Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 715 dell'1/12/2005


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ALFREDO BIONDI

La seduta comincia alle 9,05.

TEODORO BUONTEMPO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Amoruso, Armosino, Ballaman, Boato, Bonaiuti, Brancher, Bricolo, Brugger, Caligiuri, Cicu, Colucci, Gianfranco Conte, Contento, Cordoni, Coronella, Delfino, Detomas, Dozzo, Fontanini, Garagnani, Giordano, Martinat, Martusciello, Mazzocchi, Moroni, Nicotra, Palumbo, Pecorella, Piglionica, Raisi, Romani, Rosso, Paolo Russo, Santelli, Scarpa Bonazza Buora, Scherini, Sgobio, Tassone, Valducci, Viceconte, Viespoli, Violante e Zeller sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 9,11).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 6068, 5204, 5389, 5889 e 6008.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame di tali disegni di legge di ratifica è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica del Pakistan sulla lotta contro il traffico di sostanze stupefacenti, sostanze psicotrope e precursori, fatto a Roma il 29 settembre 2004 (A.C. 6068) (ore 9,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica del Pakistan sulla lotta contro il traffico di sostanze stupefacenti, sostanze psicotrope e precursori, fatto a Roma il 29 settembre 2004.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 6068)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della III Commissione, onorevole Rivolta, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Deodato.

DARIO RIVOLTA, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, a proposito


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del disegno di legge di ratifica in esame rinvio ai contenuti della discussione svoltasi in Commissione, nell'ambito della quale l'onorevole Deodato ha presentato una relazione approfondita.
A tale proposito vorrei solo ricordare, in aggiunta a quanto detto dall'onorevole Deodato con l'approvazione di tutta la Commissione, un episodio.
Mi capitò pochi anni or sono di trovarmi in Tagikistan e di visitare una base militare di truppe russe che avevano da poco effettuato un sequestro di eroina, che stava per oltrepassare sul dorso di muli, portata da personale afgano, il confine tra l'Afghanistan e il Tagikistan con destinazione Russia e resto d'Europa. Il sequestro riguardava una grande quantità di materiale (se non ricordo male si trattava di circa quaranta chili di eroina) e vi lascio immaginare quale valore avrebbe assunto qualora il materiale fosse giunto sui mercati d'Europa e della Russia, ma ciò che mi colpì fu il fatto che su molti di quei pacchetti da un chilo vi era riportata l'indicazione di quale laboratorio li avesse preparati. Da qui nasce la comprensibile utilità dell'accordo oggi in discussione sulla lotta contro il traffico di sostanze stupefacenti, accordo effettuato proprio con il Pakistan che era allora, come purtroppo è ancora oggi, uno dei centri più importanti di raffinazione del derivato del papavero e della sua elaborazione nella sostanza chiamata eroina.
Sappiamo che in quel periodo (l'episodio da me riferito risale ad un periodo antecedente la guerra in Afghanistan) vi fu un momento in cui la produzione di oppio, papavero ed eroina era diminuita.
Il motivo paradossale per cui era calata risiedeva nel fatto che in quel momento, per sovrapproduzioni precedenti, i magazzini erano pieni sicché, con una operazione cinica di mercato, chi dirigeva quel traffico fece diminuire la produzione per mantenere alto il prezzo.
Oggi invece, purtroppo, smaltiti già all'epoca i magazzini, la produzione di papavero da oppio, oppio ed eroina è tornata ad aumentare molto e la raffinazione continua, sia in Afghanistan - nonostante la presenza, anche se a macchia di leopardo, di truppe di vari paesi del mondo - sia in Pakistan.
Era, questo, un episodio che volevo ricordare per sottolineare l' importanza della ratifica di questo accordo per la lotta contro gli stupefacenti.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rivolta, anche per la sua testimonianza.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE DRAGO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, volevamo fornire alcune risposte a taluni quesiti che, nel corso dell'esame svolto in Commissione affari esteri, erano stati posti al Governo, particolarmente dall'onorevole Mantovani e anche dal presidente, onorevole Selva.
Un quesito posto dall'onorevole Mantovani era relativo ad alcune notizie circa la commercializzazione dei precursori di alcune droghe; in merito a ciò, vogliamo precisare che il traffico lecito è regolato da precise norme internazionali e nazionali e, in primis, dalla Convenzione delle Nazioni Unite di Vienna del 1988 per la lotta al traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope - in particolare, dall'articolo 12 - alla quale aderiscono 170 paesi di tutti i continenti; vi è poi il decreto legislativo n. 258 del 1996, attualmente vigente in Italia, emanato in conformità della legislazione comunitaria.
La Comunità europea, infatti, già dal 1990 ha recepito i fondamenti della Convenzione emanando un regolamento per armonizzare le misure di controllo sul traffico commerciale lecito di precursori nell'ambito di tutti i paesi comunitari, sia per le transazioni interne alla Comunità sia per quelle con paesi non comunitari.
Detto regolamento, modificato e integrato più volte dal 1990, determina tre categorie di precursori - 1, 2 e 3 - con differenti misure di controllo proporzionali all'impatto sul mercato illecito.
L'utilizzo dei precursori di categoria 1 - categoria che comprende sostanze indispensabili per la produzione di droghe di


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sintesi - è subordinato all'obbligo di autorizzazione biennale che viene rilasciata previa verifica documentale ed ispettiva da parte dell'autorità competente (in Italia, ovviamente, dal Ministero della salute). Sono obbligatori poi, per le transazioni non comunitarie, il permesso singolo di esportazione o di importazione, rilasciato dal Ministero della salute, mentre, per le transazioni comunitarie, la dichiarazione dell'acquirente attestante il possesso di autorizzazione.
Per quanto riguarda, invece, i precursori di categoria 2 - categoria che comprende sostanze utilizzate come reagenti per la purificazione o per la trasformazione di droghe naturali quali oppio e coca -, l'utilizzo è subordinato all'obbligo di registrazione presso il Ministero della salute di permesso singolo di esportazione per le transazioni non comunitarie e di dichiarazione dell'acquirente attestante il possesso di registrazione per quelle comunitarie.
L'utilizzo, invece, dei precursori di categoria 3 - categoria che comprende unicamente solventi utilizzati per l'estrazione e la purificazione in genere di droghe naturali quali oppio e coca - è subordinato all'obbligo di registrazione e di permesso singolo di esportazione, come per la categoria 2, ma solo per le esportazioni verso alcuni paesi cosiddetti sensibili, tra i quali è compresa la Colombia.
Per quanto riguarda gli organismi internazionali che si occupano del problema, si segnala che l'INCB, organo di controllo delle Nazioni Unite, riceve i rendiconti per nazione di tutti i movimenti commerciali leciti al fine di verificare eventuali discrepanze.
Da quanto sommariamente esposto, si può osservare che esiste un rigoroso controllo del mercato lecito, basato su Accordi stipulati tra ben 170 paesi, costantemente monitorato ed implementato da tutte le modifiche normative intervenute, a livello sia di Nazioni Unite, sia di Unione europea, prontamente adottate anche in Italia.
Invece, per quanto riguarda l'altra richiesta avanzata dall'onorevole Mantovani, desideriamo precisare che, a suo tempo, le autorità pakistane chiesero di stralciare dall'Accordo in discussione l'aspetto relativo alla criminalità organizzata, per la quale risulterebbero competenti più dipartimenti del Ministero dell'interno del Pakistan. Il Governo italiano ha risposto positivamente, considerando comunque l'Accordo contro il traffico degli stupefacenti una prima, importante base giuridica verso una cooperazione più stretta tra le Forze di polizia dei due paesi.
In merito alle richieste avanzate dal presidente della III Commissione, onorevole Selva, nel corso della seduta dello stesso organo del 19 ottobre ultimo scorso, relativamente al contenuto dell'articolo 9 dell'Accordo in esame, vogliamo segnalare che è inserito, di prassi, negli articolati che disciplinano le modalità di collaborazione tra paesi firmatari di Accordi di cooperazione di polizia.
Va precisato, infatti, che, in linea di principio, il testo di tali Accordi di cooperazione contempla la facoltà di respingere le richieste di collaborazione o assistenza proprio al fine di riconoscere la preponderanza, per entrambe le Parti, dell'interesse nazionale alla sovranità ed alla sicurezza del paese, nonché alla tutela degli interessi fondamentali dello Stato e dell'assetto normativo teso a garantirli, a fronte della convenuta collaborazione tra i paesi contraenti.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Perrotta, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare il signor sottosegretario di Stato per le risposte che ha voluto fornire in questa sede, proseguendo un dibattito avviato presso la Commissione affari esteri.
Non sono d'accordo, tuttavia, con quanto egli ha affermato. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri ha correttamente citato regole e leggi, ma vorrei osservare che, negli ambienti delle Nazioni Unite, nonché presso le autorità di polizia


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che combattono, a livello sia nazionale sia internazionale, il fenomeno del traffico degli stupefacenti, è notorio che non si riesce - mi sia consentita questa affermazione - a mettere «il sale sulla coda» ai commercianti di quegli agenti chimici che vengono definiti, anche nell'Accordo in esame, come precursori della produzione di alcune droghe.
Vorrei osservare, infatti, che la quantità della produzione, da parte di numerose società multinazionali, di alcune di queste sostanze non si giustifica se non con l'uso di tali agenti chimici nella trasformazione di quelle droghe naturali che lei stesso, onorevole sottosegretario, ha testè citato. Mi riferisco, in altri termini, alla trasformazione della coca, dell'oppio e del papavero da oppio in sostanze stupefacenti.
A nulla valgono gli Accordi firmati, in sede internazionale, da alcuni o da molti paesi. Come nel caso di altri trattati internazionali, infatti, essi vengono superati da precisi Accordi commerciali che prevedono il segreto sulla destinazione delle merci scambiate. Vorrei altresì segnalare che esistono numerosi paesi, così come vi sono molti paradisi fiscali, attraverso i quali compiere le operazioni commerciali che sfuggono al controllo previsto dagli Accordi sottoscritti. In ogni caso, credo che continueremo questa discussione.
Si tratta di una discussione che, in Commissione esteri, iniziò con l'audizione del direttore esecutivo dell'Agenzia antidroga delle Nazioni Unite e che continuerà, perché mentre vi è una grandissima efficacia nel bruciare i campi, inquinare i terreni in cui si producono oppio e coca, nello scacciare i contadini e ridurli alla fame, vi è una minore efficacia nel combattere il narcotraffico reale, quello illegale, semilegale e legale (come nel caso delle grandi società multinazionali della chimica che producono tali precursori).
Come è noto, il sottoscritto, il mio partito ed il mio gruppo parlamentare siamo antiproibizionisti e riteniamo che, ad esempio, quei quaranta chili di eroina che ha citato l'onorevole Rivolta, non avrebbero un valore aggiunto così forte se detta merce non fosse considerata illegale. È, infatti, esattamente l'illegalità di tale merce che la rende così preziosa sul mercato. È l'illegalità di tale merce che fa sì che si possano, appunto, raggiungere profitti che arrivano anche al 1.500 per cento del capitale investito nella produzione di tali materie. Tuttavia, fino a che nel mondo non si sarà affermata tale razionale forma di lotta nei confronti del problema dell'assunzione delle sostanze stupefacenti, soprattutto di quelle cosiddette pesanti, è bene combattere comunque la criminalità organizzata che regola tale traffico, pur se i risultati di tale lotta sono piuttosto scarsi. L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha - come detto - un direttore esecutivo che presiede la citata Agenzia ed i fondi che le stesse Nazioni Unite riservano a tale direttore esecutivo in un anno sono circa la stessa somma che i narcotrafficanti guadagnano in una o due ore, nel loro commercio. È del tutto evidente, quindi, che manca l'effettiva volontà di combattere il fenomeno. In ogni caso, approfondiremo in seguito la discussione in materia.
Riguardo alla seconda problematica, continuo a non capire bene il motivo per cui si sia stralciata la questione della lotta alla criminalità organizzata da questo accordo bilaterale di cooperazione. La risposta del sottosegretario è stata molto chiara: il Governo pakistano ha chiesto che venisse stralciata ed il Governo italiano ha «abbozzato», preferendo «portare a casa» almeno questo risultato. Ma perché il Governo pakistano ha chiesto lo stralcio di una così importante fattispecie di collaborazione tra i nostri due paesi? Tale domanda è rimasta inevasa...

PRESIDENTE. Si avvii a concludere, onorevole Mantovani.

RAMON MANTOVANI. E credo che a poco possa valere la spiegazione burocratica, secondo cui il Governo pakistano, conoscendo, su quel terreno - come del resto, molti altri paesi tra i quali il nostro - la competenza di diversi ministeri e diverse strutture dello Stato, ha preferito stralciarla. Non è una risposta accettabile, almeno dal mio punto di vista.


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In ogni caso, ringrazio nuovamente il sottosegretario e preannunzio che noi non ci opporremo alla ratifica di questo trattato bilaterale, sebbene abbiamo colto l'occasione della discussione sulle linee generali per evidenziare un problema all'ordine del giorno della comunità internazionale e di tutti coloro che hanno a cuore la lotta contro il vero narcotraffico, anziché la lotta contro i produttori ed i consumatori della coca e dell'oppio. Infatti, entrambe tali ultime categorie sono severamente represse e perseguite per legge, mentre i narcotrafficanti la fanno quasi sempre franca.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 6068)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina sulla regolamentazione reciproca dell'autotrasporto internazionale di viaggiatori e merci, fatto a Sarajevo il 28 aprile 2003 (A.C. 5204) (ore 9,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina sulla regolamentazione reciproca dell'autotrasporto internazionale di viaggiatori e merci, fatto a Sarajevo il 28 aprile 2003.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5204)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il presidente della III Commissione, onorevole Selva, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Rizzi.
La ringrazio, onorevole Selva, per questo suo volontariato...

GUSTAVO SELVA, Presidente della III Commissione. Signor Presidente, è un volontariato che mi capita di dover spesso assumere. A tale proposito, alla fine del mio intervento, avanzerò una proposta.
Il provvedimento in esame è importante, anche perché precede la discussione che si svolgerà tra breve in ordine all'associazione per il Trattato di cooperazione e di stabilità con la Bosnia Erzegovina, uno dei paesi dei Balcani che desidera entrare nell'Unione europea.
Poiché la libera circolazione delle merci, dei capitali e degli uomini costituisce un pilone fondamentale, è evidente che, anche nell'autotrasporto, occorrerà, fin da ora, avviare una semplificazione che permetta di preparare una strada più ampia. Ecco la ragione per la quale si rendono più snelle le autorizzazioni per gli operatori che intendano avviare e condurre un'attività commerciale fra l'Italia e la Bosnia Erzegovina nel settore del trasporto dei viaggiatori e delle merci, basate ovviamente sul principio della reciprocità legislativa.
Con la messa a punto di questo documento di ratifica, le autorità dei due paesi intendono favorire lo sviluppo dell'interscambio commerciale. Per quel che riguarda il trasporto di persone, l'Accordo prevede un regime di autorizzazioni non cedibili e numericamente quantificate ogni anno. Lo stesso regime di autorizzazione vale anche per quel che riguarda il trasporto


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di merci, con una serie definita di eccezioni che comprendono i trasporti funebri, i trasporti di merci destinate ad esposizione, i trasporti di merce da e per aeroporti in caso di deviazione dei servizi, i trasporti postali, i trasporti di articoli necessari alle cure mediche in caso di soccorsi urgenti, i trasporti scortati di merci di valore.
L'Accordo istituisce una commissione con lo scopo principale di monitorare l'intero sistema di autorizzazione.
Questo è, sostanzialmente, il contenuto dell'Accordo in oggetto, illustrato in modo molto essenziale. Esso presenta caratteristiche del tutto simili a quelle degli accordi che si vanno stipulando con altri paesi in ogni parte del mondo; ma assume un particolare significato, poiché si tratta di un paese che sta alle porte dell'Unione europea sia geograficamente, sia in considerazione della volontà politica di farne parte in futuro. Ciò ci sembra tanto più importante in un momento in cui non si può dire che l'Unione europea sia all'apice dell'interesse, soprattutto dopo che due referendum, in Francia e in Olanda, hanno bocciato il Trattato costituzionale. Ma questo è un discorso più ampio, che svolgeremo tra pochi giorni a proposito della ratifica del Trattato di adesione della Bulgaria e della Romania.
Signor Presidente, se mi concede ancora due minuti di tempo, ho preannunciato una «coda» a questo mio intervento ed ho intenzione di ripetere le considerazioni che svolgerò ogni volta che mi sarà data l'occasione di intervenire in ordine a disegni di legge di ratifica, lasciandole in «deposito» a colui che ricoprirà il ruolo di presidente e che succederà a chi vi parla nella prossima legislatura. Infatti, non ho fiducia che ciò che sto per dire possa essere realizzato nei pochi mesi che ci rimangono.
La ratifica dei trattati soggiace ad una liturgia che si riproduce esattamente nello stesso modo nell'aula della Commissione e in quella dell'Assemblea plenaria. Tale liturgia si recita attraverso le stesse persone, quasi sempre senza altri ascoltatori e, quindi, con un interesse che equivale pressappoco allo zero, se si escludono, naturalmente, coloro che svolgono la relazione e che intervengono.
La stessa liturgia si riproduce in quest'aula, in cui questa mattina siamo particolarmente fortunati. Considero una fortuna il fatto che siano presenti soltanto il relatore e il Governo, altrimenti metteremmo in imbarazzo gli altri membri della Commissione che, non avendo seguito ciò che viene detto qui, non saprebbero cosa pensare.
In conclusione, consegno storicamente la mia proposta al mio successore. Se n'è già parlato: secondo me, per le ratifiche dei trattati da parte dell'Assemblea - iter necessario perché, com'è noto, i trattati internazionali debbono essere ratificati dall'Assemblea, in quanto non è prevista la sede legislativa in tal caso -, occorre una apposita sessione ogni tre o sei mesi (io propongo ogni tre mesi), in modo che si svolga un dibattito che si possa definire tale.
Ripeto che è molto piacevole trovarmi di fronte a lei, signor Presidente, ed è altrettanto piacevole trovarmi di fronte al sottosegretario, per non parlare del vicepresidente della mia Commissione, l'onorevole Rivolta. Ma devo dire che ci parliamo fra di noi! Poi, forse, qualcuno interverrà in sede di dichiarazione di voto finale, dal momento che occorre il numero legale e, quindi, affluiranno un po' di deputati.
Questa è la degenerazione del parlamentarismo, non la sua esaltazione! Ciò fa sprecare tempo e mezzi. Penso a quanto potrebbe risparmiare la Camera dei deputati in termini di carta, per esempio, perché la relazione del Governo viene riprodotta all'inizio e poi in vario modo. Sono tutti pezzi di carta che nessuno legge, signori! Scommetto che non ci sono quattro persone in più che andranno a leggere tali carte!
Quindi, stabiliamo una sessione apposita, in cui finalmente la politica estera e, in modo particolare, gli strumenti per dare ad essa esecuzione, ossia i trattati internazionali, vengano dibattuti. Prendiamo esempio dal Bundestag, prendiamo esempio


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dall'Assemblea nazionale! Ogni tre o quattro mesi si svolge una grande discussione sulla politica estera, attraverso la quale si danno al Governo le linee generali e si faccia il bilancio di ciò che è stato fatto.
Signor Presidente, mi scusi se ho voluto fare il «maestrino» a voi che siete dei maestri di procedura parlamentare, ma andare avanti in questo modo vuol dire consumare carta, sprecare tempo e ritrovarci fra di noi a fare dei discorsi che resteranno privi di effetti - sottovalutarei la mia presenza se dicessi che non sono importanti -, anche in termini di sollecitazione, perché non so chi starei sollecitando, dal momento che in quest'aula non c'è nessuno!
Non ho la presunzione, signor Presidente, di pensare che domani ci saranno molti colleghi, compresi quelli della Commissione esteri, che andranno a leggere il resoconto. Pertanto, purtroppo, ciò che ho detto resterà ancora una volta fra di noi!

PRESIDENTE. Onorevole Selva, esprimere il proprio pensiero significa anche dare una testimonianza del proprio interesse rispetto alle valutazioni future. Perciò, non disperiamo...

GUSTAVO SELVA, Presidente della III Commissione. Naturalmente, sono favorevole alla ratifica dell'Accordo in esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE DRAGO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Azerbaijan in materia di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica, fatto a Baku il 1o giugno 2002 (A.C. 5389) (ore 9,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Azerbaijan in materia di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica, fatto a Baku il 1o giugno 2002 (ore 9,40).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5389)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione affari esteri si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Rivolta, ha facoltà di svolgere la relazione.

DARIO RIVOLTA, Relatore. Signor Presidente, ci accingiamo a discutere dell'Accordo di collaborazione culturale, scientifica e tecnologica con l'Azerbaijan. L'unico trattato precedente che legava l'Italia all'allora territorio dell'Unione sovietica risale al 1960 ed è, pertanto, sotto gli occhi di tutti come tante cose siano cambiate da allora.
Con l'acquisizione dell'indipendenza dall'allora Unione sovietica e lo status di una realtà statuale indipendente, l'Azerbaijan si è trovata ad affrontare, come è accaduto per tutti i paesi del mondo, i problemi del bilancio del proprio Stato, del commercio internazionale, dei legami con altri paesi, dell'ottimizzazione dello sfruttamento delle proprie risorse, sia in termini di disponibilità umane sia in termini di materie prime.


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L'Azerbaijan, per quanto riguarda le materie prime, in particolare, le fonti energetiche (alludo più specificatamente a gas e petrolio), è, dall'antichità, ricco delle suddette. Infatti, il significato del suo nome (Azerbaijan - Azer) è fuoco, quindi terra del fuoco.
Fin dal lontano passato esistevano pozzi o, comunque, presenze di petrolio così vicine alla superficie che capitava con grande frequenza che si accendessero per autocombustione (è per questo che veniva chiamata terra del fuoco dai viandanti e dagli abitanti della zona di allora).
Lo sfruttamento petrolifero dell'Unione sovietica cominciò proprio dall'Azerbaijan e ciò dai tempi zaristi, quando la domanda di petrolio non era ancora così forte come successivamente.
Oggi, l'Azerbaijan non rappresenta più il punto focale di quello che fu il territorio dell'Unione sovietica con riferimento all'estrazione di gas e di petrolio; anzi, tra le zone di quel territorio, l'Azerbaijan, forse, risulta essere una delle meno ricche di materie prime (è relativamente tra le più povere). Nonostante ciò, soprattutto dal Mar Caspio si estraggono ancora quantità di gas e di petrolio notevoli, una parte dei quali spetta all'Azerbaijan.
Vi è, però, un altro problema: l'Azerbaijan non ha contatto con il mare, a parte il Mar Caspio che, come sappiamo, è un grande lago salato chiuso e, pertanto, ha sempre avvertito la difficoltà ad esportare le sue ricchezze. Per poterlo fare, fino a poco tempo fa, doveva trasportarle su strada (sui camion o sui treni cisterna) oppure immettersi sulla rete di distribuzione di gas e di petrolio che passava dalla Russia, insieme a ciò che proveniva dagli altri paesi dell'Asia centrale.
In seguito a questa limitazione, si avvertì la necessità, condivisa anche da altri paesi del mondo, di costruire quell'oleodotto, da poco completato, che si chiama Baku-Ceyhan; il primo oleodotto che porta le riserve energetiche, petrolifere in questo caso, dall'Asia centrale ai mari aperti, senza dover passare sul territorio russo. Attraversa, infatti, tutto il territorio azero, entra in Georgia, passa per la Turchia e arriva a Ceyhan sul Mar mediterraneo.
La produzione di petrolio dell'Azerbaijan fino a poco tempo fa corrispondeva più o meno a 300 mila barili al giorno. La messa in funzione di questo oleodotto può consentire di arrivare ad un milione di barili al giorno.
Se la maggiore ricchezza dell'Azerbaijan era proprio dovuta all'esportazione di petrolio, posso immaginare che, appena sarà a regime la distribuzione, la ricchezza di questo paese aumenterà, già soltanto per questo motivo, di tre volte, ma con tutto l'indotto che potrebbe aggiungervisi.
Pertanto, se si pensa al volano positivo che il sopraggiungere di nuova ricchezza può dare all'economia, è evidente che la ricchezza relativa dell'Azerbaijan di oggi, nell'arco di poco tempo, oltre che aumentare, arriverà ad un valore che sarà dalle tre, quattro, forse cinque volte superiore a quello di oggi.
È evidente per qualunque paese ed in modo particolare per noi - dirò poi perché - come sia utile dal nostro punto di vista, ma anche per gli stessi motivi, seppur visti specularmente anche dal punto di vista dell'Azerbaijan, stringere i rapporti tra noi e questo paese, in particolare, nel settore della ricerca culturale e scientifica, proprio di fronte ad uno sviluppo di questo paese che parte dal settore energetico ma che lì non si ferma: è qualcosa che è sotto gli occhi di tutti ed appare nella sua evidente importanza.
L'accordo, nello specifico, è composto da un preambolo e da 14 punti. Il primo individua i settori di intervento: insegnamento della lingua - esiste una domanda di conoscenza di lingua italiana in Azerbaijan: lo ho riscontrato personalmente quando mi ci sono recato -, cooperazione interuniversitaria, il campo archeologico, le manifestazioni culturali in genere e di scambi di artisti. Gli articoli 2 e 3 riguardano la collaborazione nel campo dell'istruzione e dell'insegnamento delle rispettive lingue, che sarà realizzato con lo scambio di professori e ricercatori e l'organizzazione di seminari e ricerche. L'articolo 4 prevede lo scambio di artisti per


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manifestazioni teatrali e cinematografiche. Il quinto interviene in campo archeologico con collaborazioni in quel settore. Il sesto prevede borse di studio universitarie al fine di agevolare la cooperazione nei settori prima elencati. Il settimo - quello forse centrale, a mio giudizio - disciplina la cooperazione in campo scientifico e tecnologico. Vi è poi un articolo che riguarda la volontà comune di impedire il trasferimento illecito di opere d'arte ed un altro articolo che riguarda il settore radiotelevisivo, della stampa, dello sport e del settore giovanile per favorire gli scambi tra i giovani dei due popoli. Vi è poi l'articolo 12 con sua particolare importanza che sottolinea la volontà di entrambi i paesi - in Italia era già garantito - di dare completa tutela sui diritti della proprietà intellettuale. Si finisce poi con due articoli, il primo dei quali istituisce la commissione mista per monitorare lo stato di attuazione, com'è naturale in questo tipo di accordi. Naturalmente, questo trattato è oggetto del disegno di legge di ratifica che noi esaminiamo ora.
Per i motivi che ho premesso, credo che, così come in Commissione si è trovata la condivisione di tutti i commissari, anche l'Assemblea sia nella evidente volontà - me lo auguro e lo auspico - di approvare questo accordo appena sarà posto in votazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE DRAGO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Perrotta, iscritto a parlare; si intende che vi abbia rinunziato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Adesione della Repubblica italiana al Protocollo del 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione dell'inquinamento dei mari causato dall'immersione di rifiuti, fatto a Londra il 7 novembre 1996, con allegati (5889) (ore 9,49).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Adesione della Repubblica italiana al Protocollo del 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione dell'inquinamento dei mari causato dall'immersione di rifiuti, fatto a Londra il 7 novembre 1996, con allegati.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5889)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il presidente della III Commissione, onorevole Selva, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Deodato.

GUSTAVO SELVA, Presidente della III Commissione. Signor Presidente, il provvedimento è volto ad autorizzare la ratifica dell'adesione italiana al Protocollo del 1996 alla Convenzione del 1972 sulla prevenzione dell'inquinamento dei mari causato dall'immersione di rifiuti.
Questo Protocollo è composto di 27 articoli, ma non mi soffermo sulla sua struttura, perché si tratta di disposizioni rituali e tradizionali. Cito soltanto l'articolo 8, per sottolineare che l'immersione e l'incenerimento non sono vietati quando sia necessario garantire la sicurezza della vita umana o quella di navi o altre strutture in casi di forza maggiore legati a difficili condizioni meteorologiche, qualora rappresentino l'unico modo per evitare il pericolo e ove il danno derivante sia il minore possibile.


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Vi sono poi delle norme che sono convenzionali. Per esempio, ciascuna parte applica la misura del Protocollo alle navi e agli aeromobili registrati sul proprio territorio battenti la propria bandiera, alle navi e aeromobili che hanno caricato sul territorio di tale paese rifiuti o altro materiale e alle navi, aeromobili, piattaforme o altre strutture che si ritiene siano impegnate in scarichi o in incenerimenti in aree sotto la giurisdizione della parte.
Inoltre, ogni contraente adotta le misure necessarie a prevenire e, se necessario, a punire atti contrari al Protocollo. Un organo sussidiario esamina i rapporti redatti dalle singole parti sulle misure nazionali di applicazione del Protocollo. In modo particolare, per quanto concerne l'immersione dei materiali consentiti, ogni parte deve designare l'autorità competente per il rilascio delle relative autorizzazioni preventive, come previsto dagli articoli 9 e 10. Per lo Stato italiano l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, fatta salva la competenza delle regioni per le specifiche fattispecie previste dalla legge 31 luglio 2002, n. 179.
Mi sembra dunque che anche questo sia un trattato importante, che concerne esigenze anche molto sentite dalle popolazioni, come ben sappiamo quando si tratta di aspetti legislativi che riguardano i rifiuti. Dunque, il suo recepimento mi sembra sia stato un risultato positivo. La sua applicazione dovrà seguire le norme sul controllo, che sono affidate, in particolare, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, salva la parte riguardante le regioni.
Ne raccomando pertanto la ratifica nei tempi più rapidi, possibili, perché mi sembra che questa relativa ai tempi sia un'esigenza fortemente sentita e sollecitata dal provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE DRAGO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Vorrei rispondere ad un quesito che era stato posto in una seduta della Commissione da parte di alcuni parlamentari, in particolare dall'onorevole Zacchera, circa un chiarimento rispetto al coordinamento fra le disposizioni contenute nel Protocollo e la normativa vigente in Italia, in particolare a seguito della recente approvazione del disegno di legge recante l'istituzione di zone di protezione ecologica oltre il limite esterno del mare territoriale. Tale disegno di legge (atto Camera 5358) è tuttora all'esame delle Commissioni riunite affari esteri e ambiente del Senato.
In quel testo ci si limita soltanto a prevedere l'istituzione di zone di protezione ecologica oltre i limiti esterni del nostro mare territoriale, delimitati inizialmente in via provvisoria a mezzo di decreto del Presidente della Repubblica e successivamente mediante accordi con gli Stati adiacenti e fronteggianti il territorio italiano. In tali zone, l'Italia potrà esercitare la giurisdizione per la protezione e la preservazione dell'ambiente marino da qualsiasi forma di inquinamento, in conformità ai trattati internazionali vigenti, così come previsto dalle norme della Convenzione sul diritto del mare di Montego Bay.
Tra i trattati richiamati dall'articolo 2, comma 2, di tale disegno di legge, figura anche quello riguardante l'inquinamento da immersione di rifiuti, vale a dire proprio il Protocollo formante oggetto del provvedimento oggi al nostro esame.
Si tratta dunque di due procedure legislative in itinere i cui contenuti, alla data in cui saranno entrate in vigore, non presenteranno alcuna difficoltà di coordinamento. Infatti, è chiaro che, per quanto attiene l'ambito di applicazione, vi è piena coincidenza tra la disposizione dell'articolo 10, comma 1, sub-paragrafo 3, del Protocollo cui si intende aderire ed il rinvio contenuto nell'articolo 2, comma 2, del disegno di legge n. 3473 in discussione al Senato.
Ciò significa che, nelle zone di protezione ecologica istituende nel mare Mediterraneo, in quanto soggetto alla giurisdizione nazionale, tutte le navi, a qualsiasi bandiera appartengano, dovranno rispettare


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gli obblighi discendenti anche dal Protocollo di Londra del 7 novembre 1996.
Ci è sembrato opportuno fornire questo chiarimento in quanto sulle considerazioni generali il presidente Selva è stato già abbastanza esaustivo.

PRESIDENTE. Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Macedonia sulla cooperazione in campo turistico, fatto a Skopje il 15 novembre 2002 (A.C. 6008) (ore 9,57).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Macedonia sulla cooperazione in campo turistico, fatto a Skopje il 15 novembre 2002.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 6008)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il presidente della Commissione affari esteri, onorevole Selva, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, onorevole Landi di Chiavenna.

GUSTAVO SELVA, Presidente della III Commissione. Innanzitutto occorre specificare che la Macedonia è collocata in un'area, quella dei Balcani, che rappresenta - come già affermato con riferimento alla Bosnia Erzegovina - una priorità assoluta della politica estera nazionale.
Analogamente a quanto avviene in altri paesi dell'area, la stabilità macedone è affidata ai delicati equilibri tra le diverse componenti etniche presenti al suo interno (la maggioranza slavo-ortodossa e la minoranza albanese).
Di recente il Parlamento macedone ha approvato l'ultima legge di esecuzione degli Accordi di pace del 2001, che consente, nelle zone a prevalenza etnica di una delle componenti nazionali, l'uso di una propria bandiera. Ancora più significativa è stata l'approvazione, nel 2004, della nuova articolazione dei distretti municipali; riducendone il numero è stata infatti valorizzata la minoranza albanese.
Ciò premesso, la prospettiva della Macedonia, come del resto di tutti i Balcani, non può che essere l'integrazione europea - come ho già affermato in occasione del provvedimento relativo alla Bosnia Erzegovina -, in quanto anche la Macedonia aspira ad entrare nell'Unione europea.
L'Accordo relativo al settore del turismo rappresenta un limitato, ma importante e significativo esempio di cooperazione bilaterale, finalizzata a promuovere un più intenso scambio di persone e di merci nell'ambito dei Balcani.
Con l'Accordo si persegue sul piano operativo l'obiettivo di potenziare i collegamenti marittimi, aerei e terrestri fra le due parti, nonché di dare impulso agli scambi di esperti e di informazioni e alle attività di formazione del personale che si occuperà del turismo.
L'Accordo considera anche forme di cooperazione più specifica, che le parti hanno evidentemente convenuto di prendere in considerazione in quanto corrispondono a loro peculiari interessi e potenzialità. Sono previste, infatti, facilitazioni reciproche per l'organizzazione di viaggi collettivi in occasione di fiere, congressi, mostre, eventi sportivi ed eventi religiosi, lo scambio di documentazione e di materiale di promozione turistica, forme di sostegno in favore di un'ampia gamma di operatori turistici.
L'Accordo prevede, inoltre, il perseguimento di obiettivi di più vasta portata, come la costituzione di joint venture bilaterali


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volte ad accrescere gli investimenti nel settore delle infrastrutture e dei flussi turistici e la realizzazione di un'apposita banca dati per lo scambio di informazioni relative al settore turistico.
Per quanto riguarda le prospettive aperte dall'Accordo, così come è previsto che la Macedonia possa chiedere all'Italia di partecipare, in forme diverse, alla costruzione di un sistema turistico macedone, vale naturalmente anche il contrario, con l'attivazione di una sezione speciale per quest'area da parte nostra. Nell'Accordo si provvede, inoltre, ad inquadrare la cooperazione turistica fra le parti nell'ambito delle organizzazioni internazionali di settore, nonché in seno all'INCE (Iniziativa centro-europea), che coinvolge entrambi i paesi.
Come spesso accade in questo genere di accordi, va ricordato che l'applicazione delle intese sottoscritte e il monitoraggio dei relativi programmi esecutivi sono affidati ad una commissione paritetica, formata dai rappresentanti delle competenti amministrazioni.
In conclusione, si ritiene utile aggiungere alcune considerazioni. L'applicazione concreta e sollecita dell'Accordo in esame costituisce, come è ovvio, una priorità per dare un segnale alla Macedonia in direzione dell'integrazione europea - non mi stanco di ripetere questa osservazione, che ho già formulato più volte - in un'area di vitale importanza per la politica estera del nostro paese, come i Balcani. Pur essendo, infatti, il traguardo europeo non ancora immediato, dobbiamo fare di tutto in tale direzione: anche questi passaggi, che possono sembrare abbastanza semplici e di portata ridotta, sono essenziali per il conseguimento dell'obiettivo, molto più ampio, costituito dall'integrazione della Macedonia nell'Unione europea. È dunque necessario che l'applicazione dell'Accordo non si traduca nel puro e semplice trasferimento di risorse a danno del nostro turismo, e in particolare di quello delle regioni del sud, e non comprometta dunque interessi economici nazionali che vanno invece attentamente salvaguardati, in particolare in questo settore.
Raccomando pertanto la tempestiva approvazione del disegno di legge di ratifica in esame.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE DRAGO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, il Governo non può che condividere la relazione del presidente Selva, anche perché i rapporti fra l'Italia e l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia sono molto intensi, sotto ogni aspetto.
L'Italia ha fornito in questi anni un contributo di particolare rilievo, in tutti i settori, per la stabilizzazione del paese e per la concreta prospettiva europea ed euro-atlantica dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Siamo il quarto partner commerciale, con un interscambio di 322 milioni di euro nel 2004.
Esistono ampi margini per sviluppare le relazioni bilaterali, soprattutto in ambito economico e commerciale. Ciò, in particolare, attraverso una accresciuta presenza di piccole e medie imprese e un aumento degli investimenti italiani in quel paese.
Il settore turistico (lo diceva il Presidente Selva prima), è generalmente ancora poco sviluppato nella regione balcanica, ed offre a particolari condizioni interessanti prospettive di investimento per i nostri operatori turistici.
È chiaro però che questo accordo riguarda il tema del rilancio della cooperazione nel settore turistico anche a livello regionale, ma rientra indubbiamente, come è stato detto, anche nell'ambito dell'Iniziativa centro europea e dell'Iniziativa adriatico-ionica, ed ecco perché anche il Governo ne sollecita l'approvazione.

PRESIDENTE. Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.


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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative per includere nell'assicurazione contro gli infortuni domestici i casi di infortunio mortale - 2-01676)

PRESIDENTE. L'onorevole Cordoni ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01676 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1).

ELENA EMMA CORDONI. Ho deciso di illustrare la presente interpellanza anche perché credo che abbiamo davanti a noi una opportunità: quella di risolvere il problema che l'interpellanza solleva, visto che è imminente l'approvazione della legge finanziaria, e quindi possiamo risolvere in quella sede il problema che è stato segnalato dal Ministero dell'economia, cioè quello della copertura finanziaria.
Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando di una assicurazione obbligatoria che è stata introdotta nel 1999, con un voto unanime del Parlamento. Per la prima volta, cercavamo di tutelare dal rischio infortunistico le persone che svolgono prevalentemente un lavoro domestico e che quindi non hanno alcuna assicurazione sul lavoro, o di altro tipo.
Poiché simili incidenti erano in grande aumento, ritenevamo utile che, da una parte si sottolineasse l'esigenza di mettere sotto osservazione le abitazioni civili (e quindi si costruisse anche un sistema sanitario nazionale capace di rilevare questo aspetto così importante), e dall'altra parte si ragionasse anche in merito ai profili di risarcimento rispetto ai danni che si fossero verificati in caso di infortunio domestico.
Allora, quando si fece la legge, ci fu una grande prudenza da parte del Parlamento, in quanto si trattava di una normativa nuova (credo sia l'unica in Europa), e quindi dovevamo anche verificare la sua capacità di realizzazione, la sua capacità di suscitare adesione. Dovevamo altresì dare modo al sistema sanitario nazionale di potersi organizzare. Adesso, dopo alcuni anni, possiamo rilevare un primo bilancio.
Si trattava di una legge prudente ma anche flessibile perché, all'articolo 7, noi riconoscevamo al Ministro del lavoro la possibilità che, se i fondi che affluiscono a questo capitolo fossero stati sufficienti, se ci fossero state delle eccedenze, il ministro del lavoro medesimo, con proprio decreto, avrebbe potuto modificare i parametri di accesso e migliorare le prestazioni, includendo quelle per i casi di infortuni mortali.
Il ministro poteva anche modificare l'entità del premio assicurativo e dei limiti reddituali. Questa legge era quindi stata pensata con la finalità di poter essere applicata, verificata, ed era stata altresì prevista la possibilità di apportare in modo veloce le modifiche ritenute opportune.
Bene, dopo quattro anni, anzi, possiamo dire ormai quasi cinque, si osserva che si sono iscritti a questa assicurazione quasi tre milioni di persone.
Ricordo che in quella fase l'iscrizione alla assicurazione era, diciamo, obbligatoria, ma l'inottemperanza non dava luogo ad alcuna sanzione: questo risultato quindi è stato il frutto di una promozione che l'INAIL ha fatto, anche in presenza del dato che soltanto 180 mila persone erano a carico dello Stato, mentre le altre dovevano pagare una quota, non rilevante, ma cui comunque dovevano far fronte.
Dopo questi 5 anni, dai dati forniti dall'INAIL emerge che soltanto 146 persone hanno potuto accedere al risarcimento del danno proprio perché l'accesso a tale risarcimento è possibile soltanto nei casi di inabilità permanente al lavoro contrassegnati da una percentuale di invalidità non inferiore al 33 per cento. Una percentuale, quest'ultima, molto alta, che significa, in pratica, un danno fisico molto rilevante.
Tenuto conto di ciò ed anche che il fondo dell'INAIL era in attivo, per cui


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c'erano le risorse, ritenevamo utile ed opportuno che il ministro del lavoro e delle politiche sociali si adoperasse per apportare delle modifiche alla legge n. 493 del 1999. Queste modifiche, nonostante l'INAIL ci avesse fornito la documentazione al riguardo, non sono state introdotte. Ricordo, a questo proposito, che da alcuni anni noi, come opposizione, ma anche alcuni esponenti della maggioranza, sollecitiamo l'introduzione di modifiche alla legge n. 493 del 1999, concernenti, in particolare, l'innalzamento dell'età anagrafica per sottoscrivere l'assicurazione (da 65 a 70 anni), l'introduzione del risarcimento ai superstiti in caso di incidenti mortali e la diminuzione al 25-26 per cento del limite percentuale di invalidità per la liquidazione del risarcimento.
Ricordo, altresì, che la Commissione lavoro ha elaborato un testo di legge unitario ponendo in rilievo che per esso sono disponibili le risorse del fondo dell'INAIL ed ha, infine, espresso su tale proposta di legge un'opinione unitaria. Nonostante ciò, da un paio d'anni l'iter di tale testo di legge unificato è bloccato tra audizioni, interventi del ministro e problemi di copertura finanziaria evidenziati dalla Commissione bilancio. Conseguentemente, noi abbiamo presentato, già da alcuni mesi, questa interpellanza urgente con la quale intendiamo sollevare tale questione in modo da riuscire a trovare la copertura finanziaria per la citata proposta di legge nella legge finanziaria per il 2006. Al sottosegretario Brambilla, qui presente, che ha seguito in Commissione lavoro l'iter di quel provvedimento, faccio presente, vista la recente decisione del Governo di far decorrere la riforma del trattamento di fine rapporto a partire dal 2008 e tenuto conto che a questo fine sono stati accantonati dei fondi, l'esigenza di utilizzare tali fondi per assicurare la copertura finanziaria della proposta di legge sopra richiamata, anche perché, lo sottolineo, a tal fine necessitano risorse veramente irrisorie rispetto ai fondi accantonati per il TFR.
Noi speriamo che, proponendo una manovra di questo tipo, si possa ottenere dal Governo un impegno in tal senso.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, professor Brambilla, ha facoltà di rispondere.

ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, la legge n. 493 del 1999 ha riconosciuto, per la prima volta, il valore sociale ed economico del lavoro domestico anche se lo stesso legislatore, consapevole del carattere sperimentale dell'assicurazione, ha previsto con specifiche disposizioni la possibilità di successivi interventi migliorativi della copertura assicurativa, sulla base delle esigenze che si manifestino durante la gestione, ma a condizione che, in ogni caso, sia garantito l'equilibrio economico-finanziario del fondo.
Ciò premesso, si fa presente che è attualmente all'esame della Camera un testo di legge unificato, elaborato sulla base dei vari progetti di legge presentati per modificare la normativa in questione. Tale testo unificato prevede, appunto, l'estensione della copertura assicurativa agli infortuni dai quali sia derivata la morte dell'assicurato e, quindi, il riconoscimento di una rendita ai superstiti, nei termini e nelle modalità stabilite dall'articolo 85 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965; l'aumento dei limiti di età dagli attuali 65 anni a 70 anni; la riduzione della percentuale di invalidità dal 33 al 26 per cento; l'introduzione di un meccanismo di adeguamento del premio assicurativo al valore della retribuzione annua minima fissata per il calcolo delle rendite; la ridefinizione dei criteri stabiliti per l'assunzione a carico dello Stato dell'onere contributivo, innalzando i limiti reddituali personali e familiari attualmente vigenti.
Tutto ciò considerato, si ritiene opportuno rinviare le decisioni riguardanti l'adozione del decreto, all'esito del dibattito parlamentare riguardante la predetta


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proposta di legge. La stessa, infatti, contiene disposizioni migliorative e di contenuto più ampio, tali da rendere superflua l'adozione del predetto decreto.
Aggiungo che, ove constatassimo l'esistenza di disponibilità - come ha fatto presente l'onorevole interpellante, la quota destinata al progetto relativo al TFR ed alla previdenza complementare non è enorme, ma comunque c'è -, faremmo il possibile per inserirla nel disegno di legge finanziaria.

PRESIDENTE. L'onorevole Cordoni ha facoltà di replicare.

ELENA EMMA CORDONI. Signor Presidente, prendo atto della risposta del sottosegretario e - come dire? - rimango speranzosa come lui, anche se abbiamo ruoli e funzioni diverse: il sottosegretario potrebbe dire una parola definitiva; potrebbe dire, in particolare, se l'esame del disegno di legge finanziaria fornirà l'occasione per risolvere il problema. Come me, egli auspica che ciò possa avvenire, ma io non so quale interlocutore ci possa dare una risposta positiva definitiva.
Mi spiace, sottosegretario Brambilla, ma anche altre proposte da noi presentate stanno subendo la stessa sorte in Commissione. Ad esempio, la proposta concernente il superamento del divieto di cumulo della rendita INAIL e della pensione ha il consenso del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, tuttavia, non si riesce a fare in modo che l'esame da parte della XI Commissione venga completato.
Allora, mi piacerebbe - mi rivolgo anche al Presidente di questa Assemblea - che le risposte che chiediamo al Governo con le nostre sollecitazioni si traducano in impegni effettivamente realizzati. Quando il Governo ci risponde, lo faccia con completezza! Ci fa piacere sapere di avere il consenso del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che stiamo sollevando un problema in merito al quale vi è condivisione, ma vediamo che, mentre il braccio destro fa una cosa, quello sinistro ne fa un'altra. In questo senso, un po' di delusione debbo manifestarla: a seguito della mia interpellanza, alla vigilia dell'approvazione del disegno di legge finanziaria, speravo di ascoltare una risposta che contenesse meno auspici e maggiori impegni.
Comunque, non defletto: ancora una volta, raccolgo l'auspicio del sottosegretario e spero che la maggioranza riesca, in occasione dell'esame del disegno di legge finanziaria, a portare a compimento almeno il provvedimento in parola, anche se ve n'è un altro altrettanto importante che riguarda gli invalidi del lavoro. Spero che entrambe le questioni possano trovare definitiva soluzione all'interno del disegno di legge finanziaria. Avverto che c'è un unanime giudizio favorevole, ma constato, purtroppo, che mancano le conseguenti decisioni. Abbiamo pochi giorni per verificare se gli auspici si tradurranno in decisioni.

(Erogazione di trattamenti pensionistici a favore di tre persone imputate presso la Corte di assise di Cremona per reati di terrorismo - n. 2-01691)

PRESIDENTE. L'onorevole Gibelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01691 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2).

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, in questi ultimi anni, la città di Cremona è stata al centro di una serie di vicende di carattere giudiziario che hanno visto imputate in processi importanti persone legate al terrorismo internazionale.
La città ha vissuto momenti di grandissima tensione quando, nella bassa lombarda, si è scoperto che la locale scuola coranica, annessa alla moschea della città, ospitava pericolosi terroristi, tra cui persone che, immigrate in Afghanistan, hanno partecipato alle attività di alcuni campi di addestramento terroristico ed altre che sono state coinvolte nella strage di Casablanca (alcune direttamente collegate ad associazioni internazionali di stampo terroristico, compresa Al Qaeda).
Non starò qui a dilungarmi sulle vicende che hanno interessato il territorio,


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anche perché la questione relativa ai problemi della sicurezza è già stata sollevata in quest'aula e presso il Ministero dell'interno; inoltre, è già stato interessato il ministro dell'istruzione Moratti per quanto riguarda la scuola coranica clandestina.
Il clima era quello di un'area di assoluta impunità, di una enclave islamica in Lombardia! Oggi, a seguito di atti di sindacato ispettivo presentati da alcuni consiglieri provinciali, è emerso che tre presunti terroristi beneficiavano di una pensione dell'INPS.
Allora, passi (si tratta di un commento politico; poi, naturalmente, sarà il Governo a fornire le delucidazioni nel merito) che arrivino, in questo paese, persone che non hanno alcuna intenzione di integrarsi; passi (e sottolineo l'ironia per far in modo che rimanga agli atti del Parlamento) che si tolleri la presenza di terroristi sul nostro paese, nonostante la magistratura italiana trovi sempre una via d'uscita per queste persone, anche nei casi recenti; passi ancora che persone, legate al terrorismo internazionale, vivano in case popolari, come nella città di Cremona. Ma, oggi, si scopre che diamo loro anche i soldi, ossia che percepiscono la pensione!
Poiché hanno dovuto presentare una dichiarazione dei redditi - dimostratasi, tra l'altro, falsa -, per ottenere le case popolari nelle quali invece i lombardi - e, aggiungo, gli italiani - non possono andare per motivi di graduatoria (ma, questo, è un problema che risolviamo a livello regionale), alla voce reddito si definiscono beneficiari di pensione INPS.
Mi chiedo se una persona che percepisce la pensione minima (magari, sta seguendo i nostri lavori da casa) e che non riesce ad ottenere una casa popolare, possa accettare che, in un paese civile, vi sia gente sotto processo per terrorismo internazionale cui diamo anche dei soldi. Queste persone non vengono certamente nel nostro paese per lavorare: ci minacciano, sono sottoposti a giudizio e percepiscono la pensione dell'INPS!
Spero vivamente che le informazioni date al consiglio comunale di Cremona, non solo alla Lega nord, ma anche ad Alleanza Nazionale, non siano vere. Non è possibile che vi sia un meccanismo che consenta a tali persone di percepire un reddito senza un giorno di lavoro e di ottenere case popolari e la cui moschea è coinvolta in questioni di terrorismo internazionale. È la palese dimostrazione della costruzione con le nostre regole di enclave islamiche e terroristiche nelle nostre città. Queste cose non ce lo possiamo permettere!
Mi auguro che il Governo oggi faccia chiarezza su un tema che non solo a Cremona, ma in tantissime altre realtà ha ormai superato la soglia della tollerabilità sul piano della civiltà.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, professor Brambilla, ha facoltà di rispondere.

ALBERTO BRAMBILLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, purtroppo, con riferimento all'interpellanza oggi in discussione, alla domanda se sia vero o meno che queste persone hanno percepito delle prestazioni, rispondo che non si tratta di prestazioni pensionistiche. Da attente verifiche compiute negli archivi dell'INPS, le persone citate nell'interpellanza sono risultate titolari non di pensioni o di assegni sociali, ma di altre prestazioni.
Infatti, nel rispetto, comunque, delle vigenti disposizioni normative in materia, i predetti, in quanto iscritti all'istituto, hanno percepito le seguenti indennità di disoccupazione o mobilità: il signor Khalid Khamlich, nel 1997, ha percepito 16 giorni di disoccupazione ordinaria, tra il 14 maggio 1997 ed il 29 maggio 1997; nel 1999, ha percepito 180 giorni di disoccupazione ordinaria, dal luglio 1999 al 1o gennaio 2000; nel 2002 ha percepito ulteriori 180 giorni di disoccupazione ordinaria (periodo settembre 2002-marzo 2003). Inoltre, «l'assicurato» ha beneficiato dell'assegno per il nucleo familiare e, addirittura, della contribuzione figurativa a carico dello Stato.


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Il signor Mourad Trabelsi, nel 1998, ha percepito 180 giorni - cioè il massimo - di disoccupazione ordinaria dal 14 maggio 1998 al 12 novembre 1998; nel 2001 ha percepito 66 giorni di disoccupazione ordinaria, con requisiti ridotti; nel 2002, 111 giorni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti e, nel 2003, 33 giorni di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti.
Inoltre, anche questo «assicurato» ha beneficiato della contribuzione figurativa.
Il signor Boughanemi Fhaical nel 2003 ha percepito il trattamento di mobilità dal 31 marzo 2003 al 31 marzo 2004 ed ha, inoltre, beneficiato dell'assegno per il nucleo familiare e della contribuzione figurativa. Fin qui le nude cifre.
Rileviamo, da alcuni dati, che in questo paese è richiesto un flusso di extracomunitari pari a circa 250 mila unità all'anno. So che l'ISTAT ha messo a punto un quadro di previsione meno ottimistico ed uno più ottimistico. Nel 2045-2050, probabilmente - si sostiene in questo quadro - la popolazione italiana nel suo complesso sarà ancora di 57 milioni di abitanti (potrebbero essere anche 56 o 59, poco importa): il problema è che più di 20 milioni di essi non saranno italiani!
Abbiamo chiesto a tutte le province - ed è la seconda questione su cui vorrei soffermarmi - di comunicarci chi siano - e da quanto tempo - gli iscritti alle liste di collocamento. Sembra che qualche centinaia di migliaia di extracomunitari siano iscritti alle liste di collocamento nella sezione da più di un anno: dunque, si tratta di persone che materialmente, in un modo o nell'altro, vengono assistite. Se a questo sommiamo l'erogazione di oltre un milione di prestazioni facenti parte dei cosiddetti «ammortizzatori sociali» - cassa integrazione e mobilità (del cui aumento vi è una continua richiesta fatta anche dai sindacati) - e la cifra enorme spesa dal nostro paese per sostenere sia i lavoratori italiani espulsi dai processi produttivi sia i lavoratori extracomunitari che, a loro volta, sono stati espulsi o che non si sono mai integrati, corriamo il rischio di provocare un doppio danno.
Approfitto della risposta a questa interpellanza per segnalare che questo paese, al di là del buonismo e dell'accoglienza - che di per sé sono cose positive - deve pensare al fatto che tra qualche anno i nostri ragazzi (probabilmente, cioè quando essi avranno venticinque o trentanni) non vivranno più nel paese di coloro che l'hanno costruito e che hanno fatto l'Unità d'Italia, ma in un paese che sarà non più il loro, bensì di un numero indeterminato di etnie.
Come sempre accade storicamente (non vado a riprendere l'esempio della storia dell'antico Egitto che si è sviluppata in tremila anni), i paesi che hanno avuto una simile commistione nell'arco di pochi anni storici (molti, naturalmente, dal punto di vista dell'esistenza umana, considerato che ventanni per noi esseri umani sono tanti, al contrario della «storia», per la quale sono minuti) si sono avviati al declino.
Interpellanze come quella in esame servono per ripensare al nostro futuro sia in termini economici e produttivi che in termini sociali.

PRESIDENTE. L'onorevole Gibelli ha facoltà di replicare.

ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, mi considero soddisfatto sul piano tecnico per la risposta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito oggi, poiché ha reso chiara una questione che non era tale a livello locale. Sul piano politico, naturalmente, va svolto un altro tipo di ragionamento.
Questo paese dovrebbe consentire l'ingresso di extracomunitari esclusivamente finalizzato alle necessità lavorative (ovverosia venire nel nostro paese per lavorare). Si continua a sostenere che la presenza di manovalanza extracomunitaria è strettamente legata alle nostre richieste lavorative.
Oggi, invece, si dimostra, con questi dati, che ciò non è vero; si dimostra che, attraverso la voce «benefit», si contribuisce all'accesso all'edilizia residenziale e si concedono contributi per il pagamento delle bollette, buoni pasto, assegni per i


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componenti della famiglia; peraltro, durante i processi, i componenti di queste famiglie si recavano col burqa nelle aule giudiziarie. I nostri concittadini non accedono a questi benefit pensando che le condizioni minime richieste agli extracomunitari per accedervi siano comunque vincolate alla sussistenza di prestazioni di lavoro - il che già sarebbe discutibile, e la posizione della Lega al riguardo è molto chiara - mentre oggi si dimostra che non è nemmeno così. Se ho capito bene, sottosegretario Brambilla, vi sarebbero extracomunitari iscritti da più di un anno ad una lista di collocamento - quindi, persone che non lavorano -; esse sono nel nostro paese, entrano nelle nostre case, accedono ai benefici di legge e percepiscono, attraverso la voce «altre prestazioni», le indennità di disoccupazione. Dunque, rappresentano un costo per la nostra comunità e non sono qui per l'unica ragione per la quale dovrebbero essere nel nostro paese, ovvero per lavorare.
Abbiamo dunque spalmato tali benefici senza garantire le persone che hanno fatto questo paese, che si sono consumate le mani, alle quali diamo la pensione minima senza consentire loro di abitare nelle case costruite con il cosiddetto patto intergenerazionale - non ci vanno -; concediamo invece tali case ad extracomunitari che non lavorano. Tutto ciò va considerato sul piano etico e morale.
Tuttavia, l'interpellanza non nasce dalla segnalazione di tre persone generiche, tre extracomunitari qualsiasi; si tratta invece di tre persone coinvolte in processi legati al terrorismo internazionale. Diamo quindi soldi a chi ci risponde con le minacce, con affiliazioni ad associazioni terroristiche presunte, e giungiamo al paradosso di finanziare persone e famiglie che non sono in Italia nemmeno dietro la «cartina» sempre più sottile del lavoro ipotizzato. Ciò è semplicemente uno scandalo rispetto a quelle fasce di popolazione che attendono da noi risposte rispetto alla loro condizione sociale. Tale tema, evidentemente, sarà oggetto non di un confronto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali - in quanto, evidentemente, la risposta è circoscritta alla domanda formulata con l'interpellanza - ma di una richiesta politica rivolta al ministro Pisanu, che ha un'altra idea. Ma, forse, questi dati dimostrano esattamente il contrario di quanto egli sostiene circa la necessità di far sopravvivere il paese attraverso il lavoro extracomunitario; lavoro che, nei fatti, secondo dati numerici significativi, non c'è. Li manteniamo e basta!
Quindi, probabilmente, sarebbe bene si facesse leva sugli ammortizzatori sociali per quei lavoratori veri, in ipotesi figli di lavoratori altrettanto veri, che hanno costruito questo paese. Il criterio probabilmente dovrebbe essere un altro, non la posizione ideologica di una società multiculturale e multietnica a senso unico che, nei numeri, viene sconfessata tutti i giorni dalla realtà. Evidentemente, l'argomento sarà oggetto di ulteriori discussioni a breve, in ipotesi anche nella giornata di domani, quando il ministro Pisanu interverrà alla Camera dei deputati per una informativa del Governo sul terrorismo. Si dimostrerà quali siano le sacche nelle quali si permette ad extracomunitari di vivere nel nostro paese ed alimentare una piaga che ci sta sempre più minacciando: addirittura, ci minaccia con i nostri soldi, con i nostri benefit, con le nostre voci di reddito, con le «altre prestazioni» consistenti anche in indennità di disoccupazione e con le iscrizioni da più di un anno in liste di collocamento. Quindi, costoro non hanno neppure il paravento del lavoro, che dovrebbe essere l'unico modo per garantire, a noi e a chi viene in questo paese, un futuro; un futuro, ma non certamente un sussidio di disoccupazione per chi poi ci risponde con la minaccia terroristica.

(Diffusione di notizie sulla salubrità di prodotti alimentari del gruppo Cremonini - n. 2-01729)

PRESIDENTE. L'onorevole Emerenzio Barbieri ha facoltà di illustrare l'interpellanza Volontè n. 2-01729 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3), di cui è cofirmatario.


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EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, vorrei segnalare che il 6 novembre RAI3, nel corso della trasmissione Report, ha mandato in onda un servizio dal titolo «Il re della bistecca», nel quale la conduttrice, Milena Gabanelli, ha illustrato una questione riguardante una presunta truffa internazionale che avrebbe coinvolto il gruppo Cremonini, noto gruppo del settore alimentare.
L'inchiesta riguarderebbe una partita di carne in scatola esportata dalla Inalca di Modena (una società del citato gruppo Cremonini) a Cuba, che, secondo detto servizio, sarebbe stata rispedita al mittente e da questi dirottata in Angola, perché avariata.
Il cavalier Luigi Cremonini, in un'intervista al Quotidiano nazionale del 15 novembre 2005, ha affermato, con grande tranquillità, che si è trattato di una montatura, in quanto, nelle prime partite di carne inviate a Cuba, alcune scatole si sarebbero rotte, arrivando a destinazione, ovviamente, deteriorate, ma dai controlli fatti eseguire in Svizzera sul resto della merce incriminata non sarebbe emerso nulla.
Quanto al dirottamento della merce verso l'Angola, inoltre, il titolare avrebbe affermato che si trattava di una sede in cui il gruppo possiede dei depositi, dove la merce è stata smistata in attesa delle ulteriori verifiche.
A nostro giudizio, un'inchiesta come quella effettuata dalla Gabanelli, non suffragata da verifiche e prove che attestino, inequivocabilmente, l'insalubrità dei prodotti distribuiti, rischia di penalizzare, economicamente e moralmente, un'azienda affermata, come l'Inalca di Modena, nonché tutto il gruppo Cremonini.
Chiediamo al Governo, pertanto, di sapere quali iniziative intenda adottare al fine di verificare e certificare la salubrità dei prodotti in questione, in modo che sia possibile smentire, in termini definitivi, tutte le notizie infondate che sono state diffuse sull'argomento.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la salute, senatore Cursi, ha facoltà di rispondere.

CESARE CURSI, Sottosegretario di Stato per la salute. Signor Presidente, con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, va precisato che tutti gli stabilimenti che producono prodotti a base di carne, la cui idoneità viene riconosciuta dal Ministero della salute, ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 537, sono sottoposti al controllo veterinario permanente, effettuato da un veterinario ufficiale dell'azienda sanitaria locale competente per territorio, che deve verificare il rispetto della normativa vigente.
Per quanto riguarda le carni fresche, invece, le disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 1994, n. 286, attuativo di una direttiva comunitaria, prevedono quanto segue. Per gli stabilimenti di macellazione, è stabilito l'obbligo del controllo dell'idoneità di tutti gli animali vivi destinati alla macellazione, nonché l'ispezione, da parte del veterinario ufficiale dell'azienda sanitaria locale, sulle carni ottenute dagli animali macellati; per gli stabilimenti di sezionamento delle carni, inoltre, è prevista la presenza del veterinario ufficiale, almeno una volta al giorno, al fine di verificare, attraverso controlli ispettivi, documentali e di laboratorio, che le carni introdotte per il sezionamento e le carni in uscita siano idonee per il consumo umano.
Le carni ed i relativi prodotti destinati ad essere esportati verso paesi terzi sono accompagnati da un certificato sanitario, firmato da un veterinario ufficiale dell'ASL di competenza, che attesta la salubrità dei prodotti e le garanzie richieste dal paese terzo di destinazione. Nel caso in cui il paese terzo riceva un prodotto non rispondente alle garanzie sanitarie richieste, lo comunica all'autorità italiana competente.
Gli stabilimenti del gruppo Cremonini, pertanto, come tutti gli stabilimenti operanti sul territorio nazionale, sono assoggettati alle verifiche previste dalla normativa


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sanitaria vigente. Gli organi del Servizio sanitario nazionale, nonché i nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri (NAS), inoltre, possono entrambi intervenire in tutte le fasi della produzione e della commercializzazione delle carni fresche e dei relativi prodotti sul territorio italiano.
Resta inteso che gli stabilimenti del gruppo alimentare non possono né produrre né esportare alimenti non conformi ai requisiti di sicurezza per il consumatore, prescritti dalla normativa nazionale e comunitaria.
Al Ministero della salute non risultano i fatti segnalati dalla trasmissione televisiva e non sono state ricevute segnalazioni da parte dei paesi terzi interessati coinvolti nei fatti segnalati dagli interpellanti.
Con riferimento, poi, alla richiesta degli interpellanti di adottare ulteriori iniziative al fine di verificare la salubrità dei prodotti in oggetto, il ministero ha già predisposto controlli analitici diretti sui prodotti esportati.
Il Ministero delle attività produttive ha comunicato, per gli aspetti di competenza, che il rilascio dei titoli di esportazione verso paesi terzi di preparati di carne e di conserve di carne è un atto dovuto nei confronti del richiedente, previa comunicazione, di volta in volta, alla Commissione europea.
Lo stesso ministero ha rilevato che, «malgrado l'assenza di un'indicazione sul periodo specifico in cui è stata attivata l'operazione di esportazione di cui all'interpellanza in oggetto, non risultano, a un rapido esame, essere stati rilasciati titoli di esportazione verso Cuba, bensì verso l'Angola, con maggior frequenza nell'ultimo anno».
È stato precisato, inoltre, che «l'indicazione del paese di destinazione per le esportazioni di carni (al momento della richiesta di autorizzazione) non è obbligatoria da parte dell'operatore, il quale può modificarla nel corso dell'operazione di esportazione, senz'altro intervento da parte di questa Amministrazione».

PRESIDENTE. L'onorevole Emerenzio Barbieri ha facoltà di replicare.

EMERENZIO BARBIERI. Signor Presidente, direi che la risposta del Governo è ampia ed esaustiva, e, quindi, non posso che dichiararmi soddisfatto.
Ringrazio anche il sottosegretario per la precisazione con cui ha voluto spiegare, sia a me sia a tutti coloro che sono interessati a questo argomento, la metodologia con cui il ministero si muove, nel rispetto scrupoloso della legislazione vigente.
Lo stesso sottosegretario non ha, tuttavia, potuto evitare di rilevare come gran parte delle affermazioni riportate nel servizio di Report fossero assolutamente infondate. Qual è l'aspetto grave della vicenda? È che ciò avvenga in una televisione pubblica. È veramente incredibile che si debba trarre la conseguenza per cui ciò che teoricamente potrebbe accadere in una televisione privata non accade, mentre accade in una televisione pubblica! Ciò, dal punto di vista della gravità politica, spero non sfugga a nessuno.

(Presunti abusi della Procura di Reggio Calabria nella trascrizione di un'intercettazione ambientale - n. 2-01695)

PRESIDENTE. L'onorevole Cola ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01695 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).

SERGIO COLA. Signor Presidente, rinunzio ad illustrarla e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Cola.
Il sottosegretario di Stato per la giustizia, onorevole Valentino, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, preannunzio all'onorevole Cola che la risposta sarà di natura interlocutoria,


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perché i fatti richiamati nell'interpellanza sono attualmente alla cognizione del magistrato catanzarese che sta svolgendo le indagini. Pertanto, la risposta rileverà tale dato e porrà in evidenza quale sia la fase delle indagini in questo momento.
Sui fatti oggetto dell'atto di sindacato ispettivo, in particolare sulle incertezze in ordine alla trascrizione poste alla base delle fonti di prova per la richiesta e la relativa emissione di ordinanze di misure cautelari personali indaga, come ho anticipato poc'anzi, la procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, ove risulta iscritto un procedimento penale contro ignoti per i reati di calunnia ed abuso d'ufficio.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro ha riferito che il procedimento versa nella fase delle indagini preliminari e che il 22 novembre scorso il consulente tecnico nominato dallo stesso ufficio requirente, al fine di ricostruire tutta la vicenda relativa ai reperti e trascrivere tutte le registrazioni contenute, ha depositato la relazione riguardante l'attività espletata. Il successivo 26 novembre, dopo aver esaminato la relazione, il pubblico ministero ha disposto un supplemento della predetta indagine tecnica, concedendo al consulente il termine di 30 giorni per lo svolgimento dell'incarico.
Lo stesso procuratore di Catanzaro ha fatto presente che procederà successivamente all'esame del magistrato il cui esposto ha dato origine al procedimento penale.
Appare, quindi, opportuno attendere l'esito delle indagini preliminari, allo scopo di valutare la necessità di disporre un'inchiesta amministrativa.
Per completezza di informazione, si fa presente che il dottor Neri, in data 25 settembre 2003, effettivamente presentò istanza di astensione in relazione al procedimento sopraindicato e che la stessa istanza venne rigettata il successivo 26 settembre dal procuratore generale, il quale non ravvisò sussistente alcun motivo di incompatibilità, anche per mera opportunità, perché il dottor Neri si astenesse dal trattare il procedimento in questione.

PRESIDENTE. L'onorevole Cola ha facoltà di replicare.

SERGIO COLA. Signor Presidente, prendo atto della risposta interlocutoria del sottosegretario. Mi rendo perfettamente conto che si potrebbe arrivare a formulare delle valutazioni ed a prendere in esame i quesiti che abbiamo posto con la nostra interpellanza. Ciò nondimeno, mi sia consentito svolgere alcune osservazioni, perché ne resti traccia nel resoconto della seduta.
Questa vicenda è allucinante nel vero senso della parola ed evidenzia come, molte volte, la giustizia sia amministrata ad usum Delphini e con evidenti e macroscopici abusi che, a mio modo di vedere, configurano anche ipotesi di reato.
Il fatto è semplicissimo e lo illustrerò in due battute. Nell'ambito di un procedimento pendente a Milano, definito «gioco d'azzardo», viene intercettato a livello ambientale un gruppetto di persone che conversano in un bar di Messina. La registrazione viene sottoposta ad un perito per la trascrizione. Nell'ambito del procedimento che si instaura a Reggio Calabria (per motivi chiarissimi, in quanto fra gli indagati vi è anche un magistrato), il perito rileva che, ancorché abbia proceduto ad una «pulitura» del nastro (questa è l'espressione che si usa), quest'ultima non ha ottenuto alcun esito positivo, in quanto il contenuto della conversazione è incomprensibile. Vi è anche il supporto di un'altro accertamento analogo; dopodiché, improvvisamente, nell'ambito dell'altro procedimento, il procuratore generale, che ha avocato a sé il procedimento, «attenziona» il nastro (nell'interpellanza ho utilizzato lo stesso termine usato nelle informative di reato dai carabinieri) e chiede al giudice delle indagini preliminari che venga ripetuta tale operazione. A questo punto, si verifica una serie...
Onorevole Valentino, la prego di ascoltarmi, perché al riguardo lei non mi ha dato alcuna risposta. Come dicevo, si verifica


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una serie di violazioni enormi: gli atti vengono trasmessi al GIP, dottoressa Arena, la quale non avvisa nella maniera più assoluta i periti nominati dalle parti. Tra l'altro, anche nell'ambito della trascrizione (Commenti del sottosegretario Valentino)...
Le sto riferendo queste violazioni, che peraltro si inseriscono nell'ambito di una più ampia violazione. Se si pensa che, attraverso questo nastro - che, ripulito, non dà alcuna sensazione di certezza in ordine al contenuto -, il GIP ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare che ha colpito magistrati, un presidente di tribunale, un ex sottosegretario di Stato, imprenditori ed avvocati sulla scorta di frasi ed espressioni che non erano assolutamente individuabili nell'ambito di questa conversazione, mi sembra che il caso non debba essere considerato - per così dire - sotto gamba. E la sua risposta di carattere interlocutorio mi soddisfa parzialmente.
Ho una grandissima preoccupazione e vorrei rivolgere una sollecitazione al sottosegretario Valentino. Lei sa meglio di me che per le indagini preliminari non si prescrive, se non a livello meramente dilatorio, un termine di conclusione. Lei sa meglio di me che, ancorché vi siano sei mesi per concludere le indagini relative ad un reato del genere, molte volte non si procede nemmeno alla notifica della richiesta di proroga delle indagini e i processi stazionano tre o quattro anni, in palese violazione del codice di rito, per arrivare ad una definizione - non si sa quale - che potrebbe essere anche un'archiviazione, dopo quattro o cinque anni, quando il clamor fori si è disintegrato con il passare del tempo.
C'è un'altra cosa che va detta: a seguito di questa vicenda, si è instaurato presso la procura di Catanzaro, anch'essa competente per il coinvolgimento di alcuni magistrati di Reggio Calabria, un procedimento per calunnia e falso, proprio con riferimento alla cassetta. Lei mi dice che il perito è stato nominato e che sono stati dati altri 30 giorni.
La prego veramente di fare chiarezza su questo increscioso ed inquietante episodio e la invito a sollecitare il procuratore a chiudere le indagini nei tempi prescritti, in modo che la prossima volta lei ci possa rispondere, come auspico, di aver disposto un'ispezione presso quella procura, per verificare se, effettivamente, questi inquietanti episodi debbano rimanere impuniti, oppure se debbano portare ad una rivisitazione da parte della magistratura.
Questa è la conclusione della mia replica. Sono sicuro che lei si conformerà alla mia sollecitazione, che è dovuta, così come è dovuto un suo intervento in questo senso.

(Iniziative per la nomina di un commissario straordinario in relazione al fenomeno degli smottamenti del sottosuolo nei comuni di Guidonia Montecelio e Tivoli - n. 2-01693)

PRESIDENTE. L'onorevole Messa ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01693 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).

VITTORIO MESSA. Signor Presidente, negli ultimi due o tre anni si è registrato, nel territorio di Tivoli e di Guidonia (dove sono ubicate le antiche sorgenti Regina-Colonnelle di acqua termale e sulfurea, note fin dall'antichità e che rappresentano le più grandi sorgenti d'Europa come portata d'acqua termale), un depauperamento della portata dell'acqua, che è passata da 3.000 litri al secondo a 200 litri al secondo. Tale portata d'acqua non è più idonea e sufficiente a garantire il funzionamento delle terme di Tivoli.
Contestualmente a questo preoccupantissimo depauperamento delle risorse termali, si sono registrate preoccupanti lesioni in centinaia di fabbricati di Villalba di Guidonia e di Tivoli Terme, alcuni dei quali sono già stati dichiarati inagibili e sono stati abbandonati dagli occupanti e dai proprietari.
Naturalmente, sono state svolte delle indagini, commissionate dalla regione Lazio, dall'università La Sapienza di Roma e


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dall'università Roma Tre, che hanno concluso inequivocabilmente che la causa dell'abbassamento della superficie piezometrica è dovuta alle sollecitazioni dinamiche del pompaggio delle cave di travertino in esercizio.
Gli strumenti estrattivi, che fino a qualche anno fa scavavano ed estraevano il travertino ad una profondità di 15-20 metri, grazie alla moderna tecnologia ora riescono a scavare fino a 50-60 metri. Quando trovano la falda acquifera termale, a 20 metri, per poter estrarre e lavorare all'asciutto sono costretti a pompare l'acqua: pompano circa 2.800 litri di acqua al secondo, che viene estratta, captata e distolta dal percorso sotterraneo naturale e gettata nel fiume Aniene.
Questa attività antropica devastante ha causato il depauperamento della risorsa termale ed ha anche provocato - ciò che preoccupa maggiormente tutti i residenti - lesioni gravissime ad edifici vecchi e nuovi di quelle zone.
Abbiamo chiesto al Governo, in particolare al ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, cosa intenda fare al riguardo e se non ritenga necessario, indispensabile, indifferibile ed urgente nominare un commissario che possa direttamente occuparsi della questione. Ciò, anche in considerazione del fatto che il sindaco di Guidonia Montecelio, il quale, in base alla legge regionale n. 17 del 2004, entrata in vigore nel febbraio di quest'anno, avrebbe potere di controllo e di intervento sulle attività estrattive, è in realtà egli stesso uno dei più grandi imprenditori dell'estrazione di travertino ed è proprietario di cave.
Chiediamo quindi che il Governo nomini un commissario che possa avocare a sé i poteri del caso, vista l'urgenza della vicenda.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Gianfranco Conte, ha facoltà di rispondere.

GIANFRANCO CONTE, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Onorevole Messa, lei ha dato delle precise indicazioni. Ho qui con me una relazione che entra nel merito delle osservazioni tecniche relative allo stato dell'arte nel territorio di Guidonia Montecelio e di Tivoli, soprattutto con riferimento alle frazioni di Bagni di Tivoli e di Villalba di Guidonia, interessate, come lei ha osservato, fin dall'anno 2000, da un fenomeno di subsidenza consistente nell'abbassamento del terreno.
Tutti gli studi condotti, commissionati dalla regione Lazio, che si è anche servita del Dipartimento territorio e ambiente e di istituti di ricerca presso le università La Sapienza e Roma Tre, ed anche tutti gli esperti in discipline geologiche hanno confermato l'esistenza del fenomeno di subsidenza, le cui cause risalgono a scadenti caratteristiche geomorfiche del terreno ed al progressivo abbassamento della falda idrica, che avrebbe subito un'accelerazione negli ultimi cinque-sei anni, a causa del pompaggio delle acque nelle limitrofe cave di travertino delle terme di Tivoli, così com'è stato evidenziato dall'onorevole interpellante.
Questo fenomeno è particolarmente presente ed esteso in un orizzonte dello spessore di diversi metri di terreni limosi e argillosi, con torbe di origine palustre. Per la verità, la nota che ci è pervenuta attribuisce la responsabilità di questo fenomeno di subsidenza a diversi fattori.
Gli studi effettuati evidenziano che vi è un problema relativo alla diminuzione della piovosità negli anni dal 2000 al 2003, che vi è la presenza di innumerevoli pozzi di uso domestico e che è stata realizzata una fognatura comunale che ha recepito le acque bianche e nere, convogliandole in tale conduttura, nella quale peraltro è stata fatta confluire anche l'acqua proveniente dal canale dell'acqua acetosa, che ha anch'esso una portata di 200 litri al secondo, che prima si immetteva nei terreni di questa falda.
Quindi, queste sarebbero le cause, insieme al pompaggio che viene effettuato per le cave di travertino.
È stato però messo anche in evidenza che il raggio di azione del dewatering,


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ovverosia dell'abbattimento della falda acquifera, che è stato causato dall'attività di estrazione di travertino, non arriva ad interessare le aree poste a nord-ovest della linea ferroviaria, dove sono ubicati alcuni condomini, che hanno subito dei cedimenti, e le sorgenti di Regina-Colonnella. L'abbattimento del livello di falda nei travertini litoidi comunque non produce un costipamento degli stessi, trattandosi di materiale lapideo.
Dall'analisi complessiva degli studi, si evidenzia che i cedimenti sono causati quasi certamente dall'orizzonte superficiale limo-argilloso, con torbe, e che si tratta di cedimenti lenti, che possono essere tenuti sotto controllo, ma che si protraggono a lungo nel tempo, raggiungendo entità ragguardevoli dell'ordine di diverse decine di centimetri, compromettendo la funzionalità delle strutture.
Il rischio dei cedimenti nell'area è quindi elevato poiché il tipo di fondazione adottata è stato e continua ad essere quello superficiale, scelta, questa, preferita perché obiettivamente più economica rispetto all'utilizzo di fondazioni profonde appoggiate sul sottostante travertino litoide. Il ricorso frequente a queste fondazioni dirette è più economico e, fra l'altro, in netto contrasto con quanto previsto dalla circolare dell'assessorato dei lavori pubblici della regione Lazio del 23 novembre 1982, la quale ha previsto che in zone sismiche - e i comuni di Guidonia e Tivoli ricadono nella zona sismica 2 - non si impostino strutture di fondazioni dirette qualora si accerti la presenza di livelli o lenti di torbe nei limiti di dieci metri di profondità.
Questa è esattamente la situazione che noi troviamo nei comuni da lei citati: ovverosia, si preferisce fare fondazioni leggere piuttosto che fondazioni profonde su un terreno che di per sé non è ancora sufficientemente compattato.
La regione Lazio, nel corso della seduta del 4 ottobre 2005, ha provveduto a dichiarare lo stato di calamità per i territori dei comuni di Guidonia, di Montecelio e di Tivoli e, nel contempo, a deliberare la richiesta di dichiarazione di stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992 n. 225, pervenuta al Dipartimento della protezione civile in data 13 ottobre 2005. Comunque, dalle informazioni assunte dalle amministrazioni comunali coinvolte - e al riguardo rispondo ad alcune delle considerazioni da lei fatte -, dal 2001 non si sono verificati aggravamenti del predetto fenomeno e ad oggi, per quanto riguarda gli edifici interessati dalle lesioni, non sono state emesse ordinanze di sgombero, né è stato previsto alcun sistema di monitoraggio del fenomeno. Tuttavia, le amministrazioni regionali e comunali interessate hanno previsto la realizzazione di verifiche sulla stabilità degli uffici.
Per quanto riguarda il problema del pompaggio delle acque, sempre da informazioni assunte dalle predette amministrazioni regionali e comunali, risulterebbe interrotta solo l'alimentazione delle Terme di Tivoli, poiché l'interruzione del pompaggio a servizio delle cave di travertino potrebbe determinare un grave problema occupazionale. Ciononostante, il Dipartimento della protezione civile provvederà a intraprendere ogni iniziativa utile, anche attraverso i propri uffici tecnici ed anche mediante un apposito sopralluogo nell'area interessata dal fenomeno di subsidenza, al fine di ottenere gli elementi informativi necessari a valutare la sussistenza dei requisiti per l'eventuale dichiarazione dello stato di emergenza. Noi riteniamo che, una volta constatata l'esistenza di questo fenomeno, sia importante verificare attraverso il Dipartimento della protezione civile se ci sono problemi effettivi sulla tenuta degli stabili e dei fabbricati presenti sul terreno e se questi necessitano obiettivamente degli interventi che determinano anche ulteriori approfondimenti e soprattutto di un'azione per limitare il drenaggio e il pompaggio delle cave di travertino.

PRESIDENTE. L'onorevole Messa ha facoltà di replicare.

VITTORIO MESSA. Signor Presidente, prendo atto della buona volontà del sottosegretario,


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ma naturalmente non sono soddisfatto. Come del resto avevamo previsto, se si chiedono elementi di conoscenza alla regione e al comune (ed il sindaco del comune è il proprietario di una delle cave, la causa principale, molto probabilmente, di questo gravissimo, spaventoso dissesto preannunciato), allora è di tutta evidenza che le informazioni che arrivano sul tavolo del sottosegretario sono di quel tenore.
Intanto, molte abitazioni sono state dichiarate inagibili e sono oltre mille le famiglie interessate dal fenomeno. Ci sono vecchie case costruite cinquanta o sessant'anni fa - quando si costruiva come si costruiva! - e fabbricati nuovissimi di cemento armato nella zona di via Cesare Augusto a Tivoli Terme che hanno presentato lesioni davvero preoccupanti.
Molte famiglie, come già rilevato, sono state obbligate dai Vigili del fuoco ad abbandonare le loro abitazioni; la canonica della parrocchia Santa Maria Goretti a Villalba di Guidonia è stata dichiarata inagibile.
Tali lesioni stanno aumentando di giorno in giorno e pertanto, signor sottosegretario, non sono affatto vere le informazioni che le hanno fornito. I dati da lei citati contrastano assolutamente con le relazioni del professor Bono, dell'Università La Sapienza di Roma, del professor Funicello, dell'università Roma Tre e, soprattutto, del professor Nolasco, responsabile del dipartimento territorio direzione regionale dell'ambiente-Protezione civile della regione Lazio, il quale ha affermato che si tratta di una zona ad alto rischio catastrofico. Egli ha sostenuto che, permanendo le attuali condizioni di pompaggio di acqua di alcune cave, non di tutte, la situazione degli edifici è destinata a peggiorare con l'evolversi del fenomeno fino a conseguenze anche gravi. In presenza di sisma, gli effetti sarebbero a dir poco catastrofici, considerando che gli edifici in qualche modo interessati da dissesti sono circa 140 (vi è un edificio che comprende 400 appartamenti). È indispensabile programmare ed attivare nell'immediato interventi per la pubblica e privata incolumità e, per il futuro, cercare di recuperare la situazione di crisi con interventi sostanziali specie nella direzione della prevenzione. Dovrà essere valutata, tra l'altro, anche la possibilità del trasferimento dell'abitato.
Pertanto, di fronte a questo allarme da parte di organi ufficiali, istituzionali della regione Lazio, le note o le veline che trasmette la lobby degli imprenditori dovrebbero passare in secondo ordine. Questo è il motivo per cui avevamo chiesto la nomina di un commissario straordinario. Prendiamo atto, tuttavia, che è stata attivata la Protezione civile. Ci auguriamo che compia, celermente e senza sottovalutare il problema, tutti gli accertamenti del caso, perché non vorrei che ci trovassimo in presenza di un disastro annunciato.
Oggi affrontiamo tale questione in quest'aula, ma forse, tra qualche mese, sentiremo in televisione che è accaduto qualche cosa di gravissimo a Guidonia e a Tivoli Terme.

(Stato e gestione della ricostruzione nelle aree del Molise colpite dal terremoto del 2002 - n. 2-01735)

PRESIDENTE. L'onorevole Abbondanzieri ha facoltà di illustrare l'interpellanza Violante n. 2-01735 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6), di cui è cofirmataria.

MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, l'interrogazione è stata presentata in seguito alla visita dei membri della VIII Commissione della Camera dei deputati in Molise il 16 novembre scorso, con l'obiettivo di verificare la situazione in quella regione.
Tale visita si è dimostrata molto utile (è stato bene effettuarla!), poiché si è riscontrato che il processo di ricostruzione nella regione Molise, dopo la vicenda del terremoto del 31 ottobre e 1o novembre 2002, non procede bene: i ritardi sono molti e, per alcuni versi, anche incomprensibili. Noi, che abbiamo voluto che si riconfermasse il principio che il commissario


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straordinario fosse il presidente della regione, come lo sono stati tutti i presidenti di regione, in occasione delle calamità naturali, purtroppo, all'esame dei fatti, abbiamo costatato che quel commissario non è riuscito a fare in modo che la ricostruzione fosse uno dei primi problemi dell'agenda di quella regione.
Ci siamo trovati di fronte ad una ricostruzione che procedeva con gravissimo ritardo.
E, soprattutto, ci siamo trovati in una situazione che sarà complicato portare a conclusione, in quanto l'area del terremoto è stata molto allargata e ciò ha comportato una altissima stima del danno, con il rischio di non riuscire a trovare le risorse in tempo utile, visto che sono interessati quasi tutti i comuni della provincia di Campobasso.
Si tratta di un problema molto sentito in quelle zone in quanto si è posti tutti sullo stesso piano a fronte di una ristrettezza di risorse. Basta osservare i fondi attribuiti alla protezione civile per le calamità naturali, sia nel 2005 sia nel 2006, per comprendere che la vicenda del Molise rischia di rimanere in coda e di non godere delle risorse necessarie per consentire a breve la ricostruzione.
Colgo l'occasione per riconoscere che la sistemazione di una parte dei cittadini nei campi predisposti dalla protezione civile è dignitosa; si vede che la protezione civile ha svolto un lavoro importante.
Tuttavia, si sono adottate scelte sbagliate, i comuni interessati dalle ordinanze sono troppi e i soldi sono pochi. Del resto, il fondo destinato alla protezione civile quest'anno è di 26 milioni di euro, dunque, se non verrà notevolmente aumentato, non solo sarà inferiore a quello dell'anno scorso, ma sarà difficile fornire risposte ai territori del Molise e agli altri territori interessati dalle calamità naturali, comprese quelle di questi giorni. Sarà dunque difficile immaginare che le Marche e l'Umbria possano godere del completamento della ricostruzione a seguito delle vicende che le hanno interessate alcuni anni fa.
Chiediamo pertanto al Governo come valuti lo stato di ricostruzione delle aree colpite dal terremoto e ci aspettiamo che sia severo, come qualcun altro lo è stato quando si parlava di altre realtà. È una severità indispensabile, in quanto se non si è severi non ci si rimbocca le maniche e sembra che tutto vada bene, mentre così non è.
I dati non possono essere occultati e bisogna anche saper riconoscere le responsabilità quando vi sono; infatti, a volte, capire le responsabilità può servire ad accelerare i provvedimenti e, in questo caso, ad accelerare la ricostruzione.
La nostra visita in quelle zone è stata molto utile, ma è servita per registrare che in Molise siamo fortemente in ritardo. Tra l'altro, l'emozione derivante dai fatti di quei giorni ha fatto spendere anche troppe parole, in diversi casi esagerate. Sarebbe il caso che a quelle parole si affiancassero i fatti della ricostruzione, che si deve compiere in pochi anni e che deve consentire ai 14 comuni della cosiddetta «area del cratere» di vedere qualche risultato prima di interventi in altre realtà.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Gianfranco Conte, ha facoltà di rispondere.

GIANFRANCO CONTE, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Abbondanzieri, la quale dispone di informazioni che il Governo ancora non ha, perché gli esiti del sopralluogo effettuato dai componenti della Commissione ambiente della Camera non sono stati ancora trascritti in un verbale e dunque non conosciamo la valutazione della Commissione stessa, anche se, sulla base delle informazioni assunte dagli uffici, sembrerebbe che, al di là dei ritardi riscontrati nell'opera di ricostruzione, resti la sostanziale validità dell'impianto della gestione commissariale.
L'onorevole Abbondanzieri fa riferimento sia all'attività del commissario sia all'inadeguatezza delle disponibilità finanziarie.


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Il Governo si rende conto della necessità di intervenire sotto il profilo finanziario, e non è escluso che nell'ambito della legge finanziaria per il 2006 possano essere stanziate le somme necessarie per proseguire l'intervento di ricostruzione nel Molise.
Restando alle questioni sollevate relative all'attività del commissario, rilevo che per quanto riguarda il processo di ricostruzione a seguito del sisma dell'ottobre 2002, che ha interessato la regione Molise e la provincia di Foggia, è stata disposta il 5 e 6 ottobre 2005 dal comitato per il rientro nell'ordinario, istituito dal Dipartimento della protezione civile, una verifica in loco per acquisire dati relativi alle operazioni avviate dalla struttura commissariale e disporre di elementi informativi in merito all'attività di ricostruzione, in particolare attraverso un sopralluogo nel comune di San Giuliano di Puglia.
L'attività del commissario delegato si è concentrata a questo punto soprattutto sui comuni inseriti nel «cratere». Il commissario delegato, che è anche presidente della Regione, ha fatto presente al comitato per il rientro nell'ordinario che è stato formulato ed emanato il primo piano di finanziamento per le opere di edilizia privata, limitando gli interventi finanziari agli edifici di classe e priorità «A», vale a dire alle residenze abituali o relative alle attività produttive per le quali sia stata emanata un'ordinanza di sgombero totale all'interno dei 13 comuni del «cratere», con esclusione di San Giuliano di Puglia. Nelle more della ricostruzione, ai soggetti che rientrano nella categoria di priorità «A» e non in possesso di una sistemazione stabile viene tuttora corrisposta l'indennità di autonoma sistemazione, prevista dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3253 del 2002. Si sta provvedendo, inoltre, alla «microzonazione» sismica per poter realizzare un'opera di ricostruzione che tenga conto degli opportuni requisiti di miglioramento e adeguamento sismico. Per quanto riguarda il comune di San Giuliano di Puglia, sono stati predisposti e approvati una variante al piano regolatore generale e un piano di recupero del centro storico, secondo le vigenti procedure in materia sismica e urbanistica.
Con la pianificazione approvata e sulla base delle linee di indirizzo per la ricostruzione elaborate dal comitato tecnico-scientifico istituito dall'ordinanza n. 3279 del 2003 al fine di fornire un adeguato supporto tecnico al commissario delegato ed approvate con successivi decreti commissariali, è stato adottato il piano delle infrastrutture, nell'ambito del quale sono stati finanziati gli appalti in corso di competenza del soggetto attuatore, nominato ai sensi dell'articolo 3 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3375 del 10 settembre 2004.
È noto che i tempi e le procedure sono piuttosto lunghi, ma vi è stata comunque una evidente operazione di aggiornamento. In particolare, il soggetto attuatore, con le risorse finanziarie disponibili, ha potuto completare i primi lavori inerenti la bonifica dell'abitato, procedendo all'abbattimento degli edifici inagibili, allo sgombero delle macerie, agli sbancamenti delle aree di sedime e per nuove costruzioni, alla riparazione delle strade d'accesso ed alla riattivazione del campo sportivo.
Sempre da quanto verificato nel corso del predetto sopralluogo effettuato dal comitato di rientro nell'ordinario, per il comune di San Giuliano di Puglia sono in atto lavori per il ripristino di 30 unità immobiliari per le quali è stato concesso un contributo massimo di 20 mila euro per la riparazione funzionale, mentre altre 70 unità immobiliari sono già state riparate e risultano abitate; sono altresì in atto lavori per la realizzazione di otto comparti di edilizia residenziale, relativamente alla citata classe di priorità A, per l'esecuzione di vari progetti affidati al soggetto attuatore, per un importo complessivo pari a circa 24,5 milioni di euro, in ordine all'area della nuova scuola, al palazzo marchesale, al centro storico, alla Chiesa madre e ad alcuni comparti costituiti da immobili pubblici e privati, da spazi pubblici, da strade e da servizi di rete.


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Si sono infine avviati i lavori di completamento di 12 abitazioni da parte dell'Istituto autonomo case popolari, da assegnare a coppie di giovani sposi, per il quale il comitato di rientro nell'ordinario aveva sollecitato una assegnazione urgente di 300 mila euro da parte del Commissario delegato.
Per quanto riguarda gli altri comuni del cosiddetto «cratere» (Castellino del Biferno, Colletorto, Larino, Santa Croce di Magliano, Bonefro, Ripabottoni, Montelongo, Casacalenda, Montorio nei Frentani, Morrone del Sannio, Rotello, Ururi e Provvidenti), che, lo voglio ricordare, sono tutti comuni piuttosto piccoli, con pochi abitanti, ai sensi del decreto commissariale n. 52 del 2003, sono già stati effettuati, da parte dei progettisti incaricati dai privati, singolarmente o anche riuniti in apposito consorzi a seconda dei casi, i progetti preliminari e le perizie di stima, in particolare per quanto riguarda le priorità A sopramenzionate.
Con il decreto commissariale n. 34 del 2005, con cui sono state approvate le direttive tecniche relative alla microzonazione sismica preliminare e provvisoria, sono stati messi a disposizione dei predetti comuni, elementi tecnici preliminari necessari per la ricostruzione con gli opportuni requisiti di miglioramento e di adeguamento sismico.
Comunque, l'avvio della ricostruzione nei comuni del cratere è subordinato all'assegnazione dei fondi stanziati dalla legge n. 311 del 30 dicembre 2004 (legge finanziaria per il 2005), mentre nelle more della ricostruzione, ai soggetti che rientrano nella categoria di priorità A e tuttora non in possesso di sistemazione stabile, viene corrisposta comunque l'indennità di autonoma sistemazione prevista appunto dalla predetta ordinanza n. 3253 della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Inoltre, per favorire il rientro nelle abitazioni danneggiate, negli edifici adibiti a strutture scolastiche e negli immobili agricoli, sono stati finanziati, rispettivamente, interventi per importi fino a 20 mila, 70 mila e 150 mila euro.
Ulteriori elementi verranno naturalmente acquisiti, proprio in seguito alla visita del 16 novembre scorso della Commissione VIII ambiente, ma confermiamo qui l'assoluto interesse e la disponibilità del Governo a procedere anche sulla strada di ulteriori finanziamenti per la regione Molise.

PRESIDENTE. L'onorevole Abbondanzieri ha facoltà di replicare.

MARISA ABBONDANZIERI. Signor Presidente, in questa circostanza non bastano le parole «soddisfatto» o «insoddisfatto» per esprimere una convinzione... anche se so bene che esse hanno un valore.
Ringrazio il sottosegretario, onorevole Conte, e mi limiterò soltanto ad alcune considerazioni.
Signor sottosegretario, credo che non le sia sfuggito che la vicenda della regione Molise abbia, alla fine, fatto emergere l'esigenza di tre commissari. Il presidente della regione è commissario; c'è un commissario speciale per il comune di San Giuliano di Puglia ed, infine, un comitato per il rientro ordinario, nominato dalla protezione civile, che opera in condizioni semicommissariali. Sarebbero sufficienti questi tre elementi citati per comprendere qual è l'ambito nel quale si è lavorato e quali sono stati i problemi che si sono posti.
Anche se il commissario delegato per il Molise non ha fatto al meglio il suo dovere, noi non abbandoneremo l'idea che il commissario straordinario per le calamità naturali debba essere il presidente della regione. Non è questo il problema. I tre commissari stanno semplicemente a dimostrare che lì le difficoltà ci sono state e che, evidentemente, via via qualcuno ha dovuto prendere provvedimenti e procedere, di fatto, alla nomina di tre commissari.
La questione del comune di San Giuliano di Puglia è stata estrapolata dall'intera vicenda. La finanziaria dell'anno scorso, la legge n. 311, destinava, con dicitura propria, una percentuale dei fondi


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disponibili a quel comune. Questo per noi va bene e non abbiamo nulla da eccepire. Di fatto, il comune di San Giuliano di Puglia ha avviato la ricostruzione: il paese è chiuso e sono aperti diversi cantieri (quello della chiesa, del municipio e quello relativo ad alcune abitazioni). Sappiamo bene che aver scelto la strada dei comparti, ovvero quella di un piano integrato di più abitazioni con tutti gli annessi e connessi, anche pubblici, comporta tempi più lunghi. Ciò lo sappiamo; infatti, non è nostra intenzione speculare su tale vicenda. Il problema è che negli altri comuni colpiti dal terremoto, pur in presenza di situazioni diverse, si è molto indietro. Quella di San Giuliano di Puglia è poi una situazione triste e molto delicata che ci auguriamo possa migliorare nel 2006.
Signor sottosegretario, non le sarà sfuggito, altresì, che gran parte dei provvedimenti operativi sono del 2005. È sufficiente questo per affermare che siamo di fronte ad un ritardo. Questo, comunque, lo avevamo già detto e a conferma di ciò è sufficiente confrontare le date.
Quello relativo alle risorse per il 2005 è un problema serio perché le risorse stanziate con la legge finanziaria sono, a nostro avviso, poche. Conseguentemente, quando tali risorse saranno destinate a San Giuliano di Puglia e ai comuni dell'area colpita dal terremoto si vedrà che le graduatorie non scorreranno. E quando le graduatorie non scorrono, il malessere tra le popolazioni cresce così come crescono le difficoltà di gestire i problemi a causa di sospetti, incomprensioni e quant'altro. Maggiori sono le risorse disponibili, più le graduatorie scorrono e più si va avanti. Resta fermo, comunque, che rimboccarsi le maniche spetterà anche ai molisani. Ciò lo trovo giusto anche perché di fronte alle difficoltà non si può pensare che a farlo siano gli altri. Questo toccherà sia agli amministratori sia anche ai cittadini di quei comuni.
Il sottosegretario Gianfranco Conte nella sua risposta ha fatto riferimento alle priorità di cui alla cosiddetta fascia A. Le rammento che quelle priorità, salvo che io non abbia capito o che la cosa ancora non sia stata definita, riguardano, e ciò l'abbiamo già detto, tutti quei comuni. Più precisamente, un cittadino si può trovare inserito nella fascia A sebbene abiti a 20 chilometri dal comune di San Giuliano di Puglia e al di fuori dell'area del cosiddetto cratere. Può anche accadere che si occupi un posto in graduatoria basso pur facendo parte dei comuni del cratere e non essere inserito nella fascia A, ma avere ugualmente la casa inagibile e, conseguentemente, averla abbandonata. Da qui la necessità che la regione Molise proceda ad un'ulteriore suddivisione all'interno della fascia A, distinguendo tra i comuni facenti parte del cratere e gli altri comuni colpiti dal terremoto.
Un'ultima questione. I fondi relativi al 2006, quelli previsti dalla legge finanziaria, sono pochi e insufficienti.
Vogliamo avere l'ambizione di pensare che la visita della VIII Commissione - tutta: maggioranza e minoranza - possa produrre nel Governo la convinzione che quel fondo va aumentato, rimpinguato, notevolmente accresciuto, in maniera tale che anche il Molise ed i molisani possano pensare di ricevere risorse dignitose e decenti, in considerazione del fatto che le calamità naturali sono comunque molteplici e riguardano, purtroppo, tutto il paese.
Comunque, la ringrazio, signor sottosegretario.

(Compatibilità di una legge della regione Veneto con la disciplina comunitaria e nazionale in materia di caccia - n. 2-01700)

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01700 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, la mia interpellanza riguarda una legge della regione Veneto, la n. 13 del 2005, che ha consentito la caccia a sette specie di uccelli protetti dalla direttiva 409/79/CEE


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e dalla legge n. 157 del 1992 (peppola, fringuello, passero, mattugia, storno, tortora dal collare e cormorano) per un arco di 5 anni (ovvero dal 2005 al 2010), in tutte le forme di caccia, quali appostamento temporaneo, appostamento fisso e vagante. Ciò riguarda ben 159 milioni di uccelli, per 5 giorni la settimana, senza alcun controllo aggiuntivo!
La legge in parola è stata dichiarata in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale dall'INFS (Istituto nazionale fauna selvatica), che, con una circolare indirizzata alla Lega abolizione caccia del Veneto del 15 settembre 2005, avente ad oggetto «applicazione del regime di caccia in deroga, ai sensi della direttiva n. 79/409/CEE, articolo 9, e della legge regionale del Veneto n. 13 del 2005», ha evidenziato (e interpello al riguardo il Governo): che non sono rispettate le piccole quantità di uccelli cacciabili in deroga, previsione che costituisce, appunto, una delle condizioni stabilite dalla normativa europea, concordata, tra l'altro, anche a livello nazionale; che il periodo di caccia è troppo lungo; che i controlli sono insufficienti (se le condizioni sono stringenti, ci deve essere, ovviamente, un controllo); che gli uccelli abbattuti vanno registrati sul tesserino subito e non a fine giornata, proprio per consentire controlli più ravvicinati; che non vengono rispettate le condizioni per le deroghe previste dalla direttiva «Uccelli»; che manca il benestare dell'autorità, cioè dello stesso INFS, come previsto dall'articolo 9 della direttiva citata.
Le palesi violazioni della legge n. 13 del 2005 alla direttiva 409/79/CEE ed alla legge nazionale sono già state evidenziate e documentate dettagliatamente ai ministri in indirizzo con ricorsi presentati dalla LAC (Lega abolizione caccia), sezione del Veneto, che ha chiesto espressamente al Governo italiano di attivarsi per l'annullamento della legge regionale, come prevede la legge. Pertanto, ribadiamo la richiesta al Governo di farsi parte attiva affinché venga assolutamente annullata la legge regionale citata.
Peraltro, la Commissione europea ha inviato all'Italia, in data 18 ottobre 2005, una lettera di messa in mora con riferimento al reclamo presentato dalla Lega abolizione caccia, relativo alla normativa della regione Veneto in materia di prelievo in deroga ai sensi della direttiva già più volte citata. La Commissione ha contestato all'Italia il fatto che la regione Veneto abbia approvato una legge sulle deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici che non rispetta i principi e le condizioni stabiliti dall'articolo 9 - di cui, ahimè, ho tanto parlato in quest'aula, proprio quando è stata approvata la legge generale sulle deroghe - della direttiva 409/79/CEE.
Chiedo, dunque, che si proceda per porre al riparo l'Italia da ulteriori brutte figure e i cittadini dal dover finanziare le sanzioni che siamo costretti a pagare per la cialtroneria normativa di certe nostre regioni.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Conte, ha facoltà di rispondere.

GIANFRANCO CONTE, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevole Zanella, la legge regionale n. 13 del 2005, recante la disciplina del regime di deroga previsto dall'articolo 9 della direttiva 409/79/CEE del Consiglio del 2 aprile del 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221, ad integrazione della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna selvatica e del prelievo venatorio, in attuazione dell'articolo 9 della direttiva comunitaria 79/409/CEE, è stata esaminata dal Governo il 5 ottobre 2005.
In quella seduta, il Consiglio dei ministri, nonostante la proposta di impugnativa formulata dal ministro degli affari regionali, che giudica tale legge censurabile, in quanto non rispetta i presupposti richiesti dalle disposizioni nazionali e comunitarie (la legge n. 221 del 2002, l'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE), legge che, peraltro, consente il prelievo venatorio in regime di deroga nei confronti delle specie di avifauna,


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non menzionando, in particolare, i danni che esse recano alla coltura e alla pesca nelle località ove tali danni potrebbero verificarsi, ne ha deliberato la non impugnazione.
Il ministro dell'ambiente e del territorio, cui era stato chiesto di esprimersi circa la legittimità delle citate norme regionali, non ha fatto pervenire alcun parere in merito.
Il ministro delle politiche agricole e forestali ha inviato, invece, al Dipartimento degli affari regionali una nota con la quale ha comunicato di non avere osservazioni da formulare tali da giustificare un'impugnativa della legge in questione dinanzi alla Corte costituzionale.
Immagino che l'onorevole Zanella non sarà soddisfatta della risposta, ma è quanto allo stato abbiamo agli atti.

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella, che raramente è soddisfatta, ha facoltà di replicare...

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, sono scandalizzata dalla risposta del Governo che, evidentemente, non legge le normative europee e, soprattutto, non tiene in considerazione lo stato di disagio in cui versano i cacciatori.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARIO CLEMENTE MASTELLA (ore 11,40)

LUANA ZANELLA. Vorrei citarle una sentenza del tribunale di Verona dell'8 marzo scorso (la n. 26 del 2005), che è stata resa pubblica prima ancora che formulassi interpellanza, altrimenti l'avrei citata.
È stato condannato un cacciatore di Selva di Pronio, in provincia di Verona, grazie alla normativa approvata dal consiglio regionale del Veneto, ad una pena di 800 euro e al pagamento delle spese processuali per avere abbattuto otto fringuelli (specie cacciabile in deroga), cioè per avere commesso il reato previsto dall'articolo 30, lettera h) della legge n. 157 del 1992, relativamente all'abbattimento delle specie protette.
Tale cacciatore era stato denunciato da un agente venatorio dell'amministrazione provinciale di Verona che aveva proceduto al sequestro dei fringuelli e del fucile da caccia. Non le racconterò ora tutti i particolari che possono anche essere poco rilevanti; sta di fatto che la sentenza conferma che la normativa sulla caccia in deroga, approvata in Veneto già dal 2002, non mette nemmeno al riparo i 55 mila cacciatori veneti dalle sanzioni penali previste per chi abbatte specie di uccelli protetti, anche se cacciabili in deroga.
A questo proposito è stata emessa una sentenza dove si afferma: «È inammissibile che una legge regionale degradi ad illecito amministrativo una condotta che in altre parti del territorio nazionale continua ad essere repressa penalmente». Si tratta delle stesse osservazioni che, inascoltati, i Verdi hanno proposto tutte le volte che vi è stata occasione sia in Commissione che in Assemblea, sia alla Camera che al Senato, di dibattere questo tema.
A fronte anche del contenzioso giudiziario di cui sopra e della messa in mora, il Governo con la risposta che lei gentilmente ha reso e che non attribuisco a lei personalmente (se non nel senso che, in solido lei è ovviamente responsabile di ciò che afferma il Governo), non dà segno di voler recepire: si tratta di multe molto pesanti che tutta la nostra popolazione dovrà contribuire a pagare e soprattutto di figure «barbine» che facciamo a livello europeo.
La risposta del Governo non mi soddisfa, mi indigna e non mi meraviglia: putroppo, mi sarei quasi meravigliata del contrario!

(Presunto utilizzo del fosforo bianco durante le battaglie del 2003 a Nassiriya - n. 2-01738)

PRESIDENTE. L'onorevole Minniti ha facoltà di illustrare l'interpellanza Violante


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n. 2-01738 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 8), di cui è cofirmatario.

MARCO MINNITI. Signor Presidente, rinunzio ad illustrarla e mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, onorevole Berselli, ha facoltà di rispondere.

FILIPPO BERSELLI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, l'interpellanza in esame, in premessa alla questione sollevata, rinnova dubbi e riserve riguardo alle motivazioni e, più in generale, all'intervento della forza multinazionale in Iraq.
Rispetto a tale premessa, mi preme qui svolgere alcune considerazioni preliminari.
In primo luogo, ribadisco ancora una volta, come già feci la settimana scorsa rispondendo ad un'altra interpellanza urgente, come sin dall'inizio della crisi irachena sia stato notevole l'impegno del Governo - a tutti livelli e in tutti gli ambiti internazionali - ai fini della ricerca di soluzioni che potessero scongiurare il ricorso alla forza.
L'Italia ha fatto quanto poteva per evitare il conflitto e poi - lo ribadisco e lo ricordo - , non ha partecipato al conflitto medesimo.
Soltanto dopo la cessazione delle ostilità e la presa di coscienza dell'importanza di partecipare alla stabilizzazione dell'Iraq, il Parlamento, in data 15 aprile 2003, ha approvato l'invio di un contingente militare.
Quegli atti di indirizzo parlamentare hanno rappresentato il formale assenso ed il principio fondante della nostra missione, che vede l'Italia operare su mandato delle Nazioni Unite. Queste, recentemente, hanno approvato all'unanimità la risoluzione n. 1637, che prolunga l'intervento della forza multinazionale in Iraq fino al 31 dicembre 2006.
In questo quadro sono stati conseguiti importanti risultati e sono visibili gli straordinari, ancorché faticosi, passaggi della riconquista, da parte del popolo iracheno, della propria libertà e della propria democrazia, secondo il calendario delineato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come ribadito dal Segretario generale Kofi Annan in visita a Baghdad il 12 novembre scorso, confermando, inoltre, che le Nazioni Unite sosterranno ogni iniziativa volta a riportare stabilità e pace nel paese.
In questo quadro, l'organizzazione del nostro contingente nell'ambito della forza multinazionale prevede, da un lato, un elevato grado di collaborazione dei comandi, dall'altro, un significativo livello di responsabilità dei singoli contingenti in ciascuna area assegnata, che, per il nostro contingente coincide con la provincia irachena di Dhi Qar, nella regione meridionale dell'Iraq.
La catena di comando e controllo vede il Capo di stato maggiore della difesa mantenere il comando operativo delle forze nazionali rese disponibili alla coalizione e un rappresentante nazionale presso il comando della coalizione a Baghdad.
Il comando divisionale britannico, con sede a Bassora, esercita il controllo operativo in tutta la regione meridionale, con funzioni di coordinamento organizzativo ed operativo fra le forze dei vari contingenti internazionali.
Il comandante nazionale del contingente, destinato a Bassora presso il comando divisionale britannico, assicura l'unitarietà di comando su tutte le forze nazionali e, contemporaneamente, ha lo specifico compito di verificare che esse siano impiegate nel rispetto del regime di deleghe in atto, cioè esclusivamente per il soddisfacimento della missione assegnata e per quelle capacità operative approvate dalla autorità di Governo a cui risalgono le decisioni per eventuali deroghe o impieghi diversi.
Naturalmente, il rapporto funzionale, proprio della catena di comando, è stato posto in essere con continuità e con efficacia solo a partire dal giugno 2003, dall'arrivo cioè del nostro contingente in teatro.


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L'impiego effettivo delle forze è stabilito sulla base della direttiva ministeriale e del conseguente ordine di operazioni che è comprensivo delle cosiddette regole di ingaggio, la cui applicazione, nel tempo e in funzione del contesto operativo, risale alla discrezionalità tecnico-operativa della catena di comando.
Tali regole di ingaggio precisano che l'uso della forza deve essere esercitato in relazione alle circostanze, secondo i ben noti criteri della necessità dell'azione e della proporzionalità della risposta, con specifico riferimento a quanto previsto dal diritto umanitario.
Ricordo, altresì, che i membri del contingente italiano in Iraq, per espressa scelta di questo Governo e del Parlamento, sono soggetti ai precetti del codice penale militare di guerra, che sanzionano con specifiche ed aggiornate disposizioni ogni fatto che possa essere qualificato come contrario alle norme e agli usi di guerra e assicurano il massimo livello di coesione e subordinazione militare agli atti sopra ricordati.
Al riguardo, conforta considerare come il comportamento dei nostri militari in Iraq si è comunque sempre ed in modo coerente manifestato pienamente conforme alle norme del diritto internazionale e segnatamente del diritto internazionale umanitario.
Venendo ora agli asseriti episodi di uso di fosforo bianco da parte delle truppe americane a Nassiriya, essi sarebbero avvenuti, secondo gli stessi interpellanti, all'epoca dell'avanzata delle forze statunitensi da sud a nord, verso Baghdad.
Dunque, si tratta di un episodio che, secondo i medesimi interpellanti, sarebbe occorso due mesi prima, e non dopo l'arrivo del nostro contingente militare in Iraq, e di cui il nostro Governo non ha ricevuto notizia alcuna, né allora, né dopo, né dal comando alleato, né da altre fonti, né si ha altresì contezza di elementi che possano confermare sia la presenza di tracce di fosforo bianco nelle abitazioni di Nassiriya, sia il ricovero di civili negli ospedali riconducibili alla medesima ipotesi.
In particolare, da ricerche effettuate presso il complesso sanitario campale di Tallil, non risultano essere stati trattati casi clinici riconducibili ad ustioni da sostanze chimiche. Inoltre, non risulta che alcuno degli oltre seicento - ripeto: seicento - tra giornalisti e cineoperatori delle più svariate testate giornalistiche e televisive nazionali, di qualsiasi orientamento politico - la maggior parte, peraltro, ospitata presso il nostro contingente, e quindi direttamente coinvolta in tutte le operazioni quotidiane delle nostre unità -, abbia mai lamentato - onorevole Minniti, le sottolineo: abbia mai lamentato -, episodi riferibili ai fatti citati nell'atto di sindacato ispettivo in esame.
A tal riguardo, dobbiamo anche rimarcare come, negli stessi contatti quotidiani tra il nostro contingente e le autorità locali della provincia di Dhi Qar - con le quali, tra l'altro, è stato firmato un protocollo d'intesa relativo alle scelte di fondo alla base delle attività civili che i soldati pongono in essere -, non è mai stato fatto cenno dell'uso di armi chimiche da parte dei militari della coalizione.
D'altra parte, come già puntualizzato in questa Assemblea il 17 novembre ultimo scorso, in risposta alle interpellanze concernenti l'uso improprio di fosforo bianco a Falluja, il Governo, se fosse stato in qualche modo informato, o portato a conoscenza, o avesse riscontrato direttamente l'impiego di armi proibite, non avrebbe esitato ad intraprendere le iniziative dovute: ci si riferisce ad interventi a livello internazionale e diplomatico, sul piano multilaterale e bilaterale.
Basti ricordare che, qualora il comandante del contingente venga a conoscenza del verificarsi di un crimine contro l'umanità o di guerra, la cui competenza è attribuita alla Corte penale internazionale, sulla base delle prescrizioni contenute nella direttiva operativa nazionale per l'operazione Antica Babilonia, egli deve - onorevole Minniti: deve! - informare l'autorità giudiziaria militare italiana per il successivo interessamento dell'ufficio del


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procuratore presso la stessa Corte penale internazionale. Non «può», onorevole Minniti: «deve» informare!
In tale ottica, per fare un significativo esempio - che mi sembra calzi alla fattispecie rappresentata -, va inquadrata l'iniziativa assunta proprio dal comandante del contingente nazionale, il quale, nell'agosto del 2004 - come ricorderà l'onorevole Minniti -, informò il comitato della Croce Rossa internazionale delle ripetute violazioni del diritto umanitario da parte dei miliziani iracheni. Naturalmente, trattandosi di missione coperta da molteplici espliciti disposti delle Nazioni Unite (ricordo, a tal fine, le risoluzioni nn. 1483, 1511 e 1637), è anche proprio a quell'ambito che dovrebbe essere ricondotto l'approfondimento delle questioni qui richiamate.
A tale riguardo, giova ricordare che l'articolo 34, capitolo VI, della Carta delle Nazioni Unite prescrive che il Consiglio di sicurezza possa «(...) fare indagini su qualsiasi controversia o su qualsiasi situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar luogo ad una controversia, allo scopo di determinare se la continuazione della controversia o della situazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (...)». In altre parole, il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha la facoltà di svolgere azioni che vanno da quella della missione di accertamento dei fatti a quella, più «intrusiva», della commissione di inchiesta.
È opportuno tenere presente che il Consiglio di sicurezza può interessarsi unicamente di questioni che possono avere conseguenze per la pace e per la sicurezza internazionali, restando esclusa la possibilità di istituire commissioni di inchiesta riguardanti fatti di esclusiva competenza interna di uno Stato.
Sul piano bilaterale, poi, è opportuno rammentare che le autorità statunitensi, a seguito degli interventi riguardanti il presunto uso del fosforo bianco su Falluja, hanno comunicato, per il tramite dell'ambasciata americana a Roma, testualmente, che: «(...) le Forze statunitensi che partecipano alla Coalizione dell'Operazione "Iraq Freedom" continuano ad usare l'intera gamma di armamenti legali e convenzionali contro obiettivi legittimi (...)». Dal punto di vista della legittimità, la Convenzione di Parigi, ossia la Chemical Weapons Convention, firmata nel 1993 e già ratificata da 175 Stati Parte, compresa l'Italia, proibisce di sviluppare, produrre o impiegare armi chimiche in qualsiasi circostanza. Come già ebbi occasione di ricordare in occasione della precedente risposta ad altra interpellanza, il fosforo bianco, «unitamente agli esplosivi convenzionali ed ai prodotti petroliferi», non è compreso tra le sostanze chimiche tossiche vietate dalla Convenzione.
Per quanto attiene al settore delle armi convenzionali, la definizione di «armi incendiarie» adottata dal Protocollo III della Convenzione del 1980, peraltro non ratificato dagli Stati Uniti, sulla proibizione o restrizione dell'uso di alcune armi convenzionali i cui effetti possono essere indiscriminati od eccessivamente nocivi, il Carrying Concealed Weapons, non sembra includere le munizioni che producono effetti incendiari solo in via incidentale, quali, ad esempio, i sistemi illuminanti, traccianti, fumogeni o di segnalazione (qualora siano utilizzati per tali specifici scopi, aggiungo).
Il Governo coglie questa occasione, in rispetto del Parlamento e dei propri principi di trasparenza, per rilevare che il contingente nazionale in Iraq non è in possesso di alcun tipo di munizionamento al fosforo - ripeto, non è in possesso di alcun tipo di munizionamento al fosforo - tale da produrre conseguenze sulle persone ed effetti inquinanti durevoli sull'ambiente. Sono in dotazione ai reparti bombe illuminanti per mortaio e proiettili nebbiogeni che contengono fosforo, la cui esclusiva destinazione - ripeto, la cui esclusiva destinazione - è l'illuminazione o l'annebbiamento dell'ambiente operativo di riferimento.
A questo proposito, con riferimento ad alcuni articoli di giornale dei giorni scorsi, riguardanti il possesso e/o l'approvvigionamento di manufatti contenenti fosforo


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bianco da parte delle nostre Forze armate, voglio precisare che esse utilizzano il fosforo bianco alla stregua della totalità delle Forze armate di altri paesi, per scopi di «illuminazione», vale a dire per indicare a distanza obiettivi di difficile individuazione; per scopi «fumogeni», per la realizzazione di cortine e concentramenti nebbiogeni allo scopo di occultare le forze amiche all'osservazione del nemico; con scopi di «contromisura» contro missili a ricerca di calore per i vettori aerei ed, in ultimo, con finalità di «tracciamento» per le armi portatili e di reparto per l'aggiustamento del tiro; dunque, non per gli scopi prospettati dall'interpellanza in esame.
Infatti, le procedure operative per l'impiego delle armi portatili e di reparto prevedono di intervallare alcune cartucce «traccianti», ossia che hanno sul fondo del proiettile la necessaria quantità di fosforo che evidenzia una traccia per verificare la destinazione dei colpi e procedere all'aggiustamento del tiro selettivo, necessario per precludere effetti indesiderati del fuoco.
Tale impiego è assolutamente conforme ai dettami delle norme del diritto internazionale.
Quanto all'aspetto sollevato dagli onorevoli interpellanti relativo ai rischi che possono correre la popolazione civile e le nostre truppe, con riferimento alla presenza di dette sostanze tossiche nell'area di Dhi Qar, devo ribadire che non si dispone di dati riferibili, oltre che all'uso, come già detto, anche alla presenza o persistenza in loco di fosforo bianco.
Al riguardo, desidero richiamare all'attenzione dell'Assemblea la grande importanza che la Difesa annette alla verifica delle condizioni ambientali nei teatri in cui operano i nostri contingenti. Ciò, principalmente, ai fini della tutela della salute dei nostri uomini e delle popolazioni locali.
Anche in Iraq, prima dell'arrivo del contingente italiano, è stato inviato un team ricognitivo a livello strategico-operativo, al fine di verificare le reali condizioni dell'area di responsabilità assegnata, definire esigenze e possibilità di supporto logistico e stabilire i necessari collegamenti con i comandanti multinazionali.
A tale attività è seguita una ricognizione tattica condotta dai comandanti ai vari livelli per la verifica dei dettagli di carattere operativo, tecnico e logistico. Il complesso di tali attività preliminari ed i monitoraggi che la componente NBC operante nell'ambito del contingente italiano svolge con continuità per la sicurezza del personale militare e della popolazione locale (quindi, non soltanto del nostro contingente) hanno confermato l'assenza di rischi del tipo evocato nella zona di competenza.
In particolare, la citata componente, nell'ambito delle misure di protezione nucleare batteriologica e chimica, ha il compito di verificare l'assenza di aggressivi chimici e/o di anomali livelli di radioattività nelle aree di responsabilità, nonché di delimitare eventuali aree contaminate e di effettuare la decontaminazione di emergenza di persone, mezzi e materiali interessati da aggressivi chimici e radiologici.
Tale componente, peraltro, è stata potenziata con l'acquisizione di recentissime e sofisticate tecnologie, nonché di specifici veicoli blindati da ricognizione idonei a muoversi in sicurezza in ambiente contaminato, a rilevare ed identificare composti sia liquidi sia in forma di vapore, a segnalare l'entrata e l'uscita da zone contaminate, ad effettuare il prelievo di campioni e a comunicare ai reparti, in tempo reale, le aree a rischio di contaminazione.
Più in generale, l'attenzione a questo aspetto della nostra presenza in quel teatro si manifesta con le numerose e significative attività svolte dal contingente italiano proprio a favore della popolazione locale, nel campo del sostegno umanitario in genere e nel settore igienico-sanitario in particolare, come è stato personalmente confermato, in occasione di una visita effettuata la settimana scorsa a Camp Mittica, dal generale Ranucci e dallo stesso presidente della provincia cui fa riferimento Nassiriya.
Mi riferisco all'assunzione di manovalanza locale per la pulizia delle strade, alla


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redazione di piani sanitari in supporto alle strutture ospedaliere locali (fornitura di medicinali, attrezzature sanitarie e potabilizzatori), all'assistenza sanitaria specialistica a favore della popolazione, alla medicina preventiva presso le scuole, al supporto alla cooperazione italiana del Ministero degli affari esteri per interventi nei settori agricolo e dell'istruzione.
Ricordo, inoltre, che nel 2004, solo nel settore sanitario, sono stati conclusi 58 progetti che hanno comportato l'impegno di fondi CERP (Commanders emergency response programme) messi a disposizione della divisione multinazionale a guida britannica ed altri interventi finanziati con fondi esclusivamente nazionali, tra cui l'acquisto di medicinali e di strutture sanitarie.
Vale, infine, la pena di ricordare l'azione complessiva dell'Italia negli ambiti multilaterali per il disarmo chimico.
Il nostro paese, che ha dato piena e puntuale attuazione alla ricordata Convenzione di Parigi, si è impegnato anche per incoraggiare l'universalizzazione della Convenzione stessa, ricercando l'adesione dei 18 paesi che non l'hanno tuttora ratificata.
In tale ottica, l'Italia sostiene le iniziative dell'Unione europea e della stessa Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche.
L'impegno nel campo della non proliferazione e del disarmo è un obiettivo prioritario dell'azione italiana di politica estera che, negli ultimi anni, ha intensificato la propria azione in tutti i fori multilaterali: Unione europea, G8, Nazioni Unite e Conferenza del disarmo.
In conclusione, ribadisco quindi con fermezza, affinché nessuna ombra di reticenza o di complicità, diretta o indiretta, possa ricadere sull'Italia, che il Governo non solo non è a conoscenza del presunto impiego improprio del fosforo bianco a Nassiriya da parte degli alleati, ma è fortemente impegnato sia in quel teatro, sia in tutti gli altri, per quello specifico aspetto e per l'intera materia della proibizione di armamenti chimici, vale a dire nel più generale campo della non proliferazione e del disarmo in tutti i settori nucleare, chimico e batteriologico ed in tutti i fori multilaterali: Unione europea, G8, Nazioni Unite e Conferenza del disarmo.
Con la stessa convinzione, respingiamo, ancora una volta, qualunque ricerca di strumentalizzazione di quelle vicende per mettere in dubbio la nostra presenza in una operazione di pace voluta dalle Nazioni Unite.

PRESIDENTE. L'onorevole Minniti ha facoltà di replicare.

MARCO MINNITI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la cortesia e per l'ampiezza della risposta che ha voluto dare alla nostra interpellanza urgente. Tuttavia, mi pare evidente che non posso essere soddisfatto. Il Governo ha eluso il cuore delle questioni che abbiamo posto all'attenzione di quest'Assemblea e una valutazione esplicita di un'iniziativa da parte del Governo.
Siamo tornati su tale questione, nel giro di una settimana, perché non le sfugge, onorevole sottosegretario, che vi è stato un elemento di novità significativo, registrato dalla testimonianza di un giornalista embedded, Adam Maynot, il quale ha raccontato che, nel corso dell'avanzata su Nassiriya, è stato utilizzato il fosforo bianco.
Mi consenta di richiamare rapidamente alcune delle frasi dallo stesso riportate e che descrivono uno scenario particolarmente grave, che io definirei angosciante: «Siamo a Nassiriya. Le truppe statunitensi utilizzano il fosforo bianco. Le persone che si trovano nei pressi del luogo in cui è avvenuto l'attacco sono state curate negli ospedali della zona. La loro pelle cadeva a brandelli. Le ferite erano molto particolari, perché la pelle delle braccia e delle gambe era completamente bruciata. Ho visto un uomo che ha perso completamente la pelle del viso. Hanno colpito un palazzo lontano dagli obiettivi militari e dalla raffineria. Non riuscivano a ricordare i dettagli precisi, ma coloro che sono stati colpiti si sentivano sicuri, perché lontani dagli obiettivi militari».


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Adam Maynot è un giornalista embedded e lei sa, onorevole sottosegretario, che per avere quella qualifica si è sottoposti ad un particolare vaglio dal punto di vista della credibilità e, soprattutto, dell'affidabilità per le forze armate statunitensi.
Questa testimonianza ci dice sostanzialmente due cose. La prima è che l'uso del fosforo bianco non avviene soltanto a Falluja, cioè di fronte ad una situazione definita come straordinaria. Esso avviene già prima di Falluja e, in qualche modo, è un uso pianificato. Il fatto che si ripeta nel tempo, infatti, significa che si tratta di uno strumento pianificato nelle azioni di attacco dell'esercito statunitense in Iraq. Questa è una novità importante e straordinaria della quale il Governo italiano non può non tenere conto.
La seconda è che noi ci troviamo di fronte ad un uso del fosforo bianco in palese violazione dei trattati e delle convenzioni internazionali. Come lei, signor sottosegretario, ha giustamente richiamato, l'uso del fosforo bianco è previsto per quanto riguarda l'illuminazione o l'offuscamento del campo di battaglia con i proiettili traccianti, ma è assolutamente vietato che possa essere utilizzato contro i civili.
Noi abbiamo l'ammissione esplicita da parte dell'amministrazione americana di aver utilizzato il fosforo bianco a Falluja. Ed oggi abbiamo questa testimonianza particolarmente precisa. Si pone dunque una grande questione, che non solleviamo in maniera strumentale - vorrei che ciò fosse evidente al sottosegretario ed al Governo -, bensì perché siamo preoccupati di quello che sta avvenendo. Dietro questa vicenda c'è un grande tema: la possibilità di conciliare etica e guerra. Ma questa è cosa difficilissima, perché lei sa, signor sottosegretario, che nelle convenzioni internazionali l'uomo si è cimentato sul principio che ci dovesse essere un uso proporzionato della forza, e l'Italia ha ancorato qualunque sua partecipazione ad attività internazionali a questi principi, come lei giustamente oggi ha ricordato.
Allora, la questione che pongo e sulla quale lei, onorevole sottosegretario, è stato particolarmente elusivo, è che non possiamo stare a guardare quello che avviene in teatri operativi, dove siamo direttamente presenti. Qui si pongono due questioni. La prima è che un paese come l'Italia, così impegnato in missioni all'estero e così impegnato anche nel teatro iracheno, non può essere il paese che non sa mai nulla! Non sa nulla su Falluja! Non sa nulla su Nassiriya! Ci limitiamo soltanto a ripetere quello che ci viene detto da testimoni non meglio precisati. Dobbiamo valutare le fonti di stampa. Non abbiamo comunicazioni dirette. Sinceramente penso che ciò non risponda al ruolo e all'impegno che il nostro paese sta mettendo in Iraq. Lei sa, onorevole sottosegretario, che noi eravamo, e siamo, contrari a quella missione. Tuttavia non c'è dubbio che un contingente di 3000 uomini, che è lì presente ormai da tre anni, dovrebbe avere voce in capitolo per chiedere di più.
La seconda questione che si pone è la seguente. Non le sembra giunto il momento, onorevole sottosegretario, che un Governo come quello italiano, che ha firmato le convenzioni internazionali di cui lei parlava, come la convenzione internazionale di Parigi, e che è presente nel teatro iracheno insieme ad altri paesi alleati, debba oggi esplicitamente fare un passo politico, diplomatico, di Governo, lanciando in sostanza un'avvertenza all'amministrazione statunitense, dicendo che quello che è accaduto non può più accadere e che il nostro paese non accetterà mai e poi mai che in teatri dove operano truppe italiane possano essere utilizzati, al di fuori delle convenzioni internazionali di cui siamo firmatari, strumenti di guerra, che appunto violino quelle convenzioni?
Non c'è dubbio, signor sottosegretario, che è importante che le truppe italiane non utilizzino il fosforo bianco. È importante quello che lei ci ha detto qui. Tuttavia ciò, però, non è sufficiente. Il fatto di non utilizzare da parte nostra il fosforo bianco, non significa che non si debba pretendere che nei teatri dove siamo presenti non si utilizzino quelle armi. Di


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fronte a quanto avvenuto a Falluja e di fronte alle testimonianze su Nassiriya dell'aprile del 2003, penso che il Governo italiano debba assumersi la responsabilità ed insieme debba avere il coraggio e l'autorevolezza politica per fare questo passo: dire con chiarezza che non accettiamo, né accetteremo mai e poi mai, che dove siamo presenti noi quegli strumenti di guerra vengano utilizzati! Si avrebbe così un'assunzione di responsabilità ed al tempo stesso un gesto esplicito di chiarezza, in qualche modo un gesto di autonomia!

(Progetto di ambientalizzazione della tangenziale di Mestre - n. 2-01665)

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01665 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 9).

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, rinunzio ad illustrarla.

PRESIDENTE. Il viceministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole Tassone, ha facoltà di rispondere.

MARIO TASSONE, Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti. Onorevole Zanella, l'ANAS Spa interessata al tema oggetto della sua interpellanza, ha fatto preliminarmente presente che l'opera denominata «interventi di mitigazione ambientale lungo la tangenziale ovest di Mestre» non è contenuta nel piano finanziario allegato alla vigente convenzione stipulata tra ANAS e società Venezia-Padova (articolo 2 punto K - Nuove opere) del 7 dicembre 1999, resa esecutiva con decreto interministeriale n. 609 del 21 dicembre 1999, registrato alla Corte dei conti il 9 febbraio 2000, ma rientra tra i nuovi investimenti previsti nel piano finanziario presentato dalla Società in sede di aggiornamento quinquennale attualmente in fase di definizione.
All'intervento provvederà la concessionaria tramite autofinanziamento. L'ANAS rappresenta, inoltre, che la realizzazione degli interventi ambientali è consegnata in apposito Accordo di programma intervenuto il 14 febbraio 2005 tra la Regione Veneto, la provincia di Venezia, il comune di Venezia e società Venezia-Padova.
Il progetto definitivo e l'Accordo di programma sono stati approvati dal consiglio di amministrazione della concessionaria in data 1o marzo 2005 ed il progetto definitivo è stato presentato all'ANAS lo scorso 11 aprile ai fini dell'approvazione. Tuttavia, solo il 20 settembre ultimo scorso la concessionaria ha presentato la documentazione integrativa richiesta. Il 28 settembre il progetto è stato pertanto approvato dal Consiglio di amministrazione ANAS per un importo di circa 17 milioni di euro. La società Venezia-Padova, nelle more del perfezionamento dell'atto aggiuntivo alla convenzione vigente con l'ANAS, sarà autorizzata a procedere all'espletamento della gara relativa agli interventi di mitigazione ambientale lungo la tangenziale ovest di Mestre.
Il Governo vigilerà sulla realizzazione di questo intervento, così come per altri in corso nell'area, non solo attraverso le strutture ordinarie - ANAS e Ministero - ma anche attraverso il commissario straordinario per le opere strategiche della legge obiettivo.

PRESIDENTE. L'onorevole Zanella ha facoltà di replicare.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, non sono completamente soddisfatta della risposta. Sono soddisfatta del fatto che si prenda atto della necessità dell'intervento di ambientalizzazione della tangenziale di Venezia. Ricordo che la tangenziale di Venezia contribuisce in modo determinante all'inquinamento della città di Mestre. Si tratta di un inquinamento che ormai raggiunge livelli talmente insopportabili da indurre la popolazione ad organizzarsi in associazioni e comitati, il comune a minacciare addirittura la chiusura dell'autostrada stessa ed il Governo ad intervenire con l'opera strategica del passante a fronte della necessità e dell'urgenza


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di restituire vivibilità alla città di Mestre.
Tuttavia, siccome tra i progetti e le realizzazioni passano anni e secoli, e a fronte del fatto che comunque la soluzione del passante non risolverà assolutamente il problema della tangenziale dal momento che ci vogliono interventi strutturali diversi - soprattutto organizzando il traffico ed il trasporto di merci e persone in modo alternativo, come abbiamo detto tante volte - occorre far fronte all'emergenza e al fatto che, quotidianamente ormai, l'ARPAV segnala il superamento dei limiti di legge riguardanti i valori di inquinamento.
Su questo problema si sono pronunciate tante categorie, dalle associazioni ambientaliste alle autorità preposte, regioni, province e comuni, perché i dati sono allarmanti.
Il limite massimo delle Pm 10 (le famose polveri sottili), 50 microgrammi per metro cubo, è stato superato ben 80 volte nel primo semestre di quest'anno; anche la concentrazione delle Pm 2,5, le polveri più sottili ed anche le più pericolose, è stata superata più volte.
Di fronte a tale emergenza, il Governo, gli enti locali e la stessa Società autostradale sono stati indotti a prendere provvedimenti. È, così, intervenuto l'Accordo in ordine al progetto, cui il Governo ha fatto riferimento, che prevede la realizzazione di una barriera verde di terrapieni e di alberi tra la tangenziale e la città che, sicuramente, avrà l'effetto di mitigare l'impatto da inquinamento.
Tuttavia, vi è ancora un problema che non è stato risolto, come si desume dalla risposta del viceministro. È vero che questo intervento non era compreso nel piano finanziario concluso nel 2004 tra ANAS e Società autostrade Venezia-Padova; è vero che è stato approvato il progetto, secondo la tempistica indicata nella risposta del Governo, ma ciò che ci preoccupa è il fatto che si è ancora in una fase di definizione del piano finanziario che dovrebbe poi comprendere il cofinanziamento di detto progetto.
In ordine ai tempi, non siamo ancora stati chiaramente informati dal Governo. In poche parole, per chiudere davvero la partita e consentire alla Società autostrade Venezia-Padova di indire la gara, appaltare l'opera attraverso le procedure previste, è necessario che vi sia l'approvazione del piano finanziario. La società, infatti, deve avere la garanzia del cofinanziamento, anche perché la Società autostrade Venezia-Padova avrebbe concordato con il comune, con la provincia e con le rappresentanze dei cittadini questo intervento, assieme ad altri (si tratta di 80 milioni di euro, se non vado errata, di cui 50 sarebbe destinati al nostro territorio). All'interno di questa partita, vi dovrebbe essere il finanziamento di tale indispensabile progetto.
Chiedo al Governo di farsi parte diligente per informare la città, la cittadinanza ed il Parlamento, non solamente noi che siamo presenti in aula per illustrare le interpellanze presentate, circa i tempi dell'approvazione, quindi la definizione definitiva - consentitemi questo gioco di parole - del piano finanziario onde consentire l'esecuzione di un'opera indispensabile.

(Proposta di revoca della concessione alla società di gestione dell'aeroporto di Trapani - n. 2-01739)

PRESIDENTE. L'onorevole Floresta ha facoltà di illustrare l'interpellanza Fallica n. 2-01739 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 10), di cui è cofirmatario.

ILARIO FLORESTA. Signor Presidente, credo che l'ENAC debba controllare, con intransigenza e severità, ciò che accade nel comparto delicato dell'aeronautica; deve, quindi, vigilare con grande rigore anche sulle società di gestione aeroportuali, con manifesta imparzialità (lo voglio sottolineare) e nel rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti.
Abbiamo presentato questa interpellanza urgente in quanto riteniamo che l'ENAC si sia comportata in modo irrituale rendendo nota la deliberazione assunta dal consiglio di amministrazione in data


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15 novembre 2005. Tra l'altro, i contenuti di tale deliberazione non potevano essere comunicati, in quanto non sussistevano ancora i requisiti.
Dunque, l'ENAC ha reso noto il contenuto della deliberazione con un comunicato stampa a dir poco singolare, sia perché la stessa deliberazione non era stata ancora notificata dallo stesso consiglio di amministrazione - mi pare che ieri ci sia stata una ratifica della quale parlerò successivamente -, sia perché in tal modo si è creato allarme tra tutti coloro che si servono dell'aeroporto Birgi di Trapani, nell'indotto operativo aeroportuale e nella stessa proprietà della società Airgest, rappresentata dalla camera di commercio di Trapani, dalla provincia e da altre società pubbliche. Sarebbe stato sicuramente più opportuno informare prima la società Airgest, invece di scegliere la via del comunicato stampa.
Inoltre, la deliberazione - che prevedeva la non procedibilità da parte dell'ENAC dell'affinamento della gestione totale in favore della società Airgest e il contestuale incarico per l'avvio della procedura di gara ai fini dell'affidamento della stessa gestione totale dell'aeroporto di Trapani ad altra società -, a mio avviso, non poteva essere assunta in quanto non era in corso alcun procedimento. Infatti, il primo procedimento avviato dall'ENAC era stato esaurito senza alcuna determinazione di revoca da parte della stessa ENAC e ufficialmente non vi era nessun altro procedimento in corso. Viceversa, era in corso una istruttoria svolta congiuntamente dall'IGF (Ispettorato generale di finanza) e dall'ENAC, per verifiche amministrative contabili, che ci risulta non sia stata ancora ufficialmente notificata e, di conseguenza, dettagliatamente analizzata. Tale verifica si conclude con un giudizio espresso in sintesi nell'ultima frase della stessa, secondo la quale la società Airgest merita fiducia.
La deliberazione assunta, che prevede la revoca dell'attuale gestione aeroportuale, di fatto fa sì che il deliberato aumento del capitale sociale - cioè tutti quegli adempimenti che erano stati contestati alla Airgest - non possa aver luogo, in quanto non rinnovando la gestione, evidentemente, i proprietari non procedono all'aumento del capitale sociale.
Pertanto, è evidente che l'ENAC ha voluto accelerare la procedura di revoca in assenza di un iter procedurale voluto dalla legge; ha voluto inviare al ministro delle infrastrutture la deliberazione assunta in data 15 novembre 2005 senza neppure approfondire il risultato dell'istruttoria eseguita dall'IGF e dell'ENAC stessa, che sembra giunga a conclusioni non disastrose; non ha voluto negoziare - come la prassi vuole - con l'attuale società di gestione dell'aeroporto di Trapani. La situazione è sicuramente assai delicata e sicuramente non giustifica la società Airgest per le manchevolezze manifestate, ma il comportamento dell'ENAC evidenzia poca sensibilità di fronte agli sforzi profusi dalla suddetta società nella gestione aeroportuale. A mio avviso, appare inoltre assolutamente ingiustificata - in merito mi aspetto una risposta da parte del Governo - l'accelerazione data dall'ENAC a tale deliberazione.
Concludo, signor viceministro, dando lettura di un comunicato stampa, emesso ieri a proposito della ratifica della delibera del 15 novembre, che recita: all'esito dei riscontri effettuati dalle proprie strutture, l'ENAC ha deliberato di informare il ministro delle infrastrutture e dei trasporti sulle risultanze negative acquisite e sulla mancanza di condizioni per procedere al rilascio di una concessione totale quarantennale. A darne notizia, in una nota, è l'ENAC, al termine del consiglio di amministrazione in merito alla gestione aeroportuale di Trapani. L'ENAC - prosegue il comunicato - rimane pertanto in attesa delle considerazioni e delle indicazioni da parte del ministro per l'attivazione delle procedure di gara finalizzate, e via dicendo.
Ritengo che l'interpellanza in esame abbia sortito quanto meno l'esito di indurre l'ENAC a una riflessione, ma credo che l'ENAC si sia comportato ieri come Ponzio Pilato. Lei mi insegna, signor viceministro, che l'ENAC ha poteri decisionali


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mentre il Ministero ha poteri di controllo, nonché certamente di adozione del decreto. Non ci si può tuttavia limitare a riscontrare che qualcosa non va, e mi chiedo peraltro come ciò sia possibile se gli esiti cui ho precedentemente fatto riferimento non sono stati ancora vagliati in modo approfondito. Vorrei dunque capire perché non si procede, da parte dell'ENAC, alla revoca sic et simpliciter della concessione provvisoria, ma si attende il ministro, che non si comprende tuttavia cosa possa dire, se lo stesso ENAC afferma che la società è irrecuperabile.
Chiedo dunque che le istanze contenute nella nostra interpellanza, che lei certamente conosce, siano accolte dal ministro.

PRESIDENTE. Il viceministro delle infrastrutture dei trasporti, onorevole Tassone, ha facoltà di rispondere.

MARIO TASSONE, Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, in primo luogo intendo ringraziare l'onorevole Floresta per aver ricordato alcune circostanze, anche in riferimento alle iniziative e alle azioni di competenza del Governo.
La responsabilità delle gestioni aeroportuali spetta all'ENAC, quale ente tecnico regolatore, mentre al Governo compete la responsabilità politica. Con la riforma della normativa sul trasporto aereo e con il nuovo codice della navigazione, che è entrato in vigore dopo 63 anni, si sta procedendo al riordino delle gestioni aeroportuali. Non mi riferisco in particolare alla vicenda dell'Airgest e dell'aeroporto di Trapani, ma ad un'importante questione di carattere generale.
Ho sempre sostenuto, in quest'aula e in Commissione, che nessuna gestione può considerare la sua concessione come una proprietà, senza alcun controllo e senza rispetto delle regole. Purtroppo c'è qualche tendenza a ritenere che la concessione sia semplicemente un passaggio formale e che la sostanza sia costituita da una proprietà assoluta ed esclusiva, non soggetta ad alcun controllo e ad alcuna sanzione. In effetti, fino ad oggi l'unica sanzione è stata costituita dalla revoca. Stiamo lavorando, su delega del Parlamento e sulla base della normativa approvata, affinché vi sia un ventaglio di sanzioni - non soltanto la revoca, che costituisce l'extrema ratio - attraverso una serie di controlli dopo quattro anni. Si tratta di una disciplina voluta fortemente anche dal Parlamento.
E tutto questo, certo, mette in condizione gli enti di controllo, e quindi l'ENAC, di avere la possibilità di monitorare volta per volta l'adempimento e il rispetto, da parte delle gestioni, delle regole e degli impegni che sono alla base della concessione stessa.
Quando mi dicono: «la concessione è quarantennale», io controbatto che questo è il limite massimo; purtroppo è invalso l'uso che la concessione debba essere sempre quarantennale. Ma questo è scritto come limite massimo nella normativa, non è che si tratti di un diritto e di un automatismo.
Questo per riaffermare che la responsabilità di fondo dei trasporti, del sistema aeroportuale, del sistema anche della navigazione aerea è in capo alla responsabilità del Governo, che viene controllato dal Parlamento, il quale deve rispondere ovviamente al paese.
Questo fenomeno non si riscontra solo nelle gestioni aeroportuali, ma vale certamente per tutta la gamma delle concessioni anche di altri settori. Purtroppo però, questa è la logica: si vanno a formare sempre di più centri di potere svincolati realmente dal controllo del Parlamento, e soprattutto dalla gestione e dalla guida del Governo.
Sarebbe importante se ci potessero essere delle grandi occasioni nella prossima legislatura, se il Parlamento potesse ritornare anche su questi aspetti. Noi l'abbiamo fatto per quanto riguarda le gestioni aeroportuali, ma certamente questa linea dovrebbe essere seguita anche in altri settori.
Comunque, dopo questa lunghissima premessa, proprio perchè sollecitato dall'esposizione dell'onorevole Floresta, debbo dire che l'atto di sindacato ispettivo dell'onorevole Fallica e altri colleghi (ho


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visto che questa interpellanza urgente è sottoscritta da numerosissimi parlamentari), merita certo una risposta molto più articolata, anche nel caso di specie, perché i temi posti dai colleghi nella loro lunghissima interpellanza, rappresentano certamente questioni meritevoli di tutta attenzione.
Posso assicurare che il Governo da tempo sta seguendo (all'ENAC dapprima, ovviamente insieme al Governo), tutta la vicenda della società Airgest Spa.
Considerato che molte indicazioni sono contenute sia nell'atto di sindacato ispettivo, sia nella illustrazione dell'onorevole Floresta, e considerata la peculiarità di questa fase, mi limiterò semplicemente a leggere una risposta estremamente breve, ma certamente espressiva dell'impegno da parte del Governo, risparmiando a lei, onorevole Floresta, e ai pochi colleghi presenti, la lunghezza della mia esposizione, che riguarderebbe tutto un trascorso e tutta una serie di vicende concernenti ovviamente l'Airgest. Ad esempio, solo per citare, già nel 2003 c'era stata una proposta di revoca, e quant'altro...
Vi risparmio questa esposizione anche perché ritengo, onorevole Floresta, proprio per rispetto al significato che ha per noi l'atto di sindacato ispettivo, che questo Governo dovrà ritornare sull'argomento, proprio sulla base delle sollecitazioni e dei temi evidenziati nell'interpellanza.
In merito a tutta questa vicenda cui lei si riferiva, onorevole Floresta, il Ministero deve segnalare di avere ricevuto formale notizia solo in data 29 novembre 2005, dell'adozione della deliberazione n. 86 del 15 novembre scorso, con la quale l'ENAC ha sottoposto al ministro una proposta di procedibilità sulla domanda di concessione della gestione totale quarantennale, inoltrata dalla società Airgest Spa, attuale gestore dall'aeroporto Birgi di Trapani.
Il predetto atto deliberativo sarebbe stato emanato anche sulla base dell'esito di una verifica amministrativo-contabile, non ancora pervenuto, questo esito, al Ministero.
Tutti sono a conoscenza di questa verifica, ma il ministero, tuttavia, non dispone delle sue conclusioni. Tutto questo sembrerà strano - ecco perché prima facevo riferimento ad altri tipi di vicende, articolate e modulate, che a volte fanno filtrare qualcosa ed altre invece creano una patina di impenetrabilità su certe realtà - ma ciò, almeno, è quello che posso affermare con riguardo al ministero che rappresento.
L'impossibilità di valutare compiutamente tutta la documentazione posta a base delle determinazioni dell'ENAC non consente, allo stato attuale, di fornire agli onorevoli interpellanti risposte che abbiano quel carattere di esaustività e ponderatezza che sono l'indispensabile presupposto degli atti parlamentari.
A nome del Governo, dunque, non posso che chiedere al Presidente ed ai colleghi interpellanti un termine adeguato - do la mia disponibilità a questo riguardo - per completare l'acquisizione della documentazione di base indispensabile per pronunciarsi con dati di fatto e ponderazione adeguati alla complessità della materia.
Assicuro gli onorevoli interpellanti che il Governo valuterà tale vicenda con attenzione, con senso di responsabilità, con rispetto sia dei colleghi sia con riferimento al funzionamento dell'aeroporto di Trapani-Birgi non dimenticando, evidentemente, di tutelare anche i diritti dei cittadini.

PRESIDENTE. L'onorevole Floresta ha facoltà di replicare.

ILARIO FLORESTA. Signor Presidente, sono completamente soddisfatto e d'accordo con quanto sostenuto, sia in premessa sia in conclusione, dal viceministro Tassone nella risposta fornita alla mia interpellanza urgente.
Con il viceministro Tassone si è lavorato molto insieme in materia di trasporto aereo; un settore, quest'ultimo, molto delicato e difficile da disciplinare che non era stato mai regolamentato e che proprio questo Governo è riuscito, alla fine, a regolamentare in un modo che ritengo perfetto.
Dalla risposta fornita dal viceministro Tassone si evince chiaramente che la nostra


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interpellanza urgente non traeva spunto da banalità, ma dalla considerazione che in questa vicenda c'è stato certamente qualcosa di nebuloso che evidentemente non ha funzionato. Non è comprensibile che una delibera assunta il 15 novembre 2005 venga notificata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti solo il 29 novembre (immagino, forse, solo perché era stata già presentata questa interpellanza). Non è mia intenzione dubitare dell'ENAC presso il quale ritengo lavorino persone assolutamente competenti e amiche, però, come sostiene qualche nostro amico politico, fidarsi è bene non fidarsi è meglio.
Mi dichiaro soddisfatto dalla risposta fornita dal viceministro, al quale rivolgo l'invito a sottoporre a controlli la società di gestione dell'aeroporto civile di Trapani-Birgi - l'Airgest Spa - e a valutare, nello stesso modo come previsto per le altre società di gestione aeroportuali, se essa è società che possa continuare a gestire quell'aeroporto e, conseguentemente, concederle di passare dalla gestione parziale a quella totale, oppure se essa debba essere esautorata dalla gestione parziale e si debba procedere all'indizione di una nuova gara.
La presente interpellanza urgente è stata presentata perché sulla vicenda in esame sono sorti dubbi derivanti da nebulosità e tempistiche che non rispondevano alla prassi e alle procedure che normalmente si seguono. Noi speriamo, lo ripeto, che il Governo proceda ad effettuare verifiche e dia anche ad Airgest Spa l'opportunità di spiegare quello che accade, affinché si possa comprendere se essa è società degna di fiducia - come conclude quella relazione di cui tutti affermano l'esistenza ma che però nessuno conosce - oppure se ad essa debba essere revocata la concessione.
In conclusione, attenderemo che il viceministro Tassone si faccia fautore di un dialogo da svolgersi, se necessario, anche in Commissione, in modo da fare chiarezza sulla vicenda.

(Iniziative per la proroga del regime di riduzione dell'IVA sulle ristrutturazioni edilizie - n. 2-01741)

PRESIDENTE. L'onorevole Armani ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-01741 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 11).

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, il sottosegretario Molgora conosce perfettamente il problema e sa che sono due le ragioni che mi hanno spinto a presentare l'interpellanza urgente.
Nel disegno di legge finanziaria per il 2006, accanto al passaggio dal 36 al 41 per cento della detrazione dei costi per lavori e servizi di ristrutturazione edilizia dall'imposta personale sul reddito, vi è il ritorno all'aliquota IVA del 20 per cento, dopo che, dal 2000 a tutto il 2005, l'aliquota è stata mantenuta al 10 per cento per effetto di successive proroghe.
L'urgenza è determinata, da un lato, dal fatto che il disegno di legge finanziaria si trova in seconda lettura presso la Camera (quindi, il problema è scottante anche dal punto di vista dei lavori parlamentari) e, dall'altro, dal fatto che un Consiglio Ecofin è fissato per il prossimo 6 dicembre. Infatti, essendo la relativa decisione di competenza non nazionale, ma comunitaria, la questione della proroga ulteriore dell'aliquota ridotta del 10 per cento a tutto il 2006 va portata a livello di Unione europea, vale a dire a livello di Consiglio dei ministri e di Commissione. Peraltro, proprio in tali sedi il Governo italiano potrebbe tentare alleanze con altri Governi che hanno lucrato dalla riduzione dell'aliquota IVA (in particolare, con quelli di Francia, Belgio, Olanda ed altri). Ritengo che i due elementi indicati spingano ad un impegno molto sollecito e pressante del Governo italiano affinché l'Unione europea deliberi un'ulteriore proroga.
Per quanto riguarda più specificamente il disegno di legge finanziaria per il 2006, si è posto, evidentemente, il problema di una copertura figurativa per il mantenimento


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dell'aliquota IVA ridotta. Come il sottosegretario Molgora sa perfettamente, dal 2000, primo anno di vigenza dell'aliquota IVA ridotta, le proroghe annuali succedutesi hanno determinato un flusso di richieste di applicazione dell'agevolazione che non ha conosciuto soluzioni di continuità. Praticamente, le domande relative alle ristrutturazioni effettuate (mi permetterò di fornire qualche dato in sede di replica) hanno dato la possibilità di acquisire, in termini di cassa, non soltanto il gettito dell'IVA ridotta sui maggiori lavori, sui maggiori investimenti effettuati, ma anche il benefico effetto derivante dall'emersione del lavoro sommerso.
Evidentemente, essendo le imprese edili italiane prevalentemente piccole, se non piccolissime, le famiglie potrebbero essere indotte ad accettare di non attivare la procedura per il riconoscimento della detrazione del 36 per cento (a partire dal prossimo anno, del 41 per cento) e, quindi, la mancata fatturazione dei lavori. Infatti, considerato che la detrazione dall'IRPEF, anzi dall'IRE (acronimo della nuova imposta personale sul reddito), spalmata in dieci anni, può essere effettuata entro il limite di 48 mila euro, il ritorno dell'aliquota IVA al 20 per cento si ripercuoterebbe sull'entità dell'abbattimento, che si ridurrebbe, di fatto, da 48 mila a 40 mila euro.
Credo che il combinato disposto di tutte queste considerazioni debba spingere il Governo a premere sull'Unione europea affinché la riduzione dell'IVA venga mantenuta quanto meno per il 2006, in attesa che sia resa strutturale, perché, a mio avviso, è questa la prospettiva sulla quale dovremmo cercare di lavorare.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, onorevole Molgora, ha facoltà di rispondere.

DANIELE MOLGORA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, come è stato ricordato dall'interpellante, onorevole Armani, la citata norma è entrata in vigore a seguito dell'approvazione della legge finanziaria per il 2000 ed è stata da ultimo prorogata dal decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con la legge 27 febbraio 2004, n. 47 (la proroga è fino al 31 dicembre 2005).
Tale ultima proroga si è resa possibile in quanto legittimata dalle disposizioni contenute nella normativa comunitaria e, più precisamente, nella direttiva 2004/15/CE del Consiglio del 10 febbraio 2004, modificativa della direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, per effetto della quale gli Stati membri sono autorizzati ad applicare, per un periodo massimo di sei anni e quindi fino al 31 dicembre 2005 (compreso tutto l'esercizio del 2000 e del 2005), l'aliquota IVA agevolata del 10 per cento, relativamente a servizi considerati «ad alta intensità di lavoro», tra i quali risultano compresi le riparazioni e le ristrutturazioni di abitazioni private.
Alla luce di quanto esposto, proprio al fine di compensare il venir meno dell'aliquota IVA del 10 per cento, l'articolo 1, comma 81, del disegno di legge finanziaria per il 2006 (attualmente atto Camera 6177) prevede la proroga per l'anno 2006 della detrazione d'imposta prevista, ai fini dell'IRPEF, dall'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, elevando la misura della detrazione stessa dal 36 al 41 per cento.
Siamo ben consapevoli che queste misure, soprattutto nell'ambito dell'edilizia, funzionano molto meglio se le agevolazioni sono combinate (mi riferisco all'IVA e all'IRE); infatti, il valore aggiunto dell'agevolazione deriva dalla possibilità di contare su entrambe.
Un'eventuale proroga dell'applicazione dell'aliquota IVA del 10 per cento per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio si potrebbe rendere possibile solo a seguito dell'introduzione di modifiche della normativa comunitaria atte a consentire un'ulteriore deroga alle disposizioni contenute nella direttiva 77/738/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977.
In proposito, anche il dipartimento delle politiche fiscali ha riferito che da tempo in sede comunitaria è in discussione


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una misura che conferisca un carattere strutturale a queste agevolazioni.
In particolare, si rileva che anche l'attuale Presidenza inglese ha presentato una proposta di compromesso sulla razionalizzazione delle aliquote ridotte IVA, che prevede, tra l'altro, l'inclusione nell'allegato H della sesta direttiva IVA 77/388/CEE di alcuni servizi già compresi nell'allegato K, tra cui quelli relativi alle ristrutturazioni edilizie.
Allo stato, non si è ancora raggiunto il necessario unanime consenso sulla proposta, nonostante l'Italia abbia sempre operato perché si raggiungesse una soluzione condivisa da tutti gli Stati membri.
In caso di mancato accordo su una soluzione complessiva di razionalizzazione delle aliquote ridotte, l'Italia ha manifestato nelle competenti sedi comunitarie l'interesse a prorogare oltre il 31 dicembre 2005 l'attuale regime sperimentale per i servizi ad alta densità di manodopera contenuti nell'allegato K, nella consapevolezza che, nel merito, l'agevolazione funzioni in modo molto efficiente, unendo i vantaggi IVA con quelli IRPEF, e tenendo presente che esistono alcune situazioni particolari. Mi riferisco ad aree in cui vi è la necessità di ricostruire in seguito a terremoti (alcuni recenti, purtroppo; si pensi a quello verificatosi nella provincia di Brescia, sul lago di Garda, e alla ricostruzione in Umbria e nelle Marche) per le quali completare le ristrutturazioni con un'aliquota agevolata del 10 per cento sarebbe, oggettivamente, un fatto moralmente dovuto.

PRESIDENTE. L'onorevole Armani ha facoltà di replicare.

PIETRO ARMANI. Ringrazio il sottosegretario, poiché mi sembra che, da questo punto di vista, l'impegno del Governo sia molto chiaro in sede comunitaria. Auspico che, ferma l'ipotesi certamente ottimale di una trasformazione in provvedimento strutturale della misura della riduzione dell'IVA sulle ristrutturazioni edilizie, sia almeno prevista una proroga fino al 2006, visto che dal 2000 al 2005 abbiamo vissuto di proroghe successive.
L'effetto sul gettito - il sottosegretario Molgora lo può confermare - sarebbe puramente figurativo, dovuto alla continuità dei provvedimenti nel succedersi delle proroghe. Per un effetto concreto sul fenomeno del lavoro sommerso, specialmente in un settore ad alta intensità di manodopera, dove sussistono imprese piccole o piccolissime ed in cui il rapporto tra cliente (famiglia che deve ristrutturare) e piccola impresa (che si presta alla ristrutturazione) risulta particolare e dove - come lei sa, sottosegretario - «la carne è debole», la spinta all'evasione può essere bloccata solo dagli incentivi di carattere fiscale.
A tale proposito, vorrei far presente che gli effetti sul settore sono particolarmente significativi e rilevare il fatto che tra gli investimenti per la riqualificazione del patrimonio abitativo rientra, fra l'altro, quel giusto riferimento da lei fatto ai problemi relativi alle zone sismiche (con la nuova carta sismica del paese tutta l'Italia è configurata a diversa gradazione sismica): lei pensi, quindi, con il 40 per cento di edifici costruiti dal 1962 in poi, quante case, soprattutto nei centri storici del nostro paese, avrebbero bisogno di interventi di ristrutturazione anche al fine della sicurezza sismica.
Gli investimenti nella riqualificazione del patrimonio abitativo rappresentano oggi il 51,5 per cento del totale degli investimenti in abitazioni.
Nel 2004 tali investimenti hanno raggiunto la quota di circa 35 miliardi di euro: quindi, si tratta di un impegno finanziario notevole. L'occupazione, inoltre, è molto consistente, trattandosi di un settore ad alta intensità di lavoro.
Vorrei segnalare, peraltro, che l'indotto è molto ampio, poiché, come lei sa, signor sottosegretario, i servizi alle abitazioni - come l'impianto idraulico, quello elettrico, l'impianto per il riscaldamento e via dicendo - sono tutti collegati ai processi di ristrutturazione edilizia.
Credo pertanto che, nell'interesse del rilancio della nostra economia, nonché per il mantenimento di elevati livelli dell'occupazione in questo settore, così importante


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per il nostro paese, sia necessario battersi affinché la proroga del regime di riduzione dell'IVA sulle ristrutturazioni edilizie venga mantenuta anche per tutto il 2006.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 12,58).

VINCENZO FASANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VINCENZO FASANO. Signor Presidente, intervengo affinché la Presidenza della Camera solleciti il Governo a fornire una risposta ad una mia interrogazione a risposta scritta, la n. 4-16010, presentata in data 20 luglio del corrente anno, concernente la mancata pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale di un decreto ministeriale emanato nel 2004. Si tratta di una questione importante, soprattutto per il nostro Mezzogiorno, poiché, con tale decreto applicativo, viene concessa alle donne la possibilità di essere assunte con particolari contratti di inserimento.
Le chiedo pertanto, signor Presidente, di sollecitare la risposta del Governo al mio atto di sindacato ispettivo.

PRESIDENTE. Onorevole Fasano, la Presidenza si farà carico di sollecitare la risposta del Governo all'interrogazione da lei richiamata.
A questo punto, sospendo la seduta, che riprenderà alle 13,15 per la lettura di una comunicazione, nonché dell'ordine del giorno della seduta prevista per domani.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 13,25.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIER FERDINANDO CASINI

Richiesta di referendum popolare ai sensi dell'articolo 138, secondo comma, della Costituzione.

PRESIDENTE. Comunico all'Assemblea che l'onorevole Innocenti, in data odierna, ha presentato una richiesta al fine di dare corso alla procedura per la richiesta di referendum da parte di un quinto dei componenti della Camera dei deputati - prevista dall'articolo 138, secondo comma, della Costituzione e disciplinata dagli articoli 4 e 6 della legge 25 maggio 1970, n. 352 - sul testo di legge costituzionale recante «Modifiche alla Parte II della Costituzione», approvato dalla Camera dei deputati, in seconda deliberazione - a maggioranza assoluta, inferiore ai due terzi, dei suoi componenti - nella seduta del 20 ottobre 2005 e dal Senato della Repubblica, in seconda deliberazione - a maggioranza assoluta, inferiore ai due terzi, dei suoi componenti -, nella seduta del 16 novembre 2005, come comunicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005, ai sensi dell'articolo 3 della legge 25 maggio 1970, n. 352.
Nella richiesta sono indicati, ai sensi dell'articolo 6, secondo comma, della citata legge n. 352 del 1970, come delegati a cura dei quali la richiesta di referendum sarà depositata presso la cancelleria della Corte di Cassazione gli onorevoli Violante, Castagnetti e Giordano.
Ai fini degli adempimenti previsti dall'articolo 6, primo comma, della legge n. 352 del 1970, i deputati che intendano sottoscrivere la suddetta richiesta di referendum potranno recarsi presso l'aula delle Giunte (Servizio prerogative e immunità, II piano, Palazzo dei gruppi), a partire da oggi, dalle ore 15 alle ore 19,30, e nei giorni successivi, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,30 alle ore 19,30.
Una volta raggiunto il quorum costituzionale di un quinto dei componenti della Camera, i fogli recanti le firme saranno


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consegnati ai deputati delegati, su richiesta degli stessi, ai fini dei successivi adempimenti previsti dalla citata legge n. 352 del 1970.
Credo che sia stata opportuna anche l'indicazione del luogo e dei tempi in cui è possibile apporre le firme a questa richiesta di referendum sulle modifiche costituzionali approvate nel corso della presente legislatura.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani:

Venerdì 2 dicembre 2005, alle 9:

Informativa del Governo concernente la prima applicazione della recente normativa sul contrasto del terrorismo internazionale.

La seduta termina alle 13,30.