Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||
Titolo: | L'attività delle Commissioni nella XVI legislatura - VIII Commissione Ambiente | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 8 | ||
Data: | 22/03/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici |
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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L’Unione europea pone le politiche ambientali al centro di una nuova strategia di sviluppo basata sulla sostenibilità e sull’uso efficiente delle risorse. In questa prospettiva l’ambiente acquisisce una nuova centralità e, nel contempo, assume un carattere trasversale alle altre politiche pubbliche, prime tra tutte le politiche territoriali ed energetiche. Del rafforzamento dell’impegno politico verso lo sviluppo sostenibile globale e della transizione verso un’“economia verde” si è, altresì, discusso in sede di Conferenza delle Nazioni unite Rio +20 svoltasi nel mese di giugno 2012.
Nella XVI legislatura, il Parlamento ha avuto modo di dibattere di tali tematiche in occasione dell’esame - nella cosiddetta fase “ascendente” - di alcuni atti europei concernenti le questioni dei cambiamenti climatici (ad esempio il cd. pacchetto clima-energia ), dell’energia e della gestione dei rifiuti (ad esempio la relazione sulla Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti e la Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse), nonché nell’esame di alcuni provvedimenti normativi adottati in recepimento della normativa europea e nello svolgimento di un’intensa attività conoscitiva e di indirizzo e controllo.
La produzione normativa della XVI legislatura – in materia di politiche ambientali e territoriali – è prevalentemente contenuta in decreti legge e decreti legislativi, questi ultimi emanati in attuazione di deleghe anche al fine di adeguare l’ordinamento nazionale alla legislazione europea. Tali provvedimenti sono stati sostanzialmente modificati nel corso dell’esame parlamentare.
Una nuova considerazione delle tematiche ambientali è presente anche nell’esame dei più recenti documenti di bilancio (eco bilancio ed eco rendiconto) e nell’ambito dei documenti di economia e finanza (DEF), che recano specifiche sezioni dedicate proprio allo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (cd. Allegato “Kyoto”). Ciononostante, le risorse finanziarie destinate alle politiche ambientali hanno subito una costante diminuzione nel corso della legislatura nell’ambito delle riduzioni operate dalle manovre di finanza pubblica che si sono susseguite. Risorse ad hoc sono state ovviamente dirette a fronteggiare le numerose emergenze sul territorio nazionale.
In data 8 marzo 2013 il Ministero dell'ambiente, al fine di definire le priorità per la crescita sostenibile dell'Italia, ha presentato il “Rapporto Ocse sulle performance ambientali: Italia 2013 ”, che contiene una serie di valutazioni e raccomandazioni di medio-lungo periodo.
Nel corso della legislatura sono state approvate numerose modifiche al d.lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), che sostanzialmente rappresenta il corpus normativo di riferimento in materia ambientale, in una prima fase attraverso veri e propri interventi correttivi a seguito della delega contenuta nella legge 69/2009 e a motivo del recepimento di alcune direttive europee. Nella seconda fase della legislatura le disposizioni in materia ambientale sono confluite in diversi provvedimenti d’urgenza e non si sono configurate come modifiche organiche degli ambiti di riferimento. In taluni casi, peraltro, si è trattato di disposizioni oggetto di ripetute novelle anche a distanza di pochi mesi e ciò ha determinato una certa "instabilità normativa". Tra le disposizioni maggiormente oggetto di modifica, si segnala ad esempio il sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), la cui disciplina è stata prorogata più volte per le criticità legate all’attuazione.
Le norme approvate nel corso della legislatura in materia ambientale, che comunque non comprendono solo novelle al Codice, hanno riguardato diversi ambiti: i rifiuti, le bonifiche dei siti contaminati , le risorse idriche, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera. Alcune disposizioni non sono state definitivamente approvate in quanto contenute in proposte di legge di iniziativa parlamentare il cui iter non si è concluso (è il caso, ad esempio, della proposta di legge A.S. 3162-B ). E’ necessario peraltro ricordare che nella materia ambientale sono pendenti numerose procedure di infrazione a livello europeo (che riguardano, ad esempio, le discariche, le acque reflue urbane, i depuratori).
Negli ambiti sopra elencati gli interventi adottati sono stati diversi e hanno riguardato i profili procedurali e autorizzatori, le problematiche gestionali e di affidamento, i profili sanzionatori. Alcune misure – soprattutto sotto il profilo procedurale e autorizzatorio – hanno avuto un obiettivo di semplificazione (è il caso, ad esempio, dell’autorizzazione unica ambientale ai sensi dell’art. 23 del D.L. 5/2012).
La crescente attenzione nei confronti delle tematiche ambientali si è tradotta ovviamente non solo nella discussione di provvedimenti legislativi, ma anche in un’intensa attività di indirizzo e controllo. Particolare importanza hanno rivestito gli atti di indirizzo nel quadro del dibattito riguardante i cambiamenti climatici e l’applicazione del Protocollo di Kyoto.
La materia dei rifiuti è stata maggiormente interessata da modifiche in primo luogo con l’emanazione del d.lgs. 205/2010, in recepimento della direttiva 2008/98/CE, che ha sostanzialmente innovato la definizione di “rifiuto” e la disciplina della gestione dei rifiuti . Il decreto ha, pertanto, introdotto nell’ordinamento una nuova disciplina concernente i sottoprodotti e la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), nonché l’indicazione esplicita di criteri di priorità nella gestione dei rifiuti (la cosiddetta gerarchia dei rifiuti), che comprendono le misure di prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero, e smaltimento. Le direttive europee e la nuova strategia considerano i rifiuti come una risorsa e questo richiede anche a livello territoriale modelli di governance efficienti nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti al fine di contrastare le situazioni di emergenza.
E’ stato, infine, istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi , a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento (art. 14 del D.L. 201/2011 da ultimo novellato dall’art. 1-bis del D.L. 1/2013).
Si è già detto inizialmente della crescente importanza della nuova impostazione di fondo delle politiche europee in favore dello sviluppo sostenibile a cui è strettamente connessa la transizione verso un nuovo modello di economia, la cosiddetta green economy , quale opportunità da percorrere nell’attuale contesto di crisi.
Oltre agli interventi cui si è fatto rapidamente cenno, nel corso della XVI legislatura è stata inserita una specifica disciplina volta allo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso misure per favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di veicoli a basse emissioni complessive, specie nel contesto urbano (Capo IV-bis del D.L. 83/2012).
E’ stata, inoltre, modificata la disciplina per la gestione del fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (cd. Fondo Kyoto) al fine di destinare risorse a imprese operanti in settori che possono essere ricompresi nell’ “economia verde” e che, per fruire delle agevolazioni, devono creare nuova occupazione giovanile (art. 57 del D.L. 83/2012).
Di rilevante importanza, nella prospettiva di uno sviluppo dell’economia verde, è stato il dibattito parlamentare che si è svolto sulle tematiche delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica e sulle relative misure adottate. La Commissione ambiente della Camera ha concluso un’indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Un discorso a parte meritano le modifiche normative riguardanti il servizio idrico integrato , che sono state determinate dall’esito favorevole delle consultazioni popolari svoltesi il 12 e il 13 giugno 2011, relativamente all’affidamento e alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nonché alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato.
Sotto il profilo dell’affidamento e della gestione, l’abrogazione dell’articolo 23-bis del d.lgs. 112/2008 ha comportato l’applicazione immediata della normativa europea e l’esclusione del servizio idrico integrato dalla normativa che è stata successivamente approvata (art. 4 del D.L. 138/2011) e dichiarata incostituzionale (sentenza n. 199 del 2012). Al servizio idrico integrato si applicano invece le nuove regole in tema di definizione degli ambiti territoriali ottimali e dei criteri di organizzazione (art. 3-bis del D.L. 138/2011).
Per quanto attiene la regolazione vera e propria, è stata istituita e successivamente soppressa l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, le cui funzioni sono state trasferite al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatta eccezione per quelle attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici che sono esercitate dall’Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Nel corso della legislatura, le politiche in materia di tutela dell’ambiente e di assetto del territorio sono state contraddistinte da molti interventi emergenziali a fronte di dissesti idrogeologici, eccezionali eventi meteorologici, eventi sismici e più in generale emergenze di carattere ambientale.
Di particolare gravità i due terremoti in Abruzzo (aprile 2009) e in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto (maggio 2012) . Le situazioni di emergenza createsi a seguito di tali eventi sismici sono state oggetto di numerosi provvedimenti. Per quanto riguarda l’Abruzzo, il decreto-legge 39/2009 ha previsto una serie di interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma, mentre con il D.L. 83/2012 è stata disciplinata la chiusura dell'emergenza (artt. da 67-bis a 67-sexies).
Lo stato di emergenza in Emilia Romagna, Lombardia è stato prorogato fino al 31 maggio 2013 e ed è stato oggetto di numerose disposizioni contenute in vari provvedimenti d’urgenza emanati negli ultimi mesi (D.L. 74/2012, artt. 10 e 67-septies del D.L. 83/2012, artt. 3-bis e 7 del D.L. 95/2012, nonché art. 11 del D.L. 174/2012) dirette alle popolazioni e alle imprese che hanno subito danni in conseguenza degli eventi sismici.
Per quanto concerne le emergenze ambientali , la situazione di criticità nella gestione dei rifiuti non ha interessato solo la Campania, ma anche altre regioni italiane (Lazio, Calabria, Sicilia).
Si segnala, infine, la situazione di emergenza ambientale nell’area di Taranto (D.L. 129/2012) che è collegata alle vicende che hanno interessato lo stabilimento ILVA (D.L. 207/2012).
Le situazioni di emergenza hanno avuto un impatto notevole sul territorio e, per tale, ragione il Parlamento ha messo in evidenza, anche attraverso l'indagine conoscitiva sulle politiche per la difesa del suolo, la necessità di rafforzare la prevenzione e la pianificazione degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, nonché di destinare maggiori risorse finanziarie agli interventi medesimi.
Per quanto riguarda il governo del territorio , non è stato concluso l’esame delle proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a riformare la legge urbanistica (A.C. 329 e abb.) per una definizione dei principi fondamentali in una materia in cui le regioni hanno emanato discipline di dettaglio definendo le competenze degli enti territoriali. Il dibattito nella Commissione di merito ha comunque fatto emergere importanti orientamenti con riferimento all’esigenza di definire nuovi modelli di pianificazione più flessibili e introdurre principi generali in materia di perequazione e compensazione urbanistica.
E’ stata, poi, riconosciuta l’importanza di definire politiche di riqualificazione delle aree urbane , specialmente di quelle degradate (in tal senso le misure contenute nell’art. 5, commi 9-14, del D.L. 70/2011 e il Piano nazionale per le città di cui all’art. 12 del D.L. 83/2012). E’ stata, inoltre, approvata una legge volta a incentivare lo sviluppo degli spazi verdi urbani (legge n. 10/2013).
Sono state introdotte alcune norme di semplificazione per il rilascio delle autorizzazioni in materia paesaggistica per interventi di lieve entità (D.P.R. 139/2010 e art. 44 del D.L. 5/2012) e delle procedure attuative dei piani urbanistici (art. 5, comma 8, del D.L. 70/2011).
Il Parlamento ha, infine, dedicato una specifica attenzione al tema della sicurezza sismica nell'ambito di un'apposita indagine conoscitiva, che però non si è conclusa.
La protezione civile è stata interessata da importanti riforme nel corso della XVI legislatura. Un primo rilevante intervento ha, tra l’altro, introdotto sostanziali innovazioni nel finanziamento delle emergenze, per un verso, autorizzando la regione colpita da calamità naturali a deliberare l’aumento delle imposizioni tributarie o delle addizionali di propria competenza, compresa l'accisa sulla benzina e, per l’altro, a ricorrere – in caso di insufficienza delle predette risorse – alle risorse statali (commi 5-quater e 5-quinquies dell'articolo 5 della legge n. 225/92 come modificata dal D.L. 225/2010).
A seguito della pronuncia di incostituzionalità, che ha parzialmente investito il predetto sistema di finanziamento (sentenza n. 22 del 2012), e anche in conseguenza dell’abrogazione della disciplina che consentiva al Dipartimento della protezione civile di operare con riferimento ai grandi eventi diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza, si è posta la necessità di un intervento di riforma della legge n. 225/92 istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile. Il D.L. 59/2012 ha, pertanto, innovato la disciplina degli stati di emergenza e del potere di ordinanza e disposto l’utilizzo prioritario delle risorse statali per il finanziamento delle emergenze.
Nel corso della XVI legislatura, la normativa in materia di bonifiche dei siti inquinati è stata oggetto di modifiche contenute in alcuni provvedimenti d'urgenza adottati nella seconda fase della legislatura. Della bonifica dei siti inquinati si è altresì discusso in occasione dell'approvazione di atti di indirizzo e dell'esame di proposte di legge di iniziativa parlamentare.
Le modifiche alla disciplina concernente la bonifica dei siti inquinati - contenuta nella parte quarta del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale) - hanno interessato innanzitutto le procedure operative e amministrative che regolano le operazioni di bonifica e di messa in sicurezza dei siti.
In particolare, l'art. 40, comma 5, del D.L. n. 201/2011, attraverso una novella ai commi 7 e 9 dell'art. 242 del D.lgs. 152/2006, ha consentito l’articolazione del progetto per fasi distinte, al fine di rendere possibile la realizzazione per singole aree o per fasi temporali successive, nel caso di interventi di bonifica o di messa in sicurezza che presentino particolari complessità a causa della natura della contaminazione, delle dotazioni impiantistiche necessarie o dell'estensione dell'area interessata dagli interventi medesimi. Sono state, altresì, estese le disposizioni riguardanti la messa in sicurezza operativa del sito a tutti i siti inquinati e non solo a quelli con attività in esercizio. E', inoltre, consentita l’autorizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica che siano condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi.
La lettera f-bis del comma 1 dell'art. 24 del D.L. 5/2012 ha ulteriormente novellato il comma 7 del citato art. 242 del D.Lgs. n. 152/2006 al fine di prevedere che, nell’ambito dell’articolazione per fasi temporali diverse dei progetti di interventi di bonifica o messa in sicurezza che presentino particolari complessità, possa essere valutata l’adozione di tecnologie innovative, di dimostrata efficienza ed efficacia, a costi sopportabili resesi disponibili a seguito dello sviluppo tecnico-scientifico del settore.
Da ultimo, si segnala che l'art. 3, comma 4, del D.L. n. 2/2012 ha modificato la definizione di “sito” recata dall'art. 240, comma 1, lett. a), del Codice, prevedendo che, ai fini dell’applicazione della disciplina riguardante la bonifica dei siti contaminati, i materiali di riporto sono inclusi espressamente nelle matrici ambientali, che comprendono suolo, sottosuolo ed acque sotterranee.
L'art. 48 del D.L. 1/2012 ha riscritto la normativa in materia di trattamento dei materiali di dragaggio di aree portuali e marino-costiere nei siti oggetto di interventi di bonifica di interesse nazionale (SIN), che consente di effettuare le operazioni di dragaggio anche contestualmente alla predisposizione del progetto di bonifica. Le innovazioni hanno riguardato la procedura per la presentazione del progetto di dragaggio e la sua approvazione definitiva, nonché il riutilizzo dei materiali. A quest'ultimo riguardo, infatti, sono stati previsti quattro tipi di reimpiego dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio, in mare e a terra.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato i materiali provenienti dal dragaggio dei fondali di porti non compresi nei siti di interesse nazionale.
L’art. 36-bis del D.L. 83/2012 - novellando tra l'altro l'art. 252 del D.Lgs. 152/2006 - ha introdotto una serie di disposizioni in materia di siti inquinati di interesse nazionale (SIN) volte, per un verso, a incidere sui criteri di individuazione dei siti e, per l'altro, a modificare l'elenco dei siti, che attualmente sono cinquantasette.
In particolare, tra i principi e criteri direttivi da seguire per l’individuazione dei SIN, è stato inserito un nuovo criterio che tiene conto dei siti interessati, attualmente o in passato, da attività di raffinerie, impianti chimici integrati, acciaierie. Si prevede, comunque, che siano in ogni caso individuati quali siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, i siti interessati da attività produttive ed estrattive di amianto.
I commi 3 e 4 prevedono rispettivamente l’emanazione di un decreto del Ministro dell'ambiente, sentite le regioni interessate, finalizzato alla ricognizione dei siti classificati di interesse nazionale che non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 252, comma 2, del Codice e la possibilità di ridefinizione del perimetro dei SIN, su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli enti locali interessati.
Specifica attenzione, infine, è stata dedicata all’emergenza ambientale nel sito di interesse nazionale localizzato nell'area di Taranto a motivo della situazione venutasi a creare anche in relazione alle vicende dello stabilimento ILVA. Disposizioni urgenti per il risanamento ambientale e la riqualificazione dell'area di Taranto sono contenute nel D.L. 129/2012, che non è stato modificato nel corso dell'esame parlamentare. Si ricorda, inoltre, che la delibera CIPE n. 87/2012 ha approvato l'assegnazione di 1.060,48 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento degli interventi nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia per la manutenzione straordinaria del territorio, ivi inclusi interventi nel settore delle bonifiche.
L'articolo 36 del D.L. 83/2012, ai commi 1 e 4, ha introdotto alcune semplificazioni di adempimenti burocratici per il settore petrolifero, con particolare attenzione al settore della raffinazione, che rigurdano anche le operazioni di bonifica.
Nel caso di attività di reindustrializzazione dei siti contaminati, anche di interesse nazionale, nonché nel caso di chiusura di impianti di raffinazione e loro trasformazione in depositi, è consentita la prosecuzione dei sistemi di sicurezza operativa già in atto senza necessità di procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del progetto di riutilizzo delle aree interessate attestante la non compromissione degli eventuali successivi interventi di bonifica.
Si prevede, infine, che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotti procedure semplificate per le operazioni di bonifica relative alla rete di distribuzione dei carburanti.
L'articolo 2 del decreto-legge 208/2008 ha introdotto una procedura alternativa di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate e al risarcimento del danno ambientale.
In particolare, nell’ambito degli strumenti di attuazione di interventi di bonifica e messa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale, il Ministero dell’ambiente può predisporre uno schema di contratto per la stipula di una o più transazioni globali, con una o più imprese interessate, pubbliche o private, in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica e di ripristino, nonché del danno ambientale, e degli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento.
Oltre all’esame dei provvedimenti normativi precedentemente citati, l’attenzione del Parlamento in materia di bonifica dei siti inquinati è stata diretta allo svolgimento di un'attività di indirizzo e di controllo nei confronti del Governo. Tra gli atti di indirizzo, si segnala l’approvazione della mozione 1-00584 da parte dell'Assemblea della Camera nella seduta dell' 8 marzo 2011 volta ad impegnare il Governo, tra l’altro, a promuovere l'adeguamento della normativa ambientale garantendo certezza dei tempi nell'attuazione delle operazioni di bonifica, nonché ad assicurare la disponibilità di adeguate risorse finanziarie per le attività di bonifica.
Nel corso della legislatura, infine, non è stato concluso l’esame di una proposta di legge di iniziativa parlamentare (3162-B) recante modifiche al D.Lgs. 152/2006 tra le quali, agli articoli 10 e 26, sono comprese anche disposizioni concernenti rispettivamente gli interventi di manutenzione e di adeguamento e le procedure semplificate per le operazioni di bonifica o di messa in sicurezza.
Sui decreti legge
Sulle proposte di legge di inziativa parlamentare
Nel corso della XVI legislatura, il tema dei cambiamenti climatici è stato affrontato in numerose occasioni dal Parlamento attraverso l'approvazione di atti di indirizzo e nel corso dell'esame "in fase ascendente" di atti europei. Sono state, altresì, approvate talune norme volte, per un verso, alla tutela e alla riduzione delle emissioni di gas serra e, per l'altro, a incentivare i settori della cosiddetta green economy.
Il tema dei cambiamenti climatici è stato dibattuto in numerose occasioni nel corso dell'attività parlamentare della XVI legislatura. Nella prima fase della legislatura, sono stati approvati importanti atti di indirizzo, che hanno impegnato il Governo ad adottare specifiche iniziative in tali ambiti, e documenti in esito all'esame di atti europei concernenti il pacchetto clima energia, il riesame della politica ambientale e più in generale lo sviluppo sostenibile nella prospettiva di un nuovo modello di sviluppo basato sull'utilizzo efficiente delle risorse.
Il cosiddetto pacchetto clima-energia, di cui fanno parte una serie di misure per una nuova politica energetica, si inserisce nell’azione di politica climatica dell’UE intesa a modificare la struttura del consumo energetico da parte degli Stati membri attraverso misure vincolanti finalizzate a raggiungere i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:
In tale ambito, il documento finale approvato dalla Commissione ambiente della Camera Doc. XVIII, n. 7 ha impegnato il Governo, tra l’altro, a: valorizzare i meccanismi di flessibilità previsti dal pacchetto; garantire un'applicazione quanto più ampia possibile del concetto di carbon leakage (vale a dire dell'esclusione dal pacchetto delle imprese esposte al rischio di spostamento delle emissioni di CO2 al di fuori dell'Unione europea), soprattutto con riferimento alle imprese di piccola e media dimensione, ovvero a particolari comparti manifatturieri; affermare il carattere non vincolante degli obiettivi intermedi, per lasciare i Paesi liberi di raggiungerli nella maniera più funzionale alla loro struttura produttiva e alle caratteristiche proprie di ogni Stato membro.
Successivamente, con la mozione n. 1-00122, approvata nella seduta del 24 febbraio 2009 , la Camera ha impegnato il Governo a realizzare una serie di iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile, intervenendo nei settori della mobilità, dell’edilizia, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e delle politiche sostenibili.
Analoghe finalità sono contenute nella mozione n. 1-00065, approvata nella seduta del 27 novembre 2008, che ha impegnato il Governo ad intraprendere un'azione coordinata in campo ambientale.
Sulla questione dei cambiamenti climatici e delle connesse politiche pubbliche è stata approvata la mozione n. 1-00290 in data 25 novembre 2009 , mentre nella seduta del 12 gennaio 2010 è stata approvata la mozione n. 1-00269, che ha impegnato il Governo a creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico.
Nella seduta del 17 marzo 2010 la Camera ha approvato le mozioni n. 1-00342 e n. 1-00346 concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica, impegnando il Governo, tra l'altro, a sostenere incentivandolo il settore della green economy al fine di rilanciare politiche di risparmio energetico utili all'economia del Paese ed alla soluzione dei principali problemi dell'ambiente.
L'11 dicembre 2009 la Commissione ambiente della Camera ha approvato il documento finale sul Libro bianco in materia di adattamento ai cambiamenti climatici, nonché sul riesame della politica ambientale e della strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile. La Commissione ha sottolineato l’esigenza di promuovere iniziative, anche di carattere normativo, in taluni ambiti che potrebbero contribuire a ridurre le emissioni in maniera efficace e duratura: energia, edilizia, trasporto, ambiente, settore idrico, agricoltura. La Commissione ha inoltre evidenziato la necessità di integrare le politiche ambientali nelle altre politiche comunitarie settoriali ed ha auspicato una maggiore sinergia con la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione; ha sottolineato l’importanza delle politiche di incentivazione dell’innovazione tecnologica e di prodotto; ha infine auspicato l'introduzione, così come raccomandato a livello europeo, di indicatori di qualità della vita che vadano oltre il PIL.
Nel corso della legislatura si sono tenute le sessioni annuali delle conferenze delle parti nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comunemente conosciute come COP, l'ultima delle quali si è tenuta a Doha (Qatar) dal 26 novembre all'8 dicembre 2012 (per una consultazione dei relativi documenti si veda il sito dell’UNFCCC).
Le competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato hanno svolto un'intensa attività conoscitiva sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici e all'attuazione del protocollo di Kyoto. In proposito, si segnala che, nel corso dell'audizione del 6 ottobre 2011 presso le Commissioni riunite ambiente e politiche europee della Camera e del Senato il Commissario europeo per l'azione per il clima ha fornito elementi di informazione in ordine alle politiche europee in materia di cambiamenti climatici ponendo l’attenzione sull’importanza di aumentare l’efficienza energetica e diminuire la dipendenza dell’Europa dall’importazione di combustibili fossili.
La Commissione ambiente del Senato ha svolto un ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche relative alle fonti di energia alternative e rinnovabili, con particolare riferimento alla riduzione delle emissioni in atmosfera e ai mutamenti climatici, anche in vista delle conferenze delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
La Commissione ambiente della Camera ha svolto un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili approvando, nella seduta del 23 maggio 2012, il documento conclusivo.
Le Commissioni, inoltre, hanno esaminato i documenti allegati al DEF (Documento di economia e finanza), sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi, predisposti ai sensi dell’art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39. L'ultimo documento esaminato è l'allegato al DEF 2012.
Si rinvia, infine, alla scheda di approfondimento L'attuazione del Protocollo di Kyoto per informazioni più dettagliate con riguardo al Protocollo.
Nel corso della legislatura è divenuto operativo il Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, istituito dall’art. 1, commi 1110-1115, della L. n. 296/2006, attraverso la pubblicazione della circolare del 16 febbraio 2012 del Ministero dell'ambiente, che ha definito le modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato previsti dal Fondo.
Successivamente l'art. 57 del D.L. 83/2012 è intervenuto sulla destinazione delle risorse del Fondo rotativo, per un verso, modificando il novero dei settori in cui operano i soggetti destinatari dei finanziamenti e, per l’altro, disponendo che i finanziamenti siano destinati a progetti che devono prevedere l’assunzione a tempo indeterminato di persone con età non superiore a 35 anni.
Il D.Lgs. 128/2010 (cosiddetto terzo correttivo), a seguito della delega contenuta nella legge 69/2009, ha apportato una serie di correzioni ed integrazioni alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), che hanno riguardato la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera. La revisione ha interessato, in via prioritaria, le definizioni, tra le quali la distinzione tra nozione di impianto e nozione di stabilimento, indispensabile per la definizione degli adempimenti che ricadono sui gestori e sull'amministrazione; la definizione delle autorità competenti per il controllo delle piattaforme off-shore e dei terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore; l’applicazione della disciplina speciale agli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore a 3 MW.
Ulteriori integrazioni al Codice sono contenute nell’art. 34 della L. 99/2009 (e riguardano la parte II dell’allegato IX alla Parte quinta, che tratta dei requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili) e sono finalizzate all’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella europea, in particolare in tema di impianti a condensazione.
Specifiche disposizioni in materia di caratteristiche tecniche e scarichi degli impianti termici civili e siti negli edifici sono, infine, dettate dall’art. 34, commi 52 e 53, del D.L. 179/2012.
Il d.lgs. n. 155 del 2010, di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, non si è limitato a recepire la direttiva, ma ha istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente stabilendo anche valori limite e soglie critiche di concentrazione nell’aria di taluni inquinanti. Il D.lgs. n. 155 è stato, da ultimo, modificato dal D.Lgs. 250/2012.
Si segnala, infine, che le Commissioni VIII e IX della Camera hanno approvato, nella seduta del 15 giugno 2010, la risoluzione n. 8-00074 su alcune misure volte a ridurre l’inquinamento atmosferico anche per rispondere ai rilievi europei in merito al superamento delle concentrazioni in atmosfera di PM10 registrati in alcune zone ricadenti sul territorio nazionale
In attuazione delle direttive facenti parte del pacchetto clima energia, al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas-serra, il D.lgs. 162/2011, recependo la direttiva 2009/31/CE, ha definito un quadro di misure per garantire lo stoccaggio geologico permanente di biossido di carbonio (CO2) in formazioni geologiche profonde (carbon capture and storage).
Il d.lgs. n. 55 del 2011, recante l'attuazione della direttiva 2009/30/CE, ai fini della tutela della salute e dell'ambiente, ha stabilito le specifiche tecniche dei combustibili destinati all'utilizzo nei motori ad accensione comandata e nei motori ad accensione per compressione, nonché un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita di tali combustibili.
Il 5 maggio 2012 è entrato in vigore il Dpr 27 gennaio 2012, n. 43, che attua sul territorio nazionale quanto previsto dal regolamento (Ce) n. 842/2006/Ce, al fine di rendere sicuro l'utilizzo di determinati gas a effetto serra fluorurati negli apparecchi e nei prodotti.
Le competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato hanno esaminato uno schema di decreto legislativo recante sanzioni per la violazione delle disposizioni derivanti dal regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra (atto del Governo n. 517) esprimendo il parere nella seduta del 19 dicembre (Camera) e nella seduta del 18 dicembre 2012 (Senato).
Sulla base della delega recata dalla legge comunitaria 2009 (L. 96/2010), le competenti Commissioni parlamentari hanno, infine, esaminato lo schema di decreto legislativo (atto del Governo 528), in attuazione della direttiva 2009/29/CE, che modifica la direttiva 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per Io scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra. Le Commissioni della Camera e del Senato hanno espresso rispettivamente il parere nelle sedute dell'11 febbraio e del 5 febbraio 2013.
Da ultimo, il CIPE nella seduta dell'8 marzo 2013 - secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale - ha approvato il Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra.
Al fine di promuovere veicoli a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico nel trasporto su strada è stato adottato il d.lgs. n. 24 del 2011 in attuazione della direttiva 2009/33/CE. Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 125 ha invece recepito la direttiva 2009/126/CE relativa alla fase II del recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio.
Di rilevante importanza, infine, la previsione di una specifica disciplina per favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di veicoli a basse emissioni complessive, specie nel contesto urbano (Capo IV-bis del D.L. 83/2012).
Sulle conferenze delle parti
Sugli allegati al Documento di economia e finanza
Sugli ulteriori interventi normativi per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra
Sul D.L. 83/2012
Sul D.lgs. 128/2010 (terzo correttivo)
Sulle emissioni dei veicoli
Sulle ulteriori norme per la tutela e la qualità dell'aria
Il 6 ottobre 2010 le Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati hanno avviato l’esame delle proposte di legge C. 2844 e C. 3553, alle quali è stata successivamente abbinata la proposta di legge C. 3773, tutte aventi ad oggetto disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive.
Le due commissioni hanno approvato un testo unificato nella seduta del 23 maggio 2012, poi modificato con l’approvazione di alcuni emendamenti nella seduta del 19 giugno 2012.
Successivamente le disposizioni del testo elaborato dalle Commissioni sono state trasfuse, con alcune modifiche in particolare per quanto concerne l’entità delle risorse messe a disposizione, nel Capo IV-bis (articoli da 17-bis a 17-duodecies) del D.L. n. 83/2012 (legge n. 134/2012), introdotto nel corso dell’esame parlamentare.
In particolare, L'articolo 17-bis reca le finalità e definizioni del Capo IV-bis: le prime consistono nell’incentivazione della mobilità sostenibile attraverso la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici, la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive e l’acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida. Sono definiti veicoli a basse emissioni complessive quelli a trazione elettrica, ibrida, GPL, a metano, a biometano, a biocombustibili ed a idrogeno che producono emissioni di anidride carbonica non superiori a 120 g/Km. L'articolo 17-ter prevede che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. il Governo promuova un’intesa con le Regioni per assicurare l’armonizzazione degli interventi in materia di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica; entro il medesimo termine le Regioni emanano le disposizioni legislative di loro competenza, nel rispetto dei principi fondamentali del presente Capo e dei contenuti dell’intesa. Il nuovo articolo 17-quater prevede che le reti infrastrutturali di ricarica siano rispondenti agli standard fissati dagli organismi di normazione europea ed internazionale IEC (International Electrotechnical Commission) e CENELEC (Comité Européèn de Normalisation Electrotechnique). Sono fatte salve le competenze dell’UE. L'articolo 17-quinquies stabilisce, al comma 1, che entro il 1° giugno 2014 i comuni adeguino i propri regolamenti sull’attività edilizia in modo da prevedere che per gli edifici di nuova costruzione ad uso diverso da quello residenziale di superficie superiore ai 500 mq e per i relativi interventi di ristrutturazione, l’installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica dei veicoli sia obbligatoria ai fini del conseguimento del titolo abilitativo edilizio, con esclusione degli immobili di proprietà delle Amministrazioni pubbliche. Il comma 2 prevede che l’installazione delle infrastrutture di ricarica elettrica negli edifici in condominio sia approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. In caso di mancata deliberazione dell’assemblea entro tre mesi dalla richiesta, il condomino interessato può installare a proprie spese le infrastrutture di ricarica (comma 3). L'articolo 17-sexies prevede che le infrastrutture, anche private, destinate alla ricarica dei veicoli elettrici costituiscano opere di urbanizzazione primaria. L'articolo 17-septies prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L., con DPCM, previa deliberazione del CIPE e d’intesa con la Conferenza unificata, venga approvato un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli elettrici. Il Piano è aggiornato entro il 30 giugno di ogni anno. Il MIT promuove accordi di programma, approvati con DPCM, previa deliberazione del CIPE e d’intesa con la Conferenza unificata, per concentrare gli interventi del Piano in funzione delle effettive esigenze. I comuni possono concedere esoneri e agevolazioni sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche in favore dei proprietari di immobili che installano e attivano infrastrutture di ricarica elettrica veicolare. Il Piano è finanziato da un apposito Fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro per il 2013 e di 15 milioni per ciascuna annualità 2014 e 2015. (il testo approvato dalle Commissioni prevedeva un finanziamento permanente di 70 milioni per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 e finanziato per gli anni successivi al 2015 in Tabella D della legge annuale di stabilità). L'articolo 17-octies prevede un’apposita linea di finanziamento, a valere sulle risorse del fondo rotativo per il sostegno delle imprese e gli investimenti in ricerca, per programmi di ricerca tecnologica volti alla realizzazione delle reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici. L'articolo 17-nonies prevede che, entro un mese dall’approvazione del Piano nazionale di cui all’art. 17-septies, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formuli indicazioni all’Autorità per l’energia elettrica e il gas concernenti le reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici.
L'articolo 17-decies prevede un contributo per l’acquisto, anche in locazione finanziaria, di un veicolo nuovo a basse emissioni complessive previa consegna di un veicolo da rottamare da parte del proprietario o dell’utilizzatore, in caso di locazione finanziaria, da almeno 12 mesi. Il contributo è riconosciuto in percentuale del 20% (nel 2013 e 2014) o del 15% (nel 2015) del prezzo d’acquisto, fino a determinati massimali: un massimale di 5000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 3500 euro per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 50 gr/km (sostanzialmente auto elettriche); un massimale di 4000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 3000 euro nel 2015 per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 95 gr/km (sostanzialmente auto ibride); un massimale di 2000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 1800 euro nel 2015 per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 120 gr/km (sostanzialmente auto con metano o GPL). Il contributo spetta per i veicoli acquistati e immatricolati, a seguito della modifica recata dall'art. 1, co. 422, della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) tra il trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto attuativo previsto dall' art. 17-undecies e il 31 dicembre 2015 (nel testo orginario il termine a quo era individuato nel 1° gennaio 2013), ed è inteso come ripartito in parti uguali tra un contributo statale ed uno sconto praticato dal venditore. Le imprese costruttrici o importatrici del veicolo nuovo rimborsano al venditore l'importo del contributo e recuperano detto importo quale credito di imposta. Il nuovo articolo 17-undecies istituisce, nello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico, un Fondo - dotato, a seguito della riduzione operata dall'art. 1 co. 559, della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) di 40 milioni di euro per il 2013, di 35 milioni di euro per l'anno 2014 e di 45 milioni di euro per l'anno 2015 - per l’erogazione dei contributi statali, prevedendo altresì la ripartizione per l’anno 2013: 15 milioni di euro da destinare agli incentivi di veicoli con emissioni complessive non superiori a 50 g/km (elettriche) ed a 95 g/km (ibride), destinando il 70 per cento delle risorse alla sostituzione di veicoli pubblici e privati destinati ad uso di terzi e di auto aziendali; 25 milioni di euro da destinare all'acquisto di veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 120 gr./km (sostanzialmente auto con metano e GPL) per la sostituzione di veicoli publici o privati destinati all'uso di terzi e di veicoli strumentali nell'esercizio di imprese, arti e professioni. Per gli anni 2014 e 2015 la ripartizione verrà stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun anno). Le modalità per la preventiva autorizzazione all’erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi previsti dall'articolo 17-decies saranno stabilite tramite un decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L., di concerto con il Ministero dell' economia e delle finanze. Il decreto non risulta ancora adottato. Lo stesso Ministero dello sviluppo economico, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze, potrà stipulare apposite convenzioni con società od enti scelti tramite gara per la gestione della misura di agevolazione, al fine di assicurare il rispetto del limite di spesa, attraverso il tempestivo monitoraggio delle disponibilità del predetto fondo.
Il nuovo articolo 17-duodecies reca la copertura finanziaria.
Il pacchetto clima-energia, entrato in vigore nel giugno 2009 dando seguito alle indicazioni del Consiglio europeo, si inserisce nell’azione di politica climatica dell’UE intesa a modificare la struttura del consumo energetico da parte degli Stati membri attraverso misure vincolanti finalizzate a raggiungere i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:
L'Unione europea si è presentata alla Conferenza di Copenaghen - svolta sotto l’egida dell’ONU tra il 7 e il 18 dicembre 2009 e intesa a istituire per i cambiamenti climatici un regime globale per il periodo successivo al 2012 - come l’unico attore mondiale ad aver anticipato gli impegni che essa intende assumersi nell’ambito di un regime climatico globale che preveda la significativa corresponsabilizzazione di tutti i paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo, che punti a contenere l’aumento della temperatura su scala mondiale entro 2 °C e che distribuisca in maniera equa gli oneri fra tutti i principali soggetti che intervengono. di Copenaghen
La legislazione adottata assegna a ciascuno Stato membro obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 quantificati e vincolanti. In particolare, l’accordo di compromesso raggiunto dal Consiglio europeo ha consentito l’adozione di un pacchetto di atti normativi (tre direttive e una decisione) riguardanti, rispettivamente la promozione dell’energia da fonti rinnovabili , la definizione dell’ambito di applicazione del sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione (Emission Trading System ETS-UE), lo stoccaggio geologico di CO2, nonché la ripartizione degli sforzi cui ciascuno degli Stati membri deve far fronte affinché l’UE rispetti gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2020.
Il compromesso e gli atti normativi che ne sono scaturiti prevedono, tra l’altro, che le imprese esposte a rischio di rilocalizzazione possano ricevere quote gratuite di emissione. I settori interessati sono stati individuati sulla base di parametri atti a valutare l’incidenza dei costi aggiuntivi derivanti dall’applicazione della normativa proposta sulla capacità concorrenziale di uno specifico settore. Per i settori non esposti al rischio di rilocalizzazione dal 2013 è previsto un progressivo aumento delle assegnazioni di quote mediante vendita all’asta.
A tali atti normativi vanno poi aggiunti un regolamento che fissa a 130 g/km a vettura i livelli di emissione di CO2 delle autovetture nuove entro il 2015, ed una direttiva sugli standard dei combustibili che fissa limiti al tenore di zolfo per il diesel e consente un maggior utilizzo di biocarburanti nella benzina.
L’impegno dell’UE a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2 ha trovato conferma nella strategia “Europa 2020" per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva approvata dal Consiglio europeo del giugno 2010, nella quale l’energia figura tra i settori d’intervento prioritari e in cui risultano integrati gli obiettivi UE fissati dal pacchetto clima-energia per il 2020 - ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20%, aumentare la quota di energie rinnovabili al 20% e migliorare l'efficienza energetica del 20%. “Europa 2020” pone la crescita sostenibile al centro di una visione strategica che, in linea con gli obiettivi UE in materia di cambiamenti climatici, intende trasformare l’Europa nella regione in assoluto più compatibile col clima, proiettata verso un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente in termini di risorse e resiliente sotto il profilo climatico.
In tale contesto la Commissione europea ha definito innanzitutto le priorità energetiche dell’UE per il prossimo decennio nella nuova strategia (COM(2011)639) per un’energia competitiva, sostenibile e sicura, presentata il 10 novembre 2010. energetiche
La questione energetica e i temi ad essa collegati sono stati affrontati dal Consiglio europeo del 4 febbraio 2011 che, nelle sue conclusioni, ha sottolineato l’esigenza di potenziare gli investimenti nel settore dell’efficienza energeticae delle infrastrutture, nonché di promuovere l'innovazione attraverso un approccio strategico e integrato, ribadendo l’urgenza di introdurre nei mercati europei nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio e ad elevate prestazioni senza le quali l'UE non potrà riuscire nel suo intento di decarbonizzare, entro il 2050, i settori maggiormente responsabili delle emissioni di CO2 – elettricità e trasporti. Nella stessa occasione, il Consiglio europeo ha rinviato al 2013 l’eventuale riesame dell’obiettivo del 20% di risparmio energetico e la considerazione di ulteriori misure, se necessarie, ritenendo comunque non giustificata la fissazione di obiettivi aggiuntivi e vincolanti in materia di efficienza energetica.
Entro tale schema e al fine di rendere più facilmente raggiungibile l’obiettivo del 20% di risparmio energetico entro il 2020 il 4 ottobre 2012 il Consiglio ha approvato definitivamente la nuova direttiva sull’efficienza energetica. Il testo approvato, pur senza fissare obiettivi vincolanti per gli Stati membri, prevede la definizione di obiettivi indicativi nazionali di risparmio energetico in tema di ristrutturazione degli edifici pubblici, di piani di risparmio energetico per le imprese pubbliche e audit energetici per tutte le grandi imprese, e fornisce indicazioni per l’individuazione di strumenti di finanziamento delle misure di efficienza energetica. La Commissione ha in più occasioni auspicato che gli Stati membri provvedano a un rapido recepimento prima del termine fissato al 5 giugno 2014.
In secondo luogo, la Commissione ha definito una strategia di ampio respiro che, nel quadro della strategia Europa 2020, stimoli i soggetti economici e industriali operanti nel mercato interno dell’UE a investire nell’innovazione tecnologica con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e di utilizzare in maniera efficiente energia e risorse. Tale strategia si compone di un insieme di iniziative faro intese a:
Nel contesto fin qui descritto, la dimensione climatica rappresenta, a livello sia europeo sia nazionale, un’opzione strategica da includere in tutte le politiche atte a promuovere l'ecoinnovazione, i prodotti e i sistemi efficienti sotto il profilo energetico. Va ricordato infine che l’UE è tuttora impegnata nella valutazione della fattibilità di un aumento del tasso di riduzione delle emissioni di CO2 al 30% entro il 2020, nel quadro di un accordo globale e completo per il periodo successivo al 2012, in presenza di analoghi impegni di riduzione da parte degli altri Paesi sviluppati.
Il passaggio ad un’economia verde è affrontato dalla Commissione europea anche nel contesto dello sviluppo sostenibile globale per il quale la Commissione propone di: investire in risorse chiave e nel capitale naturale (ad esempio, risorse idriche, energie rinnovabili, risorse marine, biodiversità e servizi ecosistemici, agricoltura sostenibile, foreste, rifiuti e riciclaggio); combinare strumenti normativi e di mercato; migliorare la governance e incoraggiare la partecipazione del settore privato. In una risoluzione del 29 settembre 2011 il Parlamento europeo si è unito alla richiesta di una Roadmap globale per un’economia verde che definisca target “responsabili”, comprensivi di obiettivi globali sull'energia rinnovabile e l'efficienza energetica, nonché l’interruzione entro il 2020 di tutte le forme di incentivo che provocano danni all'ambiente.
La creazione di un mercato mondiale del carbonio basato sul sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (EU-ETS) è uno degli obiettivi prioritari della strategia climatica dell’UE. Il sistema di scambio di quote di emissione è disegnato per consentire alle imprese partecipanti di acquistare o vendere quote di emissione in maniera tale che i tagli delle emissioni possano essere raggiunti in maniera efficiente in termini di costi. La direttiva 2009/29/CE, contenuta nel pacchetto clima-energia, perfeziona il sistema UE-ETS e lo estende a tutte le grandi fonti industriali di emissioni, ad esempio le centrali elettriche. I paesi aderenti possono scambiare le rispettive quote nell'ambito di un contingente globale fissato a livello europeo. La nuova direttiva, in particolare, prevede un sistema di aste, dal 2013, per l'acquisto delle quote di emissione, i cui introiti andranno a finanziare misure di riduzione delle emissioni e di adattamento al cambiamento climatico. Viene altresì previsto che il quantitativo comunitario di quote rilasciate ogni anno a decorrere dal 2013 diminuisca in maniera lineare, a partire dall’anno intermedio del periodo 2008-2012, di un fattore pari all’1,74% rispetto al quantitativo medio annuo totale di quote rilasciate dagli Stati membri conformemente alle decisioni della Commissione sui loro piani nazionali di assegnazione per il periodo 2008-2012. Secondo la Commissione, tale impegno dovrebbe tradursi, entro il 2020, in una riduzione complessiva delle emissioni di CO2 del 21% a livello dell'UE rispetto al 2005. A partire dal 2020, i permessi nei settori non esposti al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio saranno messi gradualmente all’asta - 70% delle quote nel 2020, fino al 100% nel 2027 - con eccezione del settore dell’energia elettrica, per il quale si prevede che già nel 2020 la percentuale di quote da mettere all’asta sia pari al 100%. Ai settori esposti a rischio elevato di rilocalizzazione verrà invece assegnato il 100% delle quote gratuite, tenendo conto del parametro di riferimento della migliore tecnologia disponibile.
Il 27 aprile 2011 la Commissione europea ha adottato una decisione che stabilisce i criteri attraverso i quali, dal 2013, gli Stati membri potranno calcolare il numero di quote di emissione da assegnare gratuitamente agli impianti presenti nel proprio territorio che soddisfano le condizioni previste dalla direttiva 2003/87/CE (direttiva ETS), con particolare riferimento ai settori ritenuti esposti alla concorrenza dei paesi terzi con conseguente rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.
Il 15 maggio 2012 la Commissione ha reso noto che nel 2011 le emissioni verificate di gas serra provenienti da tali impianti sono scese a 1889 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, con un calo di oltre il 2 per cento rispetto al 2010, restando ben al di sotto del tetto di 2,081 miliardi l'anno fissato per l'UE per il periodo 2008-2012. I dati evidenziano altresì che le quote di scambio inutilizzate sono in aumento. Al fine di ridurre il numero di quote messo all'asta la Commissione sta pertanto riesaminando il profilo temporale delle aste relative al terzo periodo di scambio, che è iniziato il 1° gennaio 2013 e termina nel 2020.
Il 22 maggio 2012 la Commissione europea ha approvato una comunicazione (C(2012)3230) relativa agli orientamenti sulla concessione, a partire dal 1° gennaio 2013, di aiuti di Stato nel quadro dell’attuazione del sistema UE-ETS per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra (di cui alla direttiva 2009/29/CE approvata nel quadro del pacchetto 20-20-20). Il documento considera compatibili con le norme per la concorrenza: aiuti per compensare l'incremento dei prezzi dell'energia elettrica derivante dall'integrazione dei costi delle emissioni di gas serra in applicazione dell'UE-ETS (c.d. "costi delle emissioni indirette": intensità di aiuto massima dell’85% fino al 2015; 80% fino al 2017, 75% fino al 2020); aiuti all'investimento a favore di centrali elettriche ad elevata efficienza - comprese le nuove centrali elettriche predisposte per la cattura e lo stoccaggio geologico di CO2 (CCS) in modo ambientalmente sicuro (15% fino al 2020); aiuti connessi all’opzione di assegnazione di quote a titolo gratuito per un periodo transitorio ai fini dell’ammodernamento della produzione di energia elettrica (100% fino al 2020); esclusione di alcuni impianti di piccole dimensioni e degli ospedali dall'ETS-UE, se la riduzione delle emissioni di gas serra può essere ottenuta fuori dal quadro di tale sistema con costi amministrativi inferiori.
Il 25 luglio 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione) che consentirebbe di ricalendarizzare la terza fase di scambio (2013-2020) prevista dal sistema UE-ETS (direttiva 2003/87/CE), e di ridurre il volume di permessi di emissione di carbonio in vendita nel triennio 2013-2015. Tale proposta intende affrontare il problema dell’accumulo eccessivo di quote di emissione dovuto alla recessione economica, che potrebbe avere in futuro un impatto negativo sul costo del carbonio e dunque sul funzionamento del sistema UE_ETS.
Il 14 novembre 2012 la Commissione ha presentato una (relazione) sulla situazione del mercato europeo del carbonio nella quale prende atto di alcuni squilibri tra domanda e offerta determinatisi nel breve periodo e, al fine di evitare ripercussioni negative a lungo termine, propone di modificare il calendario delle aste e di avviare un processo consultivo per individuare le soluzioni strutturali che possano incidere in modo più profondo e duraturo sull’equilibrio tra la domanda e l’offerta.
Il nuovo sistema ETS prevede il progressivo inserimento del settore del trasporto aereo. Il 26 settembre 2011 la Commissione europea ha resi noti i valori di riferimento che saranno utilizzati per assegnare annualmente a titolo gratuito, fino al 2020, le quote di emissione di gas ad effetto serra alle compagnie aeree. L’assegnazione delle quote dovrebbe essere effettuata da ogni singolo Stato membro in base alle tonnellate di CO2 per chilometro registrate da ogni vettore aereo nel 2010. In precedenza, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento che fissa le norme procedurali per la messa all’asta di 120 milioni di quote di emissione nel 2012, in vista dell’avvio nel 2013 della terza fase del sistema UE-ETS, che dovrebbe estendere il campo d’applicazione del sistema dal 40 al 43 % delle emissioni totali europee di gas a effetto serra.
Il 20 novembre 2012 la Commissione ha presentato una proposta di decisione che, nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) dell’Unione europea, sospende fino al 1° gennaio 2014 l’applicazione degli obblighi previsti per le compagnie aeree non europee in relazione ai voli in arrivo e in partenza dall’Europa. Si ricorda che la legislazione europea per le emissioni (UE-ETS), duramente contestata dalle compagnie aeree americane, canadesi, cinesi e russe, è entrata in vigore il 1° gennaio 2012 e, da aprile 2013, prevede pagamenti per le emissioni dei voli da/per l'Europa delle compagnie aeree non europee.
Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC ). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.
Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta, primo tra tutti l’anidride carbonica (CO2). Gli altri gas interessati sono il metano (CH4), l’ossido di azoto (N2O), l’esafluoruro di zolfo (SF6), gli idrofluorocarburi (HFCs) e i perfluorocarburi (PFCs).
Il Protocollo di Kyoto ha impegnato i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre del 5,2%, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del Pianeta entro il 2012.
Il protocollo di Kyoto non ha previsto infatti vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo (PVS).
L'onere di riduzione delle emissioni è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito e dei livelli di efficienza energetica. In particolare per l’UE è stata prevista, nell’ambito degli obiettivi di riduzione del Protocollo, un taglio delle emissioni dell’8%, a sua volta ripartito tra gli Stati membri dell’Unione (che ha provveduto a ratificare il Protocollo in data 31 maggio 2002) con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998), che ha fissato per l'Italia un obiettivo di riduzione del 6,5%.
Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:
Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:
Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia.
Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990. Si fa presente, inoltre, che gli Stati Uniti, che rappresentano, da soli, oltre un terzo delle emissioni dei Paesi industrializzati, non hanno aderito al Protocollo.
Nel corso della 18a conferenza delle Parti dell'UNFCCC (COP 18) e dell'8a conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del protocollo di Kyoto (COP/MOP 8), tenutasi a Doha (Qatar) dal 26 novembre all'8 dicembre 2012, l'impegno per la prosecuzione oltre il 2012 delle misure previste dal Protocollo è stato assunto solamente da un gruppo di Paesi (tra i quali Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia), che rappresentano appena il 15% circa delle emissioni globali di gas-serra. I 200 paesi partecipanti hanno invece lanciato, a partire dal 1° gennaio 2013, un percorso finalizzato al raggiungimento, entro il 2015, di un nuovo accordo che dovrà entrare in vigore nel 2020.
La ratifica del protocollo di Kyoto da parte dell'Italia è avvenuta con la legge 120/2002, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.
Per il finanziamento delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas-serra nel corso della XV legislatura è intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.
Tale norma è stata attuata solo nel corso della XVI legislatura con il D.M. ambiente 25 novembre 2008. Per l'effettiva operatività del fondo, però, si è dovuta attendere la pubblicazione della circolare del 16 febbraio 2012 del Ministero dell'ambiente, recante le modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato previsti dal Fondo, avvenuta nella G.U. n. 51 del 1-3-2012, S.O.
Successivamente l'art. 57 del D.L. 83/2012 (convertito dalla L. 134/2012) è intervenuto sulla destinazione delle risorse del Fondo rotativo, per un verso, modificando il novero dei settori in cui operano i soggetti destinatari dei finanziamenti e, per l’altro, prevedendo che i finanziamenti siano destinati a progetti che devono prevedere l’assunzione a tempo indeterminato di persone con età non superiore a 35 anni.
Una parte delle risorse del Fondo è stata successivamente destinata, dall'art. 1, comma 8, del D.L. 129/2012, per un importo massimo di 70 milioni di euro, agli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del Sito di interesse nazionale (SIN) di Taranto.
In attuazione del citato art. 57 del D.L. 83/2012 è stata emanata la circolare 18 gennaio 2013, n. 5505 del Ministero dell'ambiente, da cui risulta la seguente ripartizione in plafond delle risorse del Fondo: 380 milioni di euro destinati ad imprese, 10 milioni a progetti di investimento proposti da s.r.l. semplificata (S.r.l.s.) e 70 milioni di euro riservati, nel rispetto del citato D.L. 129/2012, al finanziamento di interventi di ambientalizzazione e riqualificazione ricompresi nel SIN di Taranto.
Ulteriori misure connesse all'attuazione del Protocollo sono state previste in numerosi provvedimenti normativi, che hanno riguardato principalmente l’incentivazione delle energie rinnovabili e la promozione della efficienza e del risparmio energetici. Nonostante gli sforzi intrapresi, però, l’incertezza sulle possibilità di riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra previsti dal Protocollo di Kyoto ha reso necessaria una maggiore attenzione sul problema (sollecitata anche dalla Corte dei conti, con la Delibera 1/2009/G del 5 marzo 2009), che si è concretizzata, tra l'altro, mediante la previsione, all’art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39, dell'obbligo di presentare, in allegato al DEF (Documento di economia e finanza), un documento, predisposto dal Ministro dell'ambiente sentiti gli altri Ministri interessati, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi.
L’allegato al DEF 2012 presenta la situazione delle emissioni di gas serra al 2011 e le stime preliminari per il 2012 indicando le azioni da intraprendere per colmare il gap che separa l’Italia dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto.Lo stesso documento contiene inoltre una valutazione degli scenari delle emissioni con orizzonte temporale al 2020 idonei al raggiungimento dell’obiettivo previsto per i settori “non ETS” dalla Decisione 406/2009 del 23 aprile 2009 (c.d. effort sharing, vedi infra) e indica le azioni da attuare prioritariamente per porre il Paese sul giusto percorso rispetto a tale obiettivo. Nel documento viene sottolineato che il gap medio annuo nel periodo 2008-2012 è quantificato in circa 25 MtCO2eq.
Il documento sottolinea inoltre che, poichè il contributo emissivo dei settori ETS al totale nazionale può essere considerato invariabile, sarà pertanto necessario focalizzare gli interventi sulle emissioni dei settori non ETS (per i quali l’Italia deve conseguire, in base alla decisione effort sharing, l’obiettivo al 2020 di riduzione del 13% rispetto ai livelli del 2005).
Da ultimo, il CIPE nella seduta dell'8 marzo 2013 - secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale - ha approvato il Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra.
Con l’emanazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica, l’Unione europea ha anticipato la piena entrata in vigore dell'emission trading, prevista a livello internazionale solo dal 2008. Tale direttiva ha infatti previsto l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea già a partire dal 2005 da affiancare all’emission trading previsto su scala globale dal Protocollo.
Tale direttiva è stata successivamente integrata dalla direttiva 2004/101/CE (cd. direttiva linking), che ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint Implementation e Clean Development Mechanism) all’interno dell’ETS, stabilendo la validità dei crediti di emissione (ottenuti grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni.
Tali direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 216/2006, che è stato modificato, nel corso della XVI legislatura, dall’art. 4, comma 9-sexies, del D.L. 97/2008 (convertito dalla legge 129/2008), dall'art. 27, comma 47, della legge 99/2009, nonchè dall'art. 4, comma 1, del D.L. 135/2009, che hanno apportato modifiche volte a razionalizzare la collocazione amministrativa, le funzioni e la governance del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE, istituito presso il Ministero dell'ambiente.
Con il D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257 è stata recepita la direttiva 2008/101/CE che ha modificato la direttiva 2003/87/CE al fine dell'inclusione delle attività di trasporto aereo nell’ETS. Tale decreto:
La direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concerne la revisione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra (Emission Trading System -ETS) per il periodo successivo al 2012. A tal fine essa ha modificato la direttiva 2003/87/CE (recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 216/2006) allo scopo di perfezionare ed estendere il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra nel nuovo orizzonte temporale.
Secondo quanto indicato nel 5° considerando della direttiva “per ottemperare in maniera economicamente efficiente all’impegno di abbattere le emissioni di gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, le quote di emissione assegnate a tali impianti dovrebbero essere, nel 2020, inferiori del 21% rispetto ai livelli di emissione registrati per detti impianti nel 2005”. Al fine di raggiungere tali ambiziosi obiettivi, la nuova direttiva ha modificato significativamente il sistema ETS delineato dalla precedente direttiva 2003/87/CE.
Di seguito si illustrano le principali novità introdotte dalla direttiva 2009/29/CE, facendo riferimento alla numerazione degli articoli della direttiva 2003/87/CE, che viene novellata dall’articolo 1 della direttiva 2009/29/CE.
La direttiva interviene innanzitutto sul campo di applicazione (art. 2) definendolo in maniera più puntuale per quanto riguarda gli impianti di combustione ed estendendo il sistema ad altri gas diversi dalla CO2.
La direttiva ha altresì previsto la possibilità di escludere i piccoli impianti (ossia gli impianti con emissioni annue inferiori a 25.000 t di CO2 e, laddove sono svolte attività di combustione, con potenza termica nominale inferiore ai 35 MW), purché le emissioni di tali impianti siano regolamentate con misure che comportano una riduzione "equivalente" a quella che sarebbe stata loro imposta se fossero rimasti all'interno dell'ETS. E’ stata, altresì, introdotta la possibilità di stabilire regole semplificate per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica a favore degli impianti caratterizzati, nel periodo 2008-2010, da emissioni inferiori alle 5.000 t annue di CO2 (art. 27).
Sul metodo di assegnazione delle quote (artt. da 10 a 10-quater), la nuova direttiva prevede che le quote vengano assegnate mediante asta. Più precisamente, per gli impianti di produzione di elettricità, gli impianti per la cattura di CO2, le condutture per il trasporto di CO2 o i siti di stoccaggio di CO2 l'assegnazione sarà totalmente a titolo oneroso (“full auctioning”), ad eccezione del teleriscaldamento e della cogenerazione ad alto rendimento definita dalla direttiva 2004/8/CE in caso di domanda economicamente giustificabile, rispetto alla generazione di energia termica o frigorifera.
Per gli impianti per i quali è contemplata l'assegnazione gratuita di quote, l'art. 10-bis, comma 11, della direttiva prevede una transizione graduale verso il "full auctioning"; in particolare, il primo anno sarà assegnato gratuitamente l'80% delle quote spettanti, mentre negli anni successivi la percentuale di assegnazione gratuita sarà ridotta linearmente fino ad arrivare al 30% nel 2020 (il che implica un'assegnazione gratuita, come media del periodo, pari al 55% delle quote spettanti).
Per la gestione delle aste la direttiva prevede che avverrà a livello nazionale con regole armonizzate definite con uno specifico regolamento europeo. Viene altresì disciplinato il meccanismo di ripartizione tra gli Stati membri della quantità totale di quote da mettere all'asta. Per i proventi derivanti dalle aste è poi previsto che vengano destinati ad interventi di mitigazione per favorire gli adattamenti ai cambiamenti climatici.
Sulla base della delega recata dalla legge comunitaria 2009 (L. 96/2010), le competenti Commissioni parlamentari hanno esaminato lo schema di decreto legislativo (atto del Governo 528), che, da un lato, recepisce nell'ordinamento nazionale le modifiche apportate dalla direttiva 2009/29/CE alla precedente direttiva ETS, dall'altro provvede ad abrogare il D.Lgs. 216/2006 riproducendone, nel contempo, le disposizioni non modificate dalla direttiva 2009/29/CE.
Le Commissioni della Camera e del Senato hanno espresso rispettivamente il parere nelle sedute dell'11 febbraio e del 5 febbraio 2013.
Si ricorda, infine, che per i settori non regolati dalla direttiva 2009/29/CE (cosiddetti settori "non ETS" identificabili approssimativamente con i settori agricolo, trasporti e civile), la decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 406/2009 del 23 aprile 2009 (Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 - cd. Decisione “effort sharing”) stabilisce, per ogni Stato Membro della UE, obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Per l’Italia l’obiettivo di riduzione è del 13%, rispetto ai livelli del 2005, da raggiungere entro il 2020.
Nel corso della XVI legislatura, il Governo è intervenuto più volte con la decretazione d'urgenza per fronteggiare l'emergenza relativa alla gestione dei rifiuti in Campania. Situazioni di emergenza connesse con la gestione dei rifiuti si sono verificate anche in altre regioni. Da ultimo, si segnala l'emergenza ambientale nell'area di Taranto collegata alle vicende dello stabilimento ILVA.
Nel tentativo di uscire dalla cronica situazione emergenziale relativa alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti, perdurante dal 1994 nel territorio della regione Campania, il Governo è più volte intervenuto, fin dall’inizio della legislatura, attraverso la decretazione d’urgenza.
Ai sensi del D.L. 90/2008, alla soluzione dell'emergenza è stato preposto un Sottosegretario di Stato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'incarico, è stato, quindi, attribuito all'allora Capo del Dipartimento della protezione civile, Guido Bertolaso, con il compito di coordinare la gestione dei rifiuti nella regione Campania per tutta la durata del periodo emergenziale (fino al 31 dicembre 2009).
Successivamente, il D.L. 172/2008 ha introdotto ulteriori misure per la soluzione dell'emergenza, mediante l'individuazione, tra l'altro, di forme di vigilanza nei confronti degli enti locali finalizzate a garantire l'osservanza della normativa ambientale.
Disposizioni per la cessazione dello stato di emergenza sono state dettate dal D.L. 195/2009. Ai Presidenti delle province sono state attribuite le funzioni ed i compiti di programmazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti da organizzarsi anche per ambiti territoriali nel contesto provinciale e per distinti segmenti delle fasi del ciclo di gestione dei rifiuti (art. 11, comma 1). Il medesimo decreto, ha attribuito alle amministrazioni provinciali, anche per il tramite di specifiche società provinciali, le attività di raccolta, di trasporto, di trattamento, di smaltimento ovvero di recupero dei rifiuti (art. 11, comma 2).
Il decreto ha, inoltre, disciplinato una fase transitoria durante la quale le sole attività di raccolta, di spazzamento e di trasporto dei rifiuti e di smaltimento o recupero inerenti alla raccolta differenziata continuano ad essere gestite dai comuni della regione Campania in luogo del subentro in tali funzioni da parte delle province (art. 11, comma 2-ter). La durata di tale fase transitoria è stata prorogata in successivi decreti e, da ultimo, dall'art. 1, comma 1, del D.L 1/2013, al 30 giugno 2013, che prevede che, a partire dalla scadenza del predetto termine, si applicheranno, anche sul territorio della Regione Campania, le disposizioni di cui all’art. 14, comma 27, lettera f), del decreto legge n. 78/2010, che attribuisce ai comuni l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi. Il tema della reintegrazione delle competenze dei comuni campani è stato dibattuto nel corso della legislatura in più occasioni, anche nell'esame di una proposta di legge di iniziativa parlamentare (C. 4661) che non si è concluso.
Il D.L. 196/2010 ha, poi, definito una serie di misure per accelerare la realizzazione di impianti di termovalorizzazione dei rifiuti, incrementare i livelli della raccolta differenziata e favorire il subentro delle amministrazioni territoriali della regione Campania nelle attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti.
In considerazione della perdurante situazione di criticità nella gestione dei rifiuti in Campania è stato dapprima emanato il D.L. 94/2011, che non è stato convertito in legge, e successivamente il D.L. 2/2012.
In particolare, i commi da 1 a 3 dell’articolo 1 del D.L. 2/2012 hanno riguardato la realizzazione di impianti di digestione anaerobica della frazione organica derivante dai rifiuti presso gli impianti STIR (Stabilimenti di trattamento, tritovagliatura ed imballaggio dei rifiuti) o in altre aree confinanti; il potenziamento delle funzioni dei commissari straordinari regionali per la realizzazione delle discariche e il prolungamento della durata del loro mandato; la proroga al 31 dicembre 2013 del termine entro il quale, nelle more del completamento degli impianti di compostaggio nella regione Campania, e per le esigenze della regione stessa, gli impianti di compostaggio in esercizio sul territorio nazionale possono aumentare la propria autorizzata capacità ricettiva e di trattamento sino all'8 per cento.
Il comma 2-bis dell'art. 1 del medesimo decreto legge, nel novellare il comma 7 dell’art. 1 del D.L. 196/2010 in merito alle procedure da seguire ai fini dello smaltimento in altre regioni dei rifiuti urbani non pericolosi prodotti in Campania, nel caso in cui si verifichi la non autosufficienza del sistema tale da non poter essere risolta con le strutture e dotazioni esistenti nella stessa regione, ha previsto che lo smaltimento in altre regioni avvenga, in conformità al principio di leale collaborazione, mediante intesa tra la regione Campania e la singola regione interessata.
Per quanto riguarda la realizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, l'art.1-bis del D.L. 2/2012 ha dettato, tra l'altro, disposizioni riguardanti la realizzazione dell'impianto di recupero e smaltimento dei rifiuti nel territorio di Giugliano.
E' stata trasferita la proprietà del termovalorizzatore di Acerra alla Regione Campania a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007/2013 relative al Programma attuativo regionale. La disciplina per regolare il predetto trasferimento è stata oggetto di vari provvedimenti e, da ultimo, dell'art. 12, commi da 8 a 11-ter, del D.L. 16/2012, che ha dettato norme volte a quantificare le risorse da trasferire alla Regione, ad autorizzarne l’utilizzo e a disciplinarne ulteriori aspetti (trattamento a fini fiscali, assoggettamento ad esecuzione forzata, esclusione dal patto di stabilità), nonché a consentire il mantenimento del presidio militare dell’impianto. L'art. 3, comma 4, del D.L. 59/2012 ha, inoltre, disposto il trasferimento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale, necessarie per l'acquisto del predetto termovalorizzatore, direttamente alla società creditrice già proprietaria dell'impianto.
La situazione di criticità nella gestione dei rifiuti ha interessato altre regioni del Sud, e precisamente la Calabria, la Sicilia e la Puglia. Nelle tre regioni, infatti, sono stati dichiarati gli stati di emergenza, mentre specifiche disposizioni volte a fronteggiare le situazioni emergenziali sono state adottate con ordinanze di protezione civile.
Per quanto riguarda la regione siciliana, lo stato di emergenza ha interessato dapprima la provincia di Palermo e successivamente l'intera regione. Al fine di fronteggiare l'emergenza sono state inoltre adottate specifiche disposizioni nel decreto legge 97/2008, che ha assegnato un contributo di 80 milioni di euro per i comuni delle aree individuate dall'obiettivo "Convergenza" del regolamento (CE) n. 1083/2006 con una popolazione superiore a 500.000 abitanti e con rilevanti passività nei confronti delle società a partecipazione totalitaria affidatarie del servizio di gestione rifiuti ed igiene ambientale nel territorio comunale (art. 4-bis, comma 8). Il D.L. 172/2008, all'articolo 9, ha previsto incentivi per la realizzazione di termovalorizzatori.
La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiutiha approvato tre relazioni territoriali riferite proprio alla regione siciliana (Doc. XXIII, n. 2), alla regione Calabria (Doc. XXIII, n. 7) e alla regione Puglia (Doc. XXIII n. 12). In occasione dell'esame delle prime due relazioni, l'Assemblea della Camera ha approvato atti di indirizzo che hanno impegnato il Governo ad adottare specifiche iniziative nei differenti ambiti di inchiesta.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 luglio 2011 era stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza in relazione alla chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.
I commi da 358 a 361 dell'articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), per il superamento della situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della provincia di Roma, hanno previsto la nomina di un commissario che provveda in via sostitutiva degli enti competenti in via ordinaria.
Le predette disposizioni hanno autorizzato, tra l'altro, il Commissario alla realizzazione e alla gestione delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti urbani nonché di impianti per il trattamento del rifiuto urbano indifferenziato e differenziato, nel rispetto della normativa europea tecnica di settore, e a un supporto alla Regione Lazio nelle iniziative necessarie al rientro nella gestione ordinaria.
L’area di Taranto, che rientra in uno dei siti di interesse nazionale (SIN) oggetto di interventi di bonifica, versa in una situazione di emergenza ambientale che è strettamente collegata alla vicenda dello stabilimento dell’ILVA.
L’emergenza ambientale è stata dapprima oggetto del D.L. 129/2012, che ha dettato norme per gli interventi di riqualificazione e ambientalizzazione e che non è stato modificato nel corso dell'esame parlamentare.
Successivamente, con il decreto-legge 207/2012 è stata disciplinata - in via generale - l'operatività degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale in crisi consentendo la prosecuzione dell'attività produttiva di tali stabilimenti per determinati periodi di tempo a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, "secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili".
Con specifico riferimento allo stabilimento ILVA di Taranto, l'articolo 3, comma 1, ha specificato che tale impianto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale, mentre il comma 2 ha stabilito che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono quelle contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA emanato con D.M. Ambiente 26 ottobre 2012, n. DVA/DEC/2012/0000547.
Sono state, infine, dettate specifiche misure per garantire la continuità produttiva aziendale e la commercializzazione dei prodotti, anche di quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legge.
In relazione al verificarsi di ulteriori emergenze ambientali nel corso della legislatura il Parlamento ha svolto un'attività conoscitiva, di indirizzo e di controllo sull'operato del Governo.
Il 17 marzo 2010 la Commissione ambiente della Camera ha approvato la risoluzione 8-00062 sullo sversamento di sostanze inquinanti nel fiume Lambro, che ha impegnato il Governo, tra l'altro, ad adottare tutte le misure necessarie a ricondurre alle normali condizioni di vita i territori interessati, individuando un'unica autorità per la governance del bacino del fiume Po.
A seguito di tale incidente, la Commissione, nella seduta dell’8 aprile 2010 , ha approvato l’avvio di un' indagine conoscitiva sullo stato di attuazione delle politiche di prevenzione degli incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali. L'indagine, nel cui ambito è stato svolto un ciclo di audizioni, aveva l'obiettivo di acquisire elementi di informazione e di valutazione in ordine allo stato di attuazione della normativa in materia di vigilanza sull’attività delle industrie ad alto rischio, nonché sulle modalità di controllo e sulle politiche di informazione e consultazione della popolazione e sull’efficacia del sistema sanzionatorio.
Da ultimo, si segnala che l’articolo 2, comma 1, del D.L. 1/2013, in deroga al divieto di proroga o rinnovo di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, ha prorogato fino al 31 dicembre 2013 le gestioni commissariali per il superamento di alcune emergenze ambientali, relative rispettivamente: alla messa in sicurezza e alla bonifica delle aree di Giugliano (NA) e dei Laghetti di Castelvolturno (CE); alla situazione di inquinamento determinatasi nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova; al naufragio della nave Concordia, presso l’Isola del Giglio; all’emergenza idrica nel territorio delle isole Eolie.
Sulla legge di stabilità 2013
Sulle proposte di legge
L’area di Taranto, che rientra in uno dei siti di interesse nazionale (SIN) oggetto di interventi di bonifica, versa in una situazione di emergenza ambientale che è strettamente collegata alla vicenda dello stabilimento dell’ILVA.
L’emergenza ambientale è stata affrontata dal Governo con l'emanazione di un decreto-legge (n. 129/2012, vedi infra), che ha dettato norme concernenti la realizzazione degli interventi di riqualificazione e ambientalizzazione dell’area di Taranto.
In precedenza, con decreto direttoriale del 15 marzo 2012 del Ministero dell'ambiente, era stato disposto d’ufficio l’adeguamento dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA), rilasciata con decreto del 4 agosto 2011, alle conclusioni delle migliori tecniche disponibili europee (BAT - Best Available Techniques) relative al settore siderurgico.
Il 25 luglio 2012, dopo l'avvio della procedura di riesame dell’AIA, con ordinanza del GIP di Taranto, su proposta della procura, è stato disposto il sequestro degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento.
Successivamente il Ministero dell'ambiente ha concluso il riesame dell’AIA (decreto prot. DVA/DEC/2012/0000547 del 26 ottobre 2012) per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ubicato nei comuni di Taranto e di Statte. Nel provvedimento aggiornato di AIA, le prescrizioni in merito alla sicurezza degli impianti e al raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale – secondo quanto affermato dal Ministro nell'informativa resa nella seduta dell'Assemblea della Camera del 28 novembre 2012 – “sono state ulteriormente rafforzate con alcune indicazioni tecnologiche puntuali e con la previsione di attivare un sistema di monitoraggio e di valutazione del danno sanitario in relazione alle emissioni inquinanti” .
In seguito l'ILVA ha presentato il piano degli interventi, che in data 15 novembre 2012, dopo i miglioramenti richiesti dal Ministero dell'ambiente, è stato considerato adeguato alle prescrizioni dal Ministero dell'ambiente congiuntamente agli altri Ministeri interessati, e anche alla Regione Puglia, alla Provincia e al Comune di Taranto.
Successivamente, però, in conseguenza dell'emanazione di un nuovo provvedimento da parte del GIP di Taranto (datato 26 novembre 2012), con cui è stato disposto il sequestro dei prodotti finiti e semilavorati dello stabilimento, e il rigetto (avvenuto in data 30 novembre 2012), da parte del medesimo Gip, dell'istanza di dissequestro degli impianti a caldo dell’ILVA avanzata dall’azienda, è stato adottato il decreto-leggen. 207 del 3 dicembre 2012, vedi infra), che ha:
Il 5 dicembre 2012, la Procura di Taranto, adeguandosi al contenuto del decreto, ha rimesso nella disponibilità dell’ILVA gli impianti a caldo; ha dato, invece, parere negativo al dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati.
Nel successivo mese di gennaio 2013 il Tribunale di Taranto ed il G.I.P. del medesimo tribunale, nell’ambito di ricorsi volti ad ottenere il dissequestro dei citati prodotti, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge di conversione del decreto n. 207 e rimesso gli atti alla Consulta. Tali ricorsi dovrebbero essere discussi nel mese di aprile 2013.
Sono stati, altresì, presentati ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato giudicati inammissibili dalla Consulta il 13 febbraio 2013.
Il decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, è stato emanato al fine di fronteggiare la grave situazione di criticità ambientale e sanitaria nel sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) di Taranto e fa seguito al protocollo d’intesa stipulato il 26 luglio 2012 dai Ministeri dell’ambiente, delle infrastrutture, dello sviluppo economico e per la coesione territoriale, nonchè dalla Regione Puglia, dalla Provincia e dal Comune di Taranto e dal Commissario straordinario del Porto di Taranto, che prevede interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto per un ammontare di 336,7 milioni di euro.
L’art. 1,comma 1, del decreto ha demandato a un D.P.C.M. la nomina di un Commissario straordinario al fine di assicurare l’attuazione degli interventi previsti dal protocollo d’intesa del 26 luglio, in cui sono compresi gli interventi che fanno riferimento alle risorse stanziate con le delibere CIPE del 3 agosto 2012, per un importo specificato nella norma pari a 110.167.413 euro, a valere sulle risorse della regione Puglia del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC), la cui realizzazione è ritenuta prioritaria.
In proposito, si segnala che la delibera CIPE n. 87 del 3 agosto 2012 ha, tra l'altro, preso atto del citato Protocollo di intesa e ha conseguentemente destinato stanziamenti alla regione Puglia nei settori dei rifiuti, delle bonifiche, della difesa del suolo e del sistema idrico integrato.
Il Commissario, la cui nomina non dà diritto ad alcun compenso, resta in carica per la durata di un anno prorogabile con un ulteriore D.P.C.M. e può avvalersi di un soggetto attuatore e degli uffici e delle strutture delle amministrazioni pubbliche, centrali, regionali e locali, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, nonché di organismi partecipati di cui all’art. 4, comma 2, del Protocollo (comma 6). Al Commissario è intestata un’apposita contabilità speciale (comma 4) e il comma 7 dell’art. 1 specifica le disposizioni applicabili in materia di controlli e di rendicontazione.
Il Consiglio dei Ministri n. 64 dell'11 gennaio 2013, con decreto non sottoposto a delibera, ha nominato l’ingegner Alfio Pini, Commissario straordinario per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto.
L’art. 1, comma 2, ha precisato che restano fermi gli interventi previsti nel Protocollo di intesa con oneri a carico dell’Autorità portuale di Taranto e che, a tal fine, è assicurato il coordinamento fra il Commissario straordinario nominato ai sensi del comma 1 ed il commissario straordinario dell’Autorità portuale di Taranto.
L’art. 1, comma 3, ha disposto che all’attuazione degli altri interventi previsti nel Protocollo sono altresì finalizzate risorse disponibili nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare per l’esercizio finanziario 2012, nel limite massimo di 20 milioni di euro.
Sulla base di quanto disposto dall’art. 1, comma 5, il Commissario è stato individuato quale soggetto attuatore per l’impiego delle risorse, per un importo pari a 30 milioni di euro, del Programma Operativo Nazionale (PON) Ricerca e Competitività, nonché delle risorse già assegnate nell’ambito del PON Reti e Mobilità, per un importo pari ad euro 14 milioni.
Il comma 8 dell’art. 1 prevede, inoltre, che i finanziamenti a tasso agevolato a valere sul cd. Fondo rotativo Kyoto (art. 57 del D.L. 83/2012) – fino ad un importo massimo di 70 milioni di euro - possono essere concessi, secondo i criteri e le modalità definiti dal medesimo articolo 57, anche per gli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del sito di interesse nazionale di Taranto.
L’art. 2 ha riconosciuto, infine, l’area industriale di Taranto area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, che consente di attivare i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, dei territori interessati.
Il D.L. 207/2012 è volto a disciplinare - in via generale e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto - l'operatività degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale.
L'articolo 1, comma 1, prevede che il Ministro dell'ambiente possa autorizzare, in sede di riesame dell’AIA, la prosecuzione dell'attività produttiva di uno stabilimento industriale dichiarato “di interesse strategico nazionale” per un periodo di tempo determinato non superiore a 36 mesi, a condizione che vengano adempiute le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’autorizzazione, secondo le procedure e i termini ivi indicati, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.
La norma si applica agli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale individuati con D.P.C.M, quando presso di essi sono occupati almeno 200 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, da almeno un anno, qualora vi sia una assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione.
Il medesimo articolo, nel precisare che le misure volte ad assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva sono esclusivamente e ad ogni effetto le misure contenute nel provvedimento di AIA, nonché le prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame (comma 2), introduce una sanzione amministrativa pecuniaria aggiuntiva rispetto a quelle vigenti, fino al 10% del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato, per la mancata osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA (comma 3).
Il comma 4 stabilisce che le disposizioni recate dal comma 1, volte a consentire agli stabilimenti di interesse strategico nazionale di proseguire l’attività alle condizioni ivi indicate, trovino applicazione anche quando l'autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell'impresa titolare dello stabilimento, mentre il comma 5 prevede che il Ministro dell'ambiente riferisca semestralmente al Parlamento circa l’ottemperanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA.
Nel corso dell’esame parlamentare è stato inserito l’art. 1-bis, che introduce nella normativa nazionale disposizioni sul rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) analoghe a quelle introdotte, per la Regione Puglia, dalla L.R. 21/2012. Tale articolo prevede l’obbligo di redazione, con aggiornamento almeno annuale, di un rapporto di VDS anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie di carattere ambientale. Tale rapporto deve essere redatto per tutte le aree interessate dagli stabilimenti di interesse strategico nazionale, individuati ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto, tra cui rientra, ai sensi del successivo art. 3, comma 1, l'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto.
I criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di VDS devono essere emanati con apposito decreto interministeriale, adottato di concerto dai Ministri della salute e dell'ambiente entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Il comma 5-bis dell’art. 1, inserito nel corso dell’esame parlamentare, prevede che il Ministro della salute riferisca annualmente alle competenti commissioni parlamentari su tale VDS, nonché sullo stato di salute della popolazione coinvolta, sulle misure di cura e prevenzione attuate e sui rispettivi benefici.
L’articolo 2 prevede che la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti di interesse strategico nazionale restano in capo esclusivamente ai titolari dell'AIA.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, l'impianto siderurgico della società ILVA S.p.A. di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale, mentre il comma 2 stabilisce che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono quelle contenute nel provvedimento di riesame dell’AIA emanato con D.M. Ambiente 26 ottobre 2012, n. DVA/DEC/2012/0000547.
Il comma 1-bis dell'articolo 3, introdotto nel corso dell'esame parlamentare, prevede che il Governo adotti, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, una strategia industriale per la filiera produttiva dell'acciaio.
Il comma 3 del medesimo articolo immette la Società ILVA S.p.A. di Taranto nel possesso dei beni dell'impresa e la autorizza alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti per un periodo di 36 mesi nei limiti definiti dal provvedimento di riesame dell'AIA. Nel corso dell’esame parlamentare è stato specificato, all’art. 3, comma 3, relativamente alla possibilità di commercializzazione dei prodotti, che tale possibilità riguarda anche quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
I commi 4, 5 e 6 definiscono le modalità di nomina, il compenso e le funzioni di un Garante "di indiscussa indipendenza, competenza ed esperienza", incaricato di vigilare sulla attuazione delle disposizioni del decreto. Si prevede, in particolare, che il Garante venga nominato entro dieci giorni dall’entrata in vigore del decreto legge, con D.P.R. su proposta del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute, previa delibera del Consiglio dei Ministri. Il comma 6 del medesimo articolo è stato integrato al fine di prevedere che il Garante promuova, anche in accordo con le istituzioni locali, iniziative di informazione e consultazione, finalizzate ad assicurare la massima trasparenza ai cittadini, e che l’attività svolta dal Garante, nonché le criticità e le inadempienze riscontrate, siano parte integrante della relazione semestrale che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, il Ministro dell'ambiente deve trasmettere al Parlamento.
Il Consiglio dei Ministri n. 64 dell'11 gennaio 2013,su proposta del Ministro dell’ambiente, ha nominato il dottor Vitaliano Esposito, Garante per il monitoraggio dell’esecuzione delle prescrizioni contenute nell’AIA dell'ILVA.
Per quanto riguarda l'attività parlamentare, nella seduta del 14 agosto 2012 si sono svolte presso le Commissioni riunite VIII e X le comunicazioni del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla situazione dell’ILVA di Taranto e sulle prospettive di riqualificazione.
Nella seduta dell'Assemblea del Senato del 5 settembre, inoltre, si è svolta un'informativa del Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'ambiente sugli sviluppi della vicenda dell'Ilva di Taranto.
Su tali tematiche si segnala anche che nella seduta del 18 settembre 2012 si è svolta l'audizione del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Taranto nell'ambito degli approfondimenti svolti dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti.
Nella seduta del 17 ottobre 2012, la medesima Commissione bicamerale ha approvato la relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Puglia (Doc. XXIII, n. 12), che contiene l'approfondimento effettuato dalla Commissione sulle vicende riguardanti l'impianto Ilva di Taranto.
Nella seduta del 31 ottobre 2012 si è svolta inoltre l'interrogazione a risposta immediata n. 3-02577 riguardante le iniziative per affrontare l'emergenza sanitaria relativa all'inquinamento prodotto dall'Ilva di Taranto.
Una ricostruzione dell'intera vicenda dello stabilimento ILVA di Taranto è stata poi fornita nel corso della citata informativa urgente del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che si è svolta nella seduta del 28 novembre 2012.
Nella seduta del 12 dicembre 2012, infine, si è svolta l'audizione del Ministro della salute presso le Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive).
Nel corso della legislatura, sono state adottate talune disposizioni contenute in provvedimenti d'urgenza e in atti di recepimento della normativa europea e riguardanti la tutela delle acque dall'inquinamento e la gestione delle acque. A seguito del referendum tenutosi il 12 e 13 giugno 2011 è stata modificata la disciplina riguardante l'affidamento dei servizi pubblici locali e la tariffa del servizio idrico integrato. E' stato, altresì, definito un nuovo assetto di funzioni relativamente alla vigilanza e alla regolazione del settore idrico.
La normativa in materia di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche è contenuta nella parte terza del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale) - in cui è stata recepita, tra l’altro, la direttiva quadro sulle acque 2000/60/CE - ed è stata oggetto di modifiche nel corso della XVI legislatura.
Alcune modifiche sono state finalizzate a superare i rilievi mossi dalle istituzioni europee a motivo di un non corretto recepimento delle direttive; è il caso, ad esempio, dell'art. 3 del D.L. 59/2008, che ha novellato l’art. 77 del Codice, relativamente all’individuazione ed al perseguimento di obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici, in attuazione dell’art. 4 della direttiva quadro sulle acque, al fine di riformulare la norma in maggiore conformità rispetto al dettato della disciplina europea.
L'art. 1 del D.L. 208/2008 e l'art. 8 del D.L. 194/2009 hanno dettato norme rispettivamente in materia di autorità di bacino, allo scopo di disciplinare la loro operatività nelle more del trasferimento di funzioni alle autorità di bacino distrettuali, e di adozione dei piani di gestione dei bacini idrografici.
Con il D.M. 8 novembre 2010, n. 260, recante i criteri tecnici per la classificazione dello stato dei corpi idrici superficiali, è stato sostituito l'allegato 1 della parte terza del Codice relativo al monitoraggio e alla classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale.
Al fine di superare le difficoltà interpretative emerse in sede giurisprudenziale, la L. 25 febbraio 2010, n. 36, ha modificato l'articolo 137, comma 5, del Codice che prevede sanzioni penali in caso di violazione delle norme che regolano lo scarico delle acque reflue industriali.
Sulle problematiche inerenti il sistema di raccolta e di depurazione delle acque reflue, anche in considerazione della procedura d'infrazione per violazione della direttiva europea 91/271/CEE, la Commissione ambiente della Camera ha approvato, nella seduta del 1° agosto 2012, le risoluzioni 7-00821 e 7-00853, che hanno impegnato il Governo all'adozione di specifiche iniziative volte al superamento delle criticità in tale ambito. In proposito, si segnala che il CIPE, con deliberazione n. 60/2012, ha assegnato risorse pari a complessivi 1.819.040.782,46 euro per interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno nei settori ambientali della depurazione delle acque e della bonifica di discariche. Tali interventi – sulla base del contenuto della delibera – “sono finalizzati al superamento delle procedure di contenzioso e pre-contenzioso comunitario ovvero, in alcuni casi, anche all'ottimale offerta del servizio idrico”.
Ulteriori modifiche al Codice sono state apportate dal D.Lgs. n. 219 del 2010, di recepimento della direttiva 2008/105/CE relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e della direttiva 2009/90/CE sull’analisi chimica ed il monitoraggio dello stato delle acque, che ha novellato alcuni articoli ed allegati del d.lgs. 152/2006, e, in particolare, quelli relative alla tutela delle acque dall'inquinamento (Sezione II della Parte terza del Codice).
Il D.Lgs. n. 30 del 2009 ha, invece, attuato la direttiva 2006/118/CE, relativa alla protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento. Il decreto non si è limitato al recepimento della direttiva, ma tenendo conto anche delle linee guida europee emanate in materia successivamente all’adozione della stessa direttiva ha inteso, per un verso, fornire alle amministrazioni regionali elementi tecnici più puntuali per impostare una corretta attività conoscitiva del territorio e dello stato delle acque sotterranee e, per l'altro, raccogliere nello stesso corpus normativo anche le norme di tutela previste dall’allegato 1 alla parte terza del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale) e conseguentemente abrogate, al fine di pervenire alla definizione di una disciplina sistematica della materia.
Intervenendo sulla disciplina riguardante la bonifica dei siti inquinati, l’art. 8-quinquies del D.L. 208/2008, modificando l’articolo 243, comma 1, del Codice, ha esteso agli interventi di messa in sicurezza dei siti la possibilità di scarico delle acque di falda emunte dalle falde sotterranee, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali.
Da ultimo, l’art. 36, commi 7-ter e 7-quater, del D.L. 179/2012 ha dettato norme per l'aggiornamento delle zone vulnerabili da nitrati di origine agricola - anche sulla base dei criteri contenuti nell’Accordo sull'applicazione della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole - e una disciplina transitoria in base alla quale nelle more di tale aggiornamento - e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge - nelle zone vulnerabili da nitrati si applicano le disposizioni previste per le zone non vulnerabili.
Il referendum popolare, tenutosi il 12 e il 13 giugno 2011, si è pronunciato per l'abrogazione dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008, concernente l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (sulla disciplina relativa si veda il tema Servizi pubblici locali ), nonché per l'abrogazione del comma 1 dell'art. 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nella parte in cui prevedeva che la tariffa del servizio idrico integrato dovesse essere determinata tenendo conto dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito.
Con il D.P.R. 113/2011 ed il D.P.R. 116/2011 sono state conseguentemente disposte l'abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325/2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, e l'abrogazione parziale del comma 1 dell'art. 154 del D.Lgs. 152/2006 in materia di determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito.
A seguito del referendum è stata adottata una nuova disciplina sui servizi pubblici locali, contenuta nell’art. 4 del D.L. 138/2011, che ha parzialmente escluso dalla sua applicazione il servizio idrico integrato. La predetta disciplina, comprensiva delle successive modificazioni, è stata dichiarata incostituzionale dalla (sentenza n. 199/2012).
Al servizio idrico si applica l’art. 3-bis del D.L. 138/2011, introdotto dall’art. 25 del D.L. 1/2012, che ha disciplinato gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali e che è stato da ultimo novellato dall’art. 34, comma 23, del D.L. 179/2012, che specifica che le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi del comma 1 dell'art. 3-bis, che prevede un eventuale intervento sostitutivo del Governo. Per una descrizione approfondita della normativa sui servizi pubblici locali e delle sue evoluzioni, si rinvia al tema Servizi pubblici locali e all'approfondimento I servizi pubblici locali nella XVI legislatura.
Da segnalare, inoltre, che i commi 20-22 dell'articolo 34 del D.L. 179/2012 hanno previsto che l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sia basato su una relazione dell’ente affidante, da rendere pubblica sul sito internet dell’ente stesso. Nella relazione devono essere indicate le ragioni della forma di affidamento prescelta e deve essere attestata la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo. Dalla relazione devono risultare gli specifici obblighi di servizio pubblico e di servizio universale. Specifiche disposizioni sono previste per gli affidamenti già effettuati e tuttora in corso, che prevedono obblighi di conformazione e scadenze.
Nel contesto precedentemente delineato è necessario tenere presente che, al fine di perseguire il contenimento delle spese degli enti locali nonché la semplificazione del sistema, è stata prevista la soppressione delle Autorità d’ambito territoriale alle quali era demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione del servizio idrico integrato (art. 148 del d.lgs. 152/2006). Nel ricordare che già la legge finanziaria per il 2008 (art. 2, comma 38, della L. 24 dicembre 2007, n. 244) aveva previsto una rideterminazione degli ambiti territoriali che era rimasta inattuata, si segnala che l'art. 1, comma 1-quinquies, del D.L. 2/2010, oltre a prevedere la soppressione delle autorità d'ambito, ha nel contempo disposto l'attribuzione da parte delle regioni con proprie leggi delle funzioni ad esse spettanti ad enti a livello regionale (il termine per la soppressione è stato differito in alcuni provvedimenti e, da ultimo, è stato prorogato al 31 dicembre 2012 dall'art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011).
In relazione alle tematiche inerenti la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque la Commissione ambiente della Camera ha esaminato le proposte di legge C. 2, C. 1951 e C. 3865, nel cui ambito è stata deliberata un’indagine conoscitiva volta ad acquisire elementi di informazione a seguito dei referendum del 12 e 13 giugno 2011. Nell’ambito dell’indagine conoscitiva è stato svolto un ciclo di audizioni. L’esame delle proposte di legge non si è concluso.
L’assetto istituzionale che governa il settore idrico, con riguardo alla vigilanza e alla regolazione, è stato modificato in più occasioni nel corso della XVI legislatura.
In una prima fase, l'art. 9-bis, comma 6, del D.L. 39/2009 ha istituito la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche (in luogo del precedente Comitato per la vigilanza sulle risorse idriche).
Tale Commissione è stata soppressa a decorrere dall'entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 70/2011, che all'art. 10 ha previsto l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua.
Successivamente il D.L. 201/2011, all’art. 21, commi 13 e 19, ha soppresso l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua trasferendo le relative funzioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatta eccezione per le funzioni attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici che sono state attribuite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG). Il D.P.C.M. 20 luglio 2012 ha individuato le funzioni dell'Autorità attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici.
L'Autorità ha approvato, con delibera 28 dicembre 2012, n.585/2012/R/IDR, anche in esito a un procedimento di raccolta di dati e informazioni in materia di servizi idrici, la nuova metodologia transitoria per determinare le tariffe 2012 e 2013 del servizio idrico integrato.
In conseguenza della soppressione delle autorità d’ambito, inoltre, l’art. 34, comma 29, del D.L. 179/2012 ha stabilito che non è più l'autorità d’ambito, ma l'ente d'ambito - ossia il soggetto competente a cui sono state attribuite le funzioni a livello regionale - a definire la tariffa di base, in conformità al metodo tariffario, tariffa che deve essere trasmessa all'Autorità per l'energia elettrica e il gas.
Materiali di diritto comparato
Sulle proposte di legge
Nel corso della XVI legislatura, la disciplina che regola gli strumenti di valutazione ambientale è stata modificata dapprima dal d.lgs. 128/2010 e successivamente da ulteriori disposizioni contenute in vari provvedimenti. Ulteriori modifiche hanno, altresì, riguardato il regime delle autorizzazioni; da ultimo, è stata disciplinata l'autorizzazione unica ambientale.
Il decreto legislativo 152/2006 (cd. Codice ambientale) ha uniformato e razionalizzato la normativa per le valutazioni ambientali: valutazione d'impatto ambientale (VIA), valutazione ambientale strategica (VAS) e autorizzazione integrata ambientale (AIA). Tale normativa è stata oggetto di modifica nel corso della XVI legislatura.
Il D.lgs. 128/2010 (cosiddetto terzo correttivo), a seguito della delega contenuta nella legge 69/2009, ha apportato correzioni e integrazioni alla parte seconda (Procedure per la valutazione ambientale strategica - VAS, per la valutazione d'impatto ambientale - VIA e per l'autorizzazione ambientale integrata - AIA) del decreto legislativo n. 152 del 2006. E' stata, infatti, trasposta e sistematizzata la disciplina in materia di autorizzazione ambientale integrata (AIA) e sono state introdotte disposizioni di coordinamento delle procedure di VIA ed AIA che, nella prassi, tendevano a sovrapporsi creando duplicazioni istruttorie e ritardi procedimentali. Per le opere di competenza statale è stato previsto per legge l'accorpamento delle due procedure, con assorbimento della procedura di AIA da parte della procedura di VIA. Per le opere di competenza regionale, il predetto assorbimento è stato previsto solo ove l'autorità competente in materia di VIA coincida con quella competente in materia di AIA.
E' stato previsto il ricorso obbligatorio alla strumentazione informatica per la trasmissione della documentazione oggetto delle valutazioni ambientali; è stato ribadito che la verifica di assoggettabilità riguarda gli impatti significativi e negativi sull'ambiente; sono stati precisati i termini della fase di consultazione e coordinate le procedure di deposito, pubblicità e partecipazione del pubblico al fine di evitare duplicazioni.
E’ stato integrato l'elenco dei progetti di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano ai quali si applicano le procedure per la valutazione ambientale strategica e la valutazione d'impatto ambientale (art. 40 della L. 99/2009) e quelli di competenza statale (art. 42 della medesima legge 99/2009 e art. 36, comma 7-bis, del D.L. 179/2012)
Sono state modificate le categorie di progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (art. 27, comma 43, della L. 99/2009 e art. 36, comma 7, del D.L. 179/2012).
L’art. 23 del D.L. 1/2012 ha disposto che il Piano di sviluppo della rete di trasmissione nazionale venga sottoposto annualmente alla verifica di assoggettabilità a procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) e a procedura di VAS ogni tre anni.
L’articolo 24 del D.L. 5/2012 ha introdotto una serie di modifiche al D.Lgs. 152/2006, che riguardano l’efficacia dei titoli abilitativi alla ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, nonché le procedure autorizzatorie per l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo. Sono state, altresì, incluse tra le attività assoggettate ad AIA i terminali di rigassificazione e altri impianti localizzati in mare su piattaforme off-shore. Per gli impianti localizzati in mare si prevede che l’ISPRA esegua i controlli previsti in materia di AIA coordinandosi con il Ministero dell’ambiente.
L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) è stato istituito dall’art. 28 del D.L. 112/2008, che ha accorpato in un unico ente l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT), l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) e l’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (ICRAM). Le disposizioni regolamentari di organizzazione dell’Istituto, che opera sotto la vigilanza del Ministro dell'ambiente, sono state successivamente dettate dal D.M. ambiente 21 maggio 2010, n. 123.
La Commissione ambiente della Camera ha esaminato due proposte di legge di iniziativa parlamentare volte ad istituire il Sistema nazionale delle agenzie per la ricerca e la protezione ambientale e a modificare la disciplina dell'ISPRA (A.C. 55 e A.C. 3271), il cui iter non si è concluso.
La Commissione, nella seduta del 18 luglio 2012, ha svolto l’audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul processo di riorganizzazione dell'ISPRA.
L’art. 23 del D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, al fine di semplificare le procedure e ridurre gli oneri per le piccole e medie imprese (PMI) e per gli impianti non soggetti alle disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale (AIA), ha autorizzato il Governo ad emanare - entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legge - un regolamento di delegificazione volto a disciplinare l'autorizzazione unica ambientale (AUA) e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle PMI e degli impianti non soggetti ad AIA.
Lo schema di decreto (atto 526) è stato trasmesso alle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato, che hanno rispettivamente espresso il parere nelle sedute dell’11 febbraio 2013 e del 20 dicembre 2012.
In precedenza, è stato emanato il D.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227, in attuazione dell'art. 49, comma 4-quater, del D.L. 78/2010, per la semplificazione di adempimenti amministrativi in materia ambientale gravanti sulle PMI.
I commi da 8 a 10 dell’articolo 14 del D.L. 179/2012 hanno modificato la disciplina concernente la protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e demandato alle regioni l’irrogazione delle sanzioni amministrative relative al superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione, nonché al mancato rispetto delle modalità previste per l’attuazione dei piani di risanamento.
Altri dossier pubblicati
Sul D.Lgs. 128/2010
Sulle proposte di legge
Il decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 (cd. terzo correttivo) apporta numerose modifiche ed integrazioni al cd. Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006, emanato sulla base della delega contenuta nella L. 308/2004) in attuazione dell’art. 12 della legge 18 giugno 2009, n. 69, che aveva previsto una nuova delega al Governo - da esercitare entro il 30 giugno 2010 - in materia ambientale, da attuarsi nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla stessa legge 308/2004.
Il decreto legislativo, entrato in vigore il 26 agosto 2010, contiene innovazioni di notevole importanza in diverse materie, quali:
Vengono innanzitutto modificate alcune disposizioni della parte prima del Codice ambientale e, in particolare, viene introdotta la “tutela dell’ambiente” quale finalità di tutta l’azione normativa ed amministrativa dello Stato e non del solo decreto legislativo.
Vengono poi apportate alcune modifiche ai principi sulla produzione del diritto ambientale richiamando il rispetto degli obblighi internazionali quale limite alla produzione normativa (anche) in materia ambientale.
Infine, in attuazione del principio di sussidiarietà, il decreto correttivo attribuisce alle regioni, in linea con la precedente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 249 del 2009), la facoltà di esercitare un potere sostitutivo nei confronti degli enti locali, allorché ricorrano congiuntamente due condizioni:
In relazione all’attribuzione di poteri sostitutivi alle regioni, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 249 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 199, comma 9, del d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui attribuiva al Ministro dell’ambiente il potere sostitutivo qualora «le autorità competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei rifiuti «nei termini e con le modalità stabiliti e tali omissioni possano arrecare un grave pregiudizio all’attuazione del piano medesimo». Tali poteri sostitutivi, secondo la Corte, avrebbero dovuto essere riconosciuti in via preliminare alle regioni sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
E’ stata introdotta, per la prima volta in modo organico, all’interno della parte seconda del Codice, la disciplina in materia di AIA che non era stata inserita all’interno del Codice (ad eccezione di alcune norme di coordinamento introdotte dal precedente correttivo n. 4/2008), malgrado prevista dalla legge di delega n. 308/2004 (art. 1, comma 1, lett. f).
Si ricorda che la disciplina dell’AIA (autorizzazione integrata relativa a tutti i possibili impatti di un’opera prevista dalla direttiva 96/61/CE meglio nota con l’acronimo in lingua inglese, IPPC, Integrated Pollution Prevention and Control), prima di essere inglobata all'interno del Codice, era contenuta compiutamente nel D.Lgs. 59/2005 con il quale si era provveduto a recepire integralmente la citata direttiva 96/61/CE, relativa appunto alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (cd. direttiva IPPC).
Il D.Lgs. 128/2010 apporta anche alcune modifiche alla disciplina sulla VAS e sulla VIA sulla base dell’esperienza biennale maturata a partire dal D.Lgs. 4/2008 (c.d. secondo correttivo) e coordina tali procedure con quelle dell’AIA.
E’ innanzitutto modificata la definizione di VIA e sono inserite le definizioni previste dal D.Lgs. 59/2005 in materia di AIA con alcune modifiche dovute in particolare alla necessità di coordinare talune definizioni con la normativa in materia di VIA e di VAS (articolo 5 del Codice).
Per quanto riguarda la definizione della VIA, essa viene completamente riscritta passando dalla precedente – dal carattere tipicamente procedurale – a una definizione fondata su aspetti di natura sostanziale. Infatti, mentre la prima definizione individuava la VIA come l’insieme delle fasi procedimentali in cui si articolava il processo di valutazione dell’impatto ambientale, la nuova si sofferma sullo scopo della procedura di VIA: ossia a) individuare gli effetti sull’ambiente di un determinato progetto e b) raggiungere le soluzioni migliori per garantire la compatibilità dell’intervento progettato con l’ambiente (articolo 5 del Codice).
Vengono quindi specificati il campo di applicazione e le competenze relative all’AIA, sia statale che regionale (articolo 7 del Codice):
L’autorità competente al rilascio dell’AIA rimane il Ministro dell’Ambiente; tuttavia è previsto che lo stesso debba previamente sentire il Ministro dell’interno, del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico e quello delle politiche agricole.
Gli impianti IPPC non compresi nell’elenco di cui all’Allegato XII sono, invece, sottoposti ad AIA secondo le disposizioni delle leggi regionali e provinciali.
Si chiarisce, infine, che le amministrazioni regionali mantengono una propria potestà legislativa in materia di procedure VAS, VIA ed AIA.
Sempre in relazione all’AIA, viene effettuata una ricognizione delle competenze della Commissione istruttoria per l'autorizzazione integrata ambientale - IPPC (articolo 8-bis del Codice).
Non vengono riproposte le disposizioni del D.Lgs. n. 59/2005, istitutive, tra l’altro, di un osservatorio che avrebbe dovuto esercitare funzioni di coordinamento tra le autorità competenti, in particolare per la conservazione e la gestione dei dati ambientali. Tali funzioni vengono attribuite all’ISPRA nell’ambito dei propri fini istituzionali.
Vengono quindi introdotte disposizioni di coordinamento tra le procedura di VIA e quella di AIA che, nella prassi, tendevano a sovrapporsi creando duplicazioni istruttorie e ritardi procedimentali (articolo 10 del Codice):
Un caso particolare di integrazione tra le procedure di VAS e di VIA riguarda i Piani regolatori portuali che presentino contenuti sia progettuali che di pianificazione. Qualora i progetti relativi a tali opere siano già sottoposti a VAS e rientrino tra le categorie per le quali è prevista la VIA, costituiscono dati acquisiti tutti gli elementi valutati in sede di VAS o comunque desumibili dal piano regolatore portuale. La VIA, in tali casi, è effettuata secondo le regole previste dal Codice ma si prevede il coordinamento con le risultanze della VAS in caso di interferenza con gli eventuali contenuti di pianificazione del piano. La procedura di valutazione si conclude con un unico provvedimento (comma 3-ter dell’articolo 6 del Codice).
Viene quindi prevista una norma relativa alla pianificazione territoriale in relazione alla VAS: nel caso di modifiche dei piani e dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l'effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma restando l'applicazione della disciplina in materia di VIA, la VAS non è necessaria per la localizzazione delle singole opere (comma 12 dell’articolo 6 del Codice).
Per quanto riguarda la VIA essa è, invece, obbligatoria per le attività di ricerca, prospezione nonché coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli artt. 4, 6 e 9 della legge n. 9/1991, unicamente se svolte al di fuori del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette, ove, invece, sono vietate (comma 17 dell’art. 6 del Codice).
La disciplina sulla VAS, al contrario di quelle sulla VIA (vedi infra), prevede che alcuni piani e programmi sono obbligatoriamente sottoposti a VAS solo se hanno impatti significativi sull’ambiente (e non anche negativi come per la VIA). In alcuni casi si deve però tenere in considerazione il diverso livello di sensibilità ambientale delle aree interessate (articolo 6, comma 3 del Codice).
Viene previsto uno snellimento procedurale della VAS attraverso l’esclusione dalla procedura di VAS delle revisioni di piani e programmi per i quali le novità introdotte non comportino effetti significativi sull’ambiente e non siano state precedentemente già considerate. In tal caso la verifica è limitata ai soli effetti significativi sull'ambiente che non siano stati precedentemente considerati (comma 6 dell’articolo 12 del Codice).
Si chiarisce che la VAS deve essere effettuata durante la fase di predisposizione del piano e comunque prima dell’approvazione dello stesso (comma 3 dell’articolo 11 del Codice).
Vengono precisati i termini della fase di consultazione e coordinate le procedure di deposito, pubblicità e partecipazione del pubblico al fine di evitare duplicazioni (articoli 13-15 del Codice).
Un ruolo centrale nella procedura di VAS è, infatti, rappresentato dalle consultazioni con il pubblico, ossia la fase in cui chiunque può prendere visione della proposta di piano o programma e del relativo rapporto ambientale e presentare proprie osservazioni. L’autorità competente è tenuta a valutare le osservazioni presentate e, sulla base delle stesse e delle attività tecnico-istruttorie, esprime il proprio parere motivato, ossia – secondo la nuova lettera m-ter dell’articolo 5 del Codice – il provvedimento obbligatorio con eventuali osservazioni e condizioni che conclude la fase di valutazione di VAS, espresso dall’autorità competente sulla base dell’istruttoria svolta e degli esiti delle consultazioni.
Come indicato dal decreto correttivo, il parere motivato rappresenta il parametro sul quale l’autorità procedente deve rivedere il piano o il programma alla luce delle risultanze emerse dalle attività consultive (e delle consultazioni transfrontaliere, ove necessarie).
Si prevede, in via generale, l'esperibilità del rimedio avverso il silenzio dell'amministrazione disciplinato dalle disposizioni generali del processo amministrativo (articolo 15 del Codice).
Per quanto concerne la VIA, la maggiore novità riguarda il campo di applicazione: la VIA interessa unicamente i progetti che determinano un impatto sull’ambiente che sia al tempo stesso significativo e negativo. La normativa precedente prevedeva invece solo il requisito della significatività (articolo 6, comma 5, del Codice).
Analoga modifica viene introdotta per la verifica di assoggettabilità (cd. screening, articolo 5, lett. m) del Codice) ove la valutazione sull’assoggettabilità del progetto alla procedura di VIA deve rispondere al doppio requisito della significatività e della negatività dell’impatto sull’ambiente circostante. Sono pertanto sottoposti alla successiva procedura di VIA unicamente quei progetti che, all’esito della verifica di assoggettabilità, possono avere possibili impatti sia negativi che significativi sull’ambiente (articolo 20 del Codice).
Le ulteriori modifiche al procedimento di VIA riguardano l’introduzione di un termine certo, 60 giorni, entro cui deve concludersi la fase di consultazione(articolo 21 del Codice) che il proponente può richiedere all’autorità competente al fine di definire i contenuti dello studio di impatto ambientale (SIA).
Vengono inoltre integrate alcune fasi del procedimento di VIA, prevedendo nella fase iniziale del procedimento la possibilità, per il proponente, di presentare una documentazione integrativa qualora l’istanza depositata risulti incompleta, entro un termine non superiore a 30 giorni e comunque correlato alla complessità delle integrazioni richieste. In tal caso i termini del procedimento si intendono interrotti fino alla presentazione della documentazione integrativa. Qualora entro il termine stabilito il proponente non depositi la documentazione completa degli elementi mancanti, l’istanza si intende ritirata (articolo 23 del Codice).
Precedentemente se la documentazione risultava incompleta veniva restituita al proponente ed il progetto si intendeva non presentato.
Il secondo momento in cui l’autorità competente può chiedere al proponente integrazioni è collocato nella fase della decisione. Nell’ambito dell’attività valutativa del progetto l’autorità può chiedere informazioni aggiuntive alle quali il proponente è tenuto a rispondere. In questo caso la modifica riguarda l’abbreviazione dei tempi che passano dai 60 giorni (prorogabili di altri 60) agli attuali 45 giorni, prorogabili, su istanza del proponente, per un massimo di ulteriori 45 giorni.
Nell’ottica di dare certezza dei tempi per la conclusione dell’iter della VIA, viene previsto che l'autorità competente esprima il provvedimento di VIA entro 90 giorni dalla presentazione degli elaborati modificati (comma 3-bis dell’articolo 26 del Codice)
E’ attribuito un maggior rilievo alla partecipazione del pubblico qualora le modifiche apportate dal proponente siano sostanziali e rilevanti per il pubblico: chiunque può presentare ulteriori osservazioni entro 60 giorni dalla pubblicazione del progetto che devono essere poi valutate dall'autorità competente per l'adozione del provvedimento di VIA, che deve avvenire entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per la presentazione delle osservazioni (comma 9-bis dell’articolo 24 del Codice).
Nell’ambito delle attività di valutazione discrezionale della documentazione prodotta a corredo dell’istanza di VIA, il legislatore ha allungato, nel caso di provvedimenti dello Stato, il termine entro il quale le Regioni possano presentare il proprio parere: da 60 giorni a 90 giorni. Inoltre, alle Regioni è garantito un termine di ulteriori 60 giorni per esprimere un ulteriore parere nel caso di modifiche sostanziali.
Viene inoltre introdotta la Conferenza dei servizi istruttoria ove le amministrazioni possono rendere le proprie determinazioni, mentre il testo previgente contemplava quale mera eventualità la convocazione della Conferenza dei servizi e vengono ampliati i termini per esprimere i pareri delle amministrazioni interessate (articolo 25 del Codice), allo scadere dei quali l’autorità competente procede comunque con il provvedimento di VIA da rendere secondo le modalità ed i tempi stabiliti dall’articolo 26.
L’articolo 26 del Codice ribadisce, infatti, i termini di conclusione del procedimento già stabiliti dalla normativa vigente: entro 150 giorni successivi alla presentazione dell'istanza, prolungabile di ulteriori 60 giorni per accertamenti ed indagini di particolare complessità.
Nel contempo provvede anche ad un coordinamento dei termini di conclusione del procedimento qualora siano intervenute modifiche progettuali su proposta dal proponente o su richiesta dell'amministrazione: in tali casi i tempi complessivi per la conclusione del procedimento potrebbero arrivare a 270 giorni.
Sia per lo screening che per il provvedimento di VIA, sempre al fine di assicurare tempi certi allo svolgimento della procedura e una sua conclusione spedita, è stata introdotta, inoltre, la possibilità di ricorrere anche avverso il silenzio dell’amministrazione competente (articolo 20, comma 4, e articolo 26, comma 2-bis del Codice).
Viene, infine, rafforzata l’attività di monitoraggio volta ad assicurare il controllo sugli impatti ambientali significativi sull’ambiente, provocati dalla realizzazione dei progetti. Qualora l’attività di monitoraggio dimostri che dalle attività risultano impatti negativi ulteriori e diversi da quelli analizzati nel provvedimento di VIA, l’autorità competente può modificare il provvedimento e apporvi condizioni ulteriori e diverse, mentre nei casi di maggiore gravità può essere anche ordinata la sospensione dei lavori o delle attività autorizzate, nelle more delle determinazioni correttive da adottare (comma 1-bis dell’articolo 28 del Codice).
Il decreto correttivo ha trasposto e sistematizzato, con un nuovo Titolo III-bis, la normativa in materia di AIA contenuta nel d.lgs. 59/2005 (cd. decreto IPPC) nel corpo dello stesso Codice ambientale, apportandovi comunque anche alcune innovazioni che riguardano, tra l’altro, alcuni aspetti della procedura autorizzativa e l’elenco di autorizzazioni settoriali sostituite dall’AIA.
Dal punto di vista dei contenuti la principale innovazione riguarda la figura del gestore che viene allargata anche a soggetti che dispongono di «un potere economico determinante sull’esercizio tecnico dell’impianto» (articolo 5, lettera r-bis del Codice). Conseguentemente non è necessario gestire o detenere direttamente impianti per esserne gestori.
Viene introdotta, analogamente alla VIA, una verifica di procedibilità delle domande, nonché la previsione di un termine (non inferiore a 30 giorni come per la VIA) entro il quale presentare le integrazioni richieste dall'autorità competente, in mancanza delle quali l'istanza si considera ritirata. È fatta salva la facoltà per il proponente di richiedere una proroga del termine per la presentazione della documentazione integrativa per casi particolarmente complessi (articolo 29-ter del Codice);
Numerose sono le novità rispetto alla previgente normativa del d.lgs. 59/2005, relative alla procedura autorizzativa (articoli 29-ter e 29-quater del Codice):
Rimangono immutate le disposizioni sul rinnovo ordinario dell’AIA (articolo 29-octies del Codice) previsto ogni cinque anni (otto per gli impianti Emas e sei per i certificati Iso), fatta eccezione per il rinnovo decennale per gli impianti di cui al punto 6.6 dell'allegato VIII (impianti per l'allevamento intensivo di pollame o di suini).
Nessuna modifica, invece, per quanto riguarda le disposizioni in materia di modifica degli impianti, di variazione del gestore, di rispetto delle condizioni contenute nell’AIA nonché in relazione alla disciplina sanzionatoria (articoli 29-nonies e decies e quattordecies).
Vengono, quindi, coordinate le norme riguardanti gli impatti ambientali interregionali relativi alla VIA ed alla VAS con le norme in materia di AIA, inserendo l’obbligo, per il proponente, di inviare gli elaborati progettuali alle Regioni nonché agli enti locali territoriali interessati dagli impatti (articolo 30 del Codice).
In merito, invece, agli impatti ambientali transfrontalieri, sono introdotti termini da hoc per le relative consultazioni transfrontaliere da concordare, comunque, con gli Stati membri interessati e, in ogni caso, da concludersi entro termini ragionevoli (articolo 32 del Codice).
Per quanto riguarda gli oneri istruttori, compresi i successivi controlli, essi sono posti a carico del gestore dell’impianto, secondo modalità disciplinate da un decreto interministeriale.
Le spese necessarie per l’istruttoria della domanda dell’AIA e per i successivi controlli sono posti a carico del gestore dell’impianto, secondo modalità disciplinate da un decreto interministeriale. Un ulteriore decreto dovrà aggiornare le tariffe almeno ogni due anni.
Nelle more dell’emanazione di tali decreti si applica il D.M. 24 aprile 2008 recante le modalità e le tariffe da applicare in relazione alle istruttorie e ai controlli previsti dal d.lgs. 59/2005 (articolo 33 del Codice).
Vengono, quindi, inseriti cinque nuovi allegati alla parte seconda, sostanzialmente corrispondenti agli allegati I-V del decreto 59/2005 che viene abrogato dal successivo articolo 4.
Infine, viene ribadito che fino all’adeguamento alle prescrizioni dell’AIA da parte del gestore trovano applicazione le disposizioni relative alle autorizzazioni di settore. La sanzione prevista per il caso dell’esercizio di attività IPPC in assenza dell’AIA non si applica ai gestori di impianti, esistenti o nuovi, già dotati di altre autorizzazioni ambientali alla data di entrata in vigore del d.lgs. 59/2005, che abbiano presentato la domanda nei termini stabiliti dai diversi provvedimenti di proroga, fino alla conclusione del relativo procedimento amministrativo (articolo 35, commi 2-quater e 2-quinquies del Codice)
Vengono apportate correzioni ed integrazioni anche alla parte quinta del Codice in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera. La revisione interessa, in via prioritaria, il Titolo I relativo alla prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera di impianti e attività.
Vengono innanzitutto inclusi nel campo di applicazione anche gli impianti di incenerimento e coincenerimento disciplinati dal d.lgs. n. 133/2005, esclusi dalla disciplina previgente. Per tali impianti viene previsto che i valori limite di emissione e altre prescrizioni siano stabiliti nell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti prevista dall’art. 208.
Si ricorda che l’art. 208, comma 11, disciplina il contenuto minimo dell’autorizzazione, che deve contenere, tra l’altro, le condizioni e le prescrizioni necessarie per l’esercizio dell’impianto nonché “i limiti di emissione in atmosfera per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico”.
Per gli impianti sottoposti ad AIA, l’AIA sostituisce l'autorizzazione unica alle emissioni di cui all’art. 269, ai fini sia della costruzione che dell'esercizio (articolo 267 del Codice).
Si introducono alcune correzioni e integrazioni alle definizioni (articolo 268 del Codice), tra le quali si segnala la distinzione tra nozione di impianto e nozione di stabilimento, indispensabile per la definizione degli adempimenti che ricadono sui gestori e sull’amministrazione.
Da più parti era stato sottolineato che in assenza di una norma volta a distinguere impianti e stabilimenti si sono determinate una serie di criticità, non comprendendosi, ad esempio, se fosse necessario autorizzare singolarmente tutti gli specifici impianti di un complesso produttivo o autorizzare l’intero complesso fissando appositi valori e prescrizioni per i singoli impianti.
Al riguardo il decreto intende fornire un quadro certo, definendo l'impianto come il dispositivo/sistema fisso e destinato ad una specifica attività, e lo stabilimento come il complesso unitario e stabile, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o attività.
Le ulteriori modifiche alle definizioni, in parte dovute alla necessità di coordinare talune definizioni con la normativa in materia di VIA e VAS, riguardano, tra l’altro:
Viene precisato che l’autorizzazione alle emissioni riguarda lo stabilimento e che i singoli impianti e le singole attività presenti nello stabilimento non sono oggetto di distinte autorizzazioni.
L’obbligo di indire una conferenza di servizi per istruire le domande di autorizzazione alle emissioni è limitato ai soli stabilimenti nuovi, mentre per rinnovare le autorizzazioni degli stabilimenti esistenti è previsto un autonomo procedimento amministrativo dell’autorità competente, con il parere delle altre autorità locali.
In caso di modifica di impianti o attività, l’autorità ha il potere di rinnovare l’autorizzazione con un’istruttoria estesa a tutto lo stabilimento.
Viene, inoltre, integrato il contenuto dell’autorizzazione prevedendo che essa possa stabilire, per ciascun inquinante, speciali valori limite di emissione da riferire al complesso delle emissioni di tutti gli impianti e le attività di uno stabilimento, che si aggiungono a quelli fissati per ciascun impianto e sono finalizzati a garantire un controllo sull’impatto complessivo che lo stabilimento può determinare nella zona in cui è situato.
Ulteriori novità riguardano:
Il trasferimento di uno stabilimento da un luogo ad un altro equivale all’installazione di uno stabilimento nuovo e quindi, di conseguenza, si rende necessaria una nuova autorizzazione (articolo 269 del Codice).
Vengono introdotte alcune precisazioni sul potere dell’amministrazione di considerare, in determinate situazioni, più impianti come un unico impianto (articolo 270 del Codice), nonché sui valori limite di emissione e le prescrizioni per l’esercizio degli impianti; questi ultimi debbono essere stabiliti sulla base delle migliori tecniche disponibili e dei valori e delle prescrizioni fissati nelle normative regionali, per le quali vengono fissati i principi generali cui esse devono attenersi nella fissazione di tali valori e prescrizioni, ma consentendo loro di stabilire limiti di emissione e prescrizioni più restrittivi. Viene, infine, estesa l’applicabilità delle disposizioni per i casi di guasto dell’impianto, anche alle anomalie di funzionamento, prevedendo espressamente l’obbligo, per il gestore, di sospendere l'esercizio dell'impianto se l'anomalia o il guasto può determinare un pericolo per la salute umana (articolo 271 del Codice).
Si elencano, quindi, gli impianti e le attività in deroga (articolo 272 del Codice), mentre per i grandi impianti di combustione (impianti aventi una potenza termica complessiva maggiore o uguale a 50 MW e considerati come un unico impianto) viene introdotto un criterio per l’applicazione dei limiti di emissione a più impianti le cui emissioni siano convogliate ad un unico punto di emissione: i valori limite da applicare sono quelli che, in caso di mancato convogliamento, si applicherebbero all'impianto più recente (articoli da 273 a 277 del Codice).
Viene precisato che la sospensione temporanea e/o la revoca dell’autorizzazione non hanno portata generale ma riguardano, all’interno dello stabilimento, solamente gli impianti e le attività per i quali vi è stata violazione delle prescrizioni autorizzative (articolo 278 del Codice);
Per quanto riguarda le disposizioni inerenti le sanzioni, si segnala la modifica della pena dell’arresto prevista per le modifiche sostanziali non autorizzate, il cui massimo viene elevato da 6 mesi a 2 anni (articolo 279 del Codice).
Viene, infine, introdotto un regime transitorio per gli stabilimenti in esercizio, prevedendo - per gli stabilimenti che non ricadevano nel campo di applicazione del D.P.R. n. 203 del 1988 e che ricadono nell’attuale titolo I - che il termine per la presentazione della domanda di autorizzazione sia differito al 31 dicembre 2011 e il termine di adeguamento al 1° settembre 2013 (e la relativa domanda deve essere presentata entro il 31 luglio 2012).
Per gli stabilimenti anteriori al 2006 e autorizzati in data anteriore al 1° gennaio 2000, la domanda deve essere presentata tra il 1° gennaio 2012 ed il 31 dicembre 2013, anticipando di un anno la data finale (che nel regime previgente era il 31 dicembre 2014), mentre per quelli anteriori al 2006 e autorizzati in data successiva al 31 dicembre 1999, la domanda deve essere presentata tra il 1° gennaio 2014 ed il 31 dicembre 2015, anticipando in questo caso di tre anni la data finale (prevista al 31 dicembre 2018).
Viene anche introdotto un termine di 8 mesi (elevati a 10 mesi in caso di integrazione della domanda stessa) per il pronunciamento dell’autorità competente sulla domanda di autorizzazione (articolo 281 del Codice).
Le modifiche al Titolo II della parte quinta in materia di impianti termici civili prevedono che la disciplina speciale si applichi soltanto agli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore a 3 MW, mentre sono sottoposti alla disciplina ordinaria del titolo I gli impianti termici civili aventi potenza termica nominale uguale o superiore, in quanto non si differenziano, sul piano delle emissioni in atmosfera, dai normali impianti industriali e devono pertanto soggiacere alle stesse regole (articolo 282 del Codice).
Viene specificato che gli impianti termici civili di potenza termica nominale superiore al valore di soglia devono non solo rispettare le caratteristiche tecniche ed i valori di emissione previsti dall’allegato IX (parti II e III), ma anche le ulteriori caratteristiche e i limiti di emissione più restrittivi previsti dai piani e dai programmi di qualità dell'aria. Inoltre, si attribuisce ai piani regionali di qualità dell’aria il potere di imporre nuovi requisiti tecnico-costruttivi e valori limite di emissione più severi di quelli statali al fine anche di conformare le caratteristiche degli impianti termici civili alle esigenze ambientali di ciascun territorio (articoli 285-286 del Codice).
Viene recepita la sentenza della Corte costituzionale n. 250 del 2009 in materia di competenza regionale in tema di formazione professionale. La disciplina statale viene pertanto sostituita da un rinvio alla legislazione regionale.
Con la citata sentenza n. 250 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del Codice, che attribuisce all’ispettorato provinciale del lavoro la competenza per il rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici al termine dell’apposito corso di formazione, in quanto lesivo della competenza residuale delle regioni in materia di formazione professionale.
Conseguentemente l’autorità individuata dalla legge regionale disciplina anche le modalità di formazione nonché le modalità di compilazione, tenuta e aggiornamento di un registro degli abilitati alla conduzione degli impianti termici (articolo 287 del Codice).
Da ultimo, le modifiche al titolo III della parte quinta, in materia di combustibili, riguardano i combustibili consentiti negli impianti disciplinati dal titolo I e dal titolo II della parte V, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia. Vengono esclusi quindi i materiali e le sostanze elencati nell'allegato X se costituiscono rifiuti ai sensi dalla parte quarta del Codice e la combustione di materiali e sostanze che non sono conformi all'allegato X o che comunque costituiscono rifiuti ai sensi dalla parte quarta del Codice (articolo 293 del Codice).
Vengono, infine, introdotte alcune modifiche in materia di prescrizioni per il rendimento di combustione e la previsione dell’istituzione – con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con i Ministri della salute e dello sviluppo economico - di una Commissione per l'esame delle proposte di integrazione ed aggiornamento dell'Allegato X alla parte V del Codice, presentate dalle amministrazioni dello Stato e dalle regioni, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato (articoli 294 e 298 del Codice).
Il decreto correttivo 128/2010 reca, da ultimo, le conseguenti abrogazioni (d.lgs. 59/2005 e D.M. ambiente 19 aprile 2006), facendo salva la vigente disciplina in materia di sicurezza antincendio.
Gli interventi avviati dopo il terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009 sono stati definiti nel D.L. 39/2009. Successivamente, il D.L. 195/2009 ha introdotto una serie di disposizioni per l'avvio della fase post emergenziale. Da ultimo, il D.L. 83/2012 reca un'articolata disciplina per la chiusura della gestione dell'emergenza.
Il decreto-legge 39/2009, riguardante i comuni colpiti dagli eventi sismici di intensità pari o superiori al 6° grado della scala Mercalli (sulla base dei rilievi effettuati dal Dipartimento della protezione civile), ha previsto interventi volti al reperimento di un'unità abitativa temporanea per le persone residenti nei comuni individuati e all'erogazione di un contributo per la riparazione o la ricostruzione dell’abitazione, nonché all'accollo - da parte dello Stato - dei mutui in essere fino a 150.000 euro. Sono state inoltre introdotte misure volte ad agevolare le piccole riparazioni per rendere agibili le abitazioni non gravemente danneggiate nonché la ripresa delle attività produttive, con l'istituzione di zone franche urbane (ZFU) cui si applicano le agevolazioni fiscali e tributarie in favore delle piccole e medie imprese.
Per quanto riguarda, invece, il patrimonio pubblico, un primo intervento ha interessato le infrastrutture di trasporto e il ripristino degli edifici pubblici. Sono state quindi previste misure per la ripresa delle attività della pubblica amministrazione, per la messa in sicurezza delle scuole, per la riorganizzazione delle strutture del servizio sanitario, nonché un piano di interventi per il ripristino degli edifici universitari e del Conservatorio di musica dell'Aquila. Il decreto ha previsto poi agevolazioni per lo sviluppo economico e sociale, anche attraverso la concessione di garanzie per le piccole e medie imprese, e ha destinato risorse ad interventi di sostegno e reindustrializzazione. Sull'utilizzo delle risorse pubbliche per la ricostruzione è stata quindi prevista un'informativa annuale al Parlamento.
Il D.L. 39/2009 ha anticipato al 30 giugno 2009 l’entrata in vigore della normativa antisismica (art. 1-bis), in conformità con quanto previsto dalla risoluzione 8-00039 approvata l'8 aprile 2009, ed è stato istituito un Fondo per la prevenzione del rischio sismico.
Con la L.R. n. 28/2011, modificata da ultimo dalla L.R. 10/2012, la Regione Abruzzo ha definito le nuove norme per la riduzione del rischio sismico e per la vigilanza ed il controllo sulle opere e costruzioni realizzate in zone sismiche.
Si segnala, infine, che la Commissione ambiente della Camera ha svolto un ciclo di audizioni nell’ambito di un'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia.
L'attività di ricostruzione è stata disciplinata da numerose ordinanze di protezione civile per le quali si rinvia alla relativa scheda di approfondimento.
Nel mese di luglio 2009 sono state avviate le attività di ricostruzione "leggera" (edifici classificati da A a D) e "pesante" (edifici E) prevedendo la concessione di un contributo diretto per le relative riparazioni - ovvero per l’acquisto di una nuova abitazione - nonché alcuni interventi a favore dell'edilizia popolare. E' stata quindi pubblicata la graduatoria delle assegnazioni secondo i criteri definiti dall'O.P.C.M. n. 3806. Sono stati, infine, erogati i primi indennizzi alle imprese per immobili, beni mobili strumentali e ripristino delle scorte.
Si ricorda, inoltre, che il Parlamento europeo ha dato il via libera definitivo allo stanziamento di 493,8 milioni di euro da parte dell’Unione Europea per il terremoto in Abruzzo. Il contributo è stato stanziato a valere sulle risorse del Fondo di solidarietà europeo finalizzato ad aiutare gli Stati membri in caso di gravi catastrofi naturali e ha integrato gli stanziamenti nazionali.
La legge finanziaria 2010 (legge 191/2009) ha previsto - all'art. 2 - alcune disposizioni a favore delle popolazioni abruzzesi finalizzate a garantire il riequilibrio economico- finanziario degli enti locali, ad introdurre rateizzazioni dei versamenti tributari ed alcuni sgravi di carattere fiscale. E' stata prevista la facoltà per i titolari di redditi di locazione di immobili ubicati nella provincia dell'Aquila di applicare un regime di imposizione sostitutivo dell’IRPEF e relative addizionali con aliquota fissata in misura pari al 20% nonché la destinazione di quota parte (pari a 571 milioni per il 2010, 123 per il 2011 e 60 per il 2012) delle disponibilità del Fondo per le esigenze urgenti ed indifferibili del Ministero dell’economia e delle finanze al riequilibrio finanziario degli enti locali danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009.
Sono state adottate le linee guida per i controlli antimafia indicate dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere ai sensi dell'art. 16, comma 4, del decreto legge n. 39/2009, previsti nell'opera di ricostruzione.
Il D.L. 195/2009 ha previsto una serie di disposizioni per l'avvio della fase post emergenziale, affidando al Presidente della Regione le funzioni di Commissario delegato per la ricostruzione. Il D.L. 2/2010 (art. 4) ha destinato le risorse originariamente previste in favore delle comunità montane (20 milioni), a favore della provincia dell’Aquila e dei comuni della regione Abruzzo.
La legge 183/2011 (legge di stabilità 2012) ha confermato l'esclusione dal patto di stabilità degli investimenti in conto capitale deliberati entro il 31 dicembre 2010, anche a valere sui contributi già assegnati negli anni precedenti, per i comuni dissestati della Provincia dell'Aquila (art. 31, comma 13) fino a un importo massimo di 2,5 milioni annui. L'art. 33, comma 28, ha quindi disciplinato dal 1° gennaio 2012 la ripresa della riscossione dei tributi e dei contributi sospesi in favore dei contribuenti residenti nelle zone dell'Abruzzo colpite dal sisma con l'applicazione dell'abbattimento del 60% dei tributi e dei contributi o dei carichi iscritti a ruolo oggetto di sospensione.
Il Capo X-bis (artt. 67-bis – 67-sexies) del D.L. 83/2012 reca un’articolata disciplina per la chiusura della gestione dell’emergenza determinatasi nella regione Abruzzo a seguito del sisma del 6 aprile 2009.
La cessazione dello stato di emergenza, dichiarato a seguito degli eventi sismici in Abruzzo del 6 aprile 2009, è stata anticipata al 31 agosto 2012, anziché al 31 dicembre 2012 come previsto da ultimo dal D.P.C.M. 4 dicembre 2011.
Sono stati definiti norme, obiettivi e modalità della ricostruzione, nonché gli altri interventi necessari per il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite dal sisma del 6 aprile 2009 che, a decorrere dal 16 settembre 2012, sono gestiti sulla base del riparto costituzionale di competenze tra gli enti territoriali e lo Stato. Ulteriori disposizioni riguardano la ricostruzione dei centri storici, le varianti urbanistiche, il reclutamento di personale nella pubblica amministrazione.
Il comma 183 dell’articolo unico della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) ha previsto che il Governo possa procedere, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, ad una rinegoziazione con la società concessionaria delle autostrade A24-A25 delle condizioni della concessione anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza a condizione, tra l’altro, che vengano realizzate tutte le opere necessarie in conseguenza del sisma del 2009.
Il comma 289, primo periodo, ha assegnato un contributo per il 2013, nel limite complessivo di 35 milioni di euro, finalizzato ad assicurare, nel comune dell'Aquila e negli altri comuni colpiti dal sisma, la stabilità dell'equilibrio finanziario, anche per garantire la continuità del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Il 13 ottobre 2009 l'Assemblea della Camera ha approvato la mozione 1-00244, impegnando il Governo ad una serie di azioni per la ricostruzione e il rilancio dello sviluppo economico nei territori colpiti dal sisma.
Oltre agli interventi normativi precedentemente citati, sono state esaminate proposte di legge di iniziativa parlamentare il cui esame non è stato concluso nel corso della legislatura.
La Commissione ambiente della Camera ha esaminato alcune proposte di legge, A.C. 3811, A.C. 3993, A.C. 4107 e A.C. 4675, recanti disposizioni per la ricostruzione, il recupero e lo sviluppo economico-sociale dei territori colpiti dal sisma. La Commissione ha, altresì, avviato l'esame del Doc. XXII, n. 9, recante l'istituzione di una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sulle problematiche connesse alla ricostruzione e allo sviluppo dell'Abruzzo e agli eventi sismici.
La Commissione ambiente del Senato ha esaminato una proposta di legge recante norme in materia di benefici in favore dei superstiti e dei familiari delle vittime del terremoto dell'Aquila (A.S. 2526).
Leggi di stabilità e decreti-legge
Sui principali eventi sismici
Sulle proposte di legge
Nel corso delle legislature XIV e XV è stata compiuta un'importante opera di aggiornamento della normativa antisismica, principalmente attraverso due provvedimenti fondamentali: l'ordinanza 3274/2003 ed il T.U. sulle norme tecniche delle costruzioni, approvato con il D.M. 14 settembre 2005 e successivamente aggiornato e sostituito dal D.M. 14 gennaio 2008.
Con l’O.P.C.M. 3274/2003 sono stati dettati i principi generali sulla base dei quali le Regioni, a cui lo Stato ha delegato l’adozione della classificazione sismica del territorio (ai sensi dell'art. 94, comma 2, lett. a), del D.Lgs. 112/1998), hanno compilato l’elenco dei comuni con la relativa attribuzione ad una delle 4 zone, a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale. Nell’opera di aggiornamento della citata classificazione ha avuto un ruolo di primo piano anche l’O.P.C.M. 3519/2006 (recante "Criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone"), che ha permesso di perfezionare la classificazione del 2003 permettendo una suddivisione del territorio in 12 fasce.
Con riferimento alle norme sulle costruzioni, il D.M. 14 gennaio 2008 riunisce la normativa tecnica relativa alle costruzioni civili al fine di fornire un corpus normativo quanto più possibile coerente ed ispirato al criterio “prestazionale” piuttosto che “prescrittivo”: se prima dell'emanazione della nuova normativa, la garanzia della sicurezza delle costruzioni dipendeva dal rispetto di norme già preordinate a tal fine, con il nuovo testo unico è il progettista che deve predeterminare i livelli prestazionali attribuiti a ciascuna componente strutturale, decidendo quali procedimenti di calcolo e quali modelli adottare per garantire il più alto coefficiente di sicurezza dell’opera da realizzare.
Si ricorda che alla normativa tecnica di dettaglio fanno rinvio le disposizioni di carattere più generale, per le costruzioni in zone sismiche, contenute nella parte II, capo IV (artt. 83-106) del "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia" approvato con D.P.R. 380/2001.
Sulla base del lavoro di affinamento e verifica della classificazione sismica fatta dalle Regioni, nel 2012 il Dipartimento dalla Protezione Civile ha pubblicato una nuova mappa di classificazione sismica comunale.
Con l'art. 4 dell' O.P.C.M. n. 3932 del 7 aprile 2011 è stata apportata una modifica all'allegato 1, punto 4, lett. n) dell'O.P.C.M. n. 3274 che prevede che l'aggiornamento delle mappe di ag (accelerazioni orizzontali) dovranno aver luogo ogniqualvolta lo sviluppo delle conoscenze lo suggerisca e non più ad intervalli temporali non superiori a cinque anni.
Relativamente alle norme tecniche sulle costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008, invece, nel corso della XVI legislatura sono state emanate le necessarie istruzioni applicative con la circolare 2 febbraio 2009, n. 617.
L’entrata in vigore della normativa tecnica sulle costruzioni era stata prorogata al 30 giugno 2010, dall’art. 29, comma 1-septies del decreto-legge n. 207/2008, ma dopo il sisma in Abruzzo, con l’art. 1-bis del decreto-legge n. 39/2009, essa è stata anticipata al 30 giugno 2009.
Con la circolare del 5 agosto 2009 è stata ribadita la fine del regime transitorio (stabilito dall'art. 20 del D.L. 248/2007) e pertanto, dal 1° luglio 2009 è obbligatoria l'applicazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008. La circolare, inoltre, ha fornito chiarimenti in ordine al regime intertemporale degli interventi per i quali, avuto riguardo al livello di definizione progettuale e/o allo stadio procedimentale raggiunto, anche dopo il termine del 30 giugno 2009, è consentita l'applicazione della normativa tecnica precedentemente in vigore al citato D.M. 14 gennaio 2008, nonché chiarimenti circa l'utilizzabilità dei materiali e degli elementi per uso strutturale prodotti prima del termine del 30 giugno 2009.
Nella G.U. del 26 febbraio 2011, n. 47, S. O. n. 54 è stata pubblicata la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 febbraio 2011 sulla valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14 gennaio 2008, resasi necessaria ai fini di una puntuale verifica dei contenuti della precedente direttiva del 12 ottobre 2007 (con cui era stata adottata una serie di indirizzi operativi per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale) ed una loro parziale revisione ed integrazione. Le Regioni, d'intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali e il Dipartimento della protezione civile, disciplinano le modalità applicative e le attività di monitoraggio sullo stato di conservazione del patrimonio culturale, in coerenza con le finalità della direttiva.
L'art. 11 del D.L. 39/2009 ha istituito un Fondo per la prevenzione del rischio sismico, con una dotazione di 44 milioni di euro per l’anno 2010, 145,1 milioni per l’anno 2011, 195,6 milioni per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, 145,1 milioni per l’anno 2015 e 44 milioni per l’anno 2016.
Con l'O.P.C.M. n. 3907/2010 del 13 novembre, pubblicata nella G.U. n° 281 dell'1-12-2010 (S.O. n. 262), sono state assegnate al Fondo, per il 2010, risorse pari a 42,504 milioni di euro da utilizzare per quattro categorie di interventi (art. 2, comma 1, dell'ordinanza):
a) indagini di microzonazione sismica (4 milioni di euro, a cui si aggiungono altri 4 milioni a carico delle Regioni);
b) interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico, o, eventualmente, di demolizione e ricostruzione, degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali strategiche, ad esclusione degli edifici scolastici;
c) interventi strutturali di rafforzamento locale o di miglioramento sismico, o, eventualmente, di demolizione e ricostruzione di edifici privati: il contributo può coprire al massimo il 40% del costo (per le voci b) e c) vengono messi a disposizione 34 milioni di euro);
d) altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio sismico (4 milioni di euro).
I restanti 504 mila euro sono destinati all’acquisto da parte del Dipartimento della protezione civile di beni e servizi strumentali alle attività previste dall’ordinanza.
L'ordinanza ha destinato i fondi solo ai Comuni ad alto rischio sismico.
Per quanto riguarda l'effettiva erogazione delle risorse di cui alla lettera d) viene prevista la diretta assegnazione da parte del Dipartimento della Protezione civile, sentite le Regioni interessate, mentre per i fondi di cui alle lett. a), b) e c), sono le Regioni a elaborare «programmi», «sentiti i Comuni interessati che trasmettono una proposta di priorità degli edifici», dopodichè è previsto che il Dipartimento della Protezione civile provveda a ripartire le risorse.
Con un Decreto del Capo dipartimento della Protezione civile del 21 gennaio 2011 (pubblicato nella G.U. n. 109 del 12-5-2011, pag. 122) è stato poi regolamentato l’utilizzo dei fondi previsti dall’art. 2, comma 1, lettera d) dell’ordinanza n. 3907 relativa agli altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio sismico che devono rispettare la disciplina dettata per le opere di cui all’art. 2, comma 1, lettera b). Possono accedere al contributo anche ponti e viadotti facenti parte di infrastrutture di trasporto urbano a determinate condizioni indicate nel decreto stesso e previa una loro individuazione da parte delle regioni. Queste ultime sono tenute a comunicare i relativi dati al Dipartimento della protezione civile ai fini della redazione di una graduatoria nazionale degli interventi stessi.
Con il Decretodel Capo del Dipartimento della Protezione civiledel 10 dicembre 2010 (pubblicato nella G.U. n. 42 del 21-2-2011, pag. 53) si era, invece, in precedenza provveduto a ripartire tra le regioni le risorse del Fondo per la prevenzione del rischio sismico per l'annualità 2010, sulla base dei criteri dell'O.P.C.M. n. 3907. Sono stati, pertanto, ripartiti 3.976.213 euro per indagini di microzonazione sismica e 33.797.808 per interventi strutturali di rafforzamento-miglioramento sismico o di demolizione-ricostruzione sia degli edifici ed opere di interesse strategico che di edifici privati. Sono esclusi da tali interventi gli edifici scolastici in quanto destinatari di altri contributi pubblici. Successivamente, con Decreto 29 dicembre 2011 del Capo del Dipartimento della Protezione civile è stata modificata l'assegnazione delle risorse per l'annualità 2010 previste dal Fondo, come indicato nella tabella 1 allegata allo stesso decreto (GU n. 84 del 10-4-2012, pag. 35). Ulteriori modifiche sono state apportate dal decreto 6 settembre 2012.
Sempre in attuazione dell'art. 11 del D.L. 39/2009, con il decreto del6 luglio 2011(pubblicato nella G.U. n. 164 del 16-7-2011, pag. 106) si è provveduto all'istituzione della Commissione tecnica di supporto e monitoraggio degli studi di microzonazione sismica.
La composizione della Commissione è stata più volte da integrata. Da ultimo è intervenuto il D.P.C.M. 4 maggio 2012.
Con O.P.C.M. n. 4007/2012 del 29 febbraio (pubblicata nella G.U. n. 56 del 7-3-2012, pag. 5)sono state assegnate al Fondo, per il 2011, risorse pari a 145,1 milioni di euro, destinate alle seguenti quattro categorie di interventi:
a) 10 milioni di euro per indagini di microzonazione sismica;
b) 130 milioni di euro per interventi strutturali di rafforzamento/miglioramento sismico o di demolizione/ricostruzione degli edifici di interesse strategico e degli edifici privati;
c) 4 milioni di euro per altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio sismico;
d) 1,1 milioni di euro per l'acquisto da parte del Dipartimento della protezione civile di beni e servizi strumentali all'esecuzione delle attività relative all'ordinanza stessa.
L'individuazione degli interventi finanziabili è effettuata dal Dipartimento della protezione civile, sentito il Presidente della regione interessata, che provvederà alla ripartizione dei contributi tra le regioni interessate secondo i criteri e le modalità indicati dalla stessa ordinanza.
In attuazione di tale ordinanza e in analogia con le procedure attuative seguite per l'annualità precedente, è stato emanato il Decreto 16 marzo 2012, che ha individuato - con riferimento agli interventi di cui alle lettere a), b) e c) - le quote da ripartire alle singole Regioni, e il decreto 16 ottobre 2012, che ha disposto in merito all'utilizzo dei fondi di cui alla lettera d).
Con l'Ordinanza del Capo Dipartimento della Protezione civile 20 febbraio 2013, n. 52 (pubblicata nella G.U. n.50 del 28-2-2013) sono state assegnate al Fondo, per il 2012, risorse pari a 195,6 milioni di euro, destinate alle seguenti quattro categorie di interventi:
a) 16 milioni di euro per indagini di microzonazione sismica;
b) 170 milioni di euro per interventi strutturali di rafforzamento/miglioramento sismico o di demolizione/ricostruzione degli edifici di interesse strategico e degli edifici privati;
c) 8,5 milioni di euro per altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio sismico;
d) 1,1 milioni per l'acquisto da parte del Dipartimento della protezione civile di beni e servizi strumentali all'esecuzione delle attività previste dall'ordinanza.
La medesima ordinanza ha altresì dettato una serie di disposizioni di carattere procedurale e di criteri cui attenersi nell'assegnazione delle risorse.
In particolare si segnalano le disposizioni dell'art. 18 che, al fine di realizzare una maggiore integrazione delle azioni finalizzate alla mitigazione del rischio sismico, prevede che siano incentivate le iniziative volte al miglioramento della gestione delle attività di emergenza nella fase immediatamente successiva al terremoto. A tale scopo viene previsto che gli studi di microzonazione sismica siano sempre accompagnati dall'analisi della Condizione Limite per l'Emergenza (CLE) dell'insediamento urbano.
Lo stesso articolo definisce come Condizione Limite per l'Emergenza (CLE) dell'insediamento urbano "quella condizione al cui superamento, a seguito del manifestarsi dell'evento sismico, pur in concomitanza con il verificarsi di danni fisici e funzionali tali da condurre all'interruzione delle quasi totalità delle funzioni urbane presenti, compresa la residenza, l'insediamento urbano conserva comunque, nel suo complesso, l'operativita' della maggior parte delle funzioni strategiche per l'emergenza, la loro accessibilità e connessione con il contesto territoriale".
L'art. 18 prevede altresì che le Regioni, nel provvedimento di cui al comma 3 dell'art. 5, determinano le modalità di recepimento di tali analisi negli strumenti urbanistici e di pianificazione dell'emergenza vigenti.
Si ricorda che il richiamato comma 3 dell'art. 5 dell'ordinanza n. 52, prevede che le Regioni, sentiti gli Enti locali interessati, con proprio provvedimento individuano i territori nei quali è prioritaria la realizzazione degli studi di microzonazione sismica e lo trasmettono al Dipartimento della Protezione Civile. Nel medesimo provvedimento sono definite le condizioni minime necessarie per la realizzazione degli studi di microzonazione sismica avuto riguardo alla predisposizione ed attuazione degli strumenti urbanistici e sono individuate le modalità di recepimento degli studi di microzonazione sismica e dell'analisi della Condizione Limite per l'Emergenza negli strumenti urbanistici vigenti.
Per il 2012, come per il 2011, le Regioni devono attivare obbligatoriamente gli interventi sugli edifici privati, da un minimo del 20% a un massimo del 40% del finanziamento loro assegnato, purché questo sia pari o superiore a 2 milioni di euro.
Gli interventi previsti dall’ordinanza n. 52, come per le annualità precedenti, vengono attuati attraverso programmi predisposti dalle Regioni e dalle Province autonome e comunicati nei termini previsti al Dipartimento della Protezione civile.
L'O.P.C.M. 3274/2003, oltre alle citate disposizioni tecniche e in materia di classificazione, ha previsto (all'art. 2, comma 3) anche un obbligo di verifica da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, ai sensi delle norme di cui agli allegati della stessa ordinanza, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso.
Le verifiche, da svolgersi entro cinque anni dalla data dell’ordinanza, riguardano in via prioritaria edifici ed opere ubicate nelle zone sismiche 1 e 2, secondo quanto definito nell'allegato 1.
Si ricorda che le tipologie degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile e quelle degli edifici e delle opere che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso, nonché le indicazioni per le verifiche tecniche da realizzare su edifici ed opere rientranti nelle predette tipologie, sono state individuate con il decreto 21 ottobre 2003.
Il termine per l'effettuazione delle predette verifiche è stato dapprima posticipato al 31 dicembre 2010 dall'art. 20, comma 5, del decreto-legge 248/2007 (che ha escluso dall'obbligo di verifica gli edifici e le opere progettate in base alle norme sismiche vigenti dal 1984) e poi successivamente prorogato al 31 marzo 2011 dal D.L. 225/2010, al 31 dicembre 2011 dal D.P.C.M. 25 marzo 2011, al 31 dicembre 2012, dall'art. 3 del decreto-legge 216/2011 e, infine, al 31 marzo 2013 dal comma 421 dell'art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013).
Le citate proroghe hanno riguardato anche la verifica sismica delle dighe di ritenuta prevista dall'art. 4, comma 1, del D.L. 79/2004.
Si ricorda in proposito che il citato comma 1 ha previsto, ai fini della valutazione delle condizioni di sicurezza delle dighe esistenti (aventi le caratteristiche di cui all'art. 1 del D.L. 507/1994), l'individuazione, con apposito elenco, delle dighe da sottoporre a verifica sismica ed idraulica in conseguenza della variata classificazione sismica dei siti ovvero dei ridotti franchi di sicurezza idraulica, anche sulla base di quanto previsto dall'O.P.C.M. 3274/2003.
Per effetto delle citate proproghe, anche il termine per l'attuazione del presente comma è stato prorogato al 31 marzo 2013.
Ai sensi dell'art. 1, comma 1, della L. 449/1997 la detrazione dall'IRPEF delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio riguardava anche le spese per la "adozione di misure antisismiche con particolare riguardo all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica, in particolare sulle parti strutturali". La stessa norma precisava che "Gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche e all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica devono essere realizzati sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici collegati strutturalmente e comprendere interi edifici e, ove riguardino i centri storici, devono essere eseguiti sulla base di progetti unitari e non su singole unità immobiliari".
Tale disposizione si trova ora sostanzialmente riprodotta nell'art.16-bis del D.P.R. 917/1986, introdotto dall'art. 4, comma 1, lett. c), del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, che ha reso permanenti le citate detrazioni per spese di ristrutturazione.
Rispetto alla precedente disposizione il nuovo art. 16-bis ha incluso anche le spese "per la redazione della documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio, nonché per la realizzazione degli interventi necessari al rilascio della suddetta documentazione".
La consapevolezza della necessità di agevolare ulteriormente gli interventi per la mitigazione del rischio sismico è stata sottolineata dall'odg 0/3426/43/0810, accolto dal Governo nella seduta del 1° agosto 2012 delle Commissioni 8a e 10a del Senato, che ha impegnato il Governo a "dare stabilità al credito di imposta del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici, estendendolo anche agli interventi di mitigazione dei rischi e di adeguamento antisismico del patrimonio edilizio esistente e permettendone l'accesso anche alle imprese".
Nell'ambito del riordino della protezione civile operato con il D.L. 59/2012, il Governo ha cercato di introdurre disposizioni finalizzate a consentire l'avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati, a qualunque uso destinati. Tali disposizioni, contenute nell'art. 2 del testo iniziale del decreto, sono state soppresse dalla L. 100/2012 di conversione del medesimo decreto.
L’articolo 2 riproponeva, ampliandole, le disposizioni in materia di assicurazione per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati previste dall’art. 52 (poi soppresso) del testo iniziale del ddl finanziaria 2007, a loro volta integrative delle disposizioni, ancora oggi vigenti (sebbene inattuate), recate dall’art. 1, comma 202, della L. 311/2004 (finanziaria 2005). Per un approfondimento si rinvia al dossier predisposto per l'esame del ddl di conversione del D.L. 59/2012.
A seguito degli eventi sismici che hanno colpito il territorio della provincia dell'Aquila e di altri comuni della regione Abruzzo il 6 aprile 2009, il Governo ha immediatamente emanato il D.P.C.M. 6 aprile 2009 con cui è stato dichiarato il rischio di compromissione degli interessi primari. Con un altro D.P.C.M., emanato nella stessa data, è stato quindi dichiarato , fino al 31 dicembre 2010, lo stato di emergenza ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, comma 1, della legge 225/1992, conferendo al Capo del Dipartimento della protezione civile i poteri di Commissario delegato come previsto dall'art. 5, comma 4, della stessa legge 225.
Lo stato di emergenza è stato successivamente prorogato al 31 dicembre 2011 dal D.P.C.M. del 17 dicembre 2010 e, successivamente, fino al 31 dicembre 2012 con D.P.C.M. del 4 dicembre 2011. L'art. 67-bis del D.L. 83/2012 ha anticipato la fine della fase emergenziale al 31 agosto 2012 (vedi infra).
Al fine di assicurare la necessaria, urgente assistenza, il soccorso e la sistemazione delle popolazioni colpite dal sisma e per la rimozione di ogni situazione che determini pericolo per le popolazioni assumendo ogni misura idonea al superamento del contesto emergenziale e per la salvaguardia delle vite umane, è stata emanata una serie di ordinanze, nonchè ulteriori decreti e circolari (v. analisi approfondita del contenuto dei provvedimenti emanati).
Di particolare interesse sono due decreti del Commissario delegato con cui sono stati individuati i comuni colpiti dal sisma.
Il decreto del Commissario delegato n. 3 del 16 aprile 2009 ha individuato i comuni interessati dagli eventi sismici, ovvero quei comuni che hanno risentito di un'intensità MCS uguale o superiore al sesto grado: Provincia dell’Aquila: Acciano, Barete, Barisciano, Castel del Monte, Campotosto, Capestrano, Caporciano, Carapelle Calvisio, Castel di Ieri, Castelvecchio Calvisio, Castelvecchio Subequo, Cocullo, Collarmele, Fagnano Alto, Fossa, Gagliano Aterno, Goriano Sicoli, L'Aquila, Lucoli, Navelli, Ocre, Ofena, Ovindoli, Pizzoli, Poggio Picenze, Prata d'Ansidonia, Rocca di Cambio, Rocca di Mezzo, San Demetrio ne' Vestini, San Pio delle Camere, Sant'Eusanio Forconese, Santo Stefano di Sessanio, Scoppito, Tione degli Abruzzi, Tornimparte, Villa Sant'Angelo e Villa Santa Lucia degli Abruzzi; Provincia di Teramo: Arsita, Castelli, Montorio al Vomano, Pietracamela e Tossicia; Provincia di Pescara: Brittoli, Bussi sul Tirino, Civitella Casanova, Cugnoli, Montebello di Bertona, Popoli e Torre de' Passeri.
Con il decreto n. 11 del 17 luglio 2009 del Commissario delegato sono stati inseriti otto nuovi Comuni: Bugnara, Cagnano Amiterno, Capitignano, Fontecchio e Montereale della Provincia dell’Aquila; per la Provincia di Teramo i comuni di Colledara, Fano Adriano e Penna Sant’Andrea. L’introduzione di nuovi comuni, che si aggiungono a quelli individuati con il decreto del 16 aprile 2009 è stata necessaria dopo le ulteriori verifiche dei danni causati dal proseguimento dello sciame sismico in Abruzzo.
Con gli articoli da 67-bis a 67-sexies del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 sono state introdotte numerose disposizioni finalizzate alla chiusura della gestione emergenziale, nonchè per la ricostruzione, lo sviluppo e il rilancio dei territori interessati dal sisma del 6 aprile 2009.
In particolare l’articolo 67-bis ha disciplinato la fase della cessazione dello stato di emergenza dichiarato, che viene anticipata al 31 agosto 2012, anziché al 31 dicembre 2012 come previsto da ultimo dal D.P.C.M. 4 dicembre 2011.
Lo stesso articolo ha però consentito al Commissario delegato, alla Struttura di missione per le attività espropriative od altri organismi costituiti a supporto del Commissario delegato per la ricostruzione, di continuare ad operare fino al 15 settembre 2012 ai fini del trasferimento, da tale data, delle funzioni alle amministrazioni competenti in via ordinaria: regione, province e comuni del cratere.
In attuazione di tale disposizione è stata emanata l'ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile 20 settembre 2012 con cui si è provveduto a regolare il subentro delle amministrazioni pubbliche competenti per via ordinaria nelle iniziative del Dipartimento della protezione civile.
L'art. 67-bis ha previsto altresì norme in materia di personale e contabilità, ma soprattutto ha previsto la presentazione (entro il 15 settembre 2012) al Presidente del Consiglio, da parte del Commissario delegato, di una relazione dettagliata sullo stato degli interventi realizzati e in corso di realizzazione e sulla situazione contabile nonché una ricognizione del personale ancora impiegato, ad ogni titolo, nell'emergenza e nella ricostruzione, finalizzata a consentire l'adozione di apposito D.P.C.M. volto a disciplinare i rapporti derivanti dai contratti stipulati dagli organismi succitati, nonché le modalità per consentire l'ultimazione delle attività programmate dal Commissario.
La norma fa riferimento alle attività per il superamento dell'emergenza per le quali il Commissario delegato per la ricostruzione ha già presentato, alla data del 30 giugno 2012, formale richiesta al Dipartimento della protezione civile e al completamento di interventi urgenti di ricostruzione già oggetto di decreti commissariali emanati.
La prevista disciplina dei rapporti derivanti dai contratti stipulati dal Commissario è stata successivamente emanata con il D.P.C.M. 10 ottobre 2012.
L’articolo 67-ter ha recato le disposizioni per la ricostruzione e gli altri interventi necessari per il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite dal sisma, prevedendone la gestione, a decorrere dal 16 settembre 2012, sulla base del riparto costituzionale di competenze tra gli enti territoriali e lo Stato (artt. 114 e seguenti della Costituzione).
Per il controllo degli interventi di ricostruzione si prevede l'istituzione di due Uffici speciali per la ricostruzione, uno per la città dell’Aquila e l’altro per i 56 comuni del cratere, e ne vengono disciplinati i compiti, la composizione e la dotazione di risorse umane e strumentali.
Tali uffici sono chiamati a svolgere, tra l’altro, sostanzialmente un’attività di promozione e assistenza tecnica della qualità della ricostruzione, monitoraggio finanziario e attuativo degli interventi, informazione trasparente sull’utilizzo dei fondi, controllo della conformità e della coerenza urbanistica ed edilizia delle opere nonché verifica della coerenza rispetto al progetto approvato con controlli puntuali in corso d’opera. I due Uffici curano altresì l’istruttoria per l’esame delle richieste di contributo degli immobili privati, oltre a verificare la congruità tecnica ed economica.
I commi 5 e seguenti prevedono misure volte al reclutamento di risorse umane, in deroga a quanto previsto dalla normativa vigente, al fine di potenziare le strutture degli enti locali – comune dell’Aquila e comuni del cratere - impegnati nelle opere di ricostruzione, attraverso l’assunzione, a tempo indeterminato, di 200 unità di personale a decorrere dall’anno 2013, di cui 128 unità assegnate al comune dell’Aquila.
Viene altresì autorizzato il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) ad assumere a tempo indeterminato fino a 100 unità di personale da assegnare temporaneamente ai due sopracitati Uffici speciali (50 unità), alle province interessate (40 unità) e alla regione Abruzzo (10 unità).
L’art. 67-quater, elenca, in attesa dell’emanazione di una organica legge regionale, gli obiettivi e le modalità della ricostruzione. Tra gli obiettivi rilevano:
a) la priorità del rientro della popolazione nelle abitazioni mediante il recupero, ove possibile, con adeguamento sismico degli edifici. Viene data priorità, per gli edifici pubblici, agli edifici strategici e, per gli edifici privati, a quelli destinati ad abitazione principale, insieme con le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, distrutte o danneggiate dal sisma;
b) la promozione e la riqualificazione dell’abitato, con riferimento alla presenza di servizi pubblici e di progetti che assicurino la sostenibilità ambientale e energetica, avanzate tecnologie edilizie, l'ampliamento degli spazi pubblici nei centri storici e la riorganizzazione delle reti infrastrutturali e dei servizi;
c) la ripresa socio-economica del territorio.
Per l’attuazione degli obiettivi citati, il comma 2 dell'art. 67-quater prevede:
a) interventi singoli o in forma associata per i quali viene previsto un termine inderogabile di avvio degli stessi, stabilito dal comune, e viene altresì indicata una procedura da seguire in caso di inadempienza con l’attribuzione al comune di poteri sostitutivi;
b) programmi integrati nei casi in cui siano necessari interventi unitari. In tali casi viene prevista la possibilità dell’individuazione, da parte del comune, di un unico soggetto attuatore per la progettazione e realizzazione degli interventi, individuato attraverso un procedimento ad evidenza pubblica. Nei casi di mancato consenso tra il comune e i proprietari degli edifici interessati dai programmi integrati e di particolare compromissione dell’aggregato urbano, il comune può procedere all’occupazione temporanea degli immobili;
c) delega volontaria da parte dei proprietari ai comuni delle fasi di progettazione, esecuzione e gestione lavori. Sono previste premialità urbanistiche nei confronti dei proprietari privati interessati che consiste, oltre che nella diversificazione delle destinazioni d'uso, nell’attribuzione di una percentuale di incremento di superficie utile compatibile con la struttura architettonica e tipo-morfologica dei tessuti storici, prevista nella misura del 20%.
Per favorire la ricostruzione del centro storico dell’Aquila, si prevede un contributo per la riparazione ed il miglioramento sismico anche per le unità immobiliari private diverse dall’abitazione principale.
Di fatto lo Stato coprirà al 100 % le spese per la ricostruzione delle parti strutturali e comuni (compresi gli elementi architettonici esterni) di tutti gli edifici privati del centro storico dell’Aquila, compresi quelli con un unico proprietario. Sono escluse le unità immobiliari costruite in violazione delle vigenti norme urbanistiche ed edilizie senza che sia intervenuta sanatoria.
La corresponsione del contributo è subordinata al conferimento della delega volontaria al comune prevista dal comma 2 e, in caso di mancato consenso, il comune può procedere all’occupazione temporanea degli immobili.
Il comma 6 dell'art. 67-quater precisa che le risorse stanziate dall’art. 14, comma 1, del D.L. 39/2009 sono finalizzate anche al sostegno delle attività produttive e della ricerca e, a decorrere dal 2012, una quota di esse pari al 5% viene destinata alle finalità dell'articolo 67-quater.
Viene inoltre istituita dal comma 9, riproducendo nella sostanza gran parte delle disposizioni contenute negli artt. 7 e 8 dell’O.P.C.M. 4013/2012, una cd. white list, ossia un elenco al quale gli operatori economici interessati alla ricostruzione per garantire trasparenzanegli interventi stessi possono iscriversi. Agli Uffici speciali per la ricostruzione è demandata la fissazione dei requisiti di affidabilità tecnica per l'iscrizione volontaria nell'elenco, comunque subordinata al possesso dei requisiti di cui all'articolo 38 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 163/2006).
Lo stesso comma 9 demanda a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, la disciplina dei contributi alla ricostruzione privata, ulteriori requisiti dei professionisti e delle imprese, delle sanzioni per il mancato rispetto dei tempi di esecuzione, nonché prescrizioni a tutela dei lavoratori impiegati nei cantieri della ricostruzione.
In attuazione di tale comma è stato emanato il D.P.C.M. 4 febbraio 2013 relativo alla definizione delle procedure per il riconoscimento dei contributi per la ricostruzione privata.
L’articolo 67-quinquies interviene sui piani di ricostruzione dei centri storici dei comuni del cratere prevedendo che debbano essere predisposti dagli stessi comuni, ove non abbiano ancora provveduto, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (vale a dire entro il 10 dicembre 2012, dato che la L. 134/2012, di conversione del D.L. 83/2012, è stata pubblicata nella G.U. dell'11 agosto ed entrata in vigore il giorno successivo).
Si tratta dei piani di ricostruzione dei centri storici, previsti dall'art. 14, comma 5-bis, del decreto-legge n. 39 del 2009, la cui predisposizione è stata affidata, dalla norma stessa, ai sindaci dei comuni colpiti dal sisma, d'intesa con i presidenti della regione e della provincia (quest’ultimo per le materie di competenza).
Si dispone, inoltre, in merito all’approvazione delle varianti urbanistiche di adeguamento normativo e cartografico, ai fini della ricostruzione, per le quali viene richiesto l’accordo di programma di cui all’art. 34 del decreto legislativo n. 267/2000 tra il comune e la provincia competente.
Riguardo poi alle disposizioni urbanistiche comunali in contrasto con sopraggiunte norme statali o regionali si prevede che, in tal caso, le disposizioni comunali si intendono aggiornate. Mentre nell'attuazione dei piani di ricostruzione dei centri storici dei comuni del cratere il particolare interesse paesaggisticodegli edifici civili privati deve essere attestato dal Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici.
L'art. 67-quinquies prevede altresì, al comma 2, che resta ferma l’efficacia delle O.P.C.M. emanate dal 2009 fino all’adozione di un T.U. delle disposizioni concernenti gli interventi relativi agli eventi sismici del 6 aprile 2009.
Il comma 3 invece ha ribadito, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo e di tutte le misure già adottate in relazione al sisma del 6 aprile 2009, che si intendono per territori comunali colpiti dal sisma quelli individuati dai decreti nn. 3 e 11 del Commissario delegato (v. supra) e che resta ferma l'applicazione dell'articolo 1, comma 3, del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39.
Si ricorda che il comma 3 dell'art. 1 del decreto-legge n. 39 ha introdotto la possibilità di applicare le agevolazioni per la ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo anche per beni localizzati fuori dei territori dei comuni come sopra individuati, in tal caso, tuttavia, occorre che una perizia giurata attesti il nesso di causalità tra il danno e l'evento sismico.
L’articolo 67-sexies reca la copertura finanziaria degli oneri recati dall’articolo 67-ter relativamente all'istituzione dei due Uffici speciali per la ricostruzione e all'assunzione di 300 unità di personale, quantificati in 14.164.000 euro per ciascuno degli anni 2013-2015 e in 11.844.000 euro a decorrere dal 2016.
Il decreto-legge n. 39/2009 ha previsto numerosi stanziamenti per interventi di varia natura a sostegno delle popolazioni colpite dal sisma del 6 aprile:
Vi sono poi nel decreto ulteriori interventi i cui stanziamenti non sono quantificati dal punto di vista finanziario, che consistono comunque in misure di sostegno, per le quali, in alcuni casi, è previsto l’intervento anche di soggetti diversi dallo Stato.
In aggiunta agli importi definiti dall’articolo 14, comma 1, il decreto-legge n. 39 prevede lo stanziamento di una ulteriore quota di risorse proveniente del Fondo aree sottoutilizzate, specificamente destinata al finanziamento di interventi di edilizia scolastica nella regione Abruzzo (art. 4, co. 4, primo periodo), da reperirsi nell’ambito del Fondo infrastrutture. In relazione a tale intervento, con la delibera del 26 giugno 2009, n. 47, il CIPE ha assegnato 226,4 milioni del Fondo infrastrutture in favore della regione Abruzzo, al fine di sostenere la ricostruzione e la messa in sicurezza degli edifici scolastici della regione danneggiati dagli eventi sismici.
Vanno infine ricordati gli ulteriori interventi agevolativi previsti dal decreto-legge, i cui oneri non vengono quantificati espressamente dalle norme del provvedimento:
Infine, è prevista la possibilità di concessione di garanzia statale su finanziamenti bancari a favore delle piccole e medie imprese, a valere sul Fondo di garanzia per le PMI (art. 10, co. 1).
Si segnala inoltre che, per la ricostruzione dell'Abruzzo, il decreto-legge n. 39 prevede che si aggiungono a quella già stanziate dal Governo:
Secondo quanto riportato nella relazione del Ministro per la coesione territoriale del 16 marzo 2012, dal titolo "La ricostruzione dei comuni del cratere aquilano", la ricognizione delle risorse finanziarie destinate alle aree colpite dal sisma mostra un volume complessivo di stanziamenti per gli interventi post-terremoto pari a circa 10,6 miliardi di euro (di cui 10,5 pubblici: le donazioni effettuate da privati e da Stati esteri ammontano complessivamente a circa 87 milioni di euro), di cui circa 2,9 miliardi relativi agli interventi per l’emergenza e i restanti 7,7 miliardi destinati agli interventi per la ricostruzione.
Le risorse destinate agli interventi per l’emergenza risultano quasi integralmente erogate e hanno riguardato principalmente le seguenti linee di intervento:
• spese per la prima emergenza per complessivi 680 milioni;
• progetto Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili (CASE): circa 4.500 appartamenti in grado di ospitare più di 15.000 persone. Le risorse utilizzate per questo progetto sono state pari a circa 833 milioni;
• progetto Moduli Abitativi Provvisori (MAP): circa 3.500 moduli in grado di alloggiare oltre 7.000 persone. Le risorse utilizzate per questo progetto sono state pari a circa 284 milioni.
• progetto Moduli a Uso Scolastico Provvisorio (MUSP): 32 scuole prefabbricate in grado di ospitare più di 6.000 studenti. Le risorse utilizzate per questo progetto sono state pari a circa 82,8 milioni.
Le risorse destinate agli interventi per la ricostruzione riguardano principalmente le seguenti linee di intervento:
• ricostruzione di edifici privati: questi interventi riguardano la concessione di contributi ai soggetti privati e sono orientativamente quantificabili in circa 6 miliardi di euro;
• ricostruzione di edifici pubblici: si tratta di interventi approvati dal CIPE riguardanti opere pubbliche per circa 408 milioni;
• messa in sicurezza degli edifici scolastici: interventi approvati dal CIPE per complessivi 226 milioni;
• reti stradali e ferroviarie: riguardano interventi per complessivi 300 milioni.
Delle citate risorse risultano ancora da utilizzare circa 4,4 miliardi.
Tale dato non è tratto dalla relazione citata, ma dalla presentazione della Relazione finale del Presidente della Regione Abruzzo per la chiusura della fase emergenziale, inoltrata al Presidente del Consiglio ai sensi dell'art. 67-bis del D.L. 83/2012 (v. supra).
L'art. 23, comma 12-septies, del D.L. 95/2012, al fine di assicurare la stabilità dell'equilibrio finanziario, anche per garantire la continuità del servizio smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ha disposto l’assegnazione al Comune dell’Aquila e ai comuni del cratere (come individuati dai due decreti del commissario delegato n. 3 e n. 11 del 16 aprile e del 17 luglio 2009), di un contributo straordinario per l'esercizio 2012, sulla base dei maggiori costi sostenuti o delle minori entrate conseguite, derivanti dalla situazione emergenziale, nel limite di complessivi 23 milioni di euro (14 milioni per il comune dell’Aquila, 4 milioni per i comuni del cratere e 5 milioni per la provincia dell’Aquila).
Per la copertura dello stanziamento viene corrispondentemente ridotta l’autorizzazione di spesa di cui all'art. 14, comma 1, del D.L. 39/2009.
Una disposizione pressochè identica, ma relativa all'esercizio 2013, è stata dettata dall'art. 1, comma 289, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) che, per le medesime finalità, ha previsto l'assegnazione di un contributo di 35 milioni di euro (26 milioni per il comune dell’Aquila; 4 milioni per gli altri comuni del cratere e 5 milioni di euro per la provincia dell’Aquila).
Tale disposizione, a differenza della precedente contenuta nel D.L. 95/2012, non dispone la corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa recata dall'art. 14, comma 1, del D.L. 39/2009.
Il comma 417 dell'art. 1 della L. 228/2012 ha autorizzato, fino e non oltre il 30 giugno 2013, per le ultimative emergenziali esigenze di personale del Comune dell'Aquila, anche in deroga alle vigenti normative limitative delle assunzioni in materia di impiego pubblico, la proroga dei contratti del personale a tempo determinato impiegato nei settori urbanistico e delle politiche sociali, per le azioni a sostegno del recupero del patrimonio immobiliare e dell'identità sociale e culturale cittadina. Per le finalità indicate la disposizione autorizza la spesa di 1,5 milioni di euro, a valere sui fondi di cui all'articolo 14 del D.L. 39/2009.
Nella seduta del 21 dicembre 2012 il CIPE ha approvato l’assegnazione di 2.245 milioni di euro a favore degli interventi di ricostruzione nella Regione Abruzzo a seguito degli eventi sismici dell’aprile 2009 a valere sul FSC, con copertura a carico delle residue disponibilità di cui alla delibera CIPE n. 35/2009.
Nella seduta dell'8 marzo 2013 il CIPE ha approvato l’aggiornamento dei fabbisogni e la riprogrammazione delle risorse assegnate con la delibera n. 47/2009. L’aggiornamento riguarda in particolare il “terzo piano stralcio” deliberato nel 2011, per circa 164,8 milioni di euro, fermo restando il valore complessivo dell’assegnazione pari a 226,4 milioni di euro.
Si segnala, infine, che con il D.P.C.M. 16 ottobre 2012 (pubblicato nella G.U. n. 301 del 28-12-2012) si è provveduto a ripartire le risorse rivenienti dai risparmi conseguiti mediante la riduzione dei contributi in favore dei partiti e dei movimenti politici, disposta dall'art. 16, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 96. Ai territori colpiti dal sisma del 6 aprile 2009 sono stati assegnati 10 milioni di euro.
Il D.L. 74/2012 ha dettato un'articolata disciplina degli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nel territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012. Modifiche al decreto, nonché ulteriori norme destinate ai territori colpiti dai predetti eventi sismici sono contenute nei decreti legge n. 83 e 95 del 2012, nonché nell'articolo 11 del decreto legge n. 174 del 2012 e nei commi 365-379 dell'articolo unico della legge di stabilità per il 2013.
Il D.L. 74/2012 ha dettato disposizioni urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012, che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo. Alcune disposizioni del decreto sono state successivamente modificate in vari provvedimenti d'urgenza che hanno dettato ulteriori norme per disciplinare la fase dell'emergenza, nonché gli interventi per la ricostruzione e la ripresa dell'attività economica. Sono stati, altresì, adottati ulteriori provvedimenti di protezione civile a seguito del sisma.
Il D.L. 74/2012 ha definito il suo ambito di applicazione circoscrivendolo in una prima fase ai territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo colpiti dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, per i quali è stato disposto il differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari con il D.M. economia e delle finanze del 1° giugno 2012 (art. 1, comma 1). L'art. 67-septies del D.L. 83/2012 ha esteso l’applicabilità delle disposizioni al territorio dei comuni di Ferrara e Mantova, nonché - ove risulti l’esistenza del nesso di causalità tra danni e i suindicati eventi sismici – di ulteriori comuni indicati nella norma. Ulteriori norme hanno inciso sull’ambito di applicazione delle disposizioni (art. 11, commi 1-quater, 3-ter, lettere a e b, e 6-bis del D.L. 174/2012).
In considerazione dell’entità dei danni subiti e al fine di favorire il processo di ricostruzione e la ripresa economica nei territori interessati lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 maggio 2013 in deroga a quanto previsto dalla nuova disciplina degli stati di emergenza fissata dal D.L. 59/2012 e dalle deliberazioni del Consiglio dei ministri che hanno dichiarato lo stato di emergenza (art. 1, comma 3, del D.L. 74/2012).
La responsabilità del coordinamento degli interventi per la ricostruzione è stata attribuita ai presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto in qualità di Commissari delegati, i quali possono avvalersi anche dei sindaci dei comuni e dei presidenti delle province interessati dagli eventi sismici (art. 1, commi 4-5, del D.L. 74/2012 e art. 11, comma 1, lett. a, numero 1, del D.L. 174/2012). I Presidenti delle regioni interessate possono costituire un’apposita struttura commissariale di supporto, stabilire le modalità di predisposizione e di attuazione di un piano di interventi urgenti per il ripristino degli edifici ad uso pubblico, avvalersi di soggetti attuatori (commi 15, 15-bis e 15-ter dell'art. 10 del D.L. 83/2012).
L’articolo 2 del D.L. 74/2012 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e ha dettato le modalità di riparto. Al Fondo sono affluite, nel limite di 500 milioni di euro, le risorse derivanti dal temporaneo aumento (fino al 31 dicembre 2012) dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante.
Si prevede, inoltre, che il Fondo venga alimentato con le risorse eventualmente rivenienti dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea, con le somme derivanti dalla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti politici e dei movimenti politici (art. 16 della L. 96/2012) e con quota parte delle riduzioni di spesa previste dal D.L. 95/2012 nella misura pari a 550 milioni di euro per gli anni 2013 e 2014. Con riferimento al Fondo di soldarietà europea, la quota stanziata è pari a 670 milioni di euro, mentre in attuazione dell'art. 16 della L. 96/2012 è stato adottato il D.P.C.M. 16 ottobre 2012, che ha ripartito le risorse per il 2012.
L’art. 3 del D.L. 74/2012 ha dettato una serie di disposizioni in materia di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private o di immobili ad uso non abitativo; in proposito, si segnala che l’articolo 2-bis del D.L. 1/2013 ha previsto la possibilità di concessione dei contributi anche in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili.
Le disposizioni di cui ai commi da 8 a 10 dell'articolo 3 del decreto legge n. 74 del 2012 hanno, tra l'altro, riguardato rispettivamente la certificazione di agibilità sismica, la verifica di sicurezza e gli interventi di miglioramento sismico da adottare nel caso in cui il livello di sicurezza della costruzione risulti inferiore al 60 per cento della sicurezza richiesta ad un edificio nuovo. L’articolo 11, comma 1-ter, del D.L. 174/2012 ha prorogato di ulteriori sei mesi (fino all’8 giugno 2013) il termine per effettuare la verifica di sicurezza ai sensi delle norme vigenti.
Sono state, inoltre, dettate disposizioni per la predisposizione di un piano di interventi urgenti per il ripristino degli immobili pubblici (art. 4 del D.L. 74/2012), nonché in materia di edilizia scolastica (art. 5 del D.L. 74/2012 e art. 11, comma 1, lettera a, n. 2, del D.L. 174/2012) e di beni culturali (art. 4-bis del D.L. 74/2012).
L'art. 10 del D.L. 83/2012 ha introdotto misure specificatamente volte all’apprestamento urgente di moduli abitativi provvisori, nonché di moduli destinati ad uso scolastico ed edifici pubblici, e delle relative opere di urbanizzazione e servizi nei territori interessati dagli eventi sismici (commi 1-12), nonché ad assicurare il supporto di Fintecna (o società da questa interamente controllata) alle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto esclusivamente per le attività tecnico-ingegneristiche nell’ambito della ricostruzione (comma 14).
Il comma 13-ter dell’articolo 11 del D.L. 174/2012 ha, inoltre, precisato che le detrazioni Irpef del 36 e del 50 per cento per le spese di ristrutturazione edilizia si applicano ai soggetti danneggiati dagli eventi sismici, beneficiari del contributo per la ricostruzione, per la parte relativa alle spese di ricostruzione sostenuta dai medesimi.
Per quanto concerne la realizzazione dei lavori, specifiche norme hanno riguato il subappalto (art. 11, comma 13-bis), i contratti stipulati dai privati per lavori o servizi connessi agli interventi di ricostruzione (art. 11, comma 1, lettera a, n. 2, del D.L. 174/2012) nonché l'istituzione di elenchi di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori (art. 5-bis del D.L. 74/2012) non soggetti ad infiltrazioni mafiose presso le prefetture (cd. white list) e norme volte ad assicurare l'efficacia dei controlli antimafia (art. 11, comma 1, lettera a, n. 4, del D.L. 174/2012).
L’articolo 3-bis del D.L. 95/2012 consente che i contributi per la ricostruzione degli immobili ubicati nelle zone colpite dal sisma siano concessi anche mediante finanziamenti agevolati; i relativi contratti sono assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro. I beneficiari dei finanziamenti agevolati usufruiscono inoltre di un credito di imposta pari, per ciascuna scadenza di rimborso, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti.
L’articolo 67-octies del D.L. n. 83 del 2012 ha, inoltre, attribuito a imprese e lavoratori autonomi con sede legale od operativa - alla data del 20 maggio 2012 - nei territori colpiti dal sisma un contributo, sotto forma di credito di imposta, pari al costo sostenuto, entro il 30 giugno 2014, per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione dei beni d’impresa o di lavoro autonomo distrutti o inagibili a causa del sisma stesso. La platea dei beneficiari del credito di imposta è stata estesa alle imprese ubicate nei territori colpiti dal sisma che, pur non beneficiando dei contributi ai fini del risarcimento del danno, sono tenute all’esecuzione di interventi di miglioramento sismico finalizzati a garantire il raggiungimento della soglia di sicurezza stabilita dall’articolo 3, comma 10, del medesimo decreto n. 74 del 2012, vale a dire un livello di sicurezza non inferiore al 60% della sicurezza richiesta ad un edificio nuovo (art. 11, comma 3-quater, del D.L. 174/2012).
Gli artt. 7 e 9 del D.L. 74/2012 hanno previsto rispettivamente un alleggerimento degli obiettivi del patto di stabilità interno, al fine di agevolare la ripresa delle attività, e l'autorizzazione al differimento dei termini per la deliberazione del bilancio di previsione per il 2012 e per la redazione del conto annuale del personale degli enti locali.
Sono, state, inoltre previste deroghe ai fini dell’assunzione di personale, per il biennio 2012-2013, per le strette finalità connesse alla situazione emergenziale prodottasi a seguito del sisma (art. 3-bis, comma 8, del D.L. 95/2012).
Relativamente al patto di stabilità, l'art. 11, comma 1, lettera a), numero 5, del D.L. 174/2012 ha escluso i comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo interessati dagli eventi sismici dall’applicazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2011. Per gli anni 2013 e 2014, sono escluse dal patto di stabilità interno le spese - sostenute dai predetti comuni - finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione finanziate con risorse proprie dei comuni, provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di cittadini privati ed imprese (art. 11, comma 1, lettera a, punto 5-bis).
Da ultimo, il comma 2 dell’articolo 11 del D.L. 174/2012, integrando le disposizioni recate dall’articolo 16, comma 6, del D.L. n. 95/2012, è volto ad escludere, per gli anni 2012 e 2013, i comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo interessati dagli eventi sismici dall’applicazione della riduzione delle risorse del Fondo di riequilibrio ivi prevista.
L’art. 8 del D.L. 74/2012 ha previsto: una serie di adempimenti i cui termini sono stati sospesi fino al 30 novembre 2012 (commi 1 e 4); norme per la sospensione temporanea dei termini di pagamento delle fatture relativamente ai settori dell’energia elettrica, dell’acqua e del gas (comma 2), l’esenzione temporanea dalle imposte sui redditi e dall’IMU dei fabbricati ubicati nelle zone del sisma purché distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero (comma 3); la sospensione e il differimento di adempimenti a carico delle aziende zootecniche (commi 8-14). Ulteriori disposizioni hanno riguardato: la non sottoposizione a IRPEF dei benefici concessi dai datori di lavoro privati ai lavoratori residenti e non residenti nei comuni colpiti dagli eventi sismici (comma 3-bis); la proroga di dodici mesi dei titoli di soggiorno in scadenza entro il 31 dicembre 2012 a favore degli immigrati non in possesso dei requisiti di lavoro ovvero di residenza nei comuni colpiti dagli eventi sismici (comma 15-bis); l’esenzione dall’imposta di bollo per le istanze presentate alla pubblica amministrazione fino al 31 dicembre 2012 (comma 15-ter).
L'art. 11, comma 1-bis, del D.L. 174/2012 ha ulteriormente prorogato al 31 maggio 2013 il termine - previsto dall'articolo 13, comma 14-ter, del D.L. n. 201 del 2011 – per la dichiarazione al catasto edilizio urbano dei fabbricati rurali iscritti al catasto terreni, limitatamente ai fabbricati rurali situati nei territori dei comuni interessati dagli eventi sismici, mentre è stata prolungata fino al 30 giugno 2013 la sospensione dei termini processuali e al 30 maggio 2013 la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività delle articolazioni dell’Agenzia delle entrate che operano nei confronti dei contribuenti aventi domicilio fiscale nelle zone colpite dal sisma (art. 7, comma 21-bis, del D.L. 95/2012).
Da ultimo, l'art. 11, comma 6, del D.L. 174/2012 ha prorogato dal 30 novembre al 20 dicembre 2012 il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria.
Il D.L. 74/2012 ha dettato una serie di norme riguardanti gli interventi per le imprese e per i lavoratori.
Per quanto concerne gli interventi per le imprese, l'articolo 10 ha disciplinato, infatti, l'intervento del Fondo di garanzia, a titolo gratuito e con priorità per tre anni dall'entrata in vigore del decreto-legge, in favore delle micro, piccole e medie imprese ubicate nei territori colpiti dagli eventi sismici, mentre l’art. 11 ha disposto per il 2012 il trasferimento di 100 milioni di euro destinati alle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, per la concessione di contributi in conto interessi alle imprese danneggiate dagli eventi sismici.
L'articolo 11-bis ha previsto l’attivazione del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, per una quota fino a 25 milioni di euro, a favore delle grandi imprese che abbiano le sedi operative danneggiate nei territori delle regioni colpite dagli eventi sismici, mentre l'art. 12 è intervenuto a favore della ricerca industriale delle imprese operanti nelle filiere maggiormente coinvolte dagli eventi sismici.
Specifiche norme hanno riguardato le imprese agricole con riguardo all'abbattimento delle commissioni per l’accesso alle garanzie dirette. (art. 13 del D.L. 74/2012) e il finanziamento, per gli anni 2012 e 2013, del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 (art. 14 del D.L. 74/2012).
L'art. 11, comma 1, lettera a), n. 5-ter), del D.L. 174/2012 ha posticipato dal 6 giugno al 30 settembre 2012 la data entro la quale devono essere stati autorizzati gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, ubicati nelle zone colpite dal sisma del maggio 2012, per poter accedere agli incentivi vigenti alla data del 6 giugno 2012; condizione per tale estensione è che gli impianti entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2013.
Quanto alle misure dirette ai lavoratori, è stata prevista l’erogazione di specifici strumenti di tutela del reddito per determinate categorie (art. 15 del D.L. 74/2012 e art. 11, comma 3, del D.L. 174/2012) e misure finalizzate a consentire l'espletamento delle attività in condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 10, comma 13, del D.L. 83/2012).
Gli articoli 19-bis e 19-ter del D.L. 74/2012 hanno previsto rispettivamente l'istituzione di zone a burocrazia zero nelle province interessate dagli eventi sismici e la possibilità, per i lavoratori autonomi e i titolari di reddito d’impresa che hanno cessato l’esercizio delle attività, residenti nelle zone colpite dal sisma, di compensare, per gli anni 2012 e 2013, le somme dovute a titolo di imposte dirette con i crediti - non prescritti, certi, liquidi ed esigibili – vantati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali, delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale.
Oltre alla disciplina concernente i finanziamenti per la ricostruzione, i commi da 7 a 12 dell'art. 11 del D.L. 74/2012 hanno disciplinato la procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, della durata massima di due anni per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013.
Da ultimo, i commi 365–379 dell'articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) hanno previsto un’ulteriore ipotesi di finanziamento garantito dallo Stato a favore dei titolari di imprese industriali, commerciali, agricole ovvero per i lavoratori autonomi, che abbiano subito un danno economico alle loro attività a seguito del sisma, al fine di poter fare fronte al pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché dei premi per l’assicurazione obbligatoria dovuti fino al 30 giugno 2013.
Da ultimo, una serie di disposizioni contenute nel D.L. 74/2012 comprende interventi in materia ambientale.
In particolare, l'art. 17 ha introdotto un'articolata disciplina in materia di raccolta, trasporto e smaltimento dei materiali derivanti dal crollo degli edifici e dalla demolizione degli edifici danneggiati, mentre l'art. 17-bis, introdotto dall'articolo 11, comma 3-bis, del D.L. 174/2012, ha escluso - fermo restando il rispetto della disciplina di settore dell’Unione europea - l’applicazione, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza, delle disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo.
L'art. 18 reca, in deroga alle norme del D.Lgs. 152/2006 (Codice ambientale), sospensioni e proroghe di termini degli adempimenti connessi al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) e di ogni altra autorizzazione ambientale, nonché in materia di bonifica dei siti contaminati.
L’art. 19, infine, ha introdotto un procedimento semplificato per le autorizzazioni ambientali nel caso di ripristino delle sezioni produttive delle aziende danneggiate (comma 1). Specifiche norme sono altresì previste per ridurre i tempi delle procedure autorizzatorie ambientali nel caso di delocalizzazione totale o parziale delle attività e per la ricostruzione, con modifiche sostanziali, delle aziende danneggiate (comma 2); per tali procedimenti di autorizzazione non è dovuto alcun onere istruttorio.
A seguito del sisma che ha colpito il 20 e il 29 maggio 2012 alcuni comuni delle regioni dell’Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sono state adottate una serie di disposizioni volte principalmente:
I pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria sono stati sospesi in un primo momento fino al 30 settembre (D.M. 1° giugno 2012); successivamente la sospensione dei termini per gli adempimenti tributari e non tributari è stata prorogata fino al 30 novembre (articolo 8, comma 1, del D.L. n. 74 del 2012 e D.M 24 agosto 2012). Il D.L. n. 174 del 2012, infine, ha previsto che i pagamenti suddetti fossero effettuati entro il 20 dicembre 2012, senza applicazione di sanzioni e interessi (si segnala che il termine originariamente previsto dal D.L. 174 era il 16 dicembre, poi modificato dalla legge di conversione 7 dicembre 2012, n. 213 ).
Con decreto ministeriale del 21 dicembre 2012 (pubblicato nella G.U. n. 12 del 15 gennaio 2013) sono state definite le modalità di effettuazione degli adempimenti tributari, diversi dai versamenti, sospesi dal 20 maggio 2012 al 30 novembre 2012. In particolare entro il 30 aprile 2013 andranno assolti gli obblighi sospesi inizialmente fino al 30 settembre 2012 (dal D.M. 1° giugno 2012) e, successivamente, fino al 30 novembre (dal D.M. 24 agosto 2012). Il provvedimento non riguarda il pagamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, anch'essi sospesi, per i quali il decreto legge n. 174/2012 ha previsto la restituzione entro il 20 dicembre senza applicazione di sanzioni e interessi. Il nuovo termine riguarda le dichiarazioni fiscali non presentate per effetto della sospensione: andranno spedite per via telematica, direttamente dai contribuenti o tramite gli intermediari abilitati, utilizzando il modello relativo al periodo d'imposta cui si riferiscono, disponibile gratuitamente in formato elettronico sul sito internet dell'Agenzia delle Entrate.
Il 18 febbraio 2013 l'Agenzia delle entrate ha reso noto che il canone Rai non è dovuto dai privati, vittime degli eventi sismici di maggio 2012, che hanno ricevuto un’ordinanza di sgombero dalla casa perché inagibile o hanno avuto il proprio televisore distrutto, fino a quando non avranno un nuovo apparecchio Tv. Per evitare l’adempimento, i cittadini interessati devono presentare un’apposita dichiarazione, nella quale attestano l’inagibilità dell’abitazione o la distruzione dell’apparecchio televisivo e che non ne possiedono altri in una diversa dimora propria o di componenti del nucleo familiare.
Più in dettaglio il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 1° giugno 2012 (pubblicato nella G.U. n. 130 del 6 giugno 2012) ha disposto la sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, inclusi quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione, scadenti nel periodo compreso tra il 20 maggio 2012 ed il 30 settembre 2012, nei confronti delle persone fisiche, anche in qualità di sostituti d'imposta, che, alla data del 20 maggio 2012, avevano la residenza ovvero la sede operativa nel territorio dei comuni delle province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo, riportati nell'elenco allegato. È precisato che non può essere rimborsato quanto già versato.
Ai sensi del citato decreto ministeriale la sospensione di termini si applica, altresì, nei confronti dei soggetti, anche in qualità di sostituti d'imposta diversi dalle persone fisiche, aventi la sede legale o la sede operativa nel territorio dei comuni citati. Le ritenute già operate in qualità di sostituti d'imposta devono, comunque, essere versate.
Per le città capoluogo (Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo) la sospensione dei termini è subordinata alla richiesta del contribuente che dichiari l'inagibilità della casa di abitazione, dello studio professionale o dell'azienda. L'Autorità comunale deve verificare tale inagibilità e trasmettere copia dell'atto di verificazione all'Agenzia dell'entrate territorialmente competente nei successivi 20 giorni.
Con riferimento agli adempimenti dei sostituti di imposta, il decreto-legge del 6 giugno 2012, n. 74 (articolo 8, comma 1), in aggiunta a quanto disposto dal descritto D.M. 1° giugno 2012, ha stabilito che la mancata effettuazione di ritenute ed il mancato riversamento delle ritenute effettuate da parte dei sostituti di imposta dal 20 maggio 2012 (giorno del primo evento sismico) fino all’8 giugno 2012 (giorno di entrata in vigore del decreto-legge) devono essere regolarizzati entro il 30 novembre 2012 senza applicazione di sanzioni e interessi.
Il comma 2 dell’articolo 8 ha poi stabilito la sospensione dei termini fino al 30 novembre 2012 per una serie di adempimenti non tributari, tra i quali gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria.
Successivamente anche il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 è intervenuto in materia disponendo misure urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 (articoli 10, 67-septies e 67-octies).
A questo punto, a seguito delle incertezze rappresentate sulla normativa in esame, l’Agenzia delle entrate ha diramato un comunicato il 16 agosto 2012 per evidenziare che le indicazioni di carattere generale contenute nel D.M. del 1° giugno 2012 in merito ai territori individuati, ai presupposti e ai termini della sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari non erano influenzate dalle disposizioni normative successivamente emanate, di cui al D.L. n. 74/2012 e al D.L. n. 83/2012. La scadenza del termine di sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari rimaneva fissata al 30 settembre 2012, ferma restando la possibilità di regolarizzare entro il 30 novembre 2012, senza applicazione di sanzioni e interessi, gli adempimenti concernenti le ritenute e relativi al periodo dal 20 maggio all’8 giugno 2012. Dal punto di vista oggettivo – aggiungeva l’Agenzia – la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari non include l’effettuazione e il versamento delle ritenute da parte dei sostituti d’imposta.
Successivamente il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 24 agosto 2012 (pubblicato nella G.U. n. 202 del 30 agosto 2012) ha portato al 30 novembre anche il termine finale del periodo di sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, inizialmente fissato al 30 settembre dal citato D.M. del 1° giugno 2012. In tal modo, il termine del 30 novembre, previsto dall’articolo 8 del D.L. n. 74/2012 per gli adempimenti non tributari, è stato armonizzato anche agli adempimenti tributari.
Infine l’articolo 11, comma 6, del D.L. n. 174 del 2012 ha prorogato al 20 dicembre 2012 il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria, sospesi precedentemente fino al 30 novembre 2012 ai sensi dei citati D.M. 1° giugno 2012 e 24 agosto 2012, nonché dell’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 74 del 2012.
L’articolo 3 del D.L. n. 74 del 2012 ha previsto che per soddisfare le esigenze della popolazione colpita dal sisma può essere disposta la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, in relazione al danno effettivamente subito. Si tratta di contributi che i Presidenti delle regioni colpite dal sisma possono definire, d’intesa tra di loro e con propri provvedimenti coerenti con i criteri stabiliti dal D.P.C.M. previsto dall’art. 2, comma 2, del decreto legge n. 74 del 2012 sulla base dei danni effettivamente verificatisi ed entro il limite delle risorse finalizzate disponibili nelle contabilità speciali intestate ai presidenti delle Regioni interessate e aperte presso la tesoreria statale su cui sono assegnate le risorse provenienti dal Fondo per la ricostruzione di cui allo stesso art. 2 del decreto legge n. 74.
Con il D.P.C.M. 4 luglio 2012 è stata determinata la ripartizione delle risorse del Fondo per la ricostruzione di cui all’articolo 2 del D.L. 74/2012 sulla base dei livelli di danneggiamento riscontrati nelle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, al netto delle risorse di copertura degli interventi. Le risorse sono state così ripartite: 95% in favore della Regione Emilia-Romagna; 4% in favore della Regione Lombardia; 1% in favore della Regione Veneto. La ripartizione per gli anni successivi al 2012 verrà rideterminata all'esito della definitiva e asseverata valutazione dei danni da parte dalle Regioni interessate, ivi inclusi eventuali conguagli relativi all'anno 2012.
Sono stati anche individuati i criteri generali per la concessione dei contributi per la riparazione, ripristino e ricostruzione degli immobili danneggiati ai sensi dell'articolo 3 del D.L. n. 74/2012. Al fine di assicurare la parità di trattamento dei soggetti danneggiati dagli eventi sismici, ciascun Presidente di Regione, nel limite massimo delle risorse annualmente disponibili finalizzate allo scopo, può riconoscere: a) ai proprietari ovvero agli usufruttuari o ai titolari di diritti reali di garanzia che si sostituiscano ai proprietari, degli immobili colpiti dal sisma in cui era presente un'abitazione principale, un contributo per la riparazione con miglioramento sismico o per la ricostruzione delle strutture e delle parti comuni dell'edificio, ai sensi dell'art. 1117 del codice civile, fino all'80% del costo ammesso e riconosciuto. Ai fini del riconoscimento del contributo il Commissario delegato può tener conto della presenza di più abitazioni principali nell'ambito di un unico edificio; b) ai proprietari, ovvero agli usufruttuari o ai titolari di diritti reali di garanzia che si sostituiscano ai proprietari delle abitazioni principali, per le riparazioni o la ristrutturazione con miglioramento sismico o di ricostruzione degli edifici distrutti, un contributo nel limite massimo dell'80% del costo ammesso e riconosciuto; c) ai titolari delle attività produttive un contributo per la riparazione o la ricostruzione degli immobili destinati ad uso produttivo e degli impianti fino all'80% del costo ammesso e riconosciuto. Il contributo è erogato nel periodo temporale di quattro anni dal riconoscimento del contributo.
Con una norma approvata nel corso della conversione del D.L. n. 1 del 2013 è stata prevista la possibilità di concessione dei contributi di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto legge n. 74 del 2012 anche in modo tale da coprire integralmente le spese occorrenti per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili. Con D.P.C.M. dell'8 febbraio 2013 è stata aggiornata la misura dei contributi che possono essere concessi per la ricostruzione degli immobili – sia abitativi, sia destinati ad uso produttivo - e degli impianti, nelle Regioni colpite dagli eventi sismici del maggio 2012, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto. I Presidenti delle Regioni interessate, nella qualità di commissari delegati, possono riconoscere ai richiedenti aventi diritto il riconoscimento integrale delle spese occorrenti per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili danneggiati.
L’articolo 3-bis, del D.L. n. 95 del 2012 prevede che i sopra menzionati contributi sono alternativamente concessi su apposita domanda del soggetto interessato, con le modalità del finanziamento agevolato della durata massima di venticinque anni e nei limiti stabiliti dai Presidenti delle Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. I relativi contratti sono assistiti da garanzia statale nel limite di 6 miliardi di euro. E’ autorizzata una spesa massima di 450 milioni di euro annui a decorrere dal 2013. In caso di accesso al finanziamento agevolato, in capo al beneficiario matura un credito d’imposta pari, per ciascuna scadenza di rimborso, all’importo ottenuto sommando alla sorte capitale gli interessi dovuti, nonché le spese strettamente necessarie alla gestione dei medesimi finanziamenti.
La legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228/2012, articolo 1, comma 376) ha previsto che nei casi di risoluzione del contratto di finanziamento, il soggetto finanziatore chiede al beneficiario la restituzione del capitale, degli interessi, e di ogni altro onere dovuto. In mancanza di tempestivo pagamento spontaneo, la banca comunica al Presidente della Regione, per la successiva iscrizione a ruolo, i dati identificativi del debitore e l'ammontare dovuto, fermo restando il recupero da parte dello stesso soggetto finanziatore delle somme erogate e dei relativi interessi nonché delle spese strettamente necessarie alla gestione dei finanziamenti, non rimborsati spontaneamente dal beneficiario, mediante compensazione ai sensi dell'articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997 (il quale prevede la facoltà del contribuente di compensare debiti e crediti d'imposta). Le somme riscosse a mezzo ruolo sono riversate in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate al fondo per la ricostruzione.
Il D.M. 5 dicembre 2012 (pubblicato sulla G.U. n. 13 del 16 gennaio 2013) ha disciplinato la concessione della garanzia dello Statosui finanziamenti accordati dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1, del D.L. n. 95 del 2012.
Il provvedimento del’Agenzia dell’entrate dell’11 gennaio 2013, emanato ai sensi del comma 2 del citato articolo 3-bis, ha individuato le modalità di utilizzo del credito d’imposta nel caso in cui i contribuenti abbiano scelto il finanziamento agevolato quale modalità di fruizione del contributo per gli interventi di riparazione, ripristino o ricostruzione di immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo. In particolare è previsto che il pagamento delle rate di rimborso del finanziamento avvenga mediante il credito d’imposta di cui all’articolo 3-bis, comma 2, del citato D.L. n. 95 del 2012 e che le banche recuperano l’importo della rata attraverso l’istituto della compensazione di cui all’articolo 17 del D.Lgs. n. 241 del1997, senza applicazione dei limiti previsti dall'articolo 34 della legge n. 388 del 2000 e dall’articolo 1, comma 53, della legge n. 244 del 2007, ovvero mediante cessione secondo quanto previsto dall’articolo 43-ter del D.P.R.n. 602 del 1973. Con provvedimento dell'Agenzia dell'entrate del 4 febbraio 2013 si prevede la possibilità per la banca di recuperare l’importo della sorte capitale e degli interessi nonché delle spese strettamente necessarie alla gestione del medesimo finanziamento anche mediante la cessione del credito di cui all’articolo 1260 del codice civile, ferma restando l’indicazione dell’operazione di cessione nella dichiarazione dei redditi del cessionario. Con lo stesso provvedimento sono state definite le specifiche tecniche per la trasmissione telematica da parte delle banche all’Agenzia delle entrate, degli elenchi dei soggetti beneficiari, dell’ammontare del finanziamento concesso a ciascun beneficiario, del numero e dell’importo delle singole rate.
Il rispetto del limite di spesa autorizzato allo scopo a legislazione vigente è assicurato dal Presidenti delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, in sede di attuazione del protocollo di intesa tra il Ministro dell’economia e delle finanze e i Presidenti delle predette regioni, sottoscritto in data 4 ottobre 2012, come previsto dall’articolo 11, comma 1, lettera b), del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213.
Fermo restando l’obbligo di versamento nei termini previsti, l’articolo 11, commi da 7 a 11, del D.L. 174/2012 ha previsto per una serie di soggetti la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati assistiti dalla garanzia dello Stato della durata massima di due anni per il pagamento dei tributi, contributi e premi da effettuare entro il termine del 20 dicembre (ai sensi dell’articolo 11, comma 6 del D.L. n. 174/2012), nonché per gli altri importi dovuti dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013. I soggetti finanziati dovranno restituire la sola quota capitale del finanziamento, a partire dal 1° luglio 2013 secondo un piano di ammortamento, mentre le spese e gli interessi saranno accollati dallo Stato, attraverso un credito d’imposta riconosciuto ai soggetti finanziatori pari per ciascuna scadenza di rimborso all’importo relativo agli interessi e alle spese dovuti. Il credito di imposta è utilizzabile in compensazione del debito tributario, senza applicazione dei limiti di legge, ovvero può essere ceduto nell'ambito del gruppo cui la società appartiene, secondo quanto previsto dall'articolo 43-ter del DPR n. 602 del 1973, in materia di riscossione delle imposte sul reddito.
L’Agenzia delle Entrate, al paragrafo 6 della citata circolare n. 45/E/2012, ha chiarito che il credito d’imposta in questione non costituisce una agevolazione nei confronti dei soggetti finanziatori, ma piuttosto ilrimborso da parte dello Stato degli interessi e delle spese necessarie alla gestione dei finanziamenti stessi.
Con il provvedimento dell’11 gennaio 2013 l’Agenzia delle entrate ha definito le modalità di fruizione del credito d’imposta.
Tali finanziamenti possono essere chiesti in aggiunta ai sopra menzionati contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo(previsti dall’articolo 3 del D.L. n.74 del 2012 e dall’articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012).
I soggetti destinatari di tale tipologia di finanziamenti sono:
Per le modalità di accesso si prevede una procedura analoga a quella prevista per i finanziamenti agevolati di cui all’articolo 3-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, a cui i finanziamenti in esame possono aggiungersi.
In primo luogo, si stabilisce che i soggetti finanziatori stipulino contratti tipo definiti con apposita convenzione tra la Cassa depositi e prestiti e l'Associazione bancaria italiana. Tali contratti prevedono finanziamenti assistiti dalla garanzia dello Stato, fino ad un massimo di 6 miliardi di euro, e prevedono l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
Si evidenzia che l’entrata in vigore delle norme contenute nei commi 7-bis, 7-ter e 7-quater (introdotte nel corso dell’esame in sede referente) è stata anticipata dal decreto-legge 16 novembre 2012, n. 194, recante disposizioni integrative per assicurare la tempestività delle procedure per la ripresa dei versamenti tributari e contributivi sospesi da parte di soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012. Il D.L. n. 194/12 non è stato convertito: l’articolo 1, comma 3, della legge n. 213 del 2012 (di conversione del D.L. n. 174 del 2012) dispone che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme del D.L. n. 194 del 2012.
Secondo quanto emerge dalla relazione illustrativa di tale decreto-legge le modifiche introdotte nel corso dell’esame parlamentare non sarebbero entrate in vigore in tempo utile per consentire un ordinato svolgimento delle operazioni di finanziamento: la convenzione integrativa tra CDP ed ABI, a cui dovranno aderire i soggetti finanziatori e sulla cui base verranno erogati i finanziamenti, non sarebbe stata sottoscritta prima del 10 dicembre 2012; conseguentemente sarebbero residuati solo 5 giorni lavorativi liberi per consentire alle banche di organizzare la procedura di erogazione dei finanziamenti alla nuova platea di contribuenti ammessi all'agevolazione. Il decreto-legge n. 194 ha consentito, quindi, alle banche di guadagnare i giorni lavorativi necessari per la messa a punto della procedura di finanziamento ai nuovi contribuenti ammessi.
A seguito dell’entrata in vigore del predetto decreto-legge n. 194 del 2012 la circolare n. 45/E del 2012 dell'Agenzia delle Entrate ha chiarito alcune questioni interpretative riguardanti il finanziamento agevolato in commento.
Il D.M. 28 novembre 2012 (pubblicato sulla G.U. n. 12 del 15 gennaio 2013) ha disciplinato la concessione delle garanzie dello Stato sui finanziamenti accordati ai sensi delle norme introdotte dal D.L. n. 194.
I soggetti finanziatori comunicano all'Agenzia delle entrate i dati identificativi dei soggetti che omettono i pagamenti previsti nel piano di ammortamento, nonché i relativi importi, ai fini dell’attivazione della procedura di riscossione coattiva. In tal caso gli interessi di mora gravano sul soggetto inadempiente.
Per accedere al finanziamento i richiedenti devono presentare una serie di documenti al soggetto finanziatore, che certifichino - mediante autodichiarazione - il possesso dei requisiti per accedere ai contributi nonché la circostanza che i danni subiti sono stati di entità tale da condizionare una ripresa piena della attività di impresa. Il richiedente deve altresì fornire una copia del modello presentato telematicamente all'Agenzia delle entrate, nel quale sono indicati i versamenti sospesi fino al 30 novembre 2012, l'importo da pagare dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013, la ricevuta che ne attesta la corretta trasmissione nonché la copia dei modelli di pagamento relativi ai versamenti dovuti nel periodo dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013.
Con il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 22 ottobre 2012 è stato approvato il modello di comunicazione dei dati per l’accesso al finanziamento.
Il D.L. 74/2012 ha dettato una serie di norme riguardanti gli interventi per le imprese e per i lavoratori. Per quanto concerne gli interventi per le imprese, l'articolo 10 ha disciplinato, infatti, l'intervento del Fondo di garanzia, a titolo gratuito e con priorità per tre anni dall'entrata in vigore del decreto-legge, in favore delle micro, piccole e medie imprese ubicate nei territori colpiti dagli eventi sismici, mentre l’articolo 11 ha disposto per il 2012 il trasferimento di 100 milioni di euro destinati alle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, per la concessione di contributi in conto interessi alle imprese danneggiate dagli eventi sismici. L'articolo 11-bis ha previsto l’attivazione del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese, per una quota fino a 25 milioni di euro, a favore delle grandi imprese che abbiano le sedi operative danneggiate nei territori delle regioni colpite dagli eventi sismici.
L’articolo 67-octies del D.L. n. 83 del 2012 ha attribuito a imprese e lavoratori autonomi con sede legale od operativa - alla data del 20 maggio 2012 - nei territori colpiti dal sisma un contributo, sotto forma di credito di imposta, pari al costo sostenuto, entro il 30 giugno 2014, per la ricostruzione, il ripristino o la sostituzione dei beni d’impresa o di lavoro autonomo distrutti o inagibili a causa del sisma stesso; il credito d'imposta è attribuito nel limite massimo di spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015. La platea dei beneficiari è stata estesa alle imprese ubicate nei territori colpiti dal sisma che, pur non beneficiando dei contributi ai fini del risarcimento del danno, sono tenute all’esecuzione di interventi di miglioramento sismico finalizzati a garantire il raggiungimento della soglia di sicurezza stabilita dall’articolo 3, comma 10, del medesimo decreto n. 74 del 2012, vale a dire un livello di sicurezza non inferiore al 60% della sicurezza richiesta ad un edificio nuovo (art. 11, comma 3-quater, del D.L. 174/2012).
La legge di stabilità per il 2013 (l. n. 228 del 2012, articolo 1, commi 365-379) ha previsto un’ulteriore ipotesi di finanziamento garantito dallo Stato a favore dei titolari di imprese industriali, commerciali, agricole ovvero per i lavoratori autonomi, che abbiano subito un danno economico alle loro attività a seguito del sisma del maggio 2012, al fine di poter fare fronte al pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché dei premi per l’assicurazione obbligatoria dovuti fino al 30 giugno 2013.
I soggetti che possono fare ricorso a tale tipo di finanziamento devono avere sede operativa ovvero domicilio fiscale, nonché il proprio mercato di riferimento nei comuni di cui al decreto del MEF 1° giugno 2012 e possono essere:
La norma precisa che tali soggetti devono essere diversi in ogni caso da quelli che hanno i requisiti per accedere ai contributi agevolati per la ricostruzione (articolo 3 del D.L. n. 74 del 2012 e articolo 3-bis del D.L. n. 95 del 2012).
I soggetti sopra indicati per poter accedere al finanziamento devono dimostrare di aver subìto un danno economico diretto, causalmente conseguente agli eventi sismici del maggio 2012, evidenziato da almeno due delle seguenti condizioni:
Tali soggetti possono chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito operanti nei territori interessati dal sisma un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, nei termini stabiliti dall'articolo 11, comma 7, del D.L. n. 174 del 2012, per il pagamento, senza applicazione delle sanzioni, dei tributi e dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché dei premi per l'assicurazione obbligatoria dovuti fino al 30 giugno 2013.
I soggetti finanziatori possono contrarre finanziamenti, secondo contratti tipo definiti previa integrazione della convenzione tra la Cassa depositi e prestiti e l'Associazione bancaria italiana, assistiti dalla garanzia dello Stato, nei limiti di 6 miliardi di euro (articolo 11, comma 7, del D.L. n. 174 del 2012). Le garanzie dello Stato sono stabilite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, il quale definisce i criteri e le modalità di operatività delle stesse.
Per accedere al finanziamento occorre presentare un’autodichiarazione ai Presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, nella loro qualità di Commissari delegati (anche ai fini dei successivi controlli di rito in collaborazione con l'Agenzia delle entrate o con la Guardia di Finanza), nonché ai soggetti finanziatori che attesti la ricorrenza di almeno due delle condizioni prima citate. L’autodichiarazione deve inoltre attestare la circostanza che il danno economico diretto subito in occasione degli eventi sismici è stato tale da determinare la crisi di liquidità che ha impedito il tempestivo versamento dei tributi, contributi e premi.
Ai soli soggetti finanziatori occorre inoltre presentare: una copia del modello da inviare telematicamente all'Agenzia delle entrate, nel quale sono indicati i pagamenti da effettuare con le scadenze; i relativi modelli di pagamento con gli importi. I soggetti finanziatori comunicano all'Agenzia delle entrate i dati identificativi dei soggetti che omettono i pagamenti previsti nel piano di ammortamento, nonché i relativi importi, per la loro successiva iscrizione, con gli interessi di mora, a ruolo di riscossione.
A favore dei soggetti finanziatori è attribuito un credito d’imposta volto a coprire gli interessi relativi ai finanziamenti erogati, nonché le spese strettamente necessarie alla loro gestione. Tale credito di imposta deve corrispondere all'importo relativo agli interessi e alle spese dovuti.
Il credito di imposta è utilizzabile in compensazione del debito tributario, senza applicazione dei limiti di legge, ovvero può essere ceduto nell'ambito del gruppo cui la società appartiene, secondo quanto previsto dall'articolo 43-ter del D.P.R. n. 602 del 1973, in materia di riscossione delle imposte sul reddito.
La quota capitale è invece restituita dai soggetti richiedenti secondo il piano di ammortamento definito nel contratto di finanziamento.
Con un provvedimento del Direttore della Agenzia delle entrate sarà predisposto il modello per le dichiarazioni telematiche, nonché i tempi e le modalità della relativa presentazione. Con analogo provvedimento possono essere disciplinati modalità e tempi di trasmissione all'Agenzia delle entrate, da parte dei soggetti finanziatori, dei dati relativi ai finanziamenti erogati e al loro utilizzo.
L'Agenzia delle entrate comunica al Ministero dell'economia e delle finanze, ai fini del monitoraggio dei limiti di spesa, i dati risultanti dalle dichiarazioni telematiche, i dati delle compensazioni effettuate dai soggetti finanziatori per la fruizione del credito d'imposta e i dati trasmessi dai soggetti finanziatori.
L'efficacia delle disposizioni descritte è subordinata alla previa verifica della loro compatibilità da parte dei competenti organi comunitari. La positiva verifica comunitaria è comunicata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze nel quale sono stabilite le date dell’anno 2013 entro le quali può essere chiesto il finanziamento e sono effettuati i pagamenti.
Con D.P.C.M. del 28 dicembre 2012 (pubblicato nella G.U. n. 45 del 22 febbraio 2013) è stato disposto il riparto dei finanziamenti tra le regioni interessate per gli interventi di messa in sicurezza, anche attraverso la loro ricostruzione, dei capannoni e degli impianti industriali danneggiati dal sisma
A seguito degli eventi sismici che hanno colpito il territorio delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto nei giorni 20 e 29 maggio 2012, il Governo ha emanato il D.P.C.M. del 21 maggio 2012 con cui è stato dichiarato il rischio di compromissione degli interessi primari, ai sensi dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge 245/2002.
Con tale D.P.C.M. si è provveduto, pertanto, a disporre il coinvolgimento delle strutture operative nazionali del Servizio nazionale della protezione civile, attribuendo al Capo del Dipartimento della protezione civile l'incarico di Commissario delegato per l'adozione di ogni indispensabile provvedimento su tutto il territorio interessato dal sisma per assicurare ogni forma di assistenza e di tutela degli interessi pubblici primari delle popolazioni interessate, nonché ogni misura idonea al superamento del contesto emergenziale e per la salvaguardia delle vite umane.
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 22 maggio 2012 è stato quindi dichiarato lo stato di emergenzain ordine agli eventi sismici nelleprovince diBologna, Modena, Ferrara e Mantova della durata di 60 giorni, a partire dal 22 maggio 2012, ovvero fino al 21 luglio 2012 (art. 1). Per tutta la durata dello stato di emergenza, il Capo Dipartimento della Protezione Civile ha il compito di emanare ordinanze per l’attuazione degli interventi finalizzati a: organizzare e coordinare i servizi di soccorso ed assistenza alle persone colpite dagli eventi; soddisfare le prime necessità delle popolazioni colpite attraverso la realizzazione di interventi provvisionali; ripristinare e reintegrare i beni di pronto impiego utilizzati nelle zone terremotate, per garantire l’operatività del Servizio nazionale di protezione civile in caso di future emergenze. Tali provvedimenti sono emanati d’intesa con le regioni interessate, in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico (art. 2). Allo scadere dello stato di emergenza, le Regioni Emilia-Romagna e Lombardia provvedono, ciascuna per la propria competenza, a coordinare in via ordinaria gli interventi per il superamento della situazione emergenziale in atto (art. 3).
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2012, lo stato di emergenza è stato esteso territorialmente alle province di Reggio Emilia e Rovigo e temporalmente fino al 29 luglio 2012 ed è stata disposta la delega al Capo del Dipartimento della protezione civile ad emanare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico.
Successivamente lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 31 maggio 2013 (art. 1, comma 3, del decreto legge n. 74 del 2012).
Si ricorda, inoltre, che con il D.M. Economia e finanze 1° giugno 2012 è stata disposta la sospensionedei terminiper l'adempimento degli obblighi tributari scadenti nel periodo compreso tra il 20 maggio 2012 ed il 30 settembre 2012 a favore dei contribuenti colpiti dal sisma del 20 maggio 2012, verificatosi nelle province di Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo. Nell’allegato 1 al DM sono stati quindi individuati i 104 comuni danneggiati dagli eventi sismici.
I comuni danneggiati riportati nell’Allegato 1 al DM citato sono i seguenti: provincia di Bologna (16 comuni): Argelato; Baricella; Bentivoglio; Castello d'Argile; Castelmaggiore; Crevalcore; Galliera; Malalbergo; Minerbio; Molinella; Pieve di Cento; Sala Bolognese; San Giorgio di Piano; San Giovanni in Persiceto; San Pietro in Casale; Sant'Agata Bolognese; provincia di Ferrara (6 comuni): Bondeno; Cento; Mirabello; Poggio Renatico; Sant'Agostino; Vigarano Mainarda; provincia di Modena (18 comuni): Bastiglia; Bomporto; Campogalliano; Camposanto; Carpi; Castelfranco Emilia; Cavezzo; Concordia sulla Secchia; Finale Emilia; Medolla; Mirandola; Nonantola; Novi; Ravarino; San Felice sul Panaro; San Possidonio; San Prospero; Soliera; provincia di Reggio Emilia (13 comuni): Boretto; Brescello; Correggio; Fabbrico; Gualtieri; Guastalla; Luzzara; Novellara; Reggiolo; Rio Saliceto; Rolo; San Martino in Rio; Campagnola Emilia; provincia di Mantova (34 comuni): Bagnolo San Vito; Borgoforte; Borgofranco sul Po; Carbonara di Po; Castelbelforte; Castellucchio; Curtatone; Felonica; Gonzaga; Magnacavallo; Marcaria; Moglia; Ostiglia; Pegognaga; Pieve di Coriano; Poggio Rusco; Porto Mantovano; Quingentole; Quistello; Revere; Rodigo; Roncoferraro; Sabbioneta; San Benedetto Po; San Giacomo delle Segnate; San Giovanni del Dosso; Schivenoglia; Sermide; Serravalle a Po; Sustinente; Suzzara; Villa Poma; Villimpenta; Virgilio; provincia di Rovigo (17 comuni): Bagnolo di Po; Calto; Canaro; Canda; Castelguglielmo; Castelmassa; Ceneselli; Ficarolo; Gaiba; Gavello; Giacciano con Baruchella; Melara; Occhiobello; Pincara; Salara; Stienta; Trecento.
Il termine del 30 settembre è stato succesivamente prorogato al 30 novembre 2012 dal D.M. 24 agosto 2012.
Con deliberazione del Consiglio dei Ministri del 4 luglio 2012 sono state indicate le disposizioni vigenti cui i presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto sono autorizzati a derogare al fine di coordinare le attività per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma, nelle regioni di rispettiva competenza, in attuazione dell'art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 74/2012.
Con un'altra deliberazione del Consiglio dei Ministri del 4 luglio 2012 sono stati individuati i criteri generali per la concessionedi contributi per la riparazione, il ripristino e la ricostruzione degli immobili danneggiati, ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge n. 74/2012, al fine di favorire prioritariamente il rientro delle popolazioni nelle abitazioni. Il provvedimento dispone la ripartizione, per l’anno 2012, delle risorse del Fondo per la ricostruzione nelle aree colpite dagli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012.
Le risorse sono state assegnate sulla base dei livelli di danneggiamento finora riscontrati nelle tre Regioni interessate dal terremoto. La ripartizione ha previsto che:
Negli anni successivi al 2012 tale suddivisione potrà essere rideterminata sulla base della valutazione definitiva e asseverata dei danni da parte dalle Regioni interessate, inclusi eventuali conguagli relativi all'anno 2012.
Per assicurare la parità di trattamento dei soggetti danneggiati dagli eventi sismici del 20 e del 29 maggio, ciascun Presidente di Regione – Commissario delegato può riconoscere, nei limiti delle risorse destinate ogni anno allo scopo, un contributo fino all’80% del costo ammesso e riconosciuto per:
Dal riconoscimento del contributo, le risorse verranno erogate in quattro anni.
Con il D.P.C.M. del 9 agosto 2012sono state dettate disposizioni in materia di attuazione dell'art. 7 del D.L. 74/2012 al fine di consentire una deroga al patto di stabilità interno, per l'anno 2012, per i comuni colpiti dal sisma. Per tali comuni gli obiettivi sono ridotti con le procedure previste per il cosiddetto patto regionale verticale, disciplinato dai commi 138 e 140 dell'art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel limite massimo di 40 Meuro per i comuni dell'Emilia-Romagna, di 5 Meuro sia per i comuni della Lombardia che per quelli del Veneto.
Per i territori colpiti dal sisma è stata inoltre disposta, con il D.M. Economia 24 agosto 2012 , la proroga, al 30 novembre 2012, del termine di scadenza della sospensione degli adempimenti e versamenti tributari.
Con delibera del Consiglio dei ministri del 16 ottobre 2012 i Commissari delegati sono stati autorizzati a derogare alle disposizioni su smaltimento di rocce da scavo. Pertanto i Presidenti delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, sono stati stati autorizzati, ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione, a derogare, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico, della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2004 e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, in aggiunta alle disposizioni indicate nella delibera del Consiglio dei Ministri 4 luglio 2012, al decreto del Ministero dell'ambiente del 10 agosto 2012, n. 161 recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo.
Con il D.P.C.M. 16 ottobre 2012 (pubblicato nella G.U. n. 301 del 28-12-2012) si è invece provveduto a ripartire le risorse rivenienti dai risparmi conseguiti mediante la riduzione dei contributi in favore dei partiti e dei movimenti politici, disposta dall'art. 16, comma 1, della legge 6 luglio 2012, n. 96. Ai territori colpiti dal sisma del maggio 2012 sono stati assegnati 61.245.955,85 euro così ripartiti: 94% in favore dell'Emilia-Romagna; 5,6% in favore della Lombardia; 0,4% in favore del Veneto.
Con la successiva delibera del 31 gennaio 2013 è stato posticipato al 30 settembre 2013 il termine per l'approvazione dei bilanci relativi all'esercizio 2012 delle società di capitali danneggiate dal sisma.
Con il D.P.C.M. 8 febbraio 2013 si è provveduto all'aggiornamento della misura dei contributi per la ricostruzione (in proposito si rinvia alla scheda La sospensione dei tributi e i finanziamenti agevolati per il sisma), nonchè, all'art. 2, a prevedere, per particolari casi documentati ed accertati dai comuni, la facoltà per gli stessi comuni di assegnare i moduli prefabbricati realizzati ai sensi dell'art. 10 del D.L. 83/2012, anche per gli alloggi danneggiati dichiarati parzialmente o temporaneamente inagibili con esito di rilevazione dei danni "B" o "C".
Si ricorda che l'art. 10 del D.L. 83/2012 ha previsto la realizzazione di moduli temporanei abitativi - destinati all'alloggiamento provvisorio delle persone la cui abitazione è stata distrutta o dichiarata inagibile con esito di rilevazione dei danni di tipo «E» o «F», ai sensi del D.P.C.M. 5 maggio 2011 - ovvero destinati ad attività scolastica ed uffici pubblici, nonché delle connesse opere di urbanizzazione e servizi, per consentire la più sollecita sistemazione delle persone fisiche ivi residenti o stabilmente dimoranti, ove non abbiano avuto assicurata altra sistemazione nell'ambito degli stessi comuni o dei comuni limitrofi.
Si ricorda altresì che con il citato D.P.C.M. 5 maggio 2011 è stato approvato il modello per il rilevamento dei danni, il pronto intervento e l'agibilità per edifici ordinari nell'emergenza post-sismica e il relativo manuale di compilazione (la c.d. scheda Aedes), dei quali dovranno dotarsi le amministrazioni dello Stato e gli enti locali in occasione di eventi sismici per il rilevamento speditivo dei danni, la definizione di provvedimenti di pronto intervento e la valutazione dell'agibilità post-sismica degli edifici ordinari.
Il significato delle varie classi (da A ad F) previste dal D.P.C.M. 5 maggio 2011 è sintetizzato nella pagina del sito web del Dipartimento della Protezione civile che illustra la situazione delle verifiche di agibilità svolte in seguito al sisma in Emilia.
Con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 2013 è stato concesso ai Commissari delegati, ove ritenuto indispensabile e sulla base di specifica motivazione, di derogare al limite del 20% all'acquisto di beni mobili e all'affitto di beni immobili (disposti, rispettivamente dall'art. 1, comma 141, della L. 228/2012 e dall'art. 12, comma 1-quater, del D.L. 98/2011) per i comuni colpiti dal sisma.
Con il D.P.C.M. 28 dicembre 2012 (pubblicato nella G.U. 22 febbraio 2013, n. 45) si è provveduto a:
Si ricorda che il comma 13 dell'art. 10 del D.L. 83/2012 reca misure finalizzate a consentire l'espletamento da parte dei lavoratori delle attività in condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. A tal fine viene disposto il trasferimento alle contabilità speciali intestate ai presidenti delle regioni (istituite dall’art. 2, comma 6, del D.L. 74/2012) colpite dal sisma, del 35% delle risorse destinate nell'esercizio 2012 dall'INAIL al finanziamento dei progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza del lavoro (bando ISI 2012) ai sensi dell'art. 11, comma 5, del D.lgs. n. 81/2008. Tale trasferimento è destinato a finanziare interventi di messa in sicurezza, anche attraverso la loro ricostruzione, dei capannoni e degli impianti industriali danneggiati dal sisma.
Nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (A.C. 5312) del citato decreto-legge è stato sottolineato che “per l'anno 2012, l'INAIL avrebbe una disponibilità di bilancio di circa 225 milioni di euro per il finanziamento di progetti di investimento e formazione, di cui alla proposta, e il bando per l'anno 2012 non è ancora pubblicato. Si tratta di risorse derivanti dai premi INAIL, che vengono distribuite fra le imprese a scopi di incentivazione; pertanto, la finalità originaria non verrebbe meno”. Il 35% dell’importo indicato equivale quindi a circa 79 milioni di euro.
Con ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione civile (O.C.D.P.C.) n. 1 del 2012 del 22 maggio sono stati adottati quindi i primi interventi urgenti, tra i quali la nomina dei responsabili per l’attuazione delle attività di assistenza alla popolazione e per gli interventi provvisionali legati alle prime necessità, e sono stati messi a disposizione 10 milioni di euro dei 50 stanziati dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 maggio. Di seguito si riporta una sintesi dell’O.C.D.P.C. n. 1.
Nomina dei responsabili. Il Direttore dell’Agenzia regionale di protezione civile della Regione Emilia Romagna è stato nominato responsabile per l’attuazione delle attività di assistenza alla popolazione e per gli interventi provvisionali legati alle prime necessità nelle Province di Bologna, Modena e Ferrara. Le stesse responsabilità sono affidate per la Provincia di Mantova al Direttore generale della Direzione generale di protezione civile, polizia locale e sicurezza della Regione Lombardia. I responsabili possono operare tramite i sindaci dei comuni interessati e le strutture di coordinamento istituite a livello territoriale, avvalendosi anche delle colonne mobili delle regioni e province autonome e delle organizzazioni di volontariato (art. 1).
Assistenza alla popolazione. L’attività consiste nel fornire alla popolazione pasti e primi generi di conforto, sistemazione alloggiativa in aree di accoglienza e strutture pubbliche e private, anche di tipo alberghiero. Sono inoltre organizzati servizi di trasporto pubblico e privato ed effettuate le verifiche di agibilità degli edifici (art.1). In alternativa alla sistemazione alloggiativa in aree di accoglienza e strutture pubbliche e private, anche di tipo alberghiero, è previsto un contributo per l’autonoma sistemazione per chi non può fare rientro nella propria abitazione fino a un massimo di 600 euro, nel limite di 100 euro per ogni componente del nucleo familiare. Se in casa c’è una persona di età superiore ai 65 anni o diversamente abile il contributo aumenta di 200 euro per ognuna di queste persone. Chi viveva solo invece potrà ricevere 200 euro. L’assistenza alloggiativa è concessa fino alla verifica di agibilità delle abitazioni, effettuata da parte di tecnici opportunamente formati che utilizzano per il rilevamento la scheda Aedes (art. 3).
Spese e rendicontazione. Le spese sostenute nelle prime 72 ore dall'evento calamitoso per prestare soccorso ed assistenza alla popolazione e per provvedere ad interventi provvisionali urgenti sono liquidate dai Direttori che, prima di provvedere al pagamento, devono rendicontare al Dipartimento della Protezione Civile. Le spese sostenute, sempre nelle prime 72 ore e per le stesse finalità , dalle componenti statali sono rimborsate direttamente dal Dipartimento della Protezione Civile dietro rendicontazione. Per le spese successive alle prime 72 ore, una volta raccolta la segnalazione di esigenze dal territorio e riscontrata l’effettiva necessità, i direttori dovranno preventivamente inviare una richiesta di autorizzazione al Dipartimento della Protezione Civile, corredata da adeguata motivazione e dalla previsione di spesa massima. Per l’acquisizione straordinaria di beni e servizi e per l'esecuzione dei lavori, le amministrazioni dovranno inserire negli atti negoziali clausole per l'accertamento della congruità della spesa anche ex post da parte dei propri uffici tecnici (art. 2).
Personale PA e Tecnici. L’O.C.D.P.C. stabilisce le ore massime di straordinario consentito per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e il tetto dell’indennità forfettaria per il personale dirigenziale (art. 4). Il Dipartimento della Protezione Civile e i Direttori sono autorizzati inoltre ad usare polizze assicurative già stipulate per garantire la copertura al personale impiegato nelle attività tecnico-scientifiche finalizzate alla gestione dell'emergenza (art. 5).
Norme derogate. Vengono indicate le disposizioni normative cui si può derogare per l'attuazione della stessa ordinanza, tra le quali quelle relative al D.Lgs. n. 163/2006, Codice dei contratti pubblici (art. 6)
Fondi. Per tali primi interventi stabiliti dall’O.C.D.P.C., il Capo del Dipartimento ha messo a disposizione 10 milioni di euro dei 50 stanziati dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 maggio. L’O.C.D.P.C. autorizza inoltre i Direttori ad aprire contabilità speciali a loro intestate per realizzare gli interventi previsti (art. 7).
Successivamente è stata emanata l'O.C.D.P.C. n. 2 del 2 giugno 2012 recante le procedure per la valutazione della sicurezza e dell'agibilità degli edifici ad uso produttivo per gli eventi sismici nelle province di Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Mantova e Rovigo di maggio 2012. L’O.C.D.P.C. n. 2 stabilisce che il titolare dell’attività produttiva, che è responsabile della sicurezza secondo il d.lgs. n. 81/2008, deve acquisire la certificazione di agibilità sismica a seguito della verifica di sicurezza prevista dalle norme sismiche vigenti, fatta da un professionista abilitato, e deve depositarla nel Comune territorialmente competente. Il provvedimento viene applicato nei comuni interessati dagli eventi sismici individuati nell’allegato 1 dell’ordinanza. I Comuni trasmettono periodicamente alle strutture di coordinamento istituite a livello territoriale gli elenchi delle certificazioni depositate.
Con l'O.C.D.P.C. n. 3 del 2 giugno 2012 si è ritenuto necessario, acquisita l’intesa delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, provvedere all’approntamento tempestivo di ogni azione urgente finalizzata al soccorso e all’assistenza alla popolazione, nonché all’adozione degli interventi provvisionali strettamente necessari alle prime necessità, anche con riferimento all’evoluzione dei fenomeni ed all’aggravamento delle situazioni pregresse. E’ stato ritenuto necessario provvedere alla opportuna riarticolazione del modello organizzativo di gestione dell’emergenza al fine di ottimizzare la tempestiva ed efficace realizzazione in loco delle attività e degli interventi necessari, in relazione all’aggravamento della situazione, anche tenendo conto della diversificazione degli effetti riscontrati sul territorio.
Pertanto è stata istituita, in loco, la Direzione di Comando e Controllo (DI.COMA.C.), quale organismo di coordinamento delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, a supporto delle attività del Capo del Dipartimento della Protezione Civile. Nell’ambito della DI.COMA.C. è stato costituito un Comitato composto dal Direttore dell’Agenzia regionale di protezione civile della regione Emilia-Romagna, dal Direttore generale della Direzione generale di protezione civile, polizia locale e sicurezza della regione Lombardia e dal Dirigente Regionale dell’Unità di progetto protezione civile della regione Veneto, al fine di assicurare la direzione unitaria degli interventi sui territori interessati dagli eventi calamitosi.
Per far fronte agli oneri connessi alla realizzazione delle iniziative d’urgenza di cui alla stessa ordinanza ed all’O.C.D.P.C. n. 1 del 22 maggio 2012 la copertura è a valere sulle risorse individuate dal Consiglio dei Ministri, nella seduta del 22 maggio 2012, nel limite di 30 milioni di euro.
E' stata inoltre prevista l'apertura di ulteriori contabilità speciali, in aggiunta a quelle già previste dall'ordinanza n. 1.
Con successivo decreto del Capo Dipartimento n. 2637 del 2 giugno 2012 è stata disposta la composizione e il funzionamento della DI.COMA.C. ai sensi di quanto previsto dall'O.C.D.P.C. n. 3 del 2 giugno 2012.
Con l'O.C.D.P.C. n. 9 del 15 giugno 2012 sono state adottate ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile. In particolare è stato previsto l’impiego delle Forze armate per vigilare e proteggere degli insediamenti ubicati nei territori colpiti dal sisma (art. 1). Sono state poi incrementate da 30 a 34,9 milioni di euro le risorse per realizzazione delle iniziative d’urgenza di cui all’O.C.D.P.C. n. 1 e n. 3 (art. 2) ed è stato disposto il reintegro e la riparazione dei materiali di pronto intervento e dei Centri assistenziali di pronto intervento del Ministero dell'interno e dei materiali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, destinando allo scopo il limite massimo di 10 milioni di euro a valere sulle risorse stanziate con DM economia e finanze n. 45301 del 22 maggio 2012 (art. 3). Sono stati destinati 4,5 milioni di euro (limite massimo) per garantire nel più breve tempo possibile il ripristino della capacità di risposta alle emergenze del Servizio nazionale della protezione civile, delle colonne mobili delle regioni e province autonome e della colonna mobile della Croce Rossa Italiana impegnate nelle attività di soccorso ed assistenza alla popolazione (art. 4).
Con l'O.C.D.P.C. n. 15 del1° agosto 2012 sono state dettate disposizioni finalizzate a consentire il subentro, a decorrere dal 3 agosto 2012, dei presidenti delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, commissari delegati ai sensi dell'art. 1 del D.L. 74/2012, nelle funzioni e nelle attività della Direzione di comando e controllo (DICOMAC) istituita ai sensi dell'art. 1 dell'O.C.D.P.C. n. 0003/2012 e dei soggetti responsabili per l'assistenza alla popolazione individuati dalla citata ordinanza nonché dall'O.C.D.P.C. n. 1/2012.
A tal fine l'art. 3 della medesima ordinanza ha previsto la stipula, tra la regione Emilia-Romagna ed il Dipartimento della protezione civile, di un'apposita convenzione con decorrenza dal 3 agosto 2012.
Gli oneri derivanti dalla citata convenzione sono stati quantificati, nel limite massimo di 140 milioni di euro, fino al 31 dicembre 2012, con l'O.C.D.P.C. n. 29 del7 dicembre 2012 che ha così novellato l'art. 3 dell'O.C.D.P.C. n. 15 del 1° agosto 2012.
L'ordinanza del 7 dicembre ha inoltre integrato il testo del citato art. 3 al fine di chiarire che la copertura degli oneri citati è posta a carico del fondo di cui all'art. 2 del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, in via di anticipazione sul contributo del Fondo di solidarietà dell'Unione europea.
Con l'O.C.D.P.C. n. 42 del 24 gennaio 2013 è stato invece prorogato al 31 maggio 2013, vale a dire fino al nuovo termine di cessazione dello stato di emergenza previsto dal D.L. 74/2012, il termine fino al quale le contabilità speciali previste dalle ordinanze nn. 1 e 3 del 2012 rimangono aperte, al fine di consentire la liquidazione di tutte le spese autorizzate dalla DI.COMA.C.
Nel corso della fase emergenziale il Capo del Dipartimento della Protezione civile ha emanato una serie di circolari recanti disposizioni operative per l’attuazione delle O.C.D.P.C. consultabili sul sito web della Protezione civile.
Si segnala infine che sul sito web della Regione Emilia Romagna sono pubblicati tutti gli atti che il Commissario delegato sta adottando per la ricostruzione. Per quanto riguarda la regione Veneto i provvedimenti del Commissario delegato sono pubblicati sul sito internet dedicato al sisma del 2012 e, per la regione Lombardia, sulla pagina web dedicata agli enti locali.
Nel corso della XVI legislatura, il Parlamento ha discusso circa l'opportunità di adottare una legge quadro sul governo del territorio nel corso dell'esame di alcune proposte di legge iniziativa parlamentare il cui iter non si è concluso. Sono state, invece, adottate disposizioni volte a modificare le procedure di approvazione degli strumenti urbanistici, limitatamente ad alcune tipologie di interventi, e a introdurre un procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica. Di rilevante importanza, inoltre, le modifiche alla disciplina sulle espropriazioni relativamente all'utilizzazione senza titolo di un bene per finalità di interesse pubblico. E' stata, infine, approvata una legge per lo sviluppo degli spazi verdi urbani.
Il governo del territorio, che secondo la Corte costituzionale include l'urbanistica e l'edilizia, è materia assegnata dall'art. 117 della Costituzione alla competenza concorrente di Stato e regioni. Ciò significa che in tale ambito le leggi regionali devono osservare i principi fondamentali ricavabili dalla legislazione statale. Numerose, infatti, sono le leggi regionali che hanno disciplinato la materia, anche introducendo innovazioni e sperimentazioni diverse da territorio a territorio.
Nella XVI legislatura, il Parlamento ha discusso dell’opportunità di adottare una legge quadro sull'urbanistica volta a definire i principi fondamentali in materia di governo del territorio, nel rispetto delle competenze regionali.
In occasione dell’esame di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 329 e abb.), infatti, la Commissione ambiente della Camera ha svolto un’approfondita attività istruttoria attraverso lo svolgimento di due cicli di audizioni informali dai quali, per un verso, è emersa la necessità di chiarire il quadro delle competenze e delle responsabilità di Stato, regioni ed enti locali, e una preferenza per gli atti negoziali rispetto agli atti autoritativi previsti nel campo della pianificazione urbanistica.
Il dibattito parlamentare si è concentrato, inoltre, sull’opportunità di definire un nuovo modello di pianificazione urbanistica più flessibile, anche distinguendo con chiarezza un piano strutturale da un piano operativo, e privilegiare l’utilizzo di strumenti perequativi e compensativi, eventualmente collegati a un sistema premiale, al fine di perseguire l’equa ripartizione dei diritti edificatori previsti dalla pianificazione urbanistica e un più agevole trasferimento dei medesimi diritti.
Si è altresì discusso della necessità del recupero dei territori con l'obiettivo di promuovere in essi il risanamento del patrimonio naturale, artistico e architettonico e di rimuovere gli squilibri economici e sociali; in tal senso, la discussione delle due proposte di legge, rispettivamente, sulla riqualificazione dei centri storici (A.S. 2862 approvato in prima lettura dall'Assemblea della Camera il 28 luglio 2011) e sul sostegno dei piccoli comuni (con popolazione inferiore a 5.000 abitanti) e dei comuni compresi nelle aree protette (A.S. 2671 approvato in prima lettura dall'Assemblea della Camera il 5 aprile 2011).
Il D.L. 78/2010, all'art. 14, comma 16, lett. f), ha introdotto un contributo straordinario sulle valorizzazioni immobiliari generate da modifiche dello strumento urbanistico, sanando di fatto la norma del Piano regolatore di Roma bocciata dalle sentenze del Tar Lazio n. 1524/2010 e n. 2383/2010. La successiva lettera h) ha destinato i proventi derivanti dagli oneri di urbanizzazione (ossia i corrispettivi dovuti per interventi di nuova costruzione, ampliamento di edifici esistenti e ristrutturazioni edilizie) anche per le spese di manutenzione ordinaria, nonché l'utilizzo dei proventi derivanti dalle concessioni cimiteriali anche per la gestione e manutenzione ordinaria dei cimiteri.
Nel corso della legislatura sono state approvate alcune disposizioni volte a modificare le procedure di approvazione degli strumenti urbanistici nell'ambito del Piano casa, della riqualificazione delle aree urbane degradate, della realizzazione urgente di istituti penitenziari. Alcune disposizioni sono state previste in proposte di legge di iniziativa parlamentare il cui iter non si è concluso nel corso della legislatura; a titolo di esempio, si citano le proposte di legge per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi.
Per quanto riguarda gli edifici penitenziari, l’art. 17-ter del D.L. 195/2009 ha previsto, nell’ambito di alcune misure per l’attuazionedi un piano straordinario per la realizzazione urgente di istituti penitenziari, cd. Piano carceri, l’introduzione di un iter più snello per la localizzazione e le espropriazione delle aree. Successivamente l’art. 27, commi da 9 a 17, del D.L. n. 201/2011 ha introdotto ulteriori misure per contrastare l’emergenza legata al sovraffollamento degli istituti penitenziari, tra esse: la possibilità di affidare a società partecipata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze, in qualità di centrale di committenza, il compito di provvedere alla stima dei costi e alla selezione delle proposte per la realizzazione delle nuove infrastrutture penitenziarie privilegiando le proposte conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente (comma 11); gli immobili realizzati con tali procedure sono quindi oggetto di permuta con immobili statali, comunque in uso all'Amministrazione della giustizia, suscettibili di valorizzazione e/o dismissione.
Con riguardo invece al Piano casa e agli interventi per la riqualificazione delle aree urbane degradate, si rinvia alla scheda di approfondimento I "piani casa" e i "piani città". L’art. 5, commi 11 e 13, del D.L. 70/2011 ha, infatti, introdotto, nell'ambito degli interventi per la riqualificazione di aree urbane degradate, anche disposizioni transitorie nelle more dell’emanazione delle leggi regionali volte, per un verso, a prevedere il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici anche per il mutamento delle destinazioni d'uso e, per l’altro, all’approvazione dei piani attuativi urbanistici dalla Giunta comunale anziché dal Consiglio.
L'articolo 5 del D.L. 70/2011 ha, inoltre, dettato disposizioni volte a:
Da ultimo, si segnala che l’art. 45, comma 1, del D.L. 201/2011 ha previsto, nell’ambito degli strumenti attuativi dei piani urbanistici e degli atti equivalenti comunque denominati (ad esempio piani particolareggiati di iniziativa pubblica o privata; piani di zona; piani di lottizzazione; piani per l'edilizia economica e popolare; piani di recupero di iniziativa pubblica o privata), nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione primaria a scomputo della quota di contributo dovuta dal titolare del permesso di costruire (opere di urbanizzazione a scomputo), contributo che è commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. In tal caso, pertanto, il titolare del permesso di costruire realizza direttamente le opere di urbanizzazione primaria (strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell'energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato), qualora esse siano di valore inferiore alla soglia europea (si tratta degli importi al raggiungimento dei quali si applicano le procedure di affidamento disciplinate dalla normativa europea degli appalti pubblici) e funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio; non si applicano pertanto le procedure di gara previste del Codice dei contratti pubblici.
Il DPR 139/2010 ha previsto un procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, da realizzarsi su aree o immobili dichiarati di interesse paesaggistico.
La previsione di modifiche e integrazioni alla predetta disciplina, allo scopo di rideterminare e ampliare le ipotesi di interventi di lieve entità e introdurre ulteriori semplificazioni procedimentali, è contenuta nell’articolo 44 del D.L 5/2012 attraverso l’emanazione, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, di un regolamento di delegificazione ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L. 400/1988.
Il D.L. 70/2011, all'art. 4, comma 16, lett. e), ha introdotto il silenzio assenso per il parere obbligatorio non vincolante del Soprintendente nei casi in cui i comuni abbiano recepito, nei loro strumenti urbanistici, le prescrizioni del piano paesaggistico regionale ed il Ministero abbia valutato positivamente tale adeguamento.
L'articolo 34 del D.L. 98/2011 ha introdotto nel D.P.R. 327/2001 (T.U. espropri) l'art. 42-bis, che disciplina l'acquisizione al patrimonio indisponibile della pubblica amministrazione di beni immobili utilizzati dalla stessa pubblica amministrazione per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o di dichiarazione di pubblica utilità, prevedendo che sia la medesima pubblica amministrazione a stabilire l’indennizzo sia per il pregiudizio patrimoniale sia per quello non patrimoniale sulla base di quanto previsto dalla norma.
La norma dispone il pagamento dell’indennizzo entro trenta giorni, pena la perdita della proprietà dell’area da parte della pubblica amministrazione.
La nuova disciplina ha colmato di fatto un vuoto normativo determinatosi dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010, che aveva dichiarato illegittima la procedura della cosiddetta “acquisizione sanante” prevista nell’art. 43 del T.U. espropri, che è stata pertanto abrogata.
La legge 10/2013, approvata dopo un iter parlamentare di circa diciotto mesi, ha introdotto disposizioni per incentivare lo sviluppo degli spazi verdi urbani attraverso una serie di misure tra le quali: l’istituzione della Giornata nazionale degli alberi; l’aggiornamento della legge 113/1992 sull’obbligo per i comuni di porre a dimora un albero per ogni registrazione anagrafica di neonato residente; la possibilità di stipulare contratti di sponsorizzazione per promuovere iniziative finalizzate a favorire l'assorbimento di emissioni di CO2 tramite l’incremento e la valorizzazione del patrimonio arboreo; la promozione di iniziative locali per lo sviluppo degli spazi verdi urbani; la salvaguardia e la gestione delle dotazioni territoriali di standard previste nell'ambito degli strumenti urbanistici attuativi dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e norme volte alla tutela degli alberi monumentali.
Si prevede, infine, la destinazione delle maggiori entrate, derivanti dai contributi per il rilascio dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal TU dell’edilizia (DPR n. 380/2001), alla realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di recupero urbanistico e di manutenzione del patrimonio comunale in misura non inferiore al 50% del totale annuo (art. 4, comma 3).
Nel corso della XVI legislatura, la Commissione Ambiente della Camera ha svolto un'indagine conoscitiva sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi. Il quadro degli interventi normativi è stato caratterizzato, in una prima fase della legislatura, dalle disposizioni per i piani straordinari diretti a rimuovere il rischio idrogeologico le cui risorse finanziarie si sono progressivamente ridotte. Specifici stanziamenti hanno riguardato i territori interessati da situazioni di emergenza.
L' indagine conoscitiva svolta dall'VIII Commissione (Ambiente) sulle politiche per la tutela del territorio, la difesa del suolo e il contrasto agli incendi boschivi si è conclusa il 3 dicembre 2009 con l'approvazione di un documento conclusivo. La Commissione ha elencato una serie di proposte nei differenti ambiti dell'indagine tra le quali si richiama - sotto il profilo della difesa del suolo - la necessità di un adeguato impegno finanziario per la definizione di un programma pluriennale di interventi indispensabili per la difesa del suolo e il contrasto al dissesto idrogeologico e, nel contempo, di un programma straordinario di prevenzione e di manutenzione del territorio da parte dei singoli comuni. La Commissione ha, inoltre, auspicato la predisposizione di linee guida nazionali per la realizzazione di opere a basso impatto sul territorio e che limitino le cause dei fenomeni di dissesto idrogeologico.
Quanto agli incendi boschivi la Commissione, pur apprezzando i risultati conseguiti con la legge n. 353/2000, ha auspicato l’introduzione di alcune precisazioni volte ad una migliore applicazione della legge stessa.
L'art. 2, comma 240, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) ha destinato ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico lo stanziamento di un miliardo di euro assegnato dalla delibera CIPE del 6 novembre 2009 a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale previsti dall’art. 18, comma 1, lettere b) e b-bis), del D.L. 185/2008. La medesima disposizione ha consentito l'utilizzo delle citate risorse anche tramite accordi di programma, sottoscritti tra le regioni interessate e il Ministero dell'ambiente, che definiscono altresì la quota di cofinanziamento regionale. In sede di prima applicazione dei piani, è stata consentita la nomina di commissari straordinari per la realizzazione di interventi urgenti nelle situazioni a piu' elevato rischio idrogeologico (art. 17 del D.L. 195/2009).
Il predetto stanziamento è stato successivamente ridotto di 200 milioni di euro dagli articoli 17, comma 2-bis, del decreto-legge 195/2009 e dall'art. 2, comma 12-quinquies del D.L. 225/2010, che hanno destinato tali risorse a interventi urgenti in alcune zone del territorio nazionale colpite da eventi meteorologici eccezionali. Come è emerso nel corso dell'attività parlamentare, le risorse finanziarie destinate ai piani sono state ulteriormente ridotte: in proposito, utili elementi sono stati forniti in in risposta all'interrogazione 5-04350 nella seduta del 9 marzo 2011 e all'interrogazione 5-05935 nella seduta del 18 gennaio 2012. Ulteriori elementi di informazione circa l'attuazione dei piani sono stati forniti nel corso dell'audizione del Ministro dell'ambiente del 10 novembre 2011.
Gli stanziamenti destinati alla difesa del suolo hanno subito una riduzione - come è stato evidenziato nel corso dell'esame delle leggi di bilancio della legislatura - in conseguenza delle manovre di finanza pubblica che si sono susseguite e che hanno avuto un impatto sugli stati di previsione dei singoli ministeri e anche sulla programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (già Fondo per le aree sottoutilizzate -FAS).
L'art. 33, comma 1, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012) ha destinato una quota pari a 70 milioni di euro del Fondo esigenze urgenti ed indifferibili per l’anno 2012 al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico, ivi compresi interventi di messa in sicurezza del territorio. Il comma 8 del medesimo articolo ha destinato, inoltre, le maggiori entrate da diritti di frequenze in banda larga, per un importo pari a 100 milioni di euro, ad interventi per la difesa del suolo.
Nell'ambito della programmazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, il Cipe, con deliberazione n. 8/2012 ha provveduto ad assegnare 679,7 milioni di euro ad interventi di contrasto del rischio idrogeologico di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno e, con la delibera 6/2012, 130 milioni di euro ad interventi volti a fronteggiare il dissesto idrogeologico nei territori del Centro Nord (in attuazione degli accordi di programma stipulati dal Ministero dell'ambiente con le Regioni). Si ricorda, inoltre, che la delibera CIPE n. 87/2012 ha approvato l'assegnazione di 1.060,48 milioni di euro, a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento degli interventi nelle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia per la manutenzione straordinaria del territorio, ivi inclusi interventi nel settore della difesa del suolo. Elementi di informazione in ordine all'utilizzo dei fondi strutturali nel finanziamento degli interventi per la difesa del suolo sono stati forniti nel corso dell'audizione del Ministro per la coesione territoriale del 31 ottobre 2012 e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 24 ottobre 2012.
Da ultimo, il comma 182 dell'articolo unico della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha previsto la concessione di un contributo straordinario di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014, al fine di fronteggiare il grave dissesto idrogeologico nella regione Abruzzo. In tale legge specifici stanziamenti sono stati destinati al Fondo di protezione civile per interventi in conto capitale nelle regioni e nei comuni interessati dagli eventi alluvionali che hanno colpito il territorio nazionale nel mese di novembre 2012 (art. 1, comma 548) e nei territori colpiti da una serie di calamità naturali avvenute dal 2009 al 2012 (art. 1, comma 290).
Il decreto legislativo 49/2010 ha dettato una specifica disciplina per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni recependo la direttiva 2007/60/CE.
Il decreto ha attribuito alle autorità di bacino distrettuali di cui all’art. 63 del decreto legislativo 152/2006 (cd. Codice ambientale) la competenza per la valutazione preliminare del rischio di alluvioni (art. 4), l'individuazione delle zone a rischio potenziale di alluvioni (art. 5), la predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni (art. 6). Si prevede, inoltre, la predisposizione, da parte della autorità di bacino distrettuali, di appositi piani di gestione del rischio di alluvione coordinati a livello di distretto idrografico, che è l’unità territoriale di riferimento per la gestione del rischio di alluvioni.
Le regioni, in coordinamento tra di loro e in collaborazione con il Dipartimento della protezione civile, sono competenti in relazione al sistema di allertamento.
In attuazione della legge quadro (L. 353/2000) sono state ripartite le risorse finanziarie per lo svolgimento da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano delle funzioni conferite ai fini della conservazione e della difesa dagli incendi del patrimonio boschivo nazionale. All'ultimo riparto delle risorse si è provveduto con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 21 febbraio 2012 per un importo pari a 2,35 milioni di euro relativo all'anno 2011.
Con la direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° luglio 2011 in materia di lotta attiva agli incendi boschivi (GU n. 208 del 7 settembre 2011) è stato istituito il Bollettino di previsione nazionale incendi boschivi, strutturato su scala provinciale.
L'art. 1, comma 2, del D.L. 59/2012 ha disposto il trasferimento della flotta aerea antincendio della Protezione civile al Dipartimento dei vigili del fuoco che assicura, a decorrere dal 2013, il coordinamento tecnico e l'efficacia operativa sul territorio nazionale delle attività di spegnimento con tale flotta (articolo 3-bis del D.L. 79/2012). Per tali finalità, è istituito un apposito fondo presso il Ministero dell’interno con una dotazione di 40 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2013 (art. 1, comma 261, legge n. 228/2012). Nel corso dell'audizione del 25 ottobre 2012, il Capo della Protezione civile ha fornito elementi di informazione in ordine allo stato delle risorse per la lotta agli incendi boschivi e allo stato di attuazione della riforma della protezione civile introdotta con il citato D.L. 59/2012.
Oltre all'attività conoscitiva di cui si è dato conto in precedenza, l'attenzione nei confronti delle politiche concernenti la difesa del suolo e la tutela del territorio si è tradotta nell'approvazione di alcuni atti di indirizzo volti a impegnare il Governo ad adottare iniziative in tali ambiti.
L'importanza di un'azione istituzionale più incisiva in materia di difesa del suolo e di contrasto al dissesto idrogeologico è stata oggetto della mozione unitaria 1-00324 approvata nella seduta del 26 gennaio 2010 e di una serie di mozioni approvate nella seduta del 28 febbraio 2012.
Si dà conto infine di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare il cui esame non è stato concluso nel corso della legislatura. Si tratta, in particolare, di una proposta di legge (A.C. 3869), che reca modifiche alla legge quadro 353/2000 allo scopo di trasferire le competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi dal Dipartimento della protezione civile al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è stata esaminata dalla Commissione ambiente della Camera. Presso la Commissione ambiente del Senato, infine, è stata esaminata una proposta di legge A.S. 2644 volta ad introdurre misure in materia di gestione e prevenzione del rischio idrogeologico.
Sui decreti legge
Sul decreto legislativo 49/2010
Sulle leggi di stabilita'
Sulle proposte di legge
Nel corso della XVI legislatura, si sono verificate numerose emergenze di protezione civile. La disciplina degli stati di emergenza e del loro finanziamento è stata modificata dapprima dal D.L. 225/2010 e da ultimo dal D.L. 59/2012, che ha introdotto importanti innovazioni nella materia della protezione civile.
Numerose sono state le emergenze di protezione civile determinatesi nel territorio nazionale nel corso della XVI legislatura a fronte di dissesti idrogeologici, eccezionali eventi meteorologici, eventi sismici ed emergenze di carattere ambientale.
Di particolare gravità i due terremoti in Abruzzo (aprile 2009) e in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto (maggio 2012), nonché alcune emergenze ambientali.
Nel corso della legislatura sono state adottate disposizioni in provvedimenti d’urgenza e nelle leggi di stabilità che si sono susseguite, volte a fronteggiare le emergenze di protezione civile e a stanziare risorse finanziarie. Le emergenze sono state disciplinate da una serie di provvedimenti di protezione civile, prime tra tutte le ordinanze, che hanno dettato disposizioni ad hoc per ciascun stato di emergenza. Nella seduta del 28 luglio 2011, in risposta all'interrogazione n. 5-05194, sono stati forniti elementi di informazione sullo stato della ripartizione e dell'erogazione delle risorse previste nelle ordinanze della protezione civile degli ultimi anni.
Specifiche disposizioni hanno riguardato le popolazioni colpite dagli eventi alluvionali del maggio 2008 in Piemonte e Valle d'Aosta (art. 4-sexies del D.L. 97/2008) e dagli eventi meteorologici che hanno interessato l’intero territorio nazionale nei mesi di novembre e dicembre 2008 (art. 8 del D.L. 208/2008).
La legge 191/2009 (finanziaria 2010), all'art. 2, comma 242, ha destinato 50 milioni di euro a interventi di tutela delle popolazioni colpite da eventi atmosferici verificatisi nel triennio 2007-2009. Con l'art. 1, comma 23-octiesdecies, lett. a), del D.L. 194/2009 è stato integrato, con 8 milioni di euro, il Fondo della protezione civile al fine di adottare misure idonee a fronteggiare gli stati di emergenza verificatisi nel medesimo anno.
Il D.L. 195/2009 ha disposto un finanziamento di 100 milioni di euro a favore dei territori delle regioni Emilia-Romagna, Liguria e Toscana colpiti dagli eccezionali eventi meteorologici nei mesi di dicembre 2009 e gennaio 2010 (art. 17, comma 2-bis).
Il D.L. 225/2010, oltre a modificare la disciplina per le procedure di emergenza, ha stanziato 100 milioni per ciascuno degli anni 2011 e 2012 per far fronte agli eccezionali eventi meteorologici che hanno colpito alcune parti del territorio nazionale, destinando, in particolare, alla Liguria 45 milioni, al Veneto 30 milioni, alla Campania 20 milioni, nonché 5 milioni ai comuni della provincia di Messina colpiti - il 2 ottobre 2009 - da un violento nubifragio (art. 2, comma 12-quinquies). Nei mesi da ottobre a dicembre 2010, infatti, le regioni Liguria e Veneto sono state interessate da emergenze determinate da eccezionali avversità atmosferiche.
Tra gli stati di emergenza determinati da eccezionali avversità atmosferiche nel 2011, si segnalano quelli riguardanti le province di La Spezia e Massa Carrara a seguito degli eventi alluvionali dell'ottobre 2011 e alcune province liguri - in particolare la provincia di Genova -, nonché l'isola d'Elba e la provincia di Messina a seguito degli eventi verificatisi nel mese di novembre 2011.
L’articolo 30, comma 5, del D.L. 201/2011 ha incrementato di 57 milioni di euro per l’anno 2012 la dotazione del Fondo per la protezione civile.
L’art. 23, comma 9, del D.L. 95/2012 ha autorizzato la spesa di 9 milioni di euro per il 2012 per gli interventi conseguenti all’eccezionale ondata di maltempo che ha investito molte zone del territorio nazionale nel mese di febbraio 2012. Il comma 10-bis del medesimo art. 23 ha assegnato, per le esigenze derivate dall’emergenza, una quota non superiore a 6 milioni di euro delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura di cui, al termine del 2011, sia stata accertata la disponibilità.
L’art. 16 della legge n. 96/2012 ha destinato i risparmi derivanti dalla riduzione dei contributi pubblici per le spese sostenute dai partiti e dai movimenti politici ad interventi conseguenti ai danni provocati da eventi sismici e calamità naturali che hanno colpito il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2009.
Il comma 3 dell’art. 67-sexies del D.L. 83/2012 ha finanziato con complessivi 35 milioni di euro gli interventi per il miglioramento sismico degli edifici gravemente danneggiati dal sisma del 15 dicembre 2009 in Umbria. Tale stanziamento è a valere sulle predette risorse.
L’art. 2 del D.L. 74/2012 prevede che il Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto venga alimentato anche con le somme derivanti dalla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti politici e dei movimenti politici.
In attuazione di quanto disposto dall'art. 16 della L. 96/2012 è stato adottato il D.P.C.M. 16 ottobre 2012, che ha ripartito le risorse per il 2012.
Il comma 548 dell'articolo unico della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha incrementato di 250 milioni di euro per l'anno 2013 le risorse del Fondo della protezione civile da destinare a interventi in conto capitale nelle regioni e nei comuni interessati dagli eventi alluvionali che hanno colpito il territorio nazionale nel mese di novembre 2012.
I commi 280 e 290 dello stesso articolo hanno ulteriormente incrementato il finanziamento del predetto Fondo; in particolare, il comma 290 ha incrementato di 105 milioni di euro per il triennio 2013-2015 (47 milioni nel 2013, 8 milioni nel 2014 e 50 milioni nel 2015) il Fondo al fine di realizzare interventi in conto capitale nei territori colpiti dagli eventi alluvionali e dalle eccezionali avversità atmosferiche verificatisi in alcune zone del territorio nazionale specificamente individuati nella norma, dalle eccezionali precipitazioni nevose verificatesi nel febbraio 2012 nelle Marche e nell'Emilia-Romagna, nonché dal sisma verificatosi il 26 ottobre 2012 in Calabria e Basilicata.
Il D.L. 225/2010 (art. 2, commi dal 2-quateral 2-octies) ha introdotto sostanziali innovazioni nel finanziamento delle emergenze, di cui all'art. 5 della legge 225/1992, attribuendo, tra l'altro, alla regione interessata da calamità naturali per le quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza, qualora il bilancio della regione sia insufficiente a coprire le relative spese, il potere di deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché di elevare la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino ad un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita.
La disciplina introdotta dal decreto prevedeva che, solo in caso di insufficienza delle predette risorse, e comunque nel caso di eventi di rilevanza nazionale, la regione potesse accedere al Fondo di protezione civile (commi 5-quater e 5-quinquies dell’art. 5 della legge n. 225/92 come modificata dal D.L. 225/2010). Nel caso di utilizzo del Fondo di riserva per le spese impreviste, se ne disponeva la corrispondente reintegrazione mediante l'aumento dell'accisa su benzina e benzina senza piombo e sul gasolio usato come carburante.
Il predetto sistema di finanziamento delle emergenze è stato parzialmente dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 22 del 2012.
Dal punto di vista ordinamentale, il D.L. 225/2010 ha, inoltre, dettato disposizioni concernenti la procedura per l’emanazione delle ordinanze, la rendicontazione dei Commissari delegati titolari di contabilità speciale, il controllo preventivo di legittimità dei provvedimenti commissariali attuativi delle ordinanze conseguenti alla dichiarazione dello stato di emergenza.
Sulla disciplina introdotta dal D.L. 225/2010 è intervenuto il D.L. 59/2012, che reca misure volte a rafforzare l'operatività del Servizio nazionale di protezione civile e i relativi interventi prevedendo, tra l'altro, un nuovo meccanismo di finanziamento delle emergenze che si basa sull'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile e, nell’eventualità in cui venga utilizzato il Fondo di riserva per le spese impreviste, sulla sua reintegrazione basata prioritariamente sulla riduzione delle spese rimodulabili elencate in allegato al decreto. La regione interessata dallo stato di emergenza ha la facoltà di elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina fino a un massimo di cinque centesimi per litro.
Il decreto provvede, inoltre, a introdurre talune modifiche anche a seguito dell'abrogazione - ad opera dell'articolo 40-bis del D.L. 1/2012 - del comma 5 dell'art. 5-bis del D.L. 343/2001, che consentiva al Dipartimento della protezione civile di operare anche con riferimento ai grandi eventi diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza.
Importanti innovazioni hanno riguardato, tra l’altro, la fissazione della durata degli stati di emergenza, l’emanazione delle ordinanze di protezione civile, il subentro delle amministrazioni competenti in via ordinaria, le gestioni commissariali e l’esclusione dal patto di stabilità delle spese per fronteggiare calamità per cui sia stato deliberato dal Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza.
L’Unione europea ha avviato un’indagine per verificare la compatibilità con la disciplina europea sugli aiuti di Stato di un insieme di agevolazioni concesse dall’Italia alle imprese operanti nelle zone colpite da calamità naturali a partire dal 2003.
L’art. 47 della L. 234/2012, che reca norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, ha indicato le condizioni alle quali è ammessa la concessione di aiuti pubblici, anche sotto forma di agevolazione fiscale, in conseguenza dei danni arrecati da calamità naturali o da altri eventi eccezionali, di cui all’art. 107, par. 2, lett. b), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), a soggetti che esercitano un’attività economica, nei limiti del 100% del danno subito, ivi comprese le somme dei versamenti a titolo di tributi, contributi previdenziali e premi assicurativi dovuti nel corso della durata dello stato di emergenza.
Sul D.L. 225/2010
Sul D.L. 59/2012
Sulla legge 234/2012
Sulla legge 96/2012
Sulla legge di stabilità 2013
Il D.L. 59/2012 ha dettato disposizioni per il riordino della protezione civile. Il provvedimento tiene conto di importanti novità intervenute in tale materia: l'abrogazione del comma 5 dell'art. 5-bis del D.L. 343/2001, che consentiva al Dipartimento della protezione civile di operare anche con riferimento ai grandi eventi diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza, ad opera dell'articolo 40-bis del D.L. 1/2012, e la sentenza della Corte costituzionale n. 22/2012 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 5-quater e del primo periodo del comma 5-quinquies dell'articolo 5 della legge n. 225/1992 istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile, come introdotti dall’articolo 2, comma 2-quater, del D.L. 225/2010.
Il decreto è volto a ricondurre l'operatività della Protezione civile al nucleo originario di competenze attribuite dalla legge istitutiva, dirette, prevalentemente, a fronteggiare gli eventi calamitosi e a rendere più incisivi gli interventi nella gestione delle emergenze. In tale contesto vanno lette pertanto le modifiche apportate alla legge n. 225 del 1992 e contenute nell'articolo 1 del decreto. Tra quelle più importanti si segnalano:
Per quanto attiene al finanziamento dello stato di emergenza l'articolo 1, comma 1, lettera c), n. 10, del decreto sostituisce il comma 5-quinquies dell'articolo 5 della legge n. 225/1992 disponendo che agli oneri connessi con gli interventi conseguenti agli eventi per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza si provvede con l'utilizzo del Fondo nazionale di protezione civile, la cui dotazione è determinata annualmente dalla legge di stabilità.
Qualora venga utilizzato il Fondo di riserva per le spese impreviste di cui all'art. 28 della legge n. 196/2009, il Fondo verrà reintegrato in tutto o in parte, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, mediante la riduzione delle voci di spesa rimodulabili indicate nell'elenco allegato al decreto-legge. Anche in combinazione con la riduzione delle voci di spesa, il Fondo è corrispondentemente reintegrato in tutto o in parte con le maggiori entrate derivanti dall'aumento dell'aliquota dell'accisa sulla benzina e sulla benzina senza piombo, nonché dell'aliquota dell'accisa sul gasolio usato come carburante in misura non superiore a cinque centesimi al litro.
E' stato altresì sostituito il comma 5-quater dell'articolo 5 della legge n. 225/1992 oggetto di declaratoria di incostituzionalità da parte della succitata sentenza n. 22/2012 in quanto, per il finanziamento delle emergenze, autorizzava la regione a deliberare aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuite alla regione, nonché ad aumentare ulteriormente l'aliquota sulla benzina nel caso in cui il bilancio della regione non recasse le disponibilità finanziarie sufficienti per effettuare le spese conseguenti all’emergenza ovvero per la copertura degli oneri conseguenti alla stessa.
Il nuovo comma 5-quater ha attribuito alla regione interessata dallo stato di emergenza la facoltà di elevare la misura dell'imposta regionale sulla benzina fino a un massimo di cinque centesimi per litro.
Ulteriori disposizioni recate dal decreto riguardano il trasferimento della flotta aerea antincendio della Protezione civile al Dipartimento dei vigili del fuoco (art. 1, comma 2).
In proposito, si segnala che l’articolo 3-bis del D.L. 79/2012 ha stabilito che il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno assicura, a decorrere dal 2013, il coordinamento tecnico e l'efficacia operativa sul territorio nazionale delle attività di spegnimento con la flotta aerea antincendio. Il comma 261 dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha istituito un apposito fondo presso il Ministero dell’interno con una dotazione di 40 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2013 al fine di assicurare adeguati livelli di ordinata gestione e piena funzionalità della flotta aerea antincendio.
L'articolo 3 ha stabilito disposizioni transitorie in merito alle gestioni commissariali in corso alla data di emanazione del decreto, operanti ai sensi della legge n. 225/1992, prevedendo che siano prorogabili una sola volta e comunque non oltre il 31 dicembre 2012. Lo stesso articolo ha previsto, inoltre, che "restano fermi gli effetti delle dichiarazioni di grandi eventi per Expo 2015 e il Forum delle famiglie".
Relativamente alle gestioni commissariali si segnala che l’articolo 6-ter del D.L. 79/2012, ha salvaguardato gli effetti delle deliberazioni del Consiglio dei ministri e delle dichiarazioni dello stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse-Gorizia, nonché nel territorio dei comuni di Treviso e Vicenza.
Alle gestioni commissariali delle suddette emergenze non si applicano le modifiche introdotte all’articolo 5 della legge n. 225 dal decreto-legge n. 59 e l’articolo 3, comma 2, del medesimo decreto che, come sopra evidenziato, regola la proroga delle gestioni commissariali in corso.
Con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri datati 22 dicembre 2012 (G.U. n. 1 del 2/1/2013, pag. 19-20) si è provveduto a prorogare sia lo stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nell'asse autostradale Corridoio V dell'autostrada A4 nella tratta Quarto d'Altino-Trieste e nel raccordo autostradale Villesse - Gorizia, sia lo stato di emergenza determinatosi nel settore del traffico e della mobilità nel territorio dei comuni di Treviso e Vicenza.
Da ultimo, il comma 1 dell'articolo 2 ha prorogato al 31 dicembre 2013, in deroga al divieto di proroga o rinnovo delle gestioni commissariali previsto dal D.L. 59/2012 le gestioni commissariali riguardanti: gli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree di Giugliano in Campania e dei Laghetti di Castelvolturno; la situazione di inquinamento determinatasi nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova; il naufragio della nave da crociera Costa Concordia nel comune dell’Isola del Giglio; l’emergenza idrica nel territorio delle isole Eolie.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato, tra le altre, l’esclusione dal patto di stabilità interno di spese per fronteggiare calamità per cui sia stato deliberato dal Consiglio dei Ministri lo stato di emergenza, se effettuate nell'esercizio finanziario in cui la calamità è avvenuta e nei due esercizi finanziari successivi (art. 1, comma 1-bis), nonché la ridefinizione dei compiti e delle attività di protezione civile (art. 1, comma 1, lett. b-bis), la disciplina del sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico (art. 1, comma 1, lett. b-ter) e l'istituzione di un'anagrafe pubblica degli appalti pubblici dei grandi eventi (art. 3, comma 5-bis).
L'art. 3, comma 4, reca una disposizione relativa alla gestione dei rifiuti in Campania, volta a prevedere il trasferimento direttamente alla società creditrice, già proprietaria del termovalorizzatore di Acerra, delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013 relative al Programma attuativo regionale necessarie per l'acquisto di tale impianto (pari ad 355,6 milioni di euro).
Si segnala, infine, che nel corso dell’esame parlamentare è stato soppresso l’articolo 2 che prevedeva l'estensione della copertura delle polizze assicurative sui fabbricati privati ai rischi derivanti dalle calamità naturali demandando modalità e termini del regime assicurativo a un provvedimento attuativo.
Nel corso della XVI legislatura, la normativa in materia di rifiuti è stata più volte modificata dapprima a seguito dell'approvazione di un intervento correttivo di ampia portata, che ha modificato il D.lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), in attuazione della normativa europea, e successivamente attraverso una serie di norme che hanno inciso su diversi profili della materia e segnatamente sull'affidamento e sulla gestione del servizio, sulla tassazione, sui profili sanzionatori, nonché più in generale sulla gestione dei rifiuti medesimi.
La normativa concernente la gestione dei rifiuti è contenuta nella parte quarta del D.lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale) ed è stata sostanzialmente modificata nel corso della legislatura a seguito del recepimento delle direttive europee in tale ambito. Ulteriori modifiche incidenti in maniera talvolta frammentaria su diversi profili della normativa sono state approvate nel corso della legislatura. Talune modifiche si sono rese necessarie al fine di un corretto recepimento della normativa europea anche al fine di evitare procedure di infrazione.
Una disciplina ad hoc è stata adottata per la gestione delle emergenze rifiuti in Campania e in altre regioni (Lazio, Sicilia) per le quali si rinvia al tema Emergenze ambientali .
Il d.lgs. 205/2010 ha recepito nell'ordinamento interno la direttiva quadro sui rifiuti (direttiva 2008/98/CE), che ha profondamente innovato la disciplina europea in tale ambito. Il decreto è intervenuto, pertanto, con modifiche significative sulla parte IV del Codice ambientale, che è stata parzialmente riscritta. Le innovazioni hanno riguardato in primo luogo le definizioni sulla base delle quali si fonda l'impianto applicativo della nuova disciplina, e precisamente:
- la definizione di sottoprodotto (già prevista dall'ordinamento nazionale), che è stata resa più aderente al disposto europeo attraverso l'introduzione di criteri per la sua qualificazione, atteso che tale tipologia non comprende rifiuti ma sostanze o oggetti che devono soddisfare determinate condizioni per il loro utilizzo (art. 184-bis del Codice);
- la definizione di ua procedura per la cessazione della qualifica di rifiuto (cd. end of waste) di cui all'art. 184-ter del Codice;
- la riformulazione della gerarchia dei rifiuti, con un ordine di priorità che prevede: la prevenzione, cioè misure che riducono la quantità di rifiuti anche attraverso il riutilizzo dei prodotti o l’estensione del loro ciclo di vita; la preparazione per il riutilizzo, ovvero le operazioni di controllo, pulizia e riparazione attraverso cui i prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento; il riciclaggio, il recupero (ad esempio di energia, quando cioè i rifiuti svolgono un ruolo utile sostituendo altri materiali) e lo smaltimento.
Si prevede, inoltre, l’adozione, da parte del Ministero dell’ambiente, di un Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e delle indicazioni per l’integrazione di Programma nei piani regionali di gestione dei rifiuti, il cui termine per l'elaborazione da parte del Ministero dell'ambiente è stato anticipato al 31 dicembre 2012 dall'art. 1, comma 3-bis, lett. a), del D.L. 2/2012.
Sempre nell’ottica di perseguire le priorità della gerarchia dei rifiuti si prevede l’adozione di misure per la promozione del riutilizzo dei prodotti e della preparazione per il riutilizzo dei rifiuti, anche attraverso l'introduzione della responsabilità estesa del produttore.
Sono stati introdotti precisi obiettivi quantitativi (in termini di peso) relativi alla preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio/recupero di rifiuti, da raggiungere entro il 2020, che si aggiungono agli obiettivi per la raccolta differenziata dei rifiuti urbani
Di rilevante importanza anche la previsione in base alla quale lo smaltimento dei rifiuti e il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, che garantisca i principi di autosufficienza e prossimità.
In coerenza con il disposto della direttiva che indica le misure da adottare per una corretta gestione dei rifiuti organici, si prevede che gli enti territoriali adottino misure volte ad incoraggiare la raccolta separata di tale tipologia di rifiuti.
La gestione del servizio dei rifiuti, che si basa su una suddivisione dei compiti tra i diversi livelli, di governo, ha fatto registrare una situazione non omogenea sul territorio nazionale, talvolta con significative differenze tra le singole regioni. In tale contesto, al fine di perseguire il contenimento delle spese degli enti locali nonché la semplificazione del sistema, è stata prevista la soppressione delle Autorità d’ambito territoriale alle quali era demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. Nel ricordare che già la legge finanziaria per il 2008 (art. 2, comma 38, della L. 24 dicembre 2007, n. 244) aveva previsto una rideterminazione degli ambiti territoriali che era rimasta inattuata, si segnala che l'art. 1, comma 1-quinquies, del D.L. 2/2010, oltre a prevedere la soppressione delle autorità d'ambito, ha nel contempo disposto il trasferimento delle funzioni, nonché la loro attribuzione da parte delle regioni con proprie leggi (il termine per la soppressione è stato differito in alcuni provvedimenti e, da ultimo, è stato prorogato al 31 dicembre 2012 dall'art. 13, comma 2, del D.L. 216/2011).
Sul complesso quadro della governance dei rifiuti ha inciso inoltre la vicenda dei servizi pubblici locali e della normativa che è stata adottata prima e dopo il referendum del 12 e del 13 giugno 2011. Da ultimo, l’art. 3-bis del D.L. 138/2011, introdotto dall’art. 25 del D.L. 1 del 2012, ha disciplinato gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali, ivi inclusi quelli del settore dei rifiuti, come esplicitato nell'art. 34, comma 23, del D.L. 179/2012 che ha modificato il medesimo art. 3-bis.
Per quanto riguarda l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti, si segnala, inoltre, che il D.L. 1/2012, all'art. 25, comma 4, ha previsto la possibilità di affidamento disgiunto di gestione degli impianti ed erogazione del servizio. Nel caso in cui gli impianti siano di titolarità di soggetti diversi dagli enti locali di riferimento, all'affidatario del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani devono essere garantiti l'accesso agli impianti a tariffe regolate e predeterminate e la disponibilità delle potenzialità e capacità necessarie a soddisfare le esigenze di conferimento indicate nel piano d'ambito.
L'art. 26 del citato decreto n. 1 del 2012 ha, inoltre, modificato la disciplina dei sistemi di gestione autonoma (alternativi all’adesione ai consorzi obbligatori “di filiera”) in cui si prevede, tra l’altro, che l’organizzazione autonoma della gestione dei rifiuti di imballaggio sull'intero territorio nazionale – da parte dei produttori - possa avvenire anche in forma collettiva.
Per quanto concerne la tassazione del servizio, l'art. 14 delD.L. 201/2011 (da ultimo novellato dall’art. 1-bis del D.L. 1/2013) ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento. In proposito, si rinvia alla scheda di approfondimento Il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES).
Il D.Lgs. 152/2006 ha codificato un sistema informatico di tracciabilità dell'intera filiera dei rifiuti (SISTRI) finalizzato alla trasmissione e alla raccolta di informazioni su produzione, trasporto e smaltimento dei rifiuti, nonché alla predisposizione in formato elettronico di alcuni documenti tra i quali i registri di carico e scarico.
A motivo di alcuni problemi registrati nella fase di avvio del sistema, la data per la sua entrata in operatività è stata più volte modificata (ad esempio dall'art. 6, commi 2, 3 e 3-bis, del D.L. 138/2011 e dall'art. 13, commi 3 e 3-bis, del D.L. 216/2011).
Da ultimo, il D.L. 83/2012 (art. 52, commi 1 e 2) ha sospeso fino al compimento delle ulteriori verifiche amministrative e funzionali del SISTRI, e comunque non oltre il 30 giugno 2013, il termine di entrata in operatività, ogni adempimento informatico relativo, nonché il pagamento dei contributi dovuti dagli utenti per l'anno 2012.
Il Parlamento ha posto una particolare attenzione alle tematiche connesse all'operatività del sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti attraverso lo svolgimento di attività conoscitive, di indirizzo e di controllo. La Commissione ambiente della Camera ha, inoltre, esaminato alcune proposte di legge (A.C. 3885 e A.C. 3989) in tale ambito che non sono state definitivamente approvate.
Le innovazioni normative relative al SISTRI approvate dopo l'adozione del D.Lgs. 205/2010 non hanno interessato solo l'entrata in operatività, ma anche il regime delle sanzioni applicabile che è stato modificato dal D.Lgs. 121/2011, che ha attuato la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente.
Per una descrizione più approfondita della normativa riguardante il Sistri, si rinvia alla scheda di approfondimento Tracciabilità dei rifiuti (SISTRI).
Specifiche disposizioni hanno riguardato particolari tipi di rifiuti tra i quali i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, i cosiddetti RAEE, relativamente alla definizione di "produttore", al sistema di finanziamento, alle modalità semplificate di gestione e alla semplificazione in materia di oneri informativi (art. 7 del D.L. 208/2008; art. 5 del D.L. 135/2009; art. 21 della L. 96/2010; D.M. 8 marzo 2010, n. 65; art. 1, comma 2-bis, del D.L. 1/2013).
E' stata ridisciplinata la procedura per la determinazione del contributo ambientale per il recupero di pneumatici fuori uso (art. 24, comma 1, lett. f, del D.L. 5/2012), mentre sono state integrate le modalitàdi consegna, da parte delle imprese di autoriparazione, dei pezzi usati allo stato di rifiuto derivanti dalle riparazioni dei veicoli (art. 43 della L. 96/2010).
In attuazione della disciplina europea, inoltre, il D. Lgs. 188/2008, successivamente novellato dal D.Lgs. 21/2011, ha dettato, per un verso, le norme in materia di immissione sul mercato delle pile e degli accumulatori e, per l'altro, le norme specifiche per la raccolta, il trattamento, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti di pile e accumulatori, destinate a promuovere un elevato livello di raccolta e di riciclaggio di tali materiali.
Per quanto concerne specifiche categorie di imballaggi, l’art. 2 del D.L. 2/2012 ha previsto la proroga del termine relativo al divieto definitivo di commercializzazione dei sacchi per l’asporto merci non biodegradabili (cd. shopper), limitatamente alla commercializzazione di alcune tipologie di sacchi indicati dalla norma, fino all’emanazione - entro il 31 dicembre 2012 - di un decreto interministeriale di natura non regolamentare, che è stato trasmesso alle competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato (atto del Governo 542), che hanno espresso il parere rispettivamente nelle sedute dell'11 febbraio e del 5 febbraio 2013. Il comma 4 dell'art. 2 del D.L. 2/2012 ha introdotto sanzioni amministrative pecuniarie, nelle ipotesi di inosservanza del divieto di commercializazione di sacchi non conformi a quanto prescritto dal medesimo articolo 2, che saranno applicabili solo a decorrere dal sessantesimo giorno dall'emanazione del predetto decreto interministeriale (secondo quanto stabilito dall' art. 34, comma 30, del D.L. 179/2012).
Ulteriori modifiche alla disciplina sulla gestione dei rifiuti sono state adottate in diversi decreti legge e incidono, talvolta in maniera frammentaria, su diversi aspetti della normativa. Tra queste modifiche si segnalano quelle volte a semplificare lo smaltimento dei rifiuti speciali prodotti da talune attività (art.40, comma 8, del D.L. 201/2011) e gli adempimenti per la movimentazione, il deposito temporaneo e il trasporto dei rifiuti da parte delle imprese agricole (art. 4-quinquies del. D.L. 171/2008; artt. 28 del D.L. 5/2012 e 52, comma 2-ter, del D.L. 83/2012). In materia di oli usati una disposizione transitoria consente alle operazioni di rigenerazione degli oli usati di derogare ai limiti vigenti, nel rispetto della normativa europea (art. 24, comma 1, lett. e, del D.L. 5/2012).
Di particolare importanza anche la modifica all'Allegato IV del Codice relativamente alla definizione delle caratteristiche di pericolosità dei rifiuti (art. 3, comma 6, del D.L. 2/2012).
Il D.L. 16/2012 è intervenuto in tema di rifiuti posti in sequestro presso aree portuali e aeroportuali, prevedendone, dopo il trattamento da parte dei corrispondenti consorzi obbligatori, la vendita da parte di un curatore nominato dall’autorità giudiziaria, con la destinazione del ricavato, al netto delle spese, al Fondo unico giustizia e a specifici programmi di riqualificazione ambientale (art. 9, commi 3-septies e 3-octies).
La materia dei rifiuti è stata interessata anche da proroghe, alcune delle quali sono state reiterate di anno in anno. La più recente proroga è stata disposta dall'art. 1, comma 2, del D.L. 1/2013, che ha ulteriormente differito al 31 dicembre 2013 il temine di entrata in vigore del divieto di smaltimento in discarica dei rifiuti (urbani e speciali) con potere calorifico inferiore (PCI) superiore a 13.000 kJ/Kg.
Da ultimo, le Commissioni parlamentari di Camera e Senato hanno esaminato uno schema di regolamento sull'utilizzo di combustibili solidi secondari (CSS), in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali, in cementifici soggetti al regime dell’autorizzazione integrata ambientale (atto del Governo 529) esprimendo rispettivamente il parere nelle sedute dell'11 febbraio 2013 e del 16 gennaio 2013.
Il Parlamento ha discusso in più occasioni delle tematiche relative alla gestione dei rifiuti anche attraverso l'esame di proposte di legge, il cui iter non si è concluso nel corso della legislatura; in proposito, si segnala che una proposta di legge di iniziativa parlamentare (3162-B), approvata in sede legislativa dalla Commissione ambiente della Camera, comprendeva una serie di modifiche alla disciplina in materia di rifiuti, alcune delle quali erano state anche inserite nel corso dell'esame parlamentare del D.L. 2/2012, ma non definitivamente approvate.
Le Commissioni parlamentari hanno svolto un'intensa attività conoscitiva finalizzata ad acquisire elementi di informazione in materia di rifiuti. La Commissione ambiente del Senato ha svolto un'indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla produzione e alla gestione dei rifiuti, con particolare riferimento ai costi posti a carico dei cittadini, alla tracciabilità, al compostaggio, alla raccolta differenziata ed alla effettiva destinazione al recupero ed al riuso dei rifiuti o delle loro porzioni approvando un documento conclusivo nella seduta del 16 gennaio 2013.
Il D.Lgs. 152/2006 ha delineato una nuova disciplina per le terre e rocce da scavo finalizzata a consentirne il riutilizzo e a sottrarle alla normativa sui rifiuti, che era contenuta nell'art. 186 del D.Lgs. 152/2006, ora abrogato a seguito dell'entrata in vigore del D.M. 10 agosto 2012, n. 161.
Prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina sull'utilizzo delle terre e rocce da scavo, l'art. 3, commi 1-3, del D.L. 2/2012 ha dettato una specifica disciplina per le matrici materiali di riporto che la norma definisce come "materiali eterogenei utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all'interno dei quali possono trovarsi materiali estranei". La finalità della norma è l'esclusione, alle condizioni ivi previste, dall'applicazione della disciplina sui rifiuti. E' stato previsto, infatti, che i riferimenti al "suolo" di cui all'articolo 185, comma 1, lettere b) e c), e 4 del D.Lgs. 152/2006 si interpretano come riferiti anche ai materiali di riporto. Il comma 3 ha precisato che, fino all’entrata in vigore del predetto regolamento sulle terre e rocce da scavo, le matrici materiali di riporto eventualmente presenti nel suolosono considerate sottoprodotti alle condizioni indicate nel Codice.
L'attribuzione della qualifica di sottoprodotti ad ulteriori categorie di sostanze o oggetti è stata discussa nel corso della legislatura anche in occasione dell'esame di proposte di legge, il cui iter non si è concluso nel corso della legislatura.
Tale qualifica è stata, infine, attribuita al digestato ottenuto in impianti aziendali o interaziendali dalla digestione anaerobica, eventualmente associata anche ad altri trattamenti di tipo fisico-meccanico, di effluenti di allevamento o residui di origine vegetale o residui delle trasformazioni o delle valorizzazioni delle produzioni vegetali effettuate dall’agro-industria, conferiti come sottoprodotti, anche se miscelati fra di loro, ed utilizzato ai fini agronomici (art. 52, comma 2-bis, del D.L. 83/2012).
Il quadro europeo in materia di rifiuti è in forte evoluzione ed è soprattutto portatore di una nuova visione della politica in tale materia centrata su una nuova considerazione del rifiuto come "risorsa" nella prospettiva di un'economia basata sullo sviluppo sostenibile e sull'uso efficace ed efficiente delle risorse. In tale contesto, le competenti Commissioni parlamentari hanno partecipato attivamente alla formazione delle politiche europee attraverso l'esame di alcuni atti europei nel'ambito della cosiddetta "fase ascendente".
Nella seduta del 22 giugno 2011, la Commissione ambiente della Camera ha approvato un documento con riguardo alla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni concernente la strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti (COM(2011)13 def.), mentre è stato avviato nella seduta del 25 ottobre 2011 dalle Commissioni VIII e X della Camera l'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo al Consiglio, al Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni: Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse (COM(2011)571 def.).
Sull’attuazione e sull'applicazione della vigente legislazione europea in materia di rifiuti pesano comunque alcune procedure di infrazione che rappresentano una quota significatica del complesso delle procedure avviate nella legislazione ambientale.
In considerazione della procedura di infrazione europea sulle discariche abusive, le Commissioni VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'UE) della Camera hanno svolto un'audizione del Ministro dell'ambiente nella seduta del 21 novembre 2012.
Materiali di diritto comparato
Sugli atti europei
Sul D.lgs. 121/2011
Sul D.lgs. 205/2010
Sulla gestione dei rifiuti
Sulle proposte di legge
Commento alle norme del D.Lgs. 205/2010
Relazioni e rapporti
Con l'emanazione del c.d. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997) è stato sancito il passaggio dal sistema della tassa a quello della tariffa. L’art. 49, comma 1, del citato decreto, istitutivo della “tariffa d’igiene ambientale” (anche indicata come TIA1), ha infatti soppresso la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), a decorrere dai termini indicati dal D.P.R. 158/1999 (Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani), entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini.
Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi. L’art. 11, come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 134, della legge 266/2005 (finanziaria 2006) prevede, infatti, l’applicazione del sistema tariffario non prima del 2007.
In tale scenario si è innestato l'art. 238 del D.Lgs. 152/2006 che ha introdotto la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (comunemente indicata come “tariffa integrata ambientale” o TIA2). Contemporaneamente all’istituzione della TIA2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione della precedente "tariffa Ronchi". L'attuazione concreta della TIA2 è stata tuttavia differita (dal comma 11 dell’art. 238 citato) fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, che non è mai stato emanato. Nelle more dell’emanazione di tale decreto è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti, e quindi fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata.
L'applicazione della disciplina precedente è perdurata negli anni successivi, in virtù della disposizione recata dal comma 184 dell'articolo 1 della L. 296/2006, la cui finalità era proprio quella di lasciare invariato il regime di prelievo (e quindi consentire, nei fatti, l’applicazione della TARSU), dapprima per l’anno 2007 e poi, sulla base di successive novelle, anche per gli anni 2008-2009. In tal modo, nei comuni in cui fino al 2006 si applicava la TARSU si è continuato ad applicarla, così come si è continuato ad applicare la cd. tariffa Ronchi nei comuni che, in virtù del comma 1-bis dell’art. 49 citato, avevano anticipato l’applicazione della tariffa in via sperimentale; tutto ciò nonostante lo spirare delle rispettive discipline legislative.
Sullo scenario normativo suesposto si è innestata la norma recata dall’art. 5, comma 2-quater, del D.L. 208/2008, poi modificata prima dall’art. 23, comma 21, del D.L. 78/2009 (convertito dalla legge 102/2009) e poi dall'art. 8, comma 3, del D.L. 194/2009 (convertito dalla L. 25/2010). Tale comma 2-quater, nel testo novellato, ha consentito ai comuni di adottare comunque la TIA2 sulla base delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti (quindi del D.P.R. 158/1999), anche in mancanza dell’emanazione (entro il 30 giugno 2010) da parte del Ministero dell’ambiente del regolamento - previsto dall’art. 238, comma 6, del D.Lgs. 152/2006 - volto a disciplinare l’applicazione della stessa TIA2.
La qualificazione della natura giuridica della prestazione patrimoniale dovuta a fronte dei servizi di smaltimento dei rifiuti è stata oggetto, nel corso della XVI legislatura, di diverse interpretazioni e di un ampio contenzioso, a cui si è fatto ricorso soprattutto per chiarire l'applicazione, o meno, dell’obbligo di assoggettare le somme all’imposta sul valore aggiunto (IVA).
La questione della natura tributaria piuttosto che "corrispettivo per il servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani" della TIA1 è stata oggetto di diverse, e talora contrastanti, pronunce giurisdizionali, nonchè di differenti interpretazioni dottrinali. Tra le varie pronunce, di indubbio rilievo è la sentenza n. 238 del 2009 della Corte costituzonale che le ha riconosciuto natura tributaria (e, quindi, la conseguente competenza della Commissioni tributarie a dirimere le relative controversie), non rilevando "né la formale denominazione di «tariffa», né la sua alternatività rispetto alla TARSU, né la possibilità di riscuoterla mediante ruolo". Tale sentenza ha determinato, di fatto, l’esclusione dalla imponibilità ai fini IVA delle somme dovute e la conseguente presentazione di numerosi ricorsi da parte dei contribuenti per il rimborso dell’IVA pagata.
La Corte costituzionale, nell'indicare i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi, ha infatti affermato che essi sono indipendenti dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, e consistono piuttosto nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 238 del 2009; n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).
Questa sentenza differisce da precedenti orientamenti assunti - tra l'altro - dalla Corte di Cassazione civile che aveva qualificato come non tributaria tale prestazione pecuniaria (S.U. ordinanza n. 3274/2006), anche se successive decisioni della Corte stessa, con varie motivazioni e differenze, avevano invece ricondotto detta prestazione nel novero dei tributi (S.U: ordinanza n. 3171 del 2008, sentenze n. 13902/2007 e n. 4895/2006; sezioni semplici: sentenze n. 5298 e n. 5297 del 2009, n. 17526/2007).
Quanto affermato dalla Corte Costituzionale è stato successivamente ribadito anche dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 8313 dell’8 aprile 2010) secondo la quale “il fatto generatore dell’obbligo di pagamento è legato non all’effettiva produzione di rifiuti da parte del soggetto obbligato e alla effettiva fruizione del servizio di smaltimento, ma esclusivamente all’utilizzazione di superficie idonee a produrre rifiuti ed alla potenziale fruibilità del servizio (punto 7.2.3.1. della sentenza n. 238/2009). Ciò fa della TIA, come già della TARSU, un tributo, la cui natura non può essere mutata se non sganciando l’obbligazione dal presupposto impositivo, e non attribuendo ad un privato un impossibile potere impositivo”.
Con l’articolo 14, comma 33, del D.L. 78/2010 è stata successivamente introdotta una norma interpretativa diretta ad affermare la natura non tributaria della TIA2. La stessa norma, inoltre, affida le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente al 31 maggio 2010 (data di entrata in vigore del D.L. 78/2010) alla giurisdizione ordinaria.
La finalità di tale disposizione non è quella di dirimere le possibili controversie originanti dalla recente giurisprudenza (in primis la sentenza n. 238/2009 della Corte costituzionale), in quanto tale giurisprudenza investe la TIA1, ma quella di creare le premesse per consentire un avvio ordinato della nuova tariffa integrata ambientale (TIA2).
Sul punto è successivamente intervenuta la circolare n. 3/DF dell'11 novembre 2010, con cui il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) ha fornito chiarimenti in materia di applicabilità dei prelievi concernenti la gestione dei rifiuti solidi urbani (TARSU, TIA1 e TIA2), dando anche indicazioni circa la natura non tributaria della tariffa e conseguente assoggettabilità all'IVA. In particolare il MEF ha chiarito che si applicano sia alla TIA1 che alla TIA2 le disposizioni contenute nell'art. 14, comma 33, del D.L. 78/2010, secondo il quale «la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria».
Il comma 123 dell'art. 1 della L. 220/2010 (abrogato dal comma 4 dell'art. 4 del D.L. 16/2012) ha previsto, sino all'attuazione del federalismo fiscale, la sospensione del potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote attribuiti agli enti territoriali, fatta eccezione per gli aumenti relativi alla tassa sui rifiuti solidi urbani (TARSU).
Successivamente è intervenuta la disposizione introdotta dalla legge di conversione n. 10/2011 nel testo dell'art. 2 del D.L. 225/2010 (cd. milleproroghe). Il comma 2-bis prevede che, nelle more della completa attuazione delle disposizioni di carattere finanziario in materia di ciclo di gestione dei rifiuti (comprese quelle riguardanti anche la regione e gli enti locali della Campania recate dagli artt. 11-12 del D.L. 195/2009), la copertura integrale dei costi dell’intero ciclo di gestione dei rifiuti può essere assicurata - anche in assenza di una dichiarazione dello stato di emergenza e anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia di sospensione recate dal citato comma 123 - con le seguenti modalità:
- applicazione delle disposizioni di cui al comma 5-quater della legge n. 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), concernente il potere, attribuito al Presidente della Regione colpita da calamità naturali, di coprire gli oneri derivanti con aumenti, sino al limite massimo consentito dalla vigente legislazione, delle imposizioni tributarie attribuite alla regione, nonché elevando la misura dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, fino ad un massimo di cinque centesimi per litro, ulteriori rispetto alla misura massima consentita; viene raddoppiato, tuttavia, in tal caso, il limite di incremento di imposta previsto dal comma 5-quater;
- facoltà, per comuni e province, di deliberare una maggiorazione delle addizionali all'accisa sull'energia elettrica in misura non superiore al vigente importo delle addizionali.
Da ultimo è intervenuto il comma 7 (ora abrogato, vedi infra) dell'art. 14 del D.Lgs. 23/2011 (federalismo fiscale municipale) secondo cui, fino alla revisione della disciplina dei prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali in materia di TARSU e TIA1.
Lo stesso comma dispone altresì che resta ferma la possibilità per i comuni di adottare la TIA2.
Con l'art. 14 del D.L. 201/2011 è stato istituito a decorrere dal 1° gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa pubblica ai sensi della vigente normativa ambientale e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il comma 47 del medesimo articolo ha disposto l'abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2013, del citato comma 7 dell'art. 14 del D.Lgs. 23/2011.
L’articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Il tributo è dovuto - con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree stesse - da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani.
Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
In caso di utilizzi temporanei di durata non superiore a sei mesi, il tributo è dovuto soltanto dal possessore dei locali e delle aree a titolo di proprietà, usufrutto, uso, abitazione, superficie, mentre per i locali in multiproprietà e i centri commerciali integrati il soggetto che gestisce i servizi comuni è responsabile del versamento del tributo dovuto per i locali ed aree scoperte di uso comune.
A decorrere dal 1° gennaio 2013 sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
La tariffa, che è commisurata all’anno solare e deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:
Sul sito del Dipartimento delle finanze è stato pubblicato il modello di Regolamento per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). E' possibile inoltre consultare le linee guida per la redazione del piano finanziario e per l'elaborazione delle tariffe.
Il servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento – a seguito delle modifiche introdotte dal comma 387 dell’articolo unico della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) - deve essere svolto in regime di privativa pubblica ai sensi della vigente normativa ambientale.
Si ricorda che sussiste una situazione giuridica definibile di “privativa” allorché una determinata attività o servizio possano, o debbano a seconda dei casi, essere esercitati esclusivamente dal soggetto che ne detiene il diritto. L’art. 198 del D.Lgs. 152/2006 prevede che i comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali (ATO), alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all'inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall'Autorità d'ambito ai sensi dell'articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui al l'articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Si ricorda, infatti, che l’art. 202 ha previsto che l'Autorità d'ambito ottimale (AATO) aggiudichi il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani mediante gara disciplinata dai principi e dalle disposizioni comunitarie, secondo la disciplina vigente in tema di affidamento dei servizi pubblici locali, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il rinvio al regime di privativa pubblica è stato introdotto al fine di recepire la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina sui servizi pubblici locali.
Con sentenza n. 199 del 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 4 del D.L. 138/2011, rilevando che, nonostante il titolo «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», la disciplina in esso contenuta abbia la stessa ratio di quella abrogata, di drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, e riproduca alla lettera, in buona parte, svariate disposizioni dell’art. 23-bis (e del relativo regolamento attuativo D.P.R. n. 168 del 2010) abrogate col suddetto referendum 11.13 giugno 2011. Poiché l’illegittimità è dichiarata sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni, cioè anche quelle apportate dai D.L. 1/2012 e 83/2012, l’intera disciplinata contenuta nell’art. 4 risulta caducata dalla sentenza. Restano salve, invece, le disposizioni contenute nell’art. 3 bis, introdotto dal D.L. 1/2012 in tema di ambiti ottimali e di sottoposizione al patto di stabilità, nonché controllo degli enti territoriali del rispetto dei relativi vincoli, delle società in house. La sentenza ribadisce il principio già affermato in precedenti pronunce per cui il legislatore “conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata”.
Con riguardo alla base imponibile sulla quale applicare il tributo, sempre in seguito alle modifiche introdotte con la legge di stabilità 2013, è stata disposta l’applicazione a regime dei criteri del DPR 158/1999, che ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Essa rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell’inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento. L’art. 3 del citato D.P.R. dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il D.P.R. 158/1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del D.Lgs. 22/1997 (ora abrogato), il D.P.R. ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile).
Quanto alla determinazione della superficie tassabile, la norma rinvia l’applicazione del criterio previsto per le unità immobiliari a destinazione ordinaria (secondo il quale il tributo si applica all’80 per centodella superficie catastale) al momento in cui sarà effettuato - mediante forme di collaborazione tra i comuni e l’Agenzia del territorio - l’allineamento tra i dati catastali relativi a tali unità e i dati riguardanti la toponomastica e la numerazione civica di ciascun comune. Per favorire il predetto allineamento dei dati, viene poi introdotto l’obbligo - al comma 34 del citato articolo 14 - di indicare nella dichiarazione delle unità immobiliari a destinazione ordinaria i dati catastali, il numero civico di ubicazione dell'immobile e il numero dell'interno. In prima applicazione, pertanto, la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano assoggettabile al tributo è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati.
Ai fini dell'applicazione del tributo si considerano le superfici dichiarate o accertate ai fini delle tariffe rifiuti applicate dai comuni: laTARSU (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani di cui al decreto legislativo 13 novembre 1993, n. 507), laTIA 1 (Tariffa di igiene ambientale prevista dall'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) o laTIA 2 (articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152).
L’art. 238 del D.Lgs. 152/2006 disciplina la “tariffa per la gestione dei rifiuti urbani” (comunemente indicata come “tariffa integrata ambientale” o TIA2) prevedendo, tra l'altro, che chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa che costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Contemporaneamente all’istituzione della TIA2, l'art. 238 ha disposto l'abrogazione dellaTIA1, vale a dire la precedente "tariffa Ronchi" (istituita dall’art. 49 del D.Lgs. 22/1997 e comunemente indicata come “tariffa d’igiene ambientale”). L'attuazione della TIA2 è stata tuttavia differita (dal comma 11 dell’art. 238 citato) fino all'emanazione di un apposito decreto attuativo, a tutt’oggi non ancora emanato. Nelle more dell’emanazione di tale decreto è stata disposta (sempre ai sensi del comma 11 citato) l’applicazione delle norme regolamentari vigenti, e quindi fatta salva l'applicazione della “tariffa Ronchi” nei comuni che l'avevano già adottata.
Alcuni comuni, poi, applicano ancora la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti (TARSU, disciplinata dal Capo III del D.Lgs. 507/1993), soppressa dall’art. 49, comma 1, del cd. decreto Ronchi (D.Lgs. 22/1997), a decorrere dai termini indicati dal citato D.P.R. 158/1999, entro i quali i comuni avrebbero dovuto provvedere all’integrale copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti urbani attraverso la tariffa. Il comma 1-bis del medesimo art. 49 ha comunque consentito ai comuni di deliberare, in via sperimentale, l'applicazione della tariffa anche prima dei citati termini. Termini però che, per effetto di successive proroghe legislative operate nei confronti delle disposizioni dell’art. 11 del D.P.R. 158/1999, non sono mai diventati operativi.
Nella determinazione della superficie assoggettabile al tributo non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano di regola rifiuti speciali, a condizione che il produttore ne dimostri l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero.
Alla tariffa così determinata, si applica una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni, i quali possono, con deliberazione del consiglio comunale, modificare in aumento la misura della maggiorazione per un importo massimo di 0,40 euro, anche graduandola in ragione della tipologia dell'immobile e della zona ove è ubicato.
Sono previste specifiche ipotesi di riduzioni tariffarie, salva la facoltà, per il consiglio comunale, di deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni. Il consiglio comunale determina, con apposito regolamento, la disciplina per l'applicazione del tributo e approva le tariffe.
I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo.
Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, il tributo è dovuto in misura non superiore al quaranta per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.
Il tributo è dovuto nella misura massima del venti per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente.
Resta invece confermata la disciplina del tributo dovuto per il servizio di gestione dei rifiuti delle istituzioni scolastiche.
I commi da 24 a 27 regolano il servizio di gestione dei rifiuti assimilati prodotti da soggetti che occupano o detengono temporaneamente locali od aree pubbliche o di uso pubblico. In particolare, il comma 24 prevede che per tale servizio i comuni stabiliscono con il regolamento le modalità di applicazione del tributo, in base a tariffa giornaliera. L'occupazione o detenzione è temporanea quando si protrae per periodi inferiori a 183 giorni nel corso dello stesso anno solare. Ai sensi del comma 25, la misura tariffaria è determinata in base alla tariffa annuale del tributo, rapportata a giorno, maggiorata di un importo percentuale non superiore al 100 per cento. L'obbligo di presentazione della dichiarazione è assolto con il pagamento del tributo da effettuarsi con le modalità e nei termini previsti per la tassa di occupazione temporanea di spazi ed aree pubbliche (comma 26). Si applicano - in quanto compatibili - le disposizioni relative al tributo annuale, compresa la maggiorazione di cui al comma 13.
Il comma 28 fa salva l'applicazione del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell'ambiente (di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504). Il tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali ed aree assoggettabili a tributo, è applicato nella misura percentuale deliberata dalla provincia sull'importo del tributo.
I commi da 33 a 44 disciplinano gli aspetti procedurali concernenti la presentazione della dichiarazione e l’accertamento, statuendo anche in ordine alle sanzioni. Ai sensi del comma 35, in deroga alla normativa per l’affidamento dei servizi di riscossione da parte dei comuni (articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446), questi ultimi possono affidare, fino al 31 dicembre 2013, la gestione del tributo o della tariffa ai medesimi soggetti che attualmente svolgono, anche disgiuntamente, ilservizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA1 o della TIA 2.
Il versamento è effettuato esclusivamente al comune - in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre - tramite il sistema dei versamenti unitari con compensazione con il modello F24, nonché tramite bollettino di conto corrente postale. I comuni possono variare la scadenza e il numero delle rate di versamento.
Per l'anno 2013, il termine di versamento della prima rata è comunque posticipato a luglio (secondo le modifiche introdotte dal decreto-legge n. 1 del 2013), ferma restando la facoltà per il comune di posticipare ulteriormente tale termine. E’ inoltre consentito il pagamento in unica soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno.
Con uno o più decreti del direttore generale del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Direttore dell'Agenzia delle entrate e sentita l’Anci, sono stabilite le modalità di versamento, assicurando in ogni caso la massima semplificazione degli adempimenti da parte dei soggetti interessati, prevedendo anche forme che rendano possibile la previa compilazione dei modelli di pagamento. Per l'anno 2013, fino alla determinazione delle tariffe, a seguito della quale si effettuerà il conguaglio, l'importo delle corrispondenti rate è determinato in acconto, commisurandolo all'importo versato, nell'anno precedente, a titolo di TARSU o di TIA 1 oppure di TIA 2.
Per l'anno 2013, il pagamento della maggiorazione a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni è effettuato in base alla misura standard, pari a 0,30 euro per metro quadrato. Anche in tal caso, l'eventuale conguaglio riferito all'incremento della maggiorazione fino a 0,40 euro è effettuato al momento del pagamento dell'ultima rata.
Il comma 45 rinvia alle disposizioni relative all'accertamento e alla riscossione, da parte degli enti locali, dei tributi di propria competenza, di cui all'articolo 1, commi da 161 a 170, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché alle norme in materia di potestà regolamentare delle province e dei comuni di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, per quanto attiene all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate. Tale ultima norma prevede, tra l’altro, che l'accertamento dei tributi può essere effettuato dall'ente locale anche in forma associata; qualora, invece, sia deliberato di affidare a terzi l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate, le relative attività sono affidate nel rispetto della normativa dell’Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali.
Il “sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti” (SISTRI) è stato istituito con il D.M. 17 dicembre 2009, in attuazione dell'art. 14-bis del decreto-legge 78/2009, che aveva demandato al Ministero dell'ambiente la definizione dei tempi e delle modalità di attivazione del sistema, al fine di dare concreta applicazione alle norme introdotte nel corso della precedente legislatura.
Già nella XIV legislatura, infatti, con l'art. 1, comma 1116, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (finanziaria 2007) era stata prevista la realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la tracciabilità dei rifiuti. E successivamente, con il D.lgs. 4/2008, che inseriva il comma 3-bis all’art. 189 del D.lgs. 152/2006 (c.d. Codice ambientale), veniva stabilito l’obbligo, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, dell’installazione ed utilizzo di apparecchiature elettroniche per le categorie dei soggetti già obbligati alla predisposizione della documentazione cartacea in materia di rifiuti speciali.
Le finalità del SISTRI sono essenzialmente quelle di:
Il nuovo sistema di tracciabilità risponde, pertanto, alla necessità, rilevata a livello comunitario (e da ultimo ancora nella direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE), di adottare misure volte a garantire la tracciabilità dei rifiuti pericolosi dalla produzione alla destinazione finale, e contemporaneamente all’intento, dichiarato dal Governo, di semplificare gli adempimenti amministrativi per le imprese e ridurre i costi che gravano sulle stesse. Con il nuovo meccanismo di tracciabilità si innova, con sistemi elettronici, il sistema informativo cartaceo finalizzato al controllo dell'intera catena di gestione dei rifiuti.
Infatti, come è emerso dall’interrogazione parlamentare 5-02530 svolta nella seduta del 23 febbraio 2010 presso la VIII Commissione, il costo complessivo del sistema cartaceo in tema di rifiuti (MUD, registro e formulario), per le sole piccole e medie imprese, è pari a 671 milioni di euro l’anno ed il costo medio per la singola impresa varia da circa 1.183 euro (per le imprese da 5 a 249 addetti) a 464 euro (per le imprese da 1 a 4 addetti).
Il decreto ha introdotto l'obbligo di iscrizione al SISTRI a carico di un’ampia platea di soggetti, sostanzialmente coincidenti con quelli tenuti al “tradizionale” obbligo di invio e compilazione del MUD ai sensi dell'art. 189, comma 3, del Codice ambientale, distinta in tre gruppi a seconda del numero dei lavoratori impiegati e delle attività esercitate. Per tali gruppi erano inoltre previsti, inizialmente, termini diversi per l'ingresso nel sistema. I termini inizialmente fissati dal D.M. 17 dicembre 2009 non sono tuttavia mai divenuti operativi (v. infra).
A carico di tutti gli aderenti al sistema SISTRI grava, altresì, l’obbligo di contribuire alla copertura economica del sistema stesso, con il pagamento annuale di un contributo (art. 4 del D.M. 17 dicembre 2009), così come l’inserimento nelle schede delle informazioni relative a produzione, recupero, smaltimento, movimentazione e trasporto di rifiuti secondo quanto specificato dall’art. 5 del medesimo decreto.
Tra i soggetti coinvolti nella gestione del Sistri si segnala il Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente dovrà garantire la messa a disposizione dei dati sulla produzione, movimentazione e gestione dei rifiuti. Ciò in quanto il SISTRI sarà telematicamente connesso con l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), con il SITRA (Sistema di tracciabilità dei rifiuti urbani della Regione Campania, istituito dall'art. 2, comma 2-bis, del D.L. 6 novembre 2008, n. 172), con l’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, con la Guardia Costiera e le imprese ferroviarie.
A carico dei soggetti tenuti ad aderire al SISTRI grava il correlato obbligo di comunicare, attraverso il medesimo sistema di tracciabilità, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle proprie attività, utilizzando i dispositivi elettronici, indicati all’art. 3, comma 6, del D.M. 17 dicembre 2009, vale a dire:
Con il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, con cui si è provveduto a recepire la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, oltre ad apportare significative modifiche alla parte IV del Codice ambientale in materia di rifiuti, sono state introdotte nel Codice ambientale alcune norme di coordinamento con le disposizioni sul SISTRI e, soprattutto, il relativo sistema sanzionatorio necessario per l'effettivo funzionamento del sistema.
Quanto alle norme di coordinamento, il D.Lgs. 205/2010 ha introdotto nel testo del D.Lgs. 152/2006 alcuni articoli aggiuntivi (artt. 188-bis e 188-ter) e provveduto a riscriverne altri (artt. 188-190, 193 e 194), al fine di sistematizzare le disposizioni sul SISTRI con quelle del D.M. 17 dicembre 2009 e di coordinare gli adempimenti documentali, integrandoli e adattandoli con i principi della direttiva 2008/98/CE che prevedono che la tracciabilità dei rifiuti debba essere garantita dalla loro produzione alla loro destinazione finale.
Il nuovo art. 188-ter (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti – SISTRI) coordina quanto già previsto dal D.M. 17 dicembre 2009 in merito ai destinatari del sistema che vengono suddivisi in due gruppi: soggetti obbligati e quelli che possono aderire su base volontaria.
Viene previsto un obbligo di iscrizione a carico di un’ampia categoria di soggetti, sostanzialmente coincidenti con quelli tenuti al tradizionale obbligo di invio e compilazione del MUD ex art. 189, comma 3, e includendovi anche gli addetti al trasporto intermodale.
Sono quindi obbligati ad aderire al SISTRI:
1) rifiuti pericolosi - enti e imprese produttori di rifiuti speciali pericolosi, compresi quelli indicati all’art. 212, comma 8, del d.lgs. 152/2006, indipendentemente dal numero di dipendenti;
2) rifiuti speciali - enti e imprese produttori di rifiuti speciali non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, artigianali, attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi da potabilizzazione e altri trattamenti di acque, da depurazione di acque reflue e da abbattimento fumi (art. 184,comma 3, lettere c), d) e g) con più di dieci dipendenti;
3) produttori-smaltitori - enti e imprese che effettuano operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti e che producono rifiuti non pericolosi, indipendentemente dal numero di dipendenti;
4) commercianti - commercianti e intermediari di rifiuti;
5) consorzi - consorzi istituiti per il recupero o il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti che organizzano la gestione di tali rifiuti per conto dei consorziati;
6) smaltitori - enti e imprese che effettuano operazioni di recupero o smaltimento di rifiuti;
7) trasportatori - enti e imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali a titolo professionale. In caso di trasporto navale, l’armatore o il noleggiatore che effettuano il trasporto o il raccomandatario marittimo indicato dalla legge n. 135/1977, delegato per gli adempimenti relativi al SISTRI dall'armatore o noleggiatore medesimi;
8) affidatari - per trasporto intermodale: i soggetti ai quali sono affidati i rifiuti speciali in attesa della presa in carico degli stessi da parte dell’impresa navale o ferroviaria o dell’impresa che effettua il successivo trasporto;
9) regione Campania - comuni e imprese di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nel territorio della regione Campania.
A tale elenco vanno ad aggiungersi, ai sensi del comma 5 dell’art. 230 del Codice, anche i soggetti che svolgono attività di pulizia manutentiva delle reti fognarie di qualsiasi tipologia, sia pubbliche che asservite ad edifici privati.
Possono, invece, aderire al SISTRI su base volontaria:
1) rifiuti speciali - enti e imprese produttori di rifiuti speciali non pericolosi derivanti da lavorazioni industriali, artigianali, attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi da potabilizzazione e altri trattamenti di acque, da depurazione acque reflue e da abbattimento fumi (art. 184,comma 3, lettere c), d) e g) che non hanno più di dieci dipendenti;
2) imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’art. 212, comma 8, del Codice ambientale;
3) imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 del cod. civ. che producono rifiuti non pericolosi;
4) imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da attività diverse da quelle di cui all’art. 184, comma 3, lett. c), d) e g) del Codice ambientale;
5) comuni, centri di raccolta e imprese di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nel territorio di regioni diverse dalla regione Campania.
In merito al testo dell’art. 189 (Catasto dei rifiuti) vengono coordinate le disposizioni relative al catasto con la nuova normativa introdotta con il SISTRI e con quella relativa all’ISPRA, presso il quale è prevista l’operatività della sezione nazionale del catasto dei rifiuti.
Pertanto, i dati acquisiti tramite il SISTRI costituiscono la base di aggiornamento costante del catasto, anche ai fini della pianificazione delle attività di gestione dei rifiuti.
Inoltre, dato che le informazioni contenute nel Modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) sono ricavate automaticamente dal SISTRI, viene previsto che l’obbligo di presentare annualmente il MUD ai sensi della legge n. 70/1994, permane solo per i comuni o loro consorzi e comunità montane, ad eccezione dei comuni della regione Campania.
I comuni della regione Campania, tenuti obbligatoriamente ad aderire al SISTRI, devono invece effettuare le comunicazioni tramite interconnessione diretta tra il catasto e il SITRA di cui all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legge 172/2008.
Vengono infine esonerati dal presentare il MUD i comuni che aderiscono volontariamente al SISTRI.
L’ISPRA elabora annualmente i dati trasmessi alla sezione nazionale del catasto dalle sezioni regionali e provinciali e darne adeguata pubblicità.
Per le comunicazioni relative ai rifiuti da imballaggio si applicano, da ultimo, le norme previste dal successivo art. 220, comma 2, che prevede la comunicazione annuale attraverso il MUD.
In merito ai registri di carico e scarico, il nuovo art. 188-bis (Controllo della tracciabilità dei rifiuti) prevede l’alternatività tra l’adesione al SISTRI e la tenuta dei registri di carico e scarico e del formulario di identificazione dei rifiuti. Inoltre, ai fini di una maggiore chiarezza interpretativa, viene ribadito che qualora si aderisca volontariamente al SISTRI vengono meno gli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico nonché dei formulari di identificazione dei rifiuti previsti dagli artt. 190 e 193, mentre nel caso di non adesione, devono essere adempiuti gli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico e dei formulari di identificazione.
La riformulazione dell’art. 190 (Registri di carico e scarico) dispone, inoltre, che l’obbligo di tenere i registri di carico e scarico venga mantenuto unicamente per coloro che non aderiscono su base volontaria al SISTRI:
Un’importante innovazione è la soppressione dell’obbligo di conservare a tempo indeterminato i registri relativi alle operazioni di smaltimento dei rifiuti in discarica, mentre viene mantenuto l’obbligo di conservare i registri di carico e scarico, integrati con i formulari di identificazione relativi al trasporto dei rifiuti o con la copia della scheda del SISTRI, per cinque anni.
Viene inoltre soppressa la previsione che prevedeva che potessero adempiere all'obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico dei rifiuti anche tramite le organizzazioni di categoria i soggetti la cui produzione annua di rifiuti non eccedeva le due tonnellate di rifiuti pericolosi, mantenendo, invece, tale facoltà per quelli che non superano le dieci tonnellate di rifiuti non pericolosi.
I produttori di rifiuti pericolosi che non sono inquadrati in un’organizzazione di ente o impresa (quindi i liberi professionisti non organizzati in forma associata) ex legge n. 29/2006 già esenti dal MUD ma obbligati al formulario in luogo del registro, ora adempiono attraverso la conservazione, in ordine cronologico e per cinque anni, delle copie della scheda SISTRI – Area movimentazione, fornite dal trasportatore dei rifiuti stessi.
Viene, infine, ribadito che la disciplina di carattere nazionale relativa ai registri di carico e scarico è quella contenuta nel DM 1° aprile 1998, n. 148.
La riformulazione dell’art. 193 (Trasporto dei rifiuti) mantiene l’obbligo della tenuta del formulario unicamente per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’art. 212, comma 8, e che non aderiscono su base volontaria al SISTRI.
Viene poi introdotta l’esenzione dalla responsabilità per il trasportatore in relazione a quanto indicato nella scheda SISTRI – Area Movimentazione o nel formulario di identificazione di cui al comma 1 dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformità riscontrabili con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico.
Analogamente al registro di carico e scarico, anche per il formulario viene ribadito che la disciplina di carattere nazionale è quella indicata dal DM 1° aprile 1998, n. 145.
Vengono quindi disciplinati alcuni casi particolari di trasporto:
- per le spedizioni transfrontaliere da parte di imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi e che non aderiscono su base volontaria al SISTRI il formulario di identificazione è sostituito dai documenti previsti dall'art. 194 sulle spedizioni transfrontaliere, anche con riferimento alla tratta percorsa su territorio nazionale;
- la scheda di accompagnamento dei fanghi di depurazione in agricoltura prevista dall’art. 13 del d.lgs. 99/1992 è sostituita dalla scheda SISTRI– Area movimentazione.
Le disposizioni sulla microraccolta di rifiuti vengono integrate con la previsione che anche nelle schede SISTRI - Area movimentazione (oltre che nei formulari di identificazione) devono essere indicate, nello spazio relativo al percorso, tutte le tappe intermedie previste o le eventuali variazioni al percorso.
Viene, infine, introdotta una puntuale disciplina per il trasporto intermodale.
La sostituzione dell’art. 194 (Spedizioni transfrontaliere) introduce norme per il trasporto tranfrontaliero al fine di adeguare le norme al Regolamento CE 1013/2006, soprattutto in considerazione che il D.M. 17 dicembre 2009 reca unicamente la previsione delle spedizioni transfrontaliere dall’Italia (art. 5, comma 9) e non per quelle “in ingresso”.
La disciplina puntuale relativa al trasporto transfrontalieroè però rinviata ad un successivo decreto interministeriale, nelle cui more vengono applicate le disposizioni del D.M. 3 settembre 1998, n. 370 con cui è stato approvato il regolamento recante norme concernenti le modalità di prestazione della garanzia finanziaria per il trasporto transfrontaliero di rifiuti.
Le modifiche agli articoli 255 e 258 ed i nuovi articoli 260-bis e 260-ter introducono il sistema sanzionatorio necessario per l’efficace funzionamento del SISTRI e per l’adeguamento all’art. 36 della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, che prevede l’adozione, da parte degli Stati membri, di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.
Il Ministero dell’ambiente, nel commisurare l’entità delle sanzioni del nuovo sistema, si è ispirato essenzialmente a quello già previsto all’art. 258 del d.lgs. 152/2006 con riferimento al MUD, al registro di carico e scarico e al formulario, in considerazione del fatto che il SISTRI si sostituisce al sistema cartaceo per il controllo della tracciabilità dei rifiuti. In sintesi, il sistema sanzionatorio si è conformato – in punto di entità delle sanzioni – a quello già previsto dal Codice ambientale creando, tuttavia, nuove fattispecie per tener conto degli obblighi stabiliti dal D.M. 17 dicembre 2009 che, oltre a stabilire obblighi di iscrizione per varie tipologie di soggetti, prevede anche una serie di comunicazioni obbligatorie da effettuare secondo determinati criteri e tempistiche. Così all’obbligo previsto per determinate categorie di soggetti di iscriversi al SISTRI corrisponde una sanzione per l’omessa iscrizione, variabile in funzione della tipologia di rifiuti per la quale viene effettuata l’iscrizione (rifiuti pericolosi o non pericolosi). È sanzionabile anche l’omessa compilazione – secondo i tempi, le procedure e le modalità stabilite dal SISTRI – del registro cronologico o della scheda SISTRI – Area movimentazione. È, altresì, sanzionabile chi fornisce al SISTRI informazioni incomplete, inesatte o insufficienti. Infine, con specifico riferimento al trasporto, in considerazione del fatto che i rischi collegati alla gestione dei rifiuti aumentano sensibilmente in caso di trasporto dei rifiuti, viene prevista una pluralità di sanzioni, anche di natura amministrativa quali, ad esempio, il fermo amministrativo del veicolo utilizzato per l’attività di trasporto dei rifiuti.
Alcune modifiche al regime sanzionatorio sono state in seguito apportate dal D.Lgs. 121/2011, con cui è stata attuata la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente.
A poche settimane dalla pubblicazione del D.M. 17 dicembre 2009, istitutivo del SISTRI, è cominciata una lunga stagione di proroghe: il Ministero dell'ambiente è intervenuto con una serie di decreti correttivi (emanati il 15 febbraio, 9 luglio, 28 settembre e 22 dicembre 2010) che hanno di volta in volta prorogato l'avvio dell'effettiva operatività del sistema, oltre che dettato una serie di disposizioni di carattere sostanziale, in parte volte a superare le criticità emerse nel frattempo dal confronto con le imprese e le loro associazioni.
In particolare, la proroga recata dal D.M. 9 luglio 2010 ha riguardato indifferentemente tutti i soggetti obbligati, eliminando in tal modo l'avvio differito previsto dai precedenti decreti per le diverse categorie di soggetti (come sollecitato dalla risoluzione 8-00065 approvata dalla VIII Commissione della Camera nella seduta del 28 aprile 2010). A tale proroga si è affiancato lo slittamento del termine previsto per la consegna alle imprese dei dispositivi elettronici necessari per utilizzare il nuovo sistema telematico.
Con il D.M. 28 settembre 2010 non solo si è ulteriormente differito il termine per il completamento della distribuzione delle chiavette USB e della installazione delle black box, ma è stato prorogato il termine di conclusione della fase transitoria del SISTRI, il c.d. regime a doppio binario (previsto dall'art. 12, comma 2, del decreto istitutivo), durante il quale il SISTRI avrebbe dovuto affiancare i registri di carico e scarico e il formulario di identificazione dei rifiuti, tradizionali strumenti previsti dal Codice ambientale (artt. 190 e 193 del D.Lgs. 152/2006) per documentare la corretta gestione dei rifiuti.
Con il D.M. 22 dicembre 2010, la piena operatività del SISTRI è stata fatta slittare al 1° giugno 2011, prorogando così il fino al 31 maggio 2011 il periodo transitorio del "doppio binario".
Contestualmente alla firma del citato decreto, il Ministero dell'ambiente ha sottoscritto un Protocollo con Confindustria e Rete Imprese Italia (Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti) volto a: confermare la validità del SISTRI quale strumento di semplificazione amministrativa e di tutela della legalità ambientale e unico strumento di rilevazione dei dati sull’intera filiera dei rifiuti; nonchè ad individuare un Comitato di indirizzo incaricato, tra l’altro, di monitorare lo stato di avanzamento del SISTRI, presentare suggerimenti per il migliore funzionamento del sistema e sensibilizzare gli operatori ancora inadempienti ad attenersi alle disposizioni normative.
Con l'emanazione del D.M. 18 febbraio 2011, n. 52 si è provveduto a raccogliere in un testo unico tutti i cinque decreti precedentemente emanati sul SISTRI che, dalla data di entrata in vigore del decreto, hanno cessato di produrre effetti.
A causa delle difficoltà di funzionamento del sistema, con il successivo D.M. 26 maggio 2011 è stata nuovamente prorogata l'entrata in vigore a regime del SISTRI, introducendo diverse scadenze temporali ("a scaglioni") in base alla tipologia ed alle dimensioni delle aziende interessate, mentre il decreto-legge 70/2011 (art. 6, comma 2, lett. f-octies) ha introdotto una specifica proroga per i piccoli produttori di rifiuti speciali pericolosi che hanno fino a 10 dipendenti.
Tali scadenze "a scaglioni" sono state superate con il decreto-legge n. 138/2011, che ha prorogato il periodo transitorio del "doppio binario" fino al 9 febbraio 2012.
L'art. 6, commi 2, 3 e 3-bis, del D.L. 138/2011 ha infatti introdotto alcune norme volte ad agevolare la progressiva entrata in operatività del SISTRI che prevedono: un'unica proroga fino al 9 febbraio 2012 per tutti i soggetti per i quali il D.M. 26 maggio 2011 aveva, invece, indicato diverse scadenze temporali, ad eccezione della specifica proroga per i piccoli produttori di rifiuti speciali pericolosi (non prima del 1° giugno 2012) e la verifica tecnica delle componenti software e hardware anche per una semplificazione delle tecnologie (comma 2); l'individuazione, con apposito decreto, di specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, tenendo conto della quantità e dell'assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, ai fini della tracciabilità, applicare le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi (comma 3) e la possibilità di delegare, per gli adempimenti SISTRI, i vari consorzi di recupero, al pari delle associazioni di categoria (comma 3-bis).
Nella G.U. n. 206 del 5 settembre 2011 è stato pubblicato l'Accordo Stato-Regioni del 27 luglio 2011 raggiunto in sede di Conferenza unificata per consentire l’accesso al SISTRI alle Regioni, agli Enti locali ed all’ISPRA.
Successivamente l'art. 13 del decreto-legge n. 216/2011 ha ulteriormente differito i termini previsti dal D.L. 138/2011:
- è slittato dal 9 febbraio 2012 al 30 giugno 2012 il termine per l’entrata in operatività del SISTRI per tutti i soggetti per i quali il D.M. 26 maggio 2011 aveva, invece, indicato diverse scadenze temporali (comma 3);
- la proroga al 30 giugno 2012 è stata introdotta anche per i piccoli produttori di rifiuti speciali pericolosi che hanno fino a 10 dipendenti, compresi quelli di cui all'art. 212, comma 8, del Codice ambientale, per i quali l’art. 6, comma 2, lett. f-octies, del D.L. 70/2011 aveva previsto l’individuazione di un termine che non poteva comunque essere antecedente al 1° giugno 2012 (comma 3-bis);
- è stata prorogata al 2 luglio 2012 la disposizione (art. 39, comma 9, del D.lgs. 205/2010) che prevedeva l’esclusione, fino al 31 dicembre 2011, dall’obbligo di iscrizione al SISTRI per alcuni imprenditori agricoli che producono e trasportano i propri rifiuti pericolosi in modo occasionale e saltuario (comma 4).
Oltre a tali proroghe l'art. 13, comma 3, del D.L. 216/2011 ha introdotto anche alcune disposizioni volte a facilitare l'operatività del sistema. In particolare al Ministero dell’ambiente è stato consentito di avvalersi, per lo svolgimento delle attività di gestione del sito internet e di tutte le attività non comprese nel contratto che riguardano la fornitura del sistema informativo, anche dell’ISPRA. Allo stesso Ministero è stato imposto di riferire alle Camere, con cadenza semestrale, sullo stato d’attuazione della gestione del SISTRI.
L'art. 52, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, allo scopo di procedere alle ulteriori verifiche amministrative e funzionali del SISTRI, resesi necessarie anche in ragione della previsione (recata dal citato art. 6, comma 2, del D.L. 138/2011) dell'utilizzo di modalità semplificate in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, ha sospeso, fino al compimento delle anzidette verifiche e comunque non oltre il 30 giugno 2013:
Si ricorda che l’art. 6, comma 2, del D.L. 138/2011, al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per consentire la progressiva entrata in operatività del SISTRI, nonché l'efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI, ha previsto che il Ministero dell'ambiente assicuri, attraverso il concessionario SISTRI, “la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche ai fini dell'eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, organizzando, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l'obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti”. Sempre in merito alla verifica del funzionamento tecnico del sistema, il medesimo articolo ha previsto che la competente Direzione del Ministero dell’ambiente può avvalersi di DigitPA.
Il comma 2 del medesimo articolo 52 prevede che sia un apposito decreto del Ministro dell'ambiente a fissare il nuovo termine per l'entrata in operatività del SISTRI.
Lo stesso comma dispone che, sino a tale termine, sono sospesi gli effetti del contratto stipulato tra il Ministero dell'ambiente e la SELEX-SE.MA (società affidatataria del servizio di progettazione, gestione e manutenzione del SISTRI, sulla base di apposito contratto stipulato in data 14 dicembre 2009 e successivamente integrato con atto stipulato il 10 novembre 2010) e sono conseguentemente inesigibili le relative prestazioni.
La stessa norma ha altresì sospeso il pagamento dei contributi dovuti dagli utenti per l'anno 2012.
Con il Decreto del Ministero dell'ambiente 17 ottobre 2012, n. 210 (pubblicato sulla G.U. n. 284 del 5 dicembre 2012) è stato chiarito che il contributo dovuto per l'iscrizione al SISTRI per l'anno 2012 non è dovuto e che lo stesso è sospeso sino al 30 giugno 2013.
Quanto alle ragioni che hanno motivato la sospensione dell’operatività del SISTRI, si ricorda che, in attuazione della norma del D.L. 216/2011 che ha previsto il coinvolgimento di DigitPA nelle attività di verifica del funzionamento tecnico del sistema SISTRI, il 16 maggio 2012 DigitPA ha trasmesso al Ministero dell'ambiente le sue valutazioni. In proposito il comunicato web del Ministero dell’ambiente del 12 giugno evidenzia che «Il parere di DIGITPA solleva una serie di questioni in merito alle procedure seguite da parte del Ministero per l’affidamento a SELEX-FINMECCANICA della progettazione e realizzazione del SISTRI, in merito ai costi ed al funzionamento del sistema” e che “le verifiche avviate richiedono tempi non compatibili con l’entrata in funzione del SISTRI il 1° luglio prossimo”.
Nel corso della XVI legislatura, il settore dei contratti pubblici, in cui sono ricompresi “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori”, è stato interessato da un consistente e continuo numero di modifiche normative.
Sul fronte dell’edilizia, pur non registrandosi un analogo numero di modifiche normative, sono state adottate alcune importanti innovazioni.
La necessità di elaborare una strategia per la crescita e la competitività in risposta alla crisi economica in atto ha posto nuovamente al centro dell’agenda europea le questioni relative alla realizzazione del mercato interno, di cui gli appalti rappresentano un elemento fondamentale anche al fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche. In tale ambito, pertanto, sono state, per un verso, elaborate nuove proposte legislative dell’UE ed è stata rilevata la necessità di potenziare gli strumenti di finanziamento per la realizzazione delle infrastrutture europee. In tale ultimo contesto si inseriscono le proposte relative alla creazione del Meccanismo per collegare l’Europa (Connecting Europe Facility, CEF), nell’ambito del prossimo quadro finanziario 2014-2020, con il quale l’UE intende promuovere il finanziamento di determinate infrastrutture prioritarie (di trasporti, energia e telecomunicazioni), anche attraverso il ricorso ai c.d. project bond.
Nel corso della legislatura sono state approvate numerose modifiche al Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (D.Lgs. 163/2006), che sostanzialmente rappresenta il corpus normativo di riferimento unitario nella materia degli appalti pubblici e delle concessioni in recepimento delle direttive europee 17 e 18 del 2004, in una prima fase attraverso l’emanazione del d.lgs. 152/2008 (c.d. terzo correttivo) e, nella seconda fase, attraverso una serie di disposizioni inserite in diversi provvedimenti d’urgenza che sono stati emanati in successione negli ultimi diciotto mesi della legislatura. Le modifiche più significative sono contenute nell’articolo 4 del D.L. 70/2011, ma rilevanti modifiche sono altresì contenute nel decreto legge n. 201 del 2011 e nei decreti legge n. 1 e n. 5 del 2012.
Le modifiche adottate, che comunque non comprendono solo novelle al Codice, hanno inciso sui principi generali, sui requisiti di partecipazione alle gare, sulle procedure di scelta del contraente e di selezione delle offerte, nonché sulla fase di programmazione ed esecuzione dei lavori. Ulteriori innovazioni hanno, altresì, riguardato la selezione di sponsor per il finanziamento o la realizzazione degli interventi relativi ai beni culturali. In generale, l’elevato numero di modifiche ha interessato molteplici ambiti della materia dei contratti pubblici, in taluni casi intervenendo anche in maniera frammentaria, e ha determinato un’elevata “instabilità” normativa a motivo di disposizioni novellate anche a distanza di pochi mesi.
Nel corso della legislatura è entrato in vigore, inoltre, il Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici (D.P.R. 207/2010) anch’esso interessato da un certo numero di modifiche, alcune conseguenti alle novelle apportate al Codice medesimo.
Specifica attenzione è stata posta sulla partecipazione delle PMI alla realizzazione delle opere pubbliche dapprima attraverso l’approvazione dello statuto delle imprese (art. 13 della L. 180/2011) e successivamente attraverso specifiche disposizioni contenute nel D.L. 201/2011 (art. 44). E’ stata, inoltre, disciplinata l'operatività della Banca dati nazionale dei contratti pubblici (art. 20 del D.L. 5/2012) presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
In materia di contratti pubblici, inoltre, nel corso della legislatura sono state emanate misure per contrastare la corruzione tra le quali la tracciabilità dei flussi finanziari , l’istituzione della stazione unica appaltante e di elenchi di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (white list), nonché la revisione della documentazione antimafia.
Sono state, infine, adottate misure volte ad agevolare gli strumenti di definizione delle liti diversi dal processo giurisdizionale (ad esempio l’arbitrato) e a diminuire il contenzioso.
Gli interventi in materia di infrastrutture, definiti sostanzialmente nell'ambito del Programma delle opere strategiche (PIS) previsto della cosiddetta “legge obiettivo” (legge n. 443 del 2001), riguardano, per la quasi totalità dei progetti, le opere di realizzazione delle reti di trasporti europee (TEN-T) e dei corridoi paneuropei.
Il Parlamento ha esaminato nel corso della legislatura i diversi allegati ai documenti di economia e finanza (DEF), recanti l’aggiornamento del Programma delle infrastrutture strategiche (cosiddetti “allegati infrastrutture”), evidenziando i propri orientamenti nei pareri delle Commissioni di merito e nelle risoluzioni approvate dall’Assemblea su tali documenti, che definiscono ormai la programmazione economica e finanziaria nell’ambito della nuova procedura del “semestre europeo”. In proposito, sono state, tra l'altro, individuate talune priorità ed è stata richiamata l’esigenza di potenziamento della dotazione infrastrutturale dell'Italia.
La normativa che disciplina le infrastrutture strategiche , contenuta nel Codice dei contratti, è stata sostanzialmente innovata relativamente alla fase della programmazione, dell’approvazione del progetto preliminare e definitivo, anche con finalità di accelerazione delle procedure di realizzazione delle opere.
Sul fronte delle risorse finanziarie, in un contesto di progressiva contrazione delle risorse pubbliche disponibili, sono stati istituiti nuovi fondi (ad esempio il Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico) a valere anche sulle risorse della politica per lo sviluppo e la coesione (Fondo infrastrutture e riprogrammazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione, Piano sud) determinando pertanto una diversificazione e segmentazione delle fonti di finanziamento rispetto ai canali tradizionali. Si è altresì perseguito un obiettivo di razionalizzazione e ottimizzazione dell’utilizzo delle risorse esistenti attraverso la definizione di meccanismi di revoca e riprogrammazione delle risorse medesime.
La disciplina dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP), che comprendono prestazioni di lavori o servizi con finanziamenti totali o parziali a carico dei soggetti privati, è stata oggetto di numerose modifiche volte a proprio a stimolare il ricorso a capitali privati. Rientrano in tale ambito tutte le modifiche alla disciplina delle concessioni di lavori, della locazione finanziaria, nonché dell’affidamento di lavori mediante finanza di progetto (project financing). Nel caso della finanza di progetto, oltre a una serie di disposizioni che vanno a modificare la disciplina ordinaria, è stata definita una procedura ad hoc per le infrastrutture strategiche. E’ stata, altresì, introdotta una nuova fattispecie contrattuale di partenariato pubblico privato, il contratto di disponibilità, in cui è affidata al privato la costruzione e la messa a disposizione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice di un’opera di proprietà privata destinata all’esercizio di un pubblico servizio a fronte di un corrispettivo.
Nel corso della legislatura, sono state adottate ulteriori misure per incentivare il ricorso ai capitali privati nella realizzazione di infrastrutture. E' stata, infatti, introdotta una disciplina sperimentale per il riconoscimento di un credito di imposta per favorire la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di importo superiore a 500 milioni di euro (art. 33, commi 1-2 quater, del D.L. 179/2012). E' stata, altresì, definita una disciplina per il finanziamento di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, mediante defiscalizzazione (art. 18 della L. 183/2011 come modificato dall'art. 33, comma 3, del D.L. 179/2012).
E’ stata, infine, dettata una nuova disciplina per l’emissione di obbligazioni (project bond) e titoli di debito da parte delle società di progetto per la realizzazione di singole infrastrutture e servizi di pubblica utilità (art. 41 del D.L. 1/2012).
Il 20 dicembre 2011 la Commissione europea ha presentato un pacchetto" di direttive volto ad introdurre importanti innovazioni nella disciplina europea in materia di appalti pubblici e concessioni che delineano un’ampia riforma dei principi e delle regole fondamentali della materia. Tra gli obiettivi delle tre proposte di direttiva si segnalano: la semplificazione delle norme e delle procedure di appalto e la loro flessibilità, il miglioramento dell’accesso al mercato delle piccole e medie imprese (PMI); l'uso strategico degli appalti in risposta alle sfide della Strategia Europa 2020 al fine di riorientare la spesa pubblica verso soluzioni più compatibili con la sostenibilità ambientale, la promozione di considerazioni di politica sociale o il sostegno all’innovazione.
In considerazione delle loro finalità, le tre proposte di direttiva, attualmente all’esame delle istituzioni europee, sono suscettibili di determinare importanti modifiche nella prospettiva del recepimento nell’ordinamento nazionale. Per tale ragione, le competenti Commissioni di Senato e Camera hanno proceduto all'esame delle proposte; in particolare, la Commissione ambiente della Camera ha approvato, dopo un’articolata istruttoria e l’audizione dei soggetti interessati, un documento finale; la medesima Commissione aveva, peraltro, approvato un documento finale anche sul Libro verde della Commissione europea sul quale si era svolta una consultazione preliminare alla presentazione delle proposte di direttiva.
La legislatura è stata caratterizzata da importanti modifiche alla disciplina sulle concessioni autostradali , a partire dall'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. e l'introduzione di un nuovo sistema tariffario. Ulteriori modifiche hanno riguardato il sistema di pedaggiamento autostradale al fine di ridurre i trasferimenti statali alla società ANAS.
Il contesto istituzionale nel settore delle concessioni autostradali è stato interessato da modifiche dell’assetto delle funzioni e delle competenze, per un verso, attraverso l’istituzione dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, per l'altro, la ridefinizione dei compiti di ANAS S.p.A (art. 36 del D.L. 98/2011). L’Agenzia, peraltro, è stata soppressa - essendo venute meno le condizioni ed i termini temporali per il perfezionamento della sua istituzione - e sono state trasferite al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, a decorrere dal 1° ottobre 2012, le attività e i compiti già attribuiti alla medesima, che comprendono, tra l’altro, le funzioni di autorità concedente e vigilante in tema di concessioni autostradali.
E' stata, infine, istituita l'Autorità di regolazione dei trasporti che, tra l'altro, dovrà definire i nuovi schemi di concessione e di bandi, nonché stabilire sistemi tariffari dei pedaggi per le nuove concessioni. L’Autorità, composta da tre membri, non risulta ancora operativa perché non si è ancora proceduto alla nomina dei suoi tre componenti.
Nel corso della XVI legislatura, sono state sostanzialmente adottate due tipologie di misure destinate al settore dell’edilizia , profondamente colpito dalla crisi economica, volte, per un verso, ad incrementare e ad agevolare la modifica del patrimonio edilizio esistente, residenziale e produttivo e, per l’altro, a semplificare i procedimenti relativi ai titoli abilitativi richiesti per l’attività edilizia stessa.
Rientrano nella prima categoria le misure che sono state adottate in attuazione del Piano casa (art. 11 del D.L. 112/2008) rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di abitazioni di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati. Nel mese di marzo 2009, a seguito di un'intesa del Governo con le regioni, queste ultime hanno emanato proprie leggi, con premi di cubatura e incentivi legati al miglioramento della qualità architettonica e/o energetica degli edifici. I criteri definiti nell’intesa sono stati attuati in maniera diversa dalle singole regioni alcune delle quali hanno, altresì, previsto meccanismi perequativi e compensativi, nonché interventi di demolizione e di ricostruzione.
Il D.L. 70/2011 ha, inoltre, introdotto una nuova disciplina per incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate attraverso la previsione di apposite leggi regionali in mancanza delle quali si applica la disciplina prevista dal decreto. Nel D.L. 83/2012 sono state, infine, introdotte ulteriori disposizioni (art. 12) volte anch’esse alla riqualificazione di aree urbane, con particolare riguardo a quelle degradate, attraverso un nuovo strumento operativo, il Piano nazionale per le città , che ha previsto l’istituzione di una Cabina di regia, con il compito di selezionare i progetti presentati dai comuni, e il nuovo “contratto di valorizzazione urbana”.
Per quanto concerne i titoli abilitativi , rientranti nella seconda tipologia di misure adottate nel corso della legislatura, sono stati innanzitutto ampliati gli interventi rientranti nell’attività edilizia libera, ovvero realizzabili senza alcun titolo abilitativo (art 5 del D.L. 40/ 2010 e art. 13-bis del D.L. 83/2012).
E’ stato anche completamente ridisegnato l’iter procedimentale per il rilascio del permesso di costruire prevedendo, tra le maggiori novità, l’introduzione del silenzio-assenso in luogo del precedente regime basato sul silenzio-rifiuto (art. 5 del decreto legge 70/2011), al fine di ridurre i tempi del procedimento medesimo.
Si è definitivamente chiarito che la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), introdotta inizialmente dal decreto legge n. 78/2010 per liberalizzare l'attività d'impresa, si applica anche all’edilizia consentendo l’avvio immediato dei lavori.
Un’importante modifica ha riguardato lo sportello unico per l’edilizia, che è diventato l'unico punto di accesso per il privato per tutte le vicende amministrative riguardanti l'intervento edilizio ed il relativo titolo abilitativo e che fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte.
Sul fronte delle misure di carattere fiscale , il decreto-legge 201 del 2011 ha previsto l’introduzione a regime della detrazione dall’IRPEFdi quota parte (36 per cento) delle spese sostenute per gli interventi di ristrutturazione edilizia (incrementata al 50 per cento dal D.L. n. 83 del 2012 per i lavori effettuati entro il 30 giugno 2013). E’ stata, inoltre, prorogata al 30 giugno 2013 la detrazione del 55% per le spese per interventi di riqualificazione energetica degli edifici.
Nella XVI legislatura, il Parlamento ha avuto modo di dibattere delle problematiche legate alle politiche abitative non solo in occasione dell’adozione dei provvedimenti precedentemente citati, ma anche dello svolgimento di un’intensa attività conoscitiva e di indirizzo e controllo. Nel documento conclusivo dell'Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, sono state indicate alcune proposte normative per risolvere la crisi del settore e rispondere alla domanda abitativa e di riqualificazione urbana.
Sul fronte dell'emergenza abitativa , infine, si è provveduto alla proroga al 31 dicembre 2013 del termine per l’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili ad uso abitativo (a seguito della proroga disposta da ultimo dall’art. 1, comma 412, dell’articolo unico della legge di stabilità 2013).
Nella XVI legislatura, sono state adottate misure volte a incrementare il patrimonio immobiliare e a semplificare le procedure di modifica del patrimonio edilizio esistente (Piano casa), la cui attuazione è stata demandata alle singole regioni. Una specifica attenzione è stata rivolta alle aree urbane, e specialmente alla riqualificazione delle aree urbane degradate da ultimo attraverso l'adozione del Piano nazionale per le città. Ulteriori misure hanno riguardato la semplificazione dei titoli abilitativi richiesti per l'attività edilizia e, da ultimo, il rafforzamento dello Sportello unico per l'edilizia.Le competenti Commissioni parlamentari hanno discusso in più occasioni della necessità di adottare misure a favore dell'edilizia e delle politiche abitative anche in considerazione dell'impatto negativo della crisi sul comparto edilizio e delle problematiche legate all'emergenza abitativa.
Nel corso della XVI legislatura, le politiche in materia di edilizia si sono sostanzialmente sviluppate seguendo due direttrici: da un lato, adottando misure volte a semplificare le procedure di modifica del patrimonio edilizio esistente e a riqualificare le aree urbane degradate (relative all'attuazione del Piano casa e del Piano nazionale per le città); dall'altro, semplificando i procedimenti relativi ai titoli abilitativi richiesti per l'attività edilizia stessa.
Il comparto edilizio è stato particolarmente penalizzato dagli effetti della crisi economica in atto. Nel documento conclusivo dell'Indagine conoscitiva sul mercato immobiliare, sono state indicate alcune proposte normative per risolvere la crisi del settore e rispondere alla domanda abitativa e di riqualificazione urbana.
Nel corso dell'esame delle leggi di stabilità che si sono susseguite è stata, altresì, rilevata la necessità di destinare maggiori risorse finanziarie a misure volte a stimolare il rilancio del settore e a fronteggiare le problematiche abitative anche in considerazione del fatto che è stata registrata in tale ambito una riduzione delle risorse stanziate nel bilancio dello Stato.
Uno dei primi provvedimenti adottati è stato il Piano di edilizia residenziale pubblica (art. 11 del D.L. 112/2008), che è stato approvato nel mese di giugno del 2008 ed è volto a prevedere l'incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l'offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati alle categorie sociali svantaggiate.
Il Piano, che è stato approvato con il D.P.C.M. del 16 luglio 2009, è articolato in sei linee di intervento:
ll Governo, nel successivo mese di marzo 2009, ha adottato ulteriori misure volte a favorire la ripresa del mercato delle costruzioni attraverso il coinvolgimento delle regioni (cd. Piano casa 2).
E’ stata, infatti, raggiunta un’intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, nella quale le regioni si sono impegnate ad approvare proprie leggi volte al miglioramento della qualità architettonica e/o energetica degli edifici soprattutto attraverso la previsione di diversi premi di cubatura anche in deroga ai piani regolatori o alle destinazioni d'uso, compresi interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamenti e che possono riguardare anche gli edifici a destinazione produttiva. Tutte le regioni hanno emanato proprie leggi interpretando in vario modo l’intesa del 31 marzo 2009.
Per una dettagliata descrizione delle misure adottate si rinvia alla scheda di approfondimento I "piani casa" e i "piani città".
Con il decreto legge 70/2011 (art. 5, commi da 9 a 14) è stata introdotta una normativa nazionale quadro per la riqualificazione delle aree urbane degradate in base alla quale, al fine di incentivare il recupero, gli interventi di riqualificazione sono realizzabili anche con la demolizione e ricostruzione degli immobili e con la previsione di diverse agevolazioni, tra le quali: il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva quale misura premiale, realizzata in misura non superiore complessivamente al 20 % del volume dell’edificio se destinato ad uso residenziale, o al 10% della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso; la delocalizzazione delle volumetrie in area o aree diverse; l'ammissibilità di modifiche di destinazioni d'uso; la possibilità di modificare la sagoma per l’armonizzazione architettonica con le strutture esistenti.
L’attuazione della normativa del D.L. 70/2011 è stata demandata alle singole regioni che avrebbero dovuto emanare proprie leggi per incentivare tali azioni; sostanzialmente le previsioni in essa contenute erano, però, già presenti nella legislazione regionale attuativa del cd. Piano casa 2, in quanto la maggior parte delle regioni aveva già approvato specifiche disposizioni di incentivazione alla riqualificazione urbana, anche se con strumenti diversi da regione a regione.
Da ultimo, sono state introdotte ulteriori disposizioni (art. 12 del D.L. 83/2012) volte anch’esse alla riqualificazione di aree urbane, con particolare riguardo a quelle degradate, attraverso un nuovo strumento operativo, il “Piano nazionale per le città” con cui sono state definite le modalità e la tempistica di attuazione degli interventi per il rilancio e la valorizzazione delle aree urbane. Esso prevede nuovi strumenti operativi quali la Cabina di regia e il contratto di valorizzazione urbana
La Cabina di regia ha il compito di selezionare i programmi di riqualificazioneproposti dai Comuni in base a valutazioni sugli effetti economici e sociali degli interventi stessi, mentre attraverso il contratto di valorizzazione urbana, la cui sottoscrizione viene promossa dalla Cabina di regia d’intesa con il comune interessato, sono regolamentati gli impegni dei vari soggetti pubblici e privati interessati.
Per una descrizione delle politiche di riqualificazione delle aree urbane nel quadro delle disposizioni del D.L. 70/2011 e del D.L. 83/2012 precedentemente citate, si rinvia al contenuto della scheda di approfondimento I "piani casa" e i "piani città".
Si segnala, infine, che l'art. 12-bis del D.L. 83/2012, al fine di coordinare le politiche urbane attuate dalle amministrazioni centrali interessate e di concertarle con le regioni e con le autonomie locali, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Comitato interministeriale per le politiche urbane.
Sono state ampliate le tipologie di interventi rientranti nell’attività edilizia libera, ovvero realizzabili senza alcun titolo abilitativo, anziché mediante denuncia di inizio attività (DIA) (art. 5 del D.L. 40/2010 e art. 13-bis del D.L. 83/2012).
E’ stato anche completamente ridisegnato l’iter procedimentale per il rilascio del permesso di costruire prevedendo, tra le maggiori novità, l’introduzione del silenzio-assenso in luogo del precedente regime basato sul silenzio-rifiuto (art. 5, comma 2, lett. a, n. 3, del D.L. 70/2011), nonché ulteriori modifiche procedurali (art. 5, comma 5, del D.L. 70/2011 e art. 13, comma 2, lett. d, del D.L. 83/2012).
Si è definitivamente chiarito che la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), introdotta inizialmente dal decreto legge n. 78/2010 per liberalizzare l'attività d'impresa, si applica anche all’edilizia consentendo l’avvio immediato dei lavori (art. 5, comma 2, lett.b, del D.L. 70/2011).
Norme volte a semplificare ulteriormente le modalità di presentazione della Scia e ad estendere alla Dia le stesse semplificazioni procedimentali prevista per la Scia sono state introdotte con il decreto legge n. 83 del 2012 (art. 13, commi 1 e 2, lett. e).
Per una descrizione dettagliata delle disposizioni che hanno inciso nel corso della legislatura sui titoli abilitativi all'attività edilizia si rinvia alla scheda di approfondimento I titoli abilitativi all'attività edilizia.
L'art. 13, comma 2, lett. a) e b), del D.L. 83/2012 ha modificato alcune norme del T.U. dell’edilizia (D.P.R. 380/2001) perrafforzare lo sportello unico per l'edilizia (Sue) con l'obiettivo di accelerare le procedure amministrative e ridurre gli adempimenti a carico dei privati.
Si prevede che lo sportello unico sia il solo punto di accessoper il privato per tutte le vicende amministrative riguardanti l'intervento edilizio ed il relativo titolo abilitativo, che fornisce una risposta tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte. Lo sportello è tenuto ad acquisire, anche mediante conferenza dei servizi, tutti gli atti di assensocomunque denominati delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Si dispone, infine, che tutte le comunicazioni al richiedente debbano essere trasmesse esclusivamente dallo sportello unico e che lo sportello sia l'unico soggetto competente nel rilascio dei permessi di costruire.
Il decreto-legge 158/2008 ha introdotto una sospensione delle procedure esecutive di sfratto al fine di ridurre il disagio abitativo relativo a particolari categorie sociali di conduttori nei comuni capoluoghi di provincia, in quelli con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa. La sospensione è stata prorogata, da ultimo, al 31 dicembre 2013 dall'art. 1, comma 412, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013). Per una descrizione più approfondita della predetta disposizione si rinvia alla scheda di approfondimento Sfratti.
Per quanto concerne invece il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione, sono state progressivamente ridotte le risorse destinate al Fondo nazionale istituito dall’art. 11 della legge 431/1998.
La Commissione ambiente della Camera ha approvato, nella seduta del 18 dicembre 2008, la risoluzione 8-00024 per una politica organica della casa con cui ha impegnato il Governo, tra l'altro, a realizzare politiche abitative a favore delle fasce più deboli e incrementare il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione.
La detrazione IRPEF del 36% per spese di ristrutturazione, originariamente introdotta dalla legge n. 449/1997, per opera dell'articolo 4 del D.L. 201/2011 è adesso prevista a regime per l'importo massimo di 48.000 euro per unità immobiliare.
Tuttavia, per effetto delle norme contenute nell'articolo 11 del decreto legge n. 83 del 2012, in relazione alle spese per le ristrutturazioni edilizie sostenute dal 26 giugno 2012 fino al 30 giugno 2013, è previsto un innalzamento della detrazione a fini Irpef dal 36 al 50% e del limite dell’ammontare complessivo da 48.000 a 96.000 euro. Inoltre, per le spese di riqualificazione energetica degli edifici sostenute dal 1° gennaio al 30 giugno 2013 spetta una detrazione del 55% delle stesse spese (comma 2).
Dal 1° luglio 2013, di conseguenza, tornerà operativa la predetta disciplina a regime che consente la detrazione del 36% per entrambi i tipi di spesa.
Per quanto concerne, infine, la tassazione sugli immobili, in una prima fase della legislatura è stata disposta la totale esenzione dall'imposta comunale sugli immobili (ICI) per l'abitazione principale, mentre successivamente, il decreto legislativo n. 23 del 2011, in materia difederalismo fiscale municipale ha istituito e disciplinato l'Imposta municipale propria - IMU la cui applicazione, per esigenze di risanamento dei conti pubblici, è stata anticipata al 2012 e la cui disciplina è stata profondamente innovata.
Il citato D.lgs. 23/ 2011 ha inoltre, introdotto la facoltà per il contribuente di applicare un regime tributario sostitutivo su specifiche tipologie di redditi da locazione di immobili in luogo del regime ordinario di tassazione (cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”).
Per una disamina delle questioni riguardanti IMU e tassazione degli immobili , si rinvia al relativo tema.
Si segnala, infine, che l'art. 9 del D.L. 83 del 2012 ha assoggettato all'imposizione IVA le operazioni relative a cessioni e locazioni di abitazioni effettuate dai costruttori anche oltre il limite dei cinque anni dall’ultimazione dei lavori. La normativa previgente, non considerando dette operazioni imponibili IVA, non consentiva di portare a compensazione l’IVA a credito relativa agli immobili, determinando una perdita per gli operatori del settore.
Ulteriori disposizioni hanno riguardato l'edilizia convenzionata al dichiarato fine di “agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari” (art. 5, comma 3-bis, del D.L. 13 maggio 2011 n. 70) e di incidere sulla durata di alcune convenzioni(articolo 23-ter, comma 1, del D.L. 95/2012) per le quali si rinvia alla relativa scheda di approfondimento.
L'art. 5, commi 3 e 4, del D.L. 70/2011 ha previsto rispettivamente la trascrizione dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori e la norma in base alla quale la registrazione di contratti di trasferimento di immobili o diritti immobiliari assorbe l’obbligo di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza.
Per agevolare la circolazione delle informazioni concernenti gli immobili, è stato, altresì, abolito il divieto di riutilizzazione commerciale dei dati ipotecari e catastali (art. 5, comma 4-bis, del D.L. 70/2011).
Alcune misure hanno, infine, interessato i mutui bancari allo scopo, tra l'altro, di sostenere i soggetti in difficoltà a motivo della crisi economica (per una trattazione di tali misure si rinvia al temaMutui e finanziamenti al sistema produttivo.
Nel corso della legislatura, si è dibattuto circa l'opportunità di adottare specifiche misure volte a incentivare lo sviluppo di una edilizia sostenibile in connessione con l'utilizzo di materiali ecocompatibili e nel quadro del perseguimento degli obiettivi di efficienza energetica.
Si rammenta che il decreto-legge 40/2010, all'art. 4, ha istituito un Fondo per il sostegno della domanda in particolari settori finalizzata ad obiettivi di efficienza energetica, ecocompatibilità e miglioramento della sicurezza sul lavoro, che era riferito anche al parco immobiliare esistente.
Il dibattito sulle predette questioni si è svolto anche in occasione dell'esame di alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare, il cui iter non si è concluso nel corso della legislatura: si ricordano, in particolare, la proposta di legge sul sistema casa qualità (A.S.2770, approvata in prima lettura dall'Assemblea della Camera nella seduta dell'8 giugno 2011), con l'obiettivo di migliorare la qualità dell'edilizia residenziale attraverso l'introduzione di un "vero e proprio marchio di qualità" che certifichi la riduzione dei consumi energetici e il miglioramento del comfort abitativo; la proposta di legge (A.S. 2663 approvato in prima lettura dall'Assemblea della Camera il 30 marzo 2011) volta a definire i princìpi fondamentali dell'attività professionale di costruttore edile; la proposta A.C. 2441 recante interventi straordinari e strategici per il rilancio dell'economia e la riqualificazione energetico-ambientale del patrimonio edilizio, volta a riqualificare il patrimonio esistente, con case e quartieri di qualità, che risparmino energia, non inquinino e garantiscano una moderna ed elevata vivibilità.
Indagine sul mercato immobiliare
Documenti e rapporti
Con l’espressione “Edilizia residenziale convenzionata” si fa riferimento a quegli interventi di edilizia residenziale pubblica (ERP) posti in essere previa stipulazione di una convenzione con il Comune con la quale, a fronte di concessioni da parte dell’Amministrazione pubblica (riguardanti l’assegnazione delle aree su cui edificare o la riduzione del contributo concessorio), vengono assunti obblighi inerenti l’urbanizzazione del comparto e l’edificazione di alloggi di edilizia economico popolare e dalla quale, inoltre, discendono vincoli incidenti sulla successiva circolazione degli alloggi così realizzati.
Due sono le convenzioni che tradizionalmente si fanno rientrare nell’ambito della “Edilizia residenziale convenzionata”:
In materia è intervenuto, nel corso della XVI legislatura, l’art. 5, comma 3-bis, del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, che ha modificato (attraverso l’inserimento di due nuovi commi 49-bis e 49-ter all’art. 31 della L. 448/1998) la disciplina dettata con riguardo ad entrambe le suddette convenzioni, al dichiarato fine di “agevolare il trasferimento dei diritti immobiliari”. In particolare, con i commi aggiuntivi 49-bis e 49-ter all’articolo 31 della legge 449/1998, si dispone che i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e delle singole pertinenze, nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni previste dall'art. 35 della legge 865/1971 sull’ERP - stipulate per la cessione del diritto di proprietà precedentemente alla legge 179/1982 o per la cessione del diritto di superficie - possono essere rimossi dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione dietro corrispettivo. Tali norme si applicano anche alle convenzioni-tipo previste dall'art. 18 del DPR 380/2001 (TU edilizia) che la regione deve approvare ai fini del rilascio del permesso di costruire relativo agli interventi di edilizia abitativa convenzionata.
Sul punto è poi intervenuto l’articolo 29, comma 16-undecies, del D.L. 216/2011 (Proroga termini) che ha stabilito che, a decorrere dal 1º gennaio 2012, la percentuale relativa alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative di edilizia residenziale pubblica (ERP), nonché del canone massimo di locazione, di cui al comma 49-bis dell'art. 31 della legge n. 448/1998, è stabilita dai comuni.
Un ultimo intervento normativo è stato operato con il comma 1-bis dell’articolo 23-ter del D.L. 95/2012, che prevede, in materia di edilizia residenziale convenzionata, una riduzione da 30 a 20 anni del limite temporale da utilizzare per il calcolo della durata delle nuove convenzioni c.d. sostitutive,stipulate in sostituzione di quelle previste dall'art. 31, comma 46, della L. 448/1998.
Si ricorda, in proposito, che il citato comma 46 dell’art. 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, ha previsto che le convenzioni stipulate ai sensi dell'art. 35 della L. 865/1971, e precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 179/1992, per la cessione del diritto di proprietà, possono essere sostituite con la convenzione di cui all'articolo 8, commi primo, quarto e quinto, della L. 10/1977, alle seguenti condizioni:
Si ricorda che l’art. 8 è stato abrogato dall’articolo 136 del D.P.R. 380/2001 (TU edilizia) ed il suo contenuto dispositivo è stato trasposto nell’art. 18 del citato testo unico, ove viene confermata la durata massima di 30 anni.
Il piano nazionale di edilizia abitativa, cd. Piano casa, è stato introdotto dall’art. 11 del decreto-legge 112/2008, con l’obiettivo di “garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana”. Esso ha previsto, infatti, una serie di misure rivolte all'incremento del patrimonio immobiliare – sia con nuove costruzioni che con il recupero di quelle esistenti - da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati alle categorie sociali svantaggiate.
Il Piano ha inteso infatti coinvolgere soprattutto le risorse private attraverso il ricorso a modelli di intervento in precedenza limitati al settore delle opere pubbliche (project financing), oppure a strumenti finanziari immobiliari innovativi per l’acquisizione o la costruzione di immobili per l’edilizia residenziale quali l’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale, cd. social housing.
Si ricorda, preliminarmente, che le disposizioni relative al piano casa recate dall’art. 11 sono state modificate dall’art. 1-ter, comma 1, del decreto-legge 158/2008 e dall’art. 18, comma 4-bis, del decreto-legge 185/2008, nonchè dall'art. 7-quater, comma 12, del decreto-legge 5/2009. Tali disposizioni sono state per lo più finalizzate ad intervenire sulle risorse a disposizione del Piano. Da ultimo sono intervenuti, al fine di semplificare le procedure relative all’approvazione degli accordi di programma per l’attuazione del Piano, l'art. 45, commi 3-4, del D.L. 201/2011 e l'art. 58 del D.L. 1/2012.
L'art. 11, comma 1, del decreto-legge 112/2008 prevede che il Piano venga approvato con D.P.C.M., previa delibera del CIPE e d’ intesain sede di Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT).
In linea con il disposto del comma 3 dell'art. 11 - che ha definito l'ambito oggettivo del piano - e con la delibera dell’8 maggio 2009 con cui il CIPE ha indicato gli utilizzi delle risorse finanziarie previste, il D.P.C.M. del 16 luglio 2009 ha provveduto all'approvazione del Piano nazionale di edilizia abitativa, prevedendone una articolazione in sei linee di intervento:
a) costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per la realizzazione di immobili di edilizia residenziale;
b) incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica;
c) promozione finanziaria anche ad iniziativa di privati (project financing);
d) agevolazioni a cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi;
e) programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale;
f) interventi di competenza degli ex IACP (cui sono state destinate le risorse individuate nel corso della precedente legislatura dal D.M. Infrastrutture 28 dicembre 2007).
In fase di prima attuazione la dotazione finanziaria del Fondo è utilizzata:
a) 150 milioni di euro per il Sistema integrato di fondi immobiliari;
Il D.P.C.M. 16 luglio 2009 prevedeva che il 90% del patrimonio del fondo dovesse essere destinato alle iniziative per incrementare il numero di alloggi in social housing attraverso la partecipazione in fondi immobiliari locali o altri veicoli di investimento entro il limite del 40% del loro valore.
In attuazione di tali disposizioni è stata indetta una gara, per selezionare il gestore del fondo, vinta (con aggiudicazione definitiva dell'8 giugno 2011) da Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr (CDPI Sgr), che ha creato un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso denominato “Fondo Investimenti per l’Abitare” (FIA), divenuto operativo in seguito all'approvazione del relativo regolamento di gestione da parte della Banca d’Italia con delibera n. 167 dell'11 marzo 2010.
Il FIA (secondo quanto indicato nel sito web di CDPI Sgr) ha raccolto, con cinque closing, da luglio 2010 a marzo 2012, un totale di 2 miliardi e 28 milioni di euro, di cui 1 miliardo sottoscritto da Cassa Depositi e Prestiti, 140 milioni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (in luogo dei 150 inizialmente previsti dall'art. 11 del D.L. 112/2008) e 888 milioni da parte di gruppi bancari e assicurativi e di casse di previdenza privata. Il FIA investe il proprio patrimonio principalmente in quote di fondi comuni d’investimento immobiliari operanti a livello locale e gestiti da altre società di gestione del risparmio, attraverso partecipazioni nel limite massimo del 40%. Tale limite è volto a sollecitare sul territorio l’investimento di risorse da parte di soggetti terzi rispetto al Fondo, permettendo nel contempo al FIA di mantenere una presenza rilevante nelle singole iniziative.
Tale limite è stato soppresso dal D.P.C.M. 10 luglio 2012 (pubblicato sulla G.U. 19 febbraio 2013, n. 42), che ha in tal modo reso più elastiche le regole per il finanziamento dei progetti.
b) 200 milioni di euro per gli interventi di competenza degli ex IACP, successivamente ripartiti tra le regioni con il D.M. del 18 novembre 2009;
c) 377,9 milioni di euro - ripartiti con D.M. 8 marzo 2010 - per il finanziamento delle altre linee di intervento: incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica; project financing; agevolazioni a cooperative edilizie; programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale.
Con il D.M. del 19 dicembre 2011 è stato effettuato il riparto delle risorse del Piano casa, pari a circa 116 milioni di euro, destinate all'attuazione degli interventi di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), c), d) ed e) dello stesso Piano allegato al D.P.C.M. 16 luglio 2009 mediante sottoscrizione, tra il MIT e le regioni, degli accordi di programma di cui all'art. 4 dello stesso D.P.C.M.
Il comma 2 dell'art. 11 del D.L. 112/2008 individua i destinatari del piano. Il Piano è rivolto all’incremento del patrimonio immobiliare ad uso abitativo attraverso l’offerta di alloggi di edilizia residenziale, da realizzare nel rispetto dei criteri di efficienza energetica e di riduzione delle emissioni inquinanti, con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati. Tali alloggi dovranno quindi essere destinati prioritariamente a prima casa per le seguenti categorie sociali svantaggiate nell’accesso al libero mercato degli alloggi in locazione:
a) nuclei familiari a basso reddito, anche monoparentali o monoreddito;
b) giovani coppie a basso reddito;
c) anziani in condizioni sociali o economiche svantaggiate;
d) studenti fuori sede;
e) soggetti sottoposti a procedure esecutive di rilascio;
f) altri soggetti in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 della legge n. 9/2007 (vale a dire reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro, essere o avere nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza, o avere, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico);
g) immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella stessa regione.
Per quanto riguarda la definizione dell’ambito soggettivo di applicazione del piano, si rileva l’ampliamento della platea dei beneficiari rispetto ai provvedimenti, sia d’urgenza che ordinari, adottati negli anni precedenti per contrastare il fenomeno del disagio abitativo. Sono stati, infatti, inclusi, per la prima volta, gli immigrati regolari a basso reddito e gli studenti fuori sede, in precedenza destinatari, questi ultimi, di agevolazioni di carattere fiscale sui canoni di locazione.
La platea risulterebbe ampliata anche dall’inclusione, con un riferimento generico, di tutti i soggetti “sottoposti a procedure esecutive di rilascio”, senza ulteriori distinzioni. Pertanto sembrerebbero inclusi non solo i beneficiari della sospensione delle procedure esecutive di sfratto per finita locazione (destinatari dei provvedimenti d'urgenza emanati per la sospensione degli sfratti), ma anche quelli per morosità.
Particolare attenzione meritano le disposizioni contenute nei commi 4, 5, 6 ed 8 dell'art. 11 del D.L. 112/2008, che dispongono in merito ad uno degli interventi in cui può essere articolato il piano (comma 3, lett. e): l’attuazione di programmi integrati di edilizia sociale nel contesto di interventi di riqualificazione urbana.
In particolare, al fine di concentrare gli interventi sulla effettiva richiesta abitativa, il comma 4 prevede l’approvazione (con D.M. infrastrutture) di appositi accordi di programma (previa delibera CIPE, d’intesa con la Conferenza unificata) promossi dal MIT. Tali interventi possono essere realizzati anche attraverso programmi integrati di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana, caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità, salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica e con l’apporto di risorse pubbliche e private.
I pareri favorevoli del CIPE sugli schemi degli accordi di programma citati sono stati resi con:
In seguito all'espressione del parere del CIPE, il MIT ha provveduto a stipulare gli accordi citati (per il testo degli accordi sottoscritti si veda il sito web del MIT).
Nelle tabelle allegate all'ultima delle tre delibere citate (vale a dire la n. 77/2012), che forniscono un quadro riepilogativo dei contenuti principali degli accordi, sono indicati finanziamenti pari a complessivi 2.966,8 milioni di euro. Di tale importo, 337,9 milioni di euro derivano da risorse statali; 293,9 milioni da fondi regionali, mentre le risorse private ammontano a 2.111,9 milioni di euro. Con tali finanziamenti è prevista la realizzazione di 17.101 alloggi.
Il comma 8 prevede, in sede di attuazione dei citati programmi integrati di edilizia sociale, una verifica periodica e ricorrente delle fasi di realizzazione del piano, in base al cronoprogramma approvato e alle esigenze finanziarie e la possibilità di disporre, in caso di scostamenti, una diversa allocazione delle risorse finanziarie pubbliche verso modalità di attuazione più efficienti. E’ inoltre stabilito che gli alloggi realizzati o alienati nell’ambito delle procedure di cui al presente articolo non possono essere oggetto di successiva alienazioneprima didieci anni dall’acquisto originario.
I programmi integratidi edilizia sociale cui al comma 4 sono dichiarati di interesse strategico nazionale al momento della sottoscrizione dell’accordo di programma. Alla loro attuazione si provvede con l’applicazione dell’art. 81 del D.P.R. 616/1977 che prevede sostanzialmente poteri sostitutivi dello Stato in materia urbanistica.
Il comma 7 reca la definizione di “alloggio sociale”, ai fini dell’esenzione dell’obbligo della notifica degli aiuti di Stato, di cui agli artt. 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, inteso “come parte essenziale e integrante della più complessiva offerta di edilizia residenziale sociale, che costituisce nel suo insieme servizio abitativo finalizzato al soddisfacimento di esigenze primarie”.
Si ricorda che un’articolata definizione di alloggio sociale è contenuta nel D.M. 22 aprile 2008 recante “Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità ”, in attuazione dell’art. 5 della legge 9/2007. L’art. 1 del D.M. definisce, infatti, quale “alloggio sociale” l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Rientrano in tale definizione anche gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà. L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali. L’art. 2 demanda quindi alle regioni la definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale e la determinazione del relativo canone di locazione, in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell'alloggio. L'alloggio sociale deve poi essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli artt. 16 e 43 della legge 457/1978 (che prevedono una superficie massima delle nuove abitazioni non superiore a mq 95 ed alcune caratteristiche tecniche e costruttive). Nel caso di servizio di edilizia sociale in locazione si considera adeguato un alloggio con un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. Infine, l'alloggio sociale dovrà essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.
Il comma 9 prevede che l’attuazione del piano nazionale avvenga, in alternativa alle modalità indicate dal comma 4, anche con quelle previste dalla legislazione in materia di infrastrutture strategiche, contenuta nella parte II, titolo III, del capo IV, del D.Lgs. 163/2006.
Si rammenta, in estrema sintesi, che la legislazione in materia di infrastrutture strategiche, introdotta con la legge 443/2001 e con i successivi decreti attuativi, poi confluita nel D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), mira ad accelerare, snellire e razionalizzare le procedure per la programmazione, il finanziamento e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale. Tre sono, infatti, le principali finalità perseguite dal nuovo regime normativo: l’accelerazione delle procedure amministrative, l’incentivazione dell’afflusso di capitali privati (tramite l’introduzione della disciplina sul contraente generale) e la programmazione annuale degli interventi.
Il comma 10 prevede la stipula di accordi tra l’Agenzia del demanio, il MIT, il Ministero della difesa se coinvolto, le Regioni e gli enti locali per la destinazione di una quota del patrimonio immobiliare del demanio, costituito da aree ed edifici non più utilizzati, agli interventi previsti nel presente articolo.
Per la migliore attuazione dei programmi, il comma 11 dà la possibilità ai comuni e alle province di associarsi ai sensi di quanto previsto dal Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. 267/2000.
Si ricorda che le risorsefinanziarie necessarie per la realizzazione del piano sono state individuate dall’art. 11, comma 12, del decreto-legge 112/2008 che ha previsto la costituzione di un Fondo nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Successivamente, il comma 4-bis dell’art. 18 del decreto-legge 185 del 2008 ha destinato al Piano casa risorse finanziarie aggiuntive provenientidal Fondo aree sottoutilizzate (FAS), in particolare:
Il comma 12-bis, introdotto dal D.L. 185/2008, ha previsto (nel testo modificato dal D.L. 5/2009), per il tempestivo avvio di interventi prioritari e immediatamente realizzabili di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata di competenza regionale, diretti alla risoluzione delle più pressanti esigenze abitative, la destinazione di 200 milioni di euro a valere sulle risorse dell’art. 21 del D.L.159/2007 da ripartire tra le regioni con apposito decreto del MIT, previo accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni.
ll Governo, nel mese di marzo 2009, ha avviato alcune misure per il rilancio del settore edilizio (cd. Piano casa 2).
Si tratta, in primo luogo, dell’intesa del 31 marzo 2009, raggiunta in sede di Conferenza Stato-Regioni, nella quale le regioni si sono impegnate ad approvare proprie leggi volte a regolamentare interventi che migliorino la qualità architettonica e/o energetica degli edifici entro il limite del 20% della volumetria esistente di edifici residenziali uni-bi familiari e a disciplinare interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35% della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica e dell'efficienza energetica, come sintetizzato nella tabella seguente:
Tipologia dell’intervento |
Edifici interessati |
Obiettivo |
Sono fatte salve diverse determinazioni regionali che possono promuovere ulteriori forme di incentivazione volumetrica. |
Edifici residenziali uni-bifamiliari o comunque di volumetria non superiore 1000 mc |
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Con le medesime leggi le regioni si impegnano, altresì, ad introdurre forme semplificate e celeri per l'attuazione degli interventi edilizi indicati, in coerenza con i principi della legislazione urbanistica ed edilizia e della pianificazione comunale. Sono esclusi da tali interventi gli edifici abusivi, quelli situati nei centri storici o nelle aree di inedificabilità assoluta. Le leggi regionali possono, inoltre, individuare ulteriori ambiti di esclusione o limitazione per gli interventi previsti ed ambiti nei quali i medesimi interventi sono, invece, favoriti con incentivazioni e premialità finalizzate alla riqualificazione di aree urbane degradate.
L'intesa ha previsto altresì un limite temporale di 18 mesi per la disciplina regionale attuativa , salvo diversa disposizione regionale.
In proposito si segnala che nei mesi di novembre e dicembre 2012 ben otto governi regionali hanno deciso di prorogare il termine citato, così come in precedenza avevano fatto le Regioni Lazio, Puglia, Calabria, Molise e Sicilia. Altre amministrazioni, come quelle di Friuli, Lazio, Lombardia o Liguria, avevano poi già previsto termini al 2013 o anche oltre. In conseguenza di tali proroghe, pertanto, il Piano casa è ancora operativo in tutta Italia, con la sola eccezione dell'Emilia Romagna.
Nella stessa intesa il Governo si è impegnato ad emanare il secondo dei provvedimenti previsti, ovvero un decreto-legge con l'obiettivo di semplificare alcune procedure di competenza esclusiva dello Stato, al fine di rendere più rapida ed efficace l'azione amministrativa di disciplina dell'attivita' edilizia.
Anche se con tempi diversi, tutte le regioni hanno emanato leggi regionali attuative del "Piano casa 2", interpretando in vario modo l’intesa del 31 marzo 2009: alcune hanno ampliato i criteri definiti nell’intesa includendo ulteriori fattispecie di edifici oltre a quelli residenziali, quali gli edifici agricoli o produttivi non utilizzati, o hanno incrementato i premi volumetrici. Altre hanno previsto meccanismi perequativi e compensativi, compresa la delocalizzazione di cubature, ovvero la possibilità di demolire e poi ricostruire altrove andando oltre la volumetria esistente. In alcune leggi regionali, infine, sono stati introdotti anche incrementi premiali finalizzati all'incremento della dotazione di verde pubblico, di servizi, di spazi pubblici e al sostanziale miglioramento della qualità urbana.
L’art. 5 del decreto-legge 70/2011 (convertito dalla L. 106/2011, entrata in vigore il 13 luglio 2011) ha introdotto una normativa nazionale quadro per la riqualificazione delle aree urbane degradate. Sostanzialmente vengono poste le basi per l’avvio di un c.d. Piano per la città con la previsione, a regime, di disposizioni finalizzate ad un concreto processo di riqualificazione urbana accompagnato da incentivi e la semplificazione di alcune procedure.
Il comma 9 ha previsto, infatti, l'approvazione, da parte delle regioni, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero entro l'11 settembre 2011, di proprie leggi al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio, nonché per la riqualificazione delle aree urbane degradate in cui siano presenti “funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare”, tenendo conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Tali azioni devono essere incentivate anche con interventi di ricostruzione e demolizione che prevedano:
In particolare, per la realizzazione degli interventi di riqualificazione sono state introdotte alcune norme volte a semplificare alcune procedure edilizie:
- decorso il termine di 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino all’entrata in vigore della normativa regionale nelle regioni a statuto ordinario e speciale è possibile richiedere il permesso di costruire in deroga ai sensi dell’art. 14 del TU dell’edilizia (DPR n. 380/2001) anche per il mutamento delle destinazioni d’uso, fermo restando il rispetto degli standard urbanistici, delle altre normative di settore (sismica, sicurezza, antincedio, igenicosanitaria, efficienza energetica, ambiente, beni culturali e paesaggio) (commi 11 e 12);
- decorso il termine di 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto e fino all’entrata in vigore della normativa regionale nelle regioni a statuto ordinario le disposizioni statali sono immediatamente applicabili. In tal caso il decreto ha previsto (comma 14) un minimo di premialità garantito fissato:
- nel limite massimo del 20% del volume dell’edificio se a destinazione residenziale;
- nel limite massimo del 10% della superficie coperta per gli edifici adibiti ad uso diverso.
Resta fermo che tali limiti volumetrici costituiscono un minimo garantito e non condizionano la successiva attività legislativa regionale.
Relativamente all’ambito di applicazione della normativa il decreto ha escluso gli edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree soggette ad inedificabilità assoluta. Gli interventi possono, invece, essere realizzati su immobili per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria (comma 10).
Sono state anche introdotte una serie di semplificazioni procedurali, tra le quali la previsione, per le regioni a statuto ordinario decorsi 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero dall'11 settembre 2011 e sino all'emanazione delle leggi regionali:
- non solo dell'applicazione del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. 380/2001 (TU edilizia) anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, nel rispetto degli standard urbanistici e delle altre normative di settore aventi incidenza sull'attività edilizia (art. 5, comma 11), di cui si è già detto sopra;
- ma anche dell'ammissibilità del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici anche per il mutamento di destinazione d'uso, purché si tratti di destinazioni d'uso tra loro compatibili o complementari e l'adozione ed approvazione dei piani attuativi dalla Giunta comunale, anziché dal Consiglio (art. 5, comma 13).
L’attuazione del decreto-legge n. 70/2011 è stata demandata alle singole regioni, che avrebbero dovuto emanare proprie leggi per incentivare tali azioni. Sostanzialmente le previsioni di tale Piano erano però già presenti nella legislazione regionale attuativa del "Piano casa 2", in quanto la maggior parte delle regioni aveva già approvato specifiche disposizioni volte ad incentivare la riqualificazione urbana, anche se con strumenti diversi da regione a regione.
L’articolo 12 del decreto legge n. 83 del 2012, recante "Misure urgenti per la crescita del Paese", ha introdotto disposizioni per la riqualificazione di aree urbane, con particolare riguardo a quelle degradate, attraverso un nuovo strumento operativo, il “Piano nazionale per le città” del quale vengono indicate le modalità operative (commi 1 – 6). Esso reca, altresì, disposizioni volte a consentire la rilocalizzazione degli interventi del programma straordinario di edilizia residenziale per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata (commi 7-9). L'articolo 12-bis ha previsto, inoltre, l’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche urbane(CIPU) al fine di coordinare le politiche urbane attuate dalle amministrazioni centrali interessate e di concertarle con le regioni e gli enti locali.
Ai sensi dei commi 1 e 2 dell'art. 12 del D.L. 83/2012, i Comuni propongono ad uno specifico organismo, la Cabina di regia, ai fini della predisposizione del “Piano nazionale per le città” da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), proposte di contratti di valorizzazione urbana (vedi infra) costituite da un insieme coordinato di interventi per la valorizzazione di aree urbane degradate indicando una serie di elementi indicati nel comma 2 e, in particolare:
Si ricorda che il “Piano nazionale per le città” fa seguito al “Tavolo sul Piano per le città” avviato il 4 maggio 2012 dal Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, con cui sono state definite le modalità e la tempistica di attuazione degli interventi per il rilancio e la valorizzazione delle aree urbane del Paese. All’iniziativa hanno partecipato i vertici della Conferenza delle Regioni, dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) e dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili).
Il comma 1 ha disciplinato la composizione della Cabina di regia.
Viene previsto che ne facciano parte, oltre a due rappresentanti del MIT e della Conferenza delle Regioni ed un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dell'interno, dei Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per lo sviluppo e la coesione economica, per la cooperazione internazionale e l'integrazione e per la coesione territoriale, anche un rappresentante dell’Agenzia del demanio, della Cassa depositi e prestiti, dell’Anci, e, in veste di osservatori, un rappresentante del Fondo Investimenti per l’Abitare gestito da Cassa Depositi e Prestiti Investimenti SGR e un rappresentante dei fondi di investimento istituiti dalla società di gestione del risparmio del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) costituita ai sensi dell’art. 33 del D.L. 98/2011.
Si ricorda che il principale soggetto impegnato nello sviluppo del social housing italiano è proprio la Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr (CDPI) che gestisce il Fondo Investimenti per l’Abitare (FIA). Quanto all'art. 33 del D.L. 98/2011, si ricorda che esso ha istituito una Società di gestione del risparmio (SGR), con un capitale di 2 milioni di euro interamente posseduto dal Ministero dell'Economia, con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui siano conferiti immobili oggetto di progetti di valorizzazione.
Con D.M. Infrastrutture del 3 agosto 2012è stata disposta l'istituzione della cabina di regia con 11 rappresentanti dei Ministeri, due delle regioni, 1 dell'Anci, 1 delegato di CdP e Agenzia del territorio con il compito, dopo l'istruttoria del MIT sui progetti, di assegnare i finanziamenti statali.
I commi 3 e 4 hanno definito quindi i compiti della Cabina di regia a cui viene sostanzialmente assegnato un ruolo di coordinamento e selezione dei programmi di riqualificazioneproposti dai Comuni, in base a valutazioni sugli effetti economici e sociali degli interventi stessi. In particolare i compiti previsti riguardano:
Viene quindi introdotto un nuovo strumento attuativo - il contratto di valorizzazione urbana - la cui sottoscrizione viene promossa dalla Cabina di regia, d’intesa con il comune interessato. Il Contratto è volto a regolamentare gli impegni dei vari soggetti pubblici e privati interessati. prevedendo anche la revoca dei finanziamenti. Viene infine precisato che l’insieme dei Contratti di valorizzazione urbana costituisce il “Piano nazionale per le città”.
Per lâ€attuazione degli interventi del Piano è stato istituito, ai sensi del comma 5, nello stato di previsione del MIT, un apposito “Fondo per lâ€attuazione del Piano nazionale per le città” nel quale sono confluite le risorse, non utilizzate o provenienti da revoche, relativamente ad alcuni programmi in materia di edilizia residenziale di competenza del MIT e che, secondo quanto riportato dalla relazione tecnica, ammontano a circa 224 milioni di euro giacenti presso la Cassa depositi e prestiti.
In data 8 febbraio 2013 il MIT ha emanato il decreto dipartimentale n. 1105/2013, di approvazione della destinazione delle risorse del Fondo citato proposta dalla Cabina di regia. I progetti che hanno superato la selezione potranno usufruire, secondo quanto indicato in un comunicato del MIT, "di un cofinanziamento nazionale di 318 milioni di euro (224 dal Fondo Piano Città e 94 dal Piano Azione Coesione per le Zone Franche Urbane dove si concentrano programmi di defiscalizzazione per le PMI), che attiveranno nell'immediato progetti e lavori pari a 4,4 miliardi di euro complessivi, tra fondi pubblici e privati".
I titoli abilitativi all’attività edilizia sono disciplinati dal Titolo II della Parte I - artt. 6-23 - del D.P.R. 380/2001 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e sono rappresentati dal permesso di costruire, dalla denuncia di inizio attività (DIA) e dalla c.d. superDIA, nonché dalla Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) introdotta nel corso della XVI legislatura.
Il T.U. edilizia prevede altresì alcune fattispecie di attività edilizia libera.
Con l’art. 5 del decreto-legge 40/2010, che ha interamente sostituito l’art. 6 del T.U. edilizia, sono state ampliate le tipologie di interventi rientranti nell’attività edilizia libera, ovvero realizzabili senza alcun titolo abilitativo anziché mediante denuncia di inizio attività (DIA).
Il nuovo art. 6 del D.P.P. 380/2001 conferma – analogamente al vecchio testo - che l’attività edilizia libera dovrà rispettare sia le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali che le altre normative di settore aventi incidenza sull'attività edilizia (norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico e sanitarie, sull’efficienza energetica, nonchè le norme in materia di beni paesaggistici e culturali recate dal D.Lgs. 42/2004).
Le tipologie di intervento vengono differenziate in due categorie, a seconda che occorra o meno una previa comunicazione all’amministrazione comunale dell’inizio dei lavori - anche per via telematica - da parte dell’interessato (commi 1 e 2).
Gli interventi senza preventiva comunicazione sono:
Le ulteriori tipologie necessitano di una previa comunicazione di inizio lavori, anche per via telematica, da parte dell’interessato all’amministrazione comunale:
Per tutti gli interventi l'interessato provvede alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale entro trenta giorni dal momento della variazione, secondo quanto previsto dall'art. 34-quinquies, comma 2, lettera b), del decreto legge 4/2006 (comma 5). La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori o la mancata trasmissione della relazione tecnica comportano la sanzione pecuniaria di 258 euro che può essere ridotta a due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione (comma 7). Viene inoltre previsto che le regioni a statuto ordinario possano estendere la semplificazione a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti, individuare ulteriori interventi edilizi per i quali è necessario trasmettere al comune la relazione tecnica ovvero stabilire ulteriori contenuti per la medesima relazione tecnica (comma 6).
Il comma 8, che prevedeva semplificazioni in materia di rilascio del certificato di prevenzione incendi (CPI) per gli interventi di edilizia libera, prevedendo che per essi il CPI, ove richiesto, venisse rilasciato in via ordinaria con l’esame a vista, è stato abrogato nell'ambito del riordino della materia operato dal D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151 recante "Regolamento recante semplificazione della disciplina dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi".
Conl'art. 13-bis del decreto-legge 83/2012 sono state ulteriormente ampliate le tipologie rientranti nell'attività edilizia libera eseguibili previa comunicazione di inizio dei lavori al Comune, con l'inserimento della nuova lettera e-bis) al comma 2 dell'art. 6 del T.U. che contempla:
Mentre le modifiche "interne" risultavano già coperte (a prescindere dalla destinazione d'uso dei locali) dalla previgente casistica, visto che la lettera a) - nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria - rende possibile in edilizia libera "l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici", l'innovazione di rilievo apportata dal D.L. 83/2012 consiste nella liberalizzazione dei mutamenti di destinazione d'uso delle attività produttive (prima soggetti a SCIA).
Il medesimo articolo ha abrogato il comma 3 del medesimo art. 6 del T.U. che prevedeva l'obbligo di allegare alla comunicazione di inizio lavori le autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore e, limitatamente agli interventi di manutenzione straordinaria, i dati identificativi dell'impresa affidataria dei lavori. Tale ultima disposizione, relativa ai dati dell'impresa, è stata reinserita mediante una riformulazione del comma 4. Tale riformulazione ha altresì inserito ulteriori condizioni per gli interventi contemplati dalla nuova lettera e-bis).
Il permesso di costruire è disciplinato dagli artt. 10-21 del D.P.R. 380/2001.
Sono subordinati a permesso di costruire (art. 10, comma 1) gli interventi che costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio:
Sono considerate zone territoriali omogenee A ai sensi dell’art. 2 del D.M. 1444/1968 “le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a DIA (comma 2).
Le regioni hanno altresì la facoltà - a norma dell'art. 10, comma 3 - di ampliare l'ambito degli interventi soggetti a permesso di costruire, rispetto a quelli definiti dall'art. 10, comma 1 (comprimendo conseguentemente l'ambito di operatività della DIA).
Il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente ed è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all'impegno degli interessati di procedere all'attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell'intervento oggetto del permesso.
Qualora l'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire contrastasse con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ognideterminazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell'ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all'amministrazione competente all'approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione. A richiesta del sindaco, e per lo stesso periodo, il presidente della giunta regionale, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione degli strumenti urbanistici (art. 12).
Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia (art. 14).
Il permesso di costruire deve indicare i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo e quello di ultimazione non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori.
Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso (art. 15).
Il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nell’art. 16.
L'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione o, in loro assenza, con deliberazione del consiglio comunale.
Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l'edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni. Nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire.
Sono previsti anche casi di riduzione o esonero dal contributo di costruzione (art. 17).
Per l’edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo approvata dalla regione.
Il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore.
Il contributo di costruzione non è, invece, dovuto:
a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole;
b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;
c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;
d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme emanati a seguito di pubbliche calamità;
e) per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all'uso razionale dell'energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela artistico-storica e ambientale.
Con l’art. 5 (commi 11 e 13) del decreto-legge 70/2011 sono state introdotte alcune disposizioni relative al permesso di costruire in deroga, nell’ambito degli interventi per la riqualificazione di aree urbane degradate (c.d. Piano citta').
Il comma 11 reca una norma transitoria (decorsi i 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ovvero dall'11 settembre 2011 e sino all’entrata in vigore della normativa regionale per il cd. Piano città), che prevede l’applicazione (agli interventi) del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici anche per il mutamento delle destinazioni d’uso, restando fermo il rispetto degli standard urbanistici e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia. Ciò significa che, decorsi i termini di cui sopra, la realizzazione degli interventi potrà avvenire in deroga agli strumenti urbanistici locali, ma servirà comunque l’approvazione del consiglio comunale.
Il comma13 introduce un’altra norma transitoria per le regioni a statuto ordinario (decorso il termine di 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di converisone del decreto, ovvero dall'11 settembre 2011 e sino all’entrata in vigore della normativa regionale per il Piano città), in base alla quale viene, tra l’altro, ammesso il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali ai sensi dell’art. 14 del T.U. per l’edilizia anche per il mutamento delle destinazioni d’uso tra loro compatibili o complementari.
Un'altra importante modifica è stata recata dall'art. 45, comma 1, del D.L. 201/2011 , attraverso l’inserimento del comma 2-bis all’art. 16 del T.U., che prevede l’esclusione della c.d. gara informale (richiesta dal Codice dei contrati pubblici, di cui al D.Lgs. 163/2006) per le opere di urbanizzazione primaria a scomputo di importo inferiore alla soglia comunitaria e ne attribuisce l'esecuzione diretta al titolare del permesso di costruire. Analoga disposizione era già stata introdotta dall'art. 5 del D.L. 70/2011, ma era stata soppressa dalla legge di conversione n. 106/2011.
Il comma 2-bis in parola precisa che tale disposizione derogatoria del Codice opera "nell'ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale".
L’iter procedimentale per il rilascio del permesso di costruire è stato completamente ridisegnato dall’art. 5 del decreto-legge 70/2011, che ha interamente sostituito l’art. 20 prevedendo, tra le maggiori novità, l’introduzione del silenzio-assenso in luogo del precedente regime basato sul silenzio-rifiuto.
Si ricorda, infatti, che il procedimento per il rilascio del permesso di costruire previsto dall’art. 20 del T.U risultava essere molto articolato e lungo e, in caso di mancata risposta dell’amministrazione comunale nei termini previsti per l’adozione finale del provvedimento, si intendeva concluso con il silenzio-rifiuto impugnabile entro 60 giorni avanti ai competenti tribunali amministrativi regionali.
L’introduzione del silenzio-assenso ha conseguentemente comportato anche una rivisitazione dei termini procedurali per il rilascio del permesso di costruire, in quanto costituendo il silenzio-assenso una forma derogatoria al principio in base al quale le p.a. hanno il dovere di concludere i procedimenti amministrativi con provvedimento espresso (art. 2 della legge 241/1990), il legislatore ha ritenuto di rimodulare alcuni termini. Il nuovo procedimento è quindi articolato nelle seguenti fasi:
1) presentazione della domanda allo Sportello Unico accompagnata dalla dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici vigenti o adottati, ai regolamenti edilizi vigenti e alle altre normative di settore aventi incidenza sull’attività edilizia (norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di efficienza energetica, ecc.). In caso di falsa attestazione è prevista la sanzione penale della reclusione da 1 a 3 anni e l’irrogazione di sanzioni disciplinari da parte del competente ordine professionale (commi 1 e 13);
2) comunicazione entro 10 giorni del nominativo del responsabile del procedimento (comma 2);
3) termine di 60 giorni per l’istruttoria della domanda. Tale termine può essere:
- interrotto una sola volta in caso di richiesta di integrazione documentale ed è legittima a condizione che i documenti non siano già in possesso dell’amministrazione o che questa non possa acquisirli autonomamente. La richiesta dovrà svolgersi entro 30 giorni dalla presentazione della domanda (prima erano 15) e il termine di 60 giorni ricomincerà a decorrere dalla ricezione della documentazione integrativa (commi 3 e 5);
- sospeso, fino al relativo esito, in caso di richiesta dal parte del responsabile di apportare modifiche di modesta entità al progetto originario. In caso di adesione l’interessato è tenuto a presentarle nei successivi 15 giorni decorrenti dalla richiesta (comma 4);
4) convocazione, da parte del responsabile del procedimento, della conferenza di servizi, come disciplinata dalla legge 241/1990, nel corso dei 60 giorni di istruttoria, ove sia necessario acquisire assensi, nulla-osta od autorizzazioni da parte di altri enti (i lavori della conferenza non possono superare i 90 giorni);
5) adozione del provvedimento dal dirigente entro i successivi 30 giorni (prima erano 15) che, nel caso di espletamento della conferenza di servizi, decorrono dall’esito favorevole della stessa (comma 6);
6) i termini per l’istruttoria e la richiesta di integrazione sono raddoppiati per i comuni con più di 100.000 abitanti nonché per i progetti particolarmente complessi: 90 giorni dalla presentazione della domanda per i centri urbani con meno di 100 mila abitanti (commi 3 e 6) e 150 giorni per i comuni con oltre 100 mila abitanti (comma 7), sempreché l’amministrazione non richieda delle integrazioni documentali o modifiche al progetto;
7) silenzio-assenso in caso di inutile decorso del termine per la conclusione del procedimento senza che il responsabile non abbia apposto motivato diniego (comma 8).
Nel caso in cui l’interessato intenda esercitare, ai sensi dell’art. 22 comma 7, la facoltà di richiedere il permesso di costruire al posto della Diail termine per il rilascio del relativo titolo è di 75 giorni (prima 60 giorni) dalla data di presentazione della domanda (comma 11).
Vengono, inoltre, fatte salve le disposizioni contenute nelle leggi regionali che prevedono misure di ulteriore semplificazione e riduzione di termini procedurali (comma 12).
Un regime particolare è legato alla presenza di vincoli culturali, paesaggistici o ambientali in quanto i termini per il silenzio assenso, in questi casi, decorreranno dal momento in cui sia stato acquisito il relativo nulla osta. Ove tale atto non sia favorevole, decorso il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intenderà formato il silenzio-rifiuto (commi 9 e 10).
L’art. 21 del TU, anch’esso sostituito dall’art. 5 del decreto legge 70/2011 a seguito dell’introduzione del silenzio assenso per il rilascio del permesso di costruire, prevede che siano le regionia stabilire, con proprie leggi, le forme e le modalità per l’eventuale esercizio del potere sostitutivo nei confronti dell’ufficio dell’amministrazione comunale competente per il rilascio del permesso di costruire.
Un’altra novità introdotta dall’art. 5 del decreto legge 70/2011 riguarda la regolarizzazione automatica delle varianti nel limite del 2% delle misure progettuali. Con un comma aggiuntivo all’art. 34 del TU che regola gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, vengono considerati non parzialmente difformi dal titolo abilitativo edilizio le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta fino al 2% delle misure progettualiper singola unità immobiliare.
Con l'art. 13 (comma 2, lett. d) del decreto legge 83/2012 sono state introdottealcune modifiche procedurali al permesso di costruire. Attraverso alcune novelle all'art. 20 del T.U. viene prevista:
- la soppressione del riferimento ai regolamenti edilizi per gli elaborati progettuali da allegare alla domanda di rilascio del titolo, divenendo d'ora in poi irrilevante che il regolamento edilizio comunale contenga o meno l'indicazione di tutti gli elaborati progettuali, purché gli stessi siano previsti dalle altre normative di settore;
- la soppressione della facoltà in capo al richiedente di allegare pareri e atti di assenso eventualmente necessari, da acquisirsi d'ufficio, attraverso lo Sportello unico dell'edilizia (SUE), entro 60 giorni dal deposito della domanda;
- l'introduzione del comma 5-bis, relativo all'obbligo di indizione della conferenza di servizi - in capo al responsabile dello Sue, se entro i 60 giorni dalla presentazione della domanda non sono intervenute le intese, i concerti, i nulla osta o gli assensi comunque denominati delle altre amministrazioni pubbliche, ovvero sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate, qualora tale dissenso non risulti fondato sulla assoluta incompatibilità dell'intervento. La nuova disposizione precisa altresì che le amministrazioni che esprimono parere positivo possono non intervenire alla conferenza di servizi e trasmettere i relativi atti di assenso, dei quali si tiene conto ai fini della individuazione delle posizioni prevalenti per l'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento (ex art. 14-ter, comma 6-bis, legge 241/1990);
- la sostituzione del comma 6, mantenendo inalterati i termini previgenti per l'adozione del provvedimento finale, ma con la precisazione che la determinazione motivata di conclusione del procedimento (assunta nei termini di cui alla legge 241/1990) è, ad ogni effetto, titolo per la realizzazione dell'intervento, nei casi in cui sia indetta la conferenza di servizi, prevista dal neo introdotto comma 5-bis;
- la riformulazione del comma 10 che disciplina i casi in cui l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale. D'ora in poi il competente ufficio comunale acquisirà il relativo assenso nell'ambito della conferenza di servizi di cui al comma 5-bis e, in caso di esito non favorevole, sulla domanda di permesso di costruire dovrà intendersi formato (come in precedenza) il silenzio-rifiuto. Anche da questa disposizione scompare la facoltà del richiedente di produrre direttamente il parere favorevole dell'autorità preposta, nonché la previsione di decorrenza del termine per l'adozione del provvedimento finale dalla conclusione della conferenza.
Gli artt. 22 e 23 del D.P.R. 380/2001 dettano la disciplina sostanziale e procedimentale relativa agli interventi assoggettati a denuncia di inizio attività (DIA). Come risulta dal testo dell'art. 22 T.U., le fattispecie di DIA sono le seguenti:
L’ambito di operatività della DIA è definito residualmente, così come disposto dall'art. 22, comma 1. Infatti, ai sensi del comma 1 sono realizzabili mediante DIA gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'art. 10 (permesso di costruire) e all'art. 6 (attività di edilizia libera), come sostituito dall’art. 5 del decreto legge 40/2010, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Pertanto la DIA può essere usata per tutti i lavori che non rientrano né nell’attività edilizia libera né nelle attività soggette a permesso di costruire e può essere sostituita dalla SCIA (vedi infra).
Conseguentemente, l'area di operatività delle DIA deve essere ridefinita sia con riferimento al principio della residualità della DIA sia con la compatibilità della vecchia normativa con le nuove disposizioni del T.U.
Si tenga presente che l'art. 4 del D.L. 398/1993 è stato abrogato dall'art. 136 del T.U., sicché gli interventi ivi previsti, come assoggettati a DIA, rientrano ora nella categoria residuale degli interventi che non costituiscono né nuove costruzioni, né attività edilizie libere, a norma dell'art. 22, comma 1, T.U., ove non superino la soglia della rilevante trasformazione urbanistico-edilizia, oltre la quale rientrerebbero nell'ambito delle nuove costruzioni, assoggettate a permesso di costruire.
Il raffronto dell’art. 22, comma 1, del T.U. con le previgenti disposizioni dell'art. 4 del D.L. 398/1993 (che recava gli interventi soggetti a concessione edilizia), consente di individuare i seguenti interventi soggetti a DIA:
Nella disciplina del T.U. tali interventi non sono assoggettati a permesso di costruire, sicché in via residuale devono ritenersi assoggettati al regime della DIA.
Occorre, infatti, precisare che le opere pertinenziali - per le quali è sufficiente la DIA - sono solo quelle non assoggettate a permesso di costruire dall'art. 3, lett. e.6) del TU Analogamente le demolizioni senza successiva ricostruzione o le demolizioni con ricostruzione dell'edificio - nel rispetto dei limiti di cui all'art. 3, comma 1, lett. d) del TU - sono assoggettate a DIA e non a permesso di costruire. La DIA occorre invece per il reinterro o gli scavi, che non riguardino la coltivazione di cave o torbiere. Le occupazioni di suolo mediante deposito di materiali o esposizione di merci a cielo libero sono assoggettate a DIA, a condizione che non determinino la realizzazione di deposito di merci o materiali cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato perché, in tal caso, ricadrebbero nella previsione di cui all'art. 3, lett. e.7) del TU.
Il comma 2dell’art. 22 prevede, inoltre, che sono, altresì, realizzabili mediante DIA anche le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire perché, in tal caso, è invece necessario il permesso di costruire.
La DIA ha, pertanto, a oggetto interventi edilizi minori, con facoltà per l'interessato di chiedere alternativamente il permesso di costruire (art. 22, comma 7): in tale caso il regime giuridico applicabile rimane quello della DIA e non quello del permesso di costruire, anche se per il suo rilascio sono necessari 60 giorni dalla presentazione della domanda (art. 20, comma 10-bis).
Pertanto non c’è l’obbligo del pagamento del contributo di costruzione né l’applicabilità, in caso di violazione della disciplina urbanistico-edilizia, delle sanzioni penali di cui all'art. 44, ma solo di quelle amministrative di carattere pecuniario di cui all’art. 37 relative alla DIA.
La DIA, in linea di principio, è gratuita, salvo che diventi onerosa per effetto delle leggi regionali.
La superDIA opera relativamente alle ipotesi già previste dalla cosiddetta "legge obiettivo" (L. 443/2001) e recepite dal novellato art. 22, comma 3 (con il D.Lgs. 301/2002) del T.U. che prevede che si può fare ricorso a una semplice DIA, in alternativa al permesso di costruire, anche per:
Pertanto, la superDIA ha a oggetto interventi edilizi maggiori, per i quali il regime di fondo è quello del permesso di costruire. Per tali interventi, la superDIA e il permesso di costruire - intesi nella loro accezione procedimentale - hanno valenza alternativa, nel senso che il privato può autonomamente decidere se avvalersi dell'uno o dell'altro procedimento. In sostanza, con la superDIA, l'interessato ha la facoltà di utilizzare il procedimento della DIA, in luogo del permesso di costruire, ma in tale caso il regime giuridico sostanziale rimane quello del permesso di costruire, con le seguenti conseguenze:
Le regioni hanno la facoltà sia di stabilire la linea di confine tra DIA e la superDIA, ampliando o riducendo l'ambito di operatività della DIA e della superDIA rispetto a quanto previsto dal legislatore statale, sia di ampliare l’ambito di operatività della superDIA, restando, comunque, ferme lesanzioni penali previste all'articolo 44, per le violazioni del permesso di costruire e della superDIA (art. 22, comma 4).
Spetta, infatti, al legislatore regionale individuare ulteriori tipologie di intervento da assoggettare a contributo di costruzione, nonché definire anche le modalità di concreta determinazione del contributo (art. 22, comma 5).
La portata dell’intero art. 22 sulla DIAè comunque limitata, come anzidetto, dalla facoltà attribuita alle regioni - a norma dell'art. 10, comma 3 - di ampliare l'ambito degli interventi soggetti a permesso di costruire, comprimendo conseguentemente l'ambito di operatività della DIA.
La realizzazione degli interventi realizzabili con la DIA o superDIA, che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative (art. 22, comma 6).
Per quanto riguarda la disciplina procedimentale della DIA (che è comune anche alla superDIA), l’art. 23, comma 1, dispone che il proprietario dell'immobile, almeno 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenti allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
La DIA è corredata dall'indicazione dell'impresa cui si intende affidare i lavori ed è sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni. La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia. L'interessato è comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori (comma 2).
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro 30 giorni sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. È comunque salva la facoltà di ripresentare la DIA, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia (comma 6).
Pertanto, dal combinato disposto dei commi 1 e 6 la DIA è soggetta al silenzio-assenso.
Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la DIA. Contestualmente presenta ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate ovvero dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento (comma 7).
L'art. 23, commi 3 e 4, riguardano, invece, i casi in cui l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete all'amministrazione comunale o a un soggetto diverso. Il comma 3 dispone che nel caso l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di 30 giorni per l’effettivo inizio dei lavori decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti. Qualora l’immobile sia, invece, sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, l’ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14 e segg. della legge 241/1990. Il termine di 30 giorni decorre dall'esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti (comma 4).
Con l'art. 13, comma 2, lett. e), del decreto-legge 83/2012 sono state introdottealcune alcune modifiche alla disciplina sulla DIA rendendo, di fatto, la disciplina di tale istituto ancora più simile a quella della SCIA (v. infra).
Attraverso l'inserimento dei commi 1-bis e 1-ter all'art. 23 del T.U., viene previsto, anche per la DIA, la possibilità di sostituire l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi (ovvero l'esecuzione di verifiche preventive), con autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati relative alla sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici e regolamenti edilizi per l'esecuzione dell'intervento, da produrre a corredo della relazione e degli elaborati progettuali necessari da allegare alla denuncia (analogamente a quanto già previsto per la SCIA con il decreto-legge 5/2012).
La norma sancisce tassativamente anche i casi in cui non è possibile ricorrere alle autocertificazioni sostitutive: precisamente quando sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e in tutti i casi in cui sono previsti atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito (anche derivante dal gioco), nonché atti e verifiche previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche o imposti dalla normativa comunitaria.
Come già previsto dal comma 1 dell'art. 19 della legge 241/1990 per la SCIA, anche la Dia (sulla base del disposto del nuovo comma 1-ter) può essere presentata - corredata dalle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dai relativi elaborati tecnici - mediante posta raccomandata con avviso di ricevimento (in tal caso la denuncia si considera presentata al momento della ricezione del plico da parte dell'amministrazione destinataria).
A tale nuova modalità di presentazione fanno eccezione esclusivamente i procedimenti per i quali è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica, i cui criteri generali a livello nazionale sono ancora da definirsi con apposito regolamento ex art. 17, comma 2, della legge 400/1988, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il ministro per la Pubblica amministrazione e semplificazione, nonché d'intesa con la Conferenza unificata.
Con la circolare del 16 settembre 2010 il Ministero per la semplificazione normativa aveva chiarito che la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), introdotta dal comma 4-bis dell'art. 49, del decreto-legge n. 78/2010, attraverso la sostituzione dell’art. 19 della legge 241/1990,per corrispondere all’esigenza diliberalizzare l'attività d'impresa, sostituisce anche la DIA in edilizia, eccetto la Dia alternativa al permesso di costruire (superDIA), consentendo di avviare i lavori il giorno stesso della sua presentazione.
Nella circolare venivano evidenziate le motivazioni dell’esclusione della superDia consistenti nel fatto che la SCIA in edilizia deve mantenere l’identico campo applicativo di quello della DIA senza interferire con l’ambito applicativo degli altri titoli abilitativi quali il permesso di costruire o la superDia (di cui all’art. 22, comma 3 del T.U. dell’edilizia la cui disciplina segue quella del permesso di costruire), in quanto ciò determinerebbe, nella sostanza, l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’art. 19 della legge n. 241/1990. Inoltre, dato che il comma 4 del citato art. 22 riconosce alle regioni la facoltà di ampliare l’ambito di operatività della superDia, anche a tali casi non deve essere applicata la SCIA.
Con l’art. 5 (comma 2, lett. b) e c) del decreto-legge 70/2011 si è definitivamente chiarito che la SCIA si applica anche all’edilizia, ma non alla superDia (ovvero la Dia alternativa al permesso di costruire disciplinata dall' art. 22, comma 3), consentendo l’avvio dei lavori il giorno stesso della sua presentazione (mentre con la Dia occorre attendere 30 giorni). Tali modifiche sono state effettuate con delle novelle all'art. 19 della legge 241/1990.
La Scia si applica anche agli interventi edilizi in zona sottoposta a vincolo, specificando che in tali casi è comunque necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso. Conseguentemente, nel caso di immobili vincolati, la Scia opera unicamente una volta acquisito l’assenso dell’ente competente alla relativa tutela.
In merito al regime sanzionatorio applicabile alla SCIA in edilizia, con l’introduzione del comma aggiuntivo 6-bisall’art. 19 della legge 241/1990, sono stati dimezzati i tempiper i controlli delle amministrazioni sugli interventi realizzati con la Scia in materia edilizia: si passa, pertanto, per le verifiche ex-post da 60 a 30 giorni.
La riduzione alla metà dei tempi per le verifiche ex post è strettamente correlata alla sostituzione della DIA con la SCIA in edilizia, in quanto se fosse rimasta la possibilità, per le amministrazione, di verificare entro 60 giorni la presenza di tutti i requisiti, in mancanza dei quali poter adottare provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività, sarebbe stato, di fatto, vanificato il vantaggio di poter iniziare i lavori nello stesso giorno in cui si presenta la SCIA, in quanto la DIA prevede invece un’attesa preventiva minore, ovvero di 30 giorni, al fine di consentire alle amministrazioni competenti di effettuare i relativi controlli.
Le ulteriori modifiche alla SCIA recate dal decreto-legge 70/2011 riguardano, l’inserimento tra i casi già previsti di esclusione dall’applicabilità della SCIA, anche di quelli relativi alla normativa antisismica(l’art. 19, comma 1, della L. 241/1990 esclude dalla Scia i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, gli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria) ele modalità di presentazione della Scia. La Sciain edilizia consiste, pertanto, in una autodichiarazione da presentare al Comune su apposito modulo, accompagnata dalle attestazioni del professionista abilitato, anche per raccomandata con avviso di ricevimento.
L'art. 6 (comma 1) del decreto legge 138/2011 ha introdotto alcune disposizioni di coordinamento con le norme del citato comma 6-bis del decreto legge 70/2011 sulla riduzione dei tempi per le verifiche ex post in materia di SCIA in edilizia, nonché (nuovo comma 6-ter all'art. 19 della legge 241/1990) ha previsto che la SCIA, analogamente alla denuncia di inizio arrività, non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono, pertanto, sollecitare le amministrazioni competenti ad effettuare gli adempimenti previsti e, in caso di inerzia, possono esperire esclusivamente l'azione avverso il silenzio come disciplinata dall'art. 31, commi 1-3, del D.Lgs. n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), adeguandosi, di fatto, alla pronuncia del Consiglio di Stato29 luglio 2011, n. 15 che ha ribadito che la DIA (e ora la SCIA) è un atto di autonomia privata con cui si comunica alla pubblica amministrazione l'esercizio di un’attività consentita dalla legge e non è autonomamente impugnabile.
Nella decisione del 29 luglio 2011, n. 15 il Consiglio di Stato ha risolto il contrasto giurisprudenziale sulla natura giuridica della DIA (art. 19, legge 241/1990): essa non è provvedimento amministrativo tacito formatosi con il decorso del tempo (silenzio-assenso) ma dichiarazione del privato all'amministrazione competente dell'inizio di un'attività libera consentita dalla legge. La P.A. nei tempi previsti può inibire la prosecuzione dell'attività qualora in contrasto con le norme regolatorie. Dato che la DIA non è autonomamente impugnabile, il terzo danneggiato impugnerà il mancato esercizio da parte della Pa del potere inibitorio dell'attività dichiarata attraverso l’esperimento di un’azione impugnatoria ex art. 29 del Codice del processo amministrativo .
Con l'art. 13 (comma 1) del decreto-legge 83/2012 sono state inoltre introdottealcune modifiche alla disciplina sulla Scia confermando, di fatto, quanto già introdotto dai precedenti decreti (D.L. 70/2011 e D.L. 5/2012) con particolare riferimento alla sostituzione ipso iure di tutti i pareri di organi o enti appositi, nonché delle verifiche preventive di loro competenza, con autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati. La novità è da rinvenirsi nel fatto che il testo previgente prevedeva l'effetto sostitutivo solo in caso di pareri o verifiche richieste dalla legge, mentre il testo novellato rinvia in termini più generali alla «normativa vigente»: rientrano pertanto nell'ambito applicativo della nuova disposizione tutti i pareri ed i nulla osta previsti non solo dalla legge, ma anche da provvedimenti di valenza regolamentare emanati da qualsiasi ente competente (quali ad es. gli strumenti urbanistici comunali).
La SCIA in pratica potrà essere presentata per l’esecuzione dei seguenti interventi:
La sentenza n. 164 del 2012 della Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità costituzionale dell'applicazione della SCIA a tutte le materie, tra cui quelle che spettano alla competenza concorrente delle regioni, compresa l'edilizia, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale presentate dalle Regioni Valle d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e Puglia che avevano censurato le disposizioni nazionali (art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 78/2010) nelle quali si dispone che la Scia sostituisce la Dia recata da "ogni normativa statale e regionale".
La Corte ha riconosciuto che è inappropriato riferire la disciplina della Scia alla materia “tutela della concorrenza”, come affermato dal comma 4-ter dell’art. 49 del decreto legge n. 78, in quanto l'applicazione della SCIA va oltre la materia della concorrenza, anche se potrebbero verificarsi dei casi nei quali tale materia venga in rilievo. Si tratta dunque di una valutazione da operare caso per caso. Appare invece corretto, sempre secondo la Consulta, stabilire che la disciplina della SCIA costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost., in quanto si tratta di una prestazione specifica che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima, diritto da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Da tale considerazione secondo cui la disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la Corte desume la piena legittimità della sua applicazione anche alla materia edilizia, in quanto non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale valgono anche per tale materia, visto anche che la Scia non si sostituisce al permesso di costruire e che la stessa riguarda soltanto l’inizio del procedimento che consente al privato di dare immediato inizio all’attività, fermo restando l’esercizio dei poteri inibitori da parte della pubblica amministrazione e la sua possibilità di assumere provvedimenti in via di autotutela.
Con l'art. 13 (comma 2, lett. a) e b) del decreto-legge 83/2012 sono state introdotte disposizioni volte a rafforzare lo sportello unico per l'edilizia (SUE), disciplinato dall'art. 5 del T.U., attribuendo all'ufficio maggiori competenze decisorie e istruttorie, al fine di accelerare le procedure amministrative e ridurre gli incombenti a carico dei privati.
Già con il D.L. 70/2011 la disposizione vedeva inserito il comma 4-bis al fine di sancire l'obbligo della modalità telematica sia per la presentazione delle domande, delle dichiarazioni, segnalazioni, comunicazioni e relativi elaborati tecnici o allegati, nonché per l'inoltro telematico della documentazione alle altre amministrazioni interessate.
Attraverso alcune novelle all'art. 5, lo SUE costituirà l'unico punto di accesso per il privato interessato in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il titolo abilitativo e l'intervento edilizio oggetto dello stesso, al fine di fornire una risposta tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento (comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità), oltre ad essere l'unico ufficio ad acquisire direttamente - da tali amministrazioni -, tutti gli atti di assenso comunque denominati (anche mediante conferenza di servizi).
Il ruolo dello SUE viene rafforzato altresì dal divieto espresso - in capo a tutti gli altri uffici comunali e altre amministrazioni pubbliche interessati al procedimento - di trasmettere al richiedente atti autorizzatori, nulla osta, pareri o atti di consenso, anche a contenuto negativo, comunque denominati, a cui si affianca l'obbligo (per le medesime amministrazioni e uffici) di trasmettere immediatamente allo sportello tutte le denunce, le domande, le segnalazioni, gli atti e la documentazione ad esse eventualmente presentati, dandone comunicazione al richiedente. La novella sopprime il comma 4 relativo all'obbligo di indire la conferenza di servizi per l'acquisizione degli atti di assenso preliminari in determinate materie (quali le autorizzazioni e certificazioni del competente ufficio tecnico della regione, per le costruzioni in zone sismiche; assenso dell'amministrazione militare per le costruzioni nelle zone di salvaguardia contigue ad opere di difesa dello Stato o a stabilimenti militari; le autorizzazioni doganali e demaniali; le autorizzazioni e pareri in materia di beni culturali e paesaggio o di tutela idrogeologica; gli assensi in materia di servitù viarie, ferroviarie, portuali ed aeroportuali), ampliando conseguentemente l'ambito applicativo del comma 3 che prevede, oltre al ricorso della conferenza di servizi ove necessario, la possibilità di acquisire direttamente dalle amministrazioni preposte tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento edilizio in ordine alle fattispecie a suo tempo individuate nell'abrogato comma 4.
Con la modifica anche all'art. 13 del T.U., infine, lo SUE diventa l'unico ufficio comunale ad avere la competenza nel rilascio dei permessi di costruire.
Viene, inoltre, inserito, anche un articolo aggiuntivo - art. 9-bis relativo alla documentazione amministrativa - che prevede l'obbligo, in capo alle amministrazioni, di acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati (compresi quelli catastali), che siano in possesso della pubblica amministrazione, ai fini della presentazione, del rilascio o della formazione dei titoli abilitativi edilizi. La stessa disposizione prevede anche il divieto per le amministrazioni di richiedere attestazioni, comunque denominate, o perizie sulla veridicità e l'autenticità dei documenti, informazioni e dati che siano in possesso della P.A. (in forza del principio della decertificazione dei rapporti tra privati e P.A. già sancito dall'art. 15 della legge 183/2011 - legge di stabilità 2012).
Il comma 2-bis ha inoltre previsto l'attuazione, da parte delle amministrazioni comunali, delle norme introdotte dal citato art. 13, comma 2, entro il termine massimo di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (ossia entro il 12 febbraio 2013).
Anche nel corso della XVI legislatura, in conseguenza della scadenza del termine di sospensione delle esecuzioni forzate disposto dall’ultimo provvedimento emanato in merito nel corso della precedente legislatura (il riferimento è all'art. 22-ter del D.L. 248/2007 che aveva fissato il termine al 15 ottobre 2008), il Governo ha dovuto adottare l’ennesimo provvedimento d’urgenza, il decreto-legge 158/2008, con cui si è provveduto alla sospensione fino al 30 giugno 2009 delle procedure esecutive di sfratto nei comuni maggiori e in quelli ad alta tensione abitativa e con riferimento ai conduttori in particolari condizioni di disagio.
La sospensione citata si applica nel territorio:
Il blocco delle procedure esecutive di sfratto riguarda le particolari categorie sociali individuate dall'articolo 1, comma 1, della legge 8 febbraio 2007, n. 9, vale a dire i conduttori in possesso di tutti i seguenti requisiti:
Nel D.L. 158/2008 si precisa che la finalità del provvedimento di sospensione è quella di ridurre il disagio abitativo per tali categorie disagiate in attesa della realizzazione degli interventi del piano casa introdotto con l’art. 11 del decreto-legge 112/2008.
Nel corso dell’esame parlamentare è stata introdotta una norma che consente la valutazione dei provvedimenti giudiziari di rilascio per finita locazione ai fini dell'attribuzione del punteggio per la predisposizione delle graduatorie per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, qualora essi contengano l'esplicita enunciazione della data di registrazione del contratto di locazione e gli estremi della lettera raccomandata con avviso di ricevimento recante disdetta della locazione da parte del locatore. Si intende in tal modo favorire la registrazione dei contratti.
Al fine di favorire la riduzione del disagio abitativo e la riduzione delle passività delle banche, è stata inoltre prevista la cessione in proprietà agli istituti autonomi case popolari degli immobili occupati a titolo di abitazione principale da un mutuatario insolvente e sottoposti a procedura esecutiva immobiliare o concorsuale, purché tali immobili abbiano le caratteristiche di quelli facenti parte del patrimonio di edilizia residenziale pubblica.
I predetti istituti, che li acquistano a valere su risorse proprie e con le agevolazioni previste per l'acquisto della prima casa di abitazione, provvedono a stipulare contratti di locazione a canone sostenibile con i mutuatari che occupano gli alloggi a titolo di abitazione principale. A tal fine la norma definisce canoni sostenibili i canoni di importo pari al 70% del canone concordato, e comunque non inferiore al canone di edilizia residenziale pubblica vigente in ciascuna regione e provincia autonoma.
Il canone corrisposto è computabile a parziale restituzione delle somme pagate dagli istituti per l'estinzione del mutuo relativo all'immobile e degli oneri accessori corrisposti.
Alla scadenza del contratto di locazione il mutuatario può altresì riacquistare l’immobile secondo le modalità stabilite dalle leggi regionali.
La sospensione delle procedure esecutive di sfratto è stata dapprima prorogata fino al 31 dicembre 2009 dall'articolo 23, comma 1, del D.L. 78/2009, successivamente al 31 dicembre 2010 dall'articolo 7-bis del D.L. 194/2009, al 31 dicembre 2011 dall'articolo 2, comma 12-sexies, del decreto-legge n. 225 del 2010, al 31 dicembre 2012 dall'articolo 29, comma 16, del D.L. 216/2011 e, infine, al 31 dicembre 2013 dall'art. 1, comma 412, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
Il 31 marzo 2008 a Parigi i Paesi membri del Bureau International des Expositions (BIE) hanno scelto Milano come sede dell'edizione 2015 dell'Expo che riguarderà il tema "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Il sindaco di Milano e il Presidente della Regione Lombardia sono stati nominati rispettivamente Commissario straordinario del Governo e Commissario generale fino al 31 dicembre 2016. Disposizioni concernenti l'Expo 2015 sono contenute in vari provvedimenti d'urgenza nonché, da ultimo, nella legge di stabilità 2013.
L’Expo 2015 è stata dichiarata “grande evento” con D.P.C.M. 30 agosto 2007 ai sensi dell’art. 5-bis, comma 5, del D.L. 343/2001.
In conseguenza dell’abrogazione - ad opera dell'articolo 40-bis del D.L. 1/2012 - del comma 5 dell'art. 5-bis del D.L. 343/2001, che consentiva al Dipartimento della protezione civile di operare anche con riferimento ai grandi eventi diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza, il D.L. 59/2012, che ha introdotto nuove disposizioni per il riordino della protezione civile, ha precisato che restano fermi gli effetti della dichiarazione di "grande evento" relativo a Expo 2015 (art. 3, comma 1).
L’art. 14 del decreto-legge 112/2008 ha nominato Letizia Moratti Commissario straordinario del Governo per l’attività preparatoria urgente.
A seguito delle dimissioni di Letizia Moratti, con D.P.C.M. 5 agosto 2011 sono stati nominati, fino al 31 dicembre 2016, Giuliano Pisapia Commissario straordinario del Governo e Roberto Formigoni Commissario generale per la realizzazione dell'Expo 2015.
Con il successivo D.P.C.M. 11 novembre 2011 è stato attribuito al Commissario generale il potere di nominare un Commissario Generale di Sezione per il Padiglione Italia, nomina successivamente effettuata con il D.P.C.M. 3 agosto 2012.
E’ stata prevista, inoltre, la possibilità di nomina, da parte del Commissario straordinario del Governo, di uno o più delegati per lo svolgimento di specifiche funzioni (art. 8, comma 2, del D.L. 83/2012).
Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012), all'articolo 1, comma 215, dispone che, per la realizzazione delle opere essenziali, la Società Expo possa avvalersi del Commissario liquidatore dell’Agenzia per i Giochi olimpici Torino 2006 e della relativa struttura tramite apposita convenzione che prevede il mero rimborso delle relative spese a carico della società e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
In attuazione del citato D.L. 112/2008 è stato emanato, il 22 ottobre 2008, il DPCM recante Interventi necessari per la realizzazione dell’Expo Milano 2015, poi integrato dal DPCM 1° marzo 2010. Il decreto ha istituito gli organi – tra i quali la Società di gestione Expo Milano 2015 S.p.A. (Soge) - che provvedono a porre in essere tutti gli interventi necessari per la realizzazione dell'Expo, vale a dire le opere essenziali e le attività di organizzazione e di gestione dell'evento (tali opere sono quindi indicate analiticamente nell’allegato 1 al decreto), nonché le opere connesse (descritte nell’allegato 2), secondo quanto previsto nel dossier di candidatura approvato dal BIE.
In data 1° dicembre 2008 è stato approvato anche lo statuto della Società Expo 2015 Spa, in adempimento di quanto previsto dall’art. 4 del citato DPCM.
Il D.L. 194/2009 (art. 9, comma 4-ter) haprevisto che la Società di gestione “EXPO 2015 S.p.A.” possa anche avvalersi degli enti fieristici, senza scopo di lucro, con sede in Lombardia e operativi a livello regionale, nei cui organi direttivi vi siano rappresentanti designati dagli enti locali interessati, ovvero delle persone giuridiche da questi controllate.
Con la mozione 1-00146, il cui dibattito si è concluso il 21 aprile 2009, la Camera ha impegnato il Governo a reperire per la realizzazione delle cosiddette opere connesse a Expo 2015, previa definizione di un ordine di priorità, la totalità delle risorse richieste per il completamento degli investimenti infrastrutturali previsti.
In merito alla realizzazione e al finanziamento delle opere connesse alla manifestazione “Expo Milano 2015”, si sono svolte, inoltre, le comunicazioni del Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti presso la Commissione lavori pubblici del Senato, nella seduta del 4 aprile 2012.
Nel corso della legislatura si sono susseguite varie disposizioni in ordine allo stanziamento delle risorse finanziarie per la realizzazione delle opere.
In primo luogo, l’art. 14 del decreto-legge 112/2008 ha previsto un’autorizzazione di spesa pari a 1.486 milioni di euro per il periodo 2009-2015 per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015.
L’art. 41, comma 16-quinquiesdecies, del D.L. 207/2008, ha autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze ad erogare, per l'esercizio 2009, a titolo di apporto al capitale sociale di EXPO 2015 S.p.A. fino a un massimo di 4 milioni di euro, a valere sulle risorse stanziate per il 2009 dall'art. 14, comma 1, del D.L. 112/2008. Con il citato comma è stato autorizzato il predetto apporto al capitale sociale della Soge, precisando che tale apporto è necessario per permettere lo svolgimento di tutte le attività indicate dal DPCM 22 ottobre 2008 e, in particolare, di quelle previste dall'art. 1, comma 3. Quest’ultimo dispone che gli interventi consistono in: opere di preparazione e costruzione del sito; opere infrastrutturali di connessione del sito stesso; opere riguardanti la ricettività; opere di natura tecnologica (denominate «opere essenziali») e le attività di organizzazione e di gestione dell'evento, secondo quanto previsto nel dossier di candidatura approvato dal BIE (allegato 1 al decreto stesso).
L'art. 54 del D.L. 78/2010 (come novellato dall'art. 56, comma 3, del D.L. 5/2012) ha previsto che per la prosecuzione, per gli anni 2010 e successivi, delle attività indicate al succitato articolo 41, comma 16-quinquiesdecies del D.L. 207/2008, fatto salvo il finanziamento integrale delle opere, può essere utilizzata, in misura proporzionale alla partecipazione azionaria detenuta dallo Stato, una quota non superiore all'11% delle risorse autorizzate dall'articolo 14, comma 1, del D.L. 112/2008, destinate al finanziamento delle opere delle quali la Società Expo 2015 S.p.a. è soggetto attuatore, ai sensi del D.P.C.M. 22 ottobre 2008, ferma restando la partecipazione pro quota alla copertura delle medesime spese da parte degli altri azionisti, a valere sui rispettivi finanziamenti.
Il comma 16-quater dell'articolo 2 del D.L. 225/2010 hatrasferito 4,5 milioni di euro per la prosecuzione delle attività di infrastrutturazione informatica necessarie per le attività degli uffici giudiziari e della sicurezza collegate allo svolgimento dell’EXPO Milano 2015 (tale autorizzazione, inizialmente concessa fino al 30 aprile 2011, è stata prorogata sino al 31 dicembre 2012 dall'art. 15, comma 8-bis del D.L. 216/2011). All’articolo 2, il comma 37, ha esteso alla provincia di Milano la disposizione di deroga ai vincoli del patto di stabilità interno introdotta in favore del comune di Milano dal comma 103 dell’articolo 1 della legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220/2010), con riferimento alle spese sostenute per gli interventi necessari per la realizzazione dell'Expo Milano 2015 per l'anno 2011.
L'art. 33, comma 37, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) ha previsto, in via straordinaria, per l'anno 2012, per la provincia ed il comune di Milano, l'attenuazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità.
Il D.L. 83/2012, all'articolo 8, comma 1, ha previsto una reintegrazione degli stanziamenti originariamente previsti dall'art. 14 del D.L. 112/2008 per la realizzazione delle opere e delle attività connesse; a tal fine è stata autorizzata la spesa complessiva di 28.421.967 euro nel periodo 2012-2015. Una quota di tali somme, pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, è destinata alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano per straordinari interventi conservativi e manutentivi del Duomo di Milano necessari anche in vista dello svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015.
Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012), all'articolo 1, comma 214 dispone che, in considerazione della rilevanza degli impegni assunti dall’Italia nei confronti del Bureau International des Expositions (BIE) per la realizzazione dell’Expo 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in luogo della riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 14 del decreto legge n. 112 del 2008 disposta in caso di scostamento finanziario riscontrato rispetto a quanto previsto, individui idonea compensazione, a decorrere dall’anno 2013, nell’ambito delle dotazioni finanziarie delle spese rimodulabili di cui all’art. 21, comma 5, lett. b), della legge n. 196 del 2009, all’interno del proprio stato di previsione ed entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità.
Si segnala, infine, nella seduta del CIPE dell'8 marzo 2013, sono stati assegnati 25,3 milioni di euro per l’acquisto di due nuovi treni destinati alla Linea 1 della metropolitana di Milano, al fine di fronteggiare le mutate condizioni di traffico in accesso alla Fiera di Milano dove si terrà l’EXPO 2015.
Le ordinanze n. 3900 e n. 3901 del 5 ottobre 2010, i cui effetti sono stati salvaguardati dal D.L. 59/2012, hanno previsto misure volte a consentire la realizzazione delle opere necessarie all’Expo 2015 secondo tempi certi. In particolare, il commissario straordinario delegato è autorizzato ad adottare tutti i provvedimenti necessari per assicurare la disponibilità delle aree individuate nel dossier di registrazione nei tempi richiesti dal Bureau International des Expositions (BEI), anche in deroga alla disciplina ordinaria. I provvedimenti del commissario sostituiscono ad ogni effetto di legge accordi, pareri, intese, nulla osta, autorizzazioni e concessioni o atti e provvedimenti di competenza di organi statali, regionali, provinciali e comunali. Le opere necessarie per la realizzazione del sito espositivo, individuate con apposito provvedimento commissariale, possono essere localizzate, approvate e dichiarate di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, anche se non incluse in atti di programmazione del comune di Milano e di altre amministrazioni interessate, con facoltà di deroga alla disciplina ordinaria. Nel caso di progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale (VIA) statale o regionale o relativi ad opere incidenti su beni sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), la procedura deve essere conclusa entro e non oltre 45 giorni dalla indizione della conferenza dei servizi e i termini previsti dal Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 152/2006) e dal Codice dei beni culturali sono ridotti della metà.
L’articolo 32, comma 17, del D.L. 98/2011, al fine di permettere la realizzazione delle opere “essenziali” dell’Expo 2015 indicate nell’Allegato 1 del D.P.C.M. 22 ottobre 2008, sostituito dall’Allegato 1 del D.P.C.M. 1 marzo 2010, consente una deroga, per determinati tratti ove particolari circostanze lo richiedano, alla disciplina delle distanze minime per l’edificazione del nastro stradale e per l’edificazione nei centri abitati previste dalla normativa vigente. La riduzione deve avvenire, secondo quanto stabilito dal comma 2-ter dell'articolo 8 del D.L. 83/2012, con apposito D.M. Infrastrutture, che deve individuare i tratti stradali oggetto di deroga e, in relazione ad essi, le distanze minime da osservare. Il comma 18 dell'articolo 32 del D.L. 98/2011 dispone, inoltre, l’applicazione delle disposizioni processuali previste per le controversie per le infrastrutture strategiche dall’art. 125 del D.Lgs. 104/2010 (cd. Codice del processo amministrativo).
L’art. 8, comma 2-bis, del D.L. 83/2012 ha fissato in trenta giorni non prorogabili il termine per l’espressione del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici sui progetti relativi alle opere necessarie all’evento Expo 2015 al fine di accelerarne la realizzazione; il termine è di trenta giorni non prorogabili anche nel caso in cui il parere venga espresso, per i lavori di importo inferiore a 25 milioni di euro, dai comitati tecnici amministrativi presso i servizi integrati infrastrutture e trasporti (SIIT).
Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012), all'articolo 1, comma 216, ha autorizzato la società Expo 2015 ad utilizzare le economie di gara nell’ambito del programma delle opere di cui la stessa Società è soggetto attuatore qualora si presentino particolari esigenze nella realizzazione delle stesse opere e al fine di accelerarne i tempi di esecuzione.
L'articolo 3-quinquies del D.L. 135/2009 ha introdotto alcune disposizioni volte a garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo Milano 2015, sulla falsariga di quanto già previsto per la ricostruzione in Abruzzo. A tal fine, è stato affidato al Prefetto della provincia di Milano il coordinamento delle attività finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento ed esecuzione dei contratti pubblici nonché nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche. In tale attività il Prefetto è supportato dal Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere, chiamato a elaborare apposite linee guida, che sono state pubblicate in data 19 aprile 2011.
E’ stata, altresì prevista la costituzione, presso la Prefettura di Milano, di elenchi di fornitori e prestatori di servizi, non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (cd. white list).
Con D.P.C.M. del 18 ottobre 2011 sono state, infine, definite le modalità attuative delle disposizioni volte a prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata nelle opere e negli interventi connessi allo svolgimento dell'EXPO Milano 2015.
Da ultimo, si segnala che, con legge n. 3/2013, è stato ratificato l’accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Bureau International des Expositions sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015, fatto a Roma l'11 luglio 2012.
Si tratta di un “accordo di sede” tra il Governo italiano e il BIE finalizzato a determinare i meccanismi che faciliteranno la partecipazione di Stati, Organizzazioni Internazionali, soggetti pubblici e privati di tutto il mondo all’Expo Milano 2015, anche garantendo loro le necessarie condizioni fiscali e operative secondo la prassi già invalsa in precedenti edizioni.
Nel corso della XVI legislatura, sono state approvate numerose modifiche al Codice dei contratti pubblici, in una prima fase, attraverso l'emanazione del terzo decreto correttivo del Codice e, in una seconda fase, ad opera di varie disposizioni contenute in provvedimenti d'urgenza, che ne hanno revisionato importanti aspetti. Ulteriori modifiche in materia di contratti pubblici, non comprese nel Codice, hanno riguardato le misure anticorruzione e antimafia e quelle volte a incidere sul contenzioso. Nel 2010 è stato, inoltre, adottato il Regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice, anch'esso interessato da un certo numero di modifiche.
Nel corso della XVI legislatura, la materia dei contratti pubblici, in cui sono ricompresi “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori,” è stata interessata da un consistente e continuo numero di modifiche normative.
In particolare, sono state approvate numerose modifiche al D.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), che sostanzialmente rappresenta il corpus normativo di riferimento unitario nella materia degli appalti pubblici e delle concessioni in recepimento delle direttive europee 17 e 18 del 2004, in una prima fase attraverso l’emanazione del d.lgs. 152/2008 (c.d. terzo correttivo) e, nella seconda fase, attraverso una serie di disposizioni inserite in diversi provvedimenti d’urgenza che sono stati emanati in successione negli ultimi diciotto mesi della legislatura tra i quali si segnalano, per la numerosità di modifiche, i decreti legge n. 70 e n. 201 del 2011, nonchéi decreti-legge n. 1 e 5 del 2012.
L’elevato numero di modifiche, che comunque non incide solo sul Codice, ha interessato molteplici ambiti della materia dei contratti pubblici, in taluni casi intervenendo anche in maniera frammentaria, e ha determinato un’elevata “instabilità” normativa a motivo di disposizioni novellate anche a distanza di pochi mesi.
Il D.Lgs. 152/2008 (c.d. terzo correttivo) ha introdotto alcune modifiche al Codice per esigenze di adeguamento alla normativa europea e anche per procedere ad aggiustamenti e semplificazioni. Le modifiche più rilevanti hanno riguardato: la disciplina della finanza di progetto (project financing), che viene sostanzialmente riscritta; la semplificazione delle procedure di gara; le opere di urbanizzazione a scomputo (opere indispensabili per urbanizzare l'area interessata all'intervento edilizio che il titolare del permesso di costruire si obbliga a realizzare direttamente); il sistema di qualificazione delle imprese per accedere agli appalti pubblici; la definizione di nuove modalità contrattuali, quali la locazione finanziaria (avente ad oggetto la prestazione di servizi finanziari e l'esecuzione di lavori) e i contratti di partenariato pubblico privato (aventi per oggetto prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un'opera pubblica, compreso in ogni caso il finanziamento a carico di privati).
Il decreto-legge 70/2011 si configura come il provvedimento con il quale sono state apportate le modifiche più numerose. L’articolo 4, infatti, reca un numero elevato di modifiche le cui finalità, secondo quanto dichiarato esplicitamente nella norma, sono quelle di: ridurre i tempi di costruzione delle opere pubbliche, soprattutto se di interesse strategico, semplificare le procedure di affidamento dei relativi contratti pubblici, garantire un più efficace sistema di controllo e ridurre il contenzioso.
Tra le più rilevanti modifiche introdotte dall'articolo 4, oltre a quelle che interessano più specificatamente Le infrastrutture strategiche al cui tema si rinvia, si segnalano: l’introduzione di un limite all’importo complessivo delle riserve, cioè le contestazioni dell’appaltatore, che non può in ogni caso superare il 20% dell’importo contrattuale; la definizione di un tetto di spesa per le varianti; la previsione di una dichiarazione dell'impresa ausiliaria attestante il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento messi a disposizione del partecipante alla gara.
Ulteriori modifiche riguardano i requisiti per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le procedure di gara e le misure antimafia (v. infra).
L'articolo 17 della legge 69/2009 ha introdotto alcune modifiche alla procedura di partecipazione alle gare dei consorzi. L'articolo 3 del D.L. 135/2009 ha poi introdotto ulteriori modifiche al Codice, volte ad abrogare quelle norme che prevedevano l'esclusione automatica dalle gare delle offerte provenienti da concorrenti legati tra loro da rapporti di controllo (art. 34, comma 2) in quanto, non permettendo alle imprese di dimostrare l'eventuale assenza del collegamento, contrastavano con i principi del diritto europeo.
L'articolo 4 (comma 2, lett. b e c) del D.L. 70/2011 ha modificato in più punti la disciplina dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, nonché per l’affidamento di subappalti, e delle cause di esclusione (di cui all’art. 38 del Codice). Ulteriori modifiche ai requisiti di partecipazione alle procedure di affidamento sono state introdotte dal D.L. 16/2012 al fine di non escludere dalle gare pubbliche il contribuente ammesso alla rateizzazione dei propri debiti tributari (art. 1, commi 5 e 6).
Il D.L. 70/2011 ha, inoltre, introdotto la tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare nonché la standardizzazione dei bandi e dei modelli di dichiarazione sostitutiva dei requisiti di partecipazione (art. 4, comma 2, lett. d ed h, del D.L. 70/2011).
Relativamente alle tipologie di soggetti partecipanti alle procedure di affidamento, nel corso della legislatura sono state adottate misure per favorire il coinvolgimento delle piccole e medie imprese (PMI), in linea con i più recenti orientamenti europei; in tal senso, l’introduzione di una norma di principio per le PMI volta a favorire la suddivisione degli appalti in lotti funzionali, purché tale frazionamento sia possibile ed economicamente conveniente (art. 44 del D.L. 201/2011), nonché le disposizioni dello Statuto delle imprese con norme relative agli appalti pubblici (art. 13, L. 180/2011). E' stato, altresì, previsto che i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali danon escludere le PMI (art. 1, comma 2, del D.L. 95/2012).
E’ stata inoltre, aggiunta un’ulteriore tipologia ai soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici: le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete (art. 36, comma 5-bis, lett. a, del D.L. 179/2012).
Da ultimo, è stata introdotta una fase di consultazione preliminare sul progetto a base di gara per i lavori di importo superiore a 20 milioni di euro da affidarsi con la procedura ristretta garantendo il contraddittorio tra le parti (art. 44, comma 8, del D.L. 201/2011).
Sono state, infine, disciplinate le procedure per la selezione di sponsor per interventi relativi ai beni culturali (art. 20, comma 1, lett. h, del D.L. 5/2012).
L'articolo 20, comma 1, lett.a), del D.L. 5/2012 ha disciplinato l’operatività della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), presso l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), attraverso la quale acquisire la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario richiesti per la partecipazione alle procedure disciplinate dal Codice. E' stata pubblicata sul sito dell'Autorità la deliberazione in attuazione della predetta norma.
L'art. 8 del D.L. 52/2012 ha, inoltre, abbassatoda 150.000 a 50.000 euro l’importo dei contratti per i quali devono essere osservati gli obblighi di comunicazione di dati ed informazioni da parte delle stazioni appaltanti all'Osservatorio dei contratti pubblici, che provvede a pubblicarli nel proprio portale per ragioni di trasparenza (art. 8). Ulteriori disposizioni sono volte a garantire la trasparenza degli appalti pubblici ai fini dell’attività di monitoraggio, analisi e valutazione della spesa pubblica attraverso la pubblicazione, da parte dell’Osservatorio, dei dati comunicati dalle stazioni appaltanti.
E’ stata, infine, prevista l’istituzione dell'Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (art. 33-ter del D.L. 179/2012).
L'articolo 4-quater del decreto-legge 78/2009 ha introdotto modifiche volte a semplificare alcune fasi delle procedure di gara e a ridurre i relativi tempi di svolgimento, sostanzialmente riguardanti la presentazione delle offerte e i tempi a disposizione delle amministrazioni per esprimere le proprie valutazioni sui progetti.
L'articolo 4 del D.L. 70/2011 ha modificato la disciplina dei contratti di importo inferiore alle soglie europee elevando da 500.000 a 1 milione di euro il limite di importo entro il quale è consentito affidare i lavori con la procedura negoziata senza bando prevedendo contestualmente l’aumento del numero minimo dei soggetti che devono essere obbligatoriamente invitati alla procedura (almeno 10 per i lavori di importo superiore a 500.000 euro, almeno 5 per i lavori di importo inferiore), nonché le modalità e i termini di pubblicazione dell’avviso sui risultati della procedura negoziata di affidamento. E’ stata, altresì, elevata da 1 a 1,5 milioni di euro la soglia di importo entro la quale è esperibile, per gli appalti di lavori, la procedura ristretta semplificata e da 500.000 euro a 1 milione di euro la soglia per l'applicazione della procedura negoziata nei lavori relativi ai beni culturali.
Relativamente alle fasi di progettazione negli appalti di lavori pubblici, è stata prevista la possibilità di omettere uno dei primi due livelli di progettazione, ossia la progettazione preliminare e definitiva, a condizione che il successivo livello contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso e che siano garantiti la qualità dell'opera, la conformità alle norme ambientali ed urbanistiche, nonché il soddisfacimento dei requisiti essenziali definiti dal quadro normativo nazionale ed europeo (art 52, comma 1, del D.L. 1/2012).
L'art. 33-quater del D.L. 179/2012 ha introdotto alcune modifiche al Codice riguardanti le garanzie di buona esecuzione.
Si dispone, infatti, la riduzione dal 25 al 20 per cento della quota dell’importo della garanzia non svincolabile in corso di esecuzione del contratto e, conseguentemente, l’incremento dal settantacinque all’ottanta per cento di quella svincolabile.
Viene introdotta, inoltre, una procedura specifica volta allo svincolo della garanzia laddove, qualora l’opera sia concretamente messa in esercizio, non intervenga lo svincolo a causa della mancata approvazione formale del collaudo.
La disciplina dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP), che comprendono prestazioni di lavori o servizi con finanziamenti totali o parziali a carico dei soggetti privati, è stata oggetto di numerose modifiche volte a proprio a stimolare il ricorso a capitali privati. Rientrano in tale ambito tutte le modifiche alla disciplina delle concessioni di lavori, della locazione finanziaria, nonché dell’affidamento di lavori mediante finanza di progetto (project financing).
Per quanto riguarda la finanza di progetto, è stata inserita una nuova procedura per incentivare la partecipazione del capitale privato per le opere non presenti nella programmazione triennale dei lavori pubblici (o negli strumenti di programmazione approvati dalle amministrazioni aggiudicatrici sulla base della normativa vigente), provvedendo anche all’estensione del campo di applicazione alla locazione finanziaria (anche detta leasing in costruendo) (art. 4, comma 2, lett. q, del D.L. 70/2011). E' stato, altresì, introdotto l'obbligo di indire sempre la conferenza di servizi preliminare nella procedura di finanza di progetto (art. 3, comma 1, del D.L. 83/2012). Nell’ambito della medesima procedura viene previsto che la redazione dello studio di fattibilità da porre a base di gara sia effettuata dal personale delle amministrazioni aggiudicatrici, eccetto i casi di carenza in organico di personale avente i necessari requisiti professionali per la predisposizione dello studio nei quali si può fare ricorso a soggetti esterni (art. 3, comma 2, del D.L. 83/2012).
E' stata, altresì, introdotta una nuova fattispecie contrattuale di partenariato pubblico privato (PPP), il contratto di disponibilità, mediante il quale sono affidate, a rischio e a spesa dell'affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell'amministrazione aggiudicatrice di un'opera di proprietà privata destinata all'esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo (art. 44 del D.L. 1/2012; art. 4-bis del D.L. 83/2012).
L’articolo 42, commi 1-5, del D.L. 201/2011 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina delle concessioni di lavori pubblici finalizzate, in particolare, a consentire una maggiore flessibilità nell’utilizzo della cessione di immobili nell’affidamento delle concessioni, nonché ad anticipare l’afflusso dei proventi della gestione e a ridurre l’onerosità finanziaria dell’operazione. Di particolare rilevanza la norma recata dal comma 4, che ha previsto la possibilità di fissare un periodo massimo di 50 anni per le nuove concessioni di importo superiore a un miliardo di euro (in luogo del limite di 30 anni previsto in precedenza) al fine di consentire il rientro del capitale investito e l’equilibrio economico-finanziario dell’operazione.
Ulteriori disposizioni in materia di concessioni sono state dettate dagli articoli 50 e 55 del D.L. 1/2012 per assicurare adeguati livelli di bancabilità dell’opera, nonché per integrare la disciplina del subentro di un nuovo soggetto, nel caso di risoluzione del rapporto concessorio, e quella della cessione degli immobili.
Nel corso della legislatura, sono state adottate alcune disposizioni volte a incentivare il ricorso all’aggregazione delle stazioni appaltanti in considerazione della loro numerosità, anche per finalità di razionalizzazione degli acquisti pubblici e di contenimento della spesa pubblica.
In primo luogo, l’art. 23, commi 4 e 5, del D.L. n. 201/2011, ha introdotto l’obbligo per i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti ricadenti nel territorio di ciascuna provincia di affidare ad un'unica centrale di committenza l'acquisizione di lavori, servizi e forniture nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici. Tali disposizioni si applicheranno alle gare bandite successivamente al 31 marzo 2013 (art. 29, comma 11-ter, del D.L. 216/2011).
E’ stata poi consentita la costituzione di stazioni uniche appaltanti (v. infra).
Ulteriori disposizioni sono inoltre contenute nei due decreti legge sulla spending review, che hanno introdotto norme volte ad agevolare il ricorso agli acquisti elettronici della pubblica amministrazione (artt. 9, 10 e 11 del D.L. 52/2012).
Da ultimo, il D.L. 95/2012, all'art. 1, comma 4, permette ai Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti - in alternativa all’affidamento obbligatorio ad un’unica centrale di committenza - di utilizzare gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da altre centrali di committenza di riferimento, comprese le convenzioni Consip, nonché il mercato elettronico delle P.A. Il comma 2-bis reca, inoltre, una serie di modifiche al Codice rivolte sostanzialmente alle procedure di gararealizzate in forma aggregata dalle centrali di committenza.
Per una disamina delle disposizioni concernenti la spending review si rinvia al tema Il controllo della spesa e la spending review.
Dopo oltre quattro anni dall'emanazione del Codice dei contratti pubblici è stato pubblicato il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, recante il relativo regolamento di attuazione ed esecuzione.
Tra le novità più significative del Regolamento si segnalano: la regolamentazione della verifica del progetto da parte di strutture interne o esterne alla stazione appaltante; la disciplina del sistema sanzionatorio nei confronti delle Società Organismi di Attestazione (SOA), con la previsione di sanzioni pecuniarie e interdittive sia per la violazione di obblighi informativi, sia per la violazione degli obblighi inerenti l'attività di qualificazione; l'implementazione del casellario informatico; la regolamentazione della garanzia globale di esecuzione, che consiste nella garanzia fideiussoria di buon adempimento e nella garanzia di subentro ed è obbligatoria “per gli appalti di progettazione esecutiva ed esecuzione di lavori di ammontare a base d'asta superiore a 75 milioni di euro, per gli affidamenti a contraente generale di qualunque ammontare, e, ove prevista dal bando o dall'avviso di gara, per gli appalti di sola esecuzione di ammontare a base d'asta superiore a 100 milioni di euro”.
Il Regolamento è stato oggetto di modifiche da parte di alcuni decreti-legge. L’articolo 4, comma 15, del decreto-legge 70/2011 ha apportato una serie di modifiche riguardanti: gli studi di fattibilità per le opere strategiche; il limite del divieto di partecipazione al capitale delle SOA; le norme transitorie per la vigenza delle attestazioni e/o dei relativi importi rilasciate nella vigenza del D.P.R. 34/2000, riguardante l’istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici; il rilascio dei certificati di esecuzione dei lavori per talune categorie. Sulle norme transitorie ha inciso, da ultimo, il D.L. 73/2012 che ha prorogato ulteriormente l'entrata in vigore delle norme che disciplinano la qualificazione delle imprese esecutrici di lavori pubblici e la garanzia globale di esecuzione.
L’articolo 46 del D.L. 1/2012 ha rinviato al Regolamentola definizione di ulteriori modalità attuative del dialogo competitivo, istituto introdotto nel Codice in attuazione della direttiva comunitaria 2004/18/CE e che è una procedura nella quale la stazione appaltante, in caso di appalti particolarmente complessi, avvia un dialogo con i candidati ammessi, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità.
Con l'articolo 20 del D.L. 5/2012 è stata, inoltre, rivisitata, in termini semplificatori, la disciplina relativa alla qualificazione delle imprese che hanno eseguito lavori all’estero.
Il Regolamento è stato modificato anche dall'articolo 12 del D.L. 52/2012 che ha previsto che, nel caso di contratti pubblici relativi a lavori aggiudicati con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’apertura dei plichi contenenti le offerte tecniche da parte della Commissione giudicatrice sia effettuata in seduta pubblica, al fine di procedere alla verifica della presenza dei documenti prodotti.
Per una descrizione dettagliata della struttura del Regolamento, delle sue disposizioni nonché di tutte le modifiche adottate nel corso della legislatura si rinvia alla scheda di approfondimento Il regolamento del Codice dei contratti pubblici.
L’articolo 3 della L. 136/2010 (Piano straordinario contro le mafie) ha introdotto norme volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche. Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, gli strumenti di pagamento devono riportare, in relazione a ciascuna transazione posta in essere dalla stazione appaltante e dagli altri soggetti di cui al comma 1 (gli appaltatori, i subappaltatori e i subcontraenti della filiera delle imprese nonché i concessionari di finanziamenti pubblici), il codice identificativo di gara (CIG), attribuito dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici su richiesta della stazione appaltante e, ove obbligatorio, il codice unico di progetto (CUP).
L’articolo 4, comma 13, del D.L. 70/2011 ha previsto, inoltre, l’istituzione, presso ogni prefettura, di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso (cd. white list), ai quali possono rivolgersi gli esecutori di lavori pubblici, servizi e forniture.
Si segnala, infine, che – in attuazione dell’articolo 13 della legge n. 136/2010 – è stato emanato il D.P.C.M. 30 giugno 2011, finalizzato a promuovere l’istituzione in ambito regionale di una o più stazioni uniche appaltanti (S.U.A.), al fine di assicurare la trasparenza, la regolarità e l’economicità della gestione dei contratti pubblici e di prevenire il rischio di infiltrazioni mafiose.
Si ricorda, infine, che la normativa generale su documentazione antimafia, informazioni e comunicazioni, (libro II, Capi I, II, III e IV) è contenuta nel Codice della leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto legislativo n. 159 del 2011). Per una descrizione del contenuto del Codice si rinvia alla scheda di approfondimento D.Lgs 159/2011 - Codice antimafia.
Ulteriori disposizioni sono contenute nella legge 190/2012, recante misure anticorruzione, per il cui contenuto si rinvia alla scheda di approfondimento Legge 190/2012 - Misure anticorruzione nella p.a.
In attuazione della cd. “direttiva ricorsi” (dir. 2007/66/CE) è stato adottato il d.lgs. n. 53 del 2010, che ha riformato la disciplina del contenzioso in materia di appalti pubblici rafforzando gli strumenti di definizione delle liti alternativi al processo, in particolare attraverso misure volte ad agevolare il ricorso all’accordo bonario e la conferma dell’arbitrato quale sistema preferenziale di risoluzione delle controversie negli appalti pubblici.
Il D.L. 70/2011 ha, inoltre, introdotto importanti modifiche alla disciplina dell’accordo bonario, di cui all'art. 240 del Codice, per un verso attraverso l'esclusione dell'applicazione di tale disciplina ai contratti affidati a contraente generale, e per l'altro, attraverso la previsione di un limite ai compensi della commissione chiamata a formulare la proposta di accordo bonario (art. 4, comma 2, lett. gg, del D.L. 70/2011).
E' stato, altresì, previsto un disincentivo in termini di sanzioni pecuniarie per le cosiddette "liti temerarie". Si prevede, infatti, che - nei giudizi in materia di contratti pubblici per lavori, servizi e forniture - il giudice condanni d’ufficio la parte soccombente al pagamento di una sanzione pecuniaria di importo compreso tra il doppio e il triplo del contributo unificato dovuto per il ricorso introduttivo del giudizio quando la decisione è fondata su ragioni manifeste od orientamenti giurisprudenziali consolidati (art. 4, comma 2, lett. ii).
Da ultimo, il D.L. 1/2012 ha previsto l'istituzione del Tribunale delle impreseestendendo la sfera di competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale anche alle controversie relative ai contratti pubblici qualora sussista la competenza del giudice ordinario (art. 2).
Per una descrizione delle tematiche connesse alla giustizia amministrativa e al Codice del processo amministrativo si rinvia al tema Giustizia amministrativa.
Sui decreti-legge
Sul D.lgs. 152/2008
Sul D.lgs. 53/2010
Dati e relazioni
Siti Web
Dopo oltre quattro anni dall'emanazione del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163), sul S.O. n. 270 della G.U. del 10 dicembre 2010 è stato pubblicato il D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, recante il relativo regolamento di attuazione.
All'interno di tale nuovo regolamento sono state trasfuse, con alcuni adattamenti, le norme del precedente regolamento sui lavori pubblici (D.P.R. 554/1999) e del regolamento sul capitolato generale d’appalto (D.M. 145/2000), dei due regolamenti di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici (D.P.R. 34/2000 e D.M. 27 maggio 2005 sul contraente generale), nonché del regolamento sulle procedure telematiche di acquisto per l'approvvigionamento di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche (D.P.R. 101/2002).
Sul piano sistematico il nuovo Regolamento consta di 359 articoli, strutturati in sette parti che seguono, in linea di massima, l’ordine espositivo del Codice dei contratti pubblici. Lo completano 15 allegati.
La parte I reca le disposizioni comuni (per i contratti relativi a lavori, servizi e forniture) con l’individuazione delle norme riconducibili alla competenza statale esclusiva e concorrente tra Stato e Regioni (art. 1). Considerata la specificità della disciplina per i lavori relativi alle infrastrutture strategiche (parte II, titolo III, capo IV), viene anche definito l’ambito di applicazione del regolamento a tali lavori (art. 2). Seguono le definizioni (art. 3), le disposizioni a tutela dei lavoratori e il durc (artt. 4, 5, 6), la regolamentazione del sito informatico presso l’Osservatorio (art. 7) che, insieme al sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, viene individuato quale sede per la pubblicazione telematica degli avvisi e dei bandi di gara, nonché del casellario informatico (art. 8).
La parte II disciplina la regolamentazione degli appalti dei lavori nei settori ordinari con una serie di norme che segue l’evoluzione temporale dell’opera: dall’individuazione del responsabile del procedimento (artt. 9 e 10) alla programmazione dei lavori (artt. 11-13), alla disciplina dei contenuti dello studio di fattibilità (art. 14), alla progettazione e verifica del progetto (artt. 15-59), al sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori e per i contraenti generali e al sistema delle garanzie, compresa l’introduzione della garanzia globale di esecuzione (60-146), all’esecuzione dei lavori (artt. 147-177), alla contabilità (artt. 178-214), sino al collaudo (artt. 215-238) e ai lavori riguardanti i beni del patrimonio culturale (artt. 239-251).
La parte III è specificamente dedicata ai contratti pubblici relativi a servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria. Analogamente alle disposizioni relative agli appalti dei lavori nei settori ordinari, vengono disciplinate le varie fasi procedimentali distinguendo le disposizioni generali (artt. 252-260) dalle procedure di affidamento dei servizi attinenti l’architettura e l’ingegneria (artt. 261-267) fino alle garanzie richieste (artt. 268-270).
La parte IV disciplina per la prima volta a livello regolamentare i contratti pubblici relativi a servizi e forniture nei settori ordinari. Le norme riguardano la programmazione (artt. 271-274), i requisiti di partecipazione, i sistemi di realizzazione e i criteri di selezione delle offerte (artt. 275-286), la disciplina di nuovi istituti quali l’accordo quadro e le aste elettroniche (artt. 287-296), le modalità di esecuzione del contratto e della verifica di conformità (artt. 297-325), nonché i procedimenti di acquisizione di servizi e forniture sotto soglia e in economia (artt. 326-338).
La parte V introduce la disciplina regolamentare applicabile ai settori speciali, non prevista dal precedente DPR n. 554/1999 che riguardava solo i settori ordinari. Anche se consta di soli quattro articoli (artt. 339-342), essa fornisce chiarimenti sui requisiti per la qualificazione in tali settori ed indica le norme del Regolamento applicabili anche ai settori speciali.
La parte VI contiene le norme sui contratti eseguiti all’estero in attuazione della legge 26 febbraio 1987, n. 49 “Nuova disciplina della cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo”, nonché le disposizioni relative ai lavori su immobili all’estero ad uso dell’amministrazione del Ministero degli affari esteri (artt. 343-356).
La parte VII reca le norme transitorie, quelle abrogate e l’entrata in vigore (artt. 357 e 359). In particolare l’art. 357 sulle norme transitorie reca una serie di disposizioni di raccordo sui vari istituti (progettazione, verifica di progetto, garanzia globale, esecuzione e contabilità, ecc.).
Il Regolamento di attuazione comprende anche 15 allegati (A, B, B1, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N, O, P) che contengono l’elenco delle categorie delle opere generali e specializzate e stabiliscono, tra l’altro, le formule per il calcolo della valutazione economicamente più vantaggiosa nei vari settori. Gli allegati sono elencati di seguito.
Allegato A (Categorie di opere generali e specializzate) riguarda la qualificazione degli esecutori di lavori nelle categorie di opere generali, individuate con l’acronimo “OG”, elencate da “OG1” a “OG13”, e nelle opere specializzate, individuate con l’acronimo “OS”, elencate da “OS1” a “OS35”.
Allegato B (Schema certificato esecuzione dei lavori) riproduce lo schema del certificato di esecuzione dei lavori.
Allegato B.1 (Schema certificato esecuzione lavori ex art. 357, commi 14 e 15, del regolamento di cui all’ art. 5 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) riguarda lo specifico caso, previsto dal regime transitorio, di lavori i cui bandi, avvisi o inviti, riportino categorie OG 10, OG 11, OS 7, OS 8, OS 12, OS 18, OS 20, OS 21 di cui all’allegato A del DPR n. 34/2000, e OS 2, individuata ai sensi del DPR n. 34/2000 e rilasciata con le modalità di cui al DM 3 agosto 2000, n. 294, come modificato dal DM 24 ottobre 2001, n. 420.
Allegato C (Corrispettivi e oneri per le attività di qualificazione) composto dalla parte I, relativa ai criteri di determinazione del corrispettivo spettante alle SOA per le attività di qualificazione, e dalla parte II, relativa ai criteri per la determinazione degli oneri per le attività di qualificazione a contraente generale.
Allegato D (Incremento convenzionale premiante) è riferito alla determinazione dell’incremento percentuale premiante nell’ambito degli esecutori di lavori.
Allegato E (Domanda di qualificazione a contraente generale) riporta lo schema di domanda di qualificazione come contraente generale.
Allegato F (Esperienza dei direttori tecnici, dei responsabili di cantiere o dei responsabili di progetto, acquisita in qualità di responsabile di cantiere e di progetto) è riferito alla dichiarazione, richiesta nell’ambito della qualificazione come contraente generale, delle esperienze professionali maturate in qualità di responsabile di progetto o di cantiere.
Allegato G (Contratti relativi a lavori: metodi di calcolo dell’offerta economicamente più vantaggiosa) riporta i differenti metodi di calcolo utilizzabili per la determinazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’affidamento di lavori.
Allegato H (Schema di garanzia globale di esecuzione) riproduce lo schema di garanzia globale che il contraente ha l’obbligo di presentare prima della stipulazione del contratto.
Allegato I (Valutazione delle proposte progettuali nei concorsi di progettazione) indica i criteri di valutazione delle proposte progettuali nei concorsi di progettazione.
Allegato L (Criteri per l’attribuzione dei punteggi per la scelta dei soggetti da invitare a presentare offerte) reca i criteri per la selezione delle offerte nel caso di procedura ristretta per l’affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura.
Allegato M (Contratti relativi a servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria:metodi di calcolo dell’offerta economicamente più vantaggiosa) è riferito all’attribuzione dei punteggi ed ai metodi di calcolo da utilizzare per la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura.
Allegato N (Curriculum vitae) riporta lo schema di curriculum vitae per l’affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura di importo inferiore a 100.000 euro.
Allegato O (Scheda referenze professionali) reca lo schema delle referenze professionali per l’affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura di importo inferiore a 100.000 euro.
Allegato P (Contratti relativi a forniture e a altri servizi: metodi di calcolo per l’offerta economicamente più vantaggiosa) indica i differenti metodi di calcolo per determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa nei contratti di servizi e forniture.
Numerose sono le novità introdotte dal nuovo Regolamento, tra le più significative si segnalano:
- un’articolata disciplina del casellario informatico istituito presso l’Osservatorio dei contratti pubblici dall’art. 7, comma 10, del Codice. Esso è articolato in tre distinte sezioni relative all’esecuzione dei lavori, alla fornitura di prodotti e alla prestazione di servizi. La sezione relativa ai lavori viene a sua volta suddivisa in due subsezioni che riguardano rispettivamente le imprese in possesso dell’attestazione SOA e le imprese che ne sono sprovviste. Molto nutrito è l’insieme dei dati da inserire per le imprese che sono in possesso della qualificazione SOA (art. 8);
- un ampliamento dei compiti delRup (responsabile del procedimento per la realizzazione dei lavori pubblici) soprattutto in tema di sicurezza, attraverso l’attribuzione dell’elaborazione del documento di valutazione dei rischi (se non è previsto il piano di sicurezza e coordinamento) e dell’obbligo di verifica del versamento degli oneri per la sicurezza da parte dell’appaltatore al subappaltatore. In merito ai requisiti soggettivi, viene rimosso il limite dimensionale dell’ambito territoriale (comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti), ammettendo l’attribuzione delle funzioni di Rup in capo al responsabile dell’ufficio tecnico, purché l’importo dei lavori non superi 500.000 euro (artt. 9 e 10);
- una definizione più analiticadeilivelli di progettazione (in particolare la preliminare e la definitiva) con particolare riferimento alle relazioni tecniche ed agli elaborati, accanto alla facoltà, in capo al responsabile del procedimento, di valutare la necessità di integrare o ridurre, in rapporto alla tipologia dell’intervento, i livelli di definizione ed i contenuti della progettazione salvaguardandone la qualità, anche al fine di una semplificazione dei diversi livelli progettuali (art. 15, comma 3). L’introduzione, all’interno della progettazione esecutiva, di un nuovo documento chiamato “quadro di incidenza della manodopera” che deve indicare il costo del lavoro, destinato ad assumere un rilievo fondamentale ai fini della verifica di congruità dell’offerta presentata dall’impresa (art. 39, comma 3) e la conferma, sancita dall’art. 43, della valenza contrattuale del Capitolato generale;
- maggiori responsabilitàe garanziedei soggetti incaricati dell’attività di verifica. Diventa, infatti, obbligatorio verificare la congruità del progetto rispetto agli obiettivi e ai prezzi indicati in tutti i livelli di progettazione, ma contestualmente viene ribadito il principio (già richiamato con riferimento all’art. 15, comma 3, per la progettazione) secondo cui il livello di approfondimento delle verifiche può essere semplificato o integrato dalla stazione appaltante in relazione alla complessità dell’opera e, nella stessa ottica di semplificazione, vengono introdotte anche verifiche a campione (art. 54). Le verifiche spettano, a determinate condizioni, direttamente ai tecnici pubblici accreditati (se non coinvolti nella progettazione stessa) o alle società del settore, nonché anche ai liberi professionisti e società di ingegneria con strutture interne separate e certificate. Infine, sono introdotte nuove responsabilità nei confronti del soggetto verificatore per non aver rilevato le lacune progettuali, che prevedono il risarcimento dei danni subiti dalla stazione appaltante e l’esclusione per tre anni dalle attività di verifica (artt. 44-59);
- un sistema di qualificazione unico per tutti gli esecutori di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro, attraverso norme volte a potenziarne la trasparenza sia attraverso un inasprimento delle sanzioni pecuniarie ed interdittive nei confronti delle SOA e delle imprese qualora queste ultime abbiano alterato il gioco della libera concorrenza attraverso l’esibizione di documenti falsi o semplicemente nascondendo condanne subite (artt. 73 e 74), che attraverso la loro immediata entrata in vigore (dal 25 dicembre 2010). Vengono potenziati anche gli strumenti dicontrollo in capo all’Autorità, con la facoltà di sospendere o annullare le attestazioni rilasciate dalle SOA ed anche di revocare l’autorizzazione, in caso di accertate irregolarità, illegittimità e illegalità commesse dalle SOA nel rilascio delle attestazioni stesse. Vengono, infine, richiesti maggiori requisiti alle SOA, tra i quali l’aumento del capitale sociale a 1.000.000 di euro e la certificazione dei propri bilanci (artt. 60 e segg.);
- l’individuazione, da parte dell’Autorità, delle informazioni che devono essere riportate nel certificato SOA, ai fini di una maggiore chiarezza del contenuto dello stesso certificato rispetto al curriculum dell’impresa (art. 89);
- sempre in tema di qualificazione, l’introduzione di due nuove classifiche intermedie nel mercato dei lavori pubblici, la III-bis, fino a 1,5 milioni di euro, e la IV-bis fino a 3,5 milioni di euro, che rendono più facile l’accesso alle piccole e medie imprese. L’inserimento ex novo della categoria OS35 che riguarda la «costruzione e la manutenzione di qualsiasi opera interrata mediante l’utilizzo di tecnologie non invasive», la cd. tecnologia “no-dig” e la rivisitazione dialcune specialistiche già esistenti attraverso il loro sdoppiamento (art. 61 e allegato A);
- in tema di finanza di progetto, l’individuazione di requisiti del proponente diversi per la proposta rispetto a quelli per l’assegnazione della concessione, nonché delle caratteristiche dell’attività di asseverazione (art. 96);
- l’inserimento, con gli opportuni adattamenti, della normativa di dettaglio già contenuta nel DM del 27 maggio 2005 sul sistema di qualificazione dei contraenti generali qualificati sulla base di tre classifiche (350, 700 e oltre 700 milioni di euro) e l’estensione dell’istituto di carattere generale dell’avvalimento anche alla figura del contraente generale (artt. 97-104);
- il consistente ampliamento dellecategorie cd. “superspecialistiche”, ovvero le categorie di opere relative a strutture, impianti e opere generali e speciali caratterizzate da lavorazioni che richiedono un particolare contenuto tecnologico o una rilevante complessità tecnica e che possono essere eseguite solo dalle imprese in possesso della relativa qualificazione e che quindi costringono all’associazione temporanea con le imprese in possesso delle stesse (art. 107);
- una disciplina dettagliata del nuovo istituto introdotto dal Codice del dialogo competitivo, precisando anche che gli enti appaltanti devono indicare nel bando i requisiti di qualificazione di cui devono essere in possesso gli operatori economici che intendono partecipare al dialogo competitivo (artt. 113 e 114);
- risolvendo una questione che ha dato luogo a diversi orientamenti giurisprudenziali, viene sancito che il soggetto competente a verificare le offerte anomale nella stazione appaltante è il responsabile del procedimento (art. 121);
- una disciplina di dettaglio delle forme di garanzie cui sono tenuti gli esecutori di lavori e delle polizze assicurative di cui gli stessi si devono munire (artt. 123-128);
- la regolamentazione della disciplina della garanzia globale di esecuzione (cd. performance bond) introdotta dalla legge n. 415/1998 (cd. Merloni-ter) la cui applicazione è però differita a decorrere dall’8 giugno 2012. Essa diventa obbligatoria per gli affidamenti a contraente generale di qualunque importo e per gli appalti di progettazione esecutiva e di lavori oltre 75 milioni di euro, e, ove prevista dal bando o dall'avviso di gara, per gli appalti di sola esecuzione di ammontare a base d'asta superiore a 100 milioni di euro. Tale tipo di garanzia dovrebbe espletare una essenziale funzione di selezione qualitativa delle imprese, ai fini dell'accesso alle gare, e consentire alle stazioni appaltanti o ai soggetti aggiudicatori di conseguire, in caso di inadempienza grave delle imprese esecutrici, non già il mero risarcimento economico, ma la stessa realizzazione sollecita dell'opera, che costituisce l'obiettivo primario delle stazioni appaltanti e dei soggetti aggiudicatori (artt. 129 e segg.);
- norme più stringenti per iritardi nei pagamenti recependo, ed estendendoli a tutte le stazioni appaltanti, i contenuti del capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici di cui al DM 19 aprile 2000, n. 145 (artt. 142 e segg.);
- l’ammissione della sospensionedei lavori solo per fatti non prevedibili al momento della stipulazione del contratto in caso di difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell’esecutore (art. 159);
- l’introduzione della disciplina di dettaglio dell’appalto integrato sulla base del progetto preliminare con alcune norme che ne delineano il modello di funzionamento (art. 168);
- il recepimento della circolare del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti n. 871 del 4 agosto 2005 in tema di adeguamento dei prezzi dei materiali da costruzione, con previsione della compensazione – in aumento o in diminuzione – per la percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse accantonate per gli imprevisti (art. 171);
- l’introduzione di una disciplina semplificata per la contabilità e la liquidazione di lavori realizzati in amministrazione diretta fino a 20.000 euro e mediante cottimo fiduciario fino a 40.000 euro (art. 210);
- in relazione al collaudo, l’ampliamento dell’elenco dei documenti da fornire all’organo di collaudo (art. 217) e un certificato di collaudopiù dettagliato (art. 229), nonché la facoltà della stazione appaltante di non conferire l’incarico di collaudo (per lavori di importo fino a un milione di euro), sostituendolo con un certificato di regolare esecuzione dei lavori (art. 237);
- per gli interventi sui beni tutelati, l’esplicitazione dei contenuti di dettaglio delle indagini e della documentazione dei diversi livelli di progettazione, tra i quali la scheda tecnica all’interno della progettazione preliminare, al fine di tener conto della specificità dei lavori sui beni culturali (artt.242-246);
- per le gare per i servizi di architettura e ingegneria, l’introduzione del ricorso esclusivo al criterio dell’offertaeconomicamente più vantaggiosa e, per contrastare il problema dei cd. maxiribassi, l’introduzione di due meccanismi: la scelta del vincitore deve essere in base alle modalità di calcolo indicate nell’allegato M che dà più peso ai ribassi medi e disincentiva gli sconti eccessivi; i ribassi proposti dai concorrenti debbono avvenire nel rispetto del limite massimo fissato dalla stazione appaltante nel bando di gara (art. 266);
- l’introduzione, per la prima volta, di una programmazione (facoltativa) anche per gli appalti di forniture e di servizi (art. 271) al fine di garantire, anche in tale settore, una razionale e preventiva organizzazione delle attività, prendendo a riferimento – pur con i necessari adattamenti – la normativa dei lavori pubblici. Anche per tali tipologie di appalti viene istituita la figura del responsabile del procedimento, definendone i compiti e le relative attività, e viene introdotto l’istituto della finanza di progetto con alcune modifiche procedurali, quali la scelta del concessionario mediante gara informale (artt. 273, 274 e 278). Inoltre viene prevista un’articolata disciplina dei nuovi istituti dell’accordo quadro e dell’asta elettronica (artt. 287- 296);
- l’introduzione di norme specifiche per i settori speciali (il DPR n. 554/1999 si occupava solo dei settori ordinari) che forniscono chiarimenti sulle norme del nuovo Regolamento applicabili anche a tali settori e norme sui requisiti per la qualificazione (artt. 339 e 340), confermando l’impostazione del Codice che ha previsto una disciplina generale per tutti i contratti pubblici e norme specifiche e derogatorie per i settori speciali in ragione della loro peculiarità, al fine di coniugare l’esigenza di tutelare la concorrenza con quella di semplificare le procedure. In merito alla qualificazione, l’unico articolo che la disciplina (art. 340), dispone che la qualificazione venga normata dagli stessi enti aggiudicatori dei settori speciali, non dal sistema SOA, indicando solamente, a titolo esemplificativo, alcuni possibili requisiti di qualificazione il cui comune denominatore è quello di una contestualizzazione all’interno dello specifico settore nel quale opera l’ente aggiudicatore. La specificità dei settori speciali, tuttavia, non può essere utilizzata per restringere in modo ingiustificato la concorrenza stabilendo dei requisiti eccessivamente penalizzanti e, conseguentemente, viene precisato che i requisiti e la durata del periodo rilevante per la loro dimostrazione sono fissati nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza.
L’art. 1 del Regolamento autodetermina il suo ambito applicativo con specifico riferimento al profilo della ripartizione di competenze legislative tra Stato e Regioni.
Viene stabilito che il Regolamento, in quanto recante la disciplina esecutiva e attuativa della materia dei contratti pubblici, si applica integralmente alle amministrazioni e agli enti statali.
Le regioni a statuto ordinario e le altre amministrazioni a esse equiparate sono tenute ad applicare le norme del Regolamento attuative di profili che, ai sensi del Codice dei contratti, rientrano in ambiti riservati alla legislazione esclusiva dello Stato. Si tratta, nella sostanza, della maggior parte degli ambiti, dato che la ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni contenuta nell’art. 4 del Codice risulta fortemente a favore del primo.
Si tratta, ai sensi dell’art. 4, comma 3, del Codice, dei profili relativi a: qualificazione e selezione dei concorrenti, procedure di affidamento (esclusi i profili di organizzazione amministrativa), criteri di aggiudicazione, subappalto, poteri di vigilanza sul mercato affidati all’Autorità dei contratti pubblici, progettazione e piani di sicurezza, stipulazione ed esecuzione dei contratti, a eccezione dei profili di organizzazione e contabilità amministrativa, contenzioso. Va ricordato che tali ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato sono confermati dalla Corte costituzionale (si segnalano, tra le altre, la sentenza n. 401/2007 e sentenza n. 45/2010) che ha riconosciuto sostanziale legittimità al riparto di competenze operato dal Codice.
Conseguentemente alle Regioni e agli enti ad esse equiparati è applicabile la maggior parte delle disposizioni del Regolamento, mentre esse possono dettare una disciplina diversa unicamente nelle norme riconducibili al profilo dell’organizzazione amministrativa, comprese quelle relative alla nomina e composizione delle commissioni di gara.
Pertanto, le norme regolamentari non applicabili alle Regioni sono quelle relative:
- agli organi del procedimento e alla programmazione;
- alla nomina dei membri della commissione giudicatrice nel caso di ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e della commissione chiamata a valutare la congruità delle offerte sospette di anomalia;
- alla nomina e alle funzioni del responsabile del procedimento relativamente all’affidamento dei servizi di ingegneria;
- alla nomina della commissione giudicatrice per l’affidamento dei suddetti servizi di ingegneria;
- alla programmazione e agli organi del procedimento relativamente ai contratti da affidare nell’ambito di settori speciali;
- alla programmazione dei contratti relativi alla cooperazione all’estero.
Tuttavia, le norme elencate trovano applicazione anche alle Regioni in via transitoria, cioè fino a quando le medesime Regioni non avranno adeguato la propria legislazione ai principi desumibili dal Codice dei contratti (comma 4).
Per quanto riguarda l’ambito applicativo per i contratti delle infrastrutture strategiche il Regolamento precisa, innanzitutto, all’articolo 2, che le norme sulla qualificazione dei contraenti generali si applichino esclusivamente ai contratti relativi alla realizzazione delle infrastrutture strategiche.
Alle infrastrutture strategiche si applicano inoltre una serie di norme del Regolamento quali:
- le norme relative alla tutela dei lavoratori, alla regolarità contributiva e al sito informatico presso l’Osservatorio dei lavori pubblici;
- le norme sul responsabile del procedimento e sulla programmazione;
- le disposizioni sul sistema di qualificazione e sui requisiti per gli esecutori di lavori;
- le disposizioni in tema di sistemi di realizzazione e selezione delle offerte;
- le norme relative alle garanzie e al sistema di garanzia globale;
- le disposizioni in tema di contratto, riguardanti alcune norme relative ai pagamenti e alle penali;
- le norme sui beni del patrimonio culturale qualora tali beni rientrino tra gli interventi relativi alle infrastrutture strategiche;
- le disposizioni relative ai servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria;
- le disposizioni transitorie e le abrogazioni.
È invece demandata agli enti aggiudicatori, che ne devono dare evidenza nel bando di gara, la scelta se applicare agli interventi relativi alle infrastrutture strategiche le norme relative all’esecuzione,alla contabilità e al collaudo dei lavori.
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Ai sensi dell’art. 359, la maggior parte delle disposizioni del regolamento è entrata in vigore 180 giorni dopo la pubblicazione (8 giugno 2011).
Quindici giorni dopo la pubblicazione, il 25 dicembre 2010, sono invece entrate in vigore le sanzioni per le imprese e per le SOA contenute negli articoli 73 e 74.
Diversi termini temporali sono stati previsti per specifiche norme. Tali termini, nella maggior parte dei casi, sono stati superati. Fanno eccezione le norme relative al termine della possibilità per il contraente generale di dimostrare i requisiti tecnici attraverso le attestazioni SOA nelle classifiche illimitate, in luogo dei certificati dei lavori (31 dicembre 2013) e al termine entro il quale le unità tecniche delle amministrazioni pubbliche possono validare i progetti solo se munite di un sistema di controllo interno (8 giugno 2014), nonché alcune norme contenute nel D.L. 73/2012 (vedi infra).
L'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) ha approvato, in data 15 marzo 2011, un regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio nei confronti delle SOA al fine di definire: le modalità di svolgimento della fase istruttoria, i termini di conclusione del procedimento, nonché i criteri di determinazione delle sanzioni pecuniarie e dei periodi di sospensione dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di attestazione.
Nella stessa data l'AVCP ha anche emanato la determinazione n. 1 del 2011 con cui ha fornito ulteriori chiarimenti sull'applicazione delle sanzioni amministrative alle SOA previste dall’art. 73 del Regolamento ed alla quale sono allegate le linee guida operative che delineano le fattispecie sanzionabili più rilevanti e ne specificano l'entrata in vigore .
L'art. 73 è stato successivamente novellato dall'art. 20, comma 3, lett. a), del D.L. 5/2012, che ha previsto che la sanzione della sospensione dell’autorizzazione all'esercizio dell'attività di attestazione, aggiuntiva a quella pecuniaria, siaprevista unicamente per violazioni commesse, secondo valutazione da parte dell’Autorità, con dolo o colpa grave.
Con la successiva Determinazione 6 aprile 2011, n. 3, l'AVCP ha fornito chiarimenti in ordine all'applicazione delle sanzioni alle imprese previste dall'art. 74 del Regolamento.
In merito alle attività delle SOA, l'AVCP ha inoltre emanato, in data 21 dicembre 2011, un regolamento in materia di procedimento previsto dall’art. 75 del D.P.R. 207/2010 e le rispettive linee guida (contenute nel comunicato alle SOA n. 70/2011).
Si tratta del procedimento finalizzato all’acquisizione, da parte della SOA richiedente, del nulla osta a richiedere la documentazione e gli atti utilizzati da altre SOA per comprovare il possesso dei requisiti per il rilascio dell’attestazione, nonché per le connesse verifiche a carico della SOA richiedente, volte a verificare che l’attestazione oggetto di accertamento sia stata rilasciata in conformità alle disposizioni relative ai requisiti di qualificazione contenute nel D.P.R. 207/2010, e per i consequenziali provvedimenti previsti dal medesimo art. 75.
Con il comunicato 6 agosto 2011, recante "Modalità di dimostrazione dei requisiti di cui agli articoli 78 e 79 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207", l'AVCP ha esaminato in modo dettagliato ognuno dei requisiti (sia di ordine generale che di ordine speciale, disciplinati rispettivamente dagli artt. 78 e 79 del Regolamento) per la qualificazione, individuando per ciascuno di essi le corrette modalità operative cui devono attenersi le imprese in sede di istanza di attestazione e le SOA in sede di verifica degli stessi.
Con l'art. 20, comma 3, lett. b), del D.L. 5/2012, si è invece provveduto alla riscrittura dell’art. 84 del Regolamento, a fini di semplificazione della disciplina relativa alla qualificazione delle imprese che hanno eseguito lavori all’estero, ma con sede legale in Italia.
Con l'art. 4, comma 15, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (convertito dalla L. 106/2011), sono state apportate numerose novelle puntuali al Regolamento. In particolare, la lett. c), n. 2), ha prorogato dal 181° giorno al 366° giorno dall’entrata in vigore del Regolamento (e quindi fino all'8 giugno 2012) i termini contemplati – dal primo e dal secondo periodo del comma 12 dell’art. 357 del Regolamento - per la vigenza delle attestazioni e/o dei relativi importi rilasciate nella vigenza del D.P.R. 34/2000.
Si ricorda che l’art. 358 ha previsto l’abrogazione, a decorrere dall’8 giugno 2011 (data di entrata in vigore del Regolamento), del D.P.R. 34/2000 (“Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, ai sensi dell'articolo 8 della L. 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”). Tuttavia l’art. 357 dispone, al comma 12, che le attestazioni rilasciate nella vigenza del D.P.R. 34/2000 conservano validità fino alla loro naturale scadenza (che di norma è pari a 5 anni, ai sensi dell’art. 15, comma 5, del D.P.R. n. 34).
Il n. 2-bis) della lett. c) ha previsto che i certificati di esecuzione dei lavori, relativi alla categoria OS 20 (rilevamenti topografici) di cui all'Allegato A del D.P.R. 34/2000, sono utilizzabili ai fini della qualificazione nella categoria OS 20-A di cui all’allegato A del Regolamento e che le attestazioni relative alla categoria OS 20, rilasciate nella vigenza del D.P.R. n. 34, possono essere utilizzate ai fini della partecipazione alle gare in cui è richiesta la qualificazione nella categoria OS 20-A di cui all'allegato A al Regolamento.
La lett. c), nn. 3) e 4), non si limita ad adeguare i termini a quelli nuovi previsti al comma 12 (come invece fanno i successivi nn. da 5 a 9), ma integra il disposto dei commi 14 e 15 dell’art. 357 del Regolamento in merito al rilascio dei certificati di esecuzione dei lavori laddove comprendano lavorazioni della categoria OG 10 (Impianti per la trasformazione alta/media tensione e per la distribuzione di energia elettrica in corrente alternata e continua ed impianti di pubblica illuminazione) e OS 35 (Interventi a basso impatto ambientale) di cui all’allegato A del Regolamento che elenca le “Categorie di opere generali e specializzate”.
Si ricorda che la categoria “OS35 - Interventi a basso impatto ambientale” riguarda “la costruzione e la manutenzione di qualsiasi opera interrata mediante l’utilizzo di tecnologie di scavo non invasive” (cd. tecnologia “no-dig”) e comprende in via esemplificativa le perforazioni orizzontali guidate, con l’eventuale riutilizzo e sfruttamento delle opere esistenti, nonché - sulla base della novella recata dalla lett. d-bis) - l’utilizzo di tecnologie di video-ispezione, risanamento, rinnovamento e sostituzione delle sottostrutture interrate ovvero di tecnologie per miniscavi superficiali.
I termini contemplati dai commi 12, 14, 15, 16, 17, 22, 24 e 25 dell'art. 357 del Regolamento, prorogati dal comma 15 del D.L. 70/2011, sono stati poi ulteriormente prorogati (fino al 5 dicembre 2012), dall'art. 1, comma 3, del decreto-legge 6 giugno 2012, n. 73.
Tale comma 3 non si è tuttavia limitato ad una semplice proroga dei termini, ma a provveduto a riscrivere i commi 12 e 14 dell'art. 357 del Regolamento e ad aggiungervi un comma 12-ter e un comma 14-bis, al fine di disciplinare:
Il comma 2 dell’art. 1 del D.L. 73/2012 ha inoltre disposto la proroga di un anno (vale a dire fino all’8 giugno 2013) del termine di entrata in vigoredelle disposizioni in materia di garanzia globale di esecuzione recate dalla parte II, titolo VI, capo II, del D.P.R. 207/2010.
La lettera d) del comma 3 dell'art. 1 del medesimo decreto-legge n. 73 ha aggiunto un comma 21-bis,all’art. 357 del D.P.R. 207/2010, in base al quale, in sede di verifica triennale dell’attestazione SOA, si prevede, in via transitoria fino al 31 dicembre 2012, una maggiore tolleranza (dal 25% al 50%) nella verifica dell’attestato SOA relativamente alla congruità (prevista dall’art. 77, comma 6) tra cifra di affari in lavori, costo delle attrezzature tecniche e costo del personale dipendente. Tale termine è stato prorogato di un anno, cioè fino al 31 dicembre 2013, dall'art. 33-quinquies del D.L. 179/2012.
L’articolo 33-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, ha aggiunto un comma 19-bis all'art. 357 del Regolamento, in base al quale, fino al 31 dicembre 2015, ai fini della qualificazione degli esecutori dei lavori, per la dimostrazione, da parte dell’impresa, del requisito della cifra d'affari realizzata con lavori svolti mediante attività diretta ed indiretta, il periodo di attività documentabile è quello relativo ai migliori cinque annidel decennio antecedente la data di pubblicazione del bando.
Ulteriori disposizioni hanno modificato il Regolamento; tra le più significative si elencano le seguenti.
L'art. 4, comma 15, lett. a), del D.L. 70/2011, ha modificato l’art. 2, comma 1, del Regolamento, inserendovi una nuova lettera b-bis) che dispone l’applicabilità ai contratti relativi alle opere strategiche dell’art. 14 del Regolamento che disciplina il contenuto degli studi di fattibilità.
La successiva lettera a-bis) è invece volta a sopprimere il comma 2 dell’art. 16 del Regolamento ai sensi del quale l'importo dei lavori a misura, a corpo ed in economia deve essere suddiviso in importo per l'esecuzione delle lavorazioni ed importo per l'attuazione dei piani di sicurezza.
Le lettere a-ter) e a-quater) hanno il fine di ricomprendere le categorie dei lavori pari a 20 milioni di euro nell’ambito delle quali individuare le strutture preposte alla verifica tecnica dei progetti, mentre la successiva lettera a-quinquies), che sostituisce l’ultimo periodo dell’articolo 92, comma 2 del Regolamento, ha disposto che, nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara.
La lettera b) del medesimo comma 15limita il divieto di partecipazione al capitale sociale di una SOA, posto in capo ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici, solamente ai soggetti ammessi a partecipare alle procedure per l’affidamento dei contratti pubblici relativi a lavori.
La lettera c), n. 1, specifica che resta ferma la validità dei contratti già stipulati e da stipulare, per la cui esecuzione è prevista nel bando o nell'avviso di gara ovvero nella lettera di invito la qualificazione in una o più categorie di cui al D.P.R. 34/2000.
L’art. 12 del decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52 (convertito dalla L. 94/2012), ha introdotto alcune novelle al Regolamento (per la precisione agli artt. 120 e 283) al fine di stabilire che, nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche l’apertura delle buste contenenti le offerte tecniche debba avvenire in seduta pubblica. Tale disposizione si applica anche alle gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012 (data di entrata in vigore del D.L. 52/2012).
La XVI legislatura è stata caratterizzata da importanti modifiche alla disciplina sulle concessioni autostradali, a partire dall'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. e l'introduzione di un nuovo sistema tariffario. Con il D.L. 98/2011, inoltre, si è proceduto ad un generale riassetto delle funzioni di gestione della rete stradale e autostradale, nell'ambito del quale era stata prevista l'istituzione (mai avvenuta) di una Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali.
Al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione C(2006) 2006/2419, secondo la quale il Governo italiano aveva imposto unilateralmente - con l'introduzione di una convenzione unica - un nuovo contratto alle concessionarie stradali, senza fornire motivazioni circa gli scopi perseguiti né orientamenti sulle modalità di applicazione del nuovo meccanismo, l'art. 8-duodecies del D.L. 8 aprile 2008, n. 59 ha modificato la disciplina sulle concessionarie autostradali (recata dall’art. 2, commi 82-90, del D.L. 262/2006), in modo da escludere l'applicazione unilaterale delle relative convenzioni da parte del Governo e i rischi di retroattività.
Il citato art. 8-duodecies ha inoltre disposto l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali con la società ANAS S.p.A. alla data di entrata in vigore del decreto n. 59.
Tale disposizione è stata successivamente novellata dall’art. 2, comma 202, della legge finanziaria 2010 (L. 191/2009), che ha esteso l'approvazione di tutti gli schemi di convenzione a quelli già sottoscritti entro il termine del 31 dicembre 2009 (ulteriormente differito al 31 luglio 2010 dall’art. 47 del D.L. 78/2010), subordinatamente alla condizione che gli schemi recepiscano le raccomandazioni richiamate dalla delibera CIPE di approvazione.
Con una norma di interpretazione autentica, avente efficacia retroattiva, è stato poi previsto che il mancato adeguamento dei concessionari alle prescrizioni espresse dal CIPE sui relativi schemi di convenzione comportasse la caducazione dell'approvazione ex lege delle convenzioni medesime e il conseguente riavvio dell'ter di approvazione (art. 47 del D.L. 78/2010).
Con un’altra novella al medesimo articolo 8-duodecies, lo stesso comma 202 ha disposto che, per le tratte autostradali in concessione con scadenza entro il 31 dicembre 2014, l'Anas S.p.A., entro il 31 marzo 2010, avviasse le procedure ad evidenza pubblica per l'individuazione dei nuovi concessionari.
Un ulteriore intervento sulla disciplina delle convenzioni è stato recato dall’art. 43, commi 1-4, del D.L. 201/2011, che ha previsto la semplificazione della procedura di approvazione degli aggiornamenti o revisioni delle convenzioni relative alle concessioni autostradali. Nel nuovo iter procedurale non è più prevista l’acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari e, nel caso disciplinato dal comma 2 (aggiornamenti o revisioni che non comportano variazioni al piano degli investimenti o ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica), anche di quello del CIPE. Il parere del CIPE non viene previsto nemmeno nel comma 3, che disciplina il caso in cui l’aggiornamento o la revisione riguardi concessioni i cui schemi di atti aggiuntivi sono già stati sottoposti al parere del CIPE alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201.
L'articolo 3-ter del D.L. 135/2009 ha introdotto alcune modifiche al comma 289 dell'articolo 2 della legge finanziaria 2008 (L. 244/2007) con cui, nel corso della XV legislatura, è stato introdotto nell’ordinamento nazionale il c.d. federalismo infrastrutturale.
Il citato comma 289 ha dettato infatti una norma che, per la realizzazione di infrastrutture autostradali previste dagli strumenti di programmazione vigenti, consentiva il trasferimento, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, delle funzioni e dei poteri di soggetto concedente ed aggiudicatore ad un soggetto di diritto pubblico appositamente costituito in forma societaria e partecipato dall’ANAS e dalle regioni interessate o da soggetto da esse interamente partecipato.
La novella apportata dal suddetto articolo 3-ter ha limitato la costituzione di società miste Anas-regioni, da una parte, alla sola realizzazione di infrastrutture autostradali di esclusivo interesse regionale, interamente ricadenti nel territorio di competenza di una singola regione e, dall'altra, alle sole funzioni di concedente escludendo quelle di concessionario.
L'art. 8-duodecies del D.L. 59/2008, oltre alle citate disposizioni modificative della disciplina delle convenzioni, ha introdotto un nuovo meccanismo di adeguamento tariffario che lega la variazione dei pedaggi - da una parte - al tasso di inflazione effettiva dell'anno precedente (fissandolo al 70% di quest'ultima) e - dall'altra - alla remunerazione degli investimenti.
Il successivo decreto-legge n. 185/2008, che ha introdotto un pacchetto di norme finalizzate al blocco e alla riduzione delle tariffe autostradali, ha previsto, all’art. 3, la possibilità di estendere il nuovo sistema tariffario, su richiesta, a tutte le società concessionarie.
Relativamente al contenuto principale del citato pacchetto di norme “blocca tariffe”, esso in particolare ha previsto, ferma restando la piena efficacia e validità delle previsioni tariffarie contenute negli atti convenzionali vigenti, la sospensione fino al 30 aprile 2009 sia degli incrementi tariffari autostradali relativi all’anno 2009 che la riscossione dell'incremento del sovrapprezzo sulle tariffe di pedaggio autostradali previsto dall'art. 1, comma 1021, della legge finanziaria 2007 (poi abrogato dal comma 9-bis dell’art. 19 del D.L. 78/2009).
L'articolo 15, commi 1-5, del decreto legge n. 78 del 2010 ha successivamente previsto alcune modifiche al sistema di pedaggiamento, finalizzate alla riduzione dei trasferimenti statali all’Anas:
In tema di pedaggiamento si segnalano le disposizioni recate dall’art. 36 del D.L. 98/2011 che hanno affidato all’Agenzia per le infrastrutture (v. infra) una competenza di carattere propositivo in ordine alla regolazione e alle variazioni tariffarie per le concessioni autostradali secondo i criteri e le metodologie stabiliti dalla competente Autorità di regolazione dei trasporti (v. infra), alla quale è demandata la loro successiva approvazione.
Il D.L. 98/2011, all'articolo 36, commi 1-10, ha introdotto un’articolata disciplina volta a ridefinire l’assetto delle funzioni e delle competenze in materia di gestione della rete stradale e autostradale di interesse nazionale, per un verso, attraverso l’istituzione (a decorrere dal 1° gennaio 2012) dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e, per l’altro, la conseguente ridefinizione delle funzioni di ANAS S.p.A.
Il comma 4 dell’art. 36 prevedeva, infatti, il subentro dell’Agenzia ad Anas S.p.A. nelle funzioni di concedente per le convenzioni in essere e in tutti gli atti convenzionali con le società regionali, nonché con i concessionari autostradali. L’operatività di tale subentro era stata prorogata al 30 settembre 2012 (termine ultimo per l’istituzione effettiva dell’Agenzia, v. infra) dal comma 78, lettera b), dell’art. 12 del D.L. 95/2012. Entro la stessa data (per quanto previsto dal comma 79, lettera b), dell’art. 12 del medesimo D.L. n. 95) l’Anas avrebbe dovuto trasferire a Fintecna S.p.A. tutte le partecipazioni detenute in società co-concedenti, vale a dire quelle società regionali partecipate al 50% dall’Anas e costituite (nella forma della S.p.A.) in attuazione delle norme sul federalismo infrastrutturale introdotto dal comma 289 dell’art. 2 della L. 244/2007. La disposizione relativa al citato trasferimento è stata successivamente abrogata dall’art. 34, comma 14, lett. b), del D.L. 179/2012.
In merito alla ridefinizione delle competenze operata dal D.L. 98, l’art. 36, comma 3, del D.L. 1/2012 è intervenuto affidando:
Nelle more dell’adozione dello statuto della nuova Agenzia, l’art. 11, comma 5, del D.L. 216/2011 (come novellato dall'art. 12, comma 78, lett. a), del D.L. 95/2012) ha previsto, in caso di mancata adozione entro il 30 settembre 2012 dello statuto e del D.P.C.M. di individuazione delle unità di personale da trasferire all'Agenzia, la soppressione dell'Agenzia stessa e il trasferimento al MIT, a decorrere dal 1° ottobre 2012, delle attività e dei compiti già attribuiti alla medesima.
Nonostante l’ottenimento del parere favorevole delle competenti commissioni parlamentari sullo schema di statuto (atto del governo 471), il Governo non ha provveduto all’emanazione nel termine previsto. Scaduto il termine, e quindi considerata soppressa l’Agenzia, con il decreto 1° ottobre 2012, n. 341, il MIT ha provveduto all’istituzione della Struttura di vigilanza sulle concessionarie autostradali, cui sono state affidate le funzioni indicate dalle lettere b)-f) del comma 2 dell’art. 36, del D.L. 98/2011, che inizialmente erano state affidate all’Agenzia.
In conseguenza del generale riassetto di funzioni, i commi 6 e 9 dell’art. 36 del D.L. 98/2011, come modificati dal comma 180 dell’art. 1 della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), prevedono:
Un altro intervento di carattere regolatorio è stato poi operato con l’istituzione dell'Autorità di regolazione dei trasporti (da parte dell’art. 37 del D.L. 201/2011, successivamente novellato dall’art. 36 del D.L. 1/2012), cui sono stati affidati importanti compiti di regolazione del settore autostradale, ma che non risulta ancora operativa perché non si è ancora proceduto alla nomina dei suoi tre componenti.
Nell’ottica di garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza, l'efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e non discriminatorie a tutte le infrastrutture di trasporto, la lettera g) del comma 2 dell’art. 37 del D.L. 201 prevede, con particolare riferimento al settore autostradale, che l’Autorità provveda:
Per una descrizione complessiva delle funzioni dell’Autorità si rinvia al tema Autorità di regolazione dei trasporti.
Il contratto di programma è l’atto che regola i rapporti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, amministrazione concedente, e l’ANAS S.p.A., società concessionaria, in ordine agli investimenti per la realizzazione di nuove opere e la manutenzione della rete stradale di interesse nazionale.
Nel biennio 2010-2011 sono stati assegnati complessivamente 598 milioni di euro per i due contratti di programma di ANAS relativi al 2010 e 2011 e destinati principalmente ad opere di manutenzione straordinaria dalla delibera CIPE 6 dicembre 2011, n. 84.
Il CIPE, con delibera n. 32/2012 del 23 marzo 2012, ha, inoltre, assegnato all’ANAS, per il finanziamento del Contratto di programma, annualità 2012, l’importo di 300 milioni di euro, mentre con la delibera n. 67/2012, ha espresso parere favorevole sull’atto aggiuntivo al Contratto di programma MIT-ANAS 2011 “Parte investimenti” e “ Parte servizi.
Con i commi 11 e 12 dell’articolo 34 del D.L. 179/2012 sono state dettate disposizioni finalizzate a sbloccare risorse finanziarie da destinare all’ANAS, per un verso, autorizzando la società ad utilizzare le giacenze dell’ex Fondo centrale di garanzia (soppresso dal comma 1025 dell’art. 1 della L. 296/2006) nel limite di 400 milioni di euro, dall’altro autorizzando il Ministero dell’economia e delle finanze - nelle more del completamento dell’iter delle procedure contabili relative alle spese di investimento sostenute da ANAS S.p.A. nell’ambito dei contratti di programma per gli anni 2007, 2008 e 2009 - a corrispondere all’ANAS somme conservate in bilancio, nel conto dei residui, per l’anno 2012.
L’art. 1, comma 179, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), ha autorizzato la spesa di 300 milioni di euro per il 2013, al fine di assicurare la prosecuzione dei lavori in corso e la continuità della manutenzione straordinaria della rete stradale inseriti nel contratto di programma tra il MIT e l’ANAS.
Da ultimo, nella sedute del 18 febbraio 2013 il CIPE ha adottato una delibera sostitutiva della delibera n. 68/2012, di approvazione del Contratto di programma ANAS S.p.A., annualità 2012, con assegnazione in via definitiva della somma di 300 milioni di euro, mentre nella successiva seduta dell’8 marzo 2013 lo stesso Comitato ha assegnato 50 milioni di euro al “Contratto di Programma ANAS - annualità 2012” a valere sul “Fondo revoche” (previsto dall’art. 32, comma 6, del D.L. 98/2011, su cui confluiscono le quote “non utilizzate” dei finanziamenti assegnati dal CIPE per la realizzazione del Programma delle infrastrutture strategiche).
Ulteriori disposizioni relative ad ANAS riguardano, infine, la disciplina contabile applicabile a contributi in conto capitale concessi alla stessa ANAS (art. 4, comma 19, del D.L. 70/2011) e l’assunzione di personale da adibire ai servizi di sicurezza e di polizia stradale (art. 55, comma 1-quater, del D.L. 1/2012).
Nel corso della legislatura, sono state adottate varie disposizioni che hanno inciso sulla percentuale minima di affidamento dei lavori a terzi nelle concessioni.
Da ultimo, l’articolo 4 del D.L. 83/2012 ha ulteriormente elevato dal 50 al 60% la percentuale minima che i titolari di concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva, sono tenuti ad affidare a terzi.
L’art. 43, comma 5, del D.L. 201/2011 ha novellato l’art. 8-duodecies del D.L. 59/2008, aggiungendovi un comma 2-ter in base al quale i contratti di concessione di costruzione e gestione e di sola gestione nel settore stradale e autostradale sono affidati secondo le procedure previste dagli artt. 144 (per l’affidamento di concessioni) o 153 (project financing) del D.Lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), che fanno rinvio alle procedure di evidenza pubblica.
L’art. 23, commi 10 e 11, del D.L. 98/2011 ha limitato all’1 per centola deducibilità degli accantonamenti per spese di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili e per spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, nei confronti delle imprese concessionarie di costruzione e gestione di autostrade e trafori.
Nel corso della seconda fase della legislatura, la disciplina dei contratti di partenariato pubblico privato (PPP), che comprendono prestazioni di lavori o servizi con finanziamenti totali o parziali a carico dei soggetti privati, è stata oggetto di numerose modifiche volte a proprio a stimolare il ricorso a capitali privati.
Le nuove misure varate, che riguardano tra l’altro gli strumenti di finanziamento e le concessioni di lavori pubblici, sono suscettibili di incidere anche sulla realizzazione delle infrastrutture stradali e autostradali .
Per una descrizione di tali misure si rinvia al tema Codice dei contratti pubblici.
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Nel corso della XVI legislatura, il Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta "legge obiettivo") è stato aggiornato su base annuale in concomitanza con la trasmissione dei documenti di programmazione economica e finanziaria al Parlamento e, da ultimo, con il 10° Allegato infrastrutture. Nel contempo, la Commissione ambiente della Camera ha proseguito la sua attività di monitoraggio sull'attuazione della "legge obiettivo" che si è tradotta nella presentazione di rapporti annuali, l'ultimo dei quali (7° Rapporto) è stato presentato nel mese di dicembre 2012. Nel corso della legislatura, inoltre, diversi interventi normativi, prevalentemente contenuti in provvedimenti d'urgenza, hanno innovato la disciplina delle infrastrutture strategiche relativamente alla fase della programmazione, dell'approvazione dei progetti, anche con finalità di accelerazione delle proedure di realizzazione delle opere.
Gli interventi in materia di infrastrutture, definiti sostanzialmente nell'ambito del Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) previsto della cosiddetta “legge obiettivo” (legge n. 443 del 2001), riguardano, per la quasi totalità dei progetti, le opere di realizzazione delle reti di trasporti europee (TEN-T) e dei corridoi paneuropei.
A partire dal 2003, il Governo trasmette al Parlamento informazioni circa lo stato di attuazione della “legge obiettivo”, in cui sono elencate le infrastrutture strategiche, in un allegato ai documenti programmatici di economia e finanza (cd. “Allegato infrastrutture”). Tali documenti hanno mutato denominazione nel corso della legislatura e, sulla base delle modifiche introdotte dalla L. 39/2011, si chiamano ora documenti di economia e finanza (DEF) e definiscono la programmazione economica e finanziaria nell’ambito della nuova procedura del “semestre europeo”.
Con successive risoluzioni 6-00004 dell’8 luglio 2008, 6-00028 del 29 luglio 2009, 6-00051 del 13 ottobre 2010, 6-00080 del 28 aprile 2011, 6-00092 dell' 11 ottobre 2011 e 6-00019 del 26 aprile 2012, sono state individuate, tra l'altro, talune priorità ed è stata richiamata l’esigenza di potenziamento della dotazione infrastrutturale dell'Italia.
Il 10° Allegatoinfrastrutture alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF) 2013-2015, trasmesso alle Camere il 1° ottobre 2012, reca l’ultimo aggiornamento dello stato di attuazione del PIS. In proposito, la Tabella 0 Programma delle Infrastrutture Strategiche contiene l’elenco di tutti gli interventi compresi nel PIS ed il relativo quadro finanziario (costo, disponibilità e fabbisogno residuo) aggiornato al mese di giugno 2012. Il costo totale delle opere indicato dalla Tabella 0 è pari a 235,3 miliardi di euro, di cui disponibili 96,6 miliardi.
L'Allegato reca, inoltre, gli esiti della due diligence sullo stato di avanzamento e sull’effettiva valenza strategica degli interventi, nonché una tabella che riporta gli impatti del PIS sul Programma nazionale di riforma (PNR) e le priorità da finanziare nel triennio 2013-2015. Si ricorda, infatti, che il PNR ha, da un lato, la funzione di verificare – in termini di effetti, portata e conformità con gli obiettivi europei - le riforme messe in campo dopo l’approvazione del PNR dell'anno precedente, e, dall’altro, costituisce un’agenda di interventi funzionali al conseguimento degli obiettivi della Strategia Europa 2020 e all’attuazione degli indirizzi di policy che le istituzioni europee hanno diretto all’Italia.
Con riferimento alla programmazione, infine, in linea con il dettato dell’art. 41 del D.L. 201/2011 (v. infra), l'Allegato fornisce elementi di informazione in ordine alle reti di trasporto transeuropee, ai fondi europei e al nuovo quadro strategico delle priorità in cui un ruolo rilevante è attribuito, tra l'altro, ai porti e agli aeroporti.
A partire dal 2004, il Servizio Studi della Camera, per conto della Commissione ambiente, svolge una costante attività di monitoraggio sull'attuazione della "legge obiettivo", che si traduce nella presentazione di rapporti annuali alla medesima Commissione.
A partire dal 2010 è stata avviata una collaborazione con l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) con l'obiettivo di svolgere una ricostruzione dello stato di attuazione delle opere rientranti nel Programma deliberate dal CIPE e di monitorare nel tempo lo stato di avanzamento dei lavori.
La settima edizione del Rapporto è stata presentata all'VIII Commissione ambiente nel mese di dicembre 2012 e reca l'analisi dello stato di attuazione del Programma riferito al 30 settembre 2012, che - sulla base della ricostruzione del monitoraggio - contempla un numero di opere maggiore rispetto a quelle elencate nei documenti programmatici trasmessi dal Governo in quanto sono ricomprese opere riportate nei precedenti allegati e non confermate nel 10° Allegato.
L’analisi prende in considerazione, pertanto, 1.341 lotti, tra opere, interventi, sottointerventi e ulteriori dettagli, relativi alle 390 opere, il cui costo complessivo presunto di realizzazione è pari a 374,8 miliardi di euro. Rispetto all’universo delle opere comprese nel PIS il valore delle 190 opere deliberate dal CIPE, ovvero con progetto preliminare o progetto definitivo e quadro finanziario approvati, è di 142,5 miliardi di euro, pari al 38% del costo dell’intero Programma. L’analisi dei costi e delle disponibilità finanziarie, che valuta complessivamente i finanziamenti pubblici e privati disponibili, evidenzia come, rispetto all’intero Programma, le disponibilità finanziarie ammontano a 155,2 miliardi di euro. Tali risorse consentono, quindi, una copertura finanziaria pari al 41% del costo dell’intero Programma; il fabbisogno residuo ammonta a 219,6 miliardi (59%).
Quanto all’impatto del Programma sul territorio il Rapporto evidenzia che la distribuzione dei costi dell’intero Programma per macroaree, a distanza di poco più di un anno dall’ultimo monitoraggio, continua a confermare una maggiore concentrazione nelle 12 regioni del Centro Nord, pari a 225 miliardi di euro contro i 147 del Mezzogiorno.
L’analisi dei dati relativi all’avanzamento programmatorio e finanziario rilevato negli ultimi due monitoraggi (6° e 7° Rapporto) fa emergere una particolare attenzione per le infrastrutture da realizzare con i capitali privati, in quanto, sul totale dei circa 375 miliardi di euro del costo presunto complessivo delle infrastrutture del PIS, quelle per le quali è prevista una contribuzione privata valgono oltre 70 miliardi, pari a poco meno del 20% del costo dell’intero Programma. Emerge, inoltre, una nuova attenzione per le infrastrutture volte a migliorare l’offerta trasportistica nel Mezzogiorno, riunite nel Piano Nazionale per il Sud (PNS).
Il 7° Rapporto si compone di tre volumi recanti rispettivamente: a) la Nota di sintesi del Rapporto e alcuni focus tematici dedicati a specifici approfondimenti; b) lo stato di attuazione del Programma; c) una tabella che elenca gli interventi monitorati e i relativi dati. Completano il rapporto le schede delle opere deliberate dal CIPE che sono contenute nel sistema SILOS (Sistema informativo legge opere strategiche). Il Rapporto e le schede sono accessibili sul portale e sul sito web della Camera.
Specifiche disposizioni hanno riguardato, nel corso della legislatura, l'istituzione di nuovi Fondi e lo stanziamento di risorse finanziarie per la realizzazione delle infrastrutture strategiche.
L’art. 6-quinquies del decreto-legge 112/2008 ha istituito un Fondo per il finanziamento di interventi finalizzati al potenziamento della rete infrastrutturale (cd. Fondo Infrastrutture), comprese le reti di telecomunicazione e energetiche, alimentato con gli stanziamenti del Quadro strategico nazionale 2007-2013. Le risorse assegnate al Fondo sono attualmente ridimensionate a seguito delle riduzioni e rimodulazioni approvate dal CIPE con delibera n. 6 del 20 gennaio 2012.
L’art. 21 del decreto-legge 185/2008 ha, inoltre, autorizzato la concessione di due contributi quindicennali di 60 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009 e 150 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2010 per la realizzazione delle opere strategiche ripartiti con successive delibere del CIPE.
Il decreto-legge n. 98 del 2011, all’articolo 32, comma 1, ha istituito, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Fondo infrastrutture ferroviarie e stradali e relativo a opere di interesse strategico (sulla denominazione di tale Fondo ha infine inciso l'art. 1, comma 187, della legge di stabilità 2013), con una dotazione di 930 milioni per l’anno 2012 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016. Le risorse del Fondo sono assegnate dal CIPE, su proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, e sono destinate prioritariamente alle opere ferroviarie da realizzare con la procedura per i lotti costruttivi (v. infra) e ai contratti di programma con RFI S.p.A. e ANAS S.p.A.
L'istituzione di diversi fondi ha determinato, di fatto, una segmentazione delle fonti di finanziamento del Programma a motivo anche del finanziamento di alcune infrastrutture strategiche nell'ambito delle risorse per la politica di coesione, e precisamente del Piano nazionale per il Sud (delibera CIPE 62/2011) e del Piano di azione e coesione. A questa specifica tematica è dedicato uno dei focus del 7° Rapporto sullo stato di attuazione della "legge obiettivo". Si rinvia, inoltre, al tema Il Fondo per lo sviluppo e la coesione per informazioni sulla programmazione delle risorse finanziarie di tale Fondo e sulle sue disponibilità.
Specifica importanza hanno assunto le disposizioni volte a revocare gli stanziamenti non utilizzati e a destinarli alle finalità del Programma in un contesto di progressiva riduzione delle risorse pubbliche disponibili, che ha richiesto un migliore utilizzo delle medesime.
L'articolo 46 del D.L. 78/2010 ha, infatti, disciplinato la revoca di mutui assunti dalla Cassa depositi e prestiti con oneri interamente a carico dello Stato ed interamente non erogati ai soggetti beneficiari, al fine di destinare le risorse alla prosecuzione del Programma delle infrastrutture strategiche.
Successivamente il medesimo articolo 32 del predetto decreto legge n. 98 del 2011, ai commi da 2 a 7, ha disciplinato i criteri e la procedura per la revoca di finanziamenti destinati alle infrastrutture strategiche assegnati dal CIPE, alle condizioni specificate nella norma, che è stata modificata dall'art. 34, comma 14, del D.L. 179/2012.
Da ultimo, si segnala che l'articolo unico della L. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) reca specifiche autorizzazioni di spesa per il finanziamento di studi, progetti, lavori preliminari e definitivi connessi alla nuova linea ferroviaria Torino-Lione (comma 208), per la prosecuzione dei lavori per la realizzazione del sistema MO.S.E. (commi 184-188), per il finanziamento degli investimenti relativi alla rete infrastrutturale ferroviaria, con priorità per quelli da realizzare con la tecnica degli interventi realizzati per lotti costruttivi (comma 176) di cui si parlerà nei prossimi paragrafi. Si prevede, inoltre, una dotazione finanziaria aggiuntiva di 250 milioni di euro destinata al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) per l’attuazione delle misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. Alle stesse finalità sono destinate ulteriori risorse fino a un importo massimo di 50 milioni di euro a valere sulle somme rivenienti da revoche relative a finanziamenti per la realizzazione di opere infrastrutturali comprese nel Programma delle infrastrutture strategiche(comma 213). Al riguardo, si fa presente che il D.L. 187/2012, successivamente confluito nell’articolo 34-decies del D.L. 179 del 2012, ha disciplinato la procedura da seguire per l’esame in linea tecnica del progetto definitivo dell'opera Ponte sullo Stretto di Messina e previsto, in mancanza del rispetto delle fasi disciplinate, la caducazione di tutti gli atti che regolano i rapporti di concessione, nonché le convenzioni ed ogni altro rapporto contrattuale stipulato dalla società concessionaria.
L’attività di approvazione da parte del CIPE, per quanto riguarda l’avanzamento progettuale e finanziario, è decisiva per l’avvio delle procedure di affidamento dei lavori e per la stipula dei contratti.
L'art. 41 del D.L. 201/ 2011 reca, ai commi da 3 a 5, norme volte ad introdurre termini certi per l’adozione delle delibere CIPE e dei conseguenti decreti ministeriali di autorizzazione delle risorse per la loro realizzazione. Sotto il primo profilo, si prevede che le delibere del CIPE relative ai progetti di opere pubbliche vengano formalizzate e trasmesse al Presidente del Consiglio dei Ministri per la firma che dovrà avvenire entro 30 giorni decorrenti dalla seduta in cui è assunta la delibera; per le delibere del CIPE sottoposte al controllo preventivo della Corte dei Conti i termini previsti dall'art. 3, comma 2, della legge n. 20 del 1994 sono ridotti di un terzo.
Nel corso del 2012, anche in conseguenza dell'entrata in vigore della predetta modifica, si è registrata una riduzione dei tempi di pubblicazione delle delibere del CIPE. Nell'ultima seduta dell'8 marzo 2013 - secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale del CIPE - sono state adottate deliberazioni riguardanti, tra l'altro, il Programma delle infrastrutture strategiche.
Le innovazioni normative intervenute in materia di partenariato pubblico-privato per le quali si rinvia al tema Il Codice dei contratti pubblici hanno una forte incidenza sulla disciplina delle infrastrutture strategiche. Ulteriori norme in materia di PPP sono inoltre destinate esclusivamente alle infrastrutture strategiche e ad esse si accenna di seguito con l'avvertenza che delle recenti innovazioni normative intervenute in tale ambito si parla più diffusamente in uno dei focus tematici del 7° Rapporto.
Per quanto concerne la finanza di progetto (project financing), l'art. 41, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 ha disciplinato una specifica procedura che si applica alla lista delle infrastrutture inserite nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) qualora intendano ricorrervi i soggetti aggiudicatori. In relazione alla possibilità di presentare proposte, analogamente a quanto previsto per le procedure di finanza di progetto ordinarie, l’articolo 42 del decreto legge n. 1 del 2012 ha introdotto il diritto di prelazione per il proponente che apporta le eventuali modifiche intervenute in fase di approvazione del CIPE.
L'art. 41 del D.L. legge n. 1/2012, come modificato dall'art. 1 del D.L. 83/2012, ha introdotto una nuova disciplina riguardante l’emissione di obbligazioni e titoli di debito volti alla realizzazione di specifici progetti infrastrutturali (project bond) allo scopo di agevolare l’effettivo utilizzo di tali strumenti; per una descrizione della disciplina fiscale ad essi applicabile si rinvia al tema La tassazione di transazioni e strumenti finanziari.
Ulteriori disposizioni di interesse contenute nel D.L. 1/2012 hanno riguardato, inoltre, l'integrazione della documentazione a corredo del Piano economico e finanziario (PEF), ai fini di un più rapido finanziamento da parte del CIPE delle risorse finanziarie per i progetti delle infrastrutture di interesse strategico (art. 45), e la previsione in base alla quale per l’affidamento delle concessioni relative a infrastrutture strategiche possa essere posto a base di gara anche ilprogetto definitivo (art. 55).
Nuove misure per agevolare il finanziamento delle opere da parte dei privati riguardano la cosiddetta defiscalizzazione introdotta dall'art. 18 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), modificata in più occasioni nel corso del 2012 e da ultimo dall'art. 33, comma 3, del D.L. 179/2012. In particolare, al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, possono essere previste, per le società di progetto nonché, a seconda delle diverse tipologie di contratto, per il soggetto interessato, ivi inclusi i soggetti concessionari, misure agevolative, che consistono nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo, in modo da assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di partenariato pubblico privato tenuto conto delle condizioni di mercato.
L’art. 33, comma 1, del D.L. 179/2012, al fine di agevolare la realizzazione di nuove opere infrastrutturali, riconosce, in via sperimentale, ai soggetti titolari di contratti di PPP, ivi comprese le società di progetto, un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa. Tali opere devono essere di importo superiore a 500 milioni di euro e realizzate mediante l’utilizzazione dei contratti di PPP. Devono, inoltre, essere approvate – in relazione alla progettazione definitiva - entro il 31 dicembre 2015, non devono usufruire di contributi pubblici a fondo perduto; ne deve essere, infine, accertata, in esito a una specifica procedura che coinvolge il CIPE, la non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).
Da ultimo,si segnala che è stata introdotta la possibilità per le imprese di assicurazione di utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, anche attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture (art. 42, commi 6 e 7, del D.L. 201 del 2011) e l'emissione di obbligazioni "di scopo”, vale a dire finalizzate al finanziamento di specifiche opere pubbliche, da parte degli enti locali (art. 54 del D.L. 1/2012).
Nel corso della legislatura, e soprattutto a partire dal decreto legge n. 70/2011, numerose modifiche del quadro normativo hanno inciso direttamente e indirettamente sulla disciplina riguardante le infrastrutture strategiche.
Sono state adottate misure specificamente volte ad accelerare le procedure di realizzazione delle opere e a facilitare l'avvio di progetti strategici.
L'art. 20 del DL 185/2008 (come modificato dall’art. 7, comma 3-bis, del decreto-legge 5/2009) ha introdotto norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale: in estrema sintesi, si prevede l’individuazione, con DPCM, di investimenti pubblici da assoggettare a procedure derogatorie nonché l’istituzione di un commissario straordinario con poteri di impulso e anche sostitutivi.
La legge finanziaria 2010, all'articolo 2, commi 232-234, ha introdotto la nozione di “lotto costruttivo” nella realizzazione dei progetti prioritari, nell’ambito dei corridoi europei TEN -T, i quali prevedano costi superiori a 2 miliardi di euro e tempi di realizzazione superiore a quattro anni, da individuarsi con DPCM. Per tali progetti, il CIPE può autorizzare la realizzazione del relativo progetto definitivo per “lotti costruttivi”, assumendo contestualmente l’impegno programmatico di finanziare l’intera opera ovvero di corrispondere l’intero contributo finanziato subordinatamente alla sussistenza delle condizioni indicate nella norma. La procedura per “lotti costruttivi” ha trovato finora applicazione per le seguenti opere: Nuovo Valico del Brennero – quota italiana; Linea AV/AC Milano-Verona: tratta Treviglio-Brescia; Linea AV/AC Milano-Genova: Terzo Valico dei Giovi.
L'art. 41 del D.L. 201/2011 ha, infine, disciplinato una nuova procedura di approvazione unica del progetto preliminare relativo alle infrastrutture strategiche da parte del CIPE (comma 2), al fine di accelerare la loro realizzazione, eliminando l’esame del progetto definitivo qualora sia verificata la coerenza dello stesso rispetto al progetto preliminare. Per l’applicazione di tale nuova procedura, è necessaria la proposta del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti affinché il CIPE possa valutare solamente il progetto preliminare ai fini dell’approvazione unica dello stesso, "assicurando l’integrale copertura finanziaria del progetto”.
L’articolo 4, comma 2, del decreto legge 70/2011 ha modificato il Codice dei contratti pubblici con riguardo alla disciplina riguardante le infrastrutture strategiche. E' stata prevista la diminuzione del limite di spesa previsto (dal 5% al 2% dell’intero costo dell’opera), nel progetto preliminare, per le eventuali opere e misure compensative dell’impatto territoriale e sociale, che devono essere strettamente correlate alla funzionalità dell’opera; tale limite di spesa è comprensivo degli oneri di mitigazione di impatto ambientale. Sono stati posti vincoli anche alla possibilità di apportare varianti alla localizzazione richiedendo, per un verso, che siano strettamente correlate alla funzionalità dell’opera e, per l’altro, che non comportino incrementi del costo rispetto al progetto preliminare originario. Ulteriori modifiche hanno riguardato l’estensione della durata del vincolo preordinato all’esproprio a sette anni, la riduzione dei termini procedurali per l’approvazione del progetto definitivo, la sottoposizione a conferenza di servizi del progetto preliminare.
Tra le ulteriori modifiche aventi impatto sulla disciplina delle infrastrutture, si segnalano, per la loro rilevanza, i decreti legislativi n. 228 e 229 del 2011, emanati in attuazione della delega di cui ai commi 8 e 10 dell’articolo 30 della legge di contabilità e finanza pubblica, concernenti rispettivamente la valutazione degli investimenti relativi alle opere pubbliche e le procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche.
L’art. 1 del D.Lgs. 228/2011 ha previsto l’obbligatorietà, per i singoli Ministeri, delle attività di valutazione ex ante ed ex post, per le opere pubbliche o di pubblica utilità finanziate a valere sulle proprie risorse poste a bilancio o su quelle oggetto di trasferimento a favore di soggetti attuatori, pubblici o privati, nonché per le opere pubbliche che prevedono emissione di garanzie a carico dello Stato. La finalità di tale disposizione è, come indicato nella citata delega, quella di garantire la razionalizzazione, la trasparenza e l’efficacia/efficienza della spesa in conto capitale per le opere pubbliche dei singoli Ministeri, che sono tenuti ad elaborare un nuovo documento, il Documento Pluriennale di Pianificazione, allo scopo di migliorare la qualità della programmazione e ottimizzare il riparto delle risorse di bilancio (il contenuto di tale documento è stato integrato dall'art. 34, comma 15 , lett. b), del D.L. 179/2012). Per le infrastrutture strategiche, il Documento è costituito dall’Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza.
Il D.Lgs. 229/2011 prevede che le amministrazioni pubbliche e i soggetti destinatari di finanziamenti statali per la realizzazione di opere pubbliche sono obbligati, nell'ambito della propria attività istituzionale, alla tenuta ed all’alimentazione di un sistema gestionale informatizzato contenente le informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali relative alla pianificazione e programmazione delle opere e dei relativi interventi, nonché all'affidamento ed allo stato di attuazione di tali opere ed interventi, inclusi ovviamente gli stanziamenti in bilancio e i costi complessivi effettivamente sostenuti nella realizzazione.
L'art. 41 del D.L. n. 201/2011 ha ridefinito le modalità ed i criteri di programmazione delle opere strategiche per permettere la selezione delle opere prioritarie (comma 1) e a tale norma fa riferimento anche il 10° Allegato infrastrutture. In particolare, si prevede che, nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche, il Documento di economia e finanza individui, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l’elenco delle infrastrutture da ritenersi prioritarie in base a tre criteri: 1) coerenza con l’integrazione con le reti europee e territoriali; 2) stato di avanzamento dell'iter procedurale; 3) possibilità di prevalente finanziamento con capitale privato. Si dispone che per le opere prioritarie individuate nell’elenco debbano essere indicate le opere da realizzare, il relativo cronoprogramma di attuazione, le fonti di finanziamento pubbliche e private.
In linea con i più recenti orientamenti europei, la normativa italiana ha rivolto una nuova attenzione alla partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici. L'art. 44 del citato decreto legge n. 201, oltre a modificare le disposizioni transitorie del D.L. 70/2011 relative alle varianti e alla conferenza di servizi (commi 3 e 4), ha previsto che la realizzazione delle grandi infrastrutture, comprese le infrastrutture strategiche, nonché delle connesse opere integrative o compensative, dovrà garantire modalità di coinvolgimento delle PMI (comma 7).
L'articolo 44-bis del medesimo decreto ha introdotto la disciplina delle opere pubbliche incompiute finalizzata, in particolare, alla creazione di un elenco-anagrafe di tali opere.
Da ultimo, il comma 4 dell’articolo 34 del D.L. 179/2012 ha introdotto nella procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) delle grandi opere, un termine di trenta giorni - dalla data di presentazione della documentazione da parte del soggetto aggiudicatore o dell'autorità proponente - entro i quali i soggetti pubblici ed i privati interessati possono rimettere eventuali osservazioni al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio ai fini delle valutazioni di propria competenza. La riduzione di tale termine è compatibile con la riduzione già operata dal decreto legge n. 70 del 2011 per i termini stabiliti per la conclusione della conferenza di servizi propedeutica all’approvazione del progetto preliminare.
7° Rapporto di monitoraggio sull'attuazione della legge obiettivo (dic. 2012)
Altre risorse web
Gli stanziamenti per la messa in sicurezza degli edifici scolastici hanno seguito, nell’ultimo decennio, tre filoni di intervento: un primo filone scaturito dalle risorse individuate nell’ambito del Programma delle infrastrutture strategiche avviato dalla c.d. legge obiettivo (L. 443/2001), un secondo filone derivante dalla programmazione dell'edilizia scolastica prevista dalla L. 23/1996 e, infine, un terzo filone residuale, contenente ulteriori interventi finalizzati all’adeguamento antisismico delle strutture scolastiche, avviato con la finanziaria 2008 (L. 244/2007).
Con l'emanazione del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, è stato poi previsto un nuovo "Piano nazionale di edilizia scolastica" nell'ambito di una serie di disposizioni (recate dall'art. 53 del decreto) finalizzate alla modernizzazione e all'efficientamento energetico del patrimonio immobiliare scolastico.
In seguito al crollo della scuola elementare “Francesco Iovine” di San Giuliano di Puglia, avvenuto in data 31 ottobre 2002, con la legge finanziaria 2003 (art. 80, comma 21, della L. 289/2002) è stato istituito, nell’ambito del "Programma delle Infrastrutture Strategiche" (PIS), un "Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici".
Esso risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006) per complessivi 489,083 milioni di euro (come attestati dalla delibera ricognitiva del CIPE n. 10/2009) riferiti a 1.594 interventi,
Sullo stato di attuazione del Piano il Governo ha risposto all'interpellanza urgente n. 2-00635 nella seduta dell’Assemblea della Camera dell'11 marzo 2010 nonché all'interrogazione n. 5-02369 nella seduta del 9 marzo 2010 della VII Commissione Cultura.
Successivamente, con la delibera n. 76/2011 il CIPE ha approvato la "Relazione semestrale al 31 dicembre 2010 sullo stato di avanzamento del 1° e del 2° programma stralcio".
In relazione al 1° Programma stralcio, la relazione ha evidenziato che risulterebbero non avviati interventi per un valore di 18,5 milioni di euro (11% del totale) a causa di ritardi relativi all'autorizzazione e alla sottoscrizione dei relativi contratti di mutuo; con riferimento al 2° Programma stralcio si sono riscontrati ritardi analoghi con interventi non avviati per un ammontare di 91,2 milioni di euro (pari al 30% del totale).
La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012, ha preso atto che sono stati attivati dagli enti locali beneficiari 1.320 interventi (pari all'83% dei 1.593 interventi programmati) dell'importo di 386 milioni di euro (il 79% del valore dell'intero Piano). Risultano completati 329 interventi (21%) per un importo complessivo di 85,3 milioni di euro (17 % del totale). Gli importi complessivi assegnati al Mezzogiorno assommano a circa il 67 % del totale delle risorse.
Per approfondimenti sul citato Piano, si veda la scheda n. 181 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).
E' stato inoltre previsto un terzo programma stralcio, da alimentare con le risorse stanziate dall’art. 7-bis del D.L. 137/2008 e quantificate dalla delibera CIPE 114/2008 in due contributi annuali di 10,5 milioni di euro a valere sui contributi quindicennali autorizzati dall’art. 21 del decreto-legge n. 185/2008.
Si ricorda, in proposito, che il comma 1 dell'art. 7-bis del D.L. 137/2008 ha previsto l’assegnazione, al Piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici di un importo non inferiore al 5% delle risorse stanziate per il PIS, all'interno del quale il piano stesso è ricompreso.
Il punto 2.1. della delibera CIPE 114/2008 ha accantonato, a valere sullo stanziamento di cui all’art. 21 del D.L. 185/2008, per la prosecuzione dell’attuazione del piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, una quota di 3 milioni di euro per 15 anni, a valere sul contributo di 60 milioni di euro decorrente dal 2009, ed una una quota di 7,5 milioni di euro per 15 anni, a valere sul contributo di 150 milioni di euro decorrente dal 2010. La stessa delibera ha previsto che “la definitiva assegnazione delle quote di cui al punto 2.1 avverrà sulla base del 3° programma stralcio”.
Nelle more dell’adozione del 3° programma stralcio, la legge finanziaria 2010 (art. 2, comma 239, L. 191/2009) ha introdotto alcune norme procedurali finalizzate a garantire condizioni di massima celerità nella realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole. Tale comma ha infatti previsto, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari, l’individuazione (entro il 30 giugno 2010) di interventi "di immediata realizzabilità fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell’articolo 7-bis del decreto-legge 1° settembre 2008, n. 137”.
Nonostante la risoluzione sia stata approvata il 25 novembre 2010 dalle Commissioni Bilancio e Cultura della Camera (risoluzione n. 8-00099) e successivamente riapprovata in data 2 agosto 2011 (risoluzione n. 8-00143), l’approvazione del 3° stralcio non è intervenuta.
La riapprovazione della risoluzione n. 8-00099 è stata decisa dalle medesime Commissioni, sulla base delle risultanze dell'audizione svolta dal Sottosegretario per le infrastrutture presso le Commissioni riunite V e VII, in data 21 luglio 2011, che ha evidenziato la necessità, per i soggetti richiedenti i finanziamenti, di produrre idonea certificazione della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge finanziaria 2010.
Al fine di addivenire all'approvazione di tale 3° stralcio, l’art. 30, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 (convertito dalla L. 214/2011, pubblicata sulla G.U. del 27 dicembre 2011) ha imposto al Governo, al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole, di dare attuazione entro il 12 gennaio 2012 (vale a dire, così recita la norma, entro “quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione" del decreto-legge) al citato atto di indirizzo approvato il 2 agosto 2011.
In attuazione delle norme citate, con il D.M. Infrastrutture e trasporti 3 ottobre 2012, pubblicato nella G.U. del 9 gennaio 2013, si è provveduto all'approvazione del programma di edilizia scolastica in attuazione della citata risoluzione n. 8-00143.Ai sensi dell'art. 1 di tale D.M., il programma riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111,8 milioni di euro.
Nelle tabelle allegate al decreto sono elencati gli interventi, con l'indicazione del comune, la denominazione dell'edificio scolastico e l'importo preventivato per gli interventi corrispondente al limite superiore del finanziamento statale.
L'art. 18 del decreto-legge 185/2008, convertito con modificazioni dalla legge 2/2009, ha previsto, al comma 1, lettera b), che il CIPE provveda all'assegnazione, per la messa in sicurezza delle scuole, di una quota delle risorse nazionali del FAS (Fondo aree sottoutilizzate) al Fondo infrastrutture di cui all'art. 6-quinquies del decreto-legge 112/2008.
La delibera CIPE 3/2009 ha quindi assegnato al Fondo Infrastrutture 1 miliardo di euro da destinare al Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici. La successiva delibera 32/2010 del 13 maggio 2010 (rettificata dalla delibera 67/2010) ha assegnato la prima quota del miliardo di euro (358,42 milioni) per il “Piano straordinario stralcio”, da erogare “secondo modalità temporali compatibili con i vincoli di finanza pubblica correlati all’utilizzo delle risorse FAS”.
La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012, ha preso atto che gli enti locali hanno sottoscritto 1.630 convenzioni con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un valore di circa 347 milioni di euro (97% del totale) e i pagamenti effettuati sono stati pari a 59,5 milioni di euro (16,6 %). La stessa delibera ha evidenziato che l’attuazione del piano è stata ritardata dalla mancata messa a disposizione di parte delle relative risorse, a seguito della legge di stabilità 2012 (v. infra), risorse poi ristorate con la delibera CIPE n. 6/2012.
Per approfondimenti sul citato Piano, si veda la scheda n. 186 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).
Con il decreto-legge 201/2011 sono state introdotte due disposizioni relative alla sicurezza degli edifici scolastici. La prima, contenuta nell'art. 25, comma 1-bis, prevede che le somme non impegnate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (vale a dire il 28 dicembre 2011) per la realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, di cui all'art. 2, comma 239, della legge finanziaria 2010, in misura pari all'importo di 2,5 milioni di euro, come indicato nella risoluzione approvata dalle competenti Commissioni della Camera il 2 agosto 2011, sono destinate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato di cui all' art. 44 del D.P.R. 398/2003.
La seconda disposizione introdotta dal D.L. 201/2011 è quella recata dall'art. 30, comma 5-bis, che, al fine di garantire la realizzazione di interventi necessari per la messa in sicurezza e l'adeguamento antisismico delle scuole, ha imposto al Governo di provvedere, entro il 12 gennaio 2012:
Il comma 5-bis prevede anche che il Governo deve riferire alle Camere in merito all'attuazione delle disposizioni in esso recate.
Relativamente all'art. 33, commi 2-3, della legge 183/2011, si ricorda invece che esso ha previsto che le risorse del FSC (istituito dall'art. 4 del D.lgs. n. 88/2011 in luogo del Fondo per le aree sottoutilizzate - FAS - di cui all'art. 61 della legge 289/2002) vengano assegnate dal CIPE con indicazione delle relative quote annuali e che a tale fondo venga assegnata una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, “da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese sulla base di titoli giuridici perfezionati alla data del 30 settembre 2011, già previsti nell'ambito dei programmi nazionali per il periodo 2007-2013. I predetti interventi sono individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, su proposta del Ministro interessato al singolo intervento”.
L’art. 4, comma 4, del decreto-legge 39/2009, convertito con modificazioni dalla legge 77/2009, ha previsto misure per la messa in sicurezza delle scuole mediante la destinazione alla regione Abruzzo di una quota aggiuntiva delle risorse del Fondo infrastrutture.
Con l’art. 15 dell’O.P.C.M. 3782/2009 è stato, quindi, conferito l'incarico al Presidente della Regione Abruzzo, in qualità di Commissario delegato, d’intesa con il Presidente della Provincia dell’Aquila e i Sindaci dei Comuni interessati, di elaborare un programma-stralcio di interventi urgenti sull’edilizia scolastica per consentire l’avvio regolare dell’anno scolastico 2009/2010 nei Comuni colpiti dal terremoto.
Lo stesso art. 15 ha previsto al comma 3, nel testo integrato dall’O.P.C.M. 3820/2009, che “per le finalità di cui al presente articolo si provvede”, nel limite di 30,6 milioni di euro, “a valere sulle risorse previste dall'art. 18 del decreto-legge 29 novembre 2009, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, destinate al finanziamento degli interventi in materia di edilizia scolastica. Le predette somme sono trasferite ad apposita contabilità speciale da istituire presso la Tesoreria dello Stato di L'Aquila in favore del competente Provveditore interregionale alle opere pubbliche, che opera quale soggetto attuatore degli interventi”.
Successivamente la delibera CIPE 47/2009, ha destinato 226,4 milioni di euro in favore della regione Abruzzo per il finanziamento degli interventi di edilizia scolastica connessi agli eventi sismici.
Nella Relazione del Ministro per la Coesione Territoriale del 12 giugno 2012 sullo” Stato di avanzamento delle misure urgenti per la semplificazione, il rigore e il superamento dell’emergenza del dopo-sisma in Abruzzo”, per quanto riguarda la “Messa in sicurezza edifici scolastici” si evidenzia che sono stati programmati 269 interventi (166 in provincia dell’Aquila, 15 in provincia di Chieti, 40 in provincia di Pescara, 48 in provincia di Teramo) e che rimangono da utilizzare 144,8 milioni di euro.
Per approfondimenti si veda la scheda n. 183 del 7° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della legge obiettivo (19 dicembre 2012).
La legge 23/1996 (art. 4, comma 2) ha previsto che la programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni. Tali piani, sentiti gli uffici scolastici regionali, sono adottati sulla base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti, sentiti gli uffici scolastici provinciali. A tale scopo, questi uffici sono chiamati ad adottare le procedure consultive dei consigli scolastici distrettuali e provinciali.
La procedura per l’emanazione dei suddetti piani, disciplinata ai successivi commi 3-9, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza Stato-regioni, che fissa gli indirizzi per assicurare il coordinamento degli interventi ai fini della programmazione scolastica nazionale, stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni, indica le somme disponibili nel primo triennio suddividendole per annualità. Successivamente alla pubblicazione del decreto, le regioni approvano e trasmettono al MIUR i piani generali triennali contenenti i progetti preliminari, la valutazione dei costi e l’indicazione degli enti territoriali competenti che, in assenza di osservazione del Ministero, vengono pubblicati nei rispettivi bollettini ufficiali. In seguito, gli enti territoriali competenti approvano i progetti esecutivi degli interventi previsti nel primo anno del triennio e provvedono a richiedere la concessione dei mutui alla Cassa depositi e prestiti che è chiamata, dopo il ricevimento della deliberazione di assunzione del mutuo e la comunicazione dell’avvenuta concessione, a darne avviso alle regioni. Specifici termini sono previsti anche per i piani generali triennali che sono formulati dalle regioni successivamente al primo: nella ripartizione dei fondi disponibili, infatti, si tiene conto, oltre che dei criteri di riparto, anche dello stato di attuazione dei piani precedenti. Se gli enti territoriali non provvedono agli adempimenti di loro competenza, in via sostitutiva le regioni o le province autonome provvedono automaticamente; in caso di inadempienza di regioni e province autonome, provvede in via sostitutiva il commissario di Governo. Come previsto dal'articolo 7 della medesima legge 23, inoltre, per la programmazione delle opere di edilizia scolastica le regioni e gli enti locali interessati possono avvalersi dei dati dell'anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica.
In materia è di recente intervenuto l’art. 11, commi da 4-bis a 4-octies, del D.L. 179/2012, che ha indicato nuove modalità di predisposizione e approvazione di appositi piani triennali di interventi di edilizia scolastica, nonché dei relativi finanziamenti, senza, tuttavia, chiarire il raccordo con le previsioni della L. 23/1996 (alle quali, come si vedrà infra, fa riferimento l’art. 53 del D.L. 5/2012, che ha previsto l’approvazione di un nuovo Piano nazionale di edilizia scolastica).
In particolare, i commi indicati hanno previsto che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con la Conferenza unificata, sono definiti le priorità strategiche, le modalità e i termini per l’approvazione dei predetti piani che saranno articolati per ciascuna annualità al fine di consentire il regolare svolgimento del servizio scolastico in ambienti adeguati e sicuri.
Per l’inserimento in tali piani, gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all’uso scolastico presentano un’apposita richiesta alle rispettive regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano. Tali enti, sulla base delle richieste pervenute da parte degli enti locali, trasmettono al MIUR il piano di interventi nei termini indicati dal decreto ministeriale, pena la decadenza dai finanziamenti assegnabili nell’arco del triennio.
Il MIUR deve verificare i piani trasmessi dalle regioni e dalle province autonome e, in assenza di osservazioni da formulare, comunica l’avvenuta approvazione alle regioni affinché siano pubblicati, nei successivi trenta giorni, sui rispettivi bollettini ufficiali regionali.
Nell’assegnazione delle risorse si tiene conto della capacità di spesa degli enti locali nell’utilizzo delle risorse assegnate nell’annualità precedente, “premiando” le regioni “virtuose” con l’attribuzione di una quota non superiore al venti per cento, aggiuntiva rispetto all’entità di risorse spettanti in sede di riparto.
Per le predette finalità è stata prevista l’istituzione, a decorrere dal 2013, di un Fondo unico per l’edilizia scolastica nello stato di previsione del MIUR, al quale confluiscono tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato destinate agli interventi di edilizia scolastica.
Quanto alle misure di finanziamento, si ricorda che la legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 625, della legge 296/2006) ha autorizzato la spesa di 250 milioni di euro per il triennio 2007-2009 (50 milioni di euro per l'anno 2007 e 100 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009) per i piani di edilizia scolastica di cui all'art. 4 della legge 23/1996. Con il D.M. 16 luglio 2007 sono stati ripartiti i finanziamenti autorizzati dalla predetta legge finanziaria 2007 a favore delle regioni, per l'attivazione dei piani di edilizia scolastica, per il triennio 2007-2009.
Il predetto D.M. 16 luglio 2007 ha, peraltro, indicato, come si legge nella premessa, anche gli indirizzi volti ad assicurare il coordinamento degli interventi regionali. In base alle citate norme, il 50% delle predette risorse è destinato al completamento delle attività di messa in sicurezza e di adeguamento a norma degli edifici scolastici da parte dei competenti enti locali; per questi specifici interventi le regioni e gli enti locali interessati, nell’ambito dei piani sopra citati, concorrono al finanziamento, ciascuno nella misura di un terzo.
Si segnala, poi, che il 28 gennaio 2009 è stata sottoscritta un’intesa in sede di Conferenza unificata sugli «indirizzi per prevenire e fronteggiare eventuali situazioni di rischio connesse alla vulnerabilità di elementi anche non strutturali negli edifici scolastici». Essa prevede la costituzione, presso ciascuna regione e provincia autonoma, di appositi gruppi di lavoro, composti da rappresentanze degli Uffici Scolastici Regionali, dei Provveditorati Interregionali alle Opere Pubbliche, dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNCEM, con il compito di creare apposite squadre tecniche incaricate dell’effettuazione di sopralluoghi sugli edifici scolastici del rispettivo territorio e di compilare apposite schede, il cui contenuto è destinato a confluire successivamente nell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica. L’intera iniziativa dovrà essere completata entro sei mesi dalla pubblicazione dell’intesa ed, a tal fine, sono stati previsti 10 giorni per la costituzione dei gruppi di lavoro e 15 per la formazione delle squadre. E’ stato altresì previsto che eventuali ritardi, superiori ai 40 giorni, comporteranno l’intervento sostitutivo del Prefetto.
Per il triennio 2010-2012, non sono state stanziate risorse nazionali per i piani triennali ex art. 4 della L. 23/1996, e la formulazione degli indirizzi per la programmazione in materia di edilizia scolastica è stata effettuata a livello regionale. In proposito nella delibera CIPE n. 66/2012 si sottolinea che, a partire dal 2009, la predetta legge non è stata più rifinanziata con risorse nazionali.
La legge finanziaria 2008 (art. 2, comma 276, L. 244/2007) ha previsto un finanziamento di 20 milioni di euro attraverso l’incremento del Fondo per gli interventi straordinari della Presidenza del Consiglio (istituito dall’art. 32-bis del decreto-legge 269/2003, per la realizzazione di interventi infrastrutturali con priorità per quelli volti alla riduzione del rischio sismico).
Il citato Fondo è stato quindi incrementato, ai sensi del citato comma 276, di 20 milioni di euro a decorrere dal 2008, al fine di conseguire l'adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché la costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico.
Con successive ordinanze di protezione civile sono state determinate le modalità di attivazione del citato Fondo ed i criteri per l'assegnazione delle risorse.
L’O.P.C.M. 3728/2008 ha ripartito tra le regioni e le province autonome la somma di 20 milioni di euro relativa all'anno 2008, prevedendo che gli interventi da realizzare e le risorse da destinare a ciascun intervento siano individuati, conformemente a quanto previsto nei piani predisposti dalle regioni, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M. 12 gennaio 2010). Il riparto per gli anni 2009, 2010 e 2011 è stato successivamente effettuato con le ordinanze 3864/2010, 3879/2010 e 3927/2011. Si segnala, inoltre, che con il D.P.C.M. 2 marzo 2011 sono state assegnate alle regioni le risorse del Fondo a valere sulle risorse già assegnate con O.P.C.M. 3864/2010, riprogrammando, per ogni regione, il piano degli interventi a valere sulle assegnazioni 2009 e sulle riassegnazioni non utilizzate 2008. Con il successivo D.P.C.M. 28 ottobre 2011, infine, sono state ripartite tra le regioni le risorse a valere sulle assegnazioni 2011 (Allegato 4 O.P.C.M. 3927/2011) e sui residui derivati dalle somme non trasferite nelle annualità 2008, 2009 e 2010.
Dalla possibilità di beneficiare dello stanziamento in parola sono stati esclusi gli interventi già finanziati nell'ambito del piano straordinario di cui all'art. 80, comma 21, della L. 289/2002 (v. supra).
Ulteriori interventi di adeguamento antisismico degli edifici del sistema scolastico sono stati previsti dall’art. 2, comma 1-bis, del D.L. 137/2008 (convertito dalla L. 169/2008), che ha disposto il versamento al bilancio dello Stato di somme iscritte nel conto dei residui del bilancio medesimo per l'anno 2008, a seguito di quanto disposto dall'art. 1, commi 28-29, della L. 311/2004 e non utilizzate alla data di entrata in vigore della relativa legge di conversione, da destinarsi al finanziamento di interventi per l'edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli istituti scolastici ovvero di impianti e strutture sportive dei medesimi.
Si ricorda che i citati commi 28-29 hanno finanziato una serie di interventi rivolti a tutelare l'ambiente e i beni culturali e, in generale, a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio per il triennio 2005-2007.
Lo stesso comma 1-bis ha demandato il riparto delle risorse, con l'individuazione degli interventi e degli enti destinatari, ad apposito decreto interministeriale, da emanarsi in coerenza con apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari.
In attuazione di tale disposizione, in data 23 dicembre 2008, le Commissioni riunite V e VI della Camera hanno approvato la risoluzione n. 8-00025 di indirizzo al Governo, cui quest'ultimo ha dato seguito con il D.M. 29 aprile 2009 (pubblicato nella G.U. n. 102 del 5 maggio 2009 (pag. 12), che ha provveduto a ripartire, tra gli enti indicati in allegato al decreto stesso, la somma di 12,5 milioni di euro.
Al fine di garantire su tutto il territorio nazionale l’ammodernamento e la razionalizzazione del patrimonio immobiliare scolastico, anche in modo da conseguire una riduzione strutturale delle spese correnti di funzionamento, l’art. 53 del D.L. 5/2012 ha previsto l’approvazione da parte del CIPE di un Piano nazionale di edilizia scolastica.
Si ricorda in proposito che, in precedenza, la sentenza n. 552 del 20 gennaio 2011 del Tar del Lazio, confermata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 3512 del 9 giugno 2011) ha accolto parzialmente un ricorso presentato dal Codacons, ordinando al MIUR e al MEF l’emanazione del piano generale di edilizia scolastica previsto dal’art. 3 del DPR 81/2009. La sentenza ha infatti evidenziato che avendo tale decreto innalzato il limite massimo di alunni per aula, si è dato carico delle conseguenti implicazioni in termini di maggiore affollamento delle aule e di possibile inidoneità delle stesse a contenere gli alunni in condizioni di sicurezza, salubrità e vivibilità. In particolare, con l’art. 3, co. 2, il decreto avrebbe inteso imporre al MIUR di attendere, d’intesa con il MEF, non soltanto all’individuazione delle istituzioni scolastiche da sottrarre temporaneamente (per il solo anno scolastico 2009-2010) all’immediata operatività dei nuovi limiti massimi di alunni per aula, quanto piuttosto alla elaborazione di un vero e proprio atto generale, a natura programmatica.
Il comma 1 del citato articolo disciplina il procedimento di approvazione del piano stabilendo, tra l’altro, che essa avvenga su proposta dei Ministri dell’istruzione, e delle infrastrutture (di concerto con i Ministri dell’economia e dell’ambiente, previa intesa in sede di Conferenza unificata) ed intervenga entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto.
A tutt’oggi tale Piano non è tuttavia ancora stato emanato.
La norma stabilisce altresì che l’approvazione avvenga sulla base delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province e dai comuni, tenendo conto di quanto stabilito dagli articoli 3 e 4 della L. 23/1996 (vedi supra).
Il comma 2 specifica in dettaglio gli interventi da realizzare attraverso il Piano, che dovranno essere sia di ammodernamento e recupero del patrimonio scolastico esistente, anche ai fini della messa in sicurezza degli edifici, sia di costruzione e completamento di nuovi edifici scolastici. Lo stesso comma elenca i criteri generali che dovranno guidare l’attuazione del Piano; viene infatti previsto che gli interventi citati dovranno essere realizzati in un’ottica di razionalizzazione e contenimento delle spese correnti di funzionamento, nonché di efficientamento energetico e di riduzione delle emissioni inquinanti e favorendo il coinvolgimento di capitali pubblici e privati.
Tra gli interventi strumentali alla realizzazione del Piano, il comma 2, come novellato dal comma 4 dell’art. 11 del D.L. 179/2012, ricorda, come utilizzabili:
Per le finalità indicate dal comma 2, viene previsto l’utilizzo delle risorse di cui all'art. 33, comma 8, della L. 183/2011, nonché delle risorse a valere sui fondi di cui all'art. 33, comma 3, della medesima legge, già destinate con delibera CIPE n. 6/2012 alla costruzione di nuove scuole.
La legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), all'art. 33, comma 8, ha previsto l'istituzione per l'anno 2012 di un apposito fondo con una dotazione di 750 milioni di euro, destinato, tra l’altro, quanto a 100 milioni di euro al MIUR per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. La ripartizione del citato fondo è operata dal Ministro dell'economia e delle finanze. Il comma 3 del medesimo articolo 33 assegna al Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) una dotazione finanziaria di 2.800 milioni per l'anno 2015 per il periodo di programmazione 2014-2020, da destinare prioritariamente alla prosecuzione di interventi indifferibili infrastrutturali, nonché per la messa in sicurezza di edifici scolastici, per l'edilizia sanitaria, per il dissesto idrogeologico e per interventi a favore delle imprese. La relazione tecnica al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 5/2012 (A.S. 3533) evidenziava che le risorse sono state destinate con delibera CIPE 20 gennaio 2012, n. 6, alla costruzione di nuove scuole; e considerato che l'art. 5, comma 1-bis, del D.L. n. 74 del 2012 ha destinato il 60 per cento delle predette risorse alla ripresa delle attività scolastiche nelle aree interessate dal sisma in Emilia del 20 maggio 2012, le risorse disponibili ammonterebbero complessivamente a 80 milioni di euro, di cui i 40 milioni relativi al FSC soggiacciono al vincolo di destinazione territoriale dell'85 per cento nelle regioni del Mezzogiorno.
Da segnalare altresì le disposizioni dettate dal comma 3 che prevede la stipula di appositi accordi di programma per concentrare gli interventi sulle esigenze dei singoli contesti territoriali e promuovere e valorizzare la partecipazione di soggetti pubblici e privati per sviluppare utili sinergie.
Ancora più rilevante il disposto del comma 5 che individua i seguenti interventi urgenti da attuare nelle more della definizione e approvazione del Piano, al fine di assicurare il tempestivo avvio di interventi prioritari e immediatamente realizzabili di edilizia scolastica coerenti con gli obiettivi di cui ai commi 1 e 2:
Si ricorda che il citato comma 626, nella logica degli interventi per il miglioramento delle misure di prevenzione di cui al D.Lgs. 38/2000 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), ha previsto la definizione, in via sperimentale per il triennio 2007-2009, da parte dell’INAIL, d'intesa con i Ministri del lavoro e dell’istruzione e con gli enti locali competenti, di indirizzi programmatici per la promozione ed il finanziamento di progetti degli istituti di istruzione secondaria di primo grado e superiore per l'abbattimento delle barriere architettoniche o l'adeguamento delle strutture alle vigenti disposizioni in tema di sicurezza e igiene del lavoro. Lo stesso comma ha demandato all’INAIL la determinazione dell'entità delle risorse da destinare annualmente alle finalità di cui al presente comma, la definizione dei criteri e delle modalità per l'approvazione dei singoli progetti, nonché l’approvazione dei finanziamenti dei singoli progetti. In attuazione di tale disposizione la delibera del Consiglio di Indirizzo e di Vigilanza dell'INAIL n. 8 del 3 aprile 2007 ha determinato in 100 milioni di euro per il triennio 2007/2009 l'entità delle risorse da destinare alle finalità di cui al citato comma 626.
Ulteriori disposizioni riguardano la semplificazione delle procedure e l’emanazione di norme tecniche-quadro volte a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale, nonché ulteriori norme relative a misure di gestione, conduzione e manutenzione degli edifici adibiti a istituzioni scolastiche, università ed enti di ricerca e finalizzate all’efficientamento energetico sulla base di apposite linee guida ministeriali.
Nell'ambito delle iniziative volte a favorire il completamento del mercato unico europeo prospettate nell'Atto per il mercato unico (Single Market Act) del 13 aprile 2011, la Commissione europea ha presentato, il 20 dicembre 2011, un pacchetto di misure in materia di appalti pubblici e concessioni.
Il pacchetto comprende: 1) una proposta di direttiva sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, vale a dire acqua, energia, trasporti e servizi postali COM(2011)895; 2) una proposta di direttiva sugli appalti pubblici COM(2011)896; 3) una proposta di direttiva sull'aggiudicazione dei contratti di concessione COM(2011)897.
L'obiettivo delle proposte in materia di appalti è di avvicinare per quanto possibile la disciplina dei "settori speciali" a quella dei "settori classici". La proposta sui contratti di concessione è invece volta a fornire, sulla base della giurisprudenza elaborata in materia dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, un quadro giuridico certo nelle procedure di aggiudicazione delle concessioni.
L'VIII Commissione Ambiente ha esaminato le proposte nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, adottanto un documento finale sulle due proposte relative agli appalti e un documento finale sulla proposta relativa alle concessioni. In sede di istruttoria delle proposte, la Commissione Ambiente ha svolto un ampio ciclo di audizioni da cui sono emersi importanti elementi di valutazione e di informazione.
Ai fini dell’elaborazione delle nuove misure in materia di appalti la Commissione ha tenuto conto dei risultati di due consultazioni pubbliche svolte nel 2011 su due Libri verdi riguardanti rispettivamente la modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici e l’estensione degli appalti elettronici nell’UE
Il Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici è stato esaminato, ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento della Camera, dalla VIII Commissione ambiente che, in esito all’esame, ha approvato il 14 aprile 2011 un documento, successivamente trasmesso alle Istituzioni dell’UE. Il 27 gennaio 2012 la Commissione europea ha risposto apprezzando le osservazioni formulate dalla Camera, e assicurando che erano state tenute in debito conto ai fini della preparazione delle proposte. In particolare, la Commissione ha preso nota del sostegno espresso dalla Camera in merito all’esigenza di: realizzare una migliore qualità dei progetti e garantire la professionalità nello svolgimento delle procedure di appalto già nella fase preliminare; semplificare le norme per rendere più agevole l’accesso delle PMI agli appalti pubblici; privilegiare il criterio della qualitàdei servizi e dei prodotti acquistati dalle amministrazioni aggiudicatrici; garantire procedure corrette; approfittare della riforma per semplificare la legislazione nazionale e garantire alle amministrazioni aggiudicatrici e alle imprese un quadro coerente di regole certe e stabili, in particolare evitando l’eccessiva regolamentazione in fase di recepimento. finale finale finale
Anche l’8a Commissione Lavori pubblici e comunicazione del Senato si è pronunciata sul Libro verde nell’ambito di un’indagine conoscitiva.
Ai fini dell’elaborazione della proposta in materia di concessioni la Commissione europea ha invece tenuto conto dei risultati di due consultazioni pubbliche on-line tenute tra il 12 maggio e il 9 luglio 2010 e dal 5 agosto al 30 settembre 2010.
Le nuove norme sono volte a modificare e sostituire la direttiva 2004/17/CE(appalti nel settore dell’acqua, dell’energia, dei servizi di trasporto e dei servizi postali) e la direttiva 2004/18/CE (appalti pubblici di lavori, forniture e servizi), allo scopo di avvicinare, per quanto possibile, la disciplina dei settori “speciali” a quella dei settori classici.
La Commissione europea, pur confermando la validità degli obiettivi generali della politica UE in materia di appalti (promozione di una concorrenza non discriminatoria e lotta alla corruzione), intende perseguire ulteriori obiettivi al fine di semplificare e chiarire una serie di aspetti della disciplina vigente in materia di appalti pubblici, in particolare per quanto riguarda il campo di applicazione, le procedure, il valore delle soglie, la selezione dei candidati, la produzione dei documenti relativi alle gare di appalto, il contrasto alla corruzione, ai favoritismi e ai conflitti di interesse.
Altri interventi sono mirati a favorire la creazione di un vero e proprio mercato europeo degli appalti. Tra le novità proposte a tal fine figurano: il ricorso obbligatorio agli appalti elettronici; un’attenuazione della distinzione tra selezione dei candidati e assegnazione del contratto di appalto (in particolare per quanto riguarda la possibilità di valutare i criteri di aggiudicazione prima di quelli di selezione); un migliore accesso delle PMI al mercato degli appalti pubblici mediante la riduzione degli oneri e la suddivisione degli appalti in lotti; la previsione di un regime speciale per i servizi sociali; il calcolo del costo del ciclo di vita dei prodotti o dei servizi oggetto dell’appalto ai fini della sua aggiudicazione; le modifiche dell’appalto in corso di esecuzione; l’uso strategico degli appalti, prestando maggiore attenzione ai vincoli sociali ed ambientali.
L’obiettivo della proposta della Commissione europea – formulata anche sulla base della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea - è di fornire un quadro giuridico certo nel settore delle procedure di aggiudicazione delle concessioni, ed eliminare gli ostacoli che, da un lato, impediscono agli operatori economici di accedere ai mercati delle concessioni, dall’altro sconsigliano amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori di ricorrere a tali strumenti per perseguire i propri fini.
La Commissione ritiene che gli ostacoli all'accesso al mercato delle concessioni siano dovuti alle significative differenze tra le varie discipline nazionali, con particolare riferimento, tra l’altro. alle norme procedurali, ai requisiti di pubblicità e trasparenza, e ai criteri di selezione e di aggiudicazione che - secondo la Commissione – produrrebbero condizioni di disparità per gli operatori economici. Ulteriore motivo d’intervento indicato dalla Commissione è l’attuale insufficiente tutela giuridica degli offerenti, poiché le vigenti norme concernenti i mezzi di ricorso nel settore degli appalti pubblici non si applicano alle concessioni di servizi (e in una certa misura anche alle concessioni di lavori).
Le proposte seguono la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione). Il Parlamento europeo e il Consiglio hanno avviato l’esame in prima lettura. Allo stato attuale sono in corso i triloghi, vale a dire incontri informali tra rappresentanti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, al fine di giungere a un accordo su un testo comune che consenta l’adozione delle nuove direttive in prima lettura.
Nella XVI legislatura la politica energetica dell’Italia, in linea con la politica energetica dell’Unione europea, ha affrontato numerose questioni.
In primo luogo sussiste una problematica relativa alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla tutela dell’ambiente, considerata la necessità di ridurre la dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese e, al contempo, di contribuire agli obiettivi previsti in ambito UE (riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, risparmio di energia tramite una maggiore efficienza energetica, uso delle energie rinnovabili).
Per ridurre la dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese, sono stati programmati e adottati interventi volti:
Con riferimento alla necessità di diversificazione delle fonti energetiche, all'inizio della XVI Legislatura è stata disciplinata la localizzazione nel territorio nazionale di centrali nucleari e dei sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, istituendo l'Agenzia per la sicurezza nucleare. In seguito al referendum tenutosi nei giorni 12 e 13 di luglio si è, poi, decisa l'abrogazione delle norme riguardanti l'energia nucleare e lastrategia energetica nazionale .
E' stata, poi, portata avanti la politica di incentivazione delle fonti rinnovabili , prevedendo svariate misure in tal senso, tra le quali la razionalizzazione dei sistemi di incentivazione e la semplificazione delle procedure autorizzative.
Gli interventi in materia di energia sono stati poi indirizzati anche ad incrementare il grado di concorrenzialità ed efficienza dei mercati energetici , per ottenere dei benefici in termini di riduzione del relativo costo per imprese e famiglie. Difatti, l’Autorità per l’energia, intervenendo in sede parlamentare in merito allo stato di avanzamento in Italia dei processi di liberalizzazione dei due principali mercati energetici, ne ha rilevato il diverso livello di concorrenza, molto maggiore nel settore elettrico rispetto a quello del gas, auspicando il completamento del processo di liberalizzazione in particolare del mercato del gas.
A tal fine sono state introdotte modifiche nell’organizzazione e funzionamento del mercato elettrico per promuoverne la concorrenzialità e garantire un prezzo dell’energia elettrica più basso.
Inoltre, per una maggiore efficienza del settore del gas è stata assegnata in esclusiva al Gestore dei mercati energetici la gestione economica del mercato del gas mentre all’Acquirente Unico è stato attribuito il compito di fornitore di ultima istanza anche in tale settore. Sono stati, poi, rivisti i tetti antitrust ed adottati gli strumenti per l’effettivo trasferimento dei benefìci della maggiore concorrenzialità anche ai clienti finali industriali.
Per recepire le direttive comunitarie relative ai mercati interni, ovvero il c.d. "terzo pacchetto energia", il Governo ha emanato il decreto legislativo 93/2011, con l'obiettivo di aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti e la concorrenza nel mercato interno dell’elettricità e del gas, di assicurare un’efficace separazione tra imprese del gas che sono proprietarie e che gestiscono le reti di trasporto e le imprese che utilizzano le stesse reti di trasporto per l’importazione e la vendita di gas, nonché di tutelare maggiormente i consumatori e in particolare i clienti “vulnerabili”.
Ulteriori misure approvate dal legislatore hanno riguardato l’incentivazione del risparmio e dell'efficienza energetica . Innanzitutto, è stata prevista l’elaborazione di un piano straordinario, da trasmettere alla Commissione europea, volto ad accelerare l'attuazione dei programmi per l'efficienza e il risparmio energetico. Si è inoltre intervenuti sui requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili, con la finalità dell’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella comunitaria. Sono state inoltre emanate dal Governo le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici .
Nel 2008, con l'articolo 7 del decreto-legge n. 112, il legislatore ha introdotto nell'ordinamento l'istituto della "Strategia energetica nazionale" quale strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale. Al centro di questo istituto era originariamente prevista la attivazione di una nuova politica per l'energia nucleare. Il decreto-legge 34/2011 ha dettato una nuova formulazione che manteneva l'istituto della "Strategia energetica" senza però riferimento al nucleare; anche questa nuova formulazione è stata abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011 (abrograzione resa esecutiva con D.P.R. n. 114/2011). Rimangono naturalmente nell'ordinamento una serie di disposizioni concernenti piani su singoli settori dell'energia (gas, elettricità, rinnovabili, ecc., escluso il nucleare) e relative infrastrutture.
L’ordinamento italiano prevede, anche in correlazione con apposite indicazioni di direttive e regolamenti europei, diversi strumenti di pianificazione/indirizzo in materia energetica.
Si fa riferimento, in particolare, ai seguenti:
Oltre a questi “piani di settore” il nostro ordinamento ha conosciuto, nel periodo 2008-2010, anche un istituto di indirizzo generale in materia di energia, denominato “Strategia energetica nazionale”.
Più in dettaglio, si ricorda che l’art. 7 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), aveva attribuito al Governo il compito di definire una “Strategia energetica nazionale” (SEN) intesa quale strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, cui pervenire a seguito di una Conferenza nazionale dell’energia e dell’ambiente.
Lo scopo era di indicare le priorità per il breve ed il lungo periodo per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, gli obiettivi della diversificazione delle fonti di energia e delle aree di approvvigionamento, del potenziamento della dotazione infrastrutturale, della promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, della realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, del potenziamento della ricerca nel settore energetico e della sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia.
La originaria versione della norma sulla “Strategia energetica nazionale” del 2008 menzionava espressamente, tra le diverse fonti di energia su cui puntare, anche l’energia nucleare, il cui sviluppo è stato poi disciplinato dalla legge-delega 99/2009 e dal decreto legislativo 31/2010. Tuttavia tre anni dopo vi è stato un mutamento di orientamento del Governo, anche a seguito dell’incidente giapponese di Fukushima, e il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307) ha abrogato tutte le norme del 2008-2010 in materia di energia nucleare, mentre a sua volta l’articolo 5, comma 8 ha dettato una nuova formulazione della norma sulla “Strategia energetica nazionale”, depurata da riferimenti all’energia nucleare.
La riformulazione della norma sulla “Strategia energetica nazionale” (SEN) dettata dalla legge del 2010 era del seguente tenore: "Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l'incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell'Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali".
Anche questa nuova versione della norma è poi venuta meno per effetto del referendum popolare abrogativo tenutosi nei giorni 12 e 13 giugno 2011. Uno dei quesiti sottoposti al corpo elettorale – così come riformulati dalla Corte di Cassazione in veste di ufficio centrale per il referendum – aveva infatti ad oggetto proprio la riformulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale dettata dal D.L. 34/2011. Il successo dei Sì al referendum ha quindi determinato l'abrogazione anche del citato comma 8 dell'articolo 5 (abrogazione resa esecutiva con D.P.R. n. 114/2011) e dell’istituto della SEN da esso disciplinato. L’istituto della SEN non fa perciò più parte del nostro ordinamento. In una Segnalazione a Governo e Parlamento, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha manifestato al legislatore l’esigenza di prevedere una norma espressa che disciplini il procedimento d’adozione della SEN.
Per completezza di informazione, si ricorda che la formulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale contenuta nel D.L. 34/2011 presentava, oltre all’abrogazione dei riferimenti al nucleare, anche altre differenze rispetto alla formulazione del 2008, soprattutto riguardo ai soggetti coinvolti, agli obiettivi e alle modalità di definizione della SEN. Ai sensi della norma del 2008, la Strategia doveva essere definita dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, previa convocazione, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente. Per converso, la nuova formulazione del 2010 prevedeva che la proposta della SEN fosse effettuata dal Ministro dello sviluppo economico congiuntamente con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che fosse inoltre sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e che fossero acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Della Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente non si faceva poi menzione nella nuova formulazione introdotta dalla legge 75/2011 di conversione del decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307). Infine, rispetto alla formulazione del 2008, si precisava che nella definizione della SEN il Consiglio dei ministri doveva tener conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale.
Si ricorda anche che la Commissione Industria del Senato il 19 ottobre 2010 ha avviato una "Indagine conoscitiva sulla Strategia energetica nazionale".
Il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato sul proprio sito internet un documento che costituisce la base per una consultazione pubblica finalizzata alla stesura della Strategia energetica nazionale. Su tale documento l'Antitrust ha inviato al Ministero una segnalazione, pubblicata sul bollettino del 28 gennaio 2013.
La Commissione ambiente ha concluso un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Sono stati pubblicati i due decreti ministeriali che definiscono i nuovi incentivi per il fotovoltaico (cd. Quinto conto energia) e per le altre rinnovabili elettriche. Con un altro decreto ministeriale è stato varato il cd. "conto termico", per dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili.
Il "pacchetto clima-energia" adottato dall'Unione europea contiene misure volte a combattere i cambiamenti climatici e a promuovere l'uso delle energie rinnovabili, che consentirà alla UE, entro il 2020, di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra (rispetto al 1990), di conseguire un risparmio energetico del 20% e di aumentare al 20% la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia. Tra le misure, oltre alla decisione n. 406/2009/CE diretta a ridurre i livelli delle emissioni anche tramite una maggiore efficienza energetica, rientra anche la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, che fissa obiettivi vincolanti per ciascuno Stato membro, coerenti con l'obiettivo di una quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE pari almeno al 20% nel 2020; per l’Italia tale quota complessiva al 2020 dovrà essere non inferiore al 17%. In attuazione della direttiva è stato adottato il Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell’Italia, trasmesso alla Commissione europea ai fini della valutazione della sua adeguatezza.
La legge 96/2010, legge comunitaria 2009 (A.C. 2449), delega il Governo al recepimento della predetta direttiva 2009/28/CE. Acquisiti i pareri parlamentari sullo schema iniziale (atto n. 302), il Governo ha adottato definitivamente il decreto legislativo 28/2011 che dà attuazione alla direttiva. Il provvedimento, che recepisce e attua gli obiettivi vincolanti fissati dall’UE, traduce in misure concrete le strategie delineate nel PAN trasmesso alla Commissione europea, per il conseguimento entro il 2020 della quota del 17% di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali. Per il raggiungimento di tale obiettivo, il decreto provvede: alla razionalizzazione e all’adeguamento dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell’efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori; alla necessaria semplificazione delle procedure autorizzative; allo sviluppo delle reti energetiche necessarie per il pieno sfruttamento delle fonti rinnovabili. Il provvedimento individua, inoltre, modalità relative alla diffusione delle informazioni e al monitoraggio del progressivo raggiungimento degli obiettivi. Si consideri che il testo deliberato in via definitiva accoglie solamente in parte le numerose condizioni e osservazioni contenute nei pareri parlamentari e reca varie modifiche ed integrazioni non riconducibili a tali pareri.
Alla definizione dei criteri di sostenibilità ambientale per i biocarburanti e i bioliquidi (v. Le agroenergie), necessari perché siano conteggiabili per il raggiungimento degli obiettivi nazionali sulle energie rinnovabili e per accedere ai previsti strumenti di sostegno, provvede il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55 (emanato dal Governo dopo l'acquisizione dei pareri sullo schema di decreto legislativo n. 315), volto al recepimento della direttiva 2009/30/CE che prevede l'aggiornamento delle specifiche dei combustibili utilizzati nei trasporti (carburanti), fissate ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti.
Particolarmente complesso si presenta, in Italia, il quadro degli incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tali incentivi sono finanziati dalla collettività tramite le bollette dell’energia elettrica e costituiscono la voce di spesa più rilevante tra quelle finanziate dagli utenti sotto la voce “oneri generali di sistema”. Coesistono, infatti, numerosi meccanismi di incentivazione (alcuni fondati su regimi di mercato e altri su regimi amministrativi) che vanno dalle “tariffe incentivate” in base alla delibera CIP 6/92 al sistema dei “certificati verdi”, dal sistema “feed-in-tariffs” per gli impianti di minor potenza al sistema del “conto energia” utilizzato per gli impianti fotovoltaici, fino ai contributi a fondo perduto per talune energie rinnovabili.
Il principale meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è costituito dai certificati verdi - titoli emessi dal Gestore dei servizi energetici (GSE) attestanti la produzione di energia da fonti rinnovabili - introdotti nell’ordinamento nazionale dall’articolo 11 del decreto legislativo 79/1999 per superare il criterio di incentivazione noto come CIP 6.
La legge 244/2007 (finanziaria 2008) ha delineato un nuovo meccanismo di incentivazione per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007 che prevede il rilascio di certificati verdi per gli impianti di potenza superiore a 1MW, mentre, per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1MW, si attribuisce il diritto, in alternativa ai certificati verdi, ad una tariffa fissa onnicomprensiva variabile a seconda delle fonte utilizzata.
Le direttive per regolare la transizione dal vecchio meccanismo di incentivazione (certificati verdi) al nuovo (tariffa onnicomprensiva in alternativa ai certificati verdi) - dal quale rimane esclusa la tecnologia fotovoltaica che gode di una forma di incentivazione specifica - sono state emanate, in attuazione della legge 244/2007, con il D.M. 18 dicembre 2008.
I certificati verdi possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima - crescente negli anni - di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999.
Con l'art. 45 del decreto-legge 78/2010 (A.C. 3638), si stabilisce che a partire dal 2011 venga assicurata, rispetto al 2010, la riduzione del 30% dell'importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi ulteriori rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo della suddetta quota minima da fonti rinnovabili (certificati verdi in eccesso di offerta).
Il decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili riforma i meccanismi incentivanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dall'attuale sistema (certificati verdi) al nuovo. I nuovi meccanismi di incentivazione consistono in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Anche per gli impianti entrati in esercizio entro il 2012, a partire dal 2016 i certificati verdi saranno sostituiti - per il residuo periodo di spettanza - da una tariffa fissa tale da garantire la redditività degli investimenti realizzati. Il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del prezzo definito secondo i criteri vigenti; contestualmente viene soppressa la previsione - connotata da analoga finalità - introdotta dal decreto-legge 78/2010 (cfr. supra). A partire dal 2013 la quota d'obbligo di energia rinnovabile da immettere nel sistema elettrico si riduce linearmente negli anni successivi fino ad annullarsi per l'anno 2015.
Tra le misure sulle fonti rinnovabili contenute nella legge 99/2009, si segnala quella che consente ai comuni di destinare aree del proprio patrimonio disponibile alla realizzazione di impianti per l'erogazione in conto energia (fotovoltaici) e di servizi di scambio sul posto dell'energia elettrica prodotta, da cedere a privati cittadini.
La legge contiene anche misure di semplificazione per l’installazione e l’esercizio di impianti di cogenerazione, prevedendo la semplice comunicazione all’autorità competente ai sensi del Testo Unico in materia edilizia (D.P.R. 380/2001) per le unità di microcogenerazione, fino a 50 kWe, e una denuncia di inizio attività (DIA) per gli impianti di piccola cogenerazione, fino a 1 MWe.
Il provvedimento interviene anche in materia di energia geotermica, con una delega al Governo finalizzata al riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche in modo da garantire un regime concorrenziale per l'utilizzo delle risorse ad alta temperatura e semplificare i procedimenti amministrativi per l'utilizzo delle risorse a bassa e media temperatura. In attuazione di tale delega è stato emanato il decreto legislativo 22/2010.
Per quanto concerne la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, dal 2005 ad oggi si sono susseguiti cinque decreti del Ministro dello sviluppo economico per l’approvazione di altrettanti “Conto energia”, con cui sono stati disciplinati modalità e misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti da fotovoltaico (si veda la scheda di approfondimento sui vari "conti energia".
Le modalità di incentivazione con riferimento agli impianti che entrino in esercizio nel triennio 2011-2013 erano state inizialmente definite dal D.M. 6 agosto 2010 ("Terzo Conto Energia"). Tuttavia, in un'ottica di riduzione degli incentivi al fotovoltaico e al relativo aggravio sulle bollette elettriche, il decreto legislativo sulle energie rinnovabili ha successivamente limitato gli incentivi del Terzo Conto Energia agli impianti entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011. Per gli altri impianti l'incentivazione è stata disciplinata con il "Quarto conto energia", pubblicato sulla G.U. del 12 maggio 2011 (decreto interministeriale 5 maggio 2011). Successivamente, sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2012 i due decreti interministeriali che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (cd. Quinto Conto Energia: D.M. 5 luglio 2012) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas: D.M. 6 luglio 2012).
Le nuove previsioni del Quinto Conto Energia, applicabili agli impianti che entrano in esercizio dopo il 27 agosto 2012, dispongono che:
L’art. 1, comma 4, del DM 5 luglio 2012 (Quinto conto energia) prevede che il IV Conto Energia continua ad applicarsi:
Il decreto-legge 105/2010 (A.C. 3660), contiene numerose disposizioni che intervengono sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, con riferimento alla realizzazione dei relativi impianti o agli incentivi concessi.
Per quanto riguarda il ruolo delle regioni, si ricorda che il D.M. 10 settembre 2010 reca le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, e sulla Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2012 è stato pubblicato il decreto “Burden Sharing”, in attuazione a quanto previsto dall’articolo 37 del Decreto Rinnovabili (D. Lgs. 28/2011), che fissa gli obiettivi per ciascuna Regione relativamente alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
Il provvedimento definisce
Il D.M. 28 dicembre 2012 (cd. "Conto termico") si pone il duplice obiettivo di dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili (riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling) e di accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili termiche, il nuovo sistema promuoverà interventi di piccole dimensioni, tipicamente per usi domestici e per piccole aziende, comprese le serre, fino ad ora poco supportati da politiche di sostegno. L'incentivo che coprirà mediamente il 40% dell’investimento e sarà erogato in 2 anni (5 anni per gli interventi più onerosi).
La Commissione Ambiente ha svolto un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, con i seguenti obiettivi: la verifica del livello di contributo effettivo alla lotta ai cambiamenti climatici ed alla realizzazione degli obiettivi del "pacchetto clima-energia" da parte degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili; la verifica di come si sia contemperato l'obiettivo strategico di contenimento delle emissioni inquinanti con quello concreto di tutela ambientale dei territori interessati dalla realizzazione degli impianti, e quindi l'impatto paesaggistico e ambientale degli impianti medesimi, anche con riguardo agli effetti sull'assetto idrogeologico del suolo, sull'occupazione del territorio, sulla tutela della biodiversità, nonché sulle vocazioni turistiche delle zone interessate; la verifica delle procedure autorizzative soprattutto con riferimento alle nuove norme di semplificazione in materia di conferenza di servizi e SCIA; la valutazione dei criteri di buona progettazione, minor consumo di territorio e riutilizzo di aree degradate, quali elementi utili alla valutazione favorevole del progetto di impianto di produzione di energia elettrica; la verifica delle politiche regionali messe in atto per garantire il raggiungimento degli impegni assunti dall'Italia sul tema clima-energia, a partire dall'analisi delle normative regionali e del processo di recepimento delle misure adottate in ambito europeo e nazionale; la verifica del grado di partecipazione e di informazione delle popolazioni interessate dagli impianti, a partire dall'analisi della disciplina riguardante l'introduzione, in favore delle comunità locali, di misure compensative per il mancato uso alternativo del territorio. Nella seduta del 23 maggio 2012 la Commissione Ambiente della Camera ha approvato il documento conclusivo dell'indagine.
Nella seduta del 16 marzo 2011 sono state votate le mozioni Franceschini ed altri n. 1-00590, n. 1-00604, Piffari ed altri n. 1-00594, Sardelli ed altri n. 1-00598, Lo Monte ed altri n. 1-00599, Libè, Lo Presti, Tabacci ed altri n. 1-00600, Ghiglia ed altri n. 1-00601 e Guido Dussin ed altri n. 1-00602 in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
Nella seduta del 17 maggio 2012 dell'Assemblea del Senato sono state approvate numerose mozioni sulla normativa relativa alle fonti energetiche rinnovabili.
Sugli incentivi CIP6
Sul decreto legislativo che aggiorna le specifiche dei carburanti
Sul decreto legislativo in tema di energie rinnovabili
Dati statistici
Sul decreto legislativo in tema di energie rinnovabili
Sulle procedure autorizzative per la realizzazione di impianti a fonti rinnovabili
Il sistema di incentivazione tariffaria noto come “CIP 6”, introdotto con il provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi n. 6/92 per incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, negli ultimi anni è stato spesso al centro di accesi dibattiti.
Il meccanismo consiste in un incentivo a favore dei produttori di energia elettrica con impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate che, avvalendosi di una apposita convenzione, inizialmente cedevano all’ENEL l’energia prodotta in eccedenza ad un prezzo fisso superiore a quello di mercato. L’ENEL da parte sua recuperava la differenza di prezzo attraverso un’apposita voce di costo nella bolletta degli utenti.
Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 79/1999 (“decreto Bersani”) nei rapporti contrattuali in essere tra ENEL ed altri operatori nazionali è subentrato il Gestore dei servizi energetici (GSE) Spa, che dal 1° gennaio 2001 ritira le “eccedenze” di energia elettrica da fonti rinnovabili ed assimilate.
Le criticità del sistema di incentivazione - che di fatto non è andato a sostegno in via prioritaria delle fonti rinnovabili vere e proprie in quanto ne hanno beneficiato soprattutto gli impianti utilizzanti fonti assimilate tra cui i termovalorizzatori, alimentati da rifiuti - sono state poste in rilievo in Commissione Attività produttive della Camera nel corso di audizioni tenutesi in relazione a tale sistema.
A tali audizioni hanno partecipato, tra gli altri, i presidenti dell’Antitrust (seduta del 5 febbraio 2009) e dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (seduta dell’11 febbraio 2009).
Tra gli auditi si segnala in particolare il presidente dell’Autorità per l’energia che, dopo aver illustrato l’evoluzione del quadro normativo concernente il meccanismo di incentivazione, ha evidenziato il permanere di perplessità già segnalate da tempo da parte dell’Autorità stessa. Le distorsioni, che continuano a gravare sui consumatori finali, riguardano in particolare: la maggiore produzione di elettricità da fonti assimilate rispetto alle rinnovabili; la lunghezza delle convenzioni; la rilevante differenza tra il prezzo del ritiro da parte del GSE e il prezzo di cessione al mercato. Il presidente si è, inoltre, dichiarato favorevole alle norme, allora oggetto di esame parlamentare, volte alla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6.
Si tratta, in particolare, della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter), che all’articolo 30, comma 20, prevede che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas propone al Ministro dello sviluppo economico adeguati meccanismi per la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6/92, da disporre con decreti dello stesso Ministro, con i produttori che volontariamente aderiscano a tali meccanismi. Gli oneri derivanti dalla risoluzione anticipata da liquidare ai produttori aderenti devono essere inferiori a quelli che si realizzerebbero nei casi di mancata risoluzione delle convenzioni (ciò consente di ridurre gli oneri per il sistema con effetti positivi in termini di riduzione delle tariffe dell'energia elettrica per famiglie e imprese).
In attuazione di tale norma è stato adottato il D.M. 2 dicembre 2009, che stabilisce i meccanismi per la risoluzione anticipata e volontaria delle convenzioni CIP 6. Il decreto si applica solamente agli impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia nonché agli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili, mentre viene rinviata ad un successivo provvedimento la definizione dei meccanismi di risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti rinnovabili e da rifiuti. Peraltro, per i predetti impianti a cui si applica il decreto, si rimanda ad un successivo decreto il completamento della disciplina con la definizione dei criteri e parametri per il calcolo dei corrispettivi spettanti per la risoluzione delle convenzioni nonché di ulteriori modalità e tempistiche relative all'erogazione dei corrispettivi. Tale completamento è avvenuto, solamente per gli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili - rinviando ad un successivo provvedimento la definizione delle modalità per la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 aventi ad oggetto impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia - con l'emanazione del D.M. 2 agosto 2010, che, oltre a stabilire i criteri e parametri per il calcolo dei corrispettivi e le modalità per l'erogazione degli stessi (in due soluzioni), ha fissato al 29 ottobre 2010 il termine per la presentazione al GSE dell’istanza vincolante di risoluzione delle convenzioni CIP 6, la cui efficacia decorrerà dal 1° gennaio 2011. Peraltro, sempre con riferimento agli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili, il D.M. 8 ottobre 2010 ha individuato le modalità per l'erogazione in più rate annuali, su richiesta dell'operatore, del corrispettivo spettante, differendo al 19 novembre 2010 il termine per l’istanza vincolante di risoluzione delle convenzioni. Le disposizioni attuative del D.M. 2 dicembre 2009 sono state precisate con il D.M. 23 giugno 2011, pubblicato sulla G.U. del 10 agosto 2011.
L'articolo 45 del decreto-legge 78/2010 (A.C. 3638), stabilisce una destinazione nuova delle risorse derivanti dalla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 relative alle fonti assimilate a quelle rinnovabili. Tali risorse, costituite dalla differenza tra gli oneri che si realizzerebbero in caso di mancata risoluzione anticipata delle convenzioni e quelli da liquidare ai produttori aderenti volontariamente alla risoluzione, saranno destinate ad un apposito Fondo finalizzato ad interventi nel settore della ricerca e dell'università.
Con le due leggi finanziarie per il 2007 (legge 296/2006, art. 1, commi 1117 e 1118) ed il 2008 (legge 244/2007, art. 2, commi 136, 137 e 154) è stata vietata la concessione degli incentivi destinati alle fonti rinnovabili, nonché del meccanismo incentivante CIP 6, per la parte inorganica dei rifiuti e, al contempo, prevista una procedura per il riconoscimento in deroga degli incentivi CIP 6.
Nell’ambito dei provvedimenti d’urgenza adottati dall'attuale Governo è stato più volte prorogato il termine per il completamento della citata procedura derogatoria (dapprima dal comma 7 dell’art. 4-bis del decreto-legge 97/2008 e poi, fino al 31 dicembre 2009, dall’art. 9 del decreto-legge 172/2008) e, soprattutto, con l'art. 9 del decreto-legge 172/2008, sono stati fatti salvi gli incentivi CIP 6 per gli impianti, senza distinzione fra parte organica ed inorganica, ammessi ad accedere agli stessi per motivi connessi alla situazione di emergenza rifiuti dichiarata (con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri) prima del 1° gennaio 2007.
Finalmente, per quanto concerne la citata procedura derogatoria, è stato esaminato dalle competenti Commissioni parlamentari lo schema di regolamento ministeriale recante condizioni e modalità per il riconoscimento del diritto ai finanziamenti e agli incentivi statali in attuazione dell'art. 1, commi 1117 e 1118, della legge 296/2006 (atto n. 162). La Commissione Attività produttive della Camera ha espresso parere favorevole il 16 dicembre 2009, mentre la Commissione Industria del Senato ha espresso parere favorevole con raccomandazioni il 21 dicembre 2009. Peraltro successivamente il regolamento non è stato emanato.
Nel 1927 fu varata la legge mineraria, basata sul principio che la disponibilità del sottosuolo dovesse essere svincolata da quella della superficie, e in cui per la ricerca e coltivazione mineraria era stabilito un regime concessorio, che consentiva le attività soltanto a quei soggetti fisici e giuridici che dimostravano di avere capacità tecniche ed economiche idonee a svolgere il programma dei lavori approvato con il Decreto di concessione e/o permesso di ricerca.
La legge fissava nel Ministero dell’Economia Nazionale – Direzione Generale delle Miniere, l’unico interlocutore del Ricercatore e/o Concessionario per l’autorizzazione allo svolgimento delle attività minerarie. La gestione ed il controllo erano attuati dal Ministero attraverso il Corpo delle Miniere, con i suoi organi territoriali (Distretti minerari). I proprietari dei fondi compresi nel perimetro del Permesso di ricerca e/o Concessione mineraria non potevano opporsi ai lavori, fermo restando il diritto al risarcimento dei danni. Inoltre, entro il perimetro di ogni titolo minerario le attività di esplorazione e coltivazione erano considerate opere di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili e quindi soggette ad un iter autorizzativo privilegiato.
Tale legislazione, seppure aggiornata in molti aspetti (soprattutto riguardanti la sicurezza degli operatori sugli impianti, ed integrata in tempi recenti con leggi di settore del 1986 riguardanti gli Idrocarburi e la Geotermia, che hanno trasferito le competenze dal Corpo delle Miniere all’Ufficio Nazionale Minerario Idrocarburi e Geotermia, e perciò dai Distretti Minerari alle Sezioni dell’UNMIG) è rimasta valida fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 1998, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.
La crisi petrolifera verificatasi nel 1973-1974 diede un forte impulso alla ricerca ed alla coltivazione, sia degli idrocarburi sia delle risorse geotermiche, su tutto il territorio nazionale.
Per quanto riguarda la geotermia, infatti, risale a quel periodo il forte sviluppo delle ricerche volte a migliorare le conoscenze tecnologiche e geo-minerarie italiane su vasti territori della fascia costiera tirrenica, tra l’Arno a Nord e Napoli a Sud, interessando le Regioni Toscana, Lazio e Campania. Ricerche geotermiche profonde furono condotte dall’Enel e dalla Joint Venture Enel–Agip ai Campi Flegrei, a Roccamonfina, ai Colli Albani, ai Monti Sabatini, ai Monti Cimini, ai Monti Vulsini, al Monte Amiata, e nella zona tradizionale di Larderello-Travale.
Questo periodo coincise quindi con una ripresa d’interesse a livello nazionale verso la geotermia; ed infatti i successi riportati nella esplorazione profonda in alcune aree diedero luogo a molte attese nei confronti della geotermia che si presentava come una promessa per contribuire a far fronte ad una parte dei bisogni energetici nazionali.
La normativa di gestione della risorsa geotermica, agli inizi degli anni ’70 regolata ancora dalla legge del 1927 prima richiamata, mostrava i suoi limiti a fronte degli sviluppi tecnologici degli impianti di perforazione e soprattutto delle maggiori profondità previste e raggiunte con i pozzi di produzione. Inoltre, altre esigenze di carattere ambientale, o relative ai rapporti con il territorio nei quali si svolgevano le attività di esplorazione, oppure anche di sicurezza per il personale, indussero il Parlamento ad adottare una legge specifica per la geotermia, e cioè la ”legge geotermica” n. 896 del 9 dicembre 1986, come legge di settore per il rilancio della geotermia in Italia, e successivamente il suo Regolamento di attuazione con il DPR n. 395 del 9 dicembre 1991.
Tale legge fu la prima del corpo legislativo italiano ad adottare una regolamentazione assimilabile alle successive normative di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Questa valutazione venne affidata congiuntamente al neonato Ministero dell’Ambiente, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, al Ministero dell’Agricoltura, ed a quello della Sanità, nonché alle Regioni ed ai Comuni interessati, con il coordinamento del Ministero dell’Industria che svolgeva anche le funzioni di Autorità proponente.
In quel periodo, altre leggi, ancorché non armonizzate con le norme minerarie, condizionavano però fortemente, se non la ricerca e coltivazione del calore in quanto tale, la “gestione” del fluido vettore del calore, nonché i gas incondensabili associati al fluido stesso; furono pertanto emesse allo scopo varie norme sulla reiniezione dei fluidi geotermici esausti con la legge n. 319 del 10 maggio 1976, e sulle emissioni in atmosfera con il DPR n. 203 del 24 maggio 1988. D’altra parte, la legge n. 319/1976 (meglio nota come “Legge Merli”) e le sue successive modifiche ed integrazioni, prevedevano che le condense dei fluidi geotermici non potevano essere scaricate in superficie prima di essere adeguatamente trattate; cosa, che risultava in alcuni casi estremamente oneroso. Di conseguenza, per cercare di risolvere in altro modo il problema della gestione dei reflui geotermici, furono accelerati fortemente nel campo di Larderello gli studi e le sperimentazioni sulla reiniezione dei reflui negli stessi serbatoi di provenienza dei fluidi estratti. I benefici ottenuti con questa operazione cominciarono a verificarsi quasi subito e con effetti crescenti, al punto tale che in questi ultimi anni è stato notato un aumento della pressione del fluido nel serbatoio geotermico veramente notevole rispetto a quella esistente prima dell’inizio della reiniezione. D’altra parte, le norme sulle emissioni in atmosfera dei reflui gassosi hanno fatto avviare una serie di studi ed esperienze volti a minimizzare l’impatto sulle popolazioni residenti. Essi sono sfociati in un brevetto dell’Enel di abbattimento praticamente totale dell’idrogeno solforato e del mercurio nei gas di scarico delle centrali, cui è stato dato nome AMIS (Abbattimento di Mercurio ed Idrogeno Solforato).
Un aspetto importante sancito dalla legge 896/1986 è stato il riconoscimento di un contributo una tantum ai Comuni sede d’impianto (fissato dalla legge geotermica in 20.000 £/kWe) in funzione della potenza di targa della centrale geotermoelettrica installata, e della relativa produzione, a fronte dei disagi che l’impianto e le sue pertinenze creano nel territorio del Comune. Il valore unitario del contributo ha subito incrementi con il tempo in funzione della svalutazione monetaria. Sempre con la stessa legge viene riconosciuto ai Comuni coinvolti nel titolo minerario, in proporzione alla percentuale di territorio vincolato (con un minimo di 60 % al comune sede della centrale), ed alla Regione, un contributo in funzione dell’energia elettrica prodotta nell’anno. Anche tale importo ha successivamente subito cambiamenti: alcuni per norme di legge, altri perché legati al valore della tariffa elettrica di vendita dell’energia.
A seguito del referendum che impose la moratoria sulle centrali nucleari, con le leggi n. 9 e n. 10 del gennaio 1991 il Governo volle dotare l’Italia di un Piano Energetico Nazionale (PEN) allo scopo di far fronte alle crescenti esigenze di energia elettrica, ed alla necessità quindi di sviluppare forme “alternative” di energia.
Con tale obiettivo furono introdotti nella legislazione molteplici riferimenti allo sviluppo ed incremento dell’impiego delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), e stabilite norme su alcuni aspetti particolari del settore dell’energia, ma senza che vi fosse una chiara definizione della strategia energetica nazionale nel medio e lungo termine, sia per quanto riguarda la tipologia di impianti da utilizzare, sia per quanto concerne il “mix” di produzione (gas, carbone, olio combustibile, FER, etc.). A parte ciò, la legge 9/1991 conteneva norme sul rilascio delle concessioni idroelettriche, sulla costruzione degli elettrodotti, e sulla pianificazione della costruzione degli impianti di produzione elettrica; mentre la legge 10/1991, dando un formale riconoscimento al ruolo che lo sviluppo delle fonti rinnovabili può giocare, insieme ad altri fattori, nel “migliorare le condizioni di compatibilità ambientale, dell’utilizzo dell’energia a parità di servizio reso, e di qualità della vita”, dettava norme sul risparmio energetico, sul miglioramento della compatibilità ambientale e sull’uso razionale dell’energia. Con questa legge furono anche definite quali fonti energetiche le FER comprendano, e fu così specificato che esse sono: l’energia solare, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso, e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici e dei prodotti vegetali. Inoltre, fu inserito nella legislazione italiana il concetto che l'utilizzazione delle FER deve essere considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e che le relative opere vanno equiparate a quelle dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche; concetto per altro già vigente per la geotermia in quanto risorsa mineraria.
Successivamente, la delibera CIPE n. 137 del 1998, “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, ha riconosciuto alla produzione di energia da FER un ruolo estremamente rilevante ai fini della riduzione delle emissioni dei gas serra, paragonabile ai contributi richiesti ad altre importanti attività per la riduzione di tali emissioni.
Il Decreto Bersani, all’interno di una riforma complessiva del settore elettrico nazionale dedicata alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, richiamava la necessità, anche con riferimento agli impegni internazionali previsti dal protocollo di Kyoto, di “…incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali”. A tal fine, ai produttori di energia elettrica fu fatto obbligo di immettere in rete, fin dal 2001, una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili mediante impianti nuovi o ripotenziati in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso. Tale obbligo rispondeva al fine di dare un sostanziale contributo al raggiungimento dell’obiettivo di produzione di elettricità da FER assegnato all’Italia dalla citata direttiva europea.
Successivamente, il DM 11 novembre 1999 recante Direttive per l'attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 ha inteso facilitare lo sviluppo e l’uso di FER per la produzione di energia elettrica attraverso una forma di incentivazione economica costituita dai cosiddetti “certificati verdi” (CV).
Il decentramento amministrativo realizzato con la suddetta legge n. 59 del 15 marzo 1997 ha delegato alle Regioni la competenza amministrativa sulle risorse geotermiche conservando allo Stato il potere legislativo e di indirizzo.
Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, all’art. 34, stabilisce che “le funzioni degli uffici centrali e periferici dello Stato relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle regioni, che le esercitano nell’osservanza degli indirizzi della politica nazionale nel settore minerario e dei programmi nazionali di ricerca”.
Inoltre, la legge n. 59/1997 sopra citata ha previsto la possibilità per le Regioni di dotarsi di un proprio piano energetico detto PER (Piano Energetico Regionale) che, tenendo anche conto dei fattori ambientali locali, deve costituire uno strumento di programmazione regionale di fondamentale importanza per la definizione di politiche di sviluppo del relativo territorio.
Pertanto, allo scopo di semplificare le procedure autorizzative e dare tempi certi per la realizzazione degli impianti elettrici e delle linee di trasporto dell’energia (sia elettrica che di fluidi energetici), lo Stato ha emanato il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale, in particolare, attraverso l’art. 12, comma 3, è stato istituito un procedimento unico presso la Regione competente che si conclude con una Conferenza dei servizi, incaricata tra l’altro di emanare un decreto omnicomprensivo valido sia per la costruzione e l’esercizio dell’impianto di produzione elettrica, che di tutte le opere ad esso connesse.
Nell’esercizio dei poteri di segnalazione di cui all’articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (con parere inviato al Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dello Sviluppo economico in data 12 settembre 2008) ha posto in evidenza possibili distorsioni della concorrenza derivanti da alcune disposizioni della legge 9 dicembre 1986, n. 896 (legge geotermica).
In particolare, la legge n. 896/1986:
L’Antitrust ha sottolineato l’esigenza di un intervento legislativo che consenta di precisare il quadro normativo di riferimento, nel senso di prevedere espressamente procedure che garantiscano una concorrenza per il mercato nell’assegnazione dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione di risorse geotermiche. In tal senso, la permanenza di diritto o di fatto di una riserva in capo ad Enel, in alcune zone del territorio italiano, per lo sfruttamento di una risorsa dalla quale si genera energia elettrica, nonché più in generale la sussistenza di un regime preferenziale nell’assegnazione delle concessioni geotermiche ad Enel ed Eni in caso di concorso di più istanze, non risultano coerenti con l’assetto ormai liberalizzato del mercato della generazione di energia elettrica. Tali norme appaiono, infatti, residui di un passato regime di monopolio legale nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo presenti sul territorio.
La legge n. 99/2009, nota come “legge sviluppo”, all’articolo 27, comma 28, ha delegato il Governo ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge (cioè entro il 9 febbraio 2010) uno o più decreti legislativi per determinare un nuovo assetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche che
Le risorse geotermiche sono generalmente classificate in: alta temperatura (oltre i 150°C), media temperatura (tra 90°C e 150°C) e bassa temperatura (meno di 90°C).
Le risorse geotermiche ad alta temperatura sono solitamente utilizzate per la produzione di energia elettrica. L'Italia è stato il primo paese al mondo ad utilizzare la geotermia ad alta temperatura per produrre energia elettrica in grandi centrali: la prima centrale geotermica fu realizzata a Larderello (PI), nel 1913.
Oltre ai grandi impianti, che utilizzano indirettamente il calore ad alta temperatura proveniente dal sottosuolo, per alimentare delle turbine per la produzione di elettricità, esiste anche un'altra geotermia: la geotermia a bassa temperatura o "a bassa entalpia", che è la forma di geotermia ideale per le applicazioni di piccola scala, connesse allo sfruttamento del sottosuolo come serbatoio termico dal quale estrarre calore durante la stagione invernale ed al quale cederne durante la stagione estiva.
Inoltre, mentre la geotermia “tradizionale” (ad alta e media temperatura) resta comunque una fonte energetica limitata a specifici contesti territoriali, la geotermia a bassa temperatura non ha limiti geografici.
Il riassetto deve avvenire in un contesto di sviluppo sostenibile del settore e assicurando la protezione ambientale.
La delega deve essere esercitata senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.
I princìpi e criteri direttivi della delega sono i seguenti:
a) garantire, in coerenza con quanto già previsto all’articolo 10, comma 3, della legge 9 dicembre 1986, n. 896, l’allineamento delle scadenze delle concessioni in essere facendo salvi gli accordi intercorsi tra regioni ed operatori, gli investimenti programmati e i diritti acquisiti;
Si ricorda che il citato comma 3 prevede che la concessione possa essere accordata per la durata massima di trenta anni, e prorogata per periodi non superiori a dieci anni ciascuno.
Si segnala anche che il comma 2 del medesimo articolo 10 disponeva una preferenza nell’assegnazione della concessione, a parità di condizioni, all'ENEL o all'ENI, singolarmente o in contitolarità paritetica. Tale disposizione è stata abrogata dal comma 29 dell’art. 27 della legge n. 99/2009, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riassetto della normativa geotermica (su cui v. infra).
b) stabilire i requisiti organizzativi e finanziari da prendere a riferimento per lo svolgimento, da parte delle regioni, delle procedure concorrenziali ad evidenza pubblica per l’assegnazione di nuovi permessi di ricerca e per il rilascio di nuove concessioni per la coltivazione di risorse geotermiche ad alta temperatura;
c) individuare i criteri per determinare, senza oneri né diretti né indiretti per la finanza pubblica, l’indennizzo del concessionario uscente relativamente alla valorizzazione dei beni e degli investimenti funzionali all’esercizio delle attività oggetto di permesso o concessione, nel caso di subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale;
d) definire procedure semplificate per lo sfruttamento del gradiente geotermico o di fluidi geotermici a bassa e media temperatura;
e) abrogare regolamenti e norme statali in materia di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche incompatibili con la nuova normativa.
Si ricorda, peraltro, che l’articolo 27, comma 29, della legge n. 99/2009 ha disposto l’abrogazione, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, dei citati articoli 3, commi 3 e 6, e 10, comma 2, secondo periodo, della legge 9 dicembre 1986, n. 896.
Il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 22 di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, è stato emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99.
Il decreto è composto da 19 articoli, raggruppati in cinque capi:
Su tale decreto è intervenuto successivamente il D.Lgs. 28/2011 di recepimento della direttiva UE sulle fonti rinnovabili.
Secondo gli ultimi dati del Gestore per i Servizi Energetici (GSE), si stima che i 31 impianti geotermoelettrici presenti in Italia a fine 2008 abbiano una produzione complessiva annuale attorno ai 5.520 GWh di potenza, grazie ad una capacità installata di 711 MW.
Il parco impianti geotermoelettrici in Italia è molto stabile per numerosità, potenza e produzione: tra il 1997 e il 2008, il tasso medio annuo di crescita è pari allo 0,9% per la numerosità, al 2,2% per la potenza e al 3,2% per la produzione.
Riguardo alla distribuzione della potenza installata in Italia nel 2008 secondo le classi di potenza, il GSE ha calcolato che il “67,7% degli impianti (21 di 31) appartengono alla classe compresa tra 10 e 20 MW ed hanno in media potenza pari a 17,2 MW. La classe tra 20 e 100 comprende il 16,1% degli impianti che hanno potenza media pari a 41,2 MW. Nella classe più piccola in termini di MW installati ci sono il 12,9% degli impianti”.
Le installazioni geotermoelettriche si trovano in Italia nella sola regione Toscana, come esplicitato dalle carte tematiche contenute nel rapporto, con la provincia di Pisa che detiene il primato con il 45,2% sul totale delle 31 centrali dislocate lungo la superficie nazionale, seguita rispettivamente da Siena (29,0%) e Grosseto (25,8%).
La Nazione, nel confronto con i principali Paesi che detengono il maggior numero di impianti geotermici, ricopre il terzo posto, seconda solamente a Stati Uniti e Messico.
Facendo un’attenta analisi tra la produzione geotermica italiana sulla produzione lorda da FER e quella lorda totale, il GSE ha dichiarato che nel primo caso rappresenta il 9,5%, nel secondo l'1,7%.
Sempre il GSE ha valutato che per quanto concerne la produzione elettrica tramite la geotermia – settore in cui l’Italia, come abbiamo visto, gioca un ruolo da protagonista a livello mondiale – vi sono ormai limitate possibilità di ulteriore sviluppo. Vi sono invece ottime possibilità per gli usi a bassa entalpia, un settore che sta conoscendo un forte sviluppo ovunque, ad eccezione del nostro Paese.
Le applicazioni geotermiche legate all’uso diretto del calore sono quelle più sviluppate nella UE: 18 Paesi su 27 utilizzano in tal senso risorse a media o bassa entalpia per un totale (escluse le pompe a calore geotermiche) di 2.490 MWt installati, con una produzione energetica di 793 mila tonnellate equivalenti di petrolio.
Va detto che le statistiche sugli usi diretti del calore geotermico sono difficili da effettuare, sia per la mancanza di una metodologia comune di calcolo, sia perché sono innumerevoli le applicazioni non contabilizzate (quasi tutte quelle termali, ma anche gran parte delle serre e della climatizzazione di edifici isolati).
Ad esempio gli usi termici in Ungheria – il Paese ove la tecnologia è maggiormente sviluppata - si ritiene siano ampiamente sottovalutati dalle statistiche ufficiali (725 MWt). Lo stesso, seppur in modo minore, per l’Italia, che è al secondo posto nella graduatoria dell’Unione europea (circa 500 MWt), seguita dalla Francia (307 MWt).
Le prospettive di sviluppo degli usi diretti geotermici a media e bassa entalpia sono ottime in molti Paesi. In particolare in Francia, ove si punta a triplicare gli usi attuali entro il 2015, anche grazie a forme di incentivi basati sulle “tonnellate di CO2 evitate”: gli incentivi statali ammontano a 400 ¤/t di CO2 evitata, cui possono aggiungersi ulteriori sovvenzioni regionali.
Per quanto concerne le applicazioni a bassissima entalpia, il GSE rileva che l’utilizzo delle pompe a calore geotermico sono in rapida diffusione in molti Paesi europei. È tuttavia difficilissimo contabilizzarle, sia perché alcuni (Paesi Bassi, Belgio) non le differenziano dalle pompe di calore ad aria, sia perché la maggior parte dei Paesi non dispone di statistiche affidabili in tal senso. L’Unione Europea è comunque l’area di maggiore diffusione di questa tecnologia nel mondo.
Secondo valutazioni di EurObserv’ER, a fine 2006 erano installate circa 600.000 pompe a calore geotermico nella UE, per una potenza di circa 7.300 MWt. In tale anno il mercato ha per la prima volta superato le 100.000 pompe vendute.
La Svezia è il Paese con il maggior numero di installazioni (oltre 40.000 a fine 2006), seguita da Germania (28.600 unità), Francia (20.000), Austria (7.235) e Finlandia (4.500). In Italia questo settore è quasi totalmente assente, mentre è in forte espansione in Germania, Francia, Austria, nei Paesi Baltici e Svizzera.
Con l’emanazione del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche (v. supra), secondo il Ministro dello sviluppo economico la geotermia verrà utilizzata maggiormente non solo per la produzione di elettricità, ma anche come fonte diretta di calore per il riscaldamento. In questo modo la geotermia, fonte rinnovabile seconda in Italia solo all’energia idroelettrica, otterrà maggiore impulso. Attualmente con la geotermia si producono 5 miliardi di chilowattora l’anno, sufficienti ai bisogni di elettricità di oltre un milione e mezzo famiglie, corrispondenti a circa 6 milioni di persone. Tale risorsa rappresenta ora il 10% delle fonti rinnovabili italiane. Con un aumento della produzione di energia dalla geotermia si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà a contenere le emissioni di gas serra (CO2).
Fra le stime effettuate dagli operatori di settore, generalmente concordi nel ritenere possibile un mantenimento dei tassi di sviluppo delle applicazioni geotermoelettriche e una crescita esponenziale degli utilizzi diretti, l’Unione Geotermica Italiana ha indicato come raggiungibile un incremento della potenza installata al 2020 di 700 MW per la generazione elettrica e di 6.000 MW per gli utilizzi diretti. Per quanto riguarda questi ultimi, in particolare, è atteso un boom delle applicazioni termiche industriali e – soprattutto – civili che, già notevolmente sviluppate attraverso tecnologie consolidate nei Paesi del nord Europa, rappresentano oggi in Italia un mercato in attivazione e dall’elevato potenziale. Nel nostro Paese, storicamente sede di applicazioni di eccellenza nel campo termale, ittico e florovivaistico (si pensi, ad esempio, nella sola Toscana, ai 4 milioni di utenti termali, agli impianti di itticoltura di Orbetello e ai vivai di Radicondoli), si sta assistendo, ad esempio, ad un interessante processo di downscale delle applicazioni delle pompe di calore a sonda geotermica che, forti di alcune istallazioni “simbolo” per l’intero panorama comunitario (es. il teleriscaldamento della città di Milano, progetto avviato dalla multiutility A2A), appaiono potersi diffondere con la capillarità tipica di Paesi quali Germania, Svizzera e Svezia.
L’Unione europea definisce «energia geotermica»: energia immagazzinata sotto forma di calore sotto la crosta terrestre.
Fra le fonti energetiche rinnovabili, se si escludono le bassissime entalpie, le risorse geotermiche sono certamente le meno uniformemente distribuite sul territorio comunitario.
Con ciò, nel gennaio 2008 la Commissione europea, al termine di un lavoro di valutazione sugli scenari energetici comunitari, ha affidato proprio al tema della cattura del calore geotermico attraverso pompe di calore un ruolo centrale nel proprio Climate action and renewable energy package introducendone, a tale scopo, uno specifico meccanismo di contabilizzazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali di produzione di energia da fonti rinnovabili.
La declinazione comunitaria delle priorità di utilizzo della risorsa geotermica in chiave di vettoriamento dei flussi termici a scapito della generazione elettrica è stata poi ribadita nel marzo 2009 attraverso la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione degli usi delle energie da fonti rinnovabili. Questa, al fine di dare attuazione degli indirizzi espressi nel pacchetto clima-energia del 2008, ha formalizzato la metodologia per il calcolo della quantità di calore generata attraverso pompe di calore a sonda geotermica da considerarsi rinnovabile e ha introdotto l’obbligo per gli Stati Membri di implementare (entro il 31 dicembre 2012) schemi di qualificazione e certificazione per gli installatori di impianti geotermici a bassa entalpia o a pompa di calore con sonda geotermica. La direttiva ha inoltre stabilito l’obbligo per gli Stati Membri di valutare all’interno dei propri Piani Energetici Nazionali in forma prioritaria il ricorso alle reti di teleriscaldamento geotermiche ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi al 2020, ma non ha previsto specifiche misure per il comparto geotermoelettrico.
La minore attenzione verso le alte entalpie può essere legata, almeno in parte, al fatto che i due principali progetti di ricerca nei quali erano riposte molte risorse al fine di ottenere una dimostrazione della replicabilità su scala comunitaria degli sfruttamenti dei bacini geotermici di consistenza ordinaria non hanno fruttato i risultati sperati (a Basilea, il tentativo di fratturazione delle hot dry rocks ha comportato significative complicazioni in termini di sismicità indotta e, a Soultz, i costi per lo sfruttamento di serbatoi profondi a media entalpia traverso cicli binari non ha evidenziato performance economiche soddisfacenti). Vista la presenza, proprio in Italia, di favorevoli “territori laboratorio” (contesti nei quali una risorsa idonea è reperibile con relativa semplicità), è stato in più sedi posto il problema della necessità di guidare gli investimenti in ricerca secondo criteri di marginalità economica e valorizzazione delle migliori risorse disponibili prima che della generalizzabilità degli approcci. È stato questo uno dei temi sostenuti dal Centro di Eccellenza per la Geotermia di Larderello nel l’incontro internazionale organizzato dall’European Geothermal Energy Council nel febbraio 2009 a Bruxelles. In questa occasione è stata ufficialmente consegnata alla Regione Toscana, regione riconosciuta leader per lo sfruttamento delle risorse geotermiche, la “Dichiarazione di Bruxelles”, documento teso a fissare le priorità nella agenda della ricerca internazionale per il raggiungimento di importanti obiettivi, tra i quali, la riduzione al 2030 del 30% dei costi di generazione geotermoelettrica convenzionale e del 50% per quelli di generazione attraverso cicli alimentati con basse entalpie.
Per il settore geotermoelettrico, nella sua storia, l’Italia rappresenta a livello europeo non solo un fondamentale bacino di competenze tecniche, ma anche il Paese con le maggiori esperienze amministrative dettate dall’evoluzione di un complesso sistema di regolazione integrato che, assumendo la risorsa quale patrimonio indisponibile dello Stato, ne gestisce le competenze concorrenti e trasversali legate alla tutela dell’ambiente, all’energia, alla concorrenza e, più in generale, all’unità giuridica dell’ordinamento. Proprio alla natura dell’evoluzione di questo sistema normativo è però legata una sua inadeguatezza a rispondere alle più recenti evoluzioni relative allo sviluppo delle utilizzazioni a bassa e bassissima entalpia quali, ad esempio, la realizzazione di pompe di calore con sonda geotermica ad uso civile. Questa materia, infatti, gestita in maniera disomogenea sul territorio nazionale in virtù della delega delle competenze alle regioni, è concordemente indicata dagli operatori di settore quale meritevole di aggiornamenti al fine di garantire una maggiore integrazione con le discipline urbanistiche e edilizie, oltre che con le materie amministrative ed ambientali.
Sotto la spinta degli operatori della grande distribuzione e delle grandi utenze termiche aggregate (es. palazzetti dello sport, quartieri residenziali, etc.), la diffusione degli impianti a bassa e bassissima entalpia sta così oggi progredendo sul territorio nazionale a macchia di leopardo fra contesti nei quali le competenze amministrative sono mantenute dalle Regioni e contesti nei quali le competenze sono attribuite alle Province, fra procedure semplificate per le quali è richiesta la sottomissione di dati tecnici non dettagliati anche in caso si reiniezione dei fluidi e procedure per le quali si rendono necessarie valutazioni specialistiche complesse (es. analisi isotopiche, modellazioni 3D, implementazione di reti di monitoraggio, etc.).
Non giustificata da eventuali gap tecnologici del sistema produttivo italiano che, anzi, vanta punte di eccellenza mondiali ad esempio nel settore della compressione dei fluidi e della lavorazione delle leghe speciali, la crescita rallentata di una filiera industriale sulle basse e bassissime entalpie appare da attribuirsi ai limitati volumi e alla relativa immaturità della domanda impiantistica.
Una risposta, in tal senso, è attesa, oltre che dall’introduzione di sistemi di certificazione e qualificazione in recepimento a livello nazionale della direttiva comunitaria precedentemente illustrata, anche dallo sviluppo di leggi regionali che coordino la materia nel rispetto degli obiettivi indicati nei rispettivi piani energetici regionali.
Nel marzo 2009, in occasione di un Geothermal Expo di Offenburg, sono emerse dalla sessione dedicata agli operatori del settore geotermico italiano chiare indicazioni circa l’opportunità di sostenere la crescita del numero di installazioni a bassa e bassissima entalpia attraverso la produzione di linee guida condivise autorevoli e condivise, la sensibilizzazione e la formazione dei progettisti e la messa a disposizione degli investitori di registri di installatori accreditati sulla base della loro capacità di implementare le migliori tecniche disponibili.
Il “Conto energia” costituisce lo strumento di disciplina generale delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica da fonte solare. Questo strumento di disciplina della incentivazione è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento con il decreto 28 luglio 2005 del Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico), in coerenza con le disposizioni della direttiva 2003/54/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e in attuazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 387/2003.
Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, con il quale si è provveduto al recepimento della direttiva 2001/77/CE concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili all’art. 7 comma 1, ha previsto l’adozione di uno o più decreti con i quali definire i criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare e al comma 2, lett. d) ha previsto una specifica tariffa incentivante per l’energia prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio.
Al Primo Conto energia (DM 28 luglio 2005, modificato dal DM 6 febbraio 2006) hanno poi fatto seguito i DM 19 febbraio 2007 e 6 agosto 2010 relativi, rispettivamente, al Secondo e al Terzo Conto energia. Successivamente è stato emanato il DM 5 maggio 2011 recante Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici (Quarto Conto energia) pubblicato nella GU del 12 maggio 2011. Da ultimo è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2012 il Quinto Conto Energia (D.M. 5 luglio 2012).
Nella materia oggetto dei Conti energia, assumono particolare rilevanza quattro nozioni.
La prima è quella di «impianto fotovoltaico» (chiamato anche «sistema solare fotovoltaico»). Tale è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico. Un impianto fotovoltaico, dunque, trasforma direttamente l’energia solare in energia elettrica.
Esso è composto essenzialmente da:
I moduli sono costituiti da celle in materiale semiconduttore, il più utilizzato dei quali è il silicio cristallino. Essi rappresentano la parte attiva del sistema perché convertono la radiazione solare in energia elettrica.
Con l’espressione «Incentivazione in conto capitale» si intende l’erogazione di un contributo sull’investimento necessario per la realizzazione di un impianto. Si tratta del meccanismo di incentivazione esistente prima della introduzione dei Conti energia.
Con le espressioni «Incentivazione in conto energia» e «Tariffa incentivante» viene indicato invece un meccanismo di incentivazione introdotto successivamente, a partire dal Primo Conto energia, che remunera non la realizzazione dell’impianto, ma, per un certo numero di anni, la produzione di energia elettrica attraverso un impianto fotovoltaico, sulla base di tariffe incentivanti definite con decreto ministeriale.
Infine, per «costo indicativo cumulato annuo degli incentivi» o «costo indicativo cumulato degli incentivi» si intende la sommatoria dei prodotti della potenza di ciascun impianto fotovoltaico ammesso alle incentivazioni, di qualunque potenza e tipologia, per la componente incentivante riconosciuta o prevista per la produzione annua effettiva, laddove disponibile, o per la producibilità annua dell'impianto calcolata dal GSE sulla base dell'insolazione media del sito in cui è ubicato l'impianto, della tipologia di installazione e di quanto dichiarato dal soggetto responsabile
Le nuove previsioni del Quinto Conto Energia, applicabili agli impianti che entrano in esercizio dopo il 27 agosto 2012, dispongono che:
L’art. 1, comma 4, del DM 5 luglio 2012 (Quinto conto energia) prevede che il IV Conto Energia continua ad applicarsi
a) ai piccoli impianti integrati con caratteristiche innovative ed impianti a concentrazione che sono entrati in esercizio prima del 27 agosto 2012;
b) ai grandi impianti iscritti in posizione utile nei registri e che producono la certificazione di fine lavori nei termini previsti;
c) agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni pubbliche (di cui all’art.1, comma 2 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001), che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2012. La Legge 24 dicembre 2012 n.228 (art.1, comma 425) - c.d. Legge di stabilità 2013 - ha prorogato il termine dell’entrata in esercizio di tali impianti:
1. al 31 marzo 2013, purché a tale data l’impianto sia stato debitamente autorizzato;
2. al 30 giugno 2013, purché l’impianto, al 31 marzo 2013, sia stato debitamente autorizzato e sottoposto alla procedura di VIA, di cui al D.lgs. 3 aprile 2006, n.152;
3. al 30 ottobre 2013 nel caso di impianti sottoposti alla procedura di VIA di cui al D.lgs. 3 aprile 2006, n.152 e che siano stati autorizzati successivamente al 31 marzo 2013.
Con riferimento alle disposizioni normative (D.L. 74/2012, D.L. 83/2012, D.L. 174/2012) emanate in merito agli interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012, il GSE ha precisato che:
1) gli impianti fotovoltaici realizzati e quelli in fase di realizzazione installati su fabbricati distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, accedono alle tariffe incentivanti cui avevano diritto al 6 giugno 2012, qualora entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2013;
2) gli impianti fotovoltaici realizzati sui fabbricati distrutti possono essere ricostruiti anche a terra mantenendo le tariffe in vigore al momento dell’entrata in esercizio;
3) gli impianti fotovoltaici già autorizzati alla data del 30 settembre 2012 accedono agli incentivi vigenti alla data del 6 giugno 2012 (tariffe 1° semestre del Quarto Conto Energia), qualora entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2013.
Il DM 5 luglio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, cosiddetto Quinto Conto Energia, ridefinisce le modalità di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. Le modalità di incentivazione previste dal Quinto Conto Energia si applicano a partire dal 27 agosto 2012, ovvero decorsi 45 giorni solari dalla data di pubblicazione della deliberazione con cui l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) ha determinato, su indicazione del GSE, il raggiungimento di un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi pari a 6 miliardi di euro (Deliberazione AEEG 12 luglio 2012, 292/2012/r/efr).
Il Quinto Conto Energia cessa di applicarsi decorsi 30 giorni solari dalla data in cui si raggiungerà un costo indicativo cumulato degli incentivi di 6,7 miliardi di euro l’anno (comprensivo dei costi impegnati dagli impianti iscritti in posizione utile nei Registri), che sarà comunicata dall’AEEG - sulla base degli elementi forniti dal GSE attraverso il proprio Contatore fotovoltaico - con un’apposita deliberazione.
Le tariffe incentivanti del Quinto Conto Energia sono riconosciute alle seguenti tipologie tecnologiche:
Gli interventi ammessi per richiedere le tariffe incentivanti sono quelli di nuova costruzione, rifacimento totale o potenziamento, così come definiti dal Decreto. Per beneficiare delle tariffe incentivanti è necessario che gli impianti fotovoltaici rispettino i requisiti descritti negli articoli 7, 8 e 9 del DM 05/07/12 e specificati nelle Regole Applicative per l’iscrizione al Registro e per il riconoscimento delle tariffe incentivanti.
Il Quinto Conto energia prevede due distinti meccanismi di accesso agli incentivi, a seconda della tipologia d’installazione e della potenza nominale dell’impianto:
Accesso diretto
Le seguenti categorie di impianti accedono direttamente alle tariffe incentivanti (“accesso diretto”), inviando al GSE la richiesta di ammissione agli incentivi secondo le modalità descritte nella sezione “Come richiedere gli incentivi”:
Accesso tramite Registro
Tutti gli impianti che non ricadono tra le categorie sopra elencate, possono accedere agli incentivi previa iscrizione in posizione utile in appositi Registri informatici, tenuti dal GSE, (“accesso tramite Registro”), ciascuno dei quali caratterizzato da un proprio limite di costo, individuato dal Decreto.
Il bando relativo al primo Registro è pubblicato dal GSE entro 20 giorni dalla data di pubblicazione delle Regole applicative per l’iscrizione al Registro e per il riconoscimento delle tariffe incentivanti e prevede la presentazione delle domande di iscrizione entro e non oltre i successivi 30 giorni naturali e consecutivi.
Per i Registri successivi, i bandi sono pubblicati dal GSE ogni sei mesi a partire dalla data di chiusura del primo Registro e prevedono la presentazione delle domande di iscrizione entro i successivi 60 giorni.
Le tariffe incentivanti previste dal Quinto Conto Energia sono alternative rispetto ai meccanismi dello scambio sul posto, del ritiro dedicato e della cessione dell’energia al mercato (per i soli impianti di potenza fino a 1 MW). Pertanto i Soggetti Responsabili titolari di convenzione di ritiro dedicato o di scambio sul posto per impianti ammessi in graduatoria in posizione utile nei Registri previsti dal DM 5 luglio 2012 dovranno recedere dalla convenzione all’atto della richiesta delle tariffe incentivanti.
Il Quinto Conto Energia remunera a differenza dei precedenti meccanismi di incentivazione, con una tariffa omnicomprensiva la quota di energia netta immessa in rete dall’impianto e, con una tariffa premio, la quota di energia netta consumata in sito.
In particolare, ferme restando le determinazioni dell’AEEG in materia di dispacciamento, il GSE con il Quinto Conto Energia eroga:
Nel caso di un impianto con autoconsumo la tariffa spettante sarà, quindi, data dalla somma della tariffa omnicomprensiva sulla quota di produzione netta immessa in rete e della tariffa premio sulla quota di produzione netta consumata.
Agli impianti fotovoltaici con potenza nominale non superiore a 20 kW, interamente adibiti all’alimentazione di utenze in corrente continua, collegati alla rete elettrica ma che non immettono energia in rete, sarà invece riconosciuta solo una tariffa premio sull’energia netta consumata in sito.
Come stabilito dal DM 5 luglio 2012, i valori delle due tariffe (omnicomprensiva e premio), saranno progressivamente decrescenti per i semestri d’applicazione del Quinto Conto Energia, a partire dal 27 agosto 2012.
La tariffa spettante è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell’impianto e, a partire da tale data, è riconosciuta per un periodo di 20 anni.
La tariffa incentivante rimane costante in moneta corrente per tutto il periodo dell’incentivazione, considerato al netto di eventuali fermate disposte per problematiche connesse alla sicurezza della rete o ad eventi calamitosi, riconosciuti come tali dalle autorità competenti.
Maggiorazioni delle tariffe
Le tariffe omnicomprensive e le tariffe premio sull’energia consumata in sito sono incrementate, limitatamente agli impianti fotovoltaici e agli impianti integrati con caratteristiche innovative, dei seguenti premi tra loro cumulabili, quantificati in €/MWh (riportati nell’art.5, comma 2 lettera a) del Decreto):
Il Quarto Conto energia (DM 5 maggio 2011) è stato adottato in attuazione dell’art. 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili.
L’art. 25 del D.Lgs. 28/2011 ha inciso sull’applicazione del Terzo Conto energia ed ha posto le basi normative per il Quarto Conto energia. In fatti tale norma:
a) da un lato, ha anticipato al 31 maggio 2011 il termine del Terzo conto energia, inizialmente previsto nel 31 dicembre 2013;
b) dall’altro lato, ha rimesso ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione della nuova disciplina relativa all’incentivazione degli impianti che entreranno in esercizio oltre il 31 maggio 2011.
Il DM 5 maggio 2011 prevede una nuova disciplina delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e pone le basi per lo sviluppo di tecnologie innovative per la conversione fotovoltaica. Il nuovo regime di incentivazione si applicherà agli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio tra il 31 maggio 2011 e il 31 dicembre 2016.
L’obiettivo indicativo di potenza installata a livello nazionale è di circa 23.000MW con un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro (articolo 1).
Il Titolo I del DM reca disposizioni di applicazione generale.
L’articolo 4 prevede tre tipologie di impianti:
1. impianti solari fotovoltaici, distinti in piccoli impianti e grandi impianti.
Piccoli impianti
Impianti realizzati su edifici che hanno una potenza non superiore a 1000 kW, gli altri impianti con potenza non superiore a 200 kW operanti in regime di scambio sul posto, nonché gli impianti di potenza qualsiasi realizzati su edifici ed aree delle Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (articolo 3,comma 1, lettera u)).
Grandi impianti
Impianti che non rientrano nella definizione di piccoli impianti (articolo 3, comma 1, lettera v));
2. impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative.
Impianto che utilizza moduli non convenzionali e componenti speciali, sviluppati specificatamente per sostituire elementi architettonici, e che risponde ai requisiti costruttivi e alle modalità di installazione indicate in allegato 4 (articolo 3, comma 1, lettera f));
3. impianti a concentrazione.
Impianto composto principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori.
L’articolo 4, commi 3-6 prevede i limiti all’incentivazione dell’energia prodotta.
A titolo esemplificativo si veda la tabella riepilogativa riportata di seguito.
|
Impianti solari fotovoltaici |
Impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative |
impianti a concentrazione |
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Piccoli |
Grandi |
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Secondo semestre 2011 e primo e secondo semestre 2012 |
Ammessi senza limiti di costo annuo, fatte salve le riduzioni tariffarie programmate stabilite dall’All. 5 |
Ammessi nei limiti di costo annuo individuati dalla TAB 1.1 |
Si applicano le riduzioni tariffarie programmate stabilite dall’All.5 |
|
Anni |
Il superamento dei costi di cui alla tab.1.2 non limita l’accesso alle tariffe incentivanti, ma determina una riduzione aggiuntiva alle stesse per il periodo successivo, sulla base di quanto stabilito dall’All.5. |
Il superamento dei costi di cui alla tab.1.3 non limita l’accesso alle tariffe incentivanti, ma determina una riduzione aggiuntiva alle stesse per il periodo successivo, sulla base di quanto stabilito dall’All.5. |
L’articolo 5 prevede che alcuni tipi di contributi in conto capitale, finalizzati alla realizzazione dell’impianto, possano essere erogati anche in presenza della tariffa incentivante.
Le tipologie di contributi previste dal decreto per la realizzazione degli impianti sono le seguenti:
1. non superiori al 30% del costo dell’investimento:
2. fino al 60% del costo dell’investimento:
Inoltre sono previsti finanziamenti a tasso agevolato, benefici conseguenti all’accesso ai fondi di garanzia e di rotazione istituiti da enti locali o regioni e province autonome e infine il diritto al beneficio della riduzione dell’imposta sul valore aggiunto.
Secondo l’articolo 6, i grandi impianti
In tutti i casi la tariffa incentivante spettante è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell'impianto.
Lo spostamento di un impianto fotovoltaico in un sito diverso da quello di prima installazione comporta la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante. Eventuali modifiche, sullo stesso sito, della configurazione dell'impianto non possono comportare un incremento della tariffa incentivante.
L’articolo 7 riguarda i casi in cui il mancato rispetto, da parte del gestore di rete, dei tempi per il completamento della realizzazione della connessione e per l'attivazione della connessione, comporti la perdita del diritto a una determinata tariffa incentivante.
In tali casi, si applicano le misure di indennizzo previste e disciplinate dalla delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ARG/elt 181/10 e relativo allegato A, e successive modifiche e integrazioni.
Tale delibera, in relazione agli indennizzi, richiama il Testo Integrato delle Connessioni Attive (TICA), che definisce le condizioni per l’erogazione del servizio di connessione alle reti elettriche i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi stabilendo, fra l’altro:
a) disposizioni particolari per la connessione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 387/03;
b) forme di indennizzo automatico verso il soggetto richiedente la connessione nel caso di mancato rispetto delle tempistiche definite per la comunicazione del punto di consegna e per l’esecuzione dei lavori di connessione.
Si segnala che di recente con la delibera ARG/elt 51/11, l’AEEG ha fornito un’interpretazione autentica della definizione di “data di completamento della connessione” per le finalità di cui al Testo Integrato della Connessioni Attive: "la data di completamento della connessione, che pone fine al tempo per la realizzazione della connessione, è la data di invio del documento relativo al completamento della realizzazione e alla disponibilità all'entrata in esercizio della connessione. Ciò presuppone che il gestore di rete abbia completato tutte le attività preliminari di propria competenza, rendendosi reperibile per definire, d'accordo con il richiedente, la data dell'attivazione. Tra le attività preliminari necessarie ai fini dell'attivazione della connessione rientra anche la predisposizione e l'invio al richiedente del regolamento d'esercizio nonché, qualora tale attività non sia effettuata dal richiedente, l'installazione dei misuratori necessari.".
L’articolo 8 riguarda il registro per i grandi impianti, per il quale il GSE ha già pubblicato regole tecniche che definiscono i criteri e le modalità di iscrizione al registro per i grandi impianti fotovoltaici nonché di formazione delle graduatorie.
Per gli anni 2011 e 2012, infatti, i soggetti responsabili di grandi impianti devono richiedere al GSE l'iscrizione all'apposito registro informatico.
Il GSE forma la graduatoria degli impianti iscritti al registro e la pubblica sul proprio sito entro quindici giorni dalla data di chiusura del relativo periodo, secondo i seguenti criteri di priorità, da applicare in ordine gerarchico:
a) impianti entrati in esercizio alla data di presentazione della richiesta di iscrizione;
b) impianti per i quali sono stati terminati i lavori di realizzazione alla data di presentazione della richiesta di iscrizione; in tal caso, fermo restando quanto previsto all'art. 9;
c) precedenza della data del pertinente titolo autorizzativo;
d) minore potenza dell'impianto;
e) precedenza della data della richiesta di iscrizione al registro.
L'iscrizione al registro non è cedibile a terzi.
L’articolo 9 riguarda la certificazione di fine lavori per i grandi impianti. Per gli anni 2011 e 2012, il soggetto titolare di un impianto iscritto al Registro comunica al GSE il termine dei lavori di realizzazione dell'impianto, e trasmette copia della comunicazione e della perizia al gestore di rete, il quale verifica la rispondenza di quanto dichiarato nella perizia asseverata dandone comunicazione al GSE.
Entro quindici giorni solari dalla data di entrata in esercizio dell'impianto, il soggetto responsabile è tenuto a far pervenire al GSE la richiesta di concessione della pertinente tariffa incentivante. Il mancato rispetto dei termini di cui al presente comma comporta il mancato riconoscimento delle tariffe incentivanti per il periodo intercorrente fra la data di entrata in esercizio e la data della comunicazione al GSE, fermo restando il diritto alla tariffa vigente alla data di entrata in esercizio.
Il GSE, verificato il rispetto delle disposizioni del presente decreto, determina e assicura al soggetto responsabile l'erogazione della tariffa spettante entro centoventi giorni dalla data di ricevimento della medesima richiesta (articolo 10).
Mentre il Titolo I (articoli 1-10) contiene disposizioni comuni ai diversi impianti fotovoltaici, i Titoli II, III e IV si occupano rispettivamente di tre diverse classi di impianti fotovoltaici (“normali”, integrati e a concentrazione). Le diverse classi, assieme alla potenza, alla tipologia e al momento di entrata in esercizio determinano l’ammontare della tariffa incentivante, secondo le regole definite dall’allegato 5 (si veda il testo del decreto). La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.
Il Titolo II (articoli 11-14) riguarda gli impianti fotovoltaici “normali”, disponendo in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti (articolo 11) e alle relative tariffe incentivanti.
Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di questa tipologia, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.
Si vedano la tabella 1 (giugno, luglio e agosto 2011), la tabella 2 (per i mesi da settembre a dicembre 2011), la tabella 3 (per il primo e secondo semestre 2012), la tabella 4 e la tabella 5 per le tariffe dal 2013 al 2016. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 4, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi sono individuate dalla tabella 5 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente.
I punti 6, 7 e 8 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 5 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione.
La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.
Ai fini dell'attribuzione delle tariffe incentivanti, più impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti.
Le tariffe incentivanti possono essere incrementate con un premio aggiuntivo:
Si tratta, ad esempio, di:
- impianti fotovoltaici ubicati in zone industriali, miniere, cave o discariche esaurite, area di pertinenza di discariche o di siti contaminati;
- piccoli impianti, dei quali siano soggetti responsabili piccoli comuni;
- impianti realizzati su edifici installati in sostituzione di coperture in eternit o comunque contenenti amianto;
- impianti il cui costo di investimento, per quanto riguarda i componenti diversi dal lavoro, sia per non meno del 60% riconducibile ad una produzione realizzata all'interno della Unione europea.
In relazione a tali premi, ogni singolo incremento è da intendersi non cumulabile con gli altri. A decorrere dal 2013 la tariffa a cui è applicato l'incremento è pari alla componente incentivante. Il premio è riconosciuto sull'intera energia elettrica prodotta dall'impianto fotovoltaico.
Gli impianti i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline hanno diritto a una tariffa pari alla media aritmetica fra la tariffa spettante per «impianti fotovoltaici realizzati su edifici» e la tariffa spettante per «altri impianti fotovoltaici».
Per quanto concerne le serre, al fine di garantire la coltivazione sottostante, le serre a seguito dell'intervento devono presentare un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati sulla serra e della superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 50%.
Ai soli fini di cui al presente decreto, i fabbricati rurali sono equiparati agli edifici, sempreché accatastati prima della data di entrata in esercizio dell'impianto fotovoltaico.
Il Titolo III (articoli 15-16) riguarda gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative, ovvero gli impianti fotovoltaici che utilizzano moduli non convenzionali e componenti speciali, sviluppati specificatamente per integrarsi e sostituire elementi architettonici. L’articolo 15 dispone in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti, e l’articolo 16 riguarda le tariffe incentivanti.
Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di tale tipologia, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.
Per l’anno 2011, le tariffe per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1° giugno 2011 sono individuate dalla tabella 6. Le tariffe per il primo e secondo semestre del 2012 sono individuate dalla tabella 7. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 8, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi (per gli anni 2013 e 2014) sono individuate dalla tabella 9 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente.
I punti 13, 14 e 15 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 9 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione. Secondo il punto 16, a decorrere dal 2015 gli impianti di cui al titolo III accedono alle tariffe previste per gli impianti di cui al titolo II.
La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.
Le tariffe incentivanti possono essere incrementate con un premio aggiuntivo nel caso di piccoli impianti sugli edifici, qualora abbinati ad un uso efficiente dell'energia, con le modalità definite dall’articolo 13.
Il Titolo IV (articoli 17-19) riguarda gli impianti a concentrazione.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera r), un «sistema solare fotovoltaico a concentrazione o impianto fotovoltaico a concentrazione» è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico; esso è composto principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori.
L’articolo 17 dispone in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti, e l’articolo 18 riguarda le tariffe incentivanti.
Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di cui al presente titolo, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.
Le tariffe per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1° giugno 2011 sono individuate dalla tabella 10. Le tariffe per il primo e secondo semestre del 2012 sono individuate dalla tabella 11. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 12, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi (per gli anni 2013 e 2014) sono individuate dalla tabella 13 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente. I punti 21, 22 e 23 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 13 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione. Secondo il punto 24, a decorrere dal 2015 gli impianti di cui al titolo IV accedono alle tariffe previste per gli impianti di cui al titolo II.
La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.
L’articolo 19 riguarda invece gli impianti fotovoltaici con innovazione tecnologica.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera t), un «impianto fotovoltaico con innovazione tecnologica» è un impianto fotovoltaico che utilizza moduli e componenti caratterizzati da significative innovazioni tecnologiche.
Con un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza unificata, saranno definite le caratteristiche di innovazione tecnologica e i requisiti tecnici di tali impianti con innovazione tecnologica, e definite le tariffe incentivanti spettanti nonché i requisiti per l'accesso.
Il Titolo V dispone in merito:
Per un'analisi approfondita del contenuto v. I primi tre conti energia.
Con l’espressione “scambio sul posto” si intende il servizio gestito dal Gestore dei servizi elettrici (GSE) che consente ad un cliente di utilizzare i servizi di rete per “immagazzinare” l’energia elettrica immessa quando non ci sono necessità di consumo e di riprelevarla dalla rete quando gli serve.
Il servizio di scambio sul posto consiste, infatti, in una particolare forma di autoconsumo in sito che consente di compensare l’energia elettrica prodotta e immessa in rete in un certo momento con quella prelevata e consumata in un momento differente da quello in cui avviene la produzione.
Nello scambio sul posto il sistema elettrico costituisce uno strumento per l’immagazzinamento virtuale dell’energia elettrica prodotta ma non contestualmente autoconsumata. Condizione necessaria per l’erogazione del servizio di scambio sul posto è la coincidenza tra il punto di immissione e di prelievo dell'energia elettrica scambiata con la rete elettrica con l’obbligo di connessione di terzi.
La disciplina del servizio di scambio sul posto, introdotto dall’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge n. 133/1999 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale) per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza elettrica non superiore a 20 kW e poi confermato dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 387/2003 (attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) , è stata inizialmente definita dalle delibere AEEG n. 224/00 e n. 28/06.
Con la deliberazione n. 224/00 l’Autorità ha dato applicazione alle disposizioni previste dalla legge n. 133/1999 per i soli impianti fotovoltaici realizzati da clienti del mercato vincolato titolari di un contratto di fornitura di energia elettrica. Con la successiva delibera AEEG n. 28/06 è stata data una prima attuazione alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 387/2003, attraverso l’estensione dello scambio sul posto a tutte le tipologie di clienti e a tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 20 kW.
La delibera 28/06 prevedeva che lo scambio sul posto si concretizzasse attraverso un saldo fisico pari alla differenza tra l’energia elettrica immessa e quella prelevata (modalità net metering).
A partire dal 1° gennaio 2009 è diventato operativo il Testo integrato delle modalità e delle condizioni tecnico-economiche per lo scambio sul posto (TISP), approvato con la deliberazione ARG/elt n. 74/08, nel quale sono recepite anche le disposizioni del decreto legislativo n. 20/2007 per gli impianti di cogenerazione ad alto rendimento.
Con la delibera AEEG n. 74/08, ai sensi della quale a partire dal 1° gennaio 2009 il servizio di scambio sul posto viene gestito non più dai diversi distributori ma dal solo GSE, secondo modalità uniformi per tutto il sistema nazionale, attraverso un portale informatico, sono state introdotte regole più semplici a sostegno della produzione di energia elettrica nei piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili o da cogenerazione.
Le nuove regole si applicano agli impianti di produzione da fonti rinnovabili fino a 20 kW e quelli da cogenerazione ad alto rendimento con potenza fino a 200 kW.
Lo scambio sul posto per questi ultimi impianti di cogenerazione è stato introdotto dall’articolo 6, comma 4, del D.Lgs. n. 20/2007 (attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, nonché modifica alla direttiva 92/42/CEE) in cui si prevede che la regolazione dello scambio sul posto tenga conto della valorizzazione dell’energia elettrica scambiata con il sistema elettrico nazionale, degli oneri e delle condizioni per l’accesso alle reti. Le disposizioni relative allo scambio sul posto per la cogenerazione ad alto rendimento, a differenza di quelle relative alle fonti rinnovabili, non vietano la vendita dell’energia elettrica prodotta in eccesso rispetto ai propri consumi.
A partire dal 1° gennaio 2009 coloro che già usufruiscono del servizio di scambio sul posto dovranno semplicemente presentare l’istanza al GSE entro il 31 marzo 2009, stipulando una nuova convenzione con il gestore.
Le indicazioni sulle procedure da seguire sono disponibili sul sito del GSE.
Il nuovo regime non comporterà nessuna modifica delle modalità di ottenimento e di erogazione dell’incentivo previsto per gli impianti fotovoltaici (conto energia fotovoltaico) né alcuna spesa. I benefici economici derivanti dall’erogazione del servizio decorreranno dal 1° gennaio 2009.
La nuova disciplina prevede l'erogazione da parte del GSE di un contributo cosiddetto in conto scambio (CS) che consiste nell’ammontare (in euro) determinato dal GSE che garantisce l’equivalenza tra quanto pagato dall’utente dello scambio sul posto in riferimento all’energia prelevata ed il valore dell’energia immessa in rete tramite il punto di scambio.
Il contributo viene calcolato, su base annuale solare, prendendo in considerazione la quantità di energia scambiata in rete (ammontare minimo tra energia immessa ed energia prelevata dalla rete elettrica), il controvalore in euro dell'energia immessa (associato dal GSE all’energia immessa in rete) e il valore in euro dell'energia prelevata dalla rete, suddiviso, quest'ultimo, in due componenti, onere energia ed onere servizi.
Il contributo si configura come ristoro di una parte degli oneri sostenuti per il prelievo dell’energia elettrica dalla rete.
L'onere servizi viene compensato dal GSE limitatamente alla sola quota di energia scambiata con la rete.
L'onere energia viene confrontato con il controvalore in euro dell'energia immessa in rete. Qualora il controvalore dell’energia immessa risultasse superiore all’onere energia sostenuto dall’utente dello scambio, il saldo positivo viene registrato a credito di quest’ultimo che potrà utilizzarlo per compensare l’onere energia negli anni successivi.
L’eventuale credito può essere utilizzato negli anni successivi senza più incorrere nel suo annullamento trascorsi tre anni, come invece previsto in precedenza. Per la cogenerazione, il produttore può scegliere se utilizzare l’eventuale credito negli anni successivi, al pari delle fonti rinnovabili, oppure incassarlo al termine dell’anno, ottenendo un compenso monetario.
Il contributo viene calcolato trimestralmente in acconto e corrisposto quando si superi una soglia minima definita dal GSE. Un conguaglio del contributo in conto scambio maturato in corso d’anno sarà calcolato e corrisposto su base annuale.
Successivamente, in attuazione di quanto disposto dall’art. 20 del decreto ministeriale 18 dicembre 2008 (Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell'articolo 2, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) del Ministero dello sviluppo economico, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha adottato la delibera ARG/elt 1/09 del 12 gennaio 2009, con la quale il regime dello scambio sul posto (di cui alla delibera ARG/elt 74/08) è stato esteso agli impianti di generazione alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 200 kW entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007. A questi si applicheranno le regole già in vigore dal 1° gennaio 2009 per gli impianti da fonti rinnovabili di potenza fino a 20 kW.
Con la Deliberazione 293/2012/R/efr, l'AEEG ha definito la nuova regolazione dello scambio sul posto, al fine di rivedere le modalità di restituzione degli oneri generali di sistema e di semplificarne la fruizione anche per gli impianti già entrati in esercizio, dando attuazione alle disposizioni previste dal decreto interministeriale 6 luglio 2012. La nuova regolazione trova applicazione dall’anno 2013.
Compatibilità con incentivi
Lo scambio sul posto è un meccanismo non compatibile con il ritiro dedicato dell’energia e con la tariffa omnicomprensiva.
Gli impianti che accedono ai meccanismi di incentivazione previsti dai Decreti Interministeriali del 5 luglio 2012 (V Conto Energia) e del 6 luglio 2012 (incentivi per fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico) non possono accedere al servizio di scambio sul posto.
Tramite decreti ministeriali, nel dicembre 2012 sono state modificate le linee guida per la certificazione energetica degli edifici e rideterminati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico attuabili col meccanismo dei certificati bianchi per il triennio 2013-2016. Infine, con il "conto termico", si sono incentivati la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici.
Misure a favore del risparmio e dell’efficienza energetica sono contenute nella legge 99/2009 (A.C. 1441-ter).
La legge prevede la predisposizione, entro il 31 dicembre 2009, di un piano straordinario, da trasmettere alla Commissione europea, volto ad accelerare l'attuazione dei programmi per l'efficienza e il risparmio energetico. Il piano - che non risulta ancora predisposto - dovrà contenere misure di coordinamento e armonizzazione delle funzioni e compiti in materia di efficienza energetica tra Stato ed enti territoriali, misure di promozione di nuova edilizia a risparmio energetico e riqualificazione degli edifici esistenti, incentivi per lo sviluppo di sistemi di microcogenerazione, sostegno della domanda di certificati bianchi e certificati verdi, misure di semplificazione amministrativa per lo sviluppo reale del mercato della generazione distribuita, definizione di indirizzi per l’acquisto e l’installazione di prodotti nuovi e per la sostituzione di prodotti, apparecchiature e processi con sistemi ad alta efficienza, misure volte ad agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese all’autoproduzione.
Viene inoltre rafforzato il regime di sostegno per la cogenerazione ad alto rendimento, in modo da adeguarlo a quello riconosciuto nei principali Stati membri dell'Unione europea.
La legge prevede anche alcune integrazioni al Codice ambientale (decreto legislativo 152/2006), relative ai requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili, finalizzate all’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella comunitaria, con riferimento, in particolare, agli impianti a condensazione.
Inoltre il Parlamento ha convertito in legge due provvedimenti d’urgenza recanti misure a sostegno del risparmio e dell’efficienza energetica consistenti in detrazioni fiscali.
Il decreto-legge 185/2008 (A.C. 1972), è intervenuto sulla disciplina relativa alla detrazione IRPEF del 55% per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici, introdotta dalla legge 296/2006 (finanziaria 2007) e prorogata sino a tutto il 2010 dalla legge 244/2007 (finanziaria 2008). Il decreto-legge ha disposto, in particolare, per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2009, che i contribuenti interessati a tali detrazioni inviino all'Agenzia delle entrate apposita comunicazione e che la detrazione dall'imposta lorda debba essere ripartita in cinque rate annuali di pari importo.
La legge 220/2010 (A.C. 3778), legge di stabilità 2011, ha poi prorogato sino a tutto il 2011 il beneficio in questione, prevedendo che per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2011 la detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo.
Il D.L. 201/2011 (cd. "Salva italia", A.C. 4829) all'articolo 4 ha prorogato a tutto il 2012 gli incentivi già vigenti sul 55%, annunciando nel contempo che dal 2013 detti incentivi saranno sostituiti con le detrazioni fiscali del 36% già ora utilizzate per le ristrutturazioni edilizie.
Un’ulteriore agevolazione fiscale è stata introdotta dal decreto-legge 5/2009, convertito dalla legge 33/2009 (A.C. 2187). Si tratta di una detrazione IRPEF del 20% delle spese documentate sostenute entro il 31 dicembre 2009 per l'acquisto di mobili, elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+, nonché apparecchi televisivi e computer.
Il decreto legislativo 56/2010 ha introdotto modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 115/2008, di attuazione della direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici. L'intervento normativo è volto a chiarire aspetti che potrebbero costituire un freno allo sviluppo dell’efficienza energetica e ad introdurre ulteriori elementi necessari allo sviluppo e alla promozione dei servizi energetici.
Con il decreto legislativo 15/2011 è stata recepita la direttiva 2009/125/CE sull’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia.
Il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. Si dispone che gli interventi di incremento dell'efficienza energetica (e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili) sono incentivati mediante contributi a valere sulle tariffe del gas naturale per gli interventi di piccole dimensioni o, per le altre fattispecie, mediante il rilascio dei certificati bianchi di cui si razionalizza la disciplina.
Il D.M. 28 dicembre 2012 (cd. "Conto termico") si pone il duplice obiettivo di dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili (riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling) e di accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili termiche, il nuovo sistema promuoverà interventi di piccole dimensioni, tipicamente per usi domestici e per piccole aziende, comprese le serre, fino ad ora poco supportati da politiche di sostegno. L'incentivo coprirà mediamente il 40% dell’investimento e sarà erogato in 2 anni (5 anni per gli interventi più onerosi). Per quel che riguarda invece gli incentivi all’efficienza energetica per la Pubblica Amministrazione, il provvedimento mira a superare le restrizioni fiscali e di bilancio che non hanno finora consentito alle amministrazioni di sfruttare pienamente le potenzialità di risparmio derivanti da interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici.
Nel giugno 2011 è stato predisposto il secondo Piano d’Azione Nazionale per l’Efficienza Energetica (PAEE 2011), che intende dare seguito in modo coerente e continuativo ad azioni ed iniziative già previste nel PAEE2007 e si propone di presentare proposte di medio-lungo termine.
Nel gennaio 2005 (D.M. 20/07/04) ha preso avvio un meccanismo incentivante del risparmio energetico detto dei "certificati bianchi" o "titoli di Efficienza Energetica". Questo strumento di mercato serve promuovere l'efficienza energetica negli usi finali.
In particolare, i certificati bianchi servono per attestare il raggiungimento degli obiettivi di risparmio che le imprese distributrici di energia elettrica e gas devono conseguire, attraverso interventi e progetti per accrescere l'efficienza energetica negli usi finali di energia.
La valutazione ed il controllo dei risparmi è affidata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che certifica i risparmi energetici ottenuti e autorizza poi il Gestore del mercato elettrico (GME) ad emettere i "certificati bianchi" in quantità pari ai risparmi certificati, a favore dei distributori, delle società controllate dagli stessi distributori o a favore di società operanti nel settore dei servizi energetici (ESCO). Per dimostrare di aver raggiunto gli obblighi di risparmio energetico e non incorrere in sanzioni dell'Autorità, i distributori devono consegnare annualmente all'Autorità un numero di 'titoli' equivalente all'obiettivo obbligatorio.
Con il D.M. 28 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. del 2 gennaio 2013, sono stati determinati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2013 al 2016 e per il potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi previsto dal decreto legislativo 28/2011. Si mira a raggiungere una riduzione di energia primaria di circa 25 Mtep, nel quadriennio 2013-2016, e un contenimento delle emissioni di CO2 pari a 15 milioni di tonnellate l’anno, introducendo un pacchetto di misure finalizzate a facilitare la realizzazione di nuovi progetti di efficienza energetica. Tra queste la semplificazione dell’iter di accesso al meccanismo, l’approvazione di nuove schede per la valutazione dei risparmi nei settori industriale,civile e trasporti, la semplificazione del processo di predisposizione di nuove schede, l’inclusione di nuove aree di intervento, l’ampliamento dei soggetti che possono presentare progetti. Al fine di stimolare la realizzazione di grandi progetti, industriali e infrastrutturali, in grado di generare significativi volumi di risparmi, sono previsti maggiori incentivi per gli investimenti effettuati. Ulteriori innovazioni del meccanismo, che sarà gestito dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), riguardano un maggior ruolo affidato al mercato (attraverso la piattaforma di scambio gestita dal GME) nella determinazione del valore del risparmio ed il rafforzamento dei controlli, a complemento delle semplificazioni, con un programma di verifiche ex post accompagnate da un sistema sanzionatorio efficace. Confermato il ruolo dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas negli interventi di regolazione economica del sistema.
La certificazione energetica, attestante il fabbisogno annuo di energia di un edificio, è ritenuta a livello comunitario una delle azioni più efficaci per ridurre i consumi nel settore civile che assorbono una parte consistente dell’intero fabbisogno di energia.
A partire dal 2005 nel nostro Paese sono state emanate diverse normative che hanno reso obbligatoria la certificazione energetica degli edifici sia di nuova costruzione sia già esistenti (v. in particolare il decreto legislativo 192/2005 e successive modificazioni).
Le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici sono state predisposte con D.M. 26 giugno 2009. Il 13 dicembre 2012 è stato pubblicato il D.M. 22 novembre 2012 che introduce alcune modifiche alle citate Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. In particolare, il decreto elimina la possibilità per i proprietari di determinati immobili di optare per l’autocertificazione della classe energetica più bassa (autocertificazione di classe G), come richiesto dalla Commissione Europea.
Nel corso dell’esame del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), il Parlamento ha introdotto una norma che ha abolito l’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica all’atto di compravendita di immobili, nonché l’obbligo, nel caso delle locazioni, di mettere a disposizione del conduttore lo stesso attestato, previsti dal D.Lgs. 192/2005. Resta invece fermo l’obbligo di redigere l’attestato di certificazione energetica nei casi previsti dal medesimo D.Lgs. 192/2005. Si segnala peraltro che il decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili, intervenendo sulla trasparenza delle informazioni commerciali e contrattuali relative alla certificazione energetica degli edifici, all'articolo 13 dispone che nei contratti di compravendita o di locazione di immobili venga inserita apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici.
Inoltre il regolamento di cui al D.P.R. 59/2009 ha definito i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici.
Si ricorda che specifiche disposizioni in materia di efficienza energetica degli edifici sono contenute anche nella succitata legge 99/2009.
Si segnala, infine, che il disegno di legge comunitaria 2011 (A.C. 4623) contiene la nuova direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che sostituisce la direttiva 2002/91/CE, abrogata dal 1º febbraio 2012.
È pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 315 del 14 novembre la nuova direttiva sull'efficienza energetica (direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012) , che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/CE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE.
La direttiva contiene le indicazioni per gli Stati Membri per raggiungere l'obiettivo del 20% di risparmio energetico al 2020.
Tra le altre misure, ciascun Paese dovrà istituire un regime nazionale obbligatorio di efficienza energetica per garantire che i distributori di energia e/o le società di vendita di energia al dettaglio conseguano, tra il primo gennaio 2014 e la fine del 2020, un obiettivo di risparmio sugli usi finali dell'energia dell'1,5% l'anno sulla media dei volumi complessivi di vendita annuali.
Quanto all'efficienza nell'edilizia, gli Stati membri dovranno garantire dal 1° gennaio 2014 la riqualificazione del 3% della superficie totale degli edifici riscaldati e/o raffrescati posseduti e occupati dal loro Governo centrale con una metratura utile totale superiore a 500 mq. Da luglio 2015 l''obbligo riguarderà anche quelli fino a 250 mq. Le nuove norme dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 giugno 2014.
Sul decreto legislativo in tema di energie rinnovabili
Sulla nuova direttiva sull'efficienza energetica
Le prime disposizioni in materia di certificazione energetica degli edifici risalgono alla legge 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), volta a favorire e ad incentivare, tra l’altro, l'uso razionale dell'energia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.
La legge al Titolo II recava, infatti, un quadro organico di disposizioni per il contenimento dei consumi di energia negli edifici concernente, tra l’altro, proprio la certificazione energetica degli edifici.
Successivamente le disposizioni in materia sono state riviste ed integrate dai decreti legislativi n. 192/2005 e n. 311/2006 con i quali si è provveduto al recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia che ha introdotta nell’Unione europea la certificazione energetica degli edifici intesa soprattutto come strumento di trasformazione del mercato immobiliare, finalizzato a sensibilizzare gli utenti sugli aspetti energetici all'atto della scelta dell'immobile.
La direttiva 2002/91/CE è stata adottata con l'obiettivo di migliorare la prestazione energetica degli edifici nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni riguardanti il clima degli ambienti interni e l'efficacia sotto il profilo dei costi; il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è funzionale alla riduzione delle emissioni inquinanti di biossido di carbonio.
Si ricorda, a tale proposito, che nel preambolo dello schema del D.Lgs. 192/2005, il Governo sottolineava come tale direttiva risultasse già in parte attuata nell’ordinamento proprio dalla legge 9 gennaio 1991, n. 10, e dal D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, di attuazione della legge stessa. Alcune disposizioni della legge n. 10/1991 sono state in seguito abrogate e modificate ai fini del coordinamento con le disposizioni dei richiamati decreti legislativi.
Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia, disciplinante - fra l’altro - la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e l'applicazione di requisiti minimi in materia, ha stabilito (in attuazione dell'art. 7 della direttiva 2002/91/CE) i criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, prevedendone l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione.
In particolare il D.Lgs. 192/2005 ha previsto che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore (cioè entro l'8 ottobre 2006), gli edifici di nuova costruzione dovessero essere dotati, al termine della costruzione, di un attestato di certificazione energetica (ai sensi dell’art. 2, lett. d) del D.Lgs. 192/2005 per «attestato di certificazione energetica o di rendimento energetico dell'edificio» si intende “il documento redatto nel rispetto delle norme contenute nel presente decreto, attestante la prestazione energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio”), redatto secondo i criteri e le metodologie fissati dall'articolo 4 dello stesso D.Lgs. La certificazione, per gli appartamenti di un condominio, può basarsi, oltre che sulla valutazione dell’appartamento interessato, su una certificazione comune dell’intero edificio (per i condomini dotati di un impianto termico comune) o sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo del medesimo condominio e della medesima tipologia.
L’attestato ha una validità massima di 10 anni dal rilascio e deve essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione modificante le prestazioni energetiche dell'edificio. L’attestato comprende i dati relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentano ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell'edificio. E’ inoltre corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della prestazione energetica.
Il D.Lgs. 192/2005 all’art. 6 ha demandato al Ministro dello sviluppo economico la predisposizione - di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, sentito il CNR, l'ENEA e il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) - delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici avvalendosi delle metodologie di calcolo definite con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 4, comma 1. Le Linee guida sono state recentemente emanate con il D.M. 26 giugno 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009.
Si ricorda che, ai sensi del su menzionato articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, con uno o più D.P.R. devono essere definiti:
a) i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al contenimento dei consumi di energia e al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici. Questi decreti disciplinano la progettazione, l'installazione, l'esercizio, la manutenzione e l'ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici, per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari e, limitatamente al settore terziario, per l'illuminazione artificiale degli edifici;
b) i criteri generali di prestazione energetica per l'edilizia sovvenzionata e convenzionata, nonché per l'edilizia pubblica e privata, anche riguardo alla ristrutturazione degli edifici esistenti e le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici;
c) i requisiti professionali e i criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli esperti o degli organismi cui affidare la certificazione energetica degli edifici e l'ispezione degli impianti di climatizzazione. I requisiti minimi sono rivisti ogni cinque anni e aggiornati in funzione dei progressi della tecnica.
Con il decreto legislativo n. 311 del 2006, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, l’obbligo della certificazione energetica è stato esteso gradualmente a tutti gli edifici preesistenti all’entrata in vigore del D.Lgs. 192/2005 (8 ottobre 2005), purché oggetto di compravendita o locazione, al fine di rendere il provvedimento maggiormente aderente alle disposizioni dell’articolo 7 della direttiva 2002/91/CE (in particolare l'articolo 7 della citata direttiva stabilisce che in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione dell'acquirente o del conduttore che in tal modo è in grado di valutare e raffrontare la prestazione energetica dell'edificio ai fini della comparazione dei costi).
Per l'estensione dell'obbligo della certificazione è stato previsto un percorso graduale:
a) a decorrere dal 1° luglio 2007 agli edifici di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile;
b) a decorrere dal 1° luglio 2008 agli edifici di superficie utile fino a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile con l'esclusione delle singole unità immobiliari;
c) a decorrere dal 1° luglio 2009 alle singole unità immobiliari, nel caso di vendita.
A partire dal 1° gennaio 2007, l’attestato di certificazione energetica è diventato prerequisito essenziale per accedere ad incentivi ed agevolazioni di qualsiasi natura destinati al miglioramento delle prestazioni energetiche – sia sgravi fiscali, sia contributi a carico di fondi pubblici o degli utenti – ed è stato reso obbligatorio per tutti gli edifici pubblici (o comunque in cui figura come committente un soggetto pubblico) in concomitanza con la stipula o il rinnovo dei contratti di gestione degli impianti termici o di climatizzazione, entro i primi sei mesi di vigenza contrattuale.
Inoltre, si stabiliva che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3, D.Lgs. 192/2005) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4, D.Lgs. 192/2005). In caso di inadempimento si prevedeva la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solamente dal compratore o, rispettivamente, dal conduttore (art. 15, co. 8, D.Lgs. 192/2005). Tali disposizioni relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica sono state in seguito abrogate dal decreto-legge n. 112/2008.
Al fine di semplificare il rilascio della certificazione energetica per gli edifici esistenti e renderla meno onerosa per i cittadini è stata prevista la possibilità di predisporre un attestato di qualificazione energetica, a cura dell’interessato, come si precisa nell’Allegato A del decreto (art. 6, co. 2-bis, D.Lgs. 192/2005), introdotto dall’art. 2, co. 3, D.Lgs. 311/2006.
Al riguardo, si segnala che l’allegato A definisce l’attestato di qualificazione energetica come il documento predisposto ed asseverato da un professionista abilitato, non necessariamente estraneo alla proprietà, alla progettazione o alla realizzazione dell’edificio, nel quale sono riportati i fabbisogni di energia primaria, la classe di appartenenza in relazione al sistema di certificazione energetica in vigore, ed i corrispondenti valori massimi ammissibili fissati dalla legge.
Pertanto, al di fuori di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 192/2005 (come modificato dall’art. 3 del D.Lgs. 311/2006) l’attestato di qualificazione energetica è facoltativo ed è predisposto a cura dell’interessato al fine di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica. A tal fine, l’attestato comprende anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle prestazioni energetiche che potrebbero permettere passaggi di classe energetica. L’estensore del documento provvede ad evidenziare sul frontespizio che il medesimo non costituisce attestato di certificazione energetica dell’edificio.
Inoltre, il D.Lgs. 311/2006, introducendo una semplificazione temporanea per accelerare l'attuazione della normativa, all’articolo 5 (aggiungendo il comma 1-bis all’articolo 11 del D.Lgs. 192/2005) ha consentito il ricorso, in via provvisoria, alla procedura di qualificazione energetica in luogo dell’attestato di certificazione energetica nelle more dell’emanazione delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici prevista dall’articolo 6, comma 9, del D.Lgs. 192/2005. Le Linee guida sono state emanate con il D.M. 26 giugno 2009 (cfr. supra, nel testo). Si ricorda che il comma 1-ter dell’articolo 11 del D.Lgs. 192/2005 prevede che, trascorsi dodici mesi dall'emanazione delle Linee guida, l'attestato di qualificazione energetica perde efficacia ai fini di cui al precedente comma 1-bis.
Infine con il D.Lgs. 311/2006 sono state modificate anche le norme relative alle funzioni delle regioni e degli enti locali contenute nel citato D.Lgs. 192/2005 che all’articolo 9 precisa, in particolare, il ruolo delle regioni, delle province autonome e delle autorità competenti in merito agli accertamenti e alle ispezioni sugli edifici e sugli impianti, confermando le competenze in materia già attribuite in sede di decentramento amministrativo dall’articolo 30 del D.Lgs. 112/1998[1] e stabilendo altresì che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano riferiscano annualmente alla Conferenza unificata e ai ministeri competenti sullo stato di attuazione del decreto legislativo nei rispettivi territori.
Ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 9, aggiunto dal D.Lgs. 311/2006, entro il 31 dicembre 2008 le regioni e le province autonome, in accordo con gli enti locali, sono tenute a predisporre un programma di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, sviluppando tra l'altro la realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e la promozione, con istituti di credito, di strumenti di finanziamento agevolato destinati alla realizzazione degli interventi di miglioramento individuati con le diagnosi energetiche nell'attestato di certificazione energetica, o in occasione delle attività ispettive. Ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 9, le regioni devono considerare, fra gli strumenti di pianificazione ed urbanistici di competenza, le soluzioni necessarie all’uso razionale dell’energia e all’uso di fonti rinnovabili, con indicazioni anche in ordine all’orientamento e alla conformazione degli edifici da realizzare, per massimizzare lo sfruttamento della radiazione solare.
Il decreto legislativo n. 192/2005 e i relativi decreti applicativi nelle materie di legislazione concorrente si applicano alle regioni e alle province autonome che non abbiano ancora adottato propri provvedimenti attuativi della direttiva 2002/91/CE fino all’entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma. Nell’adottare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome sono tenute a rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e i princìpi fondamentali desumibili dal decreto legislativo n. 192/2005 (art. 17).
Merita segnalare che la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) al comma 288 dell'articolo 1 ha disposto che a decorrere dall’anno 2009, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, il rilascio del permesso di costruire sia subordinato alla certificazione energetica dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato decreto legislativo, nonché delle caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al reimpiego delle acque.
Con il comma 289 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008 è stato inoltre previsto (attraverso la sostituzione del comma 1-bis dell'art. 4 del D.P.R. 380/2001) che, dal 1° gennaio 2009, i regolamenti edilizi comunali debbano vincolare, per gli edifici di nuova costruzione, il rilascio del permesso di costruire all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo tale da garantire una produzione energetica non inferiore a: 1 kW per ciascuna unità abitativa e 5 kW per i fabbricati industriali di estensione superficiale non inferiore a 100 metri quadrati. Limitatamente alle unità abitative, la disposizione precisa che tale obbligo opera, in quanto compatibile con la realizzabilità tecnica dell’intervento.
Si ricorda che il suddetto termine del 1° gennaio 2009 è stato rinviato prima al 1° gennaio 2010 dal D.L. 207/2008 (art. 29, comma 1-octies), e poi al 1° gennaio 2011 dal D.L. 194/2009 (art. 8, comma 4-bis) (A.C. 3210).
Si segnala, inoltre, il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 recante Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE, che all’art. 18, comma 6, prevede, nelle more dell'emanazione dei decreti attuativi di cui all’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005 e fino alla data di entrata in vigore degli stessi decreti, l’applicazione delle disposizioni contenute nell'allegato III dello stesso decreto legislativo, relative alle “Metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici e degli impianti” e al riconoscimento dei “Soggetti abilitati alla certificazione energetica degli edifici”.
In materia di certificazione energetica si segnalano inoltre le disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, che all’articolo 35 - volto a semplificare la disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici, rimettendola ad uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione – con il comma 2-bis ha disposto l’abrogazione di alcune disposizioni del D.Lgs. 192/2005 (introdotte dal D.Lgs. 311/2006) relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica.
Le disposizioni abrogate stabilivano in particolare che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4).
Conseguentemente, sono stati abrogati anche i commi 8 e 9 dell’art. 15, che prevedevano la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solo dall'acquirente in caso di violazione dell'obbligo di cui all'art. 6, co. 3 (comma 8) o solo dal conduttore in caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, co. 4 (comma 9).
Con il D.L. 112/2008 è quindi venuto meno l’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica agli atti di compravendita, ma non l’obbligo di redigerlo, previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 192/2005.
Con riferimento (anche) a tali disposizioni del D.L. 112/2008 la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva 2002/91/CE.
La Commissione europea ha in più occasioni invitato l’Italia ad adeguare la legislazione nazionale alla Direttiva 2002/91/CE. Il 24 novembre 2010 ha inviato all’Italia un parere motivato (p.i. 2006/2378) contestandole la non completa attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici entro il termine massimo consentito del 4 gennaio 2009.
In particolare, la Commissione contesta all’Italia di non aver soddisfatto, nel proprio ordinamento quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva, concernente l’obbligo di presentare un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o locazione di un immobile, né l’obbligo di garantire l’indipendenza degli esperti certificatori (art. 10). Inoltre, nell’avviso della Commissione, l’Italia non avrebbe finora adottato alcuna misura relativa all'obbligo di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento dell'aria la cui potenza nominale è superiore a 12 kW per valutarne il rendimento, previsto dall’articolo 9 della medesima direttiva.
La Commissione ritiene che con l’abrogazione disposta dall’art 35 del D.L. 112/2008 delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 311, intese a dare piena attuazione al predetto art. 7 della direttiva 2002/91, in Italia non sia più vigente l’obbligo di consegna di un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o di locazione di un immobile.
Inoltre, l’articolo 9 delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici contenute nel decreto 26 giugno 2009, secondo la Commissione, che consente al proprietario dell’immobile di optare per un’autocertificazione che dichiari l’edificio di classe energetica molto bassa, non consente in realtà ai consumatori acquirenti di valutare correttamente il rendimento energetico dell’edificio (art. 7, para 1, dir. 2009/33/CE) né fornisce le raccomandazioni per il miglioramento del rendimento formulate dall’esperto indipendente (art. 7, para 2, dir. 2009/33/CE).
Il D.Lgs. 28/2011, volto a recepire la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. L'articolo 13 modifica il D.Lgs. 192/2005 per prevedere una maggiore trasparenza delle informazioni commerciali e contrattuali relative alla certificazione energetica degli edifici e all’indice di prestazione energetica degli immobili oggetto di compravendita.
In particolare, la lettera a) del comma 1 integra l’ambito di applicazione del D.Lgs. 192/2005 in modo da inserire tra le finalità, oltre ai criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, anche il trasferimento delle relative informazioni in sede di compravendita e locazione.
Le lettere b) e c) intervengono sull'articolo 6 in merito all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica agli atti di compravendita o di locazione. Tale articolo viene integrato prevedendo che:
Sulla Gazzetta Ufficiale del 10 giugno 2009 è stato pubblicato il DPR 2 aprile 2009, n. 59 recante Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, entrato in vigore il 25 giugno 2009.
Il DPR, che definisce i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari è uno dei tre decreti attuativi del D.Lgs. 192/2005 come modificato dal D.Lgs. 311/2006. Esso attua solamente parzialmente le lettere a) e b) dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs 192/2005, poiché (art. 1, comma 2) rinvia a successivi provvedimenti la definizione dei criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli impianti termici per la climatizzazione estiva e per l’illuminazione artificiale degli edifici del settore terziario.
Il DPR attuativo della lettera c) dell’articolo 4, comma 1, che provvederà a fissare i criteri di accreditamento degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 2013.
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell’ambiente e delle infrastrutture, d'intesa con la Conferenza unificata, volto a definire le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici in attuazione dell’articolo 6, comma 9, nonché gli strumenti di raccordo, concertazione e cooperazione tra lo Stato e le regioni in attuazione dell’articolo 5 del citato D.Lgs. 192/2005, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009 (D.M. 26 giugno 2009). Il 13 dicembre 2012 è stato pubblicato il D.M. 22 novembre 2012 che introduce alcune modifiche alle citate Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. In particolare, il decreto elimina la possibilità per i proprietari di determinati immobili di optare per l’autocertificazione della classe energetica più bassa (autocertificazione di classe G), come richiesto dalla Commissione Europea e viene data attuazione all’articolo 9 della Direttiva che impone agli Stati membri di adottare un sistema di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento d’aria di potenza maggiore di 12 kW, che contemplino anche una valutazione dell’efficienza dell’impianto e una consulenza agli utenti sui possibili miglioramenti e sulle soluzioni sostitutive o alternative.
Si segnala, infine, che il disegno di legge comunitaria 2011 (A.C. 4623) contiene la nuova direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che sostituisce la direttiva 2002/91/CE, abrogata dal 1º febbraio 2012.
Per effetto del decreto-legge 34/2011, e poi del D.P.R. 114/2011 che ha dato esecuzione all'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, sono venute meno tutte le disposizioni introdotte nell'ordinamento italiano a partire dal 2008 per promuovere la realizzazione di nuovi impianti pe l'energia nucleare e la produzione di questo tipo di energia. Il D.P.R. ha anche abrogato la disposizione che disciplinava l'istituto della "strategia energetica". Il decreto "salva Italia" (D.L. 201/2011) ha soppresso l'Agenzia per la sicurezza nucleare.
L’energia nucleare è stata uno degli argomenti principali della politica energetica del primo triennio della XVI legislatura, sia per le azioni intraprese dal Governo fino al 2010 per realizzare una nuova strategia nucleare, sia per le iniziative referendarie assunte nell’opposta direzione di escludere la realizzazione di impianti di produzione di questo tipo di energia.
La ripresa di una pianificazione nucleare è stata un aspetto centrale della politica energetica del Governo negli anni 2008-2010. A tal fine l’art. 7 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), nell’introdurre nell'ordinamento uno strumento di indirizzo e programmazione generale in materia energetica denominato “Strategia energetica nazionale” (SEN), aveva espressamente previsto, tra le politiche di settore da sviluppare, anche quella finalizzata alla produzione di energia da fonte nucleare mediante impianti di nuova generazione da realizzare appositamente. In particolare, la SEN contemplava la realizzazione sul territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare e la promozione della ricerca sul nucleare di quarta generazione o da fusione.
In linea con la Strategia energetica nazionale l'art. 25 della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) aveva disposto una delega al Governo per la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare e di fabbricazione del combustibile nucleare nonché dei sistemi di stoccaggio e per il deposito definitivo dei rifiuti radioattivi, e per la definizione delle misure compensative in favore delle popolazioni interessate. La delega prevedeva altresì che venissero stabiliti le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione dei citati impianti.
A tale delega il Governo, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di decreto presentato (atto n. 174), ha dato attuazione con il decreto legislativo 31/2010. Tra i punti più significativi di questo decreto vanno evidenziati: la definizione di una Strategia del Governo in materia nucleare, propedeutica all’avvio delle procedure localizzative ed autorizzative; la previsione di un ruolo rilevante delle Regioni interessate, chiamate ad esprimere un’intesa, propedeutica all'intesa con la Conferenza unificata, fin dalla fase di localizzazione, e poi anche nell’ambito della procedura di autorizzazione per gli impianti nucleari e per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi; la possibilità di concludere i procedimenti delle intese, sia con le Regioni sia con la Conferenza unificata, attraverso le forme di sussidiarietà già previste dalla normativa vigente e nel rispetto del principio di leale collaborazione; la fissazione di appositi requisiti tecnici, professionali e organizzativi per gli operatori autorizzati alla realizzazione e all'esercizio di impianti nucleari; l’istituzione di “Comitati di confronto e trasparenza” per ciascun sito, finalizzati a garantire alla popolazione l’informazione, il monitoraggio ed il confronto pubblico sull’attività concernente il procedimento autorizzativo, la realizzazione, l’esercizio e la disattivazione del relativo impianto nucleare, nonché sulle misure adottate per garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione e la salvaguardia dell’ambiente; la previsione di uno stretto coinvolgimento dell’Agenzia per la sicurezza nucleare - quale autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l'autorizzazione ai fini della sicurezza nel settore nucleare, istituita dalla legge 99/2009 (e poi soppressa dal D.L. 201/2011, cd. Salva Italia) - in ogni passaggio procedurale, al fine di garantire i massimi livelli di sicurezza per l’ambiente, la popolazione ed i lavoratori; la fissazione di tempi procedurali tali da contemperare le esigenze di sicurezza sopra richiamatecon la celere attuazione della Strategia nucleare.
Successivamente, il decreto legislativo 41/2011, correttivo del suddetto D.Lgs. 31/2010, ha ulteriormente integrato e precisato la normativa in materia, sia semplificando le procedure di valutazione e di autorizzazione dei nuovi impianti nucleari, sia prevedendo una riduzione dei tempi di costruzione, sia dando più flessibilità al procedimento di localizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sia ancora accelerando lo smantellamento degli impianti nucleari esistenti e definendo in maniera più esaustiva i requisiti tecnici richiesti per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari e del Deposito nazionale. Il provvedimento inoltre, adeguandosi a quanto statuito dalla Corte costituzionale (cfr. infra), ha previsto la necessità di acquisire il parere (obbligatorio ma non vincolante) della Regione interessata in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di un impianto nucleare. Sullo schema iniziale, trasmesso dal Governo alle Camere (schema di decreto legislativo n. 333) le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera il 16 marzo 2011 hanno espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni. Al Senato, il parere favorevole con osservazioni è stato espresso dalla Commissione Industria nella seduta del 22 marzo 2011. A seguito di tali pareri, il Consiglio dei Ministri n. 133 del 23 marzo 2011 ha approvato definitivamente il provvedimento, poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 del 13 aprile 2011.
A queste iniziative del Governo favorevoli alla ripresa di una politica energetica nucleare si è contrapposta l’iniziativa popolare concretizzatasi con la raccolta delle firme necessarie per la presentazione di un referendum abrogativo sulle norme in materia di energia nucleare. Tale referendum abrogativo - dichiarato ammissibile la Corte Costituzionale con la sentenza n. 28/2011 - è stato indetto per il 12-13 giugno 2011.
Prima di tale scadenza Governo e Parlamento sono tuttavia intervenuti nuovamente sulla materia disponendo – anche a fronte della esigenza internazionalmente riconosciuta di una riflessione sulla materia dell’energia nucleare dopo l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima – prima, con il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307), la sospensione della realizzazione dei piani in materia di energia nucleare, e poi, con le modifiche apportate dalla legge di conversione (legge 75/2011), la abrogazione delle norme sopra citate del triennio 2008-2010 sulla ripresa dei programmi in tema di energia nucleare.
Tuttavia, la Corte di Cassazione (in veste di Ufficio Centrale per il referendum) non ha ritenuto che fossero, con queste modifiche, venuti meno tutti i presupposti per lo svolgimento del referendum abrogativo già indetto. Essa ha di conseguenza riformulato, con ordinanza 1° giugno 2011, il quesito referendario per adeguarlo alle modifiche legislative intervenute ad opera della legge di conversione, e in particolare ha indirizzato il quesito alla abrogazione dei commi 1 ed 8 dell’articolo 5 del decreto-legge 34/2011. La Corte Costituzionale (sentenza n. 174/2011) ha confermato la ammissibilità del quesito referendario anche in tale riformulazione.
In proposito, il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307), nell’abrogare le norme in materia di energia nucleare ha comunque:
Il referendum abrogativo si è quindi tenuto, come già previsto, nei giorni 12 e 13 giugno 2011 e ha visto prevalere nettamente i voti favorevoli all’abrogazione dei citati commi 1 e 8 dell'articolo 5 del D.L. 34/2011. Con D.P.R. 114/2011 è stata data formale esecuzione all’esito referendario.
Si segnala infine che la legge 99/2009 ha previsto all’articolo 38, comma 1 l'approvazione, da parte del CIPE, di un Piano operativo per la promozione della ricerca e innovazione nel settore energetico, anche con riferimento allo sviluppo del nucleare di nuova generazione.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 278/2010, ha respinto i ricorsi di numerose Regioni che avevano impugnato alcune disposizioni della legge 99/2009 in materia nucleare e in particolare la norma di delega di cui all'art. 25. Inoltre la Corte, con sentenza n. 331/2010, ha dichiarato illegittime le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l'installazione sul loro territorio di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione di combustibile nucleare e di stoccaggio di rifiuti radioattivi. Successivamente, invece, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 del decreto legislativo 31/2010 nella parte in cui non prevede che la Regione interessata, anteriormente all’intesa con la Conferenza Unificata, esprima il proprio parere in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari (sentenza n. 33/2011), che peraltro ha dichiarato inammissibili o infondate tutte le altre numerose questioni di legittimità costituzionale poste dalle Regioni ricorrenti con riferimento al citato decreto legislativo).
Con l’interpellanza 2-00057, svolta alla Camera nella seduta del 27 gennaio 2009, sono state richieste delucidazioni sul piano di sviluppo delle centrali nucleari nel nostro Paese, con particolare riguardo alla individuazione dei siti, alla messa in sicurezza delle scorie e al reperimento delle risorse per finanziare il progetto (v. Strategia energetica nazionale).
Anche con l'interrogazione a risposta immediata 3-00833, svolta alla Camera nella seduta del 13 gennaio 2010, sono state richieste delucidazioni in merito agli orientamenti del Governo sull'individuazione dei siti degli impianti per la produzione di energia nucleare.
Sul decreto-legge n. 34/2011
Sull'energia nucleare