N. 34/I – 28
marzo 2012
A.C. 5052
La
disciplina della golden share in
Francia e Germania
Nell’Unione europea molti Stati membri sono ancora
azionisti di controllo nelle società privatizzate nei settori strategici
(petrolio e gas, elettricità, telecomunicazioni, difesa, trasporti). Proprio la
privatizzazione delle imprese pubbliche rappresenta un’area sensibile al
diritto comunitario, in conseguenza della creazione del mercato unico, e negli
anni 2000 la Commissione
europea ha proposto una serie di ricorsi per infrazione riguardanti gli
istituti di golden share presenti in
diversi ordinamenti nazionali, tutti conclusi con sentenze di condanna della
Corte di Giustizia ad eccezione della controversia contro lo Stato del Belgio.
In Francia, il meccanismo di protezione diinteressi nazionali nelle attività di ex- imprese pubbliche
privatizzate è garantito dall’istituto dell’action spécifique (azione
specifica), creato con la Loi
n. 86-912 du 6 août 1986 relative aux modalités des privatisations,
sul modello della golden share di stampo britannico.
Poco prima della sua istituzione,
il legislatore aveva approvato la Loi
n. 86-793 du 2 juillet 1986 autorisant le Gouvernement à prendre diverses
mesures d'ordre économique et social, che stabilisce la disciplina generale in merito alle imprese pubbliche
privatizzabili e le possibilità di attuazione del processo di privatizzazione.
Nell’articolo allegato (article annexe)
alla legge sono inoltre elencate le imprese (65 imprese operanti
principalmente nel settore bancario e finanziario) per le quali è stato
previsto un trasferimento di proprietà delle partecipazioni detenute dallo
Stato a soggetti privati.
La legge n.86-912, modificata da
ultimo con la Loi n. 2006-1770
du 30 décembre
2006, contiene la disciplina sulle modalità di applicazione
delle privatizzazioni.
In particolare, l’art. 2 dispone
l’istituzione di un’autorità amministrativa indipendente, la Commission
des paticipations et des transferts, che ha tra i suoi compiti quello
di fissare le regole per la valutazione delle imprese privatizzabili.
L’art. 10 della legge stabilisce
che è compito del Governo, mediante decreto, decidere se, con riguardo alle
imprese da privatizzare, è opportuno, ai
fini della protezione degli interessi nazionali, che un’azione ordinaria
dello Stato sia trasformata in un’action spécifique . Nel momento in
cui viene disposta un’azione specifica, possono essere poste alcune speciali
prerogative in capo al Governo: la possibilità che il Ministro dell’economia
esprima un consenso preventivo sul superamento da parte di un azionista, o di
più azionisti che agiscano di concerto, di specifici tetti di possesso
azionario; la nomina, in seno al Consiglio di amministrazione di un’impresa, di
uno o due rappresentanti dello Stato, senza però capacità di voto deliberativo;
la possibilità di opporsi a cessioni di attivi da parte della società, che
possono recare pregiudizio agli interessi nazionali. Per determinate società,
inoltre, l’acquisto da parte di persone fisiche o giuridiche straniere di
alcune percentuali di capitale sociale deve essere approvato dal Ministro
dell’economia.
Qualora i detentori di
partecipazioni azionarie abbiano compiuto acquisti irregolari, non possono più
esercitare il diritto di voto corrispondente a tali titoli e devono cedere gli
stessi entro tre mesi. Il Ministro dell’economia informa il presidente del consiglio
di amministrazione della società di tali infrazioni. Trascorsi i tre mesi
dall’inizio del processo di cessione dei titoli, se questo non è avvenuto, si
procede alla loro vendita forzata, nelle modalità stabilite dal Décret
n. 86-1141 du 25 octobre 1986.
Il decreto di istituzione di un’action spécifique, disposto con
riferimento a ciascuna delle imprese menzionate all’art. 2 della Loi
n.93-923 du 19 juillet 1993 de privatisation, deve essere emanato prima
dell’intervento della Commission des
paticipations et des transferts.
L’azione specifica può essere in
ogni momento trasformata nuovamente in azione ordinaria, mediante decreto,
salvo nei casi in cui sia in gioco l’indipendenza nazionale.
Tra i decreti emanati per
l’istituzione di azioni specifiche in imprese privatizzate, si segnala in
particolare il Décret
n.93-1298 du 13 décembre 1993, poi abrogato nel 2002, con cui è stata
disposta una golden share dello Stato nella Société nationale Elf Aquitaine
(impresa petrolifera). Il decreto stabiliva, in particolare, che il Ministro
dell’economia avesse il potere di approvare in via preventiva ogni superamento
di limiti massimi di detenzione diretta o indiretta di titoli azionari della
società, nonché opporsi contro decisioni di cessione o di attribuzione a titolo
di garanzia di elementi patrimoniali.
Nel 1999, la Commissione europea,
dopo aver inviato al Governo francese una lettera di diffida con cui dichiarava
alcune disposizioni contenute nel provvedimento non compatibili con il diritto
comunitario, e a seguito della presentazione da parte della Francia di proposte
di modifica al decreto in questione giudicate non sufficienti, ha presentato
ricorso alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Nel ricorso è stato
impugnato l’art. 2, nn.1 e 3, del Décret
n.93-1298 per la violazione degli attuali artt. 43, 48 e 56 del Trattato
CE. In particolare, gli artt. 43 e 56 pongono, rispettivamente, il principio
della libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio
di un altro Stato membro e quello della libera circolazione dei capitali tra
Stati membri. La Francia
ha contestato l’accusa rivoltale, rilevando che le eventuali restrizioni ai due
principi sono giustificate sia dall’eccezione di pubblica sicurezza – di cui si
sarebbe dovuta avvalere la
Francia per garantire la continuità dell’ approvvigionamento
di prodotti petroliferi in caso di crisi-, prevista dagli artt. 46 e 58 del
Trattato, sia da motivi imperativi di interesse generale.
Nella
sentenza
del 4 giugno 2002, la Corte
di giustizia delle Comunità europee, a conclusione della causa contro la Francia (C-483/99), ha
giudicato non compatibile la normativa
francese con il diritto comunitario. In particolare la Corte, dopo aver confermato
il legittimo interesse pubblico del rifornimento di prodotti petroliferi per la Francia in caso di crisi,
ha stabilito la necessità di un’interpretazione restrittiva della norma sulle
esigenze di pubblica sicurezza. Tale interpretazione restrittiva vale per la Corte in modo speciale
quando per la protezione di queste esigenze si autorizza una deroga al
principio della libera circolazione dei capitali. La pubblica sicurezza può
essere invocata, a giudizio della Corte, solo in caso di minaccia effettiva e
grave ad un interesse statale.
Secondo la Corte, inoltre, il decreto
francese, stabilendo il potere del Ministro dell’economia di autorizzare il
superamento di limiti massimi di detenzione di titoli azionari della società Elf Aquitaine (sia pur esercitato solo nei
casi di crisi), costituisce un potere discrezionale che reca grave pregiudizio
alla libera circolazione dei capitali, che può portare alla sua soppressione.
Ugualmente, il potere del Ministro di opporsi contro decisioni di cessione o di
attribuzione a titolo di garanzia di elementi patrimoniali rappresenta per la Corte un ampio potere
discrezionale, non limitato da alcuna condizione, andando oltre quanto necessario
per conseguire l’obiettivo di prevenzione di un pregiudizio alla fornitura
minima di prodotti petroliferi in caso di reale minaccia.
In Germania, diversamente da quanto avvenuto nella maggior parte dei
paesi dell’Europa occidentale, non sono state attuate nazionalizzazioni
significative nel secondo dopoguerra. Le imprese pubbliche allora esistenti
appartenevano per lo più ai Länder,
ai comuni e agli altri enti locali. La presenza dello Stato federale si
concentrava nel settore dell’acciaio, del carbone e della cantieristica navale,
mentre i settori chiave dell’esportazione (industria meccanica, chimica e
automobilistica) erano da sempre di proprietà privata. Nonostante i primi tentativi di privatizzazione
realizzati nella prima metà degli anni Sessanta, le imprese pubbliche
continuarono però ad essere ritenute fondamentali per la ricostruzione post
bellica e per lo sviluppo economico del Paese. Fino agli anni Ottanta si è
quindi assistito ad una rapida crescita dell’industria pubblica dovuta, in
particolare, alla competitività e alla forte presenza sui mercati
internazionali di alcune imprese controllate dallo Stato. Un vero e proprio processo di privatizzazione ha avuto inizio nel 1983,
quando, dopo il successo elettorale dei liberalconservatori, la nuova
coalizione di governo CDU-CSU/FDP, guidata da Helmut Kohl, ha autorizzato la
cessione di quote dell’industria automobilistica Volkswagen, dell’azienda chimica ed energetica VEBA e della compagnia di trasporto aereo Deutsche Lufthansa. La vendita delle aziende pubbliche è stata
realizzata seguendo due tipologie di azione: la privatizzazione formale e la
privatizzazione sostanziale. Nel primo caso, riguardante le imprese dipendenti
dalle amministrazioni regionali o locali, il privato si è sostituito al pubblico
attraverso la costituzione di società di diritto privato in cui l’autorità
pubblica rappresenta l’azionista di maggioranza (c.d. privatizzazione formale): è questo il modo in cui, ad esempio, è
stata affidata ai privati la gestione di ospedali, teatri, strade, porti, mense
scolastiche, ecc. Nel caso invece di imprese soggette al controllo del Governo
centrale è stata attuata una privatizzazione
sostanziale: la responsabilità delle operazioni è stata attribuita al
Ministro federale delle finanze con potete di veto sulla gestione della
vendita. Il programma di privatizzazione del Governo Kohl ha inizialmente
interessato l’industria e alcuni settori del terziario (banche e
assicurazioni). A partire dal 1989 i servizi postali e le telecomunicazioni
sono stati liberalizzati e riorganizzati in tre distinte società per azioni: Deutsche Post, Postbank e Deutsche Telekom.
La trasformazione di tali settori e in particolare la transizione verso il
diverso modello occupazionale dell’industria privata, si sono scontrati con
l’opposizione dei sindacati, soprattutto in relazione ai diritti acquisiti e
alla stabilità del posto di lavoro concessa ai dipendenti pubblici.
Nel 1990, a seguito della
riunificazione del Paese che ha contribuito ad elevare lo stato di indebitamento
del bilancio pubblico, è stato avviato un processo di riconversione economica e
industriale. Alla Treuhandanstalt (THA) - un’Agenzia fiduciaria di diritto
pubblico istituita con la legge sulla privatizzazione e riorganizzazione del
patrimonio nazionalizzato (Gesetz
zur Privatisierung und Reorganisation del volkseigenen Vermögens) del 17 giugno 1990 -
è stato affidato il compito di privatizzare, secondo i principi dell’economia
di mercato, le aziende pubbliche dell’ex Repubblica democratica tedesca per
renderle più efficienti e maggiormente competitive. Nei suoi quattro anni di
attività (1990-1994), la
Truehandanstalt è
riuscita a privatizzare circa 8.000 imprese e a liquidarne quasi 4.000 che non
potevano essere ristrutturate. Nel complesso, il 5% delle aziende privatizzate
è divenuto proprietà di persone di origine tedesco orientale, poco meno del 10%
è stato acquistato da investitori stranieri, mentre ben l’85% è stato trasferito
a proprietari della Germania occidentale. Alla fine del 1994 il ricavato finale
delle privatizzazioni ammontava a circa 60 miliardi di marchi, a fronte di più
di 300 miliardi di marchi di spese: gli oltre 200 miliardi di marchi di debito
sono poi confluiti nell’apposito fondo istituito per il rimborso dei debiti
ereditati in seguito all’unificazione dei nuovi Länder (c.d. Erblastentilgungsfond).
Dal punto di vista normativo,
l’ordinamento tedesco non ha una legge quadro sulle privatizzazioni di imprese
pubbliche, pertanto per ciascuna vendita si è reso necessario un apposito
provvedimento. Una specifica normativa regola invece la Kreditanstalt für
Wiederaufbau (KfW), l’Agenzia di diritto pubblico istituita nel 1948
inizialmente al fine di coordinare l’utilizzo dei fondi del Piano Marshall per
la ricostruzione e il sostegno alle imprese, e successivamente utilizzata come holding di partecipazioni destinate al
mercato, presso cui sono stati collocati i pacchetti azionari di numerose
società a partecipazione pubblica. Tra i vari compiti attribuiti alla KfW si
segnala quello di consulente dello Stato nella privatizzazione di imprese
pubbliche, come è accaduto ad esempio nel caso della Deutsche Telekom e della Deutsche
Post. Dall’ultima relazione sulle partecipazioni statali presentata dal
Ministro federale delle finanze all’inizio del 2011 (Beteiligungsbericht
2010) risultano essere 107 le imprese a partecipazione diretta dello
Stato, mentre il numero di partecipazioni dirette con un capitale nominale di
almeno 50.000 euro e una quota azionaria di almeno il 25% si è ridotto da 33 a 30 rispetto all’anno
precedente (2009).
Un caso particolare è
rappresentato dalla casa automobilistica
Volkswagen, oggetto della sentenza
del 23 ottobre 2007, in cui la
Corte di giustizia delle Comunità europee, a conclusione
della causa contro la
Germania (C-112/05), ha affrontato il delicato tema delle
restrizioni alla libertà di circolazione dei capitali sancita dall’art. 56 del
Trattato CE. Al giudizio della Corte sono state sottoposte alcune specifiche
norme della legge che nel 1960
ha disciplinato la trasformazione della Volkswagen da
società a responsabilità limitata a società per azioni (Gesetz
über die Überführung der Anteilsrechte an der Volkswagenwerk Gesellschaft mit
beschränkter Haftung in private Hand - VWGmbHÜG), ritenute dalla
Commissione europea incompatibili con la libera circolazione dei capitali. In
deroga alla disciplina generale delle società per azioni, tali norme
prevedevano: il diritto di voto in assemblea riservato solo agli azionisti con
almeno il 20% delle quote complessive; la necessità di approvare modifiche
statutarie con una maggioranza dell’80% del capitale rappresentato in
assemblea; il diritto attribuito al Governo federale e al Land della Bassa Sassonia di designare due membri ciascuno nel
Consiglio di sorveglianza, purché detentori di azioni della società.
Respingendo le argomentazioni del Governo tedesco sul fatto che il tetto al
diritto di voto e la minoranza di blocco si applicavano a qualsiasi azionista e
non solo a quello pubblico, la
Corte ha appoggiato le richieste della Commissione lasciando
tuttavia inalterato il diritto di veto a possibili tentativi di acquisto della
società. Le modifiche apportate alla legge Volkswagen nel 2008 non sono state
però ritenute sufficienti dalla Commissione europea, che ha quindi deciso di ricorrere
nuovamente al giudizio della Corte di Lussemburgo. In caso di mancato
adeguamento sono state proposte multe particolarmente pesanti: una retroattiva
di € 31.114,72 al giorno dal 23 ottobre 2007 (data della sentenza della Corte)
fino a quando non verrà ulteriormente modificata la legge contestata; l’altra,
notevolmente più elevata, di € 282.725,10 al giorno a decorrere dal nuovo
giudizio della Corte, qualora questo giungesse prima ancora del necessario
adeguamento legislativo.