Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento attività produttive
Titolo: L'attività delle Commissioni nella XVI legislatura- X Attività produttive
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 10
Data: 22/03/2013
Descrittori:
COMMISSIONI PERMANENTI   ECONOMIA
PRODOTTO NAZIONALE     
Organi della Camera: X-Attivitŕ produttive, commercio e turismo

La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.

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Indice

Imprese e servizi 1
Competitività 3
Distretti produttivi e reti di imprese 6
Grandi imprese in crisi 21
Internazionalizzazione delle imprese 25
Riforma degli incentivi alle imprese 30
Sostegno alle attività produttive 35
Statuto delle imprese 38
Liberalizzazioni 41
L'attuazione della direttiva servizi 46
La disciplina europea in materia di qualifiche professionali 50
Liberalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti 52
Professioni non regolamentate 59
Semplificazioni per le imprese 61
Segnalazione certificata di inizio attività 64
Semplificazione dei controlli sulle imprese 67
Semplificazioni per l'esercizio delle attività economiche 69
Semplificazioni per le piccole e medie imprese 72
Sportello unico per le attività produttive 75
Small Business Act e sua attuazione 78
Riesame dello Small Business Act 82
Made in Italy e lotta alla contraffazione 95
Commercio dei prodotti di pelle, cuoio e pelliccia 100
Settore gemmologico 101
Turismo 103
Codice del turismo 105
Rilancio del turismo 108
Tutela del consumatore turista 111
La salvaguardia degli assetti strategici 113
Brevetto unico europeo 117
Diritto commerciale e delle società 119
Diritto penale fallimentare 124
False comunicazioni sociali 129
Le società cooperative e di mutuo soccorso 136
Società semplificata e a capitale ridotto 138
Tribunale delle imprese 141
Tutela della proprietà industriale 144
Mutui e finanziamenti al sistema produttivo 147
Confidi 152
Portabilità dei mutui: evoluzione della disciplina 157
Energia 160
Strategia energetica nazionale 162
Energie rinnovabili 165
CIP 6 171
Energia geotermica 173
I conti energia 182
Scambio sul posto 195
Mercati energetici 198
L'industria della raffinazione in Italia 202
Le imprese partecipate dallo Stato 207
Metano per autotrazione 209
Prezzi e tariffe 211
Risparmio ed efficienza energetica 215
Certificazione energetica degli edifici 219
Energia nucleare 226
Ricerca 230
Gli enti di ricerca vigilati dal Miur 232
Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR 235
Ricerca e innovazione 239
Start up innovative 243
Programma Orizzonte 2020 per ricerca e innovazione nell'UE 246
Ambiente, territorio e protezione civile 248
Cambiamenti climatici 253
Veicoli a basse emissioni complessive 259
Il pacchetto clima energia 262
L'attuazione del Protocollo di Kyoto 267

X Attività produttive

Imprese e servizi

Le misure adottate dal Governo e dal Parlamento in materia di politica a favore del sistema produttivo non potevano non risentire della grave crisi economica in atto.

Tra gli interventi per sostenere la crescita economica e per rilanciare la competitivita' del sistema produttivo, si segnalano in primo luogo quelli diretti alle piccole e medie imprese (PMI). Sulla scorta di quanto previsto dal lo Small Business Act , è stata approvata la legge recante norme per la tutela della libertà d'impresa e per lo statuto delle imprese .

Una delle principali misure a favore delle PMI, per favorirne l’accesso al credito, è, poi, consistita nel rifinanziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, i cui interventi sono stati estesi anche alle imprese artigiane e sono assistiti dalla garanzia dello Stato.

Si è intervenuti anche sui distretti produttivi , sulle reti delle imprese e sui contratti di rete, al fine di agevolare sul piano fiscale, amministrativo e finanziario tali forme di integrazione e collaborazione tra imprese prevalentemente di piccola e media dimensione.

Il legislatore si è posto anche l’obiettivo di promuovere e sviluppare la competitività delle imprese italiane cercando di incentivare gli investimenti in ricerca , sviluppo e innovazione, al fine di ridurre il divario rispetto agli principali paesi europei. A tal fine è stata approvata una complessiva riforma del sistema degli incentivi alle imprese , attraverso l'istituzione del Fondo per la crescita sostenibile, chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese. Sono state, poi, ridefinite le tipologie, gli strumenti di intervento nonchè i soggetti ammessi ai contributi per la ricerca scientifica e tecnologica. Particolarmente rilevante è stata poi la definizione del quadro normativo relativo alle imprese c.d. start up innovative , che devono caratterizzarsi per lo svolgimento di attività qualificata in materia di ricerca e sviluppo.

Altre norme hanno provveduto a favorire gli investimenti e la capitalizzazione delle imprese tramite incentivi di carattere fiscale (v. Fisco, patrimonio e altre entrate ).

L’obiettivo di una maggiore competitività delle imprese passa anche per una semplificazione degli adempimenti burocratici per avviare e svolgere le attività produttive. In tale direzione è stato previsto il riordino della disciplina dello Sportello unico delle attivita' produttive . Lo Sportello unico dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento.  

In tema di liberalizzazioni , sono state approvate talune modifiche alla normativa nazionale attuativa della direttiva servizi. Tra le novità più significative l'introduzione della Segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA), che consente di avviare immediatamente l'attività d'impresa depositando una serie di certificazioni sostitutive di provvedimenti autorizzativi. Inoltre sono state recentemente introdotte disposizioni per l’abolizione di alcune certificazioni dovute dalle imprese ai fini dell’ottenimento di titoli autorizzatori o concessori o di partecipazione a procedure di evidenza pubblica. Sul tema delle professioni, il Legislatore è intervenuto sia disciplinando per la prima volta le professioni non regolamentate sia ulteriormente precisando le condizioni di accesso a talune specifiche professioni.

Al fine di ridurre i ritardi nei pagamenti dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione sono stati adottati quattro decreti ministeriali, tre dei quali in tema di certificazione e compensazione di tali crediti, ed uno volto a favorire l'accesso ai finanziamenti da parte delle imprese. E' stato inoltre emanato il decreto legislativo di recepimento della direttiva UE per il contrasto ai ritardi dei pagamenti.

Numerose misure sono state, poi, rivolte, a modificare il contesto ordinamentale di aiuto ed assistenza alle imprese italiane che vogliono aumentare la loro esposizione sui mercati esteri, incrementando le esportazioni dei prodotti, pur mantendendo la sede produttiva in Italia (v. internazionalizzazione delle imprese ). A tal fine, oltre alla soprressione dell'Ice e alla creazione del nuovo organismo denominato ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, al quale è stato attribuito il compito di aiutare le imprese italiane a commercializzare i propri prodotti sui mercati internazionali e di promuovere l'immagine del prodotto italiano nel mondo, sono state delineate le linee per la riforma dei consorzi per l'internazionalizzazione, la cui attività consiste nell'importazione di materie prime e di prodotti semilavorati, nella formazione specialistica per l'internazionalizzazione, nella tutela dei prodotti e dei servizi commercializzati all'estero. E' stato, poi, istituito il Desk Italia- Sportello attrazione investimenti esteri- come punto di riferimento per l'investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative relative al progetto di investimento. E' stata, poi, data attuazione al nuovo sistema integrato di finanziamento ed assicurazione - denominato export banca- volto a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese attraverso l'attivazione delle risorse finanziarie gestite dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.

Al sostegno del sistema produttivo, a maggior ragione in un periodo di crisi economica, sono rivolte le norme che mirano a rafforzare la tutela della proprieta' industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale. A tutela del made in Italy , sono state rafforzate le sanzioni in caso di fallace indicazione sull'origine o provenienza dei prodotti e introdotte sanzioni per l'uso di indicazioni di vendita atte ad indurre la fallace convinzione che il prodotto sia interamente realizzato in Italia. Sono state, inoltre, introdotte disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri (anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani) mentre, sul finire della Legislatura, è stata approvata una legge a tutela e valorizzazione dei prodotti in cuoio, pelle e pelliccia .

Nell’ambito della “vicenda Alitalia”, il legislatore è intervenuto inoltre sulla disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi , tra l’altro individuando una specifica disciplina dell’amministrazione straordinaria per le grandi imprese operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali volta a garantire la continuità nella prestazione di tali servizi.

Competitività

Nel corso della XVI Legislatura, sono stati approvati numerosi interventi tesi a favorire la ripresa dell'economia e l'aumento di competitività del sistema produttivo italiano; le norme sono contenute in parte in provvedimenti organici di riforma, in parte sono state inserite all'interno di decreti-legge recanti interventi di natura trasversale emanati nella seconda parte della Legislatura.

 

In primo luogo è stata introdotta una complessiva riforma del sistema degli incentivi alle imprese, elaborata sulla base di un Rapporto, noto come rapporto Giavazzi, nel quale si suggerisce il mantenimento di quei soli incentivi che servono alle imprese per raggiungere obiettivi socialmente desiderabili e che riguardano attività a carattere addizionale, nel senso che la stesse non verrebbero svolte senza quel sussidio. Tali sarebbero, per esempio, le spese per la ricerca e l'innovazione.

La riforma approvata prevede l'istituzione di un Fondo speciale per la crescita sostenibile, che sostituisce il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica; il Fondo è chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali. Nel Fondo confluiranno tutti i contributi alle imprese utili per raggiungere le priorità menzionate. Le modalità di funzionamento, le priorità e le forme di aiuto concedibili saranno definite con decreti del Ministro dello sviluppo economico; era previsto un termine di 60 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione per la relativa emanazione, ma allo stato gli stessi non risultano ancora emanati.

E' stato, inoltre, istituito un contributo, in forma di credito d'imposta, in favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili "altamente qualificati". Il credito d'imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l'assunzione; l'importo del credito non può superare i 200.000 euro annui.

Sono state, poi, ridefiniti le tipologie, gli strumenti di intervento nonché i soggetti ammessi ai contributi per la ricerca scientifica e tecnologica. La definzione delle spese ammissibili, delle caratteristiche delle attività nonché dele modalità ed i tempi di attivazione è stata rinviata ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Numerose misure sono state, poi, rivolte, a modificare il contesto ordinamentale di aiuto ed assistenza alle imprese italiane che vogliono aumentare la loro esposizione sui mercati esteri, incrementando le esportazioni dei beni prodotti nel territorio nazionale.

A tal fine, oltre alla soppressione dell'Ice e alla creazione del nuovo organismo denominato ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, al quale è stato attribuito il compito di aiutare le imprese italiane a commercializzare i propri prodotti sui mercati internazionali , sono state delineate le linee per la riforma dei consorzi per l'internazionalizzazione, la cui attività consiste nell'importazione di materie prime e di prodotti semilavorati, nella formazione specialistica per l'internazionalizzazione, nonché nella tutela dei prodotti e dei servizi commercializzati all'estero. E' stato, poi, istituito il Desk Italia- Sportello attrazione investimenti esteri- come punto di riferimento per l'investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative relative al progetto di investimento. Si è, poi, data attuazione al nuovo sistema integrato di finanziamento ed assicurazione - denominato export banca- volto a promuovere l'internazionalizzazione delle imprese attraverso l'attivazione delle risorse finanziarie gestite dalla Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (v. internazionalizzazione delle imprese).

Particolarmente rilevante ai fini di competitività è stata poi l'introduzione nell'ordinamento di un quadro normativo di disciplina delle imprese c.d start up innovative.

Per rientrare in tale categoria deve trattarsi di società:

  1. destini almeno il 30% della spesa ad attività qulificate di ricerca e di sviluppo;
  2. abbia un terzo della forza lavoro costituito da personale qualificato;
  3. sia titolare di almeno una privativa industriale relativa ad un'invenzione industriale.

Accanto alle start-up viene riconosciuto il ruolo dell'incubatore certificato alle società che accompagnano il processo di avvio e di crescita della start up, soprattutto nella fase che va dal concepimento dell'idea imprenditoriale fino ai primi anni di vita, lavorando sul suo sviluppo e formando i fondatori sui temi salienti della gestione.  

Si è poi intervenuti ripetutamente sulla normativa riguardante:

Le disposizioni introdotte riconoscono, anche se in forme diverse, un'autonomia giuridica di tali fenomeni aggregativi attribuendo loro specifici vantaggi dal punto di vista fiscale, amministrativo e finanziario.

Particololarmente rilevante sul piano dell'attività parlamentare è stata l'approvazione della legge 11 novembre 2011, n.180, recante norme per la tutela della liberta d'impresa e per lo statuto delle imprese .

Tra le novità più rilevanti introdotte dal provvedimento, alcune riguardano la semplificazione dei rapporti con la pubblica amministrazione, anche attraverso la riduzione degli adempimenti a carico delle imprese, altre sono rivolte specificamente alle micro, piccole e medie imprese e sono finalizzate ad aumentare la competitività delle stesse.

Si prevede, al riguardo, che:

Ad una legge annuale viene demandato il compito di individuare le norme necessarie per favorire lo sviluppo delle imprese in esame, rimuovere gli ostacoli che ne impediscono lo sviluppo, ridurre gli oneri burocratici ed introdurre misure di semplificazione.

Infine è stato introdotto un nuovo strumento chiamato Progetto di riconversione e riqualificazione industriale, prevedendo che in caso di situazioni di crisi industriali complesse possano essere attivati progetti di riconversione e riqualificazione industriale per agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e la riqualificazione economico produttiva dei territori interessati.

 



Approfondimenti

Approfondimento: Distretti produttivi e reti di imprese



Distretti, reti e contratti di rete

 

I distretti produttivi rappresentano uno dei maggiori punti di forza del sistema produttivo italiano e si configurano come sistemi produttivi locali omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente di piccola e media dimensione, e dall'elevata specializzazione produttiva.

Le reti di imprese sono invece forme di coordinamento di natura contrattuale tra imprese, soprattutto di piccola e media dimensione, che vogliono aumentare la forza sul mercato senza doversi fondere o unire sotto il controllo di un unico soggetto.

Negli ultimi anni il Parlamento ha  inteso intervenire sulle reti di impresa soprattutto per aumentare la competitività delle imprese stesse e per superare in parte il limite derivante dal nostro tessuto produttivo formato da imprese di piccole e piccolissime dimensioni. Infatti entrando nella rete le imprese diventano parte di un grande sistema e possono beneficiare delle economie di scala del grande sistema cui appartengono. Più in particolare aumentano la loro capacità di investire in R&S, estendono il loro bacino di domanda, aprono servizi di vendita all’estero, aumentano la gamma di prodotti/servizi offerti. Le reti possono rimanere sia all’interno dei distretti e delle filiere produttive oppure possono anche attivare collaborazioni con centri di ricerca o di formazione .

La disciplina del contratto di rete risulta contenuta principalmente nell’ articolo 3, commi 4-ter - 4-quinques del decreto-legge 5/2009  che è stato successivamente modificato.

Le disposizioni dettano alcune caratteristiche fondamentali che il contratto di rete deve assumere per essere riconosciuto come tale all'interno dell'ordinamento giuridico:

  1. lo scopo del contratto deve essere quello di accrescere la capacità innovativa e la competitività sul mercato;  
  2. gli obblighi di collaborazione devono concretizzarsi in forme e in ambiti predeterminati come lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero l'esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa;  
  3. deve essere previsto un fondo patrimoniale e un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso;
  4. può essere prevista la possibilità di acquisire soggettività giuridica.

 

L'evoluzione normativa sui distretti industriali

Il riconoscimento giuridico dei distretti si è avuto per la prima volta con la legge 5 ottobre 1991, n. 317.

Sino a quel momento i distretti industriali non avevano avuto alcuna effettiva identità istituzionale, ma l’interazione con il governo locale si era basata sulla formazione di consorzi e di associazioni locali di categoria.

La legge n. 317 del 1991 ha previsto un ampio coinvolgimento delle regioni sia nell’individuazione dei distretti, sia nell'attività di sostegno e finanziamento degli stessi attraverso i consorzi di sviluppo industriale. Veniva, infatti, asegnato alle regioni il compito di individuare, previo parere delle unioni regionali delle camere di commercio, i distretti industriali presenti nel proprio territorio sulla base degli indirizzi e di parametri di riferimento fissati con decreto ministeriale. Una volta individuati in questo modo i distretti industriali, le regioni possono approvare finanziamenti a loro diretti. Tale decreto venne emanato nell’aprile del 1993; in esso veniva sostanzialmente adottata una metodologia puramente quantitativa e fondata su dati Istat in merito al grado di specializzazione locale della forza lavoro e della struttura industriale.La metodologia di analisi basata sui sistemi locali del lavoro si focalizzava, infatti, sulla presenza di un elevato numero di piccole imprese ed un limitato pendolarismo dei locali verso l’esterno dell’area.

Per altro, tali analisi statistiche, a fronte del vantaggio di elevata comparabilità, non tenevano conto di una serie di fattori che contribuivano alla definizione di un distretto industriale, quali le relazioni verticali tra imprese, il rapporto con il territorio, gli scambi commerciali, le asimmetrie nelle dimensioni d’impresa. Sebbene nei primi anni successivi al 1991 vi furono diversi studi che proposero differenti metodi per l’individuazione dei distretti, le regioni si attennero a quanto espressamente predisposto nel DM del 1993. Successivamente alla definizione dei limiti geografici dei distretti industriali si avviarono progressivamente degli interventi da parte del governo centrale che definivano delle risorse ad essi dedicate.

La legge del 1991 non proponeva alle regioni un chiaro indirizzo in termini procedurali per la gestione attiva delle risorse finanziarie per i distretti. In quest’ottica venivano a mancare sin dall’inizio dei riferimenti univoci per un successivo sviluppo di un’effettiva governance dei distretti stessi.

Nel complesso, in questa fase iniziale il legislatore concedeva alle regioni l’opportunità di intervenire sul territorio finanziando dei consorzi tramite dei contratti di programma. Non era invece esplicitamente contemplata l’opportunità di finanziare centri per l’innovazione o società consortili, anche miste. Alla stesura dei contratti di programma potevano partecipare i membri del comitato di distretto, i quali erano tipicamente comuni, camere di commercio, associazioni di categoria, consorzi interaziendali.

Il primo documento economico che riconosce esplicitamente i distretti industriali è la Deliberazione CIPE del 21/03/97, in base alla quale i distretti industriali possono farsi promotori per i contratti di programma.

Un successivo rilevante intervento legislativo orientato al finanziamento dei distretti industriali è quello della legge 266/1997 (Legge Bersani). La legge dispone la concessione di un contributo (che non può superare il 50% della spesa prevista) per l’innovazione informatica e delle telecomunicazioni dei distretti. La Legge Bersani prevede inoltre che ai consorzi di sviluppo industriale senza fini di lucro costituiti dalle regioni, che intervengano come le società consortili miste pubbliche e private a favore delle piccole imprese, siano attribuiti – da parte delle stesse regioni – oltre ai finanziamenti per i distretti industriali, anche contributi in conto capitale finalizzati alle prestazioni di beni e servizi per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, gestionale e amministrativo.

Al 1997 meno della metà delle regioni italiane (Abruzzo, Campania, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Sardegna e Toscana) avevano identificato con provvedimenti specifici i distretti industriali esistenti nel proprio territorio. Tra queste solo tre regioni, Lombardia, Piemonte e Toscana, avevano avviato concreti programmi operativi, mentre molte regioni non avevano ancora provveduto ad iniziare neppure la prima fase di indagine del territorio.

Con la legge 140/1999 si interviene nuovamente sui distretti industriali al fine di semplificare i relativi criteri di individuazione. In questa circostanza si realizza un importante intervento che riconosce come i distretti non possano essere semplicemente ricondotti a delle strutture organizzative del lavoro. In particolare, la legge sostituiva alla precedente definizione di sistemi locali del lavoro, quella di sistemi produttivi locali. La stessa legge conferiva poi il compito alle regioni di attivarsi per il finanziamento di progetti innovativi proposti da privati appartenenti ai distretti industriali. Nel complesso la nuova legge garantiva una maggiore flessibilità nell’individuazione delle aree rilevanti ed incrementava il raggio di azione delle regioni nell’ambito della politica industriale a favore dell’innovazione tecnologica locale.

A seguito della legge 140/1999, le Regioni hanno cercato di definire criteri comuni per l’individuazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali. Nel Coordinamento del 21 ottobre 1999 le Regioni hanno convenuto di:

Il quadro normativo sul tema della delega alle regioni della gestione della politica industriale all’interno dei distretti è completato dai seguenti interventi:

La legge 23 dicembre 2005, n.266 (legge finanziaria per il 2006) è intervenuta in materia prevedendo che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze si provveda a precisare le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi, qualificati come libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, aventi le finalità di:

La disposizione prefigura dunque la definizione di due distinte tipologie di distretti: quelli territoriali e quelli funzionali.

I distretti territoriali, maggiormente ancorati all'esperienza maturata fino a quel momento nel settore dei distretti produttivi, si caratterizzano per la comune appartenenza delle imprese che vi afferiscono ad un medesimo settore produttivo, oltre che ad uno stesso ambito territoriale.

I distretti funzionali, scaturiscono da una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale in una logica di mutual business; si prescinde così dalla sussistenza di legami con specifici territori, in funzione del perseguimento di sinergie fra imprese svolgenti attività complementari o comunque connesse, ai fini dell'accesso ad opportunità presenti sul mercato che presuppongono una integrazione dell'offerta produttiva ovvero ai fini dell'ammissione a determinati regimi particolari all'uopo previsti dalla legge.

L'adesione ai distretti da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche, agricole e della pesca è libera.

Il comma 368 determina le disposizioni tributarie, amministrative, finanziarie e di promozione della ricerca e dello sviluppo, applicabili ai distretti produttivi. Con esse viene prevista, in sintesi, la possibilità, per le imprese appartenenti a distretti produttivi, di dare vita a un ambito comune per la fiscalità, gli adempimenti amministrativi e la finanza.

La lettera a) individua la disciplina tributaria.

Viene prevista – su base comunque opzionale – la possibilità di due diverse aggregazioni, costituite rispettivamente dal consolidamento fiscale (secondo cui le società di capitali facenti parte di distretti verrebbero sostanzialmente equiparate ad un gruppo) e dalla tassazione unitaria (caratterizzata da un reddito imponibile di distretto che comprende quello delle imprese che hanno optato per la tassazione unitaria). A quest’ultima possono accedere anche le imprese non soggette all'imposta sul reddito delle società (IRES). Tanto nella tassazione consolidata (riferita alle sole imposte sul reddito) quanto nella tassazione unitaria (applicabile sia alle imposte sul reddito, sia alle entrate locali) il distretto è individuato come unità fiscale di riferimento (cfr. amplius infra).

La lettera b) del comma 368 individua alcune disposizioni amministrative applicabili ai distretti produttivi.

Ai fini della semplificazione degli adempimenti burocratici posti a carico delle imprese che aderiscono ai distretti, la norma prevede la facoltà per il distretto di svolgere talune funzioni quali l'esecuzione, in nome e per conto dell'impresa, degli adempimenti burocratici connessi con lo svolgimento dell'attività, nonché la "certificazione" dell’esattezza dell'iter procedurale seguito; si prevede, inoltre, il riconoscimento ai distretti della facoltà di stipulare negozi di diritto privato per conto delle imprese ad essi aderenti sulla base delle norme civilistiche che disciplinano il mandato.

A fronte di quest’attività amministrativa svolta dal distretto, la cui rispondenza alle norme di legge è dichiarata dal distretto stesso, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici interessati provvedono di conseguenza nei riguardi delle imprese senza esperire alcun altro controllo.

Viene altresì consentito ai distretti di accedere con apposita convenzione ai sistemi informativi e agli archivi informatici delle pubbliche amministrazioni, rimandando ad un successivo decreto l'individuazione delle concrete modalità applicative della disposizione.

La lettera c) individua, quindi, una serie di disposizioni finanziarie applicabili ai distretti.

Si tratta in particolare di interventi diretti ad agevolare l'accesso al credito, a promuovere contenimento dei rischi e a favorire la capitalizzazione delle imprese appartenenti al distretto. Venivano, a tal proposito, previste forme e condizioni semplificate per la cartolarizzazione dei crediti concessi da più banche o intermediari finanziari alle imprese facenti parte del distretto, agli effetti della cessione a un'unica società.

La lettera d) detta infine disposizioni in materia di ricerca e sviluppo, prevedendo l'istituzione dell'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, chiamata a concorrere all'accrescimento della competitività delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali attraverso la diffusione delle nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali (numero 1). All'Agenzia veniva assegnato il compito di promuovere l'integrazione fra il sistema della ricerca e il sistema produttivo provvedendo ad individuare a valorizzare e a diffondere nuove conoscenze tecnologiche, brevetti ed applicazioni industriali su scala sia nazionale che internazionale.

La norma prevedeva, inoltre, la stipula, da parte dell’Agenzia di convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità (numero 3).

Attraverso decreti di natura non regolamentare, la Presidenza del Consiglio dei ministri - alla cui vigilanza l’Agenzia viene sottoposta e alla quale è, altresì, rimessa l'approvazione del relativo statuto (ai sensi del numero 4) - era incaricata di provvedere alla definizione di criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia, sentiti i Ministeri dell’istruzione, dell’economia e delle attività produttive, nonché i Ministri per lo sviluppo e la coesione territoriale e per l’innovazione e le tecnologie, se nominati.

L'applicazione delle nuove disposizioni relative ai distretti veniva estesa anche (comma 369):

Veniva, inoltre, previsto che le funzioni di assistenza alle imprese, esercitate dai comuni prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, potessero essere svolte anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale di cui all’articolo 36, comma 4, della citata legge 5 ottobre 1991, n. 317 (comma 370).

La normativa sui distretti prevista dalla legge finanziaria per il 2006 è stata oggetto di ricorso da parte di alcune Regioni presso la Corte costituzionale, che con sentenza 18 aprile-11 maggio 2007, n. 165 (Gazz. Uff. 16 maggio 2007, n. 19 - Prima serie speciale) ne ha dichiarato l’illegittimità di alcune parti che non prevedevano l’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

La legge finanziaria per il 2007, attraverso la novella della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006), ha introdotto disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

La novella alla legge finanziaria per il 2006 ha riconosciuto, in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi, un contributo statale a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

I commi 889-891 hanno recato disposizioni relative al cofinanziamento statale di progetti regionali in materia di distretti produttivi.

Novellando la legge n. 266/2005 mediante l’aggiunta dei commi 371-bis e 371-ter, tali disposizioni hanno previsto - in attesa dell’adozione del decreto di individuazione dei distretti produttivi - la possibilità di riconoscere un’agevolazione a progetti regionali riguardanti tali distretti, per un ammontare massimo del 50 per cento delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto.

Lâ€articolo 6-bis del decreto-legge n. 112/2008  ha modificato in più parti la disciplina sui distretti produttivi introdotta dalla legge finanziaria 2006, eliminando, in particolare, le disposizioni relative al consolidamento fiscale ed alla tassazione unitaria per le imprese appartenenti ai distretti produttivi, che sono sostituite da norme di semplificazione ai fini degli adempimenti IVA (al riguardo, vedi però infra).

Inoltre, ha esteso la normativa sui distretti produttivi come modificata - ad eccezione delle disposizioni concernenti i tributi dovuti agli enti locali- alle reti delle imprese (di livello nazionale), nonché alle catene di fornitura (comma 2).

La definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle reti delle imprese e delle catene di fornitura è stata demandata ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico da adottarsi di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le regioni interessate .

Con l’articolo 3 (commi da 1 a 3 e comma 4) del decreto-legge n. 5/2009 (cd. decreto “rottamazione”), come modificato in sede di conversione, si è intervenuti nuovamente sulla disciplina fiscale dei distretti produttivi reintroducendo il regime fiscale previsto dal testo originario della legge finanziaria 2006.

In particolare, le modifiche introdotte dal comma 1 dell’articolo 3 del D.L. 5/2009 sono state dirette ad includere anche i tributi locali nell’ambito dei benefici fiscali in favore delle reti d’imprese e delle catene di forniture, mentre il comma 2 ha ripreso la disciplina tributaria originariamente disposta dalla legge finanziaria 2006 e successivamente sostituita dal decreto legge n. 112/2008.

In base alla disciplina reintrodotta (cfr. supra), il distretto può optare per l’applicazione di uno dei seguenti regimi tributari:

1) regime della tassazione di distretto;

2) regime della tassazione concordata con l’Amministrazione finanziaria.

E' stata, inoltre, reintrodotta la disposizione, sopressa nel 2008, secondo cui lo svolgimento delle funzioni di assistenza alle imprese esercitate dai comuni prioritariamente attraverso gli sportelli unici per le attività produttive, possano essere svolte anche avvalendosi delle strutture tecnico-organizzative dei consorzi di sviluppo industriale.

Il comma 1-quinquies dell’articolo 7, introdotto in sede di conversione in legge, interviene a sostegno delle iniziative di rilancio produttivo e di tutela occupazionale, in particolare per le imprese dei distretti operanti in alcuni settori. A tal fine, in attesa del decreto recante le modalità di funzionamento del Fondo per la finanza d'impresa, istituito dall’art. 1, comma 847 della legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) e non ancora operativo, dispone l’utilizzo, per il 2009, di una quota delle risorse del fondo di garanzia di cui all’articolo 15 della legge 266/1997 (c.d. legge Bersani), confluito nello stesso Fondo per la finanza d’impresa. Tali risorse, per un ammontare non inferiore a 10 milioni di euro, sono state destinate, ai fini del rilascio di garanzie anche mediante ricorso ai consorzi di garanzia fidi, alle imprese operanti nei distretti produttivi del settore della concia, del tessile e del calzaturiero, nell’ambito dei quali siano state realizzate opere collettive per lo smaltimento o il riciclo dei rifiuti ovvero per il riciclo e la depurazione di almeno il 95% delle acque ad uso industriale.

 

Evoluzione normativa del contratto di rete e delle reti di impresa

Con l'articolo 3, i commi 4-ter, 4-quater e 4-quinquies, del decreto-legge n. 5/2009 sono stati disciplinati i contenuti essenziali del contratto di rete tra due o più imprese, con particolare riferimento ai diritti e agli obblighi assunti dalle imprese partecipanti e alle modalità di esecuzione dei contratti stessi.

In particolare, il comma 4-ter prevede che con il contratto di rete, due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nell'ambito dei rispettivi oggetti sociali, allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovative e la competitività sul mercato, e il comma 4-quinquies dispone infine che alle reti di imprese che nascono dalla conclusione di tale contratto si applichino le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 368, lettera b) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) e successive modificazioni (cioè le disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006).

L’articolo 1, comma 1, della legge n. 99 del 23 luglio 2009  modifica ed integra la disciplina sul contratto di rete introdotta dal decreto-legge 5/2009, relativamente alle indicazioni da inserire nel contratto e alle disposizioni che si applicano alla rete di imprese che nasce dalla conclusione del medesimo contratto. Con riferimento a tale ultimo aspetto, si dispone l’applicazione alle reti delle imprese nascenti dalla conclusione di contratti di rete delle disposizioni amministrative, finanziarie e di ricerca e sviluppo previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 368, lettere b), c) e d) della legge 266/2005), subordinando però tale applicazione ad una apposita autorizzazione amministrativa. Si ricorda che invece il D.L. 5/2009 prevedeva l’applicazione alle reti delle imprese in oggetto solamente delle disposizioni amministrative previste per i distretti produttivi dalla legge finanziaria 2006 (senza però necessità di alcuna autorizzazione).

Il comma 2 provvede all’abrogazione dell'articolo 6-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (cfr. supra), le cui scelte normative, soprattutto per quanto concerne la disciplina fiscale, erano già peraltro state superate con il decreto-legge n. 5/2009.

Il decreto-legge n. 78 del 2010 ha disposto il riconoscimento a favore delle imprese appartenenti ad una rete di imprese (nascente dalla conclusione del contratto di rete), di vantaggi fiscali, amministrativi e finanziari , compresa la possibilità di stipulare convenzioni con l'ABI alle condizioni che saranno stabilite con regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge . E' stato, quindi ridisciplinato   il contratto di rete; invece di prevedere che due imprese esercitino in comune una o più attività economiche allo scopo di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, è stato previsto che con il nuovo contratto di rete più imprenditori perseguano lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, obbligandosi, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa.

Il contratto può anche prevedere l'istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Ai fini degli adempimenti pubblicitari, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve indicare:

a) il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale di ogni partecipante (rispetto alla norma precedente, si richiede che ciò risulti per originaria sottoscrizione del contratto o per adesione successiva);

b) l'indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti (rispetto alla norma precedente, non si richiede più che innovazione e competitività siano dimostrate, ma solo che siano indicate le modalità concordate tra gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi);

c) la definizione (e non più "individuazione") di un programma di rete, che contenga l'enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune. Solo qualora sia prevista l'istituzione di un fondo patrimoniale comune, dovranno essere anche indicati la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo nonché le regole di gestione del fondo medesimo; se consentito dal programma, l'esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato costituito ai sensi dell'art. 2447-bis, lett. a), del codice civile. Al fondo patrimoniale comune così costituito (ma, deve ritenersi, anche a quello previsto al secondo periodo del capoverso “4-ter”, che in buona parte vi coincide) si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 2614 e 2615 del codice civile, riguardanti, rispettivamente, il "Fondo consortile" e la "Responsabilità verso i terzi";

d) la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto (il recesso è quindi ora solo facultizzato), ferma restando in ogni caso l'applicazione delle regole generali di legge in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo (tale ultimo inciso è stato aggiunto rispetto alla norma precedente);

e) le generalità del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso (ma solo se il contratto ne prevede l'istituzione), i poteri di gestione e di rappresentanza conferitigli come mandatario comune nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l'organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione prevista dall'ordinamento nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza (il testo precedente su quest’ultimo punto faceva invece più semplicemente riferimento alla promozione e tutela dei prodotti italiani);

f) le regole per l'assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo. Si tratta di una previsione nuova rispetto al testo precedente, con cui si affronta la governance della rete istituita.

Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante; l'efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari.

Viene, quindi, introdotto una agevolazione fiscale per le imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete ai sensi all'articolo 3, comma 4-ter e seguenti, del decreto-legge n. 5 del 2009.

In particolare per tali imprese viene previsto un regime di sospensione d’imposta relativamente alla quota degli utili dell'esercizio accantonati ad apposita riserva e destinati alla realizzazione di investimenti previsti dal programma comune di rete (preventivamente asseverato da organismi espressione dell'associazionismo imprenditoriale muniti dei requisiti previsti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, ovvero, in via sussidiaria, da organismi pubblici individuati con il medesimo decreto). L’agevolazione opera per gli utili realizzati fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2012 ed interessa la quota degli stessi imputata al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato per le predette finalità di investimento. Gli utili accantonati concorrono a formare il reddito nell'esercizio in cui la riserva è utilizzata per finalità diverse dalla copertura di perdite di esercizio ovvero in cui viene meno l'adesione al contratto di rete. L'asseverazione è rilasciata previo riscontro della sussistenza nel caso specifico degli elementi propri del contratto di rete e dei relativi requisiti di partecipazione in capo alle imprese che lo hanno sottoscritto. L'Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei poteri di cui al Titolo IV del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, vigila sui contratti di rete e sulla realizzazione degli investimenti che hanno dato accesso all'agevolazione, revocando i benefici indebitamente fruiti. Viene precisato che l'importo che non concorre alla formazione del reddito d'impresa non può comunque superare il limite di euro 1.000.000. Gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare trovano espressione in bilancio in una corrispondente riserva, di cui viene data informazione in nota integrativa, e sono vincolati alla realizzazione degli investimenti previsti dal programma comune di rete. 

 L'agevolazione   può essere fruita, nel limite complessivo di 20 milioni di euro per il 2011 e di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013, esclusivamente in sede di versamento del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta relativo all'esercizio cui si riferiscono gli utili destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio destinato all'affare. Per il periodo d’imposta successivo l’acconto delle imposte dirette è calcolato assumendo come imposta del periodo precedente quella che si sarebbe applicata in mancanza delle previsioni di cui al comma 2-quater.

 Un successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, dovrà individuare i criteri e le modalità di attuazione dell'agevolazione prevista , anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto.

 L'operatività dell'agevolazione è subordinata alla prescritta autorizzazione della Commissione europea.

Si ricorda, inolte, che la legge 180/2011 pone tra i principi generali che concorrono a definire lo statuto giuridico delle imprese, la promozione dell'aggregazione tra imprese anche attraverso il sostegno ai distretti e alle reti di imprese. 

Inoltre l’articolo 5 definisce:

- «microimprese», «piccole imprese» e «medie imprese» le imprese che rientrano nelle definizioni recate dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea n. 124 del 20 maggio 2003;

- «distretti» i contesti produttivi omogenei, caratterizzati da un'elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di micro, piccole e medie dimensioni, nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese;

- «distretti tecnologici» i contesti produttivi omogenei, caratterizzati dalla presenza di forti legami con il sistema della ricerca e dell'innovazione;

- «meta-distretti tecnologici» le aree produttive innovative e di eccellenza, indipendentemente dai limiti territoriali, ancorché non strutturate e governate come reti;

- «distretti del commercio» le aree produttive e le iniziative nelle quali i cittadini, le imprese e le formazioni sociali, liberamente aggregati, esercitano il commercio come fattore di valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio;

- «reti di impresa» le aggregazioni funzionali tra imprese che rientrano nelle definizioni recate dal decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, e dall'articolo 42 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 .

Ancora l’articolo 13 che introduce norme sulla disciplina degli appalti pubblici, al comma 2, lettera b), prevede che, nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle micro, piccole e medie imprese, la pubblica amministrazione e le autorità competenti, purché ciò non comporti nuovi o maggiori oneri finanziari, provvedono a semplificare l'accesso agli appalti delle aggregazioni fra micro, piccole e medie imprese privilegiando associazioni temporanee di imprese, forme consortili e reti di impresa, nell'ambito della disciplina che regola la materia dei contratti pubblici.

Infine l’articolo 16, che introduce norme al fine di aumentare la competitività e la produttività delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese, prevede che lo Stato, nell'attuazione delle politiche pubbliche e attraverso l'adozione di appositi provvedimenti normativi, provvede a creare le condizioni più favorevoli per la ricerca e l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione, la promozione del «Made in Italy» e, in particolare:

- garantisce alle micro, piccole e medie imprese e alle reti di imprese una riserva minima del 60 per cento per ciascuna delle misure di incentivazione di natura automatica o valutativa, di cui almeno il 25 per cento è destinato alle micro e piccole imprese;

- favorisce la cooperazione strategica tra le università e le micro, piccole e medie imprese;

- favorisce la trasparenza nei rapporti fra gli intermediari finanziari e le micro, piccole e medie imprese e le reti di imprese, assicurando condizioni di accesso al credito informato, corretto e non vessatorio;

- sostiene la promozione delle micro, piccole e medie imprese e delle reti di imprese nei mercati nazionali e internazionali.

Il D.L. 83/2012 , con l’articolo 45, ha inteso favorire il contratto di rete. Infatti, con i commi 1 e 2, ha effettuato una semplificazione burocratica sulla forma contrattuale (prevedendo che possa essere redatto anche come atto firmato digitalmente) e sulle modalità di iscrizione presso il Registro delle imprese delle eventuali modifiche intervenute. Con il comma 3, si è prevede che ai contratti in esame non si applicano le norme sui contratti agrari.

 In particolare, il comma 1, alle modalità di redazione del contratto già previste dal citato comma 4-ter (atto pubblico o per scrittura privata autenticata) aggiunge la firma digitale autenticata dell’atto da parte di ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti, e la sua trasmissione ai competenti uffici del registro delle imprese attraverso il modello standard tipizzato che sarà definito con decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.

Il comma 2 integra il comma 4-quater disponendo che le modifiche al contratto di rete, devono essere redatte e depositate per l'iscrizione, a cura dell'impresa indicata nell'atto modificativo, presso la sezione del registro delle imprese presso cui è iscritta la stessa impresa. L'ufficio del registro delle imprese provvede alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione delle modifiche al contratto di rete, a tutti gli altri uffici del registro delle imprese presso cui sono iscritte le altre partecipanti, che provvederanno alle relative annotazioni d'ufficio della modifica.

In tal modo, si consente di fare un'unica iscrizione della modifica presso il Registro delle imprese della camera di commercio dell'impresa indicata nell'atto modificativo. Quest'ultimo ufficio provvede a comunicarla a tutti gli altri uffici presso i quali le imprese aderenti alla rete sono iscritte. 

Con il comma 3, si prevede che ai contratti di rete stipulati tra imprenditori agricoli non si applichino le norme contenute nella legge n. 203 del 1982, recante principalmente norme dirette alla conversione ope legis di talune tipologie contrattuali ormai superate nonché alla regolazione di contratti di affitto.

Infine, il D.L. 179/2012, con l’articolo 36, ha previsto che il contratto di rete possa acquisire acquisire la soggettività giuridica purché stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente. Più in particolare viene precisato che il contratto di rete che prevede l'organo comune e il fondo patrimoniale non e' dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa su base volontaria con l’iscrizione nel registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede.

Con l'iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica.

L'organo comune agisce in rappresentanza

nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento, nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza

Per gli adempimenti pubblicitari richiesti dal D.L. n. 5/09 (comma 4-quater dell’art. 3) il contratto di rete nel settore agricolo può essere sottoscritto dalle parti con l'assistenza di una o più organizzazioni professionali agricole. 

Più precisamente le norme dispongono che il contratto di rete sottoscritto da imprenditori del comparto agricolo possa godere dell’assistenza di una, o più, delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale, che abbiano partecipato alla redazione finale dell’accordo. Detta assistenza sarebbe ammessa “ai fini degli adempimenti pubblicitari” di cui al comma 4-quater dell’articolo 3 del decreto legge n. 5/09.

In merito, il comma 4-quater dispone che il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante, e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari. Le disposizioni si applicano anche alle modifiche al contratto, che saranno iscritte presso la sezione del registro in cui è iscritta l'impresa indicata nell'atto modificativo.

Durante l’esame al Senato sono stati aggiunti il comma 5-bis ed il comma 5-ter recanti, rispettivamente, alcune modifiche al D.Lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici) relative alle aggregazioni tra imprese aderenti al contratto di rete, nonché disposizioni di semplificazione degli atti notarili.

La prima modifica, indicata alla lettera a), aggiunge un’ulteriore tipologia ai soggetti ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 34 del Codice, ovvero le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete ai sensi dell'art. 3, comma 4-ter, del decreto-legge n. 5 del 2009,

La seconda modifica, prevista dalla lettera b), inserisce un comma aggiuntivo, il comma 15-bis all’art. 37, in base al quale le disposizioni recate da tale articolo, concernenti i raggruppamenti temporanei e i consorzi ordinari di concorrenti, sono applicate, in quanto compatibili, alle procedure di affidamento delle aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete.



Distretti tecnologici

Alla luce del nuovo scenario dell’economia globale e delle conseguenti crescenti pressioni competitive, è sorta l’esigenza di ammodernare il sistema dei distretti industriali attraverso l’introduzione di robuste dosi di tecnologia e di innovazione, in grado di valorizzarlo e di renderlo inattaccabile ad opera delle economie dei paesi meno avanzati. La ricerca è, infatti, unanimemente riconosciuta come la via prioritaria per far crescere le aziende nell’ambito di distretti innovativi ad alta tecnologia, concentrati a livello locale, dove i partecipanti sono messi in rete e condividono scienza, servizi e finanza.

A questo proposito merita di essere segnalata l’evoluzione del fenomeno dei distretti che ha condotto all’istituzione dei “distretti tecnologici”, destinati a rafforzare settori tecnologicamente avanzati, quali, ad esempio, il distretto “Torino Wireless” per l'ICT (Information and Communication Technology), il distretto veneto per le nanotecnologie e quello campano per l’ingegneria dei materiali.

Tali distretti, promossi dall’azione concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), Imprese, Fondazioni ed Istituzioni Finanziarie, nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio. Si tratta di iniziative in fase di avvio, il cui aspetto peculiare è rinvenibile nel fatto che i distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi, della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari, già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

A differenza dei distretti industriali tradizionali nati spontaneamente e che solo in un secondo momento hanno ottenuto riconoscimenti e finanziamenti pubblici, i distretti tecnologici sono promossi dall’azione concertata di Pubblica Amministrazione (locale e centrale), imprese, Fondazioni ed Istituzioni finanziarie, e nascono con l’obiettivo di creare in numerose aree del Paese poli per la ricerca e l’innovazione, specializzati per settore tecnologico, aventi l’ambizione di diventare centri di eccellenza anche a livello internazionale. In particolare, il distretto tecnologico si propone di creare un circolo virtuoso fra strutture di ricerca, imprese e finanziamenti pubblici e privati, capace di sviluppare una ricerca competitiva in grado di determinare forti ricadute di innovazione sul tessuto imprenditoriale del territorio.

L’elemento chiave che accomuna i due tipi di distretti (industriali e tecnologici) è la dimensione territoriale che li caratterizza e la fondamentale funzione di valorizzazione delle specificità locali al fine di migliorare l’attrattività del territorio. I distretti tecnologici puntano a riprodurre nel campo dell’innovazione tecnologica i vantaggi della contiguità spaziale e dei rapporti reticolari già sperimentati con successo nei distretti industriali. La variabile nuova, in questo caso, è costituita dalla prevista cooperazione di imprese e strutture pubbliche di ricerca.

L’iniziativa per la costituzione di distretti tecnologici spetta alle Regioni, che presentano un progetto al MIUR che provvede, qualora lo ritenga opportuno, al riconoscimento ufficiale della nuova realtà territoriale.

Tali distretti, che rappresentano uno degli assi portanti delle linee guida per la politica scientifica e tecnologica varate dal Governo nell'aprile del 2003 e che si propongono di sostenere azioni, progetti e programmi almeno fino al 2006, sono il frutto di accordi tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e diversi attori locali.

Su proposta del Ministro dell’istruzione, il CIPE, con la delibera del 20 dicembre 2004 ha approvato un finanziamento complessivo di 140 milioni di euro da destinare all'istituzione di nuovi poli tecnologici nel Mezzogiornodel Paese, dal momento che i distretti tecnologici sono concentrati, soprattutto, nelle regioni del Centro e del Nord. La realizzazione o il potenziamento di distretti tecnologici - da sostenere congiuntamente con le regioni e gli altri enti nazionali e territoriali – rientrava inoltre tra le priorità individuate dal decreto-legge 35/2005.

Secondo dati aggiornati al 15 marzo 2006 (v. dati sui distretti), i distretti tecnologici riconosciuti dal MIUR sono 24. Di questi quattro risultano in fase di costituzione nelle seguenti regioni: Umbria, Abruzzo, Molise e Basilicata.

Le regioni che attualmente ospitano i distretti tecnologici sono:Veneto, Lazio, Lombardia (che ne ha tre), Sicilia (tre) Emilia Romagna, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Campania, Toscana, Puglia (3), Calabria (2) e Sardegna.

Il distretto del Veneto, dedicato alle nanotecnologie applicate ai materiali (Veneto nanotech) è stato voluto dal Ministero dell'istruzione e dalla Regione e vi partecipano le Università di Padova e Venezia, il CNR, tre parchi scientifici (Verona, Marghera e Padova) e l'Infm. Il distretto conta su un sostegno finanziario di 60 milioni di euro per i primi cinque anni.

Al distretto tecnologico aerospaziale del Lazio (che svolge studi dai materiali innovativi per componenti e strutture agli apparati di telecomunicazione e telerilevamento, fino alle tecnologie per la gestione del traffico aereo e aeroportuale), nato il 5 maggio 2004, hanno dato vita la Regione Lazio e il Ministero dell'istruzione.

La regione Lombardia ospita tre distretti. Il primo il distretto tecnologico sulle biotecnologie, nato il 22 marzo 2004, svolge attività di ricerca nei settori della salute, dell'agro-zootecnia e dell'industria chimica e farmaceutica e si avvale di circa 8 milioni di euro di finanziamenti da parte dal ministero dell'Istruzione. Altri due distretti dedicati all'Information communication technology e ai nuovi materiali sono nati nel luglio del 2004. Un accordo tra il Ministero dell'istruzione e la Regione Lombardia prevede un finanziamento complessivo di 64 milioni di euro per gli anni 2004-2006.

Il distretto tecnologico della Sicilia sui micro e nano-sistemi nasce nel novembre 2003 per volontà del Ministero dell'Istruzione, della Regione Sicilia, delle Università di Catania, Palermo e Messina e della società StMicroelectronics.

Il distretto per l'alta tecnologia e la meccanica avanzata, dell’Emilia-Romagna, noto anche come distretto , è operativo dal 13 maggio 2004. Cuore del distretto sono le Università di Modena e Reggio Emilia, Bologna, Parma e Ferrara.

Il distretto tecnologico della Liguria, dedicato ai sistemi intelligenti integrati, è stato avviato il 27 settembre 2004. I risultati della ricerca troveranno applicazione nel campo della logistica, dei sistemi di trasporto e dell'automazione industriale.

Il distretto tecnologico del Piemonte, c.d. Torino wireless rappresenta un'area di eccellenza nell'ambito delle telecomunicazioni. Al distretto, creato nel dicembre del 2002, partecipano società come Alenia, Fiat, Motorola, StMicroelectronics e Telecom Italia. Il distretto tecnologico del Friuli-Venezia Giulia di biomedicina è finanziato dal Ministero dell'istruzione (15 milioni di euro) e dalla Regione (21 milioni di euro)

Al distretto tecnologico della Campania sull'ingegneria dei materiali polimerici e compositi, nato il 17 luglio 2004, partecipano l'Università Federico II di Napoli, la Fondazione Banco di Napoli, il Centro italiano ricerche aerospaziali e un nutrito pool di imprese.

In Puglia sono stati avviati nel 2005 un distrettobiotecnologico relativo alle biotecnologie applicate all'ambiente e alla sanità, un polo meccatronico, per l’automazione legata al settore tessile, della meccanica e dei mobili e un polo high tech dedicato alle nanoscienze, bioscienze e infoscienze.

In Sicilia, al polo per il nanotech si sono affiancati un distretto per la ricerca applicata al campo dei trasporti navali e delle attività portuali e un terzo polo tecnologico dedicato all'agro-bio e alla pesca biocompatibile, all’interno del quale saranno sperimentate tecniche per la riproduzione e l'allevamento di specie ittiche in un ambiente marino protetto (2005).

In Calabria sono sorti nel 2005 due distretti tecnologici. Il primonell'area di Gioia Tauro che si occupa delle tecnologie applicate alla logistica, come in parte già avviene a Genova, mentre il secondo sorto attorno a Crotone è dedicato alle tecnologie per i beni culturali.

In Sardegna, nell'area fra Cagliari e Pula è sorto un distretto tecnologico nel settore della biomedicina e delle tecnologie per la salute (maggio 2005).

Come anticipato risultano in fase di attuazione i distretti tecnologici in alcune regioni del Mezzogiorno. In particolare, in Basilicata dovrebbe essere avviato un distretto tecnologico sulle tecnologie innovative per la tutela dai rischi idrogeologici, sismici e climatologici. Il distretto dell’Abruzzo si occuperà di tecnologie applicate alla sicurezza alimentare e alla qualità degli alimenti, mentre in Molise si occuperà principalmente dell'agroindustria: tra le principali filiere della regione ci sono i cereali, l’ortofrutta e le carni avicole e suine.

Per quanto riguarda la regione Umbria, i relazione a una proposta avanzata dalla Regione, si stanno conducendo approfondimenti riguardanti il settore dei materiali, quello delle micro e nanotecnologie e quello siderurgico.

Sul sito della Rete italiana per la diffusione dell’innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese (RIDITT) è disponibile una mappa on line dei distretti tecnologici .

Per approfondimenti, si vedano anche il sito dell’Osservatorio nazionale sui distretti tecnologici, il sito dell’ADITe (Associazione distretti tecnologici) e il volume "Osservatorio distretti 2013".



Dossier pubblicati

Approfondimento: Grandi imprese in crisi

Il Governo è intervenuto sulla disciplina relativa all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi con il decreto-legge 134/2008, noto anche come “decreto Alitalia”.

Con il provvedimento in esame, è stato esteso l’ambito di applicazione del decreto-legge 347/2003 (“legge Marzano”) - che già disciplinava la procedura di amministrazione straordinaria per le grandi imprese in stato di insolvenza finalizzata alla ristrutturazione industriale delle stesse sotto la supervisione del Ministro competente - anche alle imprese che intendono avvalersi, piuttosto che delle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, delle procedure di cessione di complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.

Il “decreto Alitalia” ha anche individuato una specifica disciplina dell’amministrazione straordinaria per le grandi imprese operanti nei settori dei servizi pubblici essenziali volta a garantire la continuità nella prestazione di tali servizi.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri oppure il Ministro dello Sviluppo economico, con proprio decreto:

Le finalità conservative dell’azienda possono essere realizzate attraverso la cessione dei complessi aziendali. Il Commissario straordinario individua l'acquirente mediante trattativa privata tra i soggetti che garantiscono la continuità del servizio nel medio periodo e la rapidità dell'intervento, e fissa il prezzo di cessione ad un valore non inferiore a quello di mercato.

Il decreto ha previsto inoltre misure per la tutela dei lavoratori, estendendo la durata massima dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità per il personale dei vettori aerei e delle società derivate da questi ultimi, e benefici per i piccoli azionisti o gli obbligazionisti di Alitalia – Linee aeree italiane S.p.A. Infine, per garantire la continuità aziendale di Alitalia, sono state introdotte limitazioni alla responsabilità degli amministratori, dei componenti del collegio sindacale, del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.

In materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza è intervenuto anche il decreto-legge 185/2008, (A.C. 1972). Il decreto ha integrato la “legge Prodi-bis” (decreto legislativo 270/1999) in merito alle operazioni di cessione previste dal commissario straordinario nel programma di salvataggio dell’impresa.

Il decreto-legge 70/2011 ( A.C. 4357) ha introdotto all'articolo 8 nuove norme in materia di amministrazione straordinaria della grande impresa in crisi. Più in particolare è previsto un obbligo per i commissari liquidatori di chiudere le procedure di amministrazione straordinaria aperte da oltre 10 anni quando non siano state individuate offerte di concordato da proporre ai creditori entro sei mesi dalla data di pubblicazione dell’invito. Inoltre è introdotto il principio della responsabilità solidale dell’impresa cedente rispetto ai debiti maturati dall’impresa cessionaria.

Il decreto-legge 83/2012 ( A.C.5312) ha introdotto all’articolo 27 un nuovo strumento chiamato Progetto di riconversione e riqualificazione industriale.
In particolare è stato previsto che in caso di situazioni di crisi industriali complesse possano essere attivati i progetti di riconversione e riqualificazione industriale la cui finalità è quella di agevolare gli investimenti produttivi, anche di carattere innovativo, nonché la riconversione industriale e riqualificazione economico produttiva dei territori interessati.

 Le situazioni di crisi industriali complesse si hanno quando specifici territori siano soggetti a recessione economica e perdita occupazionale e riscontrino:

Qualora la crisi è passibile di risoluzione con le ordinarie risorse regionali, essa non rientra nell’ambito oggettivo delle disposizioni in esame.

Il procedimento ai fini del riconoscimento di tale crisi è caratterizzato da un elemento formale: l'istanza di riconoscimento della regione interessata.

   I Progetti debbono promuovere:

  1. investimenti produttivi, anche di carattere innovativo;
  2. la riqualificazione delle aree interessate;
  3. la formazione del capitale umano;
  4. la riconversione delle aree industriali dismesse;
  5. il recupero ambientale;
  6. l’efficientamento energetico;
  7. la realizzazione di infrastrutture funzionali agli interventi.
Sotto il profilo del finanziamento è previsto:

 

E' stato, inoltre, previsto che il Piano di promozione industriale di cui agli articoli 5, 6, e 8 del D.L. n. 120/1989, venga applicato esclusivamente per i progetti di riconversione e riqualificazione industriale.

Si ricorda in proposito che il D.L. 120/1989, ha disposto misure di sostegno e di reindustrializzazione per le aree di crisi siderurgica, in attuazione del piano di risanamento della siderurgia e, in particolare, con gli articoli 5 e 8, ha affidato alla SPI (Società per la promozione e lo sviluppo industriale, confluita nel 2000 in Sviluppo Italia e quindi nell'Agenzia succedutale) la realizzazione di un Piano di promozione industriale. Tale Piano fu successivamente dichiarato compatibile con il mercato comune dalle competenti sedi comunitarie e con la nota di autorizzazione del 18 settembre 2003 C(2003) 3365 la Commissione europea comunicò altresì di considerare compatibile con il mercato comune l'estensione del sistema agevolativo previsto dalla normativa del 1989 a nuove aree di crisi industriale diverse da quella siderurgica, come previsto dall'art. 73 della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) e quindi potenzialmente a tutto il territorio nazionale, laddove si verificassero crisi settoriali localizzate. Ulteriori estensioni degli incentivi previsti dal decreto legge 120/1989, riconducibili all'autorizzazione comunitaria predetta, sono state poi approvate dalle successive leggi finanziarie.

Il D.M. 3 dicembre 2007, n. 747 ha previsto che le agevolazioni concesse ai sensi del decreto-legge 120/1989 non possono essere cumulati con altri aiuti di Stato ai sensi del Trattato dell'Unione europea, né con altre misure di finanziamento comunitario o nazionale, qualora tale cumulo dia luogo a un'intensità d'aiuto superiore al livello fissato dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013

 

 Possano essere attivati accordi di programma al fine dell’adozione dei Progetti in esame, al fine di disciplinare:

Tutte le opere e gli impianti richiamati all’interno dei Progetti sono dichiarati di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.

 

 A supporto all’attuazione del progetto, è prevista la costituzione di apposite conferenze di servizi.

 

Viene, inoltre, prevista l’applicazione del finanziamento agevolato di cui al D.L. 120/1989 su tutto il territorio nazionale, fatte salve le soglie di intervento stabilite dalla disciplina comunitaria stabilite per i singoli territori.

 

Il D.M. 3 dicembre 2007, n. 747 prevede che le agevolazioni concesse ai sensi del decreto-legge 120/1989 non possono essere cumulati con altri aiuti di Stato ai sensi del Trattato dell'Unione europea, né con altre misure di finanziamento comunitario o nazionale, qualora tale cumulo dia luogo a un'intensità d'aiuto superiore al livello fissato dalla Carta degli aiuti di Stato a finalità regionale 2007-2013.


  Il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A., quale soggetto responsabile della definizione ed attuazione dei progetti e si prevede una convenzione per disciplinarne le attività, i cui oneri sono posti a carico dell’istituendo Fondo per la crescita sostenibile.

 

Le modalità di attuazione dei progetti sono definite dal Ministero dello sviluppo economico entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, , impartendo direttive all'Agenzia e prescrivendo la priorità di accesso agli strumenti agevolativi di competenza del Ministero stesso .

 

Il decreto-legge 129/2012 (A.C. 5423.) , all'articolo 2, ha riconosciuto l’area industriale di Taranto  quale area in situazione di crisi industriale complessa ai fini dell’applicazione dell’articolo 27 sopra citato.

La Camera ha esaminato il disegno di legge A.C. 1741, che delega il Governo (oltre che a modificare la disciplina dei reati fallimentari) a riformare organicamente la disciplina delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, attualmente recata dal decreto legislativo 270/1999 e dal decreto-legge 347/2003, al fine di armonizzarne le disposizioni e di semplificarne le procedure. Tale riforma era quindi volta a semplificare il quadro normativo, unificando le differenti discipline sull’amministrazione straordinaria previste dal D.Lgs. 270/1999 e dal D.L. 347/2003. Attualmente, infatti, il fenomeno della gestione delle crisi aziendali delle grandi imprese risulta disciplinato da un doppio "binario" normativo, di cui ai provvedimenti su menzionati, il cui discrimen applicativo dipende dalla presenza o meno di determinati requisiti per l’ammissione alla procedura. Il provvedimento, assegnato in sede referente alle Commissioni II Giustizia e X Attività produttive, non ha completato l'iter previsto.



Dossier pubblicati

Approfondimento: Internazionalizzazione delle imprese



Riassetto della normativa e riordino degli enti

In ordine al tema dell’internazionalizzazione delle imprese l’attività parlamentare svolta dall’inizio della legislatura ha riguardato essenzialmente la legge 99/2009 (A.C. 1441-ter), nella quale all'articolo 12 sono contenute due deleghe legislative.

La prima delega prefigurava un generale riassetto della normativa in materia di internazionalizzazione delle imprese, secondo principi e criteri direttivi che non prevedono modifiche di carattere sostanziale della normativa vigente e che sembrano piuttosto orientati a consentire la predisposizione di un codice in materia di internazionalizzazione.

La seconda delega era volta alla ridefinizione, al riordino e alla razionalizzazione degli enti operanti nel settore dell’internazionalizzazione delle imprese nonché degli strumenti di incentivazione per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese gestiti dai medesimi enti.

Il Governo non ha esercitato le deleghe previste entro il termine di 18 mesi dall'entrata in vigore del provvedimento.



Start-up di progetti di internazionalizzazione

L'art. 14 della legge 99/2009 istituisce un Fondo rotativo destinato a favorire la fase di avvio di progetti di internazionalizzazione delle imprese, la cui gestione viene assegnata alla SIMEST Spa. Si ricorda che tale società, controllata dal Governo, è stata istituita con il compito di promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane e di assistere gli imprenditori nelle loro attività all’estero.

Al Fondo saranno assegnate le disponibilità finanziarie derivanti da utili spettanti al Ministero dello sviluppo economico quale socio della SIMEST e già destinati, ai sensi del decreto legislativo 143/1998, allo sviluppo delle esportazioni.

Gli interventi del Fondo sono destinati ad investimenti di carattere transitorio, e non di controllo, nel capitale di rischio di società costituite appositamente da singole piccole e medie imprese, o da loro raggruppamenti, per la realizzazione di progetti di internazionalizzazione.

in attuazione del presente articolo è stato emanato il D.M. 4 marzo 2011, n. 102 "Regolamento recante le condizioni e le modalità operative del Fondo start-up, in attuazione dell'articolo 14 della legge 23 luglio 2009, n. 99".



Istituzione dell'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane

L’articolo 14 del D.L. 98/2011 ha soppresso l’ICE. L’articolo 22 del D.L. 201/2011 ha quindi istituito un nuovo organismo denominato ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, e sottoposto ai poteri d’indirizzo e vigilanza del Ministero dello Sviluppo economico, che li esercita, per le materie di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli Affari esteri, sentito il Ministero dell’Economia e delle finanze.
Sono attribuiti all’Agenzia i seguenti compiti:

Essa opera in stretto raccordo con le regioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati.

L’Agenzia mantiene in Italia solo gli uffici di Roma e Milano, ed opera all’estero nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche e consolari, con modalità stabilite mediante apposita convenzione stipulata tra l’Agenzia, il Ministero degli Affari esteri ed il Ministero dello Sviluppo economico. Il personale dell’Agenzia all’estero può essere accreditato, previo nulla osta del Ministero degli Affari esteri, in conformità alla normativa internazionale.

Infine l'articolo 41 del decreto legge 83/2012 ha introdotto disposizioni per razionalizzare l'organizzazione dell'ICE, al fine di rilanciare gli interventi a favore dello sviluppo economico e della internazionalizzazione delle imprese.



SACE Spa

L’art. 52 della legge 99/2009 aveva previsto l’adozione, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, di decreti legislativi destinati ad incidere sull’organizzazione dell’attività svolta dalla SACE Spa a favore dell’internazionalizzazione dell’economia italiana. Si ricorda che la SACE ha la funzione di assumere in assicurazione e in riassicurazione la garanzia sui rischi (di carattere politico, catastrofico, economico, commerciale e dei cambi) ai quali sono esposti gli operatori nazionali nella loro attività con l'estero. I decreti, allo scopo di ottimizzare l’efficienza della società e la sua competitività rispetto ad altri organismi operanti sui mercati internazionali con le stesse finalità, avrebbero dovuto disporre la separazione dell’attività che la SACE svolge a condizioni di mercato da quella che beneficia della garanzia dello Stato avendo come oggetto rischi non di mercato e quindi consentire l’esercizio delle due attività di cui sopra da parte di organismi diversi. A tale delega legislativa non è stata data attuazione dal Governo.



Sistema "export banca"

L’art. 8 del decreto-legge 78/2009 demanda a decreti del Ministro dell'economia la definizione, a condizioni di mercato, di un nuovo sistema integrato di finanziamento e assicurazione – denominato "export banca" - volto a promuovere l’internazionalizzazione delle imprese attraverso l’attivazione delle risorse finanziarie gestite dalla Cassa depositi e prestiti Spa. Il modello organizzativo proposto prevede in particolare che le operazioni per l'internazionalizzazione delle imprese assistite da garanzia o assicurazione della SACE Spa potranno essere finanziate dalla Cassa depositi e prestiti con l'utilizzo dei fondi provenienti dalla raccolta postale, ovvero dall’emissione di titoli, dall’assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie.

La disposizione attribuisce ai medesimi decreti con cui il Ministro dell’economia autorizza e disciplina le attività della Cassa depositi e prestiti finalizzate alla costituzione del sistema di "export-banca", il compito di stabilire altresì le modalità ed i criteri per consentire le operazioni di assicurazione del credito per le esportazioni da parte della SACE anche in favore delle piccole e medie imprese nazionali.

In attuazione della norma in esame è stato adottato il D.M. 22 gennaio 2010 .



Iniziative delle imprese per la loro internazionalizzazione

L’articolo 6 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), e successivamente modificato dall’articolo 42 del decreto legge 83/2012, prevede che le iniziative delle imprese italiane dirette alla loro promozione, sviluppo e consolidamento sui mercati diversi da quelli dell'Unione Europea possono fruire di agevolazioni finanziarie esclusivamente nei limiti ed alle condizioni previsti dal Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione Europea del 15 dicembre 2006, relativo agli aiuti di importanza minore (de minimis).

Le iniziative ammesse ai benefici sono:

Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dello sviluppo economico sono determinati:

Sino alla emanazione del decreto restano in vigore i criteri e le procedure attualmente vigenti. Si rinvia, al riguardo, alle delibere CIPE n. 113/2009 (G.U. 9 marzo 2010) e n. 112/2009 (G.U. 22 marzo 2010).

Il finanziamento delle agevolazioni è a valere sulle disponibilità del Fondo rotativo di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 28 maggio 1981, n. 251 con le stesse modalità di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo, con riserva di destinazione alle piccole e medie imprese pari al 70% annuo.



Consorzi per l'internazionalizzazione

Nell’Allegato 1, del decreto-legge 83/2012 sono contenute le disposizioni riguardanti l’attività dei consorzi per l’internazionalizzazione che sono state abrogate dal provvedimento in esame. Il riferimento è in particolare a:

la legge 83/1989, recante interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane;

l'art. 10 del D.L. 251/1981, recante misure a sostegno delle esportazioni italiane, che estende ai consorzi aventi come scopo esclusivo la esportazione di prodotti agro-alimentari, la concessione dei contributi previsti in generale a favore dei consorzi per l’export.

L’articolo 42 del decreto-legge 83/2012 rivede, quindi, l’ordinamento e l’attività dei. consorzi per l’internazionalizzazione. Essi hanno per scopo:

Inoltre costituiscono attività dei consorzi:

I consorzi per l'internazionalizzazione sono costituiti o in forma di società consortile o cooperativa da piccole e medie imprese industriali, artigiane, turistiche, di servizi e agroalimentari aventi sede in Italia.

Le risorse per il contributo in favore di istituti, enti, associazioni, consorzi per l'internazionalizzazione e di Camere di commercio italiane all'estero, risultano iscritte nel capitolo 2501 del Ministero dello Sviluppo economico. A causa della progressiva riduzione dei fondi stanziati per questi strumenti, nel corso degli ultimi esercizi, le risorse assegnate al capitolo 2501 sono state ridotte per effetto di manovre di bilancio pubblico: da uno stanziamento di circa 34 €/MLN del 2008, si è passati alla dotazione di circa 10,5 €/MLN fino alla dotazione del 2012 di poco più di 14 €/MLN.

Inoltre i contributi concessi non possono superare il 50 per cento delle spese da essi sostenute per l'esecuzione di progetti per l'internazionalizzazione Ai contributi si applica, il regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, in materia di aiuti de minimis, fatta salva l'applicazione di regimi più favorevoli.



Desk Italia

L’articolo 35 del decreto-legge 179/2012 istituisce il Desk Italia - Sportello attrazione investimenti esteri come punto di riferimento per l'investitore estero in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti il relativo progetto di investimento, con lo scopo di fungere da raccordo fra le attività svolte dall'ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e quelle realizzate dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa - Invitalia; a tal fine è chiamato a convocare apposite conferenze di servizi e a proporre la sostituzione di procedimenti amministrativi con accordi integrativi o sostitutivi dei relativi provvedimenti.



Dossier pubblicati

Approfondimento: Riforma degli incentivi alle imprese

Con il decreto-legge n.83/2012 si è provveduto a riformare complessivamente il sistema di incentivi alle imprese, istituendo il nuovo Fondo per crescita sostenibile e ridefinendo i contributi per la ricerca e l'innovazione.

Nel decreto-legge n.83/2012 è stata prevista una riforma complessiva del sistema di incentivi alle imprese. La riflessione in ordine alla necessità di una modifica del precedente sistema ha preso spunto dalle indicazioni contenute nel Rapporto sulle "Analisi e raccomandazioni sul tema di contributi pubblici alle imprese" (c.d. rapporto Giavazzi), la cui redazione è stata richiesta dal Consiglio dei Ministri nell'aprile 2012.
La sintesi del Rapporto mette in luce come l'analisi economica indica che i sussidi alle imprese sono giustificati solo quando i mercati non sono in grado di raggiungere obiettivi socialmente desiderabili, come nel caso del finanziamento delle spese in ricerca e sviluppo. Un sussidio è inoltre efficace solo se induce attività addizionali, non finanzia cioè attività che l'impresa farebbe comunque. Il rapporto suggerisce, quindi, l'abrogazione di tutti i contributi salvo quelli giustificabili alla luce dei predetti criteri; tale soppressione viene quantificata in circa 10 miliardi di euro l'anno e viene ritenuta capace di generare, in termini di riduzione della pressione fiscale - attraverso la riduzione del "cuneo fiscale", un valore aggiunto, nell'arco di circa due anni, di un aumento di PIL di circa 1,5%.
Sulla base di tale studio, il Governo ha, quindi, introdotto, con il decreto-legge n.83/2012 una serie di disposizioni che hanno provveduto a ridefinire il quadro complessivo degli strumenti di intervento a favore delle imprese.



Fondo per la crescita sostenibile

In particolare, l’art. 23 ha trasformato il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT) nel Fondo per la crescita sostenibile, chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali; nel contempo ha abrogato numerose disposizioni, contenute nell’Allegato 1, che contenevano una serie di misure incentivanti per le imprese.

Per l’attuazione di tale riforma era prevista l’emanazione, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, di decreti del Ministro dello sviluppo economico, emanati di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, chiamati ad individuare:

Alla data del 5 marzo 2013 gli stessi non risultano ancora emanati.

Gli obiettivi e le priorità del Fondo possono essere periodicamente aggiornati sulla base del monitoraggio dell'andamento degli incentivi relativi agli anni precedenti.

I finanziamenti agevolati
concessi a valere sul Fondo per la crescita sostenibile potranno essere assistiti da garanzie reali e personali facendo salva, al contempo, la necessaria prestazione di idonea garanzia per le anticipazioni dei contributi.

Secondo quanto riportato nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del decreto-legge 83/2012, il nuovo Fondo avrà una consistenza iniziale pari alle disponibilità presenti sul FIT, stimata in circa 300 milioni di euro. Tale dotazione sarà implementata con le risorse derivanti dalle misure abrogate. In particolare, per quanto riguarda le risorse in bilancio rinvenienti dalle abrogazioni, alla data della presentazione della relazione tecnica sussistevano disponibilità da trasferire al Fondo per 3,96 milioni di euro nel periodo 2012-2014. Inoltre, il Fondo potrà disporre di risorse rinvenienti dalle contabilità speciali e dai conti di tesoreria per un importo complessivo pari a 292,4 milioni di euro. In particolare, le risorse disponibili presenti sulle contabilità speciali, al netto di quelle già impegnate, consistono in circa 118 milioni euro per i contratti di programma (registrati nell’ambito della contabilità speciale n. 1726 “aree depresse”) e in circa 144,3 milioni euro per i contratti d’area (registrati sul conto di tesoreria n. 29851, acceso presso la Cassa Depositi e Prestiti). Ulteriori 30 milioni sono riferibili al Fondo salvataggio imprese (registrati sul conto di tesoreria del MISE n. 22051).



Credito d'imposta per assunzioni di personale "altamente qualificato"

Sempre il decreto-legge 83/2012 ha istituito, con l’art. 24, un contributo, in forma di credito d'imposta, in favore di tutte le imprese che effettuino nuove assunzioni a tempo indeterminato di soggetti con profili "altamente qualificati". Il credito d'imposta è pari al 35% del costo aziendale sostenuto per l'assunzione; l'importo del credito non può superare i 200.000 euro annui (per impresa). Il nuovo personale deve costituire un incremento rispetto al numero complessivo dei dipendenti del periodo di imposta precedente. Inoltre, i nuovi posti di lavoro devono essere conservati per almeno tre anni (due anni, nel caso di PMI). Sono destinati risorse nella misura 25 milioni di euro per il 2012 e 50 milioni annui a decorrere dal 2013, rinvenienti dalle entrate che provengono annualmente dalla riscossione delle tasse sui diritti brevettuali. Una quota di riserva è prevista in favore delle assunzioni da parte di imprese che hanno la sede o unità locali nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessati dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012.

Il credito d'imposta del 35%, con un limite massimo di 200.000 euro annui per impresa,è riservato alle assunzioni relative a:

1) dottori di ricerca con titolo conseguito presso una università italiana o estera se riconosciuta equipollente in base alla legislazione vigente in materia;

2) personale in possesso di una laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo.

Possono usufruire dell’agevolazione tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dalle dimensioni aziendali, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato.

Per fruire del contributo, le imprese presentano un'istanza al Ministero dello sviluppo economico, secondo le modalità definite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, la cui emanazione era prevista entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in esame. Il credito d'imposta è concesso, da parte del Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto dei limiti di risorse previste.

Il diritto a fruire del credito d'imposta decade al verificarsi delle seguenti condizioni:

a) se il numero complessivo dei dipendenti è inferiore o pari a quello indicato nel bilancio presentato nel periodo di imposta precedente all'applicazione del presente beneficio fiscale; deve, pertanto, trattarsi di assunzioni aggiuntive;  

b) se i posti di lavoro creati non sono conservati per un periodo minimo di tre anni, ovvero di due anni nel caso delle piccole e medie imprese;

c) qualora l'impresa beneficiaria trasferisca, in tutto o in parte, le attività produttive in un Paese non appartenente all’Unione europea, con un effetto di riduzione di quelle ubicate in Italia, nei tre anni successivi al periodo di imposta in cui abbia fruito dell'incentivo. Tale fattispecie è stata inserita nel corso dell’esame parlamentare;

c) nei casi in cui vengano definitivamente accertate violazioni non formali, sia alla normativa fiscale che a quella contributiva in materia di lavoro dipendente per le quali sono state irrogate sanzioni di importo non inferiore a euro 5.000, oppure violazioni alla normativa sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori previste dalle vigenti disposizioni, nonché nei casi in cui siano emanati provvedimenti definitivi della magistratura contro il datore di lavoro per condotta antisindacale.

Qualora sia accertata l'indebita fruizione, anche parziale, del contributo, il Ministero dello sviluppo economico procede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge.

Il credito d’imposta deve essere indicato nella relativa dichiarazione dei redditi e non concorre alla formazione della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Il credito d’imposta non rileva, inoltre, ai fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi, di cui all’articolo 61 del TUIR, né rispetto ai criteri di inerenza per la deducibilità delle spese, di cui all’articolo 109, comma 5, del medesimo TUIR.

Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione.



Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca

L’articolo 30 del medesimo decreto n.83/2012 ha, inoltre, previsto l’utilizzo delle risorse del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) per agevolare la promozione di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, per il rafforzamento della struttura produttiva, e, infine, per la promozione della presenza internazionale delle imprese e l’attrazione di investimenti dall’estero ( finalità che è chiamato a perseguire il Fondo per la crescita sostenibile di cui all'articolo 23).



Interventi di venture capital

L’articolo 31 destina agli interventi di venture capital per le imprese innovative le residue disponibilità del fondo per l'efficienza energetica;  dispone, inoltre, il trasferimento delle risorse del Fondo di rotazione per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (denominato Foncooper), in favore del Fondo speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli di occupazione; prevede, infine, che le risorse annualmente assegnate al Ministero dello sviluppo economico, la cui gestione non sia stata assunta dalle Regioni siano utilizzate per finanziare iniziative a favore delle piccole e medie imprese operanti in quei territori.



Contributi per la ricerca scientifica e tecnologica

L’articolo 60 - da leggere nel combinato disposto con gli articoli 61, 62 e 63 - ridefinisce le tipologie, gli strumenti di intervento nonché i soggetti ammessi ai contributi per la ricerca scientifica e tecnologica.  L’obiettivo del complesso delle disposizioni è quello di garantire la competitività della ricerca, per fa fronte alle sfide globali della società.

Possono accedere agli interventi:

Le tipologie di intervento riguardano:

Gli strumenti a sostegno degli interventi sono individuati in:
contributi a fondo perduto; credito agevolato;
credito di imposta ai sensi dell’art. 1 del D.L. 70/2011;
prestazione di garanzie;
agevolazioni fiscali di cui all’art. 7, commi 1 e 4, del D.lgs. 123/1998;
voucher individuali di innovazione (inserito durante l'esame parlamentare).

 L’articolo 61 dispone che le tipologie di interventi di ricerca definite dall’art. 60, comma 4, sono sostenute con le risorse del Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) e prevede una forma di garanzia delle anticipazioni concesse a favore di progetti di ricerca presentati da soggetti privati.

 L’articolo 62 ridefinisce le procedure e le modalità di valutazione ed erogazione dei finanziamenti per la ricerca. In primo luogo prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sulla base del Programma nazionale della ricerca (PNR) adotta, entro il 31 dicembre dell'anno antecedente al triennio (tale termine è stato introdotto nel corso dell’esame parlamentare), per ogni triennio di riferimento del PNR, indirizzi sugli obiettivi, sulle priorità di intervento e sulle attività di ricerca.

Con uno o più decreti di natura del medesimo Ministro (per la cui emanazione non è stato indicato un termine) sono definite: le spese ammissibili (comprese, per i progetti svolti nel quadro di programmi UE o di accordi internazionali, quelle riguardanti la disseminazione dei risultati ottenuti ed il coordinamento del progetto): le caratteristiche specifiche delle attività e degli strumenti; le modalità ed i tempi di attivazione; le misure delle agevolazioni e le modalità della loro concessione ed erogazione; i tempi di definizione delle procedure, prevedendo adempimenti ridotti per attività di non rilevante entità; le modalità di attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 61; le condizioni di accesso, utilizzo e rimborso delle somme accantonate a garanzia delle anticipazioni; l’amministrazione del Fondo; le modalità ed i requisiti di accesso al Fondo.

 Per gli interventi di ricerca industriale è richiesto un parere tecnico-scientifico di esperti inserititi in un apposito elenco del Ministero e individuati “di volta in volta”, dal Comitato nazionale dei garanti della ricerca.

Per gli interventi di ricerca industriale orientati a favorire la specializzazione del sistema industriale, lo sviluppo di grandi aggregazioni tecnologiche (cluster) e quelli inseriti in accordi comunitari ed internazionali, il finanziamento è disposto, altresì, previo parere positivo di esperti tecnici sulla solidità e sulla capacità economico-finanziaria dei soggetti rispetto all’investimento proposto.

Per i progetti già selezionati nel quadro dei programmi dell’Unione europea o di accordi internazionali non è richiesta la valutazione preventiva degli aspetti tecnico-scientifici.

Il decreto attuativo potrà stabilire i casi in cui il Ministero può ammettere al finanziamento anche i progetti di ricerca industriale per i quali la valutazione ha avuto esito negativo; a tal fine, lo stesso decreto disciplina l’acquisizione di garanzie fideiussorie o assicurative o altre tipologie di garanzia rilasciate da uno dei soggetti proponenti.

Per ciascun progetto i partecipanti individuano il soggetto capofila.

Il Ministero dell’istruzione provvede ad iscrivere i progetti approvati ed i soggetti fruitori nell’Anagrafe nazionale della ricerca.



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Le leggi - D.L. 22 giugno 2012, n. 83 "Misure urgenti per la crescita del Paese" convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 - Schede di lettura (articoli 23, 24, 30, 31, 61-63)

Approfondimento: Sostegno alle attività produttive



Situazione del sistema industriale e manifatturiero italiano

La X Commissione Attività produttive della Camera ha svolto una indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del sistema industriale e manifatturiero italiano in relazione alla crisi dell’economia internazionale, approvandone il documento conclusivo , discusso nelle sedute del 18 e 25 maggio 2011.

Individuati i fattori di debolezza del sistema industriale italiano, il documento conclusivo propone un programma nazionale strategico riguardante la politica energetica, la riduzione del carico fiscale e contributivo, il sostegno alla domanda, lo snellimento burocratico, la concorrenza (a partire dal settore bancario), l'utilizzo dei fondi strutturali europei, l'accelerazione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione, la modernizzazione del sistema produttivo. Tra i settori industriali, vengono avanzate proposte di intervento sulla chimica, sul settore delle macchine utensili e sull'industria farmaceutica.

 



Incentivi per i consumi

Il decreto-legge 40/2010 ha istituito un Fondo-incentivi da 300 milioni di euro - le cui risorse si sono anticipatamente esaurite - per l'acquisto di: motocicli, elettrodomestici a basso consumo, cucine componibili complete di elettrodomestici efficienti, immobili ad alta efficienza energetica, rimorchi, gru per l'edilizia, macchine agricole, motori nautici, componenti elettrici ed elettronici per l’efficienza energetica industriale, internet veloce per i giovani.

Si ricorda che il decreto-legge 5/2009 (A.C. 2187), aveva previsto, fino al 31 dicembre 2009:



Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese

Il decreto-legge 185/2008 (A.C. 1972), ha rifinanziato il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese (PMI) - costituito per fornire una garanzia ai crediti concessi a tali imprese dalle banche e dagli intermediari finanziari - per 450 milioni di euro, in attesa della concreta operatività del Fondo per la finanza d’impresa, istituito dalla legge finanziaria 2007 (legge 296/2006).

Il decreto-legge ha disposto inoltre che gli interventi del Fondo di garanzia siano assistiti dalla garanzia dello Stato.

Ulteriori norme riguardanti il Fondo di garanzia per le PMI sono state introdotte dal Parlamento nel corso dell’esame del citato decreto-legge 5/2009.

E' stato disposto un incremento della dotazione del Fondo di garanzia con corrispondente riduzione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), e si è previsto che la dotazione del Fondo di garanzia possa essere ulteriormente incrementata con l'assegnazione di determinate risorse rientranti nella dotazione del Fondo per la finanza d'impresa.

Il Parlamento ha inoltre previsto la possibilità di estendere gli interventi del Fondo di garanzia alle misure che consentano alle PMI la rinegoziazione dei debiti in essere con il sistema bancario e l’assolvimento degli obblighi tributari e contributivi.

Infine ha destinato, per il 2009, risorse del Fondo di garanzia per le PMI per non meno di 10 milioni di euro a favore delle imprese operanti nei distretti produttivi della concia, del tessile e del calzaturiero in cui siano state realizzate opere di smaltimento o riciclo dei rifiuti o di riciclo e depurazione delle acque ad uso industriale.

La legge 191/2009 (A.C. 2936), legge finanziaria 2010, destina, nell'ambito delle risorse del Fondo di garanzia, una quota di 10 milioni di euro agli interventi in favore dei consorzi dei confidi delle province con il più alto tasso di utilizzazione della cassa integrazione.

Il decreto-legge 70/2011 (Il decreto-legge per il semestre europeo , A.C. 4357) ha modificato, al comma 5 dell’articolo 8, la disciplina del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese al fine di favorirne l’operatività e l’autonomia e ha disposto in merito all’utilizzo parziale di risorse inutilizzate destinate al Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca. In particolare il comma 5 prevede:

-      l’eliminazione della disposizione del comma 847, art. 1, della legge 296/2006 che, nel prevedere l'istituzione del Fondo per la finanza d'impresa, stabilisce la soppressione del Fondo di garanzia per le PMI, pur mantenendone l'operatività fino all'emanazione delle norme attuative del citato Fondo per la finanza d'impresa (lett.a).

-      la possibilità di procedere ad opportune razionalizzazioni della disciplina regolamentare del Fondo contenuta nel DM 248/1999 e di estendere la garanzia concessa dal Fondo anche ai fondi comuni di investimento mobiliari chiusi (lett.b);

-      l’integrazione dell’art. 1 della legge 311/2004 (finanziaria 2005), con l’aggiunta dei nuovi commi 361-bis - 361-quater relativi all’utilizzo parziale di risorse inutilizzate del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca (FRI) (lett. c).

L’articolo 39 del D.L. 201/2011(cd. Salva Italia) è intervenuto in materia di Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese, prevedendo che la garanzia diretta e la controgaranzia possano essere concesse a valere sulle disponibilità del citato Fondo di garanzia fino all’80 per cento dell’ammontare delle operazioni finanziarie a favore di piccole e medie imprese e consorzi ubicati in tutto il territorio nazionale, purché rientranti nei limiti previsti dalla vigente normativa comunitaria.



Altri interventi a favore dell'apparato produttivo

La legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) contiene disposizioni volte a promuovere gli interventi di reindustrializzazione sulla base di una approccio innovativo e sistematico che ruota attorno all’accordo di programma quale strumento di regolamentazione concordata alla cui definizione partecipano tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti. Le aree e i distretti in crisi in cui realizzare gli interventi sono individuati con decreto del Ministro per lo sviluppo economico, al quale è affidato il coordinamento dell’accordo di programma, anche avvalendosi, a tal fine, dell’Agenzia per l’attrazione degli investimenti (ex Sviluppo Italia). L’Agenzia, sulla base di direttive emanate dal Ministro, provvede all’attuazione degli interventi agevolativi.

Inoltre, al fine di rilanciare l'intervento dello Stato a sostegno delle aree o distretti in crisi, con particolare riferimento a quelli del Mezzogiorno, il Governo veniva delegato ad effettuare il riordino della disciplina della programmazione negoziata e degli incentivi per lo sviluppo del territorio, degli interventi di reindustrializzazione di aree di crisi, degli incentivi per la ricerca, sviluppo e innovazione. Il termine per l'esercizio della delega, seppur differito dal 15 agosto 2010 al 15 febbraio 2011 dalla legge 129/2010 (A.C. 3660), è scaduto senza che il Governo adottasse definitivamente il decreto legislativo (peraltro era stato predisposto lo schema di decreto legislativo n. 330 ).

Si interviene anche in materia di progetti di innovazione industriale (v. Ricerca e innovazione ).

Il D.M. 24 settembre 2010, in attuazione dell'art. 43 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), disciplina i criteri e le modalità per la concessione, attraverso la sottoscrizione di contratti di sviluppo, di agevolazioni finanziarie dirette a favorire la realizzazione di investimenti rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva italiana, con particolare riferimento al Mezzogiorno.

E' divenuto legge 180/2011 il testo unificato delle proposte di legge A.C. 98 ed abbinate, volto a definire lo statuto giuridico delle imprese prevedendo misure in grado di favorirne l’avvio, lo sviluppo e la competitività, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act dell'Unione europea. In attuazione della delega contenuta nello Statuto delle imprese è stato emanato il decreto legislativo 192/2012 in materia di “Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180”.

Il decreto-legge 83/2012 ha introdotto incentivi per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive (articoli da 17-bis a 17-duodecies).



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Approfondimento: Statuto delle imprese

La legge 180/2011 ha definito lo statuto giuridico delle micro, piccole e medie imprese (nel seguito indicate con l’acronimo MPMI), recependo le indicazioni contenute nelloSmall Business Act adottato a livello comunitario e attuato con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010, che individua le proposte di intervento in relazione ai dieci principi informatori del documento.

Tra le finalità è previsto: il sostegno per l'avvio di nuove imprese, in particolare da parte dei giovani e delle donne; la valorizzazione del potenziale di crescita, di produttività e di innovazione delle imprese, con particolare riferimento alle MPMI; e, infine, l’adeguamento dell'intervento pubblico alle esigenze delle MPMI.

Tra i principi che concorrono a definire lo statuto sono elencati, tra l’altro: la libertà di iniziativa economica e concorrenza; la semplificazione burocratica; la progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese; il diritto delle imprese all’accesso al credito informato, corretto e non vessatorio; e, infine, misure di semplificazione amministrativa. Tali principi sono volti prevalentemente a garantire alle imprese condizioni di equità funzionale, operando interventi di tipo perequativo per le aree sottoutilizzate, nel rispetto dei principi fissati dall’articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’UE. Si enuncia anche il principio della libertà di associazione tra imprese.

Viene attribuita la legittimazione ad agire alle associazioni di categoria rappresentate nel sistema delle camere di commercio o nel CNEL, sia a tutela di interessi relativi alla generalità degli appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni appartenenti.

Sono poi disciplinati i rapporti tra imprese e istituzioni, in un’ottica di semplificazione e trasparenza.

Il Governo è stato delegato ad emanare disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, nonché norme finalizzate a:

I principi alla base della delega sono i seguenti:

Si dispone che le certificazioni rilasciate alle imprese da enti autorizzati sostituiscano le verifiche delle autorità competenti, fatte salve eventuali responsabilità penali, e vengono modificate alcune soglie in materia di contratti pubblici.

Si interviene, quindi a rendere più trasparente l'informazione relativa agli appalti pubblici d'importo inferiore alle soglie stabilite dall'Unione europea e ai bandi per l’accesso agli incentivi da parte delle MPMI, nonché a favorire l'accesso delle MPMI agli appalti pubblici.

Viene costituito un consorzio obbligatorio nel settore dei laterizi (COSL) per:
ridurre l’impatto ambientale;
valorizzare la qualità e l’innovazione dei prodotti;
incentivare la chiusura delle unità produttive meno efficienti; finanziare le spese annuali di ricerca e sviluppo sostenute dalle imprese del settore.

Il COSL ha personalità giuridica di diritto privato, senza fini di lucro, e il suo statuto è sottoposto all’approvazione del Ministero dello sviluppo economico, che vigila sul consorzio.

Il provvedimento reca varie disposizioni sulle politiche pubbliche riguardanti le MPMI.
Sono previste diverse misure per favorire la ricerca, l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione.
In particolare, il Ministro dello sviluppo economico, sentite le regioni, deve adottare un piano strategico di interventi.
Viene poi istituito il Garante per le MPMI, con la finalità, fra l’altro, di monitorare l’impatto dell’attività normativa, anche del Governo e delle regioni, e dei provvedimenti amministrativi sulle MPMI, prevedendo un interscambio tra il Garante e gli enti e le istituzioni interessate, fra cui, principalmente, Parlamento, Governo ed enti territoriali.

Si prevede, quindi, l’emanazione di una “Legge annuale per le MPMI”, al fine di attuare lo Small Business Act.
Il provvedimento, da presentare alle Camere entro il 30 giugno di ogni anno, è volto a definire gli interventi in materia per l’anno successivo e reca, oltre a una o più deleghe, norme di immediata applicazione per favorire e promuovere le MPMI.
Al disegno di legge dovrà essere allegata, oltre a quelle previste dalle disposizioni vigenti, una relazione sullo: stato di conformità della normativa vigente in materia di imprese rispetto ai principi ed obiettivi dello Small Business Act; sull’attuazione degli interventi programmati; sulle ulteriori specifiche misure da adottare per favorire la competitività delle MPMI, al fine di garantire l’equo sviluppo delle aree sottoutilizzate.

Il provvedimento, infine, stabilisce che le regioni promuovano la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-regioni per il coordinamento delle competenze normative sugli adempimenti amministrativi delle imprese e per conseguire livelli ulteriori di liberalizzazione dell’attività d’impresa.

In attuazione della delega è stato emanato il decreto legislativo 192/2012 in materia di “Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l'integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell'articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180”.

Il decreto, in particolare, dispone, per i contratti conclusi a decorrere dal 1° gennaio 2013:

Si ricorda che in materia di ritardo dei pagamenti tra imprese, la X Commissione della Camera dei deputati ha esaminato la proposta di legge 3970 e abb. "Norme per la riduzione dei termini di pagamento nelle transazioni commerciali e per il recupero dei crediti, nonché istituzione di un fondo rotativo presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la cessione dei crediti delle imprese". L’esame in Commissione è iniziato il 15 febbraio 2011, Durante l’iter è stato proposto un testo unificato. Parte delle disposizioni contenute nel provvedimento in esame sono state inserite nel decreto legislativo 192/2012, prima richiamato.

Sulla G.U. del 4 febbraio 2013 è stato pubblicato il DPCM 252/2012, in attuazione dell'articolo 7, comma 2 dello Statuto delle imprese (Regolamento recante i criteri e le modalita' per la pubblicazione degli atti e degli allegati elenchi degli oneri introdotti ed eliminati dallo Statuto delle imprese).



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Statuto delle imprese - A.C. 98-1225-1284-1325-2680-2754-3191-B - Elementi per l'esame in Assemblea

Liberalizzazioni

Nella XVI Legislatura è proseguito il processo di liberalizzazione del mercato, attraverso l'eliminazione di barriere, limiti e restrizioni per l'accesso e l'esercizio di talune attività economiche, non giustificati da ragioni di interesse pubblico superiore.

Le riforme introdotte hanno interessato, in generale, le modalità di esercizio dell'attività d'impresa e servizi, ed in particolare, taluni specifici settori, quali l'energia, le professioni, i trasporti, le assicurazioni ed i servizi bancari.

Con riguardo alla riforme di carattere trasversale, un settore particolarmente rilevante, oggetto di riforma, è stato quello inerente i servizi, intesi come qualsiasi attività economica non salariata fornita dietro retribuzione.

Con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, come modificato ed integrato dal Decreto legislativo n. 147/2012, è stata data nell'ordinamento interno attuazione alla direttiva 2006/123/CE, che ha definito un quadro giuridico comune in merito alla fornitura di servizi nel mercato interno.

Tra i settori che rientrano nel campo di applicazione della direttiva sono compresi la distribuzione ed il commercio, i servizi forniti nell'ambito dell'edilizia, dell'artigianato, dell'industria (per es. l'installazione e manutenzione dei macchinari), delle professioni, delle imprese e del turismo. 

Nella prima parte del provvedimento attuativo sono contenute disposizioni di carattere generale; nella seconda quelle di tipo settoriale.

Si prevede che l'accesso ad un'attività di servizi può essere subordinato al rilascio di un'autorizzazione solo quando:

Particolarmente rilevante, anche in relazione al riparto di competenze tra Stato e regioni sancito dall'articolo 117 della Costituzione, la disposizione che prevede la durata illimitata e valida per l'intero territorio nazionale delle autorizzazioni rilasciate; quando il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività risulta limitato, si richiede che le autorità competenti applichino una procedura di selezione tra i candidati. Restrizioni al numero di aperture sono consentite solo per salvaguardare interessi generali, tra i quali non rientra la salvaguardia di quote di mercato esistenti. Limitazioni possono essere giustificate solo per ragioni di carattere ambientale, di tutela del patrimonio storico, artistico, o di ordine pubblico e di tutela della salute. Nel caso in cui il rilascio dell'autorizzazione dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti previsti dalla legge e non sia previsto alcun limite, l'interessato può presentare una segnalazione di inizio attivita' (SCIA); in tal caso potrà iniziare l'attività il giorno stesso della presentazione della domanda;l'amministrazione competente ha sessanta giorni per procedere alle verifiche necessarie.

In ragione del criterio di specialità, la direttiva servizi non si applica nel caso in cui vi siano specifiche disposizioni settoriali. Il riferimento è per esempio alle professioni regolamentate, disciplinate dalla direttiva 2005/36, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, che regola, tra l'altro, la libera prestazione di servizi professionali (recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo 206/2007).

Sul tema il Legislatore ha delineato un percorso di riforma degli ordinamenti professionali ed ha approvato una nuova disciplina delle professioni non regolamentate, diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione ad un ordine o a collegio professionale per poter essere esercitate.

La legge comunitaria 2010 ha poi delegato il Governo ad adottare un decreto legislativo per la revisione ed il riordino della normativa nazionale in tema di affidamento delle concessioni di beni demaniali marittimi.

Diversi interventi legislativi hanno, poi, dettato disposizioni di natura trasversale, relative alle restrizioni esistenti per l'accesso alle attività economiche.

In particolare, si è intervenuti ripetutamente per stabilre come principio di carattere generale, al quale deve essere adeguata la normativa nazionale e regionale, secondo il quale "l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge".

Limiti possono essere giustificati solo per vincoli di carattere europeo ed internazionale o per ragioni legate alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, alla salute, all'ambiente e al patrimonio culturale.

Con il decreto-legge 138 del 2011 è stato previsto un meccanismo secondo il quale tutte le norme statali incompatibili con tale principi sarebbero state soppresse automaticamente. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200/2012 ha ritenuto tale automatismo invasivo delle competenze legislative regionali, in ragione dell'intreccio tra i diversi livelli di competenza nel settore e delle difficoltà che il legislatore regionale avrebbe incontrato per adeguare la normativa di competenza. Con il decreto-legge 1/2012 si è intervenuti, quindi, nuovamente sulla materia, prevedendo che con regolamenti, da emanarsi entro il 31 dicembre 2012 (per le sole professioni turistiche il termine è stato prorogato al 30 giugno 2013 dalla legge di stabilità per il 2013) sarebbero dovute essere abrogate le norme che prevedono limiti numerici e vincoli non giustificati da un interesse generale, che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati e che impongono una pianificazione ed una programmazione territoriale attraverso l'introduzione di limiti non ragionevoli.

E' stato, poi, disposto che ogni disposizione recante divieti e restrizioni deve essere applicata ed interpretata in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle finalità di interesse generale.

Gli enti locali devono adeguarsi a tali principi; l'attività posta in essere a tali fini sarà valutata, a partire dal 2013, come comportamento virtuoso ai fini dell'applicazione del patto di stabiltà interno.

Sono esclusi dall'applicazione di tali disposizioni i servizi di trasporto pubblico di persone e cose non di linea, i servizi finanziari ed i servizi di comunicazione.

 E' stato previsto che la disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze di interesse generale, costituzionalemnte rilevanti che possono giustificare l'introduzione di atti preventivi di autorizzazione (articolo 34 del decreto-legge 201/2011).

E' stata, quindi, disposta l'abrogazione di tutte le restrizioni che riguardano:

I provvedimenti che introducono restrizioni all'accesso e all'esercizio delle attività economiche sono soggetti al parere obbligatorio dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si esprime in merito al principio di proporzionalità, entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento.

E' stato, quindi, introdotto come principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali su tutto il territorio nazionale, senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli, esclusi quelli riguardanti la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente e dei beni culturali.

Con il decreto-legge 1/2012 è stato, poi, attuato un ampio intervento di liberalizzazione del mercato finalizzato allo sviluppo della produttività.

Tra le misure più significative sul versante delle liberalizzazioni, si segnalano:

  1. la riduzione del prezzo del gas naturale per i “clienti vulnerabili” (famiglie, strutture sociali ecc) e per le imprese, accrescendo le possibilità di accesso agli stoccaggi e di acquisizione mediante infrastrutture di importazione dall’estero;
  2.  la piena terzietà della società SNAM S.p.A. che gestisce i servizi regolati di trasporto, di stoccaggio, di rigassificazione, e di distribuzione del gas nei confronti della maggiore impresa di produzione e vendita di gas (ENI);
  3. l'attribuzione al Ministro per lo sviluppo economico del compito di definire un atto di indirizzo per una revisione complessiva della disciplina di riferimento per il mercato elettrico (v. Mercati energetici);
  1. lo sviluppo di operatori indipendenti ed impianti multimarca, agendo anche sulla diversificazione delle tipologie contrattuali che legano produttori e distributori di carburanti;
  2. una più generale liberalizzazione delle attività svolte dai gestori di impianti di distribuzione carburanti;
  3. la diffusione degli impianti automatizzati;
  4. l’uscita dal mercato degli impianti di distribuzione meno efficienti;
  1. la gratuità delle spese dei conti destinati all'accredito e al prelievo di pensioni ammontanti fino a 1.500 euro mensili;
  2. la nullità delle clausole bancarie che prevedono remunerazioni per le banche a fronte di concessione, messa a disposizione e mantenimento di linee di credito, nonché di loro utilizzo nel caso di sconfinamenti;
  3. la semplificazione delle procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia di mutui;
  4. l'attribuzione al cliente della facoltà di scegliere la polizza vita più conveniente, qualora l'erogazione di un mutuo sia condizionata alla stipula di un contratto di assicurazione sulla vita.
  1. la previsione di una restrizione della risarcibilità per le lesioni di lieve entità alla persona;
  2. l'introduzione dell'obbligo per gli intermediari che offrono servizi e prodotti R.C. Auto e natanti di informare il cliente sulla tariffa e sulle altre condizioni contrattuali proposte da almeno tre compagnie assicurative non appartenenti ai medesimi gruppi;

Approfondimenti

Approfondimento: L'attuazione della direttiva servizi

La direttiva “servizi” 2006/123/CE è una delle misure più rilevanti per la crescita economica e occupazionale e lo sviluppo della competitività dell’Unione europea; attraverso il superamento degli ostacoli di natura giuridica che si frappongono alla libertà di stabilimento dei prestatori e alla libera circolazione dei servizi negli Stati membri, essa contribuisce al processo di liberalizzazione e semplificazione del mercato dei servizi, in linea con le previsioni della Strategia di Lisbona.

L’attuazione della direttiva è avvenuta in due fasi prima con il decreto legislativo 59/2010,  sul cui schema (A.G. n. 171) le Commissioni giustizia e attività produttive della Camera avevano espresso il parere nella seduta dell’11 marzo 2010, e successivamente con il decreto legislativo 147/2012,  esaminato (A.G. n. 468) dalla Commissione attività produttive della Camera che ha espresso il parere nella seduta del 25 luglio 2012.



Il decreto legislativo 59/2010

Il D.lgs. n. 59/2010 ha consentito di raggiungere alcuni obiettivi in termini di aumento  della concorrenza:

Nel caso di altre attività (intermediazione commerciale e di affari, di agente e rappresentante dì commercio e di mediatore marittimo), il D.lgs. n. 59/2010 ha eliminato ruoli ed elenchi quale presupposto per il loro avvio regolando, attraverso quattro decreti ministeriali, anche le modalità del passaggio al Registro delle imprese (REA) dei soggetti imprenditoriali e delle persone fisiche già iscritte ai ruoli e all’elenco soppressi. 



L'ambito di applicazione

Il provvedimento si applica alle attività economiche di carattere imprenditoriale o professionale svolte senza vincolo di subordinazione e dirette allo scambio di beni o fornitura di prestazioni anche di carattere intellettuale. Alcuni servizi sono espressamente esclusi; tra questi, le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, i servizi di interesse economico generale assicurati alla collettività in regime di esclusiva, taluni servizi di natura sociale, i servizi sanitari e farmaceutici forniti a scopo terapeutico e i servizi finanziari.

Per prestatore del servizio si intende qualsiasi persona fisica avente la cittadinanza di uno Stato membro o qualsiasi soggetto costituito conformemente al diritto di uno Stato membro o da esso disciplinato, a prescindere dalla sua forma giuridica, stabilito in uno Stato membro, che offre o fornisce un servizio.



L'accesso e l'esercizio delle attività di servizi

Il decreto legislativo detta una disciplina differenziata rispettivamente per l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi in regime di stabilimento e per lo svolgimento di prestazioni transfrontaliere occasionali e temporanee. Elemento chiave per l’applicazione dell’uno o dell’altro regime, secondo quanto precisato anche dalla giurisprudenza comunitaria, è lo stabilimento o meno dell'operatore nello Stato membro in cui il servizio è prestato; il carattere temporaneo delle attività è inoltre valutato non solo in funzione della durata della prestazione, ma anche della sua regolarità, periodicità o continuità.

Con riferimento alle prestazioni in regime di stabilimento, il provvedimento conferma il principio secondo il quale l’esercizio dell’attività di servizi è espressione della libertà economica del prestatore e non può essere soggetto a limitazioni ingiustificate o discriminatorie.

Sulla base di tale principio, l’esercizio in Italia del servizio può essere subordinato a specifici requisiti o a particolari regimi autorizzatori solo se sussistono motivi di interesse generale e nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità; di norma, l’attività può essere esercitata a seguito di una dichiarazione di inizio attività e già dalla data di presentazione della medesima (cd. D.I.A. ad efficacia immediata).

Per quanto riguarda, invece, le prestazioni temporanee e occasionali di servizi, il decreto esonera i relativi prestatori dal possesso dei requisiti previsti dalla legislazione di settore. Deroghe a tale regola generale sono previste (oltre che in specifici settori) solo in presenza di motivi imperativi di interesse generale che riguardino ordine pubblico, sicurezza, sanità pubblica o tutela dell’ambiente.

Il provvedimento reca anche alcune misure di semplificazione amministrativa; in particolare consente ai prestatori l’espletamento in via telematica delle procedure necessarie per lo svolgimento delle attività di servizi attraverso lo sportello unico per le attività produttive e prevede che le domande di accesso all’attività di servizi possano essere anche presentate contestualmente alla comunicazione unica attraverso il registro delle imprese (che provvede a trasmetterle immediatamente allo sportello unico).



La tutela dei destinatari e la qualità dei servizi

A tutela dei destinatari del servizio, il decreto legislativo vieta discriminazioni fondate sulla nazionalità o residenza dei medesimi.

A tutela della qualità del servizio, prevede, tra l’altro, specifici obblighi informativi in capo al prestatore e conferma la libertà di ricorrere alla pubblicità in materia di professioni regolamentate, nel rispetto delle regole di deontologia professionale.



Le professioni regolamentate

Il regime delle prestazioni temporanee e occasionali si applica anche alle professioni regolamentate (v. anche La riforma delle professioni), nel rispetto tuttavia delle disposizioni di attuazione della “direttiva qualifiche” 2005/36/CE; in virtù della clausola di specialità, contenuta anche nella direttiva “servizi”, infatti, nel caso di contrasto tra le disposizioni della direttiva "servizi" e le disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici di attività di servizi o professioni specifiche, queste ultime prevalgono sulla direttiva "servizi".

Il decreto legislativo interviene, anche attraverso l’adeguamento dei singoli ordinamenti professionali, sul procedimento e sui requisiti per l’iscrizione in albi, registri o elenchi. In particolare, in attuazione del principio di non discriminazione,  i cittadini UE sono equiparati ai cittadini italiani e il domicilio professionale è equiparato alla residenza in Italia; inoltre, nel rispetto della legislazione nazionale, è espressamente consentito l’esercizio in forma associata delle professioni regolamentate in regime di stabilimento.



La semplificazione per l'esercizio di determinate attività

Il provvedimento reca alcune misure di semplificazione per l’esercizio di specifiche attività commerciali (tra le quali, le attività di somministrazione di alimenti e bevande, di vendite per corrispondenza, per televisione e a domicilio, di commercio al dettaglio su aree pubbliche, di agente e rappresentante di commercio). In recepimento di un’osservazione contenuta nel sopra richiamato parere delle Commissioni parlamentari, non è stata riprodotta una disposizione, contenuta nell’originario schema trasmesso alle Camere, che prevedeva la liberalizzazione del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica (attraverso in particolare la sostituzione del regime autorizzatorio per l’apertura di punti vendita con la dichiarazione di inizio di attività presentata agli sportelli unici). Il medesimo parere conteneva anche una condizione, questa non recepita nel decreto legislativo, con la quale si chiedeva che non fosse soppresso il ruolo degli agenti di affari in mediazione, alla luce delle esigenze di tutela dei consumatori e di sicurezza della circolazione dei beni immobili.



Il decreto legislativo 147/2012

A due anni dall’entrata in vigore del decreto 59/2010 di attuazione della Direttiva servizi, è stato adottato il nuovo decreto legislativo 147/2012 che apporta alcune modifiche ed integrazioni per garantire la puntuale applicazione della direttiva servizi. L’obiettivo prioritario della Direttiva risponde alla necessità di armonizzare i regimi normativi di accesso e di esercizio delle attività e di eliminare gli ostacoli alla prestazione di servizi nel mercato interno, che impediscono ai prestatori di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico, per favorire, in via prioritaria, la crescita economica e lo sviluppo della competitività.Si tratta di misure che danno un ulteriore spinta alla liberalizzazione e semplificazione per l’esercizio delle attività imprenditoriali, commerciali e artigianali. Tra le novità più rilevanti c’è l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) che sostituisce sia la dichiarazione di inizio attività (DIA), immediata e differita, sia le autorizzazioni di attività non soggette a programmazione, ma solo a verifica dei requisiti. Le attività per cui è sufficiente la SCIA sono le seguenti: somministrazione di alimenti e bevande (l l’autorizzazione rimane necessaria solo per le zone in cui l’apertura degli esercizi è oggetto di programmazione); esercizi di vicinato (quelli aventi una superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti) spacci interni; vendita di prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici; vendita per corrispondenza, per mezzo della televisione od altri sistemi di comunicazione; attività di facchinaggio; intermediazione commerciale e di affari; attività di rappresentante di commercio, mediatore marittimo, spedizioniere, acconciatore, estetista, e di tinto lavanderia, ovviando, in tale ambito, al vuoto legislativo relativo all’esercizio di attività di lavanderia self-service (articoli da 1 a 6 e da 10 a 17).

Approfondimento: La disciplina europea in materia di qualifiche professionali

Nell'ambito delle iniziative volte a completare e rafforzare il mercato interno, prospettate dall'Atto per il mercato unico, la Commissione europea ha presentato, il 19 dicembre 2011, una proposta di modifica della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali in tutta l'UE.



La revisione del quadro normativo europeo

La predisposizione della proposta discende dalla necessità, emersa da valutazioni sullo stato di attuazione della direttiva 2005/36/CE  effettuate dalla Commissione europea, di rimuovere gli ostacoli ancora esistenti in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali quali la complessità delle prassi e le irregolarità amministrative, i ritardi nelle procedure di riconoscimento e le resistenze corporative a livello nazionale.

In particolare, la proposta mira, a fronte della crescente richiesta di personale altamente qualificato nell’UE, a migliorare la mobilità geografica dei lavoratori nel mercato unico e l'efficienza dei mercati occupazionali mediante:



La direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali

La direttiva 2005/36/CE , recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, si applica ai cittadini UE che intendono esercitare una professione regolamentata – vale a dire una professione il cui accesso ed esercizio sono subordinati al possesso di specifiche qualifiche professionali previste dal diritto nazionale - in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata conseguita la qualifica. Allo stato attuale a livello UE sono regolamentate più di 800 professioni, mentre le professioni regolamentate a livello nazionale sono più di 4 mila.

Ai fini dell’esercizio di una professione la direttiva prevede:

Al fine di favorire l'applicazione della direttiva, si prevede una stretta collaborazionetra le autorità competenti dello Stato membro ospitante e di quello d'origine, anche attraverso:



Le iniziative dell'UE in materia di qualifiche professionali

Per agevolare il riconoscimento delle qualifiche professionali nell’UE la Commissione europea ha proceduto alla creazione di:

Approfondimento: Liberalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti

Durante la manovra estiva del 2011, l’articolo 28 del D.L. 98/2011, convertito in legge 111/2011, aveva integrato la disciplina in materia di razionalizzazione della rete distributiva dei carburanti dettata dal D.Lgs. 11 febbraio 1998, n. 32 al fine di stimolare il processo di chiusura di impianti di distribuzione marginali e, con i commi 12-14, porre le premesse per un nuovo e più articolato regime dei rapporti tra titolari e gestori degli impianti di distribuzione carburanti.

Si ricorda che la gestione degli impianti di distribuzione di carburanti può essere effettuata sia direttamente dal proprietario dell’impianto e titolare della licenza (per lo più una Compagnia petrolifera, in altri e minori casi i cosiddetti distributori “indipendenti”), sia da soggetti diversi denominati “gestori”.

Successivamente, gli articoli 17-20 del D.L. 1/2012 (decreto “liberalizzazioni”), convertito in legge 27/2012, sono intervenuti in materia di distribuzione di carburanti, con norme che puntano a promuovere lo sviluppo di operatori indipendenti ed impianti multimarca, agendo anche sulla diversificazione delle tipologie contrattuali che legano produttori e distributori di carburanti.

In particolare, l’articolo 17 recepisce, fra l’altro, una richiesta di liberalizzazione contenuta nella segnalazione 5 gennaio 2012 dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Per la citata segnalazione dell'Autorità garante, un elemento del sistema della distribuzione carburanti in Italia che appare meritevole di immediate modifiche proconcorrenziali è "quello relativo ai rapporti tra soggetti a diversi livelli della filiera, da un lato i proprietari degli impianti (assai spesso anche fornitori e raffinatori) e dall’altro i gestori. Tali rapporti risultano allo stato eccessivamente vincolati da quella che a lungo è stata l’unica forma contrattuale ammessa dalla legge (D.Lgs. n. 32/98), vale a dire la cessione dell’impianto dal proprietario al gestore in comodato gratuito e il corrispondente contratto di fornitura in esclusiva del prodotto. Ciò ha comportato, da una parte, che i gestori possono approvvigionarsi solo dalla società petrolifera che ha la proprietà dell’impianto, o che abbia concluso con il proprietario dello stesso un contratto di convenzionamento, e dall’altra, che ciascuna società petrolifera rifornisce di carburanti solo i punti vendita che espongono i suoi marchi e colori. Gli aspetti economici di tali rapporti sono inoltre fissati da accordi aziendali stipulati tra le società petrolifere e le associazioni di categoria dei gestori (art. 1, comma 6, D.Lgs. n. 32/1998 e art. 19, comma 3, L. n. 57/2001). Su questo specifico tema l’AEEG ha sottolineato che le due citate tipologie contrattuali, comodato gratuito e fornitura in esclusiva, appaiono intimamente connesse e che al mutare dell’una dovrebbe necessariamente mutare anche l’altra. L’art. 28 del D.L. n. 98/2011 ha previsto che in alternativa al contratto di fornitura si possano utilizzare anche altre tipologie contrattuali per l’approvvigionamento degli impianti, purché tali tipologie di contratti siano state precedentemente tipizzate attraverso la stipula di accordi aziendali tra le società petrolifere e le associazioni di categoria dei gestori. L’Autorità ritiene che tale normativa vada modificata nel senso di estendere la liberalizzazione delle forme contrattuali a tutte le relazioni tra proprietari e gestori e dunque anche a quelle relative all’utilizzo delle infrastrutture (per cui è attualmente previsto solo il comodato gratuito), consentendo l’utilizzo di tutte le tipologie contrattuali previste dall’ordinamento (ad esempio: l’affitto dell’impianto di distribuzione) e, soprattutto, eliminando il vincolo della tipizzazione tramite accordi aziendali, che, oltre a rallentare il processo di apertura alle nuove forme contrattuali, non consente di superare elementi di natura collusiva nel processo di fissazione dei modelli di contratto. Questa piena liberalizzazione delle forme contrattuali consentirebbe, da un lato, di aumentare l’autonomia del gestore rispetto al soggetto proprietario dell’impianto incentivando, ad esempio, forme di aggregazione di piccoli operatori nell’attività di approvvigionamento, dall’altro, potrebbe consentire alle società petrolifere di rifornire anche punti vendita non appartenenti alla propria rete rendendo possibile la nascita di impianti nella sostanza multimarca. L’accrescimento dell’autonomia degli attori del mercato ed in particolare dei gestori consentirebbe a questi ultimi di caratterizzarsi come veri e propri soggetti imprenditoriali, in grado di utilizzare tutti gli strumenti commerciali per ricavarsi i propri spazi sul mercato, rispondendo alla pressione concorrenziale degli altri soggetti non verticalmente integrati e contribuendo essi stessi ad una maggiore concorrenzialità del mercato della distribuzione di carburante".

Più nel dettaglio, l’articolo 17 sancisce innanzi tutto il principio per cui i gestori di impianti di distribuzione carburanti che siano anche titolari della relativa autorizzazione petrolifera possono liberamente rifornirsi da qualsiasi produttore o rivenditore. Nei casi poi in cui siano attualmente in vigore, tra tali gestori-titolari e un produttore-rivenditore, clausole di esclusiva, la norma prevede un regime transitorio. In base ad esso, a decorrere dal 30 giugno 2012 i contratti di esclusiva perdono efficacia per la parte eccedente il 50 per cento della fornitura pattuita e comunque per la parte eccedente il 50 per cento di quanto erogato nel precedente anno dal singolo punto vendita. In conseguenza, le stesse parti possono rinegoziare le condizioni economiche e l'uso del marchio.

Inoltre, – attraverso la riformulazione dei commi 12, 13 e 14 dell’art. 28 del D.L. 98/2011 – mira a promuovere concretamente e ulteriormente la diversificazione delle forme contrattuali tra proprietari degli impianti e gestori ulteriori e diverse rispetto a quelle, attualmente previste, del comodato, fornitura e somministrazione.

Pertanto si prevede che - fermo restando quanto disposto con il decreto legislativo 32/1998, e successive modificazioni - possono essere adottate, alla scadenza dei contratti esistenti (o anche nel loro corso, se vi è assenso tra le parti) differenti tipologie contrattuali per l’affidamento e l’approvvigionamento degli impianti di distribuzione carburanti. Tali nuove tipologie contrattuali dovranno essere definite, nel rispetto delle normative nazionali e comunitarie, mediante accordi sottoscritti tra organizzazioni di rappresentanza dei titolari di autorizzazione o concessione e dei gestori maggiormente rappresentative, depositati presso il Ministero dello sviluppo economico. Si prevede, inoltre, la possibilità in ogni momento di stipula di accordi tra titolari degli impianti e gestori per l’effettuazione del riscatto degli impianti da parte del gestore, previo indennizzo secondo criteri definiti con decreto del MiSE.

Per garantire l’effettiva introduzione di tali nuove tipologie contrattuali, il deposito degli accordi concernenti le nuove tipologie contrattuali dovrà avvenire entro il 31 agosto 2012, e in difetto provvederà in via sostitutiva, su richiesta di ciascuna delle parti, il Ministero medesimo.

Sono sanzionati come abuso di dipendenza economica i comportamenti dei titolari degli impianti o dei fornitori finalizzati ad ostacolare, impedire o limitare le facoltà attribuite al gestore dalla nuova disciplina.



L'indagine conoscitiva dell'AGCM

L'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato ha svolto un'indagine conoscitiva sull’attività di distribuzione di carburanti per autotrazione in Italia con riferimento all’assetto generale del sistema di distribuzione, allo sviluppo ed al ruolo degli impianti indipendenti e all’utilizzo della quotazione Platt’s come riferimento per la formazione dei prezzi.

I DATI STATISTICI

L’indagine, avviata a marzo 2011, dà un quadro numerico, inedito, del settore: i punti vendita legati alle compagnie petrolifere continuano a fare la parte del leone: sono 22 mila contro gli oltre 2.000 degli operatori indipendenti e gli 82 della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo). La classifica si capovolge se si guarda l’erogato medio per impianto: 7,2 milioni di litri per la Gdo, 1,6 per le pompe bianche, 1,4 per gli impianti â€colorati’ (quelli delle compagnie petrolifere).

In particolare, con riferimento al dato relativo alla stima sulla consistenza numerica degli impianti indipendenti senza marchio (pompe bianche), presenti sul territorio nazionale, è stato stimato un numero totale complessivo di pompe bianche (non GDO) esistenti in Italia al 31 dicembre 2010 tra 2.356 a 2.065 unità.

Dall’analisi dei prezzi praticati alla pompa, lungo un periodo di circa due anni tra il 2010 ed il 2011, emerge che gli impianti della GDO praticano prezzi più bassi rispetto agli operatori indipendenti (pompe bianche), oltre che ovviamente rispetto agli impianti colorati delle società petrolifere. A livello assoluto la GDO praticava prezzi da 9 a 13 centesimi di euro più bassi degli impianti colorati e da 1,5 a 5 centesimi di euro più bassi degli impianti “bianchi”.

Le nuove spinte concorrenziali non hanno tuttavia lo stesso effetto sui prezzi a livello territoriale: analizzando per macrozone (Nord est, Nord ovest, Centro, Sud), a prescindere dalla tipologia di operatore, il Sud ha sempre prezzi più elevati, il Nord Est ed il Nord Ovest hanno i prezzi più bassi, il Centro ha una posizione intermedia.

In particolare sia per gli impianti della GDO che per gli impianti no logo gestiti dagli indipendenti, i prezzi più bassi sono stati quelli praticati nel Nord-Est. Al Sud, invece, gli impianti no logo non praticano prezzi particolarmente diversi da quelli delle società petrolifere colorate e sono gli impianti della GDO, ancorché in numero molto esiguo, a supplire allo scarso grado di concorrenzialità delle pompe bianche gestite dagli indipendenti. Al Centro e al Nord-Ovest, invece, si riscontra un maggiore allineamento della GDO alle politiche di prezzo degli indipendenti. L’impatto differenziato a livello territoriale sui prezzi praticati dai nuovi entranti (pompe bianche e GDO) è legato a differenze strutturali.

LE POMPE BIANCHE

AL SUD, in termini assoluti, si concentra oltre il 40% del totale delle pompe bianche italiane ma i proprietari di tali impianti sono mediamente operatori di grande dimensione, che dispongono spesso sia di impianti convenzionati con le principali società petrolifere sia di impianti “bianchi” (c.d. operatori “misti”), e che in molti casi hanno anche impianti in “co-branding” con le compagnie petrolifere (benzina e gasolio venduto a marchio e GPL venduto “bianco”). Si tratta di impianti poco efficienti dove il self service e i servizi non oil sono poco diffusi e l’erogato medio è molto basso. Queste caratteristiche spiegano in parte i prezzi praticati dalla pompe bianche al Sud, che non risultano molto diversi da quelli praticati dalle reti colorate.

AL NORD-EST gli operatori sono di medie dimensioni (non più di venti impianti) con punti vendita evoluti, in cui il self-service e i servizi non-oil sono diffusi più ampiamente che nel resto d’Italia. Riescono così a sfruttare appieno tutte le leve concorrenziali, con un erogato medio elevato -di gran lunga superiore a quello dei punti vendita colorati che si accompagna a politiche di prezzo particolarmente aggressive.

AL NORD-OVEST la rete degli operatori indipendenti è comparabile a quella presente al Nord-Est, in termini di sviluppo sia del self-service che dei servizi non-oil, nonché delle politiche di prezzo praticate ma la loro penetrazione territoriale è contenuta e il grado di efficienza degli impianti non è superiore a quella che caratterizza la rete delle compagnie petrolifere.

AL CENTRO ITALIA le pompe bianche presentano un livello di sviluppo e di efficienza medio (diffusione del self-service ed erogato) più simile alle pompe bianche del Nord-Est, a fronte però di una pressione competitiva decisamente inferiore e più vicina a quella esercitata dagli impianti no-logo al Sud.

IL RUOLO DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

La GDO a inizio 2011 risulta presente con 82 impianti; gli operatori con almeno 10 punti vendita sono attivi in tutte e quattro le macroregioni. Le reti dei due operatori più grandi sono tuttavia concentrate nel Nord-Ovest, dove sono localizzati circa il 45% degli impianti di Auchan e quasi tre quarti dei punti vendita di Carrefour. Il 40% della rete di Conad è invece concentrata al Sud. Una percentuale alta di impianti espone però, insieme al marchio dell’azienda GDO, anche il marchio delle compagnie petrolifere verticalmente integrate.

I prezzi degli impianti della GDO sono risultati più aggressivi (e difficili da replicare) quando i punti vendita espongono soltanto il marchio dell’operatore della grande distribuzione. I prezzi praticati dagli impianti della GDO in co-branding, invece, tendono ad essere meno aggressivi e per questo, nei contesti di mercato locali, i concorrenti verticalmente integrati riescono a reagire alle politiche di questa tipologia di impianti della GDO allineandosi ai loro prezzi (il differenziale medio è pari a -0,16 centesimi), mentre le pompe bianche sono in grado di praticare prezzi inferiori alla GDO, in media, di 2 centesimi di euro al litro. In generale, dunque il co-branding si associa a politiche di prezzo meno aggressive, il che consente ai concorrenti, anche colorati, di allinearsi alle politiche commerciali degli operatori della GDO nei bacini locali dove questi ultimi risultano attivi.

LE COMPAGNIE PETROLIFERE VERTICALMENTE INTEGRATE

Dall’indagine emerge che le compagnie â€tradizionali’, verticalmente integrate (dalla raffinazione alla distribuzione), mostrano una forte similitudine di comportamento delle società nella definizione dei prezzi per il canale rete (il range di variazione dei prezzi medi mensili delle diverse società non supera il 2%). Al contrario i prezzi relativi alle vendite di carburanti per autotrazione attraverso altri canali diversi dalla rete (esportazione, extra-rete, supply ad altre petrolifere) hanno mostrato andamenti meno convergenti. Ciò a fronte di una dotazione di infrastrutture logistiche e di raffinazione molto eterogenea (e che vede alcune imprese petrolifere non più presenti nella fase della raffinazione). Inoltre dall’indagine è emerso un forte ruolo delle vendite tra società petrolifere per il rifornimento delle rispettive reti (cd canali supply o stock transfer), con alcune imprese che fungono da venditrici nette rispetto al sistema ed altre che assumono il ruolo di acquirenti nette.

Ne emerge dunque, ancora ad inizio 2011, un panorama di interazione oligopolistica tra gli operatori integrati nel quale i players più efficienti (Eni ed Esso su tutti) non spingevano la competizione fino a livelli che li avrebbero differenziati davvero dai concorrenti e avrebbero minacciato di far uscire questi ultimi dal mercato.

Le sette società petrolifere attive a livello nazionale nella distribuzione di carburanti in rete sembravano ancora nel 2011 presentarsi sul mercato come soggetti nella sostanza allineati su comportamenti non troppo differenziati: uno scenario dalla chiara connotazione collusiva, che potrebbe teoricamente costituire l’esito di un coordinamento tra gli operatori verticalmente integrati. Di tale eventuale coordinamento, tuttavia, nel corso dell’indagine non sono state acquisite evidenze.

IL RUOLO DELL’INDICE PLATTS

L’indagine si è soffermata sull’utilizzo dell’indicatore delle quotazioni dei prodotti finiti Platts quale riferimento per la determinazione dei prezzi finali dei carburanti. È emerso che non si tratta di una peculiarità del nostro paese. Una richiesta di informazioni inviate alle principali Autorità di Concorrenza nazionali degli Stati Membri UE, infatti, ha indicato che nella maggioranza dei paesi europei tale quotazione internazionale rappresenta il prezzo di riferimento, a partire dal quale si articolano tutti i prezzi praticati nei mercati all’ingrosso ed al dettaglio.

Dall’indagine è inoltre emerso che non esistono elementi sufficienti per ritenere che Platts svolga un ruolo attivo quale veicolo di una concertazione tra operatori nazionali integrati verticalmente; le quotazioni Platts tra l’altro non sembrano discostarsi in maniera significativa dai valori di mercato forniti da altri competitors attivi nella fornitura di informazioni sulle quotazioni dei prodotti petroliferi finiti (Argus). Ciò non toglie tuttavia che si ponga un problema più generale, legato alla possibilità che le quotazioni fornite non solo da Platts, ma anche da altre agenzie giornalistiche, possano essere esposte ad un rischio di manipolazione nella misura in cui non risultino pienamente affidabili i prezzi comunicati dagli operatori di mercato sulla base dei quali le agenzie elaborano tali quotazioni. Su qtesto punto, tuttavia, si osserva come l’IOSCO, l’Organizzazione internazionale delle Autorità di vigilanza sulle Borse, ad esito di un’indagine sul settore, abbia indicato delle linee guida per gli operatori nell’ottica di migliorare il grado di affidabilità delle quotazioni fornite al mercato.

LA DISCONTINUITA’ DELLE LIBERALIZZAZIONI

L’indagine dà atto al processo di liberalizzazione (in particolare l’eliminazione di ogni tipo di barriera all’ingresso), avviato negli anni passati e ripreso a partire dal 2012, di avere introdotto una discontinuità che incrementando il numero di nuovi soggetti non integrati presenti sul mercato ne ha incrinato l’assetto oligopolistico. La stessa istruttoria, conclusa nel 2007 dall’Antitrust, con l’assunzione di impegni da parte delle compagnie che, tra l’altro, prevedevano:

i) l’avvio di politiche di riduzione dei prezzi nella modalità di rifornimento self service;

ii) iniziative finalizzate all’ingresso delle GDO,

ha avuto un ruolo positivo nella stessa direzione. Anche la politica di forte scontistica, avviata durante l'estate 2012 dall’operatore leader di mercato (ENI), ha innescato una serie di reazioni di prezzo da parte degli attori del mercato che sembrano denotare un cambiamento in senso maggiormente concorrenziale dell’interazione di settore.

Se iniziative di questo genere dovessero riproporsi (ovviamente nel rispetto della normativa antitrust) i probabili vincitori saranno, secondo l'Antitrust, i grandi raffinatori effettivamente integrati a valle nella distribuzione (Eni ed Esso), gli operatori bianchi più dinamici e gli impianti della GDO con marchio proprio. A perdere quote di mercato potrebbero essere invece quegli operatori che detengono le rimanenti cinque reti di distribuzione a dimensione nazionale ma hanno una presenza insufficiente o addirittura assente nella raffinazione/logistica.

QUEL CHE RESTA DA FARE

Nel breve periodo si potrebbe dunque assistere a un profondo riassetto del settore intero, con operatori che perdono terreno (o addirittura escono dal mercato) ed altri che si rafforzano. Per sostenere la dinamica concorrenziale e giungere ad un equilibrio caratterizzato da numerosi operatori che esercitano la distribuzione di carburanti in un contesto di effettiva concorrenza e non più di mera interazione oligopolistica occorre proseguire nel processo riformatore. In particolare occorre:

- sviluppare il maggior numero di operatori indipendenti efficienti, esportando il c.d. “modello Nord- Est” anche in quelle aree del Paese (tra tutte il Sud) dove attualmente gli indipendenti non rappresentano un effettivo stimolo concorrenziale;

- privilegiare lo sviluppo di impianti della GDO (ancora in numero troppo esiguo e praticamente assenti in alcuni contesti geografici), preferendo la modalità di vendita con il marchio proprio rispetto al modello del c.d. co-branding;

- incentivare una evoluzione in senso più efficiente di quelle reti colorate che non dispongono di infrastrutture logistiche e di raffinazione coerenti con una presenza uniforme sul territorio, ad esempio attraverso processi di regionalizzazione, svincolandole il più possibile dal ricorso alle vendite incrociate tra concorrenti (il c.d. canale supply);

- istituire una banca dati istituzionale che raccolga e renda pubblici i prezzi praticati, a livello di singoli impianti, su tutto il territorio nazionale, per accrescere, tra i consumatori, la percezione dell’esistenza di prezzi diversificati all’interno dei propri mercati locali di riferimento

- sfruttare il futuro avvio di un mercato delle logistica petrolifera e di un mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi liquidi per autotrazione per dare maggiore spazio allo sviluppo di pompe bianche “pure”, migliorare le condizioni di approvvigionamento degli operatori indipendenti, facilitare lo sviluppo di forti operatori attivi su base regionale o pluriregionale. L’accesso a tali mercati organizzati della logistica e del prodotto potrebbe essere certamente favorito dalla costituzione di gruppi di acquisto, tra operatori di piccole dimensioni: tali operatori potrebbero aggregarsi per accrescere la loro capacità di acquisto all’ingrosso di carburanti e di servizi di stoccaggio e trasporto degli stessi.

- introdurre misure per favorire l’ingresso di operatori indipendenti nella logistica per migliorare non solo le condizioni economiche per l’accesso ai servizi di stoccaggio, ma anche mantenere un adeguato grado di liquidità del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi che si intende costituire. L’indagine conoscitiva ha infatti messo in evidenza come una adeguata disponibilità di infrastrutture logistiche e/o la presenza di operatori indipendenti in questa fase della filiera siano in grado di influenzare in maniera decisiva il grado di concorrenzialità dei mercati a valle della distribuzione di carburanti. Nell’ottica di sviluppare il maggior numero di operatori indipendenti sul “modello Nord- Est” anche al Sud, dove attualmente tali operatori non rappresentano un effettivo vincolo concorrenziale, appare dunque necessario individuare delle misure che vadano nella direzione di “esportare” le condizioni logistiche presenti nel Nord-Est anche in altre zone del paese al Sud. Ciò implica l’adozione di nuove misure volte a favorire l’ingresso di operatori indipendenti nella logistica, fase della filiera che al Sud è pressoché controllata in via esclusiva da società petrolifere verticalmente integrate. In questo quadro, si potrebbe ad esempio ipotizzare la cessione da parte di tali operatori verticalmente integrati di un sottoinsieme di depositi di stoccaggio a società che non operano a valle nelle distribuzione in rete di carburanti. Nello specifico, la cessione potrebbe riguardare quelle infrastrutture di raffinazione investite da processi di ristrutturazione – largamente annunciati in questi mesi –di cui è prevista la riconversione in depositi per lo stoccaggio. La trasformazione di alcune raffinerie di proprietà di società verticalmente integrate in depositi primari potrebbe dunque costituire l’occasione per ampliare la disponibilità di tali infrastrutture nella titolarità di operatori indipendenti proprio nelle aree del Paese in cui allo stato sono assenti o esigue.

 



Attività parlamentare

La Commissione X della Camera dei Deputati in data 15 febbraio 2012 ha iniziato l’esame di alcune proposte di legge (A.C. 4200 e abb.) contenenti disposizioni per la riorganizzazione e l'efficienza del mercato dei prodotti petroliferi e per il contenimento dei prezzi dei carburanti per uso di autotrazione. L’esame è stato poi sospeso in ragione del fatto che presso la Commissione Industria del Senato era già iniziato l’iter di alcuni progetti (A.S. 2636, A.S. 2641, A.S. 2283 e A.S. 2768) aventi contenuto analogo. Nell'ottobre 2012 la Commissione ne ha ripreso l'esame, arrivando alla composizione di un comitato ristretto.

Sempre presso la Commissione X della Camera ha avuto luogo un'indagine conoscitiva sul settore della raffinazione.

Approfondimento: Professioni non regolamentate

E' stata pubblicata sulla G.U. del 26 gennaio 2013 la legge 4/2013 che reca la disciplina le professioni non regolamentate. Il provvedimento è stato approvato in via definitiva dalla Commissione Attività Produttive della Camera in sede legislativa, nella seduta del 19 dicembre 2012.

Accanto alle professioni “ordinistiche” (o “protette”) si sono sviluppate, anche nel nostro Paese e con intensità crescente nel corso degli ultimi anni, numerose professioni che non hanno ottenuto il riconoscimento legislativo e che nella quasi totalità dei casi hanno dato vita ad autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico. Si tratta delle cosiddette professioni non regolamentate o “non protette”, diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione ad un ordine o ad collegio professionale per poter essere esercitate.

Numerose tipologie di professioni non regolamentate si ritrovano in settori come le arti, le scienze, i servizi alle imprese e la cura alla persona: gli amministratori di condomini, gli animatori, i fisioterapisti, i musicoterapeuti, i bibliotecari, gli statistici, gli esperti in medicine integrate, i pubblicitari, i consulenti fiscali, ecc.

Ad inizio legislatura la Camera ha avviato l’esame di una serie di proposte di legge, tutte d’iniziativa parlamentare (A.C. 3 e abb.), volte ad una complessiva riforma dell’ordinamento sia delle “professioni regolamentate” sia delle “professioni non regolamentate”.

In una prima fase dell'iter, i due aspetti sono stati trattati congiuntamente; successivamente, le Commissioni competenti (giustizia e attività produttive) hanno deciso di separare i procedimenti legislativi relativi alla riforma delle professioni regolamentate (cfr. Professioni regolamentate) e di quelle non regolamentate (seduta del 23 giugno 2010).

La Commissione X della Camera dei Deputati ha elaborato, sulla base delle proposte di legge A.C.1934 e abb., un testo unificato recante una disciplina delle professioni non organizzate in ordini o collegi. Tale testo, uscito dalla Camera dei Deputati, è stato poi modificato dal Senato della Repubblica (che ha escluso dall'ambito di applicazione le professioni sanitarie), e poi definitivamente approvato dalla X Commissione della Camera in sede legislativa nella seduta del 19 dicembre 2012.

 

La scelta della forma societaria in cui esercitare la propria professione è lasciata al professionista, riconoscendo l’esercizio di questa sia in forma individuale, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente.

I professionisti possono costituire associazioni professionali, con il fine di valorizzare le competenze degli associati, garantire il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Tali associazioni hanno natura privatistica, sono fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva. Esse promuovono la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta, vigilano sulla condotta professionale degli associati, definiscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice e promuovono forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore.

Le associazioni possono costituire forme aggregative, che rappresentano le associazioni aderenti e agiscono in piena indipendenza ed imparzialità. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l’operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell’esercizio dell’attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.

Le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti delle attestazioni su molteplici aspetti (regolare iscrizione del professionista, requisiti e standard qualitativi, possesso della polizza assicurativa, ...) previe le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi professionali. Tali attestazioni non rappresentano tuttavia requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale. Per i settori di competenza, le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità a norme tecniche UNI, accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento (ACCREDIA), che possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.

Il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.



Dossier pubblicati

Semplificazioni per le imprese

Il tema della semplificazione dei rapporti tra l'attività d'impresa e l'amministrazione è stato oggetto di numerosi interventi nel corso della XVI Legislatura, considerato che l'eccesso di oneri amministrativi è ritenuta una delle cause di svantaggio competitivo del Paese nel contesto europeo.

Il Legislatore è intervenuto nel corso della XVI Legislatura sul tema con numerose disposizioni che hanno riguardato, in generale, i rapporti tra la pubblica amministrazione ed i privati, ed in particolare, la disciplina dei rapporti con le imprese.

A tal fine, di particolare rilevanza risulta la legge 11 novembre 2011, n. 180, recante norme per la tutela della libertà d'impresa e lo Statuto delle imprese. Il provvedimento dà seguito ai principi enucleati nello Small Business Act per l'Europa, soprattutto laddove postula interventi di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi per le piccole e medie imprese, anche attraverso la configurazione di un'Amministrazione recettiva, più permeabile, cioè, alle esigenze delle imprese. La legge 180/2011 definisce come principi generali il diritto dell'impresa di operare in un contesto normativo certo ed in un quadro di servizi pubblici tempestivi e di qualità, anche attraverso la progressiva riduzione degli oneri amministrativi a carico delle imprese e la partecipazione delle stesse alla definizione delle politiche pubbliche.

Tali principi vengono poi declinati nel Capo II, intitolato ai Rapporti con le istituzioni, dove si prevede che:

 

E' stata, poi, attuata una riforma complessiva della disciplina relativa allo Sportello unico per le attivita' produttive (SUAP), struttura chiamata a fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni interessate nei procedimenti di avvio d'impresa; particolarmente rilevante l'introduzione dell'obbligo di presentare tutte le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività ed i relativi elaborati tecnici e allegati esclusivamente in modalità telematica. Sono stati, poi, approvati i requisiti e le modalità di accreditamento dei soggetti privati, chiamati Agenzie per le imprese, che provvedono all'attestazione della sussistenza dei requisiti per l'avvio dell'attività di impresa.  

Ulteriore significativo intervento in materia di semplificazioni è stata la sostituzione della Dichiarazione di inizio attività (DIA) con la Segnalazione certificata di inizio attivita' (SCIA), che consente di avviare immediatamente l'attività d'impresa depositando una serie di certificazioni sostitutive di provvedimenti autorizzativi. L'attività imprenditoriale può iniziare nello stesso momento in cui è presentata la SCIA; l'amministrazione competente è tenuta a svolgere i controlli entro 60 giorni dalla data di deposito della documentazione. La segnalazione non può essere utilizzata quando i provvedimenti riguardano: vincoli ambientali, paesaggistici e culturali; atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, alla giustizia, all'amministrazione delle finanze, e ad atti imposti dalla normativa comunitaria. Con taluni provvedimenti approvati nel corso della XVI Legislatura è stata estesa la possibilità di presentare la segnalazione di inizio attività per l'attività di: estetista, di somministrazione di alimenti e bevande, nei limiti previsti dalla normativa, esercizi di vicinato, spacci interni, vendita per mezzo di apparecchi automatici, intermediazione commerciale e di affari, attività di rappresentante di commercio, mediatore marittimo, spedizioniere e acconciatore.

Diverse norme hanno, poi, autorizzato il Governo a semplificare i procedimenti e le norme relative all'esercizio dell'attività d'impresa. In molti casi il termine previsto, il 31 dicembre 2012, è spirato senza che il potere attribuito al Governo sia stato realmente esercitato.

Il decreto-legge n. 78/2010 ha autorizzato il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle piccole e medie imprese. In attuazione di tale autorizzazione sono stati emanati il D.P.R. 1 agosto 2011, n.151, recante regolamento sulla semplificazione dei procedimenti relativi alla prevenzione degli incendi e il D.P.R. 19 ottobre 2011, n.227, recante regolamento per la semplificazione di adempimenti in materia ambientale gravanti sulle imprese.

Il decreto-legge 138/2011 ha previsto (art. 3, co. 1) il principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Con il comma 3 si prevedeva la soppressione, al 30 settembre 2012, di tutte le disposizioni statali incompatibili con il sopramenzionato principio, con diretta applicazione dgli istituti della segnalazione di inizio attività e dell'autocertificazione con controlli successivi. La Corte costituzionale, con sentenza n. 200/2012, ha dichiarato l'illegittimità del comma 3 rilevando, tra l'altro, che l'automatica soppressione delle norme incompatibili avrebbe generato una grave incertezza normativa.

Ulteriore importante provvedimento in tema di semplificazione degli oneri burocratrici è stato il decreto-legge n. 5/2012 che ha previsto:

Approfondimenti

Approfondimento: Segnalazione certificata di inizio attività



Nozione

Il decreto legge 78/2010 (A.C.3638), all’articolo 49, comma 4-bis, ha sostituito la Dichiarazione di inizio attività (DIA) con la Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), che consente di avviare immediatamente l’attività di impresa depositando presso l’amministrazione competente a effettuare i controlli una serie di certificazioni sostitutive di provvedimenti autorizzativi vincolati che attestano la presenza di requisiti e degli adempimenti previsti in via regolamentare. Quindi, più in particolare, quando l’attività amministrativa è rivolta esclusivamente all’accertamento di determinati requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi l’esercizio dell’attività imprenditoriale, commerciale o artigianale può iniziare nello stesso momento in cui è consegnata la SCIA, che va direttamente a sostituire gli atti di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta, comprese le domande per le iscrizioni ad albi o ruoli. L’amministrazione destinataria della segnalazione è tenuta a svolgere i controlli di regolarità e legittimità entro 60 giorni dalla data di deposito della documentazione.



Ambito di applicazione

Il decreto legge 5/2012 (A.C. 4940) ha previsto la segnalazione di inizio attività (SCIA) per:

Il decreto legislativo 147/2012 ha esteso ad ulteriori attività la possibilità di presentare la SCIA. Esse si riferiscono alle attività di: somministrazione di alimenti e bevande (l’autorizzazione rimane necessaria solo per le zone in cui l’apertura degli esercizi è oggetto di programmazione); esercizi di vicinato (quelli aventi una superficie di vendita non superiore a 150 mq. nei comuni con popolazione residente inferiore a 10.000 abitanti e a 250 mq. nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti) spacci interni; vendita di prodotti al dettaglio per mezzo di apparecchi automatici; vendita per corrispondenza, per mezzo della televisione od altri sistemi di comunicazione; attività di facchinaggio; intermediazione commerciale e di affari; attività di rappresentante di commercio, mediatore marittimo, spedizioniere, acconciatore e di tinto lavanderia (articoli da 1 a 6 e da 10 a 17).



Limiti

La SCIA non può essere utilizzata quando i provvedimenti autorizzativi riguardano:

Inoltre la SCIA non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 385/1993, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 58/1998.



Contenuto

Il segnalante è tenuto a depositare una documentazione anche di ordine tecnico-scientifico con cui dichiara una completa e analitica corrispondenza del progetto di attività e i requisiti richiesti in via regolamentare. La segnalazione è quindi corredata:



Controlli

I controlli da parte dell’amministrazione competente possono avvenire sia durante i 60 giorni previsti dalla legge, sia esser posti in essere dopo il decorso del termine previsto. Nel primo caso l’amministrazione competente, accertata la carenza dei requisiti e dei presupposti previsti, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni.



Libertà d’impresa, iniziativa economica e SCIA

Il decreto legge 138/2011 (A.C.4612), ha stabilito all’articolo 3, comma 1 il principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, imponendo allo Stato e all’intero sistema delle autonomie di adeguarvisi entro un termine prestabilito, inizialmente fissato in un anno dall’entrata in vigore della legge di conversione e successivamente procrastinato fino al 30 settembre 2012. Il successivo articolo 3, comma 3 ha previsto la soppressione, alla scadenza del termine di cui sopra, le disposizioni normative statali incompatibili con i principi su menzionati, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attività (SCIA) e dell’autocertificazione con controlli successivi, e ha consentito al Governo, nelle more della decorrenza di detto termine, di adottare strumenti di semplificazione normativa attraverso provvedimenti di natura regolamentare. A questo scopo entro il 31 dicembre 2012 il Governo è stato autorizzato ad adottare uno o più regolamenti ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con i quali individuare le disposizioni abrogate per effetto di quanto disposto nel presente comma ed definire la disciplina regolamentare della materia ai fini dell’adeguamento al principio di cui sopra.

La Corte costituzionale, con sentenza 17-20 luglio 2012, n. 200 (Gazz. Uff. 25 luglio 2012, n. 30 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del presente comma. In estrema sintesi la Corte ha ritenuto che quanto previsto dall'art. 3, comma 3, primo periodo, riguardante l’automatica soppressione delle normative statali incompatibili con la disposizione di principio, appare viziato sotto il profilo della ragionevolezza, determinando una violazione che si ripercuote sull’autonomia legislativa regionale garantita dall’art. 117 Cost., perché, anziché favorire la tutela della concorrenza, finisce per ostacolarla, ingenerando grave incertezza fra i legislatori regionali e fra gli operatori economici)



I Regolamenti

Dal combinato disposto del comma 3, dell’articolo 1, del D.L. 1/2012 (A.C 5025) e del comma 4, articolo 12, del decreto legge 5/2012 (A.C.4940), consegue che il Governo è stato autorizzato ad adottare entro il 31 dicembre 2012 uno o più regolamenti per individuare leattività sottoposte ad autorizzazione, a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) con asseverazioni, a SCIA senza asseverazioni, a mera comunicazione e quelledel tutto libere. Per tali regolamenti è richiesto, prima della loro emanazione, che le Camere approvino una relazione che specifichi, periodi ed ambiti di intervento.



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Sentenza 17-20 luglio 2012, n. 200

Approfondimento: Semplificazione dei controlli sulle imprese

Il decreto legge 5/2012 (A.C. 4940), all’articolo 14 detta misure in materia di semplificazioni delle procedure di controllo delle imprese, comprese quelle agricole. Più in particolare sono previsti alcuni principi generali a cui la disciplina dei controlli sulle imprese deve ispirarsi:

Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165  sono obbligate a pubblicare la lista dei controlli cui sono assoggettate le imprese, sul proprio sito istituzionale e sul sito www.impresainungiorno.gov.it. Inoltre è previsto che per ciascuno di tali controlli devono essere indicati i criteri e le modalità di svolgimento delle relative attività (comma 2).

Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.

Il Governo è autorizzato ad emanare uno o più regolamenti di delegificazione volti a razionalizzare, semplificare e coordinare i suddetti controlli, anche sulla base delle attività di misurazione degli oneri di cui all’articolo 25, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (comma 3).

Si ricorda che l’articolo 25 del D.L. 112/2008 prevede l’approvazione di un programma, da parte dei ministri competenti, per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato, con l'obiettivo di giungere, entro il 31 dicembre 2012, alla riduzione di tali oneri per una quota complessiva del 25%, come stabilito in sede europea.

I regolamenti sono emanati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro dello sviluppo economico e dei Ministri competenti per materia, sentite le associazioni imprenditoriali, nonché le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative su base nazionale Tali regolamenti devono essere adottati nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 20, 20-bis e 20-ter, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni e tenuto conto dei seguenti principi e criteri direttivi:

Le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali, nell’ambito delle attività di controllo di loro competenza si conformano ai principi elencati dal comma 4, a tal fine entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto adottano apposite Linee giuda mediante intesa in conferenza unificata (comma 5). 

Non ricadono nell’ambito di applicazione delle norme del presente articolo le attività di controllo in materia fiscale e finanziaria, nonchéin materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (comma 6). 

Infine è prevista l’acquisizione d’ufficio, da parte delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’articolo 43 del D.P.R. 28 dicembre 200, n. 445 del DURC nell'ambito dei lavori pubblici e privati dell'edilizia (comma 6-bis). 

Al riguardo, l’articolo 43 del D.P.R. 445/2000, dispone l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi, di acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni inerenti lo status della persona e degli atti di notorietà, nonché tutti i dati e i documenti che siano in possesso delle pubbliche amministrazioni, previa indicazione, da parte dell'interessato, degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti, ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato.

Inoltre, le amministrazioni certificanti, al fine di agevolare l'acquisizione d'ufficio di informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti, contenuti in albi, elenchi o pubblici registri, sono tenute a consentire alle amministrazioni procedenti, senza oneri, la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici, nel rispetto della riservatezza dei dati personali. 

Si ricorda che il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) attesta la regolarità dei versamenti dovuti agli Istituti previdenziali e, per i datori di lavoro dell'edilizia, la regolarità dei versamenti dovuti alle Casse edili.



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Approfondimento: Semplificazioni per l'esercizio delle attività economiche

Il decreto legge 5/2012 (A.C 4940), all’articolo 12, ha previsto diversi strumenti per semplificare i procedimenti amministrativi per l’esercizio delle attività economiche.



La Convenzione

Con le convenzioni possono essere attivati percorsi sperimentali di semplificazione amministrativa per gli impianti produttivi e le iniziative ed attività delle imprese. Tale convenzione è proposta dai Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata Stato regioni e le autonomie locali. I soggetti che possono stipulare le convenzioni sono le Regioni, le Camere di commercio industria e artigianato, i comuni e le loro associazioni, le agenzie per le imprese, le altre amministrazioni competenti e le organizzazioni e le associazioni di categoria interessate, comprese le organizzazioni dei produttori di cui al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (comma 1).

Nell'ambito delle attività di sperimentazione sulla semplificazione in materia di autorizzazioni per l'esercizio delle attività economiche e di controlli sulle imprese, che proseguono fino al 31 dicembre 2013, possono essere individuate "zone a burocrazia zero", non soggette a vincolo paesaggistico-territoriale o del patrimonio storico-artistico. In tali zone i soggetti sperimentatori possono individuare e rendere pubblici i casi in cui il rilascio delle autorizzazioni di competenza sono sostituite da una comunicazione dell'interessato allo sportello unico per le attività produttive art. 37-bis del decreto legge 179/2012 (A.C. 5626).



I Regolamenti

Attraverso l’esercizio del potere regolamentare il Governo può adottare uno o più regolamenti di delegificazione al fine di semplificare i procedimenti amministrativi concernenti l’attività d’impresa, compresa quella agricola. Tali regolamenti devono essere emanati nel rispetto del principio costituzionale di libertà d’iniziativa economica privata in condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti.

Viene precisato, inoltre, che tale principio ammette limitazioni e controlli solo al fine di evitare danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, per non contrastare con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali. Inoltre i regolamenti devono essere adottati tenendo conto dei seguenti principi e criteri direttivi:

I regolamenti sono adottati su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e per lo sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, e previo parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. I regolamenti, inoltre, dovevano essere adottati entro il 31 dicembre 2012, tenendo conto anche dei risultati dei percorsi sperimentali di semplificazione normativa previsti al comma 1 (comma 3).



 Accordi o intese

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nel disciplinare la materia oggetto dell’articolo in esame, sono tenute al rispetto delle disposizioni previste dall’articolo 29 L. 241/1990, dall’articolo 3 del D.L. 138/2011 e dall’articolo 34 del D.L. 201/2011.

Il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, promuovono. anche sulla base delle migliori pratiche e delle iniziative sperimentali statali, regionali e locali, accordi o intese ai sensi dell’articolo 20-ter della legge 15 marzo 1997, n. 59 (comma 5).



 Limiti

Le disposizioni di semplificazione recate dall’articolo medesimo non si applicano ai seguenti settori, che rimangono disciplinati dalle relative norme:

 



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Approfondimento: Semplificazioni per le piccole e medie imprese

Il decreto legge 78/2010 (A.C 3638), all’articolo 49, comma 4quater riprende la tematica della semplificazione, al fine di ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle piccole e medie imprese. In particolare si autorizza il Governo ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione (ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L. 400/1988), volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle piccole e medie imprese. L’adozione dei regolamenti avviene su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione, per la semplificazione normativa e dello sviluppo economico, sentiti i Ministri interessati e le associazioni imprenditoriali e sulla base dei seguenti principi e criteri:

Le norme ISO sono elaborate dall’International Organization for Standardization (Iso) di Ginevra, che nel 1987 ha emesso un insieme di norme - denominate ISO 9000 - per standardizzare nel mondo lo scambio di beni e servizi. Le norme ISO 9000 definiscono soprattutto gli aspetti qualitativi di tale scambio ed indicano ad un’impresa come essa debba operare per garantire un costante livello di qualità e soddisfare così le esigenze dei propri clienti. Tali norme (modificate una prima volta nel 1994 e una seconda nel 2000) rappresentano dunque il riferimento, riconosciuto a livello mondiale, per la certificazione del sistema di gestione per la qualità delle organizzazioni di tutti i settori produttivi e di tutte le dimensioni. La ISO 9001:2000 pone al centro della realizzazione di un sistema di gestione il cliente e la sua soddisfazione ed il continuo miglioramento delle prestazioni offerte dall’azienda, siano esse espresse in termini di prodotto o di servizio. A livello europeo, le norme Iso 9000 sono state recepite e pubblicate dal Cen (Comité européen de normalisation), e in Italia dall’Uni (Ente nazionale italiano di unificazione).

Il comma 4-quinquies dispone che i suddetti regolamenti sono emanati entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. Dalla stessa data sono abrogate le norme, anche legislative, che regolano i relativi procedimenti.

Si ricorda chela Corte costituzionale, con sentenza 02 - 11 luglio 2012, n. 179 (Gazz. Uff. 18 luglio 2012, n. 29, 1ª Serie speciale), ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 49 commi 4-quater e 4-quinquies, promosse in riferimento all'articolo 117, quarto e sesto comma, della Costituzione, in combinato disposto con l'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, nonché in riferimento agli articoli 2, primo comma, lettere g), p) e q), e 3, primo comma, lettera a), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, ed alle relative norme di attuazione, nonché, in subordine, al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste ed Emilia-Romagna, con i ricorsi, rispettivamente, n. 96 e n. 106 del 2010.

In attuazione di quanto previsto sono stati emanati:



Statuto delle imprese

Nello statuto delle imprese. (legge 180/2011) si ritrovano diverse disposizioni in favore dell piccole e medie imprese. Innanzitutto viene introdotto l’acronimo MPMI riferito alle miicro, piccole e medie imprese relativamente alle quali si intendono recepire le indicazioni contenute nello Small Business Act  [COM(2008) 394 e COM(2011) 78] (v. Small Business Act e sua attuazione)adottato a livello comunitario e attuato con la direttiva del Presidente del Consiglio del 4 maggio 2010, che individua le proposte di intervento in relazione ai dieci principi informatori del documento. Sono inoltre previste diverse misure con cui lo Stato favorisce la ricerca, l'innovazione, l'internazionalizzazione e la capitalizzazione. In particolare, il Ministro dello sviluppo economico, sentite le regioni, deve adottare un piano strategico di interventi. Viene poi istituito il Garante per le MPMI, con la finalità, fra l’altro, di monitorare l’impatto dell’attività normativa, anche del Governo e delle regioni, e dei provvedimenti amministrativi sulle MPMI, prevedendo un interscambio tra il Garante e gli enti e le istituzioni interessate, fra cui, principalmente, Parlamento, Governo ed enti territoriali. Si prevede, infine, l’emanazione di una “Legge annuale per le MPMI”, al fine di attuare lo Small Business Act.



Nozione di MPMI

All’articolo 2 del D.M 18 aprile 2005  è previsto l’adeguamento alla disciplina comunitaria (articolo 2 della raccomandazione della Commissione europea 2003/361/CE del 6 maggio 2003) dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese. La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (complessivamente definita PMI) è costituita da imprese che:

Nell'àmbito della categoria delle PMI, si definisce piccola impresa l'impresa che:

Nell'àmbito della categoria delle PMI, si definisce microimpresa l'impresa che:



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D.M.18/04/2005

Sentenza n. 179/2012

Approfondimento: Sportello unico per le attività produttive

Lo sportello unico per le attività produttive (SUAP), istituito dal D.P.R. n. 447 del 1998, e attualmente regolamentato dal D.P.R. 160/2010, è la struttura che fornisce una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le pubbliche amministrazioni interessate nei procedimenti di avvio d’impresa che abbiano ad oggetto l’esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi, nonché quelli relativi a localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione e riconversione di alcuni impianti produttivi. L’impresa si rivolge al SUAP per:

Per attività produttive si intendono tutte le attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistico alberghiere, i servizi di banche e intermediari finanziari e quelli di telecomunicazioni. Per impianti produttivi si intendono quelli riguardanti le attività di servizi disciplinati ai sensi del D.Lgs. n. 59/2010 e successive modifiche, inoltre si intendono tali i fabbricati e i luoghi in cui si svolgono le attività produttive. Sono escluse le infrastrutture energetiche e quelle connesse all'impiego di sorgenti radioattive, gli impianti nucleari e quelli di smaltimento rifiuti radioattivi, le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi e le infrastrutture strategiche.



Riordino del SUAP

Nella XVI legislatura il legislatore è intervenuto nella disciplina del SUAP con l’articolo 38 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386). Tale articolo ha previsto che venisse riordinata, per semplificarla, la disciplina dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP).

Nel proccesso di revisione della normativa, il Governo era richiesto di attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi:

In attuazione di quanto sopra, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di regolamento iniziale (atto n. 207 ), è stato emanato il regolamento di cui al D.P.R. 160/2010. Il provvedimento abroga il precedente regolamento di cui al D.P.R. 447/1998 e attua un riordino complessivo della disciplina del SUAP, che – già individuato come canale unico tra imprenditore ed Amministrazione per eliminare ripetizioni istruttorie e documentali – è caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici. Si è addirittura scelto di considerare “non idoneo” il SUAP del Comune che non sia in grado di operare esclusivamente per via telematica. Questa decisione consente un’efficacia immediata al regolamento, prevedendo da subito l’attivazione di SUAP telematici presso i Comuni o, in mancanza, presso la Camera di commercio. Allo scopo di garantire al sistema dei SUAP l’effettiva operatività e salvaguardare gli investimenti tecnologici già effettuati dalle Regioni, è stato affidato al portale "impresainungiorno" il compito di facilitare il collegamento con quelli già realizzati dalle Regioni stesse. Tale portale, già collegato al sistema pubblico di connettività (SPC), dovrebbe sopperire anche alle carenze informatiche dei Comuni. Tra le numerose novità che consentono di velocizzare l’avvio di un’impresa, si segnala la possibilità di una contestuale presentazione della SCIA e della comunicazione unica per la nascita dell’impresa (v. infra) presso il Registro delle imprese, che quindi trasmette immediatamente la SCIA al SUAP. Con il D.M. 10 novembre 2011, poi, il Ministero dello sviluppo economico ha previsto altre misure per l'attuazione del SUAP, anche in attesa della completa attuazione del D.P.R. 160/2010.

Per quanto riguarda le comunicazioni iniziali per l'avvio dell'attività d'impresa, si ricorda inoltre che l’articolo 9 del decreto-legge 7/2007, prevede che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione al Registro delle imprese, ai fini previdenziali, assicurativi e fiscali, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano assolti tramite una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e si fa carico di informare le altre amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica. Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell’attività d’impresa. Con il D.P.C.M. 6 maggio 2009 sono state definite le regole tecniche per l'attuazione della procedura della comunicazione unica. Con il D.Dirett. 19 novembre 2009 è stato approvato il modello di comunicazione unica. L’art. 23, comma 13, del decreto-legge 78/2009, (A.C. 2561), ha differito l’applicazione della disciplina sulla comunicazione unica per la nascita dell'impresa, disponendo che essa si applichi dal 1° ottobre 2009. Trascorsa la fase sperimentale di sei mesi durante la quale gli interessati hanno avuto la possibilità di avvalersi ancora della procedura tradizionale, dal 1° aprile 2010 per costituire un'impresa è diventato obbligatorio utilizzare la procedura della comunicazione unica.



Agenzia per le imprese

Sempre con l’articolo 38 del decreto legge 112/2008 il legislatore ha inoltre conferito previsto che con regolamento vengano stabiliti i requisiti e le modalità di accreditamento dei soggetti privati che provvedono all'attestazione della sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell'esercizio dell'attività di impresa.

In attuazione di tale previsione, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di regolamento iniziale (atto n. 208), è stato emanato il regolamento di cui al D.P.R. 159/2010.



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Approfondimento: Small Business Act e sua attuazione

Lo “Small Business Act” (SBA) è la principale iniziativa politica dell’UE a favore delle PMI che, con quasi 21 milioni di realtà costituiscono il 99,8%delle imprese europee e forniscono oltre il 67%dei posti di lavoro.

In base alla raccomandazione 2003/361/CEdella Commissione, una media impresa è definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 250 persone e il cui fatturato non superi 50 milioni di euro o il cui totale di bilancio annuale non sia superiore a 43 milioni di euro. Una piccola impresa è invece definita come un’impresa il cui organico sia inferiore a 50 persone e il cui fatturato o il totale del bilancio annuale non superi 10 milioni di euro. Una microimpresa è definita come un'impresa il cui organico sia inferiore a 10 persone e il cui fatturato o il totale di bilancio annuale non superi 2 milioni di euro.

Attraverso lo SBA la Commissione intende sottolineare l’importanza delle PMI in quanto creatrici di posti di lavoro e protagoniste nella corsa al benessere delle comunità locali e regionali.

Tabella 1: numero di imprese, occupati e valore aggiunto lordo, per dimensione; UE27 e Italia 2012.

Fonti: Eurostat/Ecorys, Annual Report on European SMEs 2012; SBA fact sheets/Italy 2012

 

 

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Small

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SMEs

Large

Total

 

Numero d’imprese

EU27

Numero

19.143.521

1.357.533

226.573

20.727.627

43.654

20.771.821

 

%

92,2

6,5

1,1

99,8

0,2

100

Italia

Numero

3.610.090

184.345

19.370

3.813.805

3.253

3.817.058

 

%

94,6

4,8

0,5

99,9

0,1

100

 

Occupati

EU27

Numero

38.395.819

26.771.287

22.310.205

87.477.311

42.318.854

129.796.165

 

%

29,6

20,6

17,2

67,4

32,6

100

Italia

Numero

7.087.214

3.250.491

1.875.598

12.213.303

2.998.619

15.211.922

 

%

46,6

21,4

12,3

80,3

19,7

100

 

Valore aggiunto lordo

EU27

Miliardi di €

1.307

1.144

1.136

3588

2592

6180

 

%

21,2

18,5

18,4

58,1

41,9

100

Italia

Miliardi di €

180

139

99

418

194

612

 

%

29,4

22,7

16,2

68,3

31,7

100

 Lo SBA comprende dieci principi intesi a valorizzare le iniziative a livello della UE, da cui discendono una serie di azioni concrete intese a sostenere le PMI europee attraverso il miglioramento dell'ambiente normativo, amministrativo ed economico.

I 10 principi essenziali per valorizzare le iniziative delle PMI a livello UE individuati dalla Commissione sono:

1.     favorire e gratificare lo spirito imprenditoriale;          

2.     consentire a imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, di ottenere rapidamente una seconda possibilità;

3.     formulare regole conformi al principio “pensare anzitutto in piccolo”;

4.     rendere le pubbliche amministrazioni sensibili alle esigenze delle PMI, semplificando per quanto possibile la vita delle PMI, in particolare promuovendo l’e-governmente soluzioni a sportello unico;

5.     adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle PMI:

6.     facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le PMI;

7.     agevolarel’accesso delle PMI al credito e sviluppare un contesto giuridico ed economico che favorisca la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali;

8.     aiutare le PMI a beneficiare delle opportunità offerte dal mercato unico migliorando la governance e l’informazione sulle politiche del mercato unico, facilitando l’accesso delle PMI ai brevetti e ai modelli depositati;

9.     promuovere l’aggiornamento delle competenze nelle PMI e ogni forma di innovazione;

10.     permettere alle PMI di trasformare le sfide ambientali in opportunità;

11. incoraggiare e sostenere le PMI perché beneficino della crescita dei mercati.

Per ciascuno dei principi si distinguono le azioni e le iniziative da attuare a livello UE e quelle rimesse alla responsabilità di ciascuno degli Stati membri.Tra tali iniziative figurano  un insieme di nuove proposte legislative e di azioni politiche ispirate al principio “Pensare anzitutto in piccolo” e sviluppate secondo tre principali obiettivi:



Attuazione dello Small Business Act

L’attuazione dello SBA è stata oggetto di un primo monitoraggio da parte della Commissione con la comunicazione presentata il 23 febbraio 2011, nella quale si evidenzia come tutte le iniziative legislative previste dallo SBA sono state presentateo adottate:

•    la direttiva 2010/45/CE , adottata dal Consiglio nel 2010, aggiorna, semplifica e armonizza ulteriormente le norme vigenti equiparando la fatturazione IVA elettronica a quella cartacea;

•     la direttiva 2011/7/CE , adottata dal Consiglio nel gennaio 2011, relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Come regola generale, il termine per il pagamento delle fatture a fronte della fornitura di beni e servizi, sia nel settore pubblico sia in quello privato, sarà di 30 giorni, e comunque entro il limite massimo di 60 giorni. Tale limite è in particolare previsto per il settore della sanità, in ragione delle peculiarità delle modalità di rimborso da parte dei sistemi sanitari nei confronti delle singole aziende ospedaliere. Superato il termine fissato per il pagamento, gli interessi legali dovuti saranno maggiorati dell’8% in aggiunta ad un compenso per le spese di recupero pari a 40 euro. Gli Stati membri avranno due anni per conformarsi alle nuove regole;

•     la proposta di regolamento relativo allo statuto della Società privata europea (SPE) è intesa a creare una nuova forma giuridica europea al fine di facilitare lo stabilimento e il funzionamento nel mercato unico delle PMI. Approvata nel marzo del 2009 in prima lettura dal Parlamento europeo, secondo la procedura di consultazione, attende l’approvazione definitiva da parte del Consiglio in seno al quale tuttavia permangono alcune divergenze ad esempio in materia di capitale sociale e partecipazione dei lavoratori;

•     il regolamento generale di esenzione per categoria n. 800/2008 - che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato comune in applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato - oltre a quelle disponibili per tutte le imprese, individua specifiche categorie di aiuto per le PMI, quali gli aiuti agli investimenti e all'occupazione, gli aiuti per la partecipazione a fiere, per i servizi di consulenza, per promuovere l’imprenditoria femminile, e gli Aiuti sotto forma di capitale di rischio. Inoltre, il GBER semplifica le procedure, riduce i costi e accresce l’intensità di aiuti per le PMI.

Con riferimento agli strumenti e alle azioni concrete, la Commissione sottolinea come:

• il test PMI è stato incluso tra gli aspetti metodologici da considerare ai fini di una corretta predisposizione di una valutazione d'impatto;

•  il programma Competitività e innovazione (PCI) nel periodo 2007-2013 ha fornito e fornirà garanzie per prestiti a un totale di circa 300.000 PMI (il 90 per cento microimprese) e favorirà gli investimenti dei capitali di rischio;

• secondo un'indagine richiamata dalla Commissione l’accesso agli appalti pubblici da parte delle PMI risulta meno onerosa dal punto di vista amministrativo e con maggiori possibilità di presentare offerte congiunte.

Il rapporto fornisce dati relativi al periodo 2006-2008 secondo i quali le PMI si sono assicurate il 33% del valore totale degli appalti al di sopra delle soglie fissate dalle direttive UE, mentre la loro quota complessiva nell'economia, calcolata sulla base del fatturato complessivo, è del 52%. Il rapporto contiene anche dati disaggregati riferiti ai singoli Paesi; l’Italia, insieme a Portogallo, Spagna, Cipro, Repubblica ceca ed Estonia si colloca tra i Paesi nei quali sussiste la maggior sproporzione tra l’accesso agli appalti pubblici da parte delle PMI e la loro quota complessiva nell’economia;

• è stato istituito un Forum permanente sul finanziamento delle PMI;

• il quadro temporaneo per gli aiuti di Stato relativo al periodo successivo al 1° luglio 2008 e prorogato a tutto il 2011: prevede una riduzione fino al 25% per le PMI del premio annuale dovuto per le nuove garanzie concesse per l’accesso al credito; considera compatibili i tassi di interesse agevolati riferiti a prestiti per investimenti in progetti relativi alla protezione ambientale conuna riduzione del tasso di interesse del 25% per le PMI; nel quadro degli aiuti al capitale di rischio rende  finanziabili con denaro pubblico investimenti a favore di PMI fino a 2,5 milioni di euro annui(il limite "normale" è di 1,5 milioni di euro annui);

•  la politica dell'innovazione e della ricerca dell’UE dedica attenzione ai finanziamenti per consentire agli imprenditori di portare le loro "idee al mercato" e, in particolare, l’iniziativa faro Europa 2020 Unione dell’innovazione attribuisce un ruolo significativo alla crescita alle PMI innovative nel ciclo dell’innovazione nell’ambito del programma quadro per la ricerca;

•  l’apertura di un centro per le PMI in Cina ben rappresenta l’interesse UE verso misure per favorire l’accesso da parte delle PMI europee ai mercati stranieri;

•  la politica di coesione e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)  rappresentano strumenti importanti al fine di trasformare le priorità dello SBA in azioni concrete.

Il Consiglio del 30 maggio 2011 ha approvato conclusioni con le quali accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione.

Approfondimento: Riesame dello Small Business Act

Oltre ad un primo monitoraggio sull’attuazione delle misure proposte nel quadro dello Small Business Act (SBA), la comunicazione relativa al riesame dello SBA, presentata dalla Commissione il 23 febbraio 2011, propone una serie di nuove azioni a sostegno delle PMI intese a rispondere alle sfide poste dalla crisi economica e a sviluppare azioni esistenti in linea con la strategia Europa 2020, con i seguenti obiettivi:

I.       semplificare il contesto normativo e amministrativo;

II.     migliorare l'accesso delle PMI al finanziamento, ad esempio, tramite i mercati finanziari e le politiche fiscali di incentivo agli investimenti;

III.   favorire e migliorare le condizioni di accesso delle PMI al mercato interno, ad esempio, nel settore degli appalti, nonché sostenere le PMI sui mercati esterni all'UE;

IV.    aiutare le PMI a contribuire ad un'economia efficiente sul piano delle risorse;

V.     promuovere l’imprenditorialità e la creazione d’imprese a vantaggio dell’occupazione e della crescita.

Tali obiettivi sono stati articolati in una o più azioni che la Commissione ha trasformato in proposte di natura legislativa, alcune delle quali già convertite in norme.



Obiettivo I. Semplificazione del contesto normativo e amministrativo



Azione A. Semplificazione degli obblighi di trasparenza e di dichiarazione per le piccole società quotate (entro ottobre 2011) affinché gli obblighi applicabili alle PMI quotate siano più proporzionati

(L’obiettivo figura tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I )

 1.     Proposta di modifica della direttiva 2004/109/CE sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e la direttiva 2007/14/CE - Ottobre 2011

La proposta intende rendere più proporzionati gli obblighi applicabili alle PMI quotate.

La proposta intende inoltre: ridurre l’onere amministrativo correlato alla quotazione nei mercati regolamentati; incoraggiare gli investimenti a lungo termine attraverso l’abolizione dell’obbligo di pubblicazione dei resoconti intermedi sulla gestione per tutte le società quotate.

Voto PE previsto maggio 2013 (1° lettura codecisione)

2.     Proposta di revisione (COM(2011)684) delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE sulle norme contabili (bilanci annuali e consolidati delle società di capitali) applicabili alle imprese dell'UE - Ottobre 2011

La proposta intende ridurre e semplificare gli oneri amministrativi, specialmente per le PMI.

La proposta intende inoltre: aumentare la chiarezza e la comparabilità dei bilanci, con particolare riferimento alle imprese che svolgono attività transfrontaliere; migliorare la trasparenza dei pagamenti allo Stato da parte di imprese delle industrie estrattive e di imprese utilizzatrici di aree forestali primarie. La proposta integra la direttiva 2012/6/UE del 14 marzo 2012 che modifica la direttiva 78/660/CEE relativamente ai conti annuali di taluni tipi di società per quanto riguarda le microentità.

 Voto PE previsto aprile 2013 (1° lettura codecisione)

3.     Regolamento delegato n. 486/2012 della Commissione che modifica il regolamento n. 809/2004 per quanto riguarda gli obblighi di informativa - 30 marzo 2012

Gli allegati al regolamento contengono schemi proporzionati delle informazioni minime da inserire nei documenti informativi delle PMI e delle società con capitalizzazione di mercato ridotta

4.     Proposta di modifica alla direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta MiFID) - ottobre 2011

La proposta intende aumentare l'efficienza e la trasparenza dei mercati. Per i mercati destinati alle PMI è prevista la creazione di un "marchio di qualità" specifico.

La proposta prevede inoltre: il conferimento di maggiori poteri alle autorità di regolamentazione; regole di funzionamento chiare per tutte le attività di negoziazione; l’introduzione di una nuova sede di negoziazione (i sistemi di negoziazione organizzati - OTF); nuove tutele per quanto riguarda le attività di trading effettuate mediante le nuove tecnologie; migliori condizioni di concorrenza per alcuni servizi post-negoziazione essenziali, come la compensazione; una maggiore trasparenza delle attività di negoziazione sui mercati dei capitali e per i mercati non azionari.

Voto PE previsto ottobre 2013 (1° lettura codecisione)

5.     durata delle consultazioni pubbliche

a partire dal 2012 la durata delle consultazioni pubbliche è stata portata da otto a dodici settimane

In tale contesto si segnala anche la relazione della Commissione del 23 novembre 2011  che riconosce la necessità di adeguare la normativa dell'UE alle esigenze delle microimprese attraverso ulteriori interventi per la riduzione degli oneri amministrativi.

In particolare, a partire dal gennaio 2012, la Commissione europea si impegna affinché tutte le future proposte legislative della Commissione considerino come assunto che le microentità vadano escluse dal campo di applicazione della legislazione proposta, ove non si possa dimostrare la proporzionalità della loro copertura.

Nel caso in cui le microimprese debbano essere incluse nelle proposte legislative per ragioni d’interesse generale, la Commissione proporrà comunque soluzioni adatte o regimi agevolati.

La Commissione si impegna, inoltre, a definire un quadro di valutazione, aggiornato su base annuale, recante:

La Commissione europea si impegna, inoltre, ad una effettiva consultazione delle PMI ed a favorire una loro maggiore partecipazione al processo legislativo europeo.

Il Consiglio competitività del 20-21 febbraio 2011 ha approvato conclusioni con le quali ha accolto favorevolmente la relazione della Commissione.

In tema di microimprese si ricorda che la direttiva 2012/6/UE del 14 marzo 2012 che modifica la direttiva 78/660/CEE del Consiglio relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, consente agli Stati membri di esentare le microentità dall’applicazione delle direttive contabili.



Obiettivo II. Finanziamento delle PMI



Azione B. Adottare un piano d'azione per migliorare l'accesso delle PMI al finanziamento, compreso l'accesso al capitale di rischio e ai mercati dei capitali

6.     piano d’azione per migliorare l’accesso delle PMI europee ai mercati dei capitali - dicembre 2011

Il piano d’azione è inteso  a mantenere costante il flusso di credito nei confronti delle PMI attraverso una strategia che prevede un maggiore sostegno finanziario da parte del bilancio dell'UE e della BEI.

Il 5 febbraio 2013 il Parlamento europeo ha approvato una relazione d’iniziativa con la quale accoglie favorevolmente il piano d’azione della Commissione

Il Parlamento europeo ritiene necessario imporre obiettivi relativi agli importi e alle condizioni di finanziamento da offrire alle PMI a quegli istituti bancari che, durante la crisi,  hanno beneficiato di aiuti di Stato e sovvenzioni implicite da parte delle banche centrali e della Banca centrale europea. 

7.     Proposta di regolamento intesa a definire una nuova disciplina per la commercializzazione di fondi designati come "fondi di capitale di rischio europei" - Dicembre 2011

8.     proposta di regolamento relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale - Dicembre 2011

L'obiettivo di fondo delle due proposte – che rientrano sia nel piano d'azione sia nell'Atto per il mercato unico I - è migliorare l’accesso delle PMI ai finanziamenti tramite l'istituzione di un passaporto su scala UE per i gestori di fondi europei di venture capital (FEVC) e di fondi europei per l’imprenditoria sociale (FEIS), in relazione alla commercializzazione di tali fondi.

Le proposte introducono requisiti uniformi per i gestori di organismi di investimento collettivo che desiderano operare sotto il regime del passaporto europeo – inerenti, ad esempio, al portafoglio e alle tecniche d'investimento, alle imprese ammissibili per un fondo qualificato. Inoltre, una serie di norme uniformi a livello UE garantiranno agli investitori informazioni chiare e trasparenti sulla destinazione degli investimenti.

Mentre i FEVC puntano principalmente a fornire alle PMI finanziamenti azionari nella fase di avvio delle attività, i FEIS possono ricorrere a una gamma più ampia di strumenti d’investimento, quali finanziamenti del settore pubblico e privato, strumenti di debito o piccoli prestiti.

Voto PE su entrambe le proposte previsto marzo 2013 (1° lettura codecisione)

9.     comunicazione su un quadro per la futura generazione di strumenti finanziari innovativi: le piattaforme UE di capitale e di debito - Ottobre 2011

Nell’ambito del futuro quadro finanziario pluriennale 2014-2020 si propone creare piattaforme di capitale (attraverso strumenti azionari per investimenti volti alla crescita quali investimenti in fondi di capitale di rischio a livello transfrontaliero all’interno dell’UE e “fondi di fondi” con investimenti transfrontalieri in fondi di capitale di rischio che investono successivamente nelle imprese) e piattaforme di debito (attraverso uno strumento di prestito capace di offrire accordi di condivisione dei rischi diretti o di altro tipo con intermediari finanziari) con l'obiettivo di semplificare, standardizzare e rendere più coerenti tutti gli strumenti finanziari innovativi attuati per mezzo del bilancio dell'UE.

Il 26 ottobre 2012 il PE ha approvato una risoluzione con la quale accoglie favorevolmente le proposte  della Commissione.

10.     una proposta di regolamento relativa all’istituzione di un nuovo strumento di finanziamento per la ricerca e l'innovazione Horizon 2020 - novembre 2011

Nel quadro delle prospettive finanziarie 2014-2020, la COmmissione intende unificare i finanziamenti a sostegno della ricerca e dell'innovazione attualemente erogati dall'UE in ambiti diversi garantendo un'intensa partecipazione delle PMI (anche microimprese) attraverso sia la semplificazione delle regole di partecipazione al programma sia l'allestimento di uno sportello unico dedicato. In forza del loro ruolo cruciale nell'innovazione, la proposta della Commissione prevede di destinare alle PMI circa 8,6 miliardi di euro nell'ambito delle diverse azioni e sottoprogrammi.

Il 28 novembre 2012 la Commisisone Industria, ricerca ed energia (ITRE) del PE  ha approvato una relazione che sarà successivamente sottoposta al voto della plenaria, nel quadro più generale delle discussioni sulle prospettive finanziarie 2014-2020.

11. Proposta relativa al programma per la competitività delle imprese e le PMI (COSME) novembre 2011

Nel quadro delle prospettive finanziarie 2014-2020, la Commissione propone un bilancio di 2,5 miliardi di euro inteso ad aumentare la competitività delle imprese e delle PMI attraverso il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti, il sostegno all'internazionalizzazione, e la promozione della cultura imprenditoriale. Il nuovo programma si concentrerà principalmente sugli strumenti finanziari - che includeranno uno strumento di capitale proprio e uno strumento di garanzia dei prestiti - e prevede meccanismi semplificati per agevolare la partecipazione delle piccole imprese. Il COSME opererà in stretta sinergia con il programma quadro per la ricerca e l'innovazione "Orizzonte 2020" che prevede obiettivi specifici e indirizzi rivolti alle PMI

Il Consiglio del 30-31 maggio 2012 ha approvato i principali elementi del programma.

Il 28 novembre 2012 la Commissione Industria, ricerca ed energia (ITRE) del PE ha approvato una relazione che sarà sottoposta al voto della plenaria, nel quadro più generale delle discussioni sulle prospettive finanziarie 2014-2020.

12. nuovo meccanismo di garanzia (SME risk-sharing instrument (RSI)) - dicembre 2011

Lanciato da Commissione europea e BEI, il nuovo strumento finanziario di condivisione dei rischi (RSI ) è gestito dal Fondo europeo d’investimento (FEI), organismo del gruppo BEI, e mira ad incoraggiare le banche ad accordare prestiti e leasing a PMI ed imprese con meno di 500 impiegati aventi attività di ricerca, sviluppo o innovazione per somme comprese tra 25mila e 7,5 milioni di euro. La durata dei prestiti può variare dai 2 ai 7 anni.

Una somma supplementare di 6 miliardi di euro di prestiti dovrebbe essere sbloccata entro la fine del 2013, di cui massimo 1,2 miliardi di euro per le PMI e 300 milioni di euro per le infrastrutture di ricerca. A partire dal 2014, in combinazione con nuovi strumenti di finanziamento azionario, la Commissione europea ha intenzione di rinforzare e di allargare il Risk Sharing Finance Facility nel contesto di Orizzonte 2020, programma quadro per la ricerca e l’innovazione.

13. Guida pratica per le PMI - giugno 2012

Fornire alle PMI informazioni sulle opportunità di accesso a più di 120 programmi di finanziamento nazionali o regionali per un totale di finanziamenti pubblici superiore a 50 miliardi di euro nei 27 Stati membri.

14. Iniziativa per rafforzare i sistemi informativi nazionali della rete Enterprise Europe - giugno 2012

Fornire alle PMI migliori informazioni sulle forme di finanziamento disponibili.

La rete Enterprise Europe è stata lanciata nel 2008 ed è rappresentata in 51 paesi da 600 organizzazioni partner

 



Obiettivo III Accesso al mercato per le PMI



Azione C. Rendere gli appalti pubblici più accessibili alle PMI per mezzo di una maggiore semplificazione

15. Proposta di direttiva in materia di appalti pubblici – dicembre 2011

16. Proposta di direttiva in materia di appalti degli enti erogatori di acqua, energia, servizi di trasporto e servizi postali – dicembre 2011

Obiettivo della proposte è la modernizzazione della normativa esistente fissata dalle direttive 2004/17/CE (appalti degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali), 2004/18/CE (appalti pubblici di lavori, forniture e servizi), e 2009/81/CE (appalti di lavori, forniture e servizi nei settori della difesa e della sicurezza).

Il pacchetto prevede misure concrete per eliminare gli ostacoli all'accesso delle PMI al mercato, quali:

- la semplificazione degli obblighi di documentazione nelle procedure di appalto;

- la creazione di un documento standard ai fini della selezione;

- un incentivo per le amministrazioni aggiudicatrici a prendere in considerazione la suddivisione degli appalti in lotti più piccoli che sono più accessibili alle PMI;

- la riduzione del numero di requisiti di partecipazione.

In generale, le proposte prevedono:

- la semplificazione delle procedure mediante un maggiore ricorso alla trattativa ed agli appalti online;

- una maggiore attenzione per i criteri sociali ed ambientali;

- la lotta ai conflitti di interesse, ai favoritismi ed alla corruzione anche mediante la designazione da parte degli Stati membri di un’autorità nazionale unica incaricata della vigilanza, dell’esecuzione e del controllo degli appalti pubblici.

 La proposta è inserita tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I  

 Il Consiglio competitività dell’11 dicembre 2012 ha definito un orientamento generale

 Voto PE previsto aprile 2013

17. Proposta di direttiva in materia di concessioni - dicembre 2011

La proposta è intesa a migliorare l’accesso degli operatori economici, comprese le PMI, al mercato delle concessioni di lavori e servizi, ed è volta ad estendere la maggior parte degli obblighi applicabili alle concessioni di lavori pubblici a tutte le concessioni di servizi. Si prospetta tra l’altro la pubblicazione obbligatoria nella Gazzetta Ufficiale dell’UE delle concessioni di importo pari o superiore a 5 milioni di euro, il rispetto di determinate garanzie durante la procedura di aggiudicazione e una serie di chiarimenti riguardanti le modifiche in corso di esecuzione.

 Il Consiglio competitività dell’11 dicembre 2012 ha definito un orientamento generale.

Voto PE previsto marzo 2013



Azione D. Facilitare il recupero dei crediti transfrontalieri e garantire alle PMI condizioni ottimali per gli scambi commerciali transfrontalieri, anche via internet.

18. Proposta di regolamento che istituisce un'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale - luglio 2011

La proposta intende facilitare a cittadini ed imprese, in particolare le PMI, il recupero transfrontaliero dei crediti attraverso una procedura europea uniforme - alternativa alle procedure nazionali senza tuttavia sostituirle - finalizzata all'emissione di un'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari ("ordinanza di sequestro conservativo").

La nuova procedura consentirebbe a i creditori di ottenere un provvedimento cautelare che bloccherebbe le somme detenute dal debitore su un conto bancario in uno degli Stati membri evitando che, dissipando tali somme, il debitore comprometta gli sforzi del creditore per recuperare il proprio credito.

 Il Consiglio del 6-7 dicembre 2012 ha svolto un dibattito pubblico.

Voto PE previsto settembre 2013



Azione E. Predisporre una proposta legislativa per l'adozione nell'UE di forme alternative di composizione delle controversie, con l'eventuale creazione di un sistema europeo di composizione online delle controversie (tra imprese o tra imprese e consumatori) relative a transazioni commerciali per via elettronica.

19. Proposta di direttiva su forme sostitutive di risoluzione delle controversie (ADR) – novembre 2011

20. Proposta di regolamento sulla risoluzione delle controversie on-line (ODR) - novembre 2011

Entrambe le proposte intendono offrire una soluzione semplificata, efficace ed economica alle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra consumatori, professionisti e imprese connesse a vendite di beni e forniture di servizi.

La prima è intesa a definire un quadro comune per sistemi di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) - esistenti o da istituire - fissando principi comuni minimi in materia di qualità, imparzialità, trasparenza ed efficacia.

Il sistema ADR sarà completato da un meccanismo ODR che comporta l'istituzione di una piattaforma europea di risoluzione delle controversie online (si tratterà di un sito web interattivo accessibile elettronicamente e gratuito in tutte le lingue dell'Unione).

La proposta è inserita tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I  

Il Consiglio del 30 maggio 2012 ha approvato un approccio generale

Su entrambe le proposte voto PE previsto marzo 2013 (1° lettura codecisione)



Azione F. Presentare una proposta legislativa per una base imponibile consolidata comune per le società e una nuova strategia IVA, mirando soprattutto a ridurre gli ostacoli fiscali e gli oneri amministrativi per le PMI nel mercato unico

21. Proposta di direttiva relativa ad una base imponibile comune per la tassazione delle società (common consolidated corporate tax base - CCCTB) – marzo 2011

La proposta intende uniformare a livello UE la base imponibile lasciando agli Stati membri il diritto di stabilire le rispettive aliquote d'imposta sul reddito delle società.

Il 19 aprile 2012 il Parlamento europeo ha approvato emendamenti chiedendo di applicare la CCCTB in un una fase transitoria soltanto alle società cooperative europee che hanno una natura transfrontaliera e, dopo cinque anni, renderla obbligatoria per tutte le imprese europee, ad eccezione delle PMI, per le quali l’adesione al regime della CCCTB resterebbe volontaria.

La Commissione stima che l'introduzione di una base imponibile comune consentirebbe alle imprese stabilite nell'UE di risparmiare ogni anno 700 milioni di euro grazie a minori costi di adeguamento alla normativa e 1,3 miliardi di euro per effetto del consolidamento.

Voto PE aprile 2012, in attesa voto Consiglio (procedura legislativa speciale con lettura unica PE e voto Consiglio all’unanimità)



Azione G. Predisporre un documento di orientamento per spiegare le norme sull'etichettatura di origine e informare le PMI dei mezzi di cui dispongono per proteggere i loro legittimi interessi

22. In materia di etichettatura di origine la Commissione europea ha presentato una Proposta di regolamento relativa all’indicazione del paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da paesi terzi nel 2005. La materia è stata più volte discussa dal Parlamento europeo - che ha approvato una dichiarazione e due distinte risoluzioni - ma non è mai stata discussa dal Consiglio.

Tenuto conto dell’impasse che da anni si registrava in Consiglio, nell’adottare il programma di lavoro per il 2013, il 23 ottobre 2012 la Commissione europea ha inserito quella sul “made in” tra le proposte legislative pendenti da ritirare.

Il 17 gennaio 2013 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato una ulteriore risoluzione sull'indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi nell'UE in cui si afferma che l'UE deve rendere obbligatorio l'uso del marchio d'origine per tali beni importati nell'UE, quali abiti, scarpe e gioielli e si richiede la presentazione da parte della Commissione europea di una nuova proposta legislativa.



Azione H. Proporre uno strumento di diritto contrattuale europeo rispondente alle necessità delle PMI che cercano di entrare in nuovi mercati

23. Proposta di regolamento relativo a un diritto comune europeo della vendita – ottobre 2011

La proposta intende introdurre uno strumento opzionale per il diritto europeo dei contratti, al fine di rendere l’accesso al commercio transfrontaliero meno incerto in particolare per le piccole e medie imprese (PMI), superando le attuali differenze tra i singoli diritti nazionali. Si prevede anche una riduzione dei costi amministrativi.

Oggetto della proposta sarebbero i contratti sulle vendite di beni e la fornitura di contenuto digitale, nonché i servizi direttamente connessi, stipulati tra imprese e consumatori nonché tra imprese in cui almeno una delle parti è una piccola o media impresa (PMI). Entrambe le parti di un contratto transfrontaliero dovrebbero esprimere l'accordo a utilizzare tale regime alternativo.

La proposta è inserita anche nell’Atto per il mercato unico I

Il provvedimento è tuttora all’esame del Consiglio e del PE



Azione I. Stabilire una procedura uniforme per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti

24. Proposta di regolamento che istituisce un'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale - Luglio 2011

La proposta è intesa a facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti, in particolare alle PMI, garantendo una maggiore certezza giuridica ed efficienza nell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale nei casi transfrontalieri. Si tratta di istituire una procedura europea uniforme finalizzata all'emissione di un'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari ("ordinanza di sequestro conservativo"), da mettere a disposizione dei cittadini e delle imprese in alternativa alle procedure nazionali.

La proposta è inserita tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I

Il Consiglio del 7-8 giugno 2012 ha svolto un dibattito pubblico. Voto PE previsto settembre 2013 (1° lettura codecisione)



Azione J. Procedere alla revisione del sistema europeo di normazione

25. nuovo regolamento n. 1025/2012 europeo sulla normazione tecnica, - 25 ottobre 2012)

A partire dal 1° gennaio 2013 il regolamento costituisce la nuova base legale in tema di normazione per la UE, gli organismi europei e nazionali di normazione, le organizzazioni europee di rappresentanza dei soggetti interessati e gli Stati Membri.

Le nuove disposizioni intendono rendere più veloce ed efficace il processo di standardizzazione delle norme sviluppate dall’industria europea, assicurando che le PMI e le parti interessate della società siano adeguatamente rappresentate nella processo di standardizzazione, ad esempio, attraverso l’individuazione di progetti di formazione di particolare interesse per le PMI, la concessione alle PMI dell’accesso alle attività di normazione senza obbligo di adesione a un organismo di normazione nazionale o la concessione di un accesso gratuito o di tariffe speciali per partecipare alle attività di formazione o per l’offerta di pacchetti di norme a prezzo ridotto.

La revisione del sistema europeo di formazione figura tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I



Azione K. Adottare una decisione per garantire il riconoscimento reciproco dell'identificazione e dell'autenticazione elettroniche nell'UE revisione della direttiva sulle firme elettroniche.

26. Proposta di regolamento in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno - giugno 2012

Il quadro normativo proposto mira a promuovere l’adozione dei servizi fiduciari elettronici sensibilizzando maggiormente le PMI e i cittadini sul potenziale di tali servizi, al fine di realizzare un mercato unico digitale pienamente integrato. In particolare si intende consentire interazioni elettroniche sicure e continue fra imprese, cittadini e autorità pubbliche, migliorando l’efficacia dei servizi on-line pubblici e privati, dell’e-business e del commercio elettronico nell’UE.

La proposta è inserita tra le priorità dell’Atto per il mercato unico I  

Il Consiglio europeo ha più volte sollecitato una rapida adozione della proposta. La votazione della commissione ITRE del Parlamento europeo è prevista per settembre 2013 (1° lettura codecisione).



Azione L. Definire una nuova strategia di sostegno alle PMI europee nei mercati al di fuori dell'Unione europea, e per i cluster e le reti competitivi su scala mondiale

27. comunicazione "Piccole imprese, grande mondo— un nuovo partenariato per aiutare le PMI a cogliere le opportunità globali" – novembre 2011

La Commissione propone una strategia intesa ad aumentare le possibilità per le PMI europee di operare sui mercati internazionali - attualmente limitata solo al 13% delle piccole imprese UE - in particolare:

Il 23 ottobre 2012 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla competitività e opportunità commerciali per le piccole e medie imprese (PMI).



Obiettivo IV. Economia efficiente sul piano delle risorse



Azione M. Nel quadro definito da Europa 2020, agevolare le PMI la transizione verso una crescita efficiente sul piano delle risorse, ad esempio, con l'introduzione di incentivi a favore di audit dell'energia e delle risorse o con il ricorso a strumenti basati sul mercato

28. nuova direttiva 2012/27/CE sull’efficienza energetica – 25 ottobre 2012

La direttiva, senza fissare obiettivi vincolanti per gli Stati membri, prevede la definizione di obiettivi indicativi nazionali di risparmio energetico in tema di ristrutturazione degli edifici pubblici, di piani di risparmio energetico per le imprese pubbliche e audit energetici per tutte le grandi imprese.

La direttiva prevede per gli Stati membri la possibilità di istituire regimi di sostegno a favore delle PMI (art. 8.2), al fine di coprire i costi di audit energetici e dell’attuazione delle raccomandazioni risultanti da tali audit.

29. comunicazione Innovazione per un futuro sostenibile - Piano d’azione per l’ecoinnovazione (EcoAP ) - Dicembre 2011

L'EcoAP comprende strumenti politici e finanziari a sostegno delle PMI nel quadro della promozione delle tecnologie innovative a minor impatto ambientale e basate su un uso più efficace e responsabile delle risorse naturali, compresa l'energia.

Il piano comprende azioni da realizzare nel contesto dell’attuale quadro finanziario pluriennale (ampliare le attività degli “assistenti ambientali per le PMI”, in collaborazione con la rete Enterprise Europe Network; istituire una rete europea di finanziatori e investitori a favore dell’ecoinnovazione) e di quello futuro (formulare programmi di assistenza tecnica per le PMI e il settore finanziario; rafforzare il ruolo delle PMI ecoinnovative nelle prime fasi di penetrazione del mercato nel quadro di Orizzonte 2020).



Obiettivo V. Imprenditorialità, creazione di occupazione e crescita inclusiva



Azione N. Presentare una serie di raccomandazioni sulla base di uno studio che misura le dimensioni del problema dei fallimenti e della seconda opportunità; migliorare le condizioni per i trasferimenti delle imprese

30. Studio della Commissione "Business Dynamics: Start-ups, Business Transfers and Bankruptcy" – gennaio 2011

Lo studio analizza in 33 paesi europei l’impatto macroeconomico delle procedure legali e amministrative che riguardano i momenti chiave della vita di un’azienda (procedure di start-up/licenze, trasferimento, fallimento e seconda chance), concludendo che:

In tale contesto lo studio ritiene necessario:

31. comunicazione sul nuovo approccio europeo in materia di insolvenza delle imprese - dicembre 2012;

32. proposta di regolamento che modifica il regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure d’insolvenza - dicembre 2012;

33. relazione sull’applicazione del regolamento n. 1346/2000 - dicembre 2012.

La Commissione propone un sistema più efficiente di ristrutturazione e riorganizzazione delle imprese che permetta alle imprese e alle PMI di sopravvivere alle crisi finanziarie e incoraggi gli imprenditori a cogliere una seconda opportunità.

In relazione alle procedure d’insolvenza relative ai casi transfrontalieri, si propone di introdurre agevolazioni nell’insinuazione dei crediti, in particolare per i piccoli creditori e le PMI, attraverso:



Azione O. Presentare un’iniziativa riguardante in modo specifico le imprese che perseguono obiettivi sociali.

34. comunicazione introduttiva del pacchetto "Imprese responsabili" inteso a definire una strategia europea per la responsabilità sociale delle imprese (RSI) – ottobre 2011;

35. comunicazione sulla responsabilità sociale d’impresa – ottobre 2011;

36. comunicazione "Iniziativa per l'imprenditoria sociale – ottobre 2011

La Commissione propone di sostenere l'imprenditoria sociale:

Tali proposte di ricollegano alle iniziative in materia di semplificazione degli obblighi di trasparenza e contabili e di facilitazione dell’accesso ai finanziamenti delle PMI  di cui rispettivamente agli obiettivi I e II della revisione dello SBA, sopra illustrate ai punti 1 e 2.



La promozione delle PMI nell’Atto per il mercato unico

Oltre alle misure sopra riportate si ricorda che “l’Atto per il mercato unico I ”, presentato dalla Commissione il 13 aprile 2011 individua ulteriori priorità, azioni e relative proposte in relazione alla promozione delle PMI.



Azione P. Modifica delle direttive 2006/11/CE in materia di trasparenza, 2003/71/CE sul prospetto, e 2003/6/CE sugli abusi di mercato, al fine di rendere proporzionati gli oneri applicati alle PMI quotate, garantendo nel contempo lo stesso livello di tutela agli investitori

37. una proposta di regolamento relativo all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato) – ottobre 2011;

38. una proposta di regolamento riguardante l'applicazione di sanzioni penali connesse con abusi di mercato - ottobre 2011.

Le proposte sono intese a rafforzare l’integrità dei mercati finanziari dell’UE definendo i reati di abuso di mercato che dovrebbero essere considerati dagli Stati membri come illeciti penali ed essere pertanto oggetto di sanzioni.

Tra le fattispecie individuate figurano l’istigazione, il favoreggiamento, la complicità e il tentativo di commettere un reato, nonché il reato di manipolazione dei parametri, ad esempio quelli relativi ai prestiti interbancari (EURIBOR e LIBOR), non previsto dalla Commissione  nelle versioni originarie delle proposte.

Voto PE previsto giugno 2013 (1° lettura codecisione)

Made in Italy e lotta alla contraffazione

La globalizzazione dei mercati ha provocato effetti economici complessivi complessi. Il venir meno delle barriere di carattere protezionistico alla libera circolazione delle merci ha alimentato il diffondersi di comportamenti anomali, tra questi figura la dilagante imitazione dei prodotti e dei marchi aziendali di alcuni paesi europei da parte di produttori specialmente dell'area asiatica. Gli effetti negativi di questo fenomeno sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del cosiddetto "made in Italy "e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'ossatura portante.

Tutela del Made in Italy

Durante la XVI legislatura il Parlamento è intervenuto a tutela del made in Italy con il decreto-legge 135/2009 (A.C. 2897). Più in particolare l'articolo 16 ha introdotto una regolamentazione dell’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quali «100% made in Italy», «100% Italia», «tutto italiano» o simili, prevedendo una sanzione penale per l’uso indebito di tali indicazioni di vendita ovvero di segni o figure che inducano la medesima fallace convinzione.

Inoltre è stata introdotta una sanzione per la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani, modificando la precedente disciplina in materia. Con riferimento alla norma in esame il Ministero dello sviluppo economico ha emanato una circolare esplicativa.

Sempre al fine di tutelare il made in Italyil legislatore è intervenuto con la legge 99/2009 (A.C. 1441-ter). Più in particolare sono state previste norme che mirano a rafforzare la tutela della proprietà industriale e gli strumenti di lotta alla contraffazione, anche sotto il profilo penale (v. Tutela della proprietà industriale).

Tra le più significative si ricordano:

Presso il Ministero dello sviluppo economico è stato istituito il Consiglio nazionale anticontraffazione, con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento delle azioni intraprese da ogni amministrazione, al fine di migliorare l’azione complessiva di contrasto della contraffazione a livello nazionale.

Per quanto riguarda la materia della proprietà industriale la legge 99/2009 ha introdotto modifiche al relativo Codice  (decreto legislativo 30/2005), incidendo su profili sia di natura sostanziale sia processuale.

Per quanto riguarda i profili sostanziali le modifiche riguardano, tra l’altro, il diritto di priorità per i brevetti di invenzione e per i modelli di utilità e i limiti alla protezione accordata dal diritto d’autore ai disegni e modelli industriali.

Con riferimento ai profili processuali si segnala, tra le altre modifiche, l’eliminazione del riferimento all’applicazione del rito societario per i procedimenti in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale e l’ampliamento delle controversie devolute alle sezioni specializzate.

Inoltre la legge ha delegato il Governo ad adottare disposizioni correttive o integrative del richiamato Codice, anche con riferimento ai profili processuali. A tale previsione, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di decreto iniziale (atto n. 228), è stata data attuazione con il decreto legislativo 131/2010. Il regolamento di attuazione del Codice della proprietà industriale  è stato adottato con D.M. 33/2010.

I settori del Made in Italy

Durante la XVI legislatura sono state emanate alcune leggi che riguardano specifiche produzioni del made in Italy.

Con la legge 55/2010 (A.C. 2624) sono state introdotte disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri (anche con riferimento alla riconoscibilità e tutela dei prodotti italiani).

In particolare la legge istituisce, in tali settori, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione assicurando così la tracciabilità dei prodotti stessi.

Inoltre si consente l’uso dell'indicazione «Made in Italy» esclusivamente per i suindicati prodotti (oltre che per i prodotti conciari e del settore dei divani) le cui fasi di lavorazione, come individuate dallo stesso provvedimento, abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.

Infine, si prevedono sanzioni amministrative pecuniarie e il sequestro e la confisca delle merci nel caso di violazione delle disposizioni del provvedimento, che se reiterata o commessa mediante attività organizzate è soggetta a sanzione penale.

Le amministrazioni italiane competenti - tra cui il Presidente del Consiglio che ha emanato una direttiva recante indirizzi interpretativi pubblicata in G.U. 2 dicembre 2010 - hanno precisato che la legge 55/2010 non può considerarsi applicabile sino a quando non saranno adottate le necessarie norme attuative previste dall’art. 2 della legge medesima.

Con riferimento all'attuazione della legge 55/2010 e alla proposta in sede di Unione europea del marchio di origine obbligatorio per i prodotti importati da paesi extra UE, la X Commissione della Camera nella seduta del 16 novembre 2010 ha approvato il testo unificato (8-00096) delle risoluzioni 7-00411, 7-00426 e 7-00430.

La legge 8/2013 ha, poi, dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia (Commercio dei prodotti di pelle, cuoio e pelliccia), ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini "cuoio", "pelle" e "pelliccia", l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza. 

 

La Commissione d'inchiesta sulla contraffazione

Nella seduta del 13 luglio 2010 la Camera ha approvato, con limitate modifiche, il testo unificato Doc. XXII, n. 12-16-A, istituendo una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Nella seduta del 22 gennaio 2013 è stata approvata la relazione conclusiva della Commissione, oltre alla relazione sulla pirateria digitale in rete. Durante la propria attività la Commissione ha approvato altri documenti:

La proposta di regolamento sul Made in

Una proposta di regolamento relativa all’indicazione del paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da paesi terzi è stata presentata dalla Commissione europea il 16 dicembre 2005 (COM(2005)661).

 La proposta non è mai stata discussa dal Consiglio.

Il Parlamento europeo in sessione plenaria:

-    in data 11 dicembre 2007, ha adottato una dichiarazione nella quale si ribadiva il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato alle informazioni relative agli acquisti;

-    il 25 novembre 2009 ha votato una risoluzione sul marchio d’origine nella quale, tra l’altro, invitava la Commissione e il Consiglio a istituire meccanismi di vigilanza e di lotta contro la frode in campo doganale;

-    il 21 ottobre ha approvato una risoluzione  chiedend che alcuni beni importati da paesi extra UE indichino chiaramente il paese d'origine per aiutare i consumatori a compiere una scelta informata, che vengano erogate sanzioni in caso di violazione delle norme e che si utilizzi l'inglese sulle etichette ovunque nell'Unione.

Il 23 ottobre 2012 la Commissione europea, nell’adottare il programma di lavoro per il 2013, tenendo conto dell’impasse che da anni si registrava in Consiglio, ha indicato tra le proposte legislative pendenti da ritirare quella sul “made in”.

Il 17 gennaio 2013 il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato una ulteriore risoluzione sull'indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi nell'UE in cui si afferma che l'UE deve rendere obbligatorio l'uso del marchio d'origine per tali beni importati nell'UE, quali abiti, scarpe e gioielli e si richiede la presentazione da parte della Commissione europea di una nuova proposta legislativa.

Proposte UE su sicurezza dei prodotti

Il 13 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato due proposte di regolamento sulla sicurezza dei prodotti.

La prima proposta riguarda la sicurezza dei prodotti di consumo ottenuti, sia all’interno che all’esterno dell’UE, mediante un processo di fabbricazione. Contiene norme volte ad assicurarne la piena tracciabilità mediante l’obbligatorietà dell’indicazione di origine, nonché tramite la fissazione di regole specifiche per produttori, importatori e distributori.

Per i beni prodotti in Europa, l'impresa potrà scegliere se indicare genericamente "Made in Europe" o, più specificamente, ad esempio: " Made in Italy” o “Made in Germany" o "Made in Slovakia" o "Made in France".

La seconda proposta riguarda la sorveglianza del mercato dei prodotti e punta ad un maggiore ed efficace coordinamento tra le autorità di sorveglianza anche rispetto ai risultati delle diverse attività di controllo.

 

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Commercio dei prodotti di pelle, cuoio e pelliccia

Sulla G.U. n. 25 del 30 gennaio 2013 è stata pubblicata la legge 8/2013 recante nuove regole per la definizione, lavorazione e commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, approvata definitivamente in sede legislativa dalla X Commissione Attività produttive della Camera nella seduta del 19 dicembre 2012.

La lavorazione dei prodotti di cuoio, pelle e pellccia è stata fino ad oggi regolata dalla legge 16 dicembre 1966, n.1112; al fine di meglio tutelare la qualità delle produzioni italiane, il Parlamento ha riscritto le regole relative alla commercializzaizone di tali prodotti, prevedendo, in particolare che:



Dossier pubblicati

Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini "cuoio", "pelle" e "pelliccia" e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi - A.C. 5584 - Elementi per l'istruttoria legislativa

Approfondimento: Settore gemmologico

L'Assemblea della Camera ha approvato nella seduta del 30 novembre il testo unificato delle proposte n. 225 (Mazzocchi) e 2274 (Mattesini ed altri), volto all'introduzione di una regolamentazione del settore commerciale dei materiali gemmologici, a garanzia sia degli operatori che dei consumatori. Il provvedimento, trasmesso al Senato, non ha completato l'iter previsto.

Il provvedimento intendeva fornire una disciplina organica alla commercializzazione dei materiali utilizzati nella produzione di gioielli, di monili e di oggettistica in genere: minerali di origine naturale; minerali sintetici; prodotti artificiali; perle naturali e altri materiali organici di origine animale o vegetale, tradizionalmente utilizzati in gioielleria; perle coltivate o altrimenti denominate; imitazioni di perle.

Erano, a tal fine, fornite le definizioni di: materiale gemmologico; materiale gemmologico naturale, trattato, sintetico, artificiale, composito, agglomerato; vetro artificiale; perla naturale; perla coltivata o di coltura, con o senza nucleo; imitazione di perla o perla imitazione.

Era previsto l'obbligo di applicare le relative denominazioni ai materiali citati, utilizzando una nomenclatura individuata attraverso il rinvio alla norma UNI EN 10245 (norma tecnica riguardante la nomenclatura dei materiali gemmologici). Era vietato quindi l’uso dei termini «semiprezioso» e «fino». Specifiche denominazioni erano previste per le perle naturali e coltivate (o di coltura). La denominazione dei materiali gemmologici trattati doveva essere completata dall’indicazione del trattamento subito.

Il provvedimento vietava l’importazione, l’esposizione, e la detenzione a scopo di vendita, la vendita o la distribuzione a titolo gratuito di materiali e di prodotti gemmologici la cui denominazione risulti diversa da quella prevista dal testo unificato.

Le denominazioni previste dal provvedimento dovevano essere indicate su tutti i documenti commerciali o pubblicitari riferiti al prodotto, e sulle etichette o i cartellini che lo accompagnano. 

Veniva prevista, da parte del Ministero dello Sviluppo economico, la realizzazione di campagne di comunicazione pubbliche, con cadenza almeno annuale, dirette a promuovere nei consumatori la conoscenza delle problematiche connesse alla qualità delle gemme.

Alle regioni veniva data la facoltà di promuovere corsi di qualificazione per i soggetti che operano nel mercato gemmologico, per sviluppare la conoscenza dei materiali, la loro lavorazione e commercializzazione.

Il provvedimento poneva in capo al venditore l'obbligo di rilasciare, su richiesta dell’acquirente, una dichiarazione in cui sono descritti i materiali gemmologici venduti (siano essi sfusi o montati). La dichiarazione veniva resa obbligatoria in caso di vendite a distanza o al di fuori dei locali commerciali. In caso di controversie sul suo contenuto, la risoluzione veniva demandata ad un collegio arbitrale istituito presso la Camera di commercio nella cui circoscrizione ha sede l’acquirente.

Si rendeva inoltre possibile l'autorizzazione di laboratori abilitati, iscritti in un apposito elenco tenuto dalle camere di commercio, ad effettuare un'analisi dei materiali gemmologici e rilasciare le relative certificazioni, rafforzando in tal modo la tutela degli acquirenti.

Venivano disposte sanzioni pecuniarie in caso di violazione della disciplina prevista dal provvedimento, salvo che il fatto costituisca reato. In caso di reiterazione delle violazioni, alle sanzioni amministrative pecuniarie consegue la sospensione dell’esercizio dell’attività per un periodo da quindici giorni a sei mesi.

I materiali gemmologici, sfusi o montati, legalmente prodotti o commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o dello Spazio economico europeo potevano essere liberamente immessi sul mercato nazionale, qualora sia garantito un grado di tutela e di informazione del consumatore equivalente a quello previsto dal provvedimento.

Era prevista, infine, l’emanazione di un regolamento di attuazione della legge, entro sei mesi dall’entrata in vigore.



Dossier pubblicati

Mercato dei materiali gemmologici A.C. 225-2274-A - Testo unificato - Elementi per l'esame in Assemblea

Turismo

Durante la XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale.

L’attività turistica  è uno dei settori economici che ha avuto la crescita maggiore a livello mondiale negli ultimi anni. Infatti, la spesa dei turisti per viaggi all’estero è raddoppiata e si prevede che nei prossimi dieci anni aumenti di un ulteriore 50%. Il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell’Italia ammonta a oltre 130 miliardi di euro (circa il 9% della produzione nazionale) e le persone impegnate in questo settore sono circa 2,2 milioni (un lavoratore su dieci).

Le disposizioni emanate nel settore sono state finalizzate a:

Ulteriori misure hanno interessato la tutela del consumatore-turista con riferimento ai "viaggi tutto compreso" e la pubblicità ingannevole delle compagnie marittime (v. Tutela del consumatore turista).

Più in particolare:

Inoltre la necessità di costituire un corpus organico di norme e un coordinamento sistematico delle disposizioni normative vigenti nel settore, dove insistono diversi livelli di Governo statale, regionale edc europea, ha costituito il presupposto per l’emanazione del [[Scheda: codice_del_turismo|Codice del turismo]] (allegato 1 del decreto legislativo 79/2011). La Corte Costituzionale, tuttavia, ha dichiarato l'illegittimità di numerose disposizioni contenute nel provvedimento.

Infine per coordinare una serie di azioni  e rilanciare l’Italia nel turismo internazionale (v. Rilancio del turismo) è stato previsto un Piano di sviluppo del turismo, di durata quinquennaleche ed aggiornabile ogni due anni.

Tale piano, presentato alla fine della legislatura, ha messo in risalto come l’Italia ha ancora un ruolo rilevante nel turismo internazionale, ma stenta a tenere il passo della crescita del settore e tende a perdere quota di mercato nei confronti dei suoi tradizionali concorrenti europei. ll turismo comunque rappresenta per il nostro Paese un settore rilevante, con un peso significativo nell’economia nazionale, generando maggiori opportunità di lavoro rispetto ad altri settori industriali considerati prioritari.

Le analisi mettono chiaramente in luce le criticità dell’industria turistica italiana:

Di fronte a queste criticità, il piano strategico propone alcune linee guida e individua un numero rilevante di azioni concrete che potrebbero rapidamente migliorare la competitività del settore turistico nazionale.

Per invertire questo andamento negativo il piano prevede uno sforzo mirato, coordinato e di lungo periodo, dove le politiche per il turismo devono esser poste al centro dell’Agenda del Governo e del Paese.

Più in particolare il piano prevede sette linee di intervento fondamentali e circa 60 azioni concrete da realizzare. Le sette linee guida sono:

  1. Governance: potenziamento del supporto e del coordinamento centrale.
  2. Rilancio dell’Agenzia Nazionale del Turismo: riprogettazione della missione e dell’organizzazione, in linea con le migliori agenzie nazionali per il Turismo.
  3. Miglioramento dell’offerta: focus su 30-40 poli prioritari, innovazione e segmenti affluent e BRIC.
  4. Ricettivo: riqualifica e consolidamento.
  5. Trasporti e infrastrutture: evoluzione coerente con i bisogni del turismo.
  6. Formazione e competenze: riqualificazione dell’istruzione turistica e attrattività delle professioni.
  7. Investimenti: attrazione tramite incentivi specifici e “burocrazia zero”.

Approfondimenti

Approfondimento: Codice del turismo

Il Codice del Turismo

Il Codice del turismo, varato definitivamente con il decreto legislativo 79/2011, per promuovere il mercato del turismo e rafforzare la tutela del consumatore, avrebbe dovuto intervenire nella materia fissando punti di riferimento univoci al fine di un coordinamento tra Stato e Regioni, nell’ambito delle rispettive competenze. Inoltre avrebbe dovuto operare un riordino e una razionalizzazione complessiva delle disposizioni vigenti nella materia. La sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2012, accogliendo i ricorsi presentati dalle Regioni sotto il profilo del mancato rispetto da parte del d.lgs. dei limiti della delega legislativa, la cui vigenza è oggi limitata alle sole parti inerenti il “diritto privato del turismo”, perdendo così definitivamente ogni carattere di sistematicità ed organicità.

Il decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (G.U. n. 129 del 6 giugno 2011), emanato dopo l'espressione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari sullo schema di decreto iniziale (atto n. 327 ), conteneva due distinti interventi normativi:

Il Codice del turismo (allegato 1 del decreto legislativo 79/2011) era finalizzato a promuovere e tutelare il mercato del turismo tramite il coordinamento sistematico delle disposizioni normative vigenti nel settore, nel rispetto della competenza legislativa regionale e dell'ordinamento dell'Unione europea.

Numerosi concetti e definizioni contenuti nella disciplina previgente (in particolare la legge 135/2001) sono stati ripresi e talvolta integrati e innovati, come nel caso della definizione di impresa turistica: imprese che esercitano attività economiche, organizzate per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti, di servizi, tra cui gli stabilimenti balneari, di infrastrutture e di esercizi, compresi quelli di somministrazione facenti parte dei sistemi turistici locali, concorrenti alla formazione dell'offerta turistica. (articolo 4 del Codice). Tale norma non è stata dichiara incostituzionale come le norme sulle professioni turistiche (articoli 6 e 7). In relazione a queste ultime, il Codice ha dettato una nuova norma sui “percorsi formativi” per l’inserimento nel mercato del lavoro turistico, dedicando un’attenzione particolare alla creazione di collegamenti con il mondo della formazione, tramite la stipula di accordi o convenzioni con istituti di istruzione, anche universitaria, con altri enti di formazione e con gli ordini professionali per lo svolgimento di corsi orientati alla preparazione dei giovani operatori.

La disciplina dello svolgimento dell'attività ricettiva, già contenuta in norme diverse di varie leggi, tra cui la citata legge 135/2001, e riunita organicamente nel Titolo III del nuovo Codice del turismo è stata dichiarata incostituzionale Anche la disciplina in tema di inizio attività e, in genere, quella sugli adempimenti amministrativi cui sono soggette le strutture turistico-ricettive disciplinata nell’articolo 16 del Codice, è stata dichiarata in costituzionale. Tale disposizione intendeva semplificare gli adempimenti amministrativi delle strutture turistiche, assoggettando a segnalazione certificata di inizio attività – SCIA (di cui all’art. 19 della legge 241/1990) l’avvio e l’esercizio delle strutture ricettive, che comunque sarebbero rimasti assoggettati al rispetto delle norme in materia ambientale, edilizia, urbanistica, igienico sanitaria, prevenzione incendi e sicurezza nei luoghi di lavoro.

In materia di classificazione e standards delle strutture ricettive il Codice aveva dettato un regime organico (articoli da 8 a 15), distinguendo fra strutture alberghiere/paralberghiere, extralberghiere, strutture ricettive all’aperto e strutture ricettive di mero supporto e dettando, per ciascuna di queste categorie, una serie di specifiche prescrizioni. Tali disposizioni sono state dichiarate incostituzionali.

Sono ancora in vigore le norme che disciplinano in modo organico (articoli da 32 a 51) i  pacchetti turistici e la tutela del consumatore turista, che hanno assorbito le normative preesistenti contenute nel Codice del Consumo ed integrandole con nuove disposizioni. Alla tutela del consumatore turista, sotto il profilo della qualità del servizio e della soluzione delle controversie, il nuovo Codice del Turismo aveva dedicato anche altre norme che sono state pero dichiarate incostituzionali come la norma di principio sul turismo accessibile (articolo 3) e quella sulla promozione del turismo con animali domestici al seguito (articolo 30). Rimangono vigenti invece gli articoli 66 e 67 rispettivamente concernenti la “Carta dei servizi turistici pubblici” e la composizione (mediazione) delle controversie in materia di turismo.

Una delle novità più significative del provvedimento consiste nell’esplicita affermazione della risarcibilità del “danno da vacanza rovinata” (art. 47) finora elaborazione giurisprudenziale (peraltro di difforme applicazione) finalizzata alla risarcibilità dello specifico danno non patrimoniale consistente nello stress e nel disagio subito per non aver potuto godere della vacanza immaginata. Il danno da vacanza rovinata viene definito come il danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso e all’irripetibilità dell’occasione perduta. Si tratta quindi di un pregiudizio di natura non patrimoniale e contrattuale, risarcito come conseguenza dell’inadempimento o dell’inesatta esecuzione delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico. Di rilievo appare, inoltre, la definizione della nozione di "inesatto adempimento" delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico (art. 43), oltre che la disciplina degli obblighi assicurativi a carico dell’organizzatore e dell’intermediario (art. 50).

Infine, un altro profilo di novità del Codice del turismo riguarda la promozione di circuiti turistici tematici e di eccellenza, al fine di superare la frammentazione dell’offerta turistica e di promuovere un’offerta tematica di dimensione nazionale. In questa prospettiva si inseriscono le norme del titolo V che prevedono, fra l'altro, la definizione di circuiti turistici di eccellenza ripartiti tra 13 grandi aree tematiche (dal turismo della montagna a quello del mare, dal turismo religioso a quello congressuale, dal turismo culturale a quello giovanile, ecc.), cui sono dedicate poi specifiche disposizioni. Nella stessa logica si muovono le nuove disposizioni, inserite nel Capo II del titolo VII del Codice (articoli da 59 a 65), che disciplinano la promozione dell’eccellenza turistica italiana mediante il rilascio di specifiche attestazioni e la attribuzione di riconoscimenti e premi per le imprese e gli imprenditori che si sono distinti nel settore.

Altro rilevante intervento del decreto - in attuazione della direttiva 2008/122/CE - riguarda le modifiche alla disciplina della multiproprietà (art. 2) contenuta nel Codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005). E' stato, in particolare, esteso l’ambito di applicazione di tale disciplina , da un lato ampliando la stessa definizione di “contratto di multiproprietà”, dall'altro estendendo detta disciplina a tipologie contrattuali ulteriori. A tutela del contraente consumatore vanno, poi, segnalate le nuove disposizioni sulla completezza delle informazioni precontrattuali, sul contenuto minimo del contratto nonché sull'ampliamento del diritto di recesso che - ove correttamente esercitato - diversamente dalla disciplina previgente, non comporta alcuna spesa per il consumatore.



La sentenza della Corte Costituzionale

Con sentenza n. 80 del 2 aprile 2012, pronunciata nel giudizio promosso dalle Regioni Toscana, Puglia, Umbria e Veneto, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, nella parte in cui dispone l’approvazione dell’allegato 1 (Codice del turismo) ed in particolare dell’art. 1 dell’allegato stesso nella parte in cui prevede le disposizioni del Codice quali «necessarie all’esercizio unitario delle funzioni amministrative» e «ed altre norme in materia», nonché degli artt. 2, 3, 8, 9, 10, 11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 30, comma 1, 68 e 69 dell’allegato 1 del D.Lgs. n. 79 del 2011, attribuendo competenze statali in materia di turismo in violazione delle disposizioni previste nella legge delega 28 novembre 2005, n. 246.

In sintesi le motivazioni alla base della incostituzionalità possono esser ricondotte in generale all’eccesso di delega in quanto la stessa aveva come finalità quella di realizzare una generale semplificazione del sistema normativo statale, mediante abrogazione di leggi ormai superate, raggruppamento di quelle superstiti per settori omogenei, con armonizzazione delle stesse e non comprendeva il riassetto generale dei rapporti tra Stato e regioni in materie non di competenza esclusiva statale, ai sensi dell’articolo 117,  comma 2 della Costituzione.



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Esito dei pareri al Governo - D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79 - Codice del turismo e Contratti di multiproprietà - (Schema di D.Lgs. n. 327) - Schede di lettura

Approfondimento: Rilancio del turismo

 

Durante la XVI legislatura sono state emanate alcune disposizioni per aumentare la competitività del turismo al fine di riqualificare e rilanciare l’offerta turistica a livello nazionale e internazionale, di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori del Distretto, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione dei servizi, di assicurare garanzie e certezze giuridiche alle imprese che vi operano con particolare riferimento alle opportunità di investimento, di accesso al credito, di semplificazione e celerità nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Più in particolare il legislatore ha attuato politiche del rilancio del turismo con disposizioni contenute in diversi provvedimenti.

La legge 69/2009 (A.C. 1441-bis) ha previsto diverse misure di sostegno tra cui quella dell’articolo 18 che - novellando una disposizione della finanziaria 2007 recante stanziamenti finalizzati al sostegno del turismo per il triennio 2007-2009 – prevede la stipula di appositi protocolli di intesa con le regioni e gli enti locali, da parte del Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo della Presidenza del Consiglio dei ministri, che consentano la realizzazione di progetti di eccellenza per lo sviluppo e la promozione del sistema turistico nazionale, nonché per il recupero della sua competitività sul piano internazionale. Per il cofinanziamento delle iniziative e dei progetti presentati in attuazione dei protocolli d’intesa la legge ha stanziato 48 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Al cofinanziamento delle iniziative e dei progetti in questione, attraverso accordi di programma con le regioni territorialmente interessate, provvede lo stesso Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo. La legge è intervenuta anche, all’articolo 19, in merito alla composizione e alle modalità di nomina del consiglio di amministrazione dell’Agenzia nazionale del turismo, nata dalla trasformazione dell’ENIT. I membri del consiglio, nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sono stati ridotti da tredici a nove, oltre al Presidente, ed è stato previsto l’intervento alle riunioni, senza diritto di voto, del capo del Dipartimento per lo sviluppo e la competitività del turismo; la ripartizione fra le amministrazioni e le associazioni di categoria dei nove seggi è stata rinviata ad un decreto del Ministro del turismo. Il regolamento di organizzazione dell'ENIT-Agenzia nazionale del turismo è stato approvato con D.M. 21 gennaio 2010.

Il decreto-legge 70/2011 (Il decreto-legge per il semestre europeo , A.C. 4357) ha previsto la procedura per la nascita, nei territori costieri, dei Distretti turistico-alberghieri (art. 3, commi 4-6). I Distretti possono esser creati nei territori costieri su richiesta delle imprese del settore che operano nei medesimi territori. La delimitazione dei territori è effettuata entro il 30 giugno 2013 dalle Regioni d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze e con i Comuni interessati, previa conferenza di servizi. Alla conferenza di servizi deve sempre partecipare l’Agenzia del demanio. La formalizzazione della loro istituzione avviene tramite un D.P.C.M. previa intesa con le regioni interessate. Ai Distretti costituiti in rete si applicano una serie di disposizioni agevolative in materia amministrativa, finanziaria e per la ricerca e lo sviluppo. Fra l’altro, costituiscono “Zone a burocrazia zero” ed è prevista l’attivazione di sportelli unici di coordinamento delle attività delle Agenzie fiscali e dell’INPS.

Il Decreto legge 83/2012 ha razionalizzato la struttura organizzativa dell’ENIT, ha previsto l’incentivazione dei flussi turistici verso l’Italia, ha favorito la costituzione di reti d’impresa nel settore, ha previsto interventi per la sicurezza del turismo montano nonché percorsi universitari al fine di potenziare l’offerta formativa nel settore turistico. Più in particolare l’articolo 41, comma 3 prevede che l'ENIT - Agenzia nazionale per il turismo, operi all'estero nell'ambito delle Rappresentanze diplomatiche e consolari con modalità stabilite con apposita convenzione stipulata tra l'ENIT, il Ministero degli affari esteri e l'Amministrazione vigilante su ENIT. Il personale dell'ENIT all'estero, individuato nel limite di un contingente massimo di cinquanta unità definito in dotazione organica, può essere accreditato, previo nulla osta del Ministero degli affari esteri. L’articolo 41-bis prevede maggiori risorse al fine di migliorare i servizi offerti a cittadini e imprese dalla rete all'estero del Ministero degli affari esteri, nell'ottica di favorire maggiori flussi imprenditoriali e turistici verso l'Italia e di accelerare i tempi di rilascio dei visti ed incentivare la promozione delle relazioni economiche in ambito internazionale. L’articolo 66 favorisce la creazione di reti di impresa e di filiera tra le aziende del comparto turistico del territorio nazionale. I criteri e modalità per la realizzazione di progetti pilota e per l’erogazione dei contributi sono definiti con uno o più decreti del Ministro per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I contributi saranno comunque finalizzati alla messa a sistema degli strumenti informativi di amministrazione, di gestione e di prenotazione dei servizi turistici, alla attivazione di iniziative di formazione e riqualificazione del personale, alla promozione integrata sul territorio nazionale ed alla promozione unitaria sui mercati internazionali, in particolare attraverso le attività di promozione dell'ENIT - Agenzia Nazionale del Turismo. L’articolo 66-bis istituisce un Fondo nazionale integrativo per la sicurezza del turismo in montagna, con una dotazione pari a un milione di euro. Potranno esser finanziati i progetti rientranti tra le seguenti tipologie:

L’articolo 67 istituisce una Fondazione di Studi Universitari e di Perfezionamento sul Turismo. Tale Fondazione avrà sede in una delle Regioni di cui all'obiettivo Convergenza individuata dallo Statuto. Il compito principale della Fondazione sarà quello di progettazione, predisposizione e attuazione di corsi di formazione superiore e di formazione continua, anche tramite terzi, volti allo sviluppo di competenze imprenditoriali, manageriali e politico-amministrativo per il settore turistico. La Fondazione opera prioritariamente in collaborazione con le Università degli Studi individuate dallo Statuto.

Il decreto legge 179/2012 ha favorito il rilancio delle imprese turistico balneari e ha previsto il piano strategico di sviluppo del turismo in Italia. L’articolo 34-quater ha fornito una nuova definizione di imprese turistico balneari ricomprendendovi sia quelle classificate all'articolo 01, comma 1, lettere b), c), d) ed e), del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, che si svolgono su beni del demanio marittimo, sia le attività di stabilimento balneare, anche quando le strutture sono ubicate su beni diversi dal demanio marittimo. Le regioni sono chiamate a fissare gli indirizzi per lo svolgimento delle attività accessorie degli stabilimenti balneari, quali l'esercizio di somministrazione di alimenti e bevande e gli intrattenimenti musicali e danzanti, nel rispetto delle particolari condizioni di tutela dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, nonché dell'ordine pubblico, dell'incolumità e della sicurezza pubblica. Tali attività accessorie devono essere effettuate entro gli orari di esercizio cui sono funzionalmente e logisticamente collegate e devono svolgersi nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica, igienico-sanitaria e di inquinamento acustico. Gli indirizzi regionali sono recepiti a livello comunale con apposita ordinanza del sindaco, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità. L’articolo 34-quinquies  ha previsto il Piano di sviluppo del turismo che è adottato dal Governo, ma nella sua predisposizione coinvolge diversi soggetti istituzionali, tra cui il Ministro con delega al turismo, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e, infine, le Commissioni parlamentari. Il piano strategico ha una durata almeno quinquennale ed è aggiornato ogni due anni. Il Ministro con delega al turismo adotta ogni anno, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, un programma attuativo delle linee strategiche individuate dal piano stesso.



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Approfondimento: Tutela del consumatore turista

Il decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 (Codice del turismo emanato dopo l'espressione dei pareri delle competenti Commissioni parlamentari sullo schema di decreto iniziale (atto n. 327 ), prevede una serie di disposizioni in materia di tutela del consumatore (articoli da 32 a 51). Tali disposizioni erano in precedenza contenute nel Codice del consumo (decreto legislativo 206/2005) agli articoli artt. 82-100, disposizioni abrogate dall’articolo 51 del D.Lgs. 79/2011. Alla tutela del consumatore turista, sotto il profilo della qualità del servizio, il nuovo Codice aveva dedicato anche altre norme che sono state pero dichiarate incostituzionali come la norma di principio sul turismo accessibile (articolo 3) e quella sulla promozione del turismo con animali domestici al seguito (articolo 30). Rimangono vigenti invece gli articoli 66 e 67 rispettivamente concernenti la “Carta dei servizi turistici pubblici” e la composizione (mediazione) delle controversie in materia di turismo. Inoltre con la legge 99/2009 sono state emanate altre misure contro la pubblicità ingannevole delle compagnie marittime.



Pacchetti turistici

L’articolo 34 del Decreto Legislativo 23 maggio 2011, n. 79, delinea le caratteristiche fondamentali che il cosiddetto pacchetto turistico deve possedere al fine di accedere alla tutela prevista dal Fondo di garanzia. Più in particolare i pacchetti turistici devono avere ad oggetto i viaggi, le vacanze, i circuiti tutto compreso, le crociere turistiche, risultanti dalla combinazione, da chiunque ed in qualunque modo realizzata, di almeno due degli elementi di seguito indicati, venduti od offerti in vendita ad un prezzo forfetario:

La fatturazione separata degli elementi di uno stesso pacchetto turistico non sottrae l’organizzatore o il venditore agli obblighi di legge.



 Fondo nazionale di garanzia

L’articolo 51 del Decreto Legislativo 23 maggio 2011, n. 79 istituisce il Fondo nazionale di garanzia con le seguenti modalità di funzionamento: più in particolare interviene, in caso di insolvenza o fallimento dell’organizzatore o dell’intermediario di pacchetti turistici, per:

Le istanze di rimborso presentate al Fondo sono valutate, ai fini della loro accoglibilità, dal Comitato di gestione, presieduto dal Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo o suo delegato, e composto da tre rappresentanti, rispettivamente del Ministero Affari esteri, del Ministero Sviluppo Economico e  del Ministero Economia e Finanze.

Il Fondo interviene esclusivamente nei casi in cui il pacchetto turistico, come definito dall’art. 34 del Codice del Turismo, sia stato venduto sul territorio nazionale da organizzatore o intermediario legalmente operante ai sensi della legislazione nazionale, che sia fallito o insolvente.

Il Fondo viene alimentato esclusivamente da una quota pari al 2% dell’ammontare del premio delle polizze di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile verso il consumatore per risarcimento danni. Tali somme sono attualmente quantificabili, in media, in circa 230.000 euro annui. Il Fondo non interviene laddove venga richiesto risarcimento per danni da vacanza rovinata o altri eventuali danni morali, nonché quando l’istanza di rimborso riguardi contratti diversi da quelli aventi ad oggetto l’acquisizione di un pacchetto turistico, quali ad esempio i contratti per l’acquisto dei punti freepoints, solo volo.



Pubblicità ingannevole delle compagnie marittime

L'art. 22 della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) prevede l’inserimento nel Codice del consumo di una disposizione con cui si stabilisce che è considerata ingannevole la pubblicità riguardante le tariffe praticate dalle compagnie marittime che reclamizzi il prezzo del biglietto dovuto alla compagnia marittima separatamente dagli oneri accessori, dalle tasse portuali e da tutti gli oneri comunque destinati a gravare sul consumatore, dovendo la compagnia marittima pubblicizzare un unico prezzo che includa tutte queste voci.

La salvaguardia degli assetti strategici

Con lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, il legislatore è intervenuto ridisciplinando organicamente (con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21) la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo in tale settore, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea.

La nuova disciplina dei poteri speciali

Per mezzo del decreto-legge n. 21 del 2012 sono stati ridefiniti, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria (DPCM), l’ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio da parte dello Stato (in particolare, del Governo) dei cosiddetti “poteri speciali”, attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici.

Per “poteri speciali” si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazioni. L’obiettivo del provvedimento è di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che si ricollega agli istituti della "golden share" e "action spécifique" – previsti rispettivamente nell’ordinamento inglese e francese - e che in passato era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia UE.

Per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato una apposita Comunicazione, con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su "criteri obiettivi, stabili e resi pubblici" e se è giustificato da "motivi imperiosi di interesse generale". Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico.

Nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito. Gli indirizzi contenuti nella predetta Comunicazione hanno costituito la base per l’avvio da parte della Commissione delle procedure di infrazione nei confronti delle disposizioni del decreto-legge n. 332/1994, recanti la disciplina generale dei poteri speciali. Procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato anche il Portogallo, il Regno Unito, la Francia, il Belgio, la Spagna e la Germania.

 Nel dettaglio, il decreto-legge reca anzitutto (all’articolo 1) la nuova disciplina dei poteri speciali esercitabili dall’esecutivo rispetto alle imprese operanti nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale.

La principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell’ambito operativo della nuova disciplina, che consente l’esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Per effetto delle norme in commento, alla disciplina secondaria (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) saranno affidate le seguenti funzioni:

Le norme fissano puntualmente il requisito per l’esercizio dei poteri speciali nei comparti della sicurezza e della difesa, individuato nella sussistenza di una minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale. L’esecutivo potrà imporre specifiche condizioni all’acquisto di partecipazioni in imprese strategiche nel settore della difesa e della sicurezza; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni straordinarie o di particolare rilevanza, ivi incluse le modifiche di clausole statutarie eventualmente adottate in materia di limiti al diritto di voto o al possesso azionario; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale. Sono poi disciplinati gli aspetti procedurali dell'esercizio dei poteri speciali e le conseguenze che derivano dagli stessi o dalla loro violazione. Sono nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o inadempimento delle condizioni imposte. 

Con il D.P.C.M. 30 novembre 2012, n. 253 è stato adottato il regolamento che individua le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale al fine dell’esercizio dei poteri speciali e gli atti/operazioni infragruppo esclusi dall’ambito operativo della nuova disciplina.

 L’articolo 2 reca la disciplina dei poteri speciali nei comparti dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Con disposizioni simili a quelle previste dall’articolo 1 del provvedimento per il comparto sicurezza e difesa, alla disciplina secondaria - attraverso regolamenti (anziché DPCM) da adottare previo parere delle Commissioni parlamentari competenti - sono affidate le seguenti funzioni:

I poteri speciali esercitabili nel settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni consistono nella possibilità di far valere il veto dell’esecutivo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, ovvero imporvi specifiche condizioni; di porre condizioni all'efficacia dell'acquisto di partecipazioni da parte di soggetti esterni all’UE in società che detengono attivi “strategici” e, in casi eccezionali, opporsi all'acquisto stesso. Le norme, in rapporto alle tipologie di poteri esercitabili e alle loro modalità di esercizio, ripropongono – con alcune differenze - la disciplina prevista dall’articolo 1 in relazione alle società operanti nel comparto difesa e sicurezza, secondo quanto segnalato di seguito.

Gli obblighi di notifica sono estesi alle delibere, atti o operazioni aventi ad oggetto il mutamento dell’oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie riguardanti l’introduzione di limiti al diritto di voto o al possesso azionario. Il veto alle delibere, atti o operazioni può essere espresso qualora essi diano luogo a una situazione eccezionale, non disciplinata dalla normativa – nazionale ed europea - di settore, di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi pubblici relativi alla sicurezza e al funzionamento delle reti e degli impianti e alla continuità degli approvvigionamenti, ivi compresi le reti e gli impianti necessari ad assicurare l’approvvigionamento minimo e l’operatività dei servizi pubblici essenziali. Nel computo della partecipazione rilevante ai fini dell’acquisto si tiene conto della partecipazione detenuta da terzi con cui l’acquirente ha stipulato patti parasociali. Anche per le violazioni di cui al presente articolo è prevista la sanzione della nullità degli atti.

Sui regolamenti di attuazione è previsto un parere rinforzato del Parlamento: qualora i pareri espressi dalle Commissioni parlamentari competenti rechino identico contenuto, il Governo, ove non intenda conformarvisi, trasmette nuovamente alle Camere lo schema di regolamento, indicandone le ragioni in un'apposita relazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti sono espressi entro il termine di venti giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine, il regolamento può essere comunque adottato.

 L'articolo 3 reca norme transitorie e abrogazioni al fine di includervi tutti i provvedimenti riguardanti la previgente disciplina. Si prevede inoltre una condizione di reciprocità operante per l'acquisto, da parte di un soggetto estraneo all'Unione europea, di partecipazioni in società che detengono attivi di rilevanza strategica.

È quindi abrogata la disciplina dei poteri speciali indicata dall'articolo 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, la quale ha luogo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti ovvero dei regolamenti che completano l’individuazione dei singoli settori.

L’articolo novella, inoltre, l'articolo 3, comma 1, del citato decreto-legge n. 332/94, prevedendo che la facoltà – ivi prevista - di introdurre nello statuto societario un limite massimo di possesso azionario trovi applicazione con riferimento alle società a controllo diretto o indiretto pubblico operanti nei settori della difesa, della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e degli altri pubblici servizi (secondo le modifiche intervenute in sede parlamentare).

S’introducono, infine, alcune novelle al codice del processo amministrativo, volte a estendere il rito abbreviato e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (TAR del Lazio) ai provvedimenti adottati nell'esercizio dei poteri speciali nei settori disciplinati dal decreto-legge.

Il nuovo articolo 3-bis prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri trasmetta al Parlamento una relazione sull’attività svolta sulla base dei poteri attribuiti, con particolare riferimento ai casi specifici e agli interessi pubblici che hanno motivato l’esercizio di tali poteri.

 Si rinvia ai dossier in calce al presente documento per una sintetica cronistoria della disciplina antecedente il D. L. 21/2012 e le relative censure sollevate nel tempo in sede europea.

 

 

Altri poteri speciali

In via generale occorre ricordare che, oltre alla disciplina della “golden share”, altri interventi normativi hanno perseguito - con diverse modalità – scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l’economia nazionale.

In particolare, ulteriori diritti speciali in capo all’azionista pubblico sono stati previsti nella disciplina codicistica delle società, nonché, successivamente, nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che ha introdotto nell’ordinamento italiano la cd. “poison pill” (pillola avvelenata) che consente, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile riguardante società partecipate dalla mano pubblica, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l’azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata non concordata. Nella medesima logica di salvaguardia delle società d’interesse nazionale, s’innesta, da ultimo, l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, che ha autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese. In particolare, sono state definite "di rilevante interesse nazionale" le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi.

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Documenti e risorse web

Brevetto unico europeo

Il 17 dicembre 2012 sono stati adottati i regolamenti (UE) n. 1257/2012 e n. 1260/2012 riguardanti l'attuazione di una cooperazione rafforzata rispettivamente per la creazione di una tutela brevettuale unitaria (cosiddetto "brevetto unico europeo") e per il relativo regime linguistico. I due regolamenti si applicheranno a decorrere dal 1° gennaio 2014 o dalla data di entrata in vigore dell'accordo su un tribunale unificato dei brevetti, se successiva. L'Italia sarà per il momento esclusa dal nuovo regime di brevetti in quanto ha deciso di non aderire alla cooperazione rafforzata, unitamente alla Spagna.

La cooperazione rafforzata

La cooperazione rafforzata è una procedura prevista dal Trattato di Lisbona che consente ad almeno 9 Stati membri di raggiungere determinati obiettivi qualora questi non possano essere conseguiti entro un termine ragionevole dall'UE nel suo insieme.

I regolamenti adottati dall’UE autorizzano la cooperazione rafforzata, rispettivamente per la creazione di unatutela brevettuale unitaria (cosiddetto “brevetto unico europeo”) regolamento (UE) n. 1257/2012  e per il relativo regime linguistico regolamento (UE) n. 1260/2012.

Il ricorso alla cooperazione rafforzata, autorizzata con una decisione del 10 marzo 2011 è stato considerato necessario al fine di sbloccare l’esame del dossier relativo al brevetto unico europeo in occasione dei negoziati in sede di Consiglio. In seno a quest’ultimo, infatti, non si era riusciti a raggiungere l'unanimità richiesta per l’adozione del regolamento relativo al brevetto unico europeo a causa di forti divergenze tra gli Stati membri in relazione al regime di traduzione proposto. L’Italia e la Spagna, infatti, avevano posto il veto, ritenendo lesiva del principio di parità linguistica la proposta della Commissione di utilizzare per le traduzioni del futuro brevetto unico europeo una delle lingue ufficiali dell’Ufficio europeo dei brevetti (UEB), vale a dire inglese, francese o tedesco.

La cooperazione rafforzata è stata sostenuta da tutti gli Stati membri dell’UE, ad eccezione di Italia e Spagna. Pertanto, una volta entrati in vigore i regolamenti attuativi, il brevetto unico europeo sarà valido per i 25 Stati che hanno aderito alla cooperazione rafforzata, mentre Italia e Spagna potranno aderire successivamente in qualsiasi momento.

Obiettivi del brevetto unico europeo

Considerato che la complessità e i costi elevati dell’attuale sistema brevettuale determinano un notevole svantaggio competitivo per le imprese europee, l’obiettivo perseguito dai regolamenti in esame è quello di:

Il ricorso dell'Italia alla Corte di giustizia

Il 31 maggio 2011 il Governo italiano ha presentatoalla Corte di giustizia dell’UE un ricorso per chiedere l’annullamento della decisione che autorizzava la cooperazione rafforzata (analogo ricorso è stato presentato dal Regno di Spagna). Secondo i motivi del ricorso quest’ultima violerebbe il Trattato sull’UE in quanto esso prevede il ricorso alla cooperazione rafforzata solamente nel quadro delle competenze non esclusive dell’UE, mentre la creazione di "titoli europei" rientrerebbe tra le sue competenze esclusive. Inoltre, il Governo italiano sostiene che la cooperazione rafforzata oggetto del ricorso recherebbe pregiudizio al mercato interno, introducendo un ostacolo per gli scambi tra gli Stati membri, discriminazioni fra imprese e distorsioni della concorrenza. Infine, la decisione di autorizzazione della cooperazione rafforzata presenterebbe carenza di istruttoria e difetto di motivazione.

In data 11 dicembre 2012 l'Avvocato generale presso la Corte di giustizia dell'Unione europea, Yves Bot, ha presentato le proprie conclusioni in merito alle cause riunite C?274/11 e C?295/11che trovano origine nei ricorsi presentati da Italia e Spagna, con le quali propone alla Corte di respingere entrambi i ricorsi e di condannarle, conseguentemente, al pagamento delle spese processuali.

Le conclusioni non sono vincolanti per la Corte, la cui sentenza è prevista per la primavera 2013.

Posizione della Camera dei deputati

In data 8 giugno 2011 la XIV Commissione Politiche dell’UE, nell’ambito della procedura volta a verificare la conformità delle proposte di atti legislativi europei al principio di sussidiarietà, ha approvato un parere motivato sulle due proposte di regolamento in questione. Il documento, che è stato trasmesso alle Istituzioni europee, coerentemente con il ricorso del Governo italiano precedentemente richiamato, evidenzia da un lato che le proposte in questione sono prive di un valido fondamento giuridico in quanto intervengono nell’ambito delle competenze esclusive dell’UE, dall’altro che la cooperazione rafforzata rappresenterebbe un vulnus per il mercato interno in quanto suscettibile di generare ostacoli e discriminazioni per gli scambi tra gli Stati membri o distorsioni di concorrenza. motivato motivato

Nel parere motivato si sottolinea altresì che le due proposte di regolamento non sono conformi al principio di proporzionalità in riferimento agli obiettivi di semplificazione e riduzione dei costi di traduzione in quanto determinerebbero un’eccessiva distorsione della concorrenza. Esse, infatti, non forniscono una motivazione dettagliata a giustificazione dell’opzione basata sulla scelta del trilinguismo francese, inglese e tedesco, rispetto al regime di traduzione basato sulla sola lingua inglese proposto dal Governo italiano nel corso dei precedenti negoziati in materia.

Diritto commerciale e delle società

Nel corso della XVI legislatura sono stati numerosi gli interventi connessi all'attività di impresa. In particolare, si ricordano le misure in tema di lotta alla contraffazione ed in generale di tutela dei diritti di proprietà industriale; quelle sulle fusioni e scissioni societarie; la disciplina delle s.r.l. semplificate e a capitale ridotto, le modifiche in materia di società cooperative e di mutuo soccorso. Nel settore processuale, va segnalata l'istituzione del cd. Tribunale delle imprese e la soppressione del rito societario. Altri interventi hanno riguardato modifiche alla disciplina del concordato preventivo.

Tutela della proprietà industriale e lotta alla contraffazione

Finalità di lotta alla contraffazione e di tutela del made in Italy hanno ispirato gli interventi connessi all’attività di impresa contenuti nella legge 99/2009 (cd. collegato energia). La legge rafforza la tutela della proprieta' industriale, in particolare nel settore penale, introducendo nuovi reati nel codice penale e modificando la disciplina dei beni sequestrati e confiscati nel corso di attività anticontraffazione. Ulteriori misure in materia sono state introdotte dal D.L. 135/2009, il cui articolo 16 ha dettato una serie di disposizioni a difesa del made in italy e dei prodotti interamente italiani.

Sul piano amministrativo, è stato istituito dall'art. 19 della legge 99/2009 il Consiglio nazionale anticontraffazione presso il Ministero dello sviluppo economico, con il compito di coordinare e indirizzare l’insieme delle azioni di contrasto della contraffazione a livello nazionale, è stata rafforzata la tutela del made in Italy e prevista la confisca dei locali ove vengono prodotti, depositati, o venduti i materiali contraffatti.

Nel luglio del 2010 è stata istituita dalla Camera dei deputati la Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Nella seduta del 22 gennaio 2013 è stata approvata la Relazione finale della Commissione.

La disciplina delle società

In ambito societario, l’obiettivo di semplificazione dell’attività d’impresa ha informato specifici interventi in materia di informatizzazione della documentazione contabile e di registrazione per via telematica del trasferimento delle partecipazioni societarie (D.L. 185/2008).

Con il D.Lgs. 123/2012 è stata, poi, data attuazione della direttiva 2009/109/CE, relativa agli obblighi in materia di relazioni e di documentazione in caso di fusioni e scissioni societarie.

Il provvedimento modifica il Libro V, Titolo V, Capo X del codice civile, semplificando la disciplina delle fusioni e delle scissioni delle società e riducendo gli obblighi gravanti su queste ultime. La nuova normativa prevede che, in alternativa al deposito presso il registro delle imprese, la pubblicazione sul web (sito della società o altro sito appositamente destinato) e l'invio di copia per posta elettronica dei progetti di fusione e scissione (e di altri documenti da rendere disponibili ai soggetti interessati) soddisfi gli adempimenti di pubblicità legale. Il decreto, oltre a prevedere una ipotesi di rinuncia alla relazione dell'organo amministrativo sui motivi della fusione, stabilisce che tale organo debba segnalare ai soci in assemblea (e all'organo amministrativo delle altre societa' partecipanti alla fusione) le modifiche rilevanti degli elementi dell'attivo e del passivo eventualmente intervenute tra la data in cui il progetto di fusione e' depositato presso la sede della societa' (ovvero pubblicato nel sito Internet di questa) e la data della decisione sulla fusione.

Ulteriori norme di attuazione della disciplina comunitaria in materia di societa' quotate riguardano gli obblighi di informazione societaria, i diritti degli azionisti delle società quotate, la costituzione delle società per azioni, la revisione legale dei conti, la disciplina delle società di rilevante interesse nazionale, la parità di accesso agli organi societari.

In merito a questo ultimo aspetto, con la legge 120/2011 è stata introdotta una disposizione in base alla quale gli statuti delle società quotate dovranno prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato su di un criterio che assicuri l'equilibrio fra i generi, intendendosi tale equilibrio raggiunto quando il genere meno rappresentato all'interno dell'organo amministrativo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti. Tale criterio di riparto dovrà applicarsi per tre mandati consecutivi e varrà anche per le società soggette a controllo di pubbliche amministrazioni. Le disposizioni della legge verranno applicate a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società quotate in mercati regolamentati successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della legge, riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti.

Tra gli interventi volti a dare impulso all'economia, si segnala l'istituzione di due nuove forme di società a responsabilità limitata: la società a responsabilità limitata semplificata (D.L. 1/2012) e la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (D.L. 83/2012). Gli specifici contenuti dei due decreti legge sono illustrati nell'apposita scheda.

In materia di societa' cooperative, oltre alle norme volte a limitare le agevolazioni fiscali previste in favore delle predette tipologie societarie - mediante la destinazione di una quota degli utili ad un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti, l'aumento della quota di utili da destinare a riserve indivisibili e della ritenuta fiscale operata sugli interessi corrisposti ai soci, nonché l'incremento della tassazione degli utili netti - è stata modificata la disciplina delle società di mutuo soccorso (SMS), per adeguarne la normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare il loro campo di attività. Viene aggiunta, tra l’altro, la possibilità di svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di aderire in qualità di socio ad un’altra SMS.

Il tribunale delle imprese

Con riguardo all’aspetto processuale, in un quadro più generale di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione regolati dalla legislazione speciale, la legge 69/2009 ha disposto la soppressione del rito societario disciplinato dal D.Lgs 5/2003.

Di particolare rilievo l'intervento del cd. decreto liberalizzazioni (D.L. 1/2012) che ha istituito speciali Tribunali delle imprese in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione. La nuova disciplina amplia notevolmente l'ambito di competenza delle vecchie sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale.

Le modifiche alla legge fallimentare

L'art. 33 del D.L. 83/2012 (c.d. decreto crescita) - con la finalità di garantire la continuità aziendale in caso di crisi dell'impresa - ha novellato la legge fallimentare (R.D. 267/1942) per introdurre nel nostro ordinamento la facoltà di depositare un ricorso contenente la mera domanda di concordato preventivo, senza la necessità di produrre contestualmente tutta la documentazione finora richiesta. La nuova normativa, illustrata in misura più approfondita nel dossier del Servizio studi, prevede che il debitore possa così accedere immediatamente alle protezioni previste dalla legge fallimentare con l'obiettivo di promuovere l’emersione anticipata della crisi. Sarà inoltre possibile ottenere, sin dalle primissime fasi della procedura, l’erogazione di nuova finanza interinale e pagare le forniture strumentali alla continuazione dell’attività aziendale in un contesto di stabilità. In questo modo il debitore potrà proseguire nell’attività d’impresa durante la fase preliminare di preparazione della proposta di concordato e, successivamente, durante tutta la procedura sino all’omologa del concordato stesso.

Provvedimenti non conclusi

Pur essendosi interrotto l'esame parlamentare, va segnalata l'approvazione presso la Commissione giustizia della Camera di un progetto di riforma del falso in bilancio. In particolare, il provvedimento restituiva natura di delitto al reato di false comunicazioni sociali, attualmente di natura contravvenzionale, di cui all'art. 2621 del codice civile.

Un disegno di legge del Governo (A.C. 1741), infine, prevedeva una delega per una complessa revisione della disciplina penale fallimentare.

I ritardi nei pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione

Pur non strettamente attinente al diritto commerciale e societario, merita qui segnalazione il problema dei ritardi nei pagamenti alle imprese da parte delle pubbliche amministrazioni, problema tra quelli maggiormente oggetto di attenzione, anche per le note, negative ricadute sulle imprese stesse e l'occupazione. Sulla questione è intervenuto il decreto legislativo 192/2012 che ha fissato in 30 giorni il termine ordinario per i pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese, e tra Pubbliche Amministrazioni e imprese; soltanto in casi eccezionali è previsto un termine raddoppiato di 60 giorni. Il decreto, che recepisce la direttiva 2011/7/UE, stabilisce anche un aumento di un punto (dal 7 all'8%) degli interessi di mora. La nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo si applicherà, tuttavia, ai soli contratti conclusi a partire dal 1° gennaio 2013. Per un approfondimento dell'argomento vedi lo specifico tema.

Attività dell'Unione europea

Nel dicembre 2012 è stato adottato il Regolamento (UE) n. 1215/2912 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che sarà applicato a partire dal 10 gennaio 2015. La più importante modifica rispetto alla normativa previgente è costituita dalla abolizione delle procedure di exequatur. Ai sensi del nuovo regolamento, una decisione esecutiva emessa in uno Stato membro sarà immediatamente  esecutiva negli altri Stati membri senza ulteriori adempimenti. Il riconoscimento potrà tuttavia essere negato qualora esso sia manifestamente contrario all’ordine pubblico nello Stato membro richiesto oppure la decisione sia stata resa in contumacia o sia incompatibile con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto.

Nel settore del diritto commerciale è tuttora all’esame delle istituzioni europee la proposta di regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita (COM(2011)635). Obiettivo generale della proposta è migliorare il funzionamento del mercato interno facilitando l'espansione degli scambi transfrontalieri per le imprese e gli acquisti transfrontalieri per i consumatori. La Commissione propone un corpus uniforme di norme di diritto dei contratti, comprensivo di norme a tutela del consumatore – il diritto comune europeo della vendita – da considerarsi alla stregua di un secondo regime di diritto dei contratti nell'ambito dell'ordinamento nazionale di ciascuno Stato membro.

Per quanto riguarda gli aspetti relativi al diritto fallimentare, il 12 dicembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2012)744)  che modifica l’attuale normativa UE in materia di procedure d’insolvenza a carattere transfrontaliero. La proposta ha lo scopo di:

Relativamente ai profili contabili, prosegue l’esame della proposta di direttiva (COM(2011)684) del 25 ottobre 2011 relativa ai bilanci annuali e ai bilanci consolidati che prospetta una revisione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE in materia (cosiddette “direttive contabili”). Lo scopo della revisione è quello di: semplificare gli obblighi relativi alla redazione dei bilanci annuali e consolidati, riducendone gli oneri amministrativi, specialmente per le PMI; aumentare la chiarezza e la comparabilità dei bilanci, con particolare riferimento alle imprese che svolgono attività transfrontaliere; tutelare le esigenze essenziali degli utilizzatori al fine di conservare le informazioni contabili ad essi necessarie; migliorare la trasparenza dei pagamenti allo Stato da parte di imprese delle industrie estrattive e di imprese utilizzatrici di aree forestali primarie.

Con riguardo il governo societario, è attualmente all’esame delle istituzione UE una proposta di direttiva riguardante il miglioramento dell’equilibrio di genere negli organi direttivi delle società, stabilendo un obiettivo minimo del 40% di persone del sesso sotto-rappresentato tra i membri senza incarichi esecutivi dei consigli delle società europee quotate, da raggiungere entro il 2020 o, per le imprese pubbliche quotate, entro il 2018.

Approfondimenti

Approfondimento: Diritto penale fallimentare

Il Governo Berlusconi ha presentato alla Camera il disegno di legge A.C. 1741, che delegava il Governo - oltre che a riformare le procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - a modificare la disciplina dei reati fallimentari contenuta nella legge fallimentare (RD 267/1942). Il provvedimento ha interrotto il proprio iter in sede referente.



I reati fallimentari oggetto del disegno di legge A.C. 1741



Bancarotta fraudolenta

Le tre diverse ipotesi del delitto di bancarotta fraudolenta sono attualmente disciplinate da un’unica disposizione: l'art. 216 della legge fallimentare.

Commette questo delitto l'imprenditore dichiarato fallito che, prima dell'intervento della sentenza di fallimento, ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni, ovvero - allo scopo di recare pregiudizio ai creditori - ha esposto o riconosciuto passività inesistenti (c.d. bancarotta patrimoniale). Si configura la bancarotta anche se le predette condotte sono commesse dopo la sentenza e durante la procedura fallimentare (c.d. bancarotta post-fallimentare). Commette altresì il delitto di bancarotta fraudolente l'imprenditore dichiarato fallito che sottrae, distrugge o falsifica i libri e le scritture contabili allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare un danno ai creditori (c.d. bancarotta documentale), ovvero esegue pagamenti o simula titoli di prelazione per favorire taluno dei creditori (c.d. bancarotta preferenziale).

Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo dall'imprenditore commerciale, cui vengono equiparati l'imprenditore occulto e colui che esercita l'attività commerciale per il perseguimento di un fine illecito. Con il fallito può concorrere nel reato anche un terzo, se la sua attività si è inserita nel processo criminoso con efficacia causale sull'evento.

L'elemento soggettivo, secondo alcuni, consiste nella volontà del soggetto agente di trarre profitto, per sé o per altri, dei fatti commessi con pregiudizio ai creditori (dolo specifico). Altri autori invece ritengono che sia sufficiente il dolo generico, ossia la sola volontà di compiere i vari atti a prescindere dallo scopo.

La pena è la reclusione da 3 a 10 anni in caso di bancarotta patrimoniale e documentale; la reclusione da 1 a 5 anni in caso di bancarotta preferenziale. Inoltre, la specifica condanna per bancarotta fraudolenta comporta per 10 anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e, sempre per 10 anni, l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.



Bancarotta semplice

Ai sensi dall'art. 217 della legge fallimentare, commette il delitto di bancarotta semplice l'imprenditore, dichiarato fallito, che effettua spese personali (o per la famiglia) eccessive rispetto alla sua condizione economica, che consuma parte del suo patrimonio in operazioni imprudenti, che compie gravi atti per ritardare il fallimento, che aggrava il proprio dissesto, omettendo la richiesta di fallimento (c.d. bancarotta patrimoniale) e, infine, che non soddisfa le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.

Commette il medesimo delitto l'imprenditore, poi dichiarato fallito, che nei 3 anni precedenti alla dichiarazione di fallimento non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritte dalla legge, o li ha tenuti in maniera incompleta (c.d. bancarotta documentale).

Anche in questi casi si tratta di reati propri, che possono essere commessi solo dall'imprenditore commerciale, mentre l'elemento soggettivo può essere anche solo la colpa, ritenendosi quindi sufficiente ai fini della punibilità che il fallito abbia agito con imprudenza, imperizia o negligenza. Il dolo è richiesto solo in relazione all'inadempimento delle obbligazioni assunte in un precedente concordato.

La pena è fissata nella reclusione da 6 mesi a 2 anni, cui si aggiunge l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per massimo 2 anni.



Esenzioni dai reati di bancarotta

L'art. 217-bis della legge fallimentare esclude che ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, di un piano ovvero di un accordo di composizione della crisi omologato (v. Legge 3/2012 - Composizione delle crisi da sovraindebitamento, nonché ai pagamenti e alle operazioni di finanziamento autorizzati dal giudice non si applicano né la bancarotta preferenziale né la bancarotta semplice.



Bancarotta fraudolenta impropria (Fatti di bancarotta fraudolenta)

Per punire il reato di bancarotta (fraudolenta o semplice) è necessaria la dichiarazione di fallimento e quindi occorre che il soggetto che commette il reato sia imprenditore soggetto al fallimento. Ai sensi dell’art. 223 della legge fallimentare, le pene stabilite dall’art. 216 (reclusione da 3 a 10 anni per la bancarotta patrimoniale e documentale; reclusione da 1 a 5 anni per la bancarotta preferenziale; pena accessoria dell’inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e dell'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per 10 anni) si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite, se:

Inoltre, ai sensi dell’art. 217 della legge fallimentare, le pene previste per il delitto di bancarotta fraudolenta possono essere comminate anche all’institore dell’imprenditore dichiarato fallito che abbia commesso i fatti di cui all’art. 116 della stessa legge.



Bancarotta semplice impropria ( Fatti di bancarotta semplice)

Ai sensi dell’art. 224 della legge fallimentare, le pene stabilite nell’art. 217 per il delitto di bancarotta semplice (reclusione da 6 mesi a 2 anni e inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale con incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per massimo 2 anni) si applicano anche agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali abbiano:



Domanda di ammissione di crediti simulati: normativa vigente

L'articolo 232 della legge fallimentare prevede al primo comma il reato di domanda di ammissione di crediti simulati. Commette questo reato chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona, presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato.

Si tratta di un reato comune (chiunque) la cui condotta non si esaurisce nella presentazione della domanda di ammissione al passivo, ma comprende anche la fraudolenta simulazione, che deve accompagnare o precedere l'istanza di insinuazione. La fattispecie rientra nella categoria dei reati di pericolo e, più precisamente, di pericolo presunto: per la sussistenza del reato pertanto non è necessario che la condotta abbia cagionato un danno effettivo al fallimento e alle aspettative dei creditori ammessi al concorso, ma è sufficiente che il pericolo di tale danno derivi presuntivamente dalla presentazione del credito fraudolentemente simulato, senza che ne rilevi l'ammissione o meno al passivo. L'elemento soggettivo viene individuato nel dolo generico.

La pena è la reclusione da 1 a 5 anni e la multa da 51 a 516 euro; il reato è attenuato e la pena dimezzata se la domanda è ritirata prima della verifica dello stato passivo (secondo comma).



Ricettazione fallimentare: normativa vigente

Il reato di ricettazione fallimentare è previsto dal terzo comma dell'art. 232 L.F. Commette tale reato chiunque:

Anche in questo caso – al pari della domanda di ammissione di crediti simulati - si tratta di reato comune (chiunque), di reato di pericolo presunto ed è richiesto il dolo generico. La pena della reclusione da 1 a 5 anni è aumentata se l'acquirente è un imprenditore commerciale (quarto comma).



Circostanze aggravanti e attenuanti

Ai sensi dell’art. 219 della legge fallimentare, i reati di bancarotta fraudolenta (art. 216), bancarotta semplice (art. 217) e ricorso abusivo al credito (art. 218) sono aggravati se:

Gli stessi reati sono attenuati - e le pene ridotte fino al terzo - se i fatti commessi hanno cagionato un danno patrimoniale di speciale tenuità. L’art. 221 prevede invece, in generale, che se al fallimento si applica il procedimento sommario, le pene previste per i reati commessi dal fallito sono ridotte fino al terzo.



Pene accessorie

Attualmente, ferma la possibile applicazione delle pene accessorie previste dal codice penale, la legge fallimentare prevede le seguenti specifiche ipotesi:



Il disegno di legge del Governo

In particolare, il disegno di legge del Governo A.C. 1741 delegava il Governo a:

Il disegno di legge delega individuava inoltre una serie di principi e criteri direttivi che il Governo avrebbe dovuto rispettare nel riformare le sanzioni e nell'introdurre specifiche aggravanti ed attenuanti. Per quanto riguarda, in particolare, le pene accessorie, il Governo avrebbe dovuto prevedere che alla condanna per bancarotta fraudolenta, anche impropria, bancarotta semplice e bancarotta semplice impropria conseguisse l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese.

Il provvedimento dettava ulteriori principi e criteri direttivi, tra i quali si segnalano:

Il provvedimento è stato esaminato in sede referente dalle Commissioni riunite Giustizia ed Attività produttive che hanno deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva. Il disegno di legge ha interrotto il proprio iter in sede referente.

Approfondimento: False comunicazioni sociali

Il tema del c.d. falso in bilancio o, più correttamente, delle fattispecie penali riconducibili alle false comunicazioni sociali contenute nel libro del codice civile dedicato alle società, è stato affrontato dal Parlamento anche nella XVI legislatura. In particolare, alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare presentate alla Camera sono state esaminate dalla Commissione giustizia, che ha approvato un testo unificato (A.C. 1777-A) il cui iter si è interrrotto prima dell'approvazione in Assemblea.



La disciplina vigente

La disciplina degli illeciti societari contenuta nel codice civile (Titolo XI del Libro V del codice civile, recante Disposizioni penali in materia di società e di consorzi) è stata modificata due volte negli ultimi dieci anni; gli articoli relativi alle false comunicazioni sociali sono stati infatti prima integralmente riscritti dal decreto legislativo 61/2002 (attuativo della delega contenuta nella legge 366/2001), quindi novellati dalla cd. legge sul risparmio (legge 262/2005).



Le false comunicazioni sociali

La disciplina sanzionatoria è attualmente imperniata sull'articolo 2621 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali”), volto a salvaguardare la fiducia che deve poter essere riposta nella veridicità dei bilanci o delle comunicazioni dell'impresa organizzata in forma societaria.

La fattispecie, meno grave rispetto a quella prevista dal successivo art. 2622 c.c., punisce con l'arresto fino a due anni gli amministratori, i direttori generali, i sindaci, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili ed i liquidatori che nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali espongono fatti non veri ovvero omettono informazioni la cui comunicazione sia imposta dalla legge. Si tratta di un reato di natura contravvenzionale («â€¦sono puniti con l'arresto fino a due anni»), di un reato di pericolo («â€¦in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari…»), punito solo se commesso con dolo intenzionale («â€¦con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»).

La disposizione prevede poi alcuni casi di non punibilità del fatto:

In questi casi, peraltro, ai responsabili delle false comunicazioni sociali si applica comunque una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 a 100 quote, oltre alla sanzione accessoria dell'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da 6 mesi a 3 anni.



Le false comunicazioni sociali in danno di soci e creditori

L'articolo 2622 del codice civile (rubricato “false comunicazioni sociali in danno ai soci e ai creditori”), mira a tutelare il patrimonio e dunque - pur riproponendo le condotte previste dall'articolo precedente e le corrispondenti ipotesi di non punibilità - sanziona con la reclusione da sei mesi a tre anni i responsabili delle false comunicazioni sociali, se la falsità provoca un danno patrimoniale per i soci, i creditori, o la società stessa. La fattispecie ha natura delittuosa ("reclusione") ed è costruita come reato di danno («â€¦cagionano un danno patrimoniale ai soci o ai creditori…»).

La norma, peraltro, diversifica la pena e la procedibilità del reato per le seguenti tre ipotesi:



L'impedito controllo

A chiusura del Capo dedicato alle falsità, l'art. 2625 c.c. prevede la fattispecie di impedito controllo, che contempla due distinti illeciti, uno di natura amministrativa, l'altro di natura penale.

L'illecito amministrativo è strutturato attraverso la condotta dell'impedire o, comunque, ostacolare l'esercizio delle funzioni di controllo attribuite dalla legge ai soci o agli organi sociali ed è sanzionato con la pena pecuniaria fino a 10.329 euro. L’illecito penale, di natura delittuosa («reclusione fino ad un anno»), scatta quando la condotta cagiona un danno ai soci. La pena è raddoppiata quando la fattispecie riguarda società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria.



Gli illeciti commessi dagli amministratori

L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626) è una fattispecie generale di salvaguardia dell'integrità del capitale che punisce la restituzione, anche simulata, dei conferimenti o la liberazione dei soci dall'obbligo di eseguirli, al di fuori, naturalmente, delle ipotesi di legittima riduzione del capitale sociale.

L'illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627) è norma posta a tutela dell'integrità del capitale e delle riserve obbligatorie per legge attraverso una previsione contravvenzionale che appare strutturalmente dolosa. La norma prevede la clausola "Salvo che il fatto non costituisca più grave reato", in quanto l'illegale ripartizione di utili o riserve da parte degli amministratori può integrare un reato più grave (ad esempio, il delitto di appropriazione indebita, punita dall'art. 646 c.p. con la reclusione fino a tre anni e la multa).

L’art. 2628 c.c., relativo alle illecite operazione sulle azioni o quote sociali o della società controllante, punisce con la reclusione fino ad un anno gli amministratori che, fuori dei casi consentiti, acquistano azioni o quote cagionando una lesione all'integrità del capitale.

L’art. 2629 (operazioni in pregiudizio dei creditori) mira a tutelare l'integrità del patrimonio sociale e prevede una causa di estinzione del reato, consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio. Il delitto procedibile a querela.



Gli illeciti commessi mediante omissione ed altri illeciti

L’art. 2629-bis (introdotto dalla legge sul risparmio) contempla il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi. Soggetti attivi del reato possono essere l’amministratore o il componente del consiglio di gestione di:

La condotta consiste nella violazione degli obblighi previsti dall’articolo 2391, primo comma, del codice civile, e dunque essenzialmente dell’obbligo di comunicare agli altri amministratori e al collegio sindacale ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, l’amministratore o il componente del consiglio di gestione abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata; nonché dell’obbligo, per l’amministratore delegato, di astenersi dal compiere l'operazione, investendo della stessa l'organo collegiale. L’evento è dato dalla produzione di danni alla società o a terzi. La sanzione è fissata nella reclusione da uno a tre anni.

L'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (art. 2630) costituisce illecito amministrativo. Su questa disposizione è intervenuta la legge 180/2011 che ha dimezzato la sanzione amministrativa originariamente prevista per le omissioni (portando oggi la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 a 1.032 euro) e stabilito l'ulteriore riduzione di un terzo della sanzione qualora i medesimi adempimenti vengano effettuati nel termine di 30 giorni dalla scadenza. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è invece aumentata di un terzo. L'intervento dichiarato del legislatore è stato di «rendere più equo il sistema delle sanzioni cui sono sottoposte le imprese relativamente alle denunce, alle comunicazioni e ai depositi da effettuarsi presso il registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio». 

L’art. 2631 (omessa convocazione dell'assemblea), finalizzato alla tutela dei diritti delle minoranze nonché alla tutela del diritto all'informazione sull'integrità patrimoniale della società, sostituisce l'abrogato art. 2630, comma 2, n. 2) c.c. (la disposizione è stata trasformata in illecito amministrativo, ritenendo tale configurazione un sufficiente presidio per la tutela del generale regolare funzionamento delle società).

L’art. 2632 (formazione fittizia del capitale) costituisce la prima delle fattispecie di reato posta a tutela dell'effettività ed integrità del capitale sociale. Si tratta di una fattispecie delittuosa, procedibile d'ufficio, costruita come reato d'evento a condotta vincolata, punita con la reclusione fino ad un anno. Nel testo risultante dalle modifiche successivamente apportate dall’art. 111-quinquies disp. att. c.c. (inserito dall’art. 9 del d.lgs. n. 6 del 2003), l'evento costitutivo del delitto – la formazione o l'aumento di capitale – deve essere cagionato, per essere penalmente rilevante, da una delle tre condotte descritte dal legislatore, ossia: l’attribuzione di azioni o quote in misura complessivamente superiore all'ammontare del capitale sociale; la sottoscrizione reciproca di azioni o quote; la sopravvalutazione rilevante dei conferimenti dei beni in natura o di crediti ovvero del patrimonio della società nel caso di trasformazione.

L'indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633) (punita con la reclusione da sei mesi a tre anni) mira a tutelare i creditori in sede di liquidazione e va a sostituire l'abrogato art. 2625 c.c. Come per l'ipotesi precedente è stata introdotta la procedibilità a querela e la causa di estinzione del reato consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio.

La fattispecie di infedeltà patrimoniale (art. 2634), punita con la reclusione da sei mesi a tre anni, riguarda la condotta degli amministratori, direttori generali e liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale. Anche in tal caso, si prevede la procedibilità a querela della persona offesa.

La c.d. legge anticorruzione (legge 190/2012) ha sostituito l'art. 2635 del codice civile, ora rubricato "corruzione tra privati". La disposizione punisce con la reclusione da uno a tre anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sè o per altri, compiendo od omettendo atti in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionano nocumento alla società. Le pene sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati ma il delitto è sempre procedibile a querela.

L'illecita influenza sull'assemblea (art. 2636) si perfeziona con la formazione irregolare di una maggioranza. La condotta deve esprimersi nel compimento di atti simulati o fraudolenti (e risulta così precisata rispetto all'abrogato art. 2630 1° comma n. 3 c.c., che utilizzava il concetto più generico di “mezzi illeciti”, sia pure specificando alcune forme tipiche di espedienti). Soggetto attivo non è più il solo amministratore ma chiunque. Il fatto è collegato all'esigenza che la condotta abbia determinato una maggioranza che altrimenti non si sarebbe formata, escludendo il rilievo dell'influenza non decisiva.

L’articolo 2637 accorpa le diverse fattispecie di aggiotaggio che viene configurato come reato comune e mira a tutelare l'economia pubblica ed in particolare il regolare funzionamento del mercato. Esso punisce con la reclusione da uno a cinque anni chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari.

Con riferimento all’ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638), si è costruita una fattispecie a carattere generale alla quale poter ricondurre le diverse figure previste al di fuori del codice, sulla quale è successivamente intervenuta la cd. legge sul risparmio. I due commi prevedono fattispecie delittuose diverse per modalità di condotta e momento offensivo: la prima centrata sul falso commesso al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza; la seconda sulla realizzazione intenzionale dell'evento di ostacolo attraverso qualsiasi condotta (attiva o omissiva). Si è ritenuto di prevedere la stessa pena (reclusione da due a quattro anni) per ambedue le ipotesi, attesa la sostanziale equivalenza fra la più grave condotta di falso, nella prima, e le condotte meno gravi, nella seconda, che però determinano l'ostacolo alle funzioni di vigilanza. La legge sul risparmio ha previsto il raddoppio della pena quando tali fattispecie riguardino società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116 del testo unico sull’intermediazione finanziaria 58/1998.

Infine, il codice civile tratta della figura dell'amministratore di fatto all'art. 2639, relativo all’estensione delle qualifiche soggettive. L'equiparazione, ai fini della responsabilità, collegata all'esercizio di fatto delle funzioni è circoscritto alla presenza degli elementi della continuità e della significatività rispetto ai poteri tipici della funzione. Il secondo comma, coerentemente all'abrogazione delle norme relative ai delitti commessi dagli amministratori giudiziali e dai commissari governativi, si ricollega ad una esigenza di razionalizzazione dell'intera materia, prevedendo espressamente ed in via generale che le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori si applichino anche ai soggetti che sono legalmente incaricati dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi; ferma restando, ovviamente, la possibilità di applicare la disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione in tutti gli altri casi.

L'articolo 2640 prevede una circostanza attenuante dell'offesa di particolare tenuità applicabile a tutte le fattispecie di reato mentre l'art. 2641 introduce, anche per i reati societari, l'istituto della confisca obbligatoria in caso di condanna o di pena patteggiata ex art. 444.



La riforma approvata in Commissione



L'iter in Commissione

La Commissione giustizia della Camera ha iniziato il 1° luglio 2009 l’esame di una proposta di legge (A.C. 1895, Di Pietro-Palomba) volta a modificare ampiamente il titolo XI del libro quinto del codice civile in tema di disciplina sanzionatoria delle false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari. Solo il 1° febbraio 2012 è stata abbinata la proposta A.C. 1777 (Di Pietro), di contenuto più circoscritto, in quanto volta esclusivamente a novellare la disciplina delle false comunicazioni sociali.

Nell’ambito dell’esame delle proposte, la Commissione ha svolto un’attività conoscitiva che ha comportato l’audizione informale di rappresentanti dell´Associazione nazionale magistrati, di magistrati (Paolo De Angelis, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cagliari; Francesco Greco, Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Milano; Renato Rordorf, Consigliere della Corte di Cassazione) e di esperti di diritto penale (Prof. Alberto Alessandri e Prof. Filippo Sgubbi).

Il 26 aprile 2012, dopo che i provvedimenti in esame sono stati inseriti nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione, su richiesta del gruppo IdV, la Commissione ha adottato l’A.C. 1777 come testo base. La Commissione Giustizia ha concluso l’esame del testo, accogliendo alcuni emendamenti, nella seduta del 23 maggio 2012.



Il contenuto dell'A.C. 1777-A

Il provvedimento approvato dalla Commissione in sede referente è volto a modificare la disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile (artt. 2621 e 2622) nonché a novellare la disciplina della responsabilità dei revisori dei conti, disciplinata dal d.lgs 39/2010.

In particolare, il provvedimento intende sanzionare con l'articolo 2621 c.c. le false comunicazioni sociali commesse nell'ambito di società non quotate, destinando il successivo articolo 2622 alle condotte di falsità commesse in società quotate o con azionariato diffuso. In sintesi, per quanto riguarda l'articolo 2621 c.c., l'AC 1777-A novella il primo comma, intervenendo esclusivamente sulla pena e prevedendo che le false comunicazioni sociali ai soci o al pubblico siano punite con la reclusione fino a tre anni. Le false comunicazioni sociali, attualmente concepite come reato di pericolo sanzionato in via contravvenzionale (arresto fino a due anni), tornano dunque ad essere un delitto.

Per quanto riguarda l'articolo 2622 c.c., il provvedimento:

Quanto alle circostanze aggravanti e attenuanti, il testo - dopo aver eliminato dall'art. 2622 c.c. l'aggravante per il "grave nocumento ai risparmiatori" - inserisce nel codice civile due nuovi articoli:

Il provvedimento approvato dalla Commissione giustizia interviene inoltre, per esigenze sistematiche, sull'articolo 27 del decreto legislativo n. 39/2010, dedicato alla falsità nelle relazioni o nelle comunicazioni dei responsabili della revisione legale. La fattispecie penale viene novellata per adeguarla ai principi espressi dalla disciplina delle false comunicazioni sociali contenuta nel codice civile. in particolare, la sanzione dell'arresto fino a un anno è sostituita da quella della reclusione fino a quattro anni.

Il provvedimento, che l'Assemblea ha discusso nella seduta del 28 maggio 2012, non ha concluso l'iter.

Approfondimento: Le società cooperative e di mutuo soccorso



La fiscalità delle società cooperative

Un primo gruppo di norme ha inteso rimodulare il regime fiscale delle società cooperative, limitando le agevolazioni fiscali previste in favore delle predette tipologie societarie (D.L. n. 112 del 2008). In particolare, le cooperative a mutualità prevalente sono state vincolate a destinare almeno il 5% degli utili realizzati ad un fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti; è stata progressivamente aumentata la quota di utili che le cooperative di consumo e i consorzi devono destinare a riserve indivisibili; è stata altresì aumentata dal 12,5 al 20 per cento l’aliquota della ritenuta fiscale operata sugli interessi corrisposti ai soci.

Successivamente, il decreto-legge n. 138 del 2011 ha innalzato la tassazione degli utili netti annuali delle società cooperative: l’incremento è stato dal 55 al 65 per cento per le cooperative di consumo e dal 30 al 40 per cento per le altre cooperative a mutualità prevalente diverse da quelle agricole e della piccola pesca. Inoltre è stata introdotta una percentuale di tassazione pari al 10 per cento della quota di utili netti annuali destinati a riserva minima obbligatoria.

Il decreto-legge n. 16 del 2012 ha poi escluso - per il 2012 - le banche di credito cooperativo dalla predetta tassazione.



Le Società di Mutuo Soccorso (SMS)

La disciplina delle società di mutuo soccorso (SMS), contenuta nella legge n. 3818 del 1886, è stata modificata dall’articolo 23 del decreto-legge n.179 del 2012, per adeguarne la normativa rispetto alla formulazione del 1886 e per ampliare il loro campo di attività. Viene, aggiunta, tra l’altro, la possibilità di svolgere “mutualità mediata”, vale a dire la possibilità di aderire in qualità di socio ad un’altra SMS.

 Più in dettaglio, si prevede l’iscrizione delle società di mutuo soccorso al Registro delle imprese secondo criteri e modalità che verranno stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, al fine di superare l’opposizione di alcune CCIAA che considera tali società enti non commerciali. L'iscrizione avviene nella sezione "imprese sociali", con l’ulteriore automatica iscrizione presso l’Albo delle società cooperative, analogamente a quanto previsto dal comma 2, dell’articolo 10, della legge n. 99 del 2009 per le imprese cooperative.

 Mediante sostituzione dell’articolo 1 della legge 15 aprile 1886, n. 3818, si riconduce anzitutto l'assenza di finalità di lucro al perseguimento della finalità di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà che qui va inteso in senso orizzontale, ai sensi dell'articolo 118 ultimo comma Cost.. Si ampliano le attività che le società di mutuo soccorso possono svolgere in esclusivo favore dei soci e dei loro familiari conviventi. Le predette società possono altresì promuovere attività di carattere educativo e culturale ai fini della prevenzione sanitaria e della diffusione dei valori mutualistici.

Si introduce inoltre la “mutualità mediata”, in virtù della quale anche una di tali società può - oltre ad avere soci sostenitori, anche persone giuridiche - divenire socia ordinaria di altre società di mutuo soccorso; ciò a condizione che lo statuto lo preveda espressamente e che i membri persone fisiche di tali enti giuridici siano destinatari di una delle attività istituzionali delle medesime società di mutuo soccorso; la possibilità di aderire in qualità di socio è prevista anche per i Fondi sanitari integrativi in rappresentanza dei lavoratori iscritti.

La norma è volta, tra l’altro a recepire il dettato del Regolamento 2003/1435/CE del 22 luglio 2003 relativo allo statuto della Società cooperativa europea (SCE).

La norma inoltre ammette la categoria dei soci sostenitori, i quali possono essere anche persone giuridiche. I soci sostenitori possono designare fino ad un terzo degli amministratori, che vanno comunque scelti tra i soci ordinari.

E’ poi prevista la devoluzione patrimoniale della società in liquidazione o trasformata: ne beneficiano altre S.M.S. ovvero i fondi mutualistici ovvero il corrispondente capitolo di bilancio dello Stato.

Viene confermato l’attuale sistema di vigilanza posto in capo al Ministero dello sviluppo economico ed alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, aggiungendo in capo a queste (nei confronti delle SMS aderenti) la possibilità di essere delegatarie dei poteri di revisione del MiSE. Resta in capo al MiSE il potere di disporre la perdita della qualifica di società di mutuo soccorso e la cancellazione dal Registro delle Imprese e dall'Albo delle società cooperative.

Si reca un'interpretazione autentica in tema di vigilanza sugli enti cooperativi e loro consorzi, nel senso di limitarne gli effetti alle sole pubbliche amministrazioni ai fini della legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura, nonché per l'adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori.

Approfondimento: Società semplificata e a capitale ridotto

Tra gli interventi del Governo volti a dare impulso all'economia italiana si segnala l'istituzione di due nuove forme di società a responsabilità limitata: la società a responsabilità limitata semplificata (D.L. n.1 del 24 gennaio 2012) e la società a responsabilità limitata a capitale ridotto (D.L. n.83 del 22 giugno 2012).



La società a responsabilità limitata semplificata

La società a responsabilità limitata semplificata, introdotta dall'articolo 3 del decreto-legge n. 1 del 2012, mediante  il nuovo articolo 2463-bis del codice civile, può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche, che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione.

La disposizione tende a favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro - prevedendo il requisito dell’età fino ai trentacinque anni in coerenza con l’articolo 27 del decreto legge n. 98 del 2011 (circa il regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria giovanile) - mediante la loro partecipazione a strutture associative prive dei rigorosi limiti previsti fino ad ora per le società di capitali, che di fatto impedirebbero l’accesso a tale tipo di strutture da parte degli imprenditori più giovani e meno abbienti.

 Assonime (l'Associazione fra le Società italiane per Azioni), con la circolare n. 29/2012, specifica che il requisito dell’età costituisce un elemento che deve sussistere al momento della costituzione della società, oppure al momento dell’ingresso di nuovi soci (poiché è questo il momento dell’avvio per il soggetto che subentra), ma non deve necessariamente permanere nel corso dell’intera vita sociale. Pertanto, si deve ritenere che: il superamento del requisito anagrafico non determina effetti sulla partecipazione del singolo socio o sull’organizzazione della società; i presupposti che giustificano l’esclusione del socio, la trasformazione o lo scioglimento della s.r.l.s. siano solo quelli indicati in generale per le s.r.l. dagli articoli 2473 bis e 2484 del codice civile.

L’atto costitutivo della società

L'atto costitutivo della società semplificata deve essere redatto per atto pubblico secondo un modello standard, successivamente definito con Dm Giustizia 138 del 23 giugno 2012 e deve indicare: 1) il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio; 2) la denominazione sociale contenente l'indicazione di società semplificata a responsabilità limitata e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) l'ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro previsto per la società a responsabilità limitata ordinaria, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro e essere versato all'organo amministrativo; 4) alcuni requisiti previsti dalla disciplina per la società a responsabilità limitata, vale a dire l'attività che costituisce l'oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza, le persone cui è affidata l'amministrazione e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; 5) il luogo e la data di sottoscrizione; 6) gli amministratori, i quali devono essere scelti tra i soci. Assonime sostiene inoltre che la Srl semplificata, per la parte non regolata dal modello, può inserire clausole statutarie ulteriori, a condizione di non porsi in contrasto con le previsioni del modello e le finalità specifiche della s.r.l.s.

 La denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico E’ inoltre previsto il divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età, determinandosi, in tali casi la nullità dell’atto. Per quanto non espressamente previsto dall’articolo in commento, si rinvia alla disciplina della società a responsabilità limitata ordinaria (di cui al capo VII del titolo V del libro V del codice civile).

Le misure agevolative

Tra le misure agevolative, si ricorda, infine, l’esenzione – per l’atto costitutivo e l'iscrizione nel registro delle imprese - da diritti di bollo e di segreteria nonché da onorari notarili.

La vigilanza

Al Consiglio nazionale del notariato sono attribuiti compiti di vigilanza sulla corretta e la tempestiva applicazione delle disposizioni da parte dei singoli notai. Il Consiglio pubblica ogni anno i relativi dati sul proprio sito istituzionale.



La società a responsabilità limitata a capitale ridotto

La società a responsabilità limitata a capitale ridotto è disciplinata dall’articolo 44 del decreto-legge n. 83 del 2012, le cui norme sono volte a ridurre i costi per l’avvio di un’impresa. E’ consentito, infatti, anche a coloro che hanno già compiuto 35 anni, di costituire società a responsabilità limitata, partendo da un capitale sociale limitato pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro. L’obiettivo è quello di ridurre i costi per l’avvio di un’impresa, anche per questa fascia d’età, consentendo di costituire, con contratto o atto unilaterale redatto nella forma di atto pubblico, società a responsabilità limitata.

A tal proposito Assonime ha ribadito, con riguardo al requisito dell’età, la tesi sostenuta del Ministero dello Sviluppo economico secondo cui la s.r.l. a capitale ridotto può esser costituita sia da persone fisiche di età inferiore, sia da persone fisiche di età superiore ai 35 anni. Pertanto, secondo tale interpretazione, la s.r.l. a capitale ridotto può essere validamente costituita da tutte le persone fisiche che abbiano compiuto i 18 anni di età.

L’atto costitutivo della società

Diversamente dalla costituzione di S.r.l. semplificate, per le quali il legislatore ha stabilito non solo l’esenzione da diritti di bollo e di segreteria, ma, soprattutto, la gratuità della prestazione notarile, per le S.r.l. a capitale ridotto non sono previste agevolazioni economiche. Anche lo standard di atto costitutivo previsto –adottato con Dm Giustizia 138 del 23 giugno 2012 - per le S.r.l. degli under 35 non si applicherà alle S.r.l. degli over 35.

Il contenuto dell’atto (mutuato, salva la disposizione sugli amministratori, sulla formulazione dell’art. 2463-bis c.c.) dovrà essere il seguente: 1) cognome, nome, data, luogo di nascita, domicilio, cittadinanza di ciascun socio; 2) denominazione sociale contenente l'indicazione di società a responsabilità limitata a capitale ridotto e comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie; 3) ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all'importo di 10.000 euro previsto per la società a responsabilità limitata ordinaria, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro e essere versato all'organo amministrativo; 4) alcuni requisiti previsti dalla disciplina per la società a responsabilità limitata, vale a dire l'attività che costituisce l'oggetto sociale, la quota di partecipazione di ciascun socio, le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza, le persone cui è affidata l'amministrazione e l’eventuale soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti; 5) luogo e data di sottoscrizione; 6) indicazione degli amministratori, che possono (diversamente dalla S.r.l. semplificata) anche essere scelti tra persone diverse dai soci.

 Per quanto riguarda le regole sul capitale sociale, Assonime rammenta che il conferimento, sia per la srl semplificata che per quella a capitale ridotto, deve essere fatto in denaro e deve essere versato all’organo amministrativo al momento della costituzione. Tale obbligo non sembra però valere in sede di aumento di capitale sociale oltre il tetto massimo del capitale consentito (ovvero quando il capitale sia maggiore di 10.000 euro); ciò in quanto, l’aumento comporta sia il mutamento del modello societario e il conseguente passaggio al regime della srl ordinaria

 Il D.L. 83/2012 dispone che la denominazione “società a responsabilità limitata a capitale ridotto”, l'ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l'ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta, devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico. Per quanto non espressamente previsto dal decreto si rinvia alla disciplina della società a responsabilità limitata ordinaria (artt. 2462-2483 del codice civile), in quanto compatibile.

Accesso al credito agevolato

Al fine di favorire la nascita e lo sviluppo di nuove imprese giovanili, prevede inoltre che il Ministro dell'economia e delle finanze promuova un accordo con l’Associazione bancaria italiana - ABI per fornire credito a condizioni agevolate ai giovani di età inferiore a 35 anni, che intraprendono attività imprenditoriale attraverso la costituzione di una società a responsabilità limitata a capitale ridotto.

Approfondimento: Tribunale delle imprese

L'articolo 2 del decreto-legge 1/2012 (cd. decreto liberalizzazioni) prevede l'istituzione del "Tribunale delle imprese", ampliando in misura significativa la sfera di competenza delle precedenti sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale (istituite dal d. lgs. 168/2003 presso alcuni tribunali e corti d'appello). Le sezioni specializzate in materia d'impresa, se non già previste, sono istituite - con specifiche eccezioni - presso tutti i tribunali e corti d'appello con sede nel capoluogo di ogni regione.



Le sedi

L'articolo 2 del decreto-legge 1/2012 (decreto liberalizzazioni, convertito con modificazioni dalla legge 27/2012) ha profondamente riformato la disciplina relativa alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, che il decreto legislativo 168/2003 aveva istituito presso i tribunali e le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

In particolare, l'articolo 2, oltre a modificarne la denominazione in “sezioni specializzate in materia di impresa” istituisce nuove sezioni specializzate in tutti i tribunali e corti d’appello con sede nei capoluoghi di regione che finora ne erano sprovvisti (si tratta delle sedi di Ancona, Cagliari, Campobasso, Catanzaro, L’Aquila, Perugia, Potenza e Trento) nonché, in quanto sede di Corte d’appello, presso il tribunale e la Corte d’appello di Brescia. La competenza per il territorio della Valle d’Aosta è attribuita al tribunale e alla Corte d’appello di Torino.

I giudici che compongono le sezioni specializzate sono scelti tra i magistrati dotati di specifiche competenze, senza che l’istituzione delle nuove sezioni comporti la necessità di incrementi di organico.



Le competenze

Quanto alle controversie attribuite alla competenza del tribunale delle imprese, la riforma ha ampliato la competenza per materia delle sezioni specializzate. In particolare, il decreto-legge conferma la competenza sulle controversie in materia di proprietà industriale di cui all'articolo 134 del D.Lgs. 30/2005 (Codice della proprietà industriale) aggiungendo:

In materia societaria, è attribuita al tribunale delle imprese la competenza su specifiche controversie relative:

Più analiticamente, per quanto concerne la tipologia di controversie e procedimenti societari attratti alla competenza delle sezioni specializzate, la riforma indica le cause relative a rapporti societari, compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario, le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro i componenti degli organi amministrativi o di controllo, il liquidatore, il direttore generale ovvero il dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché contro il soggetto incaricato della revisione contabile per i danni derivanti da propri inadempimenti o da fatti illeciti commessi nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati, le opposizioni alla delibera dell’assemblea di riduzione del capitale sociale delle spa e delle srl (articoli 2445, terzo comma e 2482, secondo comma, c.c.), le opposizioni all’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione di destinazione di un patrimonio della società ad uno specifico affare (art. 2447-quater, secondo comma, c.c.), le opposizioni alla revoca dello stato di liquidazione della società (art. 2487-ter, secondo comma, c.c.), le opposizioni alle fusioni di società da parte dei creditori e dei possessori di obbligazioni delle società partecipanti (artt. 2503 e 2503-bis, c.c.), le opposizioni alla scissione delle società (art. 2506-ter c.c.). Come norma di chiusura, la disposizione attribuisce ai tribunali dell’impresa la competenza anche sulle cause che presentano ragioni di connessione con quelle sopraelencate.

Quanto alla competenza per territorio, il decreto-legge riformula l'articolo 4 del D.lgs. 168/2003 stabilendo che le controversie di cui all’articolo 3 che, secondo gli ordinari criteri di ripartizione della competenza territoriale e nel rispetto delle normative speciali che le disciplinano, dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nel territorio della regione (i tribunali circondariali) sono assegnate alla sezione specializzata avente sede nel capoluogo della regione individuato ai sensi dell’articolo 1. Alle sezioni istituite presso tribunali e corti d’appello non capoluoghi regionali sono attribuite le controversie che dovrebbero essere trattate dagli uffici giudiziari compresi nei rispettivi distretti di corti d’appello.



Il contributo unificato

L'articolo 2 del decreto-legge liberalizzazioni raddoppia, per i processi di competenza delle sezioni specializzate, il contributo unificato previsto dal TU spese di giustizia.

Parte del maggior gettito derivante dall’aumento (600.000 euro) - per ciascuno degli anni 2012 e 2013 - è destinato agli oneri derivanti dall’istituzione delle nuove sezioni specializzate in materia di impresa. dal 2014 l'intero maggior gettito del contributo unificato sarà versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia civile, amministrative e tributaria (ai sensi dell'articolo 37, co.10, del D.L. 98/2011).

 



L'efficacia

Una disposizione transitoria stabilisce che le disposizioni sul tribunale delle imprese si applicano ai giudizi instaurati dopo il 180° giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 1/2012, ovvero ai giudizi instaurati dopo il 24 settembre 2012.



Documenti e risorse web

Approfondimento: Tutela della proprietà industriale

La legge 99/2009 (c.d. collegato energia) mira, tra l'altro, a rafforzare la tutela penalistica della proprietà industriale e a contrastare più efficacemente la contraffazione; misure anche di natura penale di tutela del made in Italy sono contenute nel decreto-legge 135/2009, di attuazione di obblighi comunitari; ad inizio legislatura, nell'ambito di un decreto-legge di più ampio contenuto in materia di sicurezza (D.L. 92/2008), è stata apportata una modifica al codice di procedura penale volta a prevedere la distruzione delle merci contraffatte sequestrate. Il D.Lgs 231/2010 ha dettato una specifica disciplina transitoria volta alla tutela dei diritti di proprietà industriale su opere "di pubblico dominio" non registrate ai sensi della legge 633/1942 sul diritto d'autore.



Tutela penale

La legge 99/2009 (c.d. collegato in materia di energia) mira, tra l’altro, a rafforzare la tutela penale della proprietà industriale riformulando alcuni articoli del codice penale, inserendovi nuove fattispecie di reato e apportando modifiche alla disciplina della confisca.

In particolare, il provvedimento (art. 15):

Con il decreto-legge 135/2009 si è intervenuti sulla disciplina del Made in Italy:



La distruzione delle merci contraffatte

Ad inizio legislatura, il Parlamento ha convertito il decreto-legge 92/2008 in tema di sicurezza pubblica. Il provvedimento è, tra l’altro, intervenuto sul codice di procedura penale prevedendo la distruzione delle merci prodotte in violazione delle norme a tutela della proprietà industriale e sequestrate dall’autorità giudiziaria, anche al fine di risolvere le difficoltà di carattere economico e pratico che la custodia e la conservazione di ingenti quantitativi di merce può porre.

Attraverso la modifica dell’art. 260 c.p.p. si è in particolare stabilito che l'autorità giudiziaria deve procedere alla distruzione delle cose di cui sono vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione, in presenza delle seguenti condizioni:

L'autorità giudiziaria dispone il prelievo di uno o più campioni e ordina la distruzione della merce residua. Nei casi di sequestro nei procedimenti a carico di ignoti, la polizia giudiziaria, a tre mesi dal sequestro ( fatta salva la facoltà di conservazione di campioni da utilizzare a fini giudiziari), può procedere alla distruzione delle merci contraffatte sequestrate, previa comunicazione all'autorità giudiziaria.



Disegni e modelli industriali

Appare opportuno segnalare, in quanto occasione di un intervento del Legislatore, la complessa questione inerente la disciplina transitoria della tutela del diritto d’autore nel campo del design industriale.

Sulla materia in questione, si è infatti pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza 27 gennaio 2011 (nella nota causa "Flos") in risposta al rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale di Milano concernente la compatibilità dell’art. 239 Codice della proprietà industriale (D.Lgs 30/2005) con la direttiva 98/71 e, dunque la compatibilità della normativa italiana sulla protezione del design industriale ai sensi della legge sul diritto d’autore (in attuazione della citata direttiva) con il diritto europeo. 

Si tratta del caso sollevato da Flos – nota multinazionale dell’illuminazione - contro la ditta Semeraro che aveva importato dalla Cina un modello di lampade (chiamate “Fluida”) che Flos ha definito imitazioni delle proprie lampade “Arco”. La Flos non aveva, a suo tempo, fatto registrare lampada di propria produzione. Secondo la legge vigente in Italia all’epoca dei fatti, dato che la lampada in questione era ormai caduta in pubblico dominio, non poteva più essere tutelata, e di conseguenza la ditta Semeraro era praticamente legittimata a copiare liberamente il modello Flos senza incorrere nella violazione di alcun diritto. Il Tribunale di Milano, investito originariamente della causa, sospese il giudizio per porre all’attenzione della Corte di Giustizia UE alcune questioni relative alla compatibilità della normativa italiana con quella comunitaria. Venivano così in rilievo principalmente due ipotesi: da un lato quella dei disegni e modelli che prima della data di entrata in vigore della normativa nazionale di trasposizione della direttiva (19 aprile 2001) erano già di pubblico dominio in mancanza di una registrazione come disegni e modelli e, dall’altro, quella in cui, prima di tale data, essi siano divenuti di pubblico dominio in quanto la protezione derivante da una registrazione ha cessato di produrre i suoi effetti. Nella sentenza della Corte di giustizia UE, la prima questione viene risolta nel senso che la normativa comunitaria non consente agli Stati membri di escludere dall’ambito di applicazione della tutela del diritto d’autore quelle opere di design che, in possesso dei requisiti previsti e registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro, siano divenute di pubblico dominio anteriormente alla data di entrata in vigore della normativa di recepimento della direttiva. Sulla seconda questione, invece, si è stabilito che per venire incontro anche agli interessi di quei terzi che in buona fede avevano fabbricato e commercializzato prodotti realizzati ispirandosi alle opere di design di pubblico dominio, la protezione per questi dovesse essere concessa per un periodo transitorio ispirato ai principi di proporzionalità e ragionevolezza. La Corte di Giustizia ha stabilito che è contrario alla normativa comunitaria un regime transitorio che di fatto escluda la protezione di diritto d’autore per opere che abbiano i requisiti per godere di tale tutela.


Tale decisione, tuttavia, ha perso in parte la sua attualità poiché in pendenza del procedimento la legge italiana è stata nuovamente modificata con una novella dell’art. 239 del D.Lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale) in linea con il contenuto della sentenza comunitaria. Il D.Lgs 131/2010 ha riformulato l'art. 239 del suddetto Codice stabilendo che la tutela ai sensi della legge sul diritto d'autore comprende anche le opere del disegno industriale che, anteriormente alla data del 19 aprile 2001, erano, oppure erano divenute, di pubblico dominio. Tuttavia i terzi che avevano fabbricato o commercializzato, nei dodici mesi anteriori al 19 aprile 2001, prodotti realizzati in conformità con le opere del disegno industriale allora in pubblico dominio non rispondono della violazione del diritto d'autore compiuta proseguendo questa attività anche dopo tale data, limitatamente ai prodotti da essi fabbricati o acquistati prima del 19 aprile 2001 e a quelli da essi fabbricati nei 5 anni successivi a tale data (il DL 216/2011 ha esteso tale periodo a 13 anni) e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso.

Mutui e finanziamenti al sistema produttivo

Nel corso della XVI Legislatura, Parlamento e Governo hanno emanato numerose misure volte a fronteggiare l'emergenza di liquidità (credit crunch) che ha colpito le banche e le istituzioni finanziarie, con la conseguente netta riduzione dei finanziamenti alle imprese ed ai consumatori. Il trend di riduzione dei prestiti bancari al settore privato non finanziario è stato registrato anche dall'ultimo Bollettino Economico della Banca d'Italia (gennaio 2013). In particolare, tra settembre e novembre 2012 tali prestiti sono diminuiti del 2,6 per cento (in ragione d'anno, al netto dei fattori stagionali e dell'effetto contabile delle cartolarizzazioni). Tale flessione ha riguardato soprattutto i prestiti alle imprese (-4,0 per cento, contro il -0,8 di quelli alle famiglie). Gli interventi in tal senso adottati hanno dunque inteso tutelare i piccoli risparmiatori dagli effetti della crisi e fornire adeguato sostegno finanziario al tessuto imprenditoriale italiano; tali scopi sono stati perseguiti sia mediante iniziative di tipo esclusivamente legislativo, sia mediante sinergie ed accordi con gli esponenti delle istituzioni creditizie.

I mutui

Rimandando al tema web sulle liberalizzazioni nel sistema bancario per quanto attiene alla disciplina positiva dei mutui e, più in generale, sulle modifiche apportate in materia di contratti bancari nel corso del quinquennio, in questa sede preme ricordare gli interventi volti a garantire un adeguato livello di liquidità finanziaria nei confronti dei consumatori. Le misure recate hanno interessato soprattutto il comparto immobiliare, colpito duramente dalla crisi economico-finanziaria.

Il richiamato Bollettino economico della Banca d’Italia (gennaio 2013) evidenzia una recente, lieve flessione del costo del credito alle famiglie. Il tasso sui nuovi mutui si attesta al 3,5 per cento per le operazioni a tasso variabile (oltre i due terzi delle erogazioni complessive), rimanendo invece invariato nel breve periodo (al 4,8) per quelle a tasso fisso. Pur beneficiando dell’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari, la riduzione dei tassi è frenata dalla percezione di un rischio di credito elevato da parte degli intermediari.

 In una prima fase, il legislatore italiano è intervenuto al fine di consentire ai consumatori di rinegoziare i mutui a tasso variabile accesi per acquistare, costruire e ristrutturare l'abitazione principale (D.L. n. 93/2008 e 185/2008). Per i predetti mutui, in particolare, l'articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 ha predeterminato ex lege la misura delle rate da corrispondere nel corso dell’anno 2009, applicando specifici parametri. Inoltre, la stessa norma ha disposto che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e quelli derivanti dall'applicazione delle condizioni originarie del contratto di mutuo fosse corrisposta dallo Stato. Sono stati introdotti ulteriori vantaggi a favore del mutuatario, soprattutto per quanto attiene all’abbattimento degli onorari notarili e al divieto di applicazione di costi per le formalità concernenti le operazioni di portabilità.

L'articolo 8, comma 6 del D.L. 70/2011 ha consentito di rinegoziare i mutui a tasso variabile, fino al termine del 31 dicembre 2012. Tale agevolazione riguarda i finanziamenti di importo non superiore a 200 mila euro, a condizione che l’ISEE del mutuatario non fosse superiore a 35 mila euro e, salvo accordo tra le parti, non avesse avuto ritardi nel pagamento delle rate.

 Con la legge di riforma del mercato del lavoro (articolo 3, commi 48 e 49 della legge n. 92 del 2012) si è provveduto a novellare la disciplina del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, istituito dalla legge finanziaria 2008 (articolo 2, ai commi da 475 a 480, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) e operativo dal 15 novembre 2010.

Scopo del Fondo è di consentire ai mutuatari, per i contratti di mutuo relativi all’acquisto di immobili da adibire a prima casa di abitazione, di chiedere in determinate ipotesi la sospensione del pagamento delle rate; il Fondo provvede altresì a sollevare il mutuatario da specifici costi (ad es. da quelli delle procedure bancarie). Per effetto della sospensione la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione stessa; al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti.

La dotazione iniziale del Fondo, ai sensi della citata legge finanziaria 2008, era di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente l’articolo 13, comma 20 del D.L. 201 del 2011 ha rifinanziato il Fondo con 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.

La richiamata legge n. 92 del 2012 ha esteso le misure di sospensione a carico del Fondo anche a ulteriori tipologie di mutui; ha precisato le condizioni alle quali non può essere richiesta la sospensione delle rate; ha codificato in norma primaria le condizioni alle quali si accede ai benefici della sospensione e dell’intervento del Fondo, precedentemente recate dalle sole disposizioni di attuazione.

Accanto alle iniziative di natura legislativa, si rammenta in questa sede l'Accordo per una misura straordinaria di sostegno alle famiglie in difficoltàa seguito della crisi, firmato per la prima volta il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo, fino a marzo 2013), che dispone la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni. La misura riguarda in particolare i mutui di importo fino a 150.000 euro accesi per l'acquisto, la costruzione o ristrutturazione dell'abitazione principale (anche cartolarizzati) e per i clienti con un reddito imponibile fino a 40.000 euro annui che hanno subito nel biennio 2009 e 2010 eventi particolarmente negativi (morte, perdita dell'occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione). Le banche aderenti all'iniziativa possono migliorare tali condizioni. In merito all’iniziativa, l’ABI ha reso noto che (dati di dicembre 2012) le banche hanno sospeso 84.995 mutui, pari a circa 9,8 miliardi di debito residuo, garantendo alle famiglie interessate una liquidità complessiva di 606 milioni di euro (media annua per famiglia di 7.130 euro).

Finanziamenti al sistema produttivo

Il peculiare tessuto del sistema imprenditoriale italiano - costituito prevalentemente da piccole e medie imprese - ha legato a doppio filo il sistema bancario al sistema produttivo. Quest’ultimo si avvale infatti delle istituzioni creditizie sia per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti, sia per il funzionamento ordinario delle proprie strutture. Rimane invece relativamente marginale il ruolo dei mercati dei capitali, come peraltro sottolineato all’esito dell’indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, svolta dalla VI Commissione (Finanze) della Camera nel corso della XVI Legislatura.

Sul tema si ricorda altresì l'indagine conoscitiva sui rapporti tra banche e imprese con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento, svolta dalla Commissione Finanze e tesoro del Senato.

La richiamata congiuntura economico-finanziaria, che ha condotto le istituzioni finanziarie e creditizie a diminuire l’offerta di credito alle imprese, ha posto il legislatore italiano innanzi alla necessità di intervenire – ancora una volta in via normativa e in via convenzionale – con lo scopo di approvvigionare di liquidità il tessuto produttivo del Paese.

 Tra le misure legislative adottate a tal fine, si rammenta in questa sede il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese ad opera del D.L. n. 201/2011, che ne ha incrementato la dotazione di 400 milioni annui per il biennio 2012-2014. Con decreto del MEF del 26 marzo 2012 (pubblicato sulla G.U. del 24 aprile) sono state definite le modalità per l'incremento della dotazione del Fondo, mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle regioni e di altri enti ed organismi pubblici, ovvero con l'intervento della SACE S.p.A.. Il decreto del 26 giugno (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto) del ministro dello Sviluppo economico e dell'Economia e delle Finanze è intervenuto in rettifica dei parametri per la concessione della garanzia e della controgaranzia, a valere sul Fondo, aumentando la percentuale di copertura e azzerando la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.

Tra le principali misure di natura convenzionale, si ricorda che nel febbraio del 2012 è stata sottoscritta l’intesa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’ABI e le altre Associazioni di rappresentanza delle imprese, denominata “Nuove misure per il credito alle PMI” volta alla sospensione dei pagamenti da parte di talune imprese e all’allungamento dei piani di finanziamento.

L’accesso alla misura è riservato alle imprese con adeguate prospettive economiche, prive di gravi anomalie nel rimborso dei debiti: rispetto al precedente intervento, i requisiti di ammissibilità appaiono più restrittivi, in particolare per le imprese che già presentino temporanee tensioni di liquidità. La predetta intesa ricalca quanto previsto dal cd. “Avviso comune”, varato sin dal 2009: esso prevedeva la sospensione per dodici mesi dei rimborsi della quota di capitale relativa ad alcune forme di debito delle piccole e medie imprese.

 Nel solco dell’innesto di liquidità al sistema si collocano le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa depositi e prestiti (per effetto del combinato disposto dell’articolo 22 del D.L. 185 del 2008 e dell’articolo 3, comma 4-bis del D.L. 5 del 2009) che ha di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell’economia.

In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa depositi e prestiti Spa.

Le convenzioni sottoscritte nel tempo tra l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e la Cdp hanno consentito all’Istituto di strutturare, attraverso apposite convenzioni, specifici plafond di risorse, finalizzati a favorire l’accesso al credito delle PMI. Inoltre, l'ABI e la Cassa depositi e prestiti hanno sottoscritto, il 1° marzo 2012, una nuova convenzione che disciplina le modalità con cui le banche potranno utilizzare il nuovo plafond di 10 miliardi di euro per il finanziamento delle piccole e medie imprese, messo a disposizione dalla stessa Cdp a seguito del sostanziale esaurimento del plafond di 8 miliardi attivato a fine 2009.

 Si rammenta che il 20 giugno 2012 la Camera ha approvato la risoluzione 6-00110 che, tra l’altro, impegna il Governo ad aiutare il sistema creditizio tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, cambiando l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese. In particolare si chiede che la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea (si veda in merito il tema web sulla stabilita' del sistema creditizio ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e che siano adottate iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito.

 In questa sede è opportuno fare cenno alle ulteriori, seguenti misure che, sebbene non attuate mediante i canali creditizi, sono state finalizzate al rifinanziamento delle imprese ed a favorire la provvista di liquidità:

Project bond, cambiali finanziarie e obbligazioni emesse da PMI

Il decreto-legge "sviluppo" (D.L. 83 del 2012)  ed il  decreto "sviluppo-bis” (D.L.n. 179 del 2012) hanno introdotto disposizioni volte a consentire anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del capitale di debito, soprattutto a causa della crisi economica che ha ridotto la capacità di fornire prestiti da parte delle banche. Con la riforma delle disposizioni civilistiche e fiscali relative alle cambiali finanziarie e ai titoli obbligazionari, dunque, anche alle società italiane non quotate è ora permesso ricorre all’emissione di strumenti di debito destinati ai mercati domestici ed internazionali. E' stato inoltre disciplinato il regime fiscale applicabile alle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). L'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 6 marzo 2013 ha indicato il regime fiscale e le modalità applicative riguardo ai nuovi strumenti di finanziamento per le PMI: cambiali finanziarie, titoli obbligazionari e project bond.

Il partenariato pubblico privato

Si ricordano, da ultimo, le modifiche normative intervenute in materia di partenariato pubblico-privato per le quali si rinvia al tema Il Codice dei contratti pubblici, che hanno inciso in modo particolare sulla disciplina delle infrastrutture strategiche. 

Per quanto concerne la finanza di progetto (project financing), l'art. 41, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 ha disciplinato una specifica procedura che si applica alla lista delle infrastrutture inserite nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) qualora intendano ricorrervi i soggetti aggiudicatori. In relazione alla possibilità di presentare proposte, analogamente a quanto previsto per le procedure di finanza di progetto ordinarie, l’articolo 42 del decreto legge n. 1 del 2012 ha introdotto il diritto di prelazione per il proponente che apporta le eventuali modifiche intervenute in fase di approvazione del CIPE.

Nuove misure per agevolare il finanziamento delle opere da parte dei privati riguardano la cosiddetta defiscalizzazione introdotta dall'art. 18 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), modificata in più occasioni nel corso del 2012 e da ultimo dall'art. 33, comma 3, del D.L. 179/2012. In particolare, al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, possono essere previste, per le società di progetto nonché, a seconda delle diverse tipologie di contratto, per il soggetto interessato, ivi inclusi i soggetti concessionari, misure agevolative, che consistono nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo, in modo da assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di partenariato pubblico privato tenuto conto delle condizioni di mercato.

L’art. 33, comma 1, del D.L. 179/2012, al fine di agevolare la realizzazione di nuove opere infrastrutturali, riconosce, in via sperimentale, ai soggetti titolari di contratti di PPP, ivi comprese le società di progetto, un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa. Tali opere devono essere di importo superiore a 500 milioni di euro e realizzate mediante l’utilizzazione dei contratti di PPP. Devono, inoltre, essere approvate – in relazione alla progettazione definitiva - entro il 31 dicembre 2015, non devono usufruire di contributi pubblici a fondo perduto; ne deve essere, infine, accertata, in esito a una specifica procedura che coinvolge il CIPE, la non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).

Da ultimo,si segnala che è stata introdotta la possibilità per le imprese di assicurazione di utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, anche attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture (art. 42, commi 6 e 7, del D.L. 201 del 2011) e l'emissione di obbligazioni "di scopo”, vale a dire finalizzate al finanziamento di specifiche opere pubbliche, da parte degli enti locali (art. 54 del D.L. 1/2012).

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Confidi

I confidi - consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi – sono i soggetti che, ai sensi della cosiddetta legge sui confidi (art. 13 del D.L. 269/2003), svolgono l'attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi e i servizi connessi o strumentali, a favore delle piccole e medie imprese associate, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge. La garanzia dei confidi è rappresentata da un fondo al quale contribuiscono tutti i soci del consorzio.

 

Nel corso della XVI legislatura si è manifestata una rinnovata considerazione per l’operato dei confidi, testimoniata anche dal sostegno finanziario dell’operatore pubblico a favore dei consorzi. L’utilizzo dei confidi per veicolare i fondi verso le micro-aziende beneficiarie rappresenta una peculiarità rilevante dell’intervento pubblico per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese in Italia.

I principali interventi legislativi sul tema hanno inteso riformare il sistema di vigilanza sui confidi (D.Lgs. n. 141 del 2010 e successivi interventi correttivi, in particolare il D.Lgs. n. 169 del 2012) e rafforzare la patrimonializzazione degli stessi (D.L. n. 201 del 2011 e D.L. n. 179 del 2012).

Il D.Lgs. n. 141/2010, attuativo della direttiva n. 48/2008 in tema di credito al consumo, ha riformato la disciplina relativa ai confidi, confermando la previsione di due distinte tipologie di confidi sottoposti a regimi di controllo differenziati, ma nel complesso più rigorosi e potenzialmente più efficaci rispetto al passato. Attraverso modifiche al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, TUB) si prevede l'istituzione di un nuovo elenco dei confidi, anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi, tenuto da un apposito Organismo. I confidi maggiori sono invece autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina.



Confidi "minori"

I confidi iscritti ai sensi dell'art. 155, comma 4, del TUB nell'apposita sezione dell'elenco generale, possono svolgere esclusivamente l'attività di garanzia collettiva dei fidi, che consiste nella "prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie" volta a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario (art. 13, comma 1, del D.L. 269/2003). A tali operatori è pertanto precluso l'esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico nonché l'esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari ex art. 106.

I confidi devono avere una compagine sociale costituita da piccole e medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole, come definite dalla disciplina comunitaria.

In relazione ai descritti limiti operativi e alla finalità di sostegno delle PMI, tali confidi sono espressamente sottratti all'applicazione delle disposizioni del Titolo V del TUB relative agli intermediari finanziari e la loro operatività non è sottoposta al regime di vigilanza prudenziale della Banca d'Italia, che viene invece esercitato nei confronti dei confidi “maggiori”. Più specificatamente nei confronti dei confidi iscritti ex art. 155, comma 4, i poteri e gli interventi di controllo della Banca d'Italia sono finalizzati a verificare l'osservanza delle norme sulla trasparenza delle operazioni loro consentite.

Il D.Lgs. n. 141/2010 ha modificato la disciplina dei confidi (articolo 112 del TUB) e ha introdotto una nuova forma di vigilanza sui confidi “minori”. I confidi, anche di secondo grado, sono iscritti in un elenco tenuto da un Organismo (dotato di autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria competente per la gestione dell'elenco dei confidi) ed esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell'economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla legge. L'iscrizione nell’elenco è subordinata al ricorrere delle condizioni di legge (articolo 13 del D.L. 269/2003) nonché al possesso da parte degli amministratori di requisiti di onorabilità.

I confidi iscritti nell'albo esercitano in via prevalente l'attività di garanzia collettiva dei fidi e possono svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, attività connesse (prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; gestione di fondi pubblici di agevolazione; stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione). I confidi iscritti nell'albo possono, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell'articolo 106, comma 1, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d'Italia.

Il nuovo articolo 112-bis del TUB disciplina l’Organismo per la tenuta dell'elenco dei confidi. L'Organismo svolge ogni attività necessaria per la gestione dell'elenco e vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della disciplina cui sono sottoposti. Nell'esercizio di tali attività può avvalersi delle Federazioni di rappresentanza dei Confidi espressione delle Organizzazioni nazionali di impresa. Resta fermo il coinvolgimento della Banca d’Italia nel comparto, chiamata a sua volta a vigilare, secondo criteri di proporzionalità ed economicità, sull’Organismo al fine di verificare l’adeguatezza delle procedure adottate per lo svolgimento dell’attività.

Il D.Lgs. 169/2012 ha eliminato l’obbligo per tale soggetto di costituirsi in forma di associazione e ha affidato al MEF, sentita la Banca d’Italia, sia l’approvazione del relativo statuto, sia la nomina di un proprio rappresentante nell’organo di controllo. L’Organismo dei confidi si intende costituito, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, nel momento in cui l’Organismo, fornito di tutte le risorse – umane e materiali – necessarie, è in grado di avviare la gestione dell’elenco secondo le nuove norme.

In caso di violazioni legislative o amministrative da parte degli iscritti all’elenco tenuto dall’Organismo, il medesimo (e non più la Banca d’Italia, previa istruttoria dell’Organismo) può irrogare sanzioni, nella forma del divieto di intraprendere nuove operazioni o dell’obbligo di ridurre le attività.

Al Ministro dell’economia e delle finanze – su proposta della Banca d’Italia – è assegnato il potere di scioglimento degli organi di gestione e di controllo dell’Organismo, qualora risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività dello stesso.

 



Confidi "maggiori" vigilati

I confidi che hanno un volume di attività finanziaria pari o superiore a 75 milioni di euro, erano tenuti, ai sensi dell'art. 15 del D.M. 17 febbraio 2009, n. 29, ad iscriversi nell'elenco speciale (previgente articolo 107 del TUB). Il D.Lgs. n. 141/2010 (riforma del Titolo V del TUB) ha sostituito il precedente sistema, caratterizzato da un doppio elenco (uno generale e uno speciale), con l’obbligo di iscrizione in un albo unico per gli intermediari finanziari autorizzati (nuovo articolo 106 del TUB), i quali esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Tali soggetti sono sottoposti all’attività di vigilanza della Banca d’Italia (art. 108). I confidi tenuti ad iscriversi nell'albo di cui all'articolo 106 sono esclusi dall'obbligo di iscrizione nell'elenco tenuto dall'Organismo previsto all'articolo 112-bis.

Il nuovo articolo 112, comma 3, prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, determini i criteri oggettivi, riferibili al volume di attività finanziaria in base ai quali sono individuati i confidi che sono tenuti a chiedere l'autorizzazione per l'iscrizione nell'albo previsto dall'articolo 106. La Banca d'Italia stabilisce, con proprio provvedimento, gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del volume di attività finanziaria. In deroga all'articolo 106, per l'iscrizione nell'albo i confidi possono adottare la forma di società consortile a responsabilità limitata.

Nel disegno del D.Lgs. 141/2010, i confidi maggiori sono autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina. Rispetto all’attuale assetto di vigilanza, che è confermato nel suo impianto, la supervisione sugli intermediari finanziari e, quindi, anche sui confidi maggiori, risulta in via generale rafforzata attraverso:

- la previsione di un formale provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività;

- l’introduzione ex novo di poteri di controllo sugli assetti proprietari, subordinando ad autorizzazione della Banca d’Italia l’acquisizione di partecipazioni rilevanti nel capitale;

- l’incremento dei poteri di intervento (ad es. restrizione della struttura territoriale, divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria);

- l’introduzione della disciplina di vigilanza consolidata, con la definizione della nozione di gruppo finanziario;

- l’applicazione di procedimenti di gestione delle crisi (gestione provvisoria, revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa).



L'attività di prestazione delle garanzie

Il ricorso al Fondo di garanzia per le PMI (di cui all'art. 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662) gestito dal Mediocredito Centrale è aumentato soprattutto in relazione al riconoscimento della garanzia dello Stato di ultima istanza, avvenuto con i provvedimenti anti-crisi del 2008, che consente di applicare la ponderazione zero alla quota parte di finanziamento coperta dalla garanzia del Fondo.

L'articolo 8, comma 5, lettera b), del D.L. n. 70 del 2011 ha demandato ad un decreto ministeriale la modifica dei criteri e delle modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo, anche introducendo differenziazioni in termini di percentuali di finanziamento garantito e di onere della garanzia e che a tali fini, il Fondo può anche sostenere con garanzia concessa a titolo oneroso il capitale di rischio investito da fondi comuni d'investimento mobiliari chiusi.

Con Dm del 26 giugno 2012 (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto 2012) il ministro dello Sviluppo economico e quello dell'Economia e delle finanze hanno aumentato la percentuale di copertura e azzerato la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.



La patrimonializzazione dei confidi

Secondo quanto emerge nella Relazione annuale della Banca d'Italia per il 2011, il comparto dei confidi iscritti all'elenco speciale ha evidenziato un marcato deterioramento delle garanzie rilasciate. Le cause di questo indebolimento sono imputabili: alla crescita dei fallimenti delle imprese e la conseguente insolvenza dei confidi; al fatto di rientrare nella categoria dei confidi vigilati dalla Banca d'Italia che comporta costi crescenti; ai requisiti di Basilea in base ai quali, non tutti i contributi dati ai confidi vengono attribuiti al patrimonio ma sono considerati debito, il che comporta l’obbligo di una maggiore patrimonializzazione per la società (dato che il capitale deve essere proporzionato al credito garantito).

Da più parti si sollecita pertanto un processo di razionalizzazione dei confidi: questi, infatti, hanno un assetto frammentato a fronte di una grande concentrazione del mercato delle garanzie.

Alla luce del deterioramento del patrimonio dei confidi, che riduce la possibilità di concedere garanzie alle imprese, le associazioni di categoria hanno chiesto di poter computare strumenti ibridi di patrimonio derivanti dalla contribuzione pubblica, a patrimonio di primo pilastro dei confidi; in più chiedono la possibilità di aprire i confidi a sinergie con Cassa Depositi e Prestiti.

Tra le misure volte a rafforzare i confidi, si ricorda l’articolo 39, comma 7, del D.L. 201 del 2011, il quale ha consentito alle imprese non finanziarie di grandi dimensioni e agli enti pubblici e privati l’ingresso nel capitale sociale dei confidi e delle banche cooperative di garanzia collettiva dei fidi, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione. Tale ingresso, tuttavia, deve essere minoritario: le piccole e medie imprese socie devono disporre di almeno la metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea; inoltre la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica deve essere riservata all’assemblea.

Successivamente, l’articolo 10 del D.L. n. 1 del 2012 ha esteso tale facoltà anche ai confidi costituiti tra liberi professionisti, la cui costituzione era stata precedentemente prevista dal decreto-legge 70/2011.

L'articolo 36, commi 1 e 2, del D.L. 179 del 2012 ha poi introdotto norme volte a rafforzare patrimonialmente i confidi, senza porre oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, consentendo di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva, i fondi rischi alimentati da contributi pubblici oggetto di vincoli di destinazione, mediante una delibera dell’assemblea ordinaria. E’ possibile altresì accantonare i predetti contributi per la copertura dei rischi. In tal modo i fondi perdono i vincoli preesistenti, acquisendo la possibilità di essere computati nel patrimonio di vigilanza.

In realtà, le risorse interessate dalla disposizione in esame farebbero già parte dei mezzi propri dei confidi ma su di esse potrebbero gravare dei vincoli di destinazione (per esempio territoriali) che non consentono il loro utilizzo a presidio dei rischi complessivamente assunti. Attraverso la destinazione di tali contributi al fondo consortile o al capitale sociale tali vincoli verrebbero pertanto fatti cadere ope legis.

Le risorse vengono attribuite unitariamente al patrimonio, anche a fini di vigilanza, dei relativi confidi, senza vincoli di destinazione, nel caso siano destinati ad incrementare il patrimonio; la relativa delibera è di competenza dell’assemblea ordinaria.

Viene poi precisato che le eventuali azioni o quote corrispondenti, costituiscono azioni o quote proprie dei confidi e non attribuiscono alcun diritto patrimoniale o amministrativo, né sono computate nel capitale sociale o nel fondo consortile ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea.

La disposizione si applica:

La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, comma 481 dell’articolo 1) ha prorogato per il 2013 le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro. Ove la disciplina di attuazione non sia emanata entro il 15 gennaio 2013, il Governo – previa comunicazione alle Camere – dovrà promuovere un'apposita iniziativa legislativa per finalizzare le risorse stanziate:



Norme in materia di antiriciclaggio

Il D.Lgs. 169 del 2012, mediante modifiche all’articolo 25 del D.Lgs. 231 del 2007 (antiriciclaggio) ha incluso i confidi tra i soggetti che possono avvalersi del regime semplificato di adeguata verifica della clientela. E’ stato inoltre allineato l’impianto sanzionatorio previsto dagli articoli 55, 56, 58 e 60 del D.Lgs. 231 del 2007 alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 141/2010. In particolare:

Approfondimento: Portabilità dei mutui: evoluzione della disciplina

Per “portabilità” dei mutui bancari si intende una serie di disposizioni, in prima battuta recate dell’articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, con le quali si consentire al debitore di sostituire più facilmente l’istituto erogante con uno nuovo, eventualmente a condizioni più favorevoli, allo scopo di accrescere il grado di concorrenza nel mercato dei mutui bancari.

La c.d. portabilità è realizzata mediante l’istituto giuridico della surrogazione del creditore. In sostanza, si permette al debitore di sostituire la banca che ha erogato inizialmente il finanziamento con una nuova banca (perché, ad esempio, quest’ultima propone condizioni migliori), mantenendo viva l’ipoteca originariamente costituita. Nel caso in cui si decida di trasferire il mutuo ad altro intermediario non è quindi più necessaria la cancellazione della vecchia garanzia e l’attivazione di una nuova, con riduzione di formalità e soprattutto di costi notarili. La banca che subentra provvederà a pagare il debito che residua e si sostituirà a quella precedente. Il debitore rimborserà il mutuo alle nuove condizioni concordate.

Il pagamento con surrogazione è disciplinato dagli articoli da 1201 a 1205 del codice civile. In generale, con la surrogazione si consente al debitore di sostituire il creditore iniziale senza necessità di consenso di quest’ultimo, previo pagamento del debito (art. 1202 c.c.). Secondo l’articolo 1204 c.c., la surrogazione ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore. Se il pagamento è parziale, ai sensi dell’articolo 1205 c.c., il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario.

Le disposizioni in materia di portabilità dei mutui sono state trasfuse nell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario (di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) per effetto del D.Lgs. 141/2010, recependo sostanzialmente le disposizioni in materia di portabilità introdotte dal 2007 in poi.

Il D.Lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato, lasciandone intatta la vigenza, l’articolo 8, comma 4-bis del D. L. n. 7 del 2007, che dispone agevolazioni fiscali applicabili al caso in cui il mutuante surrogato subentri nelle garanzie accessorie, personali e reali, accessorie al credito surrogato. In particolare, non si applicano l’imposta di registro, di bollo, le imposte ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative; né trova applicazione l'imposta sostitutiva delle predette forme di prelievo che ordinariamente grava - tra l’altro - sulle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine concluse dagli intermediari.

Il vigente articolo 120-quater dispone, in primo luogo, il debitore può esercitare la facoltà di surrogazione anche se il credito non è esigibile del credito o se è stato pattuito un termine a favore del creditore.

Per effetto della surrogazione il mutuante surrogato subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce (ad es. ipoteca). La surrogazione comporta il trasferimento del contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. L’annotazione della surrogazione presso i registri immobiliari può essere richiesta senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. L’articolo 8, comma 8 del D.L. 70/2011 ha introdotto la possibilità di presentare l’atto di surrogazione per via telematica.

Al cliente non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di surrogazione. Resta salva la possibilità del finanziatore originario e del debitore di rinegoziare il finanziamento in essere, senza spese, mediante scrittura privata anche non autenticata.

Inoltre, è espressamente prevista la sanzione della nullità di ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione. Si tratta di una nullità relativa, che non si estende – per espressa previsione di legge – al contratto.

Il D. L. 78/2009 (articolo 2, comma 3; il relativo contenuto è stato trasfuso nel comma 7 dell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario) ha introdotto la possibilità di risarcimento del danno da ritardo per il caso di intempestivo perfezionamento della surrogazione. Su tale disciplina sono poi intervenuti il D.L. 70/2011 e il D.L. n. 1 del 2012.

Le norme vigenti prevedono che, ove la surrogazione non si perfezioni entro il termine di trenta giorni lavorativi dalla data della richiesta – formulata dalla banca surrogata al finanziatore originario - di avvio delle procedure di collaborazione, il finanziatore originario è tenuto a risarcire il cliente in misura pari all'uno per cento del debito residuo del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili. Infine, la surrogazione per volontà del debitore e l’eventuale rinegoziazione non comportano il venir meno dei benefici fiscali.

La surrogazione si applica (comma 8 dell’articolo 120-quater):

Essa non si applica ai contratti di locazione finanziaria.

In attuazione delle norme sulla portabilità, l’Associazione bancaria italiana (ABI) ha definito una procedura di collaborazione interbancaria volta a contribuire alla migliore realizzazione delle operazioni di portabilità del mutuo, improntata a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.

Si ricorda che l’articolo 8-bis del decreto-legge n. 7 del 2007 ha vietato, nell’ambito dei rapporti assicurativi e bancari, di addebitare al cliente le spese di predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate, relative alle comunicazioni derivanti dall’applicazione, tra l’altro, delle norme sulla surrogazione.

L’articolo 4 del D.Lgs. n. 141 del 2010 ha inserito nel testo unico bancario l’articolo 120-ter, in cui sono state trasfuse le disposizioni in materia di estinzione anticipata dei mutui immobiliari recate dall’articolo 7 del D. L. n. 7/2007. In particolare, è nullo qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclusione del contratto, che vincola il mutuatario al pagamento di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante per l'estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche. Tale nullità è relativa e non comporta la nullità del contratto.

Da ultimo, l'articolo 27-ter del D. L. n. 1 del 2012 ha semplificato le procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia di mutui: in particolare, l’ipoteca si estingue automaticamente anche in caso di mancata rinnovazione entro il termine di vent’anni dall’iscrizione. Essa è cancellata d’ufficio al verificarsi di una delle cause di estinzione legale disciplinate dal codice civile.

X Attività produttive

Energia

Nella XVI legislatura la politica energetica dell’Italia, in linea con la politica energetica dell’Unione europea, ha affrontato numerose questioni.

In primo luogo sussiste una problematica relativa alla sicurezza degli approvvigionamenti e alla tutela dell’ambiente, considerata la necessità di ridurre la dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese e, al contempo, di contribuire agli obiettivi previsti in ambito UE (riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, risparmio di energia tramite una maggiore efficienza energetica, uso delle energie rinnovabili).

Per ridurre la dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese, sono stati programmati e adottati interventi volti:

Con riferimento alla necessità di diversificazione delle fonti energetiche, all'inizio della XVI Legislatura è stata disciplinata la localizzazione nel territorio nazionale di centrali nucleari e dei sistemi di stoccaggio dei rifiuti radioattivi, istituendo l'Agenzia per la sicurezza nucleare. In seguito al referendum tenutosi nei giorni 12 e 13 di luglio si è, poi, decisa l'abrogazione delle norme riguardanti l'energia nucleare e lastrategia energetica nazionale .

E' stata, poi, portata avanti la politica di incentivazione delle fonti rinnovabili , prevedendo svariate misure in tal senso, tra le quali la razionalizzazione dei sistemi di incentivazione e la semplificazione delle procedure autorizzative.

Gli interventi in materia di energia sono stati poi indirizzati anche ad incrementare il grado di concorrenzialità ed efficienza dei mercati energetici , per ottenere dei benefici in termini di riduzione del relativo costo per imprese e famiglie. Difatti, l’Autorità per l’energia, intervenendo in sede parlamentare in merito allo stato di avanzamento in Italia dei processi di liberalizzazione dei due principali mercati energetici, ne ha rilevato il diverso livello di concorrenza, molto maggiore nel settore elettrico rispetto a quello del gas, auspicando il completamento del processo di liberalizzazione in particolare del mercato del gas.

A tal fine sono state introdotte modifiche nell’organizzazione e funzionamento del mercato elettrico per promuoverne la concorrenzialità e garantire un prezzo dell’energia elettrica più basso.

Inoltre, per una maggiore efficienza del settore del gas è stata assegnata in esclusiva al Gestore dei mercati energetici la gestione economica del mercato del gas mentre all’Acquirente Unico è stato attribuito il compito di fornitore di ultima istanza anche in tale settore. Sono stati, poi, rivisti i tetti antitrust ed adottati gli strumenti per l’effettivo trasferimento dei benefìci della maggiore concorrenzialità anche ai clienti finali industriali.

Per recepire le direttive comunitarie relative ai mercati interni, ovvero il c.d. "terzo pacchetto energia", il Governo ha emanato il decreto legislativo 93/2011, con l'obiettivo di aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti e la concorrenza nel mercato interno dell’elettricità e del gas, di assicurare un’efficace separazione tra imprese del gas che sono proprietarie e che gestiscono le reti di trasporto e le imprese che utilizzano le stesse reti di trasporto per l’importazione e la vendita di gas, nonché di tutelare maggiormente i consumatori e in particolare i clienti “vulnerabili”.

Ulteriori misure approvate dal legislatore hanno riguardato l’incentivazione del risparmio e dell'efficienza energetica . Innanzitutto, è stata prevista l’elaborazione di un piano straordinario, da trasmettere alla Commissione europea, volto ad accelerare l'attuazione dei programmi per l'efficienza e il risparmio energetico. Si è inoltre intervenuti sui requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili, con la finalità dell’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella comunitaria. Sono state inoltre emanate dal Governo le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici .

Strategia energetica nazionale

Nel 2008, con l'articolo 7 del decreto-legge n. 112, il legislatore ha introdotto nell'ordinamento l'istituto della "Strategia energetica nazionale" quale strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale. Al centro di questo istituto era originariamente prevista la attivazione di una nuova politica per l'energia nucleare. Il decreto-legge 34/2011 ha dettato una nuova formulazione che manteneva l'istituto della "Strategia energetica" senza però riferimento al nucleare; anche questa nuova formulazione è stata abrogata dal referendum del 12 e 13 giugno 2011 (abrograzione resa esecutiva con D.P.R. n. 114/2011). Rimangono naturalmente nell'ordinamento una serie di disposizioni concernenti piani su singoli settori dell'energia (gas, elettricità, rinnovabili, ecc., escluso il nucleare) e relative infrastrutture.

L’ordinamento italiano prevede, anche in correlazione con apposite indicazioni di direttive e regolamenti europei, diversi strumenti di pianificazione/indirizzo in materia energetica.

Si fa riferimento, in particolare, ai seguenti:

Oltre a questi “piani di settore” il nostro ordinamento ha conosciuto, nel periodo 2008-2010, anche un istituto di indirizzo generale in materia di energia, denominato “Strategia energetica nazionale”.

Più in dettaglio, si ricorda che l’art. 7 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), aveva attribuito al Governo il compito di definire una “Strategia energetica nazionale” (SEN) intesa quale strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, cui pervenire a seguito di una Conferenza nazionale dell’energia e dell’ambiente.

Lo scopo era di indicare le priorità per il breve ed il lungo periodo per conseguire, anche attraverso meccanismi di mercato, gli obiettivi della diversificazione delle fonti di energia e delle aree di approvvigionamento, del potenziamento della dotazione infrastrutturale, della promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, della realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, del potenziamento della ricerca nel settore energetico e della sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia.

La originaria versione della norma sulla “Strategia energetica nazionale” del 2008 menzionava espressamente, tra le diverse fonti di energia su cui puntare, anche l’energia nucleare, il cui sviluppo è stato poi disciplinato dalla legge-delega 99/2009 e dal decreto legislativo 31/2010. Tuttavia tre anni dopo vi è stato un mutamento di orientamento del Governo, anche a seguito dell’incidente giapponese di Fukushima, e il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307) ha abrogato tutte le norme del 2008-2010 in materia di energia nucleare, mentre a sua volta l’articolo 5, comma 8 ha dettato una nuova formulazione della norma sulla “Strategia energetica nazionale”, depurata da riferimenti all’energia nucleare.

La riformulazione della norma sulla “Strategia energetica nazionale” (SEN) dettata dalla legge del 2010 era del seguente tenore: "Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo, l'incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo nel settore energetico e la partecipazione ad accordi internazionali di cooperazione tecnologica, la sostenibilità ambientale nella produzione e negli usi dell'energia, anche ai fini della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, la valorizzazione e lo sviluppo di filiere industriali nazionali. Nella definizione della Strategia, il Consiglio dei Ministri tiene conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale sulla sicurezza delle tecnologie disponibili, degli obiettivi fissati a livello di Unione europea e a livello internazionale in materia di cambiamenti climatici, delle indicazioni dell'Unione europea e degli organismi internazionali in materia di scenari energetici e ambientali".  

Anche questa nuova versione della norma è poi venuta meno per effetto del referendum popolare abrogativo tenutosi nei giorni 12 e 13 giugno 2011. Uno dei quesiti sottoposti al corpo elettorale – così come riformulati dalla Corte di Cassazione in veste di ufficio centrale per il referendum – aveva infatti ad oggetto proprio la riformulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale dettata dal D.L. 34/2011. Il successo dei Sì al referendum ha quindi determinato l'abrogazione anche del citato comma 8 dell'articolo 5 (abrogazione resa esecutiva con D.P.R. n. 114/2011) e dell’istituto della SEN da esso disciplinato. L’istituto della SEN non fa perciò più parte del nostro ordinamento. In una Segnalazione a Governo e Parlamento, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas ha manifestato al legislatore l’esigenza di prevedere una norma espressa che disciplini il procedimento d’adozione della SEN.

Per completezza di informazione, si ricorda che la formulazione della norma sulla Strategia energetica nazionale contenuta nel D.L. 34/2011 presentava, oltre all’abrogazione dei riferimenti al nucleare, anche altre differenze rispetto alla formulazione del 2008, soprattutto riguardo ai soggetti coinvolti, agli obiettivi e alle modalità di definizione della SEN. Ai sensi della norma del 2008, la Strategia doveva essere definita dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, previa convocazione, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente. Per converso, la nuova formulazione del 2010 prevedeva che la proposta della SEN fosse effettuata dal Ministro dello sviluppo economico congiuntamente con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che fosse inoltre sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e che fossero acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Della Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente non si faceva poi menzione nella nuova formulazione introdotta dalla legge 75/2011 di conversione del decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307). Infine, rispetto alla formulazione del 2008, si precisava che nella definizione della SEN il Consiglio dei ministri doveva tener conto delle valutazioni effettuate a livello di Unione europea e a livello internazionale. 

Si ricorda anche che la Commissione Industria del Senato il 19 ottobre 2010 ha avviato una "Indagine conoscitiva sulla Strategia energetica nazionale".

Il Ministero dello sviluppo economico ha pubblicato sul proprio sito internet un documento che costituisce la base per una consultazione pubblica finalizzata alla stesura della Strategia energetica nazionale. Su tale documento l'Antitrust ha inviato al Ministero una segnalazione, pubblicata sul bollettino del 28 gennaio 2013.

Dossier pubblicati

Energie rinnovabili

La Commissione ambiente ha concluso un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Sono stati pubblicati i due decreti ministeriali che definiscono i nuovi incentivi per il fotovoltaico (cd. Quinto conto energia) e per le altre rinnovabili elettriche. Con un altro decreto ministeriale è stato varato il cd. "conto termico", per dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili.

Obiettivi dell'Unione europea e provvedimenti nazionali di attuazione

Il "pacchetto clima-energia" adottato dall'Unione europea contiene misure volte a combattere i cambiamenti climatici e a promuovere l'uso delle energie rinnovabili, che consentirà alla UE, entro il 2020, di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra (rispetto al 1990), di conseguire un risparmio energetico del 20% e di aumentare al 20% la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia. Tra le misure, oltre alla decisione n. 406/2009/CE diretta a ridurre i livelli delle emissioni anche tramite una maggiore efficienza energetica, rientra anche la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, che fissa obiettivi vincolanti per ciascuno Stato membro, coerenti con l'obiettivo di una quota complessiva di energie rinnovabili sul consumo energetico finale della UE pari almeno al 20% nel 2020; per l’Italia tale quota complessiva al 2020 dovrà essere non inferiore al 17%. In attuazione della direttiva è stato adottato il Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell’Italia, trasmesso alla Commissione europea ai fini della valutazione della sua adeguatezza.

La legge 96/2010, legge comunitaria 2009 (A.C. 2449), delega il Governo al recepimento della predetta direttiva 2009/28/CE. Acquisiti i pareri parlamentari sullo schema iniziale (atto n. 302), il Governo ha adottato definitivamente il decreto legislativo 28/2011 che dà attuazione alla direttiva. Il provvedimento, che recepisce e attua gli obiettivi vincolanti fissati dall’UE, traduce in misure concrete le strategie delineate nel PAN trasmesso alla Commissione europea, per il conseguimento entro il 2020 della quota del 17% di energia da fonti rinnovabili sui consumi energetici nazionali. Per il raggiungimento di tale obiettivo, il decreto provvede: alla razionalizzazione e all’adeguamento dei sistemi di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili (energia elettrica, energia termica, biocarburanti) e di incremento dell’efficienza energetica, così da ridurre i relativi oneri in bolletta a carico dei consumatori; alla necessaria semplificazione delle procedure autorizzative; allo sviluppo delle reti energetiche necessarie per il pieno sfruttamento delle fonti rinnovabili. Il provvedimento individua, inoltre, modalità relative alla diffusione delle informazioni e al monitoraggio del progressivo raggiungimento degli obiettivi. Si consideri che il testo deliberato in via definitiva accoglie solamente in parte le numerose condizioni e osservazioni contenute nei pareri parlamentari e reca varie modifiche ed integrazioni non riconducibili a tali pareri.

Alla definizione dei criteri di sostenibilità ambientale per i biocarburanti e i bioliquidi (v. Le agroenergie), necessari perché siano conteggiabili per il raggiungimento degli obiettivi nazionali sulle energie rinnovabili e per accedere ai previsti strumenti di sostegno, provvede il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 55 (emanato dal Governo dopo l'acquisizione dei pareri sullo schema di decreto legislativo n. 315), volto al recepimento della direttiva 2009/30/CE che prevede l'aggiornamento delle specifiche dei combustibili utilizzati nei trasporti (carburanti), fissate ai fini della riduzione delle emissioni inquinanti.

 

 

 

Misure di sostegno

Particolarmente complesso si presenta, in Italia, il quadro degli incentivi alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Tali incentivi sono finanziati dalla collettività tramite le bollette dell’energia elettrica e costituiscono la voce di spesa più rilevante tra quelle finanziate dagli utenti sotto la voce “oneri generali di sistema”. Coesistono, infatti, numerosi meccanismi di incentivazione (alcuni fondati su regimi di mercato e altri su regimi amministrativi) che vanno dalle “tariffe incentivate” in base alla delibera CIP 6/92 al sistema dei “certificati verdi”, dal sistema “feed-in-tariffs” per gli impianti di minor potenza al sistema del “conto energia” utilizzato per gli impianti fotovoltaici, fino ai contributi a fondo perduto per talune energie rinnovabili.

Il principale meccanismo di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è costituito dai certificati verdi - titoli emessi dal Gestore dei servizi energetici (GSE) attestanti la produzione di energia da fonti rinnovabili - introdotti nell’ordinamento nazionale dall’articolo 11 del decreto legislativo 79/1999 per superare il criterio di incentivazione noto come CIP 6.

La legge 244/2007 (finanziaria 2008) ha delineato un nuovo meccanismo di incentivazione per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007 che prevede il rilascio di certificati verdi per gli impianti di potenza superiore a 1MW, mentre, per gli impianti di potenza elettrica non superiore a 1MW, si attribuisce il diritto, in alternativa ai certificati verdi, ad una tariffa fissa onnicomprensiva variabile a seconda delle fonte utilizzata.

Le direttive per regolare la transizione dal vecchio meccanismo di incentivazione (certificati verdi) al nuovo (tariffa onnicomprensiva in alternativa ai certificati verdi) - dal quale rimane esclusa la tecnologia fotovoltaica che gode di una forma di incentivazione specifica - sono state emanate, in attuazione della legge 244/2007, con il D.M. 18 dicembre 2008.

I certificati verdi possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo, posto a carico dei produttori ed importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili, di immettere nella rete elettrica, a decorrere dal 2002, una quota minima - crescente negli anni - di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio dopo il 1° aprile 1999.

Con l'art. 45 del decreto-legge 78/2010 (A.C. 3638), si stabilisce che a partire dal 2011 venga assicurata, rispetto al 2010, la riduzione del 30% dell'importo complessivo derivante dal ritiro, da parte del GSE, dei certificati verdi ulteriori rispetto a quelli necessari per assolvere all'obbligo della suddetta quota minima da fonti rinnovabili (certificati verdi in eccesso di offerta).

Il decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili riforma i meccanismi incentivanti la produzione di elettricità da fonti rinnovabili per gli impianti entrati in esercizio dal 1° gennaio 2013, prevedendo un periodo di transizione dall'attuale sistema (certificati verdi) al nuovo. I nuovi meccanismi di incentivazione consistono in tariffe fisse per i piccoli impianti (fino a 5 MW) e in aste al ribasso per gli impianti di taglia maggiore. Anche per gli impianti entrati in esercizio entro il 2012, a partire dal 2016 i certificati verdi saranno sostituiti - per il residuo periodo di spettanza - da una tariffa fissa tale da garantire la redditività degli investimenti realizzati. Il GSE ritira annualmente i certificati verdi rilasciati per gli anni dal 2011 al 2015, in eccesso di offerta, ad un prezzo di ritiro pari al 78% del prezzo definito secondo i criteri vigenti; contestualmente viene soppressa la previsione - connotata da analoga finalità - introdotta dal decreto-legge 78/2010 (cfr. supra). A partire dal 2013 la quota d'obbligo di energia rinnovabile da immettere nel sistema elettrico si riduce linearmente negli anni successivi fino ad annullarsi per l'anno 2015.

Tra le misure sulle fonti rinnovabili contenute nella legge 99/2009, si segnala quella che consente ai comuni di destinare aree del proprio patrimonio disponibile alla realizzazione di impianti per l'erogazione in conto energia (fotovoltaici) e di servizi di scambio sul posto dell'energia elettrica prodotta, da cedere a privati cittadini.

La legge contiene anche misure di semplificazione per l’installazione e l’esercizio di impianti di cogenerazione, prevedendo  la  semplice comunicazione all’autorità competente ai sensi del Testo Unico in materia edilizia (D.P.R. 380/2001) per le unità di microcogenerazione, fino a 50 kWe, e una denuncia di inizio attività (DIA) per gli impianti di piccola cogenerazione, fino a 1 MWe.

Il provvedimento interviene anche in materia di energia geotermica, con una delega al Governo finalizzata al riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche in modo da garantire un regime concorrenziale per l'utilizzo delle risorse ad alta temperatura e semplificare i procedimenti amministrativi per l'utilizzo delle risorse a bassa e media temperatura. In attuazione di tale delega è stato emanato il decreto legislativo 22/2010.

Per quanto concerne la produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, dal 2005 ad oggi si sono susseguiti cinque decreti del Ministro dello sviluppo economico per l’approvazione di altrettanti “Conto energia”, con cui sono stati disciplinati modalità e misure di incentivazione riferiti ai diversi tipi di impianti da fotovoltaico (si veda la scheda di approfondimento sui vari "conti energia".

Le modalità di incentivazione con riferimento agli impianti che entrino in esercizio nel triennio 2011-2013 erano state inizialmente definite dal D.M. 6 agosto 2010 ("Terzo Conto Energia"). Tuttavia, in un'ottica di riduzione degli incentivi al fotovoltaico e al relativo aggravio sulle bollette elettriche, il decreto legislativo sulle energie rinnovabili ha successivamente limitato gli incentivi del Terzo Conto Energia agli impianti entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011. Per gli altri impianti l'incentivazione è stata disciplinata con il "Quarto conto energia", pubblicato sulla G.U. del 12 maggio 2011 (decreto interministeriale 5 maggio 2011). Successivamente, sono stati pubblicati sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2012 i due decreti interministeriali che definiscono i nuovi incentivi per l'energia fotovoltaica (cd. Quinto Conto Energia: D.M. 5 luglio 2012) e per le rinnovabili elettriche non fotovoltaiche (idroelettrico, geotermico, eolico, biomasse, biogas: D.M. 6 luglio 2012).

Le nuove previsioni del Quinto Conto Energia, applicabili agli impianti che entrano in esercizio dopo il 27 agosto 2012, dispongono che:

L’art. 1, comma 4, del DM 5 luglio 2012 (Quinto conto energia) prevede che il IV Conto Energia continua ad applicarsi:

  1. ai piccoli impianti integrati con caratteristiche innovative ed impianti a concentrazione che sono entrati in esercizio prima del 27 agosto 2012;
  2. ai grandi impianti iscritti in posizione utile nei registri e che producono la certificazione di fine lavori nei termini previsti;
  3. agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni, che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2012.

Il decreto-legge 105/2010 (A.C. 3660), contiene numerose disposizioni che intervengono sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, con riferimento alla realizzazione dei relativi impianti o agli incentivi concessi.

Per quanto riguarda il ruolo delle regioni, si ricorda che il D.M. 10 settembre 2010 reca le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, e sulla Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2012 è stato pubblicato il decreto “Burden Sharing”, in attuazione a quanto previsto dall’articolo 37 del Decreto Rinnovabili (D. Lgs. 28/2011), che fissa gli obiettivi per ciascuna Regione relativamente alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Il provvedimento definisce

Il D.M. 28 dicembre 2012 (cd. "Conto termico") si pone il duplice obiettivo di dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili (riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling) e di accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili termiche, il nuovo sistema promuoverà interventi di piccole dimensioni, tipicamente per usi domestici e per piccole aziende, comprese le serre, fino ad ora poco supportati da politiche di sostegno. L'incentivo che coprirà mediamente il 40% dell’investimento e sarà erogato in 2 anni (5 anni per gli interventi più onerosi).

L'attività parlamentare

La Commissione Ambiente ha svolto un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili, con i seguenti obiettivi: la verifica del livello di contributo effettivo alla lotta ai cambiamenti climatici ed alla realizzazione degli obiettivi del "pacchetto clima-energia" da parte degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili; la verifica di come si sia contemperato l'obiettivo strategico di contenimento delle emissioni inquinanti con quello concreto di tutela ambientale dei territori interessati dalla realizzazione degli impianti, e quindi l'impatto paesaggistico e ambientale degli impianti medesimi, anche con riguardo agli effetti sull'assetto idrogeologico del suolo, sull'occupazione del territorio, sulla tutela della biodiversità, nonché sulle vocazioni turistiche delle zone interessate; la verifica delle procedure autorizzative soprattutto con riferimento alle nuove norme di semplificazione in materia di conferenza di servizi e SCIA; la valutazione dei criteri di buona progettazione, minor consumo di territorio e riutilizzo di aree degradate, quali elementi utili alla valutazione favorevole del progetto di impianto di produzione di energia elettrica; la verifica delle politiche regionali messe in atto per garantire il raggiungimento degli impegni assunti dall'Italia sul tema clima-energia, a partire dall'analisi delle normative regionali e del processo di recepimento delle misure adottate in ambito europeo e nazionale; la verifica del grado di partecipazione e di informazione delle popolazioni interessate dagli impianti, a partire dall'analisi della disciplina riguardante l'introduzione, in favore delle comunità locali, di misure compensative per il mancato uso alternativo del territorio. Nella seduta del 23 maggio 2012 la Commissione Ambiente della Camera ha approvato il documento conclusivo dell'indagine.

Nella seduta del 16 marzo 2011 sono state votate le mozioni Franceschini ed altri n. 1-00590, n. 1-00604, Piffari ed altri n. 1-00594, Sardelli ed altri n. 1-00598, Lo Monte ed altri n. 1-00599, Libè, Lo Presti, Tabacci ed altri n. 1-00600, Ghiglia ed altri n. 1-00601 e Guido Dussin ed altri n. 1-00602 in materia di promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili.

Nella seduta del 17 maggio 2012 dell'Assemblea del Senato sono state approvate numerose mozioni sulla normativa relativa alle fonti energetiche rinnovabili.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: CIP 6

Il sistema di incentivazione tariffaria noto come “CIP 6”, introdotto con il provvedimento del Comitato interministeriale dei prezzi n. 6/92 per incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate, negli ultimi anni è stato spesso al centro di accesi dibattiti.

Il meccanismo consiste in un incentivo a favore dei produttori di energia elettrica con impianti alimentati da fonti rinnovabili o assimilate che, avvalendosi di una apposita convenzione, inizialmente cedevano all’ENEL l’energia prodotta in eccedenza ad un prezzo fisso superiore a quello di mercato. L’ENEL da parte sua recuperava la differenza di prezzo attraverso un’apposita voce di costo nella bolletta degli utenti.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 79/1999 (“decreto Bersani”) nei rapporti contrattuali in essere tra ENEL ed altri operatori nazionali è subentrato il Gestore dei servizi energetici (GSE) Spa, che dal 1° gennaio 2001 ritira le “eccedenze” di energia elettrica da fonti rinnovabili ed assimilate.

Le criticità del sistema di incentivazione - che di fatto non è andato a sostegno in via prioritaria delle fonti rinnovabili vere e proprie in quanto ne hanno beneficiato soprattutto gli impianti utilizzanti fonti assimilate tra cui i termovalorizzatori, alimentati da rifiuti - sono state poste in rilievo in Commissione Attività produttive della Camera nel corso di audizioni tenutesi in relazione a tale sistema.

A tali audizioni hanno partecipato, tra gli altri, i presidenti dell’Antitrust (seduta del 5 febbraio 2009) e dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (seduta dell’11 febbraio 2009).

Tra gli auditi si segnala in particolare il presidente dell’Autorità per l’energia che, dopo aver illustrato l’evoluzione del quadro normativo concernente il meccanismo di incentivazione, ha evidenziato il permanere di perplessità già segnalate da tempo da parte dell’Autorità stessa. Le distorsioni, che continuano a gravare sui consumatori finali, riguardano in particolare: la maggiore produzione di elettricità da fonti assimilate rispetto alle rinnovabili; la lunghezza delle convenzioni; la rilevante differenza tra il prezzo del ritiro da parte del GSE e il prezzo di cessione al mercato. Il presidente si è, inoltre, dichiarato favorevole alle norme, allora oggetto di esame parlamentare, volte alla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6.

Si tratta, in particolare, della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter), che all’articolo 30, comma 20, prevede che l'Autorità per l'energia elettrica e il gas propone al Ministro dello sviluppo economico adeguati meccanismi per la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6/92, da disporre con decreti dello stesso Ministro, con i produttori che volontariamente aderiscano a tali meccanismi. Gli oneri derivanti dalla risoluzione anticipata da liquidare ai produttori aderenti devono essere inferiori a quelli che si realizzerebbero nei casi di mancata risoluzione delle convenzioni (ciò consente di ridurre gli oneri per il sistema con effetti positivi in termini di riduzione delle tariffe dell'energia elettrica per famiglie e imprese).

In attuazione di tale norma è stato adottato il D.M. 2 dicembre 2009, che stabilisce i meccanismi per la risoluzione anticipata e volontaria delle convenzioni CIP 6. Il decreto si applica solamente agli impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia nonché agli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili, mentre viene rinviata ad un successivo provvedimento la definizione dei meccanismi di risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 aventi ad oggetto impianti alimentati da fonti rinnovabili e da rifiuti. Peraltro, per i predetti impianti a cui si applica il decreto, si rimanda ad un successivo decreto il completamento della disciplina con la definizione dei criteri e parametri per il calcolo dei corrispettivi spettanti per la risoluzione delle convenzioni nonché di ulteriori modalità e tempistiche relative all'erogazione dei corrispettivi. Tale completamento è avvenuto, solamente per gli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili - rinviando ad un successivo provvedimento la definizione delle modalità per la risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 aventi ad oggetto impianti alimentati da combustibili di processo o residui o recuperi di energia - con l'emanazione del D.M. 2 agosto 2010, che, oltre a stabilire i criteri e parametri per il calcolo dei corrispettivi e le modalità per l'erogazione degli stessi (in due soluzioni), ha fissato al 29 ottobre 2010 il termine per la presentazione al GSE dell’istanza vincolante di risoluzione delle convenzioni CIP 6, la cui efficacia decorrerà dal 1° gennaio 2011. Peraltro, sempre con riferimento agli impianti assimilati alimentati da combustibili fossili, il D.M. 8 ottobre 2010 ha individuato le modalità per l'erogazione in più rate annuali, su richiesta dell'operatore, del corrispettivo spettante, differendo al 19 novembre 2010 il termine per l’istanza vincolante di risoluzione delle convenzioni. Le disposizioni attuative del D.M. 2 dicembre 2009 sono state precisate con il D.M. 23 giugno 2011, pubblicato sulla G.U. del 10 agosto 2011.

L'articolo 45 del decreto-legge 78/2010 (A.C. 3638), stabilisce una destinazione nuova delle risorse derivanti dalla risoluzione anticipata delle convenzioni CIP 6 relative alle fonti assimilate a quelle rinnovabili. Tali risorse, costituite dalla differenza tra gli oneri che si realizzerebbero in caso di mancata risoluzione anticipata delle convenzioni e quelli da liquidare ai produttori aderenti volontariamente alla risoluzione, saranno destinate ad un apposito Fondo finalizzato ad interventi nel settore della ricerca e dell'università.



Incentivi CIP 6 per i termovalorizzatori

Con le due leggi finanziarie per il 2007 (legge 296/2006, art. 1, commi 1117 e 1118) ed il 2008 (legge 244/2007, art. 2, commi 136, 137 e 154) è stata vietata la concessione degli incentivi destinati alle fonti rinnovabili, nonché del meccanismo incentivante CIP 6, per la parte inorganica dei rifiuti e, al contempo, prevista una procedura per il riconoscimento in deroga degli incentivi CIP 6.

Nell’ambito dei provvedimenti d’urgenza adottati dall'attuale Governo è stato più volte prorogato il termine per il completamento della citata procedura derogatoria (dapprima dal comma 7 dell’art. 4-bis del decreto-legge 97/2008 e poi, fino al 31 dicembre 2009, dall’art. 9 del decreto-legge 172/2008) e, soprattutto, con l'art. 9 del decreto-legge 172/2008, sono stati fatti salvi gli incentivi CIP 6 per gli impianti, senza distinzione fra parte organica ed inorganica, ammessi ad accedere agli stessi per motivi connessi alla situazione di emergenza rifiuti dichiarata (con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri) prima del 1° gennaio 2007.

Finalmente, per quanto concerne la citata procedura derogatoria, è stato esaminato dalle competenti Commissioni parlamentari lo schema di regolamento ministeriale recante condizioni e modalità per il riconoscimento del diritto ai finanziamenti e agli incentivi statali in attuazione dell'art. 1, commi 1117 e 1118, della legge 296/2006 (atto n. 162). La Commissione Attività produttive della Camera ha espresso parere favorevole il 16 dicembre 2009, mentre la Commissione Industria del Senato ha espresso parere favorevole con raccomandazioni il 21 dicembre 2009. Peraltro successivamente il regolamento non è stato emanato.

Approfondimento: Energia geotermica



Storia della normativa geotermica in Italia

Nel 1927 fu varata la legge mineraria, basata sul principio che la disponibilità del sottosuolo dovesse essere svincolata da quella della superficie, e in cui per la ricerca e coltivazione mineraria era stabilito un regime concessorio, che consentiva le attività soltanto a quei soggetti fisici e giuridici che dimostravano di avere capacità tecniche ed economiche idonee a svolgere il programma dei lavori approvato con il Decreto di concessione e/o permesso di ricerca.

La legge fissava nel Ministero dell’Economia Nazionale – Direzione Generale delle Miniere, l’unico interlocutore del Ricercatore e/o Concessionario per l’autorizzazione allo svolgimento delle attività minerarie. La gestione ed il controllo erano attuati dal Ministero attraverso il Corpo delle Miniere, con i suoi organi territoriali (Distretti minerari). I proprietari dei fondi compresi nel perimetro del Permesso di ricerca e/o Concessione mineraria non potevano opporsi ai lavori, fermo restando il diritto al risarcimento dei danni. Inoltre, entro il perimetro di ogni titolo minerario le attività di esplorazione e coltivazione erano considerate opere di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili e quindi soggette ad un iter autorizzativo privilegiato.

Tale legislazione, seppure aggiornata in molti aspetti (soprattutto riguardanti la sicurezza degli operatori sugli impianti, ed integrata in tempi recenti con leggi di settore del 1986 riguardanti gli Idrocarburi e la Geotermia, che hanno trasferito le competenze dal Corpo delle Miniere all’Ufficio Nazionale Minerario Idrocarburi e Geotermia, e perciò dai Distretti Minerari alle Sezioni dell’UNMIG) è rimasta valida fino all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 1998, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59.

La crisi petrolifera verificatasi nel 1973-1974 diede un forte impulso alla ricerca ed alla coltivazione, sia degli idrocarburi sia delle risorse geotermiche, su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda la geotermia, infatti, risale a quel periodo il forte sviluppo delle ricerche volte a migliorare le conoscenze tecnologiche e geo-minerarie italiane su vasti territori della fascia costiera tirrenica, tra l’Arno a Nord e Napoli a Sud, interessando le Regioni Toscana, Lazio e Campania. Ricerche geotermiche profonde furono condotte dall’Enel e dalla Joint Venture Enel–Agip ai Campi Flegrei, a Roccamonfina, ai Colli Albani, ai Monti Sabatini, ai Monti Cimini, ai Monti Vulsini, al Monte Amiata, e nella zona tradizionale di Larderello-Travale.

Questo periodo coincise quindi con una ripresa d’interesse a livello nazionale verso la geotermia; ed infatti i successi riportati nella esplorazione profonda in alcune aree diedero luogo a molte attese nei confronti della geotermia che si presentava come una promessa per contribuire a far fronte ad una parte dei bisogni energetici nazionali.

La normativa di gestione della risorsa geotermica, agli inizi degli anni ’70 regolata ancora dalla legge del 1927 prima richiamata, mostrava i suoi limiti a fronte degli sviluppi tecnologici degli impianti di perforazione e soprattutto delle maggiori profondità previste e raggiunte con i pozzi di produzione. Inoltre, altre esigenze di carattere ambientale, o relative ai rapporti con il territorio nei quali si svolgevano le attività di esplorazione, oppure anche di sicurezza per il personale, indussero il Parlamento ad adottare una legge specifica per la geotermia, e cioè la ”legge geotermica” n. 896 del 9 dicembre 1986, come legge di settore per il rilancio della geotermia in Italia, e successivamente il suo Regolamento di attuazione con il DPR n. 395 del 9 dicembre 1991.

Tale legge fu la prima del corpo legislativo italiano ad adottare una regolamentazione assimilabile alle successive normative di Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA). Questa valutazione venne affidata congiuntamente al neonato Ministero dell’Ambiente, al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, al Ministero dell’Agricoltura, ed a quello della Sanità, nonché alle Regioni ed ai Comuni interessati, con il coordinamento del Ministero dell’Industria che svolgeva anche le funzioni di Autorità proponente.

In quel periodo, altre leggi, ancorché non armonizzate con le norme minerarie, condizionavano però fortemente, se non la ricerca e coltivazione del calore in quanto tale, la “gestione” del fluido vettore del calore, nonché i gas incondensabili associati al fluido stesso; furono pertanto emesse allo scopo varie norme sulla reiniezione dei fluidi geotermici esausti con la legge n. 319 del 10 maggio 1976, e sulle emissioni in atmosfera con il DPR n. 203 del 24 maggio 1988. D’altra parte, la legge n. 319/1976 (meglio nota come “Legge Merli”) e le sue successive modifiche ed integrazioni, prevedevano che le condense dei fluidi geotermici non potevano essere scaricate in superficie prima di essere adeguatamente trattate; cosa, che risultava in alcuni casi estremamente oneroso. Di conseguenza, per cercare di risolvere in altro modo il problema della gestione dei reflui geotermici, furono accelerati fortemente nel campo di Larderello gli studi e le sperimentazioni sulla reiniezione dei reflui negli stessi serbatoi di provenienza dei fluidi estratti. I benefici ottenuti con questa operazione cominciarono a verificarsi quasi subito e con effetti crescenti, al punto tale che in questi ultimi anni è stato notato un aumento della pressione del fluido nel serbatoio geotermico veramente notevole rispetto a quella esistente prima dell’inizio della reiniezione. D’altra parte, le norme sulle emissioni in atmosfera dei reflui gassosi hanno fatto avviare una serie di studi ed esperienze volti a minimizzare l’impatto sulle popolazioni residenti. Essi sono sfociati in un brevetto dell’Enel di abbattimento praticamente totale dell’idrogeno solforato e del mercurio nei gas di scarico delle centrali, cui è stato dato nome AMIS (Abbattimento di Mercurio ed Idrogeno Solforato).

Un aspetto importante sancito dalla legge 896/1986 è stato il riconoscimento di un contributo una tantum ai Comuni sede d’impianto (fissato dalla legge geotermica in 20.000 £/kWe) in funzione della potenza di targa della centrale geotermoelettrica installata, e della relativa produzione, a fronte dei disagi che l’impianto e le sue pertinenze creano nel territorio del Comune. Il valore unitario del contributo ha subito incrementi con il tempo in funzione della svalutazione monetaria. Sempre con la stessa legge viene riconosciuto ai Comuni coinvolti nel titolo minerario, in proporzione alla percentuale di territorio vincolato (con un minimo di 60 % al comune sede della centrale), ed alla Regione, un contributo in funzione dell’energia elettrica prodotta nell’anno. Anche tale importo ha successivamente subito cambiamenti: alcuni per norme di legge, altri perché legati al valore della tariffa elettrica di vendita dell’energia.

A seguito del referendum che impose la moratoria sulle centrali nucleari, con le leggi n. 9 e n. 10 del gennaio 1991 il Governo volle dotare l’Italia di un Piano Energetico Nazionale (PEN) allo scopo di far fronte alle crescenti esigenze di energia elettrica, ed alla necessità quindi di sviluppare forme “alternative” di energia.

Con tale obiettivo furono introdotti nella legislazione molteplici riferimenti allo sviluppo ed incremento dell’impiego delle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), e stabilite norme su alcuni aspetti particolari del settore dell’energia, ma senza che vi fosse una chiara definizione della strategia energetica nazionale nel medio e lungo termine, sia per quanto riguarda la tipologia di impianti da utilizzare, sia per quanto concerne il “mix” di produzione (gas, carbone, olio combustibile, FER, etc.). A parte ciò, la legge 9/1991 conteneva norme sul rilascio delle concessioni idroelettriche, sulla costruzione degli elettrodotti, e sulla pianificazione della costruzione degli impianti di produzione elettrica; mentre la legge 10/1991, dando un formale riconoscimento al ruolo che lo sviluppo delle fonti rinnovabili può giocare, insieme ad altri fattori, nel “migliorare le condizioni di compatibilità ambientale, dell’utilizzo dell’energia a parità di servizio reso, e di qualità della vita”, dettava norme sul risparmio energetico, sul miglioramento della compatibilità ambientale e sull’uso razionale dell’energia. Con questa legge furono anche definite quali fonti energetiche le FER comprendano, e fu così specificato che esse sono: l’energia solare, il vento, l’energia idraulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso, e la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici e dei prodotti vegetali. Inoltre, fu inserito nella legislazione italiana il concetto che l'utilizzazione delle FER deve essere considerata di pubblico interesse e di pubblica utilità, e che le relative opere vanno equiparate a quelle dichiarate indifferibili ed urgenti ai fini dell'applicazione delle leggi sulle opere pubbliche; concetto per altro già vigente per la geotermia in quanto risorsa mineraria.

Successivamente, la delibera CIPE n. 137 del 1998, “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, ha riconosciuto alla produzione di energia da FER un ruolo estremamente rilevante ai fini della riduzione delle emissioni dei gas serra, paragonabile ai contributi richiesti ad altre importanti attività per la riduzione di tali emissioni.

Il Decreto Bersani, all’interno di una riforma complessiva del settore elettrico nazionale dedicata alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, richiamava la necessità, anche con riferimento agli impegni internazionali previsti dal protocollo di Kyoto, di “…incentivare l’uso delle energie rinnovabili, il risparmio energetico, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, e l’utilizzo delle risorse energetiche nazionali”. A tal fine, ai produttori di energia elettrica fu fatto obbligo di immettere in rete, fin dal 2001, una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili mediante impianti nuovi o ripotenziati in data successiva all’entrata in vigore del decreto stesso. Tale obbligo rispondeva al fine di dare un sostanziale contributo al raggiungimento dell’obiettivo di produzione di elettricità da FER assegnato all’Italia dalla citata direttiva europea.

Successivamente, il DM 11 novembre 1999 recante Direttive per l'attuazione delle norme in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 11 del D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79 ha inteso facilitare lo sviluppo e l’uso di FER per la produzione di energia elettrica attraverso una forma di incentivazione economica costituita dai cosiddetti “certificati verdi” (CV).

Il decentramento amministrativo realizzato con la suddetta legge n. 59 del 15 marzo 1997 ha delegato alle Regioni la competenza amministrativa sulle risorse geotermiche conservando allo Stato il potere legislativo e di indirizzo.

Il decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998, all’art. 34, stabilisce che “le funzioni degli uffici centrali e periferici dello Stato relative ai permessi di ricerca ed alle concessioni di coltivazioni di minerali solidi e risorse geotermiche sulla terraferma sono delegate alle regioni, che le esercitano nell’osservanza degli indirizzi della politica nazionale nel settore minerario e dei programmi nazionali di ricerca”.

Inoltre, la legge n. 59/1997 sopra citata ha previsto la possibilità per le Regioni di dotarsi di un proprio piano energetico detto PER (Piano Energetico Regionale) che, tenendo anche conto dei fattori ambientali locali, deve costituire uno strumento di programmazione regionale di fondamentale importanza per la definizione di politiche di sviluppo del relativo territorio.

Pertanto, allo scopo di semplificare le procedure autorizzative e dare tempi certi per la realizzazione degli impianti elettrici e delle linee di trasporto dell’energia (sia elettrica che di fluidi energetici), lo Stato ha emanato il D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, con il quale, in particolare, attraverso l’art. 12, comma 3, è stato istituito un procedimento unico presso la Regione competente che si conclude con una Conferenza dei servizi, incaricata tra l’altro di emanare un decreto omnicomprensivo valido sia per la costruzione e l’esercizio dell’impianto di produzione elettrica, che di tutte le opere ad esso connesse.



La segnalazione dell'Antitrust sulla "legge geotermica"

Nell’esercizio dei poteri di segnalazione di cui all’articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (con parere inviato al Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Ministero dello Sviluppo economico in data 12 settembre 2008) ha posto in evidenza possibili distorsioni della concorrenza derivanti da alcune disposizioni della legge 9 dicembre 1986, n. 896 (legge geotermica).

In particolare, la legge n. 896/1986:

L’Antitrust ha sottolineato l’esigenza di un intervento legislativo che consenta di precisare il quadro normativo di riferimento, nel senso di prevedere espressamente procedure che garantiscano una concorrenza per il mercato nell’assegnazione dei permessi di ricerca e delle concessioni di coltivazione di risorse geotermiche. In tal senso, la permanenza di diritto o di fatto di una riserva in capo ad Enel, in alcune zone del territorio italiano, per lo sfruttamento di una risorsa dalla quale si genera energia elettrica, nonché più in generale la sussistenza di un regime preferenziale nell’assegnazione delle concessioni geotermiche ad Enel ed Eni in caso di concorso di più istanze, non risultano coerenti con l’assetto ormai liberalizzato del mercato della generazione di energia elettrica. Tali norme appaiono, infatti, residui di un passato regime di monopolio legale nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo presenti sul territorio.



La delega contenuta nella "legge sviluppo"

La legge n. 99/2009, nota come “legge sviluppo”, all’articolo 27, comma 28, ha delegato il Governo ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge (cioè entro il 9 febbraio 2010) uno o più decreti legislativi per determinare un nuovo assetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche che

Le risorse geotermiche sono generalmente classificate in: alta temperatura (oltre i 150°C), media temperatura (tra 90°C e 150°C) e bassa temperatura (meno di 90°C).

Le risorse geotermiche ad alta temperatura sono solitamente utilizzate per la produzione di energia elettrica. L'Italia è stato il primo paese al mondo ad utilizzare la geotermia ad alta temperatura per produrre energia elettrica in grandi centrali: la prima centrale geotermica fu realizzata a Larderello (PI), nel 1913.

Oltre ai grandi impianti, che utilizzano indirettamente il calore ad alta temperatura proveniente dal sottosuolo, per alimentare delle turbine per la produzione di elettricità, esiste anche un'altra geotermia: la geotermia a bassa temperatura o "a bassa entalpia", che è la forma di geotermia ideale per le applicazioni di piccola scala, connesse allo sfruttamento del sottosuolo come serbatoio termico dal quale estrarre calore durante la stagione invernale ed al quale cederne durante la stagione estiva.

Inoltre, mentre la geotermia “tradizionale” (ad alta e media temperatura) resta comunque una fonte energetica limitata a specifici contesti territoriali, la geotermia a bassa temperatura non ha limiti geografici.

Il riassetto deve avvenire in un contesto di sviluppo sostenibile del settore e assicurando la protezione ambientale.

La delega deve essere esercitata senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente.

I princìpi e criteri direttivi della delega sono i seguenti:

a)     garantire, in coerenza con quanto già previsto all’articolo 10, comma 3, della legge 9 dicembre 1986, n. 896, l’allineamento delle scadenze delle concessioni in essere facendo salvi gli accordi intercorsi tra regioni ed operatori, gli investimenti programmati e i diritti acquisiti;

Si ricorda che il citato comma 3 prevede che la concessione possa essere accordata per la durata massima di trenta anni, e prorogata per periodi non superiori a dieci anni ciascuno.

Si segnala anche che il comma 2 del medesimo articolo 10 disponeva una preferenza nell’assegnazione della concessione, a parità di condizioni, all'ENEL o all'ENI, singolarmente o in contitolarità paritetica. Tale disposizione è stata abrogata dal comma 29 dell’art. 27 della legge n. 99/2009, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di riassetto della normativa geotermica (su cui v. infra).

b)     stabilire i requisiti organizzativi e finanziari da prendere a riferimento per lo svolgimento, da parte delle regioni, delle procedure concorrenziali ad evidenza pubblica per l’assegnazione di nuovi permessi di ricerca e per il rilascio di nuove concessioni per la coltivazione di risorse geotermiche ad alta temperatura;

c)     individuare i criteri per determinare, senza oneri né diretti né indiretti per la finanza pubblica, l’indennizzo del concessionario uscente relativamente alla valorizzazione dei beni e degli investimenti funzionali all’esercizio delle attività oggetto di permesso o concessione, nel caso di subentro di un nuovo soggetto imprenditoriale;

d)     definire procedure semplificate per lo sfruttamento del gradiente geotermico o di fluidi geotermici a bassa e media temperatura;

e)     abrogare regolamenti e norme statali in materia di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche incompatibili con la nuova normativa.

Si ricorda, peraltro, che l’articolo 27, comma 29, della legge n. 99/2009 ha disposto l’abrogazione, con effetto dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui sopra, dei citati articoli 3, commi 3 e 6, e 10, comma 2, secondo periodo, della legge 9 dicembre 1986, n. 896.



Il decreto di riassetto della normativa geotermica

Il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 22 di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, è stato emanato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 27, comma 28, della legge 23 luglio 2009, n. 99.

Il decreto è composto da 19 articoli, raggruppati in cinque capi:

Su tale decreto è intervenuto successivamente il D.Lgs. 28/2011 di recepimento della direttiva UE sulle fonti rinnovabili.



La geotermia in Italia e nel mondo

Secondo gli ultimi dati del Gestore per i Servizi Energetici (GSE), si stima che i 31 impianti geotermoelettrici presenti in Italia a fine 2008 abbiano una produzione complessiva annuale attorno ai 5.520 GWh di potenza, grazie ad una capacità installata di 711 MW.

Il parco impianti geotermoelettrici in Italia è molto stabile per numerosità, potenza e produzione: tra il 1997 e il 2008, il tasso medio annuo di crescita è pari allo 0,9% per la numerosità, al 2,2% per la potenza e al 3,2% per la produzione.

Riguardo alla distribuzione della potenza installata in Italia nel 2008 secondo le classi di potenza, il GSE ha calcolato che il “67,7% degli impianti (21 di 31) appartengono alla classe compresa tra 10 e 20 MW ed hanno in media potenza pari a 17,2 MW. La classe tra 20 e 100 comprende il 16,1% degli impianti che hanno potenza media pari a 41,2 MW. Nella classe più piccola in termini di MW installati ci sono il 12,9% degli impianti”.

Le installazioni geotermoelettriche si trovano in Italia nella sola regione Toscana, come esplicitato dalle carte tematiche contenute nel rapporto, con la provincia di Pisa che detiene il primato con il 45,2% sul totale delle 31 centrali dislocate lungo la superficie nazionale, seguita rispettivamente da Siena (29,0%) e Grosseto (25,8%).

La Nazione, nel confronto con i principali Paesi che detengono il maggior numero di impianti geotermici, ricopre il terzo posto, seconda solamente a Stati Uniti e Messico.

Facendo un’attenta analisi tra la produzione geotermica italiana sulla produzione lorda da FER e quella lorda totale, il GSE ha dichiarato che nel primo caso rappresenta il 9,5%, nel secondo l'1,7%.

Sempre il GSE ha valutato che per quanto concerne la produzione elettrica tramite la geotermia – settore in cui l’Italia, come abbiamo visto, gioca un ruolo da protagonista a livello mondiale – vi sono ormai limitate possibilità di ulteriore sviluppo. Vi sono invece ottime possibilità per gli usi a bassa entalpia, un settore che sta conoscendo un forte sviluppo ovunque, ad eccezione del nostro Paese.

Le applicazioni geotermiche legate all’uso diretto del calore sono quelle più sviluppate nella UE: 18 Paesi su 27 utilizzano in tal senso risorse a media o bassa entalpia per un totale (escluse le pompe a calore geotermiche) di 2.490 MWt installati, con una produzione energetica di 793 mila tonnellate equivalenti di petrolio.

Va detto che le statistiche sugli usi diretti del calore geotermico sono difficili da effettuare, sia per la mancanza di una metodologia comune di calcolo, sia perché sono innumerevoli le applicazioni non contabilizzate (quasi tutte quelle termali, ma anche gran parte delle serre e della climatizzazione di edifici isolati).

Ad esempio gli usi termici in Ungheria – il Paese ove la tecnologia è maggiormente sviluppata - si ritiene siano ampiamente sottovalutati dalle statistiche ufficiali (725 MWt). Lo stesso, seppur in modo minore, per l’Italia, che è al secondo posto nella graduatoria dell’Unione europea (circa 500 MWt), seguita dalla Francia (307 MWt).

Le prospettive di sviluppo degli usi diretti geotermici a media e bassa entalpia sono ottime in molti Paesi. In particolare in Francia, ove si punta a triplicare gli usi attuali entro il 2015, anche grazie a forme di incentivi basati sulle “tonnellate di CO2 evitate”: gli incentivi statali ammontano a 400 ¤/t di CO2 evitata, cui possono aggiungersi ulteriori sovvenzioni regionali.

Per quanto concerne le applicazioni a bassissima entalpia, il GSE rileva che l’utilizzo delle pompe a calore geotermico sono in rapida diffusione in molti Paesi europei. È tuttavia difficilissimo contabilizzarle, sia perché alcuni (Paesi Bassi, Belgio) non le differenziano dalle pompe di calore ad aria, sia perché la maggior parte dei Paesi non dispone di statistiche affidabili in tal senso. L’Unione Europea è comunque l’area di maggiore diffusione di questa tecnologia nel mondo.

Secondo valutazioni di EurObserv’ER, a fine 2006 erano installate circa 600.000 pompe a calore geotermico nella UE, per una potenza di circa 7.300 MWt. In tale anno il mercato ha per la prima volta superato le 100.000 pompe vendute.

La Svezia è il Paese con il maggior numero di installazioni (oltre 40.000 a fine 2006), seguita da Germania (28.600 unità), Francia (20.000), Austria (7.235) e Finlandia (4.500). In Italia questo settore è quasi totalmente assente, mentre è in forte espansione in Germania, Francia, Austria, nei Paesi Baltici e Svizzera.

Con l’emanazione del decreto legislativo 11 febbraio 2010, n. 22, di riassetto della normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche (v. supra), secondo il Ministro dello sviluppo economico la geotermia verrà utilizzata maggiormente non solo per la produzione di elettricità, ma anche come fonte diretta di calore per il riscaldamento. In questo modo la geotermia, fonte rinnovabile seconda in Italia solo all’energia idroelettrica, otterrà maggiore impulso. Attualmente con la geotermia si producono 5 miliardi di chilowattora l’anno, sufficienti ai bisogni di elettricità di oltre un milione e mezzo famiglie, corrispondenti a circa 6 milioni di persone. Tale risorsa rappresenta ora il 10% delle fonti rinnovabili italiane. Con un aumento della produzione di energia dalla geotermia si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà a contenere le emissioni di gas serra (CO2).

Fra le stime effettuate dagli operatori di settore, generalmente concordi nel ritenere possibile un mantenimento dei tassi di sviluppo delle applicazioni geotermoelettriche e una crescita esponenziale degli utilizzi diretti, l’Unione Geotermica Italiana ha indicato come raggiungibile un incremento della potenza installata al 2020 di 700 MW per la generazione elettrica e di 6.000 MW per gli utilizzi diretti. Per quanto riguarda questi ultimi, in particolare, è atteso un boom delle applicazioni termiche industriali e – soprattutto – civili che, già notevolmente sviluppate attraverso tecnologie consolidate nei Paesi del nord Europa, rappresentano oggi in Italia un mercato in attivazione e dall’elevato potenziale. Nel nostro Paese, storicamente sede di applicazioni di eccellenza nel campo termale, ittico e florovivaistico (si pensi, ad esempio, nella sola Toscana, ai 4 milioni di utenti termali, agli impianti di itticoltura di Orbetello e ai vivai di Radicondoli), si sta assistendo, ad esempio, ad un interessante processo di downscale delle applicazioni delle pompe di calore a sonda geotermica che, forti di alcune istallazioni “simbolo” per l’intero panorama comunitario (es. il teleriscaldamento della città di Milano, progetto avviato dalla multiutility A2A), appaiono potersi diffondere con la capillarità tipica di Paesi quali Germania, Svizzera e Svezia.



L'Unione europea e la geotermia

L’Unione europea definisce «energia geotermica»: energia immagazzinata sotto forma di calore sotto la crosta terrestre.

Fra le fonti energetiche rinnovabili, se si escludono le bassissime entalpie, le risorse geotermiche sono certamente le meno uniformemente distribuite sul territorio comunitario.

Con ciò, nel gennaio 2008 la Commissione europea, al termine di un lavoro di valutazione sugli scenari energetici comunitari, ha affidato proprio al tema della cattura del calore geotermico attraverso pompe di calore un ruolo centrale nel proprio Climate action and renewable energy package introducendone, a tale scopo, uno specifico meccanismo di contabilizzazione ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali di produzione di energia da fonti rinnovabili.

La declinazione comunitaria delle priorità di utilizzo della risorsa geotermica in chiave di vettoriamento dei flussi termici a scapito della generazione elettrica è stata poi ribadita nel marzo 2009 attraverso la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione degli usi delle energie da fonti rinnovabili. Questa, al fine di dare attuazione degli indirizzi espressi nel pacchetto clima-energia del 2008, ha formalizzato la metodologia per il calcolo della quantità di calore generata attraverso pompe di calore a sonda geotermica da considerarsi rinnovabile e ha introdotto l’obbligo per gli Stati Membri di implementare (entro il 31 dicembre 2012) schemi di qualificazione e certificazione per gli installatori di impianti geotermici a bassa entalpia o a pompa di calore con sonda geotermica. La direttiva ha inoltre stabilito l’obbligo per gli Stati Membri di valutare all’interno dei propri Piani Energetici Nazionali in forma prioritaria il ricorso alle reti di teleriscaldamento geotermiche ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi al 2020, ma non ha previsto specifiche misure per il comparto geotermoelettrico.

La minore attenzione verso le alte entalpie può essere legata, almeno in parte, al fatto che i due principali progetti di ricerca nei quali erano riposte molte risorse al fine di ottenere una dimostrazione della replicabilità su scala comunitaria degli sfruttamenti dei bacini geotermici di consistenza ordinaria non hanno fruttato i risultati sperati (a Basilea, il tentativo di fratturazione delle hot dry rocks ha comportato significative complicazioni in termini di sismicità indotta e, a Soultz, i costi per lo sfruttamento di serbatoi profondi a media entalpia traverso cicli binari non ha evidenziato performance economiche soddisfacenti). Vista la presenza, proprio in Italia, di favorevoli “territori laboratorio” (contesti nei quali una risorsa idonea è reperibile con relativa semplicità), è stato in più sedi posto il problema della necessità di guidare gli investimenti in ricerca secondo criteri di marginalità economica e valorizzazione delle migliori risorse disponibili prima che della generalizzabilità degli approcci. È stato questo uno dei temi sostenuti dal Centro di Eccellenza per la Geotermia di Larderello nel l’incontro internazionale organizzato dall’European Geothermal Energy Council nel febbraio 2009 a Bruxelles. In questa occasione è stata ufficialmente consegnata alla Regione Toscana, regione riconosciuta leader per lo sfruttamento delle risorse geotermiche, la “Dichiarazione di Bruxelles”, documento teso a fissare le priorità nella agenda della ricerca internazionale per il raggiungimento di importanti obiettivi, tra i quali, la riduzione al 2030 del 30% dei costi di generazione geotermoelettrica convenzionale e del 50% per quelli di generazione attraverso cicli alimentati con basse entalpie.

Per il settore geotermoelettrico, nella sua storia, l’Italia rappresenta a livello europeo non solo un fondamentale bacino di competenze tecniche, ma anche il Paese con le maggiori esperienze amministrative dettate dall’evoluzione di un complesso sistema di regolazione integrato che, assumendo la risorsa quale patrimonio indisponibile dello Stato, ne gestisce le competenze concorrenti e trasversali legate alla tutela dell’ambiente, all’energia, alla concorrenza e, più in generale, all’unità giuridica dell’ordinamento. Proprio alla natura dell’evoluzione di questo sistema normativo è però legata una sua inadeguatezza a rispondere alle più recenti evoluzioni relative allo sviluppo delle utilizzazioni a bassa e bassissima entalpia quali, ad esempio, la realizzazione di pompe di calore con sonda geotermica ad uso civile. Questa materia, infatti, gestita in maniera disomogenea sul territorio nazionale in virtù della delega delle competenze alle regioni, è concordemente indicata dagli operatori di settore quale meritevole di aggiornamenti al fine di garantire una maggiore integrazione con le discipline urbanistiche e edilizie, oltre che con le materie amministrative ed ambientali.

Sotto la spinta degli operatori della grande distribuzione e delle grandi utenze termiche aggregate (es. palazzetti dello sport, quartieri residenziali, etc.), la diffusione degli impianti a bassa e bassissima entalpia sta così oggi progredendo sul territorio nazionale a macchia di leopardo fra contesti nei quali le competenze amministrative sono mantenute dalle Regioni e contesti nei quali le competenze sono attribuite alle Province, fra procedure semplificate per le quali è richiesta la sottomissione di dati tecnici non dettagliati anche in caso si reiniezione dei fluidi e procedure per le quali si rendono necessarie valutazioni specialistiche complesse (es. analisi isotopiche, modellazioni 3D, implementazione di reti di monitoraggio, etc.).

Non giustificata da eventuali gap tecnologici del sistema produttivo italiano che, anzi, vanta punte di eccellenza mondiali ad esempio nel settore della compressione dei fluidi e della lavorazione delle leghe speciali, la crescita rallentata di una filiera industriale sulle basse e bassissime entalpie appare da attribuirsi ai limitati volumi e alla relativa immaturità della domanda impiantistica.

Una risposta, in tal senso, è attesa, oltre che dall’introduzione di sistemi di certificazione e qualificazione in recepimento a livello nazionale della direttiva comunitaria precedentemente illustrata, anche dallo sviluppo di leggi regionali che coordino la materia nel rispetto degli obiettivi indicati nei rispettivi piani energetici regionali.

Nel marzo 2009, in occasione di un Geothermal Expo di Offenburg, sono emerse dalla sessione dedicata agli operatori del settore geotermico italiano chiare indicazioni circa l’opportunità di sostenere la crescita del numero di installazioni a bassa e bassissima entalpia attraverso la produzione di linee guida condivise autorevoli e condivise, la sensibilizzazione e la formazione dei progettisti e la messa a disposizione degli investitori di registri di installatori accreditati sulla base della loro capacità di implementare le migliori tecniche disponibili.

Approfondimento: I conti energia

Il “Conto energia” costituisce lo strumento di disciplina generale delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica da fonte solare. Questo strumento di disciplina della incentivazione è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento con il decreto 28 luglio 2005 del Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico), in coerenza con le disposizioni della direttiva 2003/54/CE relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e in attuazione dell’art. 7 del decreto legislativo n. 387/2003.

Il decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”, con il quale si è provveduto al recepimento della direttiva 2001/77/CE concernente la promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili all’art. 7 comma 1, ha previsto l’adozione di uno o più decreti con i quali definire i criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare e al comma 2, lett. d) ha previsto una specifica tariffa incentivante per l’energia prodotta mediante conversione fotovoltaica della fonte solare di importo decrescente e di durata tali da garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio.

Al Primo Conto energia (DM 28 luglio 2005, modificato dal DM 6 febbraio 2006) hanno poi fatto seguito i DM 19 febbraio 2007 e 6 agosto 2010 relativi, rispettivamente, al Secondo e al Terzo Conto energia. Successivamente è stato emanato il DM 5 maggio 2011 recante Incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici (Quarto Conto energia) pubblicato nella GU del 12 maggio 2011. Da ultimo è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2012 il Quinto Conto Energia (D.M. 5 luglio 2012).

Nella materia oggetto dei Conti energia, assumono particolare rilevanza quattro nozioni.

La prima è quella di «impianto fotovoltaico» (chiamato anche «sistema solare fotovoltaico»). Tale è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico. Un impianto fotovoltaico, dunque, trasforma direttamente l’energia solare in energia elettrica.

Esso è composto essenzialmente da:

I moduli sono costituiti da celle in materiale semiconduttore, il più utilizzato dei quali è il silicio cristallino. Essi rappresentano la parte attiva del sistema perché convertono la radiazione solare in energia elettrica.

Con l’espressione «Incentivazione in conto capitale» si intende l’erogazione di un contributo sull’investimento necessario per la realizzazione di un impianto. Si tratta del meccanismo di incentivazione esistente prima della introduzione dei Conti energia.

Con le espressioni «Incentivazione in conto energia» e «Tariffa incentivante» viene indicato invece un meccanismo di incentivazione introdotto successivamente, a partire dal Primo Conto energia, che remunera non la realizzazione dell’impianto, ma, per un certo numero di anni, la produzione di energia elettrica attraverso un impianto fotovoltaico, sulla base di tariffe incentivanti definite con decreto ministeriale.

Infine, per «costo indicativo cumulato annuo degli incentivi» o «costo indicativo cumulato degli incentivi» si intende la sommatoria dei prodotti della potenza di ciascun impianto fotovoltaico ammesso alle incentivazioni, di qualunque potenza e tipologia, per la componente incentivante riconosciuta o prevista per la produzione annua effettiva, laddove disponibile, o per la producibilità annua dell'impianto calcolata dal GSE sulla base dell'insolazione media del sito in cui è ubicato l'impianto, della tipologia di installazione e di quanto dichiarato dal soggetto responsabile



Il Quinto Conto Energia

Le nuove previsioni del Quinto Conto Energia, applicabili agli impianti che entrano in esercizio dopo il 27 agosto 2012, dispongono che:

L’art. 1, comma 4, del DM 5 luglio 2012 (Quinto conto energia) prevede che il IV Conto Energia continua ad applicarsi

a) ai piccoli impianti integrati con caratteristiche innovative ed impianti a concentrazione che sono entrati in esercizio prima del 27 agosto 2012;

b) ai grandi impianti iscritti in posizione utile nei registri e che producono la certificazione di fine lavori nei termini previsti;

c) agli impianti realizzati su edifici pubblici e su aree delle amministrazioni pubbliche (di cui all’art.1, comma 2 del Decreto Legislativo n. 165 del 2001), che entrano in esercizio entro il 31 dicembre 2012. La Legge 24 dicembre 2012 n.228 (art.1, comma 425) - c.d. Legge di stabilità 2013 - ha prorogato il termine dell’entrata in esercizio di tali impianti:

   1. al 31 marzo 2013, purché a tale data l’impianto sia stato debitamente autorizzato;
   2. al 30 giugno 2013, purché l’impianto, al 31 marzo 2013, sia stato debitamente autorizzato e sottoposto alla procedura di VIA, di cui al D.lgs. 3 aprile 2006, n.152;
   3. al 30 ottobre 2013 nel caso di impianti sottoposti alla procedura di VIA di cui al D.lgs. 3 aprile 2006, n.152 e che siano stati autorizzati successivamente al 31 marzo 2013.

Con riferimento alle disposizioni normative (D.L. 74/2012, D.L. 83/2012, D.L. 174/2012) emanate in merito agli interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012, il GSE ha precisato che:

1) gli impianti fotovoltaici realizzati e quelli in fase di realizzazione installati su fabbricati distrutti od oggetto di ordinanze sindacali di sgombero in quanto inagibili totalmente o parzialmente, accedono alle tariffe incentivanti cui avevano diritto al 6 giugno 2012, qualora entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2013;

2) gli impianti fotovoltaici realizzati sui fabbricati distrutti possono essere ricostruiti anche a terra mantenendo le tariffe in vigore al momento dell’entrata in esercizio;

3) gli impianti fotovoltaici già autorizzati alla data del 30 settembre 2012 accedono agli incentivi vigenti alla data del 6 giugno 2012 (tariffe 1° semestre del Quarto Conto Energia), qualora entrino in esercizio entro il 31 dicembre 2013.



Ambito di applicazione 

Il DM 5 luglio 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 159 del 10 luglio 2012, cosiddetto Quinto Conto Energia, ridefinisce le modalità di incentivazione per la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica. Le modalità di incentivazione previste dal Quinto Conto Energia si applicano a partire dal 27 agosto 2012, ovvero decorsi 45 giorni solari dalla data di pubblicazione della deliberazione con cui l’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) ha determinato, su indicazione del GSE, il raggiungimento di un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi pari a 6 miliardi di euro (Deliberazione AEEG 12 luglio 2012, 292/2012/r/efr).

Il Quinto Conto Energia cessa di applicarsi decorsi 30 giorni solari dalla data in cui si raggiungerà un costo indicativo cumulato degli incentivi di 6,7 miliardi di euro l’anno (comprensivo dei costi impegnati dagli impianti iscritti in posizione utile nei Registri), che sarà comunicata dall’AEEG - sulla base degli elementi forniti dal GSE attraverso il proprio Contatore fotovoltaico - con un’apposita deliberazione.

Le tariffe incentivanti del Quinto Conto Energia sono riconosciute alle seguenti tipologie tecnologiche: 

Gli interventi ammessi per richiedere le tariffe incentivanti sono quelli di nuova costruzione, rifacimento totale o potenziamento, così come definiti dal Decreto. Per beneficiare delle tariffe incentivanti è necessario che gli impianti fotovoltaici rispettino i requisiti descritti negli articoli 7, 8 e 9 del DM 05/07/12 e specificati nelle Regole Applicative per l’iscrizione al Registro e per il riconoscimento delle tariffe incentivanti.



Accesso ai meccanismi di incentivazione

Il Quinto Conto energia prevede due distinti meccanismi di accesso agli incentivi, a seconda della tipologia d’installazione e della potenza nominale dell’impianto:

Accesso diretto

Le seguenti categorie di impianti accedono direttamente alle tariffe incentivanti (“accesso diretto”), inviando al GSE la richiesta di ammissione agli incentivi secondo le modalità descritte nella sezione “Come richiedere gli incentivi”:

Accesso tramite Registro 

Tutti gli impianti che non ricadono tra le categorie sopra elencate, possono accedere agli incentivi previa iscrizione in posizione utile in appositi Registri informatici, tenuti dal GSE, (“accesso tramite Registro”), ciascuno dei quali caratterizzato da un proprio limite di costo, individuato dal Decreto.

Il bando relativo al primo Registro è pubblicato dal GSE entro 20 giorni dalla data di pubblicazione delle Regole applicative per l’iscrizione al Registro e per il riconoscimento delle tariffe incentivanti e prevede la presentazione delle domande di iscrizione entro e non oltre i successivi 30 giorni naturali e consecutivi.

Per i Registri successivi, i bandi sono pubblicati dal GSE ogni sei mesi a partire dalla data di chiusura del primo Registro e prevedono la presentazione delle domande di iscrizione entro i successivi 60 giorni.  



Tariffe incentivanti 

Le tariffe incentivanti previste dal Quinto Conto Energia sono alternative rispetto ai meccanismi dello scambio sul posto, del ritiro dedicato e della cessione dell’energia al mercato (per i soli impianti di potenza fino a 1 MW). Pertanto i Soggetti Responsabili titolari di convenzione di ritiro dedicato o di scambio sul posto per impianti ammessi in graduatoria in posizione utile nei Registri previsti dal DM 5 luglio 2012 dovranno recedere dalla convenzione all’atto della richiesta delle tariffe incentivanti.

Il Quinto Conto Energia remunera a differenza dei precedenti meccanismi di incentivazione, con una tariffa omnicomprensiva la quota di energia netta immessa in rete dall’impianto e, con una tariffa premio, la quota di energia netta consumata in sito.

In particolare, ferme restando le determinazioni dell’AEEG in materia di dispacciamento, il GSE con il Quinto Conto Energia eroga:

Nel caso di un impianto con autoconsumo la tariffa spettante sarà, quindi, data dalla somma della tariffa omnicomprensiva sulla quota di produzione netta immessa in rete e della tariffa premio sulla quota di produzione netta consumata.


Agli impianti fotovoltaici con potenza nominale non superiore a 20 kW, interamente adibiti all’alimentazione di utenze in corrente continua, collegati alla rete elettrica ma che non immettono energia in rete, sarà invece riconosciuta solo una tariffa premio sull’energia netta consumata in sito.

Come stabilito dal DM 5 luglio 2012, i valori delle due tariffe (omnicomprensiva e premio), saranno progressivamente decrescenti per i semestri d’applicazione del Quinto Conto Energia, a partire dal 27 agosto 2012.

La tariffa spettante è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell’impianto e, a partire da tale data, è riconosciuta per un periodo di 20 anni.

La tariffa incentivante rimane costante in moneta corrente per tutto il periodo dell’incentivazione, considerato al netto di eventuali fermate disposte per problematiche connesse alla sicurezza della rete o ad eventi calamitosi, riconosciuti come tali dalle autorità competenti.

Maggiorazioni delle tariffe

Le tariffe omnicomprensive e le tariffe premio sull’energia consumata in sito sono incrementate, limitatamente agli impianti fotovoltaici e agli impianti integrati con caratteristiche innovative, dei seguenti premi tra loro cumulabili, quantificati in €/MWh (riportati nell’art.5, comma 2 lettera a) del Decreto):

  1. per gli impianti con componenti principali realizzati unicamente all’interno di un Paese che risulti membro dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo (Islanda, Liechtenstein e Norvegia)
  2. per gli impianti realizzati su edifici con moduli installati in sostituzione di coperture su cui è operata la completa rimozione dell’eternit o dell’amianto
    Le modalità per la richiesta e il riconoscimento dei premi sono specificate nelle Regole Applicative per l’iscrizione ai Registri e per l’accesso alle tariffe incentivanti.

 



Il Quarto Conto Energia

Il Quarto Conto energia (DM 5 maggio 2011) è stato adottato in attuazione dell’art. 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili.

L’art. 25 del D.Lgs. 28/2011 ha inciso sull’applicazione del Terzo Conto energia ed ha posto le basi normative per il Quarto Conto energia. In fatti tale norma:

a) da un lato, ha anticipato al 31 maggio 2011 il termine del Terzo conto energia, inizialmente previsto nel 31 dicembre 2013;

b) dall’altro lato, ha rimesso ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione della nuova disciplina relativa all’incentivazione degli impianti che entreranno in esercizio oltre il 31 maggio 2011.

Il DM 5 maggio 2011 prevede una nuova disciplina delle modalità di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e pone le basi per lo sviluppo di tecnologie innovative per la conversione fotovoltaica. Il nuovo regime di incentivazione si applicherà agli impianti fotovoltaici che entreranno in esercizio tra il 31 maggio 2011 e il 31 dicembre 2016.

L’obiettivo indicativo di potenza installata a livello nazionale è di circa 23.000MW con un costo indicativo cumulato annuo degli incentivi stimabile tra 6 e 7 miliardi di euro (articolo 1).

Il Titolo I del DM reca disposizioni di applicazione generale.



Tipologie di impianti

L’articolo 4 prevede tre tipologie di impianti:  

1. impianti solari fotovoltaici, distinti in piccoli impianti e grandi impianti.

    Piccoli impianti

    Impianti realizzati su edifici che hanno una potenza non superiore a 1000 kW, gli altri impianti con potenza non superiore a 200 kW operanti in regime di scambio sul posto, nonché gli impianti di potenza qualsiasi realizzati su edifici ed aree delle Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (articolo 3,comma 1, lettera u)).

    Grandi impianti

    Impianti che non rientrano nella definizione di piccoli impianti (articolo 3, comma 1, lettera v));  

    2. impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative.

      Impianto che utilizza moduli non convenzionali e componenti speciali, sviluppati specificatamente per sostituire elementi architettonici, e che risponde ai requisiti costruttivi e alle modalità di installazione indicate in allegato 4 (articolo 3, comma 1, lettera f));  

      3. impianti a concentrazione.

        Impianto composto principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori.



        Regime di sostegno agli impianti

        L’articolo 4, commi 3-6 prevede i limiti all’incentivazione dell’energia prodotta.

        A titolo esemplificativo si veda la tabella riepilogativa riportata di seguito.

         

        Impianti solari fotovoltaici
        (titolo ii)

        Impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative
        (Titolo iii)

        impianti a concentrazione
        (Titolo iv)

        Piccoli

        Grandi

        Secondo semestre 2011 e primo e secondo semestre 2012

        Ammessi senza limiti di costo annuo, fatte salve le riduzioni tariffarie programmate stabilite dall’All. 5

        Ammessi nei limiti di costo annuo individuati dalla TAB 1.1

        Si applicano le riduzioni tariffarie programmate stabilite dall’All.5

        Anni
        2013-2016

        Il superamento dei costi di cui alla tab.1.2 non limita l’accesso alle tariffe incentivanti, ma determina una riduzione aggiuntiva alle stesse per il periodo successivo, sulla base di quanto stabilito dall’All.5.

        Il superamento dei costi di cui alla tab.1.3 non limita l’accesso alle tariffe incentivanti, ma determina una riduzione aggiuntiva alle stesse per il periodo successivo, sulla base di quanto stabilito dall’All.5.



        Contributi in conto capitale e altri benefici

        L’articolo 5 prevede che alcuni tipi di contributi in conto capitale, finalizzati alla realizzazione dell’impianto, possano essere erogati anche in presenza della tariffa incentivante.

        Le tipologie di contributi previste dal decreto per la realizzazione degli impianti sono le seguenti:

        1. non superiori al 30% del costo dell’investimento:

          2. fino al 60% del costo dell’investimento:

             Inoltre sono previsti finanziamenti a tasso agevolato, benefici conseguenti all’accesso ai fondi di garanzia e di rotazione istituiti da enti locali o regioni e province autonome e infine il diritto al beneficio della riduzione dell’imposta sul valore aggiunto.



            Condizioni per l'accesso alle tariffe incentivanti

            Secondo l’articolo 6, i grandi impianti

            In tutti i casi la tariffa incentivante spettante è quella vigente alla data di entrata in esercizio dell'impianto.

            Lo spostamento di un impianto fotovoltaico in un sito diverso da quello di prima installazione comporta la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante. Eventuali modifiche, sullo stesso sito, della configurazione dell'impianto non possono comportare un incremento della tariffa incentivante.



            Indennizzo per la perdita del diritto ad una tariffa incentivante

            L’articolo 7 riguarda i casi in cui il mancato rispetto, da parte del gestore di rete, dei tempi per il completamento della realizzazione della connessione e per l'attivazione della connessione, comporti la perdita del diritto a una determinata tariffa incentivante.

            In tali casi, si applicano le misure di indennizzo previste e disciplinate dalla delibera dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas ARG/elt 181/10 e relativo allegato A, e successive modifiche e integrazioni.

            Tale delibera, in relazione agli indennizzi, richiama il Testo Integrato delle Connessioni Attive (TICA), che definisce le condizioni per l’erogazione del servizio di connessione alle reti elettriche i cui gestori hanno obbligo di connessione di terzi stabilendo, fra l’altro:

            a) disposizioni particolari per la connessione degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 387/03;

            b) forme di indennizzo automatico verso il soggetto richiedente la connessione nel caso di mancato rispetto delle tempistiche definite per la comunicazione del punto di consegna e per l’esecuzione dei lavori di connessione.

            Si segnala che di recente con la delibera ARG/elt 51/11, l’AEEG ha fornito un’interpretazione autentica della definizione di “data di completamento della connessione” per le finalità di cui al Testo Integrato della Connessioni Attive: "la data di completamento della connessione, che pone fine al tempo per la realizzazione della connessione, è la data di invio del documento relativo al completamento della realizzazione e alla disponibilità all'entrata in esercizio della connessione. Ciò presuppone che il gestore di rete abbia completato tutte le attività preliminari di propria competenza, rendendosi reperibile per definire, d'accordo con il richiedente, la data dell'attivazione. Tra le attività preliminari necessarie ai fini dell'attivazione della connessione rientra anche la predisposizione e l'invio al richiedente del regolamento d'esercizio nonché, qualora tale attività non sia effettuata dal richiedente, l'installazione dei misuratori necessari.".



            Registro per i grandi impianti

            L’articolo 8 riguarda il registro per i grandi impianti, per il quale il GSE ha già pubblicato regole tecniche  che definiscono i criteri e le modalità di iscrizione al registro per i grandi impianti fotovoltaici nonché di formazione delle graduatorie.

            Per gli anni 2011 e 2012, infatti, i soggetti responsabili di grandi impianti devono richiedere al GSE l'iscrizione all'apposito registro informatico.

            Il GSE forma la graduatoria degli impianti iscritti al registro e la pubblica sul proprio sito entro quindici giorni dalla data di chiusura del relativo periodo, secondo i seguenti criteri di priorità, da applicare in ordine gerarchico:

            a) impianti entrati in esercizio alla data di presentazione della richiesta di iscrizione;

            b) impianti per i quali sono stati terminati i lavori di realizzazione alla data di presentazione della richiesta di iscrizione; in tal caso, fermo restando quanto previsto all'art. 9;

            c) precedenza della data del pertinente titolo autorizzativo;

            d) minore potenza dell'impianto;

            e) precedenza della data della richiesta di iscrizione al registro.

            L'iscrizione al registro non è cedibile a terzi.

            L’articolo 9 riguarda la certificazione di fine lavori per i grandi impianti. Per gli anni 2011 e 2012, il soggetto titolare di un impianto iscritto al Registro comunica al GSE il termine dei lavori di realizzazione dell'impianto, e trasmette copia della comunicazione e della perizia al gestore di rete, il quale verifica la rispondenza di quanto dichiarato nella perizia asseverata dandone comunicazione al GSE.



            Accesso alle tariffe incentivanti

            Entro quindici giorni solari dalla data di entrata in esercizio dell'impianto, il soggetto responsabile è tenuto a far pervenire al GSE la richiesta di concessione della pertinente tariffa incentivante. Il mancato rispetto dei termini di cui al presente comma comporta il mancato riconoscimento delle tariffe incentivanti per il periodo intercorrente fra la data di entrata in esercizio e la data della comunicazione al GSE, fermo restando il diritto alla tariffa vigente alla data di entrata in esercizio.

            Il GSE, verificato il rispetto delle disposizioni del presente decreto, determina e assicura al soggetto responsabile l'erogazione della tariffa spettante entro centoventi giorni dalla data di ricevimento della medesima richiesta (articolo 10).

            Mentre il Titolo I (articoli 1-10) contiene disposizioni comuni ai diversi impianti fotovoltaici, i Titoli II, III e IV si occupano rispettivamente di tre diverse classi di impianti fotovoltaici (“normali”, integrati e a concentrazione). Le diverse classi, assieme alla potenza, alla tipologia e al momento di entrata in esercizio determinano l’ammontare della tariffa incentivante, secondo le regole definite dall’allegato 5 (si veda il testo del decreto). La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.



            Impianti solari fotovoltaici “normali”

            Il Titolo II (articoli 11-14) riguarda gli impianti fotovoltaici “normali”, disponendo in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti (articolo 11) e alle relative tariffe incentivanti.

            Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di questa tipologia, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.

            Si vedano la tabella 1 (giugno, luglio e agosto 2011), la tabella 2 (per i mesi da settembre a dicembre 2011), la tabella 3 (per il primo e secondo semestre 2012), la tabella 4 e la tabella 5 per le tariffe dal 2013 al 2016. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 4, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi sono individuate dalla tabella 5 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente.

            I punti 6, 7 e 8 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 5 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione.

            La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.

            Ai fini dell'attribuzione delle tariffe incentivanti, più impianti fotovoltaici realizzati dal medesimo soggetto responsabile o riconducibili a un unico soggetto responsabile e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti.

            Le tariffe incentivanti possono essere incrementate con un premio aggiuntivo:

            Si tratta, ad esempio, di:

            - impianti fotovoltaici ubicati in zone industriali, miniere, cave o discariche esaurite, area di pertinenza di discariche o di siti contaminati;

            - piccoli impianti, dei quali siano soggetti responsabili piccoli comuni;

            - impianti realizzati su edifici installati in sostituzione di coperture in eternit o comunque contenenti amianto;

            - impianti il cui costo di investimento, per quanto riguarda i componenti diversi dal lavoro, sia per non meno del 60% riconducibile ad una produzione realizzata all'interno della Unione europea.

            In relazione a tali premi, ogni singolo incremento è da intendersi non cumulabile con gli altri. A decorrere dal 2013 la tariffa a cui è applicato l'incremento è pari alla componente incentivante. Il premio è riconosciuto sull'intera energia elettrica prodotta dall'impianto fotovoltaico.

            Gli impianti i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di pergole, serre, barriere acustiche, tettoie e pensiline hanno diritto a una tariffa pari alla media aritmetica fra la tariffa spettante per «impianti fotovoltaici realizzati su edifici» e la tariffa spettante per «altri impianti fotovoltaici».

            Per quanto concerne le serre, al fine di garantire la coltivazione sottostante, le serre a seguito dell'intervento devono presentare un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati sulla serra e della superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 50%.

            Ai soli fini di cui al presente decreto, i fabbricati rurali sono equiparati agli edifici, sempreché accatastati prima della data di entrata in esercizio dell'impianto fotovoltaico.



            Impianti fotovoltaici integrati

            Il Titolo III (articoli 15-16) riguarda gli impianti fotovoltaici integrati con caratteristiche innovative, ovvero gli impianti fotovoltaici che utilizzano moduli non convenzionali e componenti speciali, sviluppati specificatamente per integrarsi e sostituire elementi architettonici. L’articolo 15 dispone in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti, e l’articolo 16 riguarda le tariffe incentivanti.

            Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di tale tipologia, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.

            Per l’anno 2011, le tariffe per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1° giugno 2011 sono individuate dalla tabella 6. Le tariffe per il primo e secondo semestre del 2012 sono individuate dalla tabella 7. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 8, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi (per gli anni 2013 e 2014) sono individuate dalla tabella 9 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente.

            I punti 13, 14 e 15 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 9 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione. Secondo il punto 16, a decorrere dal 2015 gli impianti di cui al titolo III accedono alle tariffe previste per gli impianti di cui al titolo II.

            La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.

            Le tariffe incentivanti possono essere incrementate con un premio aggiuntivo nel caso di piccoli impianti sugli edifici, qualora abbinati ad un uso efficiente dell'energia, con le modalità definite dall’articolo 13.



            Impianti fotovoltaici a concentrazione

            Il Titolo IV (articoli 17-19) riguarda gli impianti a concentrazione.

            Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera r), un «sistema solare fotovoltaico a concentrazione o impianto fotovoltaico a concentrazione» è un impianto di produzione di energia elettrica mediante conversione diretta della radiazione solare, tramite l'effetto fotovoltaico; esso è composto principalmente da un insieme di moduli in cui la luce solare è concentrata, tramite sistemi ottici, su celle fotovoltaiche, da uno o più gruppi di conversione della corrente continua in corrente alternata e da altri componenti elettrici minori.

            L’articolo 17 dispone in merito ai requisiti dei soggetti e degli impianti, e l’articolo 18 riguarda le tariffe incentivanti.

            Per l'energia elettrica prodotta dagli impianti fotovoltaici di cui al presente titolo, il soggetto responsabile ha diritto a una tariffa individuata sulla base di quanto disposto dall'allegato 5.

            Le tariffe per gli impianti che entrano in esercizio a decorrere dal 1° giugno 2011 sono individuate dalla tabella 10. Le tariffe per il primo e secondo semestre del 2012 sono individuate dalla tabella 11. A decorrere dal primo semestre 2013 le tariffe assumono valore onnicomprensivo sull'energia immessa nel sistema elettrico. Sulla quota di energia autoconsumata è attribuita una tariffa specifica. Le nuove tariffe sono individuate dalla tabella 12, mentre le riduzione programmate per i semestri successivi (per gli anni 2013 e 2014) sono individuate dalla tabella 13 e sono applicate alle tariffe vigenti nel semestre precedente. I punti 21, 22 e 23 dell’allegato 5 considerano il fatto che le tariffe di ciascun semestre possono essere ulteriormente ridotte rispetto a quanto previsto dalla tabella 13 sulla base del costo annuo imputabile agli impianti che entrano in esercizio nel periodo di osservazione. Secondo il punto 24, a decorrere dal 2015 gli impianti di cui al titolo IV accedono alle tariffe previste per gli impianti di cui al titolo II.

            La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di venti anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio dell'impianto.

            L’articolo 19 riguarda invece gli impianti fotovoltaici con innovazione tecnologica.

            Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera t), un «impianto fotovoltaico con innovazione tecnologica» è un impianto fotovoltaico che utilizza moduli e componenti caratterizzati da significative innovazioni tecnologiche.

            Con un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza unificata, saranno definite le caratteristiche di innovazione tecnologica e i requisiti tecnici di tali impianti con innovazione tecnologica, e definite le tariffe incentivanti spettanti nonché i requisiti per l'accesso.



            Disposizioni finali

            Il Titolo V dispone in merito:



            I primi tre conti energia

            Per un'analisi approfondita del contenuto v. I primi tre conti energia.

            Approfondimento: Scambio sul posto

            Con l’espressione “scambio sul posto” si intende il servizio gestito dal Gestore dei servizi elettrici (GSE) che consente ad un cliente di utilizzare i servizi di rete per “immagazzinare” l’energia elettrica immessa quando non ci sono necessità di consumo e di riprelevarla dalla rete quando gli serve.

            Il servizio di scambio sul posto consiste, infatti, in una particolare forma di autoconsumo in sito che consente di compensare l’energia elettrica prodotta e immessa in rete in un certo momento con quella prelevata e consumata in un momento differente da quello in cui avviene la produzione.

            Nello scambio sul posto il sistema elettrico costituisce uno strumento per l’immagazzinamento virtuale dell’energia elettrica prodotta ma non contestualmente autoconsumata. Condizione necessaria per l’erogazione del servizio di scambio sul posto è la coincidenza tra il punto di immissione e di prelievo dell'energia elettrica scambiata con la rete elettrica con l’obbligo di connessione di terzi.

            La disciplina del servizio di scambio sul posto, introdotto dall’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge n. 133/1999 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale) per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza elettrica non superiore a 20 kW e poi confermato dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 387/2003 (attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) , è stata inizialmente definita dalle delibere AEEG n. 224/00 e n. 28/06.

            Con la deliberazione n. 224/00 l’Autorità ha dato applicazione alle disposizioni previste dalla legge n. 133/1999 per i soli impianti fotovoltaici realizzati da clienti del mercato vincolato titolari di un contratto di fornitura di energia elettrica. Con la successiva delibera AEEG n. 28/06 è stata data una prima attuazione alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 387/2003, attraverso l’estensione dello scambio sul posto a tutte le tipologie di clienti e a tutti gli impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 20 kW.

            La delibera 28/06 prevedeva che lo scambio sul posto si concretizzasse attraverso un saldo fisico pari alla differenza tra l’energia elettrica immessa e quella prelevata (modalità net metering).

            A partire dal 1° gennaio 2009 è diventato operativo il Testo integrato delle modalità e delle condizioni tecnico-economiche per lo scambio sul posto (TISP), approvato con la deliberazione ARG/elt n. 74/08, nel quale sono recepite anche le disposizioni del decreto legislativo n. 20/2007 per gli impianti di cogenerazione ad alto rendimento.

            Con la delibera AEEG n. 74/08, ai sensi della quale a partire dal 1° gennaio 2009 il servizio di scambio sul posto viene gestito non più dai diversi distributori ma dal solo GSE, secondo modalità uniformi per tutto il sistema nazionale, attraverso un portale informatico, sono state introdotte regole più semplici a sostegno della produzione di energia elettrica nei piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili o da cogenerazione.

            Le nuove regole si applicano agli impianti di produzione da fonti rinnovabili fino a 20 kW e quelli da cogenerazione ad alto rendimento con potenza fino a 200 kW.

            Lo scambio sul posto per questi ultimi impianti di cogenerazione è stato introdotto dall’articolo 6, comma 4, del D.Lgs. n. 20/2007 (attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione basata su una domanda di calore utile nel mercato interno dell'energia, nonché modifica alla direttiva 92/42/CEE)  in cui si prevede che la regolazione dello scambio sul posto tenga conto della valorizzazione dell’energia elettrica scambiata con il sistema elettrico nazionale, degli oneri e delle condizioni per l’accesso alle reti. Le disposizioni relative allo scambio sul posto per la cogenerazione ad alto rendimento, a differenza di quelle relative alle fonti rinnovabili, non vietano la vendita dell’energia elettrica prodotta in eccesso rispetto ai propri consumi.

            A partire dal 1° gennaio 2009 coloro che già usufruiscono del servizio di scambio sul posto dovranno semplicemente presentare l’istanza al GSE entro il 31 marzo 2009, stipulando una nuova convenzione con il gestore.

            Le indicazioni sulle procedure da seguire sono disponibili sul sito del GSE.

            Il nuovo regime non comporterà nessuna modifica delle modalità di ottenimento e di erogazione dell’incentivo previsto per gli impianti fotovoltaici (conto energia fotovoltaico) né alcuna spesa. I benefici economici derivanti dall’erogazione del servizio decorreranno dal 1° gennaio 2009.

            La nuova disciplina prevede l'erogazione da parte del GSE di un contributo cosiddetto in conto scambio (CS) che consiste nell’ammontare (in euro) determinato dal GSE che garantisce l’equivalenza tra quanto pagato dall’utente dello scambio sul posto in riferimento all’energia prelevata ed il valore dell’energia immessa in rete tramite il punto di scambio.

            Il contributo viene calcolato, su base annuale solare, prendendo in considerazione la quantità di energia scambiata in rete (ammontare minimo tra energia immessa ed energia prelevata dalla rete elettrica), il controvalore in euro dell'energia immessa (associato dal GSE all’energia immessa in rete) e il valore in euro dell'energia prelevata dalla rete, suddiviso, quest'ultimo, in due componenti, onere energia ed onere servizi.

            Il contributo si configura come ristoro di una parte degli oneri sostenuti per il prelievo dell’energia elettrica dalla rete.

            L'onere servizi viene compensato dal GSE limitatamente alla sola quota di energia scambiata con la rete.

            L'onere energia viene confrontato con il controvalore in euro dell'energia immessa in rete. Qualora il controvalore dell’energia immessa risultasse superiore all’onere energia sostenuto dall’utente dello scambio, il saldo positivo viene registrato a credito di quest’ultimo che potrà utilizzarlo per compensare l’onere energia negli anni successivi.

            L’eventuale credito può essere utilizzato negli anni successivi senza più incorrere nel suo annullamento trascorsi tre anni, come invece previsto in precedenza. Per la cogenerazione, il produttore può scegliere se utilizzare l’eventuale credito negli anni successivi, al pari delle fonti rinnovabili, oppure incassarlo al termine dell’anno, ottenendo un compenso monetario.

            Il contributo viene calcolato trimestralmente in acconto e corrisposto quando si superi una soglia minima definita dal GSE. Un conguaglio del contributo in conto scambio maturato in corso d’anno sarà calcolato e corrisposto su base annuale.

            Successivamente, in attuazione di quanto disposto dall’art. 20 del decreto ministeriale 18 dicembre 2008 (Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell'articolo 2, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244)  del Ministero dello sviluppo economico, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha adottato la delibera ARG/elt 1/09 del 12 gennaio 2009, con la quale il regime dello scambio sul posto (di cui alla delibera ARG/elt 74/08) è stato esteso agli impianti di generazione alimentati da fonti rinnovabili di potenza fino a 200 kW entrati in esercizio dopo il 31 dicembre 2007. A questi si applicheranno le regole già in vigore dal 1° gennaio 2009 per gli impianti da fonti rinnovabili di potenza fino a 20 kW.

            Con la Deliberazione 293/2012/R/efr, l'AEEG ha definito la nuova regolazione dello scambio sul posto, al fine di rivedere le modalità di restituzione degli oneri generali di sistema e di semplificarne la fruizione anche per gli impianti già entrati in esercizio, dando attuazione alle disposizioni previste dal decreto interministeriale 6 luglio 2012. La nuova regolazione trova applicazione dall’anno 2013.

            Compatibilità con incentivi

            Lo scambio sul posto è un meccanismo non compatibile con il ritiro dedicato dell’energia e con la tariffa omnicomprensiva.

            Gli impianti che accedono ai meccanismi di incentivazione previsti dai Decreti Interministeriali del 5 luglio 2012 (V Conto Energia) e del 6 luglio 2012 (incentivi per fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico) non possono accedere al servizio di scambio sul posto.

            Mercati energetici

            Con il decreto legislativo 93/2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 28 giugno 2011, S.O. n. 157) l'Italia ha dato attuazione al "terzo pacchetto" UE sui mercati interni dell'energia elettrica e del gas.

            Terzo pacchetto energia

            La legge 96/2010, legge comunitaria 2009 (A.C. 2449), ha delegato il Governo al recepimento della direttiva 2009/72/CE sul mercato interno dell'energia elettrica e della direttiva 2009/73/CE sul mercato interno del gas naturale. Tali deleghe sono state attuate dal decreto legislativo 93/2011, che si pone gli obiettivi di aumentare la sicurezza degli approvvigionamenti, di aumentare la concorrenza nel mercato interno dell’elettricità e del gas, di assicurare un’efficace separazione tra imprese del gas che sono proprietarie e che gestiscono reti di trasporto e imprese che utilizzano le reti di trasporto medesime per l’importazione e la vendita di gas, di tutelare maggiormente i consumatori e in particolare i clienti “vulnerabili”.

            Tale decreto legislativo è stato presentato alle Camere per il prescritto parere (schema di decreto legislativo n. 335). La Commissione X della Camera dei deputati ha reso un parere favorevole con condizioni e osservazioni nella seduta del 17 maggio 2011. Il Consiglio dei Ministri n. 140 del 31 maggio 2011 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo, che è stato pubblicato in G.U. il 28 giugno (entrando quindi in vigore il 29 giugno 2011).

            Apertura dei mercati energetici

            In una "memoria" presentata nell'audizione del 12 novembre 2008 presso la 10 Commissione Industria del Senato, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, intervenendo in merito allo stato di avanzamento dei processi di liberalizzazione dei due principali mercati energetici nel nostro Paese, ne ha rilevato il diverso livello di concorrenza risultante da una serie di asimmetrie esistenti sia in termini di peso dell’operatore dominante che di proprietà e gestione delle reti di trasporto e delle attività necessarie allo sviluppo dei mercati.

            Con riferimento al settore elettrico l’Autorità ha rilevato l’esistenza effettiva di numerosi produttori e la riduzione del peso del maggior operatore (ENEL) a meno di un terzo del totale della produzione. Inoltre ha posto in rilievo la funzione calmieratrice svolta dall'Acquirente Unico Spa, società interamente pubblica che acquista l’energia per soddisfare la domanda dei clienti tutelati che ancora non hanno scelto di passare al mercato libero, ricordando che tale soggetto di fatto costituisce il più grande grossista (30% circa della domanda nazionale) ma agisce in piena concorrenza con gli altri operatori, senza vantaggi di natura normativa.

            Relativamente al settore del gas naturale, l’Autorità ha rilevato che il relativo mercato è caratterizzato da un’offerta che a stento riesce a far fronte alla domanda e a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e risulta, inoltre, privo di caratteristiche di competizione in quanto controllato direttamente o indirettamente dall’ENI. L’assenza di una rete di trasporto indipendente disincentiva gli investimenti di operatori terzi in quanto l’imparzialità dell’accesso alla rete e della gestione del dispacciamento non è garantita dall’indipendenza dell’operatore ma solo dal controllo ex post dell’Autorità stessa e dell’Antitrust. Mancava inoltre nel mercato all’ingrosso del gas la presenza di un unico soggetto che acquistasse per i clienti tutelati.

            L'Autorità per l'energia ha ribadito che in Italia la liberalizzazione del mercato dell'energia viaggia a due velocità: con efficacia nel settore elettrico, già positivamente aperto alla concorrenza; con molte resistenze e difficoltà invece nel settore del gas, penalizzato dalla scarsa concorrenzialità.

            Considerazioni relative alla concorrenzialità ed efficienza dei mercati dell'energia elettrica e del gas sono contenute anche nella "memoria" predisposta dall'Autorità per l'energia per l'audizione del 20 ottobre 2010 presso la Commissione Industria del Senato.

            Sul sito dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas è disponibile la segnalazione sullo stato dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale e le relative criticità.

            Mercato elettrico

            Al fine di garantire minori oneri per famiglie e imprese riducendo il prezzo dell’energia elettrica, l'art. 3, comma 10, del decreto-legge 185/2008  (A.C. 1972), ha dettato i principi ai quali il D.M. 29 aprile 2009 ha poi conformato la disciplina relativa al mercato elettrico, promuovendone la concorrenzialità. In attuazione degli indirizzi e delle direttive di cui al D.M. 29 aprile 2009 sono state approvate modifiche al testo integrato della Disciplina del mercato elettrico, da ultimo, con D.M. 16 ottobre 2009 e D.M. 24 novembre 2009.

            Nel corso dell’esame del suddetto decreto-legge il Governo ha accolto gli ordini del giorno Franzoso n. 9/1972/70 e Iannaccone n. 9/1972/41, con i quali si impegna il Governo a garantire il mantenimento di una tariffa unica nazionale sul costo dell'energia elettrica.

            Mercato del gas

            L'articolo 30 della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter), nell’ambito di misure per l'efficienza del settore energetico:

            Precedentemente l'articolo 3 del decreto-legge 78/2009 (A.C. 2561), ha introdotto disposizioni volte a promuovere l'efficienza e la concorrenza nel mercato all'ingrosso del gas naturale, favorendo la riduzione del costo dell'energia per l'anno termico 2009-2010.

            L’articolo 15 del D.L. 1/2012 ha poi previsto che la separazione proprietaria del gruppo Snam S.p.A. venga effettuata entro il 24 settembre 2013. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 maggio 2012 ha dato attuazione a tale norma, disciplinando i criteri, le condizioni e la modalità cui si deve conformare il gruppo Snam S.p.A. al fine di adottare il modello di separazione proprietaria, di cui all’articolo 19 del D.Lgs. 93/2011. Nell'ottobre 2012, Snam S.p.A. ha comunicato la cessione da parte di ENI S.p.A. del 30% meno un’azione del capitale votante di Snam S.p.A. e quindi del relativo controllo.

            Sistema informatico integrato

            L’articolo 1-bis del decreto-legge 105/2010 (A.C. 3660), istituisce presso l’Acquirente Unico un Sistema informatico integrato (SII) per la gestione dei flussi informativi relativi ai mercati dell’energia elettrica e del gas, basato su una banca dati dei punti di prelievo e dei dati identificativi dei clienti finali. I flussi informativi gestiti attraverso il Sistema potranno comprendere anche informazioni concernenti eventuali inadem­pimenti contrattuali da parte dei clienti finali, funzionali all’adozione di misure volte alla sospensione della fornitura nei confronti dei clienti finali inadempienti.

            L'Autorità per l'energia con deliberazione ARG/com 201/10 ha approvato i criteri generali di funzionamento e di gestione del SII e con deliberazione ARG/com 224/10ha approvato le specifiche tecniche e il disciplinare di gara predisposti dall'Acquirente Unico per l'acquisizione dei supporti e servizi informatici necessari per realizzare il SII.

            Approfondimenti

            Dossier pubblicati

            Documenti e risorse web

            Approfondimento: L'industria della raffinazione in Italia



            L'indagine conoscitiva sul settore della raffinazione

            L'industria della raffinazione in Italia versa da alcuni anni in una situazione di crisi e di sofferenza, costretta, da un lato, ad attivare ingenti investimenti per il rinnovamento dei macchinari, al fine di meglio rispondere ai criteri di efficienza energetica imposti dall’Unione europea, e dall’altro, a confrontarsi con il sensibile calo della domanda di prodotti raffinati e con l’aumento della pressione fiscale nel settore.

            Nel corso della XVI legislatura la X Commissione Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei Deputati ha dunque deliberato, nella seduta del 25 ottobre 2011, di svolgere un’indagine conoscitiva sulla crisi del settore.

            Sin dal 2009, infatti, il settore della raffinazione italiano sta attraversando una grave crisi determinata da molteplici fattori che hanno condotto ad un calo generalizzato dei consumi dei carburanti e ad un drastico ridimensionamento delle esportazioni soprattutto verso gli Stati Uniti.
            L’intero comparto della raffinazione europeo da alcuni anni è interessato da una crisi di sistema, che potrebbe evolvere verso un quadro ben più drammatico rispetto a quanto già osservato. Infatti, gli effetti congiunturali della crisi economica globale si sono sovrapposti a una preesistente situazione di sofferenza del sistema.

            La crisi strutturale del sistema affonda le proprie radici nella progressiva riduzione dei consumi in Europa, che decrescono al ritmo del 2 per cento medio annuo a partire dal 2005, conseguenza della bassa dinamica demografica, della crescente efficienza energetica e dell’introduzione dei biocarburanti.
            Il sensibile calo dei consumi petroliferi, destinato a peggiorare nei prossimi anni, e la forte concorrenza delle nuove raffinerie dei paesi extra-Ue, sostanzialmente prive di obblighi e vincoli ambientali e spesso sussidiate direttamente dallo stato, avranno effetti dirompenti sulla struttura industriale italiana ed europea ove non siano messi in campo interventi volti a tutelare tale settore di attività.
            In Europa si è già avviato un processo di razionalizzazione da parte delle major petrolifere, che hanno già cominciato a ridurre la propria esposizione alla raffinazione.
            Le nuove regole introdotte dall’Ue in materia di efficienza energetica, peraltro, hanno avuto un forte e negativo impatto sulle raffinerie europee, mettendo a rischio il mantenimento di questa industria in Europa.

            Il sistema della raffinazione italiano è costituito da 16 raffinerie presenti sull’intero territorio nazionale, per una capacità complessiva di raffinazione di poco superiore ai 100 milioni di tonnellate/anno. Il 100 per cento della capacità di raffinazione installata in Italia è rappresentata da aziende aderenti all’Unione Petrolifera.
            Si tratta di realtà industriali e di investimenti importanti per l’economia locale in cui sono incorporate, con numeri significativi sul piano dell’occupazione diretta e indotta, e la cui chiusura avrebbe ripercussioni a cascata su tutto l’hinterland in cui operano.
            Sulla base degli ultimi dati diffusi dall’Unione petrolifera italiana emerge in particolare la necessità di una ristrutturazione significativa di un settore che oggi presenta un eccesso di capacità produttiva che il mercato interno non è in grado di assorbire: un eccesso di capacità pari a circa 15-20 milioni di tonnellate. Nel 2009 infatti il tasso di utilizzazione degli impianti è stato dell’81 per cento; negli ultimi 6 anni inoltre i consumi sono diminuiti di 18 milioni di tonnellate, mentre nei soli primi dieci mesi del 2010 il calo è stato di altri 2 milioni di tonnellate.
            Nel periodo 1997-2009 sono stati investiti nel settore quasi 17 miliardi di euro, di cui il 60 per cento destinati al miglioramento ambientale dei cicli produttivi. Altri 5 miliardi di euro di investimenti sono stati programmati fino al 2012. Per realizzare questo significativo piano di investimenti appare necessario creare e mantenere un quadro legislativo e regolatorio stabile e prevedibile.
            L’indagine conoscitiva si propone quindi di approfondire l’analisi sul settore della raffinazione come rilevante comparto del sistema industriale del nostro Paese e della sua intera economia a causa delle strette interdipendenze che legano la raffinazione medesima a molteplici comparti produttivi. Scopo dell’indagine è altresì quello di valutare la necessità di interventi di carattere legislativo che non potranno prescindere da una maggiore consapevolezza circa la strategicità del settore della raffinazione ai fini della sicurezza energetica del Paese né da una profonda e concreta analisi dei possibili impatti sul piano occupazionale e sociale di eventuali chiusure stante il consistente numero di occupati, diretti ed indiretti, nel settore e del loro alto grado di qualificazione tecnica e professionale.

            Per approfondimenti, si veda il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva approvato dalla Commissione X.



            Gli interventi di semplificazione del "decreto sviluppo"

            L’articolo 36 del D.L. 83/2012 contiene alcune semplificazioni di adempimenti burocratici per il settore petrolifero, con particolare attenzione al settore della raffinazione. A tal fine vengono integrate, fra l’altro, alcune norme in materia dettate dal decreto “semplificazioni” (D.L. 5/2012) e dal Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006).

            In particolare, si dispone che:

            I commi 1-5 modificano ed integrano il D.L. 5/2012 (c.d. “decreto semplificazioni”): i commi 1-4 modificano l’articolo 57 relativo alle infrastrutture strategiche, e il comma 5 aggiunge l’articolo 57-bis che apporta semplificazioni amministrative sempre in materia infrastrutture strategiche.

            Il comma 1 interviene sul comma 9 del citato articolo 57 rendendolo applicabile solo al caso di chiusura di un impianto di raffinazione e sua trasformazione in deposito, e non a tutte le attività di reindustrializzazione dei siti di interesse nazionale, come risulta dal seguente testo a fronte.

            Il comma 2 integra il comma 2 del citato articolo 57 del decreto “semplificazioni” esplicitando che la concertazione con il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti per le autorizzazioni relative ad una serie di infrastrutture-insediamenti propri del settore energetico, è necessaria solo per gli impianti industriali strategici e le relative infrastrutture disciplinati dall’articolo 52 del Codice della Navigazione. Si tratta dei depositi e degli stabilimenti situati, anche soltanto in parte, entro i confini del demanio marittimo o del mare territoriale, ovvero comunque collegati al mare, a corsi d'acqua o canali marittimi. Le concessioni per l’impianto e l’esercizio di tali strutture sono disciplinate dal codice della Navigazione.

            Si ricorda che l’articolo 57, comma 2, del D.L. 5/2012, nel testo previgente, prevedeva che le autorizzazioni relative ad una serie di infrastrutture-insediamenti propri del settore energetico (gli stabilimenti di lavorazione e stoccaggio di oli minerali, i depositi costieri di oli minerali, i depositi di carburante per aviazione siti nelle aree aeroportuali, i depositi di stoccaggio di prodotti petroliferi (escluso il GPL) di capacità superiore a 10.000 metri cubi, i depositi di stoccaggio di GPL di capacità non inferiore a 200 tonnellate, gli oleodotti facenti parte della rete nazionale degli oleodotti) fossero rilasciate dallo Stato e, in specie, dal Ministero dello Sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, d’intesa con le Regioni interessate. Sono per altro fatte salve le particolari competenze in materia delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano, nonché le normative in materia ambientale.

            Il comma 3 interviene sul comma 4 del citato articolo 57, in particolare abbreviando il termine ivi previsto da 180 a 90 giorni.

            Secondo la relazione illustrativa, la norma introduce un coordinamento delle "autorizzazioni ambientali" prevedendo tempi certi di rilascio, fatta salva la VIA.

            Si ricorda che il comma 4 dell’articolo 57 del decreto “semplificazioni” assoggetta al termine finale di 180 giorni il rilascio di una serie di altri provvedimenti amministrativi (autorizzazioni, concessioni, concerti, intese, nulla osta, pareri e assensi) che siano eventualmente previsti, dalle normative di settore, per poter apportare le modifiche agli stabilimenti di lavorazione e ai depositi di oli minerali e agli oleodotti cui si riferisce il comma 58 dell’art. 1 della L. 239 del 2004.

            Il comma 4 aggiunge al citato articolo 57 del decreto “semplificazioni” il comma 15-bis, che integra l’articolo 252 del Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) in materia di procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale, per prevedere che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare adotti procedure semplificate per le operazioni di bonifica relative alla rete di distribuzione carburanti.

            Tali modifiche hanno l'obiettivo di ridurre i tempi di bonifica e gli oneri sulle imprese al fine di migliorare la competitività economica. La prima modifica riguarda i punti vendita ubicati nei Siti di interesse nazionale (SIN) ed è volta ad unificare le competenze per i procedimenti di bonifica per la rete carburanti in capo alle Regioni, i cui tempi di conclusione del procedimento amministrativo di bonifica possono essere molto più rapidi che non nei Siti di interesse nazionale, in ragione della complessità di quest'ultimi. Infatti, la gestione dei 57 Siti di interesse nazionale è molto complessa e la procedura conseguente risulta troppo articolata per questa specifica tipologia di siti di ridotte dimensioni, a cui sono state dedicate anche procedure semplificate nelle linee guida tecniche di analisi di rischio predisposte da ISPRA (appendice V, giugno 2009).

            Il comma 5 aggiunge l’articolo 57-bis al decreto “semplificazioni” in materia di verifiche periodiche delle attrezzature a pressione. Tali verifiche comportano la fermata degli impianti, e pertanto la norma punta a coordinare la calendarizzazione delle verifiche con le esigenze di continuità operativa e produttiva, in particolare per gli impianti di produzione a ciclo continuo (ad esempio le raffinerie) e per la fornitura di servizi essenziali. La disciplina attualmente applicata per le verifiche periodiche di riqualificazione dell'integrità (con cadenza decennale) e del funzionamento (con cadenza biennale) delle attrezzature a pressione è costituita D.M. 329/2004.

            Più in particolare, il comma 1del nuovo articolo 57-bis prevede che non si applichino agli impianti di produzione a ciclo continuo nonché a quelli per la fornitura di servizi essenziali le periodicità di cui alle Tabelle A e B del citato D.M. 329/2004, che riportano le frequenze della riqualificazione periodica delle attrezzature a pressione (ad esempio: tubazioni per gas, recipienti contenenti gas compressi, liquefatti e disciolti o vapori, bombole per apparecchi respiratori, estintori portatili).

            Tali impianti sono monitorati in continuo e ricadono nel campo di applicazione dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 334/1999, ovvero il loro gestore è tenuto a redigere un rapporto di sicurezza.

            Sotto la responsabilità dell’utilizzatore deve essere accertata, da un organismo notificato per la direttiva 97/23/CE in materia di attrezzature a pressione, la sostenibilità della diversa periodicità in relazione alla situazione esistente presso l’impianto. Sulla base dell’accertamento potrà essere utilizzata una periodicità incrementale non superiore ad anni 3 rispetto a quelle previste per legge. La documentazione di accertamento deve essere conservata dall’utilizzatore per essere presentata, a richiesta, agli Enti preposti alle verifiche periodiche di sicurezza espletate dai competenti organi territoriali.

            Con il comma 2del nuovo articolo 57-bis si prevede che per le infrastrutture e insediamenti strategici, per gli impianti a ciclo continuo e per quelli che rivestono carattere di pubblica utilità o servizio essenziale, in presenza di difetti che possono pregiudicare la continuità di esercizio di un'attrezzatura, a giudizio e sotto la responsabilità dell’utilizzatore, possono essere effettuati interventi temporanei di riparazione, anche con attrezzatura in esercizio, finalizzati a mantenere la stabilità strutturale dell'attrezzatura e garantire il contenimento delle eventuali perdite per il tempo di ulteriore esercizio fino alla data di scadenza naturale della verifica periodica successiva alla temporanea riparazione.

            Tali temporanee riparazioni sono effettuate secondo le specifiche tecniche previste ai sensi dall’articolo 3 del presente D.M. n.329/2004, o norme tecniche internazionali riconosciute.

            Si ricorda che il citato articolo 3 prevede che, su richiesta del Ministero dello sviluppo economico le specifiche tecniche concernenti l'esercizio delle attrezzature e degli insiemi di cui sono elaborate in collaborazione con l'ISPESL e con l'Ente Nazionale Italiano di Unificazione (UNI), tenendo conto delle normative emanate dal Comitato europeo di normazione, sentite le associazioni di categoria interessate, e successivamente approvate dal MiSE di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

            Il comma 6 assoggetta l’importazione di prodotti petroliferi finiti liquidi da Paesi non appartenenti all’Unione Europea, a partire dal 2012, ad autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico, sentita l’Agenzia delle Dogane.

            Tale autorizzazione è rilasciata sulla base di criteri determinati con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, da adottare entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, nel quale sono individuati i requisiti minimi per l’ottenimento dell’autorizzazione, tenendo anche conto dell’aderenza dell’impianto estero di produzione dei prodotti petroliferi oggetto di importazione alle prescrizioni ambientali, di salute dei lavoratori e di sicurezza, previste dalla disciplina comunitaria per gli impianti produttivi ubicati all’interno della Comunità.

            La norma ha la duplice finalità di evitare

            Il comma 7 dispone un intervento di semplificazione amministrativa per le pensiline di carico di benzina su autobotti all'interno di depositi petroliferi che siano già adeguate alle prescrizioni in materia del Codice ambientale.



            Dossier pubblicati

            Le leggi - D.L. 22 giugno 2012, n. 83 "Misure urgenti per la crescita del Paese" convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 - Schede di lettura

            Approfondimento: Le imprese partecipate dallo Stato

            La Commissione X Attività produttive, commercio e turismo della Camera dei Deputati ha approvato nella seduta del 22 gennaio 2013 il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle caratteristiche attuali dello sviluppo del sistema industriale e il ruolo delle imprese partecipate dallo Stato, con particolare riferimento al settore energetico; l’indagine è stata deliberata il 25 ottobre 2011 e è stata avviata con le prime audizioni alla fine del successivo mese di novembre. Il documento conclusivo, pur non contenendo le consuete conclusioni politiche essendo stato posto in votazione a Camere sciolte, evidenzia il lavoro svolto dalla Commissione consistito nell'approfondimento del quadro normativo e nell'acquisizione di importanti elementi conoscitivi emersi nel corso delle audizioni.
            La commissione Attività produttive ha effettuato una ricognizione puntuale sulle imprese che operano nei settori  energetico e della produzione industriale, approfondendo le prospettive del migliore utilizzo dello società partecipate, con particolare riferimento alle loro finalità economiche e alla loro capacità di integrarsi o meno per supportare il più completo tessuto produttivo del Paese.
            Nel corso dell'indagine conoscitiva e delle varie e complesse audizioni svolte è emerso il grande potenziale dell'industria italiana e il ruolo decisivo dello Stato all'interno del sistema; tale importante presenza, come ha sottolienato il relatore in fase di approvazione del documento conclusivo, potrà, se adeguatamente valorizzata, favorire la ripresa economica di aziende italiane che rappresentano importanti asset del sistema produttivo. Le società partecipate dallo Stato agiscono in settori economici di particolare strategicità; ciò appare particolarmente rilevante per il settore energetico, bastipensare a realtà quali ENI, Enel, Snam Rete Gas, Terna, SOGIN. Altre operano nel settore dell'internazionalizzazione (ad es. la SACE) e della produzione industriale e della ricerca (Finmeccanica, Fincantieri, SOGIN, STMicroelectronics NV)».Il quadro normativo all’interno del quale operano le società  a partecipazione pubblica presenta aspetti di notevole complessità . Si tratta di una serie di disposizioni speciali, spesso introdotte in risposta ad esigenze contingenti, che si intrecciano con la disciplina codicistica di carattere generale. Nell'ultimo decennio il fenomeno si è amplificato anche grazie all'aumento del numero delle società controllate da amministrazioni regionali, provinciali e locali.

            Il Ministero dell’economia e delle finanze è, tra i soggetti pubblici, quello che detiene il numero maggiore di società partecipate. 

            Nel settore energetico partecipa direttamente a:

            In relazione al settore dell'internazionalizzazionepartecipa a

            In relazione al settore della produzione industriale e della ricerca partecipa a:

            Il Ministero dello sviluppo economico partecipa direttamente a SIMEST - Società Italiana per le Imprese all'Estero - S.p.A, al 76 per cento. SIMEST è la finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero. E’ stata istituita come società per azioni nel 1990. è stata creata per promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane ed assistere gli imprenditori nelle loro attività all'estero.

            Approfondimento: Metano per autotrazione

            Durante la XVI legislatura alcune proposte di legge (A.C. 2172 ed abbinate) riguardanti la commercializzazione del metano per autotrazione sono giunte all'approvazione, in testo unificato, dall'Assemblea della Camera. Tale testo mirava ad incentivare, specie nelle grandi aree metropolitane, nelle aree a rischio di superamento dei valori limite e delle soglie di allarme di inquinamento e sulla rete autostradale, l'impiego del metano per autotrazione (cui si riconosce la caratteristica merceologica di carburante), a motivo del suo ridotto impatto ambientale, della sicurezza intrinseca del suo utilizzo e della continuità delle forniture

            Il testo unificato, ai fini della razionalizzazione e dell’incremento della rete degli impianti di distribuzione di metano per autotrazione, estende a tali impianti le disposizioni in materia di liberalizzazione dell’attività di distribuzione dei carburanti e di ristrutturazione della rete distributiva di cui al D.Lgs. 32/1998 e al D.L. 112/2008.

            Si demanda quindi ad apposito decreto ministeriale l’individuazione dei criteri e delle modalità di

            Con altro decreto ministeriale, sentita la Conferenza unificata, si provvederà all’individuazione dei principi generali cui dovranno attenersi le regioni nel redigere i piani di sviluppo della rete di distribuzione del metano, prevedendo l’obbligo di installazione di impianti di distribuzione in rapporto alla densità abitativa e di autorizzazione di nuovi impianti che prevedano - specie nelle aree urbane e sulla rete autostradale - punti di rifornimento a metano, nonché la semplificazione delle procedure autorizzative per la realizzazione di nuovi impianti di distribuzione e per l’adeguamento di quelli già esistenti.

            Per incentivare la realizzazione di impianti di distribuzione del metano, le condotte di allacciamento che collegano gli stessi impianti alla rete di metanodotti esistente vengono dichiarate di pubblica utilità rivestendo carattere di indifferibilità ed urgenza.

            L’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) provvede all’aggiornamento dei codici di rete, individuando regole specifiche relative all’accesso e allo stoccaggio dei volumi di metano per autotrazione e al superamento delle capacità giornaliere e annuali impegnate sulle reti di metanodotti.

            Inoltre il provvedimento prevede anche norme per favorire e promuovere la produzione e l’uso di biometano come carburante per autotrazione anche in realtà geografiche dove la rete del metano non è presente. Il biometano è un biogas che attraverso un processo di raffinazione arriva ad una concentrazione di metano del 95%, ed è utilizzato come biocombustibile per i veicoli a motore, al pari del gas naturale. I Piani regionali sul sistema distributivo dei carburanti prevedono la possibilità per i comuni di autorizzare con iter semplificato la realizzazione di impianti di distribuzione di biometano anche presso gli impianti di produzione di biogas. I Piani regionali in particolare prevedono l’installazione di impianti di distribuzione del metano in rapporto alla densità abitativa e più in generale l'obbligo, nel rispetto dell’autonomia di Regioni ed enti locali, di autorizzazione di nuovi impianti di distribuzione, con particolare riguardo alle aree urbane e alla rete autostradale. All’AEEG spetta la determinazione delle condizioni tecniche ed economiche per l'erogazione del servizio di connessione di impianti di produzione di biometano alle reti del gas naturale.

            Sono inoltre previsti incentivi alla ricerca nel settore del metano per autotrazione disponendo che, a decorrere dal 2011, è istituito un Fondo volto a finanziare progetti di ricerca diretti a promuovere l’uso del metano per autotrazione e a sviluppare nuove tecnologie motoristiche che riducano i consumi e le emissioni inquinanti. In particolare, si tratta dei progetti per una maggiore efficienza dei veicoli a metano, per lo sviluppo dell'utilizzo del bio-metano, di miscele metano-idrogeno, del GNL nei trasporti pesanti e per promuovere la realizzazione di impianti specializzati di distribuzione del metano per le pubbliche amministrazioi e le aziende municipalizzate al fine di favorire la diffusione di veicoli a metano e biometano.
             Ad alimentare il Fondo si provvede tramite un contributo a carico dei soggetti che forniscono il metano ai gestori degli impianti di distribuzione e dei proprietari di carri bombolai destinati al trasporto del metano.

            Contenuta nel testo unificato anche l'istutuzione, presso il Ministero dello sviluppo economico, la Cassa per la gestione del metano per autotrazione, con il compito di determinare i predetti contribuiti, di provvedere alla punzonatura delle bombole serbatoio, alla loro verifica periodica e alla loro sostituzione se necessaria. L’amministrazione della Cassa è affidata ad un Comitato, composto da cinque membri, nominato con decreto del Ministro dello sviluppo economico, con il quale si provvede altresì a definire i criteri e le modalità di organizzazione e di funzionamento della Cassa stessa.



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            Approfondimento: Prezzi e tariffe

            Con il decreto-legge 194/2009 è stato prorogato a tutto il 2010 il blocco selettivo delle tariffe disposto con il decreto-legge 185/2008, che aveva peraltro previsto misure a regime per la riduzione delle tariffe elettriche e del gas. Il Senato ha istituito una Commissione straordinaria per il controllo dei prezzi.

            Blocco e riduzione delle tariffe

            L'art. 5, comma 7, del decreto-legge 194/2009 (A.C. 3210), ha prorogato al 31 dicembre 2010 il blocco selettivo delle tariffe, di cui all’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 185/2008, e ha previsto che sia esclusa dal blocco anche la regolazione tariffaria relativa ai servizi aeroportuali offerti in regime di esclusiva, ai servizi di trasporto ferroviario sottoposti a regime di obbligo di servizio pubblico e alle tariffe postali agevolate.

            Si ricorda al riguardo che, per contenere i costi a carico dei cittadini e delle imprese l’art. 3 del decreto-legge 185/2008, (A.C. 1972), aveva disposto la sospensione dei meccanismi di adeguamento tariffario dall’entrata in vigore del medesimo decreto-legge e sino a tutto il 2009, fatta eccezione per i provvedimenti volti al recupero dei soli maggiori oneri effettivamente sostenuti e per le tariffe del servizio idrico e dei settori elettrico e del gas, per i quali settori è stata disposta una specifica disciplina.

            In particolare, si è previsto l’affidamento all’Autorità per l'energia elettrica e il gas del monitoraggio sull'andamento dei prezzi di fornitura dell’elettricità e del gas e dell’adozione di misure e formulazione di proposte ai Ministri competenti, per assicurare alle famiglie i vantaggi derivanti dalla diminuzione del prezzo dei prodotti petroliferi. Sono state inoltre introdotte agevolazioni tariffarie delle utenze del gas a decorrere dal 1° gennaio 2009. Al fine di garantire minori oneri per le famiglie e le imprese riducendo il prezzo dell’energia elettrica, il decreto-legge 185/2008 ha dettato infine i principi per la riforma della disciplina del mercato elettrico  predisposta dal Ministro dello sviluppo economico.

            Garante per la sorveglianza dei prezzi

            Con l’art. 5 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386) sono state ridefinite le funzioni del Garante per la sorveglianza dei prezzi, prevedendo specifici poteri conoscitivi e un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria e delle amministrazioni pubbliche.

            Il Garante è stato audito dalla Commissione Attività produttive della Camera, nella seduta del 10 dicembre 2008, in relazione all’attività svolta per contrastare il rincaro dei prezzi e per la tutela del potere d’acquisto dei consumatori, e dalla Commissione straordinaria controllo prezzi del Senato, nell’ambito dell'indagine conoscitiva da questa promossa in materia di prezzi e tariffe (seduta del 18 marzo 2009).

            Commissione straordinaria per il controllo dei prezzi

            A seguito della mozione 1-00025 approvata dall'Assemblea nella seduta del 7 ottobre 2008, il Senato ha proceduto alla istituzione della “Commissione straordinaria per il controllo dei prezzi”, di durata triennale, alla quale sono stati affidati compiti di studio, osservazione e iniziativa, formulazione di proposte e relazioni all'Assemblea, votazione di risoluzioni alla conclusione dell'esame di affari ad essa assegnati, formulazione di pareri su disegni di legge e affari deferiti ad altre Commissioni.

            Il Senato ha effettuato una "Indagine conoscitiva sulle determinanti della dinamica del sistema dei prezzi e delle tariffe, sull'attività dei pubblici poteri e sulle ricadute sui cittadini consumatori", alla cui origine si collocano gli episodi di aumento dei prezzi che nel 2008 hanno interessato la filiera produttiva e commerciale, dall'approvvigionamento delle materie prime fino alla vendita al dettaglio.



            Tutela della clientela vulnerabile nel settore energetico

            Gli strumenti di tutela dei clienti finali attualmente vigenti originano, dal punto di vista normativo, dalla disciplina comunitaria. Le prime direttive riguardanti il mercato interno dell’energia (direttiva 2003/54/CE per il settore elettrico e direttiva 2003/55/CE per il settore del gas) prevedevano già da parte degli Stati membri l’adozione di misure necessarie per proteggere i clienti vulnerabili nel contesto del mercato interno dell'energia, variabili a seconda delle circostanze particolari nello Stato membro in questione. Gli Stati membri, nell’interesse economico generale, possono imporre alle imprese che operano nel settore energetico obblighi relativi al servizio pubblico concernenti, tra l’altro, la protezione dei clienti vulnerabili, incluse misure idonee a permettere loro di evitare l’interruzione delle forniture.

            Le successive direttive sui mercati energetici (2009/72/CE per il settore elettrico e 2009/73/CE per il gas) hanno sostanzialmente ribadito gli obblighi relativi al servizio pubblico e alla tutela dei consumatori previsti dalle precedenti direttive, ponendo maggior enfasi sul concetto di cliente vulnerabile la cui definizione è demandata ai singoli Stati membri.

            Ciascuno Stato membro definisce infatti il concetto di cliente vulnerabile che può fare riferimento alla povertà energetica e, tra le altre cose, al divieto di interruzione della fornitura di elettricità a detti clienti nei periodi critici. Gli Stati membri garantiscono che siano applicati i diritti egli obblighi relativi ai clienti vulnerabili. In particolare, essi adottano misure di tutela dei clienti finali nelle zone isolate. I cittadini dell’Unione europea e, ove gli Stati membri lo reputino opportuno, le piccole imprese dovrebbero poter godere degli obblighi del servizio pubblico, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza dell’approvvigionamento e i prezzi ragionevoli.

            Tali direttive sono state recepite in Italia con il D.Lgs. 93/2011, sulla base della delega contenuta nella legge Comunitaria 2009.

            Per il mercato del gas, tale decreto legislativo ha adottato una definizione di cliente vulnerabile che comprende, oltre a tutti i clienti civili (inclusi quelli che svolgono attività di servizio pubblico e/o di assistenza) anche i clienti non civili con consumi inferiori ai 50.000 mc annui (quindi le piccole imprese). L’articolo 17, comma 1, lettera p) della Legge comunitaria 2009 aveva infatti stabilito che anche i clienti non civili con consumi inferiori o pari a 50.000 metri cubi annui devono essere considerati clienti vulnerabili e pertanto meritevoli di apposita tutela in termini di condizioni economiche loro applicate e di continuità e sicurezza della fornitura. Per tali clienti, nell’ambito degli obblighi di servizio pubblico, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas continua transitoriamente a determinare i prezzi di riferimento che le società di distribuzione o di vendita devono inserire nelle proprie offerte commerciali.

            Per il settore elettrico, i clienti vulnerabili che non scelgono un fornitore sul mercato libero continuano ad essere riforniti di energia elettrica nell’ambito della maggior tutela, a cui hanno diritto i clienti domestici e le piccole imprese connesse in bassa tensione aventi meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore a 10 milioni di euro, nonché a quei clienti che non sono forniti nel mercato libero: per questi clienti il servizio è erogato dall’esercente la maggior tutela e la funzione di approvvigionamento continua a essere svolta dall’Acquirente unico (D.L. 73/2007).

             

            Da alcuni anni è poi stato attivato, prima solo per le forniture di energia elettrica e successivamente anche per quelle di gas, un meccanismo di tutela specificatamente rivolto ai clienti domestici che versano in situazioni di disagio economico o in gravi condizioni di salute. Le famiglie che attualmente ricevono il bonus elettrico e il bonus gas sono circa 1.700.000. Il sistema prevede che le due agevolazioni siano cumulabili come è cumulabile l’agevolazione riconosciuta ai malati che utilizzano in casa apparecchiature elettriche per il mantenimento in vita. Nei suoi aspetti operativi il sistema è regolato dalla delibera 6 agosto 2008, ARG/elt 117/08, per l’energia elettrica e dalla delibera 6 luglio 2009, ARG/gas 88/09, per il gas. Tale meccanismo ha inoltre previsto il riconoscimento della quota retroattiva valida dall’1 gennaio 2008 per i clienti elettrici e dall’1 gennaio 2009 per i clienti gas (si veda in proposito la relazione annuale dell'AEEG).



            Il bonus gas

            Nell’ambito delle misure adottate con il decreto-legge 185/2008 (“decreto anti-crisi”) (A.C. 1972), è stato introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2009, un regime di compensazione della spesa per la fornitura di gas naturale (articolo 3, commi 9 e 9-bis).

            Il bonus gas, rientrante tra le disposizioni del "decreto anti-crisi" finalizzate a contenere i costi a carico dei cittadini e delle imprese, si affianca al bonus già previsto per il settore elettrico a tutela dei clienti domestici in particolari condizioni di disagio (clienti economicamente svantaggiati e clienti in gravi condizioni di salute), che costituisce uno dei cardini della riforma del sistema tariffario dell’elettricità conseguente alla completa liberalizzazione del settore elettrico (dal lato della domanda) avviata a partire dal 1° luglio 2007.

            Destinatarie delle agevolazioni tariffarie per le utenze del gas sono le famiglie economicamente svantaggiate già aventi diritto all’applicazione di tariffe elettriche agevolate (cioè le famiglie con ISEE non superiore a 7.500 euro), comprese le famiglie con almeno 4 figli a carico e con ISEE non superiore a 20.000 euro. Si ricorda che l’ISEE - indicatore della situazione economica equivalente - è un indicatore usato per definire la situazione economica di coloro che chiedono di accedere ad agevolazioni, prestazioni sociali, servizi a tariffa agevolata o altri benefici assistenziali e che viene calcolato sulla base della composizione del nucleo familiare, dei redditi percepiti e del patrimonio immobiliare e mobiliare posseduto da ciascun componente.

            La compensazione viene riconosciuta in modo differenziato in relazione alle diverse zone climatiche ed in forma parametrata al numero di componenti la famiglia, in modo tale da produrre una riduzione della spesa dell'utente medio, al netto delle imposte, indicativamente del 15%.

            La procedura di accesso al bonus gas prevede la presentazione di un'apposita richiesta al comune di residenza secondo le modalità stabilite per l’accesso alle tariffe elettriche agevolate, in base alle quali vanno forniti determinati elementi informativi (dati anagrafici, alcuni dati contenuti nella bolletta, attestazione ISEE, ecc.).

            Alla copertura degli oneri derivanti dalle agevolazioni tariffarie per il gas sono destinati stanziamenti di bilancio pari a 96,5 milioni di euro per il 2009 e in 88,1 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011.

            Qualora tali risorse dovessero risultare insufficienti a coprire gli oneri derivanti dalle agevolazioni, la parte mancante deve essere posta a carico dei titolari di  utenze non domestiche mediante l’istituzione, da parte dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, di un’apposita componente tariffaria destinata ad alimentare un conto gestito dalla Cassa conguaglio del settore elettrico.

            L'Autorità per l’energia elettrica e il gas ha provveduto alla definizione delle modalità applicative del bonus gas con la deliberazione ARG/gas 88/09 e successive modificazioni e integrazioni. Il bonus è operativo dal 15 dicembre 2009, data a partire dalla quale è possibile presentare al proprio comune di residenza le istanze di ammissione al beneficio (il termine del 1° novembre 2009 inizialmente previsto è stato differito a causa di motivi tecnici connessi al sistema informatico di raccolta e gestione delle richieste), e per le domande presentate entro il 30 aprile 2010 ha validità retroattiva al 1° gennaio 2009.

            Risparmio ed efficienza energetica

            Tramite decreti ministeriali, nel dicembre 2012 sono state modificate le linee guida per la certificazione energetica degli edifici e rideterminati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico attuabili col meccanismo dei certificati bianchi per il triennio 2013-2016. Infine, con il "conto termico", si sono incentivati la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici.

            Incentivazione del risparmio e dell'efficienza energetica

            Misure a favore del risparmio e dell’efficienza energetica sono contenute nella legge 99/2009 (A.C. 1441-ter).

            La legge prevede la predisposizione, entro il 31 dicembre 2009, di un piano straordinario, da trasmettere alla Commissione europea, volto ad accelerare l'attuazione dei programmi per l'efficienza e il risparmio energetico. Il piano - che non risulta ancora predisposto - dovrà contenere misure di coordinamento e armonizzazione delle funzioni e compiti in materia di efficienza energetica tra Stato ed enti territoriali, misure di promozione di nuova edilizia a risparmio energetico e riqualificazione degli edifici esistenti, incentivi per lo sviluppo di sistemi di microcogenerazione, sostegno della domanda di certificati bianchi e certificati verdi, misure di semplificazione amministrativa per lo sviluppo reale del mercato della generazione distribuita, definizione di indirizzi per l’acquisto e l’installazione di prodotti nuovi e per la sostituzione di prodotti, apparecchiature e processi con sistemi ad alta efficienza, misure volte ad agevolare l’accesso delle piccole e medie imprese all’autoproduzione.

            Viene inoltre rafforzato il regime di sostegno per la cogenerazione ad alto rendimento, in modo da adeguarlo a quello riconosciuto nei principali Stati membri dell'Unione europea.

            La legge prevede anche alcune integrazioni al Codice ambientale (decreto legislativo 152/2006), relative ai requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili, finalizzate all’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella comunitaria, con riferimento, in particolare, agli impianti a condensazione.

            Inoltre il Parlamento ha convertito in legge due provvedimenti d’urgenza recanti misure a sostegno del risparmio e dell’efficienza energetica consistenti in detrazioni fiscali.

            Il decreto-legge 185/2008 (A.C. 1972), è intervenuto sulla disciplina relativa alla detrazione IRPEF del 55% per le spese relative ad interventi di riqualificazione energetica degli edifici, introdotta dalla legge 296/2006 (finanziaria 2007) e prorogata sino a tutto il 2010 dalla legge 244/2007 (finanziaria 2008). Il decreto-legge ha disposto, in particolare, per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2009, che i contribuenti interessati a tali detrazioni inviino all'Agenzia delle entrate apposita comunicazione e che la detrazione dall'imposta lorda debba essere ripartita in cinque rate annuali di pari importo.

            La legge 220/2010 (A.C. 3778), legge di stabilità 2011, ha poi prorogato sino a tutto il 2011 il beneficio in questione, prevedendo che per le spese sostenute a decorrere dal 1° gennaio 2011 la detrazione deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo.

            Il D.L. 201/2011 (cd. "Salva italia", A.C. 4829) all'articolo 4 ha prorogato a tutto il 2012 gli incentivi già vigenti sul 55%, annunciando nel contempo che dal 2013 detti incentivi saranno sostituiti con le detrazioni fiscali del 36% già ora utilizzate per le ristrutturazioni edilizie.

            Un’ulteriore agevolazione fiscale è stata introdotta dal decreto-legge 5/2009, convertito dalla legge 33/2009 (A.C. 2187). Si tratta di una detrazione IRPEF del 20% delle spese documentate sostenute entro il 31 dicembre 2009 per l'acquisto di mobili, elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+, nonché apparecchi televisivi e computer.

            Il decreto legislativo 56/2010 ha introdotto modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 115/2008, di attuazione della direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici. L'intervento normativo è volto a chiarire aspetti che potrebbero costituire un freno allo sviluppo dell’efficienza energetica e ad introdurre ulteriori elementi necessari allo sviluppo e alla promozione dei servizi energetici.

            Con il decreto legislativo 15/2011 è stata recepita la direttiva 2009/125/CE sull’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia.

            Il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. Si dispone che gli interventi di incremento dell'efficienza energetica (e di produzione di energia termica da fonti rinnovabili) sono incentivati mediante contributi a valere sulle tariffe del gas naturale per gli interventi di piccole dimensioni o, per le altre fattispecie, mediante il rilascio dei certificati bianchi di cui si razionalizza la disciplina.

            Il D.M. 28 dicembre 2012 (cd. "Conto termico") si pone il duplice obiettivo di dare impulso alla produzione di energia termica da fonti rinnovabili (riscaldamento a biomassa, pompe di calore, solare termico e solar cooling) e di accelerare i progetti di riqualificazione energetica degli edifici pubblici. Per quanto riguarda le fonti rinnovabili termiche, il nuovo sistema promuoverà interventi di piccole dimensioni, tipicamente per usi domestici e per piccole aziende, comprese le serre, fino ad ora poco supportati da politiche di sostegno. L'incentivo coprirà mediamente il 40% dell’investimento e sarà erogato in 2 anni (5 anni per gli interventi più onerosi). Per quel che riguarda invece gli incentivi all’efficienza energetica per la Pubblica Amministrazione, il provvedimento mira a superare le restrizioni fiscali e di bilancio che non hanno finora consentito alle amministrazioni di sfruttare pienamente le potenzialità di risparmio derivanti da interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici.

            Il Piano d'azione nazionale

            Nel giugno 2011 è stato predisposto il secondo Piano d’Azione Nazionale per l’Efficienza Energetica (PAEE 2011), che intende dare seguito in modo coerente e continuativo ad azioni ed iniziative già previste nel PAEE2007 e si propone di presentare proposte di medio-lungo termine.

            Certificati bianchi

            Nel gennaio 2005 (D.M. 20/07/04) ha preso avvio un meccanismo incentivante del risparmio energetico detto dei "certificati bianchi" o "titoli di Efficienza Energetica". Questo strumento di mercato serve promuovere l'efficienza energetica negli usi finali.

            In particolare, i certificati bianchi servono per attestare il raggiungimento degli obiettivi di risparmio che le imprese distributrici di energia elettrica e gas devono conseguire, attraverso interventi e progetti per accrescere l'efficienza energetica negli usi finali di energia.

            La valutazione ed il controllo dei risparmi è affidata all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che certifica i risparmi energetici ottenuti e autorizza poi il Gestore del mercato elettrico (GME) ad emettere i "certificati bianchi" in quantità pari ai risparmi certificati, a favore dei distributori, delle società controllate dagli stessi distributori o a favore di società operanti nel settore dei servizi energetici (ESCO). Per dimostrare di aver raggiunto gli obblighi di risparmio energetico e non incorrere in sanzioni dell'Autorità, i distributori devono consegnare annualmente all'Autorità un numero di 'titoli' equivalente all'obiettivo obbligatorio.

            Con il D.M. 28 dicembre 2012, pubblicato sulla G.U. del 2 gennaio 2013, sono stati determinati gli obiettivi quantitativi nazionali di risparmio energetico che devono essere perseguiti dalle imprese di distribuzione dell'energia elettrica e il gas per gli anni dal 2013 al 2016 e per il potenziamento del meccanismo dei certificati bianchi previsto dal decreto legislativo 28/2011. Si mira a raggiungere una riduzione di energia primaria di circa 25 Mtep, nel quadriennio 2013-2016, e un contenimento delle emissioni di CO2 pari a 15 milioni di tonnellate l’anno, introducendo un pacchetto di misure finalizzate a facilitare la realizzazione di nuovi progetti di efficienza energetica. Tra queste la semplificazione dell’iter di accesso al meccanismo, l’approvazione di nuove schede per la valutazione dei risparmi nei settori industriale,civile e trasporti, la semplificazione del processo di predisposizione di nuove schede, l’inclusione di nuove aree di intervento, l’ampliamento dei soggetti che possono presentare progetti. Al fine di stimolare la realizzazione di grandi progetti, industriali e infrastrutturali, in grado di generare significativi volumi di risparmi, sono previsti maggiori incentivi per gli investimenti effettuati. Ulteriori innovazioni del meccanismo, che sarà gestito dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), riguardano un maggior ruolo affidato al mercato (attraverso la piattaforma di scambio gestita dal GME) nella determinazione del valore del risparmio ed il rafforzamento dei controlli, a complemento delle semplificazioni, con un programma di verifiche ex post accompagnate da un sistema sanzionatorio efficace. Confermato il ruolo dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas negli interventi di regolazione economica del sistema.

            Certificazione energetica degli edifici

            La certificazione energetica, attestante il fabbisogno annuo di energia di un edificio, è ritenuta a livello comunitario una delle azioni più efficaci per ridurre i consumi nel settore civile che assorbono una parte consistente dell’intero fabbisogno di energia.

            A partire dal 2005 nel nostro Paese sono state emanate diverse normative che hanno reso obbligatoria la certificazione energetica degli edifici sia di nuova costruzione sia già esistenti (v. in particolare il decreto legislativo 192/2005 e successive modificazioni).

            Le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici sono state predisposte con D.M. 26 giugno 2009. Il 13 dicembre 2012 è stato pubblicato il D.M. 22 novembre 2012 che introduce alcune modifiche alle citate Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. In particolare, il decreto elimina la possibilità per i proprietari di determinati immobili di optare per l’autocertificazione della classe energetica più bassa (autocertificazione di classe G), come richiesto dalla Commissione Europea.

            Nel corso dell’esame del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), il Parlamento ha introdotto una norma che ha abolito l’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica all’atto di compravendita di immobili, nonché l’obbligo, nel caso delle locazioni, di mettere a disposizione del conduttore lo stesso attestato, previsti dal D.Lgs. 192/2005. Resta invece fermo l’obbligo di redigere l’attestato di certificazione energetica nei casi previsti dal medesimo D.Lgs. 192/2005. Si segnala peraltro che il decreto legislativo 28/2011 sulle energie rinnovabili, intervenendo sulla trasparenza delle informazioni commerciali e contrattuali relative alla certificazione energetica degli edifici, all'articolo 13 dispone che nei contratti di compravendita o di locazione di immobili venga inserita apposita clausola con la quale l'acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine alla certificazione energetica degli edifici.

            Inoltre il regolamento di cui al D.P.R. 59/2009 ha definito i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici.

            Si ricorda che specifiche disposizioni in materia di efficienza energetica degli edifici sono contenute anche nella succitata legge 99/2009.

            Si segnala, infine, che il disegno di legge comunitaria 2011 (A.C. 4623) contiene la nuova direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che sostituisce la direttiva 2002/91/CE, abrogata dal 1º febbraio 2012.

            La nuova direttiva europea

            È pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 315 del 14 novembre la nuova direttiva sull'efficienza energetica (direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012) , che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/CE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE.

            La direttiva contiene le indicazioni per gli Stati Membri per raggiungere l'obiettivo del 20% di risparmio energetico al 2020.

            Tra le altre misure, ciascun Paese dovrà istituire un regime nazionale obbligatorio di efficienza energetica per garantire che i distributori di energia e/o le società di vendita di energia al dettaglio conseguano, tra il primo gennaio 2014 e la fine del 2020, un obiettivo di risparmio sugli usi finali dell'energia dell'1,5% l'anno sulla media dei volumi complessivi di vendita annuali.

            Quanto all'efficienza nell'edilizia, gli Stati membri dovranno garantire dal 1° gennaio 2014 la riqualificazione del 3% della superficie totale degli edifici riscaldati e/o raffrescati posseduti e occupati dal loro Governo centrale con una metratura utile totale superiore a 500 mq. Da luglio 2015 l''obbligo riguarderà anche quelli fino a 250 mq. Le nuove norme dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 giugno 2014.

            Approfondimenti

            Dossier pubblicati

            Approfondimento: Certificazione energetica degli edifici

            Le prime disposizioni in materia di certificazione energetica degli edifici risalgono alla legge 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l'attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell'energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), volta a favorire e ad incentivare, tra l’altro, l'uso razionale dell'energia, lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi.

            La legge al Titolo II recava, infatti, un quadro organico di disposizioni per il contenimento dei consumi di energia negli edifici concernente, tra l’altro, proprio la certificazione energetica degli edifici.

            Successivamente le disposizioni in materia sono state riviste ed integrate dai decreti legislativi n. 192/2005 e n. 311/2006 con i quali si è provveduto al recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia che ha introdotta nell’Unione europea la certificazione energetica degli edifici intesa soprattutto come strumento di trasformazione del mercato immobiliare, finalizzato a sensibilizzare gli utenti sugli aspetti energetici all'atto della scelta dell'immobile.

            La direttiva 2002/91/CE è stata adottata con l'obiettivo di migliorare la prestazione energetica degli edifici nella Comunità, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, nonché delle prescrizioni riguardanti il clima degli ambienti interni e l'efficacia sotto il profilo dei costi; il miglioramento del rendimento energetico degli edifici è funzionale alla riduzione delle emissioni inquinanti di biossido di carbonio.

            Si ricorda, a tale proposito, che nel preambolo dello schema del D.Lgs. 192/2005, il Governo sottolineava come tale direttiva risultasse già in parte attuata nell’ordinamento proprio dalla legge 9 gennaio 1991, n. 10, e dal D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, di attuazione della legge stessa. Alcune disposizioni della legge n. 10/1991 sono state in seguito abrogate e modificate ai fini del coordinamento con le disposizioni dei richiamati decreti legislativi.

            Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia, disciplinante - fra l’altro - la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche integrate degli edifici e l'applicazione di requisiti minimi in materia, ha stabilito (in attuazione dell'art. 7 della direttiva 2002/91/CE) i criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, prevedendone l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione.

            In particolare il D.Lgs. 192/2005 ha previsto che entro un anno dalla data della sua entrata in vigore (cioè entro l'8 ottobre 2006), gli edifici di nuova costruzione dovessero essere dotati, al termine della costruzione, di un attestato di certificazione energetica (ai sensi dell’art. 2, lett. d) del D.Lgs. 192/2005 per «attestato di certificazione energetica o di rendimento energetico dell'edificio» si intende “il documento redatto nel rispetto delle norme contenute nel presente decreto, attestante la prestazione energetica ed eventualmente alcuni parametri energetici caratteristici dell'edificio”), redatto secondo i criteri e le metodologie fissati dall'articolo 4 dello stesso D.Lgs. La certificazione, per gli appartamenti di un condominio, può basarsi, oltre che sulla valutazione dell’appartamento interessato, su una certificazione comune dell’intero edificio (per i condomini dotati di un impianto termico comune) o sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo del medesimo condominio e della medesima tipologia.

            L’attestato ha una validità massima di 10 anni dal rilascio e deve essere aggiornato ad ogni intervento di ristrutturazione modificante le prestazioni energetiche dell'edificio. L’attestato comprende i dati relativi all'efficienza energetica propri dell'edificio, i valori vigenti a norma di legge e valori di riferimento, che consentano ai cittadini di valutare e confrontare la prestazione energetica dell'edificio. E’ inoltre corredato da suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della prestazione energetica.

            Il D.Lgs. 192/2005 all’art. 6 ha demandato al Ministro dello sviluppo economico la predisposizione - di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con la Conferenza unificata, sentito il CNR, l'ENEA e il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU) - delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici avvalendosi delle metodologie di calcolo definite con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 4, comma 1. Le Linee guida sono state recentemente emanate con il D.M. 26 giugno 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009.

            Si ricorda che, ai sensi del su menzionato articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, con uno o più D.P.R. devono essere definiti:

            a) i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al contenimento dei consumi di energia e al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici. Questi decreti disciplinano la progettazione, l'installazione, l'esercizio, la manutenzione e l'ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici, per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari e, limitatamente al settore terziario, per l'illuminazione artificiale degli edifici;

            b) i criteri generali di prestazione energetica per l'edilizia sovvenzionata e convenzionata, nonché per l'edilizia pubblica e privata, anche riguardo alla ristrutturazione degli edifici esistenti e le metodologie di calcolo e i requisiti minimi finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, tenendo conto di quanto riportato nell'allegato «B» e della destinazione d'uso degli edifici;

            c) i requisiti professionali e i criteri di accreditamento per assicurare la qualificazione e l'indipendenza degli esperti o degli organismi cui affidare la certificazione energetica degli edifici e l'ispezione degli impianti di climatizzazione. I requisiti minimi sono rivisti ogni cinque anni e aggiornati in funzione dei progressi della tecnica.

            Con il decreto legislativo n. 311 del 2006, recante disposizioni integrative e correttive del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, l’obbligo della certificazione energetica è stato esteso gradualmente a tutti gli edifici preesistenti all’entrata in vigore del D.Lgs. 192/2005 (8 ottobre 2005), purché oggetto di compravendita o locazione, al fine di rendere il provvedimento maggiormente aderente alle disposizioni dell’articolo 7 della direttiva 2002/91/CE (in particolare l'articolo 7 della citata direttiva stabilisce che in fase di costruzione, compravendita o locazione di un edificio, l’attestato di certificazione energetica sia messo a disposizione dell'acquirente o del conduttore che in tal modo è in grado di valutare e raffrontare la prestazione energetica dell'edificio ai fini della comparazione dei costi).

            Per l'estensione dell'obbligo della certificazione è stato previsto un percorso graduale:

            a) a decorrere dal 1° luglio 2007 agli edifici di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile;

            b) a decorrere dal 1° luglio 2008 agli edifici di superficie utile fino a 1000 metri quadrati, nel caso di vendita dell'intero immobile con l'esclusione delle singole unità immobiliari;

            c) a decorrere dal 1° luglio 2009 alle singole unità immobiliari, nel caso di vendita.

            A partire dal 1° gennaio 2007, l’attestato di certificazione energetica è diventato prerequisito essenziale per accedere ad incentivi ed agevolazioni di qualsiasi natura destinati al miglioramento delle prestazioni energetiche – sia sgravi fiscali, sia contributi a carico di fondi pubblici o degli utenti – ed è stato reso obbligatorio per tutti gli edifici pubblici (o comunque in cui figura come committente un soggetto pubblico) in concomitanza con la stipula o il rinnovo dei contratti di gestione degli impianti termici o di climatizzazione, entro i primi sei mesi di vigenza contrattuale.

            Inoltre, si stabiliva che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3, D.Lgs. 192/2005) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4, D.Lgs. 192/2005). In caso di inadempimento si prevedeva la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solamente dal compratore o, rispettivamente, dal conduttore (art. 15, co. 8, D.Lgs. 192/2005). Tali disposizioni relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica sono state in seguito abrogate dal decreto-legge n. 112/2008.

            Al fine di semplificare il rilascio della certificazione energetica per gli edifici esistenti e renderla meno onerosa per i cittadini è stata prevista la possibilità di predisporre un attestato di qualificazione energetica, a cura dell’interessato, come si precisa nell’Allegato A del decreto (art. 6, co. 2-bis, D.Lgs. 192/2005), introdotto dall’art. 2, co. 3, D.Lgs. 311/2006.

            Al riguardo, si segnala che l’allegato A definisce l’attestato di qualificazione energetica come il documento predisposto ed asseverato da un professionista abilitato, non necessariamente estraneo alla proprietà, alla progettazione o alla realizzazione dell’edificio, nel quale sono riportati i fabbisogni di energia primaria, la classe di appartenenza in relazione al sistema di certificazione energetica in vigore, ed i corrispondenti valori massimi ammissibili fissati dalla legge.

            Pertanto, al di fuori di quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del D.Lgs. 192/2005 (come modificato dall’art. 3 del D.Lgs. 311/2006) l’attestato di qualificazione energetica è facoltativo ed è predisposto a cura dell’interessato al fine di semplificare il successivo rilascio della certificazione energetica. A tal fine, l’attestato comprende anche l’indicazione di possibili interventi migliorativi delle prestazioni energetiche che potrebbero permettere passaggi di classe energetica. L’estensore del documento provvede ad evidenziare sul frontespizio che il medesimo non  costituisce attestato di certificazione energetica dell’edificio.

            Inoltre, il D.Lgs. 311/2006, introducendo una semplificazione temporanea per accelerare l'attuazione della normativa, all’articolo 5 (aggiungendo il comma 1-bis all’articolo 11 del D.Lgs. 192/2005) ha consentito il ricorso, in via provvisoria, alla procedura di qualificazione energetica in luogo dell’attestato di certificazione energetica nelle more dell’emanazione delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici prevista dall’articolo 6, comma 9, del D.Lgs. 192/2005. Le Linee guida sono state emanate con il D.M. 26 giugno 2009 (cfr. supra, nel testo). Si ricorda che il comma 1-ter dell’articolo 11 del D.Lgs. 192/2005 prevede che, trascorsi dodici mesi dall'emanazione delle Linee guida, l'attestato di qualificazione energetica perde efficacia ai fini di cui al precedente comma 1-bis.

            Infine con il D.Lgs. 311/2006 sono state modificate anche le norme relative alle funzioni delle regioni e degli enti locali contenute nel citato D.Lgs. 192/2005 che all’articolo 9 precisa, in particolare, il ruolo delle regioni, delle province autonome e delle autorità competenti in merito agli accertamenti e alle ispezioni sugli edifici e sugli impianti, confermando le competenze in materia già attribuite in sede di decentramento amministrativo dall’articolo 30 del D.Lgs. 112/1998[1] e stabilendo altresì che le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano riferiscano annualmente alla Conferenza unificata e ai ministeri competenti sullo stato di attuazione del decreto legislativo nei rispettivi territori.

            Ai sensi del comma 3-bis dell'articolo 9, aggiunto dal D.Lgs. 311/2006, entro il 31 dicembre 2008 le regioni e le province autonome, in accordo con gli enti locali, sono tenute a predisporre un programma di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare, sviluppando tra l'altro la realizzazione di campagne di informazione e sensibilizzazione dei cittadini e la promozione, con istituti di credito, di strumenti di finanziamento agevolato destinati alla realizzazione degli interventi di miglioramento individuati con le diagnosi energetiche nell'attestato di certificazione energetica, o in occasione delle attività ispettive. Ai sensi del comma 5-bis dell'articolo 9, le regioni devono considerare, fra gli strumenti di pianificazione ed urbanistici di competenza, le soluzioni necessarie all’uso razionale dell’energia e all’uso di fonti rinnovabili, con indicazioni anche in ordine all’orientamento e alla conformazione degli edifici da realizzare, per massimizzare lo sfruttamento della radiazione solare.

            Il decreto legislativo n. 192/2005 e i relativi decreti applicativi nelle materie di legislazione concorrente si applicano alle regioni e alle province autonome che non abbiano ancora adottato propri provvedimenti attuativi della direttiva 2002/91/CE fino all’entrata in vigore della normativa di attuazione adottata da ciascuna regione e provincia autonoma. Nell’adottare la normativa di attuazione le regioni e le province autonome sono tenute a rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e i princìpi fondamentali desumibili dal decreto legislativo n. 192/2005 (art. 17).

            Merita segnalare che la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) al comma 288 dell'articolo 1 ha disposto che a decorrere dall’anno 2009, in attesa dell’emanazione dei provvedimenti attuativi di cui all’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005, il rilascio del permesso di costruire sia subordinato alla certificazione energetica dell’edificio, così come previsto dall’articolo 6 del citato decreto legislativo, nonché delle caratteristiche strutturali dell’immobile finalizzate al risparmio idrico e al reimpiego delle acque.

            Con il comma 289 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008 è stato inoltre previsto (attraverso la sostituzione del comma 1-bis dell'art. 4 del D.P.R. 380/2001) che, dal 1° gennaio 2009, i regolamenti edilizi comunali debbano vincolare, per gli edifici di nuova costruzione, il rilascio del permesso di costruire all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo tale da garantire una produzione energetica non inferiore a: 1 kW per ciascuna unità abitativa e 5 kW per i fabbricati industriali di estensione superficiale non inferiore a 100 metri quadrati. Limitatamente alle unità abitative, la disposizione precisa che tale obbligo opera, in quanto compatibile con la realizzabilità tecnica dell’intervento.
            Si ricorda che il suddetto termine del 1° gennaio 2009 è stato rinviato prima al 1° gennaio 2010 dal D.L. 207/2008 (art. 29, comma 1-octies), e poi al 1° gennaio 2011 dal D.L. 194/2009 (art. 8, comma 4-bis) (A.C. 3210).

            Si segnala, inoltre, il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 recante Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE, che all’art. 18, comma 6, prevede, nelle more dell'emanazione dei decreti attuativi di cui all’art. 4, comma 1, del D.Lgs. 192/2005 e fino alla data di entrata in vigore degli stessi decreti, l’applicazione delle disposizioni contenute nell'allegato III dello stesso decreto legislativo, relative alle “Metodologie di calcolo della prestazione energetica degli edifici e degli impianti” e al riconoscimento dei “Soggetti abilitati alla certificazione energetica degli edifici”.

            In materia di certificazione energetica si segnalano inoltre le disposizioni contenute nel decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, che all’articolo 35 - volto a semplificare la disciplina per l’installazione degli impianti all’interno degli edifici, rimettendola ad uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per la semplificazione – con il comma 2-bis ha disposto l’abrogazione di alcune disposizioni del D.Lgs. 192/2005 (introdotte dal D.Lgs. 311/2006) relative all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica.

            Le disposizioni abrogate stabilivano in particolare che, nel caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, l’attestato di certificazione energetica dovesse essere allegato all'atto di trasferimento (art. 6, co. 3) e che in caso di locazione lo stesso attestato dovesse essere messo a disposizione del conduttore o ad esso consegnato in copia conforme all'originale (art. 6, co. 4).

            Conseguentemente, sono stati abrogati anche i commi 8 e 9 dell’art. 15, che prevedevano la nullità del contratto che poteva essere fatta valere solo dall'acquirente in caso di violazione dell'obbligo di cui all'art. 6, co. 3 (comma 8) o solo dal conduttore in caso di violazione dell'obbligo previsto dall'art. 6, co. 4 (comma 9).

            Con il D.L. 112/2008 è quindi venuto meno l’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica agli atti di compravendita, ma non l’obbligo di redigerlo, previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 192/2005.

            Con riferimento (anche) a tali disposizioni del D.L. 112/2008 la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva 2002/91/CE.

            La Commissione europea ha in più occasioni invitato l’Italia ad adeguare la legislazione nazionale alla Direttiva 2002/91/CE. Il 24 novembre 2010 ha inviato all’Italia un parere motivato (p.i. 2006/2378) contestandole la non completa attuazione delle disposizioni contenute nella direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico degli edifici entro il termine massimo consentito del 4 gennaio 2009.

            In particolare, la Commissione contesta all’Italia di non aver soddisfatto, nel proprio ordinamento quanto previsto dall’articolo 7 della direttiva, concernente l’obbligo di presentare un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o locazione di un immobile, né l’obbligo di garantire l’indipendenza degli esperti certificatori (art. 10). Inoltre, nell’avviso della Commissione, l’Italia non avrebbe finora adottato alcuna misura relativa all'obbligo di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento dell'aria la cui potenza nominale è superiore a 12 kW per valutarne il rendimento, previsto dall’articolo 9 della medesima direttiva.

            La Commissione ritiene che con l’abrogazione disposta dall’art 35 del D.L. 112/2008 delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 29 dicembre 2006, n. 311, intese a dare piena attuazione al predetto art. 7 della direttiva 2002/91, in Italia non sia più vigente l’obbligo di consegna di un attestato di certificazione energetica in caso di vendita o di locazione di un immobile.

            Inoltre, l’articolo 9 delle Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici contenute nel decreto 26 giugno 2009, secondo la Commissione, che consente al proprietario dell’immobile di optare per un’autocertificazione che dichiari l’edificio di classe energetica molto bassa, non consente in realtà ai consumatori acquirenti di valutare correttamente il rendimento energetico dell’edificio (art. 7, para 1, dir. 2009/33/CE) né fornisce le raccomandazioni per il miglioramento del rendimento formulate dall’esperto indipendente (art. 7, para 2, dir. 2009/33/CE).

            Il D.Lgs. 28/2011, volto a recepire la direttiva 2009/28/CE sulla promozione delle energie rinnovabili, interviene anche sui sistemi di incentivazione dell'efficienza energetica. L'articolo 13 modifica il D.Lgs. 192/2005 per prevedere una maggiore trasparenza delle informazioni commerciali e contrattuali relative alla certificazione energetica degli edifici e all’indice di prestazione energetica degli immobili oggetto di compravendita.

            In particolare, la lettera a) del comma 1 integra l’ambito di applicazione del D.Lgs. 192/2005 in modo da inserire tra le finalità, oltre ai criteri generali per la certificazione energetica degli edifici, anche il trasferimento delle relative informazioni in sede di compravendita e locazione.

            Le lettere b) e c) intervengono sull'articolo 6 in merito all’obbligo di allegare l’attestato di certificazione energetica agli atti di compravendita o di locazione. Tale articolo viene integrato prevedendo che:

            Sulla Gazzetta Ufficiale del 10 giugno 2009 è stato pubblicato il DPR 2 aprile 2009, n. 59 recante Regolamento di attuazione dell'articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, entrato in vigore il 25 giugno 2009.
            Il DPR, che definisce i criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e degli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell'acqua calda per usi igienici sanitari è uno dei tre decreti attuativi del D.Lgs. 192/2005 come modificato dal D.Lgs. 311/2006. Esso attua solamente parzialmente le lettere a) e b) dell’art. 4, comma 1, del D.Lgs 192/2005, poiché (art. 1, comma 2) rinvia a successivi provvedimenti la definizione dei criteri generali, le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli impianti termici per la climatizzazione estiva e per l’illuminazione artificiale degli edifici del settore terziario.
            Il DPR attuativo della lettera c) dell’articolo 4, comma 1, che provvederà a fissare i criteri di accreditamento degli esperti e degli organismi a cui affidare la certificazione energetica è stato approvato dal Consiglio dei Ministri del 15 febbraio 2013.

            Il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri dell’ambiente e delle infrastrutture, d'intesa con la Conferenza unificata, volto a definire le Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici in attuazione dell’articolo 6, comma 9, nonché gli strumenti di raccordo, concertazione e cooperazione tra lo Stato e le regioni in attuazione dell’articolo 5 del citato D.Lgs. 192/2005, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2009 (D.M. 26 giugno 2009). Il 13 dicembre 2012 è stato pubblicato il D.M. 22 novembre 2012 che introduce alcune modifiche alle citate Linee Guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. In particolare, il decreto elimina la possibilità per i proprietari di determinati immobili di optare per l’autocertificazione della classe energetica più bassa (autocertificazione di classe G), come richiesto dalla Commissione Europea e viene data attuazione all’articolo 9 della Direttiva che impone agli Stati membri di adottare un sistema di ispezioni periodiche degli impianti di condizionamento d’aria di potenza maggiore di 12 kW, che contemplino anche una valutazione dell’efficienza dell’impianto e una consulenza agli utenti sui possibili miglioramenti e sulle soluzioni sostitutive o alternative.
             
            Si segnala, infine, che il disegno di legge comunitaria 2011 (A.C. 4623) contiene la nuova direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, che sostituisce la direttiva 2002/91/CE, abrogata dal 1º febbraio 2012.

            Energia nucleare

            Per effetto del decreto-legge 34/2011, e poi del D.P.R. 114/2011 che ha dato esecuzione all'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, sono venute meno tutte le disposizioni introdotte nell'ordinamento italiano a partire dal 2008 per promuovere la realizzazione di nuovi impianti pe l'energia nucleare e la produzione di questo tipo di energia. Il D.P.R. ha anche abrogato la disposizione che disciplinava l'istituto della "strategia energetica". Il decreto "salva Italia" (D.L. 201/2011) ha soppresso l'Agenzia per la sicurezza nucleare.

            L’energia nucleare è stata uno degli argomenti principali della politica energetica del primo triennio della XVI legislatura, sia per le azioni intraprese dal Governo fino al 2010 per realizzare una nuova strategia nucleare, sia per le iniziative referendarie assunte nell’opposta direzione di escludere la realizzazione di impianti di produzione di questo tipo di energia.

            La ripresa di una pianificazione nucleare è stata un aspetto centrale della politica energetica del Governo negli anni 2008-2010. A tal fine l’art. 7 del decreto-legge 112/2008 (A.C. 1386), nell’introdurre nell'ordinamento uno strumento di indirizzo e programmazione generale in materia energetica denominato “Strategia energetica nazionale” (SEN), aveva espressamente previsto, tra le politiche di settore da sviluppare, anche quella finalizzata alla produzione di energia da fonte nucleare mediante impianti di nuova generazione da realizzare appositamente. In particolare, la SEN contemplava la realizzazione sul territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare e la promozione della ricerca sul nucleare di quarta generazione o da fusione.

            In linea con la Strategia energetica nazionale l'art. 25 della legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) aveva disposto una delega al Governo per la disciplina della localizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare e di fabbricazione del combustibile nucleare nonché dei sistemi di stoccaggio e per il deposito definitivo dei rifiuti radioattivi, e per la definizione delle misure compensative in favore delle popolazioni interessate. La delega prevedeva altresì che venissero stabiliti le procedure autorizzative e i requisiti soggettivi per lo svolgimento delle attività di costruzione, di esercizio e di disattivazione dei citati impianti.

            A tale delega il Governo, acquisiti i pareri parlamentari sullo schema di decreto presentato (atto n. 174), ha dato attuazione con il decreto legislativo 31/2010. Tra i punti più significativi di questo decreto vanno evidenziati: la definizione di una Strategia del Governo in materia nucleare, propedeutica all’avvio delle procedure localizzative ed autorizzative; la previsione di un ruolo rilevante delle Regioni interessate, chiamate ad esprimere un’intesa, propedeutica all'intesa con la Conferenza unificata, fin dalla fase di localizzazione, e poi anche nell’ambito della procedura di autorizzazione per gli impianti nucleari e per il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi; la possibilità di concludere i procedimenti delle intese, sia con le Regioni sia con la Conferenza unificata, attraverso le forme di sussidiarietà già previste dalla normativa vigente e nel rispetto del principio di leale collaborazione; la fissazione di appositi requisiti tecnici, professionali e organizzativi per gli operatori autorizzati alla realizzazione e all'esercizio di impianti nucleari; l’istituzione di “Comitati di confronto e trasparenza” per ciascun sito, finalizzati a garantire alla popolazione l’informazione, il monitoraggio ed il confronto pubblico sull’attività concernente il procedimento autorizzativo, la realizzazione, l’esercizio e la disattivazione del relativo impianto nucleare, nonché sulle misure adottate per garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione e la salvaguardia dell’ambiente; la previsione di uno stretto coinvolgimento dell’Agenzia per la sicurezza nucleare - quale autorità nazionale per la regolamentazione tecnica, il controllo e l'autorizzazione ai fini della sicurezza nel settore nucleare, istituita dalla legge 99/2009 (e poi soppressa dal D.L. 201/2011, cd. Salva Italia) - in ogni passaggio procedurale, al fine di garantire i massimi livelli di sicurezza per l’ambiente, la popolazione ed i lavoratori; la fissazione di tempi procedurali tali da contemperare le esigenze di sicurezza sopra richiamatecon la celere attuazione della Strategia nucleare.

            Successivamente, il decreto legislativo 41/2011, correttivo del suddetto D.Lgs. 31/2010, ha ulteriormente integrato e precisato la normativa in materia, sia semplificando le procedure di valutazione e di autorizzazione dei nuovi impianti nucleari, sia prevedendo una riduzione dei tempi di costruzione, sia dando più flessibilità al procedimento di localizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, sia ancora accelerando lo smantellamento degli impianti nucleari esistenti e definendo in maniera più esaustiva i requisiti tecnici richiesti per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari e del Deposito nazionale. Il provvedimento inoltre, adeguandosi a quanto statuito dalla Corte costituzionale (cfr. infra), ha previsto la necessità di acquisire il parere (obbligatorio ma non vincolante) della Regione interessata in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la realizzazione di un impianto nucleare. Sullo schema iniziale, trasmesso dal Governo alle Camere (schema di decreto legislativo n. 333) le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera il 16 marzo 2011 hanno espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni. Al Senato, il parere favorevole con osservazioni è stato espresso dalla Commissione Industria nella seduta del 22 marzo 2011. A seguito di tali pareri, il Consiglio dei Ministri n. 133 del 23 marzo 2011 ha approvato definitivamente il provvedimento, poi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 85 del 13 aprile 2011.

            A queste iniziative del Governo favorevoli alla ripresa di una politica energetica nucleare si è contrapposta l’iniziativa popolare concretizzatasi con la raccolta delle firme necessarie per la presentazione di un referendum abrogativo sulle norme in materia di energia nucleare. Tale referendum abrogativo - dichiarato ammissibile la Corte Costituzionale con la sentenza n. 28/2011 - è stato indetto per il 12-13 giugno 2011.

            Prima di tale scadenza Governo e Parlamento sono tuttavia intervenuti nuovamente sulla materia disponendo – anche a fronte della esigenza internazionalmente riconosciuta di una riflessione sulla materia dell’energia nucleare dopo l’incidente alla centrale giapponese di Fukushima – prima, con il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307), la sospensione della realizzazione dei piani in materia di energia nucleare, e poi, con le modifiche apportate dalla legge di conversione (legge 75/2011), la abrogazione delle norme sopra citate del triennio 2008-2010 sulla ripresa dei programmi in tema di energia nucleare.

            Tuttavia, la Corte di Cassazione (in veste di Ufficio Centrale per il referendum) non ha ritenuto che fossero, con queste modifiche, venuti meno tutti i presupposti per lo svolgimento del referendum abrogativo già indetto. Essa ha di conseguenza riformulato, con ordinanza 1° giugno 2011, il quesito referendario per adeguarlo alle modifiche legislative intervenute ad opera della legge di conversione, e in particolare ha indirizzato il quesito alla abrogazione dei commi 1 ed 8 dell’articolo 5 del decreto-legge 34/2011. La Corte Costituzionale (sentenza n. 174/2011) ha confermato la ammissibilità del quesito referendario anche in tale riformulazione.

            In proposito, il decreto-legge 34/2011 (A.C. 4307), nell’abrogare le norme in materia di energia nucleare ha comunque:

            Il referendum abrogativo si è quindi tenuto, come già previsto, nei giorni 12 e 13 giugno 2011 e ha visto prevalere nettamente i voti favorevoli all’abrogazione dei citati commi 1 e 8 dell'articolo 5 del D.L. 34/2011. Con D.P.R. 114/2011 è stata data formale esecuzione all’esito referendario.

            Si segnala infine che la legge 99/2009 ha previsto all’articolo 38, comma 1 l'approvazione, da parte del CIPE, di un Piano operativo per la promozione della ricerca e innovazione nel settore energetico, anche con riferimento allo sviluppo del nucleare di nuova generazione.

            Giurisprudenza costituzionale

            La Corte Costituzionale, con sentenza n. 278/2010, ha respinto i ricorsi di numerose Regioni che avevano impugnato alcune disposizioni della legge 99/2009 in materia nucleare e in particolare la norma di delega di cui all'art. 25. Inoltre la Corte, con sentenza n. 331/2010, ha dichiarato illegittime le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l'installazione sul loro territorio di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione di combustibile nucleare e di stoccaggio di rifiuti radioattivi. Successivamente, invece, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 del decreto legislativo 31/2010 nella parte in cui non prevede che la Regione interessata, anteriormente all’intesa con la Conferenza Unificata, esprima il proprio parere in ordine al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari (sentenza n. 33/2011), che peraltro ha dichiarato inammissibili o infondate tutte le altre numerose questioni di legittimità costituzionale poste dalle Regioni ricorrenti con riferimento al citato decreto legislativo).

            Atti di sindacato ispettivo

            Con l’interpellanza 2-00057, svolta alla Camera nella seduta del 27 gennaio 2009, sono state richieste delucidazioni sul piano di sviluppo delle centrali nucleari nel nostro Paese, con particolare riguardo alla individuazione dei siti, alla messa in sicurezza delle scorie e al reperimento delle risorse per finanziare il progetto (v. Strategia energetica nazionale).

            Anche con l'interrogazione a risposta immediata 3-00833, svolta alla Camera nella seduta del 13 gennaio 2010, sono state richieste delucidazioni in merito agli orientamenti del Governo sull'individuazione dei siti degli impianti per la produzione di energia nucleare.

            Dossier pubblicati

            X Attività produttive

            Ricerca

            Nell’ambito dell’obiettivo, fissato dalla strategia Europa 2020 , di accrescere gli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo fino a un livello del 3% del PIL, l’Italia si è posta l’obiettivo di raggiungere nel 2020 un livello di investimenti pari all’1,53% (partendo da 1,26 punti percentuali). Peraltro, come indicato nel Programma nazionale di riforma 2012 , l’obiettivo potrebbe essere ridefinito in occasione della revisione di medio termine della strategia, qualora le riforme producano i risultati auspicati sulla propensione a investire delle imprese e, dunque, sulle spese per ricerca e sviluppo del settore privato.

            In primo luogo è stata introdotta una complessiva riforma del sistema degli incentivi alle imprese , elaborata sulla base di un Rapporto, noto come rapporto Giavazzi , nel quale si suggerisce il mantenimento di quei soli incentivi che servono alle imprese per raggiungere obiettivi socialmente desiderabili e la cui attività riveste carattere addizionale, nel senso che la stessa non verebbe svolta senza quel sussidio. Tali sarebbero, per esempio, le spese per la ricerca e l'innovazione. La riforma approvata prevede l'istituzione di un Fondo speciale per la crescita sostenibile, che sostituisce il Fondo speciale rotativo per l'innovazione tecnologica (FIT), ed è chiamato a promuovere i progetti di ricerca strategica, il rafforzamento della struttura produttiva e la presenza internazionale delle imprese nazionali. Sono state, poi, ridefiniti le tipologie, gli strumenti di intervento nonché i soggetti ammessi ai contributi per la ricerca scientifica e tecnologica. La definizione delle spese ammissibili, delle caratteristiche delle attività nonché delle modalità e dei tempi di attivazione è stata rinviata ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che al momento non risulta emanato.

            Al fine di sostenere gli investimenti in ricerca e la collaborazione tra università e imprese, sono state concesse inoltre alcune agevolazioni - sotto forma di credito d'imposta - in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca o che assumono riceratori o profili altamente qualificati.

            In tale contesto, il 23 marzo 2011 il CIPE ha approvato il Programma nazionale della ricerca (PNR) 2011-2013 , che persegue quali obiettivi strategici la crescita della competitività del Paese in aree tecnologiche prioritarie, il miglioramento della qualità della ricerca pubblica e privata e la promozione del trasferimento dei risultati della ricerca al settore produttivo, il consolidamento e l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, la valorizzazione del capitale umano, il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, la partecipazione alle infrastrutture di ricerca europee. Gli obiettivi sono declinati in 18 azioni di ricerca, nell’ambito delle quali sono individuati 14 “Progetti bandiera” che devono essere realizzati dagli enti di ricerca vigilati dal MIUR . Questi ultimi sono stati oggetto della riorganizzazione operata con il d.lgs. 213/2009, proprio al fine di promuovere, rilanciare e razionalizzare le attività nel settore della ricerca. In particolare, agli enti è stata riconosciuta un'ampia autonomia statutaria, la ripartizione dei contributi statali è stata collegata alla valutazione e al merito, e sono stati introdotti finanziamenti premiali dal 2011.

            Sulla base delle competenze affidate all’ANVUR dal DM 76/2010, con DM 15 luglio 2011 è stata anche disciplinata la Valutazione della qualità della ricerca (VQR) 2004-2010 , poi avviata dall’Agenzia con bando del 7 novembre 2011. La valutazione dei risultati della ricerca, organizzata nelle 14 aree indicate dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), riguarda, in particolare, università statali, università non statali autorizzate a rilasciare titoli accademici, enti di ricerca vigilati dal MIUR, dipartimenti. La relazione finale sarà stilata dall’ANVUR entro il 30 giugno 2013.

            Tra gli interventi normativi più pregnanti si ricorda il D.L. 83/2012, la cui relazione illustrativa (A.C. 5312) sottolineava la necessità di definire obiettivi di ricerca collegati funzionalmente alle politiche economiche del Paese, di specializzare la ricerca verso particolari ambiti e settori per rendere il sistema più competitivo a livello internazionale, di rendere sempre connesse la ricerca di base e quella applicata, congiungendo l’attività di ricerca pubblica con quella più tipicamente industriale, di rivedere le procedure di valutazione, semplificandole e accentuando l’importanza delle valutazioni ex post.

            Va, inoltre, ricordata l’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia svolta dalla VII Commissione della Camera tra il 7 aprile 2009 e il 30 marzo 2011, il cui documento conclusivo evidenzia che le principali criticità, che derivano dalla progressiva riduzione delle risorse, ma soprattutto dalla mancanza di una strategia capace di coinvolgere tutti i potenziali attori, a livello nazionale e locale, impediscono il decollo e l’attrattività del sistema. E’, dunque, necessario razionalizzare e semplificare le norme, concentrare e coordinare programmi, interventi e risorse disponibili, superando i limiti vigenti nell’erogazione dei finanziamenti, favorire l’autonomia responsabile delle strutture di ricerca e l’investimento privato, intervenire sul rapporto ricerca-sistema produttivo.

            Gli enti di ricerca vigilati dal Miur

            Nella XVI legislatura è stata attuata la delega per il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR, prevista dall'art. 1 della L. 165/2007. Gli stessi enti, inoltre, sono destinatari delle misure per la riduzione della spesa previste dal D.L. 95/2012.

            Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR

            Con il D.Lgs. 213/2009 è stata attuata la delega per il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR prevista dall'art. 1 della L. 165/2007 (come modificato dall’art. 27 della L. 69/2009). La riorganizzazione si è resa necessaria per evitare la soppressione disposta dall’art. 26 del D.L. 112/2008, nell’ambito della soppressione degli enti pubblici non economici.

            Tra le principali novità introdotte dal D.Lgs. - sul cui schema la VII Commissione della Camera ha espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni il 16.12.2009 - si segnalano:

            Il D.Lgs. ha riconfermato, infine, la natura di ente di ricerca per l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione (INVALSI), dotato di autonomia amministrativa, contabile, patrimoniale, regolamentare e finanziaria.

            Il Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca vigilati dal MIUR

            L’art. 7 del D.lgs. 204/1998 ha previsto che gli stanziamenti da destinare annualmente a vari enti di ricerca – tra cui CNR e Agenzia spaziale italiana (ASI) – affluissero in un unico Fondo, finanziato dal MIUR, il cui ammontare è determinato in tab. C della legge finanziaria (ora, di stabilità). L'art. 4 del d.lgs. 213/2009 ha previsto che dal 2011 una quota non inferiore al 7% del Fondo è destinata al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti, anche congiunti, proposti dagli enti.

            La ripartizione annuale del Fondo tra i suddetti 12 enti di ricerca è pubblicata sul sito del MIUR. Per il 2012, la ripartizione - per un importo complessivo pari a 1.652.963.075 euro - è stata effettuata con DM del 9 agosto 2012 (registrato alla Corte dei Conti in data 2 ottobre 2012).

            L'art. 8, co. 4-bis, del D.L. 95/2012 ha previsto una riduzione del Fondo per € 51,2 mln dal 2013, nell'ambito delle misure di contenimento della spesa delle pubbliche amministrazioni.

             

             

             

            Ulteriori interventi normativi

            L'art. 31-bis del D.L. 5/2012 ha previsto che l'Istituto nazionale di fisica nucleare attiva la Scuola sperimentale di dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute, che opera in via sperimentale per un triennio, dall'a.a. 2013/2014, attivando corsi di dottorato di ricerca e curando attività di formazione post-dottorato nel campo delle scienze di base e dell'intermediazione ricerca-impresa.
            Il piano strategico della Scuola è stato presentato dal Ministro Profumo il 1° agosto 2012.

            Con DM 27 novembre 2012 è stata definita la Convenzione quadro tra atenei ed enti pubblici di ricerca per consentire a professori e ricercatori universitari a tempo pieno di svolgere attività di ricerca presso un ente pubblico e ai ricercatori di ruolo degli enti pubblici di ricerca di svolgere attività didattica e di ricerca presso un’università.

            Attività conoscitiva del Parlamento

            Il 30 marzo 2011 la VII Commissione della Camera ha approvato il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia, deliberata il 7 aprile 2009.

            Il documento conclusivo evidenzia che gli interventi legislativi degli ultimi anni, adottati al fine di innescare processi virtuosi di semplificazione e ottimizzazione, non hanno raggiunto gli obiettivi prefissati. Le principali criticità, che derivano dalla progressiva riduzione delle risorse, ma soprattutto dalla mancanza di una strategia capace di coinvolgere tutti i potenziali attori, a livello nazionale e locale, impediscono il decollo e l’attrattività del sistema, che rappresenta un volano della crescita del Paese. E’, dunque, necessario razionalizzare e semplificare le norme, concentrare e coordinare programmi, interventi e risorse disponibili, superando i limiti vigenti nell’erogazione dei finanziamenti, favorire l’autonomia responsabile delle strutture di ricerca e l’investimento privato, intervenire sul rapporto ricerca-sistema produttivo. Infine, il percorso di qualificazione e ottimizzazione del sistema deve essere costantemente monitorato e valutato, mutuando modalità e strumenti anche dalle migliori esperienze internazionali.

            La 7a Commissione del Senato ha svolto una discussione sul partenariato europeo per i ricercatori approvando, il 6 ottobre 2009, una risoluzione (DOC XXIV, n. 6 ).

            Approfondimenti

            Dossier pubblicati

            Documenti e risorse web

            Approfondimento: Il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR



            Premessa

            Sulla base della delega conferita dall’art. 1 della L. 165 del 2007 - come modificata, sia in relazione a principi e criteri direttivi, sia in relazione al termine per l’esercizio, dall’art. 27, co. 1, della L. 69 del 2009 - è stato emanato il decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, che ha operato il riordino degli enti di ricerca vigilati dal MIUR.

            Al riordino - finalizzato a promuovere, sostenere, rilanciare e razionalizzare le attività nel settore della ricerca e a garantire autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca - si sarebbe dovuto provvedere entro il termine originario di 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, poi fissato al 31 dicembre 2009 dalla legge 69 del 2009 che, al contempo, ha disposto che le disposizioni c.d. “taglia enti” di cui all’art. 26, co. 1, secondo periodo, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) non si sarebbero applicate agli stessi enti di ricerca qualora entro la data indicata fossero stati adottati i decreti legislativi attuativi della delega prevista dalla L. 165/2007.

            Gli enti di ricerca vigilati dal MIUR sono dodici: A.S.I. - Agenzia Spaziale Italiana; C.N.R. - Consiglio Nazionale delle Ricerche; I.N.RI.M. - Istituto nazionale di ricerca metrologica; I.N.D.A.M. - Istituto Nazionale di Alta Matematica; I.N.A.F. - Istituto Nazionale di Astrofisica; I.N.F.N. - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare; I.N.G.V. - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia; Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale- O.G.S.; Istituto Italiano di Studi Germanici; Consorzio per l'Area di Ricerca Scientifica e Tecnologica di Trieste; Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche "Enrico Fermi"; Stazione Zoologica "Anton Dohrn".

            Ad essi si affianca l’INVALSI - Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e di formazione -, qualificato ente di ricerca dall’art. 2 del d.lgs. 286/2004 e riordinato con lo stesso d.lgs. 213/2009 e non con il regolamento di delegificazione previsto dall’art. 2, co. 634, della L. 244/2007.



            Le principali novità per i 12 enti recate dal d.lgs. 213/2009 e le misure per la razionalizzazione della spesa recate dal D.L. 95/2012



            L’autonomia statutaria

            Agli enti è stata riconosciuta autonomia statutaria (art. 2 d.lgs. 213/2009), nel rispetto dell’art. 33, sesto comma, della Costituzione e in coerenza con i principi della Carta europea dei ricercatori.

            Si è trattato di una previsione aggiuntiva rispetto a quelle recate dall’art. 8 della L. 168/1989, che aveva attribuito agli enti di ricerca a carattere non strumentale autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, unitamente alla facoltà di darsi ordinamenti autonomi, nel rispetto delle proprie finalità istituzionali, con propri regolamenti.

            La Carta europea dei ricercatori, allegata alla raccomandazione n. 2005/251/CE della Commissione, dell'11 marzo 2005, reca una serie di princìpi generali e di requisiti che specificano i ruoli, le responsabilità ed i diritti dei ricercatori, nonché dei loro datori di lavoro e/o finanziatori. Tra i principi generali applicabili ai ricercatori, che la Carta declina, si ricordano, in particolare: la libertà di ricerca; la responsabilità professionale; la diffusione e valorizzazione dei risultati; l’impegno verso l’opinione pubblica; lo sviluppo professionale continuo.

            Gli statuti specificano la missione e gli obiettivi di ricerca, che sono individuati con atti di indirizzo e direttive adottati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con altri Ministri eventualmente interessati, in coerenza con i contenuti del Programma nazionale di ricerca (PNR) e con gli obiettivi strategici fissati dall’Unione europea.

            Inoltre, essi devono prevedere misure di snellimento degli organi di direzione, amministrazione, consulenza e controllo degli enti, attraverso la riduzione del numero dei componenti, nonché l’adozione di forme organizzative atte a garantire trasparenza ed efficienza della gestione: in ogni caso, devono essere garantiti l’alto profilo scientifico e professionale, le competenze tecnico-organizzative e la rappresentatività dei componenti.

            Per quanto concerne l’adozione dei nuovi statuti, il d.lgs. ha previsto che ciò avvenisse entro 6 mesi dalla data della sua entrata in vigore (art. 3), previo controllo di legittimità e di merito adottato dal Ministro dell’istruzione dell’università e della ricerca, da effettuare entro 60 giorni dalla loro ricezione (art. 7).



              Il finanziamento

            L’art. 4 del d.lgs. 213/2009 ha disposto che la ripartizione del Fondo ordinario per gli enti di ricerca (art. 7 del d.lgs. 204/1998) è effettuata sulla base della programmazione strategica preventiva, nonché tenendo conto della valutazione della qualità dei risultati della ricerca, effettuata dall’Agenzia nazionale di valutazione dell'università e della ricerca (ANVUR).

            Inoltre, come già stabilito per le università dall’art. 2 del D.L. 180/2008 (L. 1/2009), ha previsto che, dal 2011, una quota del Fondo – non inferiore al 7 per cento, destinata ad incrementarsi progressivamente negli anni successivi –, sarebbe stata diretta al finanziamento premiale di specifici programmi e progetti, anche congiunti.

            Per la definizione di criteri e motivazioni di assegnazione della quota è stato previsto l’intervento di un decreto del Ministro.

            Con il DM 9 agosto 2012, n. 506/Ric. si è proceduto alla ripartizione della quota premiale del 7% del Fondo ordinario per il 2011 (DM 28 novembre 2011, n. 1031/Ric), pari, complessivamente, a 125,1 milioni di euro.

            La ripartizione annuale del Fondo tra i suddetti 12 enti di ricerca è pubblicata sul sito del MIUR.

            Per il 2012, la ripartizione - per un importo complessivo pari a 1.652.963.075 euro - è stata effettuata con DM del 9 agosto 2012 (registrato alla Corte dei Conti in data 2 ottobre 2012).



              La programmazione strategica preventiva

            L’art. 5 del d.lgs. 213/2009 ha disposto che, in conformità alle linee guida enunciate nel PNR, i consigli di amministrazione dei singoli enti, previo parere dei rispettivi consigli scientifici, adottano un piano triennale di attività, aggiornato annualmente, ed elaborano un documento di visione strategica decennale. Il piano è valutato e approvato dal MIUR, anche ai fini della identificazione e dello sviluppo degli obiettivi generali di sistema, del coordinamento dei PTA dei diversi enti di ricerca, nonché del riparto del fondo ordinario.



              Il Consiglio di amministrazione

            Il numero di componenti del consiglio di amministrazione degli enti di ricerca non può superare:

            Ai fini delle nomine di designazione governativa, il Ministro nomina un comitato di selezione - composto da esperti della comunità scientifica ed esperti in alta amministrazione - che fissa le modalità e i termini per la presentazione di candidature e propone al Ministro 5 nomi per la carica di Presidente e 3 nomi per la carica di consigliere.

            Tutti i componenti, compreso il Presidente, sono nominati con decreto del Ministro, durano in carica 4 anni e possono essere confermati una sola volta. I decreti ministeriali di nomina sono comunicati al Parlamento (artt. 8 e 11 d.lgs. 213/2009. E’, pertanto, venuta meno la previsione, recata dall’art. 6, co. 2, del d.lgs. 204/1998, in base alla quale le Commissioni parlamentari si esprimevano sulla nomina dei Presidenti degli enti di ricerca).

            Disposizioni particolari sono previste per la composizione dei consigli di amministrazione di CNR, ASI e INFN (art. 9 d.lgs. 213/2009).



              Organizzazione interna e dirigenza

            Gli enti di ricerca, nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare, adeguano i propri ordinamenti ai principi generali sul pubblico impiego (art. 4 e Capo II del Tit. II del d.lgs. 165/2001) e sul procedimento amministrativo (L. 241/1990).

            Pertanto, gli statuti e i regolamenti interni sono elaborati tenendo conto della separazione tra compiti di programmazione ed indirizzo strategico, competenze e responsabilità gestionali e funzioni valutative e di controllo (art. 12 d.lgs. 213/2009).



             Le possibilità di chiamata diretta

            Previo nulla osta del Ministro, gli enti di ricerca possono assumere per chiamata diretta, a tempo indeterminato, entro il limite del 3% dell’organico dei ricercatori e dei tecnologi e nei limiti delle disponibilità di bilancio, ricercatori e tecnologi italiani e stranieri di altissima qualificazione scientifica, che si siano distinti per merito eccezionale (art. 13 d.lgs. 213/2009).



              Le misure per la razionalizzazione della spesa

            L’art. 14 del d.lgs. 213/2009 ha esteso agli enti di ricerca vigilati dal MIUR l’applicabilità delle misure di razionalizzazione delle sedi previste dall’art. 12 del d.lgs. 149/1999, disponendo che entro il 31 dicembre 2010 gli enti dovevano predisporre un piano volto alla riorganizzazione della localizzazione degli uffici, anche tra enti diversi, ed alla realizzazione di economie di spesa.

            Inoltre, l’art. 15 ha disposto che gli statuti individuano misure e soluzioni organizzative finalizzate alla gestione coordinata delle infrastrutture e delle strutture di ricerca da parte degli enti e delle imprese, allo scopo di produrre economie di scala e di accrescere la loro efficienza e internazionalizzazione.

            In seguito, l’art. 8, co. 4-bis, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), come convertito, ha previsto che una razionalizzazione della spesa per consumi intermedi sia conseguita, per i 12 enti che svolgono ricerca scientifica a carattere non strumentale, attraverso la riduzione del Fondo ordinario, a decorrere dal 2013, per un importo complessivo pari a 51,2 milioni di euro.



            Documenti e risorse web

            MIUR - Statuti degli enti di ricerca

            Ricerca e innovazione

            Con i due decreti sulla crescita del 2012 sono state previste norme per agevolare la nascita delle start up innovative e sono stati ridefiniti gli interventi di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, estese ai processi di sviluppo sperimentale.

            La legge 99/2009 (A.C. 1441-ter) ha previsto numerose disposizioni relative alla ricerca, tra cui agevolazioni a favore della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione. In particolare, sono state destinate risorse agli interventi individuati dal Ministero dello sviluppo economico in determinati ambiti, tra cui:

            La disciplina relativa ai progetti di innovazione industriale (PII) è stata introdotta dalla legge finanziaria per il 2007 (legge 296/2006, art. 1, commi 842-846) per favorire lo sviluppo di una specifica tipologia di prodotti e servizi ad alto contenuto di innovazione in aree tecnologiche strategiche per la crescita e la competitività del Paese:


            Inoltre, con la medesima legge 99/2009 sono state individuate, in aggiunta alle aree tecnologiche di cui alla legge finanziaria 2007, quelle relative alla:

            Peraltro, la legge prevede la possibilità di individuare nuove aree tecnologiche per i progetti di innovazione industriale ovvero di aggiornare o modificare quelle già individuate, entro tre mesi dall’entrata in vigore del provvedimento e - a regime - entro il 30 giugno di ogni anno.

            Il D.M. 23 luglio 2009 - modificato dal D.M. 28 aprile 2010 - in attuazione dell'art. 1, comma 845, della legge finanziaria 2007, ha disciplinato la concessione di agevolazioni per la realizzazione di investimenti produttivi innovativi - riguardanti le suddette aree tecnologiche per i PII - finalizzati allo:

            1. programmi qualificati di ricerca o di sviluppo sperimentale
            2. programmi di investimento volti al risparmio energetico e alla riduzione degli impatti ambientali delle unità produttive interessate;

            La legge 99/2009 recava poi una delega per riordinare, semplificandolo e razionalizzandolo, il sistema delle stazioni sperimentali per l'industria, enti pubblici economici sottoposti alla vigilanza del Ministero dello sviluppo economico. Nell'aprile 2010 il Governo ha approvato uno schema di decreto di riordino che non è stato poi approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri.

            Successivamente, l'articolo 7, comma 20, del decreto-legge 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 (A.C. 3638), ha disposto la soppressione delle stazioni sperimentali per l'industria e il trasferimento dei compiti ed attribuzioni esercitati e del personale alle Camere di commercio.

            Sempre con la legge 99/2009 è stata istituita, sotto la vigilanza del Ministro dello sviluppo economico, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), che subentra all'ente designato con la medesima sigla contestualmente soppresso. L'Agenzia è un ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca e all’innovazione tecnologica nonché alla prestazione di servizi avanzati nei settori dell'energia, con particolare riguardo al settore nucleare, e dello sviluppo economico sostenibile.

            Per quanto concerne l'innovazione, l’articolo 4 del decreto-legge 112/2008, convertito dalla legge 133/2008 (A.C. 1386), ha autorizzato la costituzione di appositi fondi di investimento con la partecipazione di investitori pubblici e privati, per la realizzazione di programmi di investimento destinati alla realizzazione di iniziative produttive ad elevato contenuto innovativo.

            L'articolo 39, comma 2, della legge 69/2009 (A.C. 1441-bis), poi, ha incentivato la creazione di imprese nei settori innovativi promosse da giovani ricercatori. Si prevede infatti che, a tal fine, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie definisca, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adotti un programma di incentivi e di agevolazioni, dando priorità ai progetti volti a migliorare qualitativamente e a razionalizzare i servizi offerti dalla pubblica amministrazione.

            Per quanto riguarda i finanziamenti pubblici alla ricerca applicata o industriale nonché per favorire il trasferimento tecnologico alle imprese, si segnalano i seguenti decreti:

            - D.M. 14 dicembre 2009, che disciplina i contratti di innovazione tecnologica tra Ministero, imprese ed organismi di ricerca pubblici e privati, fissando le condizioni, i criteri e le modalità agevolative per progetti di rilevanti dimensioni finalizzati a promuovere azioni di innovazione tecnologica;

            - D.M. 22 dicembre 2009, che ha indetto un bando per il finanziamento di progetti di diffusione e trasferimento di tecnologie al sistema produttivo e creazione di nuove imprese ad alta tecnologia nell'ambito del Programma RIDITT (Rete italiana per la diffusione dell'innovazione e il trasferimento tecnologico alle imprese);

            - D.M. 18 gennaio 2010, che invitava alla presentazione di progetti di ricerca industriale, nell'ambito del Programma operativo nazionale (PON) "Ricerca e Competitività" 2007-2013. Tale Programma promuove iniziative e progetti nei campi della ricerca scientifica, della competitività e dell'innovazione industriale nelle Regioni meno avanzate, comprese nell'Obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia). I progetti dovevano rientrare nei nove ambiti strategici di riferimento previsti dagli accordi di programma e riguardare lo sviluppo della ricerca industriale, di attività non preponderanti di sviluppo sperimentale e le connesse attività di formazione di ricercatori e tecnici di ricerca;

            - D.M. 29 ottobre 2010, che, nell'ambito del PON "Ricerca e Competitività" 2007-2013, destina per le Regioni della Convergenza 389 milioni di euro allo sviluppo e al potenziamento dei distretti ad alta tecnologia e dei laboratori pubblico-privati e 526 milioni di euro alla creazione di nuovi distretti ad alta tecnologia o di nuove aggregazioni pubblico-private.

            Inoltre, il D.M. 24 settembre 2010 (v. Sostegno alle attività produttive) prevede agevolazioni finanziarie per progetti di ricerca industriale e prevalente sviluppo sperimentale.

            A livello fiscale, il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 è intervenuto in materia di ricerca. In particolare, l’articolo 1 ha istituito un credito d’imposta (v. Credito d'imposta per la ricerca e lo sviluppo), per gli anni 2011 e 2012, in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca. Il credito d’imposta competeva nella misura del 90% della spesa incrementale di investimento, rispetto alla media di investimenti in ricerca effettuati nel triennio 2008-2010. I primi due commi dell’articolo 9 hanno, poi, introdotto nuove forme di contratti di programma per la ricerca con soggetti pubblici o privati, anche in forma associata, al fine di realizzare iniziative oggetto di programmazione negoziata volte a valorizzare prevalentemente le aree sottoutilizzate e del Mezzogiorno.

            Per favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese che presentano profili di eccellenza tecnologica ed innovativa, l'articolo 31 del decreto-legge 98/2011 ha introdotto una misura a sostegno del venture capital.

            Il D.L. 83/2012 ha previsto alcune misure per la ricerca scientifica e tecnologica (articoli 60-63) finalizzate a rendere più funzionale il sistema pubblico della ricerca allo sviluppo ed all’innovazione del Paese. Sono stati ridefiniti gli interventi di competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale e di ricerca industriale, estese ai processi di sviluppo sperimentale, con gli obiettivi di indirizzare le disponibilità finanziarie verso progetti collegati funzionalmente alle politiche economiche del Paese, specializzando la ricerca verso settori nel quale si intende raggiungere un’eccellenza a livello internazionale, rendere sempre più connessa la ricerca di base e quella applicata e rivedere le procedure di valutazione, semplificandole e accentuando l’importanza delle quelle ex post. Per rispondere alla particolare situazione di crisi economico-finanziaria, il decreto ha previsto, nell’ambito del Fondo per gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica (FIRST), una modalità di "copertura a garanzia" degli anticipi concessi alle imprese mediante la trattenuta dell'accantonamento di una quota del finanziamento dei progetti.

            Il Ministro dello Sviluppo Economico ha istituito, nel mese di aprile 2012, una task force con il mandato di avanzare proposte su come rendere l’Italia un Paese che incoraggia la nascita e lo sviluppo di startup innovative. I risultati di questa riflessione sono contenuti nel Rapporto “Restart, Italia!”. Con il decreto legge 179/2012 è stato introdotto per la prima volta nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (startup).

             

             

             

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            Start up innovative

            Con il decreto legge 179/2012 è stato introdotto per la prima volta nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative.

            Il decreto legge 179/2012 ha introdotto per la prima volta nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative (startup). Tali norme sono coerenti con gli obiettivi previsti dal programma Nazionale di Riforma 2012 e con le strategie di sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo definite a livello europeo Nel decreto, inoltre, è stato ritenuta determinante, in una prospettiva di crescita sostenibile e a lungo raggio, la creazione di un ecosistema regolato da condizioni favorevoli per la nascita e lo sviluppo di imprese startup innovative, cioè imprese caratterizzate da un forte ancoraggio all’innovazione tecnologica determinata da una forte incidenza delle spese in ricerca e sviluppo ovvero dall’impiego di personale dotato di dottorato di ricerca o comunque altamente qualificato, ovvero ancora dallo sfruttamento di una privativa su un brevetto. La creazione di questo ecosistema rappresenta, quindi, un preciso strumento di politica economica teso a favorire la crescita, la creazione di occupazione, in particolare quella giovanile, l’attrazione di talenti e capitali dall’estero, e a rendere più dinamico il tessuto produttivo e tutta la società italiana, promuovendo una cultura del merito e dell’assunzione di rischio. Tale tipologia di start-up beneficerà, per i primi 4 anni di attività, di particolari agevolazioni, che ne renderanno più semplice e meno onerosa la costituzione e il successivo sviluppo.

            Più in particolare il comma 2 dell’articolo 25, del decreto legge 179/2012, prevede che per “start-up innovativa” si intenda una società di capitali non quotata, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, ovvero una Societas Europaea residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, cioè soggetta a tassazione in Italia, che:

             

             

             

            Incubatore certificato

            L’incubatore è il soggetto che spesso accompagna il processo di avvio e di crescita della start up, soprattutto nella fase che va dal concepimento dell’idea imprenditoriale fino ai primi anni di vita, e, inoltre, lavora al suo sviluppo formando e affiancando i fondatori sui temi salienti della gestione.

            Più in particolare il comma 5, dell’articolo 25, del decreto legge 179/2012 prevede che per “incubatori certificati” si intenda una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, cioè soggetta a tassazione in Italia, che offra servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative e che sia in possesso dei seguenti requisiti:

            Disciplina della start up

            Per consentire una gestione più flessibile e più funzionale alle esigenze di governance tipiche delle startup, soprattutto se costituite in forma di S.r.l., sono introdotte norme che derogano al diritto societario, inoltre vengono anche ridotti gli oneri per l’avvio della startup innovativa e dell’incubatore certificato, attraverso l’esonero dai diritti di bollo e di segreteria per l’iscrizione al Registro delle Imprese, nonché dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle Camere di commercio. Per quanto riguarda il regime fiscale viene introdotta una tassazione di favore per azioni, quote o titoli similari assegnati ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori delle imprese startup innovative e degli incubatori certificati. Inoltre il reddito derivante dall’attribuzione di questi strumenti finanziari o diritti non concorrerà alla formazione della base imponibile, sia a fini fiscali che contributivi. Infine viene facilitata la partecipazione diretta al rischio di impresa, ad esempio attraverso l’assegnazione di stock options al personale dipendente o ai collaboratori di un’impresa startup. In materia di rapporto di lavoro le startup usufruiranno di apposite disposizioni contrattuali per poter instaurare rapporti di lavoro subordinato che abbiamo maggiore flessibilità operativa, soprattutto nella fase di avvio dell’attività di impresa. Per rafforzare la crescita e la propensione all’investimento in imprese startup innovative, si è stabilito pertanto che per gli anni 2013, 2014 e 2015 è consentito alle persone fisiche e giuridiche rispettivamente di detrarre o dedurre dal proprio reddito imponibile una parte delle somme investite in imprese startup innovative, sia direttamente che attraverso fondi specializzati. Viene introdotta un’apposita disciplina per la raccolta di capitale di rischio da parte delle imprese startup innovative attraverso portali online, avviando una modalità innovativa di raccolta diffusa di capitale (crowdfunding). Vengono incluse anche le imprese startup innovative operanti in Italia tra quelle beneficiarie dei servizi messi a disposizione dall’Agenzia ICE per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e dal Desk Italia. Si è poi prevista una  disciplina della crisi aziendale delle startup innovative, tenendo conto dell’elevato rischio economico assunto da chi decide di fare impresa investendo in attività ad alto livello d’innovazione. E’ infine prevista una campagna di sensibilizzazione a livello nazionale per diffondere una maggiore consapevolezza pubblica sulle opportunità imprenditoriali legate all’innovazione e alle materie disciplinate dal decreto (articoli da 26 a 32).

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            Programma Orizzonte 2020 per ricerca e innovazione nell'UE

            Nell'ambito delle azioni previste nel prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2014-2020, la Commissione europea ha presentato il 30 novembre 2011 un pacchetto di proposte relative all'istituzione di un nuovo strumento di finanziamento per la ricerca e l'innovazione nell'UE (programma Orizzonte 2020 - Horizon 2020).

            Il nuovo strumento è destinato a riunire in un unico programma i finanziamenti erogati dall’UE - nell'attuale periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 - a sostegno dell'intera catena dell'innovazione nell’ambito del settimo quadro del Programma Quadro per la Ricerca e lo Sviluppo Tecnologico (7PQ), del Programma per la Competitività e l'Innovazione (CIP) e dei finanziamenti per l'Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT).

            Il totale dei finanziamenti previsti dalla Commissione europea è pari a 80 miliardi di euro per il periodo dal 2014 al 2020, 26 miliardi in più rispetto al periodo di programmazione finanziaria 2007-2013 (l’entità dello stanziamento dovrà essere confermata alla luce dell’accordo raggiunto dal Consiglio europeo del 7 ed 8 febbraio 2013 sul quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2014-2020).

            La proposta della Commissione individua tre priorità o settori di intervento:

            Ciascuna delle suddette priorità è articolata in una serie di obiettivi specifici.

            Il pacchetto di misure proposte, illustrate in una comunicazione della Commissione del 30 novembre 2011, comprendono:

             Nel contesto della proposta relativa a Orizzonte 2020 la Commissione ha inoltre presentato:

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            X Attività produttive

            Ambiente, territorio e protezione civile

            L’Unione europea pone le politiche ambientali al centro di una nuova strategia di sviluppo basata sulla sostenibilità e sull’uso efficiente delle risorse. In questa prospettiva l’ambiente acquisisce una nuova centralità e, nel contempo, assume un carattere trasversale alle altre politiche pubbliche, prime tra tutte le politiche territoriali ed energetiche. Del rafforzamento dell’impegno politico verso lo sviluppo sostenibile globale e della transizione verso un’“economia verde” si è, altresì, discusso in sede di Conferenza delle Nazioni unite Rio +20 svoltasi nel mese di giugno 2012.

            Nella XVI legislatura, il Parlamento ha avuto modo di dibattere di tali tematiche in occasione dell’esame - nella cosiddetta fase “ascendente” - di alcuni atti europei concernenti le questioni dei cambiamenti climatici (ad esempio il cd. pacchetto clima-energia ), dell’energia e della gestione dei rifiuti (ad esempio la relazione sulla Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti e la Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse), nonché nell’esame di alcuni provvedimenti normativi adottati in recepimento della normativa europea e nello svolgimento di un’intensa attività conoscitiva e di indirizzo e controllo.

            La produzione normativa della XVI legislatura – in materia di politiche ambientali e territoriali – è prevalentemente contenuta in decreti legge e decreti legislativi, questi ultimi emanati in attuazione di deleghe anche al fine di adeguare l’ordinamento nazionale alla legislazione europea. Tali provvedimenti sono stati sostanzialmente modificati nel corso dell’esame parlamentare.

            Una nuova considerazione delle tematiche ambientali è presente anche nell’esame dei più recenti documenti di bilancio (eco bilancio ed eco rendiconto) e nell’ambito dei documenti di economia e finanza (DEF), che recano specifiche sezioni dedicate proprio allo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (cd. Allegato “Kyoto”). Ciononostante, le risorse finanziarie destinate alle politiche ambientali hanno subito una costante diminuzione nel corso della legislatura nell’ambito delle riduzioni operate dalle manovre di finanza pubblica che si sono susseguite. Risorse ad hoc sono state ovviamente dirette a fronteggiare le numerose emergenze sul territorio nazionale. 

            In data 8 marzo 2013 il Ministero dell'ambiente, al fine di definire le priorità per la crescita sostenibile dell'Italia, ha presentato il “Rapporto Ocse sulle performance ambientali: Italia 2013 ”, che contiene una serie di valutazioni e raccomandazioni di medio-lungo periodo.



            La tutela dell’ambiente

            Nel corso della legislatura sono state approvate numerose modifiche al d.lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), che sostanzialmente rappresenta il corpus normativo di riferimento in materia ambientale, in una prima fase attraverso veri e propri interventi correttivi a seguito della delega contenuta nella legge 69/2009 e a motivo del recepimento di alcune direttive europee. Nella seconda fase della legislatura le disposizioni in materia ambientale sono confluite in diversi provvedimenti d’urgenza e non si sono configurate come modifiche organiche degli ambiti di riferimento. In taluni casi, peraltro, si è trattato di disposizioni oggetto di ripetute novelle anche a distanza di pochi mesi e ciò ha determinato una certa "instabilità normativa". Tra le disposizioni maggiormente oggetto di modifica, si segnala ad esempio il sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), la cui disciplina è stata prorogata più volte per le criticità legate all’attuazione. 

            Le norme approvate nel corso della legislatura in materia ambientale, che comunque non comprendono solo novelle al Codice, hanno riguardato diversi ambiti: i rifiuti, le bonifiche dei siti contaminati , le risorse idriche, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera. Alcune disposizioni non sono state definitivamente approvate in quanto contenute in proposte di legge di iniziativa parlamentare il cui iter non si è concluso (è il caso, ad esempio, della proposta di legge A.S. 3162-B ). E’ necessario peraltro ricordare che nella materia ambientale sono pendenti numerose procedure di infrazione a livello europeo (che riguardano, ad esempio, le discariche, le acque reflue urbane, i depuratori).

            Negli ambiti sopra elencati gli interventi adottati sono stati diversi e hanno riguardato i profili procedurali e autorizzatori, le problematiche gestionali e di affidamento, i profili sanzionatori. Alcune misure – soprattutto sotto il profilo procedurale e autorizzatorio – hanno avuto un obiettivo di semplificazione (è il caso, ad esempio, dell’autorizzazione unica ambientale ai sensi dell’art. 23 del D.L. 5/2012).

            La crescente attenzione nei confronti delle tematiche ambientali si è tradotta ovviamente non solo nella discussione di provvedimenti legislativi, ma anche in un’intensa attività di indirizzo e controllo. Particolare importanza hanno rivestito gli atti di indirizzo nel quadro del dibattito riguardante i cambiamenti climatici e l’applicazione del Protocollo di Kyoto.



            La gestione dei rifiuti

            La materia dei rifiuti è stata maggiormente interessata da modifiche in primo luogo con l’emanazione del d.lgs. 205/2010, in recepimento della direttiva 2008/98/CE, che ha sostanzialmente innovato la definizione di “rifiuto” e la disciplina della gestione dei rifiuti . Il decreto ha, pertanto, introdotto nell’ordinamento una nuova disciplina concernente i sottoprodotti e la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste), nonché l’indicazione esplicita di criteri di priorità nella gestione dei rifiuti (la cosiddetta gerarchia dei rifiuti), che comprendono le misure di prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero, e smaltimento. Le direttive europee e la nuova strategia considerano i rifiuti come una risorsa e questo richiede anche a livello territoriale modelli di governance efficienti nella gestione del ciclo integrato dei rifiuti al fine di contrastare le situazioni di emergenza.

            E’ stato, infine, istituito il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi , a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento (art. 14 del D.L. 201/2011 da ultimo novellato dall’art. 1-bis del D.L. 1/2013).



            La crescente importanza della green economy

            Si è già detto inizialmente della crescente importanza della nuova impostazione di fondo delle politiche europee in favore dello sviluppo sostenibile a cui è strettamente connessa la transizione verso un nuovo modello di economia, la cosiddetta green economy , quale opportunità da percorrere nell’attuale contesto di crisi.  

            Oltre agli interventi cui si è fatto rapidamente cenno, nel corso della XVI legislatura è stata inserita una specifica disciplina volta allo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso misure per favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di veicoli a basse emissioni complessive, specie nel contesto urbano (Capo IV-bis del D.L. 83/2012).

            E’ stata, inoltre, modificata la disciplina per la gestione del fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto (cd. Fondo Kyoto) al fine di destinare risorse a imprese operanti in settori che possono essere ricompresi nell’ “economia verde” e che, per fruire delle agevolazioni, devono creare nuova occupazione giovanile (art. 57 del D.L. 83/2012).

            Di rilevante importanza, nella prospettiva di uno sviluppo dell’economia verde, è stato il dibattito parlamentare che si è svolto sulle tematiche delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica e sulle relative misure adottate. La Commissione ambiente della Camera ha concluso un’indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili.  



            Verso una nuova regolazione del servizio idrico integrato

            Un discorso a parte meritano le modifiche normative riguardanti il servizio idrico integrato , che sono state determinate dall’esito favorevole delle consultazioni popolari svoltesi il 12 e il 13 giugno 2011, relativamente all’affidamento e alla gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nonché alla determinazione della tariffa del servizio idrico integrato.

            Sotto il profilo dell’affidamento e della gestione, l’abrogazione dell’articolo 23-bis del d.lgs. 112/2008 ha comportato l’applicazione immediata della normativa europea e l’esclusione del servizio idrico integrato dalla normativa che è stata successivamente approvata (art. 4 del D.L. 138/2011) e dichiarata incostituzionale (sentenza n. 199 del 2012). Al servizio idrico integrato si applicano invece le nuove regole in tema di definizione degli ambiti territoriali ottimali e dei criteri di organizzazione (art. 3-bis del D.L. 138/2011).

            Per quanto attiene la regolazione vera e propria, è stata istituita e successivamente soppressa l'Agenzia nazionale per la regolazione e la vigilanza in materia di acqua, le cui funzioni sono state trasferite al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fatta eccezione per quelle attinenti alla regolazione e al controllo dei servizi idrici che sono esercitate dall’Autorità per l'energia elettrica e il gas.



            Le emergenze

            Nel corso della legislatura, le politiche in materia di tutela dell’ambiente e di assetto del territorio sono state contraddistinte da molti interventi emergenziali a fronte di dissesti idrogeologici, eccezionali eventi meteorologici, eventi sismici e più in generale emergenze di carattere ambientale.

            Di particolare gravità i due terremoti in Abruzzo (aprile 2009) e in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto (maggio 2012) . Le situazioni di emergenza createsi a seguito di tali eventi sismici sono state oggetto di numerosi provvedimenti. Per quanto riguarda l’Abruzzo, il decreto-legge 39/2009 ha previsto una serie di interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dal sisma, mentre con il D.L. 83/2012 è stata disciplinata la chiusura dell'emergenza (artt. da 67-bis a 67-sexies).

            Lo stato di emergenza in Emilia Romagna, Lombardia è stato prorogato fino al 31 maggio 2013 e ed è stato oggetto di numerose disposizioni contenute in vari provvedimenti d’urgenza emanati negli ultimi mesi (D.L. 74/2012, artt. 10 e 67-septies del D.L. 83/2012, artt. 3-bis e 7 del D.L. 95/2012, nonché art. 11 del D.L. 174/2012) dirette alle popolazioni e alle imprese che hanno subito danni in conseguenza degli eventi sismici.

            Per quanto concerne le emergenze ambientali , la situazione di criticità nella gestione dei rifiuti non ha interessato solo la Campania, ma anche altre regioni italiane (Lazio, Calabria, Sicilia).

            Si segnala, infine, la situazione di emergenza ambientale nell’area di Taranto (D.L. 129/2012) che è collegata alle vicende che hanno interessato lo stabilimento ILVA (D.L. 207/2012). 



            L’assetto del territorio

            Le situazioni di emergenza hanno avuto un impatto notevole sul territorio e, per tale, ragione il Parlamento ha messo in evidenza, anche attraverso l'indagine conoscitiva sulle politiche per la difesa del suolo, la necessità di rafforzare la prevenzione e la pianificazione degli interventi per la messa in sicurezza del territorio, nonché di destinare maggiori risorse finanziarie agli interventi medesimi.  

            Per quanto riguarda il governo del territorio , non è stato concluso l’esame delle proposte di legge di iniziativa parlamentare volte a riformare la legge urbanistica (A.C. 329 e abb.) per una definizione dei principi fondamentali in una materia in cui le regioni hanno emanato discipline di dettaglio definendo le competenze degli enti territoriali. Il dibattito nella Commissione di merito ha comunque fatto emergere importanti orientamenti con riferimento all’esigenza di definire nuovi modelli di pianificazione più flessibili e introdurre principi generali in materia di perequazione e compensazione urbanistica.

            E’ stata, poi, riconosciuta l’importanza di definire politiche di riqualificazione delle aree urbane , specialmente di quelle degradate (in tal senso le misure contenute nell’art. 5, commi 9-14, del D.L. 70/2011 e il Piano nazionale per le città di cui all’art. 12 del D.L. 83/2012). E’ stata, inoltre, approvata una legge volta a incentivare lo sviluppo degli spazi verdi urbani (legge n. 10/2013).  

            Sono state introdotte alcune norme di semplificazione per il rilascio delle autorizzazioni in materia paesaggistica per interventi di lieve entità (D.P.R. 139/2010 e art. 44 del D.L. 5/2012) e delle procedure attuative dei piani urbanistici (art. 5, comma 8, del D.L. 70/2011).

            Il Parlamento ha, infine, dedicato una specifica attenzione al tema della sicurezza sismica nell'ambito di un'apposita indagine conoscitiva, che però non si è conclusa.



            Il riordino della protezione civile

            La protezione civile è stata interessata da importanti riforme nel corso della XVI legislatura. Un primo rilevante intervento ha, tra l’altro, introdotto sostanziali innovazioni nel finanziamento delle emergenze, per un verso, autorizzando la regione colpita da calamità naturali a deliberare l’aumento delle imposizioni tributarie o delle addizionali di propria competenza, compresa l'accisa sulla benzina e, per l’altro, a ricorrere – in caso di insufficienza delle predette risorse – alle risorse statali (commi 5-quater e 5-quinquies dell'articolo 5 della legge n. 225/92 come modificata dal D.L. 225/2010).

            A seguito della pronuncia di incostituzionalità, che ha parzialmente investito il predetto sistema di finanziamento (sentenza n. 22 del 2012), e anche in conseguenza dell’abrogazione della disciplina che consentiva al Dipartimento della protezione civile di operare con riferimento ai grandi eventi diversi da quelli per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza, si è posta la necessità di un intervento di riforma della legge n. 225/92 istitutiva del  Servizio nazionale di protezione civile. Il D.L. 59/2012 ha, pertanto, innovato la disciplina degli stati di emergenza e del potere di ordinanza e disposto l’utilizzo prioritario delle risorse statali per il finanziamento delle emergenze.

            Cambiamenti climatici

            Nel corso della XVI legislatura, il tema dei cambiamenti climatici è stato affrontato in numerose occasioni dal Parlamento attraverso l'approvazione di atti di indirizzo e nel corso dell'esame "in fase ascendente" di atti europei. Sono state, altresì, approvate talune norme volte, per un verso, alla tutela e alla riduzione delle emissioni di gas serra e, per l'altro, a incentivare i settori della cosiddetta green economy.

            Il tema dei cambiamenti climatici è stato dibattuto in numerose occasioni nel corso dell'attività parlamentare della XVI legislatura. Nella prima fase della legislatura, sono stati approvati importanti atti di indirizzo, che hanno impegnato il Governo ad adottare specifiche iniziative in tali ambiti, e documenti in esito all'esame di atti europei concernenti il pacchetto clima energia, il riesame della politica ambientale e più in generale lo sviluppo sostenibile nella prospettiva di un nuovo modello di sviluppo basato sull'utilizzo efficiente delle risorse.

            Il pacchetto clima-energia e il documento approvato dalla Commissione ambiente

            Il cosiddetto pacchetto clima-energia, di cui fanno parte una serie di misure per una nuova politica energetica, si inserisce nell’azione di politica climatica dell’UE intesa a modificare la struttura del consumo energetico da parte degli Stati membri attraverso misure vincolanti finalizzate a raggiungere i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:

            In tale ambito, il documento finale approvato dalla Commissione ambiente della Camera Doc. XVIII, n. 7 ha impegnato il Governo, tra l’altro, a: valorizzare i meccanismi di flessibilità previsti dal pacchetto; garantire un'applicazione quanto più ampia possibile del concetto di carbon leakage (vale a dire dell'esclusione dal pacchetto delle imprese esposte al rischio di spostamento delle emissioni di CO2 al di fuori dell'Unione europea), soprattutto con riferimento alle imprese di piccola e media dimensione, ovvero a particolari comparti manifatturieri; affermare il carattere non vincolante degli obiettivi intermedi, per lasciare i Paesi liberi di raggiungerli nella maniera più funzionale alla loro struttura produttiva e alle caratteristiche proprie di ogni Stato membro.

            Gli atti di indirizzo approvati riguardanti lo sviluppo sostenibile

            Successivamente, con la mozione n. 1-00122, approvata nella seduta del 24 febbraio 2009 , la Camera ha impegnato il Governo a realizzare una serie di iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile, intervenendo nei settori della mobilità, dell’edilizia, dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e delle politiche sostenibili.

            Analoghe finalità sono contenute nella mozione n. 1-00065, approvata nella seduta del 27 novembre 2008, che ha impegnato il Governo ad intraprendere un'azione coordinata in campo ambientale.

            Sulla questione dei cambiamenti climatici e delle connesse politiche pubbliche è stata approvata la mozione n. 1-00290 in data 25 novembre 2009 , mentre nella seduta del 12 gennaio 2010 è stata approvata la mozione n. 1-00269, che ha impegnato il Governo a creare un sistema di ricarica dei veicoli - a partire dalle aree urbane - applicabile estensivamente sia nell'ambito del trasporto privato che pubblico.

            Nella seduta del 17 marzo 2010 la Camera ha approvato le mozioni n. 1-00342 e n. 1-00346 concernenti misure urgenti per contrastare la crisi economica, impegnando il Governo, tra l'altro, a sostenere incentivandolo il settore della green economy al fine di rilanciare politiche di risparmio energetico utili all'economia del Paese ed alla soluzione dei principali problemi dell'ambiente.

            Il riesame della politica ambientale

            L'11 dicembre 2009 la Commissione ambiente della Camera ha approvato il documento finale sul Libro bianco in materia di adattamento ai cambiamenti climatici, nonché sul riesame della politica ambientale e della strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile. La Commissione ha sottolineato l’esigenza di promuovere iniziative, anche di carattere normativo, in taluni ambiti che potrebbero contribuire a ridurre le emissioni in maniera efficace e duratura: energia, edilizia, trasporto, ambiente, settore idrico, agricoltura. La Commissione ha inoltre evidenziato la necessità di integrare le politiche ambientali nelle altre politiche comunitarie settoriali ed ha auspicato una maggiore sinergia con la strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione; ha sottolineato l’importanza delle politiche di incentivazione dell’innovazione tecnologica e di prodotto; ha infine auspicato l'introduzione, così come raccomandato a livello europeo, di indicatori di qualità della vita che vadano oltre il PIL.

            L'attuazione del Protocollo di Kyoto

            Nel corso della legislatura si sono tenute le sessioni annuali delle conferenze delle parti nell'ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comunemente conosciute come COP, l'ultima delle quali si è tenuta a Doha (Qatar) dal 26 novembre all'8 dicembre 2012 (per una consultazione dei relativi documenti si veda il sito dell’UNFCCC). 

            Le competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato hanno svolto un'intensa attività conoscitiva sulle tematiche relative ai cambiamenti climatici e all'attuazione del protocollo di Kyoto. In proposito, si segnala che, nel corso dell'audizione del 6 ottobre 2011 presso le Commissioni riunite ambiente e politiche europee della Camera e del Senato il Commissario europeo per l'azione per il clima ha fornito elementi di informazione in ordine alle politiche europee in materia di cambiamenti climatici ponendo l’attenzione sull’importanza di aumentare l’efficienza energetica e diminuire la dipendenza dell’Europa dall’importazione di combustibili fossili.

            La Commissione ambiente del Senato ha svolto un ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche relative alle fonti di energia alternative e rinnovabili, con particolare riferimento alla riduzione delle emissioni in atmosfera e ai mutamenti climatici, anche in vista delle conferenze delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

            La Commissione ambiente della Camera ha svolto un'indagine conoscitiva sulle politiche ambientali in relazione alla produzione di energia da fonti rinnovabili approvando, nella seduta del 23 maggio 2012, il documento conclusivo.

            Le Commissioni, inoltre, hanno esaminato i documenti allegati al DEF (Documento di economia e finanza), sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi, predisposti ai sensi dell’art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39. L'ultimo documento esaminato è l'allegato al DEF 2012.

            Si rinvia, infine, alla scheda di approfondimento L'attuazione del Protocollo di Kyoto per informazioni più dettagliate con riguardo al Protocollo.

            Il Fondo rotativo per l'attuazione del Protocollo di Kyoto

            Nel corso della legislatura è divenuto operativo il Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, istituito dall’art. 1, commi 1110-1115, della L. n. 296/2006, attraverso la pubblicazione della circolare del 16 febbraio 2012 del Ministero dell'ambiente,  che ha definito le modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato previsti dal Fondo.

            Successivamente l'art. 57 del D.L. 83/2012 è intervenuto sulla destinazione delle risorse del Fondo rotativo, per un verso, modificando il novero dei settori in cui operano i soggetti destinatari dei finanziamenti e, per l’altro, disponendo che i finanziamenti siano destinati a progetti che devono prevedere l’assunzione a tempo indeterminato di persone con età non superiore a 35 anni.

            Le norme per la tutela e la qualità dell'aria

            Il D.Lgs. 128/2010 (cosiddetto terzo correttivo), a seguito della delega contenuta nella legge 69/2009, ha apportato una serie di correzioni ed integrazioni alla parte quinta del D.Lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale), che hanno riguardato la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera. La revisione ha interessato, in via prioritaria, le definizioni, tra le quali la distinzione tra nozione di impianto e nozione di stabilimento, indispensabile per la definizione degli adempimenti che ricadono sui gestori e sull'amministrazione; la definizione delle autorità competenti per il controllo delle piattaforme off-shore e dei terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore; l’applicazione della disciplina speciale agli impianti termici civili con potenza termica nominale inferiore a 3 MW.

            Ulteriori integrazioni al Codice sono contenute nell’art. 34 della L. 99/2009 (e riguardano la parte II dell’allegato IX alla Parte quinta, che tratta dei requisiti tecnici e costruttivi degli impianti termici civili) e sono finalizzate all’adeguamento della normativa nazionale in tema di risparmio energetico a quella europea, in particolare in tema di impianti a condensazione.

            Specifiche disposizioni in materia di caratteristiche tecniche e scarichi degli impianti termici civili e siti negli edifici sono, infine, dettate dall’art. 34, commi 52 e 53, del D.L. 179/2012.

            Il d.lgs. n. 155 del 2010, di attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, non si è limitato a recepire la direttiva, ma ha istituito un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente stabilendo anche valori limite e soglie critiche di concentrazione nell’aria di taluni inquinanti. Il D.lgs. n. 155 è stato, da ultimo, modificato dal D.Lgs. 250/2012. 

            Si segnala, infine, che le Commissioni VIII e IX della Camera hanno approvato, nella seduta del 15 giugno 2010, la risoluzione n. 8-00074 su alcune misure volte a ridurre l’inquinamento atmosferico anche per rispondere ai rilievi europei in merito al superamento delle concentrazioni in atmosfera di PM10 registrati in alcune zone ricadenti sul territorio nazionale

            Ulteriori interventi normativi per la riduzione delle emissioni di gas serra

            In attuazione delle direttive facenti parte del pacchetto clima energia, al fine di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas-serra, il D.lgs. 162/2011, recependo la direttiva 2009/31/CE, ha definito un quadro di misure per garantire lo stoccaggio geologico permanente di biossido di carbonio (CO2) in formazioni geologiche profonde (carbon capture and storage).

            Il d.lgs. n. 55 del 2011, recante l'attuazione della direttiva 2009/30/CE, ai fini della tutela della salute e dell'ambiente, ha stabilito le specifiche tecniche dei combustibili destinati all'utilizzo nei motori ad accensione comandata e nei motori ad accensione per compressione, nonché un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita di tali combustibili.  

            Il 5 maggio 2012 è entrato in vigore il Dpr 27 gennaio 2012, n. 43, che attua sul territorio nazionale quanto previsto dal regolamento (Ce) n. 842/2006/Ce, al fine di rendere sicuro l'utilizzo di determinati gas a effetto serra fluorurati negli apparecchi e nei prodotti.

            Le competenti Commissioni parlamentari della Camera e del Senato hanno esaminato uno schema di decreto legislativo recante sanzioni per la violazione delle disposizioni derivanti dal regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra (atto del Governo n. 517) esprimendo il parere nella seduta del 19 dicembre (Camera) e nella seduta del 18 dicembre 2012 (Senato).  

            Sulla base della delega recata dalla legge comunitaria 2009 (L. 96/2010), le competenti Commissioni parlamentari hanno, infine, esaminato lo schema di decreto legislativo (atto del Governo 528), in attuazione della direttiva 2009/29/CE, che modifica la direttiva 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per Io scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra. Le Commissioni della Camera e del Senato hanno espresso rispettivamente il parere nelle sedute dell'11 febbraio e del 5 febbraio 2013.

            Da ultimo, il CIPE nella seduta dell'8 marzo 2013 - secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale - ha approvato il Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra.

            Le emissioni dei veicoli

            Al fine di promuovere veicoli a ridotto impatto ambientale e a basso consumo energetico nel trasporto su strada è stato adottato il d.lgs. n. 24 del 2011 in attuazione della direttiva 2009/33/CE. Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 125 ha invece recepito la direttiva 2009/126/CE relativa alla fase II del recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli a motore nelle stazioni di servizio.

            Di rilevante importanza, infine, la previsione di una specifica disciplina per favorire la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica e la sperimentazione e la diffusione di veicoli a basse emissioni complessive, specie nel contesto urbano (Capo IV-bis del D.L. 83/2012).

            Approfondimenti

            Dossier pubblicati

            Documenti e risorse web

            Approfondimento: Veicoli a basse emissioni complessive



            L'iter parlamentare

            Il 6 ottobre 2010 le Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) della Camera dei deputati hanno avviato l’esame delle proposte di legge C. 2844 e C. 3553, alle quali è stata successivamente abbinata la proposta di legge C. 3773, tutte aventi ad oggetto disposizioni per favorire lo sviluppo della mobilità mediante veicoli a basse emissioni complessive.

            Le due commissioni hanno approvato un testo unificato nella seduta del 23 maggio 2012, poi modificato con l’approvazione di alcuni emendamenti nella seduta del 19 giugno 2012.

            Successivamente le disposizioni del testo elaborato dalle Commissioni sono state trasfuse, con alcune modifiche in particolare per quanto concerne l’entità delle risorse messe a disposizione, nel Capo IV-bis (articoli da 17-bis a 17-duodecies) del D.L. n. 83/2012 (legge n. 134/2012), introdotto nel corso dell’esame parlamentare.



            Le reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici

            In particolare, L'articolo 17-bis reca le finalità e definizioni del Capo IV-bis: le prime consistono nell’incentivazione della mobilità sostenibile attraverso la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici, la diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive e l’acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida. Sono definiti veicoli a basse emissioni complessive quelli a trazione elettrica, ibrida, GPL, a metano, a biometano, a biocombustibili ed a idrogeno che producono emissioni di anidride carbonica non superiori a 120 g/Km. L'articolo 17-ter prevede che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. il Governo promuova un’intesa con le Regioni per assicurare l’armonizzazione degli interventi in materia di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica; entro il medesimo termine le Regioni emanano le disposizioni legislative di loro competenza, nel rispetto dei principi fondamentali del presente Capo e dei contenuti dell’intesa. Il nuovo articolo 17-quater prevede che le reti infrastrutturali di ricarica siano rispondenti agli standard fissati dagli organismi di normazione europea ed internazionale IEC (International Electrotechnical Commission) e CENELEC (Comité Européèn de Normalisation Electrotechnique). Sono fatte salve le competenze dell’UE. L'articolo 17-quinquies stabilisce, al comma 1, che entro il 1° giugno 2014 i comuni adeguino i propri regolamenti sull’attività edilizia in modo da prevedere che per gli edifici di nuova costruzione ad uso diverso da quello residenziale di superficie superiore ai 500 mq e per i relativi interventi di ristrutturazione, l’installazione di infrastrutture elettriche per la ricarica dei veicoli sia obbligatoria ai fini del conseguimento del titolo abilitativo edilizio, con esclusione degli immobili di proprietà delle Amministrazioni pubbliche. Il comma 2 prevede che l’installazione delle infrastrutture di ricarica elettrica negli edifici in condominio sia approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. In caso di mancata deliberazione dell’assemblea entro tre mesi dalla richiesta, il condomino interessato può installare a proprie spese le infrastrutture di ricarica (comma 3). L'articolo 17-sexies prevede che le infrastrutture, anche private, destinate alla ricarica dei veicoli elettrici costituiscano opere di urbanizzazione primaria. L'articolo 17-septies prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L., con DPCM, previa deliberazione del CIPE e d’intesa con la Conferenza unificata, venga approvato un Piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli elettrici. Il Piano è aggiornato entro il 30 giugno di ogni anno. Il MIT promuove accordi di programma, approvati con DPCM, previa deliberazione del CIPE e d’intesa con la Conferenza unificata, per concentrare gli interventi del Piano in funzione delle effettive esigenze. I comuni possono concedere esoneri e agevolazioni sulla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche in favore dei proprietari di immobili che installano e attivano infrastrutture di ricarica elettrica veicolare. Il Piano è finanziato da un apposito Fondo, con una dotazione di 20 milioni di euro per il 2013 e di 15 milioni per ciascuna annualità 2014 e 2015. (il testo approvato dalle Commissioni prevedeva un finanziamento permanente di 70 milioni per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015 e finanziato per gli anni successivi al 2015 in Tabella D della legge annuale di stabilità). L'articolo 17-octies prevede un’apposita linea di finanziamento, a valere sulle risorse del fondo rotativo per il sostegno delle imprese e gli investimenti in ricerca, per programmi di ricerca tecnologica volti alla realizzazione delle reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici. L'articolo 17-nonies prevede che, entro un mese dall’approvazione del Piano nazionale di cui all’art. 17-septies, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, formuli indicazioni all’Autorità per l’energia elettrica e il gas concernenti le reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli elettrici.



            Contributi per l'acquisto di veicoli a basse emissioni complessive

            L'articolo 17-decies prevede un contributo per l’acquisto, anche in locazione finanziaria, di un veicolo nuovo a basse emissioni complessive previa consegna di un veicolo da rottamare da parte del proprietario o dell’utilizzatore, in caso di locazione finanziaria, da almeno 12 mesi. Il contributo è riconosciuto in percentuale del 20% (nel 2013 e 2014) o del 15% (nel 2015) del prezzo d’acquisto, fino a determinati massimali: un massimale di 5000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 3500 euro per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 50 gr/km (sostanzialmente auto elettriche); un massimale di 4000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 3000 euro nel 2015 per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 95 gr/km (sostanzialmente auto ibride); un massimale di 2000 euro nel 2013 e nel 2014 e di 1800 euro nel 2015 per veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 120 gr/km (sostanzialmente auto con metano o GPL). Il contributo spetta per i veicoli acquistati e immatricolati, a seguito della modifica recata dall'art. 1, co. 422, della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) tra il trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto attuativo previsto dall' art. 17-undecies e il 31 dicembre 2015 (nel testo orginario il termine a quo era individuato nel 1° gennaio 2013), ed è inteso come ripartito in parti uguali tra un contributo statale ed uno sconto praticato dal venditore. Le imprese costruttrici o importatrici del veicolo nuovo rimborsano al venditore l'importo del contributo e recuperano detto importo quale credito di imposta. Il nuovo articolo 17-undecies istituisce, nello stato di previsione della spesa del Ministero dello sviluppo economico, un Fondo - dotato, a seguito della riduzione operata dall'art. 1 co. 559, della legge di stabilità 2013 (L. n. 228/2012) di 40 milioni di euro per il 2013, di 35 milioni di euro per l'anno 2014 e di 45 milioni di euro per l'anno 2015 - per l’erogazione dei contributi statali, prevedendo altresì la ripartizione per l’anno 2013: 15 milioni di euro da destinare agli incentivi di veicoli con emissioni complessive non superiori a 50 g/km (elettriche) ed a 95 g/km (ibride), destinando il 70 per cento delle risorse alla sostituzione di veicoli pubblici e privati destinati ad uso di terzi e di auto aziendali; 25 milioni di euro da destinare all'acquisto di veicoli con emissioni complessive CO2 non superiori a 120 gr./km (sostanzialmente auto con metano e GPL) per la sostituzione di veicoli publici o privati destinati all'uso di terzi e di veicoli strumentali nell'esercizio di imprese, arti e professioni. Per gli anni 2014 e 2015 la ripartizione verrà stabilita con decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro il 15 gennaio di ciascun anno). Le modalità per la preventiva autorizzazione all’erogazione e le condizioni per la fruizione dei contributi previsti dall'articolo 17-decies saranno stabilite tramite un decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L., di concerto con il Ministero dell' economia e delle finanze. Il decreto non risulta ancora adottato. Lo stesso Ministero dello sviluppo economico, di concerto col Ministero dell'economia e delle finanze, potrà stipulare apposite convenzioni con società od enti scelti tramite gara per la gestione della misura di agevolazione, al fine di assicurare il rispetto del limite di spesa, attraverso il tempestivo monitoraggio delle disponibilità del predetto fondo.

            Il nuovo articolo 17-duodecies reca la copertura finanziaria.

            Approfondimento: Il pacchetto clima energia

            Il pacchetto clima-energia, entrato in vigore nel giugno 2009 dando seguito alle indicazioni del Consiglio europeo, si inserisce nell’azione di politica climatica dell’UE intesa a modificare la struttura del consumo energetico da parte degli Stati membri attraverso misure vincolanti finalizzate a raggiungere i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:

            L'Unione europea si è presentata alla Conferenza di Copenaghen - svolta sotto l’egida dell’ONU tra il 7 e il 18 dicembre 2009  e intesa a istituire per i cambiamenti climatici  un regime globale per il periodo successivo al 2012 - come l’unico attore mondiale ad aver anticipato gli impegni che essa intende assumersi nell’ambito di un regime climatico globale che preveda la significativa corresponsabilizzazione di tutti i paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo, che punti a contenere l’aumento della temperatura su scala mondiale entro 2 °C e che distribuisca in maniera equa gli oneri fra tutti i principali soggetti che intervengono. di Copenaghen

            La legislazione adottata assegna a ciascuno Stato membro obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 quantificati e vincolanti. In particolare, l’accordo di compromesso raggiunto dal Consiglio europeo ha consentito l’adozione di un pacchetto di atti normativi (tre direttive e una decisione) riguardanti, rispettivamente la promozione dell’energia da fonti rinnovabili , la definizione dell’ambito di applicazione del sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione (Emission Trading System ETS-UE), lo stoccaggio geologico di CO2, nonché la ripartizione degli sforzi cui ciascuno degli Stati membri deve far fronte affinché l’UE rispetti gli obiettivi di riduzione delle emissioni  per il 2020.

            Il compromesso e gli atti normativi che ne sono scaturiti prevedono, tra l’altro, che le imprese esposte a rischio di rilocalizzazione possano ricevere quote gratuite di emissione. I settori interessati sono stati individuati sulla base di parametri atti a valutare l’incidenza dei costi aggiuntivi derivanti dall’applicazione della normativa proposta sulla capacità concorrenziale di uno specifico settore. Per i settori non esposti al rischio di rilocalizzazione dal 2013 è previsto un progressivo aumento delle assegnazioni di quote mediante vendita all’asta.

            A tali atti normativi vanno poi aggiunti un regolamento che fissa a 130 g/km a vettura i livelli di emissione di CO2 delle autovetture nuove entro il 2015, ed una direttiva sugli standard dei combustibili che fissa limiti al tenore di zolfo per il diesel e consente un maggior utilizzo di biocarburanti nella benzina.



            Il pacchetto clima-energia e i suoi sviluppi: verso un'economia verde

            L’impegno dell’UE a trasformare l’Europa in un’economia dal profilo energetico altamente efficiente e a basse emissioni di CO2 ha trovato conferma nella strategia “Europa 2020" per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva approvata dal Consiglio europeo del giugno 2010, nella quale l’energia figura tra i settori d’intervento prioritari e in cui risultano integrati gli obiettivi UE fissati dal pacchetto clima-energia per il 2020 - ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20%, aumentare la quota di energie rinnovabili al 20% e migliorare l'efficienza energetica del 20%. “Europa 2020” pone la crescita sostenibile al centro di una visione strategica che, in linea con gli obiettivi UE in materia di cambiamenti climatici, intende trasformare l’Europa nella regione in assoluto più compatibile col clima, proiettata verso un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente in termini di risorse e resiliente sotto il profilo climatico.

            In tale contesto la Commissione europea ha definito innanzitutto le priorità energetiche dell’UE per il prossimo decennio nella nuova strategia (COM(2011)639) per un’energia competitiva, sostenibile e sicura, presentata il 10 novembre 2010. energetiche

            La questione energetica e i temi ad essa collegati sono stati affrontati dal Consiglio europeo del 4 febbraio 2011 che, nelle sue conclusioni, ha sottolineato l’esigenza di potenziare gli investimenti nel settore dell’efficienza energeticae delle infrastrutture, nonché di promuovere l'innovazione attraverso un approccio strategico e integrato, ribadendo l’urgenza di introdurre nei mercati europei nuove tecnologie a basse emissioni di carbonio e ad elevate prestazioni  senza le quali l'UE non potrà riuscire nel suo intento di decarbonizzare, entro il 2050, i settori maggiormente responsabili delle emissioni di CO2 – elettricità e trasporti. Nella stessa occasione, il Consiglio europeo ha rinviato al 2013 l’eventuale riesame dell’obiettivo del 20% di risparmio energetico e la considerazione di ulteriori misure, se necessarie, ritenendo comunque non giustificata la fissazione di obiettivi aggiuntivi e vincolanti in materia di efficienza energetica.

            Entro tale schema e al fine di rendere più facilmente raggiungibile l’obiettivo del 20% di risparmio energetico entro il 2020 il 4 ottobre 2012 il Consiglio ha approvato definitivamente la nuova direttiva sull’efficienza energetica. Il testo approvato, pur senza fissare obiettivi vincolanti per gli Stati membri, prevede la definizione di obiettivi indicativi nazionali di risparmio energetico in tema di ristrutturazione degli edifici pubblici, di piani di risparmio energetico per le imprese pubbliche e audit energetici per tutte le grandi imprese, e fornisce indicazioni per l’individuazione di strumenti di finanziamento delle misure di efficienza energetica. La Commissione ha in più occasioni auspicato che gli Stati membri provvedano a un rapido recepimento prima del termine fissato al 5 giugno 2014.

            In secondo luogo, la Commissione ha definito una strategia di ampio respiro che, nel quadro della strategia Europa 2020, stimoli i soggetti economici e industriali operanti nel mercato interno dell’UE a investire nell’innovazione tecnologica con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e di utilizzare in maniera efficiente energia e risorse. Tale strategia si compone di un insieme di iniziative faro intese a:

            Nel contesto fin qui descritto, la dimensione climatica rappresenta, a livello sia europeo sia nazionale, un’opzione strategica da  includere in tutte le politiche atte a promuovere l'ecoinnovazione, i prodotti e i sistemi efficienti sotto il profilo energetico. Va ricordato infine che l’UE è tuttora impegnata nella valutazione della fattibilità di un aumento del tasso di riduzione delle emissioni di CO2 al 30% entro il 2020, nel quadro di un accordo globale e completo per il periodo successivo al 2012, in presenza di analoghi impegni di riduzione da parte degli altri Paesi sviluppati.

            Il passaggio ad un’economia verde è affrontato dalla Commissione europea anche nel contesto dello sviluppo sostenibile globale per il quale la Commissione propone di: investire in risorse chiave e nel capitale naturale (ad esempio, risorse idriche, energie rinnovabili, risorse marine, biodiversità e servizi ecosistemici, agricoltura sostenibile, foreste, rifiuti e riciclaggio); combinare strumenti normativi e di mercato; migliorare la governance e incoraggiare la partecipazione del settore privato. In una risoluzione del 29 settembre 2011 il Parlamento europeo si è unito alla richiesta di una Roadmap globale per un’economia verde che definisca target “responsabili”, comprensivi di obiettivi globali sull'energia rinnovabile e l'efficienza energetica, nonché l’interruzione entro il 2020 di tutte le forme di incentivo che provocano danni all'ambiente.



            Il sistema UE-ETS

            La creazione di un mercato mondiale del carbonio basato sul sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (EU-ETS) è uno degli obiettivi prioritari della strategia climatica dell’UE. Il sistema di scambio di quote di emissione è disegnato per consentire alle imprese partecipanti di acquistare o vendere quote di emissione in maniera tale che i tagli delle emissioni possano essere raggiunti in maniera efficiente in termini di costi. La direttiva 2009/29/CE, contenuta nel pacchetto clima-energia, perfeziona il  sistema UE-ETS  e lo estende a tutte le grandi fonti industriali di emissioni, ad esempio le centrali elettriche. I paesi aderenti possono scambiare le rispettive quote nell'ambito di un contingente globale fissato a livello europeo. La nuova direttiva, in particolare, prevede un sistema di aste, dal 2013, per l'acquisto delle quote di emissione, i cui introiti andranno a finanziare misure di riduzione delle emissioni e di adattamento al cambiamento climatico. Viene altresì previsto che il quantitativo comunitario di quote rilasciate ogni anno a decorrere dal 2013 diminuisca in maniera lineare, a partire dall’anno intermedio del periodo 2008-2012, di un fattore pari all’1,74% rispetto al quantitativo medio annuo totale di quote rilasciate dagli Stati membri conformemente alle decisioni della Commissione sui loro piani nazionali di assegnazione per il periodo 2008-2012. Secondo la Commissione, tale impegno dovrebbe tradursi, entro il 2020, in una riduzione complessiva delle emissioni di CO2 del 21% a livello dell'UE rispetto al 2005. A partire dal 2020, i permessi nei settori non esposti al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio saranno messi gradualmente all’asta - 70% delle quote nel 2020, fino al 100% nel 2027 - con eccezione del settore dell’energia elettrica, per il quale si prevede che già nel 2020 la percentuale di quote da mettere all’asta sia pari al 100%. Ai settori esposti a rischio elevato di rilocalizzazione verrà invece assegnato il 100% delle quote gratuite, tenendo conto del parametro di riferimento della migliore tecnologia disponibile.

            Il 27 aprile 2011 la Commissione europea ha adottato una decisione che stabilisce  i criteri attraverso i quali, dal 2013, gli Stati membri potranno calcolare il numero di quote di emissione da assegnare gratuitamente agli impianti presenti nel proprio territorio che soddisfano le condizioni previste dalla direttiva 2003/87/CE (direttiva ETS), con particolare riferimento ai settori ritenuti esposti alla concorrenza dei paesi terzi con conseguente rischio elevato di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

            Il 15 maggio 2012 la Commissione ha reso noto che nel 2011 le emissioni verificate di gas serra provenienti da tali impianti sono scese a 1889 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, con un calo di oltre il 2 per cento rispetto al 2010, restando ben al di sotto del tetto di 2,081 miliardi l'anno fissato per l'UE per il periodo 2008-2012. I dati evidenziano altresì che le quote di scambio inutilizzate sono in aumento. Al fine di ridurre il numero di quote messo all'asta la Commissione sta pertanto riesaminando il profilo temporale delle aste relative al terzo periodo di scambio, che è iniziato il 1° gennaio 2013 e termina nel 2020.

            Il 22 maggio 2012 la Commissione europea ha approvato una comunicazione (C(2012)3230) relativa agli orientamenti sulla concessione, a partire dal 1° gennaio 2013, di aiuti di Stato nel quadro dell’attuazione del sistema UE-ETS per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra (di cui alla direttiva 2009/29/CE approvata nel quadro del pacchetto 20-20-20). Il documento considera compatibili con le norme per la concorrenza: aiuti per compensare l'incremento dei prezzi dell'energia elettrica derivante dall'integrazione dei costi delle emissioni di gas serra in applicazione dell'UE-ETS (c.d. "costi delle emissioni indirette": intensità di aiuto massima dell’85% fino al 2015; 80% fino al 2017, 75% fino al 2020); aiuti all'investimento a favore di centrali elettriche ad elevata efficienza - comprese le nuove centrali elettriche predisposte per la cattura e lo stoccaggio geologico di CO2 (CCS) in modo ambientalmente sicuro (15% fino al 2020); aiuti connessi all’opzione di assegnazione di quote a titolo gratuito per un periodo transitorio ai fini dell’ammodernamento della produzione di energia elettrica  (100% fino al 2020);  esclusione di alcuni impianti di piccole dimensioni e degli ospedali dall'ETS-UE, se la riduzione delle emissioni di gas serra può essere ottenuta fuori dal quadro di tale sistema con costi amministrativi inferiori.

            Il 25 luglio 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione) che consentirebbe di ricalendarizzare la terza fase di scambio (2013-2020) prevista dal sistema UE-ETS (direttiva 2003/87/CE), e di ridurre il volume di permessi di emissione di carbonio in vendita nel triennio 2013-2015. Tale proposta intende affrontare il problema dell’accumulo eccessivo di quote di emissione dovuto alla recessione economica, che potrebbe avere in futuro un impatto negativo sul costo del carbonio e dunque sul funzionamento del sistema UE_ETS.

            Il 14 novembre 2012 la Commissione ha presentato una (relazione) sulla situazione del mercato europeo del carbonio nella quale prende atto di alcuni squilibri tra domanda e offerta determinatisi nel breve periodo e, al fine di evitare ripercussioni negative a lungo termine, propone di modificare il calendario delle aste e di avviare un processo consultivo per individuare le soluzioni strutturali che possano incidere in modo più profondo e duraturo sull’equilibrio tra la domanda e l’offerta.



            L’inclusione del trasporto aereo

            Il nuovo sistema ETS prevede il progressivo inserimento del settore del trasporto aereo. Il 26 settembre 2011 la Commissione europea ha resi noti i valori di riferimento che saranno utilizzati per assegnare annualmente a titolo gratuito, fino al 2020, le quote di emissione di gas ad effetto serra alle compagnie aeree. L’assegnazione delle quote dovrebbe essere effettuata da ogni singolo Stato membro in base alle tonnellate di CO2 per chilometro registrate da ogni vettore aereo nel 2010. In precedenza, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento che fissa le norme procedurali per la messa all’asta di 120 milioni di quote di emissione nel 2012, in vista dell’avvio nel 2013 della terza fase del sistema UE-ETS, che dovrebbe estendere il campo d’applicazione del sistema dal 40 al 43 % delle emissioni totali europee di gas a effetto serra.

            Il 20 novembre 2012 la Commissione ha presentato una proposta di decisione che, nell’ambito del sistema di scambio delle quote di emissioni (ETS) dell’Unione europea, sospende fino al 1° gennaio 2014 l’applicazione degli obblighi previsti per le compagnie aeree non europee in relazione ai voli in arrivo e in partenza dall’Europa. Si ricorda che la legislazione europea per le emissioni (UE-ETS), duramente contestata dalle compagnie aeree americane, canadesi, cinesi e russe, è entrata in vigore il 1° gennaio 2012 e, da aprile 2013, prevede pagamenti per le emissioni dei voli da/per l'Europa delle compagnie aeree non europee.

            Approfondimento: L'attuazione del Protocollo di Kyoto



            Il Protocollo di Kyoto e il periodo successivo al 2012



            Gli impegni al 2012

            Con il termine “Protocollo di Kyoto” si intende l’accordo internazionale sottoscritto il 7 dicembre 1997 da oltre 160 paesi partecipanti alla terza sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC ). Oggetto del Protocollo è uno degli aspetti del cambiamento climatico: la riduzione, attraverso un’azione concordata a livello internazionale, delle emissioni di gas serra.

            Obiettivo del Protocollo è la riduzione delle emissioni globali di sei gas, ritenuti responsabili di una delle cause del riscaldamento del pianeta, primo tra tutti l’anidride carbonica (CO2). Gli altri gas interessati sono il metano (CH4), l’ossido di azoto (N2O), l’esafluoruro di zolfo (SF6), gli idrofluorocarburi (HFCs) e i perfluorocarburi (PFCs).

            Il Protocollo di Kyoto ha impegnato i Paesi industrializzati ed i Paesi con economia in transizione a ridurre del 5,2%, rispetto ai livelli del 1990, le emissioni di gas in grado di alterare l’effetto serra del Pianeta entro il 2012.

            Il protocollo di Kyoto non ha previsto infatti vincoli alle emissioni per tutti i paesi firmatari (oltre 160), ma solo per quelli compresi nell’elenco riportato nell’Annex I: una lista di 39 paesi che include i paesi OCSE e quelli con economie in transizione verso il mercato. Tale scelta è stata operata in attuazione del principio di “responsabilità comune ma differenziata” secondo il quale, nel controllo delle emissioni, i paesi industrializzati si fanno carico di maggiori responsabilità, in considerazione dei bisogni di sviluppo economico dei Paesi in via di sviluppo (PVS).

            L'onere di riduzione delle emissioni è stato ripartito fra i Paesi dell’Annex I in maniera non uniforme, in considerazione del grado di sviluppo industriale, del reddito e dei livelli di efficienza energetica. In particolare per l’UE è stata prevista, nell’ambito degli obiettivi di riduzione del Protocollo, un taglio delle emissioni dell’8%, a sua volta ripartito tra gli Stati membri dell’Unione (che ha provveduto a ratificare il Protocollo in data 31 maggio 2002) con la decisione politica nota come accordo sulla ripartizione degli oneri (raggiunto nel Consiglio Ambiente del 16-17 giugno 1998), che ha fissato per l'Italia un obiettivo di riduzione del 6,5%.

            Gli impegni generali previsti dal Protocollo sono:

            Per garantire un’attuazione flessibile del Protocollo e una riduzione di costi gravanti complessivamente sui sistemi economici dei paesi soggetti al vincolo sono stati introdotti i seguenti meccanismi flessibili:

            Il protocollo è diventato vincolante a livello internazionale il 16 febbraio 2005 in seguito al deposito dello strumento di ratifica da parte della Russia.

            Si ricorda, infatti, che l’art. 24 del Protocollo ne ha previsto l’entrata in vigore 90 giorni dopo la ratifica da parte di almeno 55 paesi firmatari della Convenzione, comprendenti un numero di paesi dell’Annex I a cui sia riferibile almeno il 55% delle emissioni calcolate al 1990. Si fa presente, inoltre, che gli Stati Uniti, che rappresentano, da soli, oltre un terzo delle emissioni dei Paesi industrializzati, non hanno aderito al Protocollo.

             



            Il post-Kyoto

            Nel corso della 18a conferenza delle Parti dell'UNFCCC (COP 18) e dell'8a conferenza delle Parti che funge da riunione delle Parti del protocollo di Kyoto (COP/MOP 8), tenutasi a Doha (Qatar) dal 26 novembre all'8 dicembre 2012, l'impegno per la prosecuzione oltre il 2012 delle misure previste dal Protocollo è stato assunto solamente da un gruppo di Paesi (tra i quali Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia), che rappresentano appena il 15% circa delle emissioni globali di gas-serra. I 200 paesi partecipanti hanno invece lanciato, a partire dal 1° gennaio 2013, un percorso finalizzato al raggiungimento, entro il 2015, di un nuovo accordo che dovrà entrare in vigore nel 2020.



            La ratifica dell'Italia e le conseguenti misure di attuazione

            La ratifica del protocollo di Kyoto da parte dell'Italia è avvenuta con la legge 120/2002, la quale reca anche una serie di disposizioni finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

            Per il finanziamento delle misure finalizzate al contenimento ed alla riduzione delle emissioni di gas-serra nel corso della XV legislatura è intervenuto l’art. 1, commi 1110-1115, della L. 296/2006 (finanziaria 2007), che ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., un Fondo rotativo per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (a soggetti pubblici o privati) di misure finalizzate all’attuazione del Protocollo di Kyoto, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2007-2009.

            Tale norma è stata attuata solo nel corso della XVI legislatura con il D.M. ambiente 25 novembre 2008. Per l'effettiva operatività del fondo, però, si è dovuta attendere la pubblicazione della circolare del 16 febbraio 2012 del Ministero dell'ambiente,  recante le modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso agevolato previsti dal Fondo, avvenuta nella G.U. n. 51 del 1-3-2012, S.O.

            Successivamente l'art. 57 del D.L. 83/2012 (convertito dalla L. 134/2012) è intervenuto sulla destinazione delle risorse del Fondo rotativo, per un verso, modificando il novero dei settori in cui operano i soggetti destinatari dei finanziamenti e, per l’altro, prevedendo che i finanziamenti siano destinati a progetti che devono prevedere l’assunzione a tempo indeterminato di persone con età non superiore a 35 anni.

            Una parte delle risorse del Fondo è stata successivamente destinata, dall'art. 1, comma 8, del D.L. 129/2012, per un importo massimo di 70 milioni di euro, agli interventi di riqualificazione e di ambientalizzazione compresi nell’area del Sito di interesse nazionale (SIN) di Taranto.

            In attuazione del citato art. 57 del D.L. 83/2012 è stata emanata la circolare 18 gennaio 2013, n. 5505 del Ministero dell'ambiente, da cui risulta la seguente ripartizione in plafond delle risorse del Fondo: 380 milioni di euro destinati ad imprese, 10 milioni a progetti di investimento proposti da s.r.l. semplificata (S.r.l.s.) e 70 milioni di euro riservati, nel rispetto del citato D.L. 129/2012, al finanziamento di interventi di ambientalizzazione e riqualificazione ricompresi nel SIN di Taranto.

            Ulteriori misure connesse all'attuazione del Protocollo sono state previste in numerosi provvedimenti normativi, che hanno riguardato principalmente l’incentivazione delle energie rinnovabili e la promozione della efficienza e del risparmio energetici. Nonostante gli sforzi intrapresi, però, l’incertezza sulle possibilità di riuscire a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra previsti dal Protocollo di Kyoto ha reso necessaria una maggiore attenzione sul problema (sollecitata anche dalla Corte dei conti, con la Delibera 1/2009/G del 5 marzo 2009), che si è concretizzata, tra l'altro, mediante la previsione, all’art. 2, comma 9, della legge 7 aprile 2011, n. 39, dell'obbligo di presentare, in allegato al DEF (Documento di economia e finanza), un documento, predisposto dal Ministro dell'ambiente sentiti gli altri Ministri interessati, sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas-serra, in coerenza con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia in sede europea e internazionale, e sui relativi indirizzi.

            L’allegato al DEF 2012 presenta la situazione delle emissioni di gas serra al 2011 e le stime preliminari per il 2012 indicando le azioni da intraprendere per colmare il gap che separa l’Italia dal raggiungimento dell’obiettivo di Kyoto.Lo stesso documento contiene inoltre una valutazione degli scenari delle emissioni con orizzonte temporale al 2020 idonei al raggiungimento dell’obiettivo previsto per i settori “non ETS” dalla Decisione 406/2009 del 23 aprile 2009 (c.d. effort sharing, vedi infra) e indica le azioni da attuare prioritariamente per porre il Paese sul giusto percorso rispetto a tale obiettivo. Nel documento viene sottolineato che il gap medio annuo nel periodo 2008-2012 è quantificato in circa 25 MtCO2eq.

            Il documento sottolinea inoltre che, poichè il contributo emissivo dei settori ETS al totale nazionale può essere considerato invariabile, sarà pertanto necessario focalizzare gli interventi sulle emissioni dei settori non ETS (per i quali l’Italia deve conseguire, in base alla decisione effort sharing, l’obiettivo al 2020 di riduzione del 13% rispetto ai livelli del 2005).

            Da ultimo, il CIPE nella seduta dell'8 marzo 2013 - secondo quanto si apprende dal comunicato ufficiale - ha approvato il Piano di azione nazionale per la riduzione dei livelli di emissione di gas ad effetto serra.



            Lo scambio delle quote d'emissione



            La direttiva emission trading 2003/87/CE


            Con l’emanazione della direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 2003 che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità - denominato Emission Trading System (ETS) - al fine di promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza economica, l’Unione europea ha anticipato la piena entrata in vigore dell'emission trading, prevista a livello internazionale solo dal 2008. Tale direttiva ha infatti previsto l’istituzione di un mercato delle emissioni su scala europea già a partire dal 2005 da affiancare all’emission trading previsto su scala globale dal Protocollo.

            Tale direttiva è stata successivamente integrata dalla direttiva 2004/101/CE (cd. direttiva linking), che ha riconosciuto i meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto (Joint Implementation e Clean Development Mechanism) all’interno dell’ETS, stabilendo la validità dei crediti di emissione (ottenuti grazie all’attuazione di tali progetti) per rispondere agli obblighi di riduzione delle emissioni.

            Tali direttive sono state recepite nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 216/2006, che è stato modificato, nel corso della XVI legislatura, dall’art. 4, comma 9-sexies, del D.L. 97/2008 (convertito dalla legge 129/2008), dall'art. 27, comma 47, della legge 99/2009, nonchè dall'art. 4, comma 1, del D.L. 135/2009, che hanno apportato modifiche volte a razionalizzare la collocazione amministrativa, le funzioni e la governance del Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE, istituito presso il Ministero dell'ambiente.

            Con il D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 257 è stata recepita la direttiva 2008/101/CE che ha modificato la direttiva 2003/87/CE al fine dell'inclusione delle attività di trasporto aereo nell’ETS. Tale decreto:



            La nuova direttiva ETS


            La direttiva 2009/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concerne la revisione del sistema europeo di scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra (Emission Trading System -ETS) per il periodo successivo al 2012. A tal fine essa ha modificato la direttiva 2003/87/CE (recepita nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. 216/2006) allo scopo di perfezionare ed estendere il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra nel nuovo orizzonte temporale.

            Secondo quanto indicato nel 5° considerando della direttiva “per ottemperare in maniera economicamente efficiente all’impegno di abbattere le emissioni di gas a effetto serra della Comunità di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990, le quote di emissione assegnate a tali impianti dovrebbero essere, nel 2020, inferiori del 21% rispetto ai livelli di emissione registrati per detti impianti nel 2005”. Al fine di raggiungere tali ambiziosi obiettivi, la nuova direttiva ha modificato significativamente il sistema ETS delineato dalla precedente direttiva 2003/87/CE.

            Di seguito si illustrano le principali novità introdotte dalla direttiva 2009/29/CE, facendo riferimento alla numerazione degli articoli della direttiva 2003/87/CE, che viene novellata dall’articolo 1 della direttiva 2009/29/CE.

            La direttiva interviene innanzitutto sul campo di applicazione (art. 2) definendolo in maniera più puntuale per quanto riguarda gli impianti di combustione ed estendendo il sistema ad altri gas diversi dalla CO2.

            La direttiva ha altresì previsto la possibilità di escludere i piccoli impianti (ossia gli impianti con emissioni annue inferiori a 25.000 t di CO2 e, laddove sono svolte attività di combustione, con potenza termica nominale inferiore ai 35 MW), purché le emissioni di tali impianti siano regolamentate con misure che comportano una riduzione "equivalente" a quella che sarebbe stata loro imposta se fossero rimasti all'interno dell'ETS. E’ stata, altresì, introdotta la possibilità di stabilire regole semplificate per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica a favore degli impianti caratterizzati, nel periodo 2008-2010, da emissioni inferiori alle 5.000 t annue di CO2 (art. 27).

            Sul metodo di assegnazione delle quote (artt. da 10 a 10-quater), la nuova direttiva prevede che le quote vengano assegnate mediante asta. Più precisamente, per gli impianti di produzione di elettricità, gli impianti per la cattura di CO2, le condutture per il trasporto di CO2 o i siti di stoccaggio di CO2 l'assegnazione sarà totalmente a titolo oneroso (“full auctioning”), ad eccezione del teleriscaldamento e della cogenerazione ad alto rendimento definita dalla direttiva 2004/8/CE in caso di domanda economicamente giustificabile, rispetto alla generazione di energia termica o frigorifera.

            Per gli impianti per i quali è contemplata l'assegnazione gratuita di quote, l'art. 10-bis, comma 11, della direttiva prevede una transizione graduale verso il "full auctioning"; in particolare, il primo anno sarà assegnato gratuitamente l'80% delle quote spettanti, mentre negli anni successivi la percentuale di assegnazione gratuita sarà ridotta linearmente fino ad arrivare al 30% nel 2020 (il che implica un'assegnazione gratuita, come media del periodo, pari al 55% delle quote spettanti).

            Per la gestione delle aste la direttiva prevede che avverrà a livello nazionale con regole armonizzate definite con uno specifico regolamento europeo. Viene altresì disciplinato il meccanismo di ripartizione tra gli Stati membri della quantità totale di quote da mettere all'asta. Per i proventi derivanti dalle aste è poi previsto che vengano destinati ad interventi di mitigazione per favorire gli adattamenti ai cambiamenti climatici.

             



            Il recepimento della direttiva 2009/29/CE

            Sulla base della delega recata dalla legge comunitaria 2009 (L. 96/2010), le competenti Commissioni parlamentari hanno esaminato lo schema di decreto legislativo (atto del Governo 528), che, da un lato, recepisce nell'ordinamento nazionale le modifiche apportate dalla direttiva 2009/29/CE alla precedente direttiva ETS, dall'altro provvede ad abrogare il D.Lgs. 216/2006 riproducendone, nel contempo, le disposizioni non modificate dalla direttiva 2009/29/CE.
            Le Commissioni della Camera e del Senato hanno espresso rispettivamente il parere nelle sedute dell'11 febbraio e del 5 febbraio 2013.



            La decisione "effort sharing"

            Si ricorda, infine, che per i settori non regolati dalla direttiva 2009/29/CE (cosiddetti settori "non ETS" identificabili approssimativamente con i settori agricolo, trasporti e civile), la decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 406/2009 del 23 aprile 2009 (Decisione concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 - cd. Decisione “effort sharing”) stabilisce, per ogni Stato Membro della UE, obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. Per l’Italia l’obiettivo di riduzione è del 13%, rispetto ai livelli del 2005, da raggiungere entro il 2020.



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