dell'ente creditore, se il pagamento avviene entro il sessantesimo giorno dalla data di notifica della cartella. In caso contrario è a carico del debitore. Limitatamente alla riscossione spontanea a mezzo ruolo, l'aggio spetta agli agenti della riscossione nella percentuale stabilita dal decreto del 4 agosto 2000 del Ministro delle finanze.
Inoltre (articolo 17, comma 6) all’agente della riscossione spetta il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, sulla base di una tabella approvata con decreto del Ministero delle finanze, con il quale sono altresì stabilite le modalità di erogazione del rimborso stesso. Tale rimborso è a carico dell'ente creditore, se il ruolo viene annullato per effetto di provvedimenti di sgravio o in caso di inesigibilità. Negli altri casi è a carico del debitore. Il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive maturate nel corso di ciascun anno solare e richiesto entro il 30 marzo dell'anno successivo, è erogato entro il 30 giugno dello stesso anno. In caso di mancata erogazione, l'agente della riscossione è autorizzato a compensare il relativo importo con le somme da riversare. Il diniego, a titolo definitivo, del discarico della quota per il cui recupero sono state svolte le procedure che determinano il rimborso, obbliga l'agente della riscossione a restituire all'ente, entro il decimo giorno successivo alla richiesta, l'importo anticipato, maggiorato degli interessi legali. L'importo dei rimborsi spese riscossi dopo l'erogazione o la compensazione, maggiorato degli interessi legali, è riversato entro il 30 novembre di ciascun anno. In caso di emanazione (articolo 17, comma 7-bis) di un provvedimento dell'ente creditore che riconosce, in tutto o in parte, non dovute le somme iscritte a ruolo, all'agente della riscossione spetta comunque un compenso per l'attività di esecuzione di tale provvedimento; la misura e le modalità di erogazione del compenso sono stabilite con il decreto ministeriale che fissa le misure del rimborso delle spese per le procedure esecutive; sulle somme riscosse e riconosciute indebite non spetta tuttavia l'aggio.
Il richiamato articolo 10 del D. L. n. 201 del 2011 ha in primo luogo (comma 13-quater, lettera a)), disposto la sostituzione dell’illustrato sistema di remunerazione con l’attribuzione agli agenti della riscossione di un rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato.
La previsione del rimborso è finalizzata ad assicurare il funzionamento del servizio nazionale della riscossione, a presidiare la funzione di deterrenza e contrasto all’evasione e il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari.
Tale rimborso è da calcolarsi annualmente in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del ministero dell’economia e delle finanze, tenuto conto dei seguenti, specifici parametri:
Il predetto decreto dovrà in ogni caso garantire al contribuente oneri inferiori a quelli esistenti alla data del 6 dicembre 2011.
In sostanza, il sistema di remunerazione con aggio è sostituito dal predetto rimborso percentuale, alla cui determinazione si deve procedere in base ad elementi connessi ad elementi di fatto come l’andamento della riscossione, ma anche in rapporto a indicatori di produttività ed efficienza dell’agente unico della riscossione.
Il rimborso è posto a carico del debitore nella misura del cinquantuno per cento, nel caso di pagamento tempestivo (entro sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento): La parte rimanente rimane a carico dell’ente creditore. Per pagamenti tardivi (successivi ai sessanta giorni dalla notifica) il rimborso è interamente a carico del contribuente.
Viene novellata la disciplina (comma 13-quater, lettera c)) in materia di rimborsi spettanti all’agente della riscossione in rapporto alle procedure esecutive. In particolare, per effetto delle modifiche, continuerà ad essere attribuito all’agente un rimborso per le spese sostenute; ma questo, anziché essere riferito in via generica alle spese relative alle procedure esecutive, riguarderà gli specifici oneri connessi allo svolgimento delle singole procedure.
Rimane ferma l’attribuzione delle spese per i rimborsi in capo all’ente creditore, ove il ruolo sia annullato (per sgravio o inesigibilità) e, negli altri casi, in capo al debitore. In luogo dell’effettuazione dei rimborsi secondo quanto stabilito da una apposita tabella, per effetto delle norme in esame (comma 6.1 dell’articolo 17) si attribuisce ad un decreto non regolamentare la determinazione:
Inoltre (comma 13-quater, lettere d) ed e)):
Il decreto (comma 13-quinquies) che calcola annualmente il rimborso spettante agli agenti della riscossione nonché quello in materia di rimborso spese devono essere emanati entro il 31 dicembre 2013; come già anticipato, sino all’entrata in vigore di tali provvedimenti attuativi (comma 13-sexies), resta ferma la disciplina vigente in materia di remunerazione degli agenti della riscossione.
In attesa dell'entrata in vigore di detta riforma, il decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto (articolo 5, comma 1) una riduzione dell'aggio di un punto percentuale sui ruoli emessi dal 1° gennaio 2013 (che dunque passa dal nove all’otto per cento a decorrere dalla predetta data). Accanto a tale previsione, si dispone un’ulteriore, eventuale riduzione dell’aggio, che potrà essere alimentata dalle eventuali maggiori risorse rispetto a quanto considerato nei saldi tendenziali di finanza pubblica - correlate anche al processo di ottimizzazione ed efficientamento nella riscossione dei tributi e di riduzione dei costi di funzionamento del gruppo Equitalia S.p.A -, fino a un massimo di ulteriori quattro punti percentuali.
Per “esecuzione coattiva” si intende l'azione di recupero forzoso di un credito della Pubblica Amministrazione (in questo caso, di natura tributaria); se a seguito della notifica della cartella e degli altri avvisi il cittadino non paga spontaneamente, né interviene un provvedimento di sospensione o annullamento da parte dell’ente creditore, l’Agente della riscossione (Adr) deve obbligatoriamente recuperare le somme iscritte a ruolo attivando le procedure di riscossione disciplinate dalla legge.
In linea di principio, l’iscrizione a ruolo delle somme dovute dal contribuente (a titolo di imposta ed eventualmente di interessi e sanzioni) per legge ha valore di titolo esecutivo (articolo 49, comma 1 del DPR 602/1973), ancorché questi principi siano stati profondamente innovati dalla disciplina dell’accertamento cd. “esecutivo”.
Il ruolo (articolo 10, comma 1, lettera b) del DPR 602/1973) è l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute, formato dall'ufficio competente dell’Amministrazione finanziaria ai fini della riscossione a mezzo del concessionario. Esso contiene i dati identificativi del contribuente (nomi e generalità dei destinatari, codice fiscale, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica, della pretesa) e del quantum dovuto (imponibile, interessi e sanzioni). Il ruolo è detto “straordinario” ove vi sia fondato pericolo per la riscossione (articolo 11, ultimo comma DPR 602/1973), e consente di riscuotere anticipatamente le maggiori imposte accertate – in deroga alle norme sulla iscrizione provvisoria al ruolo in dipendenza di un processo tributario. Il ruolo è consegnato al concessionario, che notifica al debitore la cartella di pagamento recante l’intimazione ad adempiere entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, spirato il quale si procederà ad esecuzione forzata (articolo 25 del DPR 602/1973, cfr. infra). L’iscrizione a ruolo può essere provvisoria o definitiva, secondo il titolo che legittima l’iscrizione medesima. La dichiarazione fiscale, l’atto di accertamento definitivo e i relativi interessi e sanzioni sono titoli per l’iscrizione definitiva. Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati. L’ordinamento prevede un sistema di riscossione graduale delle somme dovute in pendenza di giudizio innanzi agli organi della giustizia tributaria (articolo 68 del D.Lgs. 546/1992). L’avviso di accertamento - salve le nuove norme sull’accertamento esecutivo - non ha immediata esecutività per l’intero importo liquidato. L’integrale esigibilità si ha, infatti, ove l’accertamento diventi inoppugnabile.
Il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme ivi annotate entro 60 giorni dalla notifica (articolo 25, comma 2 del DPR 602/1973), cui si aggiunge metà dell’aggio, ovvero della remunerazione spettante all’agente della riscossione (articolo 17, comma 1 del D.Lgs. 112 del 1999 nella sua antecedente formulazione).
Decorso inutilmente tale termine, sulle somme iscritte a ruolo si applicano gli interessi di mora (articolo 30 del DPR 602/1973) e l’aggio è dovuto integralmente.
Secondo le regole generali (articolo 50 del DPR 602/1973), il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento.
L’agente della riscossione ha inoltre la facoltà di promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
Sono fatte salve le ipotesi in cui il contribuente richiede la dilazione del pagamento, nonché la disciplina della sospensione dello stesso.
Gli incentivi alla dilazione dei debiti tributari
In generale, nel corso della XVI legislatura sono state introdotte numerose disposizioni volte a incentivare il contribuente a rateizzare i debiti tributari (anche tramite l’eliminazione, per quanto possibile, l'obbligo di prestare idonea garanzia per accedere al beneficio della dilazione), anche al fine di aumentare il tasso di adesione all’obbligazione fiscale.
La rateazione delle somme dovute al Fisco può essere chiesta nelle diverse fasi dell’obbligazione tributaria. In proposito si ricorda che il D.L. n. 98 del 2011 ha eliminato l’obbligo di prestazione di garanzia per accedere alla rateazione di debiti tributari - anche superiori a 50.000 euro - conseguenti ad istituti deflativi del contenzioso, ovvero all’accertamento con adesione e alla conciliazione giudiziale; nello stesso filone, il D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, comma 13-decies) ha del tutto eliminato l’obbligo di garanzia per i pagamenti conseguenti ad “avvisi bonari”.
Si ricorda inoltre che la legge (articolo 2 del richiamato D.Lgs. n. 462 del 1997) prevede l’iscrizione diretta a ruolo, a titolo definitivo, delle somme dovute a seguito dei controlli automatizzati effettuati in materia di imposte sui redditi e di IVA. Il contribuente può però evitare l’iscrizione a ruolo se (articolo 2, comma 2) effettua il pagamento entro 30 giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”, ovvero della comunicazione relativa all'esito della liquidazione, effettuata per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, ovvero contenente la rideterminazione delle somme dovute, a seguito dei chiarimenti forniti dal contribuente o dal sostituto d'imposta. In tale ipotesi la sanzione è ridotta ad un terzo del dovuto. Anche nel caso di controllo formale della dichiarazione da cui risulta un debito d’imposta (successivo articolo 3 del D.Lgs. n. 462 del 1997) il contribuente può evitare l’iscrizione a ruolo, se effettua il pagamento entro trenta giorni dal ricevimento del c.d. “avviso bonario”. La scelta di effettuare il pagamento rateale delle somme liquidate con l’avviso bonario è lasciata alla discrezionalità del contribuente, che però decade dal beneficio della dilazione se omette il pagamento della prima rata entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, ovvero nel caso di omissione del pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine fissato per il versamento della rata successiva (ad esempio, se la seconda rata non è pagata entro il termine fissato per la scadenza della terza). La decadenza della procedura di pagamento rateale comporta l’iscrizione a ruolo del debito relativo alle imposte, agli interessi e alle sanzioni (conteggiate in misura piena), previa deduzione di quanto è già stato versato. Per effetto delle modifiche operate con il D.L. “semplificazioni tributarie” (articolo 1, comma 1 del citato D. L. n. 16/2012) il contribuente, anche se decaduto dal beneficio della rateazione dei pagamenti conseguenti agli “avvisi bonari”, potrà in ogni caso avvalersi della dilazione specificamente prevista dall’articolo 19 del DPR n. 602 del 1973 per le somme iscritte a ruolo.
Per quanto concerne in particolare la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo, ai sensi dell’articolo 19 del DPR 602/1973 il contribuente può chiedere all'agente della riscossione, nelle ipotesi di temporanea situazione di obiettiva difficoltà dello stesso, la possibilità di dilazionare il pagamento delle somme iscritte a ruolo fino ad un massimo di settantadue rate mensili.
Inoltre (per effetto delle modifiche operate dal D. L. n. 201 del 2011 e dal D. L. n. 16 del 2012), in caso di comprovato peggioramento della suddetta situazione, la dilazione può essere prorogata una sola volta, per un ulteriore periodo e fino a settantadue mesi, a condizione che non sia intervenuta decadenza, che si verifica in caso di mancato pagamento di due rate consecutive (l'intero importo ancora dovuto è immediatamente ed automaticamente riscuotibile in unica soluzione ed il carico non può più essere rateizzato). Il debitore può chiedere che il piano di rateazione (anche in prima richiesta) preveda, in luogo di rate costanti, rate variabili di importo crescente per ciascun anno. Dopo la ricezione della richiesta di rateazione, l'agente della riscossione può iscrivere l'ipoteca sugli immobili del proprietario solo nel caso di mancato accoglimento della richiesta, ovvero nel già illustrato caso di decadenza, fatte comunque salve le ipoteche già iscritte alla data di concessione della rateazione.
All’esecuzione (articolo 49, comma 2 del DPR 602/1973) si applicano le norme ordinarie in materia di espropriazione forzata relative al bene oggetto di esecuzione, in quanto non derogate dalle specifiche disposizioni tributarie.
In particolare, si applicheranno le norme del codice civile nonché del codice della navigazione, per quanto riguarda navi e aeromobili (vale a dire, con riguardo ai beni mobili iscritti in pubblici registri, le relative norme speciali).
La normativa speciale delle procedure di esecuzione forzata fiscale è contenuta nel citato DPR 602/1973, in particolare agli articoli 45 e ss.gg.
In dettaglio, rispetto alle ordinarie forme civilistiche, l’agente della riscossione:
L’esecuzione forzata si articola in tre momenti: pignoramento dei beni, vendita e assegnazione del ricavato.
Il pignoramento avviene secondo le regole processuali comuni e culmina in un verbale da consegnare e notificare al debitore. Al pignoramento segue la messa all’incanto dei beni pignorati, anch’esso verbalizzato.
Il processo esecutivo non può essere sospeso dal giudice dell’esecuzione, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno.
Le attribuzioni svolte dagli ufficiali giudiziari ordinari sono svolte dagli agenti della riscossione.
Ai soli fini della riscossione mediante ruolo, gli agenti della riscossione sono autorizzati ad accedere, gratuitamente ed anche in via telematica, a tutti i dati rilevanti a tali fini, anche se detenuti da uffici pubblici, con facoltà di prendere visione e di estrarre copia degli atti riguardanti i beni dei debitori iscritti a ruolo e i coobbligati, nonché di ottenere, in carta libera, le relative certificazioni. Ai medesimi fini, i predetti soggetti possono accedere alle informazioni disponibili presso il sistema informativo del Ministero delle finanze e presso i sistemi informativi degli altri soggetti creditori, salve le esigenze di riservatezza e segreto opponibili in base a disposizioni di legge o di regolamento (articolo 18 del D.Lgs. 112/1999).
A questo fine, l'Agente della riscossione può:
Si ricorda che il D.L. n. 16 del 2012 ha introdotto limiti più stringenti alla pignorabilità per crediti tributari delle somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento (Disciplinate dall’articolo 72-ter del DPR 602/1973). In particolare esse possono essere pignorate in misura pari a un decimo, se di importo inferiore o pari a 2.500 euro; in misura pari a un settimo, se comprese tra i 2.500 e i 5.000 euro; se superiori a 5.000 euro, rimangono pignorabili nell’ordinaria misura di un quinto.
In materia di beni mobili registrati del soggetto inadempiente, l’articolo 86 del DPR 602/1973 reca disposizioni in materia di fermo di beni mobili registrati (cd “ganasce fiscali”). Il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza. Il fermo si esegue mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari a cura del concessionario, che ne dà altresì comunicazione al soggetto nei confronti del quale si procede. La circolazione con veicoli, autoscafi o aeromobili sottoposti al fermo soggiace alla medesima sanzione pecuniaria prevista per chi circoli con un veicolo sottoposto al fermo amministrativo, ovvero al pagamento di una somma da euro 731 a euro 2.928, nonché alla confisca del veicolo (articolo 214, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). Tra le novità recate dal D.L. 70 del 2011 (articolo 7, comma 2, lettera gg-octies)), viene disposto che la cancellazione del fermo non comporti pagamento di alcuna spesa né a favore di Equitalia né a favore del Pra.
In ordine ai beni immobili del soggetto inadempiente, si rammenta che decorsi i sessanta giorni della notifica delle cartelle di pagamento il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati, per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede (articolo 77 del DPR 603/1973). In ogni caso l'agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca.
Condizione per l’esproprio di beni immobili è che l'importo complessivo del credito per cui si procede superi un determinato ammontare, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 76 del DPR 602/1973: l'agente della riscossione può infatti procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede supera complessivamente ventimila euro.
Si rammenta che l’articolo 1, comma 544 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) prevede che, per tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a mille euro, intrapresa successivamente al 1° gennaio 2013 (data di entrata in vigore della disposizione in esame) e salvo il caso in cui l'ente creditore abbia notificato al debitore la comunicazione di inidoneità della documentazione da lui inviata, non si possa procedere alle azioni cautelari ed esecutive prima del decorso di centoventi giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle iscrizioni a ruolo.
Viene dunque abbassata la soglia di duemila euro indicata dalla lettera gg-quinquies) del comma 2 dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, disposizione contestualmente abrogata (comma 545).
L’articolo 29, comma 1 del D.L. 78/2010 ha previsto la concentrazione delle fasi di accertamento e riscossione, per alcune tipologie di atti emessi a partire dal 1° ottobre 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi.
Ai sensi della suddetta disposizione, l’avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell’IVA e dell’IRAP, nonché il relativo provvedimento di irrogazione delle sanzioni devono contenere l'intimazione ad adempiere all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati.
In particolare:
a) trascorsi sessanta giorni dalla notifica, l’accertamento diventa esecutivo (articolo 29, comma 1, lettera b)).
Dal 61° giorno dalla notifica dell’atto le somme dovute saranno maggiorate dell’interessa di mora; il rimborso delle spese relative alle procedure esecutive, nonché l’aggio per l’agente della riscossione, saranno a carico del contribuente (articolo 29, comma 1, lettera f));
b) decorsi ulteriori trenta giorni (articolo 29, comma 1, lettera b)), quindi novanta giorni dalla notifica, la riscossione delle somme richieste - in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo - è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata. L'agente della riscossione, con raccomandata semplice, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione. Tale comunicazione non avviene in presenza di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione, ovvero quando gli agenti della riscossione, successivamente all’affidamento in carico, vengono a conoscenza di elementi idonei a dimostrare il fondato pericolo di pregiudicare la riscossione).
Ove il contribuente faccia istanza di sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato (ai sensi del citato articolo 47 del D.Lgs. 546/1992) l’esecuzione forzata è sospesa fino alla data di emanazione del provvedimento che decide sull’istanza e, in ogni caso, per un periodo non superiore a centoventi giorni dalla notifica dell’istanza stessa. La sospensione non si applica alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore.
La dilazione del pagamento (di cui al citato articolo 19 del DPR 602/1973) può essere concessa solo dopo l'affidamento del carico all'agente della riscossione.
In ogni caso l’esecuzione forzata è sospesa per un periodo di 180 giorni, decorrenti dall’affidamento in carico del credito ad Equitalia. Tale sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonché ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La sospensione non opera neppure se l’agente della riscossione, successivamente alla “ricezione” del credito, è a conoscenza di elementi idonei a integrare il fondato pericolo per il pregiudizio della riscossione.
c) trascorso il predetto termine di sospensione, l’agente della riscossione procede quindi ad espropriazione forzata, senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle (già esposte) disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo.
In particolare, l’esibizione dell’estratto degli atti di “accertamento esecutivo”, ai fini dell’espropriazione forzata, come trasmesso all’agente della riscossione con le modalità determinate con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate. tiene luogo, a tutti gli effetti, dell’esibizione dell’atto stesso in tutti i casi in cui l’agente della riscossione ne attesti la provenienza.
Dunque il contribuente:
L’espropriazione deve essere avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo.
d) le norme introducono anche una procedura di riscossione ulteriormente “accelerata”, per il caso (articolo 29, comma 1, lettera c)) di fondato pericolo per il positivo esito della riscossione. In tale ipotesi, decorsi sessanta giorni dalla notifica, la riscossione delle somme può essere affidata in carico agli agenti della riscossione anche prima dei suesposti termini di 90 giorni dalla notifica (dunque, dalla lettera della legge sembra evincersi che l’affidamento in carico possa avvenire tra il 60° e il 90° giorno dalla notifica).
La legge di stabilità 2013 (ai commi da 531 a 535) ha previsto l’istituzione di un apposito Comitato di indirizzo e verifica dell’attività di riscossione mediante ruolo, col compito di elaborare criteri per l’individuazione di categorie di crediti oggetto di recupero coattivo e le linee guida generali per lo svolgimento mirato e selettivo dell’azione di riscossione, nonché criteri per consentire il controllo dell’attività svolta sulla base delle indicazioni così impartite.
Le norme così introdotte si applicano alle quote affidate agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2013.
In particolare, le disposizioni prevedono che sia istituito, con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi entro il 30 giugno 2013, il Comitato di indirizzo e verifica dell’attività di riscossione mediante ruolo.
Si rammenta in via preliminare che a seguito della riforma del sistema della riscossione (articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005 n. 203, richiamato dal suddetto comma) la riscossione dei tributi è passata dai soggetti privati (titolari di concessione) all’Agenzia delle entrate, che la effettua mediante la società Riscossione S.p.A., operante dal 1° ottobre 2006 ed oggi denominata Equitalia S.p.A. e attraverso le società da essa partecipate.
Esso è istituito senza maggiori oneri per la finanza pubblica ed è così composto:
Il predetto D.M. disciplina altresì le modalità di funzionamento del Comitato e di nomina dei relativi componenti, i requisiti di tali soggetti e la durata dell’incarico.
I compiti del Comitato sono quelli di elaborare annualmente criteri:
I predetti criteri sono approvati con D.M. del Ministro dell’economia e delle finanze, previo parere obbligatorio delle Commissioni parlamentari competenti, con operatività dall’anno successivo a quello in cui sono stati approvati.
L’articolo 7, comma 2, alle lettere da gg-ter) a gg-septies del decreto legge 70/2011 ha recato importanti novità sul sistema di accertamento e riscossione delle entrate dei comuni.
Il vigente sistema di riscossione delle entrate locali
A seguito della riforma della riscossione – con passaggio da un sistema di affidamento in concessione all’attribuzione delle competenze all’Agenzia delle entrate, operante attraverso l’agente unico Equitalia S.p.A. e sue partecipate – la legge ha recato una dettagliata disciplina transitoria della riscossione delle entrate locali, volta a favorire il transito di funzioni e di carichi dagli ex concessionari ad Equitalia e alle relative società partecipate.
In particolare, ai sensi del comma 24 dell'articolo 3 del D.L. n. 203 del 2005, alle ex società concessionarie della riscossione è stata data la possibilità di trasferire, in via totale o parziale, il proprio capitale sociale ad Equitalia S.p.a. (continuando dunque, anche con assetti proprietari diversi, a svolgere l'attività di riscossione erariale e locale).
In alternativa, e fino al momento dell'eventuale cessione, totale o parziale, del proprio capitale sociale ad Equitalia, ai concessionari è stato consentito di scorporare il ramo d'azienda concernente le attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali, cedendolo a soggetti terzi, nonché alle società iscritte nell'apposito albo dei soggetti abilitati ad effettuare le attività di accertamento e riscossione dei tributi per gli enti locali (ai sensi dell'articolo 53, comma 1, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446).
Nel caso di scorporo e di cessione del ramo di azienda, le norme hanno consentito ai cessionari del ramo d’azienda di proseguire le attività di accertamento e riscossione di entrate locali, in mancanza di diversa determinazione degli enti medesimi (che avrebbero potuto optare per l’affidamento in house o per la gestione diretta, ovvero associata, etc.), purché le società avessero i requisiti per l'iscrizione al citato albo dei soggetti abilitati ad accertare e riscuotere le entrate locali. Ai cessionari è stato concesso di agire mediante la procedura dell'ingiunzione fiscale, fatta eccezione per i ruoli consegnati fino alla data del trasferimento, per i quali avrebbero trovato applicazione le ordinarie disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
Ai sensi del successivo comma 25, fino al 30 giugno 2013 – termine così fissato, da ultimo, dal D.L. 174 del 2012 - nel caso di mancato trasferimento del ramo d’azienda e ove non vi sia diversa determinazione dell'ente creditore, le attività di accertamento e riscossione sono affidate a Equitalia S.p.A. o alle società partecipate, fermo il rispetto di procedure di gara ad evidenza pubblica.
Infine, fatto salvo l'eventuale affidamento temporaneo a Equitalia, il comma 25-bis sancisce che l'attività di riscossione spontanea e coattiva degli enti pubblici territoriali può essere svolta dalle società cessionarie del ramo d'azienda, da Equitalia S.p.A. e dalle partecipate soltanto a seguito di affidamento mediante procedure ad evidenza pubblica, condecorrenza – come visto supra - dal citato termine del 30 giugno 2013.
A partire dal 30 giugno 2013 Equitalia Spa e le società da essa partecipate cessino di effettuare le attività di accertamento, liquidazione e riscossione - spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.
Dal momento di tale cessazione spetterà dunque ai comuni effettuare la riscossione coattiva delle entrate tributarie e patrimoniali.
Gli enti dovranno dunque procedere secondo:
Come rilevato dal Direttore del Dipartimento delle Finanze nell’audizione presso la Commissione VI Finanze il 21 novembre 2012, l’assetto normativo così definito lascia il dubbio se siano stati riattribuiti a tutti i soggetti coinvolti nella riscossione delle entrate locali (ad es. società affidatarie) gli stessi strumenti previsti per gli enti locali.
Il sindaco o il legale rappresentante della società incaricata della riscossione dovranno nominare uno o più funzionari responsabili della riscossione che esercitino: le funzioni demandate agli ufficiali della riscossione, ovvero quelle attribuite al segretario comunale dall'articolo 11 del RD 639/1910 (assistenza all'incanto, stesura del relativo), in ottemperanza ai requisiti di legge (abilitazione e autorizzazione) richiesti per ricoprire il ruolo di degli ufficiali della riscossione.
Nella citata audizione del 21 novembre u.s., il DF ha fatto cenno alle difficoltà attuative della suddetta disposizione, dal momento che la legge (articolo 42, comma 1-bis del D.Lgs. n. 112 del 1999) prescrive che l’abilitazione all’esercizio delle funzioni di ufficiale della riscossione si ottenga mediante apposita procedura concorsuale, a seguito di una valutazione delle effettive esigenze del sistema di riscossione coattiva dei crediti pubblici. Tale valutazione non è rimessa agli EELL, ma è finalizzata a nominare soggetti operanti nel settore della riscossione dei tributi erariali. Appare dubbia, dunque, l’idoneità di tali procedure a soddisfare le esigenze degli enti territoriali.
Si rammenta infine che, ove la gestione della riscossione delle entrate comunali sia affidata a soggetti privati (per effetto delle modifiche apportate alla lettera gg-septies dall’articolo 5, comma 8-bis del D.L. 16 del 2012), l’attività di riscossione dovrà essere effettuata mediante l'apertura di uno o più conti correnti di riscossione, postali o bancari, intestati al soggetto affidatario e dedicati alla riscossione delle entrate dell'ente affidante, sui quali devono affluire tutte le somme riscosse.
Il riversamento dai conti correnti di riscossione sul conto corrente di tesoreria dell'ente delle somme riscosse, al netto dell'aggio e delle spese anticipate dal soggetto affidatario, deve avvenire entro la prima decade di ogni mese con riferimento alle somme accreditate sui conti correnti di riscossione nel mese precedente.
La legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 537 a 545della legge n. 228 del 2012) ha introdotto norme volte, nel complesso, a semplificare i flussi informativi tra fisco e contribuente, ove la pretesa tributaria sottesa alle procedure di riscossione non possa essere soddisfatta (in via temporanea o definitiva) per ragioni formali o sostanziali.
Le norme in esame riproducono - con qualche differenza - quanto previsto dal testo del disegno di legge A.S. 1551, recante disposizioni per la sospensione immediata dell'attività di riscossione in caso di presentazione di istanza di autotutela del debitore ovvero per invalidità del titolo esecutivo ed approvato in sede referente dalla 6° Commissione finanze del Senato il 21 novembre 2012; il 28 novembre 2012 tale DDL è stato riassegnato alla medesima Commissione in sede deliberante.
Per effetto di tali disposizioni (comma 537), i soggettiincaricati della riscossione dei tributi dal 1° gennaio 2013 hanno l’obbligo di sospendere immediatamente ogni iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, ove intervenga una dichiarazione del debitore effettuata alle specifiche condizioni e in presenza dei fattori indicati espressamente dalla legge.
Si rammenta che Equitalia, con proprio provvedimento amministrativo, ha previsto l'obbligo di attivarsi nei confronti dell'ente impositore per l'annullamento del titolo esecutivo nel caso in cui il contribuente ne eccepisca l'inesigibilità totale o parziale, disponendone in tale ipotesi la temporanea non procedibilità fino al momento in cui lo stesso ente impositore notifichi l'esito degli ulteriori accertamenti svolti.
La richiesta di pagamento contenuta nella cartella o nell'avviso (es. accertamento esecutivo, avviso di addebito) può essere sospesa in via amministrativa, giudiziale e, alle particolari condizioni elencate nella direttiva di Equitalia del 6 maggio 2010, n. 10, anche dagli agenti della riscossione.
A seguito di quanto previsto dalla predetta direttiva n. 10/2006 è possibile chiedere direttamente a Equitalia la sospensione delle procedure di riscossione, ove il contribuente abbia già pagato prima della formazione del ruolo/avviso, la commissione tributaria abbia accolto il ricorso ovvero si sia ottenuto lo sgravio o la sospensione amministrativa o giudiziale, indipendentemente se l’Agente della riscossione ha ricevuto la comunicazione dall’ente o la notifica giudiziaria.
La sospensione amministrativa è disposta dall’ente creditore d'ufficio o su richiesta del contribuente, in attesa della pronuncia dell'ente sulla domanda di sgravio o che l'autorità giudiziaria emetta la sentenza sul ricorso. L'ente è tenuto a dare comunicazione del provvedimento all'Agente della riscossione.
In merito alla disciplina della legge di Stabilità, Equitalia ha emanato la direttiva di gruppo n. 2 dell’11 gennaio 2013, con la quale ha inteso fornire le prime istruzioni per una gestione immediata delle cartelle interessate dalla suddetta disciplina, riservandosi di tornare in argomento all’esito della rilevazione di eventuali criticità delle nuove norme.
Anzitutto, è stato puntualizzato che gli indirizzi contenuti della direttiva del 2010 sopra richiamata devono intendersi superati dall’entrata in vigore della nuova disciplina.
Inoltre, la Direzione centrale accertamento dell’Agenzia delle Entrate, con una nota diramata il 16 gennaio 2013, ha fornito ulteriori precisazioni sulla novità della sospensione della riscossione: in particolare, ha precisato che l’obbligo di sospensione immediata della riscossione a istanza del contribuente può riguardare non solo cartelle di pagamento, ma anche gli avvisi di accertamento esecutivi.
Nella stessa nota si dispone che gli uffici dell’Agenzia delle entrate siano competenti per lo sgravio non solo dei tributi erariali, ma anche dell’Irap, amministrata in convenzione per conto delle Regioni e per i recuperi degli aiuti di Stato, mentre sono esclusi invece dalla procedura di sospensione della riscossione tributi, gli atti relativi a somme iscritte a ruolo in nome e per conto di terzi.
In particolare (comma 538), al fine di conseguire la sospensione delle procedure di esecuzione, entro novanta giorni dalla notifica del primo atto di riscossione utile o di un atto della procedura cautelare o esecutiva eventualmente intrapresa, il contribuente presenta all’agente della riscossione una dichiarazione - anche con modalità telematiche - con la quale venga documentato che gli atti emessi dall'ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l'avviso per i quali si procede, sono stati interessati:
La Direttiva n. 2/2013 specifica che le dichiarazioni tardive, ossia presentate oltre il termine di novanta giorni dalla notifica dell’atto che le origina, dovranno essere considerate prive di effetti, in quanto inammissibili.
Rispetto alle casistiche contemplate dalla Direttiva 10 di Equitalia, figurano in norma le due ulteriori ipotesi di prescrizione o decadenza della pretesa intervenuta in data antecedente a quella in cui il ruolo è stato reso esecutivo e, in via residuale, “qualsiasi altra causa di non esigibilità del credito sotteso”.
Ai sensi del comma 539, entro dieci giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore, l’agente della riscossione trasmette all'ente creditore la dichiarazione stessa e la relativa documentazione allegata, al fine di avere conferma dell'esistenza delle ragioni del debitore ed ottenere, in caso affermativo, la sollecita trasmissione della sospensione o dello sgravio direttamente sui propri sistemi informativi.
Decorsi ulteriori sessanta giorni l'ente creditore è comunque tenuto a fornire una risposta.
Essa è inviata al debitore a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno o a mezzo posta elettronica certificata ai debitori obbligati all'attivazione e potrà :
Il comma 540prevede che, ove l’ente creditore non invii la predetta comunicazione - che conferma la pretesa debitoria o dichiara inidonea la documentazione prodotta – e ove manchino i conseguenti flussi informativi nei confronti dell’incaricato della riscossione, decorsi 220 giorni dalla data di presentazione della dichiarazione del debitore allo stesso concessionario della riscossione, le partite oggetto della dichiarazione sono annullate di diritto; l’agente della riscossione è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli. Contestualmente sono eliminati dalle scritture patrimoniali dell'ente ereditare i corrispondenti importi.
Al riguardo, le disposizioni in commento non specificano se la decorrenza del termine di 220 giorni (genericamente riferito alla “presentazione” della dichiarazione del debitore) sia riconducibile alla data di invio della dichiarazione del debitore - con le modalità sopra indicate - ovvero al momento della sua ricezione della medesima da parte dell’agente della riscossione.
Inoltre, specifici termini per l’attivazione dell’ente creditore sono previsti sia dal comma 539 (settanta giorni, dieci più sessanta, dall’attivazione dell’agente di riscossione) e dal comma 540 (220 giorni dalla presentazione della richiesta del debitore), sebbene la disciplina in esame faccia discendere conseguenze sostanziali solo dal termine di 220 giorni.
Ai sensi del successivo comma 541, ferma restando la responsabilità penale, ove il contribuente produca documentazione falsa si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'ammontare delle somme dovute, con un importo minimo di 258 euro.
Ai sensi del comma 542, gli agenti della riscossione sono tenuti a fornire agli enti creditori il massimo supporto per l'automazione della fase di trasmissione di provvedimenti di annullamento o sospensione dei carichi iscritti a ruolo.
Al riguardo, la direttiva n. 2/2013 di Equitalia precisa che la struttura dell’agente della riscossione deputata alla lavorazione delle richieste dei contribuenti deve, in via preliminare, verificare che:
In caso di istanze incomplete, la stessa struttura indicata dovrà contattare il debitore utilizzando il recapito valorizzato nel corpo dell’istanza ed invitarlo alla relativa integrazione. Se la dichiarazione è presentata allo sportello, al fine di snellire e velocizzare il processo, le verifiche che precedono dovranno essere effettuate dall’operatore addetto, che richiederà, se del caso l’integrazione. In tale ultima evenienza, la protocollazione avverrà al momento della presentazione di tutta la documentazione necessaria.
Esaurita, l’attività che precede, le strutture a tal fine competenti dispongono immediatamente il caricamento a sistema della sospensione, contraddistinta dai codici già in uso per le casistiche contemplate dalla Direttiva n. 10/2010, cui andranno ad aggiungersi due nuove tipologie di sospensione (C6 prescrizione e decadenza e C7 altre cause di inesigibilità) ed entro e non oltre i 10 giorni successivi alla data di presentazione della dichiarazione, nonché curarne la trasmissione a mezzo PEC all’ente creditore. Se l’ente non fosse provvisto di PEC, la trasmissione della documentazione deve avvenire mediante raccomandata con ricevuta di ritorno.
L’esame della fondatezza di quanto dichiarato e documentato dal debitore iscritto a ruolo è riservata in via esclusiva all’ente creditore.
Equitalia precisa inoltre che è da escludersi che agli uffici dell’Agenzia delle entrate possano essere trasmesse dichiarazioni relative a somme iscritte a ruolo in nome e per conto di terzi (come, ad esempio, i contributi previdenziali ed assistenziali ricompresi nei ruoli).
Per quanto riguarda il trattamento dei tributi che sono amministrati dall’Agenzia delle Entrate, anche in regime convenzionale, per conto degli enti locali (IRAP ed addizionali regionali e comunali all’IRPEF), sia per la natura dei tributi medesimi, sia per la circostanza che l’Agenzia comunque svolge tutte le attività relative (gestione delle dichiarazioni e della riscossione spontanea, controllo, contenzioso, formazione dei titoli per la riscossione coattiva, non limitandosi, quindi, alla mera iscrizione a ruolo in nome e per conto dell’avente diritto), in prima fase di applicazione delle nuove disposizioni, tutte le funzioni attribuite agli enti creditori dalla legge di stabilità 2013 devono essere svolte dagli uffici della medesima Agenzia delle Entrate; essa è anche ente creditore per tutte le somme da essa iscritte a ruolo perché oggetto di recupero in quanto aiuti di Stato illegittimi.
Il comma 543 dispone l’applicazione retroattiva delle disposizioni in materia di sospensione e annullamento così introdotte: esse infatti operano anche per le dichiarazioni presentate al concessionario della riscossione prima dell’1 gennaio 2013.
Non appare chiaro se tale prescrizione si riferisca alle dichiarazioni eventualmente fornite ai sensi della citata direttiva di Equitalia n. 10 del 2010.
Al riguardo la Direttiva 2/2013 di Equitalia specifica che, attesa la portata parzialmente retroattiva delle suddette disposizioni, cui consegue l’annullamento automatico delle partite afferenti a dichiarazioni presentate e trasmesse all’ente creditore prima, in caso di ritardo o inerzia dello stesso (avuto riguardo agli specifici termini fissati dal legislatore) nell’esame delle posizioni interessate e nella spedizione e trasmissione delle prescritte comunicazioni e flussi al debitore e all’agente della riscossione, sarà approntata apposita informativa, con lo scopo di richiamare all’attenzione dei vari enti le novità della disciplina in parola e gli effetti pregiudizievoli che possono derivare dal mancato adempimento delle relative prescrizioni.
Infine, l’Agente della riscossione ha ricordato che, a prescindere dalla tassatività delle fattispecie al ricorrere delle quali il debitore può presentare la dichiarazione, non è escluso che si verifichino casi in cui lo stesso assuma di aver effettuato un pagamento all’agente della riscossione tramite intermediario abilitato: in tal caso, si dovrà provvedere, naturalmente, a disporre ogni più opportuna verifica finalizzata alla riconciliazione della posizione.
In tali ipotesi, le norme di legge impongono all'ente creditore di inviare la comunicazione e provvedere agli adempimenti prescritti entro il 2 aprile 2013 (il primo giorno non festivo decorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione della legge 228/2012).In mancanza, trascorso inutilmente il termine del 9 agosto 2013 (220 giorni dalla stessa data di pubblicazione della legge) le partite oggetto di dichiarazione sono annullate di diritto ed il concessionario della riscossione è considerato automaticamente discaricato dei relativi ruoli. Contestualmente sono eliminati dalle scritture patrimoniali dell'ente creditore i corrispondenti importi.
Dalla natura di "imposte armonizzate" delle accise discende una disciplina complessa e stratificata, costituita da norme comunitarie e nazionali, queste ultime di rango primario e secondario. Oltre al lavoro di recepimento delle disposizioni comunitarie, il legislatore italiano negli ultimi anni è spesso intervenuto al fine di modificare il quantum dell'accisa dovuta sui prodotti energetici e sui tabacchi.
La disciplina delle accise è principalmente contenuta nel Testo Unico, di cui al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, (Testo Unico delle Accise - TUA). Il TUA è stato profondamente innovato negli anni, specialmente a seguito del recepimento, operato con il D.Lgs. n. 26/2007, della direttiva 2003/96/CE che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità, anche al fine di recepire il protocollo di Kyoto; essa ha ampliato l’ambito delle accise armonizzate, al fine di estenderlo in generale a tutti i “prodotti energetici” (tra cui il gas naturale) e l’elettricità, introducendo dunque livelli minimi di tassazione anche per i suddetti prodotti.
Occorre ricordare inoltre che dal 1° dicembre 2012 l'Agenzia delle Dogane incorpora l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, assumendone funzioni e risorse umane, strumentali e finanziarie attribuite, come stabilito dai decreti dell'8 novembre 2012, emanato in applicazione dell'art. 23 quater del decreto legge n. 95/2012. L'Agenzia assume il nome di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Una complessiva rifusione delle norme europee sul regime generale delle accise – anche a seguito della stratificazione della normativa comunitaria succedutasi nell’arco di quasi vent’anni - è stata operata con la direttiva 2008/118/CE, relativa al regime generale sui prodotti soggetti ad accisa. I beni interessati dal provvedimento sono:
Questi prodotti sottoposti ad accisa sono soggetti a tale imposta all’atto:
Il recepimento della disciplina comunitaria è stato effettuato con il D.Lgs. 29 marzo 2010, n. 48, che ha sostituito o modificato numerose disposizioni contenute nel Testo Unico Accise, con specifico riguardo a quelle relative:
Tra le principali modifiche apportate al TUA, viene segnalato infine l’inserimento organico, in un’apposita nuova partizione (Capo III-bis), della disciplina sui tabacchi lavorati, nonché per esigenze di completezza ed organicità del medesimo testo unico l’introduzione, nel titolo III (Altre imposizioni indirette), delle disposizioni riguardanti l’imposta di fabbricazione sui fiammiferi.
In materia di tabacchi lavorati, il D.Lgs. 31 marzo 2011 n. 57 ha attuato nell’ordinamento la direttiva 2010/12/UE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati; le norme europee rispondono alla necessità di garantire il corretto funzionamento del mercato interno ed assicurare, al contempo, un livello elevato di protezione della salute, come richiesto dall'articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Tra le novità più significative si segnalano:
Per quanto concerne le modifiche riguardanti le aliquote, è stato previsto un innalzamento dell'aliquota di base relativa ai tabacchi lavorati (per effetto della conversione in legge del D.L. n. 216 del 2011) con finalità di copertura di oneri recati da disposizioni in materia pensionistica contenute nel medesimo provvedimento.
Le principali disposizioni in materia di accise sui carburanti (compreso il GPL e il gas naturale per autotrazione) sono intervenute sulla determinazione del loro ammontare; la modifica della tassazione dei prodotti energetici è stata infatti funzionale al finanziamento di diversi interventi normativi legati anche a situazioni emergenziali.
In merito si ricordano i temporanei aumenti disposti al fine di rimpinguare il fondo di riserva per le spese impreviste, a seguito degli eccezionali eventi alluvionali che hanno colpito i territori delle Regioni Liguria e Toscana nel corso del 2011; ulteriori incrementi sono stati disposti dalla legge di stabilità per il 2012 (legge 183 del 2011) per la copertura dell’onere derivante dall’introduzione a regime della deduzione forfettaria in favore degli esercenti impianti di distribuzione del carburante e per finanziare le disposizioni che hanno concesso alle popolazioni dell’Abruzzo colpite dal sisma dell’aprile 2009 modalità agevolate di ripresa della riscossione di tributi e contributi in precedenza sospesi. Ulteriori aumenti, operativi dal mese di dicembre 2011, sono stati previsti dall'articolo 15 del D.L. 201 del 2011.
Su un piano più generale il D.L. n. 59 del 2012 in materia di protezione civile) ha introdotto nuove modalità di copertura degli oneri connessi alle emergenze. In particolare, ove sia necessario ricorrere al fondo di riserva per le spese impreviste, si prevede che esso sarà alimentato - in tutto o in parte - con maggiori entrate derivanti dall'aumento dell'aliquota di accisa sui carburanti; tale aumento dovrà essere preventivamente deliberato dal Consiglio dei Ministri e concretamente quantificato con provvedimento dall’Agenzia delle Dogane. La medesima disposizione prevede che l’aumento delle aliquote di accisa, in combinazione con riduzioni di spesa, concorra alla copertura degli oneri derivanti dalle norme che differiscono i termini per i versamenti tributari e contributivi per le popolazioni colpite da emergenze di protezione civile.
Si ricorda infine che il D.L. 74 del 2012 ha previsto che il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20-29 maggio 2012 sia alimentato, per un ammontare pari a 500 milioni di euro, anche mediante un aumento pari a 2 centesimi, fino al 31 dicembre 2012, dell’accisa sulla benzina e sul gasolio usato come carburante.
Con provvedimento del 9 agosto 2012 , l'Agenzia delle Dogane ha rideterminato l'accisa sui carburanti per il periodo dall’11 agosto 2012 e fino al 31 dicembre 2012. Con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 487) le aliquote fissate con il predetto provvedimento sono state stabilizzate. Pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2013 le aliquote di accisa sono confermate nelle seguenti misure:
- benzina e benzina con piombo: euro 728,40 per mille litri;
- gasolio usato come carburante: euro 617,40 per mille litri.
Sotto diversi profili, si ricorda altresì che:
L'accisa sull'energia elettrica è stata rideterminata in aumento con i DD.MM. del 30 dicembre 2011, in attuazione delle disposizioni in materia di federalismo municipale e regionale (decreti legislativi n. 23 del 2011 e n. 68 del 2011), che dall'anno 2012 hanno soppresso, rispettivamente, l'addizionale comunale e l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, prevedendo che la rideterminazione del quantum di accisa avvenisse con l'invarianza del gettito.
L’articolo 3-bis del decreto-legge n. 16 del 2012 (cd. "semplificazioni tributarie") ha previsto l’applicazione di una aliquota per uso combustione ridotta nei casi di produzione combinata di energia elettrica e calore; ha previsto altresì che per l’anno 2012, per l'individuazione dei quantitativi di combustibile soggetti alle aliquote sulla produzione di energia elettrica, continuano ad applicarsi i coefficienti già individuati dall’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (con deliberazione n. 16/98), ridotti del 12%.
Tale agevolazione è stata prorogata al 30 giugno 2013 dalla legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 388, tabella 1, n. 26).
Lo stesso articolo 3-bis del decreto-legge n. 16 del 2012 ha al contempo, rimodulato l’aliquota di accisa sull’energia elettrica per uso in locali diversi dalle abitazioni, con una differenziazione per fasce e a seconda dell’ammontare del consumo mensile, eliminando l'esenzione dall'accisa sull'energia elettrica utilizzata in opifici industriali.
Numerose norme in materia di accisa sono state altresì introdotte dal D.L. n. 16 del 2012, con riferimento a diversi aspetti dell’imposizione: il provvedimento reca norme di semplificazione della contabilità tenuta dagli operatori di settore, introduce disposizioni che rafforzano la deterrenza delle norme poste a presidio della correttezza e della completezza delle dichiarazioni in materia di accise, incide sulle modalità di corresponsione dell’imposta (tra l'altro estendendo agli esercenti officine costituite da impianti azionati da fonti rinnovabili, con potenza disponibile non superiore a 100 kW, la possibilità di corrispondere l'accisa mediante canone di abbonamento annuale).
L’articolo 34-sexies del D.L. 179 del 2012 riconosce anche ai crediti vantati dai titolari di licenza per l'esercizio di depositi commerciali di prodotti energetici ad accisa assolta il privilegio generale sui beni mobili dei cessionari dei prodotti, loro debitori, con lo stesso grado del privilegio previsto dall'articolo 2752 del codice civile, cui tuttavia è posposto, per l'ammontare dell'accisa corrisposta, a condizione che essa venga evidenziata separatamente in fattura.
L'articolo 34, comma 43, dello stesso D.L. n. 179 del 2012 limita invece l’obbligo di emissione della bolla di accompagnamento per i prodotti sottoposti ad accisa alla sola fase di prima immissione in commercio del prodotto stesso.
L'esigenza di semplificazione dei rapporti tra fisco e contribuente è stata perseguita lungo l'arco della presente legislatura, in quanto ritenuta suscettibile di liberare un'ingente quantità di risorse. Tale intento si è manifestato, in particolare, nelle modifiche operate alla normativa che concerne gli adempimenti: numerose misure di snellimento sinora adottate sono state rivolte al settore produttivo e ai contribuenti che - in ragione della tipologia di attività svolta o delle grandi dimensioni d'impresa - investono una consistente parte delle proprie risorse nello svolgimento degli adempimenti tributari. Accanto all'opera di semplificazione attuata dal legislatore, si segnala che recentemente anche l'Amministrazione fiscale ha portato avanti specifiche iniziative per censire gli adempimenti suscettibili di semplificazione e, ove possibile, per eliminare per via amministrativa gli obblighi e gli adempimenti considerati eccessivamente onerosi per i contribuenti.
In primo luogo, specifici interventi hanno eliminato alcuni obblighi in precedenza posti a carico dei contribuenti, tra cui l’obbligo di indicare il codice fiscale nelle girate degli assegni bancari (articolo 32, comma 1 del D.L. n. 112 del 2008) e quello, posto a carico delle imprese della grande distribuzione e del commercio al minuto, di inviare per via telematica i corrispettivi giornalieri, con la conseguente immissione in commercio esclusivamente di misuratori fiscali idonei alla trasmissione telematica (articolo 16, comma 2 del D.L. 185 del 2008).
Altre modifiche hanno interessato la disciplina, contenuta nel codice civile, relativa al libro soci e alla registrazione del passaggio di quote nelle società a responsabilità limitata. In particolare, con l’articolo 16 del D.L. 185/2008 è stato soppresso l’obbligo di tenuta del libro soci per le s.r.l.. Pertanto, ai fini della iscrizione nel Registro delle imprese degli atti di trasferimento di quote societarie si applica la disciplina – precedentemente introdotta in via opzionale - che consente l’iscrizione in via telematica, con sottoscrizione in firma digitale da parte di dottori commercialisti ed esperti contabili. Ulteriori semplificazioni in materia di adempimenti civilistici riguardano la vidimazione, la numerazione e la bollatura dei registri contabili.
Il legislatore tributario è intervenuto anche per ridimensionare la portata di obblighi inizialmente introdotti nei primi anni di legislatura. Si può ricordare, in questa sede, l’insieme di attività previste dal decreto-legge n. 40/2010 (cd. “decreto incentivi”) col fine di potenziare l'attività di contrasto all'evasione fiscale in materia di imposta sul valore aggiunto: in particolare, l'articolo 1 di detto provvedimento ha previsto l'obbligo, a carico dei contribuenti che effettuano scambi commerciali con soggetti siti nei cd. “paradisi fiscali”, di inviare una comunicazione telematica relativa alle operazioni effettuate (al fine di combattere il fenomeno delle "operazioni carosello"). Successivamente il D.L. 16 del 2012, con lo scopo di alleggerire tale adempimento delle imprese, l’ha limitato ai soli casi in cui le operazioni intercorse siano di importo superiore a 500 euro.
L'articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 ha introdotto il cd. “spesometro”, inizialmente strutturato come obbligo di comunicare per via telematica all’Agenzia delle entrate tutte le operazioni rilevanti ai fini IVA svolte dagli operatori, purché aventi importo pari o superiore a 3.000 euro. L’eccessiva onerosità di tale adempimento ha poi indotto il legislatore a limitarne la portata (articolo 2 del D.L. 16 del 2012): dal 1° gennaio 2012, con riguardo alle sole operazioni rilevanti a fini IVA soggette all’obbligo di fatturazione, si deve comunicare telematicamente l’importo complessivo delle operazioni attive e passive effettuate nei confronti di ciascun cliente o fornitore. Per le operazioni per cui non è previsto l’obbligo di emissione della fattura, la comunicazione deve essere effettuata solo per le operazioni di importo non inferiore a 3.600 euro, IVA inclusa.
Il primo "decreto sviluppo" (D.L. n. 70 del 2011) ha introdotto numerose misure volte a semplificare gli adempimenti dei contribuenti. Si ricordano tra l'altro:
Un secondo intervento legislativo organico di snellimento è stato operato con il decreto-legge n. 16 del 2012.
Tra le principali misure introdotte col suddetto provvedimento si ricordano:
L’Agenzia delle Entrate ha avviato dal 2010 l’operazione sperimentale “Fisco in chiaro”, potenziata dal settore Comunicazione dell’Agenzia con la collaborazione degli uffici tecnici. Essa mira ad accorciare le distanze con i contribuenti, con comunicazioni libere da tecnicismi, snelle e più intuitive.
Nel mese di ottobre 2012, nel solco della predetta iniziativa, l’Agenzia ha comunicato di aver riscritto 65 documenti: tra di essi spiccano la domanda di rimborso Irpef, quella per ottenere una copia della dichiarazione dei redditi e la richiesta di annullamento degli atti non fondati. Inoltre sono state semplificate anche le comunicazioni per la nuova mediazione tributaria, gli avvisi di accertamento, la lettera per la comunicazione dell’Iban per gli enti beneficiari del 5 per mille e per il modello utilizzato per chiedere la registrazione dei contratti di locazione.
Tale iniziativa parte dal presupposto che un linguaggio più semplice agevoli gli adempimenti da parte dei contribuenti e si colloca nell’attività di riduzione degli adempimenti condotta dall’Amministrazione fiscale.
Nel mese di gennaio 2013 l’Agenzia ha siglato diverse intese con le Associazioni rappresentative dei tributaristi; esse aprono la strada all’utilizzo massimo dei servizi telematici dell’Amministrazione finanziaria; nello stesso filone si muove l’accordo sottoscritto dalle Entrate con la Confederazione delle Libere Associazioni Artigiane Italiane. In particolare, si prevede che l’Agenzia fornisca, entro un massimo di 10 giorni lavorativi, risposta alle richieste inviate all’indirizzo di posta elettronica certificata e a quelle di riesame in autotutela pervenute elettronicamente tramite gli appositi sistemi informatici, in modo da ridurre l’afflusso degli intermediari presso gli uffici e razionalizzare i costi degli adempimenti fiscali.
Nella XVI legislatura, il legislatore, oltre a introdurre numerose disposizioni che hanno interessato l'attività delle singole Agenzie, in particolar modo per quanto riguarda la lotta all'evasione fiscale, ha provveduto ad una nuova definizione dell'articolazione delle stesse.
Il decreto legislativo n. 300 del 1999, recante “Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge n. 59 del 1997”, all’articolo 57, ha istituito l'Agenzia delle entrate, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia del territorio e l'Agenzia del demanio - denominate agenzie fiscali – alle quali é stata assegnata la gestione delle funzioni precedentemente esercitate dai Dipartimenti delle entrate, delle dogane, del territorio e di quelle connesse svolte da altri uffici dell’allora Ministero delle finanze. I rapporti tra Ministero e la singola agenzia sono definiti da apposita convenzione sulla base di un atto di indirizzo triennale. Gli articoli da 61 a 72 recano specifiche disposizioni sulle singole agenzie nonché sulla loro struttura e funzionamento.
In un primo momento, in attuazione di quanto previsto (con decorrenza dal 1° ottobre 2008) dall’articolo 40, commi da 2 a 6, del D.L. n. 159 del 2007, il governo Berlusconi nell’ottobre 2011 ha presentato alle Camere, per il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno schema di decreto ministeriale (atto n. 411) istitutivo dell’Agenzia fiscale dei monopoli di Stato. Lo schema di decreto, su cui le Commissioni VI della Camera e 6a del Senato si sono espresse favorevolmente (con condizioni e osservazioni), rispettivamente in data 10 novembre 2011 e 14 febbraio 2012, non è stato tuttavia emanato. Nel provvedimento non veniva indicata la data di tale trasferimento (e della soppressione dell'AAMS), da individuarsi in relazione alla conclusione dei passaggi procedurali previsti.
Tuttavia già con il D.L. n. 138 del 2011, all’articolo 01, il legislatore aveva previsto la predisposizione, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di un programma per la riorganizzazione della spesa pubblica che prevedesse, in particolare, le linee-guida per l'integrazione operativa delle agenzie fiscali, la razionalizzazione di tutte le strutture periferiche dell'amministrazione dello Stato e la loro tendenziale concentrazione in un ufficio unitario a livello provinciale.
Nell’estate 2012 il governo Monti con l’articolo 3, del D.L. 27 giugno 2012, n. 87, poi confluito nel D.L. n. 95 quale articolo 23-quater, ha disposto l’incorporazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nell’Agenzia delle dogane (che assume la denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli) e dell’Agenzia del territorio nell’Agenzia delle entrate, nonché la decadenza dei relativi organi, a decorrere dal 1° dicembre 2012. Le funzioni svolte dagli enti incorporati, nonché le relative risorse umane, finanziarie e strumentali, sono trasferite, rispettivamente, all’Agenzia delle dogane e alla Agenzia delle entrate; con decreto ministeriale 8 novembre 2012 è stato effettuato il trasferimento delle risorse.
Nel corso dell’audizione al Senato il 17 luglio scorso, il Governo ha fatto presente di aver esclusol'Agenzia del demaniodal processo di riorganizzazione, sia perché, a dispetto del nome, tale ente non è ancora configurato dalla legge come una vera e propria agenzia fiscale, sia perché esso presenta alcune peculiarità tecniche e amministrative che ne sconsigliano l'incorporazione in altre strutture.
Le incorporazioni dell’A.A.M.S e dell’Agenzia del territorio, rispettivamente, nell’Agenzia delle dogane e nell’Agenzia delle entrate sono state oggetto di un vivace dibattito parlamentare. Poiché l’esame parlamentare del D.L. n. 87 del 2012 é iniziato al Senato, la VI Commissione finanze della Camera dei deputati ha approvato, nella seduta del 4 luglio 2012, una risoluzione (8-00185 Ventucci ed altri) con cui impegnava il Governo ad adottare le misure, di natura normativa o regolamentare, finalizzate ad operare una complessiva riforma dell'organizzazione dell'Amministrazione finanziaria, anche attraverso una revisione del numero delle Agenzie ed una redistribuzione delle relative competenze, da realizzare nell'ambito della delega fiscale (A.C. 5291). In particolare, la risoluzione impegnava il Governo a coordinare ogni iniziativa relativa al riassetto dell'Agenzia del territorio con il contenuto della delega, che attribuiva alla predetta Agenzia ulteriori funzioni nel quadro della revisione del catasto dei fabbricati, tenendo inoltre conto dell'esigenza di mantenere distinte le funzioni di attribuzione del valore e della rendita catastale dei fabbricati da quelle di accertamento e liquidazione dei tributi immobiliari basati su tali valori; ridurre le articolazioni territoriali a livello sub-provinciale e conseguentemente ridefinire il livello degli incarichi dirigenziali sulla base delle effettive competenze a livello territoriale; rafforzare ed ampliare le sinergie tra le diverse branche dell'Amministrazione finanziaria, il Corpo della Guardia di finanza, le altre amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli enti locali, segnatamente attraverso il rafforzamento dei meccanismi di collaborazione per quanto riguarda i controlli sul territorio; verificare lo stato del processo di trasformazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in Agenzia fiscale dei monopoli di Stato, prevista dall'articolo 40, comma 2, del decreto-legge n. 159 del 2007.
Nel corso dell’esame del disegno di legge (A.C. 5291) di delega fiscale la VI Commissione finanze della Camera, nella seduta del 5 ottobre 2012, ha approvato un articolo aggiuntivo (emendamento 9.0100 del relatore) recante delega al Governo per la “razionalizzazione organizzativa dell'Amministrazione finanziaria”, che disponeva la sospensione di quanto previsto dall’articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012 fino alla scadenza del termine per l'esercizio della delega e la soppressione, a decorrere dall'entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi previsti dalla delega stessa, delle disposizioni previste dal citato articolo 23-quater del 95.
Nella seduta del 9 ottobre 2012, la V Commissione bilancio, nel formulare il parere sugli emendamenti approvati in sede referente dalla Commissione finanze, ha posto una condizione, formulata ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, con la quale si chiedeva di sopprimere tali disposizioni (divenute i commi 12 e 13 dell'articolo 3 del testo coordinato) per motivi di copertura.
Trasmesso al Senato il disegno di legge di delega fiscale (A.S. 3519), anche la Commissione Finanze del Senato ha esaminato le questioni in merito all’accorpamento delle agenzie fiscali, introducendo all’articolo 2 alcuni commi che, sostanzialmente, differivano al 30 giugno 2013 l’efficacia dei decreti di trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie degli enti incorporati. L’Assemblea di Palazzo Madama ha iniziato l’esame del testo approvato dalla Commissione finanze (A.S. 3519-A) nella seduta del 21 novembre 2012 e concluso la discussione sulle linee generali (27 novembre 2012). In tale data la Conferenza dei capigruppo ha deliberato il rinvio in Commissione del testo, il cui esame non ha avuto ulteriore seguito.
L’articolo 23-quater del D.L. n. 95, al comma 1 prevede, a decorrere dal 1° dicembre 2012:
A decorrere dalla stessa data decadono inoltre gli organi degli enti incorporati.
L’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) è stata istituita con il regio decreto-legge 2258 del 1927, con il compito di svolgere servizi di monopolio di produzione, importazione e vendita dei sali e tabacchi e produzione e vendita del chinino di Stato. A partire dagli anni â€90 l’AAMS ha progressivamente abbandonato il regime di monopolio sulla produzione e commercializzazione dei sali e dei tabacchi per dedicarsi al settore dei giochi, fino ad acquisire le funzioni statali in materia (art. 12, legge n. 383/2011, art. 4, D.L. n. 138/2002 e art. 8, D.L. n. 282/2002).
Nel comparto dei giochi l’AAMS provvede alla verifica della regolarità del comportamento degli operatori e al contrasto dei fenomeni di gioco illegale.
Per quanto riguarda i tabacchi l’AAMS gestisce le procedure connesse alla riscossione delle accise, nonché la tariffa di vendita al pubblico e l’articolazione delle rivendite dei prodotti da fumo.
L’organizzazione dell’AAMS è regolamentata dal D.P.R. n. 385 del 2003. La Direzione generale, con sede a Roma, è articolata in 4 direzioni: strategie; giochi; accise; organizzazione e gestione delle risorse. L’AAMS è presente sul territorio con 14 uffici regionali, articolati in sezioni distaccate.
L’Agenzia delle dogane, nell’ambito delle proprie prerogative istituzionali, esercita, a garanzia della piena osservanza della normativa comunitaria, attività di controllo, accertamento e verifica relative alla circolazione delle merci e alla fiscalità interna connessa agli scambi internazionali, garantendo la riscossione di circa 15 miliardi di euro (IVA e dazi).
Contrasta gli illeciti di natura extratributaria, quali i traffici illegali di droga, armi, beni del patrimonio culturale, prodotti contraffatti o non rispondenti alle normative in materia sanitaria o di sicurezza, nonché commercio internazionale di esemplari di specie animali e vegetali minacciate di estinzione, protette dalla Convenzione di Washington.
L’Agenzia si articola in direzioni centrali, regionali, interregionali e provinciali con funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo, nonché nelle seguenti strutture presenti in ambito territoriale con funzioni operative: 80 uffici delle dogane, 175 sezioni operative territoriali e 15 laboratori chimici.
L'Agenzia del territorio, operativa dal 1° gennaio 2001, è un ente pubblico dotato di personalità giuridica e autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. E' costituita da Direzioni centrali che hanno sede a Roma, da 3 direzioni centrali, 15 direzioni regionali e da 103 uffici provinciali.
L'articolo 64 del D.Lgs. n. 300 del 1999 attribuisce all'Agenzia del territorio la competenza a svolgere i servizi relativi al catasto, i servizi topocartografici e quelli relativi alle conservatorie dei registri immobiliari, con il compito di costituire l'anagrafe dei beni immobiliari esistenti sul territorio nazionale sviluppando l'integrazione fra i sistemi informativi attinenti alla funzione fiscale ed alle trascrizioni in materia di diritti sugli immobili. L'Agenzia è chiamata ad operare in collaborazione con gli enti locali per favorire lo sviluppo di un sistema integrato di conoscenze sul territorio.
L’attività delle Conservatorie dei registri immobiliari (ex libro VI del codice civile) è sottoposta alla vigilanza del Ministero della giustizia.
L'organizzazione dell'Agenzia delle entrate, definita con atti interni, prevede una struttura formata da 1 Ufficio di staff del Direttore dell'Agenzia, 7 Direzioni Centrali, 19 Direzioni regionali e le Direzioni provinciali di Bolzano e Trento, articolate in direzioni provinciali, a loro volta articolati in uffici territoriali.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 74, ha previsto, a decorrere dall'esercizio 2007, la rideterminazione delle dotazioni da assegnare alle Agenzie fiscali – con esclusione dell’Agenzia del demanio - applicando alla media delle somme incassate nell'ultimo triennio consuntivato una specifica percentuale e prevedendo comunque che la dotazione non sia superiore a quella dell'anno precedente incrementata del 5 per cento.
Per l'Agenzia delle dogane la percentuale di riferimento è stata fissata allo 0,1668 per cento, mentre per l’Agenzia delle entrate è dello 0,7201 per cento.
Nella legge di bilancio per il 2013 le somme occorrenti agli oneri di gestione dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli ammontano a 967,7 milioni, mentre quelle destinate all’Agenzia delle entrate (che ha incorporato l’Agenzia del demanio) risultano pari a 3.094,8 milioni.
Nel bilancio assestato per il 2012 tali risorse erano pari a 2.625 milioni per l’Agenzia delle entrate, a 609 milioni per l’Agenzia del territorio, a 671,7 milioni per l’Agenzia delle dogane e a 89,2 milioni per l’Agenzia del demanio (ente pubblico economico).
Si ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 9 del R.D.L. n. 2258 del 1927, il bilancio di previsione delle entrate e delle spese dell'AAMS è presentato all'approvazione del Parlamento in allegato allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze. Analogamente il conto consuntivo è allegato in appendice al rendiconto generale dello Stato. Inoltre nell’articolato della legge di approvazione del rendiconto sono presenti specifiche disposizioni sull’AAMS relativamente alle entrate, alle spese, al riassunto generale e alla situazione finanziaria. Nel bilancio per il 2012 (legge n. 184/2011) erano previste entrate e spese pari a 17,6 miliardi di euro, di cui 16,2 miliardi relativi alle gestioni speciali (cioè ai giochi) e circa 1,4 milioni per le spese di funzionamento e gestione.
Con D.P.C.M. 30 giugno 2011 è stata disposta la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale dell'AAMS appartenente alla qualifica dirigenziale di seconda fascia (100 unità), nonché di quello delle aree prima (170 unità), seconda (1.748 unità) e terza (868), per un totale di 2.786 unità di qualifica non dirigenziale. Ad esse vanno aggiunte le qualifiche dirigenziali di prima fascia (5 unità).
Rispetto alla precedente rideterminazione delle dotazioni (1.342 unità), prevista dal D.P.C.M. 8 febbraio 2006, il raddoppio del personale è dovuto agli effetti dell’articolo 41, comma 16-quaterdecies, del D.L. n. 207 del 2008, che, al fine di potenziare l’efficienza e l’efficacia dell’azione a tutela del gioco legale e responsabile ha autorizzato l’AAMS ad avvalersi, oltre che di 2 unità dirigenziali generali e 2 unità dirigenziali non generali extraorganico, del personale dei ruoli del Ministero dell’economia e delle finanze già in servizio nei soppressi Dipartimenti provinciali del tesoro, nelle Ragionerie provinciali dello Stato e nelle Direzioni provinciali dei servizi vari. Tale processo di trasferimento del personale è continuato con l’articolo 2, comma 1-ter, del D.L. n. 40 del 2010.
La dotazione organica teorica del personale dell’Agenzia delle dogane è pari a 11.040 unità.
Il personale attualmente in servizio presso l’Agenzia del territorio ammonta a quasi 9.000 unità, di cui circa 7.200 con funzioni tecniche di line, cioè preposte alla gestione della struttura territoriale.
I dipendenti dell’Agenzia delle entrate ammontano a circa 33.000 unità.
Per quanto riguarda il personale delle Agenzie fiscali si ricorda che il articolo 23-quinquies, comma 1, lett. a), n. 2, del medesimo D.L. n. 95 del 2012 dispone una riduzione non inferiore al 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico (come risultante all’esito delle operazioni di incorporazione) e, per quanto concerne gli uffici dirigenziali di livello generale e di livello non generale, ad un ridimensionamento delle relative dotazioni organiche sulla base dei criteri seguenti:
Per non compromettere la funzionalità delle Agenzie fiscali successivamente alla riduzione dell'organico e all'accorpamento delle funzioni, si dispone che i risparmi ottenuti dalle Agenzie stesse mediante la riduzione degli uffici dirigenziali possano essere utilizzati entro il limite massimo dell'80% per assegnare posizioni organizzative di livello non dirigenziale a personale dotato di esperienza e capacità professionale maturata in almeno cinque anni di permanenza nella terza area. Il conferimento di tali incarichi a questo personale dovrà avvenire in modo selettivo, e senza che venga creata un'apposita area di vicedirigenza.
Entro il 30 ottobre 2012 il Ministro dell'economia e delle finanze trasmette una relazione al Parlamento.
In ottemperanza di tale disposizione in data 8 novembre 2012 è stata trasmessa una corposa relazione composta di 12 pagine di testo e di 6 allegati contenenti gli statuti, i regolamenti di amministrazione e di contabilità delle singole Agenzie.
La nuova Agenzia delle dogane e dei monopoli e l’Agenzia delle entrate continuano ad esercitare le funzioni degli enti incorporati con le relative risorse, compresi i rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, senza esperire alcuna procedura di liquidazione, neppure giudiziale.
Il trasferimento delle risorse umane strumentali e finanziarie degli enti incorporati è stato disposto con decreto ministeriale 8 novembre 2012 (G.U. n. 277 del 27 novembre 2012).
Entro il 31 dicembre 2012 devono essere deliberati, da parte degli organi in carica alla data di cessazione dell’ente - i bilanci di chiusura degli enti incorporati con la relativa relazione redatta dall’organo interno di controllo (comma 4).
Ai componenti degli organi degli enti incorporati (che ai sensi del comma 1 decadono dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge) vanno corrisposti i compensi, indennità o emolumenti loro spettanti fino alla data di deliberazione dei bilanci di chiusura e, comunque, non oltre novanta giorni dalla data di incorporazione.
Per quanto concerne invece i comitati di gestione delle Agenzie incorporanti, devono essere rinnovati entro il 15 dicembre 2012.
Le dotazioni organiche delle Agenzie incorporanti sono incrementate in numero pari alle unità di personale di ruolo trasferite, in servizio presso gli enti incorporati, che vengono inquadrate nei ruoli delle Agenzie incorporanti.
Riguardo ai restanti rapporti di lavoro, le Agenzie incorporanti subentrano nella loro titolarità fino alla naturale scadenza .
I dipendenti trasferiti:
Le Agenzie incorporanti esercitano i compiti e le funzioni degli enti incorporati con le articolazioni amministrative individuate mediante le ordinarie misure di definizione dell'assetto organizzativo. Inoltre:
In terzo luogo, al fine di consentire la continuità dell'attività amministrativa viene stabilito che sino al perfezionamento dei processi di riorganizzazione, l’attività facente capo agli enti interessati continua ad essere esercitata dalle articolazioni competenti, con i relativi titolari, presso le sedi e gli uffici già utilizzati; in tutti i casi in cui norme, atti o contratti facciano riferimento all’Agenzia del territorio ed all’AAMS, queste si intendono riferite, rispettivamente, all’Agenzia delle entrate ed all’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Infine, per l’Agenzia delle dogane e dei monopoli è prevista la stipula di apposite convenzioni, non onerose, con la Guardia di finanza e con l’Agenzia delle entrate per lo svolgimento sul territorio dei compiti già svolti dall’AAMS.
A decorrere dall’anno contabile 2013, le risorse finanziarie disponibili, a qualsiasi titolo, sui bilanci degli enti incorporati (AAMS e Territorio) siano rassegante alle Agenzie incorporanti (Dogane e Entrate). Al fine di garantire la continuità nella prosecuzione dei rapporti già avviati, la gestione contabile delle risorse finanziarie per l’anno in corso (2012), già di competenza dell’AAMS, proseguono in capo alle equivalenti strutture degli Uffici incorporanti.
Ulteriori disposizioni di coordinamento contabile resesi necessarie a seguito dell’incorporazione delle Agenzie fiscali sono contenute ai commi 476 e 477 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012).
In particolare il comma 476, istituisce a decorrere dal 1º gennaio 2013, presso la tesoreria statale una o più contabilità speciali intestate all'Agenzia delle dogane e dei monopoli, per la gestione dei giochi.
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono individuate le entrate che affluiscono sulle predette contabilità speciali, la destinazione delle risorse, nonché le modalità di funzionamento.
Il successivo comma 477 dispone che, ferma la data del 1º dicembre 2012 ai fini delle incorporazioni previste dall'articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012 (A.A.M.S nell’Agenzia delle dogane; Agenzia del territorio nell’Agenzia delle entrate), il bilancio di chiusura dell'Agenzia del territorio, corredato della relazione redatta dall'organo interno di controllo, è deliberato entro 90 giorni dalla predetta data (1° marzo 2013) dagli organi della soppressa Agenzia in carica anteriormente alla medesima data, nonché trasmesso per l'approvazione al Ministero dell'economia e delle finanze.
Ai fini contabili il termine per la chiusura del bilancio di esercizio dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato è stabilito al 31 dicembre 2012 e, relativamente a tale bilancio per l’esercizio 2012, resta in vigore quanto previsto dagli articoli 35 (Risultanze della gestione), 37 (Parificazione del rendiconto) e 38 (Presentazione del rendiconto) della legge n. 196 del 2009. Per la stessa amministrazione autonoma, fino a tale data restano vigenti le norme in materia di controllo della Corte dei conti e quelle di regolarità amministrativa e contabile di cui al decreto legislativo n. 123 del 30 giugno 2011, in materia di controlli di regolarità amministrativa e contabile.
Con la circolare 28 dicembre 2012, n. 39 la Ragioneria generale dello Stato ha emanato le istruzioni in ordine alla chiusura della contabilità relativa all’ex Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato.
Le disposizioni in materia di contenzioso tributario hanno perseguito, in primo luogo, il fine di agevolare la risoluzione stragiudiziale delle controversie e l'alleggerimento dell'attività degli organi del contenzioso.
Gli interventi volti all’accelerazione ed allo smaltimento delle liti pendenti (articolo 55 del D.L. 112/2008; articolo 3 del D.L. 40/2010 articolo 39, comma 12 del D.L. 98 del 2011) hanno consentito di introdurre forme di definizione agevolata delle controversie di valore non superiore a 20.000 euro.
Analoga funzione di alleggerimento del contenzioso è svolta dalle disposizioni della legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 527 della legge n. 228 del 2012) che introducono una sanatoria per i debiti fiscali di modesta entità (fino a 2000 euro) purché iscritti in ruoli resi esecutivi fino al 31 dicembre 1999.
Inoltre, (articolo 1, comma 544del medesimo provvedimento) in tutti i casi di riscossione coattiva di debiti fino a 1000 euro, intrapresa successivamente al 1° gennaio 2013 e salvo il caso in cui l'ente creditore abbia notificato al debitore la comunicazione di inidoneità della documentazione da lui inviata, non si può procedere alle azioni cautelari ed esecutive prima del decorso di centoventi giorni dall'invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle iscrizioni a ruolo.
Nel solco degli interventi volti ad avvicinare la disciplina del processo tributario a quella civile, si ricorda anzitutto l'estensione del contributo unificato anche al processo tributario (articolo 37 del citato D.L. n. 98 del 2011) e l'introduzione dell'istituto del "reclamo" (articolo 39 del medesimo D.L. 98/2011), procedura da esperire obbligatoriamente prima della presentazione del ricorso, al fine di fornire uno strumento di risoluzione stragiudiziale delle controversie col fisco aventi un valore inferiore o pari a ventimila euro.
Sotto un diverso profilo, il legislatore si è prefisso di razionalizzare l'attività e il personale degli organi giurisdizionali. Si segnala, in merito, quanto disposto dal già citato articolo 39 del D.L. 98 del 2011 (come modificato dal D.L. 138 del 2011) che ha inteso rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari e incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili ovvero tra gli Avvocati dello Stato, in servizio o a riposo, modificando inoltre le disposizioni relative al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Inoltre (articolo 37, comma 6 del citato D.L. 98/11) l'obbligo di versamento del contributo unificato previsto dal TU spese di giustizia è stato esteso anche al processo tributario, nell'ammontare e con le regole previste dal medesimo TU.
Per effetto delle modifiche apportate al D.L. n. 16 del 2012 in sede di conversione in legge, è stata prevista l’istituzione del ruolo unico nazionale dei componenti delle Commissioni tributarie presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, nel quale sono inseriti i componenti delle commissioni tributarie provinciali e regionali, nonché i componenti della commissione tributaria centrale.
Infine, la citata legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 537-545 della legge n. 228 del 2012) ha introdotto un complesso di disposizioni volte a semplificare i flussi informativi tra fisco e contribuente ove, in particolare, la pretesa tributaria sottesa alle procedure di riscossione non possa essere soddisfatta (in via temporanea o definitiva). Per effetto di tali disposizioni gli enti e le società incaricate della riscossione dei tributi dal 1° gennaio 2013 hanno l’obbligo di sospendere immediatamente ogni iniziativa finalizzata alla riscossione delle somme iscritte a ruolo o affidate, ove intervenga una dichiarazione del debitore, limitatamente alle partite relative agli atti espressamente indicati da quest’ultimo, nella quale con la quale venga documentato che gli atti emessi dall'ente creditore prima della formazione del ruolo, ovvero la successiva cartella di pagamento o l'avviso per i quali si procede, sono stati interessati:
L’abuso del diritto in materia tributaria è un istituto di origine giurisprudenziale ed è generalmente individuato in quelle operazioni prive di spessore economico che l’impresa mette in atto con l’obiettivo principale di ottenere risparmi di imposta attraverso l’utilizzo distorto di schemi giuridici. Ognuno di questi schemi singolarmente appare perfettamente legittimo, mentre l’illegittimità deriva dal fatto che essi nel complesso sono messi in atto unicamente per ottenere vantaggi fiscali. Il divieto dell’abuso del diritto rientra tra gli istituti cosiddetti antielusivi.
Nell’ordinamento giuridico italiano non è presente una clausola antielusiva generale. Attualmente la norma antielusiva di riferimento è costituita dall’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (inserito dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 358 del 1997), anche se contempla un numero chiuso di operazioni.
Sul tema è molto rilevante il contributo della giurisprudenza sia della Corte di Cassazione, sia della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Con la sentenza Halifax (2006) la Corte di Giustizia, limitatamente all’Iva e ai tributi armonizzati, ha elaborato una nozione di abuso autonoma dalle ipotesi di frode, richiedendo che le operazioni, pur realmente volute ed immuni da rilievi di validità, debbano avere essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. La Corte di Cassazione italiana considera inopponibili all'erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di abuso del diritto in materia tributaria. Peraltro la stessa giurisprudenza riconosce che l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa.
Nel corso della XVI legislatura sono state presentate diverse proposte di legge volte a codificare e disciplinare nell’ordinamento tributario la fattispecie dell’abuso del diritto, ma nessuna di esse si è tramutata in legge. In particolare la c.d. “delega fiscale” (disegno di legge di delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita - A.C. 5291) introduceva il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, del quale veniva fornita una prima definizione comprendente la fattispecie dell’elusione ed applicabile a tutti i tributi. Restava salvaguardata la legittimità della scelta tra regimi alternativi espressamente previsti dal sistema tributario. Tale disegno di legge di “delega fiscale”, a causa della fine anticipata della legislatura, non ha concluso il suo iter parlamentare.
La codificazione dell’abuso del diritto è da più parti ritenuta la strada maestra per dare alle imprese un quadro di certezza e stabilità normativa e amministrativa. La definizione di un quadro normativo chiaro ha effetti positivi anche per l’amministrazione finanziaria che può svolgere con maggiore rapidità ed efficacia la sua funzione di contrasto dell’elusione, indirizzando la propria attenzione sui casi meno dubbi e riducendo così le possibilità di contenzioso e l’incertezza sulle sanzioni.
Nell’ordinamento giuridico italiano non è presente una clausola antielusiva generale. La prima manifestazione normativa di contrasto alle pratiche abusive è quella dell’articolo 10 della legge n. 408 del 1990 che consente all’amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in operazioni di concentrazione, trasformazione, scorporo, cessione di azienda, riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti e cessione o valutazione di valori mobiliari poste in essere senza valide ragioni economiche allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta.
Successivamente per le stesse fattispecie è intervenuto l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (inserito dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 358 del 1997) che costituisce attualmente la norma antielusiva di riferimento, nell’ambito della disciplina dell’accertamento delle imposte sui redditi, anche se applicabile ad un numero chiuso di operazioni.
La norma dispone l’inopponibilità all'amministrazione finanziaria degli atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, se:
Le norme antielusive si applicano in un numero circoscritto di casi. Si tratta principalmente di operazioni straordinarie delle società. L'amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante i suddetti atti, fatti e negozi, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione.
L’amministrazione, a pena di nullità, prima di emanare l’avviso di accertamento deve chiedere al contribuente dei chiarimenti, da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta. In tale richiesta devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili le disposizioni antielusive.
L’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente. L’amministrazione applica le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all'amministrazione. Le imposte o le maggiori imposte così accertate sono iscritte a ruolo, unitamente ai relativi interessi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.
I soggetti diversi dai destinatari delle norme antielusione che hanno partecipato alle operazioni abusive e che hanno pagato imposte a seguito dei comportamenti disconosciuti dall'amministrazione finanziaria possono richiedere il rimborso delle imposte pagate proponendo, a tal fine, istanza di rimborso all'amministrazione entro un anno dal giorno in cui l'accertamento è divenuto definitivo o è stato definito mediante adesione o conciliazione giudiziale. L’amministrazione provvede nei limiti dell'imposta e degli interessi effettivamente riscossi a seguito di tali procedure.
Infine, la norma dispone la disapplicazione delle norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, ove il contribuente dimostri che, nella particolare fattispecie, tali effetti elusivi non potevano verificarsi. A tal fine il contribuente deve presentare istanza al direttore regionale delle entrate competente per territorio, descrivendo compiutamente l'operazione e indicando le disposizioni normative di cui chiede la disapplicazione.
La necessità di codificare a livello legislativo l’istituto dell’abuso del diritto nasce a seguito della formazione, in seno alla Corte di Cassazione, di un indirizzo giurisprudenziale secondo il quale sono inopponibili all'erario tutte le operazioni che configurano fattispecie di abuso del diritto in materia tributaria.
In un primo momento (anni 2000-2002), la Corte di Cassazione, posta innanzi alla questione dell’elusione fiscale e, in particolare, dei limiti entro cui essa può dar luogo ad atti che vengano dichiarati privi di efficacia nei confronti della Amministrazione, ha qualificato come elusivi, quindi irrilevanti nei confronti del fisco, solo quei comportamenti che tali sono definiti da una legge vigente al momento in cui essi sono venuti in essere (cfr. Cass. 3 aprile 2000, n. 3979; 3 settembre 2001, n. 11351; 7 marzo 2002, n. 3345).
Tale orientamento è stato messo successivamente in discussione a seguito della sentenza Halifax della Corte di Giustizia UE (causa C-255/02, depositata il 21 febbraio 2006) nella quale, in sostanza, sono stati riqualificati a fini Iva i comportamenti del contribuente, in ragione della natura “abusiva del diritto” degli stessi. La Corte di Giustizia in quell’occasione ha precisato che, per parlarsi di comportamento abusivo le operazioni controverse devono - nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della legislazione comunitaria e della legislazione nazionale di recepimento - procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Deve altresì risultare, da un insieme di elementi obiettivi, che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. Si sottolinea, tuttavia, che la giurisprudenza comunitaria è limitata ai tributi armonizzati (IVA e dazi doganali): si veda, da ultimo, la sentenza della Corte di Giustizia del 29 marzo 2012, causa C-417/10.
Si è quindi registrata un’evoluzione interpretativa da parte della Corte di Cassazione, concretizzatosi in alcune pronunce della fine del 2005 (Cass. n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005 e n. 22932 del 14 novembre 2005). In particolare, la sentenza n. 20816/2005 ha enunciato il principio di diritto secondo cui l'Amministrazione finanziaria, quale terzo interessato alla regolare applicazione delle imposte, è legittimata a dedurre (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) la simulazione assoluta o relativa dei contratti stipulati dal contribuente, o la loro nullità per frode alla legge, ivi compresa la legge tributaria (art. 1344 c.c.); la relativa prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, anche attraverso presunzioni.
La Corte dunque, anche con riferimento ai “tributi non armonizzati” (ovvero soggetti alla piena normativa degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri) ha avanzato il principio del disconoscimento o della riqualificazione fiscale degli atti, fatti e negozi posti in essere dal contribuente, in presenza di presupposti integranti i profili dell’elusione o comunque dell’abuso di diritto.
Dalla sentenza n. 22392 del 2005 si ricavano i requisiti oggettivi che caratterizzano il comportamento abusivo ai fini fiscali: l’uso distorto, anche se formalmente lecito, degli strumenti giuridici da parte del contribuente; la presenza di un vantaggio fiscale; l’assenza di valide ragioni economiche.
Dal 2006 e fino alla fine del 2008, la Corte di Cassazione ha affermato il divieto dell’abuso del diritto facendo principalmente rinvio alla giurisprudenza comunitaria. L’esigenza di un chiarimento delle Sezioni Unite in materia tributaria sull’abuso del diritto era stato da tempo invocata, sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza, per delineare e conformare interpretazioni differenti, soprattutto per i giudici di merito, ai fini di una individuazione di presupposti oggettivi certi su cui fondare la pianificazione fiscale nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con tre sentenze (n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23 dicembre 2008), si sono pronunciate sulla questione, enunciando alcuni fondamentali principi di diritto:
Una sostanziale e incisiva rivisitazione della nozione dell’abuso del diritto in materia tributaria si è avuta infine con la sentenza n. 1372 del 21 gennaio 2011 della Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte ha affermato che l’applicazione del principio deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d’impresa. Tale esigenza è particolarmente sentita nei tempi recenti, nei quali si assiste ad un uso sempre più disinvolto dei cd. tax shelters e quindi ad una ricerca comune a tutte le esperienze giuridiche, di individuare adeguate forme di contrasto, anche all’infuori di una codificazione della clausola generale anti abuso. Pertanto il carattere abusivo deve essere escluso per la compresenza, non marginale di ragioni extrafiscali che non si identificano necessariamente in una redditività immediata ma possono essere anche di natura meramente organizzativa e consistere in miglioramento strutturale e funzionale dell’impresa. Infatti il sindacato dell’amministrazione finanziaria non può spingersi ad imporre una misura di ristrutturazione diversa tra quelle giuridicamente possibili (e cioè una fusione) solo perché tale misura avrebbe comportato un maggior carico fiscale.
Anche dal punto di vista dell’onere della prova la sentenza n. 1372/2011 contiene un’affermazione rilevante: l’applicazione del principio dell’abuso del diritto comporta per l’amministrazione finanziaria l’onere di provare le anomalie o le inadeguatezze delle operazioni intraprese dal contribuente cui compete allegare le finalità perseguite, diverse dal mero vantaggio consistente nella diminuzione del carico tributario.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7739 del 2012 ha affermato la rilevanza penale dell’elusione attuata attraverso il ricorso a qualsiasi forma di abuso del diritto. In particolare, il reato di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (infedele dichiarazione, oltre una certa soglia di imposta non dichiarata) è stato ritenuto configurabile quando la condotta del contribuente, risolvendosi in atti e negozi non opponibili all’Amministrazione finanziaria, comporti comunque una dichiarazione non veritiera.
La Corte dei conti, nel rapporto per il 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, ha affermato che la disciplina dell’abuso del diritto discendente dall’elaborazione giurisprudenziale ha corroborato l’azione di contrasto dei comportamenti elusivi svolta dall’amministrazione finanziaria, inducendo in numerosi casi i grandi contribuenti a definire bonariamente la pretesa tributaria, con evidenti benefici sul piano sanzionatorio e della certezza dei rapporti giuridici. Tutto ciò ha dato luogo a notevoli effetti positivi in termini di entrate erariali, tanto che gran parte dei risultati finanziari conseguiti dall’attività di accertamento degli ultimi anni deriva essenzialmente dall’attività antielusiva svolta nei confronti delle grandi imprese.
Si segnala, da ultimo, che la Corte di Cassazione con ordinanza n. 2234/2013 ha stabilito che, ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie, è irrilevante che il minor versamento di imposte derivi da una violazione oppure da una elusione (o abuso) di norme impositive. Con tale ordinanza la Corte ha esteso a qualunque tipo di imposta (nel caso di specie, all'imposta di registro, ipotecaria e catastale) il suddetto principio, già affermato nella sentenza n. 25537/2011 in materia di imposte dirette e Iva.
Il dibattito svolto nella Commissione Finanze della Camera ha evidenziato come sia necessario un intervento normativo, al fine di definire in maniera esplicita il concetto di “abuso del diritto” all’interno del diritto positivo, rendendo distinguibile il risparmio d’imposta legittimo dal vantaggio fiscale indebito. E’ stata inoltre sottolineata la necessità che un principio generale anti-abuso, allo stato ancora mancante, si applichi a tutte le imposte, non sia vincolato da un’elencazione tassativa di fattispecie elusive e venga realizzata una piena assimilazione, a livello normativo, tra elusione fiscale e abuso. La distinzione tra risparmio d’imposta legittimo e vantaggio fiscale indebito dovrebbe far leva sul concetto di aggiramento delle norme tributarie. La norma generale dovrebbe essere provvista di garanzie procedurali a favore del contribuente: attraverso la puntuale regolazione del principio potrebbero essere rimossi alcuni fattori di criticità emersi in sede giurisprudenziale, legati, fra l’altro, alla rilevazione d’ufficio dell’abuso e all’incertezza sulle sanzioni applicabili.
Nel corso della XVI legislatura sono state presentate alcune proposte di legge volte a codificare e disciplinare nell’ordinamento tributario la fattispecie dell’abuso del diritto (A.C. 2521 Leo, A.C. 2578 Strizzolo e A.C. 2709 Jannone). Tutte le proposte di legge proponevano di modificare il citato articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
Nel corso dell’esame del decreto legge n. 16 del 2012 (semplificazioni fiscali) sono state presentate proposte emendative volte a prevedere, in caso di elusione fiscale, l'applicazione di sanzioni non penali bensì amministrative, con lo scopo di restituire tranquillità ai contribuenti, ripristinando la certezza del diritto e delimitando con criteri certi l'area del legittimo risparmio di spesa. In particolare un emendamento a firma Leo mirava a disciplinare l’elusione fiscale e l’abuso del diritto tributario, rendendo inopponibili al fisco le operazioni volte ad aggirare prescrizioni tributarie al fine di ottenere riduzioni di imposta, in contrasto con lo scopo della norma tributaria. Era definita come legittimo risparmio di imposta la scelta del contribuente tra diverse fattispecie previste dall’ordinamento che pur avendo un differente regime tributario producono effetti economici sostanzialmente equivalenti. Le proposte sono state peraltro ritirate a seguito dell’impegno del Governo a definire la questione nell’ambito del disegno di legge delega fiscale, attraverso un provvedimento organico, adeguatamente approfondito e tecnicamente funzionale, che contribuisca a stabilizzare la situazione del Paese, senza che siano necessari ulteriori interventi correttivi.
Come anticipato in premessa, il disegno di legge di “delega fiscale” (delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita - A.C. 5291) conteneva un articolo dedicato all’abuso del diritto. La norma di delega era volta a riequilibrare il rapporto tra lo strumento anti-elusione e la certezza del diritto, messa in discussione dalla prassi amministrativa di sindacare ex post le scelte dei contribuenti sulla base di orientamenti non noti al momento in cui le operazioni sottoposte a controllo sono già decise ed effettuate.
Pertanto, da un lato è stabilito il generale divieto di utilizzare in modo distorto gli strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione. Dall’altro lato è riconosciuto al contribuente il diritto di scelta tra diverse operazioni comportanti un diverso carico fiscale, purché essa non sia volta unicamente ad ottenere indebiti vantaggi fiscali; viene riconosciuta l’ammissibilità dell’operazione qualora essa sia giustificata da ragioni extrafiscali “non marginali”; costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e consistono in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente.
La fattispecie abusiva è inopponibile all’amministrazione finanziaria, la quale può disconoscere immediatamente l’indebito risparmio d’imposta. In una prima versione del disegno di legge si prevedeva l’esclusione della rilevanza penale della condotta che integra l’abuso del diritto.
È prevista una implementazione della disciplina procedurale sotto i seguenti profili:
La dottrina ha definito l’abuso del diritto come l’utilizzo di singole disposizioni dell’ordinamento giuridico secondo modalità che, pur rispettando la lettera delle specifiche norme utilizzate, portano a un risultato difforme o addirittura antitetico rispetto ai principi e alle finalità che sottendono all’ordinamento giuridico di cui quelle stesse norme sono parte (cfr. E. Zanetti, “Abuso del diritto: in particolare sulla rilevabilità d’ufficio e sull’applicazione delle sanzioni” , in “Il fisco” n. 38 del 18 ottobre 2010, pag. 1-6123).
In ambito tributario, l’abuso del diritto consiste nell’utilizzo, anche combinato, delle norme di diritto positivo che disciplinano il sistema fiscale, al fine di ottenere risparmi di imposta che, seppure coerenti rispetto alla lettera delle specifiche norme di riferimento, risultano contrari alle logiche e ai principi cui è informato l’intero ordinamento tributario.
In dottrina, in particolare, si è discusso dell’opportunità di considerare tra gli elementi qualificanti della fattispecie l’assenza di “valide ragioni economiche” nell’operazione effettuata dal contribuente. Si tratta di un elemento, come visto, considerato essenziale dalla giurisprudenza della Cassazione.
In particolare tale requisito è contestato quando è la stessa legge tributaria a prevedere regimi fiscali alternativi i quali hanno a loro volta giustificazioni puramente fiscali, disgiunte dal risultato pratico dell’operazione. Tipico, ad esempio, è il caso dell’articolo 176 del TUIR dove la “non elusività” della scelta di cedere le partecipazioni della società conferitaria dell’azienda anziché vendere l’azienda medesima è espressamente stabilita dalla legge. Si tratta, quindi, di regimi diversificati per ragioni di ordine puramente fiscale che non possono che condurre a scelte orientate da valutazioni di natura fiscale e, come tali, non sindacabili in base al parametro delle “valide ragioni economiche”.
Vi sono tuttavia ipotesi in cui esistono regimi fiscali differenziati rispetto a operazioni anch’esse praticamente equivalenti la cui ragione giustificatrice non è facilmente individuabile o perché indeterminata fin dall’origine, o perché divenuta tale nel tempo. Si fa riferimento alla possibilità per le società agricole di optare per la tassazione su base catastale, riconosciuta solo alle società di persone e alle società a responsabilità limitata, ma non alle società per azioni, e ciò in modo del tutto indipendente da qualsiasi altra caratteristica strutturale (volume d’affari, numero dei soci, regole organizzative interne, ecc.). Fin quando la linea di discrimine era individuata nel carattere “personale” della società, si poteva ipotizzare che il legislatore avesse voluto limitare il beneficio alle sole ipotesi in cui l’attività agricola era più direttamente riferibile alle persone fisiche. Ma l’inclusione fra i soggetti che possono esercitare l’opzione anche delle società a responsabilità limitata rende la discriminazione incomprensibile. Sembra allora desumibile che la scelta della forma societaria da assumere può legittimamente dipendere da motivi puramente fiscali senza che ciò implichi alcun abuso di diritto (cfr. Guglielmo Fransoni, «Appunti su abuso di diritto e “valide ragioni economiche”», in "Rassegna Tributaria" n. 4 del 2010, pag. 932). Si veda inoltre Andrea Manzitti, “L’abuso del diritto va sottratto all’equivoco”, in “Il Sole 24 Ore” del 14 aprile 2012. Si riporta, inoltre, l’opinione critica di chi sostiene che l’espressione “abuso del diritto” confonda fenomeni totalmente diversi quali la simulazione e l’elusione (G. Falsitta, “Manuale di diritto tributario”, Padova 2010).
Il tema dell’abuso del diritto è stato affrontato anche in altri paesi (ad esempio, Francia e Germania), dove si è intervenuti legislativamente, con modifiche a norme antielusive già esistenti, di cui si è ampliata la portata. Le nuove normative prevedono un rafforzamento delle garanzie procedurali per i contribuenti.
In Francia è prevista una norma generale anti-abuso che si caratterizza per essere una disposizione procedurale, la quale definisce il concetto di abuso del diritto solo in via strumentale, al fine di delimitare le modalità a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per contrastarlo. A partire dal 2006, alcune pronunce giurisprudenziali del Consiglio di Stato francese, insieme a quelle della Corte di Giustizia europea, hanno alimentato il dibattito sull’abuso del diritto, alla base del cd. “rapporto Fouquet”, predisposto da una commissione ministeriale. In estrema sintesi, il rapporto evidenziava come il contrasto all’abuso del diritto doveva essere affrontato in termini di maggiore certezza giuridica e di maggiori garanzie procedurali per il contribuente nei confronti delle pretese dell’Amministrazione. Il legislatore francese, seguendo quanto suggerito dal “rapporto Fouquet”, ha modificato la legislazione in materia di abuso del diritto; le nuove norme si applicano a partire dal 1° gennaio 2009. Si è passati a una clausola generale anti-abuso basata su una definizione più ampia del concetto di abuso, mantenendo invariate le garanzie procedurali dei contribuenti, che ne escono anzi rafforzate grazie alla nuova composizione del comitato consultivo. E’ infatti previsto un “comitato sull’abuso del diritto fiscale”, che, per tutelare gli interessi e le posizioni dei contribuenti, è composto non solo da membri di nomina governativa, come avveniva in passato, ma anche da componenti rappresentanti delle professioni contabili e giuridiche.
In Germania già la legge generale tributaria tedesca del 1977 prevedeva una clausola generale anti-abuso, che non definiva però il concetto di abuso del diritto; la sua vaghezza era di ostacolo tanto ai contribuenti quanto alle autorità fiscali. Nel corso degli anni, la Corte federale tributaria tedesca (Bundesfinanzhof, o BFH) ha cercato di colmare questa lacuna; nelle sue pronunce sono state spesso considerate abusive quelle strutture che apparivano inusuali, artificiose e non finalizzate al perseguimento di valide ragioni economiche. Nel 2008 si è deciso di introdurre una definizione di abuso del diritto: questo si verifica solo quando il contribuente sceglie una struttura legale “inadeguata” rispetto al fatto economico, che comporta per lui o per un terzo, in confronto ad una forma adeguata, un beneficio fiscale non previsto dalla legge. L’abuso non si concretizza se il contribuente dimostra che la forma giuridica scelta risponde a ragioni extrafiscali meritevoli di tutela. L’onere della prova circa l’appropriatezza o meno delle strutture utilizzate è a carico delle autorità fiscali tedesche. Dinanzi alla contestazione di inappropriatezza degli schemi utilizzati, il contribuente potrà replicare dimostrando che l’operazione è comunque motivata da rilevanti ragioni di natura non tributaria.
In Gran Bretagna non è presente una disciplina generale sulla frode alla legge o sull’elusione. Ciò significa che, in linea di principio, nell’ambito di tale ordinamento, non è di per sé illecito strutturare un negozio giuridico con modalità tali da eludere l’applicazione di determinate disposizioni di legge, anche qualora si tratti di leggi che vietano l’utilizzo di strutture poste in essere al fine di non pagare i tributi.
Nel Regno Unito, pertanto, non esiste, ai fini fiscali, una norma di legge che abbia carattere generale, mentre esistono, per un certo numero di imposte e per specifiche finalità, una serie di norme speciali finalizzate ad evitare che, in relazione ad una determinata fattispecie, si possa “abusare” di un certo incentivo fiscale.
Al riguardo, occorre evidenziare che il sistema giuridico inglese ha sempre attribuito maggiore rilievo alla “sostanza” di un negozio giuridico, piuttosto che alla sua “forma”. Di conseguenza, se la qualificazione giuridica che le parti hanno attribuito al negozio (es. una donazione) non corrisponde agli effetti concretamente voluti dalle parti (es. quelli di un “prestito”), le Corti faranno esclusivo riferimento all’effettiva intenzione delle parti.
In tale contesto spetta al contribuente provare che non è dovuta l’imposta relativa ad una determinata operazione e, in taluni casi, lo stesso può addurre che la transazione è ispirata da ragioni di bona fides commerciale e che non persegue lo scopo principale di ottenere vantaggi fiscali. Dal canto proprio, l’Amministrazione ha ampi poteri di accertamento dei comportamenti elusivi posti in essere dai contribuenti e ciò spiega la possibilità, in relazione a molte disposizioni di ampio tenore, di ricorrere a procedure di clearance (una sorta di interpello), finalizzate ad evitare l’applicazione delle norme antielusive.
In Spagna la normativa finalizzata a contrastare la c.d. Fraude a la Ley tributaria non ha mai avuto una concreta applicazione, richiedendo la normativa fiscale, fin dall’origine, l’accertamento dell’“intenzione ingannatoria”, difficilmente accertabile nei fatti.
L’elusione in ambito internazionale si manifesta come quell’arbitraggio che si realizza ogni qual volta il contribuente pone in essere un’operazione transnazionale con l’intento di trarre vantaggio dalle diverse tipologie e modalità di imposizione esistenti nei vari Paesi, in maniera da ridurre al minimo il proprio carico impositivo (c.d. “arbitraggio fiscale dannoso”). Ciò risulta possibile proprio perché gli ordinamenti giuridici dei vari Stati risultano estremamente diversi tra loro.
Lo sfruttamento delle differenze esistenti negli ordinamenti fiscali europei deve, tuttavia, fare i conti con i principi del diritto fiscale internazionale e del suo ruolo nell’interpretazione delle leggi nazionali e delle Convenzioni fiscali contro la doppia imposizione, nel rispetto dei limiti della sovranità statale e della giurisdizione nazionale in materia fiscale. In tal senso, infatti, lo stesso Commentario al Modello di Convenzione OCSE opportunamente modificato nel 2003, dispone all’art. 1 che laddove la disposizione contro l’abuso fiscale siano incardinate alle regole fondamentali della legislazione nazionale che determinano i fatti generatori dell’imposta, le stesse non sono influenzate dalle convenzioni in quanto dette regole sono estranee alla materia considerata dalle convenzioni fiscali. Pertanto, di regola non vi sarà conflitto tra tali disposizioni e le disposizioni delle convenzioni fiscali.
Nella XVI legislatura il settore dei giochi è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, finalizzati da un lato a contrastare il fenomeno del gioco illegale, alla tutela dei minori e alla lotta alla ludopatia, e dall'altro a reperire maggiori entrate per la copertura degli oneri recati dalle manovre di finanza pubblica, anche attraverso l'assegnazione di nuove concessioni, alla luce di alcune sentenze della Corte di giustizia europea.
Una organica revisione normativa sulla materia era contenuta all’articolo 15 del disegno di legge delega fiscale, presentato dal governo Monti (A.C. 5291), approvato dalla Camera dei deputati (articolo 4, commi 6 e 7, dell’A.S. 3519), il cui iter parlamentare non si è tuttavia concluso (A.S. 3519-A).
A seguito dello sviluppo negli ultimi anni delle tecnologie informatiche il settore dei giochi è stato caratterizzato da una evoluzione delle modalità di gioco, che hanno generato un sempre più massiccio ricorso ai giochi on-line, determinando la necessità di una regolamentazione anche a livello di normativa comunitaria.
Per quanto riguarda invece i giochi non a distanza il legislatore, da un lato, ha dovuto ottemperare alle regole comunitarie in materia di concessioni, con conseguente apertura del mercato e delle gare a nuovi soggetti diversi da quelli che precedentemente figuravano come i principali concessionari presenti in Italia, dall’altro ha cercato di combattere l’esercizio abusivo del gioco da parte della criminalità organizzata anche attraverso la “regolarizzazione” di situazioni di fatto, quali ad esempio il gioco del poker, in modo da sottrarle al circuito illegale.
Nella lotta all’utilizzo illegale degli apparecchi da gioco il principale strumento di supporto all’Amministrazione è stato il sistema informatico di connessione in rete degli apparecchi, che permette un controllo immediato del sistema, anche ai fini del versamento del prelievo erariale unico (PREU). La Relazione del 17 novembre 2010 della Commissione parlamentare antimafia stimava che, relativamente al 2006, a fronte di 200.000 apparecchi da gioco AWP (new slot – Amusement with prizes) regolarmente collegati, vi fossero “almeno altrettanti apparecchi illegali”. Il 13 settembre 2012, il direttore generale dei monopoli di Stato, Luigi Magistro, nel corso dell’audizione informale presso la Commissione Finanze della Camera, evidenziava come il numero degli apparecchi AWP legali fosse aumentato a 350.000, cui vanno sommati anche i 45.000 apparecchi VTL (video-lottery) presenti sul mercato, facendo rilevare come la maggior parte degli apparecchi illegali fossero stati assorbiti dal circuito regolare.
Il comparto del gioco rappresenta il 4 per cento del PIL italiano, con un giro d’affari intorno ai 90 miliardi ed entrate erariali pari al oltre 8 miliardi. Nel 2012 la raccolta è stata pari a 87,1 miliardi, determinando un incremento del 9 per cento rispetto al 2011 (79,9 miliardi). Di tale raccolta 70 miliardi sono tornati ai giocatori come vincite (Fonte AAMS). Considerando il dato relativo al 2010 (61,4 miliardi), in due anni c'è stato un aumento della raccolta del 42 per cento.
Il quadro normativo che disciplina il settore dei giochi risulta assai complesso, in quanto le disposizioni di legge rinviano sempre più spesso a decreti del direttore generale dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (A.A.M.S.), ora confluita nell’Agenzia delle dogane ai sensi dell’articolo 23-quater del D.L. n. 95 del 2012.
Illustrando il contenuto delle disposizioni legislative intervenute nella XVI legislatura, si ricorda che la legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009), al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line), prevedendo 200 nuove concessioni novennali da assegnare secondo specifici requisiti e condizioni. In particolare, i nuovi concessionari sono tenuti a operare tramite il sistema centrale dell’AAMS, mentre il giocatore deve stipulare con il concessionario un apposito contratto di “conto di gioco”.
Il D.L. n. 39 del 2009 è intervenuto nel settore dei giochi al fine di individuare nuove entrate per la ricostruzione delle zone terremotate dell’Abruzzo, sia mediante lotterie ad estrazione istantanea che attraverso ulteriori modalità di gioco del Lotto nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale (Superenalotto). Sono inoltre previste norme volte a consentire all'AAMS ed ai concessionari una maggiore capacità di controllo del gioco legale (attraverso misure di carattere organizzativo e sanzionatorio).
Il D.L. n. 78 del 2009 è intervenuto sulla materia agli articoli 15-bis e 15-ter, con la previsione di un piano straordinario di contrasto al gioco illegale. Il successivo articolo 21 reca norme sul rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita. Nel D.L. n. 40 del 2010 sono state introdotte disposizioni in materia di esercizio dell'attività di gioco e di riorganizzazione e potenziamento dell'AAMS. Con la legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi da 64 a 82 della legge n. 220 del 2010) si è inteso rafforzare l’azione di contrasto al gioco gestito e praticato in modo illegale e a tutelare i consumatori - in particolar modo i minori di età - e, al contempo, si è intervenuti per recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale.
Con l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 sono state adottate numerose disposizioni in materia di giochi, sia sotto l’aspetto del prelievo fiscale - quali la liquidazione automatica dell’imposta unica dovuta sulle scommesse e sui giochi a distanza (commi 1-7) o la determinazione forfetaria del prelievo erariale unico (commi 17 e 18) - che relativamente alle competenze di accertamento in materia di giochi pubblici (commi da 8-16) e ai requisiti per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sul divieto di gioco per i minori (commi 19-23), sull'obbligo di segnalare da parte degli operatori bancari, finanziari e postali il trasferimento di somme verso operatori di gioco illegali (commi 29-31), nonché sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38). Viene istituito il Bingo a distanza (comma 33) e regolamentato il “poker sportivo” (ovvero i tornei non a distanza di poker: comma 34), e sono previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40). Inoltre si stabilisce che una quota pari al 3 per cento delle spese annue per la pubblicità dei prodotti di gioco venga destinata al rifinanziamento della Carta acquisti (comma 32).
Il D.L. n. 138 del 2011 ha attribuito all'AAMS il compito di emanare con propri decreti entro il 12 ottobre 2011 disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate. In attuazione di questa norma è stato emanato il decreto 12 ottobre 2011 dell'AAMS che individua le seguenti linee di intervento:
Il D.L. n. 16 del 2012 reca, all’articolo 10, numerose disposizioni per il potenziamento dell’accertamento in materia di giochi, nonché misure per la tracciabilità dei pagamenti. Da ultimo, il D.L. n. 158 del 2012, all’articolo 7, prevede dal 1° gennaio 2013 il divieto di pubblicità sui giochi con vincite in denaro rivolte ai giovani. Sono altresì vietate le pubblicità che incitano al gioco che non avvertono dei rischi di ludopatia. Sono previste formule obbligatorie di avvertimento sui rischi da ludopatie sulle schedine e nei luoghi in cui si gioca (newslot, VLT, scommesse), determinando sanzioni amministrative per chi viola tali obblighi e divieti, nonché l’indicazione della percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato.
Un primo intervento (decreto-legge n. 149 del 2008) ha prorogato sino al 1° luglio 2009 l’affidamento della gestione del gioco dell’Enalotto all’attuale concessionario (Sisal S.p.A.), in attesa della piena operatività dell’assegnazione in concessione della gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale. La legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009), al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line): sono state previste 200 nuove concessioni novennali da assegnare secondo specifici requisiti e condizioni. In particolare, i nuovi concessionari sono tenuti a operare tramite il sistema centrale dell’AAMS, mentre il giocatore deve stipulare con il concessionario un apposito contratto di “conto di gioco”.
Disposizioni di carattere fiscale in materia di giochi sono contenute all’articolo 12 del D.L. 39/2009 (decreto Abruzzo). Al fine di assicurare maggiori entrate da destinare alla copertura del decreto l’AAMS è stata autorizzata, tra l'altro: a indire nuove lotterie ad estrazione istantanea (“Gratta e vinci”); ad adottare ulteriori modalità di gioco del Lotto nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, inclusa la possibilità di più estrazioni giornaliere; a prevedere per le scommesse a quota fissa l’aliquota d’imposta unica sulle giocate pari al 20% della raccolta, nonché fissare la posta unitaria di gioco in 1 euro; a prevedere poteri di controllo più penetranti da parte dei concessionari della rete telematica e maggiori sanzioni nei confronti dei gestori di macchinette da gioco; a rideterminare le forme della comunicazione preventiva di avvio dei concorsi a premio al fine di contrastare concorsi a premio che mascherino giochi gestiti dall’AAMS.
Il D.L. n. 78 del 2009 all'articolo 21 ha previsto norme sul rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita.
Disposizioni in materia di esercizio dell'attività di gioco e di riorganizzazione e potenziamento dell'AAMSsono state introdotte nel D.L. n. 40 del 2010: la raccolta del gioco a distanza con vincita in denaro effettuata da parte dei soggetti concessionari è stata limitata (articolo 2, comma 2-bis) alle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione; è previsto che la licenza per l'esercizio delle scommesse sia richiesta anche per la gestione delle sale ove si installano apparecchi idonei per il gioco lecito, facenti parte della rete telematica (articolo 2, comma 2-quater); è infine differito il termine per l’avvio delle procedure per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito (articolo 2, comma 2-sexies).
Con l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 sono state adottate numerose disposizioni in materia di giochi, sia sotto l’aspetto del prelievo fiscale - quali la liquidazione automatica dell’imposta unica dovuta sulle scommesse e sui giochi a distanza (commi 1-7) o la determinazione forfetaria del prelievo erariale unico (commi 17 e 18) - che relativamente alle competenze di accertamento in materia di giochi pubblici (commi da 8-16) e ai requisiti sia per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38). Viene istituito il Bingo a distanza (comma 33) e regolamentato il “poker sportivo” (ovvero i tornei non a distanza di poker: comma 34), e sono previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40).
Il D.L. n. 138 del 2011 ha attribuito all'AAMS il compito di emanare disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate. In attuazione di questa norma il decreto 12 ottobre 2011 dell'AAMS ha individuato le seguenti linee di intervento:
Si segnala che la Commissione VI Finanze, il 21 dicembre 2011, ha approvato la risoluzione 7-00731 Bernardo sugli interventi nei settori dei giochi e dei tabacchi. La risoluzione invita il Governo a procedere sotto diversi profili, agevolando in primo luogo il dialogo tra l'AAMS ed i soggetti imprenditoriali operanti nel settore. Per quanto concerne l'aumento del PREU sul settore dei giochi, si invita il Governo a valutarne le possibile ricadute sia per scongiurare che un inasprimento del regime tributario possa indurre un ampliamento del gioco illegale, sia al fine di evitare l'insorgere di contenziosi tra l'amministrazione e gli operatori del settore, determinati da una sostanziale delegificazione che, in particolare per quanto riguarda gli aspetti tributari, potrebbe risultare problematica. Con specifico riferimento ai profili tributari, la risoluzione invita il Governo a verificare la possibilità di eliminare la diversificazione nel regime di prelievo dei giochi on-line rispetto ai giochi cosiddetti «fisici». In parallelo, è considerato sia sotto l'aspetto degli interessi erariali, sia sotto quello della rilevanza economica e sociale, il settore dei tabacchi lavorati, che a sua volta presenta profili di peculiare delicatezza per ciò che concerne l'elevato livello del prelievo, il particolare assetto concorrenziale del mercato, la notevole articolazione della rete distributiva e la presenza di specifici profili pubblicistici di tutela della salute. Il 10 novembre 2011 la Commissione Finanze ha approvato il documento finale sul Libro verde sul gioco d'azzardo on-line nel mercato interno.
Il D.L. n. 16 del 2012 ha previsto il parere obbligatorio del Consiglio di Stato sugli schemi degli atti di gara per il rilascio di concessioni in materia di giochi pubblici nonché sugli schemi di provvedimento di definizione dei criteri per la valutazione dei requisiti di solidità patrimoniale dei concessionari. Il controllo della documentazione antimafia è stato esteso anche ai familiari dei rappresentanti legali delle società concessionarie; mentre è preclusa la partecipazione alle gare nel settore dei giochi anche nel caso in cui i reati che vengono contestati siano stati commessi o contestati ai familiari dei rappresentanti legali delle società partecipanti. Inoltre è stata finanziata, con un fondo di 100 mila euro, l'attività di controllo attraverso operazioni di gioco. Sono previsti, infine, interventi volti a razionalizzare e rilanciare il settore dell’ippica.
L’articolo 39 del D.L. n. 269 del 2003, al comma 13 ha stabilito che agli apparecchi e congegni di cui all'articolo 110, comma 6, del TULPS (R.D. n. 773/1931) collegati in rete, vale a dire videolottery – VLT e newslot - AWP, si applichi un prelievo erariale unico fissato (originariamente) in misura del 13,5% delle somme giocate, dovuto dal soggetto al quale l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) ha rilasciato il nulla osta. Successivamente l’articolo 30-bis del D.L. n. 185 del 2008 ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il prelievo erariale unico sia determinato applicando, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, determinate aliquote per scaglioni riferiti alla raccolta delle somme giocate, varianti dal 12,6% all’8%:
Con il decreto direttoriale AAMS 12 ottobre 2011 (G.U. n. 265 del 14 novembre 2011), in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 3, del D.L. n. 138 del 2011, sono stati individuati gli interventi in materia di giochi pubblici utili per assicurare le maggiori entrate previste. L’articolo 5 del decreto direttoriale dispone la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU). In particolare la misura del prelievo sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera b), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. videolottery – VLT), è variata, ai sensi del comma 1, come segue:
La misura del PREU sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. newslot - AWP), viene variata, ai sensi del comma 2, come segue:
L'applicazione del prelievo del 6% sulla parte delle vincite eccedenti i 500 euro riguarda Videolottery, Gratta e Vinci e SuperEnalotto (e giochi accessori, comprensivi della modalità online, come il Win for Life, e il “Si vince tutto"). Il prelievo del 6% non riguarderà le seguenti categorie di gioco: Scommesse ippiche e sportive, Bingo, Lotterie tradizionali (Lotteria Italia) e tutti i giochi a distanza (esclusi quelli sopra menzionati) che restano soggetti all’attuale normativa di settore.
Con la legge di stabilità per il 2011 (articolo 1, commi da 64 a 82 della legge n. 220 del 2010) si è inteso rafforzare l’azione di contrasto al gioco gestito e praticato in modo illegale e a tutelare i consumatori - in particolar modo i minori di età - e, al contempo, si è intervenuti per recuperare base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale. Si ricordano in particolare i seguenti interventi:
Con l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 il legislatore, oltre a ribadire il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha inasprito le sanzioni a carico del titolare dell'esercizio commerciale che consente la partecipazione ai giochi pubblici a minori.
Da ultimo, il D.L. n. 158 del 2012 (c.d. decreto Salute) prevede il divieto di ingressoai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree in cui sono installati apparecchi VLT e nelle sale scommesse. Si prevede un piano annuale di controlli, predisposto da AAMS, d’intesa con la SIAE, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza di almeno cinquemila verifiche specificamente destinati al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi commerciali in cui sono presenti apparecchi di gioco AWP o attività di scommessa su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, collocati in prossimità di scuole, ospedali e luoghi di culto. Inoltre si prescrive una una progressiva ricollocazione degli apparecchi di gioco a moneta (AWP), territorialmente prossimi scuole, ospedali e luoghi di culto, relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
L'articolo 7 del D.L. n. 158 del 2012 dispone che dal 1° gennaio 2013 al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, sono vietati i messaggi pubblicitari digiochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; sono peraltro vietati i messaggi pubblicitari digiochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco. In caso di violazione dei suddetti divieti è prevista la sanzioneamministrativa da 100.000 a 500.000 euro per il committente del messaggio pubblicitario e per il proprietario del mezzo di comunicazione. Si prevede, inoltre, l’obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita sulle schedine e tagliandi dei giochi; sugli apparecchi newslot e nelle sale con videoterminali; nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi; nei siti internet destinati all’offerta di giochi con vincite in denaro.
L'articolo 5 del D.L. n. 158 del 2012 prevede l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza con riferimento alla ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro.
Si segnala infine che il 5 ottobre 2011 l'Aula del Senato aveva approvato all'unanimità una risoluzione con cui si erano condivise due relazioni (Doc. XXIII n. 3 e n. 8) presentate dalla Commissione antimafia sui fenomeni di riciclaggio e di infiltrazioni mafiose nel gioco lecito ed illecito, sollecitando, con l'accordo del Governo, la possibilità di interventi normativi per consentire di mettere sotto controllo il settore del gioco d'azzardo. Nelle relazioni, approvate dalla Commissione antimafia, erano inseriti tre proposte di intervento legislativo, rispettivamente, in materia di concessioni e licenze per giochi e scommesse, in materia di gioco d'azzardo e antiriciclaggio ed in tema di pubblicità ingannevole.
Numerosi interventi nel settore dei giochi hanno perseguito l’obiettivo di contrastare il gioco illegale: la assegnazione di nuove concessioni con conseguente apertura di nuovi punti di gioco, la creazione di nuove forme di gioco nonché la legalizzazione di giochi già esistenti.
Nello specifico il contrasto al gioco illegale viene operato attraverso maggiori poteri di contrasto assegnati all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, la predisposizione di programmi di controllo, la presenza di specifici requisiti richiesti ai concessionari, la previsione di nuove sanzioni, sia di natura penale che amministrativa, nonché la sospensione della concessione.
Peraltro l’articolo 15-ter del D.L. n. 78 del 2009 dispone che l’AAMS promuova un piano straordinario di contrasto del gioco illegale, con la costituzione di un apposito Comitato, operante presso l’AAMS e presieduto dal Direttore Generale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, di cui sono chiamati a far parte rappresentanti di vertice della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della stessa Amministrazione autonoma. Il Comitato sovraintende alla definizione, secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, di strategie ed indirizzi, alla pianificazione ed al coordinamento di interventi organici, sistematici e capillari sull'intero territorio nazionale per la prevenzione e repressione del gioco illegale, la sicurezza del gioco e la tutela dei minori.
La successiva tabella riporta i dati relativi all’attività di controllo svolta dall’AAMS unitamente alle forze di polizia e alla SIAE, forniti dal direttore generale dell’AAMS, Luigi Magistro, nel corso dell’audizione presso la VI Commissione Finanze della Camera del 13 settembre 2012. Come rilevato nella relazione, l’incremento delle attività di controllo va ascritto ad un più efficace sistema di norme (in particolare il D.L. n. 39 del 2009 e la legge 220 del 2010), che fra l’altro ha consentito di esercitare poteri ispettivi e di accertamento più penetranti nel settore fiscale e un miglioramento dei controlli amministrativi, nel senso di consentire azioni compatte e contestuali di tutte le forze di polizia sul territorio con effetti repressivi e nel contempo deterrenti. Tali dati non comprendono, peraltro, quelli relativi ai controlli effettuati autonomamente dalle forze di polizia.
|
2010 |
2011 |
al 31/7/2012 |
Ore di controllo |
44.209 |
110.612 |
57.368 |
Esercizi controllati |
15.020 |
20.189 |
16.894 |
Violazioni penali |
615 |
683 |
354 |
Persone denunciate all’autorità giudiziaria |
454 |
561 |
338 |
Sequestri penali |
257 |
495 |
254 |
Violazioni amministrative |
4.399 |
4.925 |
2.008 |
Persone segnalate |
3.606 |
2.497 |
1.204 |
Sequestri amministrativi |
1.870 |
1.436 |
687 |
Imposte accertate (euro) |
5.876.008 |
13.808.330 |
27.799.896 |
Fonte: AAMS
Poteri di controllo
Il D.L. n. 39 del 2009, all’articolo 12, comma 1, lettera i), attribuisce ai concessionari poteri di accesso, di ispezione tecnica e amministrativa sugli apparecchi da gioco, con l’obbligo di segnalazione all’AAMS e agli organi di polizia delle illiceità riscontrate.
L’articolo 15 del D.L. n. 78 del 2009, al comma 8-duodecies, dispone che anche gli uffici dell'AAMS, nell'adempimento dei loro compiti amministrativi e tributari, possano avvalersi delle attribuzioni e dei poteri affidati agli uffici delle Entrate in materia di controlli IVA, ai sensi degli articoli 51 e 52 del DPR n. 633 del 1972 (facoltà di invio di questionari, di convocazione dei soggetti interessati, di richiesta di documentazione, di accesso e di ispezioni).
L’articolo 15-bis del D.L. n. 78 del 2009, al comma 4, prevede che gli uffici dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (A.A.M.S.) esercitino i poteri e le attribuzioni di accertamento e di controllo previsti in materia di IVA dall’articolo 51 del DPR n. 633 del 1972, ad essi attribuiti ai sensi dell'articolo 39-quater del D.L. n. 269 del 2003, anche per gli ambienti dedicati ad ospitare gli apparecchi da gioco non collegati alla rete telematica. Il comma 5 estende i poteri di accesso ed ispezione tecnica ed amministrativa attribuiti ai concessionari di rete ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera i) del D.L. n. 39 del 2009, anche negli ambienti che ospitano apparecchi da gioco non collegati alla rete telematica (cioè apparecchi abusivi).
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 69, novellando il comma 8-duodecies dell’articolo 15 del D.L. n. 78 del 2009, interviene in merito ai rapporti tra le autorità preposte all’attività ispettiva e di vigilanza in materia tributaria e gli organi di polizia giudiziaria, al fine di rafforzarne la relativa azione. In particolare si prevede che:
Il successivo comma 80 consente all’A.A.M.S. di esercitare una serie di poteri in materia di controllo, di indirizzo, di segnalazione alle autorità competenti e di sanzioni in merito allo svolgimento dell’attività da parte dei concessionari dei giochi, anche avvalendosi, mediante convenzioni non onerose, di soggetti qualificati nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.
Analogamente alla disciplina che definisce i compiti dell'Agenzia delle entrate in materia di accertamenti sulle imposte sui redditi ed IVA il D.L. n. 98 del 2011, al comma 8 dell’articolo 24 prevede che le competenze in materia di rettifica e accertamento delle basi imponibili e delle imposte rilevanti ai fini dei singoli giochi spettino agli uffici dell’A.A.M.S., anche sulla base di accertamenti constatati dalla Guardia di Finanza o da altri organi di Polizia.
I successivi commi da 13 a 16 dispongono in ordine alle attribuzioni degli uffici dell’AAMS in materia di controllo e di accertamento, prevedendo per essi - in ragione della loro capacità di valutare, con immediatezza, l'entità della violazione - anche la possibilità di irrogare sanzioni tributarie ed amministrative. Inoltre, ai sensi del comma 15 gli appartenenti all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS), nell’esercizio dei poteri conferiti dalla legge assumono la qualità di agenti di polizia tributaria.
Il successivo comma 29 impone alle società emittenti carte di credito, agli operatori bancari, finanziari e postali di segnalare telematicamente all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) i dati identificativi di coloro che dispongono trasferimenti di denaro a favore di operatori di gioco illegali, indicati in apposito elenco predisposto dalla stessa Amministrazione autonoma.
Il D.L. n. 16 del 2012, all’articolo 10, comma 1, ha autorizzato l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) a costituire, avvalendosi di risorse proprie, un fondo – con una dotazione non superiore a 100.000 euro annui - destinato ad effettuare da parte del personale AAMS operazioni di gioco presso locali in cui si effettuano scommesse o sono installati apparecchi da gioco con vincita in denaro (c.d. newslot e VLT – videolottery, indicati all’articolo 110, comma 6, lett. a) e b), del R.D. n. 773/1931) al solo fine di verificare eventuali violazioni in materia di gioco pubblico, ivi comprese quelle relative al divieto di gioco dei minori. Le risorse del fondo possono essere utilizzate per le medesime finalità - previo concerto con le competenti strutture dell’AAMS – anche dal personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza. Con decreto del Direttore generale dell'AAMS è costituito il fondo e ne è disciplinato il relativo utilizzo. Con ulteriore decreto ministeriale, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri dell’interno, della giustizia e della difesa, sono disciplinate, nel rispetto della normativa sulle cause di giustificazione(c.d. “scriminanti”) esistenti per le attività degli "agenti sotto copertura”, previste dall’articolo 51 del codice penale e dall’articolo 9 della legge n. 146 del 2006, in quanto compatibili, le modalità dispositive sulla base delle quali il predetto personale può effettuare le operazioni di gioco. Le eventuali vincite così conseguite sono riversate sul citato fondo.
Programmi di controllo
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 81 dispone, al fine di contrastare il gioco illecito e l’evasione fiscale, un programma straordinario di almeno 30.000 controlli nel 2011 in materia di giochi pubblici da parte dell’A.A.M.S., avvalendosi della collaborazione della SIAE e della Guardia di finanza. Tra i numerosi obiettivi indicati nella norma, in particolare si prevede di:
Il D.L. n. 158 del 2012, all’articolo 7, comma 9, prevede un piano annuale di controlli, predisposto da AAMS, d’intesa con la SIAE, la Polizia di Stato, l’Arma dei carabinieri e la Guardia di finanza di almeno 5.000 verifiche specificamente destinate al contrasto del gioco minorile, nei confronti degli esercizi commerciali in cui sono presenti apparecchi di gioco AWP o attività di scommessa su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi, collocati in prossimità di istituti scolastici primari e secondari, di strutture sanitarie ed ospedaliere, di luoghi di culto. Si prevede, inoltre, la possibilità di segnalazione all’AAMS da parte degli agenti di Polizia locale di violazioni in materia di giochi con vincite in denaro constatate nel corso della loro attività ordinaria.
Nuove sanzioni
L’articolo 24 della legge n. 88 del 2009, al comma 23, integrando l’articolo 4, comma 1, della legge n. 401 del 1989 punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque organizza, esercita e raccoglie a distanza, senza la prescritta concessione, qualsiasi gioco istituito o disciplinato dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato. Chiunque, ancorché titolare della prescritta concessione, organizza, esercita e raccoglie a distanza giochi con modalità e tecniche diverse da quelle previste dalla legge è punito con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da euro 500 a euro 5.000.
L’articolo 15-bis del D.L. n. 78 del 2009, al comma 2, modificando il comma 9, lettera c), dell’articolo 110 del R.D. n. 773 del 1931, determina l’ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria - nei confronti di chiunque sul territorio nazionale distribuisce od installa o comunque consente l'uso in luoghi pubblici od aperti al pubblico od in circoli ed associazioni di apparecchi o congegni da gioco non rispondenti alle caratteristiche ed alle prescrizioni indicate - in 4.000 euro per ciascun apparecchio, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 1.000 euro ad un massimo di 6.000 euro per ciascun apparecchio precedentemente prevista. La stessa sanzione si applica nei confronti di chiunque, consentendo l'uso di apparecchi e congegni conformi alle caratteristiche e prescrizioni indicate, corrisponde a fronte delle vincite premi in danaro o di altra specie, diversi da quelli ammessi.
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 65, modifica l’articolo 5 del D.Lgs. n. 504 del 1998 relativo alle sanzioni relative all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse.
Il particolare il comma 1 del nuovo articolo 5, prevede, nel caso in cui il soggetto passivo sottrae, in qualsiasi modo, base imponibile all'imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse, la sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento della maggior imposta e se la base imponibile sottratta è superiore a 50.000 euro, anche la chiusura dell'esercizio da uno a sei mesi.
Il comma 2 punisce con la sanzione amministrativa pari al 30% degli importi non pagati nel termine prescritto il soggetto passivo che, nell'ambito degli adempimenti previsti dal D.P.R. n. 66 del 2002 (imposta sui concorsi pronostici e sulle scommesse), omette, in tutto o in parte, ovvero ritarda il pagamento dell'imposta dovuta.
l comma 3 assoggetta alla sanzione amministrativa da 516 a 2.000 euro il soggetto che non presenta o presenta con indicazioni inesatte la dichiarazione d'inizio di attività.
Il comma 4 persegue le giocate simulate, prevedendo l’applicazione di una sanzione amministrativa pari alla vincita conseguente alla giocata simulata oltre alla chiusura dell'esercizio da tre a sei mesi. In caso di recidiva è disposta la chiusura dell'esercizio da sei mesi ad un anno e la revoca della concessione qualora, dopo l'applicazione di tale sanzione, sia accertata una ulteriore violazione.
Il comma 5 estende i poteri sanzionatori dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato, prevedendo l’applicazione degli articoli 9 (Violazioni degli obblighi relativi alla contabilità) e 11 (Altre violazioni in materia di imposte dirette e di IVA) del D.Lgs. n. 471 del 1997 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi).
Il comma 6 dispone circa l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie in materia di concorsi pronostici e scommesse, prevedendo l’applicazione delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 472 del 1997 e dell’articolo 7, del D.L. n. 269 del 2003 (Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie). Il successivo comma 7, qualora la violazione non sia stata già oggetto di comunicazione di omesso versamento e non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di contestazione, stabilisce la riduzione delle sanzioni (un dodicesimo del minimo) in caso di pagamento entro 30 giorni a seguito del mancato pagamento del tributo (ravvedimento operoso) o (un decimo del minimo) qualora la regolarizzazione delle violazioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro un anno dalla violazione.
Infine il comma 8 dispone che il pagamento della sanzione ridotta deve essere eseguito contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti, nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno.
Il successivo comma 72, sostituendo il comma 5-bis dell'articolo 38 della legge n. 388 del 2000, dispone la decadenza automatica del nulla osta quando gli apparecchi e congegni risultino temporaneamente non collegati alla rete telematica, in considerazione dell'apposizione degli stessi in stato di magazzino, ovvero, di manutenzione straordinaria, per un periodo superiore a 90 giorni, anche non continuativi, in luogo dei 60 giorni precedentemente previsti.
Il D.L. n. 98 del 2011, all’articolo 24, comma 17, prevede che, nelle ipotesi in cui non sia leggibile il contatore degli apparecchi da divertimento, in quanto i dati non siano stati memorizzati, non siano leggibili, risultino memorizzati in modo non corretto o siano stati alterati, l'importo forfetario giornaliero, previsto dall’articolo 39-quater, comma 3, secondo periodo, del D.L. n. 269 del 2003, e definito con decreto direttoriale dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (280 euro per apparecchio) sia raddoppiato.
Il successivo comma 18, novellando l’articolo 39-quinquies del D.L. n. 269 del 2003, provvede a raddoppiare le sanzioni previste per gli apparecchi che erogano vincite in denaro privi del necessario nulla osta e nelle ipotesi di apparecchi e congegni muniti del nulla osta il cui esercizio sia qualificabile come illecito civile, penale o amministrativo.
Tali sanzioni – precedentemente indicate in un importo variabile dal 120 al 240 per cento del PREU dovuto, con un minimo di 1.000 euro - vengono elevate ad un importo che va dal 240 al 480 per cento dell'ammontare del PREU dovuto, con un importo minimo di 5.000 euro.
L’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 ha provveduto - ai commi 21 e 22 - ad inasprire le sanzioni. In particolare:
Il comma 9-quinquies dell’articolo 10 del D.L. n. 16 del 2012, novellando l’articolo 110 del R.D. n. 773/1931, comma 9, lettera e), dispone che nel caso in cui la reiterazione di una violazione delle norme in materia di installazione di apparecchi da gioco sia commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica, la sanzione della preclusione alla concessione di nuove autorizzazioni per cinque anni si applica alla persona giuridica o all'ente.
Il D.L. n. 158 del 2012, all’articolo 7, comma 6, prevede la sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro per il committente del messaggio pubblicitario e per il proprietario del mezzo di comunicazione in caso di violazione delle norme sui messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro, nonché la sanzione amministrativa di 50.000 euro nei confronti del concessionario degli apparecchi di gioco, del titolare della sala o del punto di raccolta dei giochi (relativamente agli apparecchi AWP e VLT), del titolare del punto vendita delle scommesse, se diverso dal concessionario che non abbia ottemperato alle informazioni sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita.
L’articolo 39 del D.L. n. 269 del 2003, al comma 13, ha stabilito che agli apparecchi e congegni indicati all'articolo 110, comma 6, del TULPS (R.D. n. 773/1931) collegati in rete, vale a dire le videolottery (VLT) e le newslot (AWP), si applichi un prelievo erariale unico fissato originariamente in misura del 13,5 per cento delle somme giocate, dovuto dal soggetto al quale l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) ha rilasciato il nulla osta. Successivamente l’articolo 30-bis del D.L. n. 185 del 2008 ha stabilito che, con decorrenza dal 1° gennaio 2009, il prelievo erariale unico sia determinato applicando, in capo ai singoli soggetti passivi d'imposta, determinate aliquote per scaglioni riferiti alla raccolta delle somme giocate, varianti dal 12,6 all’8 per cento:
Con il decreto direttoriale AAMS 12 ottobre 2011 (G.U. n. 265 del 14 novembre 2011), in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 3, del D.L. n. 138 del 2011, sono stati individuati gli interventi in materia di giochi pubblici utili per assicurare le maggiori entrate da esso previste. L’articolo 5 del decreto direttoriale dispone la variazione della misura del prelievo erariale unico (PREU). In particolare la misura del PREU sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera a), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. newslot - AWP), viene variata, ai sensi del comma 2: a decorrere dal 1° gennaio 2012 e fino al 31 dicembre 2012, al fine di consentire i necessari adeguamenti tecnologici dei suddetti apparecchi, necessari per dare attuazione alla variazione della quota destinata alle vincite di cui alla successiva lettera b), si applica un prelievo dell'11,80 per cento sull'ammontare delle somme giocate; a decorrere dal 1° gennaio 2013 la percentuale destinata alle vincite (pay-out) è fissata in misura non inferiore al 74 per cento e, per gli anni 2013 e 2014, si applica un prelievo del 12,70 per cento sull'ammontare delle somme giocate; a decorrere dal 1° gennaio 2015, il prelievo sulla raccolta di gioco è fissato nella misura del 13 per cento delle somme giocate.
La misura del prelievo sugli apparecchi di cui all'articolo 110, comma 6, lettera b), del R.D. n. 773 del 1931 (c.d. videolottery – VLT), è determinata, ai sensi del comma 1, come segue:
L'applicazione del prelievo del 6 per cento sulla parte delle vincite eccedenti i 500 euro riguarda Videolottery, Gratta e Vinci e SuperEnalotto (e giochi accessori, comprensivi della modalità online, come il Win for Life, e il “Si vince tutto"). Il prelievo del 6 per cento non riguarda le seguenti categorie di gioco: scommesse ippiche e sportive, Bingo, lotterie tradizionali (Lotteria Italia) e tutti i giochi a distanza (esclusi quelli sopra menzionati) che restano soggetti all’attuale normativa di settore.
Inoltre la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 475, attraverso una modifica all’articolo 110, comma 7, del TULPS, ricomprende tra gli apparecchi per il gioco lecito senza vincita in denaro (indicati dal comma 7) gli apparecchi meccanici ed elettromeccanici - differenti dagli apparecchi di cui alle lettere a) e c) del medesimo comma 7 - attivabili con moneta, gettone ovvero con altri strumenti elettronici di pagamento e che possono distribuire tagliandi direttamente e immediatamente dopo la conclusione della partita (lettera c-bis), nonché gli apparecchi, meccanici ed elettromeccanici, per i quali l'accesso al gioco è regolato senza introduzione di denaro ma con utilizzo a tempo o a scopo (lettera c-ter). La disposizione prevede inoltre l’emanazione di un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze per la definizione delle regole tecniche per la produzione di tutte le tipologie di apparecchi senza vincite in denaro e la regolamentazione amministrativa. Si dispone inoltre il divieto del loro utilizzo per manifestazioni a premio e se ne definisce l’ammontare dei premi. Infine vengono introdotte sanzioni per violazioni sulla distribuzione, installazione o utilizzo di tutte le tipologie di apparecchi da gioco e in particolare delle video-lottery.
Per quanto riguarda le altre forme di gioco di segnala che, relativamente al gioco del Bingo il decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, determinava l’ammontare del prelievo erariale nella misura del 20% delle somme giocate. Al fine di rilanciare il gioco attraverso un aumento della quota destinata al montepremi, il D.L. n. 39 del 2009, art. 12, lett. p-bis), disponeva, in via sperimentale, una riduzione della quota destinata al prelievo erariale all’11 per cento della raccolta. Da ultimo, l’articolo 10, comma 9-septies, del D.L. n. 16 del 2012 ha posto a regime tale variazione.
Nella successiva tavola sono posti a raffronto, per ciascuna tipologia di gioco, la base imponibile e le diverse aliquote di quota destinata all’erario:
GIOCHI |
BASE IMPONIBILE |
ALIQUOTA |
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LOTTO |
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Lotto tradizionale |
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"differenziale per il banco" |
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10 e Lotto |
|
"differenziale per il banco" |
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GIOCHI NUMERICI A TOT. NAZ |
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Superenalotto |
raccolta |
53,62% |
|
Superstar |
raccolta |
38,27% |
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Vinci per la vita – Win for Life |
raccolta |
23,27% |
|
LOTTERIE |
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Lotterie differite |
|
valore residuale |
|
Lotterie istantanee |
|
valore residuale |
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GIOCHI A BASE SPORTIVA |
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Concorsi pronostici |
ammontare della somma giocata al netto di diritti fissi e compensi ai ricevitori |
33,84% |
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Scommesse a quota fissa |
ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa |
da 3% a 2% fino a 7 eventi; da 8% a 5,50% oltre 7 eventi |
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Scommesse a totalizzatore |
ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa |
20,00% |
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GIOCHI A BASE IPPICA |
|
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Ippica Nazionale |
ammontare della somma giocata per ciascuna scommessa |
6,00% |
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Scommesse ippiche |
quota di prelievo stabilita per ciascuna scommessa |
15,70% |
|
V7 |
posta di gioco |
15,00% |
|
BINGO |
|
|
|
Bingo |
prezzo di vendita delle cartelle |
11,00% |
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APPARECCHI |
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Apparecchi comma 6a (AWP) |
somme giocate |
2012: 2013 – 2014: dal 2015: |
11,80% 12,70% 13,00% |
Apparecchi comma 6b (VLT) |
importo totale della raccolta di gioco costituita dalle somme puntate per attivare ogni singola partita |
2012: dal 2013: |
4,00% 5,00% |
Apparecchi comma 7 |
imponibile medio annuo forfetario |
8,00% |
|
GIOCHI DI ABILITA' A DISTANZA (SKILL GAMES) |
|
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Giochi di abilità a distanza |
somma giocata |
3,00% |
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GIOCHI DI CARTE E GIOCHI DI SORTE A QUOTA FISSA |
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Poker cash |
quota raccolta non restituita al giocatore (margine lordo del concessionario) |
20,00% |
Si ricorda infine che l’articolo 24 del D.L. n. 98, al comma 32 dispone che un importo pari al 3 per cento delle spese annue per la pubblicità dei prodotti di gioco, previste a carico dei concessionari relativamente al gioco del lotto, alle lotterie istantanee ed ai giochi numerici a totalizzatore, è destinato al finanziamento della “carta acquisti”, finalizzata all'acquisto di beni e servizi a favore dei cittadini residenti che versano in condizione di maggior disagio economico.
Le disposizioni legislative introdotte negli ultimi anni sono state spesso conseguenza di sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea o di procedure di messa in mora da parte della Commissione europea, per violazione dei principi comunitari relativamente, ad esempio, alla trasparenza e all’obbligo di garantire un adeguato livello di pubblicità, oppure per violazione degli obblighi comunitari stessi, come nel caso di rinnovo di assegnazione di concessioni senza il ricorso ad una procedura di evidenza pubblica.
La giurisprudenza della Corte di giustizia sul regime concessorio dei giochi e delle scommesse
La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 febbraio 2012 nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10 (sentenza Costa-Cifone) ha stabilito la compatibilità di un regime di monopolio in favore dello Stato e di un sistema di concessioni e autorizzazioni nel settore dei giochi e delle scommesse, purché siano rispettati i principi comunitari in materia di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, parità di trattamento degli operatori - attraverso il principio di equivalenza e di effettività – e proporzionalità, assicurando inoltre il rispetto della certezza del diritto e del dovere di trasparenza.
E’ quindi possibile offrire esclusivamente le tipologie di giochi figuranti in un elenco, sanzionando con la decadenza della concessione l’offerta di qualsiasi altro gioco, purché le decisioni amministrative relative alla redazione dell’elenco siano basate su criteri obiettivi, non discriminatori e noti in anticipo, e possano essere oggetto di un rimedio giurisdizionale. E’ inoltre possibile prevedere la decadenza di una concessione di gioco quando nei confronti del concessionario, del legale rappresentante o degli amministratori del concessionario siano state adottate misure cautelari o provvedimenti di rinvio a giudizio nell’ambito di un determinato procedimento penale, purché questa ipotesi sia definita con riferimento a fattispecie penali collegate all’attività di gioco e chiaramente definite.
L’assegnazione delle concessioni
Un primo intervento (decreto-legge n. 149 del 2008), in attesa della piena operatività dell’assegnazione in concessione della gestione dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, ha prorogato sino al 1° luglio 2009 l’affidamento della gestione del gioco dell’Enalotto all’attuale concessionario (Sisal S.p.A.). Il successivo articolo 1-bis è intervenuto nel settore delle scommesse ippiche, autorizzando l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) a realizzare una apposita procedura selettiva, aperta ai soggetti italiani ovvero di altri Stati dell’Unione europea, per la concessione fino al 30 giugno 2016 del diritto di esercizio e raccolta in rete di giochi su base ippica e sportiva nel limite massimo di 3.000 soggetti abilitati alla raccolta. Le concessioni sono aggiudicate, fino al loro esaurimento, alle offerte che risultano economicamente più elevate rispetto ad una base di 85.000 euro. Nel caso in cui gli aggiudicatari per concessione precedentemente conseguita siano soggetti già titolari di diritti di esercizio e raccolta in rete di scommesse su base ippica o sportiva, viene prevista una riduzione del 25% dell’importo offerto.
L’assegnazione di 200 nuove concessioni novennali sono state previste dalla legge comunitaria per il 2008 (legge n. 88 del 2009) che, al fine di contrastare la diffusione del gioco irregolare ed illegale, è intervenuta sulla materia dei giochi a distanza (giochi on line), prevedendo l’emanazione di regolamenti atti a disciplinare ex novo o ad ampliare le disposizioni circa l’esercizio e la raccolta a distanza dei seguenti giochi: scommesse, a quota fissa e a totalizzatore, su eventi, anche simulati; sportivi, inclusi quelli relativi alle corse dei cavalli, nonché su altri eventi; concorsi a pronostici sportivi e ippici; giochi di ippica nazionale; giochi di abilità; scommesse a quota fissa con interazione diretta tra i giocatori; bingo; giochi numerici a totalizzatore nazionale; lotterie ad estrazione istantanea e differita.
L’istituzione di singoli giochi, la definizione delle condizioni generali di gioco, delle relative regole tecniche e della posta unitaria di partecipazione al gioco, l’individuazione della misura di aggi, diritti o proventi da corrispondere in caso di organizzazione indiretta del gioco, nonché la variazione della misura del prelievo, nell’ambito della misura massima prevista per ciascun gioco, sono demandati a provvedimenti del direttore generale dell’Amministrazioneautonoma dei monopoli di Stato. Con decreto AAMS del 8 febbraio 2011 sono state definite le modalità per la concessione per l'esercizio e la raccolta del gioco a distanza, mentre con decreto AAMS dell’11 maggio 2011 sono state disciplinate le caratteristiche tecniche per la raccolta delle lotterie ad estrazione istantanea con partecipazione a distanza.
Inoltre i nuovi concessionari sono tenuti a operare tramite il sistema centrale dell’AAMS, mentre il giocatore deve stipulare con il concessionario un apposito contratto di “conto di gioco”, cioè un conto intestato al giocatore sul quale sono registrate le operazioni derivanti dall'esecuzione del contratto di conto di gioco, incluse le giocate e le vincite delle lotterie telematiche, che deve peraltro contenere un meccanismo di autolimitazione o di autoesclusione del giocatore dal gioco.
Infine il comma 27 dell’articolo 24 della legge n. 88 del 2009 demanda ad un regolamento la disciplina dei tornei non a distanza di poker sportivo.
Al fine di assicurare maggiori entrate da destinare alla copertura degli oneri recati dal D.L. 39/2009(decreto terremoto Abruzzo), l’articolo 12 del decreto stesso ha autorizzato l’AAMS, tra l'altro: a indire nuove lotterie ad estrazione istantanea (“Gratta e vinci”); ad adottare ulteriori modalità di gioco del Lotto nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, inclusa la possibilità di più estrazioni giornaliere; a prevedere per le scommesse a quota fissa l’aliquota d’imposta unica sulle giocate pari al 20 per cento della raccolta, nonché fissare la posta unitaria di gioco in 1 euro; a prevedere poteri di controllo più penetranti da parte dei concessionari della rete telematica e maggiori sanzioni nei confronti dei gestori di macchinette da gioco; a rideterminare le forme della comunicazione preventiva di avvio dei concorsi a premio al fine di contrastare concorsi a premio che mascherino giochi gestiti dall’AAMS; a introdurre sperimentalmente ed avviare a regime sistemi di gioco (c.d. "video lotteries") caratterizzati dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali in ambienti dedicati, dalla generazione remota e casuale di combinazioni vincenti, anche numeriche, nonché dalla restituzione di vincite ciclicamente non inferiori all’ottantacinque per cento delle somme giocate.
Il D.L. n. 78 del 2009 all'articolo 21 ha previsto l’avvio da parte di AAMS di procedure per il rilascio di concessioni per le lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita, specificando, in particolare (commi da 1 a 3) che dovrà sempre avvenire mediante procedure aperte, competitive e non discriminatorie secondo la normativa comunitaria e nazionale. In vista della scadenza al 31 maggio 2010 della concessione attribuita per la raccolta delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea e differita,l’A.A.M.S. avvia entro il 31 luglio 2009 (30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto) le procedure per la tempestiva aggiudicazione della concessione – della durata massima pari a 9 anni suddivisi in due periodi, rispettivamente, di 5 e 4 anni e rinnovabili per non più di una volta - comprensiva anche della raccolta a distanza di tali lotterie, agli operatori di gioco, nazionali e comunitari, individuati in numero non superiore a 4, in possesso di idonei requisiti di affidabilità morale, tecnica ed economica, mediante selezione concorrenziale basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Dopo aver effettuato la gara, la gestione delle lotterie istantanee, già effettuata dal Consorzio Lotterie Nazionali, dal 1° ottobre 2010 viene svolta dal concessionario “Lotterie Nazionali S.r.l.”.
Il D.L. n. 40 del 2010 è intervenuto in merito all’esercizio dell'attività di gioco disponendo che la raccolta del gioco a distanza con vincita in denaro effettuata da parte dei soggetti concessionari sia limitata (articolo 2, comma 2-bis) alle sedi e con le modalità previste dalla relativa convenzione di concessione; è previsto che la licenza per l'esercizio delle scommesse sia richiesta anche per la gestione delle sale ove si installano apparecchi idonei per il gioco lecito facenti parte della rete telematica (articolo 2, comma 2-quater); è infine differito il termine per l’avvio delle procedure per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito (articolo 2, comma 2-sexies).
La legge di stabilità 2011 (legge 220/2010) all’articolo 1, comma 77, prevede che l’A.A.M.S. avvii l’aggiornamento dello schema tipo di convenzione accessiva alle concessione per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici. Ilsuccessivo comma 78 reca l’elenco analitico dei requisiti (6 tipologie) che debbono possedere i concessionari dei giochi che accettino di sottoscrivere tale convenzioni e dei relativi obblighi (26 tipologie) cui gli stessi sono tenuti ad adempiere.
Inoltre il comma 82, novellando la legge finanziaria per il 2006 prevede che presso l’A.A.M.S., venga istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2011, un elenco riportante:
Vengono infine disciplinate la tenuta del relativo elenco e le modalità di iscrizione allo stesso, nonché la revoca della concessione in casi particolari.
Con l'articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 sono state adottate numerose disposizioni in materia di giochi, che riguardano, in particolare, i requisiti sia per la partecipazione a gare e per il rilascio di concessioni in materia di giochi (commi 24-27), nonché alla conduzione di esercizi di gioco pubblico (comma 28) e l’iscrizione all’elenco degli operatori (comma 41). Sono altresì previste norme sulle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento (commi 35 e 36) e la messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi in luoghi pubblici (commi 37 e 38).
Viene istituito il Bingo a distanza (comma 33) e regolamentato, al comma 34, il “poker sportivo” (cioè i tornei non a distanza di poker, in sostanza le normali partite a poker che si svolgevano in modo illegale presso numerosi circoli), e sono previste nuove formule di gioco per il Lotto e i giochi numerici a totalizzatore nazionale, tra cui l'introduzione, in via definitiva, del concorso speciale del gioco Enalotto (commi 39 e 40).
In particolare il comma 24, novellandol'articolo 2 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, estende l’ambito dei soggetti nei cui confronti devono essere effettuati gli accertamenti antimafia anche con riferimento alla materia dei giochi pubblici, prevedendo che, nel caso di società di capitali concessionarie nel settore dei giochi pubblici, la documentazione concernente i “requisiti antimafia” prevista dal regolamento stesso, debba essere riferita anche ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 2 per cento, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Nell'ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre società di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dell'organo di amministrazione della società socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale società, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.
Il successivo comma 25non consente la partecipazione a gare né il rilascio o rinnovo di concessioni in materia di giochi pubblici al soggetto il cui titolare o il rappresentante legale risulti condannato anche con sentenza non definitiva, ovvero imputato o indagato per reati di associazione a delinquere (art. 416 c.p.), mafia (art. 416-bis c.p.), ricettazione (art. 648 c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.) o impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.) ovvero, se commesso all’estero, per un delitto di criminalità organizzata o di riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite.
Il medesimo divieto si applica anche al soggetto partecipato in misura superiore al 2 per cento del capitale o patrimonio da persone fisiche condannate, imputate o indagate, per uno dei predetti delitti.
A tal fine il comma 26 stabilisce che i soggetti, costituiti in forma di società di capitali, che partecipano a gare o a procedure ad evidenza pubblica nel settore dei giochi pubblici, devono dichiarare il nominativo dei soggetti che detengono una partecipazione superiore al 2 per cento; in caso di dichiarazione mendace è disposta l’esclusione dalla gara in qualsiasi momento della procedura. La revoca è comunque disposta qualora nel corso della concessione vengono meno i requisiti previsti. Per le concessioni in corso tale dichiarazione è richiesta in sede di rinnovo.
Sono definiti i requisiti per la conduzione di esercizi di gioco pubblico, escludendo dalla possibilità di essere titolari o conduttori di esercizi commerciali, locali o altri spazi in cui sia offerto gioco pubblico le persone nei cui confronti sussistano le condizioni ostative di cui all'articolo 10 della legge n. 575 del 1965 (Legge antimafia) e le società o imprese sulle quali penda la sussistenza di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa.
Per quanto riguarda la regolamentazione del “poker sportivo non a distanza” si prevedeva l'aggiudicazione, tramite gara da bandire entro il 1° gennaio 2013 (termine così indicato, da ultimo, dall’articolo 10, comma 8-bis, del D.L. n. 16/2012), di concessioni novennali per l’esercizio del poker sportivo, in numero non superiore a 1.000; i punti di esercizio sono aggiudicati ai soggetti che abbiano presentato le offerte economicamente più elevate rispetto ad una base di 100.000 euro. Ad oggi tale gara non risulta espletata.
Quanto alle procedure selettive di affidamento in concessione della rete telematica degli apparecchi da divertimento ed intrattenimento, il comma 35 stabilisce che entro il 30 settembre 2011 l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) avvii le procedure occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito prevedendo:
Bandita la gara l’8 agosto 2011, in data 23 dicembre 2011 l’AAMS ha provveduto all’aggiudicazione della concessione per la realizzazione e conduzione della rete telematica del gioco lecito mediante apparecchi da intrattenimento.
In vista della successiva gara per l’affidamento in concessione degli apparecchi da gioco, il comma 36 prevede l’istituzione di un contributo una tantum nella misura di 100 euro per ogni apparecchio installato a carico dei soggetti aggiudicatari delle relative procedure di gara sugli apparecchi per il gioco lecito che consentono vincite in denaro ex art. 110, co. 6 del T.U.L.P.S., comunemente definiti New Slot o AWP (Amusement with Price).
I commi 37 e 38 disponevano in ordine alla procedura di messa a gara di ulteriori 7.000 punti vendita di giochi pubblici. Tali disposizioni sono state successivamente abrogate dall’articolo 10, comma 9-novies, del D.L. 16 de 2012, che ha provveduto a ridisciplinare provvisoriamente la materia delle gare per la assegnazione di nuove concessioni.
Sono poi disciplinate le forme di manutenzione dei giochi del lotto e dei giochi numerici a totalizzatore nazionale, prevedendo che l’Amministrazione autonoma del monopoli di Stato (AAMS) stabilisca con propri provvedimenti innovazioni da apportare al gioco del lotto attraverso:
Con Decreto Agenzia delle dogane e monopoli prot. 2013/2937 del 23 gennaio 2013 sono state definite le caratteristiche tecniche per la raccolta del gioco del Lotto in tutte le sue modalità con partecipazione a distanza,
Il comma 40 prevede invece l’introduzione di innovazioni da apportare ai giochi numerici a totalizzatore nazionale attraverso:
Il D.L. n. 138 del 2011 ha attribuito all'AAMS il compito di emanare disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate. In attuazione di questa norma il decreto 12 ottobre 2011 dell'AAMS ha individuato le seguenti linee di intervento:
Il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 10) ha previsto il parere obbligatorio del Consiglio di Stato sugli schemi degli atti di gara per il rilascio di concessioni in materia di giochi pubblici nonché sugli schemi di provvedimento di definizione dei criteri per la valutazione dei requisiti di solidità patrimoniale dei concessionari. Il controllo della documentazione antimafia è stato esteso anche ai familiari dei rappresentanti legali delle società concessionarie; mentre è preclusa la partecipazione alle gare nel settore dei giochi anche nel caso in cui i reati che vengono contestati siano stati commessi o contestati ai familiari dei rappresentanti legali delle società partecipanti.
Sono inoltre previste misure per la razionalizzazione e l’efficientamento delle scommesse ippiche e per il rilancio del settore ippico. In particolare il comma 3 affida ad un regolamento (non ancora emanato) la revisione del D.P.R. 169/1998, di disciplina dei giochi e delle scommesse relative alle corse ai cavalli, individuando le finalità alle quali attenersi nell’opera di riordino, mentre il comma 4 indica l’importo della posta unitaria minima di gioco per le scommesse sulle corse dei cavalli in 5 centesimi.
Il successivo comma 8sopprime la facoltà (prevista dal D.L. n. 39/2009) per l’AAMS di attivare nuovi giochi di sorte legati al consumo, cioè le c.d. «lotterie da supermercato», consistenti nella possibilità per il giocatore di utilizzare il resto corrisposto alla cassa per sfidare la sorte.
Con il comma 9-bis si è provveduto ad allineare la normativa italiana con quella degli altri paesi che concorrono in ambito europeo alla realizzazione della nuova formula di “gioco europea”, disponendo la destinazione a montepremi delle vincite, pari o superiori a 10 milioni di euro, non riscosse nei termini di decadenza previsti dal regolamento di gioco.
Infine, - in attesa del riordino delle norme in materia di gioco pubblico e al fine di adeguare ai principi stabiliti dalla citata giurisprudenza comunitaria la normativa nazionale di selezione dei soggetti che, per conto dello Stato, raccolgono scommesse su eventi sportivi, inclusi quelli ippici, e non sportivi, e considerando che sono in scadenza circa 1.000 concessioni ippiche e/o sportive - al comma 9-octies si dispone che l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) bandisca – non oltre il 31 luglio 2012 - una gara per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse su eventi sportivi, inclusi quelli ippici, e non sportivi per l’attribuzione di un numero massimo di 2.000 di concessioni, con scadenza al 30 giugno 2016, per la raccolta, esclusivamente in rete fisica, di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi presso agenzie. Il bando di gara è stato pubblicato il 31 luglio 2012 e l’iter di assegnazione risulta ancora in corso.
Infine il comma 9-novies dispone che i concessionari per la raccolta delle scommesse su eventi sportivi, inclusi quelli ippici, e non sportivi in scadenza alla data del 30 giugno 2012 proseguono le loro attività di raccolta fino alla data di sottoscrizione delle concessioni accessive alle concessioni aggiudicate ai sensi del comma 9-octies.
Si segnala, infine, la disposizione contenuta all’articolo 7, comma 10, del D.L. n. 158 del 2012, che prevede la pianificazione dal parte dell’AAMS di una progressiva ricollocazione degli apparecchi di gioco a moneta (AWP – c.d. newslot), territorialmente prossimi a istituti scolastici primari e secondari, strutture sanitarie ed ospedaliere, luoghi di culto, relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Si ricorda, peraltro, che la Commissione VI Finanze, il 21 dicembre 2011, ha approvato la risoluzione 7-00731 Bernardo sugli interventi nei settori dei giochi e dei tabacchi. La risoluzione invita il Governo a procedere sotto diversi profili, agevolando in primo luogo il dialogo tra l'AAMS ed i soggetti imprenditoriali operanti nel settore. Per quanto concerne l'aumento del PREU sul settore dei giochi, si invita il Governo a valutarne le possibile ricadute sia per scongiurare che un inasprimento del regime tributario possa indurre un ampliamento del gioco illegale, sia al fine di evitare l'insorgere di contenziosi tra l'amministrazione e gli operatori del settore, determinati da una sostanziale delegificazione che, in particolare per quanto riguarda gli aspetti tributari, potrebbe risultare problematica. Con specifico riferimento ai profili tributari, la risoluzione invita il Governo a verificare la possibilità di eliminare la diversificazione nel regime di prelievo dei giochi on-line rispetto ai giochi cosiddetti «fisici»..
Si segnala, infine, che, il 10 novembre 2011 la Commissione Finanze ha approvato il documento finale sul Libro verde sul gioco d'azzardo on-line nel mercato interno invita il Governo, tra l’altro, ad adoperarsi affinché siano rinforzati gli strumenti per un più rigoroso contrasto di tutte le forme di gioco illegali o prive di titolo pubblico; - sia ribadita la fondatezza e la compatibilità con i principi dell'Unione europea dell'assetto concessorio adottato dall'ordinamento italiano; sia riconosciuto il diritto di ciascuno Stato membro dell'Unione europea ad assoggettare gli operatori titolari di un'autorizzazione o concessione rilasciata da altro Stato membro che offrano servizi di gioco d'azzardo via internet anche in quest'ultimo Stato, a requisiti ed obblighi riconducibili alla tutela di interessi pubblici, quali: la valutazione delle qualifiche professionali e dell'integrità degli operatori stessi; la protezione dei consumatori contro i rischi di frode; il contrasto alle infiltrazioni del settore da parte della criminalità organizzata; la lotta alle diverse forme di dipendenza patologica dal gioco; sia adottata una nozione di «servizio di gioco d'azzardo on-line» ampia, che ricomprenda servizi quali le scommesse sportive anche nel settore ippico, i giochi da casinò, le scommesse con spread (o spread betting), i giochi multimediali o promozionali, i servizi di gioco d'azzardo gestiti da e a beneficio di associazioni di beneficenza e organizzazioni senza scopo di lucro, le lotterie; - siano rafforzati i meccanismi di identificazione dei titolari dei conti di gioco.
La tutela dei minori
Alcune disposizioni in tema di tutela dei minori erano originariamente contenute all’articolo 110, commi 8 e 8-bis, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773 del 1931).
Dopo aver ricompreso l'esclusione dall'accesso al gioco nei confronti dei minori in diverse disposizioni legislative in cui si delineavano le finalità dell’intervento, oppure si indicavano gli obblighi ai quali si sarebbe dovuto sottoporre il concessionario, con l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011 il legislatore, oltre a ribadire al comma 20 il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ha provveduto - ai successivi commi 21 e 22 - ad inasprire le sanzioni. In particolare:
Da ultimo, l’articolo 7, comma 8, del D.L. n. 158 del 2012 prevede il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale Bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi VLT (video lottery) e nei punti vendita in cui si esercita – quale attività principale – quella di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi. Il titolare dell'esercizio commerciale, del locale ovvero del punto di offerta del gioco con vincite in denaro è tenuto ad identificare i minori di età mediante richiesta di esibizione di un documento di identità, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta.
Si segnala, infine, che l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato in collaborazione con la Polizia di Stato, ha sviluppato il progetto educativo “Gioco on-line: rischi e pericoli” al fine di porre l’accento sul divieto per i minori di partecipare a tutte quelle forme di gioco che prevedono vincite in denaro, e di sensibilizzare circa i rischi e i pericoli che derivano da un accesso irresponsabile o improprio al gioco on line.
La ludopatia
La legge di stabilità 2011 (legge n. 220 del 2010), all’articolo 1, comma 70, primo periodo, ha previsto che con decreto interdirigenziale dell’AAMS e del Ministero della salute fossero adottate, d'intesa con la Conferenza unificata, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, linee d'azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo. Lo schema di decreto, trasmesso nel mese di giugno 2011, è tuttora all’esame della Conferenza unificata. La legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), all’articolo 1, comma 391, ha prorogato il termine per l’emanazione del decreto al 30 giugno 2013.
Successivamente è intervenuto l’articolo 24 del D.L. n. 98 del 2011, il quale, al comma 23, ha disposto che, ai fini del miglior conseguimento degli obiettivi di tutela del giocatore e di contrasto ai fenomeni di ludopatia connessi alle attività di gioco, l’AAMS, nell'ambito degli ordinari stanziamenti del proprio bilancio, avvii, in via sperimentale, anche avvalendosi delle strutture operative del partner tecnologico, procedure di analisi e verifica dei comportamenti di gioco volti ad introdurre misure di prevenzione dei fenomeni ludopatici.
L’articolo 7, comma 5-bis, del D.L. n. 158 del 2012 reca una disposizione di indirizzo, ai sensi della quale il Ministero dell’istruzione segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del gioco responsabile affinché gli istituti, nell’ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all’abuso o all’errata percezione del medesimo.
Da ultimo, l’articolo 7, comma 5, del D.L. n. 158 del 2012 prevede l’obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita):
In caso di inosservanza di tali disposizioni è prevista la sanzione amministrativa di 50.000 euro nei confronti del concessionario degli apparecchi di gioco, del titolare della sala o del punto di raccolta dei giochi (relativamente agli apparecchi AWP e VLT), del titolare del punto vendita delle scommesse, se diverso dal concessionario (comma 6).
Per quanto riguarda i giochi on line, si ricorda che la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) all’articolo 24, comma 17, prevede che i concessionari adottino ovvero mettano a disposizione strumenti ed accorgimenti per l’autolimitazione ovvero per l’autoesclusione dal gioco, l’esclusione dall’accesso al gioco da parte di minori, nonché l’esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario (lettera e). Inoltre la successiva lettera h) attraverso il c.d. “conto di gioco” crea una sorta di autolimitazione obbligatoria per il giocatore, in quanto al momento dell’apertura del conto stabilisce i propri limiti di spesa settimanale o mensile, con conseguente inibizione dell’accesso al sistema in caso di raggiungimento della soglia predefinita. Per i giocatori è prevista anche la facoltà di auto-esclusione dal sito del concessionario, con conseguente impedimento ad un nuovo accesso. Peraltro, attraverso l’anagrafe dei conti di gioco, viene monitorata l’attività di ciascun giocatore, in quanto all’apertura del conto il giocate deve fornire il proprio codice fiscale (che viene incrociato con la banca dati SOGEI al fine di verificarne l’effettiva esistenza) e il sistema di controllo permette di tracciare e memorizzare in modo nominativo tutte le transazioni di gioco dei giocatori italiani.
Si segnala che gli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo sono stati oggetto di una indagine conoscitiva svolta dalla XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati.
In occasione dell’audizione in Commissione Affari sociali della Camera nell'ambito di tale indagine conoscitiva la Conferenza delle Regioni ha approvato una relazione sul gioco d'azzardo patologico. Nel documento le Regioni fanno notare come non esiste un quadro normativo di riferimento che definisca il gioco d'azzardo patologico come un problema di salute e ne stabilisca la responsabilità della cura. Di conseguenza le iniziative di prevenzione, cura e assistenza alle persone con problemi di gioco d'azzardo patologico (Gap) e dei loro familiari, non essendo inserite nei Lea, sono state lasciate alla sensibilità di alcuni amministratori regionali e di professionisti del settore, sia appartenenti alle Aziende Sanitarie Locali che al privato sociale.
Al riguardo si segnala che l'articolo 5, comma 2, del D.L. n. 158 del 2012 ha previsto l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro.
La pubblicità
Si ricorda, innanzitutto, che l’AAMS non promuove la pubblicità dei prodotti dei giochi pubblici, in quanto essa viene effettuata direttamente dai concessionari, anche se il logo di AAMS figura in esse.
Come riportato nel documento depositato dal direttore pro-tempore delle strategie e dei giochi dell’AAMS, Antonio Tagliaferri, audito il 12 aprile 2012 dalla XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli aspetti sociali e sanitari della dipendenza dal gioco d'azzardo, “i messaggi istituzionali utilizzati dall’Amministrazione sono stati, diretti unicamente alla sensibilizzazione sul gioco responsabile, legale, sulla tutela dei giovani ed in particolare sul divieto di gioco ai minori. Le campagne informative sono sempre state affidate ad esperti del settore educativo, con l’intento di far penetrare un messaggio di responsabilità e di cautela. L’Amministrazione, in ogni caso, per evitare qualunque equivoco, ha richiesto recentemente ai concessionari di eliminare dai loro messaggi pubblicitari i loghi di AAMS e sostituirli con il numero di concessione ministeriale, per consentire comunque ai consumatori di riconoscere e distinguere i prodotti di gioco legale da quelli che non lo sono, mentre il logo istituzionale dell’Amministrazione e quello del gioco legale e responsabile possono rimanere sulla comunicazione istituzionale a carattere sociale, nonché sulle schedine di gioco”.
In merito alle misure finalizzate ad impedire o disincentivare forme di pubblicità sui giochi, il documento precisa che l’AAMS, al fine di disincentivare qualsiasi manifestazione di gioco eccessivo e/o patologico, ha raccomandato ai concessionari di assicurare che i messaggi promozionali all’utenza includessero sempre un diretto ed esplicito riferimento al giocare in modo responsabile non compulsivo.
Il documento sottolinea che l’AAMS, a legislazione vigente, non ha poteri di intervento diretto, né di tipo censorio né di carattere sanzionatorio, sulla pubblicità dei prodotti di gioco. Eventuali modifiche legislative concernenti il comparto non rientrano nella competenza di AAMS e dovrebbero, comunque, essere attentamente ponderate, in quanto un divieto generalizzato di pubblicità – come avviene, ad esempio, per il settore dei tabacchi – potrebbe essere considerato lesivo della libertà d’impresa dalle aziende del settore (specialmente considerando che negli altri Paesi europei tale divieto non esiste, come invece è per i prodotti da fumo); peraltro, una, sia pure ridotta e controllata, forma pubblicitaria dei giochi è ritenuta utile al fine di consentire ai consumatori di poter distinguere l’offerta di giochi legali da quella di giochi illegali e alle aziende che operano legalmente nel settore di farsi conoscere e presentarsi alla luce del sole, a differenza degli operatori del mercato nero.
In ogni caso, da quando è entrata in vigore la legge che vieta ai minori i giochi con vincita in denaro, AAMS ha chiesto ai concessionari di riportare su tutta la comunicazione pubblicitaria sia di prodotto che sociale l’avvertenza scritta o, per gli spot televisivi e radiofonici, espressa a voce che si tratta di gioco vietato ai minori di 18 anni o equivalente.
L'articolo 7, comma 4, del D.L. n. 158 del 2012 dispone che dal 1° gennaio 2013 al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, sono vietati i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; sono peraltro vietati i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco.
Ai sensi del comma 4-bis la pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. Qualora la stessa percentuale non sia definibile, è indicata la percentuale storica per giochi similari. In caso di violazione, il soggetto proponente è obbligato a ripetere la stessa pubblicità secondo modalità, mezzi utilizzati e quantità di annunci identici alla campagna pubblicitaria originaria, indicando nella stessa i requisiti previsti dal presente articolo nonché il fatto che la pubblicità è ripetuta per violazione della normativa di riferimento.
Il comma 6 stabilisce che in caso di violazione dei suddetti divieti è prevista la sanzione amministrativa da 100.000 a 500.000 euro per il committente del messaggio pubblicitario e per il proprietario del mezzo di comunicazione. Si prevede, inoltre, l’obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita sulle schedine e tagliandi dei giochi; sugli apparecchi newslot e nelle sale con videoterminali; nei punti di vendita di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi; nei siti internet destinati all’offerta di giochi con vincite in denaro.
Nel corso della XVI legislatura sono state adottate, in primo luogo, norme volte a razionalizzare l'utilizzo degli immobili pubblici da parte delle pubbliche amministrazioni, con l'obiettivo di unificare in capo ad un unico organo (l'Agenzia del demanio) le procedure riguardanti le locazioni passive e di razionalizzare gli spazi utilizzati dalle medesime amministrazioni. Quanto al processo di valorizzazione e dismissione degli immobili pubblici, sono stati istituiti fondi immobiliari chiusi gestiti da una SGR interamente pubblica.
La XVI Legislatura è stata caratterizzata dall'intento di avviare un processo di valorizzazione e dismissione degli immobili pubblici con il duplice obiettivo di realizzare da un lato dei risparmi di spesa e dall'altro delle nuove entrate con gli introiti derivanti dalle dismissioni. Vista l'impraticabilità di immettere sul mercato un'ingente mole di immobili pubblici si è provveduto all'istituzione di fondi immobiliari chiusi gestiti da una SGR interamente pubblica. A monte di questo processo si pone il tentativo di rafforzare la conoscenza dei dati relativi al patrimonio pubblico, attraverso la previsione dell'obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di trasmettere all'Agenzia del demanio una serie di comunicazioni relative agli immobili da esse utilizzate.
La norma cardine di questo processo di valorizzazione e dismissione degli immobili pubblici è l'articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011 con il quale è stata disciplinata la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti. E' prevista l'istituzione di una Società di gestione del risparmio (SGR) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui conferire immobili oggetto di progetti di valorizzazione. I fondi istituiti dalla SGR possono altresì investire direttamente al fine di acquisire immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni ovvero partecipare a fondi titolari di diritti di concessione o d'uso su beni indisponibili e demaniali, che prevedano la possibilità di locare tutto o in parte il bene oggetto della concessione. Le azioni della SGR possono essere trasferite con D.M. a titolo gratuito all’Agenzia del Demanio; la SGR può avvalersi in via transitoria del personale dell’Agenzia. Il decreto-legge n. 95 del 2012 (c.d. “spending review”) ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio: il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”), nonché diritti reali immobiliari; inoltre, il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”). La legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013, articolo 1, comma 140) ha autorizzato per il 2013 la spesa di 3 milioni di euro per l’apporto al capitale sociale della SGR. La SGR prevista dall’articolo 33 non è stata ancora costituita.
All’Agenzia del demanio è stato attribuito il compito di promuovere idonee iniziative per la valorizzazione, trasformazione, gestione e alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, non solo di proprietà dello Stato e degli enti vigilati, ma soprattutto degli enti territoriali. In particolare l'articolo 33-bis del D. L. n. 98 del 2011 (introdotto dal decreto legge n. 201/2011) ha riconosciuto all’Agenzia del demanio il ruolo di "facilitatore" nella concertazione istituzionale tra tutti i soggetti pubblici interessati a mettere a sistema i propri patrimoni immobiliari, nell’ambito di un progetto comune di sviluppo, valorizzazione e messa a reddito. Qualora si costituiscano delle società, ad esse partecipano i soggetti che apportano i beni e, necessariamente, l’Agenzia del demanio in qualità di finanziatore e di struttura tecnica di supporto. L'articolo 3, comma 15, del D.L. n. 95 del 2012 ha esteso alle società promosse dall'Agenzia del demanio per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, ai sensi dell’articolo 33-bis del D.L. n. n. 98 del 2011, il trattamento fiscale previsto per le Società di investimento immobiliare quotate (SIIQ): al riguardo si segnala l’obbligo di operare una ritenuta del 20 per cento sui dividendi da distribuire ai soci, previsto dal comma 134 della legge n. 296/2006. Analogo regime fiscale si applica anche alle società di gestione del risparmio previste dall’articolo 6, comma 4, della legge n. 183 del 2011.
Nell'ambito del processo di valorizzazione del territorio per il miglior utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico si segnala la disciplina per la formazione di programmi unitari di valorizzazione territoriale per il riutilizzo funzionale e la rigenerazione degli immobili di proprietà di Regioni, Provincie e comuni e di ogni soggetto pubblico, anche statale, proprietario, detentore o gestore di immobili pubblici, nonché degli immobili oggetto di procedure di valorizzazione ai sensi del decreto legislativo sul federalismo demaniale (articolo 3-ter del D.L. 351/2001, introdotto dal D.L. n. 201 del 2011). I PUVAT sono concepiti come strumenti volti a promuovere un processo di valorizzazione unico degli immobili pubblici, in coerenza con gli indirizzi di sviluppo territoriale e con la programmazione economica, fungendo anche da elemento di stimolo e di attrazione di investimenti. Il compito di promuovere l’iniziativa per la formazione del programma in esame è attribuito di norma al Presidente della Giunta regionale, d’intesa con gli enti locali interessati, attraverso lo strumento degli accordi fra amministrazioni. La norma ispira l’attività degli enti territoriali e dello Stato ai principi di cooperazione istituzionale e di copianificazione e al rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché di leale collaborazione tra le istituzioni. Per la realizzazione dei programmi unitari di valorizzazione territoriale è possibile avvalersi di quanto previsto dagli articoli 33 (società di gestione del risparmio) e 33-bis (società, consorzi o fondi immobiliari) del D.L. n. 98 del 2011 e delle procedure di cui all’articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha, infatti, previsto che per procedere al riordino, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di regioni, province, comuni e altri enti locali, ciascun ente individui i singoli beni immobili ricadenti nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle proprie funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione, e predisponga un piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, allegato al bilancio di previsione. Per i soggetti diversi dai comuni, i beni immobili individuati possono essere concessi o locati a privati, a titolo oneroso, per un periodo non superiore a cinquanta anni, ai fini della riqualificazione e riconversione tramite interventi di recupero, restauro e ristrutturazione, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini. Gli enti possono in ogni caso individuare forme di valorizzazione alternative, nel rispetto dei principi di salvaguardia dell'interesse pubblico e mediante l'utilizzo di strumenti competitivi, conferire i propri beni immobili anche residenziali a fondi comuni di investimento immobiliare ovvero promuoverne la costituzione. Tale disposizione è stata modificata dall'articolo 27, comma 1 del D.L. 201/2011, nel senso di consentire anche agli enti partecipati dagli enti territoriali di individuare gli immobili suscettibili di valorizzazione o di dismissione. Inoltre, l’approvazione del Piano da parte del consiglio comunale non costituisce più automaticamente una variante allo strumento urbanistico generale: l’eventuale equivalenza della deliberazione del consiglio è disciplinata dalle Regioni.
Lo strumento dei fondi immobiliari, gestiti da SGR, a cui conferire immobili pubblici è stato in precedenza previsto anche dall’articolo 6 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012). I proventi netti derivanti dalle cessioni delle quote dei fondi o delle azioni delle società sono destinati alla riduzione del debito pubblico. Sono conferiti o trasferiti gli immobili di proprietà dello Stato e una quota non inferiore al 20 per cento delle carceri inutilizzate e dalle caserme assegnate in uso alle forze armate. I fondi istituiti dalla SGR del Ministero dell’Economia possono acquistare immobili ad uso ufficio degli enti territoriali utilizzati dagli stessi o da altre pubbliche amministrazioni, nonché altri immobili di proprietà degli stessi enti di cui sia completato il processo di valorizzazione edilizio-urbanistico. L’articolo 7 dello stesso provvedimento ha disposto l’alienazione a cura dell’Agenzia del Demanio dei terreni agricoli di proprietà dello Stato non utilizzabili per altre finalità istituzionali. Le regioni, le province e i comuni possono vendere, per le finalità e con le modalità stabilite dalla norma in esame, i beni di loro proprietà aventi destinazione agricola, anche avvalendosi dell’Agenzia del Demanio. Sul punto sono intervenuti successivamente l'articolo 27, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011 e l'articolo 66 del decreto legge n. 1 del 2012 (liberalizzazioni): quest'ultimo, in particolare, ha abrogato l'articolo 7 citato e ha introdotto una nuova disciplina di alienazione, in via prioritaria ai giovani agricoltori, dei terreni agricoli di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali non utilizzabili per altre finalità istituzionali;in alternativa alla vendita si potrà disporre la locazione dei terreni.
Nell'ambito della politica di analisi e revisione della spesa pubblica ("spending review") il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato il 30 aprile 2012 una direttiva per tutte le amministrazioni pubbliche, al fine di ridurre la spesa pubblica per un importo complessivo di 4,2 miliardi per l’anno 2012. In particolare, con riferimento agli immobili pubblici, la revisione della spesa dovrà concentrarsi su:
A completamento del quadro sulla valorizzazione degli immobili, si ricorda, che il decreto legislativo n. 85 del 2010, concernente il federalismo demaniale, ha previsto l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, che ne dispongono nell'interesse della collettività rappresentata favorendone la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione. Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento in un apposito patrimonio vincolato, entro il quale, con apposito D.P.C.M., dovranno, altresì, confluire i beni per i quali non sia stata presentata la domanda di attribuzione. Da ultimo, il decreto legge n. 16 del 2012 (semplificazioni fiscali) ha stabilito che nelle more dell'attuazione del federalismo demaniale (in particolare delle disposizioni concernenti il trasferimento di immobili dello Stato a regioni, province e comuni ai sensi dell'articolo 5, commi 1, lett. e, e 5-bis, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85) le amministrazioni competenti proseguono nella piena gestione del patrimonio immobiliare statale, ivi comprese le attività di dismissione e valorizzazione.
A partire dal 1° gennaio 2012, le operazioni di acquisto e vendita degli immobili da parte delle amministrazioni pubbliche centrali sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica da attuarsi con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze (articolo 12, del D.L. n. 98 del 2011). Il D.M. 16 marzo 2012 ha previsto che le amministrazioni comunicano al Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 dicembre di ogni anno un piano triennale di investimento che evidenzi, per ciascun anno, le operazioni di acquisto e di vendita degli immobili. Gli enti comunicano inoltre, entro il 30 giugno di ciascun anno, eventuali aggiornamenti del piano. Il piano distingue, sia per gli acquisti, sia per le vendite, tra operazioni dirette ed operazioni indirette, con separata indicazione delle fonti di finanziamento utilizzate per le operazioni di acquisto e le modalità di utilizzo delle disponibilità liquide provenienti dalle vendite. La realizzazione dei singoli piani è subordinata alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, da effettuarsi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dal termine fissato per la presentazione dei piani.
La legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), intervendendo sull'articolo 12 del D.L. n. 98 del 2011, ha vietato, per l’anno 2013, a tutte le amministrazioni pubbliche di acquistare immobili a titolo oneroso e di stipulare contratti di locazione passiva, salvo il caso di rinnovi ovvero nel caso in cui la locazione sia stipulata, a condizioni più vantaggiose per sostituire immobili dismessi o per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. A decorrere dal 1° gennaio 2014 le operazioni di acquisto di immobili da parte delle amministrazioni pubbliche (compresi gli enti territoriali e gli enti del servizio sanitario nazionale) potranno essere effettuate ove ne sia documentata l’indispensabilità e l’indilazionabilità. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio. Sono fatte salve le operazioni di acquisto destinate a soddisfare le esigenze allocative in materia di edilizia residenziale pubblica, ferma restando la verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica e le finalità di contenimento della spesa pubblica, e le operazioni di acquisto previste in attuazione di programmi e piani concernenti interventi speciali realizzati al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese e di favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona. Con deliberazione del Consiglio dei ministri del 15 febbraio 2013 per i comuni colpiti dal sisma del maggio 2012 è stata disposta una deroga alla norma che vieta per il 2013 l'acquisto e la locazione di immobili.
Per un'efficace e immediata attuazione di quanto previsto in tema di razionalizzazione della spesa delle amministrazioni pubbliche, l'Agenzia del demanio può procedere ad operazioni di permuta di beni del demanio e del patrimonio dello Stato con immobili adeguati all'uso governativo, al fine di rilasciare immobili di terzi in locazione passiva ovvero appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato ritenuti inadeguati (articolo 6, comma 6-ter, del D.L. n. 138 del 2011). Non possono essere permutati i beni immobili trasferibili a Regioni, Province e Comuni sulla base del federalismo demaniale. Il decreto legge n. 1 del 2012 (articolo 56) ha previsto che ove la permuta sia effettuata in aree di particolare disagio e con significativo apporto occupazionale, potranno essere ceduti anche immobili già in uso governativo al massimo per il 75 per cento dell’ammontare, mentre il restante 25 per cento dovrebbe concernere immobili liberi. In altri termini l’operazione potrebbe avere ad oggetto immobili “non liberi” che continuerebbero ad essere utilizzati dallo Stato in regime di locazione anche dopo la cessione.
Per quanto riguarda la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili utilizzati dalle pubbliche amministrazioni l’articolo 12, commi da 2 a 8, del D.L. n. 98 del 2011 ha attribuito all'Agenzia del demanio il compito di gestire in maniera accentrata le relative decisioni di spesa (c.d. "manutentore unico"). ll decreto legge n. 201 del 2011 ha spostato al 1° gennaio 2013 il termine a partire dal quale sono attribuiti tali compiti all’Agenzia del demanio. Il D.L. n. 179 del 2012 ha escluso dalla competenza accentrata dell'Agenzia del demanio la manutenzione relativa agli istituti penitenziari. Con decreto del MEF dell'8 ottobre 2012 sono state definite le attività procedimentali relative alla manutenzione degli immobili pubblici; in particolare, in attuazione dell'articolo 12 del D.L. n. 98/11, sono state disciplinate le attivita' dei Provveditorati alle opere pubbliche e le modalita', i termini, i criteri e le risorse disponibili.
L'Agenzia del demanio può avvalersi di società a totale o prevalente capitale pubblico al fine di individuare gli operatori specializzati nell’esecuzione degli interventi manutentivi sugli immobili in uso alle amministrazioni dello Stato. In tal modo l’Agenzia del demanio operera quale centrale di committenza (articolo 3, comma 12, del D.L. n. 95 del 2012).
Presupposto indispensabile per gestire e valorizzare gli immobili pubblici è quello di averne un quadro conoscitivo chiaro. L’articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) ha introdotto l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche, di trasmettere una serie di comunicazioni all’Agenzia del demanio relativamente agli immobili da esse utilizzati, con l’obiettivo di unificare in capo alla stessa Agenzia le procedure riguardanti le locazioni passive e di razionalizzare gli spazi utilizzati dalle amministrazioni. Sono previsti, inoltre, obblighi di comunicazione da parte delle amministrazioni pubbliche anche al fine di redigere il conto patrimoniale dello Stato a prezzi di mercato. Le amministrazioni dello Stato sono quindi tenute a comunicare all’Agenzia del demanio, entro il 31 gennaio di ogni anno, la previsione triennale del loro fabbisogno di spazio e delle superfici occupate che non risultano più necessarie. Al fine di attuare in modo compiuto tale disposizione, il comma 9 dell’articolo 12 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha disposto che le amministrazioni comunicano annualmente all'Agenzia del demanio, a decorrere dal 1° gennaio 2013, le previsioni relative alle nuove costruzioni, la cui realizzazione sia programmata nel successivo triennio. Sulla base di tali comunicazioni, l'Agenzia elabora un piano di razionalizzazione degli spazi, trasmettendolo alle amministrazioni interessate e al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze.
Il Dipartimento del tesoro ha avviato il progetto “Patrimonio della PA”, ai sensi dell’art. 2, comma 222, della legge finanziaria 2010, finalizzato alla rilevazione annuale delle componenti degli attivi di tutte le amministrazioni pubbliche, sia centrali che locali. Attualmente la rilevazione riguarda i beni immobili (fabbricati e terreni), le concessioni e le partecipazioni. Sulla base delle informazioni ricevute dalle amministrazioni pubbliche che alla data della prima rilevazione hanno inviato i dati al Dipartimento del Tesoro (circa il 53% delle amministrazioni coinvolte), sono state rilevate oltre 530.000 unità immobiliari, per una superficie complessiva di oltre 222 milioni di metri quadrati. Con riferimento alla destinazione d’uso, emerge che il 70% circa della superficie è utilizzato per lo svolgimento dell’attività istituzionale mentre il 9% è destinato all’uso residenziale (percentuale che sale al 47% se espresso in termini di unità immobiliari). L’80% delle unità immobiliari censite è detenuto da amministrazioni locali. Sulla base delle informazioni comunicate e l’utilizzo di prezzi medi di mercato elaborati dall’osservatorio del mercato immobiliare (valori OMI) dell’Agenzia del territorio, una preliminare stima del valore di mercato delle unità immobiliari censite risulta dell’ordine di 340 miliardi di euro. La stima è stata ottenuta valutando gli immobili dello Stato sulla base del valore di bilancio (55 miliardi) e quelli delle altre amministrazioni ai prezzi medi di mercato elaborati dall'OMI (circa 285 miliardi). Si sottolinea che gran parte di detto patrimonio è utilizzato per fini istituzionali e tale elemento ovviamente costituisce un elemento vincolante nell’individuazione di beni da valorizzare e dismettere nell’ambito delle previste operazioni immobiliari.
Per quanto riguarda i terreni, i dati comunicati dalle amministrazioni al 31 marzo 2011 hanno permesso di censire quasi 760.000 terreni per una superficie corrispondente a oltre 1,3 milioni di ettari. La distribuzione dei terreni censiti al 31 marzo 2011 evidenzia che il 98% circa è detenuto dalle amministrazioni locali. Tra queste vi è una netta prevalenza dei comuni (82%) mentre le regioni e province autonome rappresentano circa il 7%. Una preliminare stima del valore dei terreni censiti, elaborata sulla base delle informazioni disponibili e i prezzi medi della banca dati INEA (dati valori fondiari al 2009), risulta dell’ordine di 30 miliardi di euro.
Si segnala che la Commissione finanze della Camera il 19 dicembre 2012 ha approvato la risoluzione n. 7-01074 Bernardo ed altri con la quale impegna il Governo a rafforzare in termini incisivi la disciplina in materia di censimento del patrimonio immobiliare pubblico di cui all'articolo 2, comma 222, della legge n. 191 del 2009, al fine di portare a conclusione tale procedura di rilevazione delle consistenze degli attivi patrimoniali delle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda i fabbricati e i terreni, e di disporre di un insieme esaustivo di dati relativi a tutti gli immobili pubblici, che contenga l'anagrafica completa dei singoli immobili.
Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha introdotto i nuovi commi 222-bis e 222-ter all'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, prevedendo un parametro di riferimento compreso tra 20 e 25 metri quadri per addetto a cui le amministrazioni pubbliche nella gestione dei propri spazi si dovranno uniformare (recependo quanto contenuto nella proposta di legge A.C. 4149 Comaroli), sulla base del quale le amministrazioni interessate devono predisporre, entro il 3 ottobre 2012, piani di razionalizzazione degli spazi. Sono previsti, inoltre, lo scarto annuale degli atti cartacei di archivio e un processo di accorpamento in poli logistici degli archivi di deposito delle amministrazioni.
L’articolo 12 del decreto-legge n. 98 del 2011 ha previsto l'individuazione di un responsabile della comunicazione in relazione ai fabbisogni degli spazi e ha disposto che la violazione dell'obbligo di comunicazione è causa di responsabilità amministrativa. Ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge n. 78 del 2010, qualora nell'attuazione dei piani di razionalizzazione l'amministrazione, per motivi ad essa imputabili, non provvede al rilascio degli immobili utilizzati entro il termine stabilito, su comunicazione dell'Agenzia del demanio il Ministero dell'economia e finanze effettua una riduzione lineare degli stanziamenti di spesa pari all'8 per cento del valore di mercato dell'immobile rapportato al periodo di maggior permanenza.
In relazione alle politiche di contenimento delle locazioni passive da parte delle pubbliche amministrazioni, il direttore dell’Agenzia del demanio, Stefano Scalera, nel corso dell’audizione presso la Commissione Finanze della Camera dei deputati il 22 maggio 2012, ha reso noto che dalle informazioni fornite dalle amministrazioni interessate (ai sensi dall’art. 2, comma 222, della legge 191/2009) risulta un totale di 11.002 occupazioni in immobili di proprietà di terzi. La spesa complessiva annualmente sostenuta per locazioni passive è pari a 1.215 milioni di euro.
Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha disposto, a decorrere dal 1° gennaio 2015, la riduzione del 15% del canone di locazione passiva delle pubbliche amminsitrazioni e delle autorità indipendenti per gli immobili in uso istituzionale. Qualora si tratti di contratti scaduti o rinnovati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, la riduzione si applica immediatamente. Per il triennio 2012-2014 è disposto, inoltre, il blocco degli adeguamenti Istat relativamente ai canoni dovuti dagli stessi soggetti. Le regioni e gli enti locali da un lato, e lo Stato dall'altro, possono concedersi reciprocamente l'uso gratuito dei loro beni immobili per fini istituzionali. Gli enti previdenziali devono comunicare all'Agenzia del demanio gli immobili di loro proprietà, al fine di verificare l'idoneità degli stessi ad essere utilizzati in locazione passiva, a canoni ed oneri agevolati, dalla amministrazioni statali per finalità istituzionali. Sono infine previste specifiche e stringenti condizioni per il rinnovo dei rapporti di locazione: disponibilità delle risorse finanziarie necessarie per il periodo di durata del contratto di locazione; permanenza delle esigenze allocative all’esito dei piani di razionalizzazione nonché di quelli di riorganizzazione e accorpamento delle strutture.
Ai sensi dell’articolo 2, comma 222, terzo e quarto periodo, della legge n. 191 del 2009, a decorrere dal 1° gennaio 2011 l’Agenzia del demanio è individuato come “conduttore unico”, ovvero come il soggetto tenuto a stipulare, per conto delle amministrazioni dello Stato, i contratti di locazione passiva, qualora, all’esito del processo di razionalizzazione degli spazi, dovessero emergere concrete e improcrastinabili esigenze allocative da soddisfare mediante il ricorso al mercato privato, compatibilmente con le misure di contenimento della spesa. Tale disciplina è stata modificata dall'articolo 27, comma 4, del decreto legge n. 201 del 2011, che ha ridimensionato le responsabilità dell'Agenzia del demanio ed ha soppresso il Fondo unico destinato alle spese per canoni di locazioni. L’Agenzia, dopo aver verificato la corrispondenza dei fabbisogni comunicati con gli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, svolge i seguenti compiti:
a) accerta l'esistenza di immobili da assegnare in uso fra quelli di proprietà dello Stato ovvero trasferiti ai fondi immobiliari pubblici (al riguardo si ricorda che con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n. 351 del 2001, è stato istituito il Fondo immobili pubblici);
b) verifica la congruità del canone degli immobili di proprietà di terzi, individuati dalle predette amministrazioni tramite indagini di mercato, attraverso la Commissione per la verifica di congruità delle valutazioni tecnico-economico-estimative, istituita in seno all’Agenzia del demanio ai sensi dell'articolo 1, comma 479, della legge n. 266 del 2005;
c) rilascia il nulla osta alla stipula dei contratti di locazione, ovvero al rinnovo di quelli in scadenza. Le amministrazioni adempiono i contratti sottoscritti, effettuano il pagamento dei canoni di locazione ed assumono ogni responsabilità e onere per l'uso e la custodia degli immobili in locazione.
È nullo ogni contratto di locazione stipulato dalle amministrazioni senza il preventivo nulla osta alla stipula dell'Agenzia del demanio, fatta eccezione per quelli stipulati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dichiarati indispensabili per la protezione degli interessi della sicurezza dello Stato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le amministrazioni hanno l'obbligo di comunicare all'Agenzia del demanio, entro 30 giorni dalla data di stipula, l'avvenuta sottoscrizione del contratto di locazione e di trasmettere alla stessa Agenzia copia del contratto annotato degli estremi di registrazione presso il competente Ufficio dell'Agenzia delle Entrate.
Sul tema è da ultimo intervenuta la legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), il cui comma 139 dell'articolo unico ha previsto l’istituzione nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, a decorrere dal 2013, di un apposito fondo per il pagamento dei canoni di locazione degli immobili conferiti dallo Stato ad uno o più fondi immobiliari. La dotazione del fondo è pari a 249 milioni di euro per l’anno 2013, 846,5 milioni di euro per l’anno 2014, 590 milioni per l’anno 2015 e 640 milioni di euro a decorrere dal 2016. La normativa di riferimento applicabile al caso in questione, oltre a quanto previsto dal comma 138 del provvedimento in esame (il quale, introducendo il comma 1-quater all’articolo 12 del D.L. n. 98/2011, consente per l’anno 2013 di stipulare contratti di locazione passiva per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti ), sembra essere l’articolo 6 della legge n. 183 del 2011 (legge di stabilità 2012) con il quale il Ministero dell’economia e delle finanze è stato autorizzato a conferire o a trasferire beni immobili dello Stato ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliari o a uno o più società di gestione del risparmio anche di nuova costituzione. I proventi netti derivanti dalle cessioni delle quote dei fondi o delle azioni delle società sono destinati alla riduzione del debito pubblico. La norma sembra configurare un’operazione di “sale and lease back”, mediante il quale le amministrazioni centrali dello Stato, dopo aver conferito a fondi immobiliari propri immobili utilizzati per le attività istituzionali, continunano ad occuparli mediante contratti di locazione passiva. La “messa a reddito” del patrimonio pubblico realizzata in tal modo garantirebbe, pertanto, la valorizzazione dello stesso e la redditività dei fondi immobiliari a cui gli immobili andrebbero conferiti.
Gli enti di previdenza rientrano tra le pubbliche amministrazioni sottoposte agli obblighi di comunicazione stabiliti dal citato articolo 2, comma 222, della legge finanziaria 2010; inoltre gli enti di previdenza sono inclusi tra le pubbliche amministrazioni che devono effettuare, entro il 31 dicembre 2010, il censimento degli immobili di loro proprietà, con specifica indicazione degli immobili strumentali e di quelli in godimento a terzi.
L'articolo 3, comma 11-bis, del D.L. n. 95 del 2012, al fine di agevolare e semplificare le dismissioni immobiliari da parte degli enti previdenziali, ha stabilito che il termine per l'esercizio da parte dei conduttori del diritto di prelazione sull'acquisto di abitazioni oggetto delle predette procedure non può essere inferiore a centoventi giorni a decorrere dalla ricezione dell'invito dell'ente. E' stato inoltre stabilito che, al fine di agevolare l'acquisto della proprietà da parte dei conduttori, l'eventuale sconto offerto dagli enti proprietari a condizione che il conduttore conferisca mandato irrevocabile e che tale mandato, unitamente a quelli conferiti da altri conduttori di immobili siti nel medesimo complesso immobiliare, raggiunga una determinata percentuale dei soggetti legittimati alla prelazione, spetta al conduttore di immobili non di pregio anche in assenza del conferimento del mandato. Da ultimo, l'articolo 168 della legge 228/2012 ha escluso l'ENASARCO dall'ambito di applicazione della disposizione.
Si segnala che alla Camera sono state presentate le mozioni Dionisi ed altri n. 1-01087, De Angelis ed altri n. 1-01071, Morassut ed altri n. 1-01086 e Piffari ed altri n. 1-01173 concernenti iniziative a favore degli inquilini degli immobili di proprietà degli enti previdenziali. Con tali mozioni si intende impegnare il Governo ad assumere iniziative normative per prevedere una sospensione immediata delle procedure di sfratto in corso e una moratoria degli aumenti dei canoni o dei prezzi di vendita negli immobili di proprietà degli enti previdenziali privatizzati.
L’articolo 8 del decreto-legge n. 78 del 2010 ha altresì previsto che gli enti previdenziali destinino una quota delle risorse proprie all'acquisto di immobili adibiti ad ufficio in locazione passiva alle amministrazioni pubbliche, secondo le indicazioni fornite dall'Agenzia del demanio sulla base dei piani di razionalizzazione.
L’articolo 3-bis del D.L. n. 351 del 2001 consente di dare in concessione o di locare a privati, a titolo oneroso, beni immobili di proprietà dello Stato ai fini della riqualificazione e riconversione tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento di attività economiche o attività di servizio per i cittadini, ferme restando le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio. Le concessioni e le locazioni sono affidate con procedure di evidenza pubblica.
L’articolo 3, comma 14, del D.L. n. 95 del 2012 ha eliminato il limite massimo di cinquanta anni per la durata delle locazioni e concessioni di valorizzazione per gli immobili di proprietà dello Stato appartenenti al demanio storico-artistico. All'Agenzia del demanio è stata attribuita l'iniziativa per la convocazione delle conferenze di servizi o la promozione di accordi di programma per la valorizzazione degli immobili; ai comuni interessati, per l'intera durata della concessione o della locazione, è riconosciuta una quota del 10 per cento del relativo canone. Infine, nei bandi di gara predisposti dall'Agenzia del demanio, può essere contemplata la possibilità per il concessionario di subconcedere le attività economiche o di servizio per i cittadini. Con le modifiche introdotte si è voluto favorire il superamento di talune criticità riscontrate nell’attuazione delle cosiddette concessioni di valorizzazione che di fatto ne hanno impedito una più ampia diffusione. Tali criticità hanno conseguentemente limitato in maniera significativa la possibilità di valorizzare e mettere a reddito immobili appartenenti al demanio storico-artistico per i quali, in ragione dell’inalienabililtà derivante dai vincoli cui spesso sono sottoposti, la concessione di valorizzazione risulta l’unico strumento in grado di consentire il coinvolgimento attivo di investitori e gestori privati.
La legge n. 228 del 2012 (comma 308 dell'articolo unico) prevede che al termine del periodo di tempo previsto dalle concessioni e locazioni, l’Agenzia del demanio, verificato il raggiungimento della finalità di riqualificazione e riconversione dei beni, riconosce al locatario/concessionario, ove non sussistano esigenze di utilizzo per finalità istituzionali, il diritto di prelazione per l'acquisto del bene al prezzo di mercato.
Si ricorda, preliminarmente, che il demanio marittimo ricomprende: i lidi, le spiagge, i porti, le rade, le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che comunicano direttamente col mare per almeno una parte dell’anno e i canali utilizzabili ad uso marittimo. L’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di tali beni può essere concesso dall’amministrazione pubblica a privati, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso e per un periodo di tempo determinato.
La normativa italiana in materia di concessioni demaniali marittime è stata oggetto della procedura di infrazione n. 2008/4908 in relazione al rinnovo automatico delle concessioni in essere e alla preferenza accordata al concessionario uscente. Sul tema è da ultimo intervenuto l'articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, che ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015. Si rinvia alla scheda di approfondimento.
La Commissione Finanze ha ritenuto necessario approfondire un aspetto del più generale problema concernente la gestione del patrimonio pubblico, compiendo una prima valutazione, in sede parlamentare, sugli effetti delle norme, introdotte nel corso degli ultimi anni, circa l'utilizzo e la gestione, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli immobili. Infatti, gli interventi legislativi posti in essere in questo settore hanno introdotto alcuni strumenti essenziali per razionalizzare l’uso degli spazi da parte della P.A. e per realizzare in tal modo una ulteriore valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Tale esigenza è emersa con maggiore evidenza a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 85 del 2010, in materia di federalismo demaniale, che attribuisce a comuni, province, città metropolitane e regioni un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge n. 42 del 2009.
Inoltre, il recente dibattito, a livello internazionale, circa la sostenibilità dei debiti pubblici, determinato dalle turbolenze che stanno caratterizzato i mercati degli strumenti di debito sovrano, sottolinea, ancora di più che in passato, la rilevanza, soprattutto in un Paese, come l'Italia chiamato a misurarsi con un ammontare di debito pubblico particolarmente elevato, del tema concernente la gestione dell'attivo del bilancio pubblico, e segnatamente del demanio e del patrimonio dello Stato.
Tra le proposte del documento conclusivo dell'indagine (pubblicato il 28 luglio 2011), oltre alla modifica delle norme e dei modelli di carattere organizzativo, e al di là delle previsioni sanzionatorie, si segnala la previsione di un meccanismo di incentivi di carattere finanziario, che preveda il coinvolgimento dei dirigenti responsabili nelle scelte gestionali, tale da sostenere concretamente i comportamenti virtuosi delle amministrazioni, attraverso un sistema di premi che potrebbe consistere nella riassegnazione di una quota parte dell’economia realizzata con la riduzione degli spazi, sia per quelli relativi agli immobili di proprietà dello Stato, sia, a maggior ragione, per quelli di proprietà di terzi.
Sotto il profilo normativo la Commissione ha rilevato la necesità di definire standard tecnici, valevoli per tutte le amministrazioni, che definiscano la quota massima di spazio che può essere occupata dalla singola amministrazione o ente, in ragione del numero e della tipologia dei dipendenti, delle funzioni svolte e delle rispettive esigenze di presenza sul territorio, richiamando, al riguardo, la proposta di legge a prima firma del deputato Comaroli (A.C. 4149), assegnata in sede referente alla Commissione Finanze. Come detto, tale normativa è stata prevista dal D.L. n. 95 del 2012, il quale ha introdotto i nuovi commi 222-bis e 222-ter all'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, che stabiliscono un parametro di riferimento compreso tra 20 e 25 metri quadri per addetto.
Nella XVI legislatura il Parlamento è stato chiamato ad affrontare la questione della compatibilità tra i principi della concorrenza, da una parte e il sistema di assegnazione delle concessioni demaniali marittime, dall'altra.
La problematica connessa alle distorsioni alla concorrenza, conseguenti alla durata e al rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime, è stata evidenziata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato AGCM nella segnalazione AS481 del 20 ottobre 2008.
Le disposizioni nazionali oggetto della segnalazione dell’AGCM sono le seguenti:
L’Autorità ritiene che, per tutelare la concorrenza, sarebbe opportuno prevedere:
L’AGCM, citando il Consiglio di Stato, afferma che il c.d. diritto di insistenza può essere compatibile con i principi comunitari di parità di trattamento, eguaglianza, non discriminazione, adeguata pubblicità e trasparenza solo qualora rivesta carattere residuale e sussidiario, in una situazione di completa equivalenza tra diverse offerte.
Con riferimento al rinnovo automatico, l’Autorità ritiene che questo non stimoli il concessionario a corrispondere un canone più alto per la concessione e ad offrire migliori servizi agli utenti, favorendo inoltre comportamenti collusivi fra i soggetti titolari delle concessioni. Per quanto riguarda la durata della concessione, osserva che non è necessario parametrarla al tempo occorrente per il recupero degli investimenti effettuati, essendo sufficiente che il valore degli stessi al momento della gara, sia posto a base dell’asta.
Nella segnalazione vengono censurate anche disposizioni della Regione Friuli-Venezia Giulia (articolo 9 della legge regionale n. 22/2006 e decreto del Presidente della Regione n. 320/2007) che prevedono che il c.d. diritto di insistenza debba essere considerato, in misura variabile tra il 30% e il 10%, a seconda della finalità della concessione, in sede di comparazione delle istanze concorrenti per il rilascio della concessione.
Successivamente alla segnalazione dell’AGCM, anche la Commissione europea è intervenuta sulla problematica in oggetto, inviando all’Italia, il 29 gennaio 2009, una lettera di messa in mora (procedura di infrazione n. 2008/4908) con riferimento alle medesime norme nazionali e regionali sopra illustrate, contestandone la compatibilità con il diritto comunitario e, in particolare, con il principio della libertà di stabilimento. La Commissione ha ritenuto che tali norme costituiscano una discriminazione per le imprese provenienti da altri Stati membri, che si trovano nella condizione di essere ostacolati dalla preferenza accordata al concessionario uscente.
Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano ha notificato alla Commissione l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009 (convertito nella legge n. 25/2010), volto ad adeguare le disposizioni del codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni. Il comma 18 prevede inoltre che le concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 siano prorogate fino a tale data.
Dopo aver esaminato la disposizione, la Commissione ha tuttavia tenuto ferma la procedura di infrazione, formulando ulteriori contestazioni all’Italia. In particolare, la Commissione ha rilevato alcune discrepanze tra il testo originario del D.L. n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione n. 25/2010, la quale recava, in particolare, un rinvio indiretto (non previsto nel testo del decreto legge) al sopra illustrato articolo 01, comma 2, del D.L. n. 400/1993. La Commissione ha ritenuto che tale rinvio, stabilendo il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privasse nella sostanza di effetto il D.L. n. 194/2009 e fosse contrario alla normativa UE, in particolare con riferimento all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (cosiddetta direttiva servizi) e con l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento.
Alla luce delle suddette considerazioni la Commissione ha deciso, il 5 maggio 2010, di inviare all’Italia una lettera di messa in mora complementare con la quale chiedeva di trasmetterle, entro due mesi, le proprie osservazioni sui nuovi rilievi formulati.
In seguito agli ulteriori rilievi, con l’articolo 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il già citato comma 2 dell’articolo 01 del D.L. n. 400/1993. Lo stesso articolo 11 ha inoltre delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.
In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sulla problematica in oggetto, dichiarando costituzionalmente illegittime alcune disposizioni regionali per mancato rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (articolo 117, primo comma, della Costituzione) e, in alcuni casi, anche per violazione degli articoli 3 e 117, secondo comma, lett. a) ed e), della Costituzione. Le norme censurate prevedevano proroghe delle concessioni demaniali marittime in favore dei concessionari in essere. Si accenna di seguito agli estremi e al contenuto di tali sentenze:
- articolo 4, comma 1, della legge della Regione Marche n. 7/2010, il quale prevedeva la possibile estensione, su richiesta del concessionario, della durata della concessione, fino ad un massimo di 20 anni, in relazione all’entità e alla rilevanza economica delle opere realizzate;
- articolo 5 della legge della Regione Veneto n. 13/2010, che consentiva ai titolari di concessione in corso di validità, che avessero eseguito o che eseguissero, durante la vigenza della concessione, interventi edilizi, accompagnati o meno da acquisto di attrezzature e beni mobili, di chiedere la variazione della durata della concessione per un periodo compreso tra 7 e 20 anni (decorrenti dalla data di variazione);
- articoli 1 e 2 della legge della Regione Abruzzo n. 3/2010, i quali prevedevano la possibilità, per i titolari di concessioni demaniali, di richiedere l’estensione della durata della concessione fino ad un massimo di 20 anni, a partire dalla data di rilascio, in ragione dell’entità degli investimenti. Tale previsione era applicabile anche alle concessioni, il cui procedimento di rilascio fosse in corso alla data di entrata in vigore della norma.
Si segnala infine che recentemente l’articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando il citato articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.
Successivamente l’articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto:
Con l'emanazione del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante "Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42." (c.d. federalismo demaniale), è stato iniziato il percorso di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale.
E' stato emanato il primo provvedimento di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, costituito dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85( in G.U. n.134 dell'11 giugno 2010)concernente il federalismo demaniale.
Il decreto prevede l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, operata attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, e la successiva attribuzione dei beni agli enti medesimi.
Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso secondo i criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonchè valorizzazione ambientale.
L'ente territoriale, a seguito dell'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorirne la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono peraltro anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione; la deliberazione dell’ente territoriale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni dovrà tuttavia essere trasmessa ad una apposita conferenza di servizi volta ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni necessari alla variazione di destinazione urbanistica dei beni. Inoltre i beni trasferiti in attuazione del decreto che entrano a far parte del patrimonio disponibile degli enti territoriali possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, ed a seguito di apposita attestazione di congruità rilasciata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio. Resta comunque riservata allo Stato la dichiarazione dell’eventuale passaggio al patrimonio dei beni demaniali trasferiti agli enti territoriali.
Il decreto dispone il trasferimento alle regioni, entro 180 giorni, dei beni del demanio marittimo e del demanio idrico, salvo i laghi chiusi privi di emissari di superficie che insistono sul territorio di una sola provincia, che dovranno essere trasferiti alle province, nonché delle miniere di materiali solidi (vale a dire che non comprendono i giacimenti petroliferi e di gas e i siti di stoccaggio di gas naturale): queste ultime, inizialmente trasferite alle province,sono state poi destinate alle regioni ad opera del decreto-legge n.83 del 2012. Una quota dei proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico trasferito è destinata da ciascuna regione alle province, sulla base di una intesa conclusa fra la regione e le singole province sul cui territorio insistono i medesimi beni del demanio idrico.
I beni oggetto del trasferimento vengono inseriti in appositi elenchi adottati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata, da emanare entro 180 giorni. Successivamente, le regioni e gli enti locali che intendono acquisirli sono tenuti a presentare un’apposita domanda di attribuzione, con annessa relazione, all’Agenzia del demanio. A seguito del D.P.C.M. di trasferimento, i beni demaniali e patrimoniali dello Stato indicati dall’art. 5 – salvo alcune eccezioni - entrano a far parte, con pertinenze ed accessori, del patrimonio disponibile degli enti pubblici territoriali; questi ultimi si fanno carico, a seguito del trasferimento, degli eventuali oneri e pesi di cui è gravato il bene.
L’articolo 5 individua le tipologie dei beni immobili statali potenzialmente trasferibili, tra i quali sono annoverati i beni appartenenti al demanio marittimo, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali; i beni appartenenti al demanio idrico con specifiche esclusioni, gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale; le miniere ubicate su terraferma, nonchè altri beni immobili dello Stato e, da ultimo (secondo quanto disposto dall'articolo 4 del decreto-legge n.70/2011) i beni che siano oggetto di intese tra Stato ed enti territoriali alla data di entrata in vigore del decrto legislativo. Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento, tra gli altri, gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni pubbliche; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche e le strade ferrate in uso;i parchi nazionali e le riserve naturali statali, nonché i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato, alla Camera, alla Corte Costituzionale e agli organi di rilevanza costituzionale.
Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento in un apposito patrimonio vincolato, entro il quale con apposito DPCM dovranno, altresì, confluire i beni per i quali non sia stata presentata la domanda di attribuzione.
Il decreto legislativo reca altresì disposizini finalizzate alla valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare, prevedendo a tal fine che i beni trasferiti agli enti territoriali possano essere conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, sulla base di un valore la cui congruità dovrà essere attestata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio; è stata data inoltre alla Cassa depositi e prestiti la facoltà di partecipare ai predetti fondi. Va tenuto presente che in seguito su tale materia è intervenuto l'articolo 23-ter del decreto-legge n.95/2012 (convertito dalla legge n.135/2012), nel quale si prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze promuovo, attraverso società di gestione del risparmio (SGR) la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati per finalità istituzionali (c.d. Fondo diretto) ovvero non più utilizzati dal Ministero della difesa (c.d. Fondo difesa) suscettibili di valorizzazione. Contestualmente tale decreto-legge ha abrogato alcune disposizioni del presente decreto legislativo che , non avendo al momento ancora avuto seguito, risultavano di fatto inoperanti, tra cui le norme sui cosiddetti "beni inoptati", nonché la procedura prevista dall'articolo 7 dello stesso per l'adozione di DPCM biennali di beni che via via si rendessero disponibili per ulteriori trasferimenti.
E' stata altresì introdotta una procedura per l’adozione di DPCM biennali di attribuzione di beni eventualmente resisi disponibili per ulteriori trasferimenti a decorrere dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nonché una procedura di consultazione preventiva per l’utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali, in base alla quale essi possono procedere a consultazioni tra di loro e con le amministrazioni periferiche dello Stato.
E' stata inoltre introdotta la previsione di una intesa in sede di Conferenza Unificata ai fini della determinazione delle modalità per la riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e agli Enti locali contestualmente e in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente alla adozione dei decreti di attribuzione dei beni. Per le spese relative ai beni trasferiti è stata, inoltre, prevista l’esclusione dai vincoli relativi al patto di stabilità interno per un importo corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni trasferiti.
Si prevede infine un vincolo di destinazione dei proventi netti derivanti a ciascuna Regione ed Ente locale dalla eventuale alienazione dei beni trasferiti, prevedendo che tali proventi, per un ammontare pari al 75%, siano destinati alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento; la residua quota del 25% viene destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
Al momento il quadro attuativo del decreto legislativo si presenta fortemente critico, atteso che, benchè sia in corso la predisposizione di alcuni degli schemi di D.P.C.M. previsti dallo stesso, il processo di attribuzione dei beni da parte dello Stato nei confronti delle Regioni e degli enti locali non ha ancora avuto inizio. Ciò in quanto, ad eccezione di alcune circolari dell'Agenzia del Demanio in ordine alla compilazione degli elenchi dei beni statali trasferibili, nessuno dei richiesti provvedimenti attuativi è stato finora emanato, e la mancanza, in particolare, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sull'elenco dei beni da trasferire e del decreto del Direttore dell'Agenzia del Demanio sui beni esclusi da tale elenco non consente che si avvii il trasferimento dei beni medesimi.
Lo stato di attuazione delle disposizioni recate dal provvedimento è stato esposto dal Governo il 15 febbraio 2012 , in risposta all'interrogazione n. 5-06161 presso la Commissione finanze della Camera;
Poiché rispetto al quadro attuativo ivi descritto non sono finora ravvisabili significative novità, si ritiene utile riportare qui un ampio stralcio dei quanto ivi rapresentato dal Governo, nella parte in cui si espongono le difficoltà che si presentano nell'attuazione del decreto legislativo in questione.
In particolareil Governo evidenzia che “la tempistica del processo, come scandita dal decreto legislativo n. 85 del 2010, prevede tempi massimi di ottemperanza delle diverse prescrizioni, e non tiene conto dei tempi tecnici di pubblicazione in Gazzetta dei vari provvedimenti attuativi. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento.
A tal proposito si rileva che, nonostante le istanze degli enti territoriali siano state sempre oggetto di confronto e valutazione, anche nel corso dei diversi incontri tecnici svoltisi sul tema, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 5, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 85 del 2010 (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza, non ha tuttavia registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta.
Analogamente, lo schema di decreto del Direttore dell'Agenzia del demanio, recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3), ha riportato il parere negativo della Conferenza.
A quanto sopra aggiungasi che il processo di individuazione e di attribuzione in questione, come delineato dal decreto legislativo n. 85 del 2010, comporta il coinvolgimento non solo dell'Agenzia del demanio, ma di tutte le amministrazioni che attualmente curano la gestione dei vari beni (in particolare, il Ministero della difesa per i beni militari, il Ministero delle infrastrutture e l'Enac per i beni aeroportuali, il Ministero dello sviluppo economico e dell'Ambiente per le miniere e i beni del demanio idrico, eccetera). Nel delineato contesto, segnato anche dal mutamento della compagine governativa, la complessa procedura di formazione e di concertazione degli schemi di provvedimento previsti dalla normativa primaria, ha peraltro portato alla predisposizione di una serie di schemi di provvedimenti, tuttora in fase di definizione”.
In relazione all’individuazione dei beni immobili della Difesa non più utili ai propri fini istituzionali, da dismettere e consegnare all'Agenzia del demanio, l’articolo14-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 ha in un primo momento (mediante novelle all'articolo 27 del decreto legge n. 269 del 2003) introdotto il ricorso ad accordi o a procedure negoziate con società a partecipazione pubblica e con soggetti privati per la riallocazione degli immobili. Contestualmente, nello stato di previsione del Ministero della difesa sono stati istituiti un fondo in conto capitale e un fondo di parte corrente destinati al finanziamento della suddetta riallocazione, nonché delle esigenze di funzionamento, ammodernamento e manutenzione dei mezzi delle Forze armate, inclusa l'Arma dei carabinieri.
Al fondo in conto capitale concorrono anche i proventi derivanti dalle attività di valorizzazione immobiliare effettuate dall'Agenzia del demanio con particolare riguardo alle infrastrutture militari ancora in uso alle strutture del Ministero della difesa; al fondo di parte corrente affluiscono anche i proventi derivanti dalle alienazioni dei materiali fuori uso della Difesa.
Inoltre, si attribuisce al Ministero della difesa il compito di individuare, con apposito decreto, ulteriori immobili da alienare, non ricompresi negli elenchi di cui all'articolo 27, comma 13-ter del citato decreto legge n. 269 del 2003, stabilendo, al riguardo, le procedure concernenti le operazioni di vendita, permuta, valorizzazione e gestione dei citati beni. I proventi derivanti dalle suddette procedure possono essere destinati al soddisfacimento delle esigenze funzionali del Ministero della difesa previa verifica della compatibilità finanziaria e dedotta la quota che può essere destinata agli enti territoriali interessati.
Successivamente, la legge finanziaria 2010 (articolo 2, commi 189-194, legge n. 191 del 2009) ha autorizzato il Ministero della difesa a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, d’intesa con i comuni, al fine di realizzare le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze armate, attraverso la valorizzazione e l’alienazione degli immobili militari.
Le norme citate sono state abrogate dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare) e la disciplina delle dismissioni dei beni immobili del Ministero della difesa diversi dagli alloggi di servizio è confluita nell’articolo 307 del Codice.
Ai sensi di tale articolo, il Ministero della difesa, sentita l’Agenzia del demanio, adotta un programma di razionalizzazione, accorpamento, riduzione e ammodernamento del patrimonio infrastrutturale in uso, in coerenza con il processo di pianificazione territoriale e urbanistica previsto dalla legislazione nazionale e regionale, allo scopo di favorirne la riallocazione in aree maggiormente funzionali per migliorare l’efficienza dei servizi assolti, e individua, con le stesse modalità indicate nel primo periodo, immobili non più utilizzati per finalità istituzionali, da consegnare all’Agenzia del demanio ad avvenuto completamento delle procedure di riallocazione. Gli immobili consegnati entrano a far parte del patrimonio disponibile dello Stato per essere assoggettati alle procedure di valorizzazione e di dismissioneovvero alla vendita a trattativa privata anche in blocco.
L’articolo 2, comma 10, deldecreto-legge n. 225 del 2010, novellando la lettera d) del comma 10 dell'art. 307 del Codice, ha modificato la destinazione dei proventi derivanti dalle suddette alienazioni, specificando le quote, che spettano rispettivamente:
La predetta ripartizione è stata poi sostituita dall’articolo 3, comma 12, del decreto-legge n. 138 del 2011. In base alla nuova formulazione della lettera d) dell'articolo 307, comma 10, del Codice, i suddetti proventi monetari sono assegnati per il 55 per cento al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, per il 35 per cento al Ministero della difesa e per il 10 per cento agli enti territoriali interessati dalle valorizzazioni. Le somme assegnate al Ministero della difesa potranno essere destinate esclusivamente a spese di investimento e non potranno essere utilizzate per oneri di parte corrente. La ratio della disposizione appare collegata alle regole di contabilità europee che, qualificando le entrate provenienti da alienazioni e procedure di valorizzazione del patrimonio immobiliare come entrate di conto capitale, impediscono l’utilizzo di tali proventi per coprire oneri di natura corrente.
Nell’ambito delle procedure di valorizzazione si prevede anche l’applicazione:
Da ultimo, l'articolo 2, comma 1, lett. n), del D.Lgs. 24 febbraio 2012, n. 20, (correttivo al Codice) ha fatto salvo quanto previsto dall'articolo 5, comma 4, del D.Lgs. 28 maggio 2010, n. 85 (federalismo demaniale), il quale demanda ad un DPCM, su proposta del Ministro della difesa, l’individuazione dei beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che possono essere trasferiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale e non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione dello strumento militare.
Sotto un altro profilo, si ricorda che il comma 196-bis dell’articolo 2 della legge n. 191 del 2009, inserito dall’articolo 2, comma 7, del decreto legge n. 225 del 2010, ha introdotto una procedura di urgenza per l’alienazione di alcuni specifici immobili militari oggetto di valorizzazione da parte del Ministero della difesa, insistenti nel comune di Roma ed espressamente individuati tra quelli già inseriti nel protocollo d’intesa sottoscritto tra il Ministero della difesa ed il comune di Roma in data 4 giugno 2010, e facenti parte del più generale programma di valorizzazione e dismissione degli immobili militari - da realizzare attraverso la costituzione, da parte del Ministero della difesa, di fondi comuni di investimento immobiliare d’intesa con i comuni interessati, con i quali sono a tal fine sottoscritti specifici accordi di programma. A tal fine, la norma prevede che tali immobili siano alienati dall’Agenzia del demanio, con le procedure previste dall'articolo 1, comma 436, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (trattativa privata o asta pubblica).
Ulteriori disposizioni relative agli immobili in uso al Ministero della difesa non più utili, in via definitiva o temporanea, per la sicurezza nazionale sono previste dall’articolo 3-ter del D.L. n. 351 del 2001 (commi 12 e 13), introdotto dal comma 2 dell’articolo 27 del D.L. n. 201 del 2011: la prima consente al Ministro della difesa di operare in via autonoma per la valorizzazione immobiliare, previa intesa con il Presidente della regione o della Provincia; la seconda, per tutelare e mantenere in efficienza immobili solo in via temporanea non più necessari per la difesa militare, consente di affidare in concessione di valorizzazione tali immobili, per usi compatibili con lo strumento urbanistico, nel rispetto delle volumetrie esistenti e tramite interventi di restauro e risanamento conservativo.
Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha quindi introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio per la valorizzazione o dismissione del patrimonio immobiliare disponibile, istituita dall’articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011. In particolare, l'articolo 23-ter, comma 1, lett. g), D.L. n. 95 del 2012 ha aggiunto il comma 8-quater al predetto articolo 33, cheintroduce la possibilità di dar vita ad ulteriori fondi immobiliari a cui apportare o trasferire immobili (o diritti reali) di proprietà dello Stato, suscettibili di valorizzazione e individuati dal Ministero della difesa, con uno o più decreti, come non più utili alle proprie finalità istituzionali. in tal caso è estremamente interessante la modalità di ripartizione delle risorse rivenienti dalla cessione delle quote del fondo “difesa”. il 30% di tali risorse, infatti, è attribuito al Ministero della difesa, con prioritaria destinazione alla razionalizzazione del settore infrastrutturale; una quota, compresa tra il 10% e il 25% è assegnata, con decreto del Mef, agli ee.tt. interessati dalle procedure di valorizzazione, per la riduzione del debito e, solo in assenza di debito, o comunque per la parte eccedente, a spese di investimento; le risorse derivanti dalla cessione delle restanti quote sono destinate al pagamento dei debiti dello Stato.
Un diverso filone d’intervento ha riguardato gli alloggi di servizio per gli appartenenti alle Forze armate.
L’articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 ha previsto la creazione di un sistema integrato di fondi immobiliari, con l’obiettivo di accrescere l’efficienza dei processi di sviluppo e di valorizzazione dei patrimoni immobiliari di proprietà degli enti territoriali, di altri enti pubblici e delle società interamente partecipate dai predetti enti.
Si prevede, pertanto, la costituzione, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (ancora non emanato), di una Società di gestione del risparmio (SGR), con capitale sociale pari ad almeno 1 milione di euro, per l’istituzione e gestione di uno o più fondi d’investimento immobiliare (“Fondo nazionale”), che perseguano, in particolare, i seguenti obiettivi strategici:
a) partecipare in fondi comuni di investimento immobiliare chiusi, promossi da regioni, province e comuni, anche in forma consorziata, e da altri enti pubblici ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti (cosiddetto “Fondi di fondi”) (commi 1 e 2);
b) investire direttamente nell’acquisto di immobili in locazione passiva alle pubbliche amministrazioni, in un ottica di razionalizzazione degli usi governativi (comma 1);
c) partecipare, sulla base dell’eventuale emanazione di uno specifico decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, a fondi titolari di diritti di concessione o d’uso su beni indisponibili e demaniali (comma 1);
d) acquistare immobili di proprietà degli enti territoriali ad uso ufficio o già inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio (comma 8-bis, introdotto dall’articolo 6, comma 7, della legge n. 183 del 2012).
Gli enti territoriali, sulla base di puntuali analisi di fattibilità, promuovono la costituzione di fondi comuni di investimento immobiliare (“Fondi territoriali”), a cui possono essere apportati beni immobili e diritti. Il comma 2 stabilisce che a tali fondi degli enti locali possono essere apportati beni immobili e diritti con le procedure previste dall'articolo 58 del D.L. n. 112 del 2008, a fronte della correlata emissione di quote, nonché quelli trasferiti ai sensi del D.Lgs. n. 85 del 2010 (federalismo demaniale).
L’articolo 33 è stato integrato dal decreto-legge n. 95 del 2012 (c.d. “spending review”, articolo 26-ter), il quale ha introdotto ulteriori modalità operative della società di gestione del risparmio: il MEF, attraverso la SGR, promuove la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, a cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali (cd. “Fondo diretto”), nonché diritti reali immobiliari; inoltre, il MEF, sempre attraverso la SGR, promuove uno o più fondi comuni di investimento immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati dal Ministero della difesa per finalità istituzionali e suscettibili di valorizzazione (cd. “Fondo difesa”).
L’apporto dei beni, a fronte dell’emissione di quote del fondo, può avvenire esclusivamente sulla base di progetti di utilizzo o di valorizzazione, approvati con delibera dell’organo di governo dell’ente apportante, chepossono essere presentati anche da soggetti privati (comma 2).
Le risorse finanziarie necessarie a garantire l’effettiva possibilità per il Fondo nazionale di partecipare ai Fondi territoriali derivano dalla sottoscrizione di quote da questi ultimi offerte su base competitiva, al fine di conseguire la liquidità necessaria per la realizzazione degli interventi di valorizzazione. A tal fine la norma prevede che il 20% del piano di impiego dei fondi disponibili previsto per gli enti previdenziali (enti pubblici di natura assicurativa o previdenziale) deve essere destinato alla sottoscrizione di quote del Fondo nazionale. L’investimento nel Fondo nazionale è, inoltre, compatibile con le vigenti disposizioni in materia di attività di copertura delle riserve tecniche delle compagnie di assicurazione private. È espressamente prevista la possibilità di una partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti (comma 3).
La destinazione funzionale dei beni conferiti ai fondi può avvenire mediante accordi di programma (nonché sulla base della corrispondente legislazione regionale) da concludersi entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data della delibera che promuove la costituzione dei fondi. Con la medesima procedura si procede alla regolarizzazione edilizia ed urbanistica degli immobili conferiti. L'apporto dei beni ai fondi viene sottoposto alla condizione sospensiva dell'espletamento delle procedure di valorizzazione e di regolarizzazione.
E' prevista, inoltre, la disciplina per gli immobili soggetti a vincoli di tutela in base al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 2004). Il comma 6 dell'articolo 33 ha aggiunto, inoltre, un comma 9-bis all'articolo 58 del decreto-legge n. 112 del 2008, al fine di consentire - in caso di conferimento a fondi di investimento immobiliare dei beni inseriti negli elenchi richiamati dall’articolo - che la destinazione funzionale prevista dal piano delle alienazioni e delle valorizzazioni possa essere conseguita mediante accordi di programma (nonché sulla base della corrispondente legislazione regionale). Il procedimento deve concludersi entro il termine perentorio di 180 giorni dall’apporto o dalla cessione sotto pena di retrocessione del bene all’ente locale. Con la medesima procedura si provvede anche alla regolarizzazione edilizia ed urbanistica degli immobili conferiti.
Gli apporti al fondo non danno luogo a redditi imponibili ovvero a perdite deducibili per l'apportante al momento dell'apporto. Le quote ricevute in cambio dell'immobile o del diritto oggetto di apporto mantengono, ai fini delle imposte sui redditi, il medesimo valore fiscalmente riconosciuto anteriormente all'apporto. Inoltre, per l'insieme degli apporti e delle eventuali successive retrocessioni, è dovuta un'imposta sostitutiva in luogo delle ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale e dell'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili.
Il comma 8 dell'articolo 33 ha disposto lo scioglimento e la liquidazione, ai sensi del codice civile, della società Patrimonio dello Stato s.p.a. entro trenta giorni dall'entrata in vigore del decreto.
L'articolo 6, comma 7, della legge n. 183 del 2011 ha inserito nell'articolo 33, a decorrere dal 1 gennaio 2012, un nuovo comma 8-bis con cui si prevede che i fondi istituiti dalla SGR possono acquistare immobili ad uso ufficio di proprietà degli enti territoriali, utilizzati dagli stessi o da altre pubbliche amministrazioni nonché altri immobili di proprietà dei medesimi enti di cui sia completato il processo di valorizzazione edilizio-urbanistico, qualora inseriti in programmi di valorizzazione, recupero e sviluppo del territorio. Le azioni della SGR possono essere trasferite a titolo gratuito all'Agenzia del demanio; infine, si prevede che con apposita convenzione la SGR possa avvalersi in via transitoria del personale dell'Agenzia del demanio.
Si segnalano, inoltre, le ulteriori modifiche all'articolo 33 del D.L. n. 98 del 2011 introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012:
Inoltre, come anticipato, il nuovocomma 8-ter dell’articolo 33, al fine di conseguire la riduzione del debito pubblico, prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, attraverso la SGR di cui al comma 1, promuova la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare a cui trasferire o conferire immobili di proprietà dello Stato non utilizzati per finalità istituzionali.
A differenza del fondo di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 33 (“Fondo nazionale”) che dovrebbe prevalentemente operare come “fondo di fondi”, tale fondo agirebbe come “fondo diretto” al quale possono essere trasferiti o conferiti:
Le risorse derivanti dalla cessione delle quote del Ministero dell’economia e delle finanze, versate in entrata del bilancio dello Stato, possono essere riassegnate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato o destinate al pagamento dei debiti dello Stato.
Ai fondi così costituiti possono essere trasferiti o conferiti:
Il D.P.C.M. che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 85 del 2010, individua i beni immobili dello Stato suscettibili di trasferimento (c.d. white list) non è stato ancora pubblicato, in attesa della necessaria intesa in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni.
Secondo la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del D.L. n. 95 del 2012 i beni in gestione all’Agenzia del demanio che verrebbero così individuati per essere da subito avviati, a seguito delle previste verifiche e procedure, alla valorizzazione e conferirti al fondo sono 350 (tra cui caserme, edifici museali non più utilizzati, ecc.), per un valore stimato, allo stato attuale, pari a 1,5 miliardi di euro, che a seguito della valorizzazione urbanistica operata dai comuni potrà anche raddoppiare. L’attività di valorizzazione della società di gestione del risparmio (SGR), che affiderà la gestione di portafogli ad operatori privati, potrà generare ulteriore valore grazie alle attività di trasformazione edilizia, che porterebbe il valore di conferimento anche a triplicare.
L’operazione sarà realizzata gradualmente anche in relazione alle condizioni dei mercati in funzione di tipologie omogenee di immobili da collocare e sulla base di segmenti specifici di mercato (aree geografiche, tipologia ecc.).
L’obiettivo del Governo, recentemente dichiarato, è quello di attivare un programma pluriennale di valorizzazioni e vendite immobiliari che, a regime, possa assicurare risorse per 15-20 miliardi annuali (1% del PIL) per i prossimi 5 anni.
Si segnala, infine, che il comma 140 dell'articolo unico della legge n. 228 del 2012 ha previsto che il capitale sociale della SGR non sia limitato per il 2012 a 2 milioni di euro. Per l’anno 2013 è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per l’apporto al capitale sociale della stessa SGR.
La materia della tassazione immobiliare è stata costantemente al centro dell'attenzione del Parlamento: all'iniziale esenzione della "prima casa" del contribuente dall'ICI è seguita una complessiva revisione dell'imposta medesima, in previsione di una sua futura sostituzione con l'imposta municipale propria - IMU (D.Lgs. n. 23/2011 in materia di federalismo municipale), a decorrere dal 2014. In un secondo momento, nell'alveo degli interventi di risanamento dei conti pubblici, il D.L. 201 del 2011ha disposto l'anticipazione sperimentale dell'IMU al 2012, con il ritorno di un prelievo fiscale anche sull'abitazione principale. Sotto un diverso fronte, al fine di promuovere il settore edilizio, il legislatore ha reso strutturale la detrazione IRPEF per spese di ristrutturazione edilizia, al contempo prorogando di anno in anno le agevolazioni per la riqualificazione energetica degli edifici.
Con il decreto-legge n. 93 del 2008 è stata disposta l’esenzione ICI dell’immobile adibito ad abitazione principale del soggetto passivo d’imposta e delle relative pertinenze, nonché delle unità immobiliari che il comune avesse assimilato all’abitazione principale.
Successivamente, il decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia di federalismo fiscale municipale ha istituito e disciplinato l'Imposta municipale propria - IMU, volta a sostituire la componente del reddito IRPEF (e relative addizionali) relativa agli immobili non locati e l'ICI, con un'applicazione in origine prevista per l’anno 2014.
Tuttavia, per le richiamate esigenze di risanamento dei conti pubblici, l’applicazione dell’IMU, ai sensi dell'articolo 13 del D.L. 201/2011, è stata anticipata al 2012 e la sua disciplina è stata profondamente innovata.
In particolare, l'IMU siapplica dal 2012 al possesso di immobili (fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli), compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa; essa è dovuta nella misura dello 0,76 per cento del valore dell'immobile, determinato ai sensi della disciplina ICI (articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992). A tal fine, l'articolo 13 del D.L. 201/2011 ha innalzato la misura dei moltiplicatori da applicarsi alla rendita catastale delle diverse tipologie di immobili.
L’imposta si applica anche all'abitazione principale del contribuente, con aliquota di base pari allo 0,4 per cento.
Perl’abitazione principale è prevista una detrazione d'imposta pari a 200 euro, incrementata di 50 euro per ciascun figlio residente e dimorante nell'abitazione medesima purché di età non superiore a 26 anni (fino al limite massimo di 400 euro per tale aumento).
I Comuni possono modificare le predette aliquote di base (sia per l’abitazione principale che per gli altri immobili), in aumento o diminuzione, entro margini stabiliti dalla legge.
Sono previste misure di aliquota ridotta per legge (oltre che per l’abitazione principale, per i fabbricati rurali ad uso strumentale, con misura di base pari a 0,2, ulteriormente riducibile dai Comuni fino allo 0,1 per cento) e misure di aliquote che i comuni hanno la facoltà di ridurre (ad esempio, per gli immobili locati è prevista la facoltà di riduzione allo 0,4 per cento; per gli immobili costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, la riduzione è possibile fino allo 0,38 per cento. Tale ultima misura è stata introdotta dall’articolo 56 del D.L. n. 1 del 2012, cosiddetto "decreto liberalizzazioni").
Per quanto riguarda le agevolazioni e le esenzioni, non vi è una perfetta sovrapposizione tra agevolazioni ICI e agevolazioni IMU; le norme del decreto legislativo n. 504 del 1992, che ha istituito e disciplinato l’imposta comunale sugli immobili, risultano infatti applicabili solo ove espressamente richiamate.
In particolare, in virtù di tale esplicito rinvio, sono esenti da IMU (come lo erano da ICI) gli immobili posseduti da enti non commerciali, con un regime tuttavia profondamente diverso.
Il richiamato “decreto liberalizzazioni” (articolo 91-bis del D.L. 1 del 2012, successivamente modificato dal D.L. n. 174 del 2012) ha sancito che dal 2013 l’esenzione da IMU (ex ICI) per gli immobili di enti non commerciali adibiti a specifiche attività sarà applicabile solo nel caso in cui le predette attività siano svolte con modalità non commerciali.
In sostanza, dal 2013, nel caso in cui tali attività – pur dando luogo, astrattamente, a esenzione – siano svolte con modalità commerciali, gli immobili degli enti non commerciali ove sono effettuate saranno soggetti (in tutto o in parte) a imposta municipale. Con DM del 19 novembre 2012 sono state introdotte le necessarie disposizioni attuative, ai fini dell'individuazione dell'area di esenzione dall'IMU per gli immobili su cui svolgono la propria attività gli enti non commerciali. In particolare alla norma secondaria è demandata l'individuazione dei requisiti, generali e di settore, per qualificare le attività come svolte con modalità non commerciali, ai fini dell'applicazione delle suddette agevolazioni.
La disciplina dell’IMU ha subito, nel corso dell’ultimo anno, numerose e specifiche modifiche. Esse sono principalmente riconducibili a quanto contenuto nel D. L. n. 16 del 2012 (in materia di semplificazioni tributarie) e al D.L. n. 174 del 2012 (in materia di enti locali).
Il primo provvedimento ha:
L’articolo 9 del decreto-legge n. 174 del 2012 ha:
In questa sede si rammenta che la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 380 e da 382 a 384 della legge n. 228 del 2012) ha innovatol’attuale assetto della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU,conseguentemente ridefinendo i rapporti finanziari tra Stato e comuni attualmente delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale si dispone l’abrogazione di numerose disposizioni. In particolare, viene attribuito ai comuni l’intero gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.
Si ricorda infine che il Dipartimento delle finanze del MEF ha pubblicato, sul proprio sito Internet, le Linee guida per la predisposizione delle delibere e dei regolamenti di applicazione dell'Imposta Municipale Propria, nelle quali viene fornito un prototipo di regolamento IMU, al fine di da supportare funzionari e amministratori degli Enti Locali.
Per quanto riguarda i redditi di locazione di immobili ad uso abitativo, con decorrenza 2011 è stata introdotta una imposta sostitutiva dell'IRPEF e relative addizionali (cd. "cedolare secca"). Si rinvia al tema sulla tassazione delle persone fisiche per ulteriori informazioni.
Il richiamato D.L. n. 16 del 2012 (articolo 4, commi 5-quinquies e 5-sexies) ha fissato al 35 per cento la riduzione applicabile per determinare il reddito da locazione imponibile a fini IRPEF e IRES degli immobili aventi interesse storico o artistico.
L’articolo 4, comma 74 della legge n. 92 del 2012 ha rideterminato le modalità di calcolo del reddito dei fabbricati imponibile ai fini IRPEF; in particolare, dal 2013 è diminuita dal 15 al 5 per cento la riduzione applicabile ai canoni dei fabbricati concessi in locazione, utile ai fini della determinazione del reddito imponibile IRPEF.
La detrazione IRPEF del 36% per spese di ristrutturazione, originariamente introdotta dalla legge n. 449/1997, per opera dell'articolo 4 del D.L. 201/2011 è adesso prevista a regime per l'importo massimo di 48.000 euro per unità immobiliare.
Tuttavia, per effetto delle norme contenute nell'articolo 11 del decreto legge n. 83 del 2012, in relazione alle spese per le ristrutturazioni edilizie sostenute dal 26 giugno 2012 fino al 30 giugno 2013, è previsto un innalzamento della detrazione a fini Irpef dal 36 al 50% e del limite dell’ammontare complessivo da 48.000 a 96.000 euro. Inoltre, per le spese di riqualificazione energetica degli edifici sostenute dal 1° gennaio al 30 giugno 2013 spetta una detrazione del 55% delle stesse spese (comma 2).
Dal 1° luglio 2013, di conseguenza, tornerà operativa la predetta disciplina a regime che consente la detrazione del 36% per entrambi i tipi di spesa.
Il decreto legge n. 78 del 2010 ha disposto l'obbligo per le banche e gli uffici postali di operare una ritenuta d'acconto, ai fini dell'imposta sui redditi, sui compensi corrisposti mediante bonifici bancari o postali e relativi al pagamento di oneri (quali, ad esempio, le spese di ristrutturazione) che danno diritto a benefici fiscali sotto forma di deducibilità dell'onere o detraibilità dall'imposta (art. 25); l'articolo 23, comma 8 del D.L. 98/2011 ha ridotto la misura di tale ritenuta dal 10 al 4 per cento.
L'articolo 19 del D. L. n. 201 del 2011 (come modificato dal D. L. n. 16 del 2012) ha istituito l'imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a decorrere dal 2011. La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, articolo 1, commi 518 e 519) ha differito l’istituzione dell’Ivie al 2012; i versamenti già effettuati per l’anno 2011 si considerano eseguiti in acconto per l’anno 2012. La disciplina dell’Ivie è stata modificata anche dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8, comma 16). Per le disposizioni di attuazione si segnala il Provvedimento 5 giugno del 2012 dell’Agenzia delle entrate.
L’imposta sul valore degli immobili situati all’estero è dovuta dal proprietario dell’immobile ovvero dal titolare di altro diritto reale sullo stesso; l'aliquota è fissata (analogamente all'aliquota di base IMU) nella misura dello 0,76 per cento del valore dell'immobile, ma l'imposta non è dovuta se l’importo non supera 200 euro. La base imponibile è costituita dal costo risultante dall’atto di acquisto o dai contratti e, in mancanza, secondo il valore di mercato rilevabile nel luogo in cui è situato l’immobile. Per gli immobili situati in Paesi appartenenti alla Unione europea o in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni, il valore è quello utilizzato nel Paese estero per l’assolvimento di imposte sul patrimonio o sui trasferimenti o, in mancanza, quello come precedentemente individuato.
E' disposta una riduzione dell’imposta (dallo 0,76 per cento allo 0,4 per cento del valore degli immobili) per l'immobile adibito, all'estero, ad abitazione principale del contribuente, nonché per le relative pertinenze. E' prevista, inoltre, una detrazione forfetaria di 200 euro da scomputare dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e le relative pertinenze, che va rapportata al periodo dell’anno durante il quale si verifica il vincolo di destinazione e alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.
Per gli anni 2012 e 2013 la detrazione è aumentata di 50 euro per ciascun figlio di età non superiore a ventisei anni, purché dimorante abitualmente e residente anagraficamente nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale. Tale detrazione, al netto della detrazione di base, non può superare l’importo di 400 euro.
Gli immobili adibiti ad abitazione principale all’estero con le relative pertinenze e anche gli immobili situati all’estero non locati a qualsiasi uso destinati dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, in deroga all’articolo 70, comma 2, del TUIR, non concorrono alla formazione del reddito complessivo.
La disciplina, originariamente introdotta dall’articolo 7 della legge 448/2001 e più volte prorogata, consente di rideterminare ai fini fiscali il valore di acquisto dei terreni edificabili e dei terreni con destinazione agricola.
Il beneficio consente al contribuente di attribuire un maggior valore al terreno mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e relative addizionali fissata al 4%. Al momento della cessione del terreno rivalutato, la plusvalenza realizzata, da assoggettare a tassazione ordinaria, è determinata dalla differenza tra il prezzo di vendita e il valore rideterminato in luogo della differenza tra il medesimo prezzo di vendita e il costo di acquisto.
Il decreto legge "sviluppo" (D. L. 70/2011), accanto alla proroga dei termini per avvalersi di tale agevolazione, ha esteso tale facoltà di avvalersi della riapertura dei termini per la rivalutazione anche alle società di capitali i cui beni siano stati oggetto di misure cautelari per il periodo di applicazione della normativa sulla rivalutazione, ove all'esito del giudizio tali soggetti ne abbiano riacquistato lo piena titolarità.
Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 473 della legge n. 228 del 2012) ha riaperto i termini per la suddetta rivalutazione contabile: in particolare, è possibile rivalutare anche i terreni e le partecipazioni posseduti al 1° gennaio 2013; il termine di versamento dell’imposta sostitutiva è fissato conseguentemente al 30 giugno 2013 (ove si opti per la rata unica; altrimenti, come già previsto in passato, in tre rate annuali di pari importo entro il termine del 30 giugno 2013, 30 giugno 2014 e 30 giugno 2015); la perizia di stima dovrà essere redatta ed asseverata, al massimo, entro il 30 giugno 2013.
L’articolo 13 del D. L. 201 del 2012 ha anticipato al 2012 l’applicazione dell’imposta municipale (IMU), istituita e disciplinata dal D.Lgs. sul federalismo municipale (D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23).
Si prevede (articolo 13, comma 1) un periodo di applicazione sperimentale dell’imposta, a decorrere dal 2012 e fino al 2014 in tutti i comuni del territorio nazionale, secondo la disciplina generale recata dagli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in quanto compatibili, e le disposizioni contenute nel medesimo articolo 13 (come successivamente modificato nel tempo). L’applicazione a regime dell'imposta municipale propria è invece fissata al 2015.
Gli articoli 8 e 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011 hanno istituito l’imposta municipale propria. Il provvedimento ne fissava la decorrenza dal 2014, attribuendo il relativo gettito ai Comuni dalla medesima data. Nel quadro del federalismo, l’IMU è volta a sostituire, per la componente immobiliare, le seguenti forme di prelievo:
Continuano ad essere assoggettati ad imposta sui redditi:
Presupposto dell’imposta (articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 23/2011) è il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale. Sono (articolo 9, comma 1, del D.Lgs. 23/2011) soggetti passivi dell’imposta municipale:
La base imponibile (articolo 8, comma 4, del D.Lgs. 23/2011) corrisponde al valore dell’immobile determinato secondo i criteri validi per il calcolo dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), a mente dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 504/1992: il valore è costituito, per i fabbricati iscritti in catasto, dal prodotto tra le rendite catastali rivalutate del 5% (ai sensi dell’articolo 3, comma 48, della legge n. 662/1996) e uno dei coefficienti determinati dal D.M. 14 dicembre 1991: 140 se si tratta di fabbricati classificati nei gruppi catastali B (collegi, convitti, ecc.; 100 per i fabbricati dei gruppi catastali A (abitazioni) e C (magazzini, depositi,laboratori, ecc.), con esclusione delle categorie A/10 e C/1; 50 per i fabbricati del gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) e della categoria A/10 (uffici e studi privati); 34 per i fabbricati della categoria C/1 (negozi e botteghe).
L’aliquota di base, stabilita a livello nazionale, (articolo 8, comma 5) è fissata nella misura dello 0,76 per cento e può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Ai comuni è concessa la facoltà di modificare, con deliberazione consiliare adottata entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, in aumento o in diminuzione, l’aliquota fissata a livello nazionale, nelle seguenti misure:
Nel caso di mancata emanazione della delibera comunale, si applicano le aliquote ordinarie: 0,76 per cento, per gli immobili non locati che non costituiscono abitazione principale; per gli immobili locati, ai sensi del successivo comma 6, un’aliquota ridotta alla metà (0,38 per cento).
Quanto alle riduzioni ed esenzioni, è previsto che l’imposta non si applichi (articolo 8, comma 3) sugli immobili adibiti ad abitazione principale e le relative pertinenze. I commi 6 e 7 dell’articolo 8 disciplinano alcune ipotesi in cui l’aliquota è ridotta. L’articolo 9, comma 8, reca le ulteriori esenzioni, richiamando la disciplina relativa all’ICI. In particolare, sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono inoltre richiamate molte delle esenzioni ICI disciplinate dell'articolo 7 del D.Lgs. n. 504 del 1992. Rispetto alla disciplina ICI, sono esclusi dall’esenzione e dunque assoggettati a IMU i fabbricati i quali, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati ad attività assistenziali, limitatamente al periodo in cui sono adibiti direttamente allo svolgimento delle attività medesime (articolo 7, comma 1, lettera g) del D.Lgs. n. 504/1992).
Il comma 2 dell’articolo 13 del D.L. 201/2011 fissa il presupposto dell’imposta municipale propria nel possesso di immobili – ossia di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli (di cui all'articolo 2 del D.Lgs. n. 504/1992) - compresa l'abitazione principale e le pertinenze della stessa.
Ai sensi dell’articolo 2 del citato D.Lgs. n. 504/1992, per “fabbricato” si intende l'unità immobiliare iscritta o da iscrivere nel catasto edilizio urbano. Si considera parte integrante del fabbricato l'area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza; il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all'imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato.
Per “area fabbricabile” si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici (generali o attuativi) ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione, determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità. La circolare 3/DF chiarisce che tale definizione è da completarsi alla luce dell’articolo 36, comma 2 del D.L. n. 223/2006, ai sensi del quale è fabbricabile l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’esito dell’iter procedurale presso la regione o dall’adozione di strumenti attuativi.
Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, iscritti alla previdenza agricola (si veda in merito il paragrafo sui terreni agricoli), sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali. Il comune, su richiesta del contribuente, attesta se un'area sita nel proprio territorio è fabbricabile in base a tali criteri.
Per “terreno agricolo” si intende il terreno adibito all'esercizio delle attività agricole (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali) e le attività ad esse connesse, ai sensi dell'articolo 2135 del codice civile.
Il paragrafo 2 della circolare n. 3 del Dipartimento delle finanze del MEF del 18 maggio 2012 precisa che il presupposto impositivo dell’IMU include qualsiasi immobile, dunque anche i terreni incolti; chiarisce inoltre che, in tal caso, il richiamo al D.Lgs. n. 504 del 1992 è inteso al solo scopo di mantenere a fini IMU le definizioni già utilizzate a fini ICI.
Per “abitazione principale” del contribuente si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Per effetto delle modifiche operate dall’articolo 4, comma 5 del D.L. 16/2012, ove i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.
Si rileva, in merito, che il Dipartimento delle finanze del MEF ha chiarito (nelle linee guida per la predisposizione dei regolamenti comunali IMU pubblicati a luglio 2012) che la disciplina individua quale abitazione principale solo l’immobile in cui le due condizioni della residenza anagrafica e della dimora abituale da parte del soggetto passivo sussistano contemporaneamente, in ciò innovando rispetto alla precedente definizione prevista per l’imposta comunale sugli immobili (ICI), in base alla quale l’abitazione principale coincideva con la residenza anagrafica “salvo prova contraria”.
Di conseguenza, le agevolazioni “prima casa” (aliquota ridotta e detrazione) sono collegate dal legislatore al possessore e al suo nucleo familiare, unificando il concetto di dimora abituale e residenza anagrafica.
La richiamata circolare chiarisce anche che, nell’ipotesi in cui un figlio dimori e risieda anagraficamente in altro immobile ubicato nello stesso comune, egli costituisce un nuovo nucleo familiare. Ovviamene il genitore perde il diritto alla maggiorazione della detrazione. Inoltre, se nell'immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato all'abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi - non legalmente separati - poiché l'altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso comune, l'agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi.
Viene altresì specificato che il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative
Per quanto riguarda la definizione delle pertinenze dell’abitazione principale, la richiamata circolare chiarisce che il contribuente può considerare come pertinenza solo un’unità immobiliare per ciascuna categoria catastale indicata dall’articolo 13, comma 2, del D.L. 201/2011 (C/2: magazzini, cantine e soffitte; C/6: stalle, rimesse, autorimesse; C/7: tettoie), fino ad un massimo di tre pertinenze, ivi inclusa quella iscritta in catasto unitamente all’abitazione principale.
Base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile.
In relazione alla base imponibile dei fabbricati di gruppo D non iscritti in catasto e delle aree fabbricabili viene richiamata la disciplina ICI (articolo 5, commi 3, 5 e 6 del D.Lgs. 504/1992).
In particolare, l’articolo 5, comma 3 prevede che, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D (opifici, alberghi, teatri, ecc.) non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all'anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato alla data di inizio di ciascun anno solare (ovvero, se successiva, alla data di acquisizione) dal costo risultante dalle scritture contabili al lordo delle quote di ammortamento maggiorato con l'applicazione di appositi coefficienti (da ultimo, aggiornati con D.M. 14 marzo 2011).
Per le aree fabbricabili, la base imponibile è data dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione. Si deve aver riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche (articolo 5, comma 5).
In caso di utilizzazione edificatoria dell'area, di demolizione di fabbricato e di interventi di recupero la base imponibile è costituita dal valore dell'area senza computare il valore del fabbricato in corso d'opera, fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ricostruzione o ristrutturazione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ricostruito o ristrutturato è comunque utilizzato (successivo comma 6).
Il valore dei fabbricati e dei terreni agricoli si determina, invece, secondo quanto previsto nei commi 4 e 5 dell’articolo 13.
Rispetto alla disciplina ICI, sono aumentati i moltiplicatori da applicare alle rendite catastali. Inoltre, sono le stesse disposizioni di rango primario a determinare la misura dei predetti coefficienti; l’articolo 5 del D.Lgs. 504/1992 ne demanda invece la fissazione a un decreto ministeriale.
In particolare, per i fabbricati iscritti in catasto (comma 4) il valore (base imponibile a cui applicare l’aliquota) è così determinato: rendita catastale (vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione), rivalutata del 5 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 48, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) moltiplicata per un valore fisso (detto “moltiplicatore”) fissato dalla legge.
I valori del moltiplicatore sono i seguenti, distinti per gruppo catastale:
Per i terreni agricoli (comma 5) il valore è costituito da quello ottenuto applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, rivalutato del 25 per cento (ai sensi dell'articolo 3, comma 51, della legge 23 dicembre 1996, n. 662) un moltiplicatore da ultimo innalzato (articolo 4, comma 5, lettera d) del D.L. 16/2012) a 135.
E’ prevista una misura agevolata del moltiplicatore, pari a 110, per i terreni agricoli, nonché per quelli non coltivati, posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola.
Il comma 3 dell’articolo 13 (novellato dall’articolo 4, comma 5, lettera b) del D.L. 16/2012) prevede una riduzione al 50 per cento della base imponibile:
Si ricorda che a fini ICI, l’articolo 8, comma 1 del D.Lgs. n. 504 del 1992 prevedeva la riduzione del 50 per cento dell’imposta dovuta per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati;
Il comma 6 dell’articolo 13 fissa l'aliquota dell'imposta in una misura di base pari allo 0,76 per cento. I comuni possono, con deliberazione del consiglio comunale adottata entro il termine di approvazione del bilancio di previsione (ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446), modificare, in aumento o in diminuzione, l'aliquota di base sino a 0,3 punti percentuali.
I commi 7 e 8 dell’articolo 13 disciplinano alcune ipotesi di aliquota ridotta ex lege. In particolare, l’aliquota:
La disciplina IMU prevede altresì che l’aliquota possa essere ridotta dai comuni negli ulteriori, seguenti casi:
Come precisato dalla circolare n. 3/DF, non vi è una perfetta sovrapposizione tra agevolazioni ICI e agevolazioni IMU.
Le norme del D.Lgs. 504 del 1992 sono infatti applicabili solo ove espressamente richiamate.
In merito alle esenzioni, si ricorda che l’articolo 13, comma 13, del D.L. n. 201 del 2011 stabilisce che restano ferme le disposizioni dell'articolo 9 del D.Lgs. n. 23 del 2011, il quale - al comma 8 - prevede che sono esenti dall'IMU:
In merito si ricorda che, in rapporto all’IMU dovuta sugli immobili posseduti dai comuni nel loro territorio, non è dovuta la quota di gettito riservata allo Stato (per effetto dell’articolo 4, comma 5, lettera g) del D.L. 16/2012);
La richiamata circolare 3/DF ricorda altresì l’esenzione prevista dall’articolo 4, comma 5-octies, del D.L. n. 16 del 2012, che esenta da IMU i fabbricati ubicati nelle zone colpite dal sisma che ha interessato l’Abruzzo nell’aprile 2009, purché distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente (il relativo reddito, alle condizioni di legge, è esente anche da IRPEF e IRES);
Viene richiamata anche l’esenzione facoltativa, disposta dall’articolo 21 del D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, in virtù del quale i comuni, le province, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono deliberare nei confronti delle ONLUS la riduzione o l'esenzione dal pagamento dei tributi di loro pertinenza e dai connessi adempimenti; essa è applicabile anche all'IMU in considerazione del richiamo generale ai tributi locali contenuto nella norma.
La circolare ritiene applicabili all’IMU anche le seguenti agevolazioni contenute in leggi speciali, che però non operano nei confronti della quota di imposta riservata allo Stato di cui all'articolo 13, comma 11, del D.L. n. 201 del 2011, gravando dunque sul gettito spettante ai comuni:
Si rammenta altresì gli immobili esenti dall'imposta municipale propria sono assoggettati alle imposte sui redditi ed alle relative addizionali, ove dovute.
Il legislatore fiscale ha introdotto una normativa stringente per l’individuazione dell’abitazione principale del contribuente, alla quale è applicata – ex lege – l’aliquota ridotta allo 0,4 per cento (modificabile dai comuni, in aumento o in diminuzione, sino a 0,2 punti; dunque la misura minima possibile è 0,2 per cento e la massima è 0,6 per cento).
Inoltre, il comma 10 dell’articolo 13 prevede una detrazione pari a 200 euro da quanto dovuto per l’abitazione principale, fino a concorrenza dell’ammontare dell’imposta, rapportata al periodo dell'anno durante il quale si protrae la destinazione dell’immobile ad abitazione principale. Ove l’immobile costituisca “prima casa” per più soggetti passivi, la detrazione spetta a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica.
Per gli anni 2012 e 2013 è prevista una maggiorazione della suddetta detrazione per un ammontare pari a 50 euro per ciascun figlio di età non superiore ai 26 anni, purché dimori abitualmente ed abbia la residenza anagrafica nell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
L’importo complessivo della maggiorazione non può superare l’importo massimo di 400 euro, al netto della detrazione di base.
E’ data facoltà ai comuni di elevare l’importo della detrazione, fino a concorrenza dell'imposta dovuta, nel rispetto dell'equilibrio di bilancio. In tal caso il comune non può stabilire un'aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizione.
La detrazione di 200 euro spettante per l’abitazione principale si applica anche alle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari, agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari.
Si ricorda inoltre che, ai sensi del precedente comma 9, i comuni possono ridurre l’aliquota fino allo 0,4 per cento per gli immobili posseduti da soggetti IRES (tra cui IACP comunque denominati e cooperative edilizie).
I comuni possono inoltre considerare direttamente adibita ad abitazione principale (con l’applicazione dell’aliquota agevolata e della detrazione):
L’articolo 4, comma 12-quinquies del D.L. 16/2012 reca specificazioni, a fini IMU, in materia di assegnazione della casa coniugale al coniuge. L'assegnazione della casa coniugale al coniuge, disposta a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione. In sostanza, in quanto diritto reale di godimento, l’attribuzione di un simile diritto costituisce presupposto per il pagamento dell’IMU; la disposizione appare dunque volta a individuare univocamente il soggetto passivo del tributo in tali ipotesi. La circolare 3/DF del MEF chiarisce in merito che:
Ai sensi della nuova disciplina dell’IMU sperimentale, i fabbricati rurali sono assoggettati ad imposta.
Se si tratta di fabbricati ad uso abitativo, essi scontano l’IMU nelle modalità ordinarie (dunque anche, ove ricorrano le condizioni di legge, secondo le disposizioni previste per l’abitazione principale).
Per i fabbricati rurali strumentali, il già citato comma 8 dell’articolo 13 del D.L. n. 201/2011 prevede un’aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento.
Accanto alle suindicate misura, l’articolo 9, comma 8 del d.lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) esenta dall’imposta i fabbricati rurali a uso strumentale di cui all'articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, a condizione che siano ubicati nei comuni classificati montani o parzialmente montani, di cui all'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT).
Tale elenco è rinvenibile al sito http://www.istat.it/it/archivio/6789.
La richiamata circolare n. 3/DF in merito chiarisce che ai fini dell’esenzione è sufficiente che il fabbricato rurale sia ubicato nel territorio del comune ricompreso in detto elenco, indipendentemente dalla circostanza che il comune sia parzialmente montano.
Inoltre, è prevista una riserva di disciplina a favore delle province autonome di Trento e Bolzano. Esse, conformemente ai propri statuti e in deroga alle agevolazioni ed esenzioni previste dalla legge, potranno assoggettare a IMU i fabbricati rurali strumentali con l’aliquota allo 0,2 per cento (abbassabile dai comuni allo 0,1), ferma la possibilità di introdurre esenzioni, detrazioni o deduzioni ai sensi delle norme del TU delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, ovvero in base all’articolo 80 del D.P.R. n. 670 del 1972. In particolare, nel caso di tributi locali istituiti con legge dello Stato, la legge provinciale può consentire agli enti locali di modificare le aliquote e di introdurre esenzioni, detrazioni o deduzioni nei limiti delle aliquote superiori definite dalla normativa statale e può prevedere, anche in deroga alla disciplina statale, modalità di riscossione.
Ai fini fiscali, è riconosciuto carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola e aventi particolari destinazioni destinate (protezione delle piante, conservazione dei prodotti agricoli, etc). Ai sensi del comma 3-ter dell’articolo 9 del D.L. n. 557/1993, le porzioni di immobili di cui al comma 3-bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A.
In questa sede si rammenta altresì che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, l’articolo 7, commi da 2-bis a 2-quater del D.L. n. 70 del 2011 aveva introdotto una specifica procedura per la modifica della categoria catastale, dietro presentazione di apposita domanda - entro il termine originariamente fissato al 30 settembre 2011 - all'Agenzia del territorio, con autocertificazione attestante che l’immobile avesse posseduto continuativamente per cinque anni i requisiti richiesti dalla legislazione vigente per il riconoscimento del carattere rurale.
Successivamente l’articolo 13 del D.L. 201 del 2011 ha abrogato dal 1° gennaio 2012 i richiamati commi da 2-bis a 2-quater dell’ articolo 7 del D.L. 70 del 2011 (comma 14, lettera d-bis), riconoscendo effetti (comma 14-bis) alle domande presentate anche dopo il 30 settembre 2011 e fino alla data del 28 dicembre 2011, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo. Da ultimo, il termine di efficacia delle domande di variazione è stato prorogato (articolo 29, comma 8 del D.L. n. 216 del 2011) al 30 giugno 2012.
Per quanto invece riguarda i fabbricati rurali iscritti nel catasto dei terreni – salvo quelli che non costituiscono oggetto di inventariazione – è previsto (articolo 13, comma 14-ter del D. L. n. 201 del 2011) che essi vengano dichiarati al catasto edilizio urbano entro il 30 novembre 2012.
L’articolo 11, comma 1-bis del D.L. 174 del 2012 ha prorogato al 31 maggio 2013 il termine del 30 novembre 2012, limitatamente ai fabbricati rurali situati nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012. Si rammenta che il comma 6 del medesimo articolo ha prorogato al 20 dicembre 2012 il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi (compresa l’IMU) sospesi in ragione degli eventi sismici fino al 30 novembre 2012.
Inoltre, sono previste deroghe alle ordinarie modalità di versamento dell’IMU per quanto riguarda l’imposta dovuta nel 2012 sui fabbricati rurali ad uso strumentale.
Le norme generali (articolo 9, comma 3 del D.Lgs. n. 23 del 2011) prevedono che il versamento dell'imposta avvenga in due rate di pari importo, scadenti la prima il 16 giugno e la seconda il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell'imposta complessivamente dovuta in unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno.
L’articolo 13, comma 8 del D.L. n. 201 del 2011 – integrato dal D.L. 16/2012 – ha consentito, per i fabbricati rurali strumentali:
Per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 16/2012 alla disciplina IMU, è possibile delineare un regime specifico anche per i terreni agricoli: ai fini IMU, sono pertanto considerati non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola. Dunque, ai fini delle riduzioni riservate alla ruralità, viene individuato l’insieme dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali come definiti dall’articolo 1 del D.Lgs. 99 del 2004; tale formulazione sembra anche includere le società di capitali che operano nel settore, oltre alle persone fisiche.
Il medesimo D.L. 16/2012 ha innalzato da 130 a 135 la misura del moltiplicatore da applicare ai fini del calcolo del valore dei terreni agricoli. Inoltre (articolo 4, comma 5, lettera c) del D.L. 16/2012) ha ridotto a 110 il moltiplicatore da applicare a tutti i terreni, compresi quelli non coltivati, purché siano posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola.
Mediante l’introduzione del comma 8-bis all’articolo 13, sono state previste alcune limitazioni all’applicazione dell’IMU ai terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali, commisurate al valore del terreno. In particolare, i terreni agricoli posseduti e condotti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli professionali (di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99) sono assoggettati ad IMU solo per la parte di valore eccedente 6.000 euro, con le seguenti riduzioni, di importo decrescente all’aumentare del valore dell’immobile:
a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti 6.000 euro e fino a euro 15.500;
b) del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 15.500 euro e fino a 25.500 euro ;
c) del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente 25.500 euro e fino a 32.000 euro.
In sostanza, per effetto della disposizione in commento, sarà esente da imposta il terreno agricolo di valore pari o inferiore a 6000 euro in presenza delle altre condizioni di legge (possesso e conduzione da parte di coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali). Viene introdotta dunque un’applicazione dell’IMU per scaglioni, con assoggettamento a IMU (senza alcuna riduzione) dei terreni agricoli il cui valore, calcolato ai sensi del novellato comma 5 dell’articolo 13, superi i 32.000 euro. Tale agevolazione è di tenore simile a quella in precedenza prevista per i terreni agricoli a fini ICI (articolo 9 del D.Lgs. n. 504 del 1992).
Infine, l’articolo 4, comma 5-bis del D.L. 16/2012 affida a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, l’individuazione dei comuni nei quali si applica l’esenzione da imposta per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina (articolo 7, comma 1, lettera h) del D.Lgs. n. 502 del 1992, espressamente richiamato dall’articolo 9, comma 8 del D.Lgs. n. 23 del 2011), sulla base dell’altitudine riportata nell'elenco dei comuni italiani predisposto dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) nonché eventualmente anche sulla base della redditività dei terreni. La richiamata circolare n. 3/DF ha chiarito che pertanto, fino all'emanazione di detto decreto, l'esenzione si applica ai terreni contenuti nell'elenco allegato alla Circolare n..9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale, n. 141 del 18 giugno 1993 - Serie generale, n. 53.
L’articolo 8, comma 3 del decreto-legge n. 74 del 2012 dispone l’esenzione da IMU per i fabbricati ubicati nelle zone colpite dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012, purché distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero, in quanto inagibili totalmente o parzialmente, fino alla loro definitiva ricostruzione e agibilità dei fabbricati medesimi e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2014.
Il comma 6 del medesimo articolo 11, su un piano più generale, ha prorogato sino al 20 dicembre 2012 il termine per effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi (compresa l’IMU), sospesi in ragione degli eventi sismici fino al 30 novembre 2012.
L’articolo 11, comma 1-bis del D.L. 174 del 2012 ha prorogato al 31 maggio 2013 il termine (fissato al 30 novembre 2012) per l’iscrizione dei fabbricati rurali al catasto edilizio urbano, limitatamente ai fabbricati rurali situati nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.
Stante il rimando della disciplina generale IMU (articolo 13, comma 13 del D.L. 201 del 2011) alle esenzioni in precedenza vigenti per l’ICI (in particolare all’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992), sono esenti da imposta municipale gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali e destinati esclusivamente allo svolgimento di determinate attività: attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché di attività di religione o di culto, ovvero dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana. L’articolo 91-bis del D.L. 1/2012 ha specificato che tale esenzione opera solo ove le predette attività – pur dando luogo, in astratto, a esenzione - siano svolte con modalità non commerciali. In caso contrario, esse saranno assoggettate, dal 2013, ad IMU sperimentale. Quando è possibile individuare gli immobili o le porzioni di immobili adibiti esclusivamente a attività di natura non commerciale, l’esenzione si applica solo alla frazione di unità in cui tale attività si svolge (articolo 91-bis, comma 2). Quando, invece, tale individuazione non risulta possibile, l'esenzione si applica in proporzione all'utilizzazione non commerciale dell'immobile quale risulta da apposita dichiarazione (art. 91-bis, comma 3): dal 1° gennaio 2013 l’esenzione sarà applicata secondo un criterio di proporzionalità rispetto all’uso non commerciale dell’immobile, come risultante da apposita dichiarazione. La definizione delle modalità e delle procedure relative alla predetta dichiarazione, nonché degli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali esercitate in uno stesso immobile, sono state demandate ad un apposito decreto del ministro dell’Economia e delle finanze.
A seguito del parere del Consiglio di Stato del 4 ottobre 2012 (Parere n. 04180/2012), che aveva rilevato alcune carenze nella normativa primaria, il D.L. 174/2012 (articolo 9, comma 6) è dunque intervenuto affidando alla disciplina regolamentare il compito di individuare i requisiti atti a qualificare le attività insistenti sugli immobili stessi come svolte con “modalità non commerciali”, al fine di applicare l’esenzione prevista dalla legge per tali cespiti. Per effetto delle norme introdotte, oltre a individuare gli elementi rilevanti ai fini dell'individuazione del rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali insistenti sull’immobile, il regolamento del MEF deve individuare i requisiti atti a qualificare le attività come svolte con “modalità non commerciali” (in relazione alle quali sussiste l’esenzione).
In attuazione delle norme in esame il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200 reca, in primo luogo, le definizioni, tra l’altro, di ente non commerciale, delle attività scolte (previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, istituzionali, ecc.), delle modalità non commerciali (modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro che, conformemente al diritto dell'Unione Europea, per loro natura non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà) e dell’utilizzazione mista. Sono quindi definiti i requisiti generali per lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali (articolo 3) nonché ulteriori requisiti per quanto riguarda lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie, di attività didattiche, di attività culturali e attività ricreative, nonché di attività sportive. Successivamente la risoluzione n. 1/2012 del Dipartimento delle Finanze del MEF ha chiarito alcuni aspetti problematici relativi al medesimo provvedimento, in particolare concernenti l’applicabilità dello stesso agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la decorrenza delle norme che definiscono lo svolgimento con modalità non commerciali delle attività istituzionali.
L’articolo 9, comma 6-quinquies del D.L. 174/2012 sottrae gli immobili delle fondazioni bancarie dall’esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in relazione allo svolgimento di determinate attività.
Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) sarà dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali. Tale disposizione sembra dunque configurare una deroga alla richiamata esenzione IMU per gli enti non commerciali, di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 504 del 1992. In estrema sintesi, sono enti non commerciali quegli enti pubblici o privati, diversi dalle società, nonché i trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale; essi beneficiano di un regime generale di tassazione agevolata.
Si rammenta in proposito che la natura giuridica delle fondazioni di origine bancaria (nate nell'ambito del processo di privatizzazione delle banche pubbliche tramite la c.d. “legge Amato”, n. 218 del 1990) quali soggetti privati “non profit” è stata confermata anche dalla sentenza n. 300 del 2003 della Corte Costituzionale, ai sensi della quale esse sono "persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale", che perseguono – secondo quanto stabilito dall’articolo 2 del D.Lgs. n. 153 del 1999 - esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, in rapporto prevalente con il territorio.
La disciplina del riparto del gettito dell’IMU tra i diversi livelli di governo (Stato e comuni) è stata modificata radicalmente nel corso del tempo. Nella sua formulazione originaria, l’articolo 13, comma 11, del D.L. 201 del 2011 riservava allo Stato la quota di imposta pari alla metà dell’importo ottenuto applicando l’aliquota di base (attualmente pari allo 0,76 per cento) alla base imponibile di tutti gli immobili, tranne l’abitazione principale e relative pertinenze e i fabbricati rurali strumentali. Tale modalità di riparto è stata applicata nel corso del 2012. Alla quota statale non si sono applicate le misure agevolative previste dalle norme di legge, ovvero le detrazioni fissate ex lege e le riduzioni o detrazioni deliberate dai comuni. Di conseguenza, per il 2012 il contribuente ha versato contestualmente la quota IMU di imposta riservata allo Stato e di quella riservata al comune di ubicazione dell’immobile: a tal fine l’Agenzia delle Entrate ha istituito diversi codici tributo, secondo il destinatario del gettito e il tipo di immobile colpito da IMU. Il contribuente ha dovuto dunque indicare, in sede di versamento, la parte di imposta spettante all’erario (ove dovuta, ad esempio sugli immobili diversi dalla “prima casa”) e quella spettante al Comune sul medesimo modello (F24 o bollettino postale).
Per l’anno 2012, dunque il comma 12-bis dell’articolo 13 ha previsto l’obbligo dei comuni di iscrivere nel bilancio di previsione l'entrata da imposta municipale propria in base ad importi predeterminati, stimati dal Dipartimento delle finanze del MEF per ciascun Comune e pubblicati sul sito internet www.finanze.gov.it (cd. “accertamento convenzionale”). Tale ”accertamento convenzionale” del gettito non consente il riconoscimento da parte dello Stato, ai fini dei rapporti finanziari tra questo e i Comuni, dell'eventuale differenza tra gettito accertato convenzionalmente e gettito reale.
Il successivo comma 17 dell’articolo 13 ha disposto la rimodulazione proporzionale del fondo sperimentale di riequilibrio (istituito nel 2011 ai sensi dell’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011) e del fondo perequativo (articolo 13 dello stesso decreto legislativo), nonché dei trasferimenti erariali dovuti ai comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, in ragione delle differenze di gettito - stimato ad aliquota di base - derivanti dalle disposizioni in materia di IMU introdotte dal D.L. 201 del 2011; in caso di incapienza, ciascun comune versa all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue.
Secondo quanto dispone l’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. 23/2011, tale Fondo sperimentale era alimentato, a decorrere dal 2011, con il gettito, o quote di gettito, derivante dalla fiscalità immobiliare, ivi compresa la “cedolare secca” sugli affitti, nonché, per il triennio 2012-2014, da una compartecipazione al gettito dell’IVA, fissata in misura finanziariamente equivalente al 2% dell’importa sul reddito delle persone fisiche. In relazione a ciò, il successivo comma 8 del medesimo decreto legislativo dispone che i trasferimenti erariali di spettanza dei comuni sono ridotti in misura corrispondente al gettito che confluisce nel Fondo in base ai cespiti predetti.
Tale assetto è stato profondamente innovato dall’articolo 1, comma 380 e seguenti della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012). Infatti, per gli anni 2013 e 2014 il gettito IMU è attribuito interamente ai comuni, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.
Viene contestualmente istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, del quale sono anche stabiliti la dotazione finanziaria ed i criteri di riparto, alimentato da una quota dell'imposta municipale propria (di spettanza dei comuni) da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Il decreto dovrà essere emanato entro il 30 aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre 2013 per l'anno 2014. Corrispondentemente, nei predetti esercizi è versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni; tale importo è rideterminato a seguito dell'emanazione dei suddetti D.P.C.M.
Ciò comporta che, in sostanza, il gettito IMU affluirà ai comuni in parte direttamente, sulla base degli esiti della riscossione, e in parte dopo essere stato versato al bilancio dello Stato, mediante trasferimento dal Fondo di solidarietà comunale iscritto nel bilancio statale, per la quota di spettanza di ciascun ente locale. In relazione all'istituzione del nuovo Fondo viene soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio, nonché i trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati. Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa, per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni stessi e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (articolo 2, commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.
Le norme generali sull’IMU (articolo 9, comma 3 del D.Lgs. n. 23 del 2011) prevedono che il versamento dell'imposta avvenga in due rate di pari importo, che scadono il 16 giugno e il 16 dicembre. Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell'imposta complessivamente dovuta in unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno. Ai sensi dell’articolo 13, comma 12 del D. L. n. 201 del 2011 il pagamento dell’imposta è effettuato secondo le modalità regolate dalla legge statale (articolo 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241) sul versamento unitario delle imposte (F24) ovvero mediante bollettino postale (da dicembre 2012).
Tuttavia, per l’anno 2012, la suddetta disciplina è stata integrata – articolo 4, comma 5, lettere h) e i) del D.L. 16 del 2012 - con una serie di prescrizioni relative alle dichiarazioni d’imposta, ai pagamenti da effettuarsi nel 2012, all’eventuale modificabilità delle aliquote e della detrazione fissate dalla legge, nonché agli adempimenti dei Comuni in relazione all’imposta municipale. Il comma 12-bis dell’articolo 13 ha consentito, per il 2012, di versare la prima rata dell'imposta municipale su tutti gli immobili diversi dall’abitazione principale, senza applicazione di sanzioni ed interessi, in misura pari al 50 per cento dell'importo ottenuto applicando le aliquote di base previste dalla legge. La seconda rata è stata versata a saldo dell'imposta complessivamente dovuta per l'intero anno con conguaglio sulla prima rata. Per la sola abitazione principale e le relative pertinenze, nel 2012 il contribuente ha potuto scegliere un versamento in due o tre rate. Nel caso di pagamento in due rate, la prima è stata corrisposta entro il 18 giugno, versando il 50 per cento dell’importo ottenuto applicando alla base imponibile le aliquote di base e l’eventuale detrazione prevista per l’abitazione principale, senza applicazione di sanzioni e interessi. La seconda rata è stata versata entro il 17 dicembre a saldo dell’imposta complessivamente dovuta, salvo conguaglio. Nel caso di pagamento in tre rate, la prima e la seconda rata sono state versate in misura ciascuna pari ad un terzo dell'imposta, calcolata applicando l'aliquota di base e la detrazione “prima casa”, da corrispondere rispettivamente entro il 18 giugno e il 17 settembre. La terza rata è stata versata, entro il 17 dicembre, a saldo dell'imposta complessivamente dovuta per l'intero anno con conguaglio sulle precedenti rate.
Con DPCM da emanarsi entro il 10 dicembre 2012 il Governo avrebbe potuto modificare le aliquote e la detrazione per l’abitazione principale, al fine di assicurare l’ammontare del gettito complessivo previsto per l’anno 2012. I Comuni hanno avuto tempo fino al 31 ottobre 2012 (data così fissata dall’articolo 9, comma 3 del D.L. 174/2012) per approvare o modificare la delibera e il regolamento relativi alle aliquote IMU e alla detrazione per l’abitazione principale, sulla base dei dati aggiornati.
In ordine alle dichiarazioni IMU, l’articolo 13, comma 12-ter del D.L. n. 201 obbliga alla presentazione della dichiarazione entro 90 giorni dalla data in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell'imposta. Restano fermi:
Si prevede infine che, per gli immobili posseduti al 1° gennaio 2012, la dichiarazione deve essere presentata entro il 4 febbraio 2013 (termine così prorogato dall’articolo 9, comma 3 del D.L. 174/2012) ovvero novanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di approvazione del modello di dichiarazione IMU (DM 30 novembre 2012, pubblicato nella GU del 5 dicembre 2012) e delle relative istruzioni per la combinazione.
Il comma 13-bis dell’articolo 13 del D.L. n. 201 del 2011 – anch’esso introdotto dal D.L. 16/2012 – prevede che, a decorrere dall'anno di imposta 2013, le deliberazioni comunali di approvazione delle aliquote e della detrazione dell’IMU dovranno essere inviate esclusivamente per via telematica per la pubblicazione nel sito informatico previsto per la pubblicazione delle delibere in materia di addizionale comunale IRPEF. L'efficacia delle deliberazioni decorre dalla data di pubblicazione nel predetto sito informatico. Gli effetti delle deliberazioni stesse retroagiscono al 1° gennaio dell'anno di pubblicazione nel sito informatico, purché detta pubblicazione avvenga entro il 30 aprile dell'anno a cui la delibera si riferisce. A tal fine, l'invio deve avvenire entro il termine del 23 aprile. In caso di mancata pubblicazione entro il termine del 30 aprile, le aliquote e la detrazione si intendono prorogate di anno in anno. In merito si ricorda che nel mese di luglio 2012 il Dipartimento delle finanze del MEF ha pubblicato, sul proprio sito Internet, le Linee guida per la predisposizione delle delibere e dei regolamenti di applicazione dell'Imposta Municipale Propria, nel quale viene anche fornito un prototipo di regolamento IMU.
Gli interventi in materia di imposizione indiretta hanno interessato, in via prevalente, l'imposta sul valore aggiunto e le imposte sulla produzione e sui consumi. Il progressivo aumento delle aliquote IVA ha - di fatto - sostituito il previsto intervento di riduzione delle aree di erosione fiscale (cd. tax expenditures) individuato in un primo momento quale copertura per l'anticipo del pareggio di bilancio al 2013 concordato in sede europea.
Nella seduta del 18 ottobre 2011 la VI Commissione Finanze ha approvato il documento finale relativo al "Libro verde sul futuro dell'IVA", presentato dalla Commissione europea il 1o dicembre 2010 (COM(2010)695 definitivo) per rivedere complessivamente il sistema vigente dell'IVA, al fine di conseguire, tra gli altri obiettivi, il rafforzamento della coerenza tra il regime dell'IVA e il mercato unico, l'incremento del gettito dell'imposta e il contrasto ai fenomeni di frode. Ad esito della consultazione, il 6 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato la comunicazione sulla nuova strategia dell'UE in materia di imposta sul valore aggiunto COM(2011)851[1], ai sensi della quale, il nuovo sistema IVA dovrebbe perseguire i seguenti tre obiettivi principali:
La Commissione sottolinea inoltre che la questione del passaggio ad un sistema IVA basato sull'imposizione nel paese di originenon è più rilevante. Pertanto, l'IVA continuerà ad essere riscossa nel paese di destinazione (ossia il paese in cui ha sede l'acquirente).
In relazione alle aliquote, si ricorda che il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2013, a decorrere dal 1° luglio 2013, l’aliquota ordinaria è rideterminata nella misura del 22 per cento (anziché del 23 per cento fino al 31 dicembre 2013), mentre resta ferma l’attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa originariamente destinata ad aumentare). In sostanza dal 1° luglio 2013 le aliquote IVA saranno le seguenti: 22 per cento (ordinaria, che aumenta così dall’attuale valore del 21 per cento), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta).
Ulteriori interventi in materia di IVA sono contenuti all'articolo 8 della legge comunitaria 2010 ( legge n. 217 del 2011) e riguardano, tra l'altro, le cessioni transfrontaliere di energia elettrica e gas; i rimborsi; i beni importati in libera pratica; le cessioni di navi e aerei. Successivamente, il D.L. "Liberalizzazioni" ( D.L. n. 1 del 2012, articolo 93) ha consentito al prestatore/cedente di rivalersi della maggiore imposta dovuta a seguito di accertamento, nei confronti del cessionario/committente che può esercitare il diritto alla detrazione. Il medesimo provvedimento (articolo 57) perridurre gli oneri a carico delle imprese edili mediante l’estensione del beneficio della compensazione dell’IVA, modifica il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 per assoggettare a imposta le operazioni relative ad interventi su fabbricati destinati ad alloggi sociali; tale disciplina è stata successivamente estesa dall' articolo 9 del D.L. n. 83 del 2012 alle cessioni e locazioni di abitazioni effettuate dai costruttori anche oltre il limite dei cinque anni dall’ultimazione dei lavori; al medesimo fine, si prevede inoltre la possibilità per le imprese che operano nel settore immobiliare di optare per la contabilizzazione separata in relazione alle operazioni di cessione di immobili abitativi in esenzione.Un gruppo di interventi ha progressivamente esteso l’ambito operativo della cd. “IVA per cassa”, ovvero la possibilità di effettuare cessioni di beni e prestazioni di servizi per le quali l’IVA diventa esigibile al momento dell’effettiva riscossione del corrispettivo. Tale disciplina, introdotta col D.L. n. 185 del 2008, è stata da ultimo innovata profondamente dall’articolo 32-bis del D.L. 83 del 2012, ai sensi del quale:
Con la legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008) sono stati recepiti alcuni obblighi comunitari in materia di IVA, quali:
Il decreto legislativo n. 18 del 2010 (recante attuazione delle direttive 2008/8/CE, per quanto riguarda il luogo di prestazione di servizi, 2008/9/CE, che stabilisce norme dettagliate per il rimborso dell’IVA ai soggetti passivi non stabiliti nello Stato membro di rimborso ma in un altro Stato membro, e 2008/117/CE, relativa al sistema comune di IVA per combattere la frode fiscale connessa alle operazioni intracomunitarie) ha introdotto rilevanti modifiche in materia di territorialità dell'IVA nelle prestazioni di servizi che, di fatto, hanno trovato attuazione con decorrenza dal 1° gennaio 2010 (secondo quanto indicato nella circolare n. 58/E emanata il 31 dicembre 2009 dall'Agenzia delle entrate). L'Agenzia delle entrate ha fornito ulteriori chiarimenti in merito al periodo transitorio, decorrente dal 1° gennaio 2010, nella successiva circolare n. n. 14/E emanata il 18 marzo 2010.
L'Unione europea, con Regolamento 15 marzo 2011, n. 282, è nuovamente intervenuta sulla disciplina in materia di territorialità IVA, al fine di assicurare una omogeneità nell'applicazione tra i paesi membri delle disposizioni previste dalla citata direttiva 2008/8/CE. In particolare, viene fornita una definizione di stabile organizzazione (articolo 53 del Regolamento) e vengono forniti chiarimenti in merito all'applicazione dell'imposta rispetto alla fornitura di specifici servizi tra i quali si segnalano il commercio elettronico, le traduzioni di testi e la radiodiffusione televisiva delle partite di calcio.
La direttiva2010/45/UE del 13 luglio 2010, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione,è stata recepita dai commi da 324 a 335, della legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) attraverso una serie di modifiche ed integrazioni ad alcuni testi normativi (soprattutto al D.P.R. n.633 del1972 ed al decreto-legge n.331 del 1993). Le nuove disposizioni concernono in particolare l’emissione della fattura, la fattura elettronica, la fattura semplificata e l’esigibilità dell’imposta nelle operazioni transfrontaliere. Tra queste si segnala la definizione di fattura elettronica (ossia la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico) e l'introduzione della fattura semplificata, che può essere emessa per operazioni di ammontare non superiore a 100 euro, nonché nel caso di fatture rettificative: in tali ipotesi si consente l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati identificativi de cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il codice fiscale o il numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario o committente stabilito in un altro Stato membro UE, è possibile indicare soltanto il numero di identificazione IVA attribuito da detto Stato membro. La nuova disciplina si applica a decorrere dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2013.
Tra le novità introdotte con il decreto-legge n. 78 del 2009 si segnalano le disposizioni finalizzate a contrastare gli abusi in materia di utilizzo in compensazione dei crediti IVA; l’ambito di tali misure è stato esteso dal D.L. n. 16 del 2012 (articolo 8) riducendo a 5.000 euro (dall’originario ammontare di 10.000 euro) l’ammontare dei crediti IVA liberamente compensabili con altri tributi prima della presentazione delle relative prove documentali e consentendo di compensare esclusivamente mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate i crediti superiori a 5.000 euro, anziché quelli superiori a 10.000 euro.
In materia di depositi IVA, il D.L. 70/2011 ha subordinato l'introduzione di merci nei suddetti depositi alla prestazione di idonea e commisurata garanzia, esonerando da tale prestazione i soggetti autorizzati dalle norme doganali e gli operatori economici titolari di apposita certificazione. In proposito, il 20 ottobre 2011 la VI Commissione Finanze ha approvato la risoluzione 7-00713, che impegna il Governo ad adottare iniziative idonee a semplificare le modalità di accesso al beneficio dell'esonero della prestazione della suddetta garanzia in favore di soggetti solvibili. Sulla materia è altresì intervenuto il D.L. n. 16 del 2012, al fine di precisare che specifiche prestazioni di servizi relative a beni consegnati al depositario costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito IVA - e non sono quindi assoggettabili al tributo - indipendentemente dai tempi di giacenza o dallo scarico del mezzo di trasporto.
L’articolo 8 del D.L. n. 16 del 2012 interviene quindi sulle norme che regolano la cancellazione delle partite IVA inattive, al fine di introdurre una disciplina più articolata per l’individuazione e la cancellazione delle suddette, con specifiche forme di contraddittorio tra l’Agenzia delle entrate ed il contribuente. Dispone inoltre che siano messi a disposizione del pubblico servizi diretti a fornire informazioni sullo stato di attività delle partite IVA e sulle generalità dei titolari. Il medesimo provvedimento ha inoltre elevato le soglie per essere considerati contribuenti minori ai fini delle semplificazioni degli obblighi di fatturazione e registrazione, allineandole a quelle attualmente previste per poter accedere alla contabilità semplificata e per effettuare i versamenti IVA con periodicità trimestrale.
A partire dal 1° gennaio 2013, la legge di stabilità 2013 (commi 520-521) ha assoggettato a IVA secondo l’aliquota ordinaria (attualmente al 21 per cento) l’attività di gestione individuale di portafogli titoli, disponendo che sui relativi corrispettivi si debba applicare l'imposta analogamente a quanto previsto dalle norme vigenti per i servizi di custodia e amministrazione dei titoli. Al fine di consentire la detrazione dell'Iva sui costi relativi ai servizi di gestione individuale di portafogli, le norme in commento consentono di optare per l’applicazione separata dell’Iva per i soggetti che svolgono sia il servizio di gestione individuale di portafogli, ovvero prestazioni di mandato, mediazione o intermediazione relative al predetto servizio, sia attività esenti da Iva.
La direttiva 2010/45/UE del 13 luglio 2010, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione, è stata recepita dai commi da 324 a 335, della legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) attraverso una serie di modifiche ed integrazioni ad alcuni testi normativi (soprattutto al decreto IVA n.633 del1972 ed al decreto-legge n.331 del1993).
Le nuove disposizioni concernono in particolare l’emissione della fattura, la fattura elettronica, la fattura semplificata e l’esigibilità dell’imposta nelle operazioni transfrontaliere. Tra queste si segnala la definizione di fattura elettronica (ossia la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico) e l'introduzione della fattura semplificata, che può essere emessa per operazioni di ammontare non superiore a 100 euro, nonché nel caso di fatture rettificative: in tali ipotesi si consente l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati identificativi de cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il codice fiscale o il numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario o committente stabilito in un altro Stato membro UE, è possibile indicare soltanto il numero di identificazione IVA attribuito da detto Stato membro.
La nuova disciplina si applica a decorrere dalle operazioni effettuate a partire dal 1° gennaio 2013.
I contenuti della direttiva 2010/45/UE
Si segnala, preliminarmente, che le norme in commento hanno recepito l’articolo 1 del decreto-legge 11 dicembre 2012, n.216, recante disposizioni urgenti volte a evitare l'applicazione di sanzioni dell'Unione europea, presentato al Senato l'11dicembre scorso (A.S.3603), ora decaduto.
La delega per l’attuazione della direttiva 2010/45/UE era contenuta nel disegno di legge comunitaria 2011 (A.S. 3129), il quale non ha concluso il suo iter parlamentare prima dello scioglimento della XVI legislatura.
In particolare, la direttiva 2010/45/CE modifica la direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione, introducendo modifiche in tema di esigibilità dell’IVA e di semplificazione della fatturazione.
Sotto il primo profilo, gli Stati membri, entro il 31 dicembre 2012, potranno introdurre un regime di contabilità di cassa che consente di pagare l'IVA solo quando il pagamento ad essa relativo viene effettivamente incassato.
Come emerge dai considerando della direttiva, tale regime ha lo scopo di aiutare le piccole e medie imprese che hanno difficoltà a versare l’IVA prima di aver ricevuto i pagamenti dai loro acquirenti. In tal modo, si afferma, gli Stati membri potranno introdurre un regime facoltativo di contabilità di cassa che non andrà ad incidere negativamente sui flussi di cassa legati alle loro entrate IVA.
In Italia, la disciplina dell’IVA per cassa, introdotta col D.L. n. 185 del 2008, è stata da ultimo innovata profondamente dall’articolo 32-bis del D.L. 83 del 2012, ai sensi del quale:
La direttiva prevede inoltre la possibilità di emettere fatture semplificate per importi inferiori ai 100 euro. Dal 1° gennaio 2013 sono introdotte disposizioni di omologazione a livello europeo del contenuto della fattura, sia cartacea che in forma elettronica, con l'obiettivo di renderne uniforme l'utilizzo e la comprensione da parte dell'emittente e del destinatario, ancorché identificati ai fini IVA in Stati membri diversi dell'Unione.
La direttiva prende spunto da una relazione della Commissione Europea che ha evidenziato alcune difficoltà inerenti la fatturazione elettronica e ha richiamato l'attenzione su altri settori in cui occorre semplificare le norme IVA al fine di migliorare il funzionamento del mercato interno. Al fine di armonizzare e garantire la certezza del diritto, sono stabilite regole più precise per individuare gli obblighi che le imprese devono seguire in tema di fatturazione: di norma si applicano quindi le norme dello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di un bene o la prestazione di un servizio.
Le disposizioni incoraggiano, inoltre, il ricorso alla fatturazione elettronica mediante la soppressione degli ostacoli giuridici alla trasmissione e all’archiviazione dei documenti dematerializzati. La direttiva introduce un principio in base al quale ogni soggetto passivo stabilisce il modo in cui assicurare l'autenticità dell'origine, l'integrità del contenuto e la leggibilità della fattura: i soggetti passivi, pertanto, non sono obbligati a ricorrere ad una particolare tecnologia di fatturazione elettronica. Per motivi di certezza, viene riconosciuta agli Stati membri la possibilità di richiedere che la conservazione elettronica delle fatture sia obbligatoriamente accompagnata dalla conservazione di quei dati che garantiscono l'autenticità dell'origine e l'integrità del contenuto di ciascuna fattura.
Viene introdotta una diversa definizione di fattura elettronica. La precedente definizione (“trasmissione o messa a disposizione per via elettronica dei dati di fatturazione”) è sostituita con “fattura emessa e ricevuta in formato elettronico”. Si afferma dunque la piena parificazione tra le fatture cartacee e quelle elettroniche.
Vengono inoltre stabilite regole più precise per determinare gli obblighi per le imprese in tema di fatturazione: normalmente si applicheranno le norme dello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di un bene o la prestazione di un servizio.
Sono modificati gli obblighi relativi alle informazioni che devono figurare sulle fatture per permettere un miglior controllo dell'imposta, garantire un trattamento più uniforme alle cessioni di beni/prestazioni di servizi e contribuire a promuovere la fatturazione elettronica.
Le norme devono essere recepite dagli Stati membri entro il 31 dicembre 2012 per rendere applicabili le nuove disposizioni dal successivo 1° gennaio 2013.
Le norme di recepimento
In primo luogo, le norme in commento modificano numerosi articoli del DPR n.633 del 1972 (decreto IVA).
Anzitutto la lettera a) del comma 325 modifica il quarto comma dell'articolo 13, concernente la base imponibile, ai fini della conversione in euro degli importi in valuta contenuti sulla fattura. Si introduce pertanto la possibilità di effettuare la conversione in euro, per tutte le operazioni effettuate nell'anno solare, sulla base del tasso di cambio pubblicato dalla Banca centrale europea.
La lettera b) reca modifiche all'articolo 17 del D.P.R. n. 633 del 1972 concernente i soggetti passivi, dirette sostanzialmente a prevedere che nel caso di cessioni di beni o di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo stabilito in un altro Stato UE, sia il cessionario che il committente possano adempiere agli obblighi di fatturazione e di registrazione.
La lettera c) modifica l'articolo 20 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente il volume d'affari: in particolare viene soppresso il riferimento alle prestazioni di servizi, non soggette ad IVA, rese a soggetti stabiliti in un altro Stato membro della comunità tra le voci che non concorrono a formare il volume di affari del contribuente.
Fatturazione delle operazioni
La lettera d) sostituisce pressoché integralmente l'articolo 21 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente la fatturazione delle operazioni.
In primo luogo, è recepita una definizione di fattura elettronica simile a quella introdotta dalla direttiva 2010/45/UE: si prevede pertanto che per fattura elettronica si intenda la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico; si prevede altresì che il ricorso alla fattura elettronica sia subordinato all'accettazione da parte del destinatario.
L'emissione della fattura, cartacea o elettronica, da parte del cliente o del terzo residente in un Paese con il quale non esiste alcuno strumento giuridico che disciplini la reciproca assistenza è consentita a condizione che ne sia data preventiva comunicazione all'Agenzia delle entrate e purché il soggetto passivo nazionale abbia iniziato l'attività da almeno cinque anni e nei suoi confronti non siano stati notificati, nei cinque anni precedenti, atti impositivi o di contestazione di violazioni sostanziali in materia di imposta sul valore aggiunto. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono determinate le modalità, i contenuti e le procedure telematiche della comunicazione. La fattura, cartacea o elettronica, si ha per emessa all'atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente.
Si prescrive l’indicazione in fattura di apposite diciture per determinate fattispecie: tra le altre, viene introdotto l’obbligo di indicare il numero di partita IVA del cessionario o committente, ovvero il numero di registrazione ai fini dell’IVA per i soggetti stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea, ovvero il codice fiscale se il cessionario o committente non agisce nell’esercizio d’impresa, arte o professione (lettera f) del comma 2 citato).
Vengono apportate modifiche riguardanti l'autenticità dell'origine, l'integrità del contenuto e la leggibilità della fattura: si prevede pertanto che il soggetto passivo debba assicurare autenticità, integrità e leggibilità dal momento dell'emissione della fattura fino al termine del suo periodo di conservazione; autenticità dell'origine ed integrità del contenuto possono peraltro essere garantite mediante sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile tra la fattura e la cessione di beni o la prestazione di servizi ad essa riferibile. Le fatture redatte in lingua straniera sono tradotte in lingua nazionale, a fini di controllo, a richiesta dell'amministrazione finanziaria.
Si prevede la possibilità di emettere fatture periodiche entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione delle operazioni, purché queste trovino riscontro in un documento di trasporto (per le cessioni di beni) e in idonea documentazione (per le prestazioni di servizi). Ulteriori modifiche sono quindi apportate, per tenere conto delle disposizioni comunitarie sui termini di fatturazione, in relazione alle prestazioni di servizi rese nei confronti di soggetti stabiliti nell’Unione europea (lettera c) del comma 4) e alle prestazioni di servizi rese a o ricevute da soggetti passivi stabiliti fuori dell’UE (lettera d) del comma 4).
Si individuano le annotazioni che devono essere contenute nella fattura ("operazione non soggetta", "operazione non imponibile", "operazione esente", "regime del margine - beni usati", "regime del margine - oggetti d'arte" o "regime del margine - oggetti di antiquariato o da collezione", "regime del margine - agenzie di viaggio") in luogo dell'ammontare dell'imposta per determinate tipologie di operazioni.
In materia di annotazioni, la lettera g) modifica altresì l'articolo 74 del D.P.R. n. 633, al fine di prevedere, in determinate ipotesi, l'obbligo di inserire nella fattura l'annotazione “inversione contabile”.
Si ricorda che la direttiva 2010/23/UE ha modificato la direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi.
L'inversione contabile, o reverse charge è un particolare meccanismo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale il destinatario di una cessione di beni o prestazione di servizi, se soggetto passivo nel territorio dello Stato, è tenuto all'assolvimento dell'imposta in luogo del cedente o prestatore.
Quest'ultimo soggetto emette fattura senza addebitare l'imposta ed applica la norma che prevede l'applicazione del regime del reverse charge (articolo 17 comma 6 del D.P.R. 633/1972). Il destinatario della cessione di beni o della prestazione del servizio deve integrare la fattura ricevuta con l'indicazione dell'aliquota propria della operazione messa in essere dal cedente o prestatore del servizio, della relativa imposta e inoltre deve registrare il documento sia nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, che nel registro degli acquisti a tal punto da rendere neutrale l'effetto della imposta.
In merito all’obbligatorietà dell’emissione della fattura, si prevede l'emissione per le operazioni non rilevanti territorialmente in Italia ed effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori dell’imposta in un altro Stato membro dell’Unione europea; un analogo obbligo viene stabilito per le operazioni non soggette ad IVA che si considerano effettuate fuori del territorio dell’Unione europea.
Le fatture emesse dal cessionario di un bene o dal committente di un servizio in virtù di un obbligo proprio devono recare l'annotazione "autofatturazione".
Fattura semplificata
La lettera e) inserisce nel D.P.R. n. 633 del 1972 l'articolo 21-bis, diretto a disciplinare la fattura semplificata.
La fattura semplificata può essere emessa per operazioni di ammontare complessivo non superiore a 100 euro, nonché nel caso di fatture rettificative (note di variazione): in tale ipotesi si consente l'emissione della fattura indicando, in luogo dei dati identificativi del cessionario o committente stabilito in Italia, soltanto il codice fiscale o il numero di partita IVA del medesimo; in caso di cessionario o committente stabilito in un altro Stato membro dell’Unione europea, è possibile indicare soltanto il numero di identificazione IVA attribuito da detto Stato membro.
Inoltre, si prevede che sia sufficiente indicare sulla fattura semplificata l'ammontare del corrispettivo complessivo e dell’imposta incorporata ovvero dei dati necessari per calcolarla: non è pertanto necessario indicare la base imponibile dell’operazione e la relativa imposta.
Viene infine specificato che, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze:
Tenuta e conservazione dei registri e dei documenti
La lettera f) sostituisce il terzo comma dell'articolo 39 del D.P.R. n. 633 del 1972, concernente la tenuta e la conservazione dei registri e dei documenti.
In particolare con la modifica apportata viene previsto che le fatture elettroniche debbano essere conservate in modalità elettronica, in conformità alle disposizioni del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 21, comma 5, del decreto legislativo n. 82 del 2005 (Codice dell'amministrazione digitale).
Si ricorda che tale disposizione stabilisce che gli obblighi fiscali relativi ai documenti informatici ed alla loro riproduzione su diversi tipi di supporto sono assolti secondo le modalità definite con uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro delegato per l'innovazione e le tecnologie.
Si prevede altresì che le fatture create in formato elettronico e quelle cartacee possano essere conservate elettronicamente; per fatture create in formato elettronico si intendono quelle che, ancorché create elettronicamente, non possono definirsi fatture elettroniche per la mancanza della loro accettazione da parte del destinatario.
Cessioni e acquisti intracomunitari
Il comma 326 apporta alcune modifiche al decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 recante una serie di disposizioni tributarie.
In particolare la lettera a) ne modifica l'articolo 38, comma 5, lettera a), concernente gli acquisti intracomunitari, prevedendo che non costituisce acquisto intracomunitario l'introduzione nel territorio dello Stato di beni oggetto di perizie (secondo il testo integrato dalla norma in esame) o di operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali, se i beni sono successivamente trasportati o spediti al committente, soggetto passivo d'imposta, nello Stato membro di provenienza o per suo conto in altro Stato membro ovvero fuori del territorio UE.
La lettera b) sostituisce l'articolo 39 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato all'effettuazione delle cessioni e degli acquisti intracomunitari.
Per effetto delle modifiche apportate si prevede anzitutto che le cessioni intracomunitarie e gli acquisti intracomunitari di beni si considerano effettuati all'atto dell'inizio del trasporto o della spedizione al cessionario o a terzi per suo conto, rispettivamente, dal territorio dello Stato o dal territorio dello Stato membro di provenienza. Tuttavia se gli effetti traslativi o costitutivi si producono in un momento successivo alla consegna, le operazioni si considerano effettuate nel momento in cui si producono tali effetti e comunque dopo il decorso di un anno dalla consegna.
Si recepisce la soppressione, disposta dalla direttiva 2010/45/UE, dell'obbligo di emissione della fattura per gli acconti incassati in relazione ad una cessione intracomunitaria: si prevede pertanto che se anteriormente al verificarsi dell'evento di cui al comma 1 è stata emessa la fattura relativa ad un'operazione intracomunitaria, questa si considera effettuata, limitatamente all'importo fatturato, alla data della fattura.
Sono infine disciplinate alcune ipotesi in cui le cessioni, i trasferimenti di beni e gli acquisti intracomunitari, se effettuati in modo continuativo in un periodo superiore ad un mese solare, si considerano effettuati al termine di ciascun mese.
La lettera c) modifica l'articolo 41 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato alle cessioni intracomunitarie non imponibili, integrando la disposizione con il riferimento alle perizie - accanto alle operazioni di perfezionamento o di manipolazioni usuali - analogamente a quanto visto supra alla lettera a); la lettera d) abroga invece il comma 3 dell'articolo 43 del decreto-legge n. 331 del 1993, concernente la base imponibile e l'aliquota, a fini di coordinamento con la modifica apportata all'articolo 13 del D.P.R. n. 633 del 1972 su cui vedi supra.
La lettera e) reca alcune modifiche all'articolo 46 del decreto-legge n. 331 del 1993, concernente la fatturazione delle operazioni intracomunitarie.
In particolare al comma 1, nel caso di acquisto intracomunitario senza pagamento dell'imposta o non imponibile o esente, si precisa che in luogo dell'ammontare dell'imposta nella fattura deve essere indicato il titolo con l'eventuale indicazione della relativa norma comunitaria o nazionale.
La modifica apportata al comma 2 dell'articolo 46 interviene sul termine di fatturazione, prevedendo che per le cessioni intracomunitarie l'emissione della fattura sia effettuata entro il giorno 15 del mese successivo a quello dell'operazione; analogamente si interviene sui termini di fatturazione con la modifica apportata al comma 5.
Anche la lettera f) - recante modifiche all'articolo 47 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato alla registrazione delle operazioni intracomunitarie - ridefinisce i termini di fatturazione, in particolare per la registrazione delle fatture.
Analogamente la lettera g) modifica il primo comma dell'articolo 49 del decreto-legge n. 331 del 1993, dedicato alla dichiarazione e al versamento dell'imposta per gli enti non commerciali e per i prodotti soggetti ad accisa, intervenendo sui termini di presentazione, entro ciascun mese, di una dichiarazione relativa agli acquisti registrati con riferimento al secondo mese precedente.
Il comma 329 modifica l'articolo 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746 in materia di IVA.
Esso prevede che ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore abituale non si tenga conto delle operazioni non rilevanti territorialmente in Italia ed effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori dell’imposta in un altro Stato membro UE nonché delle operazioni non soggette ad IVA che si considerano effettuate fuori del territorio UE (di cui all'articolo 21, comma 6-bis, del decreto del D.P.R. n. 633 del 1972).
Sanzioni tributarie non penali
Il comma 327 modifica l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 in materia di sanzioni tributarie non penali, in cui viene disciplinata la violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto: la modifica apportata specifica che le sanzioni ivi previste (sanzione amministrativa compresa tra il cinque ed il dieci per cento dei corrispettivi non documentati o non registrati) si applicano a chi viola obblighi inerenti alla documentazione e alla registrazione non solo di operazioni non imponibili o esenti ma anche di operazioni non soggette a IVA.
Apparecchi misuratori fiscali
Il comma 328 interviene sulla disciplina degli apparecchi misuratori fiscali, modificando l'articolo 1 della legge 26 gennaio 1983, n. 18.
Esso prevede che le fatture di cui agli articoli 21 e 21-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 (su cui vedi supra) possano essere emesse, alle condizioni previste dagli stessi articoli, mediante gli apparecchi misuratori fiscali (in relazione alle cessioni di beni effettuate in locali aperti al pubblico o in spacci interni, per le quali non è obbligatoria l'emissione della fattura, e per le somministrazioni in pubblici esercizi di alimenti e bevande non soggette all'obbligo del rilascio della ricevuta fiscale); in tale ipotesi per l'identificazione del soggetto cedente o prestatore le fatture possono recare i dati identificativi determinati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Il ddl di delega per la revisione del sistema fiscale presentato dal Governo il 18 giugno 2012 (A.C. 5291) è stato approvato in prima lettura dalla Camera, che lo ha modificato in modo significativo accorpandolo in 4 articoli. Tuttavia il Senato non ha concluso l'iter del provvedimento entro il termine della legislatura.
Nel corso della legislatura sono stati presentati due disegni di legge delega in materia fiscale, A.C. 4566 e A.C. 5291-A.S. 3519, il cui iter parlamentare non si è tuttavia concluso. Alcuni degli interventi proposti sono peraltro confluiti in decreti-legge o altri provvedimenti (la tassazione dei redditi di natura finanziaria, l'introduzione di un aiuto alla crescita economica - ACE, la rimodulazione delle aliquote IVA e accise, la revisione della riscossione degli enti locali, gli interventi in materia di semplificazione, ecc). Per una analisi delle misure adottate si rinvia al relativo approfondimento.
Il disegno di legge A.C. 5291 reca una delega al governo ad adottare, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in commento, uno o più decreti legislativi, recanti la revisione del sistema fiscale. Tale delega è volta a perseguire gli stessi obiettivi di crescita ed equità già messi in campo attraverso il decreto-legge n. 201 del 2011 (cosiddetto SalvaItalia); non si pone quindi come un intervento radicale, volto ad attuare un particolare modello teorico di tax design, ma intende intervenire per correggere alcuni aspetti critici del sistema per renderlo più favorevole alla crescita e all’equità.
Nel corso dell’esame in sede referente, l’originario testo di 17 articoli, ha subito numerose modifiche ed è stato accorpato in 4 articoli, concernenti, oltre alle procedure di delega (articolo 1), la revisione del catasto dei fabbricati nonché norme in materia di evasione ed erosione fiscale (articolo 2), la disciplina dell'abuso del diritto ed elusione fiscale, norme in materia di tutoraggio, semplificazione fiscale e revisione del sistema sanzionatorio, la razionalizzazione organizzativa dell’Amministrazione finanziaria, nonché la revisione del contenzioso e della riscossione degli enti locali (articolo 3). Infine, l’articolo 4 concerne la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa e la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni, nonché la razionalizzazione della imposte indirette e del sistema dei giochi. L’articolo 14 in materia di tassazione ambientale è stato soppresso, in considerazione del fatto che la proposta di direttiva sulla tassazione dell’energia (COM(2011)169) in discussione a livello europeo, che mira ad adeguare i meccanismi del mercato interno alle nuove esigenze ambientali, non è ancora stata approvata in via definitiva.
In particolare, è stato riformulato l’articolo 1, al fine di includervi, tra i principi di delega, il rispetto dei principi dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212, con particolare riferimento al principio di irretroattività delle norme tributarie, e la necessità di coordinare i decreti legislativi con quanto stabilito dalla legge sul federalismo fiscale, nonché con gli obiettivi di semplificazione e riduzione degli adempimenti e di adeguamento ai principi fondamentali dell’ordinamento dell’Unione europea. E’ prevista una procedura rinforzata per il parere parlamentare sugli schemi di decreti legislativi - cui è stato aggiunto il parere delle Commissioni competenti per i profili finanziari - ai sensi della quale Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni.
Attraverso la riforma del catasto degli immobili (articolo 2) si intende correggere le sperequazioni insite nelle attuali rendite, accentuate dall’aumento generalizzato disposto con il decreto-legge n. 201 del 2011, che ha introdotto l’Imposta municipale sperimentale (IMU). Tra i principi e criteri direttivi da applicare per la determinazione del valore catastale degli immobili la delega indica, in particolare, la definizione degli ambiti territoriali del mercato, nonché la determinazione del valore patrimoniale utilizzando la superficie in luogo del numero dei vani attualmente utilizzato. Nel corso dell’esame in sede referente è stato assicurato il coinvolgimento dei comuni nel processo di revisione delle rendite. Inoltre per gli immobili di riconosciuto interesse storico e artistico il valore patrimoniale deve essere determinato tenendo conto degli oneri di manutenzione e dei vincoli legislativi. La riforma deve avvenire a invarianza di gettito, con particolare riferimento alle imposte sui trasferimenti e all’IMU tenendo conto, in quest’ultimo caso, delle condizioni socio-economiche e dell’ampiezza e composizione del nucleo familiare, così come riflesse nell’ISEE. I contribuenti potranno chiedere la rettifica delle nuove rendite attribuite, con obbligo di risposta entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza. Contestualmente dovranno essere aggiornati i trasferimenti perequativi ai comuni. Saranno ridefinite le competenze delle commissioni censuarie, in particoalre attribuendo loro il compito di validare le funzioni statistiche utilizzate per determinare i valori patrimoniali e le rendite.
La riforma fiscale è anche orientata a proseguire il contrasto all’evasione e all’elusione nonché il riordino dei fenomeni di erosione fiscale (cosiddette tax expeditures) – ferma restando la tutela, oltre che della famiglia e della salute, dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi da imprese minori e dei redditi da pensione. A questo fine, nelle procedure di bilancio sono inseriti un rapporto sulle spese fiscali (articolo 2, commi 6 e 7) e un rapporto in materia di contrasto all’evasione fiscale (articolo 2, comma 5) i cui contenuti sono stati precisati nel corso dell’esame in sede referente. Sono stati altresì precisati (articolo 2, comma 4) i contenuti del rapporto sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale, redatto da una Commissione di esperti istituita presso il MEF (e non presso l’Istat come nel testo originario). Tale rapporto reca una stima ufficiale dell'ammontare delle risorse sottratte al bilancio pubblico dall'evasione, con la massima disaggregazione possibile dei dati a livello territoriale, settoriale e dimensionale, con l’obiettivo, tra l’altro, di individuare le linee di intervento e prevenzione contro la diffusione del fenomeno dell'evasione, nonché per stimolare l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali.
E' stata quindi inserita (articolo 2, comma 8) una delega al governo a coordinare le disposizioni in tema di monitoraggio dell’evasione e dell’erosione fiscale con le procedure di bilancio, definendo in particolare le regole di alimentazione del Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale, istituito dal D.L. n. 138/11.
Tra gli obiettivi delineati dal governo emerge inoltre la certezza del sistema tributario, da perseguire in particolare attraverso la definizione dell’abuso del diritto (articolo 3, comma 1), inteso come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché la condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione; deve essere garantita la scelta tra regimi alternativi quando l’operazione è giustificata da ragioni extrafiscali "non marginali". In sede referente è stato precisato che, in caso di ricorso, le sanzioni (e non anche gli interessi) sono riscuotibili dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale.
Per stimolare l'adempimento spontaneo degli obblighi fiscali la delega introduce norme volte alla costruzione di un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata (articolo 3, comma 2). Le imprese di maggiori dimensioni dovranno costituire sistemi aziendali strutturati di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni. A fronte di ciò saranno previsti minori adempimenti per i contribuenti, con la riduzione delle eventuali sanzioni, nonché - secondo le modifiche introdotte in sede referente - forme premiali, consistenti in una riduzione degli adempimenti, in favore dei contribuenti che aderiscano ai predetti meccanismi di tutoraggio, i quali potranno utilizzare, inoltre, un interpello preventivo specifico con procedura abbreviata.
Nel corso dell’esame in sede referente, sono state poi introdotte norme volte ad ampliare l'ambito applicativo degli istituti del tutoraggio e della rateazione dei debiti tributari, attraverso la semplificazione degli adempimenti amministrativi e patrimoniali nonché la possibilità di richiedere la dilazione del pagamento prima dell'affidamento in carico all'agente della riscossione, nei casi di obiettiva difficoltà (articolo 3, commi 3-6). Il comma 7 dell’articolo 3 reca la revisione generale della disciplina degli interpelli. Si intende inoltre attuare una semplificazione sistematica dei regimi fiscali, al fine di eliminare “complessità superflue” (articolo 3, comma 8).
Si prevede poi la revisione delle sanzioni penali e amministrative (articolo 3, comma 9) secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa per i quali – secondo quanto previsto in sede referente – non possono comunque essere ridotte le pene minime; si prevede, al riguardo, la revisione del regime della dichiarazione infedele e la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi, ovvero di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto – secondo le modifiche introdotte in sede referente – di adeguate soglie di punibilità.
Il Governo, inoltre, è delegato a definire la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini (articolo 3, comma 10), prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza, fatti comunque salvi – secondo quanto precisato in sede referente – gli effetti dei controlli già notificati alla data di entrata in vigore dei decreti delegati. Con una modifica approvata in sede referente è previsto che l'Autorità giudiziaria possa affidare i beni sequestratiin custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria, al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative.
L’articolo 3, comma 11, indica i principi e i criteri da perseguire per il rafforzamento dei controlli fiscali, in particolare – secondo quanto inserito in sede referente – contrastando le frodi carosello, gli abusi nelle attività dimoney transfer e di trasferimento di immobili. Nell'attività di controllo deve essere, tra l'altro, rispettato il principio di proporzionalità e rafforzato il contraddittorio con il contribuente. Si prevede poi che siano espressamente previsti i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità promuovendo – secondo le modifiche introdotte in sede referente – adeguate forme di coordinamento con i Paesi esteri. Infine si prevede il potenziamento della fatturazione elettronica.
Si prevede inoltre (articolo 3, comma 12) il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente,attraverso l’estensione della conciliazione giudiziale alle controversie di competenza delle Commissioni tributarie; il miglioramento dell’efficienza delle Commissioni medesime.
Il medesimo comma 12 dispone poi il riordino della riscossione delle entrate locali, anche revisionando e coordianndo la procedura dell’ingiunzione fiscale e le ordinarie procedure di riscossione coattiva dei tributi, per adattarle alla riscossione locale. Si dovrà procedere inoltre alla revisione dei requisiti per l’iscrizione all’albo dei concessionari, all’emanazione di linee guida per la redazione di capitolati, nonché a introdurre strumenti di controllo e a garantire la pubblicità. Le attività di riscossione dovranno essere assoggettate a regole pubblicistiche; i soggetti ad essa preposte opereranno secondo un codice deontologico, con specifiche cause di incompatibilità per gli esponenti aziendali chi riveste ruoli apicali negli enti affidatari dei servizi di riscossione.
Tra i principi e i criteri direttivi per la tutela dei contribuenti si ricordano: l’impignorabilità di alcuni beni di impresa; l’estensione della rateazione dei debiti tributari e la riduzione delle sanzioni in caso di regolare adempimento degli obblighi dichiarativi; il superamento del principio della compensazione delle spese all’esito del giudizio.
L’articolo 4, anch’esso riformulato durante l’esame del provvedimento in sede referente, reca la ridefinizione dell’imposizione sui redditi di impresa e dei regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni. Anzitutto si prevede l’assimilazione delle imposte sui redditi di impresa (anche in forma associata) dei soggetti IRPEF, con assoggettamento a un’imposta sul reddito imprenditoriale, con aliquota proporzionale ed allineata a quella dell’IRES. Le somme prelevate dall’imprenditore e dai soci concorreranno alla formazione del reddito IRPEF. Sono introdotti regimi semplificati per i contribuenti di minori dimensioni e, per i contribuenti “minimi”, regimi sostitutivi forfetari con invarianza del quantum dovuto, nonché istituti premiali per le nuove attività produttive. Infine, si delega il Governo a introdurre "forme di opzionalità".
Nel corso dell’esame in sede referente, il governo è stato altresì delegato a chiarire la definizione di “autonoma organizzazione” ai fini IRAP per professionisti e piccoli imprenditori (articolo 4, comma 2). Allo stesso tempo, la revisione del reddito d’impresa è volta a migliorare la certezza e la stabilità del sistema fiscale (articolo 4, comma 3), con l’introduzione di norme volte a favorire l’internazionalizzazione dei soggetti economici operanti in Italia, rivedere la disciplina impositiva delle operazioni transfrontaliere, con particolare riferimento, tra l’altro, al regime dei lavoratori all’estero, rivedere i regimi di deducibilità diammortamenti, spese e costi. Durante l’esame in sede referente è stato inserito un ulteriore principio, ai sensi del quale si dovrà procedere alla revisione della disciplina delle società di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari, per evitare vantaggi fiscali dall’uso dei predetti istituti e dare continuità all’attività produttiva in caso di trasferimento della proprietà, anche tra familiari.
L’attuazione della delega in materia di IVA deve avvenire attraverso la semplificazionedei sistemi speciali e l’attuazione del regime del gruppo IVA (articolo 4, comma 4). Allo stesso tempo, il governo è delegato ad introdurre norme per la revisione delle altre imposte indirette, attraverso la semplificazione degli adempimenti, la razionalizzazione delle aliquote nonché l’accorpamento o la soppressione di fattispecie particolari (articolo 4, comma 5).
I commi 6 e 7 dell’articolo 4, riscritti nel corso dell’esame in sede referente, riguardano i giochi pubblici, prevedendo - oltre ad una raccolta sistematica della disciplina e ad un riordino del prelievo erariale sui singoli giochi - specifiche disposizioni volte, tra l’altro: a tutelare i minori dalla pubblicità dei giochi e a recuperare i fenomeni di ludopatia; a definire le fonti di regolazione dei diversi aspetti legati all’imposizione, nonché alla disciplina dei singoli giochi, per i quali si dispone una riserva di legge esplicita alla legge ordinaria; alla rivisitazione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari; ai controlli ed all’accertamento dei tributi gravanti sui giochi, nonché al sistema sanzionatorio. Viene quindi confermato il modello organizzativo fondato sul regime concessorio ed autorizzatorio, ritenuto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi.
Si dispone, altresì, il rilancio del settore ippico anche attraverso l’istituzione dell'Unione ippica italiana (comma 7, lettera l)), con funzioni, fra l’altro, di organizzazione degli eventi ippici, controllo di primo livello sulla regolarità delle corse, ripartizione e rendicontazione del fondo per lo sviluppo e la promozione del settore ippico. Il Fondo è alimentato mediante quote versate dagli iscritti alla Lega Ippica Italiana, nonché mediante quote della raccolta delle scommesse ippiche, del gettito derivante da scommesse su eventi ippici virtuali e da giochi pubblici raccolti all’interno degli ippodromi, attraverso la cessione dei diritti televisivi sugli eventi ippici, nonché di eventuali contributi erariali straordinari decrescenti fino all’anno 2017.
Il 29 luglio 2011 il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge recante una delega legislativa per la riforma fiscale e assistenziale, volto a razionalizzare e semplificare il quadro normativo vigente, il cui esame è stato avviato dalla Commissione finanze il 7 settembre 2011. Nella relazione illustrativa al disegno di legge A.C. 4566 si rileva come il sistema fiscale risulti caratterizzato da un carico tributario troppo elevato per quanto riguarda il lavoro e, al contempo, piuttosto contenuto per quanto riguarda il consumo; è inoltre necessario semplificare il sistema, al fine di ridurre i tempi necessari per l’adempimento degli obblighi fiscali. A questi fini il provvedimento prevede che l'imposta sul reddito delle persone fisiche passi dalle attuali cinque a tre sole aliquote, pari rispettivamente al 20, 30 e 40 per cento. Contestualmente si stabilisce: a) l’inclusione, fra i soggetti passivi, degli enti non commerciali; b) un nuovo sistema di determinazione dell’imponibile e di calcolo dell’imposta, caratterizzato dall’identificazione, in funzione della soglia di povertà, di un livello di reddito minimo personale escluso da imposizione; c) la concentrazione dei regimi di favore fiscale su natalità, lavoro e giovani. Si prevede inoltre l’introduzione di un nuovo regime fiscale per i redditi di natura finanziaria con un’imposta sostitutiva non superiore al 20 per cento.
Per quanto concerne l’IVA si prospetta la revisione graduale delle aliquote, la riduzione delle forme di indetraibilità e delle distorsioni della base imponibile, il coordinamento della relativa disciplina con quella delle accise ed, infine, la razionalizzazione dei sistemi speciali in relazione alla particolarità dei settori interessati. In ordine al riordino della disciplina delle accise, si prevede: a) la graduale rimodulazione delle aliquote delle singole accise; b) il coordinamento delle medesime aliquote con l’IVA, al fine di ridurne l’incidenza sui “prodotti essenziali” e la duplicazione dell’imposizione; c) la correzione degli effetti esterni negativi dell’imposizione su ambiente salute e benessere. Oltre, poi, a prevedersi la graduale eliminazione dell'IRAP, con prioritaria esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile, la delega dispone la razionalizzazione delle cosiddette “imposte minori”: queste consistono in una pluralità di tributi e presupposti impositivi che ne rendono il sistema complesso in termini di gestione e di difficile applicazione per i contribuenti. A tale scopo si prevede una imposta sui servizi, volta a unificare i seguenti tributi: imposta di registro, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, tassa sulle concessioni governative, imposta sulle assicurazioni ed imposta sugli intrattenimenti. Infine, in materia di semplificazione, si prevede la revisione degli attuali regimi forfetari volti ad incentivare la nascita di nuove imprese, la revisione degli studi di settore, nonché l'introduzione di un concordato biennale volto a determinare preventivamente l'imposizione sul reddito di impresa e di lavoro autonomo
Per quanto concerne la riforma della materia socio-assistenziale, la relazione illustrativa osserva come essa si renda necessaria per riqualificare e riordinare la relativa spesa e per superare le sovrapposizioni e duplicazioni di servizi e prestazioni che rendono poco efficace e antieconomico il sistema, anche in conseguenza del fatto che la spesa per i servizi sociali è frammentata tra diversi soggetti concorrenti fra loro che gestiscono quote diverse di risorse suddivise tra il servizio sanitario nazionale, l'INPS e i comuni. In tale quadro, si prevede la riqualificazione e integrazione delle prestazioni socio-assistenziali in favore dei soggetti autenticamente bisognosi, il trasferimento ai livelli di governo più prossimi ai cittadini delle funzioni compatibili con i principi di efficacia ed adeguatezza e la promozione dell’offerta sussidiaria di servizi da parte delle famiglie e delle organizzazioni con finalità sociale;e la ridefinizione degli indicatori volti ad individuare la reale situazione economica dei singoli cittadini, con particolare attenzione ai nuclei familiari; l'armonizzazione dei diversi strumenti previdenziali, assistenziali e fiscali di sostegno alle condizioni di bisogno, evitando duplicazioni di servizi e responsabilizzando tutti i livelli di governo; l'istituzione di un fondo per l'indennità sussidiaria alla non autosufficienza, da ripartire tra le regioni sulla base di parametri legati alla popolazione, all'età anagrafica e ad alcuni fattori ambientali; il trasferimento ai comuni, singoli e associati, del servizio relativo alla carta acquisti, per il tramite delle organizzazioni non profittevoli. In ordine agli effetti finanziari, viene espressamente disposto che dall'attuazione della legge di delega devono derivare effetti positivi, ai fini dell'indebitamento netto, non inferiori a 4.000 milioni di euro per l'anno 2013 e a 20.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2014.
Si segnala che alcuni obiettivi di riforma fiscale sono stati attuati attraverso provvedimenti d’urgenza adottati dal governo precedente e dal governo in carica, secondo quanto di seguito segnalato. Nel corso del 2011, infatti, le condizioni del ciclo economico hanno evidenziato un progressivo deterioramento e una ripresa delle tensioni finanziarie sui mercati internazionali. In questo scenario, l’Italia ha proseguito nel percorso di risanamento dei conti pubblici, contemperando questa esigenza con interventi a favore della crescita economica e dell’equità. A tal fine, il legislatore italiano ha spostato il baricentro dell’imposizione dal “lavoro” al consumo e al patrimonio.
La tassazione del patrimonio
Con il decreto-legge n. 201 del 2011, numerose misure hanno introdotto elementi di tassazione reale:
La tassazione dei redditi di natura finanziaria
Superando la distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi” a favore di una unica categoria di “redditi finanziari”, assoggettati ad un’imposta sostitutiva con una stessa aliquota, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (articolo 2, commi da 6 a 34) ha unificato le precedenti aliquote del 12,50 per cento e del 27 per cento, previste sui redditi di capitale e sui redditi diversi, con un'unica aliquota pari al 20 per cento. Restano esclusi dall’ambito di applicazione della riforma, tra gli altri, i titoli di Stato ed equiparati, i titoli emessi da altri Stati (cd. white list, vale a dire i paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni), i titoli di risparmio per l’economia meridionale, i piani di risparmio a lungo termine e le forme di previdenza complementare. Le predette norme hanno altresì definito le modalità con cui nel risparmio gestito (polizze assicurative, gestioni patrimoniali, fondi comuni mobiliari e fondi pensione) deve essere effettuata la tassazione dei titoli soggetti alla minore aliquota del 12,5%, al fine di non vanificare il trattamento di favore loro riservato; inoltre, le norme hanno accordato agli investitori la possibilità di affrancare le plusvalenze maturate al 31 dicembre 2011, allo scopo di evitare la tassazione con la maggiore aliquota del 20%.
L’imposizione sui consumi
Il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 ha disposto un progressivo aumento delle aliquote IVA: l’aliquota ordinaria è passata dal 20 al 21 per cento da agosto 2011. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2013, a decorrere dal 1° luglio 2013, l’aliquota ordinaria è rideterminata nella misura del 22 per cento (anziché del 23 per cento fino al 31 dicembre 2013), mentre resta ferma l’attuale aliquota ridotta del 10 per cento (anch'essa originariamente destinata ad aumentare). In sostanza dal 1° luglio 2013 le aliquote IVA saranno le seguenti: 22 per cento (ordinaria, che aumenta così dall’attuale valore del 21 per cento), 10 per cento (ridotta) e 4 per cento (super-ridotta).
In tale ambito occorre ricordare gli aumenti delle aliquote di accisa sia sui prodotti energetici (aventi lo scopo, tra l’altro, di far fronte alle spese sostenute a seguito di eventi calamitosi che hanno colpito l’Italia nel corso del 2011) che sui tabacchi lavorati (rispettivamente, tra gli altri, articolo 23, comma 50-quater, decreto-legge n. 98 del 2011, articolo 33 e 34, legge n. 183 del 2011, legge di stabilità per il 2012, articolo 15, decreto-legge n. 201 del 2011, articolo 3-bis, decreto-legge n. 16 del 2012, e, per i tabacchi, articolo 2, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, articolo 6, comma 2-quinquies, decreto-legge n. 216 del 2011).
Gli interventi sull’IRAP e sul costo del lavoro
La legge n. 183 del 2011 ha prorogato al 2012 il regime fiscale - oltre che contributivo - agevolato degli emolumenti correlati ad incrementi di produttività, che sotto il profilo tributario consiste nell’applicazione di un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali avente aliquota del 10 per cento. Il legislatore ha inoltre introdotto (con il decreto-legge n. 201 del 2011) norme che prevedono l’integrale deducibilità delle imposte dirette - IRES e IRPEF – dalla quota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) dovuta dalle imprese in rapporto al costo del lavoro, ferma restando la deducibilità di parte (10 per cento) della medesima imposta dovuta in relazione agli interessi passivi e agli oneri assimilati. Inoltre, per favorire l’accesso al lavoro da parte di donne e giovani, è stata aumentata la misura della deduzione IRAP disposta in caso di assunzione di tali tipologie di lavoratori, con particolare attenzione alle regioni del Mezzogiorno (poi prorogata con il decreto-legge n. 5 del 2012).
L’aiuto alla crescita economica (ACE)
L’articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 - in considerazione della esigenza di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e fornire un aiuto alla crescita, mediante una riduzione della imposizione sui redditi derivanti dal finanziamento con capitale di rischio - ha introdotto nella tassazione del reddito di impresa un aiuto alla crescita economica (ACE), rendendo deducibile il rendimento del capitale di rischio, valutato tramite l'applicazione di un rendimento nozionale al nuovo capitale proprio. Ciò è finalizzato anche a ridurre lo squilibrio del trattamento fiscale tra imprese che si finanziano con debito ed imprese che si finanziano con capitale proprio, e rafforzare, quindi, la struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano.
Le modifiche alle imposte a favore degli enti territoriali: imposta di scopo, imposta sui servizi, Tares, imposta di soggiorno, imposta di sbarco
In tale ambito, l'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. Il decreto-legge n. 16 del 2011 ha quindi consentito ai comuni di disciplinare con regolamento l’imposta di scopo, nel quadro della disciplina recata dalla legge finanziaria 2007, in luogo della revisione dell’imposta da effettuarsi con regolamento statale (DPR). Il medesimo decreto-legge ha previsto altresì l’abrogazione della sospensione del potere di aumentare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali.
Interventi in materia di semplificazione
Allo scopo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, a decorrere dal 1° gennaio 2012 è stato modificato (articolo 27 del decreto-legge n. 98 del 2011) il regime fiscale semplificato dei cd. “contribuenti minimi” che si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007. Pertanto, il beneficio del c.d. “forfettone” (una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30 mila euro) è riservato a coloro i quali hanno iniziato l'attività a partire da tale data o vorranno iniziarla adesso. Nello stesso tempo per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento.
L’articolo 10 del decreto legge n. 201 del 2011 ha introdotto dal 2013 il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono attività artistica, professionale o di impresa, in forma individuale o associata (escluse le società di capitali). Si tratta di un regime finalizzato a incoraggiare la trasparenza fiscale e l'emersione. La norma è congeniata in modo da abbinare la volontaria accettazione di adempimenti in grado di rafforzare fortemente i controlli e l'accertamento da parte del fisco a una serie di vantaggi di tipo premiale, quali: la drastica semplificazione degli adempimenti amministrativi; il tutoraggio prestato dall'Amministrazione fiscale, sia ai fini degli adempimenti Iva, sia ai fini degli adempimenti in qualità di sostituto d'imposta; una corsia preferenziale per i rimborsi e le compensazioni dei crediti Iva.
Durante la XVI legislatura, il settore produttivo è stato interessato - in un primo momento - da misure fiscali su specifici ambiti imprenditoriali (in particolare quello energetico, assicurativo e creditizio), che non hanno inciso sulla disciplina generale delle due grandi forme di imposizione diretta sulle attività di impresa (imposte sui redditi e IRAP). In una seconda fase il legislatore ha introdotto disposizioni destinate alla generalità del settore produttivo, in particolar modo agevolazioni volte a rilanciare la competitività delle aziende e riavviare un'adeguata crescita delle attività imprenditoriali italiane.
Un primo gruppo di norme ha inteso rimodulare il regime fiscale delle società cooperative, limitando le agevolazioni fiscali previste in favore delle predette tipologie societarie (articolo 82, commi da 25 a 29, del D.L. n. 112 del 2008). In particolare, le cooperative a mutualità prevalente sono state vincolate a destinare almeno il 5% degli utili realizzati ad un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti; è stata progressivamente aumentata la quota di utili che le cooperative di consumo e i consorzi devono destinare a riserve indivisibili; è stata altresì aumentata dal 12,5 al 20 per cento l’aliquota della ritenuta fiscale operata sugli interessi corrisposti ai soci.
Il D.L. n. 138 del 2011 ha innalzato la tassazione degli utili netti annuali delle società cooperative: l’incremento è stato dal 55 al 65 per cento per le cooperative di consumo e dal 30 al 40 per cento per le altre cooperative a mutualità prevalente diverse da quelle agricole e della piccola pesca. Inoltre è stata introdotta una percentuale di tassazione pari al 10 per cento della quota di utili netti annuali destinati a riserva minima obbligatoria.
L’articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008 (come successivamente modificato nel tempo) ha introdotto un'addizionale all'imposta sui redditi nei confronti delle società che operano nel settore petrolifero, ivi compreso il settore dell’energia elettrica, con volume di ricavi superiore a 10 milioni di euro e un reddito imponibile superiore a 1 milione di euro. L’aliquota, fissata in origine al 5,5% e successivamente elevata al 6,5% (articolo 56 della L. n. 99 del 2009), è stata poi innalzata al 10,5% per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (ai sensi dell'articolo 7, comma 3 del decreto-legge n. 138 del 2011). E' stata inoltre ampliata la platea di soggetti passivi cui si applica tale addizionale, estesa - tra l'altro - anche alle imprese operanti nel trasporto e distribuzione del gas naturale.
La legge n. 7 del 2009 (ratifica trattato Italia-Libia) ha introdotto una ulteriore addizionale IRES al 4% (la cui disciplina è stata modificata dall'articolo 25-bis del D. L. n. 216 del 2011) per le imprese operanti nel settore degli idrocarburi con determinati requisiti, tra cui una capitalizzazione superiore a 20 miliardi di euro.
L’articolo 82 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto modifiche concernenti la determinazione della base imponibile IRES delle imprese operanti, tra l’altro nel settore assicurativo e bancario. In primo luogo, è stata disposta la parziale indeducibilità ai fini fiscali degli interessi passivi contabilizzati. In particolare, per l’esercizio in corso al 31 dicembre 2007 la quota deducibile ai fini fiscali è stata pari al 97 per cento degli interessi, mentre a decorrere dall’esercizio successivo gli interessi passivi possono essere imputati in riduzione dell’imponibile fiscale per una quota pari al 96 per cento. Il medesimo articolo 82, inoltre, è intervenuto su alcuni criteri di deducibilità fiscale dei costi delle imprese di assicurazione (riserve sinistri, riserve ramo vita, svalutazione dei crediti) che hanno comportato, nel breve periodo, un incremento della base imponibile fiscale dovuto in parte alla introduzione di una parziale indeducibilità e in parte ad un ampliamento dell’arco temporale nel quale tali oneri possono essere dedotti per quote costanti. Il decreto-legge n. 78 del 2010 è ulteriormente intervenuto sulla disciplina fiscale delle imprese di assicurazione disponendo, a regime, la parziale indeducibilità delle riserve tecniche relative al ramo danni (articolo 38, comma 13-bis).
Il D. L. "milleproroghe 2012" (D.L. n. 216 del 2011) ha consentito alle imprese di assicurazione di derogare agli ordinari criteri di valutazione contabile dei titoli emessi da Stati dell'Unione europea da esse posseduti, per contrastare gli effetti negativi della recente crisi del debito sovrano sul patrimonio di tali categorie di imprese. In particolare è stata disposta la proroga, fino all'entrata in vigore delle disposizioni di attuazione della direttiva nota come “Solvency II” (direttiva n. 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009) della possibilità, per le imprese assicurative, di valutare i titoli emessi da Stati dell'Unione europea al valore di iscrizione in bilancio, anche ai fini del calcolo della solvibilità.
La legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) ha aumentato la misura dell'acconto dell’imposta sulle riserve tecniche per le imprese di assicurazione, innalzato allo 0,50 per cento per il periodo di imposta in corso alla data del 31 dicembre 2012, e allo 0,45 per cento a decorrere dai periodi di imposta successivi. Il versamento dell’acconto del prelievo sulle riserve tecniche può essere compreso tra i crediti d'imposta da utilizzare ai fini della copertura delle riserve tecniche, nonché tra gli attivi delle gestioni separate.
Per le imprese del settore bancario e assicurativo l'aliquota IRAP è stata aumentata, rispettivamente, al 4,65% e al 5,90% (rispetto all'ordinaria misura del 3,9%) dall'articolo 23, comma 5 del D.L. n. 98 del 2011.
Con finalità di contrasto all’evasione fiscale, è stata altresì prevista una la maggiorazione dell'aliquota IRES per le cd. "società di comodo" (anch'essa introdotta dal D.L. 138 del 2011), nella misura di 10,5 punti percentuali, che è stata estesa anche alle società che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per tre periodi d'imposta consecutivi. Come chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 5/E del 2007, si tratta di quelle società che, al di là dell'oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell'interesse dei soci, anziché esercitare una effettiva attività commerciale.
L’articolo 13-bis del D.L. 78/2009 (successivamente modificato e integrato dai decreti-legge n. 103 del 2009 e n. 194 del 2009) ha introdotto la possibilità di rimpatriare o regolarizzare le attività detenute illegalmente all'estero, sulle quali è stata successivamente applicata l’imposta di bollo (ai sensi dell'articolo 19 del D.L. 201 del 2011, che ha posto alcuni specifici adempimenti di versamento a carico degli intermediari finanziari).
Come già anticipato, gli interventi fiscali sul settore produttivo nel corso della XVI legislatura hanno anche tenuto conto della necessità di rilanciare la competitività delle imprese italiane e di promuovere la crescita del Paese; di conseguenza, il predetto scopo è stato perseguito dal legislatore tributario attraverso numerose misure di agevolazione, che per comodità espositiva saranno raggruppate sulla base delle tipologie di misure adottate.
Si rammenta anzitutto la concessione di incentivi fiscali per promuovere la costituzione di aggregazioni di imprese, sotto forma di distretti produttivi e di contratti di rete (articolo 6-bis del D.L. 112/2008 e successive modifiche; da ultimo, anche con il D.L. n. 179 del 2012). Per ulteriori informazioni si rimanda alla scheda di approfondimento su distretti produttivi e reti di impresa.
Sotto un diverso profilo, il legislatore è intervenuto anche con lo scopo di incentivare la capitalizzazione delle imprese italiane: l’articolo 1 del D.L. 201 del 2011, al fine di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, ha introdotto il cd. Aiuto alla crescita economica – ACE, consentendo alle imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio.
E’ stato poi introdotto un trattamento tributario di favore per le perdite registrate dalle imprese di recente costituzione. In particolare, il D.L. 98/2011 (articolo 23, comma 9) ha modificato il regime delle perdite a fini IRES, eliminando il limite temporale di riportabilità delle perdite pregresse (che, in precedenza, dovevano essere dedotte entro il quinto periodo d’imposta successivo) e introducendo, dall’altro lato, un limite quantitativo che consiste nella deducibilità delle perdite nel limite dell'ottanta per cento del reddito per ciascun anno.
Tale regola non vale per le perdite dei primi tre esercizi d’impresa – ovvero il periodo di start-up, nel quale è presumibile che l’impresa registri sostanzialmente perdite – che rimangono interamente compensabili senza limiti di tempo.
La forma del credito d'imposta è stata utilizzata spesso al fine di promuovere, da parte delle imprese, l’assunzione di personale o l’effettuazione di investimenti.
Il legislatore ha previsto crediti d’imposta in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (articolo 1 del D.L. n. 70/2011), di quelle che assumono lavoratori a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno (articolo 2 del citato D.L. n. 70/2011) e (articolo 24 del D.L. n. 83 del 2012) in a favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato di profili altamente qualificati. Per ulteriori interventi agevolativi e altri strumenti per lo sviluppo territoriale, si rinvia al tema specifico.
Tale ultima misura, che decorre dal 26 giugno 2012 e non ha un limite temporale di applicazione, prevede un contributo del 35% sulle spese effettuate per le nuove assunzioni di personale, con un tetto massimo di 200 mila euro per impresa. Il nuovo personale deve essere aggiuntivo rispetto al numero complessivo dei dipendenti nel periodo di imposta precedente. Per non decadere dal contributo, inoltre, i nuovi posti di lavoro devono essere conservati per almeno tre anni (due anni nel caso di PMI). Sono stabilmente destinati alla misura 50 milioni di euro all’anno rinvenienti dalle risorse che provengono annualmente dalla riscossione delle tasse sui diritti brevettuali. Una quota di 2 milioni nel 2012 e di 3 milioni a decorrere dal 2013 ad assunzioni da parte di imprese localizzate nelle zone colpite dal terremoto nel maggio 2012. La misura è stata estesa (dal D. L. 179 n. del 2012) anche alle imprese qualificabili come “start-up innovative”, con modalità semplificate di fruizione.
Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 95 a 97 della legge n. 228 del 2012) ha previsto l’istituzione di un fondo per la concessione di un credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo con particolare riferimento alle piccole e medie imprese. Tale fondo è anche finalizzato a ridurre il cd. “cuneo fiscale” (cfr. infra).
Le imprese “start up” e gli incubatori certificati godono altresì di ulteriori agevolazioni fiscali, operanti nei confronti di amministratori, dipendenti e collaboratori di tali soggetti: in favore di tali soggetti è prevista l’esenzione da imposizione fiscale e contributiva per la parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari partecipativi o diritti delle predette imprese (ai sensi dell’articolo 27 del D.L. 179 del 2012). Inoltre, per gli anni 2013-2015, accanto a specifiche detrazioni IRPEF, è stata prevista per i soggetti IRES la possibilità di dedurre dall’imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative. Tali somme saranno dunque esenti da imposizione.
Il sostegno delle nuove imprese è stato assicurato anche mediante incentivi fiscali (articolo 31 del D.L. 98 del 2011 e successive modifiche) volti a sostenere l’avvio e la crescita di nuove imprese, a vantaggio dei sottoscrittori di "Fondi di Venture Capital" specializzati nelle fasi di avvio delle nuove imprese. Con D.M. 21 dicembre 2012 è stata data attuazione alla norma del D.L. n. 98 del 2011: i proventi degli investitori non sono soggetti ad imposizione qualora i FVC prevedano nei loro regolamenti che almeno il 75 per cento dei relativi attivi sia investito in società non quotate, qualificabili come piccole e medie imprese, con sede operativa in Italia, avviate da non più di 36 mesi e con fatturato non superiore a 50 milioni di euro. Inoltre gli incentivi sono confermati se, decorso un anno dalla data di avvio dei Fondi o dall'adeguamento del loro regolamento, il valore dell'investimento in società non quotate non risulti inferiore, nel corso dell'anno solare, al 75 per cento del valore degli attivi per più di tre mesi. Infine, le quote o azioni delle società in cui investono i Fondi per il Venture Capital devono essere direttamente detenute almeno per il 51 per cento da persone fisiche e devono essere inferiori, per ciascuna piccola o media impresa, a 2,5 milioni di euro su un periodo di 12 mesi. Le quote dei FVC possono essere sottoscritte esclusivamente da investitori professionali.
Diversi interventi legislativi hanno inteso rilanciare il settore delle infrastrutture: si ricorda in questa sede la tassazione agevolata dei cd. project bond (ai sensi dell’articolo 1 del D.L. 83 del 2012), con l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota al 12,5% sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.
A seguito degli interventi apportati con il D.L. 179 del 2012, il legislatore ha delineato tre ulteriori modalità di sostegno alla realizzazione di nuove opere, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:
In materia di agevolazioni IRAP, si ricorda che l'articolo 2 del D.L. 201 del 2011 ha reso integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, la quota di IRAP dovuta relativa al costo del lavoro. Il medesimo provvedimento ha altresì incrementato le agevolazioni IRAP per l’assunzione di lavoratrici e giovani di età inferiore ai 35 anni.
Di segno analogo è l'intervento recato con la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 484 e 485 della legge n. 228 del 2012), che ha modificato la disciplina delle deduzioni IRAP, elevando gli importi per i lavoratori assunti a tempo indeterminato e per i contribuenti di minori dimensioni. Tali disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013. In particolare, è stato innalzato da 4.600 a 7.500 euro l’importo deducibile, su base annua, per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nel periodo di imposta di riferimento da parte del soggetto passivo IRAP. Viene altresì innalzato da 10.600 a 13.500 euro l’importo deducibile per i lavoratori di sesso femminile, nonché per quelli di età inferiore ai 35 anni. E’ poi elevato da 9.200 a 15.000 euro l’importo massimo deducibile per ogni lavoratore dipendente a tempo indeterminato impiegato nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, elevando altresì tale importo da 15.200 a 21.000 euro se tali lavoratori sono di sesso femminile e per quelli di età inferiore ai 35 anni. Infine, sono stati innalzati gli importi deducibili complessivamente dall’IRAP in favore dei soggetti di minori dimensioni, ovvero quelli con base imponibile non superiore a 180.999,91 euro, diversi dalle Pubbliche amministrazioni.
Tali interventi, congiuntamente al fondo istituito dalla legge di stabilità 2013 e sopra richiamato (articolo 1, commi da 95 a 97 della legge n. 228 del 2012) e alle misure di detassazione dei contratti di produttività (per cui si veda il tema web dedicato alla tassazione delle persone fisiche) si inquadrano nell'alveo delle misure adottate al fine di ridurre il cd. "cuneo fiscale", ovvero la differenza tra l'onere del costo del lavoro e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera o lavoratore.
L’ordinamento contempla diversi regimi fiscali agevolati che si sono succeduti e, in parte, sovrapposti nel corso della XVI legislatura. Si analizzano di seguito:
a) il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo - c.d. forfettino (articolo 13, della L. 388/2000; provvedimento dell’Agenzia Entrate 14 marzo 2001);
b) il regime dei contribuenti minimi - c.d. forfettone (articolo 1, commi da 96 a 117, della L. 244/2007);
c) il regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità - nuovo regime dei minimi (articolo 27 del D.L. n. 98 del 2011);
d) il regime premiale per favorire la trasparenza (articolo 10, commi 1-8, del D.L. n. 201 del 2011).
Possono accedervi le persone fisiche che avviano una nuova attività, limitatamente ai primi 3 periodi d’imposta, in possesso dei seguenti requisiti:
a) non aver esercitato negli ultimi 3 anni un’attività d’impresa o professionale, anche in forma associata;
b) l’attività non deve costituire una mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta dal medesimo soggetto sotto forma di lavoro dipendente o autonomo;
c) l’ammontare dei ricavi o compensi non deve essere superiore a 30.987,41 euro per le imprese esercenti prestazioni di servizi e per i lavoratori autonomi, ovvero a 61.974,83 euro per le imprese aventi per oggetto altre attività. I medesimi limiti operano, con riferimento al periodo d’imposta precedente quello di inizio della nuova impresa, nei casi in cui venga rilevata un’impresa già esistente;
d) siano regolarmente adempiuti gli obblighi previdenziali, assicurativi e amministrativi.
Sul piano tributario, al reddito imponibile - determinato applicando le regole del regime semplificato - si applica un’imposta sostitutivadell’IRPEF e delle relative addizionali fissata in misura pari al 10 per cento.
In materia di IVA viene previsto il solo pagamento annuale dell’imposta, esonerando il contribuente dagli obblighi di liquidazione e versamento periodico nonché di pagamento dell’acconto IVA.
Rimane, invece, invariata la disciplina in materia di IRAP.
Gli adempimenti contabili sono limitati a:
Sono invece esonerati dai seguenti obblighi:
Ai soggetti che adottano il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo l’Agenzia delle entrate fornisce, dietro richiesta, un servizio di assistenza per l’adempimento degli obblighi contabili e fiscali previsti dalla legge. L’assistenza è fornita prevalentemente attraverso il servizio telematico e, in ogni caso, è prestata attraverso rapporti diretti tra contribuente e ufficio locale dell’Agenzia (tutoraggio dei contribuenti assistiti). A tal fine il contribuente è tenuto a munirsi di un’apparecchiatura informatica con determinate caratteristiche minime, per l’acquisto della quale è possibile usufruire di un credito d’imposta fissato in misura pari al 40% del prezzo di acquisto e comunque per un importo non superiore a 309,97 euro.
Tale regime agevolato, disciplinato dall’articolo 13 della legge n. 288 del 2000, è tuttora utilizzabile (come confermato dalla Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 17/E del 30 maggio 2012).
Il regime dei contribuenti minimi è stato istituito, con decorrenza 1° gennaio 2008, dall’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per l’anno 2008), con funzione di agevolare, sia sotto l’aspetto degli adempimenti contabili ed amministrativi che sotto quello del carico fiscale, le persone fisiche che esercitano attività economicamente marginali.
Rientrano nel regime dei “minimi” le imprese individuali e i professionisti che nell’anno precedente:
Il limite dei 30mila euro di ricavi o compensi deve essere rapportato all’anno. Il regime dei minimi non si applica alle imprese individuali e ai professionisti che si avvalgono di regimi speciali Iva (per esempio, agenzie di viaggio e turismo, vendita di sali e tabacchi, ecc.); ai non residenti; a chi, in via esclusiva o prevalente, effettua attività di cessioni di immobili (fabbricati e terreni edificabili) e di mezzi di trasporto nuovi; a chi, contestualmente, partecipa a società di persone, associazioni professionali o a società a responsabilità limitata a ristretta base proprietaria che hanno optato per la trasparenza fiscale.
Chi aderisce al regime dei minimi paga (al posto di Ires, Iva, Irap e addizionali) un’imposta sostitutiva del 20% sul reddito calcolato come differenza tra ricavi o compensi e spese sostenute, comprese le plusvalenze e le minusvalenze dei beni relativi all’impresa o alla professione. Il reddito si determina applicando il principio di cassa, che comporta un’immediata e integrale rilevanza dei costi, anche quelli inerenti i beni strumentali.
Dal reddito si possono dedurre per intero i contributi previdenziali, compresi quelli corrisposti per i collaboratori dell’impresa familiare fiscalmente a carico e quelli per i collaboratori non a carico, ma per i quali il titolare non ha esercitato il diritto di rivalsa. E’ ammessa la compensazione di perdite riportate da anni precedenti. Le perdite fiscali successive possono essere portate in diminuzione dal reddito conseguito nei periodi d´imposta seguenti, ma non oltre il quinto. I contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esonerati dagli adempimenti ai fini Iva. Le fatture devono essere emesse senza l’addebito dell’Iva; inoltre, l’Iva pagata sugli acquisti non è detraibile e, pertanto, si trasforma in un costo deducibile dal reddito.
I contribuenti a cui si applica il regime dei minimi sono esclusi dall’applicazione degli studi di settore.
I contribuenti “minimi” sono esonerati dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili. Restano obbligatorie soltanto:
Tali agevolazioni sono state riformate dall’articolo 27 del D.L. 98 del 2011, il quale ha introdotto il nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (nuovi “minimi”: si veda oltre), con restringimento della platea dei potenziali beneficiari è stata ristretta a coloro che hanno intrapreso una nuova attività a partire dal 31 dicembre 2007; contestualmente l’imposta sostitutiva è stata portata al 5 per cento.
Per gli ex minimi il comma 3 dell’articolo 27 ha disposto che, dal 1° gennaio 2012, le persone fisiche che, pur avendo le caratteristiche originariamente prescritte, non possiedono gli ulteriori requisiti previsti dal nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (ovvero ne fuoriescono), rientrano in un regime semplificato intermedio: non godono più dell’imposta sostitutiva, ma sono esonerati da obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili, nonché dalle liquidazioni e dai versamenti periodici Iva. Sono altresì esenti dall'Irap (si veda, al riguardo, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate n.185825 del 22 dicembre 2011).
Tale regime agevolato esonera dai seguenti obblighi:
Restano fermi i seguenti adempimenti:
L’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 8/E del 16 marzo 2012, ha chiarito che i contribuenti che applicano tale regime contabile agevolato sono soggetti agli studi di settore. Peraltro nella circolare si legge che nei confronti dei soggetti marginali “la ragionevole certezza che il particolare strumento accertativo possa portare a distorsioni applicative deve comportare, in linea generale, l’adozione della massima cautela nel relativo utilizzo, privilegiando, ove il controllo sia comunque ritenuto opportuno, modalità istruttorie diverse”.
I contribuenti “ex minimi” possono optare per l'applicazione del regime contabile ordinario. L'opzione, valida per almeno un triennio, è comunicata con la prima dichiarazione annuale da presentare successivamente alla scelta operata. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l'opzione resta valida per ciascun anno successivo, fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata.
L’articolo 27 del D.L. n. 98 del 2011 ha riformato il regime dei minimi restringendo la platea dei destinatari del c.d. “forfettone” (disciplinato dall’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 244/2007 e sopra descritto) solamente a coloro che intraprendono una nuova attività ovvero che l’abbiano iniziata a partire dal 31 dicembre 2007, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi. A decorrere dal 1° gennaio 2012 l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali è ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento). Per i giovani questo periodo di aliquota ridotta può essere maggiore di cinque anni, ma non oltre il periodo di imposta di compimento del trentacinquesimo anno di età.
L’obiettivo dichiarato è quello di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani ovvero di coloro che perdono il lavoro. La norma, a tal fine, riforma e concentra gli attuali regimi forfettari: pertanto rientra in tale nuovo regime anche il regime agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo (c.d. forfettino), disciplinato dall’articolo 13 della legge n. 388/2000.
Possono accedervi le persone fisiche che esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo e che, oltre a possedere i descritti requisiti previsti per il c.d. forfettone (articolo 1, commi da 96 a 99 della legge n. 244 del 2007), siano in possesso dei seguenti requisiti:
A tale regime si applicano le agevolazioni previste dal c.d. “forfettone” (articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 244/2007, sopra descritto). Inoltre l'imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali prevista dal comma 105 dell'articolo 1 della legge n. 244 del 2007 è ridotta al 5 per cento. Sono pertanto confermate l’esenzione dall’Irap, la non applicazione dell’Iva e le agevolazioni contabili.
I ricavi e i compensi relativi al reddito oggetto del regime, non sono assoggettati a ritenuta d’acconto da parte del sostituto di imposta. A tal fine i contribuenti rilasciano un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il reddito cui le somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva
Sul fronte Iva, i contribuenti sono esonerati dalle comunicazioni sia delle operazioni rilevanti Iva (lo spesometro) sia dei dati delle operazioni con soggetti black list, mentre devono fare, come tutti gli altri, richiesta di inserimento nell'archivio Vies se vogliono fare acquisti intracomunitari (si veda, al riguardo, il provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 185820 del 22 dicembre 2011 e la circolare n. 24/E del 2011).
Si segnala che la legge n. 92 del 2012 (riforma del mercato del lavoro) ha previsto che, a determinate condizioni, le prestazioni lavorative rese da persona titolare di partita IVA sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (articolo 1, comma 27). In questo caso il soggetto che ha aperto la partita Iva non può più essere classificato come titolare di un reddito di lavoro autonomo o d'impresa e perde il diritto a fruire del regime dei minimi.
L'Agenzia delle entrate ha fornito i primi chiarimenti su tale regime di vantaggio con la circolare n. 17/E del 30 maggio 2012. Con il provvedimento del 22 dicembre 2012 sono state definite le relative modalità di applicazione.
Il D.L. n. 201 del 2011 (articolo 10, commi 1-8) ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il regime premiale per la trasparenza fiscale rivolto alleimprese (non soggette a Ires) ed ai professionisti che “collaborano” con l’amministrazione finanziaria fornendole i propri dati rilevanti ai fini fiscali, prevedendo per essi una serie di benefici fiscali e semplificazioni amministrative, oltre che l’assistenza fiscale direttamente da parte dell’Agenzia delle Entrate per molti adempimenti Iva e dei sostituti d’imposta.
Tale regime opzionale riguarda i soggetti che svolgono: attività artistica o professionale; attività di impresa individuale; attività di impresa nella forma delle società di persone.
I benefici riconosciuti consistono:
a) nellasemplificazione degli adempimenti amministrativi;
b) nell’assistenza, nei predetti adempimenti, da parte dell'Amministrazione finanziaria;
c) nell’accelerazione del rimborso o della compensazione dei crediti IVA;
d) per i contribuenti non soggetti all’accertamento basato sugli studi di settore, nell’esclusione dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici;
e) nella riduzione di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento delle imposte dirette.
La disposizione premiale non si applica, tuttavia, se la violazione contestata ai contribuenti comporta obbligo di denuncia penale per uno dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto contemplati dal D.Lgs. n. 74 del 2000.
Per poter accedere ai predetti benefici il contribuente deve provvedere all’invio telematico all’amministrazione finanziaria dei corrispettivi, delle fatture emesse e ricevute e delle risultanze degli acquisti e delle cessioni non soggetti a fattura; egli deve altresì istituire un conto corrente dedicato ai movimenti finanziari relativi all’attività artistica, professionale o di impresa esercitata.
Ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (ancora non emanato) è affidato il compito di individuare i benefici relativi alla semplificazione degli adempimenti amministrativi, l’assistenza da parte dell'Amministrazione finanziaria e l’accelerazione di rimborso e compensazione dei crediti IVA, con particolare riferimento agli obblighi concernenti l’imposta sul valore aggiunto e gli adempimenti dei sostituti d’imposta.
Ove i soggetti beneficiari delle suddette misure non siano in regime di contabilità ordinaria e rispettino le condizioni descritte, sono riconosciuti ulteriori benefici:
a) determinazione del reddito IRPEF secondo il criterio di cassa (ovvero determinazione in base alla differenza tra elementi attivi e passivi effettivamente percepiti/sostenuti nel periodo di riferimento) e predisposizione in forma automatica da parte dell’Agenzia delle entrate delle dichiarazioni IRPEF ed IRAP;
b) esonero dalla tenuta delle scritture contabili rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP e dalla tenuta del registro dei beni ammortizzabili;
c) esonero dalle liquidazioni, dai versamenti periodici e dal versamento dell’acconto ai fini IVA.
Le norme di attuazione sono demandate a uno o più provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame. Le disposizioni di attuazione non sono state ancora adottate.
Le disposizioni premiali operano previa esplicita opzione dei contribuenti, da esercitare nella dichiarazione dei redditi presentata nel periodo d’imposta precedente a quello di applicazione delle medesime.
Qualora i soggetti beneficiari non adempiano ai predetti obblighi di trasparenza ovvero a quelli fissati dalla disciplina antiriciclaggio (D.Lgs. n.231 del 2007), essi perdono i suddetti benefici e sono soggetti all’applicazione di una sanzione amministrativa compresa tra 1.500 a 4.000 euro.
Durante la XVI Legislatura, gli interventi normativi in materia di IRPEF sono stati eterogenei sia nelle finalità che nelle tipologie di misure adottate. Complessivamente, tuttavia, la maggior parte degli interventi ha inteso aumentare il reddito disponibile delle famiglie, per fronteggiare gli effetti della crisi economico-finanziaria. Le modifiche alla disciplina delle addizionali a regioni e comuni hanno inoltre rimodulato il carico fiscale tra Stato ed enti territoriali, al fine di dare attuazione alla legge sul federalismo fiscale.
Una forma di tassazione agevolata dei contratti di produttività è stata introdotta dall’articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge n.93/2008, originariamente in via transitoria e con carattere sperimentale.
Il beneficio fiscale consiste nell’applicazione, sulle remunerazioni oggetto di agevolazione, di una imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali fissata in misura pari al 10%. A tale regime sono soggette, tra l’altro, le remunerazioni derivanti da incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, nonché ad altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa. In sostanza, si tratta della quota di retribuzione caratteristica del secondo livello di contrattazione collettiva legata alla produttività aziendale. L’intervento è stato successivamente prorogato nel tempo. Per l’anno 2012, a seguito del combinato disposto dell’articolo 33, comma 12 della legge 183/2011 e dal DPCM 23 marzo 2012, le misure agevolative hanno trovato applicazione entro il limite complessivo di 2.500 euro lordi, con esclusivo riferimento al settore privato e ai titolari di reddito di lavoro dipendente non superiore, nell'anno 2011, a 30.000 euro (al lordo delle somme assoggettate nel 2011 alla medesima imposta sostitutiva).
Da ultimo, la legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 481 e 482 della legge n. 228 del 2012) ha ulteriormente prorogato le misure sperimentali per la produttività del lavoro a tutto il 2013 e il 2014. Per l’anno 2013, tali misure sono state adottate con il DPCM del 22 gennaio 2013, confermando la tassazione agevolata al 10 per cento delle somme erogate a titolo di retribuzione di produttività.
Allo scopo di favorire la costituzione di nuove imprese da parte di giovani o di coloro che perdono il posto di lavoro, l'articolo 27 del D.L. 98 del 2011 ha modificato il regime fiscale semplificato per i cosiddetti “contribuenti minimi”: dal 2012 esso si applica, per il periodo d'imposta in cui l'attività è iniziata e per i quattro successivi, esclusivamente alle persone fisiche che intraprendono un’attività d’impresa, arte o professione o che l’abbiano intrapresa dopo il 31 dicembre 2007.
Viene dunque ridotta la platea dei beneficiari di tale regime fiscale, che prevede una tassazione forfettaria del 20 per cento per i titolari di partite Iva e i lavoratori autonomi che a fine anno incassano meno di 30.000 euro. Il regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile si applica anche oltre il quarto periodo d’imposta successivo a quello di inizio dell’attività, ma non oltre il periodo d’imposta di compimento del trentacinquesimo anno d’età.
Allo stesso tempo, per questi ultimi il beneficio è aumentato: a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’imposta sostitutiva dell'imposta sui redditi e delle addizionali regionali e comunali viene ridotta al 5 per cento (in luogo del 20 per cento). Per tali soggetti l’applicazione del nuovo regime dei minimi non potrà eccedere il periodo d’imposta in corso al 2015, nel caso in cui abbiano iniziato l’attività nel 2011.
In merito si ricorda che il 28 febbraio 2012 l'Assemblea della Camera ha approvato la mozione 1-000895, relativa all'applicazione degli studi di settore in relazione a tale nuovo regime; l'atto impegna il Governo, in particolare, ad adottare iniziative volte a disciplinare in modo organico il trattamento tributario da riservare ai cosiddetti contribuenti minimi, al fine di assicurare agli stessi semplificazioni contabili e meccanismi forfettari di determinazione delle imposte sui redditi, dell'Irap e dell'Iva.
Numerose agevolazioni fiscali sono contenute nella disciplina delle "start up innovative", contenuta nel decreto-legge n. 179 del 2012. Esse operano sia in favore di società aventi gli specifici requisiti di legge per qualificarsi come start up innovativa (tra cui la disapplicazione a tali soggetti della disciplina in materia di società di comodo e in perdita sistemica), sia nei confronti dei soggetti che vi lavorano o vi svolgono funzioni apicali. In particolare, nel caso di assegnazione agli amministratori, ai dipendenti e ai collaboratori di azioni, quote, titoli, diritti, opzioni o strumenti finanziari nel contesto di un piano di incentivazione, il reddito di lavoro derivante dall’attribuzione di tali strumenti finanziari o diritti non concorre alla formazione del reddito imponibile di tali soggetti ai fini tanto fiscali quanto contributivi.
Sono previste inoltre agevolazioni fiscali nei confronti dei soggetti che intendono investire in tali imprese: per gli anni 2013, 2014 e 2015 si consente alle persone fisiche e alle persone giuridiche, di detrarre o dedurre dal proprio reddito imponibile le somme investite in imprese start-up innovative, sia direttamente che indirettamente per il solo tramite di SGR o altre società che investono prevalentemente in start-up innovative.
Ulteriori interventi che interessano le persone fisiche esercenti attività produttive sono illustrati nel tema relativo alla tassazione del settore produttivo.
Tra le più significative modifiche intervenute durante la XVI Legislatura al sistema delle detrazioni IRPEF si ricordano:
- l’introduzione a regime della detrazione IRPEF per le spese sostenute dalle famiglie per la frequenza di asili nido (articolo 2, comma 6 della legge n. 203 del 2008, la legge finanziaria 2009);
- la modifica, ad opera del decreto-legge "sviluppo" (D.L. 70/2011) degli adempimenti dei contribuenti necessari per usufruire di alcune detrazioni IRPEF, in particolare quelli relativi alla detrazione per carichi di famiglia, con lo scopo di semplificarli;
- la possibilità di detrarre, a fini IRPEF, anche il canone derivante da contratti di locazione stipulati da studenti universitari iscritti ad università site nei Paesi UE (articolo 16 della legge n. 217 del 2011, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 2012);
- la modifica, col fine di renderla strutturale, della disciplina delle detrazioni IRPEF spettanti per le ristrutturazioni edilizie (nuovo articolo 16-bis del D.P.R. n. 917 del 1986, introdotto dal D.L. 201 del 2011). Si segnala che, in relazione alle spese per le ristrutturazioni edilizie sostenute dal 26 giugno 2012 fino al 30 giugno 2013, è previsto l’innalzamento sia del quantum detraibile (dal 36 al 50% delle spese sostenute) che del limite di spesa per cui si può usufruire dell’agevolazione (da 48.000 a 96.000 euro, ai sensi dell’articolo 11 del D.L. 83 del 2012). Per quanto riguarda le spese di riqualificazione energetica degli edifici sostenute dal 1° gennaio al 30 giugno 2013 spetta una detrazione del 55% delle stesse spese (comma 2). Si rinvia al tema web relativo alla tassazione degli immobili per ulteriori precisazioni.
- l’innalzamento (articolo 1, comma 483 della legge di stabilità 2013, legge n. 228 del 2012) dell’importo delle detrazioni IRPEF spettanti per figli a carico. In particolare, è stata elevata da 800 a 950 euro la detrazione IRPEF per figli a carico di età pari o superiore a tre anni, da 900 a 1.220 euro quella prevista per ciascun figlio di età inferiore a tre anni, nonché dal 220 a 400 quella per ciascun figlio portatore di handicap;
- la modifica al regime delle detrazioni delle somme versate per erogazioni liberali in favore dei partiti e movimenti politici. Accanto all'aumento della percentuale detraibile (dal 19 per cento al 24 per cento, per l'anno 2013; al 26 per cento, a decorrere dal 2014) viene diminuito il limite (massimo e minimo) di contributo detraibile, che diviene compreso tra 50 e 10.000 euro (non più 103.291 euro);
- le modifiche alla disciplina delle detrazioni per erogazioni liberali alle ONLUS ed ad altre organizzazioni umanitarie: la percentuale detraibile è pari al 24 per cento nel 2013 e al 26 per cento dal 2014 e l’importo massimo è pari a 2.065 euro annui.
- l’introduzione di una detrazione d’imposta (pari al 19 per cento delle spese sostenute) per le erogazioni liberali in denaro in favore del Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
La disciplina della cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, istituita dal decreto legislativo n. 23 del 2011 (in tema di federalismo fiscale municipale, prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 si consente ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. Oltre a severe sanzioni in caso di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) le misure suddette prevedono che, in caso di contratto a canone concordato. il locatore che opta per la cedolare secca non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto. Nel corso delle audizioni informali svoltesi presso la VI Commissione (Finanze) il 15 novembre 2012, Confedilizia e UPPI – Unione piccoli proprietari immobiliari hanno rilevato i principali aspetti problematici relativi all’attuazione di tale nuova disciplina.
Per ulteriori informazioni sulla tassazione degli immobili si rinvia al relativo tema web. Si ricorda in questa sede che il D.L. n. 16 del 2012 (articolo 4, commi 5-quinquies e 5-sexies) ha fissato al 35 per cento la riduzione applicabile per determinare il reddito da locazione imponibile a fini IRPEF e IRES degli immobili aventi interesse storico o artistico.
L’articolo 4, comma 74 della legge n. 92 del 2012 ha rideterminato le modalità di calcolo del reddito dei fabbricati imponibile ai fini IRPEF; in particolare, dal 2013 è diminuita dal 15 al 5 per cento la riduzione applicabile ai canoni dei fabbricati concessi in locazione, utile ai fini della determinazione del reddito imponibile IRPEF.
Le modifiche alla disciplina delle addizionali IRPEF, come anticipato in precedenza, si inquadrano nell’alveo degli interventi attuativi della legge sul federalismo fiscale (legge n. 42/2009). Tuttavia, rispetto alla disciplina attutiva della legge 42/2009, ulteriori e successivi interventi – di cui si darà sinteticamente conto in seguito – hanno inciso sulla misura dell’addizionale regionale e sulla possibilità delle regioni di manovrare l’aliquota di spettanza.
In un primo momento, il decreto-legge n. 93 del 2008 aveva disposto la sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi e delle addizionali all’IRPEF, salve le deroghe in favore delle regioni con disavanzi nel settore sanitario. La sospensione è cessata per effetto di quanto disposto dal D.L. 138 del 2011 (articolo 1, commi 10 e 11): dal 2012 è stato ripristinato il potere di regioni e comuni di deliberare aumenti delle aliquote delle addizionali IRPEF.
Il decreto legislativo in materia di federalismo regionale e fabbisogni standard nel settore sanitario (D. Lgs. n. 68 del 2011, come modificato dal citato D. L. 138 del 2011) ha recato importanti novità in tema di addizionale regionale all'IRPEF e, in particolare:
- è stato previsto che, dal 2012, sia rideterminata l’addizionale regionale all’Irpef, la cui misura di base è dell’1,23 per cento (per effetto dell’innalzamento operato dall'articolo 28 del D.L. 201 del 2011, dal precedente valore dello 0,9 per cento);
- all’aliquota così rideterminata si aggiungono le eventuali maggiorazioni dell’addizionale, che ciascuna regione può effettuare nel limite dello 0,5% per il 2012 e il 2013, dell’1,1% per il 2014 e del 2,1% dal 2015;
- le regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria possono anticipare al 2013 l'aumento dell'addizionale IRPEF di 1,1 punto percentuale stabilito dal D.Lgs. 68/2011 relativamente all'anno 2014 (D.L. 95 del 2012);
- è stata posticipata dal 2013 al 2014 la decorrenza di alcune disposizioni che disciplinano i poteri delle Regioni di manovrare l’addizionale regionale IRPEF (articolo 1, comma 555 della legge di stabilità 2013, legge n. 228 del 2012). In particolare, tra le norme di cui è posticipata la decorrenza vi è l’autorizzazione a innalzare la misura delle detrazioni per carichi di famiglia - a carico dell’addizionale regionale - e la possibilità di introdurre detrazioni fiscali in luogo dell’erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale.
Nel corso della XVI legislatura è stato operato un complessivo intervento di riordino dei redditi finanziari, al fine di uniformarne il regime fiscale e razionalizzare complessivamente la materia. Per un’analisi approfondita si rinvia al tema sulla tassazione di transazioni e strumenti finanziari.
Si segnalano, in questa sede: la riforma dell’imposizione sui fondi di investimento mobiliare italiani; il nuovo regime tributario dei redditi di capitale; l’imposta di bollo sulle transazioni finanziarie; il trattamento fiscale agevolato delle le obbligazioni emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (cd. project bond).
L'articolo 13-bis del D.L. 78/2009, come modificato dal decreto-legge n. 103 del 2009 e dalla legge finanziaria 2010, ha introdotto la possibilità di rimpatriare o regolarizzare le attività detenute illegalmente all'estero alla data del 31 dicembre 2008 (cd. “scudo fiscale”). Per ulteriori informazioni si rinvia alla scheda di approfondimento in materia.
L'articolo 19 del D.L. 201 del 2011 ha previsto l'applicazione di un'imposta di bollo sulle attività così rimpatriate mediante lo "scudo fiscale"; il medesimo articolo ha introdotto altresì forme di prelievo sulle attività finanziarie e sugli immobili detenuti all'estero. L'articolo 16 del medesimo D.L. ha infine previsto forme di tassazione di imbarcazioni e automobili di lusso.
L’articolo 9, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010 aveva previsto, per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2011 e il 31 dicembre 2013, una decurtazione dei trattamenti economici complessivi dei dipendenti (anche di qualifica dirigenziale) delle amministrazioni pubbliche. Tale taglio colpiva le retribuzioni superiori a 90.000 euro lordi, con decurtazione del 5 per cento della parte eccedente il predetto importo, fino a 150.000 euro; per le retribuzioni superiori a150.000 euro lordi, era prevista un’ulteriore decurtazione del 10 per cento (per la parte eccedente il citato ammontare di 150.000 euro). Tuttavia la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2012 ha dichiarato illegittima la richiamata disciplina, in quanto ha riconosciuto che essa ha introdotto un vero e proprio prelievo tributario risultante in una imposta speciale nei confronti dei soli pubblici dipendenti. Come tale, la disposizione appare in contrasto con gli articoli 3 e 53 Cost. e, in particolare, col principio della parità di prelievo a parità di presupposto d'imposta economicamente rilevante.
Successivamente, il decreto-legge 138 del 2011 (articolo 2, primi due commi), in relazione alle straordinarie esigenze legate alla crisi economica, ha introdotto un contributo di solidarietà a carico di tutti i contribuenti il cui reddito complessivo ai fini IRPEF sia superiore a 300.000 euro lordi annui, per il periodo 1° gennaio 2011 – 31 dicembre 2013. Il contributo è pari al 3 per cento della quota eccedente tale importo.
Per quanto riguarda invece i trattamenti pensionistici, l’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. n. 98/2011 ha introdotto, in ragione dalla eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, un contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014 nelle seguenti modalità:
Successivamente l’articolo 24, comma 31-bis del D.L. 201 del 2011 ha disposto l’incremento del predetto contributo, fissandolo al 15% per la parte eccedente i 200.000 euro.
Di conseguenza, il vigente contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici opera nel modo seguente:
La legislatura è stata caratterizzata da un tentativo di razionalizzare le imposte indirette al fine di consentire agli enti territoriali di individuare nuove e più funzionali fonti di entrata, in grado di coprire i costi dei servizi resi: oltre all'imposta di scopo, di soggiorno, e alla tassa sui rifiuti, è stata istituita una imposta di sbarco e si è ripristinato il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali.
L’imposta di scopo è stata regolata dall’articolo 1, commi 145-151, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevede la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche. In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche. Soggetto passivo dell’imposta è il proprietario di fabbricati, aree fabbricabili, terreni agricoli, situati nel territorio del Comune, o titolare di diritto di usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi. Per gli immobili concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario. Nel caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario.
Su tal disciplina è intervenuto l’articolo 6 del D.Lgs. 23 del 2011 sul federalismo municipale in modo tale da prevedere: a) l’individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto alle tipologie definite dalla normativa vigente; b) l’aumento sino a dieci anni della durata massima di applicazione dell’imposta; c) la possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare. Il comma 1 prevede quindi che la revisione dell’imposta di scopo – nei termini sopra richiamati – sia effettuata con regolamentogovernativo da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, d’intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali entro il 31 ottobre 2011, mentre il comma 2 fa salvo l’obbligo di restituzione nel caso di mancato inizio dell’opera entro due anni dalla data prevista dal progetto esecutivo.
Il comma 1-quater dell’articolo 4 del decreto-legge n. 16 del 2012 ha quindi modificato ulteriormente la disciplina dell’imposta, con le seguenti modifiche all’articolo 6 del D.Lgs. n. 23 del 2011:
L’articolo 4 del D.Lgs. 23 del 2011 (federalismo municipale) attribuisce ai comuni la facoltà di istituire una imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio. L’imposta può essere istituita da:
L’imposta, istituita con deliberazione del consiglio, è applicabile secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a:
Ai sensi del comma 2, l’imposta di soggiorno può sostituire in tutto o in parte gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale. Resta ferma la facoltà di disporre limitazioni alla circolazione nei centri abitati ai sensi dell’articolo 7 del Nuovo codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285). Si tratta sostanzialmente di limitazioni alla circolazione per motivi di sicurezza pubblica o inerenti alla sicurezza della circolazione, di tutela della salute, esigenze di carattere militare, incolumità pubblica ovvero per urgenti e improrogabili motivi attinenti alla tutela del patrimonio stradale o ad esigenze di carattere tecnico, accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale. Il comma 3 affida a un regolamento governativo (adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400 , d'intesa con la Conferenza Stato-città autonomie locali), da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la disciplina generale di attuazione dell’imposta di soggiorno. I comuni, con proprio regolamento (da adottare ai sensi dell'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sentite le associazioni maggiormente rappresentative dei titolari delle strutture ricettive), hanno la facoltà di disporre ulteriori modalità applicative del tributo, nonché di prevedere esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo. Nel caso di mancata emanazione del regolamento governativo, i comuni possono comunque adottare gli atti necessari per l’applicazione dell’imposta.
L’articolo 4, comma 2-bis, del decreto-legge n. 16 del 2012, aggiungendo il comma 3-bis all’articolo 4 del D.Lgs. n. 23 del 2011 (federalismo municipale) consente ai comuni delle isole minori, ovvero a quelli nel cui territorio insistono isole minori, di istituire, in alternativa all’imposta di soggiorno, un’imposta di sbarco, destinata a finanziare interventi in materia di turismo, di fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali e dei servizi pubblici locali. Essa si applica nella misura massima di 1,50 euro ed è riscossa dalle compagnie di navigazione che forniscono collegamenti marittimi di linea unitamente al prezzo del biglietto. L'imposta non è dovuta:
La disposizione precisa inoltre che la compagnia di navigazione è responsabile del pagamento dell'imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione della dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. In caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile d'imposta (compagnia di navigazione) si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto. In caso di omesso o parziale versamento dell'imposta si applica la sanzione amministrativa pari al 30 per cento di ogni importo non versato (art. 13, D.Lgs. n. 471/1997). Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni, la suddetta sanzione, oltre alle riduzioni previste in caso di ravvedimento ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. n. 472 del 1997, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. I comuni possono prevedere nel proprio regolamento modalità applicative del tributo, nonché eventuali esenzioni e riduzioni per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo.
Si ricorda, infine, che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 ripristina il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall'anno di imposta 2012; questo potere era stato sospeso, fino all'attuazione del federalismo fiscale.
In particolare la legge finanziaria per il 2003 (L. n. 289/2002, articolo 3, comma 1, lettera a)) aveva disposto la sospensione della possibilità per le regioni (e i comuni) di disporre maggiorazioni dei due tributi principali: l’addizionale regionale (e comunale) all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Quella norma â€sospendeva’ gli aumenti eventualmente deliberati successivamente al 29 settembre 2002, fino a quando non fosse raggiunto un raccordo tra Stato, regioni ed enti locali sull’attuazione del federalismo fiscale. Dopo successive proroghe disposte dalle leggi finanziarie che si sono succedute, il termine era stato fissato al 31 dicembre 2006. Dall’esercizio 2007, regioni e comuni hanno avuto di nuovo la possibilità di aumentare l’addizionale IRPEF e l’aliquota dell’IRAP (le sole regioni). Con il D.L. n. 98/2008 (art. 1, comma 7) è stata nuovamente disposta, a decorrere dall'esercizio 2009, la sospensione del potere di regioni ed enti locali di deliberare aumenti delle aliquote di tributi, ma a differenza di quanto già avvenuto con la legge finanziaria per il 2003, la sospensione degli aumenti è estesa alla generalità “dei tributi, delle addizionali, delle aliquote” attribuiti con legge dello Stato alle regioni e al complesso degli enti locali ovvero, in sostanza, a tutte le entrate tributarie degli enti territoriali. La norma disponeva la sospensione fino alla “definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità, in funzione della attuazione del federalismo fiscale”.
Per un quadro sintetico delle entrate tributarie degli enti locali, si rinvia al relativo tema web.
L'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva. A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
Da ultimo, l’articolo 1-bisdel decreto-legge n. 1 del 2013 ha posticipato, per il solo anno 2013, al mese di luglio il termine di versamento della prima rata del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), precedentemente fissato al mese di aprile dalla legge di stabilità 2013, ferma restando la facoltà per il comune di posticipare ulteriormente tale termine.
Con l'emanazione del c.d. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997) è stato sancito il passaggio dal sistema della tassa a quello della tariffa. L’art. 49, comma 1, del citato decreto, istitutivo della “tariffa d’igiene ambientale” (anche indicata come TIA1), ha infatti soppresso la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), a decorrere dai termini indicati dal D.P.R. 158/1999 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani), entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini.
Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi. L’art. 11, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 134, della legge 266/2005 (finanziaria 2006) prevede, infatti, l’applicazione del sistema tariffario non prima del 2007.
In tale scenario si è innestato l'art. 238 del D.Lgs. 152/2006 che ha introdotto la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (comunemente indicata come “tariffa integrata ambientale” o TIA2). Contemporaneamente all’istituzione della TIA2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione della precedente "tariffa Ronchi". L'attuazione concreta della TIA2 è stata tuttavia differita (dal comma 11 dell’art. 238 citato) fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, che non è mai stato emanato. Nelle more dell’emanazione di tale decreto è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti, e quindi fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata.
L'applicazione della disciplina precedente è perdurata negli anni successivi, in virtù della disposizione recata dal comma 184 dell'articolo 1 della L. 296/2006, la cui finalità era proprio quella di lasciare invariato il regime di prelievo (e quindi consentire, nei fatti, l’applicazione della TARSU), dapprima per l’anno 2007 e poi, sulla base di successive novelle, anche per gli anni 2008-2009. In tal modo, nei comuni in cui fino al 2006 si applicava la TARSU si è continuato ad applicarla, così come si è continuato ad applicare la cd. tariffa Ronchi nei comuni che, in virtù del comma 1-bis dell’art. 49 citato, avevano anticipato l’applicazione della tariffa in via sperimentale; tutto ciò nonostante lo spirare delle rispettive discipline legislative.
Sullo scenario normativo suesposto si è innestata la norma recata dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. 208/2008, poi modificata prima dall’art. 23, comma 21, del D.L. 78/2009 (convertito dalla legge 102/2009) e poi dall'art. 8, comma 3, del D.L. 194/2009 (convertito dalla L. 25/2010). Tale comma 2-quater, nel testo novellato, ha consentito ai comuni di adottare comunque la TIA2 sulla base delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti (quindi del D.P.R. 158/1999), anche in mancanza dell’emanazione (entro il 30 giugno 2010) da parte del Ministero dell’ambiente del regolamento - previsto dall’art. 238, comma 6, del D.Lgs. 152/2006 - volto a disciplinare l’applicazione della stessa TIA2.
La qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti è stata oggetto, nel corso della XVI legislatura, di diverse interpretazioni e di un ampio contenzioso, a cui si è fatto ricorso soprattutto per chiarire l'applicazione, o meno, dell’obbligo di assoggettare le somme all’imposta sul valore aggiunto (IVA).
La questione della natura tributaria piuttosto che "corrispettivo per il servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani" della TIA1 è stata oggetto di diverse, e talora contrastanti, pronunce giurisdizionali, nonchè di differenti interpretazioni dottrinali. Tra le varie pronunce, di indubbio rilievo è la sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzonale che le ha riconosciuto natura tributaria (e, quindi, la conseguente competenza della Commissioni tributarie a dirimere le relative controversie), non rilevando "né la formale denominazione di «tariffa», né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la possibilità di riscuoterla mediante ruolo". Tale sentenza ha determinato, di fatto, l’esclusione dalla imponibilità ai fini IVA delle somme dovute e la conseguente presentazione di numerosi ricorsi da parte dei contribuenti per il rimborso dell’IVA pagata.
La Corte costituzionale, nell'indicare i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi, ha infatti affermato che essi sono indipendenti dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, e consistono piuttosto nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 238 del 2009; n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).
Questa sentenza differisce da precedenti orientamenti assunti - tra l'altro - dalla Corte di Cassazione civile che aveva qualificato come non tributaria tale prestazione pecuniaria (S.U. ordinanza n. 3274/2006), anche se successive decisioni della Corte stessa, con varie motivazioni e differenze, avevano invece ricondotto detta prestazione nel novero dei tributi (S.U: ordinanza n. 3171 del 2008, sentenze n. 13902/2007 e n. 4895/2006; sezioni semplici: sentenze n. 5298 e n. 5297 del 2009, n. 17526/2007).
Quanto affermato dalla Corte Costituzionale è stato successivamente ribadito anche dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 8313 dell’8 aprile 2010) secondo la quale “il fatto generatore dell’obbligo di pagamento è legato non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superficie idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio (punto 7.2.3.1. della sentenza n. 238/2009). Ciò fa della TIA, come già della TARSU, un tributo, la cui natura non può essere mutata se non sganciando l’obbligazione dal presupposto impositivo, e non attribuendo ad un privato un impossibile potere impositivo”.
Con l’articolo 14, comma 33, del D.L. 78/2010 è stata successivamente introdotta una norma interpretativa diretta ad affermare la natura non tributaria della TIA2. La stessa norma, inoltre, affida le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del D.L. 78/2010) alla giurisdizione ordinaria.
La finalità di tale disposizione non è quella di dirimere le possibili controversie originanti dalla recente giurisprudenza (in primis la sentenza n. 238/2009 della Corte costituzionale), in quanto tale giurisprudenza investe la TIA1, ma quella di creare le premesse per consentire un avvio ordinato della nuova tariffa integrata ambientale (TIA2).
Sul punto è successivamente intervenuta la circolare n. 3/DF dell'11 novembre 2010, con cui il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) ha fornito chiarimenti in materia di applicabilità dei prelievi concernenti la gestione dei rifiuti solidi urbani (TARSU, TIA1 e TIA2), dando anche indicazioni circa la natura non tributaria della tariffa e conseguente assoggettabilità all'IVA. In particolare il MEF ha chiarito che si applicano sia alla TIA1 che alla TIA2 le disposizioni contenute nell'art. 14, comma 33, del D.L. 78/2010, secondo il quale «la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria».
Il comma 123 dell'art. 1 della L. 220/2010 (abrogato dal comma 4 dell'art. 4 del D.L. 16/2012) ha previsto, sino all'attuazione del federalismo fiscale, la sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuiti agli enti territoriali, fatta eccezione per gli aumenti relativi alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU).
Successivamente è intervenuta la disposizione introdotta dalla legge di conversione n. 10/2011 nel testo dell'art. 2 del D.L. 225/2010 (cd. milleproroghe). Il comma 2-bis prevede che, nelle more della completa attuazione delle disposizioni di carattere finanziario in materia di ciclo di gestione dei rifiuti (comprese quelle riguardanti anche la regione e gli enti locali della Campania recate dagli artt. 11-12 del D.L. 195/2009), la copertura integrale dei costi dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti può essere assicurata - anche in assenza di una dichiarazione dello stato di emergenza e anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia di sospensione recate dal citato comma 123 - con le seguenti modalità:
- applicazione delle disposizioni di cui al comma 5-quater della legge n. 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), concernente il potere, attribuito al Presidente della Regione colpita da calamità naturali, di coprire gli oneri derivanti con aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché elevando la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino ad un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita; viene raddoppiato, tuttavia, in tal caso, il limite di incremento di imposta previsto dal comma 5-quater;
- facoltà, per comuni e province, di deliberare una maggiorazione delle addizionali all'accisa sull'energia elettrica in misura non superiore al vigente importo delle addizionali.
Da ultimo è intervenuto il comma 7 (ora abrogato, vedi infra) dell'art. 14 del D.Lgs. 23/2011 (federalismo fiscale municipale) secondo cui, fino alla revisione della disciplina dei prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali in materia di TARSU e TIA1.
Lo stesso comma dispone altresì che resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la TIA2.
Con l'art. 14 del D.L. 201/2011 è stato istituito a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa pubblica ai sensi della vigente normativa ambientale e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il comma 47 del medesimo articolo ha disposto l'abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2013, del citato comma 7 dell'art. 14 del D.Lgs. 23/2011.
L’articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il tributo è dovuto - con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse - da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
In caso di utilizzi temporanei di durata non superiore a sei mesi, il tributo è dovuto soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, superficie, mentre per i locali in multiproprietà e i centri commerciali integrati il soggetto che gestisce i servizi comuni è responsabile del versamento del tributo dovuto per i locali ed aree scoperte di uso comune.
A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
La tariffa, che è commisurata all’anno solare e deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:
Sul sito del Dipartimento delle finanze è stato pubblicato il modello di Regolamento per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). E' possibile inoltre consultare le linee guida per la redazione del piano finanziario e per l'elaborazione delle tariffe.
Il servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento – a seguito delle modifiche introdotte dal comma 387 dell’articolo unico della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) - deve essere svolto in regime di privativa pubblica ai sensi della vigente normativa ambientale.
Si ricorda che sussiste una situazione giuridica definibile di “privativa” allorché una determinata attività o servizio possano, o debbano a seconda dei casi, essere esercitati esclusivamente dal soggetto che ne detiene il diritto. L’art. 198 del D.Lgs. 152/2006 prevede che i comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali (ATO), alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all'inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall'Autorità d'ambito ai sensi dell'articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al l'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Si ricorda, infatti, che l’art. 202 ha previsto che l'Autorità d'ambito ottimale (AATO) aggiudichi il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, secondo la disciplina vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il rinvio al regime di privativa pubblica è stato introdotto al fine di recepire la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina sui servizi pubblici locali.
Con sentenza n. 199 del 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 del D.L. 138/2011, rilevando che, nonostante il titolo «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», la disciplina in esso contenuta abbia la stessa ratio di quella abrogata, di drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, e riproduca alla lettera, in buona parte, svariate disposizioni dell’art. 23-bis (e del relativo regolamento attuativo D.P.R. n. 168 del 2010) abrogate col suddetto referendum 11.13 giugno 2011. Poiché l’illegittimità è dichiarata sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni, cioè anche quelle apportate dai D.L. 1/2012 e 83/2012, l’intera disciplinata contenuta nell’art. 4 risulta caducata dalla sentenza. Restano salve, invece, le disposizioni contenute nell’art. 3 bis, introdotto dal D.L. 1/2012 in tema di ambiti ottimali e di sottoposizione al patto di stabilità, nonché controllo degli enti territoriali del rispetto dei relativi vincoli, delle società in house. La sentenza ribadisce il principio già affermato in precedenti pronunce per cui il legislatore “conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata”.
Con riguardo alla base imponibile sulla quale applicare il tributo, sempre in seguito alle modifiche introdotte con la legge di stabilità 2013, è stata disposta l’applicazione a regime dei criteri del DPR 158/1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Essa rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell’inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento. L’art. 3 del citato D.P.R. dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il D.P.R. 158/1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del D.Lgs. 22/1997 (ora abrogato), il D.P.R. ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile).
Quanto alla determinazione della superficie tassabile, la norma rinvia l’applicazione del criterio previsto per le unità immobiliari a destinazione ordinaria (secondo il quale il tributo si applica all’80 per centodella superficie catastale) al momento in cui sarà effettuato - mediante forme di collaborazione tra i comuni e l’Agenzia del territorio - l’allineamento tra i dati catastali relativi a tali unità e i dati riguardanti la toponomastica e la numerazione civica di ciascun comune. Per favorire il predetto allineamento dei dati, viene poi introdotto l’obbligo - al comma 34 del citato articolo 14 - di indicare nella dichiarazione delle unità immobiliari a destinazione ordinaria i dati catastali, il numero civico di ubicazione dell'immobile e il numero dell'interno. In prima applicazione, pertanto, la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano assoggettabile al tributo è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati.
Ai fini dell'applicazione del tributo si considerano le superfici dichiarate o accertate ai fini delle tariffe rifiuti applicate dai comuni: laTARSU (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui al decreto legislativo 13 novembre 1993, n. 507), laTIA 1 (Tariffa di igiene ambientale prevista dall'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) o laTIA 2 (articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
L’art. 238 del D.Lgs. 152/2006 disciplina la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (comunemente indicata come “tariffa integrata ambientale” o TIA2) prevedendo, tra l'altro, che chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Contemporaneamente all’istituzione della TIA2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione dellaTIA1, vale a dire la precedente "tariffa Ronchi" (istituita dall’art. 49 del D.Lgs. 22/1997 e comunemente indicata come “tariffa d’igiene ambientale”). L'attuazione della TIA2 è stata tuttavia differita (dal comma 11 dell’art. 238 citato) fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, a tutt’oggi non ancora emanato. Nelle more dell’emanazione di tale decreto è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti, e quindi fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata.
Alcuni comuni, poi, applicano ancora la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), soppressa dall’art. 49, comma 1, del cd. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), a decorrere dai termini indicati dal citato D.P.R. 158/1999, entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini. Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi.
Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.
Alla tariffa così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione per un importo massimo di 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove è ubicato.
Sono previste specifiche ipotesi di riduzioni tariffarie, salva la facoltà, per il consiglio comunale, di deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni. Il consiglio comunale determina, con apposito regolamento, la disciplina per l'applicazione del tributo e approva le tariffe.
I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo.
Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, il tributo è dovuto in misura non superiore al quaranta per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.
Il tributo è dovuto nella misura massima del venti per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente.
Resta invece confermata la disciplina del tributo dovuto per il servizio di gestione dei rifiuti delle istituzioni scolastiche.
I commi da 24 a 27 regolano il servizio di gestione dei rifiuti assimilati prodotti da soggetti che occupano o detengono temporaneamente locali od aree pubbliche o di uso pubblico. In particolare, il comma 24 prevede che per tale servizio i comuni stabiliscono con il regolamento le modalità di applicazione del tributo, in base a tariffa giornaliera. L'occupazione o detenzione è temporanea quando si protrae per periodi inferiori a 183 giorni nel corso dello stesso anno solare. Ai sensi del comma 25, la misura tariffaria è determinata in base alla tariffa annuale del tributo, rapportata a giorno, maggiorata di un importo percentuale non superiore al 100 per cento. L'obbligo di presentazione della dichiarazione è assolto con il pagamento del tributo da effettuarsi con le modalità e nei termini previsti per la tassa di occupazione temporanea di spazi ed aree pubbliche (comma 26). Si applicano - in quanto compatibili - le disposizioni relative al tributo annuale, compresa la maggiorazione di cui al comma 13.
Il comma 28 fa salva l'applicazione del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell'ambiente (di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504). Il tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali ed aree assoggettabili a tributo, è applicato nella misura percentuale deliberata dalla provincia sull'importo del tributo.
I commi da 33 a 44 disciplinano gli aspetti procedurali concernenti la presentazione della dichiarazione e l’accertamento, statuendo anche in ordine alle sanzioni. Ai sensi del comma 35, in deroga alla normativa per l’affidamento dei servizi di riscossione da parte dei comuni (articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446), questi ultimi possono affidare, fino al 31 dicembre 2013, la gestione del tributo o della tariffa ai medesimi soggetti che attualmente svolgono, anche disgiuntamente, ilservizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA1 o della TIA 2.
Il versamento è effettuato esclusivamente al comune - in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre - tramite il sistema dei versamenti unitari con compensazione con il modello F24, nonché tramite bollettino di conto corrente postale. I comuni possono variare la scadenza e il numero delle rate di versamento.
Per l'anno 2013, il termine di versamento della prima rata è comunque posticipato a luglio (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 1 del 2013), ferma restando la facoltà per il comune di posticipare ulteriormente tale termine. E’ inoltre consentito il pagamento in unica soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno.
Con uno o più decreti del direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Direttore dell'Agenzia delle entrate e sentita l’Anci, sono stabilite le modalità di versamento, assicurando in ogni caso la massima semplificazione degli adempimenti da parte dei soggetti interessati, prevedendo anche forme che rendano possibile la previa compilazione dei modelli di pagamento. Per l'anno 2013, fino alla determinazione delle tariffe, a seguito della quale si effettuerà il conguaglio, l'importo delle corrispondenti rate è determinato in acconto, commisurandolo all'importo versato, nell'anno precedente, a titolo di TARSU o di TIA 1 oppure di TIA 2.
Per l'anno 2013, il pagamento della maggiorazione a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni è effettuato in base alla misura standard, pari a 0,30 euro per metro quadrato. Anche in tal caso, l'eventuale conguaglio riferito all'incremento della maggiorazione fino a 0,40 euro è effettuato al momento del pagamento dell'ultima rata.
Il comma 45 rinvia alle disposizioni relative all'accertamento e alla riscossione, da parte degli enti locali, dei tributi di propria competenza, di cui all'articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché alle norme in materia di potestà regolamentare delle province e dei comuni di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, per quanto attiene all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate. Tale ultima norma prevede, tra l’altro, che l'accertamento dei tributi può essere effettuato dall'ente locale anche in forma associata; qualora, invece, sia deliberato di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali.
La XVI legislatura è stata caratterizzata da un importante intervento di riforma della finanza regionale e locale, diretto a dare attuazione al principio dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione: si tratta della disciplina del federalismo fiscale, mediante la quale è stato avviato un processo - che al termine della legislatura si presenta tuttavia ancora lontano dall'essere completato - per la ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali.
Un secondo aspetto che ha contraddistinto il tema della finanza regionale e locale è individuabile nella normativa intervenuta, con cadenza sostanzialmente annuale per tutto il periodo, sul Patto di stabilità interno: normativa la cui continua redifinizione è dipesa anche dalla necessità di realizzare - in un contesto economico e finanziario costantemente negativo per l'intero quinquennio - il concorso delle regioni e degli enti locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, in presenza di vincoli via via più stringenti sia sui saldi finanziari che sul versante della spesa.
In stretta correlazione a tale questione, che ha portato all'introduzione di diverse misure per il contenimento dell'indebitamento degli enti territoriali, sono state altresì innovate, nell'ultimo anno di legislatura, le regole sui controlli operanti per regioni ed enti locali, anche con un potenziamento delle funzioni a tale scopo assegnate alla Corte dei conti. Diversi interventi legislativi, nonché di natura regolamentare ed amministrativa hanno infine avuto la finalità di risolvere il problema, oggetto anche di una specifica disciplina da parte dell'Unione europea, dei ritardi nei tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni, di particolare rilievo per quanto concerne le regioni e gli enti locali.
Dopo un ampio confronto tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali in ordine al riassetto dell’ordinamento finanziario e contabile delle autonome, e dopo un iter parlamentare durato quasi un anno, è stata approvata la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante una delega al Governo in materia di federalismo fiscale , in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.
Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.
In questo quadro, uno degli obiettivi principali della legge è il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.
A tal fine la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
In attuazione della delega, nel corso della legislatura sono stati emanati nove decreti legislativi, che hanno realizzato la gran parte del progetto normativo delineato dalla legge n. 42 del 2009, senza che, tuttavia, possa al momento ritenersi completato il nuovo assetto del federalismo fiscale. Da un lato, infatti, alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto - quali la determinazione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori diversi dalla sanità (ivi individuati nel 2001 come livelli essenziali di assistenza LEA ), ovvero l'individuazione dei fabbisogni standard - non sono ancora intervenuti, né, attesa anche l'oggettiva complessità tecnica delle questioni da risolvere, appaiono di prossima definizione. D'altro lato, il più significativo intervento attuativo della delega, vale a dire la nuova fiscalita' municipale , è stato più volte modificato, dopo l'entata in vigore del relativo decreto legislativo, mediante la decretazione d'urgenza, dando luogo ad un quadro normativo mutevole ed al momento ancora non a regime, come espone la complessa vicenda dell'imposta municipale propria (IMU) . Si tratta peraltro di un tema, quest'ultimo, sul quale ha inciso negativamente l'intensificarsi dell'emergenza finanziaria nell'ultima parte della legislatura,che ha posto nuove e pressanti necessità di reperimento di risorse e di realizzazione di risparmi di spesa. In altri casi,invece, come per l'attribuzione di parte del patrimonio statale agli enti territoriali (c.d. federalismo demaniale) e per le nuove competenze da attribuire a Roma capitale, il processo attuativo è stato rallentato dalla complessià degli interessi coinvolti e da regolare (vedi Ordinamento di Roma capitale e Il secondo decreto su Roma capitale) .
A conclusione della XVI legislatura il federalismo fiscale sembra pertanto presentare, quanto all'assetto normativo, un sistema di regole ancora da completare e (presumibilmente) da riconsiderare in alcuni punti e, per i profili attuativi, un quadro di adempimenti ancora in larga parte da produrre.
Sul versante del controllo della finanza degli enti territoriali, imposto anche ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti dall’ordinamento comunitario, lo strumento utilizzato è, come negli anni precedenti, il Patto di stabilita' interno .
Le regole del Patto di stabilità interno sono funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali quale concorso al raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l’adesione al Patto europeo di stabilità e crescita.
L’obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ha assunto valenza costituzionale con la nuova formulazione dell’articolo 119 della Costituzione, operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 volta ad introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, il quale, oltre a specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, prevede al contempo che tali enti sono tenuti a concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Nel corso della legislatura, nonostante le successive riscritture della disciplina applicativa, l’impostazione del Patto di stabilita' interno si è mantenuta incentrata, per gli enti locali, sul controllo dei saldi finanziari e, per le Regioni, sul principio del contenimento delle spese finali, secondo quella che era stata la tendenza della legislatura precedente.
Nel corso della legislatura, le regole per il raggiungimento degli obiettivi finanziari del patto di stabilità da parte delle regioni e degli enti locali - formulate in sede di manovra di finanza pubblica e inquadrate quali princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del quadro del titolo V della Costituzione - hanno subito un processo di graduale aggiustamento che ha portato ad una disciplina piuttosto consolidata con la legge di stabilità per il 2012.
Le successive revisioni delle regole del patto, pur confermando l’impianto generale della disciplina, sono state volte a superare le criticità connesse ai meccanismi di definizione degli obiettivi finanziari del patto di stabilità interno, soprattutto in una fase di recessione economica quale quella incontrata nel corso della legislatura, e alla diversa distruzione del peso complessivo dei vincoli finanziari fra gli enti territoriali soggetti al patto, anche sulla base del concetto di virtuosità.
Le principali innovazioni introdotte nel corso della XVI legislatura alla disciplina del patto di stabilità interno sono rappresentate dall’introduzione di un nuovo meccanismo di riparto dell’ammontare del concorso agli obiettivi di finanza pubblica tra i singoli enti, basato su criteri di virtuosità, e dalla definizione di meccanismi di flessibilita' nell’applicazione del patto di stabilità interno, soprattutto a livello regionale, che hanno consentito agli enti locali di poter disporre di maggiori margini per l’effettuazione di spese, in particolare in conto capitale, senza incorrere nella violazione del patto.
Ai fini del controllo della finanza regionale e locale, la disciplina del Patto di stabilità interno è stata affiancata da una serie di misure finalizzate al contenimento della spesa delle autonomie territoriali in relazione ai costi degli organismi politici e degli apparati amministrativi, alle spese di rappresentanza, nonché ai costi derivanti da duplicazione di funzioni.
Queste norme richiamano il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea.
Per quanto concerne l’ indebitamento delle Regioni e degli Enti locali , il tema è venuto sempre più in rilievo nel corso della XVI legislatura, in presenza dell'obbligo del rispetto dei crescenti vincoli finanziari stabiliti dall'Unione europea, in base ai quali gli enti territoriali sono stati tenuti a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche attraverso il contenimento del proprio debito. Diverse misure di contenimento del debito degli enti medesimi sono state pertanto introdotte nel corso della legislatura, volte da un lato, a ridurre la dinamica crescente della consistenza del debito già in essere e, dall’altro, a ridurre fortemente la possibilità di ulteriore indebitamento degli enti, secondo una tendenza già evidente nella legislatura precedente.
Nell'ultimo anno di legislatura sul punto è intervenuta anche una disposizione della legge costituzionale n.1 del 2012: con essa l'articolo 119 della Costituzione è stato modificato nella parte relativa all'indebitamento e si è rinviato ad una ulteriore fonte normativa, poi costituita dall'articolo 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, la disciplina delle modalità di indebitamento degli enti territoriali .
Connessa a tale tema è inoltre la questione dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche , dovuta ai ritardi nei tempi di pagamento da parte delle Amministrazioni pubbbliche, riconducibile in parte prevalente a quelli delle amministrazioni regionali (per la spesa sanitaria) e locali, sulla quale nel corso del 2012 dopo l'adozione di alcuni decreti ministeriali, è poi intervenuto il decreto legislativo n. 192 del 2012, di recepimento della direttiva dell'Unione Europea sul contrasto ai ritardi nei pagamenti.
Va inoltre segnalato il rafforzamento del sistema dei controlli operato dal decreto-legge n. 174 del 2012, volto ad attribuire una maggiore incisività sia ai controlli interni che a quelli esterni degli enti territoriali. In particolare per ciò che concerne i controlli interni si introduce, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, con particolare riferimento alle societa' partecipate , ove non quotate. E’ stata inoltre ampliata consistentemente, per ciò che concerne i controlli esterni, la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che viene a comprendere, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione, nonché la verifica del funzionamento dei controlli interni di ciascun ente. Alla Corte è anche affidato un potere sanzionatorio nei confronti degli amministratori dell’ente locale.Si è altresì disposto che i controlli esterni siano esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche, autonomamente, dal Ministero dell’economia e finanze – RGS, il quale può procedere ad effettuare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo contabile in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario.
E' stata inoltre perseguita, con il citato decreto legge n. 174, la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali nonché una maggiore rappresentatività dei documenti di bilancio degli enti territoriali, al fine di includervi anche le partecipazioni societarie degli stessi.
Sulla finanza locale va infine rammentato che la Commissione V ha proceduto allo svolgimento di una apposita indagine conoscitiva con l'obiettivo, in particolare, di valutare le criticità emerse nelle precedenti legislature con riferimento al processo di superamento della natura derivata della finanza locale e del riconoscimento agli enti locali di entrate proprie di natura tributaria.Il 28 settembre 2010 è stato approvato il documento conclusivo .
In attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, recante i principi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo fiscale, in riferimento all' articolo 119 della Costituzione, sono stati emanati nove decreti legislativi, finalizzati a definire il nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Il quadro attuativo della delega si presenta tuttavia in concreto ancora da completare e, nel corso dell'ultimo anno di legislatura, i contenuti di alcuni di tali decreti sono stati oggetto di numerose e significative modifiche operate mediante la legislazione ordinaria.
Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.
A tal fine la legge n.42 del 2009 stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. Anche in considerazione dello spessore di tali questioni, e della complessità di individuarne le opportune soluzioni legislative, nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento è stata condotta una ampia attivita' conoscitiva da parte delle Commissioni bilancio e finanze della Camera.
Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, ll legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità, assistenza, istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per le quali si prevede l’integrale copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.
Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni; le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.
Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.
A tal fine la legge reca i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali. Ciò al fine di definire un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.
Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere salvaguardato l’obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività , rispettando il principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche.
In linea generale, si stabilisce il principio in base al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.
Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione – ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario.
In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere evitata ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi, nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva.
La legge n. 42 delinea la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (21 maggio 2009) e in ventiquattro mesi il termine generale per l’adozione degli altri decreti. Tale termine è stato poi elevato a 30 mesi dalla legge 8 giugno 2011 n. 85 , venendo pertanto a scadenza il 30 novembre 2011. Essendo ormai decorso tale termine, risulta tuttavia possibile continuare ad intervenire sulla disciplina delegata, atteso che la legge n.42 stabilisce che entro il termine di tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega. La procedura di adozione dei decreti correttivi è identica a quella disciplinata per i decreti su cui intervengono. Pertanto, il termine per l’espressione del parere da parte della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario è fissato in 90 giorni dalla trasmissione dello schema di decreto legislativo correttivo. Anche per i decreti correttivi trova applicazione, inoltre, la c.d. “procedura di crisi” (che ha trovato applicazione per il decreto legislativo n.23/2011 sul fisco municipale) in caso di difformità di valutazioni tra Governo e Commissioni: l’articolo 2, comma 4, della legge n.42 medesima dispone in proposito che qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari, è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, rendendo comunicazioni al riguardo davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo.
Nel corso della XVI legislatura la legge delega ha trovato attuazione mediante l’emanazione di nove decreti legislativi, costituiti dai seguenti:
Non risulta ancora concluso l'iter di un ulteriore decreto legislativo correttivo in materia di ordinamento di Roma capitale, sul quale è stato espresso il 19 dicembre 2012 il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo ficale, e nei due giorni successivi i pareri delle Commissioni bilancio delle due Camere.
Una più compiuta esposizione del quadro normativo sull’ attuazione del federalismo fiscale è riportata nella quarta relazione semestrale sull’attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, approvata dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 23 gennaio 2013.
Pur in presenza di un corpus normativo che ha sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge delega, il percorso attuativo del federalismo fiscale non può ritenersi completato, per due diversi ordini di ragioni.
La prima è rinvenibile nelle caratteristiche della legislazione delegata che in taluni casi, riproponendo anche per l’aspetto lessicale le disposizioni contenute nella legge delega (ad esempio in tema di funzioni fondamentali degli enti locali, ovvero su Roma capitale) non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla delega ed in altri è intervenuta sollevando numerose questioni di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità regionale, rispettivamente n. 23 e n. 68 del 2011), che tra i decreti e la disciplina generale in vigore nella materia (ad esempio per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali, rispettivamente decreti n. 85 del 2012 e n. 88 del 2011). Ma, più ancora, i provvedimenti emanati rinviano a numerosi altri interventi attuativi di rango secondario – decreti e regolamenti – che in molti casi non risultano emanati, e ciò anche in alcuni aspetti cruciali per l’implementazione della nuova disciplina, nei quali, potrebbe ritenersi, la delega ha posto obiettivi ambiziosi, la cui implementazione normativa risulta oggettivamente molto complessa: è il caso, soprattutto, della individuazione dei fabbisogni standard, i cui termini di conclusione sono stati più volte posposti. E l’assenza, al momento, dei fabbisogni in questione, unitamente alla ancora non intervenuta definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (nei settori diversi dalla sanità, ove peraltro la vigente disciplina è risalente al 2001) ai sensi dell’articolo 117, lettera m) della Costituzione, rende fortemente incompiuto il nuovo assetto federalista. Va infatti rammentato come la determinazione dei fabbisogni standard costituisca l’architrave della fiscalità federalista come delineata dalla legge n.42/2009, in quanto è alla base (sia per il complesso delle autonomie territoriali che per ogni singolo ente) della sequenza: costi standard, differenza tra fabbisogno/costo standard e risorse fiscali dell’ente, perequazione integrale, con il concorso dello Stato, del fabbisogno “scoperto” per quanto concerne i livelli essenziali delle prestazioni e perequazione “parziale” (riferita alla capacità fiscale) per le altre funzioni. Un altro rilevante tema concerne infine, la mancata attuazione del meccanismo di coordinamento finanziario dinamico della finanza pubblica posto dal “Patto di convergenza” di cui all’articolo 18 della legge n. 42, che peraltro, come si segnalerà anche di seguito su un’altra tematica, prefigura un complesso disegno concertativo multilivello tra Stato ed autonomie territoriali, la cui messa in opera è stata sicuramente ostacolata dal succedersi di crisi finanziarie che ha contraddistinto la legislatura. Ed inoltre, la concreta realizzazione della finanza decentrata presenta problemi tecnici di oggettiva complessità, che in molti casi hanno reso necessario, come nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento dei fondi perequativi per gli enti locali o dell’armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi periodi transitori e/o di fasi di sperimentazione prima dell’entrata a regime. Alcuni provvedimenti, infine, stentano a trovare una soddisfacente implementazione a causa di inevitabili contrasti tra gli enti coinvolti, come nel caso dl federalismo demaniale o dei provvedimenti su Roma capitale (su cui non a caso si è giunti a tre decreti legislativi, il terzo in corso d’emanazione) che danno luogo a varie difficoltà amministrative ed ordinamentali.
La seconda ragione può indicarsi in quello che appare oggettivamente un ripensamento da parte del legislatore su alcune questioni importanti della delega evidenziatosi nell’ultimo anno di legislatura nel quale aspetti importanti della normativa federalista sono stati modificati con la legislazione oridinaria - a partire dal decreto-legge n. 201 del 2011 – vale a dire fuori dal procedimento previsto dalla delega medesima.
Tra le principali questioni emerge il tema delle funzioni delle province, per il quale, dopo le misure radicalmente innovative dettate dal decreto-legge n. 201 del 2011 (attribuzione alle province esclusivamente di funzioni di indirizzo e coordinamento dell’attività dei comuni e configurazione degli organi di tali enti, ridotti al presidente della provincia e al consiglio provinciale, come organi ad elezione indiretta), la materia è stata di nuovo oggetto di un rilevante intervento normativo con il decreto-legge n. 95 del 2012, con cui si è inteso effettuare un riordino complessivo di tali enti, che ne riducesse significativamente il numero, e si è rivista, anche modificando quanto disposto dal decreto-legge n. 201, la disciplina di organi e funzioni. Lo stesso decreto-legge, proprio in connessione con il riordino delle province, ha disposto l’istituzione delle città metropolitane e ne ha definito la disciplina a regime, abrogando la normativa per la loro istituzione dettata, sia pure in via transitoria, dall’articolo 23 della legge n. 42. Peraltro, la mancata conversione, anche a causa dello scioglimento delle Camere, del decreto-legge n. 188, con il quale si completava il procedimento di riordino delle province stabilito dal decreto-legge n. 95, e, tra l’altro, si puntualizzava la normativa relativa alle città metropolitane, ha lasciato che il disegno complessivo di riforma delle province e di istituzione delle città metropolitane, che era stato avviato, rimanesse incompiuto. La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) ha pertanto rinviato al 31 dicembre 2013 il termine sia per il riordino delle province sia per la definizione delle modalità di elezione degli organi dell’ente, nonché sospeso fino alla medesima data il trasferimento ai comuni delle relative funzioni e l’applicazione della disciplina istitutiva delle città metropolitane.
Ancor più rilevante il tema dell'IMU per il quale, com’è noto, il decreto-legge n. 201 del 2011 nell’anticipare in via sperimentale l’applicazione dell’imposta al 2012, ne aveva modificato la disciplina (rispetto a come dettata dal decreto n. 23/2011) in misura molto significativa, per ragioni connesse in primo luogo all’emergenza finanziaria, estendendola alla prima casa ed incrementandone, mediante l’aumento delle rendite catastali, la base imponibile. Successivamente una diversa scelta è stata effettuata con la legge di stabilità per il 2013, che ha attribuito interamente ai comuni il gettito dell’imposta (ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che spetta allo Stato), con ciò per un verso ripristinando la configurazione dell’imposta come essenzialmente municipale, ma, per altro verso comportandone, al fine di assicurare la neutralità dell’intervento sotto il profilo dei rapporti finanziari tra Stato e comuni, rilevanti ricadute sul sistema perequativo definito dallo stesso decreto legislativo n. 23, con la soppressione del fondo sperimentale di riequilibrio e l’istituzione di un fondo di solidarietà comunale, che è alimentato con il gettito della stessa IMU spettante ai comuni (a differenza del fondo soppresso, la cui dotazione era costituita da un finanziamento a carico del bilancio dello Stato); ha inoltre comportato la sospensione, per i biennio 2013-2014 della devoluzione della fiscalità immobiliare ai comuni. Per valutare tale vicenda, che ha avuto un forte impatto sui contribuenti, va tuttavia tenuta presente l’emergenza finanziaria che, soprattutto a partire dalla seconda metà del 2011, ha reso urgente l’adozione di misure di consolidamento dei conti pubblici, nel cui ambito un ruolo rilevante riveste la spesa, ed i connessi meccanismi di finanziamento (devoluzione di imposte, trasferimenti e tributi propri) delle regioni e degli enti locali: emergenza che ha costituito un serio ostacolo al procedere del percorso della fiscalità regionale e locale.
Ulteriore questione (limitando la rassegna alle principali) investe infine disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali, dettata dal decreto legislativo n. 149 del 2011, che in alcuni dei suoi strumenti più significativi, quali la relazione di fine legislatura o di fine mandato e le verifiche della regolarità della gestione amministrativo-contabile, è rimasta inapplicata per i ritardi nell’adozione degli atti amministrativi previsti dallo stesso decreto legislativo e necessari per dare attuazione alle misure in esso contenute. Al fine di renderne le disposizioni immediatamente applicabili, superando in tal modo i ritardi e gli ostacoli registrati nella fase attuativa, si è intervenuto con il decreto legge n. 174 del 2012 sugli enti territoriali, che ha rivisitato profondamente le norme contenuto nel decreto legislativo in questione.
Ferme restando tali questioni, che ovviamente non esauriscono il novero delle problematiche poste dalla disciplina in esame, sembra più in generale ravvisarsi l’esigenza di pervenire alla definizione di un quadro normativo dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo certo e (possibilmente) stabile, atteso che nella parte finale della legislatura i ripetuti interventi legislativi, anche a breve distanza di tempo, operati prevalentemente mediante la decretazione d’urgenza, hanno determinato su alcuni temi importanti della disciplina attuativa della legge delega situazioni di precarietà ed incertezza.
1. - Legge delega 5 maggio 2009, n. 42
1.1 - Federalismo demaniale
1.2 - Ordinamento transitorio di Roma capitale
1.3 - I fabbisogni standard degli enti locali
1.4 - Federalismo municipale
1.5 - Federalismo regionale, provinciale e costi e fabbisogni standard sanitari
1.6 - Interventi per la rimozione degli squilibri economici-sociali
1.7 - Armonizzazione dei sistemi contabili delle regioni e degli enti locali
1.8 - Le sanzioni ed i premi relativi a regioni ed enti locali
1.9 - Roma capitale
Relazione semestrale sull'attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale
Il 17 marzo 2010 è stata costituita, con l'elezione dell'ufficio di presidenza, la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. La Commissione, composta da 15 deputati e 15 senatori, ha il compito di esprimere il parere sugli schemi dei decreti legislativi che daranno attuazione al federalismo fiscale
Il 17 marzo 2010 si è costituita la Commissione parlamentare prevista dall’articolo 3 della legge n. 42 del 2009, legge-delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale. In tale data infatti la Commissione ha proceduto all’elezione dei due vicepresidenti e dei due segretari; il presidente era già stato precedentemente nominato dai Presidenti del Senato e della Camera, d’intesa fra loro, sulla base di quanto dispone la legge n. 42 medesima.
La Commissione, composta da quindici senatori e da quindici deputati, è configurata come un organo con funzioni consultive, in quanto ha il compito di pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.
Oltre a tale funzione, viene affidato alla Commissione il compito di verificare lo stato di attuazione della riforma (riferendone ogni sei mesi alle Camere); la Commissione, inoltre ha una specifica e significativa funzione propositiva: sulla base dell'attività conoscitiva svolta, essa può infatti formulare osservazioni e fornire al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione degli schemi dei decreti legislativi.
In considerazione della complessità che riveste la materia del federalismo fiscale, mediante la cui attuazione la legge n. 42 mira alla complessiva ridefinizione dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali (con il passaggio di un sistema di finanza derivata ad un assetto che prevederà una consistente autonomia fiscale per gli enti decentrati), l’attività della Commissione parlamentare si inserisce in un complesso di rapporti interistituzionali con altri organi appositamente istituiti dalla legge in esame.
Si tratta in particolare:
La legge delega sul federalismo fiscale prefigura in tal modo una complessa rete di interrelazioni fra i vari organi istituzionali, posto che la Commissione parlamentare può ottenere, ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma, tutte le informazioni necessarie, sia dalla Commissione paritetica che dalla Conferenza permanente sopradette.
La Commissione inoltre assicura il raccordo con le Regioni e gli enti locali grazie ad un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali: un organismo tecnico non parlamentare appositamente istituito, composto da dodici membri.
La legge n. 42 delinea la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (21 maggio 2009) e in ventiquattro mesi il termine generale per l’adozione degli altri decreti. Tale ultimo termine è stato prorogato di sei mesi dalla legge 8 giugno 2011, n 85.
Entro il 30 giugno 2010, il Governo è chiamato a trasmettere alle Camere la relazione contenente dati sulle implicazioni e le ricadute di carattere finanziario conseguenti all’attuazione della delega, nel quale fornire un quadro generale del finanziamento degli enti territoriali e sulla struttura dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo. La Relazione, presentata alle Camere il 30 giugno 2010 (Doc. XXVII, n. 22), è stata assegnata alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale - nonché alle Commissioni bilancio di ciascuna Camera - che ne ha effettuato l'esame.
Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di una relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti finanziari, sono adottati dal Governo, previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali e successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte:
All’adozione dei decreti si può peraltro procedere anche qualora non venga raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata: in tal caso, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui gli schemi di decreto legislativo sono posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare la trasmissione alle Camere, approvando contestualmente una relazione in cui vengono motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta.
Sia la Commissione bicamerale che le Commissioni bilancio sono chiamate a esprimersi entro 60 giorni (prorogabili di ulteriori 20 giorni) dalla trasmissione dei testi; decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati. La citata legge n.85 del 2011 ha esteso a 90 giorni il termine per il parere, sopprimendo contestualmente la facoltà di proroga
E’ inoltre prevista l'ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi ai pareri parlamentari: in tal caso esso trasmette nuovamente gli schemi alle Camere con le relative osservazioni ed eventuali modificazioni, rendendo a tal fine comunicazioni davanti a ciascuna Camera; trascorsi 30 giorni da tale trasmissione, i decreti legislativi possono essere adottati.
E' all'esame delle Camere la Relazione prevista dall'articolo 2 della legge delega n.42 del 2009 sul federalismo fiscale, che riporta il quadro complessivo di finanziamento degli enti locali e reca alcune indicazioni sui rapporti finanziari e su possibili distribuzioni delle risorse tra Stato, regioni ed enti locali, alla luce di quanto prevede la legge n. 42 medesima
L’articolo 2, comma 6, della legge delega sul federalismo fiscale prevede che entro il 30 giugno 2010 il Governo trasmetta alle Camere una relazione concernente:
La relazione, predisposta dal Governo nel termine suindicato, è stata assegnata alla Commissione parlamentare per lâ€attuazione del federalismo fiscale (nonché alle Commissioni bilancio di ciascuna Camera) che ne ha iniziato l’esame (Doc. XXVII, n. 22).
Va rammentato che la legge n. 42 dispone espressamente che tale relazione debba essere trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali. Essa pertanto, in sostanza, ha la funzione di delineare il quadro generale, sia sui dati fiscali che sui possibili percorsi legislativi, nel cui ambito andranno attuati i trasferimenti di autonomia impositiva dallo Stato alle autonomie territoriali previste dalla legge stessa.
Nell’effettuare una ricostruzione normativa della finanza locale in Italia, la Relazione evidenzia il carattere di finanza derivata che connota l’attuale assetto della finanza regionale e locale, le cui entrate, derivano in buona parte da tributi di cui è titolare lo Stato e da trasferimenti dal bilancio centrale. Ciò comporta che i governi locali hanno il potere di spesa ma non il dovere di reperire le corrispondenti risorse mediante imposte. Così esse sono, osserva la Relazione, fiscalmente irresponsabili.
Oltre a tale questione, vengono evidenziate ulteriori anomalie presenti nel sistema Italia:
Nel rammentare l’importanza del primo intervento finora effettuato con l’approvazione del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul c.d. federalismo demaniale , volto ad attribuire i beni ai territori dove questi hanno avuto la loro origine storica e dove hanno la loro ubicazione fisica, allo scopo di valorizzare il patrimonio pubblico, la Relazione prefigura le prossime azioni, che vengono così individuate:
La Relazione sottolinea quindi la necessità di attuare il processo federale garantendo la stabilità finanziaria, in coerenza con i nuovi meccanismi dell'area dell'euro e le nuove regole del patto rafforzato di stabilità e crescita europeo, e conclude affermando che il federalismo fiscale appare l'unico strumento legislativo idoneo a superare le anomalie di funzionamento e le inefficienze di spesa prodotte dall'attuale sistema di fiscalità delle autonomie territoriali.
In merito alle azioni suindicate, si ricorda che in data 8 settembre 2010 è stato assegnato alla Commissione parlamentare per federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo - Atto del Governo n. 240 - recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province.
In attuazione della delega per la disciplina dell'ordinamento transitorio di Roma capitale, contenuta nella legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, sono stati emanati due decreti legislativi: il D.Lgs. n. 156 del 2010 per la parte relativa agli organi di governo, cioè l'Assemblea capitolina, la Giunta capitolina e il Sindaco; il D.Lgs. n. 61 del 2012 per la disciplina del conferimento di funzioni amministrative a Roma capitale.
Il decreto legislativo n. 156 del 2010 in materia di ordinamento provvisorio di Roma capitale, è stato il primo provvedimento ad essere emanto in attuazione della delega prevista dall’art. 24 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Tale delega, da attuare con uno o più decreti legislativi, riguarda l’ordinamento provvisorio, anche finanziario, di Roma capitale e configura, in luogo del comune di Roma, l'ente territoriale “Roma capitale”. Questo ente è dotato di una speciale autonomia; ad esso la legge n. 42 del 2009 attribuisce, oltre a quelle svolte attualmente, ulteriori funzioni amministrative, relative alla valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali, allo sviluppo del settore produttivo e del turismo, allo sviluppo urbano, all’edilizia pubblica e privata, ai servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità, e alla protezione civile. La stessa legge, inoltre, prevede che siano assegnate risorse ulteriori, in considerazione del ruolo di capitale della Repubblica e delle nuove funzioni ad essa attribuite e la determinazione dei principi generali per l’attribuzione al nuovo ente territoriale di un nuovo patrimonio.
Le disposizioni recate dall’articolo 24 in materia di ordinamento di Roma capitale hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che, ex articolo 23 della stessa legge n. 42/2009, sarà determinata con apposito decreto legislativo. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo 24 e dai relativi decreti delegati non dovrebbero perdere efficacia ma andare, per così dire, a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale. La suddetta disciplina organica non è poi stata emanata entro i termini di scadenza della delega, e la nuova disciplina sulle città metropolitane è stata dettata con una diversa fonte legislativa, costituita dall'articolo 18 del decreto-legge n.95 del 2012 (convertito dalla legge n.135 del 2012), che ha contestualmente abrogato sia l'articolo 23 sia le disposizioni (commi 9 e 10) dell'articolo 24 relativi all'applicazione a Roma capitale delle norme sulle città metropolitane. In assenza di espressi rinvii normativi tra le due fonti non risulta al momento chiaro il rapporto tra l'ordinamento di Roma capitale dettato dal presente decreto legislativo (nonché dal successivo secondo decreto sull'ente, il n.61 del 2012) e la disciplina generale sulle città metropolitane derivante dal decreto-legge 95/2012 predetto (la cui applicabilità è stata peraltro sospesa fino al 31 dicembre 2013 dalla legge di stabilità 2013, n.228/2012), benchè sembrerebbe comunque presumibile, ad una prima valutazione, che l'ordinamento risultante dai due decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale dvrebbe comunque permanere, se necessario con gli opportuni coordinamenti normativi, nella disciplina generale derivante dal decreto-legge n.95.
Venendo al contenuto del decreto legislativo n. 156, si rappresenta chelo stesso attua la delega limitatamente alla disciplina degli organi di governo di Roma capitale, individuati nell’Assemblea capitolina, nella Giunta capitolina e nel Sindaco.
L’Assemblea capitolina, organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo, è composta dal Sindaco e da 48 consiglieri e presieduta da un Presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta. Tra le competenze dell’Assemblea capitolina vi è la deliberazione dello statuto di Roma capitale, nonché l’adozione di regolamenti per la disciplina delle funzioni amministrative assegnate dalla legge sul federalismo fiscale a Roma capitale, che dovranno essere specificate in un successivo decreto legislativo.
Il Sindaco è il responsabile dell’amministrazione di Roma capitale e la Giunta, composta da assessori nominati dal Sindaco nella misura di un quarto dei consiglieri dell’Assemblea capitolina, collabora con il Sindaco per il governo di Roma capitale.
Il decreto n. 156/2010 conferisce e disciplina lo status di amministratori di Roma capitale ai consiglieri dell’Assemblea capitolina, agli assessori della Giunta capitolina e al Sindaco.
I confini di Roma capitale, secondo le previsione della legge sul federalismo fiscale, sono quelli del comune di Roma; secondo l’art. 24 della medesima legge, quando sarà attuata la disciplina delle città metropolitane, prevista dall’art. 23 della stessa legge, le disposizioni illustrate si intenderanno riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
Il provvedimento prevede che, per quanto non espressamente stabilito, alla materia si applichino le vigenti disposizioni del decreto legislativo n. 267 del 2000 recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), nonché ogni altra disposizione di legge.
Lo schema del decreto legislativo è stato esaminato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che ha espresso il proprio parere il 16 settembre 2010, formulando una serie di condizioni, poi recepite nel testo definitivo del provvedimento, tra cui quella di subordinare l'applicabilità di alcune disposizioni all'entrata in vigore del decreto legislativo sulle nuove funzioni di Roma capitale.
A completare la disciplina del nuovo ente territoriale, è stato poi emanato il decreto legislativo n. 61 del 2012, che viene specificamente commentato anche in un ulteriore approfondimento, cui comunque si rinvia. Il secondo decreto legislativo su Roma capitale disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall’articolo 24, comma 3, della legge delega n. 42/2009, prevedendo a tal fine l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale, che è chiamata a coordinare tutte le attività (anche di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, Mibac) di valorizzazione, decidendo il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l’immagine di Roma capitale. A Roma capitale sono poi conferite le funzioni amministrative concernenti il concorso alla valorizzazione dei beni presenti nel territorio della stessa ma appartenenti allo Stato. Ulteriori conferimenti concernono le funzioni in materia di turismo, nel cui ambito Roma capitale potrà avvalersi anche degli uffici statali per la promozione turistica all’estero, e di fiere, nonché di protezione civile, con l’attribuzione delle funzioni amministrative inerenti l’emanazione di specifiche ordinanze.
La necessità di una sede permanente di coordinamento dei nuovi assetti determinati dalla nuova disciplina trova riscontro nella previsione di una apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, il cui scopo è quello di assicurare il “raccordo istituzionale” tra Roma capitale, Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma. In tutti i casi in cui la Conferenza debba occuparsi di materie di interesse per Roma capitale, il Sindaco della stessa partecipa alle relative sedute.
Roma capitale:
Legislazione comparata:
Il decreto legislativo sui fabbisogni standard degli enti locali (D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216) dà attuazione ad alcune disposizioni della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che definisce il fabbisogno standard come l'indicatore che, coniugando efficienza ed efficacia, dovrà consentire la valutazione dell'azione pubblica.
Nel decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, i fabbisogni standard costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.
Tale superamento costituisce uno dei punti cardine del nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, incentrato sull’abbandono del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a enti locali e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.
I criteri generali di delega recati dalla legge n. 42/2009 prevedono il superamento del criterio della spesa storica in favore di nuovi parametri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, che sono il “fabbisogno standard”, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la “perequazione della capacità fiscale”, per il finanziamento delle altre funzioni.
Pertanto, il nuovo sistema di ripartizione delle risorse nei confronti degli enti territoriali dovrà essere basato sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.
Si rammenta che, secondo la definizione data dalla legge delega, il fabbisogno standard “valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica”. Sulla base di tale espressa indicazione legislativa il fabbisogno standard appare dunque costituire il livello ottimale di un servizio valutato a costi standard.
Il computo delle occorrenze finanziarie derivanti dai fabbisogni standard andrà effettuato rispetto alle funzioni fondamentali dei comuni e delle province, che vengono espressamente individuate sia per i comuni che per le province (funzioni generali di amministrazione, di polizia locale, viabilità, istruzione pubblica ed altre). A tal fine andranno altresì stabiliti gli obiettivi di servizio connessi ai livelli essenziali delle prestazioni da erogare. La metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce una operazione tecnicamente complessa, per la cui effettuazione il decreto definisce una serie di elementi da utilizzare, ed in particolare:
La procedura di messa in pratica di tale metodo è affidata alla Società per gli studi di settore – S.O.S.E. s.p.a., società per azioni che opera per la elaborazione degli studi di settore. A tal fine la società potrà avvalersi dell’ Istituto per la finanza e per l’economia locale IFEL, nonchè dell'ISTAT.
Le metodologie risultanti dall'attività della SOSE dovranno essere sottoposte alla valutazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nonchè del Ministero dell'economia e delle finanze.
Viene poi prevista una specifica procedura per la pubblicazione sia della nota metodologica della procedura di calcolo sia dei fabbisogni standard per ciascun ente locale, ai cui fini si dispone che ciascun schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, verificato dai competenti organi del Ministero dell'economia e delle finanze e corredato di relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti finanziari, venga sottoposto al parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ed a quello delle Commissioni bilancio delle due Camere.
E' inoltre previsto che gli enti locali virtuosi possano trarre beneficio dalla propria efficienza, stabilendosi che, fermo restando il rispetto degli obiettivi di servizio e di erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la differenza positiva, eventualmente realizzata in ciascun anno finanziario, fra il fabbisogno standard e la spesa effettiva dell'ente locale sia acquisita dal bilancio dell'ente medesimo.
Viene infine stabilito un periodo transitorio, dall’anno 2011 all’anno 2013, per l’applicazione del criterio di finanziamento basato sui fabbisogni standard a tutte le funzioni fondamentali, cui segue poi un successivo triennio per l’entrata a regime del nuovo sistema. In ciascuno degli anni predetti i fabbisogni individuati, relativi per ognuno degli anni medesimi ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali, entreranno in vigore dal 1° gennaio dell'anno successivo, con conclusione dell'entrata a regime, quindi, decorso il triennio transitorio, al 2017.
La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 216/2010 è stata modificata in due aspetti, il primo relativo ai termini di conclusione del procedimento di determinazione dei fabbisogni ed il secondo concernente le funzioni oggetto dei fabbisogni medesimi. E' stato inoltre predisposto un primo provvedimento per l'individuazione degli stessi. In particolare:
1) termini di conclusione
Il vigente testo del decreto legislativo, più volte modificato sul punto, stabilisce che entro il 31 marzo 2013 verranno determinati i fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2013, riguardo ad almeno due terzi delle funzioni fondamentali degli enti locali, e che nel 2013 verranno determinati i fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2014, riguardo a tutte le funzioni medesime (in entrambi i casi con un processo di gradualità diretto a garantirne l'entrata a regime nell'arco del triennio successivo). Successivamente - ma senza modificare testualmente le norme del decreto, l’articolo 1-bis del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 (convertito dalla legge n.94 del 2012), ha inteso anticipare i termini di conclusione del procedimento di determinazione dei fabbisogni standard rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. n. 216, stabilendo che ai fini della revisione della spesa pubblica, ed in particolare in campo sanitario, sulla base delle procedure previste dal decreto legislativo medesimo (fabbisogni standard di province e comuni) e dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (livelli essenziali di assistenza e livelli essenziali delle prestazioni), il Governo debba pubblicare i relativi dati entro il 31 dicembre 2012 e ridefinire i tempi per l’attuazione dei decreti di determinazione dei fabbisogni medesimi entro il 30 aprile 2013, in tal modo anticipando il vigente termine del 31 dicembre 2013.
Per quanto concerne invece i livelli essenziali delle prestazioni di competenza regionale previsti dal D.Lgs. n. 68/2011, pur in presenza della nuova tempistica di determinazione dei fabbisogni stabilita dall’articolo 1-bis del D.Lgs. n. 216, rimane ferma la necessità che i LEP siano comunque fissati con legge, sulla base di quanto dispone l’articolo 13 del medesimo D.Lgs. n. 216. Sulla materia è intervenuto altresì il comma 25-ter dell’articolo 15 del D.L. n. 95 del 2012, prevedendo che in relazione alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 68 del 2011, il Governo provveda all'acquisizione e alla pubblicazione dei relativi dati entro il 31 ottobre 2012, nonché a ridefinire i tempi per l'attuazione del medesimo decreto nella parte relativa ai costi e fabbisogni standard nel settore sanitario, entro il 31 dicembre 2012, termine ormai decorso.
2) funzioni fondamentali
Sulle funzioni degli enti locali il quadro normativo è stato reso incerto da disposizioni che sono successivamente intervenute sul punto senza tuttavia recare alcun raccordo con il D.Lgs. n. 216/2010, nei termini seguenti.
Il comma 1 dell'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 individua le funzioni fondamentali dei comuni in conformità all’art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione, che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza normativa in materia. L’individuazione delle funzioni fondamentali è compiuta attraverso una modifica dell’articolo 14, comma 27, del D.L. n. 78 del 2010, che aveva definito le stesse funzioni mediante rinvio all’articolo 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, il quale, a sua volta, aveva definito le funzioni fondamentali dei comuni solo in via provvisoria ed esclusivamente ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard disciplinato dal medesimo decreto legislativo. Il comma 1, lett. a), dell’articolo 19, reca un’individuazione di funzioni fondamentali non marcata da finalità specifiche o transitorie, bensì a regime. Essa comprende sia funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia funzioni dirette alla comunità territoriale. Esso inoltre ha modificato il riparto di attribuzione tra comune e provincia della funzione di edilizia scolastica ed a individuato una nuova funzione per i comuni, rappresentata dai servizi in materia statistica.
Appare superfluo rammentare come l’individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni assuma un’importanza basilare ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard, che sono riferiti, appunto, a tali funzioni. Per questo motivo, il decreto legislativo n. 216 del 2010, come sopra ricordato, ha individuato, sia pure in via transitoria e soltanto ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard di comuni e province, le funzioni fondamentali di tali enti. E’ pertanto emersa l’esigenza, più volte evidenziata dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, che la diversa individuazione delle funzioni fondamentali dei comuni effettuata dall’articolo 19 del D.L. n. 95 (e quella da effettuare a regime per le province, all’esito della procedura di riordino, che non è ancora conclusa, secondo quanto stabilito dall’articolo 17 del medesimo D.L. n. 95/2012, che qui non si dettaglia) non comportasse ostacoli, ritardi o addirittura interruzioni rispetto alle attività in corso per la determinazione dei costi e fabbisogni standard.
A tal fine, come riportato nella quarta relazione semestrale (gennaio 2013) della Commissione medesima, con il comma 7-bis dell’articolo 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 è stato introdotto, all’articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010, il comma 1-bis, che dispone che “in ogni caso”, ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, le modifiche all’elenco delle funzioni fondamentali di comuni e province sono prese in considerazione dal primo anno successivo all’adeguamento dei certificati di conto consuntivo alle modifiche suddette, tenuto anche conto degli esiti dell’armonizzazione degli schemi di bilancio ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011 (che si applicherà a decorrere dal 2014).
Per quanto la formulazione della disposizione richiamata non risulti del tutto chiara, essa comporta che i lavori relativi alla determinazione dei costi e fabbisogni standard possano proseguire sulla base dell’impostazione dettata dal D.Lgs. n. 216, fino a quando (il termine temporale è peraltro lasciato indeterminato) i dati contabili che rappresentano la base per la determinazione dei costi e fabbisogni standard, vale a dire i dati dei certificati di conto consuntivo, saranno adeguati alla nuova classificazione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
3) la nota metodologica sulle funzioni di polizia locale e sui servizi del mercato del lavoro
Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 21 dicembre 2012, ha approvato in via definitiva il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, non ancora pubblicato, recante l’adozione delle note metodologiche e i fabbisogni standard relativamente alle funzioni di polizia locale per i comuni e alle funzioni dei servizi del mercato del lavoro per le province.
Si tratta delle prime funzioni per cui la complessa procedura di determinazione dei fabbisogni standard perviene a compimento.
Come previsto dal decreto legislativo n. 216 del 2010, infatti, è affidato a SOSE (Soluzioni per il sistema economico s.p.a.), con la collaborazione scientifica di IFEL (Istituto per la finanza e per l’economia locale), il compito di predisporre le metodologie e determinare i valori relativi ai fabbisogni standard per ciascuna funzione. I risultati dell’attività svolta da SOSE con la collaborazione di IFEL sono sottoposti alla valutazione e all’approvazione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Tali risultati sono altresì oggetto di verifica da parte della Ragioneria generale dello Stato. A conclusione di questa complessa procedura, le note metodologiche sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Prima dell’approvazione definitiva, sullo schema di decreto è acquisito il parere della Conferenza Stato-città e autonomie locali e, successivamente, delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato e della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
La nota metodologica e i fabbisogni standard, in conformità con quanto previsto dalla legge delega, fanno riferimento esclusivamente alle province ed ai comuni rientranti nelle regioni ad autonomia ordinaria. Sulla base dei dati contenuti nei certificati di conto consuntivo relativi al 2009, le funzioni di polizia locale rappresentano, per i comuni delle regioni a statuto ordinario, il 7,87% della spesa corrente complessiva relativa alle funzioni fondamentali individuate dal D.Lgs. n. 216/2010. I servizi del mercato del lavoro rappresentano per le Province delle Regioni a statuto ordinario un ammontare pari all’ 11,49% della spesa corrente complessiva relativa alle funzioni fondamentali individuate dal D.Lgs. n. 216/2010.
Per quanto concerne i contenuti, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, non ancora pubblicato, reca l’approvazione di tre allegati.
Il primo allegato contiene la nota metodologica e l’individuazione dei fabbisogni standard relativamente alle funzioni di polizia locale dei comuni, funzioni che si compongono di tre differenti servizi: polizia municipale, polizia commerciale e polizia amministrativa.
La metodologia adottata perviene alla determinazione del fabbisogno standard sulla base di diversi elementi, che qui non si dettagliano ma che, nella loro composizione/elaborazione, come risultante anche da un articolato questionario (distribuito a tutti gli enti interessati, vale a dire a 6.702 comuni e a 291 unioni di comuni appartenenti ai territori delle regioni a statuto ordinario:tutti i comuni e 220 unioni hanno compilato il questionario e lo hanno restituito entro la metà del gennaio 2012), hanno permesso di determinare il fabbisogno standard di riferimento per ogni comune. Sulla base del fabbisogno standard di riferimento, rapportato alla popolazione del comune, è determinato, per ciascuno dei comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario, il coefficiente di riparto, vale a dire la quota spettante al comune per ciascuna unità della spesa complessiva relativa alla funzione di polizia locale.
Il secondo allegato approvato con lo schema di decreto del Presidente del Consiglio riguarda la nota metodologica e l’individuazione del fabbisogno standard per le funzioni nel campo dello sviluppo economico, con specifico riferimento ai servizi del mercato del lavoro svolti dalle province. Secondo le medesime procedure messe in atto per il primo allegato, il fabbisogno standard di riferimento, rapportato alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni) residente nella provincia, permette di determinare, per ciascuna provincia, il coefficiente di riparto, vale a dire la quota della spesa complessiva relativa alla funzione in questione spettante alla provincia medesima.
Il terzo allegato dello schema reca una nota illustrativa di SOSE che accompagna le note metodologiche. Nel parere espresso dalla Conferenza Stato–città è stata richiesta la soppressione di quest’ultimo allegato, osservando che esso non è stato oggetto di specifica e formale condivisione nell’ambito della Commissione tecnica paritetica. La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha approvato, nella seduta del 14 novembre 2012, un parere favorevole con numerose osservazioni.
Il decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale (D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23) dispone l'attribuzione ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali e di una compartecipazione all'IVA, istituisce una cedolare secca sugli affitti degli immobili ad uso abitativo e prevede, a regime, un nuovo assetto tra le competenze dello Stato e degli enti locali nel settore della fiscalità territoriale ed immobiliare. Tale assetto ha trovato finora una solo parziale attuazione, a seguito dei numerosi interventi poi effettuati nell'ultima parte della XVI legislatura sulla fiscalità locale, anche per ragioni connesse all'emergenza finanziaria.
La necessità di esporre la struttura della finanza locale stabilita del decreto legislativo n. 23 del 2011, benché essa sia in aspetti importanti superata dalla legislazione successiva, deriva dalla considerazione che la stessa è tuttora vigente, salvo ovviamente alcune parti espressamente abrogate o modificate. Ciò in quanto la nuova disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), che com'è noto costituisce il principale intervento che ha modificato il quadro della fiscalità stabilito dal decreto in esame, risulta al momento anticipata in via sperimentale dal 2012 al 2014, secondo quanto dispone l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 che ne ha dettato la nuova disciplina medesima.
Tanto precisato - da cui consegue che la disciplina della fiscalità comunale presenta un quadro normativo sul quale risulterebbe opportuno un complessivo intervento di coordinamento - si rileva come il decreto legislativo n. 23 del 2011 intervenga sull’assetto delle competenze fiscali tra Stato ed enti locali, a decorrere, in una prima fase di avvio triennale, dal 2011, e poi disciplinandolo a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione, in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta municipale (IMU); imposta che ora, come si specificherà più avanti, dovrebbe tuttavia entrare a regime nell'anno successivo (2015).
In particolare, per quanto concerne la fiscalità immobiliare, dal 2011(ma la legge di stabilità 2013 ha sospeso l'applicazione delle norme per gli anni 2013 e 2014) vengono attribuiti ai Comuni: a) l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare; b) una quota, pari al 30%, del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al 21,7% nel 2011 ed al 21,6% dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti. I gettiti in questione affluiscono ad un Fondo sperimentale di riequilibrio - poi soppresso dalla legge di stabilità 2013, come più avanti si esporrà - di durata triennale, finalizzato a realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione dei gettiti medesimi ai Comuni; il Fondo verrà ripartito sulla base di un accordo in sede di Conferenza Stato-città, nell’osservanza, comunque, di due specifici criteri: una quota del 30% del Fondo andrà ripartita in base al numero dei residenti e, al netto di tale quota, una ulteriore percentuale del 20% dovrà essere destinata ai piccoli comuni. L’articolo 13 del decreto, istituisce inoltre, per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province successivo alla determinazione dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali, un Fondo perequativo a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte dai predetti enti, articolato in due componenti con riferimento alle funzioni fondamentali e non fondamentali.
Ai Comuni viene inoltre attribuita una compartecipazione al gettito IVA, che dovrà essere determinata con apposito DPCM in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2% al gettito dell’IRPEF. I criteri di attribuzione del gettito ai singoli Comuni dovranno essere stabiliti con apposito DPCM, che dovrà assumere a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al versamento dell’imposta; in prima applicazione (ma il decreto legge n.201 del 2011 ha successivamente disposto che la norma non opererà per il triennio 2012-2014) l’assegnazione ai Comuni avverrà sulla base del gettito IVA per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun ente locale.
Al potenziamento dell’ attività di contrasto all’evasione sono finalizzate le disposizioni che inaspriscono le sanzioni amministrative per l’inadempimento degli obblighi di dichiarazione concernenti gli immobili – ivi comprese quelle in materia di canone di locazione nell’ambito della nuova disciplina sulla cedolare secca – nonché che ampliano l’ interscambio informativo sui dati catastali. Nella medesima finalità viene incentivato il ruolo dei Comuni, prevedendosi che ad essi sia assegnata una quota pari al 50% (quota poi elevata al 100% dall'articolo 1 del decreto-legge n.138/2011) del gettito derivante dalla loro attività di accertamento, e che tale quota sia assegnata, anche in via provvisoria, sulle somme riscosse a titolo non definitivo.
E’ inoltre istituita, come sopra accennato, la cedolare secca sugli affitti, vale a dire la possibilità per i proprietari di immobili concessi in locazione di optare dal 2011, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cu aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. Oltre a severe sanzioni in case di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) si prevede che in caso di contratto a canone concordato il locatore, se opta per la cedolare secca, non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.
Vengono inoltre modificate le aliquote di tassazione delle transazioni immobiliari, che sono individuate al 2% nel caso di prima casa di abitazione ed al 9% nelle restanti ipotesi (le attuali aliquote sono stabilite rispettivamente al 3 ed al 10%, comprese alcune imposte indirette che vengono eliminate). Le nuove aliquote dell’imposta di registro sostituiscono inoltre, a decorrere dal 2014 – data di entrata in vigore delle stesse – l’imposta di bollo e le imposte ipocatastali, nonché i tributi speciali e le tasse ipotecarie. Viene inoltre introdotta, con l'articolo 5, la possibilità, con criteri da definirsi in un provvedimento amministrativo, di aumentare l’addizionale IRPEF da parte dei comuni nei quali non risulti finora stabilita oltre la percentuale dello 0,4 per cento, che comunque costituirà il limite massimo raggiungibile; l’aumento non potrà in ogni caso eccedere lo 0,2 per cento annuo. L'articolo 5 predetto è stato soppresso dall'articolo 1 del decreto-legge n.138/2011, che ha nel contempo regolamentato le modalità di aumento dell'addizionale Irpef comunale. Viene poi istituita, l’imposta di soggiorno (cui è stata successivamente aggiunta, in alternativa, una imposta di sbarco per i comuni delle isole minori) affidandosi ai Comuni capoluogo di provincia ed alle città turistiche e d’arte la possibilità di istituire un’imposta fino a 5 euro per notte a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, con destinazione del relativo gettito ad alcune specifiche finalità, tra cui quelle a favore del turismo; si prevede altresì una nuova disciplina dell’imposta di scopo (ora prevista nella L. n. 296/2006), da stabilirsi con un DPCM che, tra l’altro, possa aumentarne la durata fini a dieci anni e prevedere che il relativo gettito finanzi l’intero ammontare della spesa.
Per quanto concerne l’imposta municipale propria (IMU), essa è introdotta a decorrere dal 2014, in sostituzione, per la componente immobiliare, dell’Irpef (e relative addizionali) dovuta per i redditi fondiari relativi ai beni non locati, nonché dell’ICI, ed ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale, cui pertanto non si applica, incluse le pertinenze. La relativa aliquota è stabilita nello 0, 76%, ridotta alla metà per gli immobili locati, con la facoltà per i Comuni di estendere in tutto o in parte tale riduzione anche agli immobili posseduti da soggetti cui si applichi l’imposta sul reddito delle società (Ires); i Comuni medesimi possono peraltro modificare la suddetta aliquota di 0,3 punti percentuali, in aumento o in riduzione ( la modificabilità è invece fino a 0,2 punti nel caso della aliquota ridotta alla metà per gli immobili locati). Sono esenti dall’IMU gli immobili posseduti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alcune categorie di immobili già esentati ai sensi della normativa dell’ICI (fabbricati destinati ad usi culturali, all’esercizio del culto, utilizzati dalle società non profit ecc..). Il decreto prevede poi, sempre a decorrere dal 2014, l’imposta municipale secondaria, da introdursi con deliberazione del consiglio comunale (che potrà anche prevederne esenzioni ed agevolazioni) in sostituzione degli attuali tributi sull’ occupazione di aree pubbliche, sulle affissioni e sull’installazione dei mezzi pubblicitari; la relativa disciplina verrà dettata con successivo regolamento, sulla base di alcuni criteri tra i quali la previsione che il presupposto del tributo è l’occupazione di spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e che il soggetto del tributo medesimo è quello che effettua l’occupazione.
Il decreto legislativo n.23 del 2011 è stato oggetto, già a poco tempo dalla sua entrata in vigore, a ripetuti interventi di modifica, in particolare operati con i due decreti-legge della manovra di finanza pubblica dell'estate 2011 (nn.98 e 138 del 2011) e poi con l'ulteriore decreto-legge n. 201 del 2011: si tratta pertanto di modifiche determinate, oltre che da motivi riconducibili alla necessità di meglio definire il complesso corpus normativo recato dal provvedimento, anche da necessità dettate dall'emergenza finanziaria. Il nuovo assetto è poi stato ulteriormente definito dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012).
La struttura fiscale comunale che ne risulta al 2013 risulta sostanzialmente riconducibile a tre principali fonti di entrata, costituite dall'Imu, dalla Tares (Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) e dall'addizionale Irpef, cui si aggiungono l'imposta di soggiorno (o, in alternativa, imposta di sbarco nelle isole minori) e l'imposta di scopo, oltre che altri tributi ad oggetto più circoscritto - sui quali il decreto n.23 del 2011 non è intervenuto - come la Tosap, l'imposta sulla pubbicità e le pubbliche affissioni, il canone per l'istallazione dei mezzi pubblicitari. Prescindendo in questa sede dall'addizionale Irpef, la cui disciplina permane sostanzialmente quella di fonte statale vigente all'emanazione del decreto in esame, si espongono sinteticamente le altre due imposte.
In particolare per quanto riguarda l'IMU , la stessa è stata anticipata "in via sperimentale" (come dispone l'articolo 13 del decreto-legge n.2012 del 2011) dal 2012 al 2014, estendendone l'applicabilità anche all'abitazione principale ed alle pertinenze della stessa; contestualmente ne è stata incrementata la base imponibile con un consistente aumento dei moltiplicatori delle rendite catastali. Per quanto concerne la destinazione del gettito derivante dall'imposta, per il 2012 lo stesso è stato attibuito allo Stato per una quota pari alla metà dell'importo ottenuto applicando l'aliquota di base (0,76 per cento) alla base imponibile di tutti gli immobili, tranne l'abitazione principale e relative pertinenze ed i fabbricati rurali. A decorrere dall'anno 2013, ed anche, al momento, per l'anno 2014, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) attribuisce interamente ai comuni il gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.
Viene contestualmente istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, del quale viene anche stabilita la dotazione finanziaria ed i criteri di riparto, che qui non si dettagliano.Esso è alimentato da una quota dell'imposta municipale propria (di spettanza dei comuni) da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Il decreto dovrà essere emanato entro il 30 aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre 2013 per l'anno 2014.Corrispondentemente, nei predetti esercizi è versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni; tale importo è rideterminato a seguito dell'emanazione dei suddetti D.P.C.M..
Ciò comporta che, in sostanza, il gettito IMU affluirà ai comuni in parte direttamente, sulla base degli esiti della riscossione, e in parte dopo essere stato versato al bilancio dello Stato, mediante trasferimento dal Fondo di solidarietà comunale iscritto nel bilancio statale, per la quota di spettanza di ciascun ente locale. In relazione all'istituzione del nuovo Fondo viene soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011, nonché i trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati.
Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa,per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.
Per quanto riguarda la Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi), il nuovo tributo, i cui profili applicativi in questa sede non si dettagliano, è stato istituito a decorrere dal 1° gennaio 2013 dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, e successivamente modificato dalla legge di stabilità 2013, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
A decorrere dal 1° gennaio 2013, contestualmente all’istituzione della Tares, sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. La tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:
Il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.109 del 12 maggio 2011) recante "Disposizioni in materia di'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e della Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario", interviene sulla fiscalità regionale e provinciale attribuendo, in relazione alla soppressione dei trasferimenti in favore dei predetti enti, tributi e potestà fiscali. Viene altresì introdotta l'autonomia di entrata delle Città metropolitane ed istituita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Ulteriori disposizioni concernono, infine, la regolamentazione dei costi e delle risorse relative al settore sanitario. Il decreto legislativo è tuttavia in gran parte inoperante, in quanto non sono stati ancora emanati molti dei provvedimenti attuativi dallo stesso previsti.
Il decreto individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario e dispone la contestuale soppressione dei trasferimenti statali. A tal fine si dispone che a decorrere dal 2013 venga rideterminata l’addizionale regionale all’Irpef, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale, al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale a carico del contribuente; la rideterminazione deve comunque garantire alle regioni entrate equivalenti alla soppressione sia dei trasferimenti statali che della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, entrambe disposte dal provvedimento. Tale rideterminazione, che sarebbe dovuta intervenire entro il 27 maggio 2012, non risulta ancora adottata. All’aliquota così rideterminata si aggiungono le eventuali maggiorazioni dell’addizionale, attualmente pari all’ 0,9%, che ciascuna regione può effettuare nel limite dello 0,5% per il 2012 ed il 2013, dell’1,1% per il 2014 e del 2,1% dal 2015; qualora peraltro la maggiorazione sia superiore allo 0,5% (quindi con riferimento dall'anno 2014 e successivi) la parte eccedente tale quota non si applica ai contribuenti titolari di redditi ricadenti nel primo scaglione di reddito (fino a 15.000 euro).
Alle regioni spetta altresì una compartecipazione al gettito Iva, che per gli anni 2011 e 2012 viene calcolata in base alla normativa vigente, mentre dal 2013 sarà fissata in misura pari al fabbisogno sanitario “in una sola regione”. In applicazione del principio di territorialità tale compartecipazione dal 2013 verrà attribuita - mediante un apposito D.P.C.M., non ancora intervenuto - in base al luogo effettivo di consumo, vale a dire quello in cui avviene la cessione dei beni o la prestazione dei servizi ovvero, nel caso degli immobili, il luogo di ubicazione; regole specifiche vengono previste per l’Iva concernente i beni e servizi di mercato. Per quanto concerne l’Irap, a decorrere dal 2013 ciascuna regione, a carico del proprio bilancio, può ridurne le aliquote, fino ad azzerarle; la riduzione non è tuttavia ammessa qualora la regione interessata abbia aumentato l’addizionale Irpef in misura superiore all’ 0,5 %. Le regioni possono poi istituire dal 2014, a carico dei propri bilanci, ulteriori detrazioni in favore delle famiglie, nonché in sostituzione di misure di sostegno sociale (sussidi, voucher, ecc). Viene altresì disposto, al fine di incentivare l’attività di contrasto all’evasione fiscale, che alle regioni sia attribuito l’intero gettito derivante dall’attività di recupero fiscale nel proprio territorio, sui tributi propri derivati, nonché una quota (commisurata all’aliquota di compartecipazione) del gettito recuperato in riferimento all’IVA. Per la gestione dei loro tributi le regioni possono stipulare apposite convenzioni con l’agenzia delle entrate.
Il principio applicato ai rapporti tra Stato e regione concernente la soppressione dei trasferimenti statali e la sostituzione degli stessi con l’attribuzione o la compartecipazione a nuovi gettiti - principio per la cui implementazione è previsto un apposito D.P.C.M., entro i 31 dicembre 2011, ricognitivo dei trasferimenti statali da sopprimere, non ancora adottato - viene replicato anche nei rapporti tra regioni e comuni, disponendosi in tal senso la soppressione, dal 2013, dei trasferimenti regionali di parte corrente (e, ove non finanziati con indebitamento, anche di conto capitale) diretti al finanziamento delle spese comunali, sostituendola con una compartecipazione dei comuni ai tributi regionali, prioritariamente all’addizionale regionale Irpef. Il relativo gettito confluirà, per una percentuale non superiore al 30%, in un fondo sperimentale regionale di riequilibrio, di durata triennale, per venire poi distribuito dalla regione agli enti locali, previo accordo. Peraltro, in mancanza dei provvedimenti attuativi delle disposizioni sopra illustrate sulla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni e della attribuzione alle stesse di nuovi gettiti, neppure questa analoga operazione sui rapporti fiscali regioni/enti locali risulta avviata.
Nel confermare quanto previsto nella delega circa l’affidamento alla normativa statale della definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e delle prestazioni (LEP), ed in ordine alla individuazione delle spese relative ai livelli medesimi, che concernono i settori della sanità, dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale (quest’ultimo limitatamente alle spese in conto capitale), viene precisato che per stabilire i LEP vanno considerate, per ciascuna materia, macro-aree di intervento, operando secondo una progressiva convergenza degli obiettivi di servizio verso i LEP medesimi. E' peraltro previsto a tal fine, come necessario presupposto(articolo 13), un D.P.C.M. per la ricognizione dei LEP nei settori dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, non ancora emanato. Il decreto legislativo fissa inoltre a regime, dal 2013, le fonti di finanziamento delle spese LEP: tali fonti sono costituite dalla compartecipazione all’Iva, dall’addizionale regionale Irpef, dall’Irap, dalle entrate proprie (principalmente i ticket) del settore sanitario e da quote del fondo perequativo. Quest’ultimo si prevede venga istituito dal 2013 in ciascuna regione (ma al momento non risulta ancora istituito), ed è alimentato dal gettito prodotto dalla compartecipazione al gettito Iva, calcolata in modo da garantire l’integrale finanziamento delle spese per i LEP: tali spese saranno nel primo anno computate anche in base ai valori di spesa storica, per poi convergere gradualmente verso i costi standard.
Va segnalato che il decreto legislativo n.23/2011 sul fisco municipale prevede a regime, vale a dire quando i fabbisogni standard per le funzioni fondamentali saranno determinati, un fondo perequativo, alimentato da una compartecipazione all’Iva, per comuni e province, istituito nel bilancio dello Stato con stanziamenti separati per le due tipologie di enti. Il decreto dispone che le regioni, a loro volta, istituiscano nel proprio bilancio due fondi, alimentati dal fondo perequativo statale, l’uno per i comuni e l’altro per le province e le città metropolitane. Come illustrato in commento al decreto legislativo n.216/ 2010 relativo ai fabbisogni standard, queti ultimi sono ancora in fase di predisposizione.
Secondo quanto dispone il decreto, il finanziamento delle province si incentra principalmente: a) sull’ imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei motori (RC auto), che diviene tributo proprio derivato con aliquota del 12,5%, manovrabile dal 2011 in aumento o in diminuzione nella misura di 3,5 punti percentuali; b) sulla compartecipazione provinciale all’Irpef (stabilita nello 0,60% con D.P.C.M. del 10 luglio 2012), a compensazione, dal 2012, della soppressione dei trasferimenti statali alle province nonché dell'addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, (anch'essa soppressa, con attribuzione del gettito allo Stato). Rimane inoltre ferma la vigente attribuzione alle province dell’imposta provinciale di trascrizione, di cui peraltro viene previsto un riordino finalizzato, per gli atti soggetti all’Iva, al passaggio dall’attuale pagamento in misura fissa a quello di una tariffa modulata sulle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli. Inoltre, analogamente ai criteri già applicati nei confronti dei finanziamenti regionali ai comuni, anche i trasferimenti regionali destinati al finanziamento delle spese provinciali sono soppressi, dal 2013, con compensazione a valere sull’istituzione di una compartecipazione provinciale al gettito della tassa automobilistica regionale; il gettito di tale compartecipazione affluisce, in misura non superiore al 30%, ad un fondo sperimentale di riequilibrio regionale, di durata triennale, per essere poi devoluto ad ogni singola provincia, previo accordo. Analogamente a quanto sopra osservato circa la mancata attuazione, al momento, della soppressione dei trasferimenti regionali ai comuni, anche la soppressione degli stessi nei confronti delle province non risulta effettuata.
Viene inoltre istituito dal 2012 un fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, di durata biennale, alimentato con le entrate derivanti dalla compartecipazione provinciale all’Irpef, che ha la finalità di assicurare in forma territorialmente equilibrata l’attribuzione dell’autonomia di entrata alle province.
E’ infine disciplinato il sistema finanziario delle città metropolitane, prevedendo che alle stesse siano sostanzialmente attribuite le fonti di entrata già attribuite alle province sostituite dalle città medesime; si dispone peraltro che con la legge di stabilità l’autonomia di entrata delle città metropolitane possa essere adeguata in relazione alla complessità delle funzioni attribuite.
Per la parte relativa al finanziamento della spesa sanitaria il provvedimento riprende in buona parte il sistema di governance che si è affermato su base pattizia tra Stato e regioni, da ultimo con l’intesa concernente il Patto per la salute per gli anni 2010-2012. In particolare il decreto, precisato che per il 2011 ed il 2012 il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello di finanziamento già stabilito dalla normativa vigente, stabilisce che dal 2013 tale fabbisogno verrà determinato annualmente, per il triennio successivo, “in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica”. Per determinare il finanziamento da destinare alla singola regione si prevede di applicare all’ammontare di finanziamento così stabilito il rapporto tra fabbisogno sanitario standard della regione e la somma dei fabbisogni regionali standard risultanti dall’applicazione a tutte le regioni dei costi rilevati in tre regioni benchmark. Sulla base di tale rapporto, vale a dire il valore percentuale di fabbisogno di ciascuna regione, viene effettuato il riparto regionale del fabbisogno sanitario nazionale. Le regioni benchmark sono scelte tra le cinque, appositamente individuate con decreto - che risulta in corso di predisosizione ma non ancora adottato -, che hanno garantito i LEA in condizione di equilibrio economico e di efficienza ed appropriatezza. Vengono a tal fine confermati i macrolivelli di assistenza vigenti, tra i quali dovrà distribuirsi la spesa sanitaria secondo le seguenti percentuali (al cui rispetto dovranno adeguarsi le singole regioni): 5% per l’assistenza sanitaria preventiva (ambiente di vita e di lavoro), 51% per l’assistenza distrettuale e 44% per quella ospedaliera. Per ognuno dei tre macrolivelli si calcola il costo standard come media pro capite pesata (vale a dire corretta tenendo conto della composizione anagrafica della popolazione) del costo nelle regioni benchmark, costo che viene poi applicato alla popolazione (anche in tal caso “pesata”) di ognuna delle regioni, ottenendo così il fabbisogno standard di ciascuna, mediante il quale, come detto, si ripartisce il fabbisogno nazionale.
In attuazione di quanto prevede l’articolo 15 della legge recante la delega sul federalismo fiscale (legge 42/2009), il decreto istituisce la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composta sia da Ministri che da rappresentanti delle autonomie territoriali. Alla Conferenza, che, viene espressamente precisato, costituisce una sede istituzionale di conciliazione degli interessi delle amministrazioni centrali e locali ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, vengono affidati compiti di verifica e controllo dell’ordinamento finanziario delle regioni e degli enti locali, nonché dell’utilizzo, anche secondo principi di trasparenza ed efficacia, delle risorse finanziarie attribuite a tali enti. La Conferenza non risulta ancora operativa, non essendo finora intervenuta la nomina dei componenti della stessa.
Il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante "Disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42", interviene sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come "Fondo per lo sviluppo e la coesione" ed individua nuovi strumenti procedurali idonei a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, anche per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie destinate a tale scopo.
Il provvedimento, oltre ad intervenire sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, individua nuovi strumenti finalizzati a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, stabilendo altresì specifiche regole di programmazione per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie. A tale scopo viene espressamente precisato che gli interventi previsti dal decreto debbano venire coordinati con quelli di natura ordinaria, mantenendo distinte le rispettive risorse ed, inoltre, programmando gli interventi a carico del Fondo per lo sviluppo e la coesione tenendo conto della programmazione degli interventi ordinari.
Le risorse, che devono essere aggiuntive rispetto agli interventi ordinari, sono finalizzate alla rimozione degli squilibri e alla promozione dello sviluppo; esse derivano prioritariamente dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, le cui dotazioni sono stabilite dalla politica regionale nazionale, nonché dai finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione europea e dai relativi cofinanziamenti nazionali, esclusivamente per la quota in conto capitale, escludendo pertanto l’impiego di tali risorse per le spese correnti da parte dei soggetti destinatari. Nell’ambito delle finalità degli interventi da effettuare va ricompreso anche l’obiettivo di rimuovere le “diseguaglianze di capacità amministrativa”.
L’utilizzo delle risorse deve essere effettuato sulla base del criterio della programmazione pluriennale, che, anche tenendo conto di specifiche priorità individuate dall’Unione europea, deve in ogni caso assicurare – con riferimento anche alle zone di montagna, a quelle confinanti con le regioni a statuto speciale ed alle isole minori - una ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione nella quota dell’85 per cento alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15 per cento alle regioni del Centro-Nord. La programmazione deve inoltre indirizzare alla costruzione di un sistema di indicatori di risultato, alla valutazione degli impatti e alla previsione, ove appropriato, di riserve premiali e meccanismi sanzionatori, nel rispetto dei criteri di concentrazione territoriale e finanziaria. Per individuare le priorità d’intervento da finanziare occorre aver riguardo alle specificità territoriali, con particolare attenzione alle condizioni socio-economiche e al deficit infrastrutturale, con il coinvolgimento del partenariato economico-sociale secondo il principio della leale collaborazione istituzionale tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali. Il provvedimento prevede una funzione di coordinamento affidata al Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, d’intesa con il Ministro dell’economia. Il Ministro delegato è chiamato altresì ad esercitare una funzione di relazione con i competenti organi dell’Unione europea e a valutare le opportune misure di accelerazione degli interventi, al fine di garantire la tempestiva attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e l’integrale utilizzo delle risorse assegnate al Paese.
In merito alle novità introdotte con la disciplina del Fondo per lo sviluppo e la coesione, si prevede che nel Documento di economia e finanza (DEF) risulti determinato, all’inizio del ciclo di programmazione dei fondi europei (il prossimo ciclo inizierà dal 2014), in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e tenendo conto degli andamenti del Pil, l’ammontare delle risorse da destinare agli interventi del Fondo, che potrà essere successivamente rideterminato in riferimento alla effettiva realizzazione finanziaria degli interventi medesimi. Il DEF, inoltre, deve indicare gli obiettivi di convergenza economica delle aree del Paese a minore capacità fiscale e del graduale conseguimento, in queste, dei livelli delle prestazioni e dei costi di erogazione dei servizi standardizzati. Sulla base di quanto indicato dal DEF viene assegnato alla legge di stabilita' relativa all’anno che precede l’avvio di un nuovo ciclo pluriennale di programmazione (vale a dire il 2013, atteso che, come detto, il nuovo ciclo inizia dal 2014) il compito di incrementare la dotazione finanziaria del Fondo. Successivamente, ferma restando la dotazione complessiva del Fondo, l’annuale legge di stabilita' potrà rimodulare l’articolazione delle quote anno per anno; è prevista altresì una riprogrammazione delle risorse trascorso il primo triennio del periodo, che può essere effettuata solo previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali.
Un’ulteriore innovazione è l’introduzione di un Documento di indirizzo strategico, mediante l’approvazione di una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il mese di ottobre dell’anno che prevede l’avvio di un nuovo ciclo programmatorio, con il quale vengono stabiliti gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse, tenendo conto degli indirizzi comunitari e degli impegni assunti nel Programma Nazionale di Riforma. Si dispone inoltre che la selezione degli interventi da realizzare venga effettuata anche tenendo conto di un rating di capacità tecnico-amministrativa dei soggetti attuatori degli stessi, potendosi a tal fine prevedere, per il rispetto dei tempi di realizzazione, forme di affiancamento dei soggetti in questione.
Viene altresì previsto il nuovo strumento del “contratto istituzionale di sviluppo” che il Ministro delegato stipula con le regioni e le altre amministrazioni competenti, con la finalità di accelerare la realizzazione degli interventi ed assicurare la qualità della spesa pubblica. Con il contratto istituzionale di sviluppo, cui possono partecipare anche i concessionari di servizi pubblici (quali ad esempio Anas, Ferrovie dello Stato, ecc.) sono destinate le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnate dal CIPE e individuati i tempi, le responsabilità e le modalità di attuazione degli interventi, prevedendo anche le condizioni di definanziamento degli stessi e l’attribuzione delle relative risorse ad altri livelli di governo. In ogni caso, i sistemi informativi dovranno garantire la tracciabilità, distintamente, dei flussi finanziari comunitari e nazionali, fino alla ultimazione di ciascun intervento In caso di inerzia o di mancato rispetto delle scadenze da parte delle amministrazioni responsabili degli interventi, il Governo può esercitare il potere sostitutivo, mediante la nomina di un commissario straordinario.
Il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (G.U. 26 luglio 2011), modificato da ultimo dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), reca disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali e ha la finalità di rendere i bilanci degli enti territoriali, ivi compresi i conti del settore sanitario, omogenei e confrontabili tra loro, anche ai fini del consolidamento con i bilanci delle amministrazioni pubbliche.
Il decreto detta regole sulla armonizzazione dei sistemi contabili, diretta a garantire la trasparenza e la comparabilità dei dati di bilancio, che trovano applicazione sia per i bilanci degli enti territoriali, dei loro enti ed organismi strumentali, sia per i conti del settore sanitario
Nel provvedimento si afferma che l’armonizzazione dei bilanci delle regioni e degli enti locali costituisce una operazione necessaria per disporre di dati contabili omogenei e confrontabili per il consolidamento dei conti delle pubbliche amministrazioni, anche al fine della raccordabilità dei sistemi di bilancio degli enti territoriali con i sistemi adottati in ambito europeo secondo le regole sulla procedura per i disavanzi eccessivi. Si dispone pertanto che le regioni, gli enti locali ed i loro enti strumentali (aziende società, consorzi ed altri) adottino la contabilità finanziaria, cui devono affiancare, a fini conoscitivi un sistema di contabilità economico-patrimoniale, per garantire, precisa il decreto, “la rilevazione unitaria dei fatti gestionali sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico-patrimoniale”. In considerazione della complessità di tale operazione viene prevista una fase sperimentale di due anni, al termine della quale, ed in base ai risultati della stessa, verranno precisate le regole contabili definitive a regime dal 2014, con particolare riferimento, tra l’altro, ai contenuti del nuovo principio della competenza finanziaria: questo, ai fini della sperimentazione, andrà configurato prevedendo che le obbligazioni attive e passive (che danno luogo, rispettivamente, alle entrate ed alle spese) vadano registrate nell’esercizio nel quale le stesse vengono a scadenza.
Tra gli strumenti introdotti per la realizzazione dei nuovi documenti contabili si prevedono, in particolare: a) l’adozione di un piano dei conti integrato (raccordato con la classificazione SIOPE, che è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche) volto a consentire il monitoraggio dei conti pubblici nonché la raccordabilità dei conti medesimi con il sistema europeo dei conti nazionali. Il piano è composto dall’elenco delle articolazioni delle unità elementari sia del bilancio gestionale che dei conti economico-patrimoniali. Per facilitare il confronto delle grandezze di finanza pubblica rispetto al consuntivo le amministrazioni devono allegare al bilancio un documento conoscitivo concernente le previsioni relative alle voci (aggregati) corrispondenti a quelle riportate nel piano in questione; b) l’introduzione dell’elemento di costruzione dei conti costituito dalla “transazione elementare”, che deve essere riferita ad ogni atto gestionale: ad essa viene attribuita una codifica che deve consentire di tracciare le operazioni contabili, ed i sistemi dovranno essere organizzati in modo da non consentire l’esecuzione delle transazioni in assenza di una codifica completa che ne permetta l’identificazione; c) la definizione delle finalità del sistema di bilancio delle amministrazioni regionali e locali, che oltre a costituire lo strumento essenziale per il processo di programmazione, gestione e rendicontazione, ha la funzione di fornire informazioni in favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica e finanziaria: andranno pertanto adottati comuni schemi di bilancio, anche con la costruzione di un sistema di indicatori di risultato che, precisa il testo, debbono essere “semplici e misurabili”; d) l’articolazione del bilancio in missioni (gli obiettivi strategici perseguiti dalle amministrazioni) e programmi (attività omogenee volte a perseguire il risultato della missione), secondo quanto già previsto per il bilancio dello Stato: ciò consentirà di evidenziare le finalità della spesa e, in tal modo, di assicurare maggior trasparenza alle decisioni di allocazione delle risorse pubbliche; e) la previsione che anche gli enti e gli organismi strumentali delle regioni e degli enti locali (i cui bilanci andranno pubblicati su internet) elaborino un apposito prospetto in cui si ripartisce la spesa per missioni e programmi, con una classificazione secondo i criteri previsti a livello europeo che ne deve consentire il consolidamento dei dati con quelli delle altre amministrazioni pubbliche; f) l’obbligo per le regioni e gli enti locali di predisporre schemi di bilancio consolidato con i propri enti strumentali, aziende e società controllate e partecipate, nonché di allegare al bilancio una rappresentazione riassuntiva delle spese per i costi sostenuti per le funzioni concernenti i livelli essenziali delle prestazioni, anche per consentirne il raffronto con i costi standard (quando questi risulteranno definiti).
Come detto, il nuovo sistema contabile è sottoposto ad una fase sperimentale di due anni, nel corso della quale potranno essere apportate le necessarie correzioni, onde consentire l’entrata in vigore del sistema medesimo a decorrere dal 2014. Esso verrà applicato anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, secondo le rispettive norme statutarie. Qualora esse non provvedano direttamente ad applicarlo entro sei mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi che detteranno le regole definitive (in vigore, come detto, dal 2014) del nuovo sistema contabile in questione, tale sistema troverà diretta applicazione presso le medesime Regioni e province autonome: tale disposizione è stata poi dichiarata illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 178 del luglio 2012.
La disciplina della fase sperimentale è stata affidata ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Governo ed assegnato il 29 novembre 2011 alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ed alle Commissioni bilancio delle due Camere per l'espressione del parere, sulla base della procedura prevista dall'articolo 36 del D.Lgs. 118/2011 in commento. Conclusa tale procedura, la disciplina in questione è stata dettata con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 dicembre 2011. Un ulteriore D.P.C.M., recante la stessa data del 28 dicembre 2011, ha individuato le amministrazioni che partecipano alla sperimentazione della nuova disciplina contabile. Tale provvedimento è stato successivamente sostituito dal D.P.C.M. 25 maggio 2012.
D.P.C.M. 28 dicembre 2011
Sperimentazione della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118
La seconda parte del provvedimento reca una disciplina finalizzata ad assicurare l’uniformità dei conti sanitari delle regioni - che, com’è noto, assorbono la quasi totalità delle risorse regionali – nonché degli enti sanitari (aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, policlinici universitari ed altri). L’armonizzazione è diretta a garantire la trasparenza dei dati di bilancio e dei conti, mediante l’individuazione di un modello contenente l’elenco dettagliato delle voci di bilancio utilizzabili, nonché attraverso l’applicazione di criteri omogenei, espressamente precisati nel testo, per procedere alla valutazione delle voci di bilancio nei numerosi casi in cui ciò sia necessario, ad esempio per le rimanenze di magazzino ovvero per la distribuzione sul piano economico dell’importo dei beni ammortizzabili.
Di rilievo appare nella nuova disciplina l’esatta perimetrazione, nel bilancio, delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del servizio sanitario, per consentire la confrontabilità tra le entrate e le spese iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti che determinano il fabbisogno sanitario della regione e che, correlativamente, ne individuano le fonti di finanziamento. Per le entrate si dispone la distinzione tra finanziamento ordinario corrente, finanziamento aggiuntivo corrente (derivante dagli automatismi per la copertura dei disavanzi, dagli aumenti delle aliquote fiscali ed altro), finanziamento regionale del disavanzo pregresso e finanziamento per investimenti. Per la spesa si dispone, specularmente, la distinzione tra spesa sanitaria corrente per il finanziamento dei LEA (livelli essenziali di assistenza), spesa per livelli di assistenza superiori ai LEA, spesa per il ripiano del disavanzo pregresso e spesa per investimenti. Anche i flussi di cassa vengono contabilizzati in maniera differenziata (anche con distinti codici SIOPE) tra le risorse destinate al finanziamento del fabbisogno regionale standard, che confluiscono in appositi conti di tesoreria unica intestati a ciascuna regione, dai quali si effettuano le erogazioni mensili, e le risorse ulteriori, che vanno in appositi conti correnti intestati alla sanità presso il tesoriere dell’ente regionale.
I modelli gestionali sono differenziati in base alla sussistenza o meno della gestione sanitaria accentrata. Le Regioni che scelgono di gestire direttamente una quota di finanziamento del proprio servizio sanitario in regime di contabilità economico-patrimoniale devono a tal fine individuare nella propria struttura organizzativa uno specifico centro di responsabilità, denominato appunto “gestione sanitaria accentrata presso la regione” con il compito di implementare e tenere una contabilità di tipo economico-patrimoniale in grado di rilevare i rapporti economici, patrimoniali e finanziari intercorrenti fra la singola regione e lo Stato, le altre regioni, le aziende sanitarie e gli altri enti pubblici. Le regioni che non operano tale scelta possono effettuare, a valere sui capitoli di spesa dedicati alla sanità, solo operazioni di trasferimento verso enti del servizio sanitario regionale, ai quali destinano, in ciascun esercizio, l’intero importo del finanziamento previsto nell’esercizio di riferimento; conseguentemente, presso la regione sono trattate le sole operazioni di consolidamento degli enti medesimi.
I bilanci di previsione ed i bilanci di esercizio annuali della gestione accentrata e di tutti gli enti del servizio sanitario regionale sono sottoposti all’approvazione dalla Giunta regionale. E’ previsto inoltre il bilancio consolidato del servizio sanitario medesimo, che comprende sia la gestione accentrata che tutti gli enti sanitari. Oltre ai necessari documenti contabili, tale bilancio deve recare, in una nota integrativa, una serie di prospetti tesi a fornire una rappresentazione completa della situazione dei conti sanitari, ed in particolare: a) un prospetto che illustri l’integrale raccordo tra le poste iscritte nel bilancio d’esercizio consolidato e quelle iscritte nel rendiconto di contabilità finanziaria; b) un prospetto che indichi i valori, gli utili e/o le perdite e le quote possedute per ogni eventuale partecipazione detenuta dalle aziende del servizio sanitario regionale presso altri soggetti; c) un prospetto che rechi tali ultime informazioni anche per ogni altra società partecipata o ente dipendente dalla regione che riceva a qualsiasi titolo una quota delle risorse destinate al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale. Una specifica disposizione è volta infine a favorire la raccolta di dati sulla base delle prestazioni di cura erogate, al fine di migliorare i sistemi informativi e statistici del settore sanitario.
Il decreto legislativo 6 settembre 2011, n.149, nell'introdurre nuovi obblighi di trasparenza sulla situazione finanziaria delle regioni e degli enti locali, ne detta contestualmente una disciplina sanzionatoria qualora emergano situazioni di gravi irregolarità; esso inoltre interviene sui meccanismi premiali.
Il provvedimento completa la normativa attuativa del federalismo fiscale finora emanata e, allo scopo di dare seguito ai criteri di responsabilità ed autonomia che caratterizzano la nuova governance degli enti territoriali, introduce elementi sanzionatori nei confronti degli enti che non rispettano gli obiettivi finanziari e, invece, sistemi premiali verso gli enti che assicurano qualità dei servizi offerti e assetti finanziari positivi. Allo scopo di superare i ritardi che si sono poi determinati nell'applicazione delle nuove disposizioni, sono state recentemente introdotte alcune modifiche al provvedimento mediante il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174.
Il decreto istituisce per le regioni l’obbligo di redigere una “relazione di fine legislatura regionale”, consistente in un documento del Presidente della Giunta regionale, certificata dagli organi di controllo interno dell’ente. Il documento costituisce uno strumento di rendicontazione delle condizioni finanziarie della regione e deve essere pubblicato – unitamente ad un rapporto di verifica della relazione predisposto da un organo esterno all’ente - sul sito istituzionale della regione stessa prima della scadenza della legislatura. La relazione va predisposta anche in caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale. Vengono inoltre elencate le condizioni al cui verificarsi si determina la fattispecie di “grave dissesto finanziario” riferito al disavanzo sanitario: il manifestarsi di tale fattispecie costituisce, precisa il provvedimento, grave violazione di legge e determina la rimozione del presidente della Giunta regionale per “responsabilità politica nel proprio mandato di amministrazione della Regione”, ove sia accertato dalla Corte dei conti che le condizioni del dissesto siano riconducibili alla sua diretta responsabilità, con dolo o colpa grave, disponendosi conseguentemente la nomina di un commissario ad acta, in sostituzione del presidente rimosso, fino alla costituzione del nuovo Consiglio regionale. Per i successivi dieci anni il presidente rimosso non può essere candidato ad altre cariche elettive né può essere nominato a qualsiasi altra carica di governo degli enti territoriali, dello Stato e dell’Unione Europea. Il verificarsi del dissesto finanziario comporta inoltre la decadenza automatica direttori generali e, previa verifica delle rispettive responsabilità nel dissesto, dei dirigenti del servizio sanitario e dell’assessorato regionale competente, con interdizione per dieci anni (fino a dieci anni per i componenti del collegio dei revisori dei conti, in relazione alla gravità accertata) da altre cariche in enti pubblici.
Meccanismi analoghi sono previsti per gli enti locali. Anche per essi, infatti, è prevista la "relazione di fine mandato" (in forma semplificata per i comuni fino a cinquemila abitanti) da parte del presidente della provincia o del sindaco. Per questi ultimi poi, qualora riconosciuti dalla Corte dei conti come aventi responsabilità nel dissesto del rispettivo ente, la “responsabilità politica”, comporta la sanzione dell’incandidabilità per una durata decennale alle cariche elettive locali, nazionali ed europee, nonché il divieto di ricoprire posizioni di governo negli enti territoriali o cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Analogo divieto decennale di assunzione di cariche è stabilito per gli amministratori di cui sia stata riconosciuta la responsabilità nel dissesto; per i componenti del collegio dei revisori, in termini analoghi a quelli già stabiliti per le regioni, il divieto di nomina in altri enti locali ( o in enti ed organismi riconducibili agli stessi riconducibili) è disposto per un periodo fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata.
Va tuttavia rilevato come la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 149 relativamente alla relazione di fine legislatura e alla relazione di fine mandato non abbia finora trovato attuazione, per i ritardi che si sono registrati nell’adozione dei decreti ministeriali che avrebbero dovuto stabilire gli schemi tipo, tuttora non intervenuti. In ragione di ciò il legislatore ha ritenuto necessario, intervenire mediante la decretazione d'urgenza, ed a tal fine nel decreto-legge sugli enti locali n.174/2012 (convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n.213) sono state introdotte alcune modifiche volte a: - superare gli ostacoli e i ritardi che si sono determinati, in modo da rendere immediatamente applicabile la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 149 (prevedendosi l'obbligo di redigere la relazione anche in mancanza dei provvedimenti misisteriali di adozione dello schema tipo della stessa); - rafforzare la procedura di predisposizione e di verifica della relazione medesima, coinvolgendo, nel primo caso i servizi finanziari e il vertice dell’amministrazione dell’ente, e, nel secondo caso, la sezione regionale di controllo della Corte dei conti; - prevedere, infine, specifiche sanzioni in caso di mancato adempimento. Quanto a quest'ultimo aspetto, in particolare: a) qualora il Presidente della Giunta regionale non proceda alla pubblicazione della relazione sul sito istituzionale l’importo dell’indennità di mandato è ridotto della metà, con riferimento alle successive tre mensilità, e in termini analoghi si riducono gli emolumenti del responsabile del servizio bilancio e finanze della regione e dell’organo di vertice dell’amministrazione regionale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l’obbligo da parte del Presidente di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell’ente; b) in caso di mancata redazione e pubblicazionesul sito istituzionale della relazione, l’importo dell’indennità di mandato del sindaco è ridotto della metà, con riferimento alle successive tre mensilità, e corrispondente riduzione si applica agli emolumenti del responsabile del servizio finanziario del comune e del segretario generale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l’obbligo da parte del sindaco di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell’ente.
Sempre con il decreto-legge n.174 del 2012, inoltre, è stata inserita una nuova disposizione nel testo del decreto legislativo con cui si introduce la relazione di inizio mandato comunale e provinciale, mediante la quale ciascun ente locale verifica la propria situazione patrimoniale e finanziaria e la misura dell’indebitamento. La relazione deve essere predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro novanta giorni dall’inizio del mandato; sulla base delle risultanze di tale relazione l’ente locale interessato può ricorrere, sussistendone i presupposti, alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.
Vengono altresì previste sanzioni a carico degli enti che non rispettino il patto di stabilità interno e si dispone, sia per per le regioni che per gli enti locali il versamento allo Stato (nell’anno successivo a quello in cui si verifica l’inadempienza) della differenza tra il risultato finanziario registrato e quello programmato. Sia per le regioni che per gli enti locali è altresì previsto uno stringente limite all’impegno delle spese correnti, il divieto di indebitamento per investimenti, il divieto di assunzione di personale e, infine, l’obbligo di ridurre del 30 per cento le indennità di funzione ed i gettoni di presenza dei componenti degli organi di governo (e, per gli enti locali, anche degli organi elettivi) degli enti. Va peraltro segnalato - anche per dar conto della complessità di un corretto coordinamento normativo tra la disciplina sanzionatoria sugli enti locali recata dal decreto legislativo in esame e la normativa, per così dire, "ordinaria" sulle sanzioni per mancato rispetto del patto di stabilità interno recata dalle leggi finanziarie (poi di stabilità) annuali, che l'articolo 1, comma 439, della legge n.228/2012 ( legge di stabilità 2013) ha trasposto integralmente le norme sanzionatorie dettate sul punto dal decreto legislativo (articolo 7, comma 2) nell' articolo 31, comma 26, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012) che detta le misure di carattere sanzionatorio applicabili a regime, agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto.
Una specifica norma prevede infine, anche ai fini di una valutazione dell’attività dei Ministri interessati, un raffronto tra fabbisogno di spesa delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato ed ammontare delle spese effettivamente sostenute a consuntivo, disponendo che annualmente i risultati di tale raffronto siano inviati dal Governo alle Camere, per le eventuali ulteriori determinazioni. In assenza della effettiva definizione di tali fabbisogni la disposizione non ha al momento ancora trovato attuazione.
Lo schema di decreto precisa il funzionamento del meccanismo premiale per le regioni che diano applicazione ad alcune misure di contenimento della spesa per le stesse previsto, stabilendo che la regione possa considerarsi adempiente (e quindi avere accesso a tale meccanismo, che qui non si dettaglia) qualora il rapporto tra spese di personale e spesa corrente (al netto delle spese per i ripiani del disavanzo sanitario e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi progranmmati del patto di stabilità) sia uguale o inferiore alla media nazionale.
Inoltre, una specifica misura premiale – che verrà determinata con apposito provvedimento, poi non intervenuto - è altresì introdotta in favore delle regioni che istituiscono una Centrale unica per gli acquisti e l’aggiudicazione di gare per l’approvvigionamento di beni e servizi. Ulteriori meccanismi premiali sono collegati ai risultati dell’ attività di recupero dell’evasione fiscale: alle province che abbiano partecipato all'accertamento dei tributi viene attribuita una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme accertate, relative a tributi statali riscossi a titolo definitivo. Per quanto concerne gli enti territoriali nel loro complesso si prevede che sulla base di un accordo tra Governo, regioni ed enti locali, finalizzato alla ricognizione delle capacità fiscali effettive e potenziali dei singoli territori, si definiscano gli obiettivi da raggiungere nell’attività di contrasto all’evasione fiscale, con contestuale fissazione delle misure premiali (o sanzionatorie) in relazione al raggiungimento di tali obiettivi. L’accordo deve intervenire entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, decorso il quale il Governo procederà all’attuazione di tale disposizione. Nessuna di tali misure ha trovato finora attuazione, in assenza dei provvedimenti attuativi necessari per consentirne l'applicabilità.
Con l'emanazione del secondo provvedimento su Roma capitale, costituito dal decreto legislativo 18 aprile 2012, n.61, le cui disposizioni si aggiungono a quelle già dettate dal precedente decreto legislativo n. 156 del 2010, si è completata la disciplina del nuovo ente territoriale Roma capitale, in attuazione dell'articolo 24 della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.
Il secondo decreto legislativo su Roma capitale, i cui contenuti come di consueto derivano anche dal parere espresso dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale sul testo iniziale dello schema di decreto trasmesso alle Camere , ha la finalità di completare la normativa già introdotta con il decreto legislativo n. 156 del 17 settembre 2010, istitutivo del nuovo assetto ordinamentale di Roma capitale. Il secondo decreto in esame disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall’articolo 24, comma 3, della legge delega n. 42/2009, - concernenti le materie del concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, dello sviluppo economico e sociale riferito in particolare ai settori produttivo e turistico, dell’organizzazione dei servizi urbani, della protezione civile ed altro – prevedendo a tal fine l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale, che è chiamata a coordinare tutte le attività (anche di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, Mibac) di valorizzazione, decidendo, precisano le norme, “il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l’immagine di Roma capitale”. La Conferenza si pronuncia inoltre in merito al rilascio dei titoli autorizzatori e dei pareri eventualmente necessari per la realizzazione di specifici interventi. A Roma capitale sono poi conferite le funzioni amministrative concernenti il concorso alla valorizzazione dei beni presenti nel territorio della stessa ma appartenenti allo Stato. L’ente medesimo concorre infine, in concorso con il Mibac e la regione Lazio, anche in tema di politiche ed attività di tutela, pianificazione, valorizzazione e vigilanza sui beni paesaggistici, nonché nella individuazione delle riserve statali non collocate nei parchi nazionali, la cui gestione viene affidata a Roma capitale.
Ulteriori conferimenti concernono le funzioni in materia di turismo, nel cui ambito Roma capitale potrà avvalersi anche degli uffici statali per la promozione turistica all’estero, e di fiere, nonché di protezione civile, con l’attribuzione delle funzioni amministrative inerenti l’emanazione di specifiche ordinanze.
La necessità di una sede permanente di coordinamento dei nuovi assetti determinati dalla nuova disciplina trova riscontro nella previsione di una apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, il cui scopo è quello di assicurare il “raccordo istituzionale” tra Roma capitale, Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma. In tutti i casi in cui la Conferenza debba occuparsi di materie di interesse per Roma capitale, il Sindaco della stessa partecipa alle relative sedute.
Per quanto concerne gli interventi infrastrutturali connessi al ruolo di capitale della Repubblica, per i quali il nuovo ente dovrà seguire, per l’utilizzo delle risorse finanziarie ad essa spettanti, il metodo della programmazione pluriennale, si prevede la realizzazione di una apposita intesa istituzionale di programma con la Regione Lazio e le amministrazioni centrali competenti, da approvarsi da parte del CIPE; gli interventi previsti dall’intesa possono essere inseriti nel programma di cui alla legge-obiettivo sulle opere pubbliche strategiche (Legge n. 443/2001).
Con riguardo al personale, Roma capitale potrà disciplinare con propri regolamenti, ed in conformità allo statuto dell’ente, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, ivi incluso quello di polizia locale; inoltre, in ragione dell’acquisizione delle nuove funzioni potrà altresì, nell’esercizio della propria autonomia normativa, finanziaria ed organizzativa, provvedere alla definizione della dotazione organica, nel rispetto della normativa vigente in materia di personale degli enti locali. E’ istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un apposito tavolo interistituzionale tra Stato, Regione Lazio, provincia di Roma e Roma capitale per il trasferimento delle funzioni derivante dalla nuova disciplina. Viene inoltre disposto che al trsferimento delle risorse umane e strumentali necessarie all'esercizio delle funzioni amminstrative conferite a Roma capitale si provveda con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri entro novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, vale a dire entro il 31 agosto 2012: decreti che al monento non risultano adottati.
Per gli aspetti finanziari, dovrà determinarsi con apposito DPCM, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame - vale a dire entro il 2 dicembre 2012, ma al momento tale provvedimento non risulta ancora emanato - , il maggior onere, da quantificarsi su proposta della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (che a tal fine si avvale dell’Istituto per la finanza e l’economia locale, IFEL, e dell’ISTAT), derivante per Roma capitale dall’esercizio delle funzioni connesse al ruolo di capitale della Repubblica, tenuto anche conto dei benefici economici che ne derivano in termini di entrate. La legge di stabilità provvede alla eventuale compensazione degli effetti finanziari connessi a tale onere, nonché a quelli derivanti dagli interventi previsti dall’intesa istituzionale di programma prima illustrata. Si dispone infine che entro il 31 maggio di ogni anno Roma capitale concordi con il Ministero dell’economia l’entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica: in caso di mancato accordo tale concorso è determinato sulla base delle disposizioni applicabili ai comuni. In ogni caso si dispone che le spese connesse alle funzioni di Roma capitale della Repubblica ed agli interventi previsti dall’intesa istituzionale di programma non vengano computate nel saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.
Il sistema delle entrate degli enti territoriali appare a tutt'oggi un quadro complesso e ancora non stabilizzato, in ragione dei ripetuti interventi che sulla materia si sono susseguiti nel corso della legislatura. L'assetto normativo presenta pertanto al momento alcuni elementi di transitorietà, con specifico riferimento agli enti locali.
Allo scadere della XVI legislatura il sistema delle entrate comunali presenta un quadro complesso ed ancora non stabilizzato, a causa del sovrapporsi, nel biennio 2011-2012, di numerosi interventi legislativi, costituiti principalmente dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale, dal decreto-legge di manovra intervenuto alla fine del medesimo anno (D.L. n. 201 del 2011) e dalla legge di stabilità 2013 (L. n. 228 del 2012), che, modificando ogni volta la normativa vigente nella materia, hanno concorso a determinare un assetto normativo nel quale al momento sono presenti alcuni elementi di transitorietà.
Il sistema della fiscalita' municipale delineato dal decreto legislativo n. 23 del 2011 prevedeva, in origine una fase transitoria per il biennio 2011-2013 nella quale, in aggiunta alle tradizionali entrate dell’ente (costituite dall’addizionale Irpef, dall’Ici, dalla tassa e dal canone per l’ occupazione spazi ed aree pubbliche - Tosap e Cosap - , dall’imposta di scopo - Iscop, dalla Tarsu/Tia, dall’imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni e dal canone installazione mezzi pubblicitari), venivano istituite nuove forme di entrata: compartecipazione al gettito dell’IVA proveniente dai rispettivi territori, in misura finanziariamente equivalente ad una compartecipazione Irpef del 2 per cento; imposta di soggiorno o di sbarco; cosiddetta “fiscalità immobiliare”, vale a dire l’Irpef sui redditi fondiari, le imposte ipotecarie e catastali e la cedolare secca sugli affitti, da far confluire previamente in un Fondo sperimentale di riequilibrio per essere e successivamente ridistribuire ai comuni in forma territorialmente equilibrata.
In particolare tale fondo, alla cui determinazione si è finora proceduto per gli anni 2011 e 2012 (con decreto del Ministro dell’interno, rispettivamente D.M. 21 giugno 2011 e D.M. 4 maggio 2012), era istituito in sostituzione dei trasferimenti da parte dello Stato, contestualmente soppressi, ad eccezione di una quota degli stessi che, in ragione delle peculiari caratteristiche, non risultavano “fiscalizzabili” e dovevano continuare ad essere erogati.
A regime, dal 2014, il decreto legislativo prevedeva l’attribuzione diretta dei cespiti derivanti dalla fiscalità immobiliare, con la sostituzione del Fondo di riequilibrio con un (più ridotto) Fondo perequativo, l’istituzione dell’Imposta municipale propria (IMU) progettata per assorbire l’Ici e l’Irpef sui redditi fondiari, e dell’Imposta municipale secondaria, sostitutiva dell’imposta comunale sulla pubblicità/affissioni e la Tosap/Cosap.
Nel disegno del legislatore, delle imposte storiche sarebbero rimaste pertanto solo l’addizionale Irpef, l’imposta di scopo e la Tarsu/Tia (oltre ai trasferimenti non fiscalizzabili ed a parte, ovviamente, le entrate extratributarie).
Tale assetto è stato poi consistentemente modificato dall’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, che, nell’ambito di un intervento volto al consolidamento dei conti pubblici nell’emergenza finanziaria determinatasi negli ultimi due mesi dell’anno, ha anticipato “in via sperimentale” la decorrenza dell’ IMU al 2012 (e fino al 2014, disponendo espressamente, all’articolo 13, comma 1 che “l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria è fissata al 2015”) estendendola anche all’abitazione principale e destinandone il gettito per circa la metà (con esclusione di quello derivante dall’abitazione principale e da altre specifiche categorie di immobili) direttamente allo Stato. Il provvedimento ha inoltre istituito, dal 2013, il tributo comunale sui tributi e servizi (Tares), in sostituzione di tutti gli altri proventi attinenti al servizio rifiuti urbani.
Da ultimo, l’articolo 1, commi da 380 a 384 della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), oltre a modificare in molti aspetti la Tares, ha innovato l’assetto della destinazione del gettito proveniente dall’IMU ed ha ridefinito i rapporti finanziari tra Stato e comuni, come delineati dal D.Lgs. n. 23 del 2011.
In particolare si attribuisce interamente ai comuni il gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo (che rimane destinato allo Stato) e contestualmente si sopprime il Fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal decreto legislativo n. 23: quest’ultimo viene sostituito da un Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell’IMU di spettanza dei comuni. In ragione di tale soppressine, nonché della circostanza che la modifica all’IMU è per gli anni 2013 e 2014, viene sospesa per i medesimi anni la devoluzione ai comuni del gettito della fiscalità immobiliare prevista nel medesimo decreto n. 23, nonché della compartecipazione comunale al gettito IVA.
Alla luce di quanto sinteticamente illustrato, pertanto, il sistema della fiscalità comunale poggia al momento, con riferimento al biennio 2013-2014, su tre principali imposte, costituite dall’IMU, dalla Tares e dall’addizionale comunale all’Irpef. A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzabili prima segnalati ed alle entrate extratributarie (quali il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, la Cosap, che costituisce un cespite anche provinciale, e l’addizionale comunale sui diritti di imbarco), le tradizionali entrate locali, vale a dire l’imposta di soggiorno, l’Iscop, la Tosap, l’imposta comunale sulla pubblicità /diritto sulle pubbliche affissioni, il canone installazione mezzi pubblicitari.
Ulteriori entrate, che hanno però carattere eventuale, sono infine ravvisabili nei proventi derivanti dalla partecipazione dei comuni all’azione di contrasto all’evasione fiscale, incrementati dal decreto legislativo n.23 del 2011, a seguito del quale viene devoluto all’ente locale che partecipa all’accertamento il 50% del gettito (il 100% nel triennio 2012-2014) e l’intero gettito nel caso di accatastamento di immobili non dichiarati in catasto (c.d. case fantasma).
Una maggiore stabilità presenta invece il sistema delle entrate delle province, il cui assetto è stato peraltro modificato in misura meno incisiva di quello comunale dalla normativa attuativa della delega recata dalla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che è intervenuta sulla fiscalita' provinciale con gli articoli da 16 a 21 del decreto legislativo n. 68 del 2011, recante norme in materia di autonomia di entrata delle regioni e delle province
In considerazione della intervenuta soppressione dell’ addizionale provinciale sull’energia elettrica, disposta dal tale provvedimento, il sistema delle entrate delle provinciali è costituito dai seguenti cespiti:
Va inoltre segnalato che il medesimo provvedimento prevede, all’articolo 19, l’istituzione di una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale, a compensazione, dal 2013, della soppressione dei trasferimenti regionali diretti al finanziamento delle spese delle province. Al momento, tuttavia, benché l’articolo 19 suddetto prevedesse il termine del 20 novembre 2012 per la fissazione di tale compartecipazione, la stessa non risulta ancora stabilita.
Si ricorda, infine, che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 ripristina il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall'anno di imposta 2012; questo potere era stato sospeso dall’articolo 1, comma 123, della legge n.220/2010 (legge di stabilità 2011) “fino all'attuazione del federalismo fiscale”.
In via generale un esame delle fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario espone come questi siano individuabili nei tributi propri, nelle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio dell’ente, nelle entrate proprie (quelle derivanti da beni, attività economiche della regione e rendite patrimoniali), nei trasferimenti perequativi, per i territori con minore capacità fiscale per abitante e, infine, nelle entrate da indebitamento, che sono però riservate a spese di investimento (art. 119, Cost.).
Le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono costituite principalmente dal gettito di IRAP, addizionale IRPEF, cosiddetta tassa automobilistica e della compartecipazione al gettito dell’accisa sulla benzina. Gli altri tributi minori, compresa l’addizionale regionale all'accisa sul gas naturale (ARISGAM) e il tributo speciale il deposito in discarica dei rifiuti costituiscono una piccola parte dell’intero gettito tributario.
La compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, invece, istituita dal D.Lgs. 56/2000 e determinata con DPCM, entra nel meccanismo di perequazione previsto dallo stesso decreto 56. Ciascuna regione riceve la quota di compartecipazione all’IVA a seguito delle operazioni di perequazione, e quindi in aumento o in diminuzione rispetto al conteggio iniziale. Su di essa le regioni non hanno alcun potere di manovra, analogamente a quanto accade con la compartecipazione al gettito dell’accisa sulla benzina.
Per quanto riguarda i tributi, le possibilità di manovra sulla leva fiscale da parte regionale sono limitate. Ciascuna regione può determinare l’aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato e – in alcuni casi – differenziare i soggetti passivi (per scaglioni di reddito per l’addizionale IRPEF, per categorie economiche per l’IRAP). Ciascuna regione, inoltre, provvede alla disciplina ed alla gestione degli aspetti amministrativi: riscossione, rimborsi, recupero della tassa e l'applicazione delle sanzioni, sempre entro limiti e principi fissati dalla legge dello Stato.
Tale quadro non risulta ancora mutato dalla disciplina attuativa della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che per quanto concerne la fiscalità regionale è stata dettata dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, benché talune disposizioni di tale provvedimento avrebbero dovuto trovare attuazione già dal 2013. A decorrere da tale anno le fonti di finanziamento delle regioni per l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nelle materie della sanità, assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale (per la spesa di parte capitale) dovevano infatti essere costituite: - dalla compartecipazione all’Iva,e quote dell’addizionale regionale all’Irpef, come entrambe rideterminate ai sensi del decreto legislativo medesimo; - dall’ Irap; - da quote di un Fondo perequativo, appositamente istituito; - dalle entrate proprie.
Il nuovo assetto non ha tuttavia al momento ancora avuto seguito, in quanto: a) la determinazione con legge dei LEP nelle materie sopradette non è finora intervenuta, tranne che per la sanità (dove peraltro risale al 2001 ed è in via di ridefinizione); b) l’addizionale Irpef avrebbe dovuto essere rideterminata (in modo tale da assicurare risorse equivalenti a quelle derivanti dai trasferimenti erariali di parte corrente, da sopprimere dal 2013, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef statali, per lasciare inalterato l’onere per i contribuenti), con riferimento all’anno di imposta 2012, mediante un apposito DPCM da emanarsi entro il 27 maggio 2012, non ancora intervenuto; c) la compartecipazione Iva doveva anche essa venir rideterminata a decorrere dal 2013 secondo il nuovo principio di territorialità stabilito dal decreto legislativo ed, inoltre, in misura tale da garantire in ogni regione il finanziamento delle spese per i LEP, ad opera di un DPCM per il quale non è stabilito un termine di adozione, e che allo stato non è stato ancora emanato; d) di conseguenza, poiché tale compartecipazione è destinata ad alimentare il Fondo perequativo prima citato, da istituire dall’anno 2013, neanche tale Fondo risulta al momento istituito.
Pertanto le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono attualmente quelle già operanti precedentemente alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, costituite dai tributi propri e dalle compartecipazioni ai tributi erariali seguenti,:
Con la sola eccezione dell’IVA, tributi e compartecipazioni sono – con riferimento al gettito – “tributi” regionali secondo due principali caratteristiche: le somme che affluiscono al bilancio della regione provengono interamente ed esclusivamente dal gettito riferito al rispettivo territorio; quale che sia la disciplina del tributo (aliquota, base imponibile, soggetti obbligati, eccetera) e la quota di gettito assegnata alla regione, inoltre, le entrate della regione seguono la dinamica di quel gettito nel rispettivo territorio.
Il gettito della compartecipazione regionale all’IVA è invece assegnato a ciascuna regione in base a parametri che dipendono dalla disciplina del finanziamento della spesa sanitaria corrente delle regioni a statuto ordinario secondo i seguenti criteri:
Nelle regioni eccedentarie le entrate da compartecipazione IVA sono riferite integralmente al proprio territorio, sebbene siano soltanto una quota parte della rispettiva IVA territorializzata. Nelle regioni deficitarie le entrate IVA riferite al territorio sono costituite dall’intera quota territorializzata; a questa si aggiunge il trasferimento perequativo non riferibile ad uno specifico territorio.
L'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi. Gli statuti – che hanno forma di legge costituzionale – stabiliscono ambiti e limiti della potestà impositiva, tributaria, finanziaria e contabile di ciascuna regione, riconoscono la titolarità del demanio e del patrimonio regionali, elencano i tributi erariali il cui gettito è devoluto, interamente o in parte, alla regione, attribuiscono ad essa la potestà legislativa e amministrativa sull’ordinamento finanziario degli enti locali del rispettivo territorio. Le «norme di attuazione» sono emanate dal Governo con decreto legislativo (in precedenza con decreto del Presidente della Repubblica) in forza della competenza loro riservata in via esclusiva dagli statuti speciali e secondo una procedura che ne prevede l’istruttoria ed il parere, o l’intesa, da parte di Commissioni paritetiche, i cui membri sono designati dal Governo e dalla rispettiva regione. A differenza di quanto solitamente avviene per gli atti di legislazione delegata, le norme di attuazione non sono sottoposte al parere parlamentare.
Nel corso della XVI legislatura sono intervenute modifiche 'concordate' all'ordinamento finanziario di queste regioni, che hanno riguardato l'attuazione dei principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale, secondo le procedure appositamente stabilite dall’art. 27 della legge n. 42/2009. Questo prevede in particolare l’istituzione presso la Conferenza Stato-regioni di un apposito tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma (poi istituito con D.P.C.M. 6 agosto 2009) con il compito di individuare le linee guida per il concorso delle autonomie speciali, secondo le norme attuative dei rispettivi statuti, agli obiettivi della legge delega sul federalismo fiscale.
Per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, la legge finanziaria 2010 (Legge 191/2009 art. 2 commi 106-125) reca modifiche concernenti: la disciplina dei tributi propri e delle compartecipazioni ai tributi erariali di questi enti; la nuova disciplina di tesoreria; il riconoscimento e regolazione di somme spettanti alle province autonome, il Patto di stabilità e il concorso delle province autonome al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà del federalismo fiscale.
Per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (art. 1, commi 151-159) e la Regione autonoma Valle d'Aosta (art. 1, commi 160-164) è la legge di stabilità 2011 (Legge 220/2010) che, in recepimento del rispettivo accordo con la regione, reca disposizioni concernenti la quantificazione del contributo di ciascun ente per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, la disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.
Ciò precisato, ad una sintetica ricognizione di carattere generale sulla fiscalità delle autonomie speciali emerge come il connotato più forte dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome sia rappresentato dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione. Le compartecipazioni possono essere considerate tributi regionali solo ai fini della destinazione del gettito (in tal senso sono “tributi propri”). Non sono regionali, però, per alcun punto della loro disciplina: istituzione, soggetti passivi e base imponibile, sanzioni, contenzioso, eccetera.
Nella regione Sicilia tutti i tributi erariali sono riscossi direttamente dalla regione stessa; in questo caso la riscossione è disciplinata anche da norme della regione. A decorrere dal 1° gennaio 2008, anche la regione Friuli-Venezia Giulia provvede direttamente alla riscossione delle imposte secondo quanto stabilito dalle norme di attuazione dello statuto emanate con D.Lgs. 137/2007. Nelle altre regioni a statuto speciale e nelle province autonome i tributi erariali sono invece riscossi dallo Stato che provvede poi a â€devolvere’ alla regione la quota spettante.
Tutte le regioni a statuto speciale e le province autonome collaborano - secondo le specificazioni dei propri Statuti - all'accertamento delle imposte erariali riscosse o prodotte sul proprio territorio. In sintesi, è attribuito alle regioni:
Disposizioni “residuali” contenute negli statuti, inoltre, attribuiscono alla regione Sicilia, alle Province autonome di Trento e di Bolzano ed ora anche alla Sardegna (nella misura di 7/10) e alla Valle d'Aosta (nella misura di 9/10), la compartecipazione su tutte le altre imposte e tasse non elencate dallo statuto.
La legge dello Stato può riservare all’erario il gettito di nuovi tributi ed il gettito proveniente da modificazioni alla disciplina dei tributi compartecipati dalle regioni soltanto se quelle somme sono destinate a scopi specifici, sono limitati nel tempo e determinabili nella misura. Nell'ultima parte della legislatura il Governo ha fatto ricorso alla riserva all'erario diverse volte con misure che in questa sede non si dettagliano, in ragione della temporaneità delle stesse.
Premessa. Le risorse finanziarie
Gli interventi dedicati al settore giustizia nella XVI legislatura sono connessi a una variabile che, ancor più che in passato, incide sulle scelte e la qualità delle politiche pubbliche: le risorse finanziarie.
Il contesto di generale contenimento della spesa pubblica, da ultimo realizzato attraverso gli strumenti della spending review, si accompagna alla possibilità di rimodulare missioni e programmi con una forte responsabilizzazione di ciascun centro di spesa. Il Ministero della Giustizia non risulta avere operato alcuna variazione in tal senso nell’ultimo anno. Come per altri Ministeri, le riduzioni di spesa sono previste per il Ministero della Giustizia anche per il 2013. Le spese per la missione Giustizia nel bilancio di assestamento 2012, pari a 7.514 mil. euro, costituisce l'1,8% della spesa statale complessiva (al netto della missione debito pubblico). Nel 2011 la spesa nello stato di previsione della Giustizia è stata pari all’1,6% (8.460 mil. euro) del totale della spesa statale. La massa spendibile per il 2013, ovvero la somma dei residui passivi e degli stanziamenti di competenza, ammonta a 7.978,5 mln di euro.
In questo quadro si colloca dunque l’insieme degli interventi legislativi realizzati nel corso della XVI legislatura, contenuti sia in leggi integralmente dedicate alla giustizia sia in manovre finanziarie volte a sostenere l’economia ovvero a contenere i costi per l’apparato pubblico oppure a ridurre gli oneri per i cittadini.
I dieci temi in cui sono distribuiti i diversi ambiti dell’area Diritto e Giustizia costituiscono ambiti organici di sviluppo delle politiche di settore.
Le principali linee di intervento che consentono di individuare filoni di politica pubblica sono desumibili in primo luogo dalle parti che accomunano le linee programmatiche dei due governi della legislatura, presentate alla Commissione Giustizia dal Ministro della Giustizia pro tempore nel 2008 e nel 2011. Pur scontando il diverso ambito temporale di riferimento, emergono infatti tratti comuni nella individuazione di tre ambiti prioritari: carceri, giustizia civile e geografia giudiziaria. La seconda e la terza sono riconducibili al tema unitario dell’organizzazione e funzionamento della giustizia.
La situazione carceraria, ripetutamente causa di autorevoli appelli al ripristino di condizioni di vita dignitose all’interno degli istituti, al 31 dicembre 2008 era la seguente: 58.127 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 43.066. Di essi 36.565 erano italiani mentre 21.562 stranieri. I condannati in via definitiva erano 26.587. Le donne 2.526. Al 31 gennaio 2013 la situazione appare complessivamente aggravata: risultano infatti presenti 65.905 detenuti detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 47.040. 39.090 sono i condannati in via definitiva. Gli stranieri sono 23.473, le donne 2.818.
Per fare fronte alle condizioni difficilmente sostenibili all’interno degli istituti è stato predisposto all’inizio del 2010 un Piano organico , che comporta un impegno amministrativo per gli interventi di edilizia carceraria e l’assunzione di agenti di polizia penitenziaria e ulteriori interventi sul piano normativo volti a modificare il sistema sanzionatorio penale con misure alternative al carcere.
Nell'ambito dell'attuazione del “Piano carceri” è stata approvata dal Parlamento la legge 199/2010, che ha dato - sebbene in via transitoria ovvero fino all’attuazione completa del Piano e comunque non oltre la fine del 2013 - la possibilità di scontare presso la propria abitazione la pena detentiva non superiore a un anno, anche se residua di pena maggiore. La soglia temporale è stata poi portata a diciotto mesi dal decreto-legge 211/2011. Dall’entrata in vigore a fine gennaio 2013 sono usciti in totale dagli istituti penitenziari 9.386 detenuti. Questo elemento fa emergere ancor più la criticità del sovraffollamento degli istituti.
Anche di recente, la Corte europea per i diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per violazione della CEDU (caso Torreggiani e altri, 8 gennaio 2013 ), considerando strutturale e sistemico il problema del sovraffollamento carcerario in Italia.
Nel lungo periodo, la questione carceraria richiede una valutazione complessiva delle stesse politiche penali. Appare sempre più necessario valutare in modo selettivo il ricorso alla sanzione penale come extrema ratio per ricorrere a forme sanzionatorie alternative, ma non per questo meno incisive, negli altri casi. Il tentativo infruttuoso di procedere a una nuova Depenalizzazione dei reati minori nel corso della legislatura dimostra tuttavia come il ricorso alla sanzione penale da parte del legislatore sia molto più diffuso di quanto non si possa immaginare. Secondo una stima approssimativa, in assenza di una vera e propria banca dati ufficiale delle sanzioni penali, a partire dall’ultima depenalizzazione contenuta nel decreto legislativo n. 507 del 1999 fino al febbraio 2012 sono state introdotte nel nostro ordinamento non meno di 310 nuove fattispecie penali, di cui 171 nuove contravvenzioni e 139 nuovi delitti. Tra le nuove fattispecie risaltano per numero e specialità quelle introdotte in attuazione di normativa europea.
E, ulteriormente, occorre meditare il dato riportato dal Primo presidente della Corte di Cassazione , da questi qualificato come dato “non facilmente verificabile, ma comunque certamente indicativo del quadro di grandezza” e tratto dal rapporto del 19 settembre 2012 del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa: le fattispecie di reato ammonterebbero nel nostro Paese a 35.000. Si tratta, a ben vedere, di temi non nuovi nel nostro ordinamento. Risale infatti al 1983 la pubblicazione di una circolare governativa, indirizzata a tutti gli uffici legislativi ministeriali, con la quale si dettavano criteri per la distinzione tra fattispecie incriminatrici penali e violazioni amministrative.
Le ipotesi di ulteriori interventi legislativi per affrontare la questione carceraria sono chiamate a misurarsi con la necessaria copertura amministrativa, tanto nel caso di creazione di nuovi istituti (per cui è presumibile siano necessari più agenti) quanto nel caso di misure alternative alla detenzione (per cui sarebbero necessarie modalità di controllo efficaci).
Efficienza del sistema della giustizia civile e competitività del Paese sono elementi tra loro strettamente legati. L’Italia è uno dei Paesi, europei e non, in cui la durata del processo civile è maggiore, come testimoniato dalla comparazione operata dalla Commissione Europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) e dalla Banca Mondiale. A ciò deve aggiungersi il tasso di litigiosità (calcolato considerando il numero di nuove cause avviate ogni anno rispetto alla popolazione), che in Italia è pari a 3,5 volte quello della Germania e quasi due volte quello di Francia e Spagna (stima della Banca d’Italia). Sempre la Banca d'Italia, in un recente studio, ha evidenziato gli effetti negativi prodotti dalla maggiore durata dei procedimenti civili in Italia sulle dimensioni d’impresa nel settore manifatturiero.
Ancor più, permane l’annosa questione dell’arretrato, che non accenna a diminuire nel tempo.
A fine 2007 erano pendenti in Italia più di 5.429.000 procedimenti civili, compresi quelli davanti alla Corte di Cassazione. Nel 2010 erano pendenti circa 5.584.000 procedimenti. La durata media effettiva dei procedimenti civili per le materie definibili con sentenza – nel confronto tra 2006 e 2008 – aumenta del 15,1% davanti al giudice di pace (da 463 a 533 giorni in media), si riduce lievemente davanti al tribunale dell’1,2% (da 1.121 a 1.108 giorni) e aumenta considerevolmente davanti alla corte d’appello (da 1.056 a 1.197 giorni).
Gli interventi posti in essere potranno essere valutati nel medio e lungo periodo. Il primo, di carattere prevalentemente organizzativo ma con ricadute anche sul piano delle regole del processo, ha interessato la digitalizzazione del processo civile (c.d. processo telematico ), in cui – come regola generale – tutte le comunicazioni e notificazioni debbono essere effettuate in forma telematica. Dalla fine del 2012 la digitalizzazione ha interessato anche tutte le fasi delle procedure concorsuali. E’ stata estesa anche al processo penale per le comunicazioni a persona diversa dall’imputato. Al 31 ottobre 2012, l’82% degli avvocati risulta dotato di PEC. Dal 15 ottobre 2012 le comunicazioni telematiche sono attive in tutti i tribunali e le corti d’appello. Da novembre 2011 a ottobre 2012 sono state effettuate quasi 6 milioni di comunicazioni via posta elettronica certificata. Mentre da gennaio a ottobre 2012 sono stati depositati 126.559 atti telematici.
Tuttavia, la maggiore efficacia e tempestività del procedimento civile passa anche dalla riforma del processo, a partire dalla legge 69/2009, con cui sono state introdotte molteplici misure di alleggerimento quali l’ampliamento della competenza del giudice di pace, la semplificazione del contenuto della sentenza, le modalità della prova testimoniale, l’abbreviazione dei termini processuali, il filtro in Cassazione per l’ammissibilità del ricorso, la semplificazione del procedimento sommario di cognizione, la modifica del processo di esecuzione, la mediazione e la conciliazione. E’ inoltre da sottolineare il rilievo dell’istituzione in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione del tribunale delle imprese, che ha esteso la sfera di competenza delle precedenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale.
Il terzo filone d'intervento nella legislatura è costituito dalla riforma della geografia giudiziaria ovverosia dalla diversa distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari. Con due distinti decreti legislativi sono stati soppressi uffici del giudice di pace e di tribunale, con l’esplicito obiettivo di ridurre la spesa e ottenere un miglioramento dell'efficienza del sistema giustizia attraverso una più razionale utilizzazione delle risorse umane disponibili. Per questo motivo, dopo un serrato confronto parlamentare sullo schema di decreto, in cui si sono confrontati l’esigenza di maggiore efficienza con quella di mantenimento di presidi di legalità sul territorio, sono stati soppressi, con efficacia dal 13 settembre 2013, 31 tribunali e relative procure della Repubblica oltre a tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale esistenti. Sono stati inoltre soppressi 667 uffici del giudice di pace, partendo da un totale di 846 uffici esistenti (ne restano in funzione 179). Il personale di magistratura e amministrativo deve essere pertanto redistribuito tra gli uffici non soppressi.
Venendo agli altri temi, merita richiamare l’ambito della Cooperazione giudiziaria sono state ratificate alcune convenzioni che hanno comportato modifiche al diritto penale (si pensi soprattutto agli accordi internazionali in tema di lotta alla corruzione o per rafforzare la tutela dei minori vittime di reati di sfruttamento sessuale). In prossimità dello scadere della legislatura è stata inoltre approvata la legge che adegua l'ordinamento italiano alle previsioni dello Statuto della Corte penale internazionale, che rende possibile l’esercizio della giurisdizione di tale organismo in misura complementare alla giurisdizione nazionale per crimini di guerra, conto l’umanità, il genocidio o, in prospettiva, il crimine di aggressione. Si tratta quindi di una significativa apertura dell’ordinamento nazionale a quello internazionale.
Inoltre sono stati numerosi gli interventi legislativi connessi al Diritto commerciale e delle società e all'attività di impresa quali la lotta alla contraffazione ed in generale la tutela dei diritti di proprietà industriale; le fusioni e scissioni societarie; la disciplina delle s.r.l. semplificate e a capitale ridotto, le modifiche in materia di società cooperative e di mutuo soccorso. Nel settore processuale, va segnalata l'istituzione del cd. Tribunale delle imprese e la soppressione del rito societario.
Quanto al Diritto di famiglia merita segnalare, per il significato giuridico come pure per il rilievo nell’evoluzione dei costumi, l'approvazione della legge 219/2012, volta ad eliminare dall'ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali, affermando il principio dell'unicità dello stato giuridico dei figli.
La XVI legislatura è contrassegnata poi dall’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, già oggetto di due successivi interventi integrativi e correttivi, e dalla disciplina dell'azione collettiva degli utenti nei confronti della pubblica amministrazione (d.lgs. 198/2009). Anche in questo settore è stato previsto un incremento del contributo unificato per l’accesso alla giustizia con la finalità di alleggerire il carico complessivo dei procedimenti.
Nel settore della lotta alla Criminalità organizzata , è entrato in vigore il codice delle leggi antimafia (d.Lgs 159/2011) comprensivo delle recenti novità in tema di misure di prevenzione. Specifici provvedimenti d'urgenza e la cd. legge sicurezza sono poi intervenuti in materia penale e di organizzazione degli uffici giudiziari, ad esempio per l’assegnazione di magistrati a sedi disagiate.
Il settore delle Professioni regolamentate è stato oggetto di numerosi interventi volti a favorire i principi di liberalizzazione e di concorrenza. E’ stato abrogato il sistema delle tariffe professionali regolamentate e per il resto l’intera materia è stata delegificata attraverso un regolamento che interessa tutte le professioni ordinistiche (D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137). La professione forense ha poi trovato una sua specifica regolamentazione legislativa.
Nel Settore civile , oltre agli interventi sul processo e sulla filiazione, è stato ampiamente riformato il condominio degli edifici, in molteplici aspetti tra cui la determinazione delle parti comuni dell'edificio, la riduzione dei quorum deliberativi, le attribuzioni e i poteri degli amministratori. Importanti riflessi sulle attività produttive potrà avere l'introduzione dell'istituto della composizione delle crisi da sovraindebitamento dei debitori ai quali non si applicano le ordinarie procedure concorsuali. Inciderà invece sui rapporti tra produttori e consumatori la nuova disciplina delle azioni collettive (class action), estesa anche nei confronti della p.a.
Il Settore penale ha registrato novelle legislative volte a proteggere le fasce più deboli. Di tal segno sono infatti gli interventi sullo sfruttamento sessuale dei minori o gli atti persecutori. Inoltre, i reati contro la pubblica amministrazione sono stati oggetto di un'ampia riforma con la "legge anticorruzione". Le modifiche processuali hanno riguardato principalmente la competenza della corte d’assise, l’incidente probatorio, il gratuito patrocinio, gli accertamenti tecnici coattivi. Particolare risonanza hanno avuto i dibattiti parlamentari dedicati a progetti di cui non è stato concluso l’iter quali i progetti in tema di intercettazioni, di prove nel processo penale, il processo breve, il proscioglimento per particolare tenuità del fatto. Due progetti di legge ordinaria, concernenti la sospensione dei procedimenti a carico delle alte cariche dello Stato e il legittimo impedimento delle alte cariche, hanno concluso il loro iter parlamentare (leggi nn. 124/2008 e 51/2010). Peraltro le leggi sono state oggetto di sentenze di accoglimento da parte della Corte costituzionale.
In prospettiva dovranno essere considerati anche le modalità e gli effetti della crescente attuazione dei Trattati europei, con specifico riguardo ai vari settori della giustizia, compreso il diritto penale. Si tratta infatti di un ambito nuovo del diritto europeo dopo il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009.
Nel corso della XVI legislatura sono stati numerosi gli interventi connessi all'attività di impresa. In particolare, si ricordano le misure in tema di lotta alla contraffazione ed in generale di tutela dei diritti di proprietà industriale; quelle sulle fusioni e scissioni societarie; la disciplina delle s.r.l. semplificate e a capitale ridotto, le modifiche in materia di società cooperative e di mutuo soccorso. Nel settore processuale, va segnalata l'istituzione del cd. Tribunale delle imprese e la soppressione del rito societario. Altri interventi hanno riguardato modifiche alla disciplina del concordato preventivo.
Finalità di lotta alla contraffazione e di tutela del made in Italy hanno ispirato gli interventi connessi all’attività di impresa contenuti nella legge 99/2009 (cd. collegato energia). La legge rafforza la tutela della proprieta' industriale, in particolare nel settore penale, introducendo nuovi reati nel codice penale e modificando la disciplina dei beni sequestrati e confiscati nel corso di attività anticontraffazione. Ulteriori misure in materia sono state introdotte dal D.L. 135/2009, il cui articolo 16 ha dettato una serie di disposizioni a difesa del made in italy e dei prodotti interamente italiani.
Sul piano amministrativo, è stato istituito dall'art. 19 della legge 99/2009 il Consiglio nazionale anticontraffazione presso il Ministero dello sviluppo economico, con il compito di coordinare e indirizzare l’insieme delle azioni di contrasto della contraffazione a livello nazionale, è stata rafforzata la tutela del made in Italy e prevista la confisca dei locali ove vengono prodotti, depositati, o venduti i materiali contraffatti.
Nel luglio del 2010 è stata istituita dalla Camera dei deputati la Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Nella seduta del 22 gennaio 2013 è stata approvata la Relazione finale della Commissione.
In ambito societario, l’obiettivo di semplificazione dell’attività d’impresa ha informato specifici interventi in materia di informatizzazione della documentazione contabile e di registrazione per via telematica del trasferimento delle partecipazioni societarie (D.L. 185/2008).
Con il D.Lgs. 123/2012 è stata, poi, data attuazione della direttiva 2009/109/CE, relativa agli obblighi in materia di relazioni e di documentazione in caso di fusioni e scissioni societarie.
Il provvedimento modifica il Libro V, Titolo V, Capo X del codice civile, semplificando la disciplina delle fusioni e delle scissioni delle società e riducendo gli obblighi gravanti su queste ultime. La nuova normativa prevede che, in alternativa al deposito presso il registro delle imprese, la pubblicazione sul web (sito della società o altro sito appositamente destinato) e l'invio di copia per posta elettronica dei progetti di fusione e scissione (e di altri documenti da rendere disponibili ai soggetti interessati) soddisfi gli adempimenti di pubblicità legale. Il decreto, oltre a prevedere una ipotesi di rinuncia alla relazione dell'organo amministrativo sui motivi della fusione, stabilisce che tale organo debba segnalare ai soci in assemblea (e all'organo amministrativo delle altre societa' partecipanti alla fusione) le modifiche rilevanti degli elementi dell'attivo e del passivo eventualmente intervenute tra la data in cui il progetto di fusione e' depositato presso la sede della societa' (ovvero pubblicato nel sito Internet di questa) e la data della decisione sulla fusione.
Ulteriori norme di attuazione della disciplina comunitaria in materia di societa' quotate riguardano gli obblighi di informazione societaria, i diritti degli azionisti delle società quotate, la costituzione delle società per azioni, la revisione legale dei conti, la disciplina delle società di rilevante interesse nazionale, la parità di accesso agli organi societari.
In merito a questo ultimo aspetto, con la legge 120/2011 è stata introdotta una disposizione in base alla quale gli statuti delle società quotate dovranno prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato su di un criterio che assicuri l'equilibrio fra i generi, intendendosi tale equilibrio raggiunto quando il genere meno rappresentato all'interno dell'organo amministrativo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto dovrà applicarsi per tre mandati consecutivi e varrà anche per le società soggette a controllo di pubbliche amministrazioni. Le disposizioni della legge verranno applicate a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti.
Tra gli interventi volti a dare impulso all'economia, si segnala l'istituzione di due nuove forme di società a responsabilità limitata: la società a responsabilità limitata semplificata (D.L. 1/2012) e la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (D.L. 83/2012). Gli specifici contenuti dei due decreti legge sono illustrati nell'apposita scheda.
In materia di societa' cooperative, oltre alle norme volte a limitare le agevolazioni fiscali previste in favore delle predette tipologie societarie - mediante la destinazione di una quota degli utili ad un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti, l'aumento della quota di utili da destinare a riserve indivisibili e della ritenuta fiscale operata sugli interessi corrisposti ai soci, nonché l'incremento della tassazione degli utili netti - è stata modificata la disciplina delle società di mutuo soccorso (SMS), per adeguarne la normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare il loro campo di attività. Viene aggiunta, tra l’altro, la possibilità di svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di aderire in qualità di socio ad un’altra SMS.
Con riguardo all’aspetto processuale, in un quadro più generale di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione regolati dalla legislazione speciale, la legge 69/2009 ha disposto la soppressione del rito societario disciplinato dal D.Lgs 5/2003.
Di particolare rilievo l'intervento del cd. decreto liberalizzazioni (D.L. 1/2012) che ha istituito speciali Tribunali delle imprese in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione. La nuova disciplina amplia notevolmente l'ambito di competenza delle vecchie sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale.
L'art. 33 del D.L. 83/2012 (c.d. decreto crescita) - con la finalità di garantire la continuità aziendale in caso di crisi dell'impresa - ha novellato la legge fallimentare (R.D. 267/1942) per introdurre nel nostro ordinamento la facoltà di depositare un ricorso contenente la mera domanda di concordato preventivo, senza la necessità di produrre contestualmente tutta la documentazione finora richiesta. La nuova normativa, illustrata in misura più approfondita nel dossier del Servizio studi, prevede che il debitore possa così accedere immediatamente alle protezioni previste dalla legge fallimentare con l'obiettivo di promuovere l’emersione anticipata della crisi. Sarà inoltre possibile ottenere, sin dalle primissime fasi della procedura, l’erogazione di nuova finanza interinale e pagare le forniture strumentali alla continuazione dell’attività aziendale in un contesto di stabilità. In questo modo il debitore potrà proseguire nell’attività d’impresa durante la fase preliminare di preparazione della proposta di concordato e, successivamente, durante tutta la procedura sino all’omologa del concordato stesso.
Pur essendosi interrotto l'esame parlamentare, va segnalata l'approvazione presso la Commissione giustizia della Camera di un progetto di riforma del falso in bilancio. In particolare, il provvedimento restituiva natura di delitto al reato di false comunicazioni sociali, attualmente di natura contravvenzionale, di cui all'art. 2621 del codice civile.
Un disegno di legge del Governo (A.C. 1741), infine, prevedeva una delega per una complessa revisione della disciplina penale fallimentare.
Pur non strettamente attinente al diritto commerciale e societario, merita qui segnalazione il problema dei ritardi nei pagamenti alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni, problema tra quelli maggiormente oggetto di attenzione, anche per le note, negative ricadute sulle imprese stesse e l'occupazione. Sulla questione è intervenuto il decreto legislativo 192/2012 che ha fissato in 30 giorni il termine ordinario per i pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra Pubbliche Amministrazioni e imprese; soltanto in casi eccezionali è previsto un termine raddoppiato di 60 giorni. Il decreto, che recepisce la direttiva 2011/7/UE, stabilisce anche un aumento di un punto (dal 7 all'8%) degli interessi di mora. La nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo si applicherà, tuttavia, ai soli contratti conclusi a partire dal 1° gennaio 2013. Per un approfondimento dell'argomento vedi lo specifico tema.
Nel dicembre 2012 è stato adottato il Regolamento (UE) n. 1215/2912 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che sarà applicato a partire dal 10 gennaio 2015. La più importante modifica rispetto alla normativa previgente è costituita dalla abolizione delle procedure di exequatur. Ai sensi del nuovo regolamento, una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro sarà immediatamente esecutiva negli altri Stati membri senza ulteriori adempimenti. Il riconoscimento potrà tuttavia essere negato qualora esso sia manifestamente contrario all’ordine pubblico nello Stato membro richiesto oppure la decisione sia stata resa in contumacia o sia incompatibile con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto.
Nel settore del diritto commerciale è tuttora all’esame delle istituzioni europee la proposta di regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita (COM(2011)635). Obiettivo generale della proposta è migliorare il funzionamento del mercato interno facilitando l'espansione degli scambi transfrontalieri per le imprese e gli acquisti transfrontalieri per i consumatori. La Commissione propone un corpus uniforme di norme di diritto dei contratti, comprensivo di norme a tutela del consumatore – il diritto comune europeo della vendita – da considerarsi alla stregua di un secondo regime di diritto dei contratti nell'ambito dell'ordinamento nazionale di ciascuno Stato membro.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi al diritto fallimentare, il 12 dicembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2012)744) che modifica l’attuale normativa UE in materia di procedure d’insolvenza a carattere transfrontaliero. La proposta ha lo scopo di:
Relativamente ai profili contabili, prosegue l’esame della proposta di direttiva (COM(2011)684) del 25 ottobre 2011 relativa ai bilanci annuali e ai bilanci consolidati che prospetta una revisione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE in materia (cosiddette “direttive contabili”). Lo scopo della revisione è quello di: semplificare gli obblighi relativi alla redazione dei bilanci annuali e consolidati, riducendone gli oneri amministrativi, specialmente per le PMI; aumentare la chiarezza e la comparabilità dei bilanci, con particolare riferimento alle imprese che svolgono attività transfrontaliere; tutelare le esigenze essenziali degli utilizzatori al fine di conservare le informazioni contabili ad essi necessarie; migliorare la trasparenza dei pagamenti allo Stato da parte di imprese delle industrie estrattive e di imprese utilizzatrici di aree forestali primarie.
Con riguardo il governo societario, è attualmente all’esame delle istituzione UE una proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere negli organi direttivi delle società, stabilendo un obiettivo minimo del 40% di persone del sesso sotto-rappresentato tra i membri senza incarichi esecutivi dei consigli delle società europee quotate, da raggiungere entro il 2020 o, per le imprese pubbliche quotate, entro il 2018.
Il Governo Berlusconi ha presentato alla Camera il disegno di legge A.C. 1741, che delegava il Governo - oltre che a riformare le procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - a modificare la disciplina dei reati fallimentari contenuta nella legge fallimentare (RD 267/1942). Il provvedimento ha interrotto il proprio iter in sede referente.
Le tre diverse ipotesi del delitto di bancarotta fraudolenta sono attualmente disciplinate da un’unica disposizione: l'art. 216 della legge fallimentare.
Commette questo delitto l'imprenditore dichiarato fallito che, prima dell'intervento della sentenza di fallimento, ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero - allo scopo di recare pregiudizio ai creditori - ha esposto o riconosciuto passività inesistenti (c.d. bancarotta patrimoniale). Si configura la bancarotta anche se le predette condotte sono commesse dopo la sentenza e durante la procedura fallimentare (c.d. bancarotta post-fallimentare). Commette altresì il delitto di bancarotta fraudolente l'imprenditore dichiarato fallito che sottrae, distrugge o falsifica i libri e le scritture contabili allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un danno ai creditori (c.d. bancarotta documentale), ovvero esegue pagamenti o simula titoli di prelazione per favorire taluno dei creditori (c.d. bancarotta preferenziale).
Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo dall'imprenditore commerciale, cui vengono equiparati l'imprenditore occulto e colui che esercita l'attività commerciale per il perseguimento di un fine illecito. Con il fallito può concorrere nel reato anche un terzo, se la sua attività si è inserita nel processo criminoso con efficacia causale sull'evento.
L'elemento soggettivo, secondo alcuni, consiste nella volontà del soggetto agente di trarre profitto, per sé o per altri, dei fatti commessi con pregiudizio ai creditori (dolo specifico). Altri autori invece ritengono che sia sufficiente il dolo generico, ossia la sola volontà di compiere i vari atti a prescindere dallo scopo.
La pena è la reclusione da 3 a 10 anni in caso di bancarotta patrimoniale e documentale; la reclusione da 1 a 5 anni in caso di bancarotta preferenziale. Inoltre, la specifica condanna per bancarotta fraudolenta comporta per 10 anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e, sempre per 10 anni, l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Ai sensi dall'art. 217 della legge fallimentare, commette il delitto di bancarotta semplice l'imprenditore, dichiarato fallito, che effettua spese personali (o per la famiglia) eccessive rispetto alla sua condizione economica, che consuma parte del suo patrimonio in operazioni imprudenti, che compie gravi atti per ritardare il fallimento, che aggrava il proprio dissesto, omettendo la richiesta di fallimento (c.d. bancarotta patrimoniale) e, infine, che non soddisfa le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
Commette il medesimo delitto l'imprenditore, poi dichiarato fallito, che nei 3 anni precedenti alla dichiarazione di fallimento non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritte dalla legge, o li ha tenuti in maniera incompleta (c.d. bancarotta documentale).
Anche in questi casi si tratta di reati propri, che possono essere commessi solo dall'imprenditore commerciale, mentre l'elemento soggettivo può essere anche solo la colpa, ritenendosi quindi sufficiente ai fini della punibilità che il fallito abbia agito con imprudenza, imperizia o negligenza. Il dolo è richiesto solo in relazione all'inadempimento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato.
La pena è fissata nella reclusione da 6 mesi a 2 anni, cui si aggiunge l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per massimo 2 anni.
L'art. 217-bis della legge fallimentare esclude che ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, di un piano ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato (v. Legge 3/2012 - Composizione delle crisi da sovraindebitamento, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice non si applicano né la bancarotta preferenziale né la bancarotta semplice.
Per punire il reato di bancarotta (fraudolenta o semplice) è necessaria la dichiarazione di fallimento e quindi occorre che il soggetto che commette il reato sia imprenditore soggetto al fallimento. Ai sensi dell’art. 223 della legge fallimentare, le pene stabilite dall’art. 216 (reclusione da 3 a 10 anni per la bancarotta patrimoniale e documentale; reclusione da 1 a 5 anni per la bancarotta preferenziale; pena accessoria dell’inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per 10 anni) si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite, se:
Inoltre, ai sensi dell’art. 217 della legge fallimentare, le pene previste per il delitto di bancarotta fraudolenta possono essere comminate anche all’institore dell’imprenditore dichiarato fallito che abbia commesso i fatti di cui all’art. 116 della stessa legge.
Ai sensi dell’art. 224 della legge fallimentare, le pene stabilite nell’art. 217 per il delitto di bancarotta semplice (reclusione da 6 mesi a 2 anni e inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale con incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per massimo 2 anni) si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali abbiano:
L'articolo 232 della legge fallimentare prevede al primo comma il reato di domanda di ammissione di crediti simulati. Commette questo reato chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona, presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato.
Si tratta di un reato comune (chiunque) la cui condotta non si esaurisce nella presentazione della domanda di ammissione al passivo, ma comprende anche la fraudolenta simulazione, che deve accompagnare o precedere l'istanza di insinuazione. La fattispecie rientra nella categoria dei reati di pericolo e, più precisamente, di pericolo presunto: per la sussistenza del reato pertanto non è necessario che la condotta abbia cagionato un danno effettivo al fallimento e alle aspettative dei creditori ammessi al concorso, ma è sufficiente che il pericolo di tale danno derivi presuntivamente dalla presentazione del credito fraudolentemente simulato, senza che ne rilevi l'ammissione o meno al passivo. L'elemento soggettivo viene individuato nel dolo generico.
La pena è la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 51 a 516 euro; il reato è attenuato e la pena dimezzata se la domanda è ritirata prima della verifica dello stato passivo (secondo comma).
Il reato di ricettazione fallimentare è previsto dal terzo comma dell'art. 232 L.F. Commette tale reato chiunque:
Anche in questo caso – al pari della domanda di ammissione di crediti simulati - si tratta di reato comune (chiunque), di reato di pericolo presunto ed è richiesto il dolo generico. La pena della reclusione da 1 a 5 anni è aumentata se l'acquirente è un imprenditore commerciale (quarto comma).
Ai sensi dell’art. 219 della legge fallimentare, i reati di bancarotta fraudolenta (art. 216), bancarotta semplice (art. 217) e ricorso abusivo al credito (art. 218) sono aggravati se:
Gli stessi reati sono attenuati - e le pene ridotte fino al terzo - se i fatti commessi hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità. L’art. 221 prevede invece, in generale, che se al fallimento si applica il procedimento sommario, le pene previste per i reati commessi dal fallito sono ridotte fino al terzo.
Attualmente, ferma la possibile applicazione delle pene accessorie previste dal codice penale, la legge fallimentare prevede le seguenti specifiche ipotesi:
In particolare, il disegno di legge del Governo A.C. 1741 delegava il Governo a:
Il disegno di legge delega individuava inoltre una serie di principi e criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto rispettare nel riformare le sanzioni e nell'introdurre specifiche aggravanti ed attenuanti. Per quanto riguarda, in particolare, le pene accessorie, il Governo avrebbe dovuto prevedere che alla condanna per bancarotta fraudolenta, anche impropria, bancarotta semplice e bancarotta semplice impropria conseguisse l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.
Il provvedimento dettava ulteriori principi e criteri direttivi, tra i quali si segnalano:
Il provvedimento è stato esaminato in sede referente dalle Commissioni riunite Giustizia ed Attività produttive che hanno deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva. Il disegno di legge ha interrotto il proprio iter in sede referente.
Il tema del c.d. falso in bilancio o, più correttamente, delle fattispecie penali riconducibili alle false comunicazioni sociali contenute nel libro del codice civile dedicato alle società, è stato affrontato dal Parlamento anche nella XVI legislatura. In particolare, alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate alla Camera sono state esaminate dalla Commissione giustizia, che ha approvato un testo unificato (A.C. 1777-A) il cui iter si è interrrotto prima dell'approvazione in Assemblea.
La disciplina degli illeciti societari contenuta nel codice civile (Titolo XI del Libro V del codice civile, recante Disposizioni penali in materia di società e di consorzi) è stata modificata due volte negli ultimi dieci anni; gli articoli relativi alle false comunicazioni sociali sono stati infatti prima integralmente riscritti dal decreto legislativo 61/2002 (attuativo della delega contenuta nella legge 366/2001), quindi novellati dalla cd. legge sul risparmio (legge 262/2005).
La disciplina sanzionatoria è attualmente imperniata sull'articolo 2621 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali”), volto a salvaguardare la fiducia che deve poter essere riposta nella veridicità dei bilanci o delle comunicazioni dell'impresa organizzata in forma societaria.
La fattispecie, meno grave rispetto a quella prevista dal successivo art. 2622 c.c., punisce con l'arresto fino a due anni gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili ed i liquidatori che nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali espongono fatti non veri ovvero omettono informazioni la cui comunicazione sia imposta dalla legge. Si tratta di un reato di natura contravvenzionale («â€¦sono puniti con l'arresto fino a due anni»), di un reato di pericolo («â€¦in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari…»), punito solo se commesso con dolo intenzionale («â€¦con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»).
La disposizione prevede poi alcuni casi di non punibilità del fatto:
In questi casi, peraltro, ai responsabili delle false comunicazioni sociali si applica comunque una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 a 100 quote, oltre alla sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da 6 mesi a 3 anni.
L'articolo 2622 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali in danno ai soci e ai creditori”), mira a tutelare il patrimonio e dunque - pur riproponendo le condotte previste dall'articolo precedente e le corrispondenti ipotesi di non punibilità - sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni i responsabili delle false comunicazioni sociali, se la falsità provoca un danno patrimoniale per i soci, i creditori, o la società stessa. La fattispecie ha natura delittuosa ("reclusione") ed è costruita come reato di danno («â€¦cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori…»).
La norma, peraltro, diversifica la pena e la procedibilità del reato per le seguenti tre ipotesi:
A chiusura del Capo dedicato alle falsità, l'art. 2625 c.c. prevede la fattispecie di impedito controllo, che contempla due distinti illeciti, uno di natura amministrativa, l'altro di natura penale.
L'illecito amministrativo è strutturato attraverso la condotta dell'impedire o, comunque, ostacolare l'esercizio delle funzioni di controllo attribuite dalla legge ai soci o agli organi sociali ed è sanzionato con la pena pecuniaria fino a 10.329 euro. L’illecito penale, di natura delittuosa («reclusione fino ad un anno»), scatta quando la condotta cagiona un danno ai soci. La pena è raddoppiata quando la fattispecie riguarda società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria.
L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626) è una fattispecie generale di salvaguardia dell'integrità del capitale che punisce la restituzione, anche simulata, dei conferimenti o la liberazione dei soci dall'obbligo di eseguirli, al di fuori, naturalmente, delle ipotesi di legittima riduzione del capitale sociale.
L'illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627) è norma posta a tutela dell'integrità del capitale e delle riserve obbligatorie per legge attraverso una previsione contravvenzionale che appare strutturalmente dolosa. La norma prevede la clausola "Salvo che il fatto non costituisca più grave reato", in quanto l'illegale ripartizione di utili o riserve da parte degli amministratori può integrare un reato più grave (ad esempio, il delitto di appropriazione indebita, punita dall'art. 646 c.p. con la reclusione fino a tre anni e la multa).
L’art. 2628 c.c., relativo alle illecite operazione sulle azioni o quote sociali o della società controllante, punisce con la reclusione fino ad un anno gli amministratori che, fuori dei casi consentiti, acquistano azioni o quote cagionando una lesione all'integrità del capitale.
L’art. 2629 (operazioni in pregiudizio dei creditori) mira a tutelare l'integrità del patrimonio sociale e prevede una causa di estinzione del reato, consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio. Il delitto procedibile a querela.
L’art. 2629-bis (introdotto dalla legge sul risparmio) contempla il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi. Soggetti attivi del reato possono essere l’amministratore o il componente del consiglio di gestione di:
La condotta consiste nella violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, del codice civile, e dunque essenzialmente dell’obbligo di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, l’amministratore o il componente del consiglio di gestione abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; nonché dell’obbligo, per l’amministratore delegato, di astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale. L’evento è dato dalla produzione di danni alla società o a terzi. La sanzione è fissata nella reclusione da uno a tre anni.
L'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630) costituisce illecito amministrativo. Su questa disposizione è intervenuta la legge 180/2011 che ha dimezzato la sanzione amministrativa originariamente prevista per le omissioni (portando oggi la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro) e stabilito l'ulteriore riduzione di un terzo della sanzione qualora i medesimi adempimenti vengano effettuati nel termine di 30 giorni dalla scadenza. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è invece aumentata di un terzo. L'intervento dichiarato del legislatore è stato di «rendere più equo il sistema delle sanzioni cui sono sottoposte le imprese relativamente alle denunce, alle comunicazioni e ai depositi da effettuarsi presso il registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio».
L’art. 2631 (omessa convocazione dell'assemblea), finalizzato alla tutela dei diritti delle minoranze nonché alla tutela del diritto all'informazione sull'integrità patrimoniale della società, sostituisce l'abrogato art. 2630, comma 2, n. 2) c.c. (la disposizione è stata trasformata in illecito amministrativo, ritenendo tale configurazione un sufficiente presidio per la tutela del generale regolare funzionamento delle società).
L’art. 2632 (formazione fittizia del capitale) costituisce la prima delle fattispecie di reato posta a tutela dell'effettività ed integrità del capitale sociale. Si tratta di una fattispecie delittuosa, procedibile d'ufficio, costruita come reato d'evento a condotta vincolata, punita con la reclusione fino ad un anno. Nel testo risultante dalle modifiche successivamente apportate dall’art. 111-quinquies disp. att. c.c. (inserito dall’art. 9 del d.lgs. n. 6 del 2003), l'evento costitutivo del delitto – la formazione o l'aumento di capitale – deve essere cagionato, per essere penalmente rilevante, da una delle tre condotte descritte dal legislatore, ossia: l’attribuzione di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale; la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; la sopravvalutazione rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.
L'indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633) (punita con la reclusione da sei mesi a tre anni) mira a tutelare i creditori in sede di liquidazione e va a sostituire l'abrogato art. 2625 c.c. Come per l'ipotesi precedente è stata introdotta la procedibilità a querela e la causa di estinzione del reato consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio.
La fattispecie di infedeltà patrimoniale (art. 2634), punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, riguarda la condotta degli amministratori, direttori generali e liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Anche in tal caso, si prevede la procedibilità a querela della persona offesa.
La c.d. legge anticorruzione (legge 190/2012) ha sostituito l'art. 2635 del codice civile, ora rubricato "corruzione tra privati". La disposizione punisce con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiendo od omettendo atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionano nocumento alla società. Le pene sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati ma il delitto è sempre procedibile a querela.
L'illecita influenza sull'assemblea (art. 2636) si perfeziona con la formazione irregolare di una maggioranza. La condotta deve esprimersi nel compimento di atti simulati o fraudolenti (e risulta così precisata rispetto all'abrogato art. 2630 1° comma n. 3 c.c., che utilizzava il concetto più generico di “mezzi illeciti”, sia pure specificando alcune forme tipiche di espedienti). Soggetto attivo non è più il solo amministratore ma chiunque. Il fatto è collegato all'esigenza che la condotta abbia determinato una maggioranza che altrimenti non si sarebbe formata, escludendo il rilievo dell'influenza non decisiva.
L’articolo 2637 accorpa le diverse fattispecie di aggiotaggio che viene configurato come reato comune e mira a tutelare l'economia pubblica ed in particolare il regolare funzionamento del mercato. Esso punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.
Con riferimento all’ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638), si è costruita una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del codice, sulla quale è successivamente intervenuta la cd. legge sul risparmio. I due commi prevedono fattispecie delittuose diverse per modalità di condotta e momento offensivo: la prima centrata sul falso commesso al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza; la seconda sulla realizzazione intenzionale dell'evento di ostacolo attraverso qualsiasi condotta (attiva o omissiva). Si è ritenuto di prevedere la stessa pena (reclusione da due a quattro anni) per ambedue le ipotesi, attesa la sostanziale equivalenza fra la più grave condotta di falso, nella prima, e le condotte meno gravi, nella seconda, che però determinano l'ostacolo alle funzioni di vigilanza. La legge sul risparmio ha previsto il raddoppio della pena quando tali fattispecie riguardino società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del testo unico sull’intermediazione finanziaria 58/1998.
Infine, il codice civile tratta della figura dell'amministratore di fatto all'art. 2639, relativo all’estensione delle qualifiche soggettive. L'equiparazione, ai fini della responsabilità, collegata all'esercizio di fatto delle funzioni è circoscritto alla presenza degli elementi della continuità e della significatività rispetto ai poteri tipici della funzione. Il secondo comma, coerentemente all'abrogazione delle norme relative ai delitti commessi dagli amministratori giudiziali e dai commissari governativi, si ricollega ad una esigenza di razionalizzazione dell'intera materia, prevedendo espressamente ed in via generale che le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applichino anche ai soggetti che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi; ferma restando, ovviamente, la possibilità di applicare la disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in tutti gli altri casi.
L'articolo 2640 prevede una circostanza attenuante dell'offesa di particolare tenuità applicabile a tutte le fattispecie di reato mentre l'art. 2641 introduce, anche per i reati societari, l'istituto della confisca obbligatoria in caso di condanna o di pena patteggiata ex art. 444.
La Commissione giustizia della Camera ha iniziato il 1° luglio 2009 l’esame di una proposta di legge (A.C. 1895, Di Pietro-Palomba) volta a modificare ampiamente il titolo XI del libro quinto del codice civile in tema di disciplina sanzionatoria delle false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari. Solo il 1° febbraio 2012 è stata abbinata la proposta A.C. 1777 (Di Pietro), di contenuto più circoscritto, in quanto volta esclusivamente a novellare la disciplina delle false comunicazioni sociali.
Nell’ambito dell’esame delle proposte, la Commissione ha svolto un’attività conoscitiva che ha comportato l’audizione informale di rappresentanti dell´Associazione nazionale magistrati, di magistrati (Paolo De Angelis, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari; Francesco Greco, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Milano; Renato Rordorf, Consigliere della Corte di Cassazione) e di esperti di diritto penale (Prof. Alberto Alessandri e Prof. Filippo Sgubbi).
Il 26 aprile 2012, dopo che i provvedimenti in esame sono stati inseriti nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione, su richiesta del gruppo IdV, la Commissione ha adottato l’A.C. 1777 come testo base. La Commissione Giustizia ha concluso l’esame del testo, accogliendo alcuni emendamenti, nella seduta del 23 maggio 2012.
Il provvedimento approvato dalla Commissione in sede referente è volto a modificare la disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile (artt. 2621 e 2622) nonché a novellare la disciplina della responsabilità dei revisori dei conti, disciplinata dal d.lgs 39/2010.
In particolare, il provvedimento intende sanzionare con l'articolo 2621 c.c. le false comunicazioni sociali commesse nell'ambito di società non quotate, destinando il successivo articolo 2622 alle condotte di falsità commesse in società quotate o con azionariato diffuso. In sintesi, per quanto riguarda l'articolo 2621 c.c., l'AC 1777-A novella il primo comma, intervenendo esclusivamente sulla pena e prevedendo che le false comunicazioni sociali ai soci o al pubblico siano punite con la reclusione fino a tre anni. Le false comunicazioni sociali, attualmente concepite come reato di pericolo sanzionato in via contravvenzionale (arresto fino a due anni), tornano dunque ad essere un delitto.
Per quanto riguarda l'articolo 2622 c.c., il provvedimento:
Quanto alle circostanze aggravanti e attenuanti, il testo - dopo aver eliminato dall'art. 2622 c.c. l'aggravante per il "grave nocumento ai risparmiatori" - inserisce nel codice civile due nuovi articoli:
Il provvedimento approvato dalla Commissione giustizia interviene inoltre, per esigenze sistematiche, sull'articolo 27 del decreto legislativo n. 39/2010, dedicato alla falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale. La fattispecie penale viene novellata per adeguarla ai principi espressi dalla disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile. in particolare, la sanzione dell'arresto fino a un anno è sostituita da quella della reclusione fino a quattro anni.
Il provvedimento, che l'Assemblea ha discusso nella seduta del 28 maggio 2012, non ha concluso l'iter.
Un primo gruppo di norme ha inteso rimodulare il regime fiscale delle società cooperative, limitando le agevolazioni fiscali previste in favore delle predette tipologie societarie (D.L. n. 112 del 2008). In particolare, le cooperative a mutualità prevalente sono state vincolate a destinare almeno il 5% degli utili realizzati ad un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti; è stata progressivamente aumentata la quota di utili che le cooperative di consumo e i consorzi devono destinare a riserve indivisibili; è stata altresì aumentata dal 12,5 al 20 per cento l’aliquota della ritenuta fiscale operata sugli interessi corrisposti ai soci.
Successivamente, il decreto-legge n. 138 del 2011 ha innalzato la tassazione degli utili netti annuali delle società cooperative: l’incremento è stato dal 55 al 65 per cento per le cooperative di consumo e dal 30 al 40 per cento per le altre cooperative a mutualità prevalente diverse da quelle agricole e della piccola pesca. Inoltre è stata introdotta una percentuale di tassazione pari al 10 per cento della quota di utili netti annuali destinati a riserva minima obbligatoria.
Il decreto-legge n. 16 del 2012 ha poi escluso - per il 2012 - le banche di credito cooperativo dalla predetta tassazione.
La disciplina delle società di mutuo soccorso (SMS), contenuta nella legge n. 3818 del 1886, è stata modificata dall’articolo 23 del decreto-legge n.179 del 2012, per adeguarne la normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare il loro campo di attività. Viene, aggiunta, tra l’altro, la possibilità di svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di aderire in qualità di socio ad un’altra SMS.
Più in dettaglio, si prevede l’iscrizione delle società di mutuo soccorso al Registro delle imprese secondo criteri e modalità che verranno stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, al fine di superare l’opposizione di alcune CCIAA che considera tali società enti non commerciali. L'iscrizione avviene nella sezione "imprese sociali", con l’ulteriore automatica iscrizione presso l’Albo delle società cooperative, analogamente a quanto previsto dal comma 2, dell’articolo 10, della legge n. 99 del 2009 per le imprese cooperative.
Mediante sostituzione dell’articolo 1 della legge 15 aprile 1886, n. 3818, si riconduce anzitutto l'assenza di finalità di lucro al perseguimento della finalità di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà che qui va inteso in senso orizzontale, ai sensi dell'articolo 118 ultimo comma Cost.. Si ampliano le attività che le società di mutuo soccorso possono svolgere in esclusivo favore dei soci e dei loro familiari conviventi. Le predette società possono altresì promuovere attività di carattere educativo e culturale ai fini della prevenzione sanitaria e della diffusione dei valori mutualistici.
Si introduce inoltre la “mutualità mediata”, in virtù della quale anche una di tali società può - oltre ad avere soci sostenitori, anche persone giuridiche - divenire socia ordinaria di altre società di mutuo soccorso; ciò a condizione che lo statuto lo preveda espressamente e che i membri persone fisiche di tali enti giuridici siano destinatari di una delle attività istituzionali delle medesime società di mutuo soccorso; la possibilità di aderire in qualità di socio è prevista anche per i Fondi sanitari integrativi in rappresentanza dei lavoratori iscritti.
La norma è volta, tra l’altro a recepire il dettato del Regolamento 2003/1435/CE del 22 luglio 2003 relativo allo statuto della Società cooperativa europea (SCE).
La norma inoltre ammette la categoria dei soci sostenitori, i quali possono essere anche persone giuridiche. I soci sostenitori possono designare fino ad un terzo degli amministratori, che vanno comunque scelti tra i soci ordinari.
E’ poi prevista la devoluzione patrimoniale della società in liquidazione o trasformata: ne beneficiano altre S.M.S. ovvero i fondi mutualistici ovvero il corrispondente capitolo di bilancio dello Stato.
Viene confermato l’attuale sistema di vigilanza posto in capo al Ministero dello sviluppo economico ed alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, aggiungendo in capo a queste (nei confronti delle SMS aderenti) la possibilità di essere delegatarie dei poteri di revisione del MiSE. Resta in capo al MiSE il potere di disporre la perdita della qualifica di società di mutuo soccorso e la cancellazione dal Registro delle Imprese e dall'Albo delle società cooperative.
Si reca un'interpretazione autentica in tema di vigilanza sugli enti cooperativi e loro consorzi, nel senso di limitarne gli effetti alle sole pubbliche amministrazioni ai fini della legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura, nonché per l'adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori.
Tra gli interventi del Governo volti a dare impulso all'economia italiana si segnala l'istituzione di due nuove forme di società a responsabilità limitata: la società a responsabilità limitata semplificata (D.L. n.1 del 24 gennaio 2012) e la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (D.L. n.83 del 22 giugno 2012).
La società a responsabilità limitata semplificata, introdotta dall'articolo 3 del decreto-legge n. 1 del 2012, mediante il nuovo articolo 2463-bis del codice civile, può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche, che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione.
La disposizione tende a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro - prevedendo il requisito dell’età fino ai trentacinque anni in coerenza con l’articolo 27 del decreto legge n. 98 del 2011 (circa il regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile) - mediante la loro partecipazione a strutture associative prive dei rigorosi limiti previsti fino ad ora per le società di capitali, che di fatto impedirebbero l’accesso a tale tipo di strutture da parte degli imprenditori più giovani e meno abbienti.
Assonime (l'Associazione fra le Società italiane per Azioni), con la circolare n. 29/2012, specifica che il requisito dell’età costituisce un elemento che deve sussistere al momento della costituzione della società, oppure al momento dell’ingresso di nuovi soci (poiché è questo il momento dell’avvio per il soggetto che subentra), ma non deve necessariamente permanere nel corso dell’intera vita sociale. Pertanto, si deve ritenere che: il superamento del requisito anagrafico non determina effetti sulla partecipazione del singolo socio o sull’organizzazione della società; i presupposti che giustificano l’esclusione del socio, la trasformazione o lo scioglimento della s.r.l.s. siano solo quelli indicati in generale per le s.r.l. dagli articoli 2473 bis e 2484 del codice civile.
L’atto costitutivo della società
L'atto costitutivo della società semplificata deve essere redatto per atto pubblico secondo un modello standard, successivamente definito con Dm Giustizia 138 del 23 giugno 2012 e deve indicare: 1) il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio; 2) la denominazione sociale contenente l'indicazione di società semplificata a responsabilità limitata e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro previsto per la società a responsabilità limitata ordinaria, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro e essere versato all'organo amministrativo; 4) alcuni requisiti previsti dalla disciplina per la società a responsabilità limitata, vale a dire l'attività che costituisce l'oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza, le persone cui è affidata l'amministrazione e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; 5) il luogo e la data di sottoscrizione; 6) gli amministratori, i quali devono essere scelti tra i soci. Assonime sostiene inoltre che la Srl semplificata, per la parte non regolata dal modello, può inserire clausole statutarie ulteriori, a condizione di non porsi in contrasto con le previsioni del modello e le finalità specifiche della s.r.l.s.
La denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico E’ inoltre previsto il divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età, determinandosi, in tali casi la nullità dell’atto. Per quanto non espressamente previsto dall’articolo in commento, si rinvia alla disciplina della società a responsabilità limitata ordinaria (di cui al capo VII del titolo V del libro V del codice civile).
Le misure agevolative
Tra le misure agevolative, si ricorda, infine, l’esenzione – per l’atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese - da diritti di bollo e di segreteria nonché da onorari notarili.
La vigilanza
Al Consiglio nazionale del notariato sono attribuiti compiti di vigilanza sulla corretta e la tempestiva applicazione delle disposizioni da parte dei singoli notai. Il Consiglio pubblica ogni anno i relativi dati sul proprio sito istituzionale.
La società a responsabilità limitata a capitale ridotto è disciplinata dall’articolo 44 del decreto-legge n. 83 del 2012, le cui norme sono volte a ridurre i costi per l’avvio di un’impresa. E’ consentito, infatti, anche a coloro che hanno già compiuto 35 anni, di costituire società a responsabilità limitata, partendo da un capitale sociale limitato pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro. L’obiettivo è quello di ridurre i costi per l’avvio di un’impresa, anche per questa fascia d’età, consentendo di costituire, con contratto o atto unilaterale redatto nella forma di atto pubblico, società a responsabilità limitata.
A tal proposito Assonime ha ribadito, con riguardo al requisito dell’età, la tesi sostenuta del Ministero dello Sviluppo economico secondo cui la s.r.l. a capitale ridotto può esser costituita sia da persone fisiche di età inferiore, sia da persone fisiche di età superiore ai 35 anni. Pertanto, secondo tale interpretazione, la s.r.l. a capitale ridotto può essere validamente costituita da tutte le persone fisiche che abbiano compiuto i 18 anni di età.
L’atto costitutivo della società
Diversamente dalla costituzione di S.r.l. semplificate, per le quali il legislatore ha stabilito non solo l’esenzione da diritti di bollo e di segreteria, ma, soprattutto, la gratuità della prestazione notarile, per le S.r.l. a capitale ridotto non sono previste agevolazioni economiche. Anche lo standard di atto costitutivo previsto –adottato con Dm Giustizia 138 del 23 giugno 2012 - per le S.r.l. degli under 35 non si applicherà alle S.r.l. degli over 35.
Il contenuto dell’atto (mutuato, salva la disposizione sugli amministratori, sulla formulazione dell’art. 2463-bis c.c.) dovrà essere il seguente: 1) cognome, nome, data, luogo di nascita, domicilio, cittadinanza di ciascun socio; 2) denominazione sociale contenente l'indicazione di società a responsabilità limitata a capitale ridotto e comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro previsto per la società a responsabilità limitata ordinaria, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro e essere versato all'organo amministrativo; 4) alcuni requisiti previsti dalla disciplina per la società a responsabilità limitata, vale a dire l'attività che costituisce l'oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza, le persone cui è affidata l'amministrazione e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; 5) luogo e data di sottoscrizione; 6) indicazione degli amministratori, che possono (diversamente dalla S.r.l. semplificata) anche essere scelti tra persone diverse dai soci.
Per quanto riguarda le regole sul capitale sociale, Assonime rammenta che il conferimento, sia per la srl semplificata che per quella a capitale ridotto, deve essere fatto in denaro e deve essere versato all’organo amministrativo al momento della costituzione. Tale obbligo non sembra però valere in sede di aumento di capitale sociale oltre il tetto massimo del capitale consentito (ovvero quando il capitale sia maggiore di 10.000 euro); ciò in quanto, l’aumento comporta sia il mutamento del modello societario e il conseguente passaggio al regime della srl ordinaria
Il D.L. 83/2012 dispone che la denominazione “società a responsabilità limitata a capitale ridotto”, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta, devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico. Per quanto non espressamente previsto dal decreto si rinvia alla disciplina della società a responsabilità limitata ordinaria (artt. 2462-2483 del codice civile), in quanto compatibile.
Accesso al credito agevolato
Al fine di favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese giovanili, prevede inoltre che il Ministro dell'economia e delle finanze promuova un accordo con l’Associazione bancaria italiana - ABI per fornire credito a condizioni agevolate ai giovani di età inferiore a 35 anni, che intraprendono attività imprenditoriale attraverso la costituzione di una società a responsabilità limitata a capitale ridotto.
L'articolo 2 del decreto-legge 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) prevede l'istituzione del "Tribunale delle imprese", ampliando in misura significativa la sfera di competenza delle precedenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (istituite dal d. lgs. 168/2003 presso alcuni tribunali e corti d'appello). Le sezioni specializzate in materia d'impresa, se non già previste, sono istituite - con specifiche eccezioni - presso tutti i tribunali e corti d'appello con sede nel capoluogo di ogni regione.
L'articolo 2 del decreto-legge 1/2012 (decreto liberalizzazioni, convertito con modificazioni dalla legge 27/2012) ha profondamente riformato la disciplina relativa alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, che il decreto legislativo 168/2003 aveva istituito presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.
In particolare, l'articolo 2, oltre a modificarne la denominazione in “sezioni specializzate in materia di impresa” istituisce nuove sezioni specializzate in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione che finora ne erano sprovvisti (si tratta delle sedi di Ancona, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Perugia, Potenza e Trento) nonché, in quanto sede di Corte d’appello, presso il tribunale e la Corte d’appello di Brescia. La competenza per il territorio della Valle d’Aosta è attribuita al tribunale e alla Corte d’appello di Torino.
I giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze, senza che l’istituzione delle nuove sezioni comporti la necessità di incrementi di organico.
Quanto alle controversie attribuite alla competenza del tribunale delle imprese, la riforma ha ampliato la competenza per materia delle sezioni specializzate. In particolare, il decreto-legge conferma la competenza sulle controversie in materia di proprietà industriale di cui all'articolo 134 del D.Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) aggiungendo:
In materia societaria, è attribuita al tribunale delle imprese la competenza su specifiche controversie relative:
Più analiticamente, per quanto concerne la tipologia di controversie e procedimenti societari attratti alla competenza delle sezioni specializzate, la riforma indica le cause relative a rapporti societari, compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni alla delibera dell’assemblea di riduzione del capitale sociale delle spa e delle srl (articoli 2445, terzo comma e 2482, secondo comma, c.c.), le opposizioni all’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di destinazione di un patrimonio della società ad uno specifico affare (art. 2447-quater, secondo comma, c.c.), le opposizioni alla revoca dello stato di liquidazione della società (art. 2487-ter, secondo comma, c.c.), le opposizioni alle fusioni di società da parte dei creditori e dei possessori di obbligazioni delle società partecipanti (artt. 2503 e 2503-bis, c.c.), le opposizioni alla scissione delle società (art. 2506-ter c.c.). Come norma di chiusura, la disposizione attribuisce ai tribunali dell’impresa la competenza anche sulle cause che presentano ragioni di connessione con quelle sopraelencate.
Quanto alla competenza per territorio, il decreto-legge riformula l'articolo 4 del D.lgs. 168/2003 stabilendo che le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione (i tribunali circondariali) sono assegnate alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo della regione individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni istituite presso tribunali e corti d’appello non capoluoghi regionali sono attribuite le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corti d’appello.
L'articolo 2 del decreto-legge liberalizzazioni raddoppia, per i processi di competenza delle sezioni specializzate, il contributo unificato previsto dal TU spese di giustizia.
Parte del maggior gettito derivante dall’aumento (600.000 euro) - per ciascuno degli anni 2012 e 2013 - è destinato agli oneri derivanti dall’istituzione delle nuove sezioni specializzate in materia di impresa. dal 2014 l'intero maggior gettito del contributo unificato sarà versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia civile, amministrative e tributaria (ai sensi dell'articolo 37, co.10, del D.L. 98/2011).
Una disposizione transitoria stabilisce che le disposizioni sul tribunale delle imprese si applicano ai giudizi instaurati dopo il 180° giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 1/2012, ovvero ai giudizi instaurati dopo il 24 settembre 2012.
La legge 99/2009 (c.d. collegato energia) mira, tra l'altro, a rafforzare la tutela penalistica della proprietà industriale e a contrastare più efficacemente la contraffazione; misure anche di natura penale di tutela del made in Italy sono contenute nel decreto-legge 135/2009, di attuazione di obblighi comunitari; ad inizio legislatura, nell'ambito di un decreto-legge di più ampio contenuto in materia di sicurezza (D.L. 92/2008), è stata apportata una modifica al codice di procedura penale volta a prevedere la distruzione delle merci contraffatte sequestrate. Il D.Lgs 231/2010 ha dettato una specifica disciplina transitoria volta alla tutela dei diritti di proprietà industriale su opere "di pubblico dominio" non registrate ai sensi della legge 633/1942 sul diritto d'autore.
La legge 99/2009 (c.d. collegato in materia di energia) mira, tra l’altro, a rafforzare la tutela penale della proprietà industriale riformulando alcuni articoli del codice penale, inserendovi nuove fattispecie di reato e apportando modifiche alla disciplina della confisca.
In particolare, il provvedimento (art. 15):
Con il decreto-legge 135/2009 si è intervenuti sulla disciplina del Made in Italy:
Ad inizio legislatura, il Parlamento ha convertito il decreto-legge 92/2008 in tema di sicurezza pubblica. Il provvedimento è, tra l’altro, intervenuto sul codice di procedura penale prevedendo la distruzione delle merci prodotte in violazione delle norme a tutela della proprietà industriale e sequestrate dall’autorità giudiziaria, anche al fine di risolvere le difficoltà di carattere economico e pratico che la custodia e la conservazione di ingenti quantitativi di merce può porre.
Attraverso la modifica dell’art. 260 c.p.p. si è in particolare stabilito che l'autorità giudiziaria deve procedere alla distruzione delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, in presenza delle seguenti condizioni:
L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni e ordina la distruzione della merce residua. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, a tre mesi dal sequestro ( fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari), può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria.
Appare opportuno segnalare, in quanto occasione di un intervento del Legislatore, la complessa questione inerente la disciplina transitoria della tutela del diritto d’autore nel campo del design industriale.
Sulla materia in questione, si è infatti pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza 27 gennaio 2011 (nella nota causa "Flos") in risposta al rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Milano concernente la compatibilità dell’art. 239 Codice della proprietà industriale (D.Lgs 30/2005) con la direttiva 98/71 e, dunque la compatibilità della normativa italiana sulla protezione del design industriale ai sensi della legge sul diritto d’autore (in attuazione della citata direttiva) con il diritto europeo.
Si tratta del caso sollevato da Flos – nota multinazionale dell’illuminazione - contro la ditta Semeraro che aveva importato dalla Cina un modello di lampade (chiamate “Fluida”) che Flos ha definito imitazioni delle proprie lampade “Arco”. La Flos non aveva, a suo tempo, fatto registrare lampada di propria produzione. Secondo la legge vigente in Italia all’epoca dei fatti, dato che la lampada in questione era ormai caduta in pubblico dominio, non poteva più essere tutelata, e di conseguenza la ditta Semeraro era praticamente legittimata a copiare liberamente il modello Flos senza incorrere nella violazione di alcun diritto. Il Tribunale di Milano, investito originariamente della causa, sospese il giudizio per porre all’attenzione della Corte di Giustizia UE alcune questioni relative alla compatibilità della normativa italiana con quella comunitaria. Venivano così in rilievo principalmente due ipotesi: da un lato quella dei disegni e modelli che prima della data di entrata in vigore della normativa nazionale di trasposizione della direttiva (19 aprile 2001) erano già di pubblico dominio in mancanza di una registrazione come disegni e modelli e, dall’altro, quella in cui, prima di tale data, essi siano divenuti di pubblico dominio in quanto la protezione derivante da una registrazione ha cessato di produrre i suoi effetti. Nella sentenza della Corte di giustizia UE, la prima questione viene risolta nel senso che la normativa comunitaria non consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione della tutela del diritto d’autore quelle opere di design che, in possesso dei requisiti previsti e registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro, siano divenute di pubblico dominio anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa di recepimento della direttiva. Sulla seconda questione, invece, si è stabilito che per venire incontro anche agli interessi di quei terzi che in buona fede avevano fabbricato e commercializzato prodotti realizzati ispirandosi alle opere di design di pubblico dominio, la protezione per questi dovesse essere concessa per un periodo transitorio ispirato ai principi di proporzionalità e ragionevolezza. La Corte di Giustizia ha stabilito che è contrario alla normativa comunitaria un regime transitorio che di fatto escluda la protezione di diritto d’autore per opere che abbiano i requisiti per godere di tale tutela.
Tale decisione, tuttavia, ha perso in parte la sua attualità poiché in pendenza del procedimento la legge italiana è stata nuovamente modificata con una novella dell’art. 239 del D.Lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale) in linea con il contenuto della sentenza comunitaria. Il D.Lgs 131/2010 ha riformulato l'art. 239 del suddetto Codice stabilendo che la tutela ai sensi della legge sul diritto d'autore comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio non rispondono della violazione del diritto d'autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei 5 anni successivi a tale data (il DL 216/2011 ha esteso tale periodo a 13 anni) e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso.