Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento finanze
Altri Autori: Servizio Bilancio dello Stato
Titolo: Esito dei pareri al Governo Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68 (art. 2, L. 42/2009)
Riferimenti:
SCH.DEC 317/XVI     
Serie: Atti del Governo    Numero: 291    Progressivo: 1
Data: 30/05/2011
Descrittori:
DL 2011 0068   FINANZA LOCALE
FINANZA REGIONALE   PROVINCE
REGIONI   SPESA SANITARIA
Organi della Camera: V-Bilancio, Tesoro e programmazione
VI-Finanze
Altri riferimenti:
L N. 42 DEL 05-MAG-09     

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Atti del Governo

Esito dei pareri al Governo

Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard
nel settore sanitario

D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68

(art. 2, L. 42/2009)

 

 

 

 

 

 

 

n. 291/1

 

 

 

30 maggio 2011

 


Servizio responsabile

Servizio Studi – Area finanza pubblica

( 066760-9496 * st_finanze@camera.it
( 066760-9932 * st_bilancio@camera.it

 

 

 

 

 

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File: FI0446a.doc


INDICE

Tavole sinottiche

§      Sistema di finanziamento delle regioni........................................................... 2

§      Sistema di finanziamento delle province........................................................ 3

Schede di lettura

§      Articolo 1 (Oggetto)........................................................................................ 7

§      Articolo 2 (Rideterminazione dell'addizionale all’IRPEF delle regioni a statuto ordinario)    11

§      Articolo 3 (Fabbisogno sanitario).................................................................. 14

§      Articolo 4 (Compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto).. 18

§      Articolo 5 (Riduzione dell'imposta regionale sulle attività produttive).......... 22

§      Articolo 6 (Addizionale regionale all'IRPEF)................................................. 24

§      Articolo 7 (Soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario)    30

§      Articolo 8 (Ulteriori tributi regionali)............................................................... 35

§      Articolo 9 (Attribuzione alle Regioni del gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale)41

§      Articolo 10 (Gestione dei tributi regionali)..................................................... 44

§      Articolo 11 (Misure compensative di interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali)....................................................................................................... 48

§      Articolo 12 (Soppressione dei trasferimenti dalle Regioni a statuto ordinario ai Comuni e compartecipazione comunale alla addizionale regionale all'IRPEF)........... 49

§      Articolo 13 (Livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio)........... 52

§      Articolo 14 (Classificazione delle spese regionali)....................................... 62

§      Articolo 15 (Fase a regime e fondo perequativo)......................................... 64

§      Articolo 16 (Oggetto).................................................................................... 73

§      Articolo 17 (Tributi propri connessi al trasporto su gomma)........................ 77

§      Articolo 18 (Soppressione dei trasferimenti statali alle province e compartecipazione provinciale all’IRPEF)...................................................................................................... 84

§      Articolo 19 (Soppressione dei trasferimenti dalle Regioni a statuto ordinario alle province e compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale).......... 91

§      Articolo 20 (Ulteriori tributi provinciali).......................................................... 97

§      Articolo 21 (Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale).......................... 99

§      Articolo 22 (Classificazione delle spese provinciali).................................. 101

§      Articolo 23 (Fondo perequativo per le Province e per le città metropolitane)106

§      Articolo 24 (Sistema finanziario delle città metropolitane)......................... 110

§      Articolo 25 (Oggetto).................................................................................. 119

§      Articolo 26 (Determinazione del fabbisogno sanitario nazionale standard)127

§      Articolo 27 (Determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali)131

§      Articolo 28 (Interventi strutturali straordinari in materia di sanità).............. 139

§      Articolo 29 (Revisione a regime dei fabbisogni standard)......................... 141

§      Articolo 30 (Disposizioni relative alla prima applicazione)......................... 142

§      Articolo 31 (Disposizioni particolari per regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano)................................................................................... 143

§      Articolo 32 (Misure in materia di finanza pubblica).................................... 147

§      Articolo 33 (Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)    153

§      Articolo 34 (Composizione)........................................................................ 155

§      Articolo 35 (Modalità di funzionamento)..................................................... 156

§      Articolo 36 (Funzioni).................................................................................. 159

§      Articolo 37 (Supporto tecnico).................................................................... 164

§      Articolo 38 (Tributi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera q), della legge n. 42 del 2009)168

§      Articolo 39 (Disposizioni finali di coordinamento)....................................... 170

§      Articolo 40 (Trasporto pubblico locale)....................................................... 176

§      Articolo 41 (Disposizione finanziaria)......................................................... 183

Testo a fronte tra lo schema di decreto legislativo (Atto n. 317) e il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. n. 109/2011)............................................................................................................................. 187

Adempimenti previsti dal decreto legislativo............................ 239

 


Tavole sinottiche



 


Schede di lettura


 

Articolo 1
(Oggetto)

 

1. Le disposizioni del presente capo assicurano l'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e la conseguente soppressione di trasferimenti statali.

2. Le medesime disposizioni individuano le compartecipazioni delle regioni a statuto ordinario al gettito di tributi erariali e i tributi delle regioni a statuto ordinario, nonché disciplinano i meccanismi perequativi che costituiscono le fonti di finanziamento del complesso delle spese delle stesse regioni.

3. Il gettito delle fonti di finanziamento di cui al comma 2 è senza vincolo di destinazione.

 

 

L’articolo 1 enuncia l’oggetto delle disposizioni contenute al Capo I del decreto legislativo, precisando in primo luogo che le stesse sono volte ad assicurare l’autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e la conseguente soppressione dei trasferimenti statali (comma 1).

 

Il comma 2 specifica altresì che le predette disposizioni sono volte a:

§      individuare le compartecipazioni delle regioni a statuto ordinario al gettito dei tributi erariali;

§      individuare i tributi delle regioni a statuto ordinario;

§      disciplinare i meccanismi perequativi alla base delle fonti di finanziamento del complesso delle spese delle regioni a statuto ordinario.

 

Il comma 3 chiarisce, infine, che il gettito delle predette fonti di finanziamento è da considerarsi senza vincolo di destinazione.

A tale riguardo, si rammenta che l’articolo 7, comma 1, lettera e), della legge delega n. 42 del 2009 considera senza vincolo di destinazione il gettito dei tributi regionali derivati e le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali.

Il federalismo fiscale regionale nella legge delega

Le caratteristiche federali del nuovo sistema di finanza regionale sono prefigurate e disciplinate – con principi e criteri specifici di delega – dal Capo II della legge n. 42 del 2009, che ha riguardo particolare alla finanza delle regioni a statuto ordinario, dal comma 2 dell’articolo 1 e dall’articolo 27, che hanno riguardo all’assetto della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, e dall’articolo 20, che disciplina il passaggio dal vecchio al nuovo sistema con principi posti per il complesso delle regioni e criteri direttivi formulati per l’attuale sistema di finanza delle regioni a statuto ordinario.

Non sono diretti esclusivamente alle regioni, ma rilevano per esse gli articoli 16 e 22, che delineano il quadro della futura azione dello Stato per l’assegnazione di risorse aggiuntive da destinare agli interventi straordinari di cui al quinto comma dell’articolo 119, Cost. e l’articolo 18, che prefigura oggetto e procedura del “patto di convergenza” quale strumento per definire e governare il coordinamento della finanza pubblica.

 

Gli articoli 7, 8, 9 e 10 costituiscono il complesso unitario dei criteri in base ai quali il legislatore delegato è chiamato a disciplinare l’assetto della finanza delle regioni a statuto ordinario: l’articolo 7 le entrate, quale sia cioè la natura e la misura delle risorse da attribuire; l’articolo 8 le spese, e per queste il rapporto che intercorre fra il finanziamento delle funzioni esercitate e il livello delle spese che esse determinano; l’articolo 9 la perequazione, intendendo in questa il finanziamento delle funzioni con trasferimenti aggiuntivi in favore delle regioni che dispongono di minori capacità fiscale per abitante; l’articolo 10 la conversione degli attuali tributi e compartecipazioni delle regioni ordinarie alla disciplina oggetto dei decreti delegati.

 

In particolare, il nucleo della disciplina richiamata è nella ripartizione che l’articolo 8 della legge di delega fa delle funzioni e delle spese che queste determinano.

Secondo il profilo delle funzioni le spese, che attengono sia alle materie di competenza legislativa regionale che a quelle di competenza esclusiva statale affidate alle competenze amministrative regionali sono ripartite in due categorie principali, cui si aggiunge una terza che partecipa di entrambe:

-        spese determinate dall’esercizio di funzioni connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, quelle cioè i cui «livelli essenziali» devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (c.d. spese LEP, livelli essenziali delle prestazioni);

-        le altre spese, non riconducibili a quelle considerate alla lettera a, vale a dire le spese non LEP;

-        le spese per il trasporto pubblico locale che – per il livello delle prestazioni ed il livello del finanziamento che è loro assicurato – sono considerate per parte in entrambe le categorie.

Vi è anche una quarta categoria di spese – quelle straordinarie o speciali e perciò ‘eventuali’ – che possono riguardare tutte le funzioni ma che sono finanziate da contributi speciali dello Stato e dell’Unione europea e non danno luogo alla assegnazione di tributi, compartecipazioni o altra risorsa di carattere permanente.

 

Il livello delle entrate da assegnare alle regioni è determinato dal fabbisogno necessario a coprire “integralmente” l’esercizio ordinario delle funzioni secondo due parametri corrispondenti alla duplice classificazione delle spese:

-        quello necessario a finanziare le spese connesse alle «prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» è predeterminato sulla base di “costi standard” fissati dalla legge dello Stato;

-        le altre funzioni sono finanziate in ciascuna regione dal gettito dell’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’IRPEF, fissata ad un valore sufficiente a pareggiare l’importo dei trasferimenti soppressi.

 

Per ciascun gruppo di funzioni e di spese l’articolo 7 indica i tributi che le finanziano e la misura delle entrate che ne devono derivare. Lo schema si ripete:

-        le entrate destinate al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sono costituite dal gettito, ad aliquota ed a base imponibile uniformi, derivante dai tributi propri derivati delle regioni (vale a dire i tributi istituiti da legge statale il cui gettito è attribuito alle regioni), cui si aggiungono l’addizionale regionale all’IRPEF e la compartecipazione all’IVA. Le aliquote sono fissate al livello minimo necessario per finanziare il fabbisogno occorrente per la prestazione dei servizi essenziali in almeno una regione. Nelle altre regioni ove il gettito è insufficiente alla copertura integrale del fabbisogno concorre la quota del Fondo perequativo;

-        le entrate destinate al finanziamento delle altre funzioni sono finanziate tramite l’attribuzione della addizionale regionale all’IRPEF, con aliquota uguale per tutte, stabilita con riferimento al totale della spesa per il complesso delle regioni, per modo che questo sia ‘coperto’ dal totale dei gettiti, anch’essi complessivamente considerati; nessuna perequazione è data per le regioni in cui il gettito pro-capite dell’addizionale è superiore o uguale a quello medio nazionale; per le altre regioni la perequazione è data sul parametro della capacità fiscale (gettito pro-capite) e non su quello della spesa.

 

Criteri e misura della perequazione sono disciplinati dall’articolo 9. Anche per questa si ripete lo schema delle spese:

-        per la parte destinata alla perequazione delle entrate che finanziano i livelli essenziali delle prestazioni il fondo è costituito da una quota dell’IVA, considerata indistintamente per tutte le regioni e sufficiente ad integrare il fabbisogno di spesa delle regioni (tutte le altre) che seguono nella scala decrescente quella con la maggiore capacità fiscale; il concorso della quota perequativa consente di finanziare integralmente in ciascuna regione il fabbisogno determinato secondo i costi standard;

-        per la parte destinata al finanziamento delle altre funzioni il fondo è costituito da una quota del gettito dell’addizionale regionale all’IRPEF; come detto, la perequazione non assume come parametro la spesa ma la capacità fiscale pro-capite determinata in base al gettito del tributo in ciascuna regione; nessuna perequazione è data alle regioni in cui il gettito pro-capite supera quello medio del complesso delle regioni ordinarie; per le altre regioni il gettito pro-capite è integrato da una quota del fondo perequativo determinata in modo da «ridurre, ma non annullare» le differenze di capacità fiscale esistenti tra le regioni.

 

Stabilito secondo questi principi l’assetto definitivo della finanza regionale, gli articoli 10 e 20 ne disciplinano il passaggio da quello attuale a quello futuro: l’uno per la trasformazione delle norme che regolano attualmente la finanza delle regioni a statuto ordinario, l’altro per far si che il passaggio dal finanziamento della spesa storica al finanziamento dei fabbisogni avvenga gradualmente e progressivamente.

I tributi regionali propri e derivati, le compartecipazioni ai tributi erariali, le quote perequative e i trasferimenti che finanziano attualmente le funzioni già esercitate dalle regioni saranno sostituiti da entrate stabilite secondo i nuovi principi verificando, periodicamente, la congruità delle nuove fonti di entrata. Corrispettivamente, saranno soppressi nel bilancio dello Stato i capitoli che finanziano quelle spese.

Il “passaggio” avverrà nell’arco di cinque anni durante i quali dal valore dei trasferimenti perequativi e del complesso delle spese rilevati in ciascuna regione nel triennio 2006-2008 si passerà gradualmente ai valori perequativi determinati secondo i principi dell’articolo 9.

Lo stesso periodo transitorio inizierà a decorrere soltanto dopo che sarà stato determinato il contenuto finanziario dei livelli essenziali delle prestazioni. Il processo di convergenza dalla spesa storica al fabbisogno standard è assistito dalla garanzia che le nuove entrate, al livello di partenza, non siano inferiori a quelle soppresse o sostituite. In ogni caso è previsto che, per le funzioni non LEP, qualora «emergano situazioni oggettive di significativa e giustificata insostenibilità per alcune regioni», di questa possa farsene carico lo Stato, a proprio carico, per un ulteriore periodo di cinque anni.

Per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano il comma 2 dell’articolo 1 introduce un principio di esclusività, o di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’efficacia delle disposizioni del testo e ad integrarne i principi, così da rendere la disciplina del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. Il comma in parola elenca nominativamente gli articoli cui deve rifarsi il legislatore delegato: l’articolo 27, che disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali, l’articolo 15, recante i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e l’articolo 22, che estende alle autonomie speciali la particolare procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale». La disciplina speciale dettata dall’articolo 27 adatta, (anche avvalendosi di specifici “tavoli di confronto” tra Governo e ciascuna autonomia speciale) alle specialità il procedimento di attuazione del federalismo fiscale in quegli ordinamenti ed elenca – con esclusione degli altri – i principi ed i criteri direttivi che potranno applicarsi.


 

Articolo 2
(Rideterminazione dell'addizionale all’IRPEF
delle regioni a statuto ordinario)

 


1. A decorrere dall'anno 2013, con riferimento all'anno di imposta precedente, l'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) è rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-Regioni», e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, in modo tale da garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti al gettito assicurato dall'aliquota di base vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 7 ed alle entrate derivanti dalla compartecipazione soppressa ai sensi dell'articolo 8, comma 4. All'aliquota così rideterminata si aggiungono le percentuali indicate nell'articolo 6, comma 1. Con il decreto di cui al presente comma sono ridotte, per le regioni a statuto ordinario e a decorrere dall'anno di imposta 2013, le aliquote dell'IRPEF di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, continua ad applicarsi la disciplina relativa all'IRPEF, vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.


 

 

L’articolo 2 interviene sulla disciplina dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e dell’addizionale regionale all’IRPEF prevedendo modifiche a decorrere dall’anno 2013 “con riferimento all’anno d’imposta precedente”. La disciplina in esame è contenuta anche nell’articolo 6 al quale, pertanto, occorre fare riferimento per ottenere un quadro esaustivo dell’imposta in questione.

Le nuove disposizioni in materia di addizionale regionale all’IRPEF, contenute nell’articolo 6 sopra richiamato, introducono modifiche con decorrenza 2013. Il richiamo alla possibilità di rideterminare l’addizionale regionale “con riferimento all’anno di imposta precedente” appare quindi da interpretare escludendo il primo anno di riferimento (anno 2012).

 

L’addizionale regionale all’IRPEF è stata introdotta dall’articolo 50 del decreto legislativo n. 446/1997[1].

Ai sensi del citato articolo l’addizionale, non deducibile da altre imposte o tasse, è determinata applicando alla base imponibile IRPEF l’aliquota fissata dalla regione in cui il contribuente ha la residenza. L'addizionale regionale non è dovuta se l’imposta lorda IRPEF è inferiore alle detrazioni d’imposta spettanti e ai crediti d’imposta per redditi prodotti all’estero (commi 1 e 2).

L'aliquota ordinaria è fissata allo 0,9% ma ciascuna regione può, con proprio provvedimento da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 dicembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce, maggiorare l'aliquota fino all'1,4% (comma 3).

Per i redditi di lavoro dipendente e assimilati, l'addizionale regionale è determinata dai sostituti d'imposta (datori di lavoro); il relativo importo è trattenuto in un numero massimo di 11 rate a decorrere dal mese successivo a quello del conguaglio (comma 4).

L'imposta è versata, in unica soluzione e nei termini previsti per il versamento delle ritenute e del saldo IRPEF, alla regione in cui il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 31 dicembre dell'anno cui si riferisce l'addizionale stessa, ovvero relativamente ai redditi di lavoro dipendente e assimilati alla regione in cui il sostituito ha il domicilio fiscale all'atto della effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi (comma 5).

Per la dichiarazione, la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, il contenzioso, le sanzioni e tutti gli aspetti non disciplinati espressamente, si applicano le disposizioni previste per l'imposta sul reddito delle persone fisiche. Le regioni partecipano alle attività di liquidazione e accertamento dell'addizionale regionale segnalando elementi e notizie utili e provvedono agli eventuali rimborsi richiesti dagli interessati dopo aver acquisito gli elementi necessari presso l'amministrazione finanziaria (comma 6).

Per il pagamento è ammessa la compensazione tra i crediti e i debiti di natura tributaria e contributiva vantati dal contribuente (comma 7).

 

Il comma 1, primo periodo, stabilisce che la misura dell’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF sarà rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,da adottare entro un anno dal 27 maggio 2011 (data di entrata in vigore del presente decreto) su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (Conferenza Stato-Regioni) e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competente per i profili di carattere finanziario.

La nuova aliquota di base dovrà essere determinata in modo da garantire la neutralità del gettito complessivo delle regioni a statuto ordinario. In particolare, dovrà assicurare al complesso delle regioni a statuto ordinario un gettito il cui ammontare coincida con l’importo ottenuto dalla somma tra il gettito assicurato dall’aliquota di base dell’addizionale IRPEF prevista dal d.lgs. n. 446/1997 (0,9%), i trasferimenti statali soppressi (cfr. art. 7) e la compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina soppressa (cfr. art. 8, comma 4) (primo periodo).

Il secondo periodo del comma in esame stabilisce che la misura dell’aliquota di base rideterminata con DPCM sarà incrementata delle percentuali indicate nel comma 1 dell’articolo 6 (le quali individuano la misura massima di incremento dell’aliquota di addizionale regionale IRPEF che le regioni, nell’ambito dell’autonomia tributaria loro attribuita, hanno la facoltà di deliberare).

L’articolo 6, comma 1, per il cui approfondimento si rinvia alla relativa scheda illustrativa, dispone che sino alla rideterminazione effettuata con il DPCM di cui all’art. 2 in esame, l’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF sia fissata in misura pari allo 0,9%.

Inoltre, il medesimo comma 1 stabilisce che qualora le regioni esercitino la facoltà di aumentare l’aliquota di base, l’incremento della misura non può essere superiore:

-        allo 0,5%, per l’anno 2013 (art. 5, co. 1, lettera a));

-        all’1,1%, per l’anno 2014 (art. 5, co. 1, lettera b));

-        al 2,1%, a decorrere dal 2015 (art. 5, co. 1, lettera c)).

 

Ai sensi del terzo periodo, contestualmente alla rideterminazione dell’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF, il D.P.C.M. dovrà stabilire, al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente, anche la riduzione delle aliquote IRPEF.

Si fa notare che il comma in esame interviene sul sistema delle fonti che attualmente disciplinano l’IRPEF, attribuendo alcune potestà normative, ora regolate da una fonte di rango primario, ad una normativa di rango secondario. La misura dell’addizionale regionale IRPEF – attualmente disciplinata dall’articolo 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997 – sarà, infatti, rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Inoltre, con il medesimo decreto dovranno essere ridotte le aliquote IRPEF, attualmente disciplinate dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 recante, all’articolo 11, la determinazione degli scaglioni di reddito imponibile e delle relative aliquote IRPEF.

 

In proposito appare opportuno rammentare che ai sensi del successivo articolo 41 il provvedimento in esame non può comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Il comma 2 stabilisce che, salvo quanto previsto dal comma 1, continua ad applicarsi la disciplina IRPEF vigente alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.


 

Articolo 3
(Fabbisogno sanitario)

 


1. Per l'anno 2012 il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello, stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente concorre lo Stato.

2. Restano ferme le disposizioni in materia di quota premiale e di relativa erogabilità in seguito alla verifica degli adempimenti in materia sanitaria di cui all'articolo 2, comma 68, lettera c), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonché le disposizioni in materia di realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale e di relativa erogabilità delle corrispondenti risorse ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, e in materia di fondo di garanzia e di recuperi, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, rispettivamente per minori ovvero maggiori gettiti fiscali effettivi rispetto a quelli stimati ai fini della copertura del fabbisogno sanitario regionale standard. Resta altresì fermo che al finanziamento della spesa sanitaria fino all'anno 2013 concorrono le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2010 e le ulteriori risorse, previste da specifiche disposizioni, che ai sensi della normativa vigente sono ricomprese nel livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato.


 

 

Il comma 1 dell’articolo 3 stabilisce, per il 2012, che il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello, stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente concorre lo Stato[2].

Il comma 2 dell’articolo 3, conferma le disposizioni in materia di erogabilità della quota premiale, in seguito alla verifica degli adempimenti in materia sanitaria di cui all’articolo 2, comma 68, lettera c), della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010).

 

In particolare, l’articolo 2, comma 68, della citata legge n. 191/2009, fissa al 97% il livello delle anticipazioni di tesoreria per il finanziamento della spesa sanitaria corrente[3]. Tale livello è elevato al 98% per le regioni risultate adempienti nell’ultimo triennio. La misura delle anticipazioni è riferita allo stanziamento risultante dai maggiori finanziamenti previsti dal Nuovo patto per la salute 2010-2012, (articolo 2, comma 67), ed è condizionata al rispetto delle misure disposte per il contenimento della spesa sanitaria, che riguardano, l’adozione di misure che consentono la riduzione del personale sanitario (commi 71-74) e, in generale, il rispetto degli altri adempimenti previsti per il mantenimento dell’equilibrio economico del settore sanitario (commi 92-97) nonché, per le regioni in disavanzo, l’adozione delle misure che garantiscono il ripristino dell’equilibrio finanziario della gestione (commi 75-91).

La lettera c) del citato comma 68 prevede un ulteriore livello di verifica per la determinazione della misura delle anticipazioni previste del 97 per cento e del 98 per cento. In particolare, è stabilita una decurtazione dei due livelli di anticipazioni, rispettivamente, del 3 per cento e del 2 per cento (cosiddette quote premiali), quale misura cautelare in corso di verifica. La quota trattenuta è erogata all’esito positivo della verifica o, in caso negativo, quando la regione abbia attuato le misure correttive richiamate dai commi 71-74 (misure di riduzione del personale sanitario) e dai commi 92-97 (inadempimenti sugli altri vincoli di spesa).

 

La norma in esame conferma, altresì, le disposizioni in materia di realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale e di relativa erogabilità delle corrispondenti risorse ai sensi dell’art. 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni[4].

 

Il comma 34 dell’articolo 1 della citata legge n. 662 del 1996, prevede la possibilità di vincolare quote del Fondo sanitario nazionale per la realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità per i progetti sulla tutela della salute materno-infantile, della salute mentale, della salute degli anziani nonché per quelli finalizzati alla prevenzione, e in particolare alla prevenzione delle malattie ereditarie.

Il successivo comma 34-bis, al fine di perseguire gli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale indicati nel Piano sanitario nazionale, prevede che le regioni elaborano specifici progetti sulla scorta di linee guida proposte dal Ministro della salute ed approvate con Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della sanità, individua i progetti ammessi a finanziamento utilizzando le quote a tal fine vincolate del Fondo sanitario nazionale ai sensi del comma 34. La predetta modalità di ammissione al finanziamento è valida per le linee progettuali attuative del Piano sanitario nazionale fino all’anno 2008. A decorrere dall’anno 2009, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), su proposta del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, provvede a ripartire tra le regioni le medesime quote vincolate all’atto dell’adozione della propria delibera di ripartizione delle somme spettanti alle regioni a titolo di finanziamento della quota indistinta di Fondo sanitario nazionale di parte corrente. Al fine di agevolare le regioni nell’attuazione dei progetti di cui al comma 34, il Ministero dell’economia e delle finanze provvede ad erogare, a titolo di acconto, il 70 per cento dell’importo complessivo annuo spettante a ciascuna regione, mentre l’erogazione del restante 30 per cento è subordinata all’approvazione da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della salute, dei progetti presentati dalle regioni, comprensivi di una relazione illustrativa dei risultati raggiunti nell’anno precedente. Le mancate presentazione ed approvazione dei progetti comportano, nell’anno di riferimento, la mancata erogazione della quota residua del 30 per cento ed il recupero, anche a carico delle somme a qualsiasi titolo spettanti nell’anno successivo, dell’anticipazione del 70 per cento già erogata.

 

Il comma 2 in esame conferma, inoltre, le norme in materia di fondo di garanzia e di recuperi, di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56[5], rispettivamente per minori ovvero maggiori gettiti fiscali effettivi rispetto a quelli stimati ai fini della copertura del fabbisogno sanitario standard regionale.

 

In particolare, l’articolo 13 del citato decreto legislativo n. 56 del 2000 ha istituito, tra l’altro, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze un fondo di garanzia (capitolo 2701)per compensare le regioni a statuto ordinario delle eventuali minori entrate dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF[6]. Nel caso di un gettito complessivo dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF superiore a quello previsto, si provvede al recupero delle eventuali maggiori entrate.

 

Da ultimo, la norma stabilisce che, fino al 2013, al finanziamento della spesa sanitaria concorrono:

§      le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l’anno 2010;

§      le ulteriori risorse[7], previste da specifiche disposizioni, che ai sensi della normativa vigente sono ricomprese nel livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato.


 

Articolo 4
(Compartecipazione regionale all'imposta sul valore aggiunto)

 


1. A ciascuna regione a statuto ordinario spetta una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).

2. Per gli anni 2011 e 2012 l'aliquota di compartecipazione di cui al comma 1 è calcolata in base alla normativa vigente, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE. A decorrere dall'anno 2013 l'aliquota è determinata con le modalità previste dall'art. 15, commi 3 e 5, primo periodo, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE.

3. A decorrere dall'anno 2013 le modalità di attribuzione del gettito della compartecipazione I.V.A. alle regioni a statuto ordinario sono stabilite in conformità con il principio di territorialità. Il principio di territorialità tiene conto del luogo di consumo, identificando il luogo di consumo con quello in cui avviene la cessione di beni; nel caso dei servizi, il luogo della prestazione può essere identificato con quello del domicilio del soggetto fruitore. Nel caso di cessione di immobili si fa riferimento alla loro ubicazione. I dati derivanti dalle dichiarazioni fiscali e da altre fonti informative in possesso dell'Amministrazione economico-finanziaria vengono elaborati per tenere conto delle transazioni e degli acquisti in capo a soggetti passivi con I.V.A. indetraibile e a soggetti pubblici e privati assimilabili, ai fini IVA, a consumatori finali. I criteri di attuazione del presente comma sono stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentite la Conferenza Stato-Regioni e la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale oppure, ove effettivamente costituita, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario derivanti dall'attuazione del principio di territorialità.


 

 

Il comma 1 stabilisce che a ciascuna regione a statuto ordinario spetta una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA).

 

Si segnala che l’art. 2, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011, relativo al federalismo municipale, ha introdotto una compartecipazione all’IVA in favore dei Comuni la cui misura, da stabilire con DPCM, deve essere fissata al fine di garantire un ammontare equivalente a quello ottenuto calcolando una compartecipazione del 2 per cento al gettito IRPEF.

 

La compartecipazione all’IVA da parte delle regioni a statuto ordinario è già disciplinata nel nostro ordinamento ed è stata istituita dal decreto legislativo n. 56 del 2000[8], emanato in attuazione della precedente legge di riforma sul federalismo fiscale (legge n. 133/1999).

L’articolo 1 del citato decreto n. 56 ha disposto, con decorrenza 2001, la soppressione di alcuni trasferimenti erariali in favore delle regioni a statuto ordinario. Sul piano finanziario, la soppressione dei trasferimenti è stata compensata da:

-        una compartecipazione regionale al gettito IVA[9]. La norma originaria (articolo 2) fissava la compartecipazione in misura pari al 25,7% del gettito complessivo IVA come desunto dal rendiconto generale. Tale aliquota, tuttavia, non è mai stata applicata in quanto, ai sensi dell’art. 5, è stata rideterminata anno per anno (già nell’anno 2001 è stata elevata a 38,55% con DPCM 17 maggio 2001). Da ultimo, con DPCM del 21 ottobre 2010, l’aliquota di compartecipazione regionale per l’anno 2009 è stata rideterminata in misura pari a 44,71%;

-        un incremento dell’addizionale regionale IRPEF. L’articolo 3 del D.Lgs. n. 56/2000 ha introdotto un incremento dell’imposta stabilendo che l’aliquota ordinaria fosse elevata da 0,5 a 1% e che il valore massimo dell’aliquota applicabile dalle regioni fosse elevata da 0,9 a 1,4%. Contestualmente, sono state ridotte di 0,4 punti percentuali le aliquote IRPEF vigenti al momento;

-        un incremento della compartecipazione regionale al gettito delle accise sulla benzina. In particolare, l’originario articolo 4 ha elevato di 8 lire per litro di benzina venduta la quota di compartecipazione al gettito delle accise.

L’ammontare complessivo spettante alle regioni viene ripartito tra le stesse sulla base sia delle quote di trasferimenti soppressi per ciascuna sia della quota del fondo sanitario nazionale di parte corrente necessaria per finanziare la differenza tra il fabbisogno sanitario riconosciuto e le entrate specifiche delle regioni (IRAP, addizionale regionale 0,9% e altre entrate proprie). Le misure delle aliquote di compartecipazione nonché il prospetto di ripartizione tra le varie regioni sono stabilite con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato annualmente.

 

Il comma 2 reca disposizioni finalizzate a determinare la quota dell’imposta sul valore aggiunto che dovrà essere riconosciuta, nel suo complesso, a tutte le regioni a statuto ordinario. I criteri per la successiva attribuzione a ciascuna regione, invece, sono disciplinati dal comma 3.

 

Ai fini della determinazione dell’aliquota di compartecipazione IVA la norma in esame individua due modalità: la prima interessa il periodo transitorio (2011-2012) e la seconda, a regime, si applica a decorrere dal 2013.

Per gli anni 2011 e 2012 la norma dispone che continua ad applicarsi la “normativa vigente”. Con tale espressione si intende rinviare a quanto previsto dal D.Lgs. n. 56 del 2000 ai sensi del quale:

§      la misura delle aliquote di compartecipazione può essere rideterminata annualmente - al fine di garantire la compensazione dei trasferimenti soppressi - con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (art. 5 del D.Lgs. n. 56/2000);

§      la base imponibile cui applicare l’aliquota di compartecipazione IVA corrisponde al gettito IVA complessivo realizzato nel penultimo anno precedente a quello in considerazione, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE.

 

A decorrere dal 2013 l’aliquota di compartecipazione è determinata ai sensi di quanto previsto dall’art. 15 comma 3 e 5 del presente decreto legislativo. Tali norme, più dettagliatamente esaminate nella relativa scheda illustrativa, stabiliscono che la compartecipazione sarà fissata con DPCM in misura pari al livello minimo assoluto del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni rilevato in una sola regione. Alle regioni nelle quali il gettito tributario non risulta sufficiente a garantire la copertura finanziaria di tale fabbisogno è riconosciuta una quota del fondo perequativo istituito, con decorrenza 2013, dal comma 5 del medesimo articolo 15. L’ammontare della compartecipazione sarà dunque stabilita annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.

L’aliquota determinata dal DPCM sarà applicata sull’ammontare del gettito IVA al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE.

 

Il comma 3 individua il criterio per la ripartizione della compartecipazione IVA tra le regioni a statuto ordinario, il cui ammontare complessivo è determinato ai sensi del comma 2.

Ai sensi della normativa vigente, l’assegnazione a ciascuna regione avviene sulla base di parametri che dipendono dalla disciplina del finanziamento della spesa sanitaria corrente delle regioni a statuto ordinario secondo i seguenti criteri:

-        la percentuale di compartecipazione al gettito IVA (complessiva) varia annualmente in ragione del fabbisogno necessario a “coprire” la quota di spesa sanitaria corrente non “coperta” dal gettito IRAP, addizionale IRPEF, accisa e ticket sanitari;

-        la territorializzazione del gettito IVA è determinata in proporzione all’ammontare dei consumi registrati dall’ISTAT per ciascuna regione;

-        le regioni a cui la territorializzazione assegna somme maggiori del rispettivo fabbisogno sanitario “cedono” le somme eccedentarie al Fondo perequativo interregionale. Al bilancio di queste regioni affluisce soltanto una quota-parte dell’IVA territorializzata come propria, anche essa “perequata” dalla quota di spesa storica presa annualmente a riferimento nella determinazione del fabbisogno di spesa sanitaria corrente;

-        le regioni a cui la territorializzazione assegna somme minori del rispettivo fabbisogno sanitario ricevono integralmente la propria quota IVA territorializzata e, in aggiunta, una quota parte del Fondo perequativo interregionale, questa in misura corrispondente al completamento della “copertura” del rispondente fabbisogno.

 

In particolare, viene previsto che, a decorrere dal 2013, l’attribuzione a ciascuna regione della quota di compartecipazione spettante sia effettuato sulla base del criterio di territorialità. A tal fine:

§       per le cessioni di beni, si considera il luogo di consumo;

§       per le prestazioni di servizi, si considera il domicilio del soggetto fruitore;

§       per le cessioni di immobili si considera il luogo di ubicazione del bene.

 

Ove i suddetti criteri non sono applicabili, ossia per le operazioni di transazione nelle quali intervengano consumatori finali, soggetti passivi con IVA indetraibile ovvero soggetti pubblici o privati assimilabili, ai fini IVA, a consumatori finali la distribuzione territoriale è operata sulla base dei dati derivanti dalle dichiarazioni fiscali e da altre fonti informative in possesso dell’Amministrazione economico-finanziari.

In proposito, si fa presente che nell’ambito della dichiarazione IVA (quadro VT) i contribuenti sono tenuti ad indicare la distribuzione regionale delle operazioni attive effettuate nei confronti dei consumatori finali.

 

Le modalità attuative sono rimesse ad un decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale, sentite la Conferenza Stato Regioni e la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale oppure, ove costituita, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica previo parere delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della repubblica competenti per i profili di carattere finanziario. Allo schema di DPCM deve essere allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario derivanti dall’attuazione del principio di territorialità.


 

Articolo 5
(Riduzione dell'imposta regionale sulle attività produttive)

 


1. A decorrere dall'anno 2013 ciascuna regione a statuto ordinario, con propria legge, può ridurre le aliquote dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) fino ad azzerarle e disporre deduzioni dalla base imponibile, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell'Unione europea. Resta in ogni caso fermo il potere di variazione dell'aliquota di cui all'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

2. Gli effetti finanziari derivanti dagli interventi di cui al comma 1 sono esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comportano alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all'articolo 15.

3. Non può essere disposta la riduzione dell'IRAP se la maggiorazione di cui all'articolo 6, comma 1, è superiore a 0,5 punti percentuali.

4. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari.


 

 

Il comma 1 attribuisce alle regioni a statuto ordinario la facoltà, con decorrenza 2013, di ridurre l’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), fino anche ad azzerarla, ovvero di disporre deduzioni dalla base imponibile nel rispetto della normativa comunitaria e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La modifica dell’aliquota prevista dal comma in esame deve essere disposta con legge regionale. In ogni caso, viene confermato il potere di variazione dell’aliquota attribuito alle regioni dall’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997[10] consistente nella facoltà di modificare, in aumento o in diminuzione fino ad un massimo di un punto percentuale, l’aliquota ordinaria IRAP nonché di applicare aliquote differenziate per settori di attività e per categorie di soggetti passivi.

Il richiamato articolo 16, (comma 1) fissa in misura pari a 3,9% l’aliquota ordinaria generale dell’IRAP, ferma restando la facoltà per le regioni di deliberare una variazione, in aumento o in diminuzione, fino ad un massimo di un punto percentuale. L’aliquota IRAP è fissata in misura diversa per:

-        le amministrazioni pubbliche, le amministrazioni della Camera dei Deputati, del Senato, della Corte Costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale relativamente al valore prodotto nell'esercizio di attività non commerciali. In questi casi, infatti, la base imponibile corrisponde al costo del personale dipendente e assimilato (art. 10-bis) e l’aliquota è fissata in misura pari all’8,5% (comma 2 dell’art. 16);

-        i soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi relativamente ai quali l’aliquota è stabilita nella misura dell’1,9%.

Appare opportuno ricordare, sinteticamente, che a seguito della riduzione dell’aliquota ordinaria (da 4,25% a 3,9%) disposta con la legge finanziaria per il 2008[11] il comma 3 dell’articolo 16 è stato oggetto di una specifica interpretazione contenuta nella Risoluzione n. 13/DF del 10 dicembre 2008 del Dipartimento delle finanze direzione federalismo fiscale. Infatti, poiché la medesima legge finanziaria ha disposto anche l’obbligo di riparametrare le aliquote già modificate da parte delle regioni[12] la risoluzione ha precisato che la variazione (fissata dalla norma originaria in misura non superiore ad un punto percentuale rispetto all’aliquota del 4,25%) già deliberata dalle regioni non poteva essere superiore a 0,92% rispetto a 3,9%[13].

 

Tenuto conto che il comma in esame consente alle regioni di ridurre l’aliquota IRAP fino anche ad azzerarla, il rinvio all’articolo 16, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997 troverebbe applicazione nell’ipotesi in cui le regioni deliberino un incremento della richiamata aliquota d’imposta.

 

Il comma 2 stabilisce che nei casi in cui la regione deliberi una riduzione dell’aliquota ovvero introduca specifiche deduzioni dall’imponibile, il conseguente minor gettito è esclusivamente a carico della regione stessa e non comporta alcuna forma di compensazione perequativa.

 

La disposizione contenuta nel comma 3, in linea con quanto previsto nel comma 2 dell’articolo 6 del decreto legislativo in esame e alla cui scheda si rinvia, stabilisce che le regioni che hanno deliberato un incremento dell’addizionale regionale IRPEF superiore allo 0,5% non possono disporre la riduzione dell’aliquota IRAP. La finalità della norma, come chiarito nella relazione illustrativa allegata al provvedimento in esame, è quella di impedire il trasferimento del “carico tributario dalle imprese ai cittadini”.

 

Il comma 4, analogamente a quanto previsto nel comma 10 dell’articolo 6 del decreto legislativo in esame alla cui scheda illustrativa si rinvia, conferma l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazioni di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.


 

Articolo 6
(Addizionale regionale all'IRPEF)

 


1. A decorrere dall'anno 2013 ciascuna regione a Statuto ordinario può, con propria legge, aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base. La predetta aliquota di base è pari allo 0,9 per cento sino alla rideterminazione effettuata ai sensi dell'articolo 2, comma 1, primo periodo. La maggiorazione non può essere superiore:

a) a 0,5 punti percentuali per l'anno 2013;

b) a 1,1 punti percentuali per l'anno 2014;

c) a 2,1 punti percentuali a decorrere dall'anno 2015.

2. Fino al 31 dicembre 2012, rimangono ferme le aliquote della addizionale regionale all'IRPEF delle regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono superiori alla aliquota di base, salva la facoltà delle medesime regioni di deliberare la loro riduzione fino alla medesima aliquota di base.

3. Resta fermo il limite della maggiorazione di 0,5 punti percentuali, se la regione abbia disposto la riduzione dell'IRAP. La maggiorazione oltre i 0,5 punti percentuali non trova applicazione sui redditi ricadenti nel primo scaglione di cui all'articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità per l'attuazione del presente periodo. In caso di riduzione, l'aliquota deve assicurare un gettito che, unitamente a quello derivante dagli altri tributi regionali di cui all'articolo 12, comma 2, non sia inferiore all'ammontare dei trasferimenti regionali ai comuni, soppressi in attuazione del medesimo articolo 12.

4. Per assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di progressività cui il sistema medesimo è informato, le regioni possono stabilire aliquote dell'addizionale regionale all'IRPEF differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale.

5. Le regioni, nell'ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono disporre, con propria legge, detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall'articolo 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Le regioni adottano altresì con propria legge misure di erogazione di misure di sostegno economico diretto, a favore dei soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione delle detrazioni di cui al presente comma.

6. Al fine di favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, le regioni, nell'ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono inoltre disporre, con propria legge, detrazioni dall'addizionale stessa in luogo dell'erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale.

7. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 si applicano a decorrere dal 2013.

8. L'applicazione delle detrazioni previste dai commi 5 e 6 è esclusivamente a carico del bilancio della regione che le dispone e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dello Stato. In ogni caso deve essere garantita la previsione di cui al comma 3, ultimo periodo.

9. La possibilità di disporre le detrazioni di cui ai commi 5 e 6 è sospesa per le regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario alle quali è stata applicata la misura di cui all'articolo 2, commi 83, lettera b), e 86, della citata legge n. 191 del 2009, per mancato rispetto del piano stesso.

10. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.

11. L'eventuale riduzione dell'addizionale regionale all'IRPEF è esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all'articolo 15.


 

 

L’articolo 6 reca disposizioni in materia di addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) disciplinando, in particolare, il potere attribuito alle regioni a statuto ordinario di apportare modifiche nell’ambito dell’autonomia ad esse riconosciuta. La disciplina in esame è contenuta anche nell’articolo 2, comma 1, al quale, pertanto, occorre far riferimento per ottenere un quadro esaustivo dell’imposta in questione.

 

Il comma 1 stabilisce, in primo luogo, la misura dell’aliquota di base dell’addizionale regionale IRPEF e, in secondo luogo, attribuisce alle regioni a statuto ordinario la facoltà di modificarla.

L’aliquota di base viene fissata in misura pari allo 0,9%; tale aliquota opera sino alla rideterminazione effettuata con il DPCM da emanare entro il 26 maggio 2012 ai sensi dell’articolo 2, comma 1, del provvedimento in esame.

La misura dell’aliquota di base indicata dalla norma in esame coincide con quella vigente fissata dall’articolo 50, comma 3, del decreto legislativo n. 446/1997 istitutivo dell’addizionale regionale IRPEF. Tale comma consente alle regioni di modificare l’aliquota con proprio provvedimento da pubblicare in Gazzetta Ufficiale e stabilisce che, in ogni caso, l’aliquota non può essere superiore all’1,4%.

Tuttavia, per le regioni che presentano un deficit finanziario nel settore sanitario sono state introdotte alcune deroghe che consentono l’applicazione di misure superiori delle aliquote d’imposta. Sulla materia si rinvia a quanto illustrato nei successivi commi 9 e 10.

 

A decorrere dall’anno 2013 le regioni a statuto ordinario possono, con propria legge, modificare la misura dell’aliquota di base. In caso di maggiorazione l’incremento non può essere superiore:

a)      allo 0,5 per cento, per l’anno 2013;

b)      all’1,1 per cento, per l’anno 2014;

c)      al 2,1 per cento, a decorrere dall’anno 2015.

 

Per l’anno 2012 rimangono confermate le maggiorazioni di aliquote deliberate dalle regioni prima del 27 maggio 2011 (data di entrata in vigore del presente decreto), ferma restando la facoltà di provvedere ad una loro eventuale riduzione.

 

Il comma 3 introduce ulteriori limiti alla facoltà di modifica dell’addizionale IRPEF da parte delle regioni.

In particolare, in caso di maggiorazione dell’aliquota:

§      le regioni che hanno disposto la riduzione dell’IRAP (cfr. art. 5) non possono deliberare incrementi dell’addizionale IRPEF superiori allo 0,5 per cento.

La norma è diretta ad evitare una eccessiva traslazione del carico fiscale dalle imprese (soggetti passivi IRAP) alle persone fisiche (soggetti passivi dell’addizionale IRPEF). In proposito, infatti, la relazione illustrativa allegata allo schema di decreto segnala che “la possibilità di azzerare l’IRAP, viene strutturata impedendo però di trasferire il carico tributario dalle imprese ai cittadini”;

§      le maggiorazioni superiori allo 0,5% - applicabili, ai sensi del comma 1, a decorrere dal 2014 – non si applicano ai redditi ricadenti nel primo scaglione di cui all’art. 11 del TUIR. Per effetto del rinvio al richiamato articolo 11, il reddito indicato dalla norma è il reddito imponibile, ossia il reddito complessivo al netto degli oneri deducibili (quali, ad es., i contributi previdenziali versati per i lavoratori domestici, alcune tipologie di erogazioni liberali, i contributi versati a forme pensionistiche complementari). Con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze saranno stabilite le modalità di attuazione.

L’articolo 11 del TUIR, recante disposizioni per la determinazione dell’imposta lorda, individua cinque scaglioni di reddito imponibile e le relative aliquote IRPEF da applicare a ciascuno scaglione. In particolare, il primo scaglione di reddito interessa i valori imponibili fino a 15.000 euro.

L’ultimo periodo del comma in esame prevede che, nel caso in cui la regione intenda deliberare una riduzione dell’addizionale IRPEF, la nuova aliquota deve, in ogni caso, assicurare un gettito che, unitamente a quello derivante dagli altri tributi regionali di cui all’art. 12, c. 2, non sia inferiore all’ammontare dei trasferimenti regionali effettuati in favore dei comuni relativamente ai quali si prevede la soppressione ai sensi del medesimo articolo 12 del provvedimento in esame. Ai sensi del suddetto articolo, meglio illustrato nella relativa scheda, a decorrere dal 2013 ciascuna regione sopprime gli attuali trasferimenti effettuati in favore dei comuni (comma 1) garantendo lo stesso ammontare di risorse agli enti locali mediante l’introduzione di una compartecipazione dei comuni ai tributi regionali, e prioritariamente all’addizionale regionale IRPEF (comma 2).

Il comma 4 autorizza le regioni a stabilire aliquote dell’addizionale regionale IRPEF differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale. La norma, viene precisato, è finalizzata ad assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso e a garantire i criteri di progressività.

In proposito, si evidenzia che, ai sensi del successivo comma 11, la perdita di gettito conseguente alla riduzione dell’addizionale regionale IRPEF è esclusivamente a carico del bilancio della regione.

 

I commi da 5 a 8 recano disposizioni concernenti la facoltà per le regioni di introdurre detrazioni per familiari a carico ovvero sostituire l’erogazione di taluni sussidi con l’introduzione di nuove detrazioni fiscali.

 

In particolare, il comma 5 stabilisce che le misure delle detrazioni per carichi di famiglia fissate dall’articolo 12 del TUIR possono essere incrementate ed il maggiore beneficio opera in riduzione dell’addizionale regionale dovuta. Nel caso di “incapienza”, ossia di impossibilità di beneficiare del pieno importo della detrazione in quanto quest’ultima è superiore all’imposta lorda dovuta, le regioni provvedono a disciplinare una erogazione di misure di sostegno economico diretto al contribuente. La situazione di incapienza deve risultare su base familiare, pertanto la detrazione dall’addizionale può essere fruita indistintamente da ciascun componente del nucleo.

L’art. 12 del D.P.R. n. 917/1986, nel disciplinare le detrazione IRPEF per familiari a carico, individua diverse misure del beneficio che variano in funzione del legame di parentela tra familiare e contribuente (coniuge, figlio, altro), del reddito del contribuente, dell’età dei figli e della presenza di eventuali soggetti disabili.

Qualora il soggetto risulti a carico di più persone (es. figlio a carico di entrambi i genitori) la detrazione è fruibile in parti uguali. Una diversa distribuzione è possibile solo se l’intero beneficio è determinato con riferimento al contribuente che ha il reddito più elevato.

 

Il comma 6 stabilisce che, al fine di favorire la sussidiarietà orizzontale, le regioni possono introdurre detrazioni fiscali in luogo dell’erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione della regione stessa. Diversamente da quanto disposto dal precedente comma 5, per le tipologie di detrazioni in esame non è prevista l’erogazione di misure in caso di incapienza.

 

Il comma 7 stabilisce che le disposizioni di cui ai commi da 3 a 6 si applicano a decorrere dal 2013.

 

Gli effetti finanziari di minor gettito dovuti ai benefici fiscali introdotti dalle regioni in favore dei contribuenti sotto forma di detrazioni d’imposta ai sensi dei commi 5 e 6 sono a carico del bilancio della regione (comma 8).

I commi 9 e 10 prevedono dei limiti alle facoltà attribuite alle regioni, qualora queste ultime evidenzino degli squilibri nel settore sanitario ovvero siano impegnate in piani di rientro dal deficit sanitario.

I commi 174 e seguenti dell’articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (legge finanziaria 2005) hanno disposto che, in presenza di un disavanzo di gestione del settore sanitario, la regione è tenuta ad intervenire attraverso l’adozione di provvedimenti necessari per il ripianamento finanziario del settore, ivi inclusi gli aumenti dell'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche e le maggiorazioni dell'aliquota dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) entro le misure massime stabilite dalla normativa vigente.

Successivamente, i commi 75 e seguenti dell’articolo 2 della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) hanno introdotto ulteriori automatismi fiscali da applicare qualora le regioni interessate non raggiungano gli obiettivi fissati nel Piano di rientro dei disavanzi sanitari entro il termine perentorio in esso indicato. In particolare, il comma 86 stabilisce che il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro, verificato annualmente, comporta, oltre all’applicazione delle misure previste dal comma 80 (mantenimento per l’intera durata del piano delle maggiorazioni IRAP e IRPEF previste e vincolo per la regione degli interventi individuati dal piano) e ferme restando le misure eventualmente scattate ai sensi del comma 83 (concernente la gestione commissariale della regione in disavanzo sanitario), l’incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota IRAP e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF.

Per l’anno 2010 le regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria hanno dovuto applicare le maggiorazioni dell’aliquota IRAP (+0,15 punti percentuali) e dell’addizionale regionale all’Irpef (+0,30 punti percentuali) rispetto al livello delle aliquote vigenti elevando, pertanto, all’1,7% la misura dell’aliquota ordinaria dell’addizionale regionale IRPEF. Ciò in quanto, come si legge dal comunicato dell’Agenzia delle entrate del 2 luglio 2010 “il Tavolo per la verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza hanno constatato per le regioni Lazio, Campania, Molise e Calabria la sussistenza delle condizioni per l’applicazione delle disposizioni recate dall’articolo 2, comma 86, della legge 191/2009, secondo le procedure di cui all’articolo 1, comma 174, della legge 311/2004”. In termini di cassa, la maggiorazione IRAP ha rilevato in sede di determinazione dell’acconto versato a novembre 2010 mentre per l’addizionale regionale IRPEF rileva nel 2011 in sede di conguaglio effettuato dal datore di lavoro per i redditi di lavoro dipendente ovvero in sede di saldo delle imposte per gli altri redditi.

 

In particolare, il comma 9 sospende la possibilità di disporre le detrazioni di cui ai commi 5 e 6 per le Regioni[14] impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario nelle quali è stato nominato il commissario ad acta e sono state incrementate le aliquote fiscali di 0,15 punti percentuali dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF oltre al limite previsto dalla legislazione vigente, per il mancato rispetto del piano stesso.

Il comma 10 conferma gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazioni di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.

 

Ai sensi del comma 11 il minor gettito derivante dalla riduzione delle aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF è esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comporta alcuna forma di compensazione perequativa.

 


 

Articolo 7
(Soppressione dei trasferimenti dallo Stato
alle regioni a statuto ordinario)

 


1. A decorrere dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni. Le regioni a statuto ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista dagli articoli 5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei termini fissati dal presente Capo. Sono esclusi dalla soppressione i trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato, sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, entro il 31 dicembre 2011, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, sono individuati i trasferimenti statali di cui al comma 1. Con ulteriore decreto adottato con le modalità previste dal primo periodo possono essere individuati ulteriori trasferimenti suscettibili di soppressione. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario.

3. In caso di trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sono definite le modalità che assicurano adeguate forme di copertura finanziaria, in conformità a quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, lettera i), della legge 5 maggio 2009, n. 42.


 

 

L’articolo dispone la soppressione di tutti i trasferimenti statali in conto corrente e in conto capitale(limitatamente a quelli non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento) alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dal 2013 (comma 1).

I trasferimenti soppressi dovranno essere compensati con le entrate derivanti dall'incremento dell'addizionale IRPEF come disciplinato dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo in esame.

 

Benché non richiamato esplicitamente, la norma attua l'articolo 8, comma 1, della legge delega. In particolare, la lettera f), che dispone la soppressione dei trasferimenti statali alle regioni diretti al finanziamento delle spese per l'esercizio delle funzioni regionali sia riconducibili che non riconducibili alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lett. m) Cost.). La lettera f) esclude dalla soppressione i contributi erariali per l'ammortamento dei mutui contratti dalle regioni.

 

Rispetto al testo iniziale presentato dal Governo, a seguito dell'intesa Governo-Autonomie del 16 dicembre 2010 e dell'espressione del parere parlamentare, sono state apportate le seguenti modifiche:

-        è stata spostata la decorrenza della soppressione (dal 2012 al 2013),

-        sono stati aggiunti ai trasferimenti di parte corrente anche i trasferimenti in conto capitale non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento;

-        è stata integrata la procedura e sono stati modificati i termini per l'individuazione dei trasferimenti da sopprimere;

-        è stata recepita la norma introdotta in sede di Intesa Governo-Autonomie del 16 dicembre 2010 (ora comma 3), al fine di disciplinare la copertura finanziaria di eventuali successive attribuzioni di funzioni alle regioni sulla base dell'articolo 118 della Costituzione.

 

I trasferimenti da sopprimere - e quindi la somma da “compensare” - dovranno essere individuati entro il 31 dicembre 2011 con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze sentita la Conferenza Unificata (comma 2). Il D.P.C.M. dovrà essere adottato sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, ovvero, se già costituita, dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (Conferenza istituita nell'ambito della Conferenza unificata, ai sensi del Capo V del decreto legislativo in esame, vedi infra). Il D.P.C.M. dovrà, inoltre, essere accompagnato da una relazione tecnica che ne illustri le conseguenze di carattere finanziario e su di esso dovranno esprime il parere le Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili finanziari.

Eventuali ulteriori trasferimenti da sopprimere dovranno essere individuati con le medesime modalità.

 

Sulla natura dei trasferimenti da sopprimere, la norma fornisce le seguenti informazioni (comma 1):

§      devono avere carattere di generalità e permanenza;

§      sono quelli destinati al finanziamento dell'esercizio delle competenze regionali, compresi quelli destinati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni;

§      non sono da sopprimere (ossia non sono oggetto di fiscalizzazione) - come già stabilito dalla legge delega dall'articolo 8, comma 1, lett. h) - i trasferimenti del fondo perequativo istituito per compensare le minori entrate del gettito dell'accisa sulle benzine, poi inglobato nel gettito dell'IRAP[15].

 

Si ricorda che la Relazione governativa sul federalismo fiscale[16], basata sui lavori della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF)[17], ha fornito indicazioni sia di carattere metodologico sia quantitative sui criteri utilizzabili per l'individuazione dell'ammontare dei trasferimenti che dovrà essere oggetto di fiscalizzazione.

 

La Relazione, nell’Allegato 2, sez. 1, opera un primo tentativo di individuazione dei trasferimenti statali alle Regioni che andranno soppressi. A tal fine sono utilizzati tre criteri metodologici:

-        quello della generalità, ossia della destinazione del trasferimento all’intera platea degli enti di un determinato comparto;

-        quello della permanenza, ossia della continuità nel tempo del trasferimento;

-        quello della riferibilità dei trasferimenti alle funzioni di competenza regionale; la legge delega prevede infatti una modifica dei criteri di finanziamento delle sole spese di competenza legislativa o amministrativa regionale.

La relazione sottolinea che i criteri sopra indicati possono essere interpretati in senso più o meno restrittivo e per ciascuna di tali interpretazioni sussistono profili problematici, di seguito sintetizzati, in merito ai quali andranno adottate soluzioni volte a limitare possibili contenziosi.

In particolare, i primi due criteri appaiono funzionali alla necessità di escludere, dai trasferimenti oggetto di soppressione, quelli aventi carattere di specialità, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera a), punto 1) della legge delega. Peraltro, non tutti i trasferimenti privi di un’assoluta generalità o permanenza possono essere considerati contributi speciali. La relazione propone quindi che i predetti criteri di generalità o permanenza - già adottati in termini stringenti per individuare i trasferimenti destinati a confluire al Fondo unico, ai sensi dell’art. 77, comma 2-bis, del D.L. n. 112/2008 - siano in questo caso interpretati in modo flessibile, al fine di contemperare l’esigenza di rispettare i criteri di delega in materia di soppressione dei trasferimenti con quella di consentire una concreta praticabilità della sostituzione dei predetti trasferimenti con risorse tributarie.

Ai trasferimenti già individuati per confluire nel Fondo unico (4.895 milioni di euro di cui però solo 2.743 di trasferimenti di parte corrente), vengono così aggiunte altre tipologie di stanziamenti:

-        1.591 milioni di euro riferiti a stanziamenti non permanenti ma neanche assimilabili a contributi speciali, che sono destinati a funzioni per le quali andrebbe assicurato il finanziamento permanente (fondo per le non autosufficienze, edilizia scolastica);

-        altri stanziamenti generali e permanenti per i quali è stata sollevata una questione di competenza, per 243 milioni di euro;

-        stanziamenti a favore delle regioni provenienti dal bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri per 756 milioni di euro.

L'ammontare complessivo così individuato (7.486 milioni di euro) è comprensivo di stanziamenti in conto capitale e di risorse destinate – sebbene in piccola parte - alle regioni a statuto speciale.

Una prima stima della ripartizione regionale dei trasferimenti da sopprimere è indicata nella sezione 2 dell'Allegato 2. Da questa stima le risorse destinate alle regioni a statuto ordinario risulterebbero pari a 6.382 milioni di euro, comprensivi, come già detto, di stanziamenti in conto capitale, ora inclusi nella norma in esame tra i trasferimenti da fiscalizzare.

 

Si ricorda, infine, che l'articolo 14, commi 1 e 2, del D.L.: 78/2010 (L. 122/2010) dispone la riduzione delle risorse statali a qualsiasi titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario di 4.000 milioni di euro per l'anno 2011 e 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012. La stessa norma dispone inoltre la neutralità delle misure ai fini dell'attuazione dell'articolo 8 della legge 42/2009.

La medesima norma è ora ribadita, benché condizionatamente ad alcuni presupposti, all'articolo 39, comma 3, del decreto legislativo in esame (vedi infra)

 

Al comma 1 la norma in esame dispone, inoltre, che le regioni esercitano l’autonomia tributaria prevista dagli articoli 5, 6, 8 e 12, comma 2 in modo da «assicurare il rispetto dei termini fissati dal presente capo». Le norme citate disciplinano:

§      la facoltà per le regioni, a decorrere dal 2013, di ridurre l'IRAP fino ad azzerarla (articolo 5) e di aumentare l'aliquota di base dell'addizione IRPEF in misura maggiore rispetto alla disciplina vigente (articolo 6);

§      la soppressione della compartecipazione regionale all'accisa sulla benzina e di tributi minori dal 2013 (articolo 8);

§      l’obbligo, per ciascuna regione di istituire, a decorrere dal 2013, una compartecipazione comunale all'addizionale regionale all'IRPEF tale da sostituire i trasferimenti della regione ai comuni (articolo 12, comma 2).

 

Il comma 3, infine, disciplina la copertura finanziaria di eventuali successive attribuzioni di funzioni alle regioni sulla base dell'articolo 118 della Costituzione.

In tal caso con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, dovranno essere disciplinate le modalità per assicurare il finanziamento delle funzioni trasferite, secondo quanto previsto dall'articolo 8, comma 1 lett. i) della legge 42/2009. La legge delega dispone, infatti, che nel caso siano trasferite dallo Stato alle regioni ulteriori funzioni amministrative, dovranno essere definite adeguate forme di copertura finanziaria dei relativi oneri, nel rispetto dei principi recati dalla medesima legge 42 e dall'articolo 7 della legge 131/2003 che disciplina l'esercizio delle funzioni amministrative da parte di Stato, Regioni, Enti locali.


 

Articolo 8
(Ulteriori tributi regionali)

 


1. Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali la tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale, l'imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l'imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, le tasse sulle concessioni regionali, l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, di cui all'articolo 190 del Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592, all'articolo 121 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, agli articoli 1, 5 e 6 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, all'articolo 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281, all'articolo 5 della citata legge n. 281 del 1970, all'articolo 3 della citata legge n. 281 del 1970, agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342.

2. Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale.

3. Alle regioni a statuto ordinario spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.

4. A decorrere dall'anno 2013, e comunque dalla data in cui sono soppressi i trasferimenti statali a favore delle regioni in materia di trasporto pubblico locale, è soppressa la compartecipazione regionale all'accisa sulla benzina. È contestualmente rideterminata l'addizionale regionale all'IRPEF di cui all'articolo 2, in modo da assicurare un gettito corrispondente a quello assicurato dalla compartecipazione soppressa.

5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 4, spettano altresì alle regioni a statuto ordinario le altre compartecipazioni al gettito di tributi erariali, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.


 

 

L’articolo 8 reca disposizioni volte a completare il quadro delle entrate tributarie regionali.

 

Le disposizioni trasformano in tributi propri alcuni tributi regionali “minori” (in relazione al gettito da essi proveniente), ferma restando per le Regioni la facoltà di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013.

Si affida la disciplina della tassa automobilistica regionale alle Regioni, fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale.

Viene soppressa la compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina e sostituita da una conseguente rideterminazione dell’addizionale regionale all’IRPEF.

Parallelamente, sono attribuiti alle Regioni i tributi propri derivati e le altre compartecipazioni a tributi erariali secondo le disposizioni normative attualmente vigenti.

I tributi oggetto di intervento

Il comma 1 dell’articolo in esame prevede la trasformazione in tributi propri regionali, dal 1° gennaio 2013, le seguenti imposte e tasse, ferma restando la facoltà per le regioni di operarne la soppressione:

§      la tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale.

La tassa per l’abilitazione all’esercizio professionale è stata istituita sulla base dell’articolo 190 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592. E’ dovuta da chi ottiene l'abilitazione all'esercizio di una professione e ha conseguito il titolo accademico in una Università che ha sede legale nella Regione. L'effettuato pagamento deve essere dimostrato all'atto della consegna del titolo di abilitazione ovvero, per le professioni per le quali non si fa luogo a rilascio del titolo, all'atto della iscrizione nell'albo o nel ruolo professionale. L’articolo 121 del D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 prevede che le entrate (anche tributarie) degli enti pubblici nazionali e locali (quindi, anche delle Università) attribuite alle Regioni in virtù del trasferimento delle relative funzioni amministrative, ove derivanti da contributi o imposizioni a carico di persone fisiche o giuridiche o comunque a queste riferibili, ovvero pertinenti a beni mobili o immobili, sono percepite direttamente dalla Regione di domicilio fiscale o di ubicazione dei beni, con l'osservanza delle disposizioni in materia di istituzione di tributi propri recate dall’14 della legge 16 maggio 1970, n. 281, in quanto applicabile.

§      l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile;

§      l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo.

Ai sensi dell’articolo 2 della legge 281/1970 l’imposta sulle concessioni statali si applica alle concessioni per l'occupazione e l'uso di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato siti nel territorio della Regione (miniere, colture di pioppi su pertinenze idrauliche, demanio marittimo, ecc.), ad eccezione delle concessioni per le grandi derivazioni di acque pubbliche. Le Regioni determinano l'ammontare dell'imposta in misura non superiore al triplo del canone di concessione. L'imposta è dovuta dal titolare della concessione, contestualmente e con le medesime modalità del canone di concessione ed è riscossa, per conto delle Regioni, dagli uffici competenti alla riscossione del canone stesso.

La norma in commento fa riferimento agli articoli da 1 a 6 del D. L. 5 ottobre 1993, n. 400[18], la cui operatività è stata limitata dall’articolo 11 della L. 29 marzo 2001, n. 135 (recante la riforma della legislazione nazionale del turismo).

Le disposizioni citate concernono: l’aggiornamento dei canoni per gli anni dal 1990 al 1993; la compensazione delle somme versate in eccedenza per il medesimo periodo, nonché di quelle versate dal 2004 in poi; l’affidamento alle regioni della competenza al rilascio e al rinnovo delle concessioni demaniali marittime; l’attribuzione alle regioni, a decorrere dal 1° gennaio 1995, dell'eventuale maggior gettito derivante dalla riscossione dei canoni annui relativi alle concessioni demaniali marittime rispetto a quello già previsto nel bilancio pluriennale dello Stato. Il citato articolo 11 della legge 135/2001 ha disposto – tra l’altro – che le suindicate norme, relative a concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, cessino di essere applicabili ove incompatibili con le linee guida del D.P.C.M. 13 settembre 2002 (recante il recepimento dell'accordo fra Stato, regioni e le province autonome sui princìpi per l'armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico) e con la disciplina regionale di recepimento o adeguamento alle predette linee guida, a decorrere dalla data di entrata in vigore della stessa disciplina regionale.

Si ricorda infine che ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 70/2011 (in corso di conversione) tali concessioni sul demanio marittimo sono sostituite dal diritto di superficie. Si ricorda altresì che il D.Lgs. 85/2010 in materia di federalismo demaniale ha attribuito il demanio marittimo alle regioni;

§      la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali.

Ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 281 del 1970, essa è dovuta dai soggetti che occupano spazi ed aree pubbliche appartenenti alle Regioni. Per quanto non disposto dalla legge 281/1970, vi si applicano le norme che regolano l'analogo tributo provinciale. La determinazione dell’ammontare della tassa è lasciata alle Regioni, entro una forbice compresa tra 50 e il 150 per cento del quantum previsto dalle norme in tema di occupazione degli spazi e delle aree appartenenti alle province. All'accertamento, liquidazione e riscossione della tassa provvedono, per conto delle Regioni, gli Uffici competenti ad eseguire le dette operazioni per l'analogo tributo provinciale. Si ricorda in proposito che la TOSAP - Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche è disciplinata dagli articoli 38 a 57 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, come successivamente modificato. Ad essa sono sottoposte le occupazioni di qualsiasi natura effettuate - anche senza titolo - nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province (articolo 38 del D.Lgs. 507/93);

§      le tasse sulle concessioni regionali.

Le tasse sulle concessioni regionali (articolo 3 della legge 281/1970, come modificato nel tempo) si applicano agli atti e provvedimenti adottati dalle regioni nell'esercizio delle loro funzioni o dagli enti locali nell'esercizio delle funzioni regionali ad essi delegate, ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione. Tali atti sono indicati in un'apposita tariffa, da coordinare con le vigenti tariffe delle tasse sulle concessioni governative e sulle concessioni comunali e che deve indicare:

a)       gli atti e provvedimenti ai quali si applicano le tasse sulle concessioni regionali;

b)       i termini entro i quali il tributo relativo a ciascun atto o provvedimento soggetto deve essere corrisposto;

c)       l'ammontare del tributo dovuto per ciascun atto o provvedimento ad esso soggetto. Nel caso di provvedimento od atti già soggetti a tassa di concessione, sia governativa che regionale o comunale, l'ammontare del tributo sarà pari a quello dovuto prima della data di entrata in vigore della tariffa. In caso di provvedimenti o atti già assoggettati a tassa di concessione regionale di ammontare diverso in ciascuna regione, l'ammontare del tributo da indicare nella nuova tariffa sarà pari al 90 per cento del tributo di ammontare più elevato, e comunque non inferiore al tributo di ammontare meno elevato;

d)       eventuali norme, che disciplinano in modo particolare il tributo indicato in alcune voci di tariffa.

Il decreto delegato recante la tariffa deve contenere le voci delle tariffe delle tasse sulle concessioni governative e comunali che, per esigenze di coordinamento, devono essere abrogate con decorrenza dalla data di entrata in vigore della tariffa regionale contestualmente approvata. La norma dispone che con la medesima procedura e con l'osservanza degli stessi princìpi e criteri direttivi, entro due anni dall'entrata in vigore della tariffa, possono essere emanati decreti delegati modificativi. La suddetta tariffa è stata approvata con il decreto legislativo del 22 giugno 1991, n. 230.

La tariffa, oltre a recare disposizioni di coordinamento volte ad evitare l’assoggettamento a doppia imposizione (regionale e locale) di determinate tipologie di atti, reca la misura della tassa per la concessione per l'apertura e l'esercizio di farmacie, per l’autorizzazione all'apertura ed all'esercizio di stabilimenti di produzione e di smercio di acque minerali, naturali od artificiali, etc.

La normativa statale autorizza la legge regionale a disporre annualmente aumenti della tariffa anche con riferimento solo ad alcune voci, in misura non superiore al 20 per cento degli importi determinati per il periodo precedente, ovvero in misura non eccedente la maggiore percentuale di incremento disposta dallo Stato per le tasse sulle concessioni governative. Le Regioni provvedono all'accertamento, alla liquidazione ed alla riscossione delle tasse sulle concessioni regionali. L'atto o il provvedimento, per il quale sia stata corrisposta la tassa di concessione regionale, non è soggetto ad analoga tassa in altra regione, anche se l'atto o il provvedimento spieghi i suoi effetti al di fuori del territorio della regione che lo ha adottato;

§      l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili;

La disciplina della predetta imposta è contenuta negli articoli da 90 a 95 della legge 21 dicembre 2000, n. 342 (legge finanziaria 2001). Istituita a decorrere dall'anno 2001, incide per l’appunto sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, nelle aree adiacenti gli aeroporti, con l’obiettivo prioritario della riduzione dell’inquinamento acustico (è infatti un tributo di scopo). L'imposta è dovuta alla regione o provincia autonoma per ogni decollo ed atterraggio degli aeromobili civili negli aeroporti civili. La legge ne determina la misura (art. 92 della legge 342/2000, con possibilità per le regioni di variare entro un “forbice” di valori). I previsti decreti che avrebbero dovuto stabilire le modalità applicative dell'imposta non sono stati emanati, né le regioni hanno variato la misura dell’imposta stabilita nella legge.

In ordine alla disciplina della predetta imposta, si ricorda che l’articolo 24, comma 5 del provvedimento in esame consente alle sole Regioni che abbiano soppresso tale imposta di attribuire alle città metropolitane la facoltà di disciplinarla.

Il comma 2affida alle Regioni la disciplina della tassa automobilistica regionale, mantenendo i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale.

Si ricorda in proposito che, a decorrere dall’anno 1993, le regioni possono determinare con propria legge, entro il 10 novembre di ogni anno, gli importi delle tasse automobilistiche nella misura compresa tra il 90 e il 110 per cento degli importi vigenti nell’anno precedente (ai sensi dell’articolo 24 del D.Lgs. n. 504/1992[19]). Il tariffario unico nazionale è contenuto nel D.M. 27 dicembre 1997 (recante le tariffe delle tasse automobilistiche, come modificato dalla tabella 2 allegata alla legge finanziaria per il 2007, L. 27 dicembre 2006, n. 296; le nuove tariffe sono entrate in vigore nel 2007). Nel territorio delle Regioni a statuto speciale la tassa è rimasto un tributo erariale.

La legge statale (articolo 8, comma 7 della legge 27 dicembre 1997, n. 449) esenta in via permanente dall’obbligo di pagamento della tassa per i motoveicoli e gli autoveicoli dei soggetti diversamente abili, mentre le Regioni a statuto ordinario hanno previsto specifiche e ulteriori forme di agevolazione. Si veda, per approfondimenti, la scheda di lettura relativa all’articolo 15.

 

Si veda infra per il comma 3.

 

Il comma 4 sopprime, dal 2013 e comunque “dalla data in cui sono soppressi i trasferimenti statali a favore delle Regioni in materia di trasporto pubblico locale”,la compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina.

A mente dell’articolo 32, comma 4 del decreto in commento, lo Stato provvede alla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni relativi al trasporto pubblico locale aventi carattere di generalità e permanenza a decorrere dal 2012, con la conseguente fiscalizzazione degli stessi trasferimenti.

 

Non risulta chiaro, sulla base della formulazione del testo, se la norma in commento si riferisca alla data di soppressione di tutti i trasferimenti alle regioni in materia di trasporto pubblico locale, ovvero solo a quelli previsti dal citato articolo 32 (cioè quelli aventi carattere di generalità e permanenza). In tale ipotesi, occorrerebbe chiarire come vadano interpretate le diverse decorrenze stabilite dal comma 4 dell’articolo 32 e dal comma 4 dell’articolo 7 in commento.

 

L’articolo 3, comma 12 della legge n. 549 del 1995[20]ha attribuito, dal 1° gennaio 1996, una quota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo per autotrazione, nella misura originaria di lire 350 al litro, alla regione a statuto ordinario nel cui territorio avviene il consumo, a titolo di tributo proprio[21].L’articolo 5 del D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56[22] ha demandato ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle finanze e del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano la periodica rideterminazione della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina.

Attualmente la misura della compartecipazione (ai sensi dell’articolo 4 del D.Lgs 56/2000) è pari a 0,1291 euro (250 lire) per litro di benzina venduto.

 

All’onere derivante dalla soppressione dell’addizionale si fa fronte mediante la corrispondente rideterminazione dell’addizionale IRPEF, ai sensi dell’articolo 2, comma 1 dello schema in commento (alla cui scheda di lettura si rinvia).

 

Restano attribuiti alle Regioni a statuto ordinario:

§      gli altri tributi (comma 3) ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto in commento, qualificati come tributi propri derivati (disciplinati con legge statale e il cui gettito è devoluto alla Regione). La Regione può variare l'aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato.

§      ferma restando l’attribuzione della compartecipazione IVA (articolo 3 del provvedimento), le altre compartecipazioni al gettito di tributi erariali secondo le previsionidella legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto in commento, ovvero dal 27 maggio 2011 (comma 4).

 

Resterebbero attribuiti alle Regioni a statuto ordinario i seguenti tributi:

-        Tassa automobilistica regionale (D.Lgs. 504/1992), ferma restando l’attribuzione alle Province di una compartecipazione a tale tributo, ai sensi dell’articolo 19 del decreto in esame, per il quale si veda la relativa scheda di lettura;

-        ARISGAM - Addizionale regionale all’imposta erariale sul gas metano (D.Lgs. 398/1990);

-        Imposta regionale sulla benzina (D.Lgs. 398/1990);

-        Tassa regionale per il diritto allo studio universitario (L. 549/1995);

-        Tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (L. 549/1995);

-        Compartecipazione regionale alle accise sul gasolio per autotrazione (L. 244/2007);

-        Addizionale regionale sui canoni statali per le utenze di acqua pubblica (legge 36/1994).


 

Articolo 9
(Attribuzione alle Regioni del gettito derivante
dalla lotta all’evasione fiscale)

 


1. È assicurato il riversamento diretto alle Regioni, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 9, comma 1, lettera c), numero 1), della citata legge n. 42 del 2009, in relazione ai principi di territorialità di cui all'articolo 7, comma 1, lettera d), della medesima legge n. 42 del 2009, dell'intero gettito derivante dall'attività di recupero fiscale riferita ai tributi propri derivati e alle addizionali alle basi im­ponibili dei tributi erariali di cui al presente decreto.

2. È altresì attribuita alle Regioni, in relazione ai principi di territorialità di cui all'articolo 7, comma 1, lettera d), della citata legge n. 42 del 2009, una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale in materia di IVA, commisurata all'aliquota di compar­tecipazione prevista dal presente decreto. Ai sensi dell'articolo 25, comma 1, lettera b), della medesima legge n. 42 del 2009, le modalità di condivisione degli oneri di gestione della predetta attività di recupero fiscale sono disciplinate con specifico atto convenzionale sottoscritto tra regione ed Agenzia delle entrate.

3. Qualora vengano attribuite alle Regioni ulteriori forme di compartecipa­zione al gettito dei tributi erariali, è contestualmente riversata alle Regioni una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale relativa ai predetti tributi, in coerenza a quanto previsto dal comma 2.

4. Con decreto del Ministro dell'econo­mia e delle finanze sono stabilite le modalità di attribuzione alle Regioni delle risorse di cui ai commi 1, 2 e 3.


 

 

L’articolo 9 reca disposizioni volta ad attribuire alle Regioni una parte del gettito derivante dall’attività di recupero fiscale.

 

In particolare, il comma 1 dispone il riversamento diretto alle Regioni dell’intero gettito derivante dall’attività di recupero fiscale riferita ai tributi propri derivati e alle addizionali introdotte con il decreto in esame, “in coerenza” con quanto disposto dall’articolo 9, comma 1, lettera c), punto 1 della legge 42/2009.

 

L'articolo 9 della legge sul federalismo fiscale reca la disciplina della perequazione a favore delle Regioni. Al comma 1, lettera c), punto 1, tra i criteri che devono essere seguiti nell’azione perequativa da parte dello Stato, menziona la necessità di coprire la differenza tra il fabbisogno per le spese "essenziali" - calcolate ai costi standard - e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, quest’ultimo determinato escludendo sia le variazioni di gettito (regionale) prodotte dall’esercizio dell’autonomia tributaria, sia l’emersione della base imponibile riferibile al concorso regionale nell’attività di recupero fiscale.

Non si tratta quindi di un gettito tributario effettivo, ma di un gettito convenzionale: in sostanza, le capacità di recupero dell'evasione fiscale e lo sforzo fiscale di ciascuna regione non devono andare a detrimento della perequazione cui ha diritto quella Regione come differenza tra fabbisogno e tributi.

Si ricorda che la perequazione deve coprire integralmente le spese corrispondenti al fabbisogno standard per i LEP (articolo 8, comma 1, lettera a), n. 1)). In altri termini è il livello di spesa "essenziale" (al valore standard) il cui finanziamento è riconosciuto a tutte le Regioni.

 

Si ricorda che la legge sul federalismo (articolo 2, comma 2, lettera d) della l. 42/2009), tra i principi e criteri direttivi generali da seguire nell’attuazione della delega, menziona il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, nonché la previsione di meccanismi di carattere premiale nei confronti degli enti territoriali. Gli articoli 25 e 26 attengono, rispettivamente, alle modalità di gestione di tributi e compartecipazione e alla specifica tematica del contrasto all’evasione. In particolare, l’articolo 26, comma 1, lettera b) ribadisce la necessità di istituire meccanismi premiali per le Regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggior gettito derivante dall'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

La normativa vigente (a mente dell’articolo 1, comma 1 del D.L. 30 settembre 2005, n. 203[23], come successivamente modificato dall’articolo 18 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78[24] e poi integrato dall’articolo 2, comma 10, lettera b) del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 in tema di federalismo fiscale municipale) prevede che ai Comuni sia destinata una quota delle maggiori somme di tributi statali – nonché delle sanzioni civili applicate sui maggiori contributi riscossi a titolo definitivo – riscossi con l'intervento dei comuni stessi nella fase di accertamento[25].

La disposizione in commento, nel disporre il riversamento diretto alle Regioni dell’intero gettito derivante dall’attività di recupero fiscale - riferita ai tributi propri derivati e alle addizionali - non sembra ancorare tale previsione allo sforzo fiscale sostenuto dall’ente destinatario delle maggiori somme, instaurando invece un meccanismo di natura automatica, con possibili riflessi anche sulla formulazione di previsioni di gettito.

 

Il predetto riversamento è effettuato in relazione ai principi di territorialità menzionati all’articolo 7, comma 1, lettera d) della legge 42/2009.

L’articolo 7, comma 1, lettera d) della legge 42/2009 prescrive che le modalità di ripartizione dei tributi propri derivati e delle compartecipazioni a quelli erariali siano individuate in conformità al principio di territorialità di cui all'articolo 119 della Costituzione. Nello specificare tale principio, la disposizione prevede che si tenga conto:

1)       del luogo di consumo per i tributi aventi quale presupposto i consumi, con la precisazione che per i servizi il luogo di consumo può essere identificato nel domicilio del soggetto fruitore finale;

2)       della localizzazione dei cespiti per i tributi basati sul patrimonio;

3)       del luogo di prestazione del lavoro per i tributi basati sulla produzione;

4)       della residenza del percettore per i tributi riferiti ai redditi delle persone fisiche[26].

 

Il comma 2 attribuisce alle Regioni, in relazione al medesimo principio di territorialità, anche una quota del gettito derivante dall’attività di recupero fiscale in materia di IVA, che sia commisurata all’aliquota di compartecipazione prevista dallo schema in esame, calcolata con le modalità previste all’articolo 4 (alla cui scheda di lettura si rimanda per approfondimenti).

Si ricorda che l’articolo 4 dello schema in commento attribuisce a ciascuna regione a statuto ordinario una compartecipazione al gettito dell’imposta sul valore aggiunto, determinandone l’aliquota sia per il primo, transitorio periodo di operatività (2011-2012), sia a regime a decorrere dal 2013.

 

La medesima norma demanda ad apposita convenzione, sottoscritta tra ciascuna Regione e l’Agenzia delle Entrate, la determinazione delle modalità di condivisione degli oneri gestionali connessi alla predetta attività di recupero fiscale.

Viene in proposito richiamato l’articolo 25, comma 1, lettera b) della legge delega, ai sensi del quale – tra i princìpi e criteri direttivi cui il Governo deve attenersi per quanto attiene alla gestione dei tributi e delle compartecipazioni – con apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole Regioni e gli enti locali sono definite le concrete modalità di recupero degli introiti dell’evasione fiscale, con riferimento anche alla ripartizione degli oneri relativi a tale attività.

 

Il comma 3 reca una prescrizione di carattere generale: essa prevede che, all’attribuzione alle Regioni di ulteriori forme di compartecipazione al gettito di tributi erariali, corrisponda un riversamento alle stesse di quote di gettito derivante dalla relativa attività di recupero fiscale.

 

Le modalità di riversamento delle risorse attribuite dall’articolo in commentosono demandate (comma 4) a un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze.


 

Articolo 10
(
Gestione dei tributi regionali)

 


1. L'atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all'articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è adottato dal Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le regioni e sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009.

2. Nel rispetto della autonomia organizzativa delle regioni nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, le regioni possono definire con specifico atto convenzionale, sottoscritto con il Ministero dell'economia e delle finanze e con l'Agenzia delle entrate, le modalità gestionali e operative dei tributi regionali, nonché di ripartizione degli introiti derivanti dall'attività di recupero dell'evasione di cui all'articolo 9, commi 2 e 3. L'atto convenzionale, sottoscritto a livello nazionale, riguarda altresì la compartecipazione al gettito dei tributi erariali. Dal presente comma non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

3. La convenzione di cui al comma 2 deve prevedere la condivisione delle basi informative e l'integrazione dei dati di fonte statale con gli archivi regionali e locali.

4. Per le medesime finalità stabilite al comma 2, le attività di controllo, di rettifica della dichiarazione, di accertamento e di contenzioso dell'IRAP e dell'addizionale regionale all'IRPEF devono essere svolte dall'Agenzia delle Entrate. Le modalità di gestione delle imposte indicate al primo periodo, nonché il relativo rimborso spese, sono disciplinati sulla base di convenzioni da definire tra l'Agenzia delle entrate e le regioni.

5. Al fine di assicurare a livello territoriale il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui al comma 1, la convenzione di cui al comma 2 può prevedere la possibilità per le regioni di definire, di concerto con la Direzione dell'Agenzia delle entrate, le direttive generali sui criteri della gestione e sull'impiego delle risorse disponibili.

6. Previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-Regioni, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono definite le modalità attuative delle disposizioni di cui al comma 5.

7. Per la gestione dei tributi il cui gettito sia ripartito tra gli enti di diverso livello di governo la convenzione di cui al comma 2 prevede l'istituzione presso ciascuna sede regionale dell'Agenzia delle Entrate di un Comitato regionale di indirizzo, di cui stabilisce la composizione con rappresentanti designati dal direttore dell'Agenzia delle entrate, dalla regione e dagli enti locali. La citata gestione dei tributi è svolta sulla base di linee guida concordate nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni, con l'Agenzia delle entrate. Dal presente comma non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 10 disciplina i rapporti tra Stato e Regioni per quanto riguarda la gestione dei tributi e, in particolare, il recupero dell’evasione fiscale.

La legge delega sul federalismo fiscale (legge 42/2009) reca prescrizioni generali sul contrasto all’evasione all’articolo 2, comma 2, lettera d) e, nello specifico, si occupa della materia agli articoli 25 e 26.

L’articolo 2, tra i principi e criteri direttivi generali da seguire nell’attuazione della delega, menziona il coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, nonché la previsione di meccanismi di carattere premiale nei confronti degli enti territoriali

Ai sensi dell’articolo 25, ferma restando l’autonomia organizzativa di regioni ed enti locali nella scelta delle forme di organizzazione delle attività di gestione e di riscossione, nell’esercizio della delega devono essere previste adeguate forme di collaborazione delle regioni e degli enti locali con il Ministero dell’economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, al fine di utilizzare le direzioni regionali delle entrate per la gestione organica dei tributi erariali, regionali e degli enti locali. E’ prescritta la definizione, con apposita e specifica convenzione fra il Ministero dell’economia e delle finanze, le singole regioni e gli enti locali, delle modalità gestionali, operative, di ripartizione degli oneri, degli introiti di attività di recupero dell’evasione.

Per quanto riguarda l’azione di contrasto all’evasione fiscale, l’articolo 26 prescrive che, nell’attuazione della delega, siano previste adeguate forme di reciproca integrazione delle basi informative di cui dispongono le regioni, gli enti locali e lo Stato per le attività di contrasto alla evasione dei tributi erariali, regionali e degli enti locali, nonché forme di diretta collaborazione, per fornire dati ed elementi utili ai fini dell'accertamento dei predetti tributi. Accanto all’interazione tra i diversi livelli di governo, sono previsti meccanismi premiali per le regioni e gli enti locali che abbiano ottenuto risultati positivi in termini di maggior gettito derivante dall'azione di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale.

 

Nel dettaglio, il comma 1 prevede una nuova procedura per l’adozione dell’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale, disciplinato dall'articolo 59 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300: esso, infatti, dovrà essere adottato d’intesa con le Regioni e sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui agli articolo 33 e seguenti del provvedimento in esame.

 

L’articolo 59, comma 1 del D.Lgs. 301999 n. 300[27] prevede che il Ministro dell’economia e delle finanze, dopo l'approvazione da parte del Parlamento del documento di programmazione economica-finanziaria (oggi Documento di economia e finanza – DEF) e in coerenza con i vincoli e gli obiettivi stabiliti in tale documento, determini annualmente, e comunque entro il mese di settembre, con un proprio atto di indirizzo e per un periodo almeno triennale, gli sviluppi della politica fiscale, le linee generali e gli obiettivi della gestione tributaria, le grandezze finanziarie e le altre condizioni nelle quali si sviluppa l'attività delle agenzie fiscali. Il documento di indirizzo è trasmesso al Parlamento.

 

Il comma 2 prevede che le Regioni – nel rispetto della propria autonomia organizzativa in relazione all’attività di gestione e riscossione dei tributi - possano definire, mediante atto convenzionale sottoscritto con il Ministero dell’economia e delle finanze e con l’Agenzia delle entrate, le modalità operative e gestionali dei tributi regionali, nonché le modalità di riparto degli introiti derivanti dall’attività di recupero dell’evasione (in materia di compartecipazione IVA o di ulteriori forme di compartecipazione a tributi erariali eventualmente attribuite alle regioni, secondo quanto previsto, rispettivamente, dai commi 2 e 3 dell’articolo 9). Tale atto convenzionale, sottoscritto a livello nazionale, riguarda altresì la compartecipazione al gettito dei tributi erariali.

Si prevede che dalle disposizioni così introdotte non possano derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

 

Il comma 3 fissa il contenuto dell’atto convenzionale, che deve prevedere la condivisione delle basi informative e l’integrazione dei dati di fonte statale con gli archivi regionali e locali.

 

Il comma 4 affida all’Agenzia delle Entrate, ai predetti scopi di interazione e collaborazione tra diversi livelli di governo nella gestione dei tributi, le seguenti attività relative all’IRAP e all’addizionale regionale all’IRPEF:

§       controllo e rettifica delle dichiarazioni;

§       accertamento;

§       contenzioso.

La norma affida ad apposite convenzioni tra l'Agenzia delle Entrate e le Regioni la disciplina delle modalità di gestione delle suddette imposte, nonché il relativo rimborso spese.

 

Si ricorda in proposito che ai sensi dell’articolo 24, comma 4, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’IRAP, le Regioni possono affidare al Ministero dell’economia e delle finanze le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell’imposta, nonché del relativo contenzioso, secondo le disposizioni in materia di imposte sui redditi. L’articolo 62 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 ha attribuito all'Agenzia delle Entrate la competenza a svolgere i servizi relativi all'amministrazione, alla riscossione e al contenzioso dei tributi diretti e dell’IVA, nonché di tutte le imposte, diritti o entrate erariali o locali già di competenza del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze o affidati alla sua gestione in base alla legge o ad apposite convenzioni stipulate con gli enti impositori.

Infine, ai sensi dell’articolo 57, comma 2, del D.Lgs. 300/1999, le Regioni e gli Enti Locali possono attribuire alle Agenzie fiscali, sulla base di un rapporto convenzionale, la gestione delle funzioni ad essi spettanti.

Nella prassi, diverse Regioni hanno stipulato con l’Agenzia delle Entrate apposite convenzioni per l’affidamento delle predette attività relative all’IRAP e all’addizionale regionale IRPEF[28].

La norma in commento rende dunque obbligatorio tale affidamento, demandando ancora una volta ad apposta convenzione la determinazione delle sole modalità di gestione dell’IRAP e dell’addizionale IRPEF.

 

Il comma 5,con il fine di conseguire a livello territoriale gli obiettivi di politica fiscale contenuti nell’atto di indirizzo, indica il contenuto discrezionale della convenzione relativa alle modalità gestionali e operative dei tributi regionali e del riparto degli introiti derivanti dalla lotta all’evasione (di cui al già illustrato comma 2).

Essa può prevedere, di concerto con la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate, la definizione delle direttive generali sui criteri di gestione e impiego delle risorse disponibili.

 

Le modalità attuative di tale previsione (comma 6) sono contenute in apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, previo accordo in sede di Conferenza Stato – Regioni.

 

Il comma 7 affida alla convenzione di cui al citato comma 2 l’istituzione, presso ciascuna sede regionale dell’Agenzia delle Entrate, di un apposito Comitato regionale di indirizzo avente il compito di gestire i tributi il cui gettito sia ripartito tra i diversi livelli di governo.

La convenzione ne stabilisce altresì la composizione: i rappresentanti sono designati dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate, dalla Regione e dagli enti locali.

La gestione dei tributi affidata al Comitato si svolge sulla base di linee guida concordate con l’Agenzia delle Entrate, nell’ambito della Conferenza Stato–Regioni.


 

Articolo 11
(Misure compensative di interventi statali sulle basi imponibili
e sulle aliquote dei tributi regionali)

 

1. Gli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi regionali di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono possibili, a parità di funzioni amministrative conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi.

2. La quantificazione finanziaria delle predette misure è effettuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5 della medesima legge n. 42 del 2009.

 

 

L’articolo 11reca disposizioni dirette ad evitare che le eventuali modifiche alla normativa statale fiscale sulla disciplina di alcune imposte determinino una variazione non compensata del gettito tributario delle regioni.

Ai sensi del comma 1, i tributi interessati dalla norma in esame sono quelli indicati nell’articolo 7, comma 1, lettera b), numeri 1) e 2) della legge delega sul federalismo fiscale (n. 42 del 2009) ossia:

1)    i tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni;

2)    le addizionali calcolate sulle basi imponibili dei tributi erariali.

Gli interventi sulla normativa statale - relativamente ai quali è richiesta la compensazione finanziaria - sono quelli che recano modifiche alla base imponibile ovvero alle aliquote dei richiamati tributi regionali e addizionali.

Relativamente ai tributi e alle tipologie di intervento sopra indicate, il comma esame stabilisce che la disciplina statale può essere modificata solo se, a parità di funzioni amministrative conferite, si provvede, contestualmente, ad adottare misure di modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi al fine di garantire la completa compensazione degli effetti finanziari.

Il comma 2 prevede che la quantificazione degli effetti finanziari recati dalle misure introdotte ai sensi del comma precedente saranno disciplinati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblicadi cui all’articolo 5 della legge n. 42 del 2009.


 

Articolo 12
(Soppressione dei trasferimenti dalle Regioni a statuto ordinario ai Comuni e compartecipazione comunale alla addizionale regionale all'IRPEF)

 


1. Ciascuna regione a statuto ordinario sopprime, a decorrere dal 2013, i trasferimenti regionali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, diretti al finanziamento delle spese dei comuni, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), della citata legge n. 42 del 2009, aventi carattere di generalità e permanenza.

2. Con efficacia a decorrere dal 2013, ciascuna regione a statuto ordinario determina, secondo quanto previsto dallo statuto o, in coerenza dello stesso, con atto amministrativo, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d'intesa con i comuni del proprio territorio, una compartecipazione ai tributi regionali, e prioritariamente alla addizionale regionale all'IRPEF, o individua tributi che possono essere integralmente devoluti, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi ai sensi del comma 1. Con il medesimo procedimento può essere rivista la compartecipazione ai tributi regionali o l'individuazione dei tributi devoluti sulla base delle disposizioni legislative regionali sopravvenute che interessano le funzioni dei comuni. L'individuazione dei trasferimenti regionali fiscalizzabili è oggetto di condivisione nell'ambito della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

3. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.

4. Con efficacia a decorrere dalla data di cui al comma 1, per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attuazione del presente articolo, ciascuna regione istituisce un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio in cui confluisce una percentuale non superiore al 30 per cento del gettito di cui al comma 2. Con le modalità stabilite dal medesimo comma, sono determinati il riparto del Fondo, nonché le quote del gettito che, anno per anno, sono devolute al singolo comune in cui si sono verificati i presupposti di imposta.

5. Il fondo sperimentale regionale di riequilibrio ha durata di tre anni.


 

 

L’articolo 12 prevede, al comma 1, che ciascuna regione a statuto ordinario sopprima, a decorrere dal 2013, i trasferimenti regionali di parte corrente e in conto capitale, ove non finanziati tramite il ricorso all’indebitamento, aventi carattere di generalità e permanenza, diretti al finanziamento delle spese dei comuni, come previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera e) della legge delega.

Il nuovo sistema di finanziamento delle spese degli enti locali, definito nel Capo III (articoli da 11 a 14) della legge n. 42/2009, prevede espressamente la soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento di tali enti (articolo 11, comma 1, lettera e). Dalla soppressione sono esclusi soltanto gli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi e quelli ancora in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

In sostituzione dei trasferimenti soppressi, il comma 2 prevede che, a decorrere dal medesimo anno, ciascuna Regione a statuto ordinario determini, secondo quanto previsto dallo statuto, con atto amministrativo,previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d’intesa con i Comuni del proprio territorio, una compartecipazione ai tributi regionali - prioritariamente al gettito della addizionale regionale all’IRPEF - ovvero individui i tributi che possono essere integralmente devoluti ai comuni medesimi, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi ai sensi del comma 1.

Secondo la medesima procedura, può essere rivista la compartecipazione ai tributi regionali o l’indicazione dei tributi devoluti, sulla base delle disposizioni legislative regionali sopravvenute che interessano le funzioni dei comuni.

 

Il commaprevede inoltre che l’individuazione dei trasferimenti regionali suscettibili di fiscalizzazione è oggetto di condivisione nell’ambito della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ovvero della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, qualora costituita.

Si ricorda che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è istituita ai sensi dell’articolo 33 del provvedimento. In particolare, il successivo articolo 35, comma 2, prevede la convocazione della riunione di insediamento della Conferenza entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo (cioè, entro il 26 giugno).

 

Per quanto concerne l’ammontare dei trasferimenti regionali da sopprimere, che nel testo originario del provvedimento era limitata ai soli trasferimenti correnti, si ricorda che la Relazione tecnica, rilevando la mancanza di elementi idonei per una valutazione in merito, riportava, a titolo esemplificativo, i dati relativi al 2008, a suo tempo forniti dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), nel documento allegato alla Relazione sul federalismo fiscale, presentata dal Governo a giugno 2010 (Doc. XXVII, n. 22). Secondo la Relazione, i trasferimenti regionali correnti ai comuni sono indicati in circa 2.457 milioni di euro nel 2008.

Nella medesima Relazione, i trasferimenti in conto capitale dalle regioni ai comuni sono indicati pari a circa 3.857 milioni di euro nel 2008[29].

 

Nel caso in cui la regione non ottemperi alle descritte disposizioni, il comma 3 prevede l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.

L’attivazione del potere sostitutivo nei confronti di regioni e province autonome fa capo alle disposizioni dell’articolo 120 della Costituzione e alla disciplina attuativa dettata dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (c.d. “legge La Loggia”). La disciplina generale prevede che si esplichi obbligatoriamente una procedura contestativa, seguita eventualmente da un termine monitorio e, solo successivamente, dalla attivazione del potere sostitutivo.

 

Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata il riparto della compartecipazione ai tributi regionali sostitutiva dei trasferimenti regionali, il comma 4 prevede, a decorrere dall’anno 2013, l’istituzione da parte di ciascuna regione di un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio, alimentato con quota parte -stabilita in misura pari ad una percentuale non superiore al 30 per cento - del gettito derivante dalla compartecipazione ai tributi regionali ovvero dai tributi interamente devoluti, secondo quanto previsto dal comma 2.

La durata di tale Fondo sperimentale regionale è stabilita in tre anni, fino al 2015(comma 5).

Ciascuna regione stabilisce, secondo le modalità indicate dal comma 2, cioè previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d’intesa con i comuni del proprio territorio, le modalità di riparto del Fondo nonché le quote del gettito che, anno per anno, sono devolute al singolo comune in cui si sono verificati i presupposti di imposta.

 

Dovrebbe, pertanto, considerarsi oggetto di diretta attribuzione ai comuni, sulla base del principio di territorialità, la restante quota di compartecipazione , pari al 70 per cento, che non affluisce al Fondo regionale sperimentale.

 

Poiché la durata del Fondo sperimentale regionale di riequilibrio è fissata in tre anni, deve desumersi che, a partire dal 2016, anche la quota del 30% della compartecipazione – ora versata al Fondo regionale sperimentale – sarà oggetto di diretta assegnazione ai comuni.


 

Articolo 13
(Livelli essenziali delle prestazioni e obiettivi di servizio)

 


1. Nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, nonché della specifica cornice finanziaria dei settori interessati relativa al finanziamento dei rispettivi fabbisogni standard nazionali, la legge statale stabilisce le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nelle materie diverse dalla sanità.

2. I livelli essenziali delle prestazioni sono stabiliti prendendo a riferimento macroaree di intervento, secondo le materie di cui all'articolo 14, comma 1, ciascuna delle quali omogenea al proprio interno per tipologia di servizi offerti, indipendentemente dal livello di governo erogatore. Per ciascuna delle macroaree sono definiti i costi e i fabbisogni standard, nonché le metodologie di monitoraggio e di valutazione dell'efficienza e dell'appropriatezza dei servizi offerti.

3. Conformemente a quanto previsto dalla citata legge n. 42 del 2009, il Governo, nell'ambito del disegno di legge di stabilità ovvero con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di economia e finanza, previo parere in sede di Conferenza unificata, propone norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l'obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio, di cui al comma 5, ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.

4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d'intesa con la Conferenza unificata e previo parere delle Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, è effettuata la ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale, nonché la ricognizione dei livelli adeguati del servizio di trasporto pubblico locale di cui all'articolo 8, comma 1, lettera c), della citata legge n. 42 del 2009.

5. Fino alla determinazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni, tramite intesa conclusa in sede di Conferenza unificata sono stabiliti i servizi da erogare, aventi caratteristiche di generalità e permanenza, e il relativo fabbisogno, nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

6. Per le finalità di cui al comma 1, la Società per gli studi di settore - SOSE S.p.a., in collaborazione con l'ISTAT e avvalendosi della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO) delle regioni, secondo la metodologia e il procedimento di determinazione di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, effettua una ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni che le regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi. SOSE S.p.a. trasmette i risultati della ricognizione effettuata al Ministro dell'economia e delle finanze, che li comunica alle Camere. Trasmette altresì tali risultati alla Conferenza di cui all'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009. I risultati confluiscono nella banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché in quella di cui all'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009. Sulla base delle rilevazioni effettuate da SOSE S.p.a., il Governo adotta linee di indirizzo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in apposito allegato al Documento di economia e finanza ai fini di consentire l'attuazione dell'articolo 20, comma 2, della citata legge n. 42 del 2009, dei relativi costi standard e obiettivi di servizio.


 

 

L’articolo 13 reca una serie di disposizioni volte a favorire la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni nella materie diverse dalla sanità e a realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali.

 

In particolare, il comma 1 ribadisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato per la definizione delle “modalità di determinazione” dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nelle materie diverse dalla sanità.

 

Al fine di garantire gli equilibri finanziari complessivi, la norma specifica che le modalità di definizione dei LEP e dei LEA non sanitari devono comunque assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, nonché della specifica cornice finanziaria dei settori interessati relativa al finanziamento dei rispettivi fabbisogni standard nazionali.

 

Con riguardo alla formulazione del testo, il tenore letterale della norma, laddove ribadisce la riserva di legge statale per stabilire le “modalità di determinazione” dei livelli essenziali”, differisce dall’articolo 20, comma 2, della legge di delega n. 42/09, il quale dispone che la legge statale “disciplina la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni”, precisando altresì che “fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale”. Si rileva, peraltro, come tale differenza lessicale possa comunque essere considerata coerente con l’impianto della legge delega, anche alla luce del fatto che nella materia della sanità la legge statale ha in passato demandato la puntuale definizione dei LEP e dei LEA ad atti di rango secondario (nella specie appositi DPCM).

 

Si ricorda che la nozione di livelli essenziali è stata introdotta nella Costituzione dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V, con riferimento alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale[30].

In ambito sanitario, i Livelli essenziali di assistenza (LEA) sono stati definiti dal D.P.C.M. 29 novembre 2001[31], che costituisce un classificatore e nomenclatore delle prestazioni sanitarie sulla base della loro erogabilità da parte del SSN[32]. Il decreto dedica un passaggio anche all’integrazione socio-sanitaria, ovveroalle prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al SSN. Precedentemente, il D.P.C.M. 14 febbraio 2001[33] aveva definito i livelli uniformi delle prestazioni socio-sanitarie di alta integrazione sanitaria. Tali prestazioni vengono distinte in:

-        prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, ovvero prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali.

-        prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, ovvero tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.

La nozione dei livelli essenziali con riferimento alle prestazioni sociali (LIVEAS) era stata introdotta poco prima dall’articolo 22 della legge n. 328 del 2000[34], che vincola la definizione dei LIVEAS alle risorse economiche disponibili rinviando per una definizione più precisa al Piano sociale nazionale 2001-2003. L’articolo 22 definisce i Livelli essenziali delle prestazioni sociali (per macro-aree, come indirizzi e non come standard di erogazione), individuando a tal fine l’area di bisogno e quindi le prestazioni e gli interventi idonei a soddisfare quei bisogni, senza giungere tuttavia a una definizione puntuale dei servizi. In assenza di una normativa statale di determinazione dei LIVEAS, le scelte delle regioni si sono fortemente differenziate anche se sono state accomunate dal tentativo di costruire sistemi di nomenclatura dei servizi sociali, quali strumenti indispensabili di monitoraggio e programmazione.

 

Il comma 2 specifica che i LEP sono stabiliti prendendo a riferimento macroaree di intervento, ciascuna delle quali caratterizzata al proprio interno dalla omogeneità nella tipologia di servizi offerti, indipendentemente dal livello di governo erogatore.

 

Per ciascuna delle macroaree – da individuare nelle materie di cui all’art. 14, comma 1 (sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale) - sono definiti:

§      i costi e i fabbisogni standard,

§      le metodologie di monitoraggio e di valutazione dell’efficienza e dell’appropriatezza dei servizi offerti.

 

Il comma 3 ribadisce, nella sostanza, quanto già previsto ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 42 del 2009, stabilendo che il Governo, nell’ambito del disegno di legge di stabilità ovvero con apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, proponga norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica volte a realizzare l’obiettivo della convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo, nonché un percorso di convergenza degli obiettivi di servizio, di cui al comma 5, ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione.

Tali norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica sono adottate previo parere in sede di Conferenza unificata e devono risultare coerenti con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del Documento di economia e finanza.

 

Va rilevato che la norma in esame, laddove richiama il percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali, fa riferimento agli “obiettivi di servizio, di cui al comma 5”; quest’ultima disposizione sembra tuttavia avere a oggetto non già gli “obiettivi di servizio” – intendendosi tali, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lett. f) della legge delega, gli obiettivi “cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai LEP o alle funzioni fondamentali” – quanto piuttosto i “servizi” da erogare da parte degli enti territoriali aventi caratteristiche di generalità e permanenza.

 

Il comma 4 demanda ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) il compito di effettuare una ricognizione dei LEP nelle materie dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale.

Con il medesimo decreto è altresì effettuata la ricognizione dei livelli adeguati del servizio di trasporto pubblico locale di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), della legge n. 42 del 2009[35].

Il predetto DPCM è adottato:

a)      su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale;

b)      d’intesa con la Conferenza unificata;

c)      previo parere delle Commissioni parlamentari di Camera e Senato competenti per i profili di carattere finanziario.

 

Il comma 5 stabilisce che fino alla determinazione, con legge, dei livelli essenziali delle prestazioni, tramite intesa conclusa in sede di Conferenza unificata sono stabiliti i “servizi da erogare” e il relativo fabbisogno.

La norma specifica che la determinazione di tali servizi, che devono avere caratteristiche di generalità e permanenza, e del fabbisogno finanziario necessario ad erogarli, va effettuata nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica.

 

Per agevolare l’attività di cui al comma 1 - ossia la definizione con legge statale delle “modalità di determinazione” dei LEP e dei LEA nelle materie diverse dalla sanità - il comma 6 demanda alla Società per gli studi di settore (SOSE S.p.a.) il compito di effettuare una ricognizione dei LEP che le Regioni a statuto ordinario effettivamente garantiscono e dei relativi costi.

 

Peraltro, alla luce del richiamo, contenuto nella norma, alle “finalità di cui al comma 1”, la ricognizione in oggetto sembra doversi circoscrivere ai livelli essenziali concernenti solo le materie diverse dalla sanità.

 

 

La Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a.

So.Se. è una società per azioni costituita ai sensi dell’articolo 10, comma 12 della legge 8 maggio 1998, n. 146 per l'affidamento, in concessione, della elaborazione degli Studi di Settore e di ogni altra attività di studio e ricerca in materia tributaria. Essa è partecipata dal Ministero dell'Economia e delle Finanze per l'89 per cento e della Banca d'Italia per l'11 per cento.

La società ha iniziato ad operare dal mese di marzo 2002, in forza di una convenzione della durata di nove anni con il Dipartimento delle Politiche fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze. La predetta convenzione ha affidato alla So.Se. il compito di svolgere tutte le attività relative alla costruzione, realizzazione e aggiornamento degli studi di settore, nonché ogni altra attività di supporto metodologico all’Amministrazione finanziaria in materia tributaria e di economia d’impresa.

 

 

SOSE S.p.A. – che opera in tal caso in collaborazione con l’ISTAT e avvalendosi della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province autonome presso il Centro interregionale Studi e Documentazione (CINSEDO) delle Regioni - effettua la predetta ricognizione utilizzando la metodologia e il procedimento di determinazione già delineati, ai sensi degli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216,per ladefinizione dei fabbisogni standard degli enti locali.

 

 

La metodologia ed il procedimento di determinazione
dei fabbisogni standard degli enti locali

Stante la complessa articolazione della metodologia e del procedimento citati – che dovrebbero ora essere utilizzati anche per la ricognizione dei LEP nelle materie diverse dalla sanità – si ritiene opportuno fornire di seguito un quadro di sintesi della relativa disciplina.

In particolare, il richiamato articolo 4 del D.Lgs. 216/10 – recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province - definisce la metodologia attraverso la quale si perfeziona la definizione dei fabbisogni standard, per ciascuna funzione fondamentale e per i relativi servizi, considerata la specificità dei comparti dei Comuni e delle Province.

La metodologia delineata per la definizione dei fabbisogni standard presuppone:

a)       l’identificazione delle informazioni e dei dati di natura strutturale e contabile necessari, acquisiti sia da banche dati ufficiali, nonché attraverso la partecipazione diretta degli enti interessati al procedimento, che si realizza con appositi questionari da inviare ai Comuni e alle Province, anche al fine di una riclassificazione o integrazione delle informazioni dei certificati contabili;

b)       l’individuazione dei modelli organizzativi e dei livelli quantitativi delle prestazioni determinati sulla base di un sistema di indicatori in relazione a ciascuna funzione fondamentale e ai relativi servizi.

c)       l’analisi dei costi finalizzata alla individuazione di quelli più significativi e alla determinazione degli intervalli di normalità;

d)       l’individuazione di un modello di stima dei fabbisogni standard sulla base di criteri di rappresentatività attraverso la sperimentazione di diverse tecniche statistiche;

e)       la definizione di un sistema di indicatori, anche in riferimento ai diversi modelli organizzativi ed agli obiettivi definiti, significativi per valutare l’adeguatezza dei servizi e consentire agli enti locali di migliorarli.

 

Il fabbisogno standard può essere determinato con riferimento a ciascuna funzione fondamentale, ad un singolo servizio, o ad aggregati di servizi, in relazione alla natura delle singole funzioni fondamentali. Il fabbisogno standard è altresì determinato con riferimento ai livelli di servizio determinati sulla base del sistema degli indicatori, di cui alla lettera e), che saranno identificati come significativi per valutare l’adeguatezza dei servizi.

Con riguardo alla metodologia di individuazione dei fabbisogni standard, si segnala che nella Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti locali, presentata dal Ministro dell’economia il 30 giugno 2010[36], già si accennava all’ipotesi di adottare, quale metodologia possibile per arrivare alla determinazione dei fabbisogni standard, la metodologia già applicata da tempo per gli studi di settore e di avvalersi, di conseguenza, della gestione operativa della SOSE S.p.a.

In particolare, nell’Approfondimento tecnico n. 4, relativo all’analisi delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni standard di province e comuni, sono stati evidenziati i vantaggi che potrebbero derivare dall’utilizzo, ai fini della costruzione del federalismo fiscale, di una metodologia mutuata dai criteri di determinazione degli studi di settore. Tali vantaggi, ribaditi nella relazione illustrativa del decreto legislativo in esame, sono individuati, in particolare, nel fatto che la metodologia applicata agli studi di settore si basa sulla condivisione delle scelte tecniche nelle diverse fasi della procedura di costruzione dello studio di settore, mediante un confronto tra gli esperti di settore, avvalendosi della collaborazione dell’IFEL, nonché nel fatto che, mediante l’aggiornamento periodico degli studi di settore, si determina un graduale processo di miglioramento dell’efficienza degli enti locali. Tale aspetto, applicato al federalismo fiscale, consentirebbe di definire un processo di perseguimento dell’efficienza graduale, come obiettivo di medio-lungo periodo, e dinamico, che prevede una rideterminazione periodica degli standard al fine di tener conto dei cambiamenti nel contesto di riferimento nonché delle innovazioni nelle tecniche di produzione dei servizi.

In sostanza, così come gli studi di settore si prefiggono l’obiettivo di determinare i livelli presuntivi di ricavo, considerati coerenti con un livello accettabile di compliance fiscale, partendo da una situazione di fatto, come rilevata dai dati contabili e strutturali delle imprese raccolti attraverso appositi questionari, così, traslando questa metodologia nel campo del federalismo fiscale, l’obiettivo diviene – come riportato nella relazione illustrativa - la determinazione dei livelli presuntivi di fabbisogno finanziario da considerare coerenti con un livello accettabile di efficienza, partendo non solo dai dati contabili, ma anche dagli aspetti strutturali dei servizi erogati.

L’articolo 5 del medesimo decreto legislativo n. 216/10 delinea le modalità attraverso le quali si articola il procedimento di determinazione del fabbisogno standard da parte della SOSE S.p.a. La procedura delineata risulta così articolata:

§       alla SOSE S.p.a. - la cui attività ha carattere esclusivamente tecnico - spetta il compito di predisporre le metodologie necessarie per l’individuazione dei fabbisogni standard e di determinarne i valori con tecniche statistiche che diano rilievo alle caratteristiche individuali dei Comuni e delle Province. A tal fine, si prevede che la Società utilizzi i dati di spesa storica, tenendo conto dei gruppi omogenei nonché della spesa relativa a servizi esternalizzati o svolti in forma associata, considerando una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione ai specifici fattori, espressamente indicati, quali:

-        l’ampiezza demografica;

-        le caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio ealla presenza di zone montane,

-        le caratteristiche demografiche, sociali e produttive dei predetti diversi enti,

-        il personale impiegato,

-        l’efficienza, l’efficacia e la qualità dei servizi erogati e il grado di soddisfazione degli utenti;

§       la SOSE S.p.a. provvede al monitoraggio della fase applicativa e all’aggiornamento delle elaborazioni relative alla determinazione dei fabbisogni standard. Il monitoraggio della fase applicativa e l’aggiornamento delle elaborazioni è seguito anche dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, ovvero, dopo la sua istituzione, dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica;

§       ai fini della predisposizione delle metodologie e della determinazione dei valori dei fabbisogni standard, la SOSE può predisporre appositi questionari indirizzati agli enti locali, finalizzati a raccogliere dati contabili e strutturali che, qualora inviati, le Province ed i Comuni sono tenuti a restituire in via telematica. La mancata restituzione nel termine prescritto del questionario integralmente compilato è sanzionata con la sospensione dei trasferimenti a qualunque titolo spettanti agli enti, fino al regolare adempimento dell’obbligo di invio;

§       per le sue attività, la SOSE S.p.a. si avvale della collaborazione scientifica dell’Istituto per la finanza e l’economia locale – IFEL[37], La Sose può altresì avvalersi della collaborazione dell’ISTAT, per la realizzazione dei compiti concernenti la predisposizione delle metodologie la determinazione dei valori dei fabbisogni standard, il monitoraggioe la predisposizione dei questionari;

§       le metodologie predisposte per l’individuazione dei fabbisogni standard sono sottoposte all’approvazione della Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale, ovvero della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. In assenza di osservazioni, le metodologie si intendono approvate decorsi quindici giorni dal loro ricevimento;

§       i risultati predisposti con le metodologie approvate dalla Commissione tecnica paritetica sono trasmessi dalla SOSE S.p.a. ai Dipartimenti delle finanze e, successivamente, della Ragioneria generale dello Stato, nonché alla stessa Commissione tecnica paritetica per il federalismo fiscale, ovvero alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica;

§       infine, i dati così raccolti ed elaborati confluiscono nella banca dati delle amministrazioni pubbliche, nonché in quella di cui all’articolo 5, lettera g) della legge delega n. 42/2009.

In relazione ai compiti di natura tecnica affidati alla SOSE ed all’IFEL ai fini della determinazione dei fabbisogni standard dal decreto legislativo in esame, vanno infine considerate le disposizioni relative alla Sose spa contenute nella legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2010, n. 220).

In particolare, il comma 23 dell’articolo unico affida alla SOSE spa, al fine di favorire l’attuazione del federalismo fiscale, gli ulteriori compiti:

§       di predisporre le metodologie ed elaborare i dati per la definizione dei fabbisogni standard e dei costi standard delle funzioni e dei servizi resi, nei settori diversi da quello della sanità, dalle regioni e dagli enti locali, secondo modalità da definirsi con apposita convenzione stipulata con il Ministero dell'economia e delle finanze.

§       di realizzare, sulla base delle informazioni messe a disposizione dall'Agenzia delle entrate in condizioni di parità, prodotti e servizi per la gestione aziendale da mettere a disposizione delle imprese.

A tal fine, per le esigenze di potenziamento del sistema informativo della fiscalità, è autorizzata in favore della Sose SpA la spesa di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.

 

 

Una volta effettuata la ricognizione, la SOSE è tenuta a trasmettere i relativi risultati al Ministro dell’economia e delle finanze - che a sua volta li comunica alle Camere - nonché alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

I risultati della ricognizione confluiscono nella banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 13 della legge n. 196/2009, istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze, contenente i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali delle P.A., nonché in quella di cui all’articolo 5, lettera g) della legge delega n. 42/2009, comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.

 

L’ultimo periodo del comma 6 reca, infine, alcune disposizioni volte ad innestare il processo di definizione dei LEP nell’ambito del sistema ordinario delle decisioni di bilancio.

A tal fine, la norma dispone che, sulla base delle rilevazioni effettuate da SOSE S.p.a., il Governo, in apposito allegato al Documento di economia e finanza, adotti linee di indirizzo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, dei relativi costi standard e obiettivi di servizio.

 

La norma specifica, con riferimento ai LEP, che tali linee d’indirizzo sono volte a consentire l’attuazione dell’articolo 20, comma 2, della legge n. 42 del 2009, il quale, come già ricordato, dispone che la legge statale “disciplina la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni”, precisando che “fino a loro nuova determinazione in virtù della legge statale si considerano i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni già fissati in base alla legislazione statale”.


 

Articolo 14
(Classificazione delle spese regionali)

 

1. Le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 1), della citata legge n. 42 del 2009 sono quelle relative ai livelli essenziali delle prestazioni nelle seguenti materie:

a) sanità;

b) assistenza;

c) istruzione;

d) trasporto pubblico locale, con riferimento alla spesa in conto capitale;

e) ulteriori materie individuate in base all'articolo 20, comma 2, della medesima legge n. 42 del 2009.

2. Le spese di cui all'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 2), della citata legge n. 42 del 2009 sono individuate nelle spese diverse da quelle indicate nel comma 1 del presente articolo e nell'articolo 8, comma 1, lettera a), numero 3), della medesima legge n. 42 del 2009.

 

 

L'articolo 14 esplicita la tipologia delle spese regionali considerate ai fini del nuovo sistema di finanziamento delle funzioni, già 'classificate' dall'articolo 8, comma 1 lett. a) della legge delega, in:

1)   spese relative alle funzioni riconducibili alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nelle materia della sanità, assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale (limitatamente, in quest’ultimo caso, alle spese in conto capitale). Altre materie possono essere individuate dalla legge dello Stato che provvederà a determinare i livelli essenziali di assistenza e i livelli essenziali delle prestazioni secondo quanto disposto dall'art. 20, comma 2 della legge 42/2009;

2)   le spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni (non LEP) sono quelle diverse da quelle elencate nel comma 1 e le spese finanziate con contributi speciali, con i finanziamenti dell'Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali previsti dall'articolo 16 della legge delega (disciplina degli interventi speciali previsti dal quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione per promuovere lo sviluppo economico, la coesione sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali).

 

Le due diverse tipologie di spese sono finanziate attraverso diverse tipologie di entrate regionali e soggette ad una diversa perequazione come disciplinato nel successivo articolo 15 (vedi infra), in attuazione dei principi contenuti nella legge delega all'articolo 8, comma 1.

 

Rispetto al testo inizialmente presentato dal Governo, è stata modificata la terminologia di due delle quattro materie, in relazione alle spese per l'esercizio delle funzioni riconducibili alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni: da assistenza sociale ad assistenza; da istruzione scolastica ad istruzione.


 

Articolo 15
(Fase a regime e fondo perequativo)

 


1. A decorrere dal 2013, in conseguenza dell'avvio del percorso di graduale convergenza verso i costi standard, le fonti di finanziamento delle spese delle regioni di cui all'articolo 14, comma 1, sono le seguenti:

a) la compartecipazione all'IVA di cui all'articolo 4;

b) quote dell'addizionale regionale all'IRPEF, come rideterminata secondo le modalità dell'articolo 2, comma 1;

c) l'IRAP, fino alla data della sua sostituzione con altri tributi;

d) quote del fondo perequativo di cui al comma 5;

e) le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il servizio sanitario nazionale per l'anno 2010.

2. Ai fini del comma 1, il gettito dell'IRAP è valutato in base all'aliquota ordinariamente applicabile in assenza di variazioni disposte dalla regione ovvero delle variazioni indicate dall'articolo 5, comma 4. Ai fini del comma 1, il gettito derivante dall'applicazione dell'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di cui all'articolo 6 è valutato in base all'aliquota calcolata ai sensi dell'articolo 2, comma 1, primo periodo. Il gettito è, inoltre, valutato su base imponibile uniforme, con le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentita la Conferenza Stato-Regioni.

3. La percentuale di compartecipazione all'IVA è stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione. Per il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni nelle regioni ove il gettito tributario è insufficiente, concorrono le quote del fondo perequativo di cui al comma 5.

4. Le fonti di finanziamento delle spese di cui all'articolo 14, comma 2, sono le seguenti:

a) i tributi propri derivati di cui all'articolo 8, comma 3;

b) i tributi propri di cui all'articolo 7, comma 1, lettera b), n. 3), della citata legge n. 42 del 2009;

c) quote dell'addizionale regionale all'IRPEF, come rideterminata secondo le modalità dell'articolo 2, comma 1;

d) quote del fondo perequativo di cui al comma 7.

5. È istituito, dall'anno 2013, un fondo perequativo alimentato dal gettito prodotto da una compartecipazione al gettito dell'IVA determinata in modo tale da garantire in ogni regione il finanziamento integrale delle spese di cui all'articolo 14, comma 1. Nel primo anno di funzionamento del fondo perequativo, le suddette spese sono computate in base ai valori di spesa storica e dei costi standard, ove stabiliti; nei successivi quattro anni devono gradualmente convergere verso i costi standard. Le modalità della convergenza sono stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario. Ai fini del presente comma, per il settore sanitario, la spesa coincide con il fabbisogno sanitario standard, come definito ai sensi dell'articolo 26.

6. La differenza tra il fabbisogno finanziario necessario alla copertura delle spese di cui all'articolo 14, comma 1, e il gettito regionale dei tributi ad esse dedicati, è determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito prodotte dall'esercizio dell'autonomia tributaria, nonché del gettito di cui all'articolo 9. È inoltre garantita la copertura del differenziale certificato positivo tra i dati previsionali e l'effettivo gettito dei tributi, escluso il gettito di cui all'articolo 9, alla regione di cui al comma 3, primo periodo. Nel caso in cui l'effettivo gettito dei tributi sia superiore ai dati previsionali, il differenziale certificato è acquisito al bilancio dello Stato.

7. Per il finanziamento delle spese di cui all'articolo 14, comma 2, le quote del fondo perequativo sono assegnate alle regioni sulla base dei seguenti criteri:

a) le regioni con maggiore capacità fiscale, ovvero quelle nelle quali il gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF supera il gettito medio nazionale per abitante, alimentano il fondo perequativo, in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

b) le regioni con minore capacità fiscale, ovvero quelle nelle quali il gettito per abitante dell'addizionale regionale all'IRPEF è inferiore al gettito medio nazionale per abitante, partecipano alla ripartizione del fondo perequativo, alimentato dalle regioni di cui alla lettera a), in relazione all'obiettivo di ridurre le differenze interregionali di gettito per abitante rispetto al gettito medio nazionale per abitante;

c) il principio di perequazione delle differenti capacità fiscali dovrà essere applicato in modo da ridurre le differenze, in misura non inferiore al 75 per cento, tra i territori con diversa capacità fiscale per abitante senza alternarne la graduatoria in termini di capacità fiscale per abitante;

d) la ripartizione del fondo perequativo tiene conto, per le regioni con popolazione al di sotto di un numero di abitanti determinato con le modalità previste al comma 8, ultimo periodo, del fattore della dimensione demografica in relazione inversa alla dimensione demografica stessa.

8. Le quote del fondo perequativo risultanti dall'applicazione del presente articolo sono distintamente indicate nelle assegnazioni annuali. L'indicazione non comporta vincoli di destinazione. Nel primo anno di funzionamento la perequazione fa riferimento alle spese di cui all'articolo 14, comma 2, computate in base ai valori di spesa storica; nei successivi quattro anni la perequazione deve gradualmente convergere verso le capacità fiscali. Le modalità della convergenza, nonché le modalità di attuazione delle lettere a), b), c) e d) del comma 7, sono stabilite con decreto di natura regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni e previo parere delle commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario.


 

 

L'articolo 15 disciplina la fase a regime, a decorrere dal 2013,del nuovo sistema di finanziamento delle regioni. Per ciascuna delle due categorie di spese (LEP e non LEP, come visto nell'articolo 14), elenca le fonti di finanziamento e disciplina il fondo perequativo.

 

La norma dà seguito ai principi contenuti della legge delega, in particolare:

§      le spese per i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) sono finanziate con il gettito, valutato ad aliquota e base imponibile uniforme, di:

-        tributi propri derivati (istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle regioni);

-        addizionale regionale all'IRPEF;

-        compartecipazione regionale all'IVA;

-        quote del fondo perequativo;

-        IRAP, in via transitoria, fino alla sostituzione con altri tributi, (articolo 8, lett. d), L. 42/2009);

§      le aliquote dei tributi destinati al finanziamento delle spese per i LEP sono calcolate al livello minimo assoluto sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione (art. 8, co. 1 lett. g) L. 42/2009);

§      le spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni, sono finanziate attraverso il gettito di tributi propri derivati e di quote del fondo perequativo (art. 8, lett. e), L. 42/2009);

§      disciplina del fondo perequativo (articolo 9, L. 42/2009).

 

Rispetto al testo inizialmente presentato dal Governo, sono state apportate alcune modifiche, concernenti:

§      la decorrenza, anziché al 2014, è stata allineata - come per tutto il resto del decreto - al 2013;

§      una specificazione nella definizione dell'addizionale regionale all'IRPEF, che finanzia sia le spese LEP che le spese non LEP;

§      la definizione del limite minimo di riduzione delle differenze fiscali nel fondo perequativo destinato alle spese per le funzioni non attinenti ai LEA;

§      le modalità di adozione dei due atti che dovranno definire il sistema di perequazione per le spese LEP e per le spese non LEP, rispettivamente un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (comma 5) e un decreto di natura regolamentare (comma 8). Entrambi dovranno essere sottoposti al parere delle Commissioni competenti di Camera e Senato e dovranno avere allegato una relazione tecnica che illustri le conseguenze di carattere finanziario. Su entrambi, inoltre, è richiesta l'intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (prima richiesta solo per il decreto di natura regolamentare).

Finanziamento delle spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP), commi 1-3, 5-6

Il comma 1 elenca le entrate regionali che, a decorrere dal 2013, dovranno coprire le spese per le funzioni attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni nella sanità, nell'assistenza, nell'istruzione e nel trasporto pubblico locale (conto capitale):

a)   compartecipazione all'IVA di cui all'articolo 4; dal 2013 la percentuale di compartecipazione è determinata dai sensi del comma 3 e del comma 5 primo periodo del presente articolo;

b)   quote dell'addizionale IRPEF, come ridefinita ai sensi del comma 1 dell'articolo 2, vale a dire aumento dell'aliquota base dal 2013 in misura tale da garantire la copertura del gettito assicurato dall'addizionale IRPEF attualmente in vigore (d.lgs. 446/1997, aliquota base 0,9%); i trasferimenti statali soppressi (articolo 7) e il gettito della soppressa accisa sulla benzina (articolo 8, comma 4). Il gettito dell'addizionale IRPEF così rideterminata dovrà finanziare – insieme alle altre voci - non solo le funzioni attinenti ai LEP ma anche le altre funzioni (vedi infra comma 4, lett. c), come del resto i trasferimenti statali soppressi finanziavano non solo funzioni attinenti con i livelli essenziali delle prestazioni. La norma non specifica come saranno determinate le quote destinate al finanziamento delle funzioni LEP.

Il comma 2 specifica che il gettito dell'addizionale IRPEF è 'valutato' in base all'aliquota stabilita dal comma 1 dell'articolo 2, primo periodo, ovvero l'aliquota 'standard' definita dal D.P.C.M. senza le eventuali variazioni regionali (disciplinate nell'articolo 6). Lo stesso comma 2 dispone inoltre che il gettito deve essere valutato su base imponibile uniforme – vale a dire senza tener conto delle eventuali modifiche apportate dalle Regioni alla base imponibile determinata secondo i criteri della normativa statale - secondo le modalità stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni;

c)   l'IRAP fino alla data della sua sostituzione con altri tributi. Il comma 2 specifica – in analogia con quanto fatto per l'addizionale IRPEF – che il gettito deve essere calcolato con riferimento all'aliquota base senza considerare le eventuali variazioni apportate dalle regioni e su base imponibile uniforme.

Si ricorda che l'articolo 5 del decreto legislativo in esame attribuisce alle regioni a statuto ordinario la facoltà di ridurre l’aliquota IRAP, fino anche ad azzerarla; nello stesso tempo viene confermata la possibilità prevista dalla normativa vigente di modificare l'aliquota in aumento o in diminuzione, nonché di applicare aliquote differenziate per settori di attività e per categorie di soggetti passivi.

Si ricorda infine che l’aliquota ordinaria generale dell’IRAP è fissata al 3,9%. La relazione tecnica allegata al testo iniziale del Governo riporta una stima, riferita al 2008, della distribuzione regionale del gettito di cassa dell'IRAP e dell'addizionale IRPEF, al netto delle manovre regionali. Il gettito complessivo delle regioni a statuto ordinario risulta essere pari, rispettivamente a 30.755 e 5.322 milioni di euro. Se si esclude la compartecipazione all'IVA – non considerata attualmente una entrata tributaria – IRAP e addizionale IRPEF costituiscono rispettivamente il 68 e il 14 per cento delle entrate tributarie regionali[38].

d)   quote del fondo perequativo definito dai commi 5 e 6, alimentato dal gettito della compartecipazione al gettito dell'IVA;

e)   entrate proprie, nella misura stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il 2010 per il servizio sanitario nazionale. Si tratta delle entrate delle aziende sanitarie (ticket e altro) che annualmente entrano a far parte del finanziamento del servizio sanitario nazionale. La norma dispone che vengano considerate nella misura determinata per il 2010. La somma – riportata nella relazione tecnica allegata al testo iniziale del Governo nella cifra di 1.721 milioni di euro - corrisponde a quanto riportato alla voce «ricavi e entrate proprie delle aziende sanitarie» nella Tabella B allegata all'Intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni sul riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2010[39].

La compartecipazione IVA e il fondo perequativo

Le norme recate dall'articolo in esame sulla compartecipazione all'IVA e sul fondo perequativo ripropongono testualmente i principi indicati nella legge delega e rinviano a successivi atti la definizione sostanziale della disciplina.

In sintesi, l'aliquota della compartecipazione IVA verrebbe determinata nella misura sufficiente a coprire la parte mancante per il finanziamento del fabbisogno corrispondente ai LEP (sottratte quindi le altre entrate tributarie considerate al netto delle variazioni regionali e dell'eventuale recupero fiscale) nella regione in cui questa misura risulta essere minore. Il fabbisogno corrispondente ai LEP per il primo anno è determinato sulla base della spesa storica.

Per garantire la copertura del fabbisogno relativo ai LEP in tutte le altre regioni in cui l'aliquota così determinata non risulta essere sufficiente, interviene il fondo perequativo, alimentato da una ulteriore quota di compartecipazione all'IVA, determinata a posteriori sulla base della parte di fabbisogno che residua coprire.

 

Il comma 3 dispone che, a decorrere dal 2013, la compartecipazione all'IVA è definita in misura tale da assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni in una sola regione (come stabilito dall'articolo 8, comma 1, lett. g) della legge 42/2009). L'atto cui rinvia la norma è un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni. La norma non fornisce indicazioni sulla tempistica per l'adozione del D.P.C.M. L'ultimo periodo del comma rinvia al comma 5 per la disciplina del fondo perequativo, per il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni in quelle regioni in cui risulti insufficiente il gettito tributario.

 

Il fondo perequativo (comma 5), istituito a decorrere dal 2013, è alimentato da “una compartecipazione” all'IVA, tale da assicurare la copertura integrale di tutte le spese relative ai livelli essenziali delle prestazioni (articolo 9, lett. a) della legge delega), individuate dall'articolo 14 comma 1 nelle spese per la sanità, l'assistenza, l'istruzione e il trasporto pubblico locale (limitatamente alle spese in conto capitale).

Nel primo anno di funzionamento queste spese sono computate in base alla spesa storica (o dei costi standard ove fossero già stati stabiliti), mentre nei quattro anni successivi si deve progressivamente arrivare a calcolarle sulla base dei costi standard. Le modalità di questo passaggio dovranno essere definite con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. Il D.P.C.M. dovrà inoltre essere sottoposto al parere delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili finanziari e dovrà avere allegato una relazione tecnica che illustri le conseguenze di carattere finanziario.

Per la sanità la norma specifica che la spesa coincide con il fabbisogno standard definito ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo in esame e l'articolo 27 disciplina nel dettaglio le fasi e le modalità per determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali in questo settore (vedi infra).

Si ricorda che per quanto riguarda le spese relative agli altri settori (assistenza, istruzione, trasporto pubblico locale) l'articolo 13 reca indicazioni per la definizione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni nella materie diverse dalla sanità, nonché per realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo. Viene inoltre ribadita la competenza legislativa esclusiva dello Stato per la definizione delle “modalità di determinazione” dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, nelle materie diverse dalla sanità.

 

Il comma 6 riprende la disposizione recata dall'articolo 9, comma 1, lett. c) della legge delega, secondo la quale ai fini delle perequazione il gettito regionale dei tributi destinati al finanziamento delle spese LEP, è determinato con l'esclusione delle variazioni di gettito introdotte dalle leggi regionali (variazione dell'aliquota dell'addizionale IRPEF e dell'aliquota IRAP) ed anche con l'esclusione dell'eventuale emersione di base imponibile a seguito dell'attività regionale di recupero fiscale (come disciplinata all'articolo 9).

Nella regione presa a campione ai fini della determinazione dell'aliquota della compartecipazione all'IVA, nel caso in cui l'effettivo gettito dei tributi sia inferiore al dato previsionale viene comunque garantita la copertura della differenza certificata (escluso il gettito derivante dalla lotta contro l'evasione e l'elusione fiscale). In caso contrario, ovvero nel caso in cui il gettito dei tributi sia superiore al dato previsionale, la differenza certificata è acquisita al bilancio dello Stato (comma 6 secondo e terzo periodo).

 

Si segnala che gli ultimi due periodi del comma, facendo espresso riferimento “alla regione di cui al comma 3, primo periodo” sembrerebbero poter concernere la sola regione presa a campione per la determinazione dell'aliquota della compartecipazione all'IVA; potrebbe pertanto non risultare chiara la disciplina applicabile nelle altre regioni nel caso in cui l'effettivo gettito dei tributi risulti inferiore ovvero superiore al dato previsionale, atteso che lo scostamento tra fabbisogno finanziario e gettito effettivo potrebbe verificarsi in tutte le regioni.

Si segnala che analoga osservazione è stata a suo tempo avanzata in relazione all’articolo 9, comma 1, lettera e) della legge n. 42/2009, il cui dispositivo è sostanzialmente riprodotto negli ultimi due periodi del comma 6 in esame.

Finanziamento delle spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni (non LEP), commi 4, 7-8

Il comma 4 elenca le fonti di finanziamento per le spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni:

a)   tributi propri derivati (articolo 8, comma 3 del provvedimento in esame) disciplinati con legge dello Stato il cui gettito è attribuito alle regioni.

In particolare:

-        Tassa automobilistica regionale (D.Lgs. 504/1992);

-        Addizionale regionale all’imposta erariale sul gas metano - ARISGAM (D.Lgs. 398/1990);

-        Tributo speciale per il conferimento in discarica (art. 3, commi 24-41, L. 549/1995);

-        Tassa regionale per il diritto allo studio universitario (L. 549/1995);

-        Imposta regionale sulla benzina (D.Lgs. 398/1990);

-        Imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili (L. 342/2000).

A parte la tassa automobilistica che costituisce circa il 10% delle entrate tributarie (su cui si veda ora l'articolo 15 del presente schema di decreto), il gettito degli altri tributi è molto ridotto: l'ARISGAM è intorno all'1% e il tributo per il conferimento in discarica non arriva allo 0,5 %; l'imposta sulla benzina è stata istituita solo da alcune regioni, così come quella sulle emissioni sonore degli aeromobili.

b)   tributi propri istituiti con legge regionale in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale, come già stabilito dall'art. 7, comma 1, lett. b) n. 3 della legge delega e ribadito dall'articolo 38 del provvedimento in esame;

c)   quote dell'addizionale IRPEF, come ridefinita ai sensi del comma 1 dell'articolo 2. Il riferimento, come già visto per le spese attinenti ai LEP (comma 1, lett. b)), è alla determinazione dell'aumento dell'aliquota dell'addizionale IRPEF nonché alla possibilità da parte regionale di modificare l'aliquota. Come già detto il gettito dell'addizionale IRPEF così rideterminata dovrà finanziare – insieme alle altre voci – tutte le funzioni (attinenti o meno ai LEP). Nel caso delle spese concernenti funzioni non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni, inoltre, il riferimento alla manovrabilità regionale dell'aliquota (possibilità disciplinata dall'articolo 6) senza ulteriori specificazioni, sembrerebbe significare che quella parte di gettito conseguente le manovre regionali concorre al finanziamento di queste spese, insieme alle quote dovute all'aliquota base.

d)   quote del fondo perequativo come disciplinato dai commi 7 e 8.

 

I commi 7 ed 8 disciplinano la parte del fondo perequativo destinata alle spese non attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni, con lo scopo di ridurre le differenze tra le regioni con diversa capacità fiscale.

Come già indicato dalla legge delega (articolo 9, co. 1 lett. a) e lett. g)), questa parte del fondo è alimentata dalle gettito dell'addizionale all'IRPEF. In particolare alimentano il fondo le regioni in cui il gettito pro-capite[40] risulti maggiore della media nazionale, mentre sono destinatarie delle risorse del fondo le regioni in cui il gettito pro-capite dell'addizionale IRPEF risulti al di sotto della media nazionale (comma 7, lett. a) e b)).

Sulle modalità della perequazione la norma riprende i criteri direttivi indicati dalla legge delega e rinvia la definizione della disciplina ad un decreto di natura non regolamentare del presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. In analogia con quanto stabilito in riferimento al D.P.C.M. che dovrà disciplinare le modalità della perequazione per i LEP, il decreto dovrà inoltre essere sottoposto al parere delle Commissioni di Camera e Senato competenti per i profili finanziari e dovrà avere allegato una relazione tecnica che illustri le conseguenze di carattere finanziario (comma 8, quarto e quinto periodo).

 

La perequazione – nel caso del finanziamento delle spese non essenziali – dovrà ridurre le differenze tra le regioni con diversa capacità fiscale in misura non inferiore al 75%[41], senza tuttavia annullarle del tutto e senza alterare l'ordine delle capacità fiscali per abitante dei diversi territori (dopo la perequazione, nessuna delle minori capacità fiscali pro-capite dovrà superare quella del territorio che la precedeva nella graduatoria discendente).

Il decreto di natura non regolamentare dovrà stabilire, inoltre, in riferimento al criterio demografico, qual è il limite di popolazione al di sotto del quale la quota perequativa è incrementata in ragione inversa alla dimensione demografica (comma 7, lett. c) e d)).

Per il primo anno di applicazione delle norme in esame, le spese non essenziali dovranno essere computate sulla base della spesa storica per poi convergere, progressivamente nei quattro anni successivi, verso le capacità fiscali (comma 8, terzo periodo). La norma non fornisce ulteriori indicazioni sulla misura della spesa storica che il fondo perequativo dovrà coprire il primo anno.

 

Il comma 8, primo e secondo periodo, infine, specifica (come l'art. 9, co. 1 lett. h) L. 42/2009) che le due parti del fondo perequativo (quella per la copertura integrale delle spese essenziali e quella per ridurre le differenze di capacità fiscale in relazione alle spese non essenziali) devono essere indicate distintamente nelle assegnazioni annuali. Tuttavia, questa distinzione non comporta, per le regioni, vincoli di destinazione. Ciascuna regione ha quindi poi piena autonomia nella gestione delle risorse così ricevute.


 

Articolo 16
(Oggetto)

 

1. In attesa della loro soppressione o razionalizzazione, le disposizioni di cui al presente capo assicurano l'autonomia di entrata delle province ubicate nelle regioni a statuto ordinario e la conseguente soppressione di trasferimenti statali e regionali.

2. Le medesime disposizioni individuano le fonti di finanziamento del complesso delle spese delle province ubicate nelle regioni a statuto ordinario.

3. Il gettito delle fonti di finanziamento di cui al comma 2 è senza vincolo di destinazione.

 

 

L’articolo 16 chiarisce che disposizioni recate dal Capo II sono volte ad assicurare l’autonomia di entrata delle Province ubicate nelle Regioni a statuto ordinario, e la conseguente soppressione di trasferimenti statali e regionali, in attesa della loro soppressione o razionalizzazione,.

 

Sono a tal fine individuate, nei successivi articoli da 17 a 22, le specifiche fonti di finanziamento del complesso delle spese delle Province medesime.

Il comma 3 precisa, inoltre, che il gettito derivante dalle indicate fonti di finanziamento è senza vincolo di destinazione.

 

La legge n. 42/2009 reca nel Capo III (articoli da 11 a 14) la disciplina a regime del nuovo assetto finanziario relativo agli enti locali (comuni, province e città metropolitane).

Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento degli enti locali, l’articolo 11 della legge delega distingue tra due diverse tipologie di spesa, a seconda del tipo di funzione ad esse sottesa:

-        le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali, indicate dall’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost.[42] - la cui individuazione è rimessa alla legislazione statale - per le quali si prevede la garanzia del finanziamento integrale, con riferimento al fabbisogno standard. Il finanziamento integrale di tali funzioni è assicurato, in via prioritaria, dai tributi propri, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali e dalle addizionali a tributi erariali e regionali e dall’intervento del fondo perequativo. L’articolo 12 individua specificamente quali entrate devono essere destinate, in via prioritaria, al finanziamento delle funzioni fondamentali: per le province, l’articolo 12, comma 1, lettera c) fa riferimento al gettito di tributi relativi al trasporto su gomma e alla compartecipazione a un solo tributo erariale[43];

-        le spese connesse alle altre funzioni”, diverse da quelle fondamentali[44], per le quali non è previsto il finanziamento integrale, il cui finanziamento deve essere assicurato da tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi e dal fondo perequativo, il cui intervento è limitato alla sola perequazione delle capacità fiscali.

Vi sono poi le spese che, prescindendo dal tipo di funzione, risultano finanziate con contributi nazionali speciali, finanziamenti dall'Unione europea e cofinanziamenti nazionali.

L’attuazione del nuovo sistema di finanziamento delle spese delle province (come per i comuni) determina la soppressione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento di tali enti (articolo 11, comma 1, lettera e)). Dalla soppressione sono esclusi soltanto gli stanziamenti destinati alla costituzione dei fondi perequativi e quelli ancora in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

 

In attuazione di quanto previsto dall’articolo 12 della legge delega, nello schema di decreto in esame l’autonomia di entrata delle province viene assicurata, ai sensi dell’articolo 17, attraverso l’individuazione di tributi propri delle province connessi al trasporto su gomma, quali:

§      l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (RCA) – già di competenza delle province, che costituirà a decorrere dal 2012 un tributo proprio derivato delle province;

§      l’imposta provinciale sulle trascrizioni (IPT) – anch’essa già attribuita alle province dalla normativa vigente – di cui è previsto il riordino nella legge di stabilità per il 2012.

Altre due entrate legate alla motorizzazione alimenteranno il bilancio delle province. Ad esse è, infatti, assegnata:

§       a decorrere dal 2012, una compartecipazione all’IRPEF, destinata a compensare la soppressione dei trasferimenti erariali di parte corrente e in conto capitale aventi carattere di generalità e permanenza, prima spettanti province, nonché il venir meno delle entrate derivanti dall’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, che viene soppressa a partire dall’anno 2012 (articolo 18).

L’attribuzione alle Province degli introiti derivanti dalla compartecipazione all’RPEF è attuato – in attesa dell’attivazione del Fondo perequativo vero e proprio - tramite la costituzione di un Fondosperimentale di riequilibrio, di durata biennale, alimentato dalle suddette entrate (al netto della quota direttamente attribuita alle province sulla base del criterio di territorialità per compensare la soppressa addizionale provinciale all’energia elettrica) le cui modalità di riparto sono definite in coerenza con la determinazione dei fabbisogni standard, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e finanze, da adottare previo accordo in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali (articolo 21);

§       a decorrere dal 2013, una compartecipazione alla tassa automobilistica sugli autoveicoli spettante alla regione, destinata a compensare la soppressione dei trasferimenti regionali di parte corrente e in conto capitale, aventi carattere di generalità e permanenza (articolo 19). In caso di incapienza della tassa automobilistica regionale rispetto all’ammontare dei trasferimenti regionali soppressi, è prevista una compartecipazione ad altro tributo regionale.

E’ prevista la costituzione, da parte di ciascuna regione, di un Fondosperimentale regionale di riequilibrio, di durata triennale, alimentato da una quota non superiore al 30% del gettito della compartecipazione medesima. Il restante 70% della compartecipazione viene assegnato direttamente alle province.

 

Principali entrate tributarie delle province

Fra le principali entrate tributarie delle province si possono attualmente annoverare:

-        l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, il cui gettito è attribuito dall’articolo 60, comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. Ai sensi dell’articolo 13 del provvedimento in esame, tale imposta costituirà, a decorrere dal 2012, tributo proprio derivato delle province;

-        l'imposta provinciale di trascrizione (IPT), che è l'imposta dovuta alla provincia per la maggior parte delle richieste presentate al Pubblico Registro Automobilistico (PRA), il cui importo base è stabilito con Decreto del Ministero delle Finanze. Le Province possono deliberare di aumentare l'importo stabilito dal Ministero fino ad un massimo del 30 per cento. Nel dettaglio, l’articolo 56 del D.Lgs. n. 446/1997 ha stabilito che le province possono istituire l'imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli richieste al pubblico registro automobilistico, avente competenza nel proprio territorio. L'imposta è applicata sulla base di apposita tariffa, le cui misure potranno essere aumentate, anche con successiva deliberazione, fino ad un massimo del 30%, ed è dovuta per ciascun veicolo al momento della richiesta di formalità;

-        l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica sui consumi di qualsiasi uso effettuato in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze con potenza disponibile non superiore a 200 kw e fino limite massimo di 200.000 Kwh di consumo al mese, che è stata istituita ai sensi dell’articolo 6, comma 1, del D.L. 28 novembre 1988, n. 511 (legge n. 20/1989). La Provincia ha la facoltà di incrementare la misura dell'addizionale provinciale da € 9,30 fino a € 11,40 per ogni mille Kwh. Le province devono deliberare la misura dell'addizionale entro i termini di approvazione del bilancio di previsione L'addizionale è versata direttamente alla provincia nell'ambito del cui territorio è ubicata l'utenza. Si ricorda che tale addizionale viene soppressa a decorrere dal 2012 dall’articolo 14, comma 5, del provvedimento in esame;

-        il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, istituito e disciplinato dall'articolo 3, commi 24-41, della legge n. 549/1995. Presupposto dell'imposta è il deposito in discarica dei rifiuti solidi, compresi i fanghi palabili. Soggetto passivo dell'imposta è il gestore dell'impresa di stoccaggio definitivo con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento;

-        la compartecipazione provinciale al gettito IRPEF, istituita a decorrere dall’anno 2003 dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, che è stata via via confermata negli anni successivi, da ultimo, per il 2010, dall’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 2/2010 (legge n. 42/2010). La compartecipazione è fissata nella misura dell’1 per cento del riscosso in conto competenza che affluisce al bilancio dello Stato, con riferimento all’esercizio finanziario 2002, quali entrate derivanti dall’attività ordinaria di gestione. In base a tale disciplina, alle province viene attribuito ogni anno, a titolo di compartecipazione, lo stesso ammontare riconosciuto negli anni precedenti, con corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali ad esse spettanti. Si ricorda che ai sensi dell’articolo 14 del provvedimento in esame, dal 2012 l’aliquota di compartecipazione sarà stabilita con D.P.C.M. in misura tale da compensare i trasferimenti erariali soppressi nonché il venir meno dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, soppressa a partire dall’anno 2012;

-        il tributo cosiddetto ambientale. Si ricorda che il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 ha riordinato la legislazione in materia ambientale e ha introdotto nella parte IV nuove norme che concernono la gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati. Fra le tante novità presenti nel decreto si registra l'articolo 264, comma 1, lett. i), ed n), che prevedono rispettivamente: l'abrogazione della "legge Ronchi" di cui al D.Lgs. n. 22/1997, le cui disposizioni continuano tuttavia ad applicarsi fino all'entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta stessa (art. 264, c. 1, lett. i) del D.Lgs. n.. 152/2006; l'abrogazione del tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente a favore delle Province di cui all'articolo 19 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (art. 264, c. 1, lett. n) del D.Lgs. n. 152/2006;

-        il canone occupazione di spazi ed aree pubbliche, dovuto dal titolare dell'atto di concessione o dall'occupante (anche abusivo) in proporzione della superficie sottratta all'uso pubblico per le occupazioni effettuate nelle strade, aree e comunque sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile della Provincia (articolo 63 del D.Lgs. n. 446 del 1997).

Si ricordano, infine, la tassa per l’ammissione ai concorsi, di cui all’articolo 1 del R.D. 21 ottobre 1923, n. 2361, e i diritti di segreteria, disciplinati dall’articolo 40 della legge 8 giugno 1962, n. 604


 

Articolo 17
(Tributi propri connessi al trasporto su gomma)

 


1. A decorrere dall'anno 2012 l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, costituisce tributo proprio derivato delle Province. Si applicano le disposizioni dell'articolo 60, commi 1, 3 e 5, del citato decreto legislativo n. 446 del 1997.

2. L'aliquota dell'imposta di cui al comma 1 è pari al 12,5 per cento. A decorrere dall'anno 2011 le Province possono aumentare o diminuire l'aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali. Gli aumenti o le diminuzioni delle aliquote avranno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito informatico del Ministero dell'economia e delle finanze. Con decreto dirigenziale, da adottare entro sette giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinate le modalità di pubblicazione delle suddette delibere di variazione.

3. Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, da adottarsi entro il 2011, è approvato il modello di denuncia dell'imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, e sono individuati i dati da indicare nel predetto modello. L'imposta è corrisposta con le modalità del capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

4. L'accertamento delle violazioni alle norme del presente articolo compete alle amministrazioni provinciali. A tal fine l'Agenzia delle entrate con proprio provvedimento adegua il modello di cui al comma 3 prevedendo l'obbligatorietà della segnalazione degli importi, distinti per contratto ed ente di destinazione, annualmente versati alle Province. Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso relativi all'imposta di cui al comma 1 si applicano le disposizioni previste per le imposte sulle assicurazioni di cui alla citata legge n. 1216 del 1961. Le Province possono stipulare convenzioni non onerose con l'Agenzia delle entrate per l'espletamento, in tutto o in parte, delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell'imposta, nonché per le attività concernenti il relativo contenzioso. Sino alla stipula delle predette convenzioni, le predette funzioni sono svolte dall'Agenzia delle entrate.

5. La decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo nei confronti delle Province ubicate nelle regioni a statuto speciale e delle Province autonome sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall'articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009.

6. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 56, comma 11, del citato decreto legislativo n. 446 del 1997, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono modificate le misure dell'imposta provinciale di trascrizione (IPT) di cui al decreto ministeriale 27 novembre 1998, n. 435, in modo che sia soppressa la previsione specifica relativa alla tariffa per gli atti soggetti a I.V.A. e la relativa misura dell'imposta sia determinata secondo i criteri vigenti per gli atti non soggetti ad IVA.

7. Con il disegno di legge di stabilità, ovvero con disegno di legge ad essa collegato, il Governo promuove il riordino dell'IPT di cui all'articolo 56 del citato decreto legislativo n. 446 del 1997, in conformità alle seguenti norme generali:

a) individuazione del presupposto dell'imposta nella registrazione del veicolo e relativa trascrizione, e nelle successive intestazioni;

b) individuazione del soggetto passivo nel proprietario e in ogni altro intestatario del bene mobile registrato;

c) delimitazione dell'oggetto dell'imposta ad autoveicoli, motoveicoli eccedenti una determinata potenza e rimorchi;

d) determinazione uniforme dell'imposta per i veicoli nuovi e usati in relazione alla potenza del motore e alla classe di inquinamento;

e) coordinamento ed armonizzazione del vigente regime delle esenzioni ed agevolazioni;

f) destinazione del gettito alla provincia in cui ha residenza o sede legale il soggetto passivo d'imposta.

8. Salvo quanto previsto dal comma 6, fino al 31 dicembre 2011 continua ad essere attribuita alle Province l'IPT con le modalità previste dalla vigente normativa. La riscossione può essere effettuata dall'ACI senza oneri per le Province, salvo quanto previsto dalle convenzioni stipulate tra le Province e l'ACI stesso.


 

 

L’articolo 17 reca disposizioni concernenti tributi connessi al trasporto su gomma.

In particolare, i commi da 1 a 5 recano disposizioni volte a trasformare in tributo proprio derivato l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.

I commi da 6 a 8 disciplinano le modalità di riordino dell’imposta provinciale di trascrizione – IPT, in modo tale da attribuire il relativo gettito alle Province.

 

Come anticipato, il comma 1 stabilisce che dal 2012 l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, sia trasformata in tributo proprio derivato delle Province.

A tal fine si applica l’articolo 60, comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che attribuisce il gettito della suddetta imposta sulle assicurazioni alle Province in cui hanno sede i pubblici registri automobilistici (PRA) presso i quali sono iscritti i veicoli a motore. Per le macchine agricole, il gettito è attribuito alle Province nel cui territorio risiede l’intestatario della carta di circolazione.

 

Ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 14 dicembre 1998, n. 457[45], gli assicuratori sono tenuti a scorporare, dal totale delle imposte dovute sui premi ed accessori incassati in ciascun mese solare, l'importo dell'imposta relativa ai premi ed accessori contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e delle macchine agricole, nonché ad effettuare (secondo la disciplina recata, per le denunce e i versamenti dell’imposta, dall’articolo 9 della legge 29 ottobre 1961, n. 1216[46]) distinti versamenti a favore di ogni provincia nella quale hanno sede i pubblici registri in cui sono iscritti i veicoli a motore o di residenza dell'intestatario.

Secondo il comma 4 del citato D.M. 14 dicembre 1998, n. 457, quindi, il competente concessionario della riscossione accredita le somme riscosse direttamente ai tesorieri delle Province destinatarie del gettito.

 

Il comma 2 fissa l’aliquota dell’imposta nella misura del 12,5 per cento, attribuendo tuttavia alle Province, con decorrenza dall’anno 2011, la facoltà di aumentare o diminuire l’aliquota in misura non superiore a 3,5 punti percentuali.

Gli aumenti o le diminuzioni delle aliquote avranno effetto dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di pubblicazione della delibera di variazione sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze.

Con decreto dirigenziale, da adottare entro sette giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono disciplinate le modalità di pubblicazione delle suddette delibere di variazione.

 

Il comma 1 dell’articolo 1-bis della legge 29 ottobre 1961, n. 1216 assoggetta le assicurazioni obbligatorie della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti all'imposta sui premi, nella misura del 12,5 per cento. Tale misura si applica anche alle assicurazioni di altri rischi inerenti al veicolo o al natante o ai danni causati dalla loro circolazione.

 

Il comma 3 affida al Direttore dell’Agenzia delle entrate il compito di approvare con proprio provvedimento - da adottarsi entro il 2011 - il modello di denuncia dell’imposta sulle assicurazioni di cui alla legge 29 ottobre 1961, n. 1216, individuando i dati da indicare.

L'imposta è corrisposta con le modalità del Capo III del D.Lgs. 9 luglio 1997[47].

 

L’articolo 17 del citato decreto legislativo dispone la possibilità di effettuare un versamento unitario, con compensazione, per i crediti ed i debiti relativi a:

-        imposte sui redditi, relative addizionali e ritenute alla fonte;

-        imposta sul valore aggiunto;

-        imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’Iva;

-        imposta regionale sulle attività produttive e addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche;

-        contributi previdenziali ed assistenziali;

-        premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro;

-        altre entrate individuate con decreto del Ministro delle finanze (fra cui le tasse automobilistiche e le entrate di competenza dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato);

-        credito d’imposta spettante agli esercenti le sale cinematografiche.

L’articolo 18 definisce i termini di versamento. L’articolo 19 è relativo alle modalità di versamento mediante delega ad una banca convenzionata o alle Poste Italiane, rinviando ad una convenzione approvata con decreto del Ministro delle finanze la definizione delle modalità di conferimento della delega e di svolgimento del servizio: gli adempimenti delle banche sono poi precisati dal successivo articolo 21. L’articolo 20 riguarda la possibilità di effettuare pagamenti rateali per le somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte e dei contributi dovuti dai soggetti titolari di posizione assicurativa in una delle gestioni amministrate dall’Inps. L’articolo 22 demanda ad un’apposita struttura di gestione, individuata con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri del tesoro e del lavoro, la suddivisione delle somme tra gli enti destinatari. Il pagamento può essere effettuato anche con mezzi diversi dal contante (articolo 23). Gli articoli 24 e 25 dettano disposizioni per il periodo transitorio di prima applicazione; l’articolo 26 dispone sanzioni al concessionario in caso di minore versamento e di ritardato invio.

Si ricorda inoltre che l'art. 1, comma 2, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63[48], attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze l'individuazione delle modalità di riscossione, che prevedano anche sistemi di rateazione e di compensazione di entrate anche di natura non tributaria, o non erariale, anche degli enti non territoriali. In attuazione di quanto previsto dalla disposizione citata, il D.M. 21 maggio 2003 ha stabilito che l'Agenzia delle entrate, sulla base di convenzioni preventivamente definite con il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, può riscuotere, secondo le modalità stabilite dal sopra commentato capo III del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, entrate anche di natura non tributaria, di competenza di enti pubblici, anche territoriali.

 

Il comma 4 affida alle amministrazioni provinciali l'accertamento delle violazioni relative all’imposta sulle assicurazioni.

A tal fine, la norma affida a un provvedimento dell'Agenzia delle entrate l’adeguamento del modello di denuncia dell’imposta prevedendo l'obbligatorietà della segnalazione degli importi, distinti per contratto ed ente di destinazione, annualmente versati alle Province.

Si dispone che per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione, i rimborsi, le sanzioni, gli interessi ed il contenzioso relativi all'imposta si applichino le disposizioni previste per le imposte sulle assicurazioni, di cui alla citata legge n. 1216 del 1961.

 

Il Titolo V della legge n. 1216/1961 reca le disposizioni per la risoluzione delle controversie, per la riscossione coattiva e per l'accertamento delle violazioni e la reciproca assistenza fra gli Stati membri dell'Unione europea in materia di imposta sulle assicurazioni. In particolare, l’articolo 27 rinvia alle disposizioni vigenti in materia d'imposta di registro (di cui al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) per la risoluzione in via amministrativa ed in via giudiziaria delle controversie relative alla applicazione delle imposte e sopratasse previste dalla legge n. 1216/1961, nonché per la riscossione coattiva delle imposte e sopratasse e delle pene pecuniarie ivi contemplate.

 

La norma in commento dà altresì facoltà alle Province di stipulare convenzioni non onerose con l’Agenzia delle entrate per l'espletamento, totale o anche parziale, delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dell'imposta, nonché per le attività concernenti il relativo contenzioso, essendo le predette funzioni, sino alla stipula delle predette convenzioni, svolte dall’Agenzia delle entrate.

 

Il comma 5 prevede che la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni recate dal presente articolo nei confronti delle Province ubicate nelle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome siano stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

 

Il comma 1 del citato articolo 27 della legge n. 42 del 2009 ha stabilito che le regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché al patto di stabilità interno e all’assolvimento degli obblighi posti dall’ordinamento comunitario, secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi di cui all’ articolo 2 e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all’ articolo 2, comma 2, lettera m). Il comma 7 dell’articolo 27, inoltre, istituisce presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione, un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma, costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell’economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dai Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica.

Ai sensi del comma 6, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sono modificate le misure dell’imposta provinciale di trascrizione in modo tale da:

a)      sopprimere la previsione specifica relativa alla tariffa per gli atti soggetti a IVA;

b)      conseguentemente, rideterminare la relativa misura dell’imposta secondo i criteri vigenti per gli atti non soggetti ad IVA.

 

Si ricorda in proposito che l'imposta provinciale di trascrizione (IPT) è dovuta alla provincia per la maggior parte delle richieste presentate al Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

A mente dell’articolo 56 del decreto legislativo n. 446 del 1997 le Province possono, con regolamento, istituire l’imposta provinciale sulle formalità di trascrizione, iscrizione e annotazione dei veicoli richieste al pubblico registro automobilistico, avente competenza nel proprio territorio.

L’imposta è dovuta per ciascun veicolo al momento della richiesta della formalità.

Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è stabilita la misura dell’imposta provinciale di trascrizione per tipo e potenza dei veicoli.

Le Province possono deliberare di aumentare l'importo stabilito dal Ministero fino ad un massimo del trenta per cento.

Con il D. M. 27 novembre 1998, n. 435 è stato emanato il regolamento che ha determinato le misure dell'imposta provinciale di trascrizione secondo apposita tariffa.

La tabella allegata al suddetto decreto ministeriale prevede, per gli atti soggetti a IVA, che l’IPT sia dovuta in misura fissa per l’importo di lire duecentonovantaduemila (150,80 euro).

 

Il comma 7 demanda al disegno di legge di stabilità, ovvero al disegno di legge ad essa collegato, il compito di promuovere il riordino dell’IPT, ai sensi delle seguenti norme generali:

a)   individuazione del presupposto dell’imposta nella immatricolazione del veicolo e relativa trascrizione, e nelle successive intestazioni;

b)   individuazione del soggetto passivo nell’intestatario del bene mobile;

c)   delimitazione dell’oggetto dell’imposta ad autoveicoli, motoveicoli eccedenti una determinata potenza e rimorchi;

d)   determinazione uniformedell’imposta per i veicoli nuovi e usati in relazione alla potenza del motore e alla classe di inquinamento;

e)   coordinamento ed armonizzazione del vigente regime delle esenzioni ed agevolazioni;

In merito si ricorda che le agevolazioni e le esenzioni dall’IPT sono disposte sia da leggi statali (in favore di particolari categorie di soggetti, ad es. i disabili ex art. 8 della L. 449/97, ovvero in rapporto ad alcune tipologie di vetture quali i motocicli, ovvero ancora in rapporto ad alcuni atti – le cd. “minivolture”, con vendita di veicoli da privato a concessionario o rivenditore di veicoli usati, ex articolo 56, comma 6, del D.Lgs. 446/97), sia dai singoli regolamenti della Province.

f)     destinazione del gettito alla Provincia in cui ha residenza o sede legale il soggetto passivo d’imposta.

 

Il comma 8 precisa infine che - salvo quanto previsto dal predetto comma 6 - fino al 31 dicembre 2011 l’imposta provinciale sulle trascrizioni, la cui riscossione viene effettuata dall’ACI, continuerà ad essere attribuita alle Province con le modalità previste dalla vigente normativa.


 

Articolo 18
(Soppressione dei trasferimenti statali alle province e compartecipazione provinciale all’IRPEF)

 


1. A decorrere dall'anno 2012 l'aliquota della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 31, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, è stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, in modo tale da assicurare entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi ai sensi del comma 2 nonché alle entrate derivanti dalla addizionale soppressa ai sensi del comma 5.

2. A decorrere dall'anno 2012 sono soppressi i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale alle province delle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza.

3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato, sulla base delle valutazioni della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d'intesa con la conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono individuati i trasferimenti statali di cui al comma 2.

4. L'aliquota di compartecipazione di cui al comma 1 può essere successivamente incrementata, con le modalità indicate nel predetto comma 1, in misura corrispondente alla individuazione di ulteriori trasferimenti statali suscettibili di soppressione.

5. A decorrere dall'anno 2012 l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 è soppressa e il relativo gettito spetta allo Stato. A tal fine, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze è rideterminato l'importo dell'accisa sull'energia elettrica in modo da assicurare l'equivalenza del gettito.

6. È devoluto alla provincia competente per territorio un gettito non inferiore a quello della soppressa addizionale provinciale all'energia elettrica attribuita nell'anno di entrata in vigore del presente decreto.

7. Alle province è garantito che le variazioni annuali del gettito relativo alla compartecipazione provinciale all'IRPEF loro devoluta ai sensi del presente articolo non determinano la modifica delle aliquote di cui al comma 1.


 

 

L’articolo 18 reca disposizioni relative alle entrate delle Province, disponendo la riduzione dei trasferimenti statali e la soppressione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica.

Parallelamente viene ridefinita la misura della compartecipazione provinciale all’IRPEF, introducendo altresì la possibilità di incrementarla nel tempo.

Per una sintesi del vigente quadro delle entrate delle Province, si veda l’articolo 16.

 

Il comma 1 dell’articolo in esame reca una nuova modalità di determinazione, applicabile dal 2012, dell’aliquota della compartecipazione provinciale all'IRPEF (di cui all'articolo 31, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289) finalizzata a compensare il taglio dei trasferimenti statali (di cui al successivo comma 2) e la soppressione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica (disposta ai sensi del successivo comma 5).

La compartecipazione provinciale all’IRPEF è stata istituita a decorrere dall’anno 2003 dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, e via via confermata negli anni successivi, da ultimo, per il 2010, dall’articolo 4, comma 3, del D.L. n. 2/2010 (legge n. 42/2010)[49].

La disciplina dettata dall’articolo 31, comma 8, della legge n. 289/2002, fissa la compartecipazione provinciale al gettito dell’IRPEF nella misura dell’1 per cento del riscosso in conto competenza che affluisce al bilancio dello Stato, con riferimento all’esercizio finanziario 2002, quali entrate derivanti dall’attività ordinaria di gestione, iscritte nel capitolo 1023 dello stato di previsione dell’entrata.

In base a tale disciplina, alle province viene pertanto attribuito ogni anno, a titolo di compartecipazione, lo stesso ammontare riconosciuto negli anni precedenti (a decorrere dal 2003), con corrispondente riduzione dei trasferimenti erariali ad esse spettanti.

La compartecipazione all’IRPEF come disciplinata dall’art. 31, comma 8, della legge n. 289/2002 non costituisce, infatti, una entrata aggiuntiva per i bilanci locali; la sua attribuzione è correlata ad una riduzione dei trasferimenti erariali spettanti agli enti in misura pari al gettito della compartecipazione stessa. In sostanza, l’entità della compartecipazione è stabilita in un ammontare fisso, ed è assegnata ai singoli enti entro i limiti della capienza dei trasferimenti ad essi spettanti. Poiché dalla compartecipazione all’IRPEF gli enti non possono, comunque, ricevere più di quanto spetti loro a titolo di trasferimento erariale, la normativa vigente prevede che nel caso in cui il livello dei trasferimenti spettanti ai singoli enti risulti insufficiente a consentire il recupero integrale della compartecipazione, la compartecipazione stessa sia corrisposta al singolo ente nei limiti dei trasferimenti spettanti per l’anno corrispondente (comma 4 dell’articolo 67 della legge n. 388/2000). Pertanto, essa si configura ancora come una sorta di trasferimento dallo Stato.

Nel bilancio, le somme spettanti alle province (e ai comuni) a titolo di compartecipazione all’IRPEF vengono iscritte nello stato di previsione del Ministero dell’interno, al capitolo 1320/U.P.B. 2.3.2. - sul quale confluiscono anche le somme relative alla compartecipazione comunale all’IRPEF - con conseguente riduzione, di pari importo, dello stanziamento del Fondo ordinario.

Per l’anno 2010, l’importo della compartecipazione delle province al gettito dell’IRPEF è stato pari a 412 milioni di euro.

Per quanto riguarda le modalità di ripartizione, si ricorda che, ai sensi dell’art. 67, comma 3, della legge n. 388/2000, il gettito della compartecipazione è ripartito tra le province in proporzione all’ammontare dell’imposta netta dovuta dai contribuenti, distribuita territorialmente in funzione del domicilio fiscale risultante presso l’anagrafe tributaria. L’imposta dovuta dai contribuenti per ciascun ente è determinata dal Ministero dell’economia e delle finanze sulla base dei dati disponibili.

Ai sensi del decreto del Ministero dell'interno del 21 febbraio 2002, gli importi della compartecipazione al gettito dell'IRPEF sono erogati in due rate di eguale importo entro i mesi di marzo e luglio.

 

In particolare, la rideterminazione dell’aliquota avviene mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, d’intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.

La misura dell’aliquota, come già accennato, è fissata in modo tale da assicurare entrate corrispondenti:

§       ai trasferimenti statali soppressi ai sensi del successivo comma 2;

§       nonché alle entrate derivanti dalla addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, soppressa dal successivo comma 5.

 

Il successivo comma 2 dispone, a decorrere dall’anno 2012, la soppressione dei trasferimenti erariali spettanti alle province delle Regioni a Statuto ordinario. La soppressione riguarda tutti i trasferimenti aventi carattere di generalità e permanenza, sia di parte corrente sia in conto capitale, ove questi ultimi non siano finanziati tramite il ricorso all’indebitamento.

 

L’individuazione dei trasferimenti statali da sopprimere è operata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in esame, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le Regioni, d’intesa con la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali (comma 3).

Il D.P.C.M. deve inoltre essere adottato sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ovvero della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, qualora costituita.

Si ricorda, in merito, che la Conferenza è istituita ai sensi dell’articolo 33 del provvedimento. In particolare, il successivo articolo 35, comma 2, prevede la convocazione della riunione di insediamento della Conferenza entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo (cioè, entro il 26 giugno).

 

Come già detto, il taglio dei trasferimenti erariali, negli importi che saranno individuati con l’apposito D.P.C.M., viene compensato, ai sensi del comma 1, dal gettito della compartecipazione provinciale all’IRPEF attribuita a ciascuna Provincia a decorrere dal 2012, i cui introiti confluiscono - al netto della quota direttamente attribuita alle province sulla base del principio di territorialità per compensare la soppressa addizionale provinciale all’energia elettrica ai sensi del successivo comma 6 - nel Fondo sperimentale di riequilibrio per essere poi ripartiti secondo i criteri individuati con apposito decreto del Ministro dell’interno (cfr. articolo 21).

 

Ai sensi del successivo comma 4, l’aliquota della compartecipazione provinciale all’IRPEF potrà essere incrementata in misura tale da corrispondere all’ammontare di ulteriori trasferimenti statali suscettibili di soppressione.

 

Il meccanismo descritto persegue l’obiettivo del superamento della natura derivata della finanza locale (cioè, alimentata in misura prevalente da trasferimenti a carico del bilancio dello Stato), attraverso la sostituzione dei trasferimenti statali e regionali attualmente diretti al finanziamento degli enti locali[50] con un corrispondente aumento di entrate “proprie” di natura tributaria (tributi propri o quote di tributi erariali), in questo caso, con l’attribuzione alle province della compartecipazione all’IRPEF.

Nella fase transitoria, disciplinata dall’articolo 21 della legge delega, è previsto che i decreti legislativi attuativi della delega forniscano adeguata garanzia che la somma del gettito delle nuove entrate sia, per il complesso (dei comuni e) delle province, corrispondente al valore dei trasferimenti oggetto di soppressione e fiscalizzazione, in maniera tale da garantire che nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo sistema il comparto riceva, nel complesso, lo stesso ammontare di risorse di cui dispone nella situazione attuale. Ai fini della valutazione della corrispondenza delle nuove entrate all’entità dei trasferimenti soppressi, la medesima norma (art. 21, co. 1, lettera c) prevede che in sede di Conferenza Unificata si effettui una verifica in ordine alla congruità del gettito delle nuove entrate di comuni e province.

Per quanto concerne l’ammontare dei trasferimenti erariali da sopprimere, la relazione tecnica, che si basa sui dati già forniti dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) nel documento allegato alla Relazione sul federalismo fiscale, presentata dal Governo a giugno 2010, stima l’entità complessiva dei trasferimenti suscettibili di fiscalizzazione nell’importo di 1.139 milioni di euro per il 2012 e di 1.151 milioni per il 2013 (importi che scendono, rispettivamente, a 720 e a 732 milioni di euro, se si considerano le consistenti riduzioni operate sui trasferimenti dal D.L. n. 78/2010, funzionali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica imposti con la manovra finanziaria per il 2011-2013)[51].

La relazione tecnica precisa che tale stima complessiva potrà essere rivista a seguito dell’adozione del D.P.C.M. di esatta individuazione dei trasferimenti da fiscalizzare.

 

Il comma 5 dispone, a decorrere dal 2012, la soppressione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica e l’attribuzione del relativo gettito allo Stato.

 

L’addizionale comunale e provinciale sull’energia elettrica è prevista dall’articolo 6 del decreto-legge n. 511 del 1988 (“Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e locale”), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 1989, n. 20.

La materia è stata recentemente ridisciplinata dal decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26, il quale, in attuazione della direttiva 2003/96/CE, ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. L’articolo 5 del predetto decreto ha in particolare sostituito l’articolo 6 del D.L. n. 511 del 1988.

Per ogni mille kWh di consumo di energia elettrica l’addizionale è attualmente dovuta nelle seguenti misure:

a)       euro 18,59 in favore dei comuni per qualsiasi uso nelle abitazioni, con esclusione delle seconde case, e con esclusione delle forniture, con potenza impegnata fino a 3 kW, effettuate nelle abitazioni di residenza anagrafica degli utenti limitatamente ai primi due scaglioni mensili di consumo quali risultano fissati nelle tariffe vigenti;

b)       euro 20,40 in favore dei comuni, per qualsiasi uso nelle seconde case;

c)       euro 9,30 in favore delle province per qualsiasi uso in locale e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze, fino al limite massimo di 200.000 kWh di consumo al mese. Le province hanno facoltà di incrementare detta misura fino a 11,40 euro per mille kWh. Le province devono deliberare la misura dell’addizionale entro i termini di approvazione del bilancio di previsione e notificare, entro dieci giorni dalla data di esecutività, copia autentica della deliberazione all’ente, che provvede alla riscossione per gli adempimenti di competenza.

L’articolo 2, comma 39, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004) è intervenuto sulle addizionali comunale e provinciale sull’energia elettrica, estendendone l’applicazione, anche d’acconto, non solo alle imprese distributrici, compresi i grossisti, ma anche alle imprese produttrici.

Circa le modalità di riscossione, il sopra citato articolo 6 prevedeva che le addizionali sul consumo di energia elettrica fossero liquidate e riscosse con le stesse modalità dell'imposta erariale di consumo sull'energia elettrica e fossero versate direttamente ai comuni e alle province nell'ambito del cui territorio sono ubicate le utenze, con esclusione di quelle sui consumi relativi a forniture con potenza impegnata superiore ai 200 chilowatt.

La legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 153 della legge 27 dicembre 2006, n. 296)– così come modificato dall’articolo 6, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81[52] - ha demandato a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanzel'individuazione delle province cui assegnare, nel limite di spesa di 8 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la riscossione diretta dell’addizionale sul consumo di energia elettrica (relativa ai consumi con forniture di potenza impegnata maggiore di 200 kW) in deroga alle ordinarie modalità di riscossione disciplinate al predetto articolo 6 del D.L. n. 511 del 1988, dando priorità alle province confinanti con quelle di Trento e Bolzano, a quelle confinanti con la Confederazione elvetica, nonché a quelle nelle quali oltre il 60 per cento dei comuni ricade nella zona climatica F.

La legge finanziaria per il 2010 (articolo 2, comma 40della legge 23 dicembre 2009, n. 191) ha prorogato per l'anno 2010 l'assegnazione della riscossione diretta dell'addizionale sul consumo di energia elettrica, fissando i requisiti per l’attribuzione e assegnando alle province in possesso di alcuni specifici requisiti.

Da ultimo, l’articolo 2, comma 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (in materia di federalismo fiscale municipale) ha disposto che a decorrere dal 2012 non si applichi l’addizionale comunale all’accisa sull’energia elettrica nelle regioni a statuto ordinario; tale imposta, pertanto, dal 2012 continuerà ad essere applicata nelle sole regioni a statuto speciale. Contestualmente, al fine di assicurare la neutralità finanziaria e il rispetto dei saldi di finanza pubblica, nelle RSO sarà incrementata la misura dell’aliquota erariale dell’accisa sull’energia elettrica .

 

A seguito della soppressione dell’addizionale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze è rideterminata l’aliquota dell’accisa sull’energia elettrica, in modo da assicurare l’equivalenza del gettito.

 

Tale disposizione comporta che risulti affidata ad un provvedimento di rango secondario la determinazione del quantum di accisa (sotto forma di potere di modificare le aliquote) dovuta per l’energia elettrica con l’esplicita ed esclusiva finalità di assicurare “l’equivalenza del gettito”, il cui ammontare non è quantificato, né riferito ad uno specifico lasso temporale.

 

Il comma 6 prevede che – evidentemente al fine di compensare la soppressione dell’addizionale provinciale all’energia elettrica - alla provincia competente per territorio sia attribuita una quota di gettito “in misura non inferiore a quello della soppressa addizionale provinciale all’energia elettrica” attribuita nel 2011 (anno di entrata in vigore del decreto legislativo in commento).

 

Stante il tenore complessivo dell’articolo in esame, sembra doversi desumere che la quota di gettito cui si riferisce il comma 6 sia riferito alla compartecipazione IRPEF di cui al comma 1.

 

Infine, il comma 7 prevedeche alle Province sia garantito che le variazioni annuali del gettito relativo alla compartecipazione provinciale all’IRPEF, attribuita ai sensi dell’articolo in esame, non determinino la modifica delle aliquote stabilite con DPCM.


 

Articolo 19
(Soppressione dei trasferimenti dalle Regioni a statuto ordinario
alle province e compartecipazione provinciale
alla tassa automobilistica regionale)

 


1. Ciascuna regione a statuto ordinario assicura la soppressione, a decorrere dall'anno 2013, di tutti i trasferimenti regionali, aventi carattere di generalità e permanenza, di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamen­to, in conto capitale diretti al finanziamento delle spese delle province, ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera e), della citata legge n. 42 del 2009.

2. Con efficacia a decorrere dall'anno 2013, ciascuna regione a statuto ordinario determina con atto amministrativo, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d'intesa con le province del proprio territorio, una compartecipazio­ne delle stesse alla tassa automobilistica spettante alla regione, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi ai sensi del comma 1. Può altresì adeguare l'ali­quota di compartecipazione sulla base delle disposizioni legislative regionali so­pravvenute che interessano le funzioni delle province. La predetta compartecipa­zione può, inoltre, essere successivamente incrementata, con le modalità indicate nel presente comma, in misura corrispondente alla individuazione di ulteriori trasferimenti regionali suscettibili di riduzione. In caso di incapienza della tassa automobilistica rispetto all'ammontare delle risorse regio­nali soppresse, le regioni assicurano una compartecipazione ad altro tributo regionale, nei limiti della compensazione dei trasferimenti soppressi alle rispettive province. L'individuazione dei trasferimenti regionali fiscalizzabili è oggetto di condivi­sione nell'ambito della commissione tecni­ca paritetica per l'attuazione del federa­lismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della conferenza permanente per il coordinamento della finanza pub­blica.

3. In caso di mancata fissazione della misura della compartecipazione alla tassa automobilistica di cui al comma 2 entro la data del 30 novembre 2012, lo Stato inter­viene in via sostitutiva ai sensi dell'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

4. Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attuazione del presente articolo, ciascuna regione a statuto ordinario istituisce un Fondo speri­mentale regionale di riequilibrio. Il Fondo ha durata di tre anni ed è alimentato da una quota non superiore al 30 per cento del gettito della compartecipazione di cui al comma 2, ripartita secondo le modalità stabilite dal medesimo comma.

5. Ai fini della realizzazione delle proprie politiche tributarie le province acce­dono, senza oneri aggiuntivi, alle banche dati del Pubblico Registro Automobilistico e della Motorizzazione civile.


 

 

L'articolo 19 dispone, a decorrere dal 2013, la soppressione dei trasferimenti dalle Regioni a statuto ordinario alle province dei rispettivi territori e, a compensazione delle conseguenti minori entrate, l'istituzione di una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica. La norma prevede altresì l'istituzione di un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio.

 

Il comma 1 dispone, da parte di ciascuna regione a statuto ordinario a decorrere dal 2013, la soppressione dei trasferimenti regionali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all’indebitamento, in conto capitale, aventi carattere di generalità e permanenza, diretti al finanziamento delle spese delle province del proprio territorio, come previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera e) della legge delega.

I principi contenuti nella legge delega, esplicitamente richiamati, prevedono la soppressione dei trasferimenti statali e regionali diretti al finanziamento delle funzioni ordinarie delle province (tutte, sia riferibili che non riferibili alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni), con l'esclusione degli stanziamenti destinati ai fondi perequativi e dei contributi erariali e regionali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dagli enti locali.

 

In sostituzione dei trasferimenti soppressi, il comma 2 prevede che, a decorrere dall’anno 2013, ciascuna Regione a statuto ordinario con atto amministrativo determini, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d’intesa con le Province del proprio territorio, una compartecipazione delle Province alla tassa automobilistica sugli autoveicoli spettante alla regione, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi ai sensi del comma 1.

 

Le norme in commento introducono altresì un meccanismo di adeguamento dell’aliquota di compartecipazione da parte delle Regioni.

Detto adeguamento è legato:

§       alla sopravvenienza di disposizioni legislative regionali che interessano le funzioni delle Province;

§       all’eventuale individuazione di ulteriori trasferimenti dalla Regionealle Province da sopprimere.

 

Le disposizioni in esame affidano ad un atto amministrativo – ovvero ad una fonte di rango secondario – l’istituzione della compartecipazione, sia pure nel limite quantitativo dato dalla previsione legislativa di “assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali soppressi”.

Alla medesima fonte viene affidata la manovrabilità dell’aliquota della suddetta compartecipazione, con possibilità di adeguarla “sulla base delle disposizioni legislative regionali sopravvenute che interessano le funzioni delle Province”, nonché la facoltà di incrementarla nella misura corrispondente alla “individuazione di ulteriori trasferimenti regionali suscettibili di riduzione”.

Sul punto si osserva che la modificabilità dell’aliquota - che si concreta nella rideterminazione del quantum dell’obbligazione tributaria – viene connessa, dalla disposizione in esame, alla soppressione di trasferimenti il cui ammontare non è quantificato dalla norma, ovvero a un generico riferimento a “disposizioni legislative regionali sopravvenute che interessano le funzioni delle Province”.

Si ricorda che l’articolo 7, comma 2 del provvedimento in esame affida la disciplina della tassa automobilistica regionale alle Regioni, nei limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale.

Le tasse automobilistiche sono tributi imposti ai proprietari di autoveicoli iscritti nei pubblici registri, ovvero a coloro che utilizzano veicoli non immatricolati. La normativa introdotta dal D.Lgs. n. 504 del 1992[53] ha assegnato alle regioni ad autonomia ordinaria la competenza ad introitare l’intero gettito del settore.

Le regioni a statuto ordinario sono infatti titolari del gettito della tassa automobilistica a decorrere dal 1° gennaio 1993, come disposto dagli articoli 23-27 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, emanato in attuazione della delega al Governo conferita dall’art. 4 della legge n. 421 del 1992. La tassa automobilistica regionale assorbe l’intera tassa automobilistica prevista dal D.P.R. n. 39 del 1953, recante il Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche[54].

Le regioni a statuto ordinario possono determinare con propria legge, entro il 10 novembre di ogni anno, gli importi delle tasse automobilistiche nella misura compresa tra il 90 e il 110 per cento degli importi vigenti nell’anno precedente. A decorrere dal 1° gennaio 1999, inoltre, il comma 10 dell’articolo 17 della legge n. 449 del 1997 ha previsto l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario delle competenze in materia di accertamento, riscossione, recupero, applicazione delle sanzioni, rimborsi e contenzioso relativamente alle tasse automobilistiche non erariali, con le modalità stabilite dal successivo decreto del Ministero delle finanze 18 novembre 1998, n. 462[55].

La legge statale (articolo 8, comma 7, L. 449/1997) prescrive l’esenzione permanente dall’obbligo di pagamento per quanto concerne i veicoli dei soggetti diversamente abili. Le norme regionali hanno concesso esenzioni in favore di determinati soggetti, quali le ONLUS (Lombardia, Toscana, Molise e Puglia) le organizzazioni di volontariato (Umbria, Veneto e Molise per i soli autoveicoli impegnati nella protezione civile, Basilicata, Piemonte, Toscana per tutti i veicoli), le imprese sociali (Toscana), ovvero in ragione della natura del veicolo circolante .

 

Nel caso di incapienza della tassa automobilistica rispetto all’ammontare dei trasferimenti regionali soppressi, le Regioni devono assicurare alle Province una compartecipazione ad un altro tributo regionale al fine di compensare i trasferimenti soppressi.

 

Il commadispone, infine, che l’individuazione dei trasferimenti regionali suscettibili di fiscalizzazione è oggetto di condivisione nell’ambito della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) ovvero della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, qualora costituita.

Si ricorda che la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica è istituita ai sensi dell’articolo 33 del provvedimento. In particolare, il successivo articolo 35, comma 2, prevede la convocazione della riunione di insediamento della Conferenza entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo (cioè, entro il 26 giugno).

 

Per quanto concerne l’ammontare dei trasferimenti regionali da sopprimere, che nel testo originario del provvedimento era limitata ai soli trasferimenti correnti, si ricorda che la Relazione tecnica, rilevando la mancanza di elementi idonei per una valutazione in merito, riportava, a titolo esemplificativo, i dati relativi al 2008, a suo tempo forniti dalla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF), nel documento allegato alla Relazione sul federalismo fiscale, presentata dal Governo a giugno 2010 (Doc. XXVII, n. 22). Secondo la Relazione, i trasferimenti regionali correnti alle province delle regioni a statuto ordinario sono indicati in circa 2.743 milioni di euro nel 2008.

Nella medesima Relazione, i trasferimenti in conto capitale dalle regioni alle province risultano pari a 2.067 milioni di euro nel 2008[56].

Nella relazione tecnica allegata allo schema di decreto è riportato inoltre, per ciascuna regione, il gettito delle tasse automobilistiche fornito dall'archivio dell'Agenzia delle entrate, con riferimento all’anno 2008 (circa 4.771 milioni di euro). Si ricorda che il gettito della tassa automobilistica costituisce, in media, il 10 per cento delle entrate tributarie regionali (escludendo la compartecipazione IVA, non assimilata – attualmente - ad entrata tributaria) e costituisce la terza voce di entrata dopo l'IRAP e l'addizionale IRPEF.

 

Il comma 3 richiama espressamente l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato in caso di mancata fissazione entro il 30 novembre 2012, da parte delle Regioni, della misura della compartecipazione alla tassa automobilistica.

Si ricorda in proposito che l’articolo 120, comma 2 della Costituzione consente al Governo può sostituirsi agli organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nei seguenti casi:

-        mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria;

-        pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica;

-        ove lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e, in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.

L’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131[57] disciplina l’esercizio dei predetti poteri sostitutivi. Ricorrendo le condizioni prescritte dalla Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.

Ai sensi del comma 4, nei casi di assoluta urgenza, qualora l'intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall'articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, adotta i provvedimenti necessari, che sono immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle Comunità montane, che possono chiederne il riesame.

I provvedimenti sostitutivi devono in ogni caso essere proporzionati alle finalità perseguite.

Il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.

 

Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata il nuovo sistema di finanziamento delle Province sostitutivo dei trasferimenti, il comma 4 prevede l’istituzione da parte di ciascuna regione di un Fondo sperimentale regionale di riequilibrio, di durata triennale (dal 2013 al 2015), alimentato da una quota, non superiore al 30 per cento, del gettito derivante dalla compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica sugli autoveicoli, istituita dal comma 2 con efficacia a decorrere dall’anno 2013.

 

Per quanto concerne i criteri di riparto del Fondo regionale sperimentale, la norma contiene un generico riferimento alle “modalità stabilite dal medesimo comma” - intendendosi il comma 2 -, il quale, tuttavia, non reca alcun criterio relativo al riparto della compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica sugli autoveicoli.

Si rileva, al riguardo, che il testo originario prevedeva, invece, che ciascuna regione stabilisse, previo accordo con le province, le modalità di riparto del Fondo nonché le quote del gettito che, anno per anno, sono devolute alla singola provincia in cui si sono verificati i presupposti di imposta.

 

Nel silenzio della disposizione in esame, sembrerebbe desumersi che il restante 70% della compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica - che non affluisce al Fondo regionale sperimentale - sia assegnato direttamente alle Province.

 

Poiché la durata del Fondo sperimentale regionale di riequilibrio è fissata in tre anni, deve desumersi che, a partire dal 2016, anche la quota del 30% della compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica – ora versata al Fondo regionale sperimentale – sarà oggetto di diretta assegnazione alle province.

 

Tra l’altro, con disposizione di simile tenore relativa al nuovo sistema di finanziamento dei Comuni, l’articolo 12 del decreto in esame prevede l’istituzione, dal 2013, di un Fondo triennale sperimentale di riequilibrio da parte di ciascuna Regione, alimentato con quota parte del gettito derivante dalla compartecipazione comunale ai tributi regionali, ovvero dai tributi interamente devoluti ai Comuni.

Lo stesso articolo reca indicazioni sulle modalità di riparto del Fondo, prevedendo espressamente l’attribuzione territoriale delle quote del gettito derivante da tributi e compartecipazioni: esse, anno per anno, sono devolute al singolo comune in cui si sono verificati i presupposti di imposta.

 

Il comma 5 dell’articolo in commento prevede che, per la realizzazione delle proprie politiche tributarie, le Province possano accedere senza oneri aggiuntivi alle banche dati del Pubblico Registro Automobilistico e della Motorizzazione Civile.


 

Articolo 20
(Ulteriori tributi provinciali)

 

1. Salvo quanto previsto dagli articoli 17 e 18, spettano alle province gli altri tributi ad esse riconosciuti, nei termini previsti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che costituiscono tributi propri derivati.

2. Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro il 31 ottobre 2011, è disciplinata l'imposta di scopo provinciale, individuando i particolari scopi istituzionali in relazione ai quali la predetta imposta può essere istituita e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

 

 

L’articolo 20 reca disposizioni volte a completare il quadro delle entrate tributarie delle Province.

In particolare, il comma 1 stabilisce che spettano alle Province gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente al 27 maggio 2011 (data di entrata in vigore del decreto in esame) salvo quanto previsto dagli articoli 17 e 18.

I predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.

 

Per un quadro complessivo delle entrate delle Province, si veda la scheda di lettura dell’articolo 16.

L’articolo 17 del decreto in esame reca disposizioni concernenti tributi connessi al trasporto su gomma: ai commi da 1 a 5 sono recate disposizioni volte a trasformare in tributo proprio derivato l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, mentre i commi da 6 a 8 disciplinano le modalità di riordino dell’imposta provinciale di trascrizione – IPT, in modo tale da attribuire il relativo gettito alle Province. Il successivo articolo 18 dispone la riduzione dei trasferimenti statali alle Province e la soppressione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica. Parallelamente viene ridefinita la misura della compartecipazione provinciale all’IRPEF, introducendo altresì la possibilità di incrementarla nel tempo.

 

Il successivo comma 2 demanda ad un regolamento da adottare entro il 31 ottobre 2011 ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, la disciplina dell’imposta di scopo provinciale, individuando i particolari scopi istituzionali in relazione ai quali la predetta imposta può essere istituita e nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 6 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.

 

Si ricorda che l’articolo 6 del D.Lgs. 23/2011 recante Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, interviene sulla disciplina dell’imposta di scopo istituita dalla legge n. 296 del 2006 in modo tale da prevedere:

a)       l’individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto alle tipologie definite dalla normativa vigente;

b)       l’aumento sino a dieci anni della durata massima di applicazione dell’imposta;

c)       la possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare.

 

L’imposta di scopo è stata regolata dall’articolo 1, commi 145-151 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevedono la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche.

In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche, secondo le tipologie individuate dal comma 149:

a)       opere per il trasporto pubblico urbano;

b)       opere viarie, con esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti;

c)       opere particolarmente significative di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi;

d)       opere di risistemazione di parchi e giardini;

e)       opere di realizzazione di parcheggi pubblici;

f)         opere di restauro;

g)       opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali e biblioteche;

h)       opere di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica;

i)         opere di conservazione dei beni artistici e architettonici.


 

Articolo 21
(Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale)

 


1. Per realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata l'attribuzione alle province dell'autonomia di entrata, è istituito, a decorrere dall'anno 2012, un fondo sperimentale di riequilibrio. Il Fondo, di durata biennale, cessa a decorrere dalla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009.

2. Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 18, comma 6, il Fondo è alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18, comma 1.

3. Previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in coerenza con la determinazione dei fabbisogni standard sono stabilite le modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibrio.


 

 

Per assicurare l’attribuzione alle province dell’autonomia di entrata in forma progressiva ed ispirata ad un principio di equilibrio territoriale, l’articolo 21 prevede l’istituzione, a decorrere dall’anno 2012, di un Fondo sperimentale di riequilibrio, la cui durata è fissata in un periodo di due anni (comma 1).

In ogni caso, la norma dispone che la funzione del Fondo cessa a decorrere dalla data di attivazione del fondo perequativo previsto dall’articolo 13 della legge n. 42 del 2009.

 

Si ricorda che la disciplina generale del fondo perequativo per gli enti locali, previsto dall'articolo 13 della legge n. 42 del 2009, è contenuta all’articolo 13 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale.

In particolare, il citato articolo 13 prevede l’istituzione nel bilancio dello Stato di un fondo perequativo a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da comuni e province, successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali, le cui modalità di alimentazione e di riparto saranno stabilite, in conformità con l’articolo 13 della legge n. 42, previa intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Nell’articolo, tuttavia, non è precisata la data di istituzione del Fondo perequativo.

L’articolo citato provvede altresì ad indicare le fonti di alimentazione del Fondo perequativo destinato ai comuni; le fonti di alimentazione del fondo perequativo a favore delle province e delle città metropolitane sono invece individuate dall’articolo 23 del decreto legislativo in esame, che provvede altresì, ai sensi dell’articolo 13 della legge delega, alla istituzione nel bilancio delle regioni di due fondi, uno a favore dei comuni e l’altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato.

In ordine alle questioni connesse alla disciplina della perequazione per gli enti locali si rinvia a quanto illustrato all’articolo 23 del provvedimento (cfr. relativa scheda di lettura).

 

Il comma 2 dispone che il Fondo sperimentale di riequilibrioè alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all’IRPEF di cui all’articolo 18, comma 1, la cui aliquota, a partire dal 2012, è determinata in misura tale da compensare la soppressione dei trasferimenti erariali alle province ed il venir meno delle entrate legate all’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, anch’essa soppressa dall’anno 2012.

Non tutto il gettito della compartecipazione IRPEF confluisce tuttavia nel Fondo sperimentale, in quanto una quota di esso è oggetto di diretta attribuzione alle province, ai sensi del comma 6 dell’articolo 18 medesimo, che infatti prevede la devoluzione alla provincia competente per territorio di un gettito non inferiore a quello della soppressa addizionale provinciale all’energia elettrica attribuita nell’anno di entrata in vigore del presente decreto legislativo.

 

Il comma 3 prevede che le modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibrio siano definite con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare previo accordo sancito in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali.

Per quanto concerne i criteri di riparto tra le province delle somme che affluiscono al Fondo sperimentale, la norma fa riferimento alla coerenza con la determinazione dei fabbisogni standard.

In merito alla determinazione dei fabbisogni standard, si ricorda che l’articolo 2, comma 5, del D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216[58] prevede che i fabbisogni standard verranno determinatisecondo un processo graduale diretto a garantirne l’entrata a regime, con riferimento ad un terzo delle funzioni, a partire dal 2012 e con riferimento al complesso delle funzioni nell’anno 2016.

 

Con riferimento ai criteri di riparto tra gli enti delle somme che affluiscono al Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, che saranno definiti con apposito D.M. dell’interno, si ricorda che l’articolo 21 della legge n. 42 del 2009, che disciplina la fase transitoria nel passaggio dalla spesa storica ai fabbisogni standard per il finanziamento degli enti locali, prevede, nellafase transitoria, che il finanziamento delle spese degli enti locali debba essere effettuato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali.


 

Articolo 22
(Classificazione delle spese provinciali)

 

1. Fino alla individuazione dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali delle province, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard si applica l'articolo 21, comma 4, della citata legge n. 42 del 2009.

 

 

L’articolo 22 conferma le disposizioni già stabilite dall’articolo 21, comma 4, della legge di delega, stabilendo che, nella fase transitoria, ai fini del nuovo sistema di finanziamento delle funzioni sulla base del criterio del fabbisogno standard, come previsto dalla legge sul federalismo fiscale (l. n. 42/2009), si considerano le spese relative alle funzioni fondamentali delle province come individuate dal citato comma, ossia:

a)      funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)      funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l'edilizia scolastica;

c)      funzioni nel campo dei trasporti;

d)      funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e)      funzioni nel campo della tutela ambientale;

f)        funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

 

In proposito, si ricorda che l’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione individua, tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, le funzioni fondamentali di comuni, province, e città metropolitane, accanto alla legislazione elettorale e alla disciplina degli organi di governo degli enti locali.

L’attuazione del dettato costituzionale è stata tentata una prima volta con la legge n. 131 del 2003[59] che recava la delega, mai esercitata, «per l’individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento» (art. 2).

Più di recente, nel corso dell’attuale legislatura, il Governo ha presentato un ampio disegno di legge volto a modificare la disciplina degli enti locali e a delegare il Governo per l’adozione di una “Carta delle autonomie locali”, dove raccogliere e coordinare le disposizioni in materia (principalmente contenute nel D.P.R. n. 267/2000, art. 19 per le funzioni delle province) che prevede anche l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali secondo il dettato costituzionale. Tale ddl è stato approvato in prima lettura dalla Camera (A.C. 3118) ed è ora all’esame del Senato (A.S. 2259).

La definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali risulta rilevante ai fini del federalismo fiscale.

Infatti, l’art. 119, comma quarto, Cost. stabilisce che le risorse degli enti locali (e delle regioni) – ossia tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito erariale e fondo perequativo – devono consentire il finanziamento integrale delle “funzioni pubbliche loro attribuite”. L’individuazione di tali funzioni appare, pertanto, un passaggio necessario per la valutazione dell’entità delle risorse finanziarie da attribuire alle autonomie locali.

L’importanza dell’individuazione delle funzioni territoriali è confermata dalla legge n. 42 del 2009, di attuazione dell’art. 119 Cost. che, nell’indicare i princìpi e i criteri direttivi della delega relativa al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane (art. 11, co. 1, lett. a)), prevede una classificazione delle spese degli enti locali ripartite in:

-        spese riconducibili alle funzioni fondamentali individuate dalla legislazione statale;

-        spese relative alle altre funzioni;

-        spese finanziate con contributi speciali.

In particolare, la legge n. 42 prevede l’integrale finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali, la cui individuazione è rinviata alla legislazione statale di attuazione dell’articolo 117, comma secondo, lett. p), mediante tributi propri, compartecipazioni e addizionali ai tributi erariali e regionali e fondo perequativo, che andranno a sostituire integralmente i trasferimenti statali. La garanzia del finanziamento integrale delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni da esse eventualmente implicate deve avvenire con modalità definite in base al “fabbisogno standard”, modalità che consente di superare il vigente criterio di finanziamento, basato sulla spesa storica (art. 11, co. 1, lett. b)).

La fase transitoria, riconducibile ad un periodo di cinque anni per consentire il superamento definitivo del criterio della spesa storica, è disciplinata dall’art. 21 della legge sul federalismo che contiene principi e criteri direttivi per l’attuazione con decreti legislativi da parte del governo. In particolare, l’art. 21, co. 1, lett. e), dispone che, fin tanto che non saranno in vigore le disposizioni concernenti le funzioni fondamentali, il finanziamento delle spese degli enti locali avviene sulla base di alcuni specifici criteri. In particolare:

-        il fabbisogno delle funzioni di comuni e province viene finanziato assumendo l’ipotesi che l’80 per cento delle spese sia considerato come riconducibile alle funzioni fondamentali e che il residuo 20 per cento si riferisca alle funzioni non fondamentali (punto 1);

-        l’80 per cento delle spese di comuni e province (cioè quelle di cui al punto 1), afferenti alle funzioni fondamentali, viene finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi erariali, e dal fondo perequativo; il residuo 20 per cento delle spese di cui al punto 1, relative alle altre funzioni, è finanziato per mezzo delle entrate derivanti dall’autonomia finanziaria, comprese le compartecipazioni a tributi regionali, e dal fondo perequativo (punto 2).

-        a tal fine, il punto 3 prevede che venga preso a riferimento l’ultimo bilancio degli enti locali certificato a rendiconto, disponibile alla data di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.

Ancora per il periodo transitorio e ai soli fini della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali, l’articolo 21, comma 2, prevede che nei decreti legislativi di attuazione siano provvisoriamente considerate, in sede di prima applicazione, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento sui modelli contabili degli enti locali di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194[60].

I successivi commi 3 e 4 recano, rispettivamente, per i comuni e per le province, un elenco provvisorio delle funzioni fondamentali da finanziare integralmente sulla base del fabbisogno standard, ai sensi del comma 2.

Per i comuni, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono:

a)       funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall'ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge in esame;

b)       funzioni di polizia locale;

c)       funzioni di istruzione pubblica, compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l'edilizia scolastica;

d)       funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti;

e)       funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato;

f)         funzioni del settore sociale[61].

Perciò, rispetto alle funzioni individuate dal D.P.R. n. 194/1996 richiamate dal comma 2 dell’art. 21, non risultano considerate le funzioni relative ai seguenti ambiti: giustizia; cultura e beni culturali; settore sportivo e ricreativo; turismo; sviluppo economico; servizi produttivi (oltre alle funzioni concernenti edilizia residenziale pubblica e locale, piani di edilizia e servizio idrico integrato, espressamente escluse).

Per le province, le funzioni, e i relativi servizi, da considerare provvisoriamente quali funzioni fondamentali sono quelli indicati supra, nel testo.

Perciò, rispetto alle funzioni individuate dal citato D.P.R. n. 194/1996, richiamate dal comma 2 dell’art. 21, non risultano considerate le funzioni relative ai seguenti ambiti: cultura e beni culturali; settore turistico, sportivo e ricreativo; settore sociale; sviluppo economico, relativamente ai servizi per l’agricoltura e per l’industria, il commercio e l’artigianato.

La disciplina in commento ha natura temporanea, poiché l’assetto a regime della materia presuppone sia la definizione delle funzioni fondamentali delle province, sia l’individuazione dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali secondo le modalità disciplinate dal D.Lgs. n. 216/2010[62].

In particolare, l’articolo 2 del decreto n. 216 individua il procedimento per realizzare la convergenza dei costi e dei fabbisogni standard dei vari livelli di governo nonché degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all’ articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione. Il comma 1 impernia il suddetto procedimento di convergenza sulla predisposizione, da parte del Governo, di disposizioni di coordinamento dinamico della finanza pubblica nell’ambito del disegno di legge di stabilità o di un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica. Tali disposizioni, da sottoporre a previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata, devono essere coerenti con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati dalla decisione di finanza pubblica.

Il comma 2 prevede che, ai fini della predisposizione delle norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica, il Governo tenga conto: delle informazioni e dei dati in merito alle funzioni fondamentali effettivamente esercitate e ai servizi resi o non resi, in tutto o in parte, da ciascun ente locale; nonché dell’incrocio tra i dati relativi alla classificazione funzionale delle spese e quelli relativi alla classificazione economica.

Il comma 3 dispone che gli obiettivi di servizio siano stabiliti in modo da garantire il rispetto della scansione temporale della fase transitoria prevista dai commi successivi dell’articolo in esame per il passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei fabbisogni standard.

I commi 4 e 5 delineano i tempi di avvio del periodo transitorio finalizzato al progressivo superamento del criterio della spesa storica nel finanziamento degli enti locali e della sua sostituzione con il criterio dei fabbisogni standard. Nel frattempo, e fino all’entrata in vigore delle norme di legge che provvederanno alla individuazione delle funzioni fondamentali, il finanziamento del fabbisogno degli enti locali verrà effettuato considerando l’80% delle spese come fondamentali e il restante 20% di esse come non fondamentali.

Il comma 4 indica l’anno 2012 quale anno di avvio della fase transitoria comportante il superamento del criterio della spesa storica.

L’approccio che il legislatore delegato sembra adottare nel definire la fase transitoria consiste nell’applicazione progressiva del criterio del fabbisogno standard, quale parametro di riferimento per il finanziamento degli enti locali, ad un numero sempre maggiore di funzioni fondamentali.

Le fasi e la tempistica in cui si struttura la fase transitoria prevedono che nel 2011 verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2012 con riguardo ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali per i Comuni e le Province, quali definite all’articolo 3, comma 1, con un processo di gradualità tale da garantire l’entrata a regime nel corso del triennio successivo.

Nel 2012 verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2013 con riguardo ad almeno due terzi delle suddette funzioni, anche in questo caso con un’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.

Nel 2013 verranno determinati i fabbisogni standard che entreranno in vigore nel 2014 con riguardo a tutte le funzioni fondamentali, sempre con un processo di gradualità che, come nelle fasi precedenti, deve comunque assicurare l’entrata a regime nell’arco del triennio successivo.

In sostanza, nel periodo di transizione, la norma sembra indicare una sorta di “convivenza” tra il criterio della spesa storica e quello del fabbisogno standardizzato per il finanziamento dei vari gruppi di funzioni fondamentali.

La progressiva sostituzione del criterio della spesa storica in favore del fabbisogno standard dovrebbe inoltre comportare, secondo i principi del federalismo fiscale, una graduale sostituzione dei trasferimenti statali con entrate proprie.

Il successivo articolo 3 del medesimo decreto reca un elenco, per i comuni e le province, delle funzioni da considerarsi, in via provvisoria, come fondamentali, che sono individuate, ancora una volta, con quelle di cui all’articolo 21 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in attesa dell’entrata in vigore della legge statale che individuerà in via stabile le funzioni fondamentali degli enti locali ai sensi dell’articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione.


 

Articolo 23
(Fondo perequativo per le Province e per le città metropolitane)

 


1. Il Fondo perequativo di cui all'articolo 13 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011 è alimentato, per le province e per le città metropolitane, dalla quota del gettito della compartecipazione provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18 del presente decreto non devoluto alle province e alle città metropolitane competenti per territorio. Tale fondo è articolato in due componenti, la prima delle quali riguarda le funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane, la seconda le funzioni non fondamentali. Le predette quote sono divise in corrispondenza della determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e riviste in funzione della loro dinamica. Per quanto attiene alle funzioni non fondamentali, la perequazione delle capacità fiscali non deve alterare la graduatoria dei territori in termini di capacità fiscale per abitante.

2. Ai sensi dell'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009, sono istituiti nel bilancio delle regioni a statuto ordinario due fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e delle città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato di cui al presente articolo.


 

 

L’articolo 23 reca i criteri di alimentazione e di composizione del Fondo perequativo, istituito dall’articolo 13 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, recante Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale, per la parte relativa al finanziamento delle spese delle province e delle città metropolitane[63].

 

L’articolo 13 del D.Lgs. n. 23/2011 prevede l’istituzione, nel bilancio dello Stato, del Fondo perequativo statale per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da tali enti, successivamente alla determinazione dei fabbisogni standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 42/2009.

La norma prevede l’istituzione del Fondo nel bilancio dello Stato con indicazione separata degli stanziamenti per i comuni e degli stanziamenti per le province, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte.

L’articolo 13 non precisa la data di istituzione del Fondo perequativo, tuttavia esso dovrebbe essere presumibilmente attivato a partire dal 2014, posto che la durata del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale, istituito dall’articolo 2, comma 3, del D.Lgs. n. 23/2011 per assicurare un processo graduale ed equilibrato di devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare, è stabilita in tre anni a partire dal 2011 e che quella del Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, di cui all’articolo 17 del provvedimento in esame, è fissata in due anni a partire dal 2012.

In merito all’attivazione del Fondo perequativo, si ricorda, peraltro, come i meccanismi perequativi siano strettamente dipendenti dalla determinazione dei fabbisogni standard - quale parametro di riferimento cui ancorare il finanziamento delle spese degli enti locali in sostituzione del criterio della spesa storica - i quali, in base al D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216, saranno individuati secondo un percorso graduale diretto a garantirne l’entrata a regime, con riferimento ad un terzo delle funzioni fondamentali, a partire dal 2012, anno di avvio della fase transitoria, e, con riferimento al complesso delle funzioni, nell’anno 2016.

Le modalità di alimentazione e di riparto del fondo perequativo statale saranno stabilite, in conformità con l’articolo 13 della legge delega n. 42, previa intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’articolo citato provvede altresì ad indicare le fonti di alimentazione del Fondo perequativo destinato ai comuni.

 

Il comma 1 della disposizione in esame individua le fonti di alimentazione del Fondo perequativo a favore delle province e delle città metropolitane, precisando che esso sia alimentato dalla quota del gettito della compartecipazione provinciale all’IRPEF, prevista dall’articolo 18, non devoluto alle province e alle città metropolitane competenti per territorio.

 

In base all’articolo 18, l’aliquota della compartecipazione provinciale all’IRPEF è determinata, dal 2012, in misura tale da compensare la soppressione dei trasferimenti erariali alle province ed il venir meno delle entrate legate all’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, anch’essa soppressa dall’anno 2012.

Durante il periodo transitorio, il gettito della compartecipazione IRPEF confluisce nel Fondo sperimentale, fatta eccezione per una quota di gettito, non inferiore a quello della soppressa addizionale provinciale all’energia elettrica attribuita nell’anno di entrata in vigore del presente decreto legislativo, che è oggetto di diretta attribuzione alle province competenti per territorio, ai sensi del comma 6 dell’articolo 18 medesimo.

Tale quota, pertanto, non dovrebbe affluire neppure nel Fondo perequativo.

Per quanto concerne le città metropolitane, il successivo articolo 24, che ne definisce il sistema finanziario, rinvia ad un DPCM per l’attribuzione ad esse delle proprie fonti di entrata.

 

Il Fondo perequativo viene articolato in due componenti, la prima delle quali riguarda le funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane, la seconda le funzioni non fondamentali.

Le due quote sono divise in corrispondenza della determinazione dei fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e riviste in funzione della loro dinamica.

Per quanto attiene alla perequazione dellefunzioni non fondamentali, la norma ribadisce il criterio, già previsto nella legge di delega, secondo il quale la perequazione delle capacità fiscali non deve alterare la graduatoria dei territori in termini di capacità fiscale per abitante.

 

In particolare, l’articolo 17 della legge delega, che reca i principi e criteri direttivi con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, ai fini dell’adozione dei decreti legislativi attuativi del federalismo fiscale, introduce, alla lettera a), il principio della garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la flessibilità di esse in base all'evoluzione del quadro economico territoriale.

I principi di salvaguardia dell’ordine della graduatoria delle capacità fiscali e della flessibilità delle stesse capacità fiscali sono in particolare esplicitati tra i criteri posti dall’articolo 9, comma 1, lett. b) della legge, relativo al riparto del fondo perequativo a favore delle regioni. Tale principio è volto ad impedire che dalla perequazione derivi una modifica delle capacità fiscali per abitante ovvero un impedimento alla modifica delle stesse secondo l’evoluzione del quadro economico-territoriale.

 

In conformità con l’articolo 13 della legge n. 42 del 2009, il comma 2 dispone l’istituzione nel bilancio delle regioni a statuto speciale di due fondi,uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello Stato.

 

L’impianto delineato dall’articolo 13 della legge delega prevede la costituzione dei due Fondi perequativi regionali per gli enti locali, uno a favore dei comuni, l’altro a favore delle province e delle Città metropolitane, iscritti nel bilancio delle singole regioni ed alimentati attraverso un apposito fondo perequativo dello Stato (comma 1, lettera a).

Nel fondo perequativo statale è data separata indicazione degli stanziamenti spettanti a comuni, province e città metropolitane, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte da tali enti. Il Fondo perequativo dello Stato, che finanzia i fondi perequativi regionali per gli enti locali, è alimentato con le risorse provenienti dalla fiscalità generale.

La dimensione del fondo perequativo statale è determinata, per ogni tipologia di ente, con riguardo all’esercizio delle funzioni fondamentali, in misura pari alla differenza tra:

-        il totale dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali e

-        il totale delle entrate standardizzate spettanti ai comuni e alle province (intendendosi come tali tutte le entrate spettanti agli enti locali come individuate ai sensi dell’articolo 12 (con esclusione dei c.d. tributi propri di scopo e dei contributi per gli interventi speciali di cui all’articolo 16), valutate ad aliquota standard (art. 13, lett. e).

L’articolo 13, comma 1, lettera b) prevede anche che il decreto legislativo attuativo del sistema perequativo per gli enti locali rechi la definizione delle modalità con cui si procede periodicamente all’aggiornamento dell’entità dei fondi perequativi e alla ridefinizione delle relative fonti di finanziamento.

Il riparto tra gli enti delle risorse della perequazione avviene:

-        con riferimento alle funzioni fondamentali, in base a due indicatori: un indicatore di fabbisogno finanziario, per il finanziamento della spesa corrente, e un indicatore di fabbisogno di infrastrutture, per il finanziamento della spesa in conto capitale;

-        per il finanziamento delle funzioni diverse da quelle fondamentali, l’intervento del fondo perequativo è basato soltanto sulla capacità fiscale per abitante ed è diretto a ridurre le differenze tra le capacità fiscali dei singoli enti. Per gli enti locali con minor popolazione, ai fini della perequazione va tenuto conto inoltre di alcune specificità, quali il fattore della dimensione demografica, in relazione inversa alla dimensione demografica stessa, e la loro eventuale partecipazione a forme associative.

 

L’articolo 13 della legge delega prevede la possibilità per le regioni di intervenire in sede di riparto delle risorse perequative tra gli enti locali del proprio territorio, attribuendo ad esse la facoltà di procedere ad una diversa valutazione dei parametri di fabbisogno (finanziario e di infrastrutture), in base ai quali è effettuata la ripartizione dei fondi perequativi per il finanziamento delle funzioni fondamentali, qualora vi sia intesa al riguardo con gli enti locali medesimi. La eventuale ridefinizione, da parte delle regioni, dei parametri di assegnazione dei fondi perequativi non può in ogni caso comportare ritardi nell’assegnazione delle risorse. Pertanto, nel caso in cui la regione non provveda nei termini stabiliti è previsto l’esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato, ai sensi dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.


 

Articolo 24
(Sistema finanziario delle città metropolitane)

 


1. In attuazione dell'articolo 15 della citata legge n. 42 del 2009, alle città metropolitane sono attribuiti, a partire dalla data di insediamento dei rispettivi organi, il sistema finanziario e il patrimonio delle Province soppresse a norma dell'articolo 23, comma 8, della medesima legge.

2. Sono attribuite alle città metropoli­tane, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata, le seguenti fonti di entrata:

a) una compartecipazione al gettito dell'IRPEF prodotto sul territorio della città metropolitana;

b) una compartecipazione alla tassa automobilistica regionale, stabilita dalla regione secondo quanto previsto dall'arti­colo 19, comma 2;

c) l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circola­zione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, conformemente a quanto pre­visto dall'articolo 17;

d) l'IPT, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;

e) i tributi di cui all'articolo 20.

3. Le fonti di entrata di cui al comma 2 finanziano:

a) le funzioni fondamentali della città metropolitana già attribuite alla provincia;

b) la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

c) la strutturazione di sistemi di coordinati di gestione dei servizi pubblici;

d) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale;

e) le altre funzioni delle città metro­politane.

4. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 2, è altresì attribuita alle città metropolitane la facoltà di istituire un'addizionale sui diritti di imbarco portuali ed aeroportuali;

5. La regione può attribuire alla città metropolitana la facoltà di istituire l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili solo ove l'abbia soppressa ai sensi dell'ar­ticolo 8.

6. Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della citata legge n. 400 del 1988, d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, entro un anno dall'entrata in vigore del presente decreto, è disciplinata l'imposta di scopo delle città metropolitane, individuan­do i particolari scopi istituzionali in rela­zione ai quali la predetta imposta può essere istituita e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011.

7. Con la legge di stabilità, ovvero con disegno di legge ad essa collegato, può essere adeguata l'autonomia di entrata delle città metropolitane, in misura cor­rispondente alla complessità delle funzioni attribuite, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica.

8. In caso di trasferimento di funzioni da altri enti territoriali in base alla normativa vigente è conferita alle città metropolitane, in attuazione dell'articolo 15 della citata legge n. 42 del 2009, una corrispondente maggiore autonomia di entrata con conse­guente definanziamento degli enti territo­riali le cui funzioni sono state trasferite.

9. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con cui sono attribuite a ciascuna città metropolitana le proprie fonti di entrata assicura l'armoniz­zazione di tali fonti di entrata con il sistema perequativo e con il fondo di riequilibrio.

10. Dal presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.


 

 

L’articolo 24 disciplina l’assetto finanziario delle città metropolitane.

Le città metropolitane sono enti locali intermedi tra provincia e comune previsti fin dalla legge n. 142 del 1990. Attraverso questo istituto si tende a differenziare l’ordinamento delle grandi città dagli altri comuni, medi e piccoli, attualmente amministrati con le stesse regole, e semplificare il sistema degli enti locali. La loro disciplina è poi confluita nel testo unico delle leggi sugli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) ed in particolare negli articoli 22, 23, 24, 25 e 26. In base alla disciplina contenuta nel TUEL, le città metropolitane possono essere costituite su iniziativa degli enti locali interessati in alcune aree del Paese, denominate aree metropolitane,individuate dal testo unico[64].

Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato la disciplina costituzionale relativa alle autonomie territoriali contenuta nel Titolo V della Parte II della Costituzione, le città metropolitane sono state inserite tra gli elementi costitutivi della Repubblica, accanto ai comuni, alle province, alle regioni ed allo Stato. Inoltre, è previsto un regime speciale per l’ordinamento della città di Roma in quanto capitale della Repubblica la cui disciplina viene demandata alla legge ordinaria.

In attesa della attuazione delle disposizioni costituzionali e proprio al fine di consentire l’attuazione delle norme relative alle città metropolitane è successivamente intervenuta la L. 42/2009, con le disposizioni contenute negli articoli 23, 24 e 15.

In particolare, l’articolo 23 introduce una disciplina transitoria, per l’istituzione, in via facoltativa, di città metropolitane di ambito regionale, in aree relative a comuni espressamente indicati. Pertanto, tale disposizione non riguarda tutti i territori interessati dalla normativa del TUEL, ma solamente le aree di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari e Napoli. Viene aggiunta la città di Reggio Calabria (non prevista dal TUEL) e risulta esclusa Roma, per la quale l’articolo 24 della medesima legge 42 ha previsto un ordinamento speciale. Tale disciplina rimarrà in vigore fino all’approvazione di una apposita legge ordinaria che stabilirà le modalità “a regime” per la istituzione delle città metropolitane.

In base alla procedura transitoria, la proposta di istituzione spetta al comune capoluogo e alla provincia, congiuntamente tra loro o separatamente (in questo caso è assicurato il coinvolgimento dei comuni della provincia interessata). Successivamente si svolge un referendum confermativo, indetto tra tutti i cittadini della provincia interessata, previo parere della regione. Dopo il referendum, l'istituzione di ciascuna città metropolitana è rimessa a decreti legislativi del Governo, da adottare entro il 21 maggio 2012, che detteranno una disciplina di carattere provvisorio. Il regime transitorio, avrà effetti fino alla data di entrata in vigore della disciplina ordinaria riguardante le funzioni fondamentali, gli organi e il sistema elettorale delle città metropolitane che sarà determinata con apposita legge.

Va peraltro segnalato che nessuna città metropolitana è stata sino ad oggi istituita.

 

Le disposizioni in commento attribuiscono alle città metropolitane alcune specifiche fonti di entrata, precisandone la destinazione. Viene tra l’altro introdotta, anche per i predetti enti, l’imposta di scopo.

Sono poi previsti meccanismi per adeguare l’autonomia di entrata delle città metropolitane in misura corrispondente alla complessità delle funzioni ad esse attribuite, sia sotto il profilo normativo, sia sotto il profilo strettamente finanziario.

 

Il comma 1, a partire dalla data di insediamento dei rispettivi organi, attribuisce alle città metropolitane, in attuazione dell'articolo 15 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, il sistema finanziario e il patrimonio delle Province soppresse a norma dell'articolo 23, comma 8, della medesima legge.

 

Il richiamato articolo 15 della legge 42/2009 ha affidato a uno specifico decreto legislativo la disciplina del finanziamento delle funzioni delle città metropolitane, anche mediante l’attribuzione di specifici tributi, al fine di garantire a tali enti una più ampia autonomia di entrata e di spesa corrispondente alla complessità delle funzioni ad essi attribuite.

L'articolo citato prevede specificamente l’attribuzione alle città metropolitane dell’autonomia impositiva corrispondente alle funzioni esercitate dagli altri enti territoriali, nonché il contestuale definanziamento degli enti locali le cui funzioni siano trasferite alle Città metropolitane.

Si prescrive inoltre che il decreto legislativo sul finanziamento delle città metropolitane sia adottato dal Governo coerentemente con i principi di cui agli articoli 11 (finanziamento delle funzioni dei comuni, Province e città metropolitane), 12 (coordinamento e autonomia di entrata e di spesa degli enti locali) e 13 (entità e riparto dei fondi perequativi per gli enti locali) della legge sul federalismo; esso dovrà recare disposizioni relative all’assegnazione alle città metropolitane di tributi ed entrate propri, anche diversi da quelli assegnati ai comuni. Il decreto legislativo dovrà inoltre consentire alle città metropolitane di applicare i tributi assegnati in relazione al finanziamento delle spese relative all’esercizio delle loro funzioni fondamentali.

In ultimo, la norma precisa che rimangono ferme le disposizioni relative all’istituzione, con norma primaria statale, di tributi propri c.d. “di scopo” (finalizzati in particolare alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di determinate spese legate ai flussi turistici ovvero alla mobilità urbana).

L’articolo 15 della legge sul federalismo è in stretta connessione con il successivo articolo 23, sopra illustrato nelle sue linee essenziali. Il richiamato comma 8 dell’articolo 23 prevede la soppressione delle Province nel cui territorio sono situate le città metropolitane, a partire dall’insediamento dei nuovi organismi rappresentativi di queste ultime (che sostituiranno gli organi provinciali). La norma prevede inoltre che le funzioni delle Province soppresse siano trasferite alle città metropolitane secondo le modalità fissate da norme primarie, cui è demandato di stabilire anche le risorse (i beni e il personale) necessarie per il loro effettivo esercizio. La legge ordinaria dovrà altresì dare attuazione alle nuove perimetrazioni territoriali. Infine, il comma 8 prevede che l’adozione dello statuto definitivo dell’Ente sia realizzato entro sei mesi dalla data di insediamento degli organi competenti.

 

Il comma 2 attribuisce alle città metropolitane, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri - da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata - le seguenti fonti di entrata:

a)   una compartecipazione al gettito dell'IRPEF prodotto sul territorio della città metropolitana.

Sulla base della formulazione del testo non risulta chiaro se l’individuazione dell’ammontare di tale compartecipazione (e le relative modalità di attribuzione alle città metropolitane) sia demandata al predetto D.P.C.M., ovvero se, in mancanza di indicazioni, non trovino invece applicazione analogica le disposizioni di cui all’articolo 18, in materia di compartecipazione provinciale all’IRPEF:

b)   una compartecipazione alla tassa automobilistica regionale, stabilita dalla regione secondo quanto previsto dall'articolo 19, comma 2.

Il richiamato articolo 19, comma 2 prevede che, a decorrere dall’anno 2013, ciascuna Regione a statuto ordinario determini con atto amministrativo - previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali, d’intesa con le Province del proprio territorio - una compartecipazione delle Province alla tassa automobilistica sugli autoveicoli spettante alla Regione stessa, in misura tale da assicurare un importo corrispondente ai trasferimenti regionali alle Province contestualmente soppresse. Per approfondimenti si rinvia alla relativa scheda di lettura;

c)   l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;

d)   l'IPT, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;

L’articolo 17 del decreto in commento (alla cui scheda di lettura si rinvia) reca disposizioni concernenti tributi connessi al trasporto su gomma. In particolare, i commi da 1 a 5 recano disposizioni volte a trasformare in tributo proprio derivato l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. I commi da 6 a 8 disciplinano le modalità di riordino dell’imposta provinciale di trascrizione – IPT, in modo tale da attribuire il relativo gettito alle Province;

e)   i tributi di cui all'articolo 20, ovvero i tributi attribuiti alle Province dalla legislazione vigente, a titolo di tributi propri derivati.

Per un quadro sinottico delle entrate delle Province prima dell’entrata in vigore delle disposizioni in esame si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 16.

Il comma 3 finalizza le predette entrate al finanziamento di specifiche funzioni delle città metropolitane, ovvero:

a)      le funzioni fondamentali della città metropolitana già attribuite alla provincia;

b)      la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

c)      la strutturazione di sistemi di coordinati di gestione dei servizi pubblici;

d)      la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e sociale;

e)      le altre funzioni delle città metropolitane.

 

L’elenco delle funzioni di cui al comma 3 corrisponde all’individuazione delle funzioni fondamentali delle città metropolitane operata in via provvisoria dall’articolo 23, L. 42/2009[65]. A tal proposito, infatti, tale disposizione stabilisce (co. 6), tra i principi e i criteri direttivi dei decreti legislativi istitutivi delle città, di considerare funzioni fondamentali delle città metropolitane, oltre alle funzioni fondamentali delle province (lett. e), altre tre funzioni (lett. f):

-        la pianificazione del territorio, compresa quella delle reti di infrastrutture;

-        il coordinamento della gestione dei servizi pubblici;

-        la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale.

Peraltro, l’individuazione di tali funzioni, oltre ad avere carattere provvisorio, vale, per esplicita indicazione normativa, ai soli fini delle disposizioni che riguardano le spese e l’attribuzione delle risorse finanziarie e limitatamente alla popolazione e la territorio metropolitano.

A regime, le funzioni fondamentali dovranno essere definite da una legge ordinaria, a cui lo stesso articolo 23 rinvia per la determinazione in via stabile delle modalità istitutive, la definizione degli organi e del sistema elettorale delle città metropolitane.

Peraltro, occorre segnalare che sempre in relazione al tema delle funzioni delle città metropolitane è all’esame del Parlamento il disegno di legge di iniziativa governativa, noto come “Carta delle autonomie”, che si propone di individuare le funzioni fondamentali degli enti locali, in diretta attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lett. p), della Costituzione[66]. Il disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati e attualmente all’esame del Senato (AS 2259[67]), all’articolo 4 prevede che le città metropolitane aggiungono a quelle delle province, le seguenti funzioni:

-        l’organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano;

-        l’azione sussidiaria e il coordinamento tecnico-amministrativo dei Comuni;

-        la pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali;

-        la mobilità e la viabilità metropolitana;

-        la strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici;

-        la promozione e il coordinamento dello sviluppo sociale (la lett. u) dell’art. 3 del medesimo provvedimento limita la competenza provinciale alla promozione e al coordinamento dello sviluppo economico del territorio provinciale).

 

Per quanto concerne il finanziamento delle funzioni fondamentali, si ricorda infine che l’articolo 8 del D.Lgs. n. 216/2010[68] ha esteso le modalità di individuazione dei fabbisogni standard recate da tale provvedimento per gli enti locali, alle Città metropolitane, una volta costituite e in quanto compatibili.

 

Ai sensi del comma 4, con il predetto decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è altresì attribuita alle città metropolitane la facoltà di istituire un'addizionale sui diritti di imbarco portuali ed aeroportuali.

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria 2004) ha istituito l’addizionale comunale sui diritti d’imbarco di passeggeri sugli aeromobili, che attualmente ammonta a 3,5 euro.

L’addizionale si sarebbe dovuta applicare per il solo anno 2004; successivamente l’articolo 7-quater del D.L. 29 marzo 2004, n. 80, convertito, con modificazioni dalla legge 28 maggio 2004, n. 140, ha novellato il citato articolo 2, comma 11, rendendo permanente l’addizionale.

I provvedimenti che, in momenti successivi, hanno variato la misura dell’addizionale hanno anche disposto in merito alla destinazione delle relative entrate.

In particolare l’articolo 2, comma 11, della legge n. 350 del 2003, che ha istituito l’addizionale nella misura di un euro, prevede la seguente assegnazione delle relative entrate:

§      quanto a 30 milioni di euro: versamento in un apposito fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al fine di compensare l’ENAV dei costi sostenuti per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa;

§      per la parte eccedente 30 milioni di euro: versamento in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell’interno, che viene ripartito sulla base del rispettivo traffico aeroportuale:

-        per il 40 per cento a favore di comuni nel cui territorio ricade il sedime aeroportuale, ovvero il cui territorio confina con esso, in base a determinati criteri;

-        per l’60 per cento per il finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie.

Il successivo articolo 6-quater del D.L. n. 7del 2005[69] ha aumentato di un euro l’addizionale, destinando le relative risorse Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo, costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del D.L. n. 249 del 2004[70], avente la finalità di favorire il mutamento o il rinnovamento delle professionalità ovvero di realizzare politiche attive di sostegno del reddito e dell'occupazione dei lavoratori del menzionato settore.

L’articolo 1, comma 1328, della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), ha incrementato l’addizionale di cinquanta centesimi di euro al fine di ridurre il costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti.

Da ultimo l’articolo 2, comma 5-bis del D.L. 134/2008 ha aumentato da 2,5 a 3,5 euro la citata addizionale.

 

Ai sensi del successivo comma 5, viene consentito alla Regione di attribuire alla città metropolitana la facoltà di istituire l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, ma solo ove l'abbia soppressa ai sensi dell'articolo 8 del decreto in esame.

 

L’articolo 8, comma 1, del provvedimento in esame consente alle Regioni, ove non intenda sopprimerli, di trasformare in tributi propri alcune forme di prelievo “minori” (in rapporto al gettito da esse derivanti) tra cui anche l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili.

La disciplina della predetta imposta è contenuta negli articoli da 90 a 95 della legge 21 dicembre 2000, n. 342 (legge finanziaria 2001). Istituita a decorrere dall'anno 2001, incide per l’appunto sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, nelle aree adiacenti gli aeroporti, con l’obiettivo prioritario della riduzione dell’inquinamento acustico (è infatti un tributo di scopo). L'imposta è dovuta alla regione o provincia autonoma per ogni decollo ed atterraggio degli aeromobili civili negli aeroporti civili. La legge ne determina la misura (art. 92 della legge 342/2000, con possibilità per le regioni di variare entro una “forbice” di valori). I previsti decreti che avrebbero dovuto stabilire le modalità applicative dell'imposta non sono stati emanati, né le regioni hanno variato la misura dell’imposta stabilita nella legge.

 

Il comma 6 affida a un regolamento di delegificazione, da adottare d'intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 27 maggio 2012 – ovvero entro un anno dall’entrata in vigore del decreto in esame – la disciplina dell'imposta di scopo delle città metropolitane, individuando i particolari scopi istituzionali in relazione ai quali la predetta imposta può essere istituita, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011, in materia di federalismo fiscale municipale.

L’imposta di scopo è stata regolata dall’articolo 1, commi 145-151 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), che prevedono la possibilità per i comuni di istituire, con regolamento, un’imposta di scopo per finanziare la realizzazione di opere pubbliche.

In particolare, la norma rimette ad un regolamento comunale, emanato ai sensi dell’articolo 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l’istituzione dell’imposta (comma 145), che deve essere destinata esclusivamente alla parziale copertura delle spese per la realizzazione di specifiche opere pubbliche, secondo le tipologie individuate dal comma 149:

a)       opere per il trasporto pubblico urbano;

b)       opere viarie, con esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinaria delle opere esistenti;

c)       opere particolarmente significative di arredo urbano e di maggior decoro dei luoghi;

d)       opere di risistemazione di parchi e giardini;

e)       opere di realizzazione di parcheggi pubblici;

f)         opere di restauro;

g)       opere relative a nuovi spazi per eventi e attività culturali, allestimenti museali e biblioteche;

h)       opere di realizzazione e manutenzione straordinaria dell’edilizia scolastica;

i)         opere di conservazione dei beni artistici e architettonici.

Il richiamato articolo 6 del D.Lgs. 23/2011interviene sulla disciplina dell’imposta di scopo istituita dalla legge n. 296 del 2006, in modo tale da prevedere:

a)       l’individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto alle tipologie definite dalla normativa vigente;

b)       l’aumento sino a dieci anni della durata massima di applicazione dell’imposta;

c)       a possibilità che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa dell’opera pubblica da realizzare.

 

I commi 7 e 8 disciplinano i meccanismi per l’adeguamento, normativo e finanziario, dell’autonomia di entrata delle città metropolitane in misura corrispondente alla complessità delle funzioni ad esse attribuite.

 

In particolare, il comma 7 affida alla legge di stabilità, ovvero al disegno di legge ad essa collegato, la possibilità di adeguare l'autonomia di entrata delle città metropolitane, in misura corrispondente alla complessità delle funzioni attribuite, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica. Il comma 8 prescrive che nell’ipotesi di trasferimento di funzioni da altri enti territoriali in base alla normativa vigente sia conferita alle città metropolitane, in attuazione del citato articolo 15 della legge n. 42 del 2009, una corrispondente maggiore autonomia di entrata, con conseguente definanziamento degli enti territoriali le cui funzioni sono state trasferite.

In relazione alla normativa vigente sul trasferimento di funzioni, si ricorda innanzitutto che ai sensi dell’art. 118 Cost., le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza (primo comma). I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze (secondo comma).

Una disciplina di attuazione dell’art. 118 Cost. è stata prevista dall’art. 7 della cd. “legge La Loggia” (L 131/2003), ai sensi del quale lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l'unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell'azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.

Si provvede sulla base degli accordi con le Regioni e le autonomie locali, da concludere in sede di Conferenza unificata, diretti in particolare all'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessarie per l'esercizio delle funzioni e dei compiti da conferire. Il Governo presenta al Parlamento uno o più disegni di legge collegati alla manovra finanziaria annuale per il recepimento dei suddetti accordi. Tale procedura si applica fino alla data di entrata in vigore delle norme relative al nuovo sistema finanziario in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.

Sulla base dei medesimi accordi e nelle more dell'approvazione dei disegni di legge, lo Stato può avviare i trasferimenti dei suddetti beni e risorse e con le modalità previste da un’intesa interistituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, raggiunta il 20 giugno 2002. A tale fine si provvede mediante uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti.

La procedura prevista non ha mai trovato applicazione.

Peraltro, una diversa disciplina, posta in attuazione dell’articolo 118 Cost., è contenuta nella già citata “Carta delle autonomie locali” (AS 2259), che, tra le materie ivi incluse, stabilisce le modalità di attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 9), nonché concorrente e residuale delle regioni (artt. 11 e 12).

 

Il comma 9 prevede che il D.P.C.M. con cui sono attribuite a ciascuna città metropolitana le proprie fonti di entrata assicuri anche l'armonizzazione di tali fonti di entrata con il sistema perequativo e con il fondo di riequilibrio.

Dalla disposizione non emerge se, con la locuzione “fondo di riequilibrio”, il legislatore faccia riferimento al Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale di cui all’articolo 21 del provvedimento in commento, come sembra desumersi dalla finalità di armonizzazione “con il sistema perequativo”.

 

Il comma 10 reca infine la clausola di invarianza finanziaria.


 

Articolo 25
(Oggetto)

 


1. Il presente capo è diretto a disciplinare a decorrere dall'anno 2013 la determinazione dei costi standard e dei fabbisogni standard per le regioni a statuto ordinario nel settore sanitario, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento dei criteri di riparto adottati ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della citata legge n. 662 del 1996, così come integrati da quanto previsto dagli Accordi tra Stato e regioni in materia sanitaria.

2. Il fabbisogno sanitario standard, determinato ai sensi dell'articolo 26, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, costituisce l'ammontare di risorse necessarie ad assicurare i livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza.

3. I costi e i fabbisogni sanitari standard determinati secondo le modalità stabilite dal presente Capo costituiscono il riferimento cui rapportare progressivamen­te nella fase transitoria, e successivamente a regime, il finanziamento integrale della spesa sanitaria, nel rispetto della programmazione nazionale e dei vincoli di finanza pubblica.


 

 

Il capo IV (artt. 25-32) si apre con l’articolo 25 che ne definisce l’ambito: esso è diretto a disciplinare, a decorrere dall’anno 2013, le modalità perla determinazione dei costi standard e dei fabbisogni standard per le Regioni a statuto ordinario nel settore sanitario.

Mentre la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale standard è disciplinata dal successivo articolo 26, la procedura per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali è stabilita dall’articolo 27.

I nuovi parametri definiti assicureranno il graduale e definitivo superamento degli attuali criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale di cui all’articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come integrati dagli Accordi tra Stato e Regioni in materia sanitaria[71] (comma 1).

L’introduzione del concetto di costo e fabbisogno standard è avvenuta ad opera dell’articolo 2, comma 2, lettera f) della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione) che lo ha definito quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica. Essi divengono i parametri per il finanziamento dei Livelli essenziali di assistenza.

 

Viene comunque fornita la definizione di fabbisogno sanitario standard (comma 2) che, determinato ai sensi dell’articolo 26, compatibilmente con i vincoli di finanza pubblica e gli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, costituisce l’ammontare di risorse necessarie ad assicurare i livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza ed appropriatezza.

Viene poi stabilito che i costi e i fabbisogni standard determinati secondo le modalità stabilite dal Capo IV, costituiscano il riferimento cui rapportare progressivamente nella fase transitoria e, successivamente, a regime, il finanziamento integrale della spesa sanitaria, nel rispetto della programmazione nazionale e dei vincoli di finanza pubblica (comma 3).

 

Il riferimento e la disciplina della fase transitoria sono contenuti nell’articolo 21, comma 1, lettera e), della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), che prevede che siano definite regole, tempi e modalità della fase transitoria in modo da garantire il superamento del criterio della spesa storica in un periodo di cinque anni, per le spese riconducibili all’esercizio delle funzioni fondamentali e per le altre spese.

La sanità: il finanziamento dei Livelli essenziali di assistenza

I LEA: definizione e monitoraggio dei livelli essenziali

Sulla base di quanto disposto dalla Costituzione, i livelli delle prestazioni sanitarie, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, e la fissazione dei principi in materia di tutela della salute competono al livello del governo centrale, nell’esercizio della potestà legislativa esclusiva. La puntuale determinazione dell’assetto organizzativo e delle modalità di erogazione dell’assistenza sanitaria, invece, è affidata al legislatore regionale.

Nel corso dell’evoluzione normativa ed organizzativa che ha interessato il Servizio Sanitario Nazionale dal momento della sua istituzione, i LEA sono passati dall’essere considerati quale quota capitaria minima da intendersi come livello atteso di spesa sanitaria media per abitante, sulla base del finanziamento ottenuto dalla singola regione dal Fondo sanitario nazionale, all’essere ora ritenuti l’espressione dell’insieme di prestazioni e servizi che il SSN è tenuto a garantire, entro i limiti delle risorse che le scelte di politica economica rendono disponibili. Di fatto, i LEA costituiscono il contenuto necessario e sufficiente dell’obbligo posto dall’ordinamento a carico di ciascuna regione nei confronti del destinatario del servizio. Oltre la soglia minima uniforme inclusa nei LEA, le regioni possono, con risorse proprie, erogare prestazioni aggiuntive tese a migliorare ulteriormente il livello delle prestazioni.

 

I LEA sono stati definiti dal DPCM 29 novembre 2001 e sono organizzati in tre macroaree:

-        assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro;

-        assistenza distrettuale;

-        assistenza ospedaliera

Le tre macroaree sono, a loro volta, suddivise in 25 livelli intermedi e in ulteriori 26 microlivelli.

La suddivisione del fabbisogno sanitario nazionale standard nelle tre macroaree secondo le percentuali, rispettivamente, del 5 per cento, del 51 per cento e del 44 per cento, costituisce il primo indicatore della programmazione nazionale per l’attuazione del federalismo fiscale (articolo 27, comma 3, del decreto legislativo in esame).

Il decreto non interviene, infatti, né sul contenuto né sulla definizione dei LEA, i quali, pertanto, costituiscono, nella loro attuale configurazione, una delle cornici entro le quali si sviluppa la struttura federalista delineata dallo schema di decreto in esame. L’altra cornice, come vedremo, è costituita dall’ammontare del fabbisogno sanitario nazionale standard, determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria.

Le crescenti esigenze di verifica della correttezza della gestione delle risorse sanitarie, in rapporto all’obbligo di fornire le prestazioni ritenute essenziali hanno condotto allo sviluppo di metodologie di controllo, basate sia sull’utilizzo di indicatori economici sia su parametri di riferimento, per grandi aggregati di spesa, che permettano di accertare il grado di scostamento di una singola regione da un valore predeterminato.

 

Da ultimo, sulla verifica delle modalità e dei costi dell’erogazione delle prestazioni si impernia l’avvio del federalismo, con l’indicazione delle regioni benchmark , cioè delle regioni in equilibrio economico che garantiscono l’erogazione dei LEA in condizione di appropriatezza ed efficienza, sulla base degli indicatori, individuati dagli allegati 1, 2 e 3 dell’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009 (articolo 27, comma 5, del decreto in esame).

Tali indicatori, in particolare, si distinguono in:

-        indicatori del rispetto della programmazione nazionale (allegato 1);

-        indicatori sui costi medi (allegato 2);

-        standard di appropriatezza, di efficacia e di efficienza (allegato 3).

Essi costituiscono la strumentazione che i Tavoli di verifica degli adempimenti, nonché quelli per il controllo dell’applicazione dei piani di rientro, dovranno utilizzare secondo quanto previsto dall’Intesa e confermato dal decreto in esame.

La ripartizione del fabbisogno per il finanziamento dei Lea

Una volta definito il livello di risorse destinate a finanziare i LEA, esso viene ripartito tra le Regioni secondo il principio della quota capitaria ponderata, in base a criteri concordati in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Sia nel 2010 che nel precedente triennio 2007-2009, le Intese hanno confermato i criteri e le percentuali di accesso al fabbisogno originariamente alla base del riparto 2006, con le correzioni necessarie per tener conto delle modificazioni intervenute nella distribuzione della popolazione sul territorio nazionale, nonché di quelle relative ai tetti per la farmaceutica.

La procedura di ripartizione delle risorse, basata su una metodologia ormai consolidata, si articola nelle seguenti fasi:

1.    il budget di spesa è suddiviso tra i tre Livelli essenziali di assistenza, secondo quote programmatiche prestabilite. Nel tempo si è cercato di ridurre la quota destinata all’assistenza ospedaliera e di sviluppare quella territoriale e la prevenzione, destinando a questi due Lea maggiori risorse rispetto alla spesa storica. Attualmente, le quote sono le seguenti:

-        Prevenzione: 5%;

-        Assistenza distrettuale: 51%;

-        Assistenza ospedaliera: 44%.

All’interno del 2° livello, sono individuati 4 sotto-livelli:

-        Medicina di base: 7%;

-        Farmaceutica: 13,3%;

-        Specialistica: 13,6%;

-        Altra territoriale: 17,1%.

Tabella 1- Criteri di ripartizione del finanziamento indistinto dei LEA

Livello essenziale di assistenza

 

Quota obiettivo del FSN

 

Modalità di ripartizione

 

 

 

 

 

Prevenzione

5%

 

 

Quota capitaria semplice

Assistenza distrettuale

51%

Medicina di base

7%

Quota capitaria semplice

 

 

Farmaceutica

13,3%

Tetto sul fabbisogno

 

 

Specialistica

13,6%

Quota capitaria ponderata in base ai consumi di prestazioni ambulatoriali per classi di età

 

 

Altra territoriale

17,1%

Quota capitaria semplice

Assistenza ospedaliera:

44%

 

22%

Quota capitaria ponderata in base ai consumi di ricoveri per classi di età

 

 

 

22%

Quota capitaria semplice

Fonte: Intesa CSR del 29 aprile 2010 sul riparto FSN 2010

 

2.    Per ogni livello e sottolivello di assistenza, la popolazione regionale viene ponderata attraverso pesi rappresentativi dei consumi sanitari per fasce di età. I pesi rappresentano il rapporto tra la spesa media per abitante della classe di età specifica e il valore pro-capite di tutte le classi di età, assunto come valore unitario. La ponderazione riguarda attualmente l’assistenza ospedaliera e la specialistica[72], mentre per le altre funzioni si utilizza la quota capitaria semplice (peso=1). Per la farmaceutica, è previsto un “tetto” parametrato al fabbisogno complessivo.

3.    La popolazione ponderata viene quindi riproporzionata alla popolazione reale.

4.    Per ogni livello e sotto-livello, viene calcolato il valore pro-capite nazionale di finanziamento, dividendo il valore programmatico di cui al punto 1 per la popolazione nazionale residente[73].

5.    Il valore pro-capite nazionale è moltiplicato per la popolazione ponderata di ogni Regione, ottenendo il finanziamento regionale per livello e sotto-livello.

6.    Il fabbisogno totale di finanziamento per ogni Regione è pari alla somma dei livelli e sotto-livelli ottenuti.

7.    Alle regioni viene assegnata una quota complessiva e indistinta di finanziamento. I valori-obiettivo indicati per i livelli e sotto-livelli di assistenza non rappresentano un vincolo settoriale alla spesa (ad eccezione della farmaceutica, per cui vige un tetto fissato per legge). Nella successiva ripartizione delle risorse all’interno della regione, le ASL non sono vincolate ad assegnare le stesse percentuali previste a livello nazionale.

8.    Il fabbisogno regionale è infine corretto per la mobilità sanitaria degli assistiti, verificata a consuntivo.

 

Su tali basi sono stati ripartiti, come evidenziato nella tavola seguente, i “fabbisogni indistinti” nel triennio 2008-2010. Il livello complessivo di finanziamento definito per ciascun anno è ripartito, infatti, al netto delle quote vincolate a destinazioni specifiche[74].


Tabella 2 - Ripartizione regionale del fabbisogno per il finanziamento dei Lea – anni 2008-2010

(euro-%)

 

2008

2009

2010

Regioni

Fabbisogno indistinto
(euro)

Fabbisogno indistinto
(%)

Fabbisogno indistinto
(euro)

Fabbisogno indistinto
(%)

Fabbisogno indistinto
(euro)

Fabbisogno indistinto
(%)

 

 

 

 

 

 

 

Piemonte

7.481.291.017

7,60

7.697.155.971

7,62

7.758.799.366

7,54

VdA

211.710.684

0,22

217.654.563

0,22

218.968.978

0,21

Lombardia

15.709.875.677

15,96

16.159.064.131

15,99

16.660.720.179

16,19

P.A. Bolzano

812.280.269

0,83

837.491.984

0,83

832.173.633

0,81

P.A. Trento

835.243.487

0,85

861.606.254

0,85

883.385.111

0,86

Veneto

7.837.862.928

7,96

8.078.296.761

7,99

8.325.815.124

8,09

Friuli

2.102.326.907

2,14

2.158.680.631

2,14

2.161.670.488

2,10

Liguria

2.994.954.034

3,04

3.043.209.491

3,01

3.022.830.060

2,94

Emilia Romagna

7.277.779.664

7,40

7.494.470.981

7,42

7.592.877.542

7,38

Toscana

6.304.241.652

6,41

6.481.321.732

6,41

6.535.992.849

6,35

Umbria

1.511.918.575

1,54

1.558.644.044

1,54

1.572.303.415

1,53

Marche

2.624.765.905

2,67

2.699.217.088

2,67

2.741.249.667

2,66

Lazio

8.913.399.653

9,06

9.278.614.124

9,18

9.585.081.067

9,32

Abruzzo

2.183.675.527

2,22

2.244.433.870

2,22

2.306.470.228

2,24

Molise

544.063.804

0,55

557.287.697

0,55

557.194.322

0,54

Campania

9.284.827.895

9,43

9.457.800.054

9,36

9.580.132.690

9,31

Puglia

6.618.840.084

6,73

6.757.219.537

6,69

6.840.731.376

6,65

Basilicata

1.000.985.745

1,02

1.022.209.246

1,01

1.022.037.971

0,99

Calabria

3.327.135.377

3,38

3.404.449.512

3,37

3.403.879.084

3,31

Sicilia

8.093.710.052

8,22

8.250.298.014

8,16

8.455.720.234

8,22

Sardegna

2.737.881.065

2,78

2.802.574.314

2,77

2.837.464.516

2,76

Italia

98.408.770.001

100,0

101.061.700.000

100,0

102.895.497.900

100,0

Fonte:per il 2008, delibere CIPE 27 marzo e 18 dicembre 2008;

             per il 2009, delibera CIPE 13 maggio 2010 (con partecipazione RSS per 30 milioni);

             per il 2010, Intesa 29 aprile 2010, Rep Atto n. 12 CSR 29/4/2010 e n. 75/CSR 24/5/2010. N.B. Il 2010 non                        comprende il riparto dei 250 milioni autorizzati dall'art. 11, comma 5, del D.L. 78/2010.

             Popolazione residente: Istat, 1° gennaio anno precedente.

 

Guardando al fabbisogno pro-capite, rispetto ad un valore medio nazionale pari (nel 2010) a 1.714 euro, si passa dai 1.648 euro della Campania ai 1.872 euro della Liguria (v. tavola 3). Tale diversità di importi è riconducibile ai criteri che sono alla base della ripartizione del fabbisogno complessivo che, come si è detto, tengono conto della diversa struttura delle popolazioni regionali e dei relativi consumi sanitari.

Il risultato dell’applicazione di tale sistema di pesi fa sì che una Regione con una popolazione più anziana della media nazionale avrà una popolazione pesata superiore alla popolazione residente; l’opposto si verifica per una Regione con una popolazione relativamente più giovane.

In termini di fabbisogno “pesato”, ogni regione riceve, infatti, lo stesso importo unitario.

Tabella 3– Fabbisogno pro-capite – anni 2008-2010

(euro-numeri indice)

Regioni

Fabbisogno procapite 2008

Fabbisogno procapite 2009

Fabbisogno procapite 2010

 

(euro)

(numeri indice)

(euro)

(numeri indice)

(euro)

(numeri indice)

Piemonte

1.719

103

1.749

103

1.750

102

VdA

1.696

102

1.728

102

1.723

101

Lombardia

1.646

99

1.676

99

1.710

100

P.A. Bolzano

1.666

100

1.696

100

1.668

97

P.A. Trento

1.647

99

1.678

99

1.699

99

Veneto

1.642

99

1.672

99

1.704

99

Friuli

1.734

104

1.766

104

1.756

102

Liguria

1.863

112

1.890

112

1.872

109

Emilia Romagna

1.723

104

1.753

103

1.750

102

Toscana

1.733

104

1.763

104

1.763

103

Umbria

1.732

104

1.762

104

1.758

103

Marche

1.709

103

1.738

103

1.746

102

Lazio

1.623

98

1.669

98

1.703

99

Abruzzo

1.667

100

1.695

100

1.728

101

Molise

1.700

102

1.737

102

1.737

101

Campania

1.604

96

1.627

96

1.648

96

Puglia

1.626

98

1.658

98

1.677

98

Basilicata

1.693

102

1.730

102

1.731

101

Calabria

1.665

100

1.696

100

1.695

99

Sicilia

1.613

97

1.640

97

1.678

98

Sardegna

1.650

99

1.683

99

1.698

99

Italia

1.664

100

1.695

100

1.714

100

Le risorse destinate alla copertura del SSN

La copertura del fabbisogno “indistinto” spettante a ciascuna Regione è assicurata dalle entrate proprie delle ASL e delle aziende ospedaliere, dal gettito IRAP e dell’addizionale regionale IRPEF e, a copertura integrale del fabbisogno riconosciuto, dall’erogazione di cassa da parte dello Stato delle compartecipazioni all’IVA e all’accisa sulla benzina.

In aggiunta a tali risorse, vanno considerati i tributi delle Regioni a statuto speciale destinati alla sanità, e la quota del FSN a destinazione vincolata.

Più in dettaglio, le principali fonti di finanziamento del SSN sono le seguenti:

-        i ricavi e le entrate proprie delle aziende sanitarie. Essi sono rappresentati dai ricavi derivanti dalla vendita di prestazioni sanitarie e non sanitarie a soggetti pubblici e privati, della Regione e al di fuori della Regione di appartenenza, e da altri ricavi quali interessi attivi e altri proventi finanziari, rimborsi, etc. In tale voce sono ricompresi i ticket introitati direttamente e le compartecipazioni per l’attività libero professionale svolta all’interno delle aziende sanitarie. E’ da notare che, in sede di riparto, tali entrate sono computate a livello convenzionale, in misura dunque inferiore a quella effettivamente registrata a consuntivo ;

-        le risorse derivanti dall’IRAP e dall’addizionale regionale IRPEF. Tali entrate sono imputate a copertura del fabbisogno in base alle stime disponibili al momento del riparto: in sede di conguaglio, l’eventuale minor gettito é compensato a valere della compartecipazione IVA (cfr. infra), mentre eventuali eccedenze rispetto alle previsioni sono riversate all’entrata del bilancio dello Stato . Le stime del gettito IRAP e dell’addizionale regionale IRPEF sono calcolate ad “aliquota standard”: esse non tengono quindi conto delle maggiori entrate derivanti dalle manovre fiscali disposte dalle regioni in disavanzo e/o da quelle che intendono assicurare un livello di prestazioni sanitarie integrativo rispetto ai LEA;

-        il Fondo per il fabbisogno sanitario di cui al decreto legislativo n. 56/2000 (Fondo perequativo nazionale). Le risorse del Fondo, alimentato dall’IVA, insieme all’accisa sulla benzina, vengono assegnate alle sole Regioni a statuto ordinario (RSO);

-        gli ulteriori trasferimenti dal settore pubblico e da quello privato, che comprendono le quote di partecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome.

Alle suddette risorse computate ai fini della copertura del fabbisogno indistinto, si aggiunge il Fondo sanitario nazionale, assegnato come quota parte a carico dello Stato:

-        per le Regioni, alla sola Sicilia per il finanziamento dei LEA e a tutte le Regioni a statuto ordinario per quanto riguarda i fondi vincolati da norme speciali al finanziamento di spese sanitarie inerenti l’esecuzione di particolari attività e il raggiungimento di specifici obiettivi;

-        per alcuni Enti del SSN.

Risorse pubbliche aggiuntive vengono infine destinate, sulla base di apposite disposizioni legislative, al finanziamento degli investimenti e della ricerca in campo sanitario, e alla sanità penitenziaria.


 

Articolo 26
(Determinazione del fabbisogno sanitario nazionale standard)

 


1. A decorrere dall'anno 2013 il fabbisogno sanitario nazionale standard è determinato, in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria, tramite intesa, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza. In sede di determinazione, sono distinte la quota destinata complessivamente alle regioni a statuto ordinario, comprensiva delle risorse per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della citata legge n. 662 del 1996, e successive modificazioni, e le quote destinate ad enti diversi dalle regioni.

2. Per gli anni 2011 e 2012 il fabbisogno nazionale standard corrisponde al livello di finanziamento determinato ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2, comma 67, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, attuativo dell'intesa Stato-Regioni in materia sanitaria per il triennio 2010-2012 del 3 dicembre 2009, così come rideterminato dall'articolo 11, comma 12, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.


 

 

L’articolo 26 attiene alla determinazione, a decorrere dall’anno 2013, del fabbisogno sanitario nazionale standard, determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo del Paese e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall’Italia in sede comunitaria, tramite intesa. La determinazione di esso avviene coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza (cfr. anche art. 25).

Sono distinte, in sede di determinazione, la quota destinata complessivamente alle regioni a statuto ordinario – comprensiva delle risorse per il perseguimento degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale indicati nel Piano sanitario nazionale – e le quote destinate ad enti diversi dalle regioni (comma 1).

 

Il comma 2 prevede che per gli anni 2011 e 2012 il fabbisogno nazionale standard corrisponde al livello di finanziamento determinato ai sensi della normativa vigente (articolo 2, comma 67 della legge finanziaria per il 2010, attuativa del Patto per la salute del 3 dicembre 2009, come rideterminato dall’articolo 11, comma 12 del decreto legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010).

Determinazione del livello di finanziamento cui concorre lo Stato

Il livello di finanziamento del SSN cui concorre ordinariamente lo Stato è di norma oggetto di accordi tra Stato e Regioni, recepiti successivamente in disposizioni di legge. Da ultimo, il finanziamento relativo al triennio 2007-2009 é stato definito in occasione del Patto per la Salute del settembre 2006, poi recepito dalla legge finanziaria 2007, mentre quello relativo al periodo 2010-2012, oggetto dell’Intesa del 3 dicembre 2009, è stato recepito dalla finanziaria per il 2010.

Nell’indicare le risorse destinate al SSN nel triennio in corso, il Nuovo Patto della salute[75] definisce il livello di finanziamento cui concorre ordinariamente lo Stato quale “livello standard” complessivo e richiama il rispetto degli obblighi comunitari e della compatibilità dei vincoli di finanza pubblica.

Viene così ribadito il principio secondo cui il finanziamento della sanità rappresenta una scelta di politica e di programmazione della politica economica, che ricompone gli obiettivi di assistenza sanitaria e i vincoli di finanza pubblica[76].

 

L’Intesa del dicembre 2009, come già il Patto del 2007, si compone di un aspetto finanziario e di un aspetto normativo e programmatico. Per quanto riguarda gli aspetti finanziari, l’Intesa ha previsto:

-    l’incremento delle risorse messe a disposizione dallo Stato centrale, coerenti con un’evoluzione della spesa sanitaria sostanzialmente “agganciata” al PIL;

-    la conferma di meccanismi di piena responsabilizzazione finanziaria per le Regioni che non raggiungono gli obiettivi di spesa concordati, come i Piani di rientro e le relative misure di affiancamento, gli "automatismi fiscali" (aumento delle aliquote regionali dell'addizionale IRPEF e dell'IRAP), nonché le sanzioni in caso di inadempienza;

L’Intesa, rilevato che le regioni devono assicurare l’equilibrio economico-finanziario della gestione sanitaria in condizioni di efficienza e appropriatezza, ha previsto delle azioni volte a:

-    la razionalizzazione e il contenimento della spesa sanitaria;

-    il monitoraggio dei fattori di spesa, anche ai fini dell’individuazione di indicatori di efficienza ed appropriatezza;

-    l’aggiornamento del sistema di indicatori per il monitoraggio e la verifica dei LEA;

-    il miglioramento della qualità dei dati contabili.

Rispetto al livello di finanziamento stabilito dalla legislazione vigente in misura pari a 104.564 milioni per il 2010 e a 106.884 milioni per il 2011[77], l’Intesa ha previsto risorse aggiuntive pari a 1.600 milioni per il 2010 e a 1.719 milioni per il 2011. Per il 2012, lo Stato si è impegnato ad assicurare risorse tali da garantire un incremento del 2,8 per cento rispetto al livello dell’anno precedente.

A tali risorse aggiuntive concorrono:

-    le economie sulla spesa di personale derivanti dal riconoscimento della sola indennità di vacanza contrattuale, pari a 466 milioni annui;

-    risorse aggiuntive a carico del bilancio dello Stato per 584 milioni nel 2010 e 419 milioni nel 2011;

-    ulteriori misure che lo Stato si impegna ad adottare nel corso del 2010 dirette ad assicurare l’intero importo previsto.

La legge finanziaria per il 2010, secondo quanto previsto dall’Intesa, ha autorizzato nuove risorse per 584 milioni nel 2010 e 419 milioni nel 2011[78], e confermato in 466 milioni annui le economie sulla spesa del personale del comparto sanitario[79]. La legge rinvia, infine, a successivi provvedimenti legislativi l’individuazione delle ulteriori risorse previste dall’Intesa.

Successivamente, il D.L. n. 78/2010, intervenendo in materia di spesa farmaceutica, ha previsto misure di contenimento della spesa a carico delle regioni, valutate in complessivi 600 milioni annui a regime[80]. Esse si aggiungono a quelle concernenti il personale dipendente e convenzionato del settore sanitario, stimate in 418 milioni nel 2011 e in 1.132 a decorrere dal 2012[81]. Conseguentemente è stato ridotto di pari importo il finanziamento del SSN cui concorre lo Stato rispetto ai livelli come risultanti in base alla legge finanziaria[82].

Per quanto riguarda invece il 2010[83], il D.L. n. 78/2010 ha autorizzato maggiori risorse rispetto alla legislazione vigente per 250 milioni. Gli ulteriori 300 milioni da assicurare in base all’Intesa sono posti a carico delle economie derivanti dalla farmaceutica, che rimangono per tale esercizio nelle disponibilità delle regioni.

Da ultimo la legge di stabilità per il 2011[84], ha disposto un incremento del livello di finanziamento autorizzato per 347,5 milioni nel 2011. Le nuove risorse sono dirette a coprire quota parte (cinque dodicesimi) dell’ammontare complessivo (834 milioni) che lo Stato si è impegnato ad assicurare in occasione dell’Intesa.

Il concorso annuale dello Stato al finanziamento del SSN risulta, pertanto, così determinato:

Tabella 1- Livello del finanziamento del SSN cui concorre lo Stato

                                                                                                          (milioni di euro)

 

 

2010

2011

2012

Livello finanziamento l.v. (DL 78/09) pre-Intesa

1

104.564

106.884

 

Intesa Stato-Regioni dicembre 2009

 

 

 

 

incremento riconosciuto

a

1.600

1.719

 

TOTALE livello finanziamento post Intesa

2=1+a

106.164

108.603

+2,8%

 

 

 

 

 

Legge finanziaria 2010

 

 

 

 

copertura incremento riconosciuto con Intesa:

 

 

 

 

- autorizzazione nuove risorse

b

584

419

0

- economie spesa del personale

c

466

466

466

- ulteriori importi assicurati dallo Stato con successivi provvedimenti legislativi

d

550

834

 

TOTALE livello finanziamento legisl.vigente

3=1+b

105.148

107.303

 

 

 

 

 

DL 78/2010

 

 

 

 

- economie spesa del personale

e

 

-418

-1.132

- economie spesa farmaceutica

f

300

 

 

- economie spesa farmaceutica

g

 

-600

-600

- nuove risorse autorizzate

h

250

 

 

TOTALE livello finanziamento legisl.vigente

5=3+e+g+h

105.398

106.285

Legge Stabilità 2011

 

 

 

 

- nuove risorse autorizzate

i

-

347,5

-

TOTALE livello finanziamento legisl.vigente

6= 5+i

105.398

106.632,5

Fonte: elaborazioni su R.T. em. 2.1384 ddl legge finanziaria 2010 (AC 2936), R.T. D.L.       78/2010 (AS 2228) e R.T. em. 1.500 ddl stabilità 2011 (AC 3778)

 

 


 

Articolo 27
(Determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali)

 


1. Il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, con la conferenza Stato-Regioni sentita la struttura tecnica di supporto di cui all'articolo 3 dell'intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009, determina annualmente, sulla base della procedura definita nel presente articolo, i costi e i fabbisogni standard regionali.

2. Per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali si fa riferimento agli elementi informativi presenti nel Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Ministero della salute.

3. Ai sensi dell'articolo 2, comma 2, lettera a), dell'intesa Stato-Regioni in materia sanitaria per il triennio 2010-2012 del 3 dicembre 2009, con riferimento ai macrolivelli di assistenza definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di individuazione dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario del 29 novembre 2001, costituiscono indicatori della programmazione nazionale per l'attuazione del federalismo fiscale i seguenti livelli percentuali di finanziamento della spesa sanitaria:

a) 5 per cento per l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro;

b) 51 per cento per l'assistenza distrettuale;

c) 44 per cento per l'assistenza ospedaliera.

4. Il fabbisogno sanitario standard delle singole regioni a statuto ordinario, cumulativamente pari al livello del fabbisogno sanitario nazionale standard, è determinato, in fase di prima applicazione a decorrere dall'anno 2013, applicando a tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle regioni di riferimento. In sede di prima applicazione è stabilito il procedimento di cui ai commi dal 5 all'11.

5. Sono regioni di riferimento le tre regioni, tra cui obbligatoriamente la prima, che siano state scelte dalla Conferenza Stato-Regioni tra le cinque indicate dal Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, in quanto migliori cinque regioni che, avendo garantito l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di equilibrio economico, comunque non essendo assoggettate a piano di rientro e risultando adempienti, come verificato dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali di cui all'articolo 12 dell'intesa Stato-Regioni in materia sanitaria del 23 marzo 2005, sono individuate in base a criteri di qualità dei servizi erogati, appropriatezza ed efficienza definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa della Conferenza Stato-Regioni, sentita la struttura tecnica di supporto di cui all'articolo 3 dell'intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009, sulla base degli indicatori di cui agli allegati 1, 2 e 3 dell'intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009. A tale scopo si considerano in equilibrio economico le regioni che garantiscono l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite dalla vigente legislazione a livello nazionale, ivi comprese le entrate proprie regionali effettive. Nella individuazione delle regioni si dovrà tenere conto dell'esigenza di garantire una rappresentatività in termini di appartenenza geografica al nord, al centro e al sud, con almeno una regione di piccola dimensione geografica.

6. I costi standard sono computati a livello aggregato per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza: assistenza collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera. Il valore di costo standard è dato, per ciascuno dei tre macrolivelli di assistenza erogati in condizione di efficienza ed appropriatezza dalla media pro-capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento. A tal fine il livello della spesa delle tre macroaree delle regioni di riferimento:

a) è computato al lordo della mobilità passiva e al netto della mobilità attiva extraregionale;

b) è depurato della quota di spesa finanziata dalle maggiori entrate proprie rispetto alle entrate proprie considerate ai fini della determinazione del finanziamento nazionale. La riduzione è operata proporzionalmente sulle tre macroaree;

c) è depurato della quota di spesa che finanzia livelli di assistenza superiori ai livelli essenziali;

d) è depurato delle quote di ammortamento che trovano copertura ulteriore rispetto al finanziamento ordinario del Servizio sanitario nazionale, nei termini convenuti presso i Tavoli tecnici di verifica;

e) è applicato, per ciascuna regione, alla relativa popolazione pesata regionale.

7. Le regioni in equilibrio economico sono individuate sulla base dei risultati relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento e le pesature sono effettuate con i pesi per classi di età considerati ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento.

8. Il fabbisogno sanitario standard regionale è dato dalle risorse corrispondenti al valore percentuale come determinato in attuazione di quanto indicato al comma 6, rispetto al fabbisogno sanitario nazionale standard.

9. Il fabbisogno standard regionale determinato ai sensi del comma 8, è annualmente applicato al fabbisogno sanitario standard nazionale definito ai sensi dell'articolo 26.

10. La quota percentuale assicurata alla migliore regione di riferimento non può essere inferiore alla quota percentuale già assegnata alla stessa, in sede di riparto, l'anno precedente, al netto delle variazioni di popolazione.

11. Al fine di realizzare il processo di convergenza di cui all'articolo 20, comma 1, lettera b), della citata legge n. 42 del 2009, la convergenza ai valori percentuali determinati ai sensi di quanto stabilito dal presente articolo avviene in un periodo di cinque anni secondo criteri definiti con le modalità di cui al comma 1.

12. Qualora nella selezione delle migliori cinque regioni di cui al comma 5, si trovi nella condizione di equilibrio economico come definito al medesimo comma 5 un numero di regioni inferiore a cinque, le regioni di riferimento sono individuate anche tenendo conto del miglior risultato economico registrato nell'anno di riferimento, depurando i costi della quota eccedente rispetto a quella che sarebbe stata necessaria a garantire l'equilibrio ed escludendo comunque le regioni soggette a piano di rientro.

13. Resta in ogni caso fermo per le regioni l'obiettivo di adeguarsi alla percentuale di allocazione delle risorse stabilite in sede di programmazione sanitaria nazionale, come indicato al comma 3.

14. Eventuali risparmi nella gestione del servizio sanitario nazionale effettuati dalle regioni rimangono nella disponibilità delle regioni stesse.


 

 

L’articolo 27 disciplina la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali.

 

L’articolo è stato modificato nel corso dell’esame parlamentare. Tra le modifiche intervenute, ricordiamo quelle relative alle modalità di individuazione delle regioni di riferimento[85]. Prima fra tutte, la condizione che le regioni prescelte non siano sottoposte a piani di rientro e che nella loro individuazione sia garantita una rappresentatività in termini di appartenenza geografica (nord-centro-sud) con almeno una Regione di piccola dimensione geografica. Per quanto riguarda la valutazione dell’equilibrio economico delle regioni, essa viene determinata sulla base dei risultati d’esercizio riferibili al 2011; anche la regola di riparto, ovvero la definizione dei pesi assegnati ai livelli e sottolivelli di assistenza sanitaria, viene a coincidere con quella utilizzata per il riparto del Fondo sanitario nazionale 2011[86]. Infine, nel corso dell’esame parlamentare sono stati introdotti meccanismi premiali per le regioni virtuose (commi 10 e 14): il comma 10 introduce una clausola di salvaguardia per la migliore regione di riferimento, mentre il comma 14 riconduce gli eventuali risparmi, derivanti dalla gestione del servizio sanitario regionale, nella disponibilità delle regioni stesse.

 

Di seguito si procederà all’esame delle relative disposizioni procedendo ad un accorpamento dei commi sulla base della materia disciplinata.

Commi 1-2 - Definizione dei costi e dei fabbisogni standard regionali

Il comma 1 attribuisce la definizione dei costi e dei fabbisogni standard regionali, ovvero il riparto fra le regioni del fabbisogno complessivo nazionale, a una determinazione annuale del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentita la Struttura tecnica di supporto della stessa Conferenza.

 

La Struttura tecnica di monitoraggio paritetica (STEM), istituita ai sensi dell’articolo 3 dell’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009[87], è composta da sei rappresentanti dei ministeri - Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero della salute e Dipartimento per gli Affari regionali -, da sei rappresentanti delle regioni - tre di competenza economica e tre di competenza sanitaria – e da un rappresentante per ciascuna delle Segreterie della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e della Segreteria della Conferenza Stato-Regioni. La Struttura tecnica di monitoraggio è presieduta da un ulteriore componente, scelto d’intesa fra lo Stato e le Regioni, e si avvale per lo svolgimento delle proprie funzioni del supporto dell’AGENAS e dell’AIFA. La Struttura tecnica, luogo di confronto delle diverse esperienze regionali, procede all’aggiornamento degli strumenti di valutazione e monitoraggio approvati dalla Conferenza Stato Regioni, con la finalità di snellire e semplificare gli attuali adempimenti ed individuare un apposito set di indicatori in materia di attuazione dei LEA. La Struttura provvede inoltre alla verifica e alla valutazione delle azioni intraprese dalle Regioni interessate ai piani di rientro nonché dei risultati conseguiti in coerenza con i piani stessi.

 

La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard si basa sugli elementi informativi presenti nel Nuovo sistema informativo sanitario (NSIS) del Ministero della salute (comma 2).

Commi 3 e 13 – Macrolivelli di assistenza

Il comma 3 stabilisce che le risorse disponibili per il finanziamento della sanità vengano ripartiti secondo i tre macrolivelli già definiti dal D.P.C.M. 29 novembre 2001[88] e in base alle percentuali previste dall’Intesa del 3 dicembre 2009 (ai sensi dell’articolo 2, comma 2, lettera a):

§      assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, ovvero prevenzione (5%);

§      assistenza distrettuale (51%);

§      assistenza ospedaliera (44%).

I suddetti livelli percentuali di finanziamento della spesa sanitaria costituiscono indicatori della programmazione nazionale per l’attuazione del federalismo fiscale. Il loro rispetto da parte delle regioni è oggetto quindi delle valutazioni dei Tavoli di verifica degli adempimenti. Il comma 13 conferma tale impostazione, esplicitando per le regioni l’obiettivo di adeguarsi alle percentuali per livello di assistenza stabilite in sede di programmazione sanitaria nazionale.

 

L’articolo 2 del nuovo Patto per la salute per gli anni 2010-2012 stabilisce l’avvio del sistema di monitoraggio e autovalutazione regionale dei fattori di spesa, con particolare riferimento agli indicatori di rispetto della programmazione nazionale. Il sistema di monitoraggio ed autovalutazione è finalizzato ad assicurare l’equilibrio economico-finanziario della gestione sanitaria regionale in condizioni di efficienza e di appropriatezza. In particolare, il comma 2, lettera a), rinvia all’allegato 1 della stessa Intesa che enumera gli indicatori del rispetto della programmazione nazionale (cfr articolo 20).

Commi 4 e 11 – Ambito di applicazione e periodo transitorio

Il comma 4 costituisce la premessa di quanto illustrato nei successivi commi (dal 5 al 11).

Il fabbisogno standard delle singole regioni a statuto ordinario viene determinato in fase di prima applicazione a decorrere dall’anno 2013, applicando a tutte le regioni i valori di costo rilevati nelle regioni prese a riferimento. A tale proposito, il successivo comma 11 stabilisce che il processo di convergenza definito dalla legge 42/2009, ovvero il finanziamento dei servizi erogati dalle Regioni non più in base alla spesa storica ma secondo valori standard di costo e fabbisogno, si compia nell’arco di cinque anni e con le modalità illustrate al comma 1 dell’articolo in commento.

Commi 5, 7 e 12 – Individuazione delle Regioni di riferimento

Il comma 5 stabilisce la modalità di individuazione delle Regioni di riferimento.

Il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Ministro per i rapporti con le regioni, individua cinque regioni, secondo i criteri di seguito indicati, da sottoporre per la scelta definitiva alla Conferenza Stato-Regioni. Fra le cinque Regioni, la Conferenza ne seleziona tre, tra cui obbligatoriamente la prima delle cinque, che divengono le regioni di riferimento per il calcolo dei costi standard.

 

Le regioni di riferimento non devono essere sottoposte a piani di rientro[89] e sono selezionate sulla base dei seguenti criteri:

§      erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizione di equilibrio economico, nel rispetto degli adempimenti necessari per l’accesso al maggior finanziamento delle risorse destinate al Servizio Sanitario Nazionale, come verificato dal Tavolo di verifica degli adempimenti regionali, di cui all’articolo 12 dell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005. Il penultimo capoverso del comma 5 specifica che sono in equilibrio economico le Regioni che garantiscono l’erogazione dei Lea in condizione di efficienza e di appropriatezza con le risorse ordinarie stabilite dalla legislazione vigente, comprese le entrate proprie regionali effettive incardinate nella programmazione della spesa statale per la sanità. L’ultimo capoverso del comma 5 specifica che nell’individuazione delle Regioni si dovrà tenere conto dell’esigenza di garantire una rappresentatività in termini di appartenenza geografica al nord, al centro e al sud e di dimensione, con almeno una Regione di piccola dimensione geografica[90].

Il riferimento alle risorse ordinarie comporta che, ai fini della valutazione dell’equilibrio economico-finanziario, siano considerate esclusivamente le entrate previste in sede di riparto annuale del FSN. Non sono quindi considerate, ad esempio, le maggiori entrate derivanti dall’attivazione della leva fiscale o altre entrate da bilancio disponibili per la copertura della spesa sanitaria[91], ma solo le entrate proprie delle aziende sanitarie.

Queste ultime sono rappresentate dai ricavi derivanti dalla vendita di prestazioni sanitarie e non sanitarie a soggetti pubblici e privati, della Regione e al di fuori della Regione di appartenenza, e da altri ricavi, quali interessi attivi e altri proventi finanziari, rimborsi, etc. In tale voce sono ricompresi i ticket introitati direttamente e le compartecipazioni per l’attività libero professionale svolta all’interno delle aziende sanitarie. E’ da notare che, in sede di riparto, tali entrate sono computate a livello convenzionale, in misura dunque inferiore a quella effettivamente registrata a consuntivo[92];

§      i risultati per la valutazione dell’equilibrio economico delle regioni sono quelli del secondo esercizio precedente a quello di riferimento e le pesature sono effettuate con i pesi per classi di età considerati ai fini della determinazione del fabbisogno sanitario relativi al secondo esercizio precedente a quello di riferimento (comma 7). In entrambi i casi si rinvia pertanto al 2011;

§      appropriatezza, efficienza e qualità dei servizi erogati. I criteri sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa della Conferenza Stato-Regioni, sentita la Struttura tecnica di supporto della Conferenza (vedi supra quanto illustrato), sulla base degli indicatori di cui agli allegati 1, 2 e 3 dell’Intesa del 3 dicembre 2009[93].

 

Il comma 12 introduce una clausola d’eccezione: qualora nelle condizioni di equilibrio, di cui al comma 5, si trovino un numero di Regioni inferiori a cinque, le Regioni di riferimento sono individuate anche tenendo conto del miglior risultato economico ottenuto nell’anno di riferimento, sottraendo ai costi la quota eccedente rispetto a quella necessaria a garantire l’equilibrio (ai sensi del comma 5, quest’ultima è data dalle risorse ordinarie stabilite dalla legislazione vigente a livello nazionale, comprese le entrate proprie regionali effettive). Sono comunque escluse le regioni soggette a piani di rientro.

In particolare, risultano in equilibrio in ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 le regioni Lombardia, Umbria e Marche, mentre la Toscana soddisfa tale condizione solo negli esercizi 2007 e 2009.

Gli avanzi (disavanzi) sono calcolati tenendo conto delle entrate proprie effettive e comprendono i maggiori rischi, come da verbali del Tavolo Adempimenti. Non includono le risorse individuate, in via preventiva, nei bilanci regionali da destinare a copertura della maggiore spesa rispetto al livello di finanziamento garantito dallo Stato (c.d. coperture nei conti economici-CE).

Ove si considerassero anche le risorse incluse nei modelli CE, risulterebbero in equilibrio nel triennio anche il Piemonte e l’Emilia Romagna. Risulterebbe, inoltre, in equilibrio il Veneto nel biennio 2007-2008, mentre si confermerebbe un disavanzo nel 2009.

Si confermerebbe, infine, il disavanzo per la Toscana nel 2008, in quanto tale regione non prevedeva tale tipo di copertura.

Comma 6 – Determinazione dei costi standard

Il comma 6 reca la definizione dei costi standard. Per ciascuno dei tre macrolivelli (assistenza collettiva, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera), il costo standard è pari alla media della spesa pro-capite rapportata alla popolazione pesata registrata (a livello aggregato) nelle tre regioni di riferimento.

Ai fini della standardizzazione, il livello della spesa delle tre macroaree (leggi macrolivelli) delle regioni di riferimento è calcolato:

§      al lordo della mobilità passiva e al netto della mobilità attiva extraregionale (lettera a).

§      non tenendo conto delle maggiori entrate regionali e della quota di spesa che finanzia livelli di assistenza superiori ai livelli essenziali (lettere b-c).

Come ricordato nel Rapporto sullo Stato della Legislazione 2010, i livelli essenziali di assistenza (Lea), esplicitati nel pacchetto di assistenza sanitaria definito dallo Stato, vengono erogati ai cittadini attraverso i servizi sanitari regionali finendo per essere definiti dalle politiche attuate dalle regioni di residenza. Alcuni dei servizi e delle prestazioni fornite dalle regioni concernono patologie e problemi di salute specifici, parzialmente esclusi dai LEA in quanto erogabili solo secondo specifiche indicazioni cliniche[94], come le cure odontoiatriche e quelle riabilitative.

Alcune regioni, poi, finanziano e forniscono prestazioni escluse dai Lea[95], quali le certificazioni richieste dalle istituzioni scolastiche ai fini della pratica sportiva non agonistica nell'ambito scolastico nonché varie prestazioni riabilitative;

§      scorporando le quote di ammortamento che trovano ulteriore copertura rispetto al finanziamento ordinario del SSN, nei termini convenuti presso i Tavoli tecnici di verifica(lettera d);

§      applicando il livello della spesa, per ciascuna regione, alla relativa popolazione pesata (lettera e).

Commi 7, 8, 9 e 10 – Determinazione dei fabbisogni regionali standard

Il comma 7 precisa che le pesature sono effettuate con i pesi per fasce di età (rapporti di fabbisogno sanitario fra individui di età diverse) utilizzati per la determinazione del fabbisogno sanitario del secondo esercizio precedente quello di riferimento (per i pesi corrispondenti alle classi di età vedi articolo 25)[96]. La regola di riparto, ovvero la definizione dei pesi assegnati ai livelli e sottolivelli di assistenza sanitaria, viene pertanto a coincidere con quella che verrà utilizzata per il riparto del Fondo sanitario nazionale 2011.

 

I commi successivi definiscono i passaggi per la definizione dei fabbisogni regionali e le relative quote di riparto del finanziamento annuale. Il comma 10, introdotto nel corso dell’esame parlamentare, introduce un meccanismo premiale per la miglior Regione di riferimento:

§      il fabbisogno sanitario standard regionale, dato dalle risorse corrispondenti al valore percentuale come fissato in base alla determinazione dei costi standard, è rapportato al fabbisogno totale (pari alla somma dei fabbisogni regionali) (comma 8);

§      tale percentuale (definita fabbisogno standard regionale) è quindi applicata annualmente al fabbisogno sanitario standard nazionale (cioè al livello di finanziamento secondo quanto previsto dall’articolo 26),determinando la quota di accesso al finanziamento di ciascuna regione (comma 9).

§      la quota percentuale assicurata alla migliore Regione di riferimento non può essere inferiore alla quota percentuale già assegnata alla stessa Regione in sede di riparto, l’anno precedente, al netto delle variazioni di popolazione (comma 10)

 

Infine, come proposto dall’Intesa Governo-Autonomie, il comma 14, introdottonel corso dell’esame parlamentare, stabilisce che eventuali risparmi ottenuti nella gestione del SSN da parte delle singole Regioni devono restare nella disponibilità delle stesse.


 

Articolo 28
(Interventi strutturali straordinari in materia di sanità)

 

1. In sede di attuazione dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, nel rispetto dei principi stabiliti dalla citata legge n. 42 del 2009, sono previsti specifici interventi idonei a rimuovere carenze strutturali presenti in alcune aree territoriali e atte ad incidere sui costi delle prestazioni. Le carenze strutturali sono individuate sulla base di specifici indicatori socio-economici e ambientali, tenendo conto della complementarietà con gli interventi straordinari di edilizia sanitaria previsti dall'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.

 

 

L’articolo in commento, inserito nel corso dell’esame parlamentare, prevede interventi strutturali straordinari in favore di aree territoriali svantaggiate in cui, carenze e squilibri infrastrutturali possono avere effetti tali da incidere sui costi delle prestazioni. Le carenze strutturali sono misurate sulla base di indicatori socio-economici e ambientali - non espressamente indicati -, tenendo conto della complementarietà con gli interventi di edilizia sanitaria previsti dall’articolo 20 della legge 67/1988[97].

 

L’articolo 20 della legge 67/1988 autorizza l'esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico e di realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti. Gli interventi sono finalizzati:

-        al riequilibrio territoriale delle strutture, al fine di garantire una idonea capacità di posti letto anche in quelle regioni del Mezzogiorno dove le strutture non sono in grado di soddisfare le domande di ricovero;

-        alla sostituzione del 20 per cento dei posti letto a più elevato degrado strutturale; alla ristrutturazione del 30 per cento dei posti letto che presentano carenze strutturali e funzionali suscettibili di integrale recupero con adeguate misure di riadattamento;

-        alla conservazione in efficienza del restante 50 per cento dei posti letto, la cui funzionalità è ritenuta sufficiente;

-        al completamento della rete dei presìdi poliambulatoriali extraospedalieri ed ospedalieri diurni; alla realizzazione di 140.000 posti in strutture residenziali, per anziani che non possono essere assistiti a domicilio;

-        all’adeguamento alle norme di sicurezza degli impianti delle strutture sanitarie; al potenziamento delle strutture preposte alla prevenzione con particolare riferimento ai laboratori di igiene e profilassi e ai presidi multizonali di prevenzione, agli istituti zooprofilattici sperimentali ed alle strutture di sanità pubblica veterinaria;

-        alla conservazione all'uso pubblico dei beni dismessi, il cui utilizzo è stabilito da ciascuna regione o provincia autonoma con propria determinazione.

L’importo del programma di edilizia sanitaria è stato fissato da ultimo dal comma 69 dell'art. 2, della L. 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), in conseguenza dell’Intesa Stato-regioni avente per oggetto il Patto della salute 2010-2012. Il livello è attualmente pari a 24 miliardi di euro, di cui 23 miliardi di euro ripartiti fra le Regioni, con delibere CIPE. Il finanziamento dell’edilizia sanitaria si articola in un livello programmatorio dell’intervento complessivo, in cui sono definite le quote spettanti ad ogni regione, ed in un finanziamento progressivo dell’intervento, corrispondente al triennio di riferimento stabilito in sede di legge finanziaria/legge di stabilità. Sotto il profilo del procedimento, il Ministero della salute, di concerto con il MEF, e la regione interessata, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, sottoscrivono un Accordo di programma, che definisce gli interventi da effettuare e il relativo livello di finanziamento delle opere a carico dello Stato e a carico della regione, come disposto dall’articolo 5-bis del D.Lgs. 502/1992. Pertanto, è soltanto nell’ambito delle complessive risorse finanziarie iscritte nel bilancio statale pluriennale che si procede alla sottoscrizione degli Accordi di programma[98]. Successivamente alla sottoscrizione degli Accordi vengono progressivamente ammessi a finanziamento i singoli interventi in cui l’Accordo si articola, su richiesta regionale e previa verifica dello relativa appaltabilità. In tale procedura è stato introdotto un ulteriore passaggio per razionalizzare l’utilizzo delle risorse iscritte in bilancio (articolo 1, commi 310-312 della legge 266/2005, finanziaria 2006), che prevede la risoluzione degli accordi di programma per quella parte di interventi che registrano ritardi nell’attivazione[99]. Le revoche rendono disponibili risorse di bilancio che possono essere utilizzate per la sottoscrizione di ulteriori accordi con la stessa o con regioni diverse.


 

Articolo 29
(Revisione a regime dei fabbisogni standard)

 

1. In coerenza con il processo di convergenza di cui all'articolo 20, comma 1, lettera b), della citata legge n. 42 del 2009, a valere dal 2014, al fine di garantire continuità ed efficacia al processo di efficientamento dei servizi sanitari regionali, i criteri di cui all'articolo 27 del presente decreto sono rideterminati, con cadenza biennale, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997, comunque nel rispetto del livello di fabbisogno standard nazionale come definito all'articolo 26.

2. Le relative determinazioni sono trasmesse, dal momento della sua istituzione, alla conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009.

 

 

L’articolo 29, riguardante la revisione a regime dei fabbisogni standard, prevede la rideterminazione, con cadenza biennale, a valere dal 2014, dei criteri per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali (articolo 27), al fine di garantire continuità ed efficacia al processo di efficientamento dei servizi sanitari regionali.

La rideterminazione avviene previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto del livello di fabbisogno standard nazionale definito all’articolo 26, in coerenza con il processo di convergenza di cui all’articolo 20, comma 1, lettera b) della legge n. 42/2009[100] (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) (comma 1).

Viene poi stabilito che le relative determinazioni sono trasmesse, dal momento della sua istituzione, alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall’articolo 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42[101] (comma 2).


 

Articolo 30
(Disposizioni relative alla prima applicazione)

 

1. In fase di prima applicazione:

a) restano ferme le vigenti disposizioni in materia di riparto delle somme destinate al rispetto degli obiettivi del Piano sanitario nazionale, ad altre attività sanitarie a destinazione vincolate, nonché al finanziamento della mobilità sanitaria;

b) restano altresì ferme le ulteriori disposizioni in materia di finanziamento sanitario non disciplinate dal presente decreto.

2. Il Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, implementa un sistema adeguato di valutazione della qualità delle cure e dell'uniformità dell'assistenza in tutte le regioni ed effettua un monitoraggio costante dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi, anche al fine degli adempimenti di cui all'articolo 27, comma 11.

 

 

L’articolo 30 specifica che, in fase di prima applicazione, restano ferme:

§      le vigenti disposizioni in materia di riparto delle somme destinate al rispetto degli obiettivi del Piano sanitario nazionale, ad altre attività sanitarie a destinazione vincolate, nonché al finanziamento della mobilità sanitaria;

§      le ulteriori disposizioni in materia di finanziamento sanitario non disciplinate dal presente decreto (comma 1).

E’ disposto, altresì, che il Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza Stato-regioni, .implementa un adeguato sistema di valutazione della qualità delle cure e dell’uniformità dell’assistenza in tutte le regioni, ed effettua un costante monitoraggio dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi, anche al fine degli adempimenti di cui all’articolo 27, comma 11, relativi alla realizzazione del processo di convergenza.


 

Articolo 31
(Disposizioni particolari per regioni a statuto speciale e per le province autonome di Trento e di Bolzano)

 


1. Nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano rimane ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 2, e degli articoli 15, 22 e 27 della citata legge n. 42 del 2009, nel rispetto dei rispettivi statuti.

2. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano garantiscono la comunicazione degli elementi informativi e dei dati necessari all'attuazione del presente decreto nel rispetto dei principi di autonomia dei rispettivi statuti speciali e del principio di leale collaborazione.

3. È estesa sulla base della procedura prevista dall'articolo 27, comma 2, della citata legge n. 42 del 2009, agli enti locali appartenenti ai territori delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano l'applicazione, a fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi, delle disposizioni relative alla raccolta dei dati, inerenti al processo di definizione dei fabbisogni standard, da far confluire nelle banche dati informative ai sensi degli articoli 4 e 5 del citato decreto legislativo n. 216 del 2010.


 

 

L'articolo 31 concerne il rapporto della normativa recata dal decreto legislativo in esame con l'ordinamento delle regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano. In particolare l'articolo è inserito nel IV recante costi e fabbisogni standard nel settore sanitario.

 

La norma è stata introdotta dall'Intesa Governo-Autonomie del 16 dicembre 2010, poi ulteriormente integrata (nell'ultimo comma) in sede di espressione del parere da parte della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.

Si ricorda che le regioni a statuto speciale, attualmente nella quasi totalità ad eccezione, in parte, della Sicilia, provvedono direttamente al finanziamento del servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori senza alcun onere a carico dello Stato. Il sistema di finanziamento di questi enti prevede che attraverso le entrate fiscali che esse ricevono sotto forma di compartecipazioni ai tributi erariali (le cui quote sono stabilite negli statuti speciali e nelle norme di attuazione) essi provvedono al finanziamento integrale dell'esercizio delle funzioni ad essi attribuite (dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione). In particolare la regione Valle d'Aosta e le Province autonome di Trento e di Bolzano finanziano la sanità con risorse proprie ai sensi dell'art. 34, comma 3, della legge 724/1994 e la regione Friuli Venezia Giulia ai sensi dell'art. 1 comma 144 della legge 662/1996. La regione Sardegna, invece, provvede al finanziamento integrale della sanità a decorrere dal 2007, ai sensi dell'art. 1 comma 836 della legge 296/2006. Per la regione Sicilia, infine, ai sensi della legge 296/2006 articolo 1 comma 830, l'aliquota di partecipazione alla spesa sanitaria è attualmente fissata nella misura del 49,11. Essa perciò, per la parte restante, rientra nella ripartizione del Fondo sanitario nazionale.

 

Il primo comma dispone che rimane fermo quanto disposto all'articolo 1, comma 2 della legge delega.

Questa norma ha introdotto un principio di riserva di disciplina, inteso a delimitare l’applicabilità e l’efficacia delle disposizioni della legge delega e ad integrarne i principi, così da rendere la normativa del federalismo fiscale compatibile e coerente con le prerogative dell’autonomia speciale. La norma, ripresa dall'articolo in esame, elenca gli articoli che esclusivamente si applicano alle regioni a statuto speciale nel rispetto dei rispettivi statuti.

In particolare:

-        l’articolo 15, reca i principi che informano l’istituzione delle città metropolitane e, dunque, attiene alla competenza legislativa primaria che quelle regioni hanno sull’ordinamento e sulla finanza delle autonomie locali sui rispettivi territori;

-        l’articolo 22, estende esplicitamente alle autonomie speciali la procedura rivolta alla «perequazione infrastrutturale», che costituisce una particolare modalità di attuazione del quinto comma dell’articolo 119. Tale perequazione potrebbe infatti incidere su talune prerogative che gli statuti speciali assicurano per il loro finanziamento ad alcune di esse: ad esempio il fondo di solidarietà di cui all’articolo 38 dello Statuto siciliano ed il Piano di rinascita di cui all’articolo 14 dello Statuto sardo, per citare le disposizioni di maggior rilievo.

-        l’articolo 27, disciplina l’introduzione della riforma tramite norme di attuazione degli statuti speciali e stabilisce gli ambiti in cui taluni dei nuovi principi trovano attuazione in quegli ordinamenti.

 

Si ricorda che sono già state emanate norme che recepiscono i principi del federalismo fiscale e – in particolare - l'articolo 27 della legge delega, nei riguardi di tre regioni a statuto speciale, come di seguito illustrato in sintesi:

-        per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano con la legge finanziaria 2010 (Legge 191/2009 art. 2 commi 106-125), che ha – tra l'altro - disciplinato il Patto di stabilità, determinato il concorso delle province autonome al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà del federalismo fiscale attraverso la rinuncia alle quote dei fondi settoriali e l’assunzione a carico dei propri bilanci di nuove funzioni trasferite o delegate dallo Stato e attraverso il finanziamento di iniziative e progetti relativi anche ai territori confinanti;

-        per la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia con la legge di stabilità 2011 (legge 220/2010, articolo 1, commi 149-157) che definisce, tra l'altro, il contributo regionale all'attuazione del federalismo fiscale, disciplina il patto di stabilità; modifica l'ordinamento finanziario regionale, riguardo i tributi locali e l'accertamento tributario e detta norme generali per il coordinamento tra l'attuazione del federalismo fiscale e l'ordinamento finanziario della regione;

-        per la Regione autonoma Valle d'Aosta con la legge di stabilità 2011 (legge 220/2010, articolo 1, commi 160-164) che determina il contributo della regione agli obiettivi di perequazione e solidarietà e detta norme generali per il coordinamento dell'ordinamento finanziario della regione con l'attuazione del federalismo fiscale, nonché con le norme di attuazione (emanate con D.Lgs. 12/2011[102]) che – conseguentemente - adeguano l'ordinamento finanziario della regione.

 

Il secondo comma dell'articolo in esame reca una disposizione di principio sulla collaborazione istituzionale con riguardo alla comunicazione di tutti gli elementi informativi utili all'attuazione delle norme contenute nel decreto legislativo in esame.

 

Il terzo comma concerne invece gli enti locali delle regioni a statuto speciale, in relazione alle disposizioni concernenti la definizione dei fabbisogni standard.

Ad essi si estendono le disposizioni riguardanti la raccolta dei dati ai fini della definizione dei fabbisogni standard; secondo quanto disposto dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 216/2010 che reca le norme per la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province, in attuazione della delega contenuta nella legge 42/2009.

Gli articoli citati definiscono la metodologia attraverso la quale si perfeziona la definizione dei fabbisogni standard, per ciascuna funzione fondamentale e per i relativi servizi, considerata la specificità dei comparti dei Comuni e delle Province (articolo 4) e le modalità attraverso le quali si articola il procedimento di determinazione del fabbisogno standard da parte della Società per gli studi di settore – SOSE S.p.a. (articolo 5).

 

L'estensione delle disposizioni deve avvenire con le modalità indicate nell'articolo 27, comma 2, vale a dire, per ciascuna regione, con norme di attuazione dello statuto speciale.

 

Il comma 2 dell'articolo 27 della legge 42/2009, già ricordato, fornisce indicazioni sul contenuto delle norme di attuazione che dovranno definire criteri e modalità del concorso di ciascuna regione agli obiettivi di perequazione e di solidarietà recati dalla legge 42, come stabilito dal comma 1 dello stesso articolo. In particolare detta alcuni criteri per la definizione delle caratteristiche che potranno qualificare questi enti ai fini del sistema della perequazione e delle modalità operative di questa particolare perequazione. Quanto al primo aspetto, non è assunto immediatamente il parametro della capacità fiscale per abitante ma sono indicate una serie di caratteristiche socio-economiche della regione e della finanza di cui essa dispone in rapporto a quella dello Stato e a quella delle altre regioni. In particolare il parametro del reddito medio pro-capite degli abitanti della regione, gli oneri effettivamente sostenuti dalla regione per lo svolgimento delle funzioni, in raffronto a quelli sostenuti dallo Stato e dalle altre regioni per le medesime funzioni, gli svantaggi strutturali permanenti di cui una particolare regione soffra rispetto ad altre, la ‘dimensione’ della finanza della regione a statuto speciale o provincia autonoma rispetto alla finanza pubblica complessiva. Per quanto riguarda le modalità operative della perequazione, la norma indica quale riferimento primario, come parametro, il rapporto fra il livello medio pro-capite dei redditi nella regione e il valore della media nazionale.


 

Articolo 32
(Misure in materia di finanza pubblica)

 


1. L'autonomia finanziaria delle regioni, delle province e delle città metropolitane deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il Patto di stabilità e crescita.

2. La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica prende parte alla definizione del patto di convergenza di cui all'articolo 18 della citata legge n. 42 del 2009, concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, con specifico riguardo al limite massimo di pressione fiscale e degli altri adempimenti previsti dal processo di coordinamento della finanza pubblica con le modalità previste dalla citata legge n. 196 del 2009.

3. In caso di trasferimento di ulteriori funzioni amministrative dallo Stato alle province e alle città metropolitane, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, è assicurato al complesso degli enti del comparto l'integrale finanziamento di tali funzioni ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento e al trasferimento.

4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 39, commi 3 e 4, a decorrere dal 2012, lo Stato provvede alla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalità e permanenza, relativi al trasporto pubblico locale e alla conseguente fiscalizzazione degli stessi trasferimenti.


 

 

L’articolo 32, recante norme in materia di finanza pubblica, ribadisce, al comma 1, una regola generale di coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, in base alla quale l'autonomia finanziaria delle regioni, delle province e delle città metropolitane deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il Patto di stabilità e crescita.

 

Si ricorda che la legge delega n. 42/09 contiene diverse disposizioni volte a coniugare i profili di autonomia finanziaria riconosciuti agli enti territoriali con le esigenze di coordinamento complessivo della finanza pubblica nell’ottica del rispetto degli impegni finanziari in termini di riduzione del deficit e del debito assunti in sede comunitaria. Tra queste, si ricordano l’articolo, 2, comma 2, lettera g), che prevede, tra i criteri e principi direttivi generali per l’esercizio della delega, “l’adozione per le proprie politiche di bilancio da parte di regioni, città metropolitane, province e comuni di regole coerenti con quelle derivanti dall'applicazione del patto di stabilità e crescita”; l’articolo 17, che nel definire i criteri direttivi in materia di coordinamento e disciplina fiscale dei diversi livelli di governo, contempla, al comma 1, lettera b), il principio del “rispetto degli obiettivi del conto consuntivo, sia in termini di competenza sia di cassa, per il concorso all'osservanza del patto di stabilità e crescita per ciascuna regione e ciascun ente locale”; l’articolo 28, recante le norme per la salvaguardia finanziaria, il quale stabilisce, infine, al comma 1, che l'attuazione del federalismo fiscale “deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita”.

Si ricorda, altresì, come anche la legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196/09), a seguito delle modifiche ad essa apportate dalla legge n. 39 del 7 aprile 2011, ha visto rafforzarsi i principi del coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo; a tal fine, all’articolo 1, comma 1, è stato in particolare specificato che “le amministrazioni pubbliche concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea e ne condividono le conseguenti responsabilità. Il concorso al perseguimento di tali obiettivi si realizza secondo i principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica”.

Per quanto concerne le regioni e gli enti locali, si ricorda, brevemente, come il principale strumento previsto dall’ordinamento ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del rispetto dei vincoli comunitari, sia costituito dal Patto di stabilità interno. Le norme del Patto sono dichiarate principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117 Cost. terzo comma e dell'art. 119 Cost. secondo comma. Le regole del Patto di stabilità interno sono state ridefinite per il triennio 2011-2013 con la legge di stabilità per il 2011 (legge 13 dicembre 2011, n. 220), con disciplina differenziata per le regioni e per gli enti locali. Per gli enti locali, il Patto di stabilità per il triennio 2011-2013 si applica alle province e ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti ed assume come obiettivo programmatico la riduzione del disavanzo finanziario degli enti locali in ciascun anno del triennio. Per le regioni, invece, il concorso agli obiettivi del Patto è basato sul contenimento della spesa finale.

 

Il comma 2 specifica alcune delle attribuzioni della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica – istituita ai sensi dell’articolo 33 del decreto in esame - disponendo che tale organo:

§      prenda parte alla definizione del patto di convergenza, di cui all'articolo 18 della citata legge n. 42 del 2009[103];

§      concorra alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, con specifico riguardo al limite massimo di pressione fiscale e degli altri adempimenti previsti dal processo di coordinamento della finanza pubblica con le modalità previste dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009.

 

In merito alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, si ricorda che tra i suoi compiti istituzionali, previsti dall’articolo 5 della legge n. 42/2009, vi è già quello che impegna la Conferenza a concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, nonché alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e a promuovere l’attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi, in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all’articolo 18 (art. 5, comma 1, lettera a).

Con riguardo alle funzioni attribuite, ai sensi del comma in esame, alla Conferenza e in particolare al compito di prendere parte alla definizione del citato Patto di convergenza, si ricorda che ai sensi del citato articolo 18 della legge n. 42 del 2009, le norme di coordinamento dinamico della finanza pubblica, nelle quali dovrebbe sostanziarsi il contenuto del Patto, sono proposte dal Governo nell'ambito del disegno di legge finanziaria (ora legge di stabilità), ovvero di apposito disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, in coerenza con gli obiettivi e gli interventi appositamente individuati da parte del DPEF (ora Documento di economia e finanza e relativa Nota di aggiornamento), previo confronto e valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata.

La stessa legge di contabilità e finanza pubblica (legge n.196/09), anche a seguito delle modifiche ad essa apportate da ultimo dalla legge n. 39 del 7 aprile 2011, prevede (art.10-bis, c.1, lett. b)) che il contenuto del Patto di convergenza e le misure atte a realizzare il percorso di convergenza previsto dall'articolo 18 della citata legge n. 42 , sia indicato nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza e che le norme eventualmente necessarie a realizzare il Patto siano inserite nella legge di stabilità (art. 11, c.3, lett. m)).

Si segnala, infine, che l’articolo 51 della legge n. 196/09 ha novellato l’articolo 18 della legge n. 42/09, espungendo dal contenuto del Patto di convergenza quello, in precedenza indicato, di “stabilire, per ciascun livello di governo territoriale, il livello programmato dei saldi da rispettare, le modalità di ricorso al debito, nonché l'obiettivo programmato della pressione fiscale complessiva”.

Per una disamina della disciplina concernente la Conferenza si rinvia alle schede di lettura relative agli articoli da 33 a 37 del decreto legislativo in esame.

 

Il comma 3 stabilisce che in caso di trasferimento di ulteriori funzioni amministrative dallo Stato alle province e alle città metropolitane, ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, è assicurato al complesso degli enti del comparto l'integrale finanziamento di tali funzioni ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento e al trasferimento.

 

Si tratta di un principio generale già enunciato nella legge di delega n. 42 con riferimento ai diversi livelli di governo. Per quanto concerne la finanza degli enti locali, l’art. 11, comma 1, lettera d), annovera, infatti, tra i criteri direttivi quello della “definizione delle modalità per tenere conto del trasferimento di ulteriori funzioni ai comuni, alle province e alle città metropolitane ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione e secondo le modalità di cui all'articolo 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131, al fine di assicurare, per il complesso degli enti, l'integrale finanziamento di tali funzioni, ove non si sia provveduto contestualmente al finanziamento ed al trasferimento”. Analogamente, l’art. 21, nel dettare le norme transitorie per gli enti locali, stabilisce, al comma 1, lettera a), che “nel processo di attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, al finanziamento delle ulteriori funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa dello Stato o delle regioni, nonché agli oneri derivanti dall'eventuale ridefinizione dei contenuti delle funzioni svolte dagli stessi alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, provvedono lo Stato o le regioni, determinando contestualmente adeguate forme di copertura finanziaria coerenti con i principi della presente legge”. Un’analoga disposizione è, inoltre, prevista anche in relazione al coordinamento della finanza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, laddove viene specificato (art. 27, comma 4) che “a fronte dell'assegnazione di ulteriori nuove funzioni alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano, così come alle regioni a statuto ordinario, nei casi diversi dal concorso al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ai sensi del comma 2, rispettivamente le norme di attuazione e i decreti legislativi di cui all'articolo 2 definiranno le corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e alle accise, fatto salvo quanto previsto dalle leggi costituzionali in vigore”.

 

Il comma 4 concerne il finanziamento dei servizi relativi al trasporto pubblico locale.

La norma dispone, a decorrere dal 2012, la soppressione dei trasferimenti statali alle regioni, aventi carattere di generalità e permanenza, relativi al trasporto pubblico localee la loro sostituzione con entrate tributarie.

La norma recepisce l'accordo del 16 dicembre tra il Governo e le regioni, che prevedeva, sul punto, la fiscalizzazione dei trasferimenti relativi al trasporto pubblico locale su ferro.

La disposizione in esame non fornisce indicazioni sui tempi e sulle modalità della fiscalizzazione di queste risorse, né sulla loro quantificazione ed esatta individuazione.

 

Si ricorda che i trasferimenti statali in questione sono le risorse per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale in concessione a F.S. S.p.a, servizi che sono stati delegati alle regioni[104], con decorrenza 1° giugno 1999, per quanto concerne le funzioni e i compiti di programmazione e di amministrazione.

Questi trasferimenti, ai sensi del comma 302 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008 (legge 244/2007), si sarebbero dovuti sostituire con un incremento della quota della compartecipazione al gettito dell’accisa sul gasolio per autotrazione già spettante alle regioni a statuto ordinario, ai sensi del comma 295 dell’articolo 1 della citata legge finanziaria 2008. Ai sensi del comma 296, infatti, a decorrere dal 2011 la quota di compartecipazione spettante a ciascuna regione, avrebbe dovuto garantire anche la copertura dei trasferimenti soppressi[105].

Il decreto legge 78/2010, articolo 14 comma 2 primo periodo, ha disposto l'abrogazione della normativa sopra citata che disponeva la fiscalizzazione di questa parte di trasferimenti, a decorrere dal 2011.

La norma in esame dispone ora la fiscalizzazione di queste risorse per il trasporto pubblico locale, che ammontano a complessivi 1.181 milioni di euro[106] a decorrere dal 2012.

 

Infine il comma in esame, richiamando l’articolo 39, commi 3 e 4, del presente decreto, stabilisce che non dovranno essere considerate le riduzioni di risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario disposte ai sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010.

L'articolo 39, commi 3 e 4 del decreto legislativo in esame (vedi infra) hanno infatti affermato – sulla base di alcuni presupposti – il principio della neutralità, ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, della riduzione dei trasferimenti alle regioni stabilita dal citato articolo 14 del decreto legge n. 78/2010.


 

Articolo 33
(Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica)

 

1. In attuazione dell'articolo 5 della citata legge n. 42 del 2009, è istituita, nell'ambito della Conferenza unificata e senza ulteriori oneri per la finanza statale, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, quale organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato, e ne sono disciplinati il funzionamento e la composizione.

 

 

Il Capo V del decreto legislativo - articoli da 33 a 37 - reca la disciplina della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, organo previsto dall’articolo 5 della legge n. 42/2009.

 

L’articolo 33 istituisce la Conferenza, ai sensi del citato articolo 5 della legge di delega, definendola organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato.

La norma dispone che l’ istituzione avviene senza ulteriori oneri per la finanza statale.

La composizione della Conferenza e le modalità di funzionamento e votazione sono disciplinate, rispettivamente, negli articoli 34 e 35.

Le funzioni della Conferenza e le relative strutture di supporto tecnico trovano disciplina all’articolo 36 e all’articolo 37.

 

L’articolo 5 della leggen. 42/2009 ha previsto l’istituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nell’ambito della Conferenza Unificata, stabilendo che essa sia composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo e che ad essa vengano attribuiti una pluralità di compiti, riconducibili alle seguenti grandi aree (comma 1, lettere da a) a h)):

1)    obiettivi di finanza pubblica per comparto: la Conferenza concorre alla loro definizione, svolgendo anche funzioni di controllo circa la loro attuazione e di proposta di interventi necessari ai fini del loro rispetto (lettera a). L’impulso da parte della Conferenza opera in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge n. 42/2009;

2)    fondi perequativi: spettano alla Conferenza funzioni di proposta dei criteri per la loro corretta utilizzazione, nonché poteri di verifica circa la loro applicazione (lettera b);

3)    interventi speciali ex articolo 119, comma quinto della Costituzione[107]: l’organo ha funzioni di controllo sull’uso dei fondi preposti a tali interventi (lettera c);

4)    funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali e relazioni finanziarie tra i livelli diversi di governo: la Conferenza ha funzioni di verifica periodica. La verifica investe in particolare la congruità dei tributi presi a riferimento per la copertura del fabbisogno standard relativo alle “spese essenziali” delle Regioni di cui all'articolo 10, comma 1, lettera d), della legge n. 42/2009, nonché l’adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, con poteri di proposta di eventuali modifiche (lettera d);

5)    dati e basi informative finanziarie e tributarie fornite dalle amministrazioni territoriali: spetta alla Conferenza una verifica di congruità di tali dati e basi (lettera e);

6)    realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard e agli obiettivi di servizio e promozione della conciliazione degli interessi tra i diversi livelli di governo interessati all’attuazione delle norme sul federalismo fiscale, rispetto ai quali alla Conferenza spettano compiti di verifica periodica. Costi, fabbisogni e obiettivisaranno oggetto di confronto e di valutazione congiunta in sede di Conferenza unificata (lettera h)).

La Conferenza mette a disposizione della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica, dei Consigli regionali e di quelli delle Province autonome, tutti gli elementi informativi raccolti (lettera f). Le determinazioni della Conferenza devono essere trasmesse alle Camere (comma 2).

La Conferenza si avvale della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita presso il Ministero dell'economia e delle finanze, quale segreteria tecnica per lo svolgimento delle attività istruttorie e di supporto necessarie. È disposta l’istituzione di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, e per valutarne il grado di raggiungimento (comma 1, lettera g)).Con riferimento alla banca dati in commento, cfr. anche quanto rilevato nella scheda di lettura relativa all’articolo 37, contenente la disciplina del supporto tecnico della Conferenza.

 

Inoltre, ai sensi dell’articolo 2 della legge n. 42/2009, la Conferenza permanente è competente alla quantificazione finanziaria degli interventi statali sulle basi imponibili e sulle aliquote riguardanti i tributi degli enti locali, sugli interventi riguardanti i tributi propri derivati delle regioni e sulle aliquote riservate alle regioni a valere sulle basi imponibili dei tributi erariali. Tali interventi sono ammessi solo previa quantificazione da parte della Conferenza, e solo laddove lo Stato adotti misure per la loro completa compensazione.


 

Articolo 34
(Composizione)


1. La Conferenza è composta dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo.

2. La Conferenza è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da uno o più Ministri da lui delegati; ne fanno parte altresì il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, il Ministro dell'interno, il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro per la salute, il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome o suo delegato, il Presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI o suo delegato, il Presidente dell'Unione province d'Italia - UPI, o suo delegato. Ne fanno parte inoltre sei presidenti o assessori di regione, quattro sindaci e due presidenti di provincia, designati rispettivamente dalla conferenza delle regioni e delle province autonome, dall'ANCI e dall'UPI in modo da assicurare una equilibrata rappresentanza territoriale e demografica, acquisiti in sede di conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997.

3. Alle riunioni possono essere invitati altri rappresentanti del Governo, nonché rappre­sentanti di altri enti o organismi.


 

L’articolo 34 reca la composizione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevedendo che essa è formata dai rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo (comma 1).

 

In particolare, ne fanno parte (comma 2):

§      in qualità di Presidente, il Presidente del Consiglio dei Ministri o uno o più Ministri da lui delegati;

§      il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale ove non vengano a questi delegate le funzioni di presidenza della Conferenza Unificata;

§      il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro dell’interno, il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per la salute, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome o suo delegato, il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia (ANCI) o suo delegato, il Presidente dell’Unione Province d’Italia (UPI), o suo delegato;

§      sei Presidenti o Assessori di Regione, quattro Sindaci e due Presidenti di Provincia.

I suddetti rappresentanti sono designati rispettivamente dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dall’ANCI e dall’UPI in modo da assicurare una equilibrata rappresentanza territoriale e demografica.

La norma, sebbene la formulazione dell’ultimo periodo appaia incompleta, sembra prevedere che le designazioni suddette avvengono sulla base di pareri acquisiti in sede di Conferenza Unificata Stato città ed autonomie locali.

Altri rappresentanti del Governo possono essere invitati alle riunioni, nonché rappresentanti di altri enti o organismi (comma 3).


 

Articolo 35
(Modalità di funzionamento)


1. Il Presidente convoca la Conferenza stabilendo l'ordine del giorno. Ciascuna componente può chiedere l'iscrizione all'ordine del giorno della trattazione delle materie e degli argomenti rientranti nelle competenze della Conferenza.

2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, deve essere convocata la riunione di insediamento della Conferenza. In ogni caso, la Conferenza deve essere convocata almeno una volta ogni due mesi e quando ne faccia richiesta un terzo dei suoi membri.

3. In seguito all'iscrizione all'ordine del giorno della singola questione da trattare, di norma la Conferenza, su proposta del Presidente, con apposito atto d'indirizzo delibera l'avvio dell'espletamento delle funzioni e dei poteri ad essa assegnati dalla legge e ne stabilisce, ove necessario, le relative modalità di esercizio e di svolgimento in relazione all'oggetto. A tal fine, il Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, il presidente dell'associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il Presidente dell'Unione province d'Italia – UPI possono avanzare apposite proposte di deliberazione ai fini dell'iscrizione all'ordine del giorno.

4. La Conferenza, nelle ipotesi di cui all'articolo 36, comma 1, lettere a) e b), adotta le proprie determinazioni di regola all'unanimità delle componenti. Ove questa non sia raggiunta l'assenso rispettivamente della componente delle regioni e della componente delle province e dei comuni può essere espresso nel proprio ambito anche a maggioranza. Nelle altre ipotesi di cui all'articolo 36, le determinazioni della Conferenza possono essere poste alla votazione della medesima su conforme avviso del presidente della conferenza, dal presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dal presidente dell'associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, dal Presidente dell'Unione Province d'Italia - UPI.

5. Le determinazioni adottate dalla conferenza sono trasmesse ai Presidenti delle Camere e alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del citato decreto legislativo n. 281 del 1997. La Conferenza può altresì trasmettere le proprie determinazioni ai soggetti e agli organismi istituzionali interessati.

6. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni previste per la Conferenza unificata dal citato decreto legislativo n. 281 del 1997.


 

 

L’articolo 35 disciplina le modalità di convocazione, iscrizione all’ordine del giorno, trattazione delle materie e votazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

 

La riunione di insediamento della Conferenza è convocata entro il 26 giugno 2011 (trenta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento)

La Conferenza deve comunque essere convocata almeno una volta ogni due mesi e quando ne faccia richiesta un terzo dei suoi membri. (comma 2).

Il Presidente del Consiglio dei Ministri convoca la Conferenza, stabilendo l’ordine del giorno (comma 1).

 

Relativamente alle questioni da trattare iscritte all’ordine del giorno, la Conferenza, su proposta del suo Presidente, di norma delibera con apposito atto d’indirizzo l’avvio dell’espletamento delle attività e ne stabilisce, ove necessario, le relative modalità di esercizio.

A tal fine, la proposta di deliberazione ai fini dell’iscrizione all’ordine del giorno degli argomenti può essere avanzata dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, il Presidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia - ANCI, il Presidente dell’Unione Province d’Italia-UPI (comma 3).

 

Relativamente al quorum necessario ai fini della adozione delle deliberazioni da parte della Conferenza, si prevede l’unanimità per le deliberazioni relative ai seguenti ambiti operativi:

§      concorso alla definizione della ripartizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica per sottosettore istituzionale in sede di programmazione da parte del Governo degli obiettivi economico finanziari nazionali (ai sensi dell’articolo 36, comma 1, lett. a), cfr. relativa scheda di lettura);

§      avanzamento di proposte per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi e per la fissazione dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi e verifica applicazione dei suddetti fondi (ai sensi dell’articolo 36, comma 1, lett. b), cfr. relativa scheda di lettura).

Ove non è raggiunta l’unanimità, l’articolo prevede che l’assenso rispettivamente della componente delle Regioni e della componente delle province e dei comuni può essere espresso nel proprio ambito anche a maggioranza.

Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’articolo 34, della Conferenza fanno parte sei Presidenti o Assessori di Regione, quattro Sindaci e due Presidenti di Provincia.

 

Per le altre deliberazioni, le determinazioni della Conferenza possono essere poste alla votazione della medesima su conforme avviso del Presidente della Conferenza, dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia – ANCI, dal Presidente dell’Unione Province d’Italia – UPI (comma 4).

 

Ai sensi del comma 5, le determinazioni adottate dalla Conferenza sono trasmesse ai Presidenti delle Camere e alla Conferenza Unificata Stato città ed autonomie locali, la quale a sua volta può altresì trasmetterle ai soggetti e agli organismi istituzionali interessati.

 

Il comma 6 prevede che alla Conferenza permanente si applichino in quanto compatibili le disposizioni previste per la Conferenza unificata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

 

Il citato D.Lgs. n. 281/1997, al Capo III (artt. 8-10), reca la disciplina concernente la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e la Conferenza unificata, istituita su specifica indicazione della legge delega legge 15 marzo 1997, n. 59 (cd. legge Bassanini) per la trattazione delle materie e i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane. Tale Conferenza, costituita da membri di entrambe le Conferenze permanenti (Stato-regioni e Stato-città), nell’ambito delle materie rientrati nella propria competenza, assume deliberazioni, promuove e sancisce intese e accordi, esprime pareri, designa rappresentanti nei casi in cui si reputi necessario in relazione alle materie ed ai compiti di interesse comune alle regioni, alle province, ai comuni e alle comunità montane. È, altresì, competente, e deve pertanto essere convocata, in tutti i casi in cui le Conferenze permanenti debbano esprimersi su di un medesimo oggetto.

Carattere peculiare assume il parere che la stessa è chiamata ad esprimere in merito al disegno di stabilità (ex legge finanziaria) e sui disegni di legge collegati, al documento di programmazione economica e finanziaria - DEF (ex DFP); agli schemi di decreto legislativo di conferimento di funzioni e compiti a regioni ed enti locali ex art. 1 della legge 59/1997. La Conferenza, inoltre, promuove e sancisce intese tra Governo, regioni, province, comuni e comunità montane nonché accordi volti a coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune; acquisisce le designazioni dei rappresentanti delle autonomie locali indicati, rispettivamente, dai presidenti delle regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, dall'ANCI, dall'UPI e dall'UNCEM nei casi previsti dalla legge; assicura lo scambio di dati e informazioni tra Governo, regioni ed enti locali nei casi di sua competenza, anche attraverso l'approvazione di protocolli di intesa tra le amministrazioni centrali e locali. Deve essere consultata sulle linee generali delle politiche del personale pubblico e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali come pure per la presentazione del disegno di legge annuale per la semplificazione ed il riassetto normativo di cui all’art. 1 della legge 229/2003 (legge di semplificazione 2001).

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, infine, può sottoporre alla Conferenza unificata, anche su richiesta delle autonomie regionali e locali, ogni altro oggetto di preminente interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane.

Con particolare riferimento alle norme di funzionamento si ricorda che, ferma restando la necessità dell'assenso del Governo per l'adozione delle deliberazioni di competenza della Conferenza unificata, l'assenso di regioni, province, comuni e comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono, rispettivamente, la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. L'assenso è espresso di regola all'unanimità dei membri dei due predetti gruppi. Ove questa non sia raggiunta l'assenso è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi.


 

Articolo 36
(Funzioni)

 


1. In attuazione di quanto previsto dall'articolo 5, comma 1, della citata legge n. 42 del 2009:

a) la Conferenza concorre, in conformità a quanto previsto dall'articolo 10 della citata legge n. 196 del 2009 alla ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per sottosettore istituzionale, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, e 2, lettera e) della citata legge n. 196 del 2009;

b) la Conferenza avanza proposte:

1. per la determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi;

2. per la fissazione dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza e ne verifica l'applicazione.

c) la Conferenza verifica:

1) l'utilizzo dei fondi stanziati per gli interventi speciali ai sensi dell'articolo 16 della citata legge n. 42 del 2009;

2) assicura la verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario dei comuni, delle province, delle città metropolitane e delle regioni;

3) assicura la verifica delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo e l'adeguatezza delle risorse finanziarie di ciascun livello di governo rispetto alle funzioni svolte, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti al sistema;

4) verifica la congruità dei dati e delle basi informative, finanziarie e tributarie fornite dalle amministrazioni territoriali;

5) verifica periodicamente la realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio;

6) la Conferenza mette a disposizione del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, dei Consigli regionali e di quelli delle province autonome tutti gli elementi informativi raccolti.

d) la Conferenza promuove la conciliazione degli interessi fra i diversi livelli di governo interessati all'attuazione delle norme sul federalismo fiscale;

e) la Conferenza vigila sull'applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento.

2. Anche ai fini dell'attuazione di cui al comma 1, lettera c), numero 5), la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica provvede, con cadenza trimestrale, ad illustrare, in sede di Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997, i lavori svolti.


 

 

L’articolo 36 individua le attribuzioni della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, riproponendo in sostanza i compiti attribuiti a tale organo dall’articolo 5 della legge n. 42/2009.

Per un commento dell’articolo 5 della legge di delega, si rinvia alla scheda di lettura dell’articolo 33.

 

In particolare, la Conferenza:

a)   concorre alla ripartizione degli obiettivi di finanza pubblica per sottosettore istituzionale, da definirsi in sede di programmazione economico finanziaria annuale, in conformità a quanto previsto dall’articolo 10 della legge di contabilità (legge n. 196/2009).

In questo caso, il quorum necessario previsto dall’articolo 35, comma 4, ai fini della adozione delle deliberazioni da parte della Conferenza, è l’unanimità.

Relativamente a tale funzione, si osserva che le disposizioni della legge di contabilità nazionale (legge n. 196/2009), che disciplinano la partecipazione della Conferenza permanente al procedimento di definizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica per sottosettore sono state recentemente modificate dalla legge n. 39 del 7 aprile 2011, la quale ha aggiornato gli strumenti e la tempistica della programmazione economico finanziaria nazionale al cd. “Semestre europeo”, introdotto in sede ECOFIN per garantire il coordinamento ex ante delle politiche economiche degli Stati membri dell’Unione economica e monetaria.

In particolare, l’articolo 7 della legge n. 196/2009, novellato dall’articolo 2 della legge n. 39/2011, prevede che il Documento di economia e finanza – DEF, è inviato, entro il 10 aprile di ogni anno, alle Camere e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la quale esprime parere in tempo utile per le deliberazioni parlamentari su esso.

Gli obiettivi programmatici di finanza pubblica per il triennio di riferimento, articolati per i diversi sottosettori istituzionali, trovano esposizione nella prima sezione del DEF[108], all’interno dello schema di Programma di stabilità, disciplinato dall’articolo 10, comma 2, lett. a) della legge n. 196/2009.

Un diversa modalità procedurale per il coinvolgimento della Conferenza permanente è invece espressamente prevista in sede di formazione della Nota di aggiornamento al DEF. Ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 196, qualora si renda necessario procedere a una modifica degli obiettivi di finanza pubblica, entro il 10 settembre, il Governo è tenuto ad inviare alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere, da esprimere entro il 15 settembre, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi;

b)   ha poteri di proposta in ordine:

1.       alla determinazione degli indici di virtuosità e dei relativi incentivi;

2.       alla fissazione dei criteri per il corretto utilizzo dei fondi perequativi secondo principi di efficacia, efficienza e trasparenza. La Conferenza verifica altresì l’applicazione di tali criteri;

c)   esercita inoltre i seguenti poteri di verifica:

1.       verifica dell’utilizzo dei fondi stanziati per gli interventi speciali[109], ai sensi dell’articolo 16 della citata legge n. 42 del 2009;

2.       verifica periodica del funzionamento del nuovo ordinamento finanziario degli enti territoriali;

3.       verifica delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo e l’adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte da ciascuno, proponendo eventuali modifiche o adeguamenti al sistema;

4.       verifica della congruità dei dati e delle basi informative, finanziarie e tributarie fornite dalle amministrazioni territoriali;

5.        e 5-bis)     verifica periodica della realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio. La Conferenza mette a disposizione i dati e le informazioni del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati, dei Consigli regionali e di quelli delle province autonome;

d)   promuove la conciliazione degli interessi fra i diversi livelli di governo interessati all’attuazione delle norme sul federalismo fiscale;

e)   vigila sull’applicazione dei meccanismi di premialità, sul rispetto dei meccanismi sanzionatori e sul loro funzionamento.

 

Ai sensi del comma 2, la Conferenza illustra i lavori svolti in sede di Conferenza unificata, con cadenza trimestrale.

 

Si ricorda che i decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale entrati in vigore precedentemente a quello in esame, prevedono, in vari casi, secondo varie modalità e finalità, l’intervento della Conferenza permanente, una volta istituita. Gli interventi previsti costituiscono, in sostanza, attuazione delle competenze proprie della Conferenza.

In particolare, il D.Lgs. n. 216 del 26 novembre 2010[110], in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province, assegna alla Conferenza:

-        il monitoraggio degli obiettivi di servizio, al fine della realizzazione del percorso di convergenza degli obiettivi ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. m) e p), della Costituzione (articolo 2, comma 1);

-        in sede di procedura di determinazione dei fabbisogni standard, il compito di approvare le metodologie di determinazione dei fabbisogni standard predisposte dalla Società per gli studi di settore (Sose s.p.a), nonché di monitorare la fase applicativa e l'aggiornamento delle medesime metodologie (articolo 5, comma 1, lettera e)). Alla Conferenza sono inviate le determinazioni volte alla revisione periodica dei fabbisogni standard (articolo 7, comma 2);

Inoltre, il D.Lgs. n. 23 del 14 marzo 2011, in materia di federalismo fiscale municipale, attribuisce alla Conferenza:

-        il compito di effettuare il monitoraggio del quota di gettito devoluto ai comuni della cedolare secca sugli affitti, ai fini di una eventuale rideterminazione di tale quota nell’anno 2011 e nell’anno 2012, così da assicurare un ammontare complessivo di risorse effettivamente pari ai trasferimenti soppressi (articolo 2, comma 8);

-        il compito di effettuare analisi strumentali alla rideterminazione dell’aliquota dell’imposta municipale propria, la quale può essere modificata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare su proposta del Ministro dell’economia e d’intesa con la Conferenza Stato città e autonomie locali (articolo 8, comma 5);

-        il compito di monitorare, avvalendosi della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, gli effetti finanziari del nuovo sistema di finanziamento dei comuni, ai fini della verifica del rispetto del limite massimo della pressione fiscale complessiva, anche con riferimento alle tariffe, e di proporre al Governo le eventuali misure correttive (articolo 14, comma 5).

 

Il decreto legislativo in esame, oltre ad enunciarne le competenze generali, chiama la Conferenza, ove effettivamente costituita, ad esprimersi in una serie di casi specifici. In particolare, essa :

§      ai sensi dell’articolo 4, comma 3, si esprime con funzione consultiva in sede di determinazione (con decreto non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri) delle modalità di attribuzione alle regioni a statuto ordinario, a decorrere dall'anno 2013, del gettito della compartecipazione IVA;

§      ai sensi dell’articolo 7, comma 2, esprime le valutazioni sulla base delle quali è adottato, entro il 31 dicembre 2011, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri volto ad individuare i trasferimenti statali alle regioni a statuto ordinario oggetto di soppressione a decorrere dall’anno 2013;

§      ai sensi dell’articolo 12, comma 2, interviene in sede di individuazione da parte delle regioni dei trasferimenti regionali fiscalizzabili verso i comuni[111];

§      ai sensi dell’articolo 18, comma 3, esprime le valutazioni sulla base delle quali è adottato, entro il 25 agosto 2011 (90 giorni dall’entrata in vigore del decreto), il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri volto ad individuare i trasferimenti statali alle province oggetto di soppressione a decorrere dall’anno 2012;

§      ai sensi dell’articolo 19, comma 2, interviene in sede di individuazione da parte delle regioni dei trasferimenti regionali fiscalizzabili verso le province [112].

La Conferenza permanente inoltre:

§      ai sensi dell’articolo 10, comma 1, è sentita in funzione consultiva ai fini dell’adozione da parte del Ministro per l’economia e finanze dell’atto annuale di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale da parte delle Agenzie fiscali (ex articolo 59, D.Lgs. n. 300/1999);

§      ai sensi dell’articolo 11, comma 2, esprime l’intesa ai fini dell’adozione del D.P.C.M. di quantificazione degli effetti finanziari degli interventi legislativi statali sulle basi imponibili o sulle aliquote dei tributi regionali e addizionali per i quali sono necessarie misure compensative;

§      ai sensi dell’articolo 29, comma 2, riceve le determinazioni adottate ai fini della revisione a regime dei fabbisogni standard regionali;

§      ai sensi dell’articolo 32, partecipa alla definizione del patto di convergenza di cui all'articolo 18 della legge n. 42/2009 e concorre alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, con specifico riguardo al limite massimo di pressione fiscale e agli altri adempimenti previsti dal processo di coordinamento della finanza pubblica;

§      infine, ai sensi dell’articolo 39, ha compito di monitorare, avvalendosi della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, gli effetti finanziari del decreto legislativo in esame, al fine di garantire il rispetto del limite massimo della pressione fiscale, proponendo al Governo le eventuali misure correttive.


 

Articolo 37
(Supporto tecnico)

 


1. Le funzioni di segreteria tecnica e di supporto della Conferenza sono esercitate, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera g), della citata legge n. 42 del 2009, dalla commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale istituita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 luglio 2009.

2. Per lo svolgimento delle funzioni di supporto della Conferenza e di raccordo con la segreteria della Conferenza Stato-Regioni è istituita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nell'ambito della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, di cui all'articolo 4 della citata legge n. 42 del 2009, con decreto del Ministro dell'economia e finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, e sotto la direzione del Presidente della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, una specifica struttura di segreteria, la cui composizione è definita nel decreto istitutivo, fermo restando che sino alla metà dei posti del contingente potranno essere coperti nella misura massima del 50 per cento da personale delle regioni e, per il restante 50 per cento, da personale delle province e dei comuni il cui trattamento economico sarà a carico delle amministrazioni di appartenenza e i restanti posti sono coperti con personale del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Presidente della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale individua, nell'ambito della struttura di segreteria, il segretario della Conferenza, che esercita le attività di collegamento fra la commissione e la Conferenza stessa. La struttura di segreteria si può avvalere anche di personale dell'ANCI e dell'UPI nell'ambito della percentuale prevista per province e comuni.

3. Per lo svolgimento delle funzioni di propria competenza, la Conferenza permanente ha accesso diretto alla sezione della banca dati delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 13, comma 2, della citata legge n. 196 del 2009, nella quale sono contenuti i dati necessari a dare attuazione al federalismo fiscale. La Conferenza, con il supporto tecnico della commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, concorre con il Ministero dell'economia e delle finanze alla individuazione dei contenuti della sezione stessa.

4. Con successivo provvedimento, adottato in sede di Conferenza unificata, anche ai fini dell'attuazione dell'articolo 36, comma 1, lettera c), numero 5, sono stabilite le modalità di accesso alla banca dati da parte della conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo n. 281 del 1997.


 

 

Il comma 1 – ai sensi di quanto previsto dall’articolo 5, comma 1, lettera g) della legge di delega - assegna le funzioni di segreteria tecnica e di supporto della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, istituita con D.P.C.M. 3 luglio 2009[113].

La Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale è prevista dall’articolo 4 della legge n. 42/2009, che le attribuisce il compito di acquisire ed elaborare elementi conoscitivi per l’attuazione della delega in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali.

Il D.P.C.M. istitutivo del 3 luglio 2009, specifica che la Commissione, anche attraverso il contributo informativo delle amministrazioni statali, regionali e locali:

a)       promuove la realizzazione delle rilevazioni e delle attività necessarie per soddisfare gli eventuali fabbisogni informativi;

b)       svolge attività consultiva per il riordino dell'ordinamento finanziario di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni e delle relazioni finanziarie intergovernative;

c)       trasmette informazioni e dati alle Camere, ai Consigli regionali e delle province autonome, su richiesta di ciascuno di essi

La Commissione è istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze e ne fanno parte 32 componenti, dei quali 2 rappresentanti dell’ISTAT ;15 rappresentanti tecnici dello Stato;15 rappresentanti tecnici degli enti territoriali. Essa opera nell’ambito della Conferenza unificata Stato-regioni-città e autonomie locali.

 

Il comma 2 prevede una specifica struttura di segreteria per lo svolgimento delle funzioni di supporto della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e di raccordo con la Segreteria della Conferenza Stato-Regioni, demandando la sua istituzione ad un decreto del Ministro dell’economia e finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione dello sviluppo territoriale.

La struttura è istituita, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nell’ambito della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e sotto la direzione del Presidente della medesima Commissione.

 

Il comma fissa la percentuale di composizione del contingente della struttura di segreteria: fino alla metà, i posti potranno essere coperti da personale degli enti territoriali, con oneri a carico dell’amministrazione di appartenenza; per la restante quota, da personale dell’amministrazione centrale: Ministero dell’economia e Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Per quanto riguarda la quota di contingente appartenente agli enti territoriali, essa sarà così ripartita: nella misura massima del 50 per cento alle regioni e, per la rimanente quota, da personale delle province e dei comuni.

Della percentuale prevista per province e comuni può anche far parte personale dell’ANCI e dell’UPI.

 

Il Presidente della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale individua, nell’ambito della struttura di segreteria, il segretario della Conferenza permanente, che esercita le attività di collegamento fra la Commissione tecnica paritetica e la Conferenza stessa.

 

In considerazione del fatto che la Conferenza unificata è ampiamente citata dalla normativa in esame quale modello sulla base del quale strutturare la Conferenza de qua, si ricorda che, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 281/1997, l'attività istruttoria e di supporto al funzionamento della prima sono svolte congiuntamente dalla segreteria della Conferenza Stato-regioni e dalla segreteria della Conferenza Stato-città ed autonomie locali senza creazione di ulteriori strutture amministrative.

 

Il comma 3 prevede che la Conferenza permanente - con il supporto tecnico della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale – concorra, con il Ministero dell’economia, alla individuazione dei contenuti della banca dati delle pubbliche amministrazioni - di cui al comma 2 dell’articolo 13 della legge di contabilità legge n. 196 del 2009 – per la sezione nella quale vi sono i dati necessari per l’attuazione al federalismo fiscale. La Conferenza ha accesso diretto a tale sezione.

Un successivo provvedimento adottato in sede di Conferenza Unificata stabilirà, ai sensi del comma 4, le modalità di accesso alla banca dati da parte della Conferenza Unificata Stato regioni città autonomie locali.

Il provvedimento sarà adottato anche ai fini dell’attuazione del potere di verifica periodica, da parte della Conferenza permanente della realizzazione del percorso di convergenza ai costi e ai fabbisogni standard nonché agli obiettivi di servizio.

L’articolo 13 della legge di contabilità nazionale n. 196/2009 prevede l’istituzione presso il Ministero dell’economia e finanze di una banca dati unitaria nella quale le amministrazioni pubbliche provvedono ad inserire i dati relativi a bilanci di previsione, le relative variazioni, e i conti consuntivi, nonché le operazioni gestionali.

In particolare, una apposita sezione della banca dati contiene tutti i dati necessari a dare attuazione al federalismo fiscale. I dati sono messi a disposizione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica.

Ai sensi dell’articolo 13, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza ha poteri consultivi in ordine:

-        alla definizione degli schemi, tempi e modalità di acquisizione dei dati, da stabilirsi con decreto ministeriale, sentiti anche l’ISTAT, il CNIPA;

-        alla definizione delle modalità di accesso alla banca dati da parte di tutte le amministrazioni pubbliche chiamate ad alimentarla. Una apposita intesa in sede di Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica definisce le specifiche modalità di accesso degli enti territoriali alla banca dati.

 

Con riferimento alle banche dati a supporto dell’attività della Conferenza, si ricorda che l’articolo 5, comma 1 lettera g) della legge n. 42/2009 prevede l’istituzione di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.

Posto che il decreto legislativo in esame – nell’ambito della disciplina relativa al supporto tecnico della Conferenza - non reca disposizioni circa l’attuazione della banca dati di cui all’articolo 5, comma 1, lett. g), è presumibile che le relative informazioni confluiranno nel patrimonio informativo finalizzato all’attuazione del federalismo fiscale che sarà contenuto nella seconda sezione della banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni, di cui al citato all’articolo 13 della legge di contabilità.


 

Articolo 38
(Tributi previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera q),
della legge n. 42 del 2009)

 

1. Con efficacia a decorrere dall'anno 2013, la legge regionale può, con riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, istituire tributi regionali e locali nonché, con riferimento ai tributi locali istituiti con legge regionale, determinare variazioni delle aliquote o agevolazioni che comuni e province possono applicare nell'esercizio della propria autonomia.

 

 

Ai sensi dell’articolo 38, le regioni, oltre ai poteri riconosciuti dalle disposizioni di cui al Capo I del provvedimento in esame, possono con legge:

a)      istituire tributi regionali e localicon riguardo ai presupposti non assoggettati ad imposizione da parte dello Stato, in ossequio al principio del divieto di doppia imposizione;

b)      con riferimento ai tributi locali istituti con propria legge, determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che comuni e province possono applicare nell’esercizio della propria autonomia.

In tal modo, si ripete uno dei principi di delega previsti dalla legge n. 42 (art. 2, co. 2, lett. q)), specificando che tali poteri possono essere esercitati solo a partire dal 2013.

La norma, invece, non prevede alcun riferimento alla potestà impositiva delle regioni con riferimento alle città metropolitane.

 

La disposizione fa innanzitutto riferimento ai c.d. tributi regionali propri, nel senso in cui tale espressione è adoperata dall’articolo 119, secondo comma, della Costituzione.

Al riguardo, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito che, in linea di massima, «non è ammissibile, in materia tributaria, una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale»; solo per quanto riguarda le limitate ipotesi di tributi propri regionali aventi presupposti diversi da quelli dei tributi statali, la Corte ha riconosciuto sussistere il potere delle Regioni di stabilirli, in forza del quarto comma dell’art. 117 Cost., anche in mancanza di un’apposita legge statale di coordinamento, a condizione, però, che essi, oltre ad essere in armonia con la Costituzione, rispettino anche i princípi dell’ordinamento tributario, ancorché solo “incorporati”, per così dire, in un sistema di tributi sostanzialmente governati dallo Stato (v. sent. 102/2008)[114].

In conformità alla giurisprudenza costituzionale, l’articolo 7, co. 1, lett. b), della legge n. 42 ha classificato i tributi regionali in:

a)       tributi propri derivati, i quali si caratterizzano per essere istituiti e disciplinati dalla legge statale e il cui gettito è attribuito alle regioni;

b)       addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali;

c)       tributi propri, istituiti dalle regioni in relazione a presupposti non già assoggettati a imposizione erariale.

 

Per quanto riguarda il sistema tributario degli enti locali, l’articolo 12, L. n. 42/2009, che reca principi e criteri direttivi in materia di coordinamento e di autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, ha stabilito alcuni vincoli[115].

In particolare, la lettera a) rimette alla legge statale l'individuazione dei tributi propri dei Comuni e delle Province, con un contenuto minimo che include la definizione di presupposti; soggetti passivi; basi imponibili; aliquote di riferimento che, valide per tutto il territorio nazionale, garantiscano una adeguata flessibilità. Per le province, le disposizioni sono contenute nel capo II del provvedimento in esame, mentre per i comuni si rinvia allo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale di cui lo scorso 9 febbraio 2011 il Consiglio dei ministri ha deliberato la trasmissione alle Camere.

La successiva lettera g) prevede la possibilità che la Regione, nell’ambito dei propri poteri legislativi in materia tributaria, istituisca - nel territorio regionale di riferimento - nuovi tributi comunali, provinciali e delle Città metropolitane, specificando gli ambiti di autonomia riconosciuti agli enti locali.

Si precisa, infine, che la nozione di "tributo proprio" - per gli enti locali - non sembra poter essere del tutto assimilata a quella di "tributi propri" delle Regioni (in quanto istituiti dalle Regioni stesse), posto che solo queste, al contrario degli enti locali, sono titolari di potestà legislativa ed hanno quindi la possibilità di istituire tributi nel rispetto della riserva di legge sancita dall'articolo 23 della Costituzione. Peraltro, è lo stesso articolo 119 della Costituzione che usa l'espressione "tributi - ed entrate - propri" anche in riferimento agli enti locali.


 

Articolo 39
(Disposizioni finali di coordinamento)

 


1. Gli elementi informativi necessari all'attuazione del presente decreto ed i dati relativi al gettito dei tributi indicati nel presente decreto ovvero istituiti in base allo stesso sono acquisiti alla banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 13 della citata legge n. 196 del 2009, nonché alla banca dati di cui all'articolo 5, comma 1, lettera g), della citata legge n. 42 del 2009.

2. In coerenza con quanto stabilito con il Documento di economia e finanza di cui all'articolo 10 della citata legge n. 196 del 2009, in materia di limite massimo della pressione fiscale complessiva, la conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, avvalendosi della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, monitora gli effetti finanziari del presente decreto legislativo, al fine di garantire il rispetto del predetto limite e propone al Governo le eventuali misure correttive. Resta fermo quanto stabilito dagli articoli 5, comma 4, e 6, comma 9.

3. Compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, nonché, in applicazione del codice di condotta per l'aggiornamento del Patto di stabilità e crescita, con il leale e responsabile concorso dei diversi livelli di governo per il loro conseguimento anno per anno, in conformità con quanto stabilito dall'articolo 14, comma 2, del citato decreto-legge n. 78 del 2010, a decorrere dall'anno 2012 nei confronti delle regioni a statuto ordinario non si tiene conto di quanto previsto dal primo, secondo, terzo e quarto periodo del predetto articolo 14, comma 2.

4. Ferme restando le funzioni della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è istituito, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, presso la conferenza Stato-Regioni, un tavolo di confronto tra il Governo e le regioni a statuto ordinario, costituito dal Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, dal Ministro per le riforme per il federalismo, dal Ministro per la semplificazione normativa, dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Ministro per le politiche europee, nonché dai Presidenti delle regioni medesime. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare l'attuazione di quanto previsto dal comma 3 e dal presente comma, ovvero, qualora i vincoli di finanza pubblica non ne consentano in tutto o in parte l'attuazione, propone modifiche o adeguamenti al fine di assicurare la congruità delle risorse, nonché l'adeguatezza del complesso delle risorse finanziarie rispetto alle funzioni svolte, anche con riferimento al funzionamento dei fondi di perequazione, e la relativa compatibilità con i citati vincoli di finanza pubblica. Il governo propone, nell'ambito del disegno di legge di stabilità, ovvero individua con apposito strumento attuativo, le misure finalizzate a dare attuazione agli orientamenti emersi nell'ambito del tavolo di confronto di cui al presente comma.

5. La rideterminazione dell'addizionale regionale all'IRPEF ai sensi dell'articolo 2, comma 1, e la soppressione dei trasferimenti statali alle regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 7, comma 1, sono effettuati conformemente a quanto disposto dai commi 3 e 4 del presente articolo, facendo riferimento alle risorse spettanti a tali enti nell'esercizio finanziario 2010.

6. Si applicano anche alle province le disposizioni di cui all'articolo 14, comma 6, del citato decreto legislativo n. 23 del 2011.


 

 

La norma di cui al comma 1 prescrive che gli elementi informativi necessari all'attuazione del presente decreto, nonché i dati relativi al gettito dei tributi indicati nel decreto ovvero da esso istituiti sono acquisiti alla banca dati unitaria delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alla banca dati di cui all'articolo 5, comma 1, lettera g), della legge 5 maggio 2009, n. 42.

 

L’articolo 13 della legge n. 196 del 2009 (legge di contabilità e finanza pubblica) dispone che, al fine di assicurare un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti della finanza pubblica, nonché per acquisire gli elementi informativi necessari per dare attuazione e stabilità al federalismo fiscale, le amministrazioni pubbliche provvedano a inserire in una banca dati unitaria, istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze, i dati concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi, quelli relativi alle operazioni gestionali, nonché tutte le informazioni necessarie all’attuazione del provvedimento. In apposita sezione della banca dati sono contenuti tutti i dati necessari a dare attuazione al federalismo fiscale. Tali dati sono messi a disposizione, anche mediante accesso diretto, della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale e della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica per le rispettive finalità.

Con decreto del Ministero dell’economia e finanze del marzo 2009 è stata individuata la Ragioneria generale dello Stato quale dipartimento responsabile della Banca dati.

 

L’articolo 5, comma 1, lettera g), della legge n. 42 del 2009 dispone l’istituzione, nell’ambito della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica (che si avvale, per il supporto tecnico, della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale), di una banca dati comprendente indicatori di costo, di copertura e di qualità dei servizi, utilizzati per definire i costi e i fabbisogni standard e gli obiettivi di servizio, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio, nonché per valutare il grado di raggiungimento degli obiettivi di servizio.

 

Il comma 2 affida alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica – istituita ai sensi dell’articolo 33 del provvedimento in esame - il monitoraggio degli effetti finanziari derivanti dal decreto legislativo in esame, al fine di valutarne i riflessi sul livello della pressione fiscale. Nello svolgimento di tale attività la Conferenza si avvale del supporto della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale.

Alla suddetta Conferenza è altresì attribuito il potere di proposta al Governo delle eventuali misure correttive atte a garantire il rispetto del limite massimo della pressione fiscale complessiva, in coerenza con quanto stabilito con il documento di programmazione economico-finanziaria (ora Documento di economia e finanza), di cui all'articolo 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

In linea generale, la legge n. 42/2009 prevede che, in sede di attuazione della delega, dovrà essere salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nel corso della fase transitoria.

Sul tema, l’articolo 28 della legge delega, relativo alle norme sulla salvaguardia finanziaria, stabilisce che i decreti legislativi attuativi della delega debbano individuare meccanismi idonei:

-        a garantire la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale generale e del suo riparto tra i diversi livelli di governo

-        ad evitare aumenti della pressione fiscale complessiva, anche nella fase transitoria.

 

Il monitoraggio e le eventuali proposte di misure correttive dovranno avere come riferimento il livello della pressione fiscale complessiva come definita nella Decisione di finanza pubblica, quale documento di programmazione economico-finanziaria previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196/2009.

Nel documento presentato al Parlamento nel settembre 2010 (Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, DOC. LVII, n. 3), il livello della pressione fiscale era previsto al 42,8% del PIL per il 2010 e al 42,4% per il 2011.

 

Si segnala che a seguito della riforma della legge di contabilità - disposta con la legge 7 aprile 2011, n. 39[116] che ha apportato talune modifiche alla legge di contabilità a fine di assicurare la coerenza della programmazione finanziaria nazionale con le procedure e i criteri stabiliti in sede europea - il ciclo e gli strumenti della programmazione economico-finanziaria sono stati rivisitati. In particolare, è stato anticipato alla prima parte dell’anno l’intero processo di programmazione nazionale, fissando al 10 aprile la data di presentazione alle Cameredel Documento di Economia e Finanza (DEF), che rappresenta il nuovo documento di programmazione economico-finanziaria.

 

In merito alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, si ricorda che tra i suoi compiti istituzionali, previsti dall’articolo 5 della legge n. 42/2009, vi è quello che impegna la Conferenza a concorrere alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento, nonché alla definizione delle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e a promuovere l’attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di tali obiettivi, in particolare per ciò che concerne la procedura del Patto di convergenza di cui all’articolo 18 (art. 5, comma 1, lettera a). Si rinvia, al riguardo, ai successivi articoli da 33 a 37 del decreto legislativo in esame.

 

Il comma 3 reca una norma volta a specificare che le riduzioni di risorse spettanti alle regioni a statuto ordinario disposte ai sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, non dovranno essere considerate, a decorrere dal 2012, ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale (e, dunque, ai fini della fiscalizzazione dei trasferimenti alle regioni medesime).

La norma specifica che ciò dovrà avvenire compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, nonché, in applicazione del codice di condotta per l'aggiornamento del Patto di stabilità e crescita, con il leale e responsabile concorso dei diversi livelli di governo per il loro conseguimento anno per anno.

 

Al fine di sancire il principio della neutralità, ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, della riduzione dei trasferimenti alle regioni stabilita dal citato articolo 14 del decreto legge n.78/10, la norma in esame dispone, in particolare, che “a decorrere dall'anno 2012 nei confronti delle regioni a statuto ordinario non si tiene conto di quanto previsto dal primo, secondo, terzo e quarto periodo del predetto articolo 14, comma 2”. Tale norma ricalca, nella sostanza, quanto già previsto dal quinto periodo del medesimo comma 2 del citato articolo 14, ai sensi del quale “ in sede di attuazione dell’ articolo 8 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, non si tiene conto di quanto previsto dal primo, secondo, terzo e quarto periodo del presente comma”.

 

Si ricorda, in particolare, che l’articolo 14 del D.L. 78/10 definisce, al comma 1, la misura del concorso delle autonomie territoriali (regioni, province autonome, province e comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti) alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013. Il contributo della finanza regionale e locale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica è indicato, in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, nei seguenti importi:

a)       per le regioni a statuto ordinario: 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e 4.500 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012;

b)       per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano: 500 milioni di euro per l’anno 2011 e 1.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012;

c)       per le province: 300 milioni di euro per l’anno 2011 e 500 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012;

d)       per i comuni (con popolazione superiore a 5.000 abitanti): 1.500 milioni di euro per l’anno 2011 e 2.500 milioni di euro a decorrere dall’anno 2012.

Per le province e per i comuni i risparmi sopra indicati saranno garantiti attraverso una riduzione dei trasferimenti erariali, secondo quanto disposto dal successivo comma 2. Quest’ultimo comma prevede alcune misure di riduzione delle risorse statali alle autonomie territoriali, che sostanziano il concorso finanziario quantificato nel comma precedente.

Con riferimento alle regioni, il comma 2 dispone, tra l’altro, la riduzione delle risorse statali a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario, in misura pari a 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e a 4.500 milioni annui a decorrere dal 2012 (secondo, terzo e quarto periodo). Tale riduzione è ripartita tra gli enti secondo criteri e modalità da stabilire in sede di Conferenza permanente Stato, regioni e province autonome e recepire con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base di una serie di principi che tengano conto della:

-        adozione di misure idonee ad assicurare il rispetto del patto di stabilità interno;

-        minore incidenza percentuale della spesa per il personale rispetto alla spesa corrente complessiva;

-        adozione di misure di contenimento della spesa sanitaria,

-        e di contrasto al fenomeno dei falsi invalidi.

In caso di mancata deliberazione della Conferenza entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è comunque emanato entro i successivi 30 giorni e la riduzione è operata secondo un criterio proporzionale.

Per gli anni successivi al 2011, il termine per la deliberazione della Conferenza è fissato al 30 settembre dell’anno precedente.

Come sopra già ricordato, il comma 2 stabilisce, infine, al quinto periodo, che in sede di attuazione dell’articolo 8 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale - relativo alla individuazione delle competenze legislative regionali e alle relative modalità di finanziamento di tali competenze -, non si tiene conto di quanto previsto dalle disposizioni sopra richiamate di cui al primo, secondo, terzo e quarto periodo del comma 2, sancendo pertanto in tal modo la neutralità delle misure introdotte ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale.

 

Il successivo comma 4 prevede l’istituzione, presso la Conferenza Stato-Regioni, di un tavolo di confronto tra il Governo e le regioni a statuto ordinario, avente il compito di individuare linee guida, indirizzi e strumenti:

§      per assicurare l'attuazione di quanto previsto dal comma 3;

§      ovvero, qualora i vincoli di finanza pubblica non ne consentano in tutto o in parte l'attuazione, di proporre modifiche o adeguamenti al fine di assicurare la congruità delle risorse, nonché l'adeguatezza del complesso delle risorse finanziarie rispetto alle funzioni svolte, anche con riferimento al funzionamento dei fondi di perequazione, e la relativa compatibilità con i vincoli di finanza pubblica.

 

Il tavolo, da istituire, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è costituito dal Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, dal Ministro per le riforme per il federalismo, dal Ministro per la semplificazione normativa, dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Ministro per le politiche europee, nonché dai Presidenti delle regioni medesime.

 

Ai sensi dell’ultimo periodo del comma, le misure finalizzate a dare attuazione agli orientamenti emersi nell'ambito del tavolo di confronto, sono proposte dal Governo nell'ambito del disegno di legge di stabilità, ovvero individuate con apposito strumento attuativo.

 

Restano ferme le funzioni in materia di coordinamento della finanza pubblica assegnate alla Conferenza permanente istituita e disciplinata dalle disposizioni contenute nel Capo V del decreto legislativo.


 

Articolo 40
(Trasporto pubblico locale)

 


1. Al fine di garantire una integrazione straordinaria delle risorse finanziarie da destinare al trasporto pubblico locale, e congiuntamente al fine di garantire la maggiore possibile copertura finanziaria della spesa per gli ammortizzatori sociali, il Governo promuove il raggiungimento di un'intesa con le regioni affinché, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 29, ultimo periodo, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, l'accordo con le regioni sull'utilizzo del Fondo sociale europeo per gli anni 2009-2010 sia formalmente prorogato sino al 31 dicembre 2012, sia contestualmente modificata la regola di riparto del concorso finanziario e siano operate, nel rispetto delle regole di eleggibilità e rendicontabilità delle spese per il competente programma comunitario, le contribuzioni delle regioni nell'ambito dei plafond previsti da tale riparto.

2. Il Governo, dopo aver concluso l'intesa di cui al comma 1 nella quale si prevede l'adempimento da parte delle regioni in ordine al concorso finanziario così come definito al comma 1, reintegra di 400 milioni di euro per il 2011 i trasferimenti alle regioni per il trasporto pubblico locale. Assicura altresì il reintegro per un importo fino ad ulteriori 25 milioni di euro per il 2011, previa verifica delle minori risorse attribuite alle regioni a statuto ordinario in attuazione dell'articolo 1, comma 7, secondo periodo, della citata legge n. 220 del 2010. Il reintegro è effettuato secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 29, ultimo periodo, della medesima legge n. 220 del 2010.

3. Sono aggiunte alle spese escluse dalla disciplina del Patto di stabilità interno ai sensi dell'articolo 1, comma 129, della citata legge n. 220 del 2010, limitatamente all'anno 2011, le spese finanziate con le risorse di cui al comma 29 del citato articolo 1 per le esigenze di trasporto pubblico locale, secondo l'accordo fra Governo e regioni del 16 dicembre 2010 nel limite del reintegro di cui al comma 2.


 

 

L’articolo 40 in commento, inserito in sede di approvazione del parere sullo schema di decreto legislativo in esame, al comma 1, prevede che il Governo, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, promuova il raggiungimento di un‘intesa con le regioni finalizzata alla proroga al 31 dicembre 2012 dell’accordo stipulato con le stesse sull’utilizzo del Fondo sociale europeo per il biennio 2009-2010[117], allo scopo di garantire una integrazione straordinaria delle risorse finanziarie da destinare al trasporto pubblico locale, nonché, congiuntamente, allo scopo di garantire la maggiore possibile copertura finanziaria della spesa per gli ammortizzatori sociali. Tale intesa è promossa in attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 29, ultimo periodo, della legge 220/2010 (legge finanziaria per il 2011).

Si ricorda che il sopra citato comma 29 ha incrementato di 1.000 milioni di euro per l'anno 2011 l'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 148/1993[118] che ha istituito il Fondo per l’occupazione, confluita nel Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 185/2008[119]. L’ultimo periodo di tale comma 29 in particolare ha disposto che una quota-parte di tale incremento di risorse, da stabilirsi con decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con le singole regioni interessate[120], può essere attribuita alle regioni stesse per le esigenze del trasporto pubblico locale.

La norma altresì precisa che tale attribuzione può avvenire avendo riguardo alle concrete modalità con le quali le singole regioni, in conformità a quanto stabilito in materia di Fondo sociale europeo con l'accordo tra lo Stato e le regioni del 12 febbraio 2009 e con l'intesa dell’8 aprile 2009 sancita dalla Conferenza Stato-regioni e province autonome concorrono finanziariamente alle esigenze stabilite al successivo comma 30[121] in materia di concessione di trattamenti di cassa integrazione guadagni, di mobilità e di disoccupazione speciale. Ai sensi del predetto accordo del 12 febbraio 2009 e dell’intesa dell’8 aprile che la sancisce, è stato previsto, tra l’altro, che il contributo finanziario delle regioni da destinare ad azioni di sostegno al reddito e di politica attiva del lavoro a valere sui programmi regionali FSE[122], deve avvenire mantenendo ferma l’assegnazione delle medesime risorse del Fondo sociale europeo alle regioni e senza una riprogrammazione sostanziale delle stesse in quanto si prevede che l’eventuale modifica dei piani finanziari debba essere volta esclusivamente a soddisfare esigenze di dotazione degli assi “occupabilità” e “adattabilità” e di piena utilizzazione delle risorse e dei fondi comunitari.

 

Al riguardo, si rileva che l’integrazione straordinaria delle risorse finanziarie da destinare al trasporto pubblico locale prevista a valere sulla quota-parte dell’incremento di 1.000 milioni di euro del Fondo sociale per l’occupazione, dovrebbe essere destinata a garantire l’effettiva attuazione del reintegro di risorse di cui al successivo comma 2 (vedi oltre).

 

Il comma 1 dell’articolo prevede inoltre che, con il raggiungimento dell’intesa ivi prevista, sia contestualmente modificata la regola di riparto del concorso finanziario delle regioni e siano operate, nel rispetto delle regole di eleggibilità e rendicontabilità delle spese per il competente programma comunitario[123], le contribuzioni delle medesime nell’ambito dei plafond previsti da tale riparto.

L’attività di rendicontazione in particolare ha lo scopo di garantire la corretta esecuzione finanziaria dei programmi nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale di riferimento. Tale attività deve essere svolta dal beneficiario finale, in qualità di esecutore delle attività progettuali di cui è titolare, in virtù del rapporto di collaborazione sviluppato con gli altri soggetti interessati. Il criterio di eleggibilità delle spese segue il principio di competenza cronologica della presentazione delle stesse per la richiesta di rimborso. Si parla quindi di “periodo di eleggibilità” intendendo l’intervallo di tempo entro cui devono essere effettivamente sostenute le spese per poter ottenere il diritto al rimborso[124].

La norma in esame non detta specifici criteri ai fini della modifica da apportare alla regola di riparto per il concorso finanziario delle regioni, che sembra peraltro volta a facilitare il meccanismo delle contribuzioni delle medesime regioni nell’ambito dei plafond previsti.

 

Il comma 2 stabilisce che il Governo, dopo aver concluso la predetta intesa che prevede l’adempimento da parte delle regioni in ordine al concorso finanziario così come definito al comma 1, effettui il reintegro di 400 milioni di euro per il 2011 dei trasferimenti alle regioni per il trasporto pubblico locale.

Si ricorda in proposito che il decreto-legge n. 78 del 2010[125], articolo 14, commi 1 e 2, ha stabilito la riduzione delle risorse statali a qualunque titolo spettanti alle regioni a statuto ordinario, in misura pari a 4.000 milioni di euro per l’anno 2011 e a 4.500 milioni annui a decorrere dal 2012, a titolo di concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013. La relazione tecnica allegata al decreto aveva quantificato in complessivi 5.963 milioni di euro l’ammontare dei trasferimenti, ad esclusione di quelli della sanità, soggetti a riduzione[126]. Di tali risorse, in particolare, 1.181 milioni di eurorappresentano i trasferimenti per le esigenze connesse al trasporto pubblico locale ex art. 9, D.Lgs. 422/1997, che avrebbero dovuto essere trasformati in fiscalità dal 2011[127].

Il suddetto articolo 14 ha inoltre precisato che le riduzioni sarebbero state ripartite secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome, che ha preso atto[128] della proposta delle Conferenza delle regioni e province autonome concernente le riduzioni delle risorse statali spettanti alle regioni a statuto ordinario per gli anni 2011 e 2012[129]. In base a tale proposta l’ammontare di risorse prese a riferimento quale aggregato sui cui applicare le riduzioni è stato quantificato in 5.104,7 milioni di euro nel 2011; la cifra rimanente, pari a 1.104,7 milioni, è stata pertanto esclusa dalle riduzioni di 4.000 milioni di euro per il concorso al patto di stabilità delle regioni, e ripartita in 558,7 milioni di euro per l’edilizia sanitaria, 173,9 milioni per la salute umana e 372,1 milioni come quota-parte delle risorse ex articolo 9, D.Lgs. n. 422/1997, connesse al trasporto pubblico locale.

Nell’ambito delle risorse fatte salve dalle riduzioni, l’ammontare complessivo corrispondente ai trasferimenti per la salute umana e per il trasporto pubblico locale, pari a 546 milioni di euro, che rimane pertanto disponibile per l’attuazione del decentramento amministrativo nel 2011, viene tuttavia erogato alle regioni al netto di un accantonamento del 10 per cento, secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 20, del richiamato decreto-legge n. 78/2010.

La ricognizione della ripartizione tra le regioni delle predette riduzioni dei trasferimenti è stata successivamente recepita, come previsto dal citato articolo 14, comma 2, da un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri[130] che ha rinviato ai decreti del Ministero dell’economia e delle finanze il compito di provvedere alla variazione dei corrispondenti capitoli di bilancio.

Infine, con l’accordo Stato-regioni e province autonome del 16 dicembre 2010, il Governo, considerando strategica l’attuazione della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, ha assunto l’impegno di reintegrare i trasferimenti alle regioni per un importo di 400 milioni di euro per l’anno 2011 per le esigenze di trasporto pubblico locale, a fronte del completo adempimento da parte delle regioni dell’accordo del 12 febbraio 2009, sancito dall’intesa dell’8 aprile 2009, rispetto a quanto stabilito in materia di Fondo sociale europeo.

La tabella che segue sintetizza il quadro dei trasferimenti regionali soggetti alle riduzioni ex articolo 14, co. 1, lett. a) D.L. 78/2010, evidenziando la quota-parte dei trasferimenti destinati al trasporto pubblico locale, nonché quella esclusa dalle riduzioni in base alla proposta della Conferenza delle regioni e province autonome dell’11 novembre 2010 e quella reintegrabile ai sensi dell’articolo 40, comma 2, in commento (in mln euro):

 

Totale trasferimenti per il 2011 su cui applicare le riduzioni ex articolo 14, co. 2, lett. a), DL. 78/2010

5.104,7

di cui:
- per trasferimenti attuazione del federalismo amministrativo (quota-parte TPL)

CAP. 2856 – MEF – quota-parte TPL ex art. 9, D.Lgs. 422/1997

1.181,0

CAP. 2856 – MEF – quota-parte TPL ex art. 8, D.Lgs. 422/1997

41,8

- altri trasferimenti

CAP. 7554 – MEF – Contratti TPL

148,2

CAP. 7254 – MIT – Sviluppo TPL

94,0

Riduzioni

- 4.000,0

Risorse escluse dalle riduzioni

1.104,7

di cui risorse destinate al TPL*

372,1

Quota parte risorse reintegrate

400

Ulteriore quota reintegrabile

25

*Al lordo dell’accantonamento del 10% ex art. 6, co. 20, DL. n. 78/2010.

 

Come evidenziato nella precedente tabella, il Governo è altresì chiamato adassicurare il reintegro per un importo fino ad ulteriori 25 milioni di euro per il 2011, previa verifica delle minori risorse attribuite alle regioni a statuto ordinario in attuazione dell’articolo 1, comma 7, secondo periodo, della richiamata legge n. 220/2010. Tale reintegro è effettuato secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 29, ultimo periodo, della medesima legge 220, conformemente cioè a quanto stabilito con l'accordo tra lo Stato e le regioni del 12 febbraio 2009 e con l'intesa dell’8 aprile 2009 sancita dalla Conferenza Stato, regioni e province autonome in materia di Fondo sociale europeo.

Il comma 7 dell’articolo 1 ha disposto che anche i contratti di servizio del trasporto pubblico locale ferroviario delle regioni a statuto speciale devono prevedere criteri di efficientamento e di razionalizzazione. Tali contratti devono essere stipulati nei limiti degli stanziamenti di bilancio a carattere continuativo autorizzati allo scopo. Eventuali risorse aggiuntive rispetto ai suddetti stanziamenti a carattere continuativo vengono utilizzate per i soggetti di cui al secondo periodo del comma 6, vale a dire a favore delle regioni a statuto ordinario, sulla base dei criteri di ripartizione previsti al terzo periodo dello stesso comma 6[131].

 

Il comma 3, infine, provvede ad aggiungere tra le spese escluse dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni, ai sensi dell’articolo 1, comma 129, della sopra richiamata legge 220 del 2010, per il solo anno 2011, le spese finanziate con le risorse di cui al citato comma 29 dell’articolo 1 della medesima legge per le esigenze di trasporto pubblico locale[132], secondo il sopra richiamato accordo fra Governo e regioni del 16 dicembre 2010 nel limite del reintegro previsto al comma 2, vale a dire fino ad un ammontare massimo di 425 milioni di euro.

 

Come sopra illustrato, infatti, lo scorso 16 dicembre 2010 il Governo, considerando strategica l’attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, ha assunto l’impegno di reintegrare di 400 milioni di euro per l’anno 2011 le riduzioni operate sui trasferimenti alle regioni[133] con specifico riferimento alle esigenze di trasporto pubblico locale, a fronte del completo adempimento da parte delle regioni dell’accordo del 12 febbraio 2009, sancito dall’intesa dell’8 aprile 2009, in ordine a quanto ivi stabilito in materia di Fondo sociale europeo.

 

La norma appare pertanto volta ad assicurare che il reintegro delle risorse, fino ad un ammontare massimo di 425 milioni di euro, sia a tutti gli effetti escluso dalle riduzioni operate sui trasferimenti ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. a) del già citato decreto-legge n. 78 del 2010 che ha provveduto a definire il concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2011-2013 per un ammontare di 4.000 milioni per il 2011.

Si ricorda che il comma 129 dell'articolo 1 della legge 220/2010 stabilisce le tipologie di spese escluse dal computo ai fini dell'applicazione delle regole del patto di stabilità. Come nella precedente disciplina vengono in particolare escluse:

-        le spese per la sanità, soggette a disciplina specifica;

-        le spese per la concessione di crediti;

-        le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati dall’Unione europea, relativamente ai finanziamenti comunitari, per la sola parte di finanziamento europeo; restano pertanto computate nella base di calcolo e nei risultati del Patto di stabilità interno le spese relative alle quote di cofinanziamento statale e di finanziamento regionale ;

-        i pagamenti effettuati a favore di enti locali a valere sui residui passivi di parte corrente, a fronte di corrispondenti residui attivi degli enti locali.

Vengono inoltre escluse:

-        le spese relative ai beni trasferiti alle regioni e a fondi immobiliari ricevuti dallo Stato in attuazione del D.Lgs. n. 85/2010 sul federalismo demaniale;

-        le spese concernenti il 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, il 9° censimento generale dell'industria e dei servizi, il censimento delle istituzioni non-profit, nonché il 6° censimento dell’agricoltura, come previsto dal comma 3 dell'articolo 50 del D.Lgs. n. 78/2010;

-        spese escluse dall'art. 2, comma 33, lett. a) del decreto legge 225/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 10/2011, concernenti il trasporto pubblico locale ferroviario, finanziate con le risorse destinate alla stipula dei contratti con Ferrovie dello Stato (di cui ai commi 6 e 7 della legge 220/2010) e complessivi 200 milioni di integrazione del fondo per le politiche sociali per il 2011 (di cui all'art. 38 della legge 220/2010)[134].


 

Articolo 41
(Disposizione finanziaria)

 

1. Dal presente decreto non devono derivare minori entrate né nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

 

L’articolo 41 reca la clausola di copertura finanziaria, ai sensi della quale dal decreto in esame non devono derivare minori entrate né nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

La norma ribadisce quanto già previsto dall’articolo 28, comma 4, della legge delega, che richiede espressamente che da ciascuno dei decreti legislativi attuativi non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, precisando, altresì, che l’invarianza ricomprende anche le eventuali minori entrate.


 

Testo a fronte tra
lo schema di decreto legislativo (Atto n. 317) e
il D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 28(*)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 12 maggio 2011, n. 109

 

 


Atto 317

D.Lgs. 68/2011

 

 

CAPO I
AUTONOMIA DI ENTRATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO

CAPO I
AUTONOMIA DI ENTRATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO

 

 

Art. 1
(Oggetto)

Art. 1
(Oggetto)

1. Le disposizioni del presente capo assicurano l’autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e la conse­guente soppressione di trasferimenti statali.

1. Le disposizioni del presente capo assicurano l'autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e la conse­guente soppressione di trasferimenti statali.

2. Le medesime disposizioni individuano le compartecipazioni delle regioni a statuto ordinario al gettito di tributi erariali e i tributi delle Regioni a statuto ordinario, nonché disciplinano i meccanismi perequativi che costituiscono le fonti di finanziamento del complesso delle spese delle stesse Regioni.

2. Le medesime disposizioni individuano le compartecipazioni delle regioni a statuto ordinario al gettito di tributi erariali e i tributi delle regioni a statuto ordinario, nonché disciplinano i meccanismi perequativi che costituiscono le fonti di finanziamento del complesso delle spese delle stesse regioni.

3. Il gettito delle fonti di finanziamento di cui al comma 2 è senza vincolo di destinazione.

3. Il gettito delle fonti dì finanziamento di cui al comma 2 è senza vincolo di destinazione.

 

 

Art. 2
(Rideterminazione dell'addizionale all’IRPEF delle regioni a statuto ordinario)

Art. 2
(Rideterminazione dell'addizionale all’IRPEF delle regioni a statuto ordinario)

1. A decorrere dall’anno 2012 l’addizio­nale regionale all’IRPEF è rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni, da adottare entro il 30 giugno 2011, sentita la Conferenza Stato-Regioni, in modo tale da assicurare al complesso delle Regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi ai sensi dell’articolo 6 ed alle entrate derivanti dalla compartecipazione soppressa ai sensi dell’articolo 7, comma 3. All’aliquota così rideterminata si aggiun­gono, a decorrere dall’anno 2014, le percentuali indicate nel comma 1, lettere b) e c), dell’articolo 5 del presente decreto. Con il decreto di cui al presente comma sono ridotte le aliquote dell’IRPEF di competenza statale, con l’obiettivo di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente.

1. A decorrere dall'anno 2013, con riferimento all'anno di imposta precedente, l'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) è rideterminata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, da adottare entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata «Conferenza Stato-Regioni», e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, in modo tale da garantire al complesso delle regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti al gettito assicurato dall'aliquota di base vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai trasferimenti statali soppressi ai sensi dell'articolo 7 ed alle entrate derivanti dalla compartecipazione soppressa ai sensi dell'articolo 8, comma 4. All'aliquota così rideterminata si aggiungono le percentuali indicate nell'articolo 6, comma 1. Con il decreto di cui al presente comma sono ridotte, per le regioni a statuto ordinario e a decorrere dall'anno di imposta 2013, le aliquote dell'IRPEF di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente.

4. Salvo quanto previsto dal comma 1, continua ad applicarsi la disciplina relativa all’imposta sul reddito delle persone fisiche, vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, continua ad applicarsi la disciplina relativa all'imposta sul reddito delle persone fisiche, vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

 

 

Art. 2
(Rideterminazione dell'addizionale all’IRPEF delle regioni a statuto ordinario)

Art. 3
(Fabbisogno sanitario)

2. Per l’anno 2012 il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello, stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente con­corre lo Stato.

1. Per l'anno 2012 il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello, stabilito dalla vigente normativa, del finanziamento del Servizio sanitario nazionale al quale ordinariamente con­corre lo Stato.

3. Restano ferme le disposizioni in materia di quota premiale e di relativa erogabilità in seguito alla verifica degli adempimenti in materia sanitaria di cui all’articolo 2, comma 68, lettera c), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonché le disposizioni in materia di realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale e di relativa erogabilità delle corrispondenti risorse ai sensi dell’art. 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni, e in materia di fondo di garanzia e di recuperi, di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, rispettivamente per minori ovvero maggiori gettiti fiscali effettivi rispetto a quelli stimati ai fini della copertura del fabbisogno sanitario standard regionale. Resta altresì fermo che al finanziamento della spesa sanitaria fino all’anno 2013 concorrono le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l’anno 2010, e le ulteriori risorse, previste da specifiche disposizioni, che ai sensi della normativa vigente sono ricomprese nel livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordina­riamente lo Stato.

2. Restano ferme le disposizioni in materia di quota premiale e di relativa erogabilità in seguito alla verifica degli adempimenti in materia sanitaria di cui all'articolo 2, comma 68, lettera c), della legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonché le disposizioni in materia di realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario, di rilievo nazionale e di relativa erogabilità delle corrispondenti risorse ai sensi dell'art. 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e successive modificazioni, e in materia di fondo di garanzia e di recuperi, di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56, rispettivamente per minori ovvero maggiori gettiti fiscali effettivi rispetto a quelli stimati ai fini della copertura del fabbisogno sanitario standard regionale. Resta altresì fermo che al finanziamento della spesa sanitaria fino all'anno 2013 concorrono le entrate proprie, nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l'anno 2010 e le ulteriori risorse, previste da specifiche disposizioni, che ai sensi della normativa vigente sono ricomprese nel livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale cui concorre ordinariamente lo Stato.

 

 

Art. 3
(Compartecipazione regionale all’IVA)

Art. 4
(Compartecipazione regionale all’IVA)

1. A ciascuna Regione a statuto ordinario spetta una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto.

1. A ciascuna regione a statuto ordinario spetta una compartecipazione al gettito dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).

2. Per gli anni 2011, 2012 e 2013 l’aliquota di compartecipazione di cui al comma 1 è calcolata in base alla normativa vigente, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE. A decorrere dall’anno 2014 l’aliquota è determinata con le modalità previste dall’articolo 11, commi 3 e 5, primo periodo.

2. Per gli anni 2011 e 2012 l'aliquota di compartecipazione di cui al comma 1 è calcolata in base alla normativa vigente, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE. A decorrere dall'anno 2013 l'aliquota è determinata con le modalità previste dall'articolo 11, commi 3 e 5, primo periodo, al netto di quanto devoluto alle regioni a statuto speciale e delle risorse UE.

3. A decorrere dall’anno 2013 le modalità di attribuzione del gettito della compartecipazione IVA alle Regioni sono stabilite in conformità con il principio di territorialità. Il principio di territorialità tiene conto del luogo di consumo. I criteri di attuazione del presente comma sono stabiliti con decreto di natura non regola­mentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni, sentita la Conferenza Stato-Regioni identificando il luogo di consumo con quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi. Nel caso dei servizi il luogo della prestazione può essere identificato con quello del domicilio del soggetto fruitore.

3. A decorrere dall'anno 2013 le modalità di attribuzione del gettito della compartecipazione IVA alle regioni a statuto ordinario sono stabilite in conformità con il principio di territorialità. Il principio di territorialità tiene conto del luogo di consumo, identificando il luogo di consumo con quello in cui avviene la cessione di beni; nel caso dei servizi, il luogo della prestazione può essere identificato con quello del domicilio del soggetto fruitore. Nel caso di cessione di immobili si fa riferimento alla loro ubicazione. I dati derivanti dalle dichiarazioni fiscali e da altre fonti informative in possesso dell'Ammini­strazione economico-finanziaria ven­gono elaborati per tenere conto delle transazioni e degli acquisti in capo a soggetti passivi con IVA indetraibile e a soggetti pubblici e privati assimilabili, ai fini IVA, a consumatori finali. I criteri di attuazione del presente comma sono stabiliti con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentite la Conferenza Stato-Regioni e la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federa­lismo fiscale oppure, ove effettiva­mente costituita, la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carat­tere finanziario derivanti dall'attuazione del principio di territorialità.

 

 

Art. 4
(Riduzione dell'IRAP)

Art. 5
(Riduzione dell'IRAP)

1. A decorrere dall’anno 2014 ciascuna Regione a statuto ordinario, con propria legge, può ridurre le aliquote dell’IRAP fino ad azzerarle, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di Giustizia dell'Unione europea. Resta in ogni caso fermo il potere di variazione dell’aliquota di cui all’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

1. A decorrere dall'anno 2013 ciascuna regione a statuto ordinario, con propria legge, può ridurre le aliquote dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) fino ad azzerarle e disporre dedu­zioni dalla base imponibile, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia dell'Unione europea. Resta in ogni caso fermo il potere di variazione dell'aliquota di cui all'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.

2. L’eventuale riduzione o azzeramento dell’IRAP è esclusivamente a carico del bilancio della Regione e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all’articolo 11.

2. Gli effetti finanziari derivanti dagli interventi di cui al comma 1 sono esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comportano alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all'articolo 15.

3. Non può essere disposta la riduzione dell’IRAP, se la maggiorazione di cui all’articolo 5, comma 1, è superiore allo 0,5 per cento.

3. Non può essere disposta la riduzione dell'IRAP se la maggiorazione di cui all'articolo 6, comma 1, è superiore a 0,5 punti percentuali.

4. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari.

4. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari.

 

 

Art. 5
(Addizionale regionale all'IRPEF)

Art. 6
(Addizionale regionale all'IRPEF)

1. Ciascuna Regione a Statuto ordinario può, con propria legge, aumen­tare o diminuire l’aliquota dell’addi­zionale regionale all’IRPEF di base. La predetta aliquota di base è pari allo 0,9% sino alla rideterminazione effettuata ai sensi dell’articolo 2, comma 1, primo periodo. La maggiorazione non può essere superiore:

1. A decorrere dall’anno 2013 ciascuna regione a statuto ordinario può, con propria legge, aumentare o diminuire l'aliquota dell'addizionale regionale all'IRPEF di base. La predetta aliquota di base è pari allo 0,9 per cento sino alla rideterminazione effettuata ai sensi dell'articolo 2, comma 1, primo periodo. La maggiorazione non può essere superiore:

a) allo 0,5 per cento, sino all’anno 2013;

a) allo 0,5 per cento per l'anno 2013;

b) all’1,1 per cento, per l’anno 2014;

b) all'1,1 per cento per l'anno 2014;

c) al 2,1 per cento, a decorrere dall’anno 2015.

c) al 2,1 per cento a decorrere dall'anno 2015.

 

2. Fino al 31 dicembre 2012, rimangono ferme le aliquote della addizionale regionale all'IRPEF delle regioni che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono superiori alla aliquota di base, salva la facoltà delle medesime regioni di deliberare la loro riduzione fino alla medesima aliquota di base.

2. Resta fermo il limite della maggio­razione dello 0,5 per cento, se la Regione abbia disposto la riduzione dell’IRAP. In ogni caso, la maggiorazione oltre lo 0,5 per cento non deve comportare aggravio, sino ai primi due scaglioni di reddito, a carico dei titolari di redditi da lavoro dipendente o da pensione in relazione ai predetti redditi; con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite le modalità per l’attuazione del presente periodo. In caso di riduzione, l’aliquota deve assicurare un gettito non inferiore all’ammontare dei trasferimenti regionali ai Comuni, soppressi in attuazione dell’articolo 8.

3. Resta fermo il limite della maggio­razione di 0,5 punti percentuali, se la regione abbia disposto la riduzione dell'IRAP. La maggiorazione oltre i 0,5 punti percentuali non trova applicazione sui redditi ricadenti nel primo scaglione di cui all'articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repub­blica 22 dicembre 1986, n. 917; con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabilite le modalità per l'attuazione del presente periodo. In caso di riduzione, l'aliquota deve assicurare un gettito che, unitamente a quello derivante dagli altri tributi regionali di cui all'articolo 12, comma 2, non sia inferiore all'ammontare dei trasferimenti regionali ai comuni, soppressi in attuazione del medesimo articolo 12.

3. Per assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di progressività cui il sistema medesimo è informato, le Regioni possono stabilire aliquote dell’ad­dizionale regionale all’IRPEF differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale.

4. Per assicurare la razionalità del sistema tributario nel suo complesso e la salvaguardia dei criteri di progressività cui il sistema medesimo è informato, le regioni possono stabilire aliquote dell'ad­dizionale regionale all'IRPEF differenziate esclusivamente in relazione agli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti dalla legge statale.

4. Le Regioni, nell’ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono disporre, con propria legge detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall’articolo 12 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

5. Le regioni, nell'ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono disporre, con propria legge, detrazioni in favore della famiglia, maggiorando le detrazioni previste dall'articolo 12 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Le regioni adottano altresì con propria legge misure di erogazione di misure di sostegno economico diretto, a favore dei soggetti IRPEF, il cui livello di reddito e la relativa imposta netta, calcolata anche su base familiare, non consente la fruizione delle detrazioni di cui al presente comma.

5. Al fine di favorire l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’articolo 118, quarto comma, della Costituzione, le Regioni, nell’ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono inoltre disporre, con propria legge,detrazioni dall’addizionale stessa in luogo dell'erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale.

6. Al fine di favorire l'attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, le regioni, nell'ambito della addizionale di cui al presente articolo, possono inoltre disporre, con propria legge, detrazioni dall'addizionale stessa in luogo dell'erogazione di sussidi, voucher, buoni servizio e altre misure di sostegno sociale previste dalla legislazione regionale.

 

7. Le disposizioni di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 si applicano a decorrere dal 2013.

6. L’applicazione delle detrazioni previste dai commi 4 e 5 è esclusivamente a carico del bilancio della Regione che le dispone e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dello Stato. In ogni caso deve essere garantita la previsione di cui al comma 2, ultimo periodo.

8. L'applicazione delle detrazioni previste dai commi 5 e 6 è esclusivamente a carico del bilancio della regione che le dispone e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dello Stato. In ogni caso deve essere garantita la previsione di cui al comma 3, ultimo periodo.

7. La possibilità di disporre le detrazioni di cui ai commi 4 e 5 è sospesa per le Regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario alle quali è stata applicata la misura di cui all’articolo 2, comma 83, lettera b) e 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per mancato rispetto del piano stesso.

9. La possibilità di disporre le detrazioni di cui ai commi 5 e 6 è sospesa per le regioni impegnate nei piani di rientro dal deficit sanitario alle quali è stata applicata la misura di cui all'articolo 2, commi 83, lettera b), e 86, della citata legge n. 191 del 2009, per mancato rispetto del piano stesso.

8. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.

10. Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.

9. L’eventuale riduzione dell’addizio­nale regionale all’IRPEF è esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all’articolo 11.

11. L'eventuale riduzione dell'addizio­nale regionale all'IRPEF è esclusivamente a carico del bilancio della regione e non comporta alcuna forma di compensazione da parte dei fondi di cui all'articolo 15.

 

 

Art. 6
(Soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario)

Art. 7
(Soppressione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario)

1. A decorrere dall’anno 2012 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente alle Regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all’esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all’esercizio di funzioni da parte di Province e Comuni. Le Regioni a statuto ordinario esercitano l’autonomia tributaria prevista dagli articoli 4, 5, 7 e 8, comma 2, del presente decreto in modo da assicurare il rispetto dei termini fissati dal presente Capo. Sono esclusi dalla soppressione i trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all’articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

1. A decorrere dall'anno 2013 sono soppressi tutti i trasferimenti statali di parte corrente e, ove non finanziati tramite il ricorso all'indebitamento, in conto capitale, alle regioni a statuto ordinario aventi carattere di generalità e permanenza e destinati all'esercizio delle competenze regionali, ivi compresi quelli finalizzati all'esercizio di funzioni da parte di province e comuni. Le regioni a statuto ordinario esercitano l'autonomia tributaria prevista dagli articoli 5, 6, 8 e 12, comma 2, in modo da assicurare il rispetto dei termini fissati dal presente Capo. Sono esclusi dalla soppressione i trasferimenti relativi al fondo perequativo di cui all'articolo 3, commi 2 e 3, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro dell’Economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le Regioni, sentita la Conferenza Unificata, sono individuati i trasferimenti statali di cui al comma 1. Con ulteriore decreto adottato con le modalità previste dal primo periodo possono essere individuati ulteriori trasferimenti suscettibili di soppressione.

2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato, sulla base delle valutazioni della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale ovvero, ove effettivamente costituita, della Confe­renza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, entro il 31 dicembre 2011, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo e con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica competenti per i profili di carattere finanziario, sono individuati i trasferimenti statali di cui al comma 1. Con ulteriore decreto adottato con le modalità previste dal primo periodo possono essere individuati ulteriori trasferimenti suscettibili di soppressione. Allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è allegata una relazione tecnica concernente le conseguenze di carattere finanziario.

 

3. In caso di trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni, in attuazione dell’articolo 118 della Costituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità che assicurano adeguate forme di copertura finanziaria, in conformità a quanto previsto dall’arti­colo 8, comma 1, lettera i), della legge 5 maggio 2009, n. 42.

 

 

Art. 7
(Ulteriori tributi regionali)

Art. 8
(Ulteriori tributi regionali)

1. Ferma la facoltà prevista dall’articolo 25, a decorrere dal 1° gennaio 2014 sono soppressi la tassa per l’abilitazione all’esercizio profes­sionale, l’imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l’imposta regionale sulle concessioni statali per l’occupazione e l’uso dei beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, le tasse sulle concessioni regionali, l’addizionale regionale sui canoni statali per le utenze di acqua pubblica. Sono, conseguentemente, abrogati l’art. 190 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, l’art. 121 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, gli articoli da 1 a 7 e da 9 a 10 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, convertito dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, l’art. 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281, l’art. 5 della legge 16 maggio 1970, n. 281, l’art. 3 della legge 16 maggio 1970, n. 281, l’art. 18, comma 4, della legge 5 gennaio 1994, n. 36. Qualora la Regione non si avvalga della facoltà prevista dall’articolo 25, essa fa fronte all’onere derivante dal presente comma con la riduzione di spese ovvero con il gettito derivante dall’eventuale incremento della addizionale regionale all’IRPEF ai sensi dell’articolo 5.

1. Ferma la facoltà per le regioni di sopprimerli, a decorrere dal 1° gennaio 2013 sono trasformati in tributi propri regionali la tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale, l'imposta regio­nale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, l'imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile, la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, le tasse sulle concessioni regionali, l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili, di cui all'articolo 190 del Regio Decreto 31 agosto 1933, n. 1592, all'articolo 121 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, agli articoli 1, 5 e 6 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, all'articolo 2 della legge 16 maggio 1970, n. 281, all'articolo 5 della citata legge n. 281 del 1970, all'articolo 3 della citata legge n. 281 del 1970, agli articoli da 90 a 95 della legge 21 novembre 2000, n. 342.

 

2. Fermi restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legisla­zione statale, le regioni disciplinano la tassa automobilistica regionale.

2. Salvo quanto previsto dal comma 1, alle Regioni a statuto ordinario spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.

3. Alle regioni a statuto ordinario spettano gli altri tributi ad esse riconosciuti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto. I predetti tributi costituiscono tributi propri derivati.