XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 85 di martedì 12 dicembre 2006

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[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI

La seduta comincia alle 9,35.

SERGIO D'ELIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Bafile, Capodicasa, Castiello, Chiaromonte, Cirino Pomicino, D'Alema, Forgione, Landolfi, Lion, Lucà, Mattarella, Mazzocchi, Migliore, Morrone, Leoluca Orlando, Piscitello, Realacci, Reina, Rivolta, Scajola, Villetti e Violante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (A.C. 626-1090-1441).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 626 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Mascia, ha facoltà di svolgere la relazione.

GRAZIELLA MASCIA, Relatore. Signor Presidente, la proposta di legge relativa all'istituzione della figura del garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nasce dall'esigenza di garantire forme di controllo della legalità nei luoghi di privazione della libertà personale, nonché di creare meccanismi di tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute, spesso, nei fatti, non sufficientemente tutelati, se non calpestati.
Numerose sono le sollecitazioni rivolte ai paesi europei, da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene, dei trattamenti inumani e degradanti, affinché essi provvedano dell'istituzione di figure indipendenti ed autonome che garantiscano la legalità nei luoghi di privazione delle libertà personali.Pag. 2
Il nostro paese è da sempre in prima linea rispetto a temi così delicati e fondamentali ed ha sottoscritto fin dall'agosto 2003 il protocollo opzionale alla convenzione contro la tortura ed altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, adottato dall'ONU il 18 dicembre 2002 ed entrato in vigore il 22 giugno 2006, confermando così il proprio impegno sul tema dei diritti umani. Tale protocollo introduce un meccanismo ispettivo fondamentale per assicurare standard elevati di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale e, oltre al previsto comitato internazionale di esperti indipendenti, con facoltà di verifiche ispettive e gli istituti di detenzione dei posti di polizia dei paesi membri, impone testualmente che ogni Stato debba istituire un sistema interno di controllo, affidato ad autorità indipendente che abbia accesso a qualsiasi luogo di privazione della libertà personale (carceri, commissariati, CPT, ospedali psichiatrici e via seguitando); tale sistema, laddove è stato istituito, ha dato e continua a dare risultati estremamente positivi.
La legislazione italiana, nonostante l'Italia abbia firmato il protocollo opzionale ONU da più di tre anni, si presenta sul punto doppiamente carente, in quanto il garante nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale non è stato ancora istituito nel nostro Paese (salvo esperienze ricollegabili a tale figura nate a livello locale, ma con dei poteri ed una autorevolezza certamente non corrispondenti a quelle che ci vengono indicati dalle esperienze europee) ed anche perché nell'ordinamento penitenziario non è previsto un organo, indipendente dall'amministrazione della giustizia, avente poteri ispettivi.
Il nostro ordinamento penitenziario, inoltre, a fronte di atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti delle persone private della libertà personale, non prevede per i detenuti ed internati meccanismi procedurali di garanzia, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio del 1999.
In caso di violazione dei diritti, il procedimento instaurato tramite l'esercizio del diritto di reclamo stabilito dall'articolo 35 dell'ordinamento penitenziario, infatti, è privo di requisiti minimi necessari perché lo si possa ritenere sufficiente a fornire un mezzo di tutela qualificabile come giurisdizionale.
Tale circostanza, considerata nel testo dal nostro esame, rende evidente quanto un detenuto, comunque titolare di diritti e aspettative legittimi, possa trovarsi in difficoltà nel difendere i propri diritti e quanto forte, dunque, sia l'esigenza di far compiere al nostro paese un passo in avanti nella tutela dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale.
In Italia, fin dalla scorsa legislatura e, precisamente, in data 30 luglio 2003, la Commissione Affari costituzionali della Camera iniziava l'esame congiunto in sede referente di tre proposte di legge di iniziativa parlamentare. L'esame in Commissione si concludeva il 20 ottobre 2005 con il mandato al relatore, il collega Nitto Palma, a riferire favorevolmente in Assemblea. Quest'ultima, tuttavia, non andava oltre lo svolgimento della discussione sulle linee generali nella seduta del 27 ottobre 2005, ma è giusto evidenziare come all'esito di quel lavoro avevano concorso diversi soggetti competenti sulla materia. Si tratta di memorie, audizioni e appunti consegnati dalla Conferenza nazionale volontariato e giustizia, dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Giovanni Tinebra, dal capo del dipartimento della giustizia minorile, dottor Rosario Priore, dall'ispettore generale dei cappellani del DAP e del dipartimento della giustizia minorile, Monsignor Giorgio Cagnato.
Ho voluto richiamare i lavori della scorsa legislatura perché le proposte di legge prese in esame in questa legislatura (Mazzoni n. 626, Mascia ed altri n. 1090 e Boato n. 1441) si avvalgono, giustamente, del lavoro precedente.Pag. 3
Il testo unificato che proponiamo oggi è dunque il risultato del confronto iniziato dalla I Commissione nel luglio 2006 e concluso il 6 dicembre con il mandato al relatore a riferire favorevolmente in Assemblea.
Il provvedimento al nostro esame - giova ricordarlo -, teso all'istituzione di una figura sollecitata da tempo dagli organismi europei citati, ha sollevato dubbi, soprattutto in relazione al ruolo attribuito dall'ordinamento penitenziario al magistrato di sorveglianza, cui, in base alle norme attualmente vigenti, andrebbero rivolti i reclami dei detenuti. Vi è da dire, tuttavia, che l'eccessivo cumulo di funzioni poste a carico della magistratura di sorveglianza, sempre più giudice delle misure alternative, e, conseguentemente, sempre meno in grado di esercitare funzioni di controllo sull'esecuzione della custodia dei detenuti e degli internati, nonché dei soggetti sottoposti a misure cautelari in carcere, ed anche la carenza di organico della magistratura di sorveglianza rendono indispensabili nuove forme e strumenti di controllo della legalità nei luoghi di detenzione, senza ovviamente mettere in discussione quelli già esistenti.
Il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, all'istituzione del quale è teso il presente testo, risponde propriamente a questa esigenza. I compiti attribuiti a tale figura attengono, in particolare, al controllo delle condizioni di detenzione, all'allentamento delle tensioni e alla mediazione, nonché alla raccolta e all'elaborazione di un utile patrimonio informativo. Al Garante verrebbe attribuito un ruolo preventivo, mediatorio e propositivo rispetto alle legittime richieste dei detenuti. Il Garante avrebbe, inoltre, un'importante funzione di deterrenza rispetto al rischio di abusi, siano essi lievi o gravi, che, purtroppo, non sono infrequenti e che raramente vengono denunciati per motivi facilmente intuibili, tra cui il rischio di inammissibili ma possibili ritorsioni o, addirittura, di atti vendicativi.
Il testo che proponiamo all'esame dell'Assemblea ben definisce tale figura e tiene anche conto della citata sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio 1999, rimasta disattesa, che, come illustrato, ha rilevato che il nostro ordinamento penitenziario non presenta meccanismi procedurali di garanzia per le persone private della libertà personale di fronte ad atti dell'amministrazione penitenziaria lesivi dei loro diritti. Tale testo tiene conto anche di quanto evidenziato dalla Commissione giustizia nei rilievi formulati nel parere espresso in sede consultiva.
Si propone perciò, attraverso questo provvedimento, di sanare quella lacuna evidenziata dalla sentenza della Corte, individuando, allo stesso tempo, una soluzione che consenta effettivamente di dare risposte in tempi brevi a tutti i reclami dei detenuti.
Oggi, in base all'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, relativo alle funzioni e ai poteri conferiti al magistrato di sorveglianza, in quel contesto sono solo due i casi considerati, che consentono l'impugnazione davanti alla Corte di Cassazione; tutti gli altri reclami, invece, vengono disattesi o, comunque, non trovano un riscontro, né seguono questo percorso giurisdizionale.
Pertanto, oltre all'istituzione della figura del Garante - che svolgerebbe un ruolo di filtro, oltre che di mediazione, di intervento preventivo e di tentativo di soluzione dei problemi a monte - prevediamo che lo stesso possa introdurre un procedimento contenzioso con ricorso al magistrato di sorveglianza e che, avverso il provvedimento emesso con un'ordinanza, con tutte le garanzie previste in questi casi, sia possibile proporre ricorso in Cassazione, risolvendo così la limitazione casistica prevista all'articolo 69 della legge n. 354 del 1975.
Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, l'articolo 1 prevede che il Garante dei diritti è organo collegiale, composto dal presidente, nominato con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, e da quattro membri Pag. 4eletti con voto limitato in numero di due dal Senato e in numero di due dalla Camera.
Il comma 3 dello stesso articolo 1 dispone, inoltre, che il Garante dei diritti rimane in carica per quattro anni, rinnovabile per una sola volta.
L'articolo 2 dispone che i componenti del Garante dei diritti siano scelti tra persone che assicurino indipendenza e idoneità alla funzione, che abbiano esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani delle persone detenute o private della libertà personale, ovvero che abbiano una riconosciuta competenza nelle materie giuridiche afferenti alla salvaguardia dei diritti.
Le questioni connesse all'incompatibilità sono affrontate dall'articolo 3, ai sensi del quale ognuno dei componenti del Garante dei diritti non può assumere cariche elettive, governative o istituzionali o ricoprire altri incarichi o uffici pubblici di qualsiasi natura, e non può svolgere attività lavorativa, subordinata o autonoma, imprenditoriale o libero-professionale, né attività inerenti ad associazioni o partiti politici.
L'articolo 4 elenca in modo tassativo i casi in cui occorre procedere all'immediata sostituzione di taluno dei componenti del Garante e precisa anche che tale adempimento si rende necessario nell'ipotesi di dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all'incarico affidato.
L'articolo 5 dispone che alle dipendenze del Garante dei diritti è istituito un ufficio composto da dipendenti dello Stato e altre amministrazioni pubbliche in numero non superiore a 50 collocati fuori ruolo.
Le norme concernenti l'organizzazione dell'ufficio, nonché quelle dirette a disciplinare la gestione delle spese, sono adottate con regolamento emanato con decreto del Presidente della Repubblica entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 6 prevede che il Garante possa avvalersi dell'opera di consulenti, remunerati in base alle vigenti tariffe professionali, nonché del contributo di organizzazioni non governative, di centri universitari di studio e di ricerca, nonché di associazioni che si occupano di diritti umani e di condizioni di detenzione.
L'articolo 7 disciplina la cooperazione tra il Garante dei diritti nazionali e le analoghe figure eventualmente istituite in ambito regionale, provinciale o comunale, precisando che, in nessun caso, il Garante dei diritti può delegare l'esercizio delle sue funzioni.
Ai fini del compimento delle predette funzioni, ai sensi dell'articolo 8, il Garante può visitare, senza necessità di autorizzazione o di preavviso, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici e giudiziari, gli istituti penali, le comunità per minori e gli enti convenzionati con il Ministero della giustizia per l'esecuzione di misure privative della libertà personale che ospitano condannati che usufruiscono di misure alternative alla detenzione. Verifica, inoltre, il rispetto degli adempimenti e delle procedure eseguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento nelle camere di sicurezza esistenti presso caserme dell'Arma dei carabinieri, del corpo della Guardia di finanza, dei commissariati di pubblica sicurezza, nonché presso i centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dall'articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e successive modificazioni.
Sempre l'articolo 8 prevede la possibilità di prendere visione, previo consenso dell'interessato, degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà personale, fatta eccezione per quelli coperti da segreto relativi alle indagini o al procedimento penale.
Il Garante può altresì richiedere alle amministrazioni responsabili degli istituti richiamati al punto a), del comma 2, le informazioni e i documenti che ritenga necessari, prevedendosi che, in caso di inottemperanza dell'amministrazione, nel termine di 30 giorni il garante informi il magistrato di sorveglianza territorialmente competente, al quale può richiedere di emettere ordine di esibizione dei documenti Pag. 5richiesti. Il Garante verifica, inoltre, che le strutture edilizie degli istituti di cui sopra, siano idonee a salvaguardare la dignità delle persone ivi ristrette con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali.
L'articolo 9 riguarda il segreto d'ufficio cui sono tenuti i componenti del Garante dei diritti, il personale addetto all'ufficio nonché i consulenti.
L'articolo 10 prevede che tutti i detenuti e i soggetti comunque privati della libertà personale possano rivolgersi al Garante senza vincolo di forma.
L'articolo 11 dispone che, ove il Garante dei diritti verifichi che le amministrazioni responsabili delle strutture indicate all'articolo 8 tengano comportamenti non conformi, ovvero che le istanze e i reclami ad essi rivolti siano fondati, possa richiedere alle amministrazioni interessate di agire in conformità, anche formulando specifiche raccomandazioni. In proposito, si prevede un procedimento amministrativo in forza del quale, ove le amministrazioni direttamente interessate non si conformino, il Garante può rivolgersi anche agli uffici ad essi sovraordinati. Con particolare riferimento alle strutture indicate all'articolo 8, comma 2, lettera a), qualora si registrino ulteriori inerzie il Garante può ricorrere al magistrato di sorveglianza. Lo stesso articolo prevede inoltre la possibilità che l'internato, dopo il passaggio al magistrato di sorveglianza, attraverso il proprio difensore, può rivolgersi alla Cassazione, così come lo stesso Garante può provvedere un passaggio successivo.
L'articolo 13 pone in capo al Garante l'obbligo di denunciare all'autorità giudiziaria competente dei fatti di cui venga a conoscenza nell'esercizio delle sue funzioni; inoltre, è prevista una relazione annuale da trasmettere al Parlamento ed al Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene e dei trattamenti inumani e degradanti. Le Commissioni competenti hanno dato un parere favorevole al testo in esame.
A questo punto, vorrei trattare, in pochissimo tempo, un tema che ci è stato sottoposto a proposito di una nostra inadempienza rispetto ad una convenzione dell'ONU: si tratta di una istituzione nazionale indipendente per i diritti umani secondo quanto previsto dalla risoluzione n. 48/134 delle Nazioni Unite del dicembre 1993 che, secondo i principi di Parigi, è stata votata dall'Italia, ma a tutt'oggi è rimasta inattuata. Vi è stata una sollecitazione in questo senso perché sono tredici anni che il nostro paese è inadempiente, anzi è uno dei pochissimi paesi europei ad essere inadempiente rispetto a questa direttiva. Si tratta di un'istituzione di garanzia volta a promuovere la cultura dei diritti umani, intervenendo nei campi della conoscenza e della pubblicizzazione per far crescere la consapevolezza nelle scuole, anziché attraverso altri strumenti. È importante lavorare con il Parlamento e con il Governo per far in modo che vi sia coerenza tra i provvedimenti legislativi e quanto previsto dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, intervenendo in tutti i posti in cui questi diritti umani vengono violati.
Sono state presentate proposte di legge sia al Senato sia alla Camera in questa direzione; però, ora per noi si pone un problema dovuto al fatto che da gennaio 2007 il nostro paese diventerà membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU e intende candidarsi al nuovo Consiglio dei diritti umani dell'ONU. Questo deve avvenire entro il prossimo mese di maggio, ma si deve prioritariamente procedere all'istituzione del garante. La scadenza è molto ravvicinata e, in caso contrario, non avremo la possibilità di avanzare queste candidature. Da una discussione che si è svolta anche in Commissione, a noi pare importante porre la questione a tutti gli esponenti delle forze politiche che interverranno in quest'aula perché, come è facilmente rilevabile, questa autorità indipendente e garante della promozione e della protezione dei diritti umani avrebbe competenze compatibili con quelle del Garante per i diritti delle persone detenute o private della libertà personale su cui stiamo discutendo in questa sede.
Vale la pena...

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PRESIDENTE. Grazie...

GRAZIELLA MASCIA, Relatore.. ..di ragionare e di capire se non sia il caso, naturalmente attraverso un passaggio in Comitato dei nove ed in Commissione, di tentare di dare risposta anche a questo problema. La ringrazio, signor Presidente (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI MANCONI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. La ringrazio.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi (mi rivolgo ai colleghi in generale ma, in particolare, a quelli della Commissione affari costituzionali della Camera), la puntuale, approfondita e pregevole relazione della collega Mascia, la quale mi ha immediatamente preceduto in apertura del dibattito, mi esime dal ripercorrere puntualmente il testo unificato al nostro esame (ed i colleghi, eventualmente, dall'ascoltare).
Com'è stato ricordato - e, forse, è giusto sottolinearlo -, il provvedimento è il risultato, anzitutto, di un ampio ed approfondito lavoro che è già stato svolto, nella precedente legislatura, dalla Commissione affari costituzionali e dall'Assemblea della Camera (ovviamente i rapporti politici erano rovesciati rispetto a quelli attuali; ad ogni modo, vi fu, già allora, un approfondito tentativo di convergenza su un testo). Anche in questa legislatura, il testo unificato al nostro esame è il risultato di tre proposte di legge: una a prima firma della collega Mazzoni, una presentata dalla collega Mascia e da altri deputati del suo gruppo e, infine, una a firma del sottoscritto, a nome dei Verdi. Quindi, vi sono state, anche in questa legislatura, iniziative legislative bipartisan - come si usa dire -, cioè provenienti sia dallo schieramento di centrodestra sia da quello di centrosinistra.
Come la collega Mascia ha opportunamente ricordato, le tre proposte di legge, caratterizzate da differenze iniziali, sostanzialmente riproducevano, e riproducono tuttora, il risultato al quale si era giunti all'esito del comune lavoro svolto nella precedente legislatura. Che il lavoro sia stato comune non significa che si sia stati - né allora, né oggi - in totale accordo su tutti gli aspetti. Penso che il dibattito cui stiamo dando inizio, e che proseguirà con gli interventi dei colleghi dei vari gruppi, evidenzierà sia gli aspetti di convergenza sia quelli ancora aperti al confronto critico ma, sostanzialmente, credo sia giusto rivendicare e sottolineare lo sforzo comune che, compiuto già a partire dalla scorsa legislatura, è stato ripreso oggi, per arrivare anche nel nostro paese, finalmente, all'istituzione della figura del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Debbo dare atto, d'altra parte, non soltanto del clima di collaborazione (anche quando si è trattato di collaborazione critica) che ha caratterizzato lo svolgimento dei lavori in Commissione affari costituzionali, ma anche del fatto che la Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera ha tempestivamente calendarizzato il provvedimento per l'esame in Assemblea (non a caso, cominciamo oggi la discussione e mi auguro che possiamo concludere l'esame rapidamente).
Per una coincidenza non del tutto casuale (in parte casuale ma, in parte, significativa di un'attenzione di questo Parlamento verso problematiche siffatte), stanno convergendo all'esame dell'Assemblea della Camera il provvedimento proposto dalla Commissione giustizia in materia di reato di tortura, quello (anche in questo caso - a prima firma della collega Mazzoni, ma che abbiamo condiviso tutti) sul completamento della cosiddetta legge Nassiriya in materia di provvidenze a favore delle vittime e dei familiari delle vittime di atti terroristici compiuti alPag. 7l'estero e quello volto, appunto, all'istituzione del Garante delle persone detenute.
In questa fase della legislatura, siamo chiamati, in questo ramo del Parlamento (e mi auguro che possa aversi una rapida conclusione anche nell'altro ramo), ad affrontare una serie di tematiche: legislative, istituzionali e, in parte, anche costituzionali (ricordo, infatti, che, qualche mese fa, abbiamo approvato la modifica dell'articolo 27 della Costituzione, per la definitiva soppressione di qualunque ipotesi di pena di morte; anche in questo caso, mi auguro che l'altro ramo del Parlamento possa rapidamente affrontare la materia e definirla).
Siamo chiamati, in questa prima parte della legislatura, lo ripeto, ad affrontare una serie di tematiche istituzionali che hanno a che fare con la giustizia, con il sistema penitenziario, con la tutela delle vittime del reato - sotto quest'ultimo profilo si sta discutendo anche della modifica dell'articolo 111 della Costituzione -, con l'integrazione del nostro codice penale prevedendo l'inserimento del reato di tortura rispetto al quale il nostro paese è inadempiente. Si tratta, quindi, di tutta una serie di questioni rispetto alle quali il Parlamento di questa XV legislatura ha ripreso immediatamente il testimone dalla legislatura precedente e sta rapidamente intervenendo.
La collega relatrice ha fatto bene a ricordare puntualmente l'importanza che assume il provvedimento odierno in relazione al Protocollo opzionale dell'ONU. Condivido anch'io - del resto è stato richiamato opportunamente anche in un importante parere, reso alla nostra Commissione, della Commissione giustizia della Camera dei deputati - l'importanza del richiamo alla sentenza n. 26 del 1999 della Corte costituzionale. Si è trattato di una sentenza importante a cui però non ha fatto seguito un adempimento tempestivo, per la parte di sua competenza, del legislatore. Ad essa risponde positivamente, sebbene in parte, il provvedimento al nostro esame.
Personalmente non ho ritenuto, e questo è un atto di riconoscimento del buon lavoro svolto in Commissione, di presentare ulteriori emendamenti in Assemblea - cosa che invece hanno fatto del tutto legittimamente altri gruppi parlamentari -, che esamineremo con assoluto rigore ed equilibrio. In Commissione, sia io sia altri colleghi, abbiamo presentato alcuni emendamenti di perfezionamento del testo, che la relatrice aveva presentato come testo unificato.
Il lavoro positivo, dialogico e costruttivo svolto in Commissione ha permesso di consegnare all'Assemblea un testo non perfetto - nessun testo legislativo è perfetto - ma largamente soddisfacente con la possibilità ulteriore sollecitata, sia da noi sia da alcuni colleghi dell'opposizione, di integrarlo con il recepimento - in parte identico in parte inserendo alcune formulazioni più approfondite - di alcune osservazioni e di una condizione prospettate nel già citato parere della II Commissione.
Il fatto che anche il dialogo tra Commissioni possa avere in questa sede esito positivo rappresenta un segno importante perché ciò, come il Presidente e i colleghi sanno bene, non sempre avviene in Parlamento dove, a volte, si registra una certa sordità reciproca. La Commissione Affari costituzionali ha mostrato, sia da parte dei componenti della maggioranza sia da parte di quelli dell'opposizione, grande attenzione al parere espresso dalla II Commissione; altrettanta attenzione ha prestato la collega relatrice che già oggi, in sede di Comitato dei nove, ha prospettato degli emendamenti per consentire di recepire tale parere.
L'importanza dell'istituzione del garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale è sottolineata anche dal fatto che con tale previsione in questa materia non voglio dire che si colmi una lacuna (perché si tratterebbe di un'espressione un po' retorica che ha anche un po' del politichese), ma si attua finalmente un istituto a livello nazionale sollecitato, lo ripeto, anche da proposte di legge presentate nella scorsa legislatura. Non dimenticando, inoltre, che nel frattempo vi sono una serie di realtà Pag. 8positive, ovviamente con poteri molto limitati e parziali, in parte già realizzate, in varie realtà regionali e locali.
Vi è un pregevole dossier del servizio studi della Camera che fa una ricognizione al riguardo, dal quale si evince che già una serie di regioni, con coloritura politica differente l'una dall'altra, hanno istituito questa figura, sia pure con poteri e caratteristiche molto diversi da quelli che proponiamo all'Assemblea, avendo, logicamente, la possibilità di intervenire a livello statale. Le regioni che hanno già affrontato, con legge regionale, questa materia, sono la Lombardia, la Toscana, l'Umbria, il Lazio, la Campania, la Puglia e la Sicilia; si tratta, quindi, di regioni che coprono, più o meno, tutto l'arco geografico della penisola e che, come ho già detto, hanno diverse maggioranze politiche a livello di governo regionale. Ricordo che anche la provincia di Milano e, allo stato, i comuni di Torino, Biella, Brescia, Bologna, Firenze, Pesaro, Roma, Reggio Calabria e Nuoro hanno istituito la figura del garante. Nel dossier citato, inoltre, sono riportate sia le leggi regionali sia i provvedimenti amministrativi assunti dalle province e dai comuni citati.
Proprio questa realtà, che si sta dislocando sul territorio, un po' a macchia di leopardo, fa capire quanto sia importante che venga istituito un punto di riferimento sul piano nazionale, dotato di una organicità ordinamentale di poteri, sia pure nei termini in cui la collega Mascia ha illustrato, riguardo a procedure ed a personale, tali da costituire un fondamentale punto di riferimento anche per le realtà a livello locale.
Da ultimo, signor Presidente, colleghi, vorrei soffermarmi molto brevemente, ma con attenzione, sull'ipotesi che la collega Mascia ha prospettato nell'ultima parte della sua relazione e che non ha potuto approfondire, dato l'esaurimento del tempo a sua disposizione e nonostante la tolleranza manifestata dalla Presidenza. Si tratta di un'ipotesi, che sarà opportuno valutare serenamente in quest'aula, cercando di trovare un'ampia convergenza, volta ad arricchire questa importante proposta di legge di iniziativa parlamentare, nel senso di far confluire il garante dei diritti e delle persone detenute o private della libertà personale in un ambito più ampio, ovvero in una commissione nazionale per la promozione della tutela dei diritti umani, di cui il garante diventerebbe un'articolazione.
La collega Mascia ha già sottolineato quali sono le ragioni di carattere sostanziale ed istituzionale, in relazione alla tutela dei diritti umani, nell'attuale quadro internazionale: dal primo gennaio, l'Italia diventa membro, non permanente, ma per due anni, del Consiglio di sicurezza dell'ONU; la possibilità che il nostro paese abbia un ruolo importante in tale organismo, preposto alla tutela dei diritti umani; la necessità, perché questo avvenga, che tempestivamente, ossia nel giro di pochi mesi, venga istituita la commissione nazionale per la tutela di diritti umani anche nel nostro paese, come già è avvenuto in molti altri paesi; infine, l'opportunità - da valutare, vista, non la coincidenza, ma l'intersecazione delle materie, di cui stiamo trattando (in generale, la tutela dei diritti umani e, in particolare, il garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale) - di intervenire con lo strumento legislativo che abbiamo al nostro esame.
La collega Mascia, poco fa, opportunamente - io stesso non ha ancora avuto modo di approfondirne l'esame così penso nessuno di noi -, ha distribuito in Commissione una bozza, un'ipotesi, uno schema, evitando di depositare formalmente un testo. Ha preferito invece distribuire ai colleghi del Comitato dei nove una bozza, un'ipotesi concernente la possibilità di arricchire l'articolato, laddove si adottasse l'ipotesi di allargamento della materia di questa proposta di legge con l'istituzione della Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Poiché ritengo doveroso onorare il dibattito che la relatrice ha avviato sia in Commissione, sia in sede di Comitato dei nove, sia ora in Assemblea, vorrei esprimere Pag. 9a nome del nostro gruppo un consenso a questa ipotesi, ovviamente nell'auspicio che possa essere da tutti i gruppi - o dalla maggior parte dei gruppi di maggioranza e opposizione - condivisa.
Diventerebbe difficile un'iniziativa di legislativa di questo genere, un arricchimento e un allargamento della nostra iniziativa legislativa nella dimensione qui ricordata, laddove non vi fosse una larga condivisione. Poiché, però, già in relazione al parere espresso dalla II Commissione si è visto che il dialogo parlamentare ha dato buoni frutti, ritengo che si possa esprimere una fiducia nel confronto parlamentare anche su questo argomento per poi, una volta terminato il dibattito generale in quest'aula, quando verrà riunito nuovamente il Comitato dei nove (mi pare che sia convocato poco dopo la fine dei lavori d'Assemblea di questa mattina), tutti noi (mi riferisco a tutti i rappresentanti dei gruppi, di maggioranza e di opposizione) tornare a riunirci e valutare se questa ipotesi di ampio emendamento e arricchimento del testo al nostro esame possa essere largamente condivisa - quindi praticabile - o se, invece, dovremmo sul punto ipotizzare soluzioni alternative.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boscetto. Ne ha facoltà.

GABRIELE BOSCETTO. Signor Presidente, colleghi senatori, signor rappresentante del Governo...

MARCO BOATO. Ex senatori siamo solo noi due!

GABRIELE BOSCETTO. Mi correggo: colleghi deputati. Talvolta ci si porta dietro la casa di provenienza e, nei primi tempi soprattutto, questi lapsus sono comprensibili.

MARCO BOATO. Sono anche belli...

GABRIELE BOSCETTO. Parlando a nome di Forza Italia, vorrei percorrere le logiche che ci hanno portato a non essere d'accordo su questo provvedimento. Si tratta di logiche riguardanti non tanto la sostanza del provvedimento, quanto piuttosto il modo nel quale esso si è allargato - soprattutto rispetto alla proposta Mazzoni - con una serie di «incrostazioni» ed aggiunte che, a nostro avviso, lo hanno reso estremamente pesante sul piano degli interventi, rendendo, sul piano della struttura, questa nuova autorità un carrozzone.
Già sul piano concettuale bisogna essere estremamente attenti a non esagerare nella proliferazione di continue, nuove autorità, perché si rischia di esagerare con centri di verifiche varie che non sempre sono utili - talvolta sono addirittura inutili - andando ad interferire con situazioni giuridiche esistenti.
Noi abbiamo sempre pensato che la legge sull'ordinamento penitenziario, con la possibilità dei detenuti e degli internati di rivolgersi al magistrato di sorveglianza, avesse una propria dignità e una propria sufficienza.
Ci è stato detto che i magistrati di sorveglianza sono subissati da istanze e richieste e possono esservi falle in questo sistema; aggiungere un'autorità di garanzia come questa non guasta, va certamente nell'interesse dei detenuti. Qualcuno ha obiettato che è sufficiente ciò che c'è, che dobbiamo preoccuparci delle vittime del reato ed invece continuiamo a preoccuparci dei detenuti. Io sostengo che è giusto preoccuparsi degli uni e degli altri e che il miglioramento delle condizioni nelle carceri rappresenta qualcosa di civile, ma anche di utile, per il regolamento della giustizia a tutti i livelli e per una corretta espiazione della pena che porti alla rieducazione scritta nella nostra Costituzione.
La proposta di legge Mazzoni era quella che, a grandi linee, incontrava il nostro favore, ad eccezione di due punti sui quali abbiamo alcune riserve: si tratta dell'operatività del nuovo garante in relazione ai CPT ed in relazione alle camere di sicurezza della polizia e degli altri organismi di ordine pubblico. Infatti, mentre l'inserimento di questa figura nell'ordinamento penitenziario fa sì che vi sia una normativa ampia e stabilizzata che Pag. 10consenta di incanalare la novità costituita dal garante, quando parliamo di CPT ci riferiamo ad istituti tipici di una legge, il testo unico sull'immigrazione Turco-Napolitano integrato dalla legge Bossi-Fini, che ha già una serie di tutele e dovrebbe, eventualmente, trovare ulteriori tutele nel suo ambito. Abbiamo sempre sostenuto che coloro che sono trattenuti nei CPT a fini di identificazione o di espulsione, dopo l'identificazione non sono privati della libertà personale, non sono detenuti, e non sono internati. Correttamente, si è detto di provvedere anche nei confronti di persone limitate nella libertà personale e, certo, si può sostenere che costoro un limite alla libertà personale ce l'abbiano.
Per quanto riguarda le camere di sicurezza, sappiamo come esse vengano usate in via del tutto temporanea in momenti delicatissimi delle indagini di polizia o delle indagini giudiziarie: prevedere la possibilità per il garante di intervenire in quei luoghi ed in quei momenti così delicati ci pare un non senso. Dunque, abbiamo presentato alcuni emendamenti tesi ad eliminare dalle competenze del garante coloro che sono nei CPT e coloro che si trovano, per brevissimi periodi di tempo, nelle camere di sicurezza in corso d'inchiesta della magistratura. Ripeto: per quanto riguarda tutele e verifiche sui CPT il testo unico, con i connessi regolamenti, già permette un pregnante controllo.
Se si vuole potenziare tale controllo, al fine di garantire meglio coloro che si trovano in queste situazioni, allora occorre introdurre modifiche serie alla cosiddetta legge Bossi-Fini o al suo regolamento di attuazione.
Affermo ciò per chiarire la nostra posizione. Infatti, non intendiamo neanche restringere le garanzie per coloro che si trovano nei CPT, tuttavia chiediamo che si segua una logica sistematica diversa. I due poli orientativi di tale ambito, a nostro avviso, devono essere costituiti da una parte dalla legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario e, dall'altra, dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, nonché dalle correlate norme regolamentari.
Ricordo che, in sede referente, abbiamo rivolto anche altre critiche al provvedimento in esame. In questa fase, signor Presidente, intendo soffermarmi sul testo al momento all'attenzione dell'Assemblea, riservandomi di intervenire successivamente sulle proposte emendative che saranno presentate in tale sede.
Procederò rapidamente, articolo per articolo, e senza neanche trattarli tutti. Vorrei soffermarmi, ad esempio, sui requisiti che, ai sensi dell'articolo 2 del provvedimento, devono essere posseduti dai componenti del Garante. Tale articolo, infatti, prevede che essi debbano possedere, anche disgiuntamente: un'esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani delle persone detenute o private della libertà personale; una riconosciuta competenza nelle materie giuridiche afferenti alla salvaguardia dei diritti umani.
Ebbene, riteniamo che tali requisiti siano eccessivamente generici e che non soddisfino congruamente le esigenze di una authority di garanzia che deve essere di altissimo livello (anche perché è previsto che il suo organico non superi le 50 unità di personale).
D'altro canto, ricordo che il comma 4 dell'articolo 1 del testo unificato delle proposte di legge in esame prevede che se i componenti del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sono magistrati in attività di servizio, debbano essere collocati fuori ruolo, mentre se sono professori universitari di ruolo, debbano essere messi in aspettativa. Ciò vuol dire che la logica alla base del provvedimento vuole che si faccia ricorso a figure in possesso di un'alta professionalità: pertanto, bisogna adeguare anche i requisiti di cui all'articolo 2 del suddetto testo unificato.
Per quanto riguarda l'articolo 6, riteniamo che le consulenze di cui possa avvalersi il Garante dei diritti (il cui impegno di spesa, peraltro, è contenuto in 300 mila euro annui) dovrebbero essere soppresse. Ciò perché pensiamo che una struttura come quella che auspichiamo - vale a dire, molto qualificata e dotata di un nucleo di personale altamente professionale, Pag. 11composto da un massimo di 50 persone - debba fare a meno di consulenti, poiché sappiamo che essi, talvolta, tendono ad assumere ruoli impropri.
Vorrei segnalare l'articolo 7, concernente i rapporti con i difensori civici ed i garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, istituiti in ambito regionale o locale, definito nel corso dell'attività della Commissione. Come abbiamo già detto in tale sede, riteniamo che si tratti di una disposizione estremamente pericolosa.
Infatti, se ci fossimo limitati a stabilire un rapporto tra il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nazionale ed i garanti dei diritti istituiti in ambito regionale, probabilmente avremo costruito una «rete» sicuramente congrua e seria.
Vorrei osservare, tuttavia, che qualora estendessimo tale istituto anche alle province ed ai comuni, non sapremmo più cosa accadrebbe, poiché non avremmo garanzie circa la serietà di questi uffici. Come abbiamo già sostenuto, ne soffriranno soprattutto la segretezza ed il rispetto della persona, che debbono essere correlati agli interventi del Garante.
Non solo. Questa norma può avere un effetto rebound, nel senso che molti comuni finiranno per istituire un ufficio del garante comunale per i detenuti al fine di sistemare qualche «amico» politico a capo di tale organismo locale, che si andrà a mettere in rapporto di cooperazione con il Garante dei diritti nazionale, creando quindi una rete artificiosa che non sappiamo dove potrà arrivare, ma che finirà per creare un «carrozzone» globale in tutto il paese, dove le falle ai diversi livelli e sotto i diversi profili si apriranno con facilità, a nostro avviso.
Ho già parlato delle camere di sicurezza e dei CPT. Ciò che ancora vorrei dire è che noi siamo critici sulla parte giurisdizionale che è stata introdotta rispetto alla proposta di legge Mazzoni A.C. 626. La proposta Mazzoni prevedeva l'intervento del Garante soltanto nell'ambito amministrativo: il Garante riceveva istanze, verificava, faceva i doverosi appunti alle autorità amministrative ed, eventualmente, alle autorità amministrative superiori, creandosi una serie di interventi che rimanevano limitati all'apparato amministrativo per le diverse gerarchie. Non credo che un sistema di tal genere fosse di difficile realizzazione, perché di fronte all'intervento del Garante si deve pensare quantomeno che le autorità gerarchicamente sovraordinate sarebbero intervenute. Nel testo unificato licenziato dalla Commissione, invece, si stabilisce che se gli uffici sovraordinati decidono di non accogliere la richiesta, il Garante dei diritti può richiedere al tribunale di sorveglianza territorialmente competente di annullare l'atto che reputa illegittimo ovvero di ordinare all'amministrazione di tenere il comportamento dovuto. Nel testo in esame si attribuiscono nuove competenze al tribunale di sorveglianza, tra le quali quella di annullamento di un atto amministrativo, che ci sembrano del tutto fuori luogo.
Per quanto riguarda...

PRESIDENTE. Onorevole Boscetto, se lei continua ancora, è evidente che il tempo viene sottratto al collega del suo gruppo che dovrà intervenire successivamente.

GABRIELE BOSCETTO. Ho proprio concluso, signor Presidente.
Per quanto riguarda l'articolo 11 è prevista la richiesta del Garante all'autorità giudiziaria competente - che, in questo caso, non è il tribunale di sorveglianza - di annullare l'atto; anche in proposito si crea una nuova logica di annullamento che, a nostro parere, non è positiva. Quindi, tale fase giurisdizionale è fortemente criticata da noi ed è una tra le ragioni per le quali, fermo restando il giudizio complessivamente positivo su questo provvedimento, la nostra posizione è diventata negativa per tutte le ricordate vicende che hanno portato ad aumentare la sfera di intervento del provvedimento medesimo, a nostro avviso, come dicevo all'inizio del mio intervento, in modo improprio. La ringrazio, signor Presidente Pag. 12(Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Cota, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Daniele Farina. Ne ha facoltà.

DANIELE FARINA. Signor Presidente, colleghi deputati, siccome spesso lamentiamo il distacco della politica dal paese reale, nell'esaminare questo provvedimento ritengo utile iniziare ricordando un fatto concreto. Si tratta di un suicidio, avvenuto il 17 ottobre scorso in un carcere romano. Voglio ricordare il cittadino Mauro Bronchi - così si chiamava - non perché ne abbia avuto una conoscenza diretta, né perché i reati dei quali era accusato avessero un che di politico, anzi sono quella tipologia di reati che forse si potrebbero definire, o vengono comunemente definiti, odiosi.
Rispetto alle decine di altri episodi che si verificano nelle carceri della Repubblica, il cittadino Bronchi ha avuto la ventura di incontrare ex post, purtroppo dopo, Gianfranco Spadaccia, garante (come tutti voi sapete) delle persone private della libertà personale per il comune di Roma. Egli ha segnalato il caso e le carenze che hanno, verosimilmente, facilitato il suo accadere: ovviamente, è in corso anche un'inchiesta della magistratura.
In Italia sono stati istituiti - lo ricordava la relatrice assieme ad altri colleghi -, da comuni, province e regioni, almeno una ventina di garanti. Si tratta però di figure con funzioni chiaramente limitate, con poteri che potremmo definire interstiziali: utili ma non sufficienti. Proprio il caso che citavo, indirettamente e drammaticamente, ce lo conferma.
L'obiettivo di questo provvedimento è dunque di istituire una figura operante su tutto il territorio nazionale, dotata di funzioni e delle risorse per esercitarle, capace di intervenire ex ante, di prevenire tutelando situazioni come questa e le cento meno drammatiche che quotidianamente tutti noi sappiamo verificarsi nei luoghi dell'internamento e della privazione della libertà personale.
Non dobbiamo pensare che questo provvedimento abbia un che di particolarmente radicale, poiché è un'esigenza, com'è stato ricordato, che ha trovato risposta con modalità differenti in molti paesi europei.
Nessuna esagerazione dunque, onorevole Boscetto; colmiamo in realtà - io lo dico, l'onorevole Boato magari no poiché lo ascriveva al politichese - un ritardo, tanto più grave se pensiamo alle condizioni del nostro circuito penitenziario rispetto a quelle di altri paesi europei.
Inoltre, non è così peregrino pensare che esiste una relazione tra la presenza di una figura di garanzia e questo differenziale di condizioni. Sono funzioni di osservazione e vigilanza, ma anche di verifica circa le procedure e le condizioni poste in essere nelle carceri, nelle camere di sicurezza, nei centri di permanenza temporanea. Sono funzioni che, in parte, coincidono con quelle attribuite alla magistratura di sorveglianza dal secondo comma dell'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, come ricordava la relatrice, approvata a riforma dell'ordinamento penitenziario. Esse rimangono, per questa parte dell'articolo 69, giustamente immutate configurando, al massimo, un doppio e virtuoso meccanismo che, limitatamente alle carceri, sarebbe strumentale, come è stato fatto, agitare come conflittuale.
Eppure non possiamo nasconderci che un quarto e più di secolo di applicazione della legge n. 354 ne ha evidenziato anche le non poche fragilità. Dunque, non casualmente, il provvedimento interessa anche l'articolo 35, che pur prevedendo una molteplicità di figure (dal direttore dell'istituto al Capo dello Stato, dal magistrato di sorveglianza al presidente della giunta regionale) quali potenziali destinatari di istanze e reclami da parte del cittadino detenuto, non appare oggi adeguato nella sua applicazione e nella sua formulazione; in proposito, i colleghi hanno citato le sentenze, i provvedimenti della Corte costituzionale.Pag. 13
Ecco perché con questo provvedimento si propone di mettere in capo proprio al Garante dei diritti la possibilità di procedere a proprie determinazioni, in ordine a istanze e reclami. Proprio per questo il procedimento, lasciando intatta la potestà giurisdizionale del magistrato di sorveglianza, configura però un più adeguato livello di attenzione ed intervento; procedimento conciliativo, ma anche procedimento contenzioso, per il quale è prevista, infatti, la possibilità di un ricorso in Cassazione, oggi non esistente. Non potrebbe essere altrimenti, se non vogliamo istituire una figura di carattere meramente simbolico, inadeguata ai compiti e agli obiettivi che oggi si rendono con evidenza necessari.
Nel dibattito svoltosi in sede consultiva presso la Commissione giustizia di questa Camera, proprio questi ultimi punti hanno suscitato talune perplessità, tali da esplicitarsi anche nel parere e negli atti.
L'impressione è però che alla radice di quel parere, di quel dibattito vi sia ancora il prevalere di una convinzione circa il carattere retributivo, ovvero afflittivo della pena rispetto a quello rieducativo reso prevalente dalla nostra Costituzione. È un'ipotesi che pochi sarebbero disposti ad ammettere, perché ci porterebbe lungo quel dirupo che dalla legge del taglione risale fino al codice Rocco.
Molti dunque sono i motivi per sospingere questo provvedimento oltre le comprensibili obiezioni. Ogni testo di legge è ovviamente perfettibile, ma forse mai come in questo caso è opportuno che la norma viva affinché si verifichi nella sua concreta attuazione la sua efficacia. In conclusione, ciò è maggiormente vero se questa figura verrà articolata nelle funzioni che la relatrice ricordava in ordine al contenuto del protocollo dell'ONU cui siamo da troppi anni chiamati a dare seguito (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anche in questa circostanza (o forse soprattutto in questa circostanza) non parleremo in «politichese». Pertanto, intendo iniziare il mio intervento dalla fine.
Questo provvedimento, così come configurato, è difficilmente emendabile perché possa essere recuperato a logiche di utilità. Se tuttavia esso è destinato a confluire in un provvedimento a più largo spettro di competenza, in vista dell'istituzione di altro organismo prospettato come adempiente alle sollecitazioni di carattere internazionale rivolte alle nazioni, tra cui l'Italia, il gruppo di Alleanza Nazionale si riserva ogni valutazione a questo riguardo. Infatti, il mio gruppo è da sempre fortemente sensibile all'intera problematica dei diritti umani, provenienti dal diritto naturale e dalle sue articolazioni e traduzioni negli ordinamenti nazionali ed internazionali. I diritti umani, infatti, si fondano su una base, se non ideologica, di principio, relativa alla centralità del diritto della persona. Pertanto, siamo aperti a confrontarci con ogni forza politica e culturale su tali tematiche.
Per la verità sta circolando un testo che ho avuto materialmente in mano da pochi minuti. Per tale motivo non mi sembra il caso di anticipare giudizi su questioni di tale delicatezza, in quanto si rischia che siano superficiali e affrettati. Ribadisco che, in linea di principio, il mio gruppo non è contrario ad affrontare in modo organico e serio l'intera tutela, verifica e promozione dei diritti umani. Vedremo con quali strumenti e quali modalità ciò sarà fatto.
Se invece dobbiamo restare al tema sottoposto alla nostra attenzione, ripeto che non giova parlare in «politichese». Non giova ai nostri reciproci rapporti e al rispetto che ci dobbiamo culturalmente, né nei confronti dell'opinione pubblica, sensibile nella sua stragrande maggioranza alla civiltà dei trattamenti ad ogni livello e in ogni ambiente, ivi compreso quello della detenzione. Al tempo stesso, tuttavia, essa chiede soglie di garanzia in merito alla sicurezza dei cittadini prioritarie rispetto Pag. 14ad ogni altra tematica. Inoltre, sul piano politico dobbiamo dire che si tratta di provvedimenti troppo chiaramente partoriti da un incontro non positivo e non fecondo tra un «buonismo» di immagine, che non fa il bene delle persone, ed un ideologismo, che principalmente da sinistra viene agitato senza curarsi - voglio esser benevolo - degli effetti e delle ricadute, spesso devastanti, per i settori in cui si interviene.
Per quanto ci riguarda, abbiamo espresso subito un giudizio tendenzialmente negativo sul contenuto di questo testo unificato al nostro esame. Tale giudizio è motivato dal fatto che principalmente si determinano una sovrapposizione e un'interferenza di competenze con la magistratura di sorveglianza che anche il profano - il tecnico neppure a parlarne! - individua prima facie.
Mi sarebbe troppo facile dire - e su questo potrei intrattenervi a lungo e consumare il tempo a mia disposizione - che basta leggere l'articolo 69 della legge n. 354 del 1975, laddove al comma 1 si dice che «il magistrato di sorveglianza vigila sull'organizzazione degli istituti di prevenzione e pena e prospetta al ministro le esigenze dei vari servizi, con particolare riguardo all'attuazione dei trattamento rieducativi», mentre al comma 2 si prevede, testualmente: «esercita altresì la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia degli imputati sia attuata in conformità delle leggi e dei regolamenti» e, inoltre, al comma 3: «sovrintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personale» e via dicendo.
Nel testo sottoposto al nostro esame, all'articolo 8, comma 1, si individuano, o si cercano di individuare, funzioni e poteri del Garante dei diritti; alla lettera a), si dispone che egli «esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l'esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati e dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme (...) sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti». Già è confessato, per enunciazione degli estensori dei testi, che si tratta di due organismi che - quali che siano le più o meno buone intenzioni dei proponenti - sono assolutamente sovrapponibili, «intrusi» l'uno nell'altro e, dunque, potenzialmente confliggenti.
In ogni caso, la norma raddoppia gli organismi, creando una confusione istituzionale e funzionale assolutamente esecrabile ed evitabile. Colui il quale non cercasse di evitarla, potrebbe esser additato come un irresponsabile. Infatti, queste vicende poi si scaricano su singole persone o su comunità di persone che vivono in una determinata condizione, con stati già di tensione e difficoltà ben note a tutti. Pertanto, creare confusione, interazioni, sovrapposizioni o conflitti in questa materia è assolutamente da irresponsabili.
Si è detto che la magistratura di sorveglianza non ha raggiunto tutti i suoi obiettivi e non sembra disporre di tutti gli strumenti idonei e sufficienti. Inoltre, si è detto - e questo è un giudizio - che il bilancio della sua azione non sarebbe positivo. Noi non siamo così devastanti. Ci sono magistrati di sorveglianza e loro collaboratori che fanno il possibile e l'impossibile per fronteggiare i loro delicatissimi compiti e che svolgono una preziosa opera nell'adempimento del proprio dovere, con risultati assai importanti. Tuttavia, sono innegabili le carenze, le insufficienze e le intempestività, in quanto ciascuno può verificarle nell'esercizio quotidiano della propria professione, del proprio potere di visita, delle proprie esperienze di ogni genere.
Quando un organismo che si riconosce di per sé idoneo ed appropriato, conforme ai nostri principi costituzionali, ai nostri ordinamenti ed indicazioni di valore dimostra insufficienze, inadeguatezze, qual è la cosa giusta da fare? Potenziarlo, renderlo adeguato, migliorarne la potenzialità operativa ma non di certo smantellarlo, svuotarlo di competenze e andare a creare un altro organismo parallelo, dalla natura difficilmente configurabile e mal conciliabile anche sul piano giuridico.Pag. 15
Infatti, quando si parla dei diritti della persona, questi non sono rappresentati soltanto da pezzi di carta, ma sono qualcosa di vivo e di palpitante. Non si devono raddoppiare queste funzioni, volte a creare ulteriore confusione, quanto piuttosto potenziare gli strumenti a disposizione.
La magistratura di sorveglianza è nata da una doppia esigenza. La prima è quella di affidare tutte le controversie ed anche, vorrei dire, i passaggi quotidiani della vita e della vicenda del condannato o del soggetto la cui libertà personale, comunque, è ristretta, ad un magistrato, a colui, cioè, che si trova in posizione di terzietà e che teoricamente offre la massima garanzia ai singoli e alle comunità. Infatti, tale organo è nelle condizioni di assicurare al meglio e con la massima attendibilità possibile, senza essere prono o connivente con altri poteri, anche con il potere esecutivo dello Stato, le garanzie che tutti noi ci aspettiamo quanto al rispetto dei diritti giuridici diffusi. Mi riferisco a noi quali cittadini, ma anche ai detenuti che, come tali, soffrono la restrizione della libertà personale in ragione dei delitti commessi e delle pene irrogate, sempre con le garanzie e le procedure assicurate dal sistema giudiziario. Questa è la massima garanzia che il legislatore ha individuato, a suo tempo, nei confronti dei soggetti coinvolti.
La seconda esigenza è quella di ramificare la presenza di questa magistratura la quale, non a caso, nella quasi totalità dei casi - lo sa chi conosca un po' la «geografia giudiziaria» italiana - è insediata presso le sedi circondariali di tribunale presso le quali si trovano i principali istituti di pena e di restrizione. In tal modo, sono assicurate la prossimità, la reperibilità e la prontezza della risposta del magistrato dinanzi alle istanze, ai reclami e alle altre situazioni che gli sono prospettate.
Da queste esigenze è nata la magistratura di sorveglianza. Perciò, ripetendo ancora una volta una considerazione che attiene ad punto centralissimo, affermo che raddoppiare tali funzioni e creare questo intreccio di poteri e di interventi è francamente sbagliato - per usare un termine banale ma significativo - incongruente e mal attuabile. Ciò è dimostrato dal fatto che anche in base alle previsioni contenute nel testo, di fronte all'esigenza evidente di rendere in qualche modo esigibili e potenzialmente cogenti ed efficaci gli interventi dell'istituto che si sta prospettando, alla fine si arriva ad un collo di bottiglia. In determinate situazioni, infatti, quando si crea un contrasto, un contraddittorio tra le inadempienze rispetto agli interventi dell'ipotizzato garante, si deve ricorrere sempre alla procedura giurisdizionale, si deve versare il contenzioso nella sede magistratuale, l'unica competente. Ecco, dunque, che si crea qualcosa di spurio, che non è affidato alla giurisdizione, in una prima serie di segmenti comportamentali e di competenze, e che finisce sempre all'esame del magistrato ma senza il rispetto, a monte, delle garanzie del contradditorio giudiziario.
Non siamo dunque favorevoli a questo provvedimento, mentre siamo assai favorevoli a tutto ciò che possa migliorare seriamente la condizione e le garanzie per il detenuto, usando questo termine nella sua accezione generica perché all'interno di questa genericità si ricomprende una serie di fattispecie. Un collega ha giustamente affermato che non siamo d'accordo nell'equiparare i poteri di ingerenza e di verifica riguardo agli istituti di pena tradizionali con quelli concernenti i centri di accoglienza o di permanenza temporanea, di identificazione o le camere di sicurezza. Questo è doppiamente sbagliato e tende a creare confusione ideologica con l'esigenza di trattenere persone che sono allo sbando e in situazioni la cui illegittimità è frequente ma ancora da verificare. Insomma, questi centri rispondono ad una diversa esigenza. Qualche nostro collega che, nelle scorse ore, si è esibito in maniera indecorosa può pensarla non allo stesso modo, ma le persone che abbiano un minimo di equilibrio logico e istituzionale non devono essere fuorviate.
Non siamo favorevoli, quindi, a questa istituzione. Se entreremo nell'esame dell'articolato, naturalmente spiegheremo, in Pag. 16sede di illustrazione degli emendamenti, quali passaggi non ci trovano d'accordo. Mi sembra di poter dire, in termini politici, che già nella maggioranza stessa non vi è ampio consenso o coincidenza di vedute, se è vero, per esempio, che un emendamento presentato dal collega Palomba riconfigura completamente l'istituto, in modo certamente diverso da quello che emerge dalla proposta sottoposta al nostro esame.
Con riferimento al parere della II Commissione, in cui si registra la stessa maggioranza politica riscontrata nella I Commissione, in particolare alla lunga premessa che è parte integrante del parere stesso, è una formula di stile dire che si tratta di un parere favorevole: in realtà, è un parere sostanzialmente ed in maniera molto penetrante contrario e non sono certo i blandi emendamenti della collega relatrice che possono rimediare alla sostanza di quel parere contrario!
Non siamo, altresì, d'accordo sui criteri di individuazione dei requisiti per la nomina dell'organismo, per la sua costituzione, per l'apparato che gli si dovrebbe costruire intorno, per le consulenze. È troppo facile prevedere che - i membri del Governo attuale sono soliti adottare questo atteggiamento - venga nominato qualche ex brigatista come esperto consulente nelle materie dei diritti umani e quant'altro!
Non siamo d'accordo nell'attribuzione di certe funzioni e poteri per le ragioni che ho affermato. Ciò anche in riferimento ai rapporti tra il difensore civico nazionale e l'articolazione, l'arcipelago di analoghe figure che più o meno velleitariamente regioni e comuni vanno istituendo: si tratta, infatti, di un argomento insidiosissimo, perché il testo prevede una sorta di cooperazione, ma tale formula, proprio per la sua indeterminatezza, si presta ad intrusioni, esorbitanze di competenze ed iniziative che è troppo facile presagire.
Addirittura, è prevista la possibilità da parte del Garante nazionale di avvalersi delle strutture periferiche analoghe o assimilabili che dovrebbero essere istituite con la garanzia della riservatezza, dell'affidabilità in una materia in cui la sicurezza dovrebbe essere particolarmente pregnante (lascio intendere alla vostra esperienza e al vostro buon senso!).
Vi sono questioni relative al procedimento, del quale parleremo quando si passerà all'esame delle proposte emendative, al carico economico che, naturalmente, prevede un'ipertrofia dell'organismo, oltre alle consulenze, con le relative spese che anche negli emendamenti vorremmo vedere contenute. Si tratta di una serie di argomenti che ci fanno ritenere che o si pensa che questo organismo, istituito a livello centrale nazionale, sia in grado di rispondere agli obiettivi che verrebbero prefissati, oppure no; se si pensa che questo organismo possa fare appello, avvalersi della collaborazione e della strumentazione di quelli periferici, stiamo già dichiarando fallimento!
In buona sostanza, mentre diciamo che lo stesso non può delegare le funzioni, stiamo già prevedendo che, sul piano pratico dell'istruttoria, dell'acquisizione dei dati, la delega sarà la regola e non l'eccezione!
Tutto questo creerà ulteriore turbamento, nonché grandi preoccupazioni, specie in talune regioni italiane, ma non solo. Vi sono quindi ragioni anche funzionali, tecniche, di sistema che motivano fortemente la nostra contrarietà. Non si tratta, comunque, di una contrarietà a tutto ciò che promuova e garantisca, pur nel contesto della certezza e dell'effettività della pena, principio al quale la gente, non la destra politica, ma i cittadini di ogni pensiero e cultura richiamano la classe politica. Nel contesto della certezza ed effettività della pena, la civiltà della pena medesima è un principio guida, al quale anche e soprattutto il mio gruppo si è sempre ispirato nelle sue determinazioni. Tuttavia, lo si fa strutturando adeguatamente i luoghi, disciplinando le procedure, potenziando il personale, affidandosi con forza e promuovendo la sua professionalità, la sua dotazione, la sua sensibilità culturale a questi temi, con una magistratura che, con tutte le sue garanzie, intervenga con prontezza ed efficacia, al meglio Pag. 17delle sue possibilità, sulle situazioni individuali e collettive di eventuali illegittimità o infrazioni dei principi di umanità che regolano il nostro ordinamento. Tutto ciò, senza stravolgerlo, senza creare un disastro di competenze tra magistratura e questi nuovi carrozzoni da istituire, senza mortificare la professionalità degli operatori che hanno vita altrettanto difficile, quanto le creature a loro affidate, senza dilapidare risorse o creare interferenze di competenza ai vari livelli.
Mi riservo, dunque, sulla base di questo giudizio negativo di carattere generale, di intervenire in sede di esame dei singoli emendamenti, ammesso che non si acceda a quella visione di più larga prospettazione tematica, sulla quale ribadisco che siamo disposti ad un confronto scevro da ogni pregiudizio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, vorrei innanzitutto premettere che un intento costruttivo, anche se con qualche accento critico, è contenuto nella nostra volontà di collaborare a migliorare questo testo. Se ciò non significa totale condivisione del testo, tuttavia significa volontà di cooperare affinché alcuni aspetti, che per noi sono più critici, vengano ricondotti all'interno di un più corretto rapporto tra organi istituzionali.
Un dibattito che si fondi su una volontà costruttiva, anche facendo rilevare aspetti critici, sfugge a qualunque logica di contrapposizione tra maggioranza e minoranza. Sappiamo che il testo unificato, infatti, è il risultato di proposte di legge di deputati della maggioranza e dell'opposizione e che posizioni non convergenti si sono registrate sia nella maggioranza, sia nell'opposizione, tanto nella Commissione affari costituzionali, quanto nella Commissione giustizia, in cui sono stati espressi accenti critici da parte di illustri componenti della stessa maggioranza. Ricordo, ad esempio, l'intervento del collega Gambescia, oggi presente, ma anche quello, ad esempio, del collega Belisario nella I Commissione.
L'Italia dei Valori ha alcune proposte che possono servire a superare eventuali obiezioni di fondo a questo testo, così come è stato trasmesso all'aula. Esso è stato trasmesso forse troppo precipitosamente, considerato che un maggiore approfondimento e un maggiore tempo a disposizione per la I Commissione, dopo la formulazione del parere da parte delle altre Commissioni, avrebbe forse consentito di trovare un equilibrio più condiviso su un testo che rispettasse maggiormente le diverse opinioni pervenute alla I Commissione medesima.
La fissazione un po' accelerata della discussione sul provvedimento in aula verosimilmente ha impedito che si completasse quella operazione di affinamento e di riequilibrio complessivo del testo che, probabilmente, sarebbe stata nei desideri degli stessi componenti della I Commissione, i quali si sono dovuti limitare a prendere atto dei pareri pervenuti e, subito dopo, licenziare il testo così com'era, proprio per l'urgenza dei tempi, che è andata oltre le volontà.
Vi sono due questioni di fondo che vogliamo rappresentare nei confronti del testo, così come trasmesso all'aula: una riguarda la natura giuridica dell'organo, che, per il momento, non definiamo; l'altra riguarda la sua composizione, in senso soggettivo, ed i meccanismi per la sua determinazione.
Il tema fondamentale riguarda la natura giuridica dell'organo. Si poteva oscillare tra due soluzioni: la prima è quella di scegliere un organo decisorio; la seconda è quella di istituire un organo verificatore, propulsore ed istruttore, che non intervenisse nella fase della decisione e, quindi, che non si intersecasse in nessun modo rispetto ai compiti e alle funzioni della magistratura di sorveglianza.
A noi pare che l'organo decisore debba essere uno solo, ossia il magistrato di sorveglianza, al quale l'ordinamento penitenziario affida due funzioni essenziali. La prima è quella di vigilare sull'organizzazione dell'amministrazione penitenziaria e sulla conformità dell'esecuzione penitenziaria alle leggi e ai regolamenti, come Pag. 18stabilisce con chiarezza il comma 2 dell'articolo 69 della legge n. 354 del 1975. E mi sembra giusto che sia così, perché la vigilanza spetta a chi ha, poi, il potere di decidere.
L'altra funzione precipua affidata alla magistratura di sorveglianza è quella di decidere sui reclami.
Se è così, a questo ulteriore organo che, nel pianeta penitenziario, va ad affiancarsi alla magistratura di sorveglianza dovrebbe competere una funzione più di verifica che non di decisione.
Se un organo di sicura natura amministrativa, quale il garante o il difensore civico, dovesse essere gravato di compiti di decisione anche sui conflitti, vi sarebbero dei seri dubbi di costituzionalità. Infatti, l'esecuzione della pena riguarda strettamente i diritti soggettivi delle persone e, in presenza di questi ultimi, la decisione sui conflitti spetta esclusivamente all'ordine giudiziario, proprio perché si tratta di diritti soggettivi.
Dico ciò indipendentemente dal fatto che il procedimento di istruzione, di decisione sui reclami possa essere configurato come un procedimento giurisdizionale ordinario o come un procedimento amministrativo: ciò non interessa in questa sede. Fatto sta che il compito di decidere sui reclami, in quanto essi attengono potenzialmente ai diritti soggettivi, non può essere espropriato alla magistratura di sorveglianza.
Questo è un primo serio punto di perplessità sul testo sottoposto all'esame dell'Assemblea: mi riferisco all'attribuzione a tale organo di garanzia di compiti quali la vigilanza e la decisione sui reclami, che sono attribuibili esclusivamente alla magistratura di sorveglianza.
Questo dubbio di costituzionalità ci porta ad essere particolarmente incisivi nel prospettare le perplessità esistenti. Dobbiamo fare in modo che il testo regga anche ad un successivo e rigoroso vaglio della Corte costituzionale, che già più volte è stata molto attenta a questi aspetti, nel momento in cui ha giurisdizionalizzato il procedimento di sorveglianza, per trarne conseguenze in ordine alla possibilità di sollevare all'interno di esso questioni di costituzionalità, anche se di tipo incidentale.
Al riguardo, credo che dobbiamo essere estremamente attenti. Ritengo che la Commissione e il Comitato dei nove, all'esito del dibattito, avranno la possibilità di raccogliere le perplessità sollevate e, sulla base di queste, di completare quella azione che, per ragioni di tempo, è stato difficile espletare in precedenza.
Il garante o il difensore civico, comunque, sono organi che vanno circoscritti (ma questo termine non deve essere in nessuna maniera svalutante) in un ambito molto preciso, all'interno del quale possono espletare una funzione importante, di sostegno dell'azione della magistratura di sorveglianza: sostegno, ma non sostituzione. Può esercitare una funzione importante, anche se noi riteniamo non conferente l'argomento che induce ad istituire un nuovo organismo per le debolezze attuative della funzione di sorveglianza in capo al magistrato di sorveglianza. Non crediamo che se una funzione, per come viene esercitata, si presenta debole, debba essere rafforzata e sostituita con altre funzioni che possono rischiare di creare confusione e dubbi molto seri. Ci rifiutiamo anche di pensare che una qualunque motivazione all'istituzione di un ulteriore organo possa essere rappresentata dalla sfiducia che si nutre nei confronti della magistratura di sorveglianza.
Vorrei fare un accenno, anche se fugace, ad uno spunto drammatico prospettato dal collega Farina riguardante i suicidi che, credo, purtroppo sfuggano alle possibilità di controllo e di vigilanza, sia pure somma, che possa essere esercitata; quindi, mai Dio voglia che un suicidio accada dopo l'istituzione di questo organo, perché si direbbe che non serve a niente. Quando argomenti contano o provano troppo, forse è meglio essere più prudenti.
Credo che questo nuovo organo possa esercitare una funzione importante sulla celerità della decisione in ordine ai reclami, che oggi è abbastanza rallentata, ma non sull'aspetto decisionale. Può esercitare una funzione di affiancamento e sveltimento, Pag. 19attraverso un'azione di istruttoria completa e celere e anche di proposizione motivata al magistrato di sorveglianza, che sarebbe, in questo modo, sollevato da tutta una serie di incombenze istruttorie e ciò faciliterebbe il suo compito, dovendo intervenire solo nel momento della decisione, che è poi quello più congeniale all'ordine giudiziario.
A questo punto avremmo la magistratura, che è il garante al massimo livello ipotizzabile per le sue funzioni di indipendenza configurate nella Costituzione, e avremmo invece un altro organo che affianca, propone, verifica, dà impulso e, tutto sommato, è presente all'interno della vita penitenziaria allo scopo di agevolare e facilitare le funzione del magistrato di sorveglianza. Ecco perché in un emendamento abbiamo proposto il cambio di denominazione da «Garante dei diritti» a «Difensore civico»; infatti, «Garante dei diritti» farebbe piuttosto pensare ad un'autorità che abbia un effettivo potere decisionale, mentre il suo difensore civico avvicina l'organo ombudsman, cioè a quella funzione di affiancamento del cittadino e di interposizione anche tra i diritti, le aspettative, le attese, le istanze del cittadino ed il potere pubblico che è competente a decidere sulle istanze stesse.
Questo non significa minimamente svalutare i compiti di tale organo, ma significa dargli una configurazione costituzionalmente corretta, riconoscendo che esso può svolgere funzioni davvero importanti all'interno del mondo carcerario. D'altra parte, il fatto che in altri ordinamenti sia stato istituito primo che da noi non è un argomento decisivo, perché in alcuni ordinamenti non è conosciuta la figura del vero garante dei diritti dei detenuti che è proprio il magistrato di sorveglianza. Da noi la giurisdizionalizzazione della sorveglianza penitenziaria è una conquista ormai risalente nel tempo; infatti siamo stati tra i primi legislatori a metterla in campo.
Così si motiva il nostro primo emendamento, relativo alla denominazione: ci pare che quella di «difensore civico» corrisponda meglio alle funzioni che il nuovo organo dovrà svolgere.
La seconda questione riguarda la composizione. Per accentuarne l'indipendenza, ci sembra giusto che sia emanazione delle Camere; tuttavia, cinque componenti ci sembrano francamente troppi: i cittadini sono molto attenti a che non siano creati organismi pletorici (o che possano essere percepiti come tali), comportanti spese rilevanti, in un momento in cui tutta la nazione è giustamente chiamata a sopportare sacrifici a favore di tutta la collettività.
Comprendiamo le ragioni per le quali si è pensato a cinque componenti: se si fosse pensato a tre - uno nominato d'intesa tra i Presidenti della Camera e del Senato e gli altri due nominati uno dalla Camera ed uno dal Senato -, i membri elettivi sarebbero stati soltanto della maggioranza, mentre la previsione dell'elezione di quattro componenti, con voto limitato ad uno, può soddisfare l'esigenza di nominare persone che siano espressione anche dell'opposizione. Pertanto, noi riteniamo che, essendo cinque componenti troppi e tre inopportuni (per le ragioni che ho ora indicato), si possa pensare ad un organo monocratico, nominato d'intesa tra i Presidenti delle Camere, ma affiancato da una struttura (quale quella che è già prevista dal testo) che gli consenta di svolgere adeguatamente le sue funzioni. Quindi, pensiamo ad un «difensore civico», organo monocratico nominato dai Presidenti della Camera e del Senato.
Inoltre, ma si tratta di una notazione molto parziale, riteniamo che non debbano far parte dell'organo «difensore civico» (o «Garante», se il nostro emendamento non dovesse essere approvato) i magistrati in servizio. Lo riteniamo inopportuno vuoi perché i magistrati in servizio sono pochi e devono svolgere le loro funzioni, vuoi perché prevedere la coesistenza di un magistrato garante o difensore civico e di un magistrato di sorveglianza potrebbe creare problemi di convivenza ulteriori rispetto a quelli che già potrebbero verificarsi.
Ecco perché, signor Presidente, abbiamo ritenuto nostro dovere rappresentare in questa sede le perplessità che Pag. 20molteplici esponenti di Italia dei Valori hanno già ritenuto di manifestare in varie sedi istituzionali. Lo facciamo affinché si possa pervenire ad un testo più condiviso, che elimini le maggiori perplessità, che sia più chiaro, che non lasci dubbi e che non crei confusioni tra livelli istituzionali e costituzionali.
In questo senso, il gruppo di Italia dei Valori verificherà nel prosieguo, anche in sede di esame degli emendamenti, l'andamento che assumerà il dibattito ed in relazione ad esso esprimerà il proprio responsabile voto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Grazie.
È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà, per quindici minuti.

JOLE SANTELLI. Grazie, signor Presidente...

PRESIDENTE. Mi correggo, onorevole Santelli: lei dispone di diciassette minuti.

JOLE SANTELLI. Grazie. Cercherò di essere sintetica e di non utilizzarli tutti.
Credo che, nell'affrontare il tema al nostro esame, occorra rispondere preliminarmente ai seguenti quesiti: se, come legislatori, riteniamo soddisfacente l'attuale situazione penitenziaria e, inoltre, se la nuova figura possa essere di ausilio, possa assicurare un miglioramento della stessa.
Il primo quesito sembra quasi rituale. Nessuno di noi, che siamo legislatori e che conosciamo (vale per molti) il mondo carcerario, può ritenere che lo Stato assolva in maniera esaustiva, o in termini realmente democratici, la sua funzione di garante delle persone private della libertà personale.
Credo che uno dei limiti maggiori del sistema penitenziario - questo ce lo dobbiamo dire da legislatori - è la differenza esistente fra la lettera della legge e le condizioni reali. E la distanza fra la forma, con cui molto spesso il Parlamento italiano ha assolto la propria coscienza scrivendo delle bellissime leggi, e le condizioni reali, rinvenibili nelle situazioni in cui queste norme sono applicate, devono farci sentire un grave senso di colpa per quanto abbiamo scritto.
Il sottosegretario sa che alcuni, parlando dell'attuale regolamento penitenziario, lo definiscono una sorta di libro dei sogni. In quali strutture penitenziarie italiane si hanno celle per sole due persone con le docce? Questo è però quello che prescrive la legge italiana, ma ciò, come sappiamo, è molto lontano dalla realtà. Probabilmente, quel libro dei sogni è una rincorsa verso qualcosa che sarà difficilissimo da realizzare sia pure in un periodo temporale amplissimo e pur mettendo a disposizione impegno e tutte le possibili risorse. Ciò accade proprio perché siamo di fronte a situazioni reali difficili quali sono, ad esempio, le strutture penitenziarie fatiscenti. In tutto ciò c'è la nostra colpa perché, nel momento in cui prevediamo che ai detenuti siano riconosciuti certi diritti, non possiamo poi nasconderci dietro un dito e far sì che quei diritti, che riconosciamo sulla carta, non siano realmente riconosciuti nei fatti.
Ma questa figura di garante in che termini si inserisce nell'attuale situazione e può essere realmente di ausilio per superare le difficoltà attuali? Noi, in astratto, non siamo contrari alla previsione di una figura di garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale o difensore civico - diamogli il nome che vogliamo purché si consideri concretamente ciò che tale figura può fare -, lo siamo, invece, in concreto a causa dei limiti che rinveniamo nel testo al nostro esame.
In Commissione, sul provvedimento in esame, si è svolto un confronto aperto e chiaro - di questo voglio dare atto alla relatrice - che ha consentito di evidenziare, in maniera netta e senza demagogia, differenze di valutazione politica. Scrivendo questo testo e delineando questa figura di garante avevamo di fronte due strade possibili da percorrere. Mi soffermo, in un primo momento, sulla parte detentiva relativa agli istituti penitenziari, per poi affrontare, in un secondo momento, Pag. 21il tema dell'allargamento delle funzioni di questa figura. La prima strada, forse la meno ambiziosa, era quella di costruire una figura di garante che fosse realmente di interlocuzione con l'amministrazione. Da qui, derivava una verifica delle strutture esistenti, dei diritti collettivi e dei trattamenti. Questa strada, come è stato detto, era la meno ambiziosa, ma forse la più realistica. È una strada che esiste ed è rinvenibile ogni qualvolta l'amministrazione, al di là di quelli che sono i controlli parlamentari e di chi sia al Governo, fa una lista degli interventi da realizzare in termini di strutture carcerarie da potenziare e migliorare o da costruire. Ogni anno, tali interventi cambiano, molto spesso più per interessi peculiari di territorio che per reali esigenze di politica generale, e, di fatto, vi sono molte strutture carcerarie in costruzione da decenni che denotano difficoltà nel reperimento dei fondi necessari. Tale politica amministrativa comporterebbe, a mio avviso, la necessità di controlli e di aiuti tenuto conto che ogni qualvolta l'amministrazione opera su specifiche situazioni relative agli istituti penitenziari, ad esempio, la rimozione dei direttori, interviene la magistratura amministrativa e tutto viene ripristinato nella misura precedente.
Poteva, quindi, essere veramente un'authority dotata di una possibilità di interlocuzione seria ma non, come diceva il sottosegretario Manconi in Commissione, di moral suasion sull'amministrazione, con poteri reali di controllo sulla stessa con riferimento all'obbligo di conformarsi ad alcune regole.
Diversamente, potevamo scegliere un'altra strada, molto più ambiziosa, inserendoci in un contesto che, oggi, è una strada aperta. Sappiamo che, nella pratica e al di là della legislazione, la magistratura di sorveglianza, per difficoltà di organici e, forse, anche per l'impostazione della costruzione della sua funzione, si allontana moltissimo da quella che doveva essere, nella lettera e nello spirito delle previsioni. Colleghi, ricordiamo che, un tempo, il magistrato di sorveglianza doveva prendere i provvedimenti in istituto, dinanzi ai detenuti, mentre, oggi, essi sono portati in pullman in tribunale, dove si aspettano una reale interlocuzione con il giudice, ma, invece, le decisioni che li riguardano vengono inserite con un timbro dal cancelliere. Questa è la realtà dei fatti.
Allora, potevamo recuperare uno spazio reale alla magistratura di sorveglianza e, magari, immaginare altre strade. Questo era un percorso molto più ambizioso che, ovviamente, necessitava di una interlocuzione anche con i colleghi della Commissione giustizia, ponendosi di fondo alcune domande: cosa è, oggi, la magistratura di sorveglianza, quali sono le nuove funzioni che possiamo darle e, in termini pragmatici, cosa si può fare veramente a livello giurisdizionale in relazione a quelli che sulla carta sono diritti, ma che, nei fatti, al di là della volontà del legislatore, sono punizioni?
Nel testo del provvedimento, invece, viene percorsa una strada di mezzo. Certamente, facciamo i conti con le difficoltà di reperimento di risorse e con la necessità di non allargare il dibattito, perdendoci e non arrivandone a capo. Ma questa figura rimane un interlocutore fra la magistratura di sorveglianza, l'amministrazione e i detenuti, peraltro, con alcuni spiragli pericolosi; se, collega Mascia, facciamo intervenire il garante dei detenuti sui reclami, non possiamo immaginare che divenga una sorta di ufficio pubblico dei detenuti stessi, sottraendo anche delle funzioni a quella che, allo stato, è la giurisdizione vera e propria (si pensi alle funzioni degli avvocati). Questo è il dubbio più forte, tenendo certamente conto di quanto fosse stretto il binario entro il quale ci muovevamo. La mia risposta alla domanda sui termini entro i quali si inserisce questa figura nell'attuale dinamica carceraria è che, forse, rischiamo che si faccia ancora più confusione, invece di dare quell'ausilio che si auspicava.
Veniamo ora alla questione più propriamente politica, relativa a quali fossero gli spazi di intervento del garante. A nostro avviso, il garante doveva muoversi nell'ambito delle strutture penitenziarie Pag. 22(mi riferisco a quelle allargate, considerando le comunità minorili e via di seguito), ovvero in tutte quelle strutture, per le quali sono previsti specificamente un regolamento e una legge dello Stato, che individuano i termini entro i quali sia l'amministrazione sia la giurisdizione devono operare per regolare le strutture stesse.
Diversa è la situazione quando ci allarghiamo a strutture di tipo amministrativo come il CPT o le camere di sicurezza. In tali casi, non c'è una preclusione di fondo. Vogliamo parlare delle condizioni dei CPT? Discutiamone. Decidiamo che la gestione amministrativa di queste strutture è limitativa dei diritti personali? Discutiamone, ma facciamolo nella sede dovuta, scrivendo regole e modalità ben precise. Evitiamo, però, che questa figura, inserita come una sorta di guardiano, non delle strutture, ma delle condizioni generali delle strutture (ciò sarebbe stato possibile) ed anche dei trattamenti singoli, in realtà divenga semplicemente una nuova struttura politica. Sorge qui il dubbio - che soddisfa una legittima necessità politica da parte di alcuni partiti politici, come il suo, collega Mascia - di toccare il discorso relativo ai CPT. È, senza dubbio, legittimo, ma è questa la strada?
È questo il grimaldello con cui inserirsi in tale dinamica? Non dovremmo discutere in altra sede di una modifica possibile - che, pure, il Governo, da mesi, ci sta annunciando - della legge Bossi-Fini, per quanto riguarda il trattamento generale nei CPT (se il trattamento offerto in questi luoghi debba ritenersi una detenzione tout court, oppure debba essere diversamente inteso)?
Forse le domande sono un po' più pressanti di quanto si pensi e più difficile è trovare una risposta ad esse rispetto alla scorciatoia tracciata dalla proposta in discussione. Mi auguro che dalla discussione, oggi in aula, possa emergere un testo che, se non migliorato, abbia almeno un'anima ben definita per capire realmente qual è la traccia che questa figura dovrà seguire e quale sarà la sua funzione reale. In questo caso, ovviamente, saremo pronti a mutare il nostro giudizio che, allo stato, per le perplessità anzidette, rimane comunque contrario.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Il dibattito che si sta sviluppando in queste ore nell'ambito della discussione generale testimonia la complessità e la serietà delle posizioni politiche diverse che si confrontano (posizioni che abbiamo avuto già occasione di riscontare nell'ambito della discussione presso la I Commissione) e che mi sembrano, però, alla luce di alcuni interventi, meritevoli di alcune risposte già nella fase di discussione generale (e, soprattutto, nella fase successiva della discussione degli emendamenti).
Cari colleghi, la collega Mascia, con grande correttezza, ha ripercorso i tempi e i modi con cui siamo arrivati a questo testo unificato. La domanda che dovremmo porci tutti, per una sorta di onestà intellettuale, consiste nel chiederci come mai, durante i lavori della XIV legislatura, in un clima politico non semplice fra maggioranza e opposizione, di fronte a questioni così dirimenti, eravamo giunti ad un testo unificato condiviso dalla Commissione.
Non si tratta di una domanda retorica ma, fondamentalmente, di una domanda cui va data una risposta politica. La risposta politica è che si voleva evitare una discussione sul pianeta carceri e su quel mondo così fragile e complesso, che fosse, ancora una volta, emozionale e, soprattutto, emergenziale.
Troppe volte in quest'aula abbiamo affrontato il problema delle carceri, dei diritti e delle condizioni in cui si trovano le persone detenute nell'ambito di una logica che non ci ha mai fatto fare grandi passi in avanti, mentre ritengo che oggi a noi competa un punto politico di grande rilevanza: assumere una questione di tale complessità all'interno del profilo dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, che sono a fondamento della base giuridica del giusto processo, della certezza della pena Pag. 23ma che, in nessun modo, mettono in discussione i diritti inviolabili delle persone, anche quando si trovano in un luoghi di detenzione. È un punto culturale, prima ancora che politico, che non dobbiamo in alcun modo dimenticare nell'affrontare questa discussione.
Dico ciò perché anche i rilievi fatti rispetto al parere della Commissione giustizia hanno un fondamento proprio nella sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato parzialmente illegittimi gli articoli 35 e 69 della legge sull'ordinamento penitenziario.
In quella sentenza, il richiamo ai principi costituzionali dell'articolo 2 e dell'articolo 3, che riguardano l'inviolabilità dei diritti, testimoniano che quelle norme della legge dell'ordinamento penitenziario, su questi aspetti, era lesivo di una serie di diritti sanciti dalla Costituzione.
Ho voluto fare questa lunga premessa di ordine culturale perché quando abbiamo deciso di cambiare anche il nome - non è solo una questione di nome - da difensore civico a Garante dei diritti, avevamo di fronte questa cornice di ordine politico e giuridico.
Dico ciò perché oggi, anche nel mondo istituzionale, sono emerse espressioni nuove con l'istituzione in molte regioni, province e comuni di garanti, a testimonianza della necessità di intervenire dentro quel microcosmo che è il luogo della detenzione, assumendone alcuni profili, dal semplice ascoltare alla possibilità di svolgere un'azione di mediazione e di filtro evitando, nell'esercizio funzionali dei poteri, di rendere inefficaci proprio tali azioni.
Noi ci siamo posti, attraverso l'istituzione del garante nazionale, due ordini di problemi: dare poteri effettivi di fronte a questioni che riguardano gli aspetti amministrativi e, quindi, i reclami, e soprattutto vigilare, entrare dentro quelle carceri, ascoltare e proporre non solo attraverso forme di persuasione, ma anche attraverso la possibilità di incidere concretamente nella risoluzione di quei problemi. Mi pare che il testo giunto all'esame dell'Assemblea contenga una serie di elementi che ci permettono di svolgere una discussione nel merito.
Vorrei ricordare che siamo inottemperanti rispetto ad alcuni profili della legislazione europea. Ha fatto molto bene la collega Mascia a sottoporci una questione finale: siamo veramente disponibili ad entrare dentro la dinamica che riguarda i diritti umani e, dunque, ad un allargamento di queste funzioni? Se così fosse, con l'accordo di tutti i gruppi, potremmo tornare direttamente in Commissione. Credo anche che nell'articolato della proposta di legge abbiamo teso ad assumere due questioni: non solo una funzione di garanzia, ma anche la capacità di quell'organismo collegiale di avere funzioni e risorse proprie tali da renderlo efficace nella risposta concreta alle questioni poste.
Un tema è stato molto sottolineato nella discussione, in particolare da parte dei colleghi Benedetti Valentini e Palomba. Prima ancora di rispondere ai colleghi, vorrei dire alla collega Santelli che ho apprezzato molto il suo sforzo intellettuale, soprattutto nella premessa di quale finalità politica ci eravamo dati nella funzione del garante. Mi pare, però, che la conclusione della collega Santelli sia veramente spropositata rispetto alla premessa da lei fatta. La finalità del legislatore non è solo quella di cogliere il dato dell'emergenza, ma anche quella di dare una risposta alla stessa emergenza. E dare una risposta significa contribuire, già in questa sede, ad una discussione di merito di tipo costruttivo. Non si può assumere, nell'idea che il garante possa visitare anche i centri di permanenza o le camere di sicurezza, l'elemento per cui si determina un voto contrario: questo fa parte della battaglia politica di opposizione, ma non fa onore al ragionamento svolto nella premessa politica dalla collega Santelli. Lo dico per il rispetto reciproco che abbiamo anche nei ruoli di Commissione, ma credo che ciò non ci aiuterebbe nella discussione del provvedimento alla Camera e, successivamente, al Senato.Pag. 24
Ai colleghi Benedetti Valentini e Palomba vorrei dire, a nome dell'Ulivo, che non ci spaventa una discussione in cui possano emergere posizioni ed orientamenti completamente diversi. Debbo dire con altrettanta sicurezza e certezza che, sin dai lavori della XIV legislatura, a nessuno di noi è mai venuto in mente che la funzione del garante dei diritti fosse in contrapposizione a quella della magistratura di sorveglianza: sarebbe un errore ingenuo da parte nostra. Abbiamo sempre teso a dividere le competenze in questo settore perché dentro al pianeta carcerario, dove non vi sono solo i detenuti, ma anche la polizia penitenziaria e tutto un mondo che chiede alla politica interventi più cogenti, vi fosse un modo per cui tutti i reclami e le osservazioni non fossero sempre giurisdizionali. Gli emendamenti che la collega Mascia presenterà su tale aspetto testimoniano un punto: se il garante può svolgere una funzione positiva o, per usare l'espressione della collega Santelli, d'ausilio. L'ausilio è che la mediazione, il filtro, la possibilità di una risoluzione in termini amministrativi permetta di arrivare solo nell'ultima istanza al livello della giurisdizione. Altrimenti, anche in tema di diritti soggettivi dei detenuti corriamo il rischio di affidare al giudice l'unica vera risoluzione. Mi pare che il testo, da questo punto di vista, testimoni tale sforzo.
Vogliamo dare al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, dunque, la possibilità concreta di essere una figura ausiliaria e di assolvere ad un compito che preveda funzioni certe. Occorre attribuire allo stesso Garante, inoltre, una terzietà che consenta, all'interno di queste dinamiche, di giungere all'intervento del magistrato solamente in ultima istanza.
In caso contrario, infatti, correremmo il rischio di introdurre, anche sotto il profilo della tutela sociale, elementi che non ci aiuteranno ad approvare un provvedimento che può essere sicuramente migliorato, ma soltanto all'interno di questa cornice giuridica, politica e culturale (Applausi - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, il testo unificato delle proposte di legge in esame mira ad istituire un'autorità garante, autonoma ed indipendente, a tutela dei diritti delle persone detenute, trattenute o comunque private della loro libertà personale.
Vorrei segnalare che da tempo, ormai, a livello sia nazionale, sia internazionale assistiamo ad un aumento crescente e diffuso di sentimenti di paura e di insicurezza, legati da un lato all'emergenza terroristica e, dall'altro, all'imperversare della criminalità sia organizzata che comune.
Tali pur comprensibili sentimenti, tuttavia, non possono indurci a dimenticare i valori fondamentali su cui si fondano le società democratiche moderne, in particolare quella italiana. I principi costituzionali contenuti nella prima parte della nostra legge fondamentale, infatti, non lasciano spazio a dubbi su quale debba essere l'atteggiamento dello Stato e di tutti i cittadini rispetto alle garanzie da riconoscere a chiunque si trovi, per qualunque motivo, privato della propria libertà personale.
Basti per tutti l'articolo 2 della Costituzione, a norma del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. In attuazione di tale principio, l'Italia ha anche assunto precisi impegni internazionali in ambito sia europeo, sia extraeuropeo.
È fondamentale, a tale proposito, ricordare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il cui articolo 3 stabilisce che: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Rammento, a tale riguardo, anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, contenuta nella Costituzione europea. Quest'ultima, infatti, si apre proprio con Pag. 25gli articoli dedicati al rispetto della dignità umana, tra cui l'articolo 61 - «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata» -, l'articolo 63 - «Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» -, l'articolo 64 - «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».
Ricordo, inoltre, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il quale, all'articolo 7, recita che: «Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico».
Vorrei segnalare, infine, la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il cui articolo 2 stabilisce che ogni Stato parte adotta misure legislative, amministrative, giudiziarie ed altre misure efficaci per impedire che atti di tortura siano commessi in qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione.
L'articolo 11 della stessa Convenzione, invece, dispone che ogni Stato parte eserciti una sistematica sorveglianza su regolamenti, istruzioni, metodi e pratiche d'interrogatorio e sulle disposizioni relative alla custodia ed al trattamento delle persone arrestate, detenute o imprigionate in qualsiasi maniera su qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione, al fine di evitare ogni caso di tortura.
Per rafforzare l'efficacia delle disposizioni in essa contenute, la Convenzione da ultimo citata istituisce altresì, all'articolo 17, un Comitato contro la tortura; a sua volta, ma limitatamente all'ambito europeo, la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti istituisce un apposito comitato ai fini di tale prevenzione.
È sulla scorta di tali organismi che si avverte l'esigenza di costituire anche in Italia una autorità indipendente, che vigili sul rispetto dei diritti delle persone sottoposte a misure privative della libertà personale. Infatti, anche se non sempre le su citate convenzioni internazionali fanno riferimento espresso a tali persone, è indubbio che sia proprio riguardo ad esse che si pone, in via principale, il problema del rispetto della dignità umana e dell'integrità psicofisica della persona. Ciò, a maggior ragione, se si considera che i due comitati internazionali cui si è accennato dispongono di poteri giuridicamente limitati, anche se moralmente penetranti. Il Comitato ONU contro la tortura, ad esempio, valuta ed esprime commenti in relazione alla credibilità delle comunicazioni che essa riceve sul comportamento degli Stati nella materia oggetto di sua competenza e svolge, sui risultati della sua attività, una relazione annuale davanti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Simili poteri, già di per sé circoscritti, sono ulteriormente limitati dal fatto che le comunicazioni acquistano rilevanza solo se la tortura denunciata è praticata sistematicamente nel territorio di uno Stato. Il Comitato europeo, dal canto suo, può esaminare mediante sopralluoghi il trattamento delle persone private della libertà da un'autorità pubblica, emettendo poi un rapporto e, se del caso, una dichiarazione pubblica qualora uno Stato non segua le sue raccomandazioni. In quest'ottica, il Garante dei diritti che si vuole istituire con questo provvedimento dispone di poteri certamente più pregnanti. In particolare, il medesimo esercita la vigilanza sull'esecuzione della custodia dei soggetti sottoposti a misure detentive, al fine di assicurare che sia attuata in conformità alle norme ed ai principi stabiliti dalle normative nazionali ed internazionali, riceve istanze e reclami da parte di internati e detenuti, su cui adotta le proprie determinazioni, verifica che gli edifici adibiti alla restrizione della libertà siano compatibili con la dignità umana, verifica le procedure e le condizioni di trattamento presso le camere di sicurezza di Carabinieri, Guardia di finanza e commissariati di pubblica sicurezza. Ai fini dell'espletamento delle sue funzioni, il Garante dei diritti può visitare, senza necessità di autorizzazione o permesso alcuni, gli istituti adibiti a misure restrittive della libertà Pag. 26personale. Qualora ritenga fondati i reclami che gli sono presentati o, comunque, verifichi la violazione della dignità o dei diritti del detenuto, il Garante può anche rivolgere specifica raccomandazione alle amministrazioni responsabili e, qualora esse non vi si conformino, ne riferisce agli uffici sovraordinati. In nessun modo, tuttavia, questo provvedimento deve gettare ombre sull'operato di chi quotidianamente già opera nelle strutture di detenzione. Al contrario, ai medesimi deve relazionarsi come uno strumento di supporto, come una figura che integra e completa l'attività di quelle esistenti.
Attualmente, come è già stato ricordato, le funzioni di garanzia delle condizioni di detenzione nelle carceri spettano al magistrato di sorveglianza, che non è una figura terza. I parlamentari, invece, dispongono solo di un potere di visita, senza la possibilità, se non attraverso gli strumenti del sindacato ispettivo, di intervenire su casi singoli. In Italia, cioè, non esiste un soggetto terzo, preposto a preservare ed a tutelare i delicati equilibri che si instaurano tra detenuto ed ambiente in cui vive, specie in relazione ai rapporti con i soggetti preposti alla custodia. Proprio in tal senso, la legislazione di molti paesi europei si è mossa nella direzione di istituire tale figura terza, che potesse, con imparzialità, svolgere un'importante e delicata opera di mediazione tra detenuti e struttura carceraria. L'istituzione del Garante, quindi, risponde, a nostro parere, alla primaria necessità di poter operare un ruolo di mediazione imparziale, onde evitare che i conflitti, inevitabili spesso in tali strutture, sfocino in atti di violenza. Tutto ciò anche alla luce dell'eccessivo cumulo di funzioni poste a carico dei magistrati di sorveglianza, della carenza di organico e della presenza massiccia negli istituti penali di soggetti socialmente deboli, quali tossicodipendenti od extracomunitari, ormai pari ad oltre il 50 per cento della popolazione detenuta.
Con questo provvedimento, quindi, si colmerebbe una grave lacuna del nostro ordinamento, assicurando alle persone private della libertà personale il pieno rispetto dei propri diritti, in conformità ai principi costituzionali ed alle norme internazionali in materia. Il provvedimento giunto all'esame dell'Assemblea, a nostro parere, è stato discusso in Commissione in un clima comunque positivo, al di là delle diverse valutazioni politiche che si ricordavano e, sempre a nostro parere, è una proposta equilibrata, di buonsenso e che riteniamo complessivamente efficace. È ovvio che circa la nuova proposta di istituzione della commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani occorre fare una valutazione diversa. Giudichiamo positiva l'idea dell'istituzione di tale commissione e di conglobare, quindi, il Difensore civico nel suo ambito di tale commissione, mentre siamo più prudenti rispetto ai contenuti, semplicemente perché dobbiamo ancora valutarli e dobbiamo approfondire tale proposta. Siamo, tuttavia, favorevoli all'idea, anche perché contrari alla proliferazione di commissioni o di autorità e perché obiettivamente tali due autorità o commissioni trattano materie attinenti.
Quindi, ci auguriamo che nell'ambito del Comitato dei nove si possa arrivare ad una soluzione che sia più largamente condivisa, anche perché riteniamo che questa sia una materia sulla quale non ha alcun senso arrivare a contrapposizioni o divisioni politiche (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Contento. Ne ha facoltà.

MANLIO CONTENTO. Signor Presidente, Alleanza Nazionale non si è sottratta al dibattito, al confronto, su questa proposta di legge. Abbiamo posto, però, delle questioni di principio e di merito alle quali va data sicuramente una risposta da parte del Governo. Infatti, non vi è un'assoluta mancanza di profondità e di diversità nelle proposte di legge presentate, e la scelta fatta nei confronti di alcuni contenuti ha un sapore squisitamente politico.
Non possiamo dimenticare che, mentre nella proposta Mazzoni - com'è stato ricordato - vi era un'istituzione del garante rivolta a contenuti d'intervento di un Pag. 27certo tipo, si è scelto invece un articolato diverso che ha delle controindicazioni, almeno a nostro giudizio.
Alcune di queste controindicazioni sono già state evidenziate dalla Commissione giustizia, ma quelle sulle quali, più propriamente in termini politici, è necessario soffermarsi sono relative alle funzioni. Debbo comunque fare una precisazione: i principi invocati nel corso di questo dibattito non risiedono soltanto nelle convenzioni internazionali o nelle dichiarazioni riferite anche ad organismi di carattere internazionale, ma fanno già parte - come ci ricorda la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 26 del 1999 - del nostro patrimonio riferito alla Carta fondamentale.
Riguardo alle questioni politiche, se il Garante entra in rotta di collisione con la magistratura di sorveglianza, dobbiamo chiederci se questa sia una soluzione appropriata. Riteniamo che non lo sia, e non soltanto perché nel magistrato di sorveglianza è già identificata quella terzietà tipica della normativa di riferimento, ma soprattutto perché sarebbe a nostro giudizio paradossale sostituire, in tema di reclami e di istanze, il Garante al magistrato di sorveglianza.
Che senso ha, ad esempio, proibire di continuare a deliberare in materia d'istanze e di reclami? Sappiamo che, mentre l'istituzione del Garante vedrà la sua formazione a livello centrale, il magistrato di sorveglianza ha una presenza territoriale di riferimento negli istituti. Semmai, sarebbe interessante sapere quali verifiche si compiono circa il rapporto diretto che il magistrato di sorveglianza dovrebbe conseguire con la visita negli istituti penitenziari, che pure è prevista dalla normativa sull'ordinamento.
Quindi, noi di Alleanza Nazionale pensiamo che togliere di mezzo la figura del magistrato di sorveglianza, come destinatario del reclami e delle istanze, è un errore in termini di gestione del rapporto tra detenuto internato e sistema carcerario.
Le questioni riferite all'articolo 8 sono ben altre, una di queste è riferita alla verifica delle procedure seguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento dei medesimi presso le camere di sicurezza, eventualmente esistenti nell'ambito delle caserme dell'Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e presso i commissariati.
Anche in questo caso, la stesura della norma è abbastanza sibillina e noi, sperando di non sbagliare in questa interpretazione, siamo preoccupati. Ciò, non soltanto perché questa è una disposizione che vuole inserirsi prepotentemente nella gestione di quelle strutture che vengono utilizzate nel corso di indagini spesso complesse e delicate, ma perché la verifica del garante si sposerebbe addirittura con le procedure seguite nei confronti dei trattenuti. In ogni caso, queste procedure, demandate già al vaglio della magistratura per quanto riguarda il fermo, sono soggette a rimedi già previsti dall'ordinamento vigente.
Quindi, con questa iniziativa andremo a sovrapporre una verifica della procedure, già demandata al vaglio della magistratura e alla dialettica processuale, che, come sappiamo, è anticipata fin dai momenti relativi all'intervento delle forze di polizia.
Questa lettura di tipo - permettetemi - ideologico si rinviene non soltanto nella lettera d) dell'articolo 8, ma anche nella lettera e). Addirittura, in questo caso - e mi meraviglia che in sede di Commissione affari costituzionali il problema non sia stato dovutamente sottolineato - si amplia l'intervento del garante alla verifica del rispetto degli adempimenti e delle procedure previste dagli articoli 20, 21, 22 e 23 del regolamento, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, in relazione alla situazione dei cittadini extracomunitari che si trovano illegalmente sul territorio nazionale. Basta analizzare in proposito l'articolo 20 della normativa di riferimento, relativo al provvedimento con il quale il questore dispone il trattamento dello straniero presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino.Pag. 28
Quella ricavata dalla lettura dell'articolo 8 è soltanto una formulazione erronea, oppure ha lo scopo, purtroppo ideologico e facilmente intuibile, di rimettere in discussione anche le modalità con cui si arriva alla decisione del trattenimento presso i centri appositamente previsti dalla normativa vigente? Una cosa è affidare al garante la sorveglianza e la tutela relative allo stato di trattenimento o di detenzione, altra cosa è spingersi più in là e addirittura, tramite il garante, intervenire per mettere in discussione i titoli legittimanti del fermo di polizia o, in questo caso, del trattenimento presso i centri di permanenza temporanea.
Signor Presidente, tale aspetto preoccupa ancora di più allorché, dalla lettura dell'articolo 8 prima citato, si passa direttamente al procedimento contemplato all'articolo 11. Esso è preoccupante perché questa procedura introduce - pensi lei! - ulteriori elementi relativamente alla possibilità di annullare l'atto illegittimo che ovviamente viene fatto oggetto di reclamo od istanza, innestando la procedura di intervento del garante. Anche in questo caso, la preoccupazione del gruppo di Alleanza Nazionale è estremamente chiara. Cosa si vuol fare con la lettura dell'articolo 8 e del procedimento speciale qui sostanzialmente introdotto? Si vuole arrivare ad una nuova giurisdizione di annullamento diversa da quella prevista ed esistente? Credo che anche sotto questo aspetto il gruppo di Alleanza Nazionale faccia bene a richiamare l'attenzione su un altro elemento estremamente delicato della proposta di legge in oggetto, ovvero l'ampliamento tramite la possibilità affidata - pensate voi! - al tribunale di sorveglianza di arrivare addirittura all'annullamento di atti illegittimi. Di quali atti si tratta? E qual è, oltre alla magistratura di sorveglianza indicata in uno dei passaggi, l'altra autorità giudiziaria competente, per quanto riguarda le procedure volte all'annullamento di atti illegittimi? Per questo crediamo che non vi sia stata sufficiente riflessione sulle conseguenze.
Avviandomi alla conclusione, ci auguriamo che in realtà questi passaggi, richiamati anche negli interventi di chi mi ha preceduto, siano dovuti forse ad una formulazione frettolosa e non nascondano invece, come sembrerebbe dalla lettura a fronte delle proposte di legge presentate, qualcos'altro, sostanzialmente ispirato ad altri elementi e ad altre riflessioni di carattere ideologico. Ci dispiacerebbe perché anche noi siamo intenzionati a sostenere una proposta che istituisca un nuovo luogo di confronto e discussione sulla situazione dei reclusi e dei trattenuti. Tuttavia, non vi si può arrivare tramite scorciatoie o - se permettete - generando una confusione che rischia di mettere in discussione e di rendere critici i rapporti già delineati all'interno dell'ordinamento penitenziario e del relativo regolamento. Se questo non va bene, si modifichi; se si vuol dare maggior forza alla magistratura di sorveglianza, lo si faccia intervenendo in quella sede; se si vuole attribuire al garante anche un potere di intervento - e siamo convinti che si tratti di una strada corretta - per evitare che si creino situazioni deprecabili, come accaduto purtroppo in molte occasioni negli istituti carcerari, lo si faccia, dando competenze precise in tale direzione.
Esse non devono andare ad intaccare altri elementi con il rischio - come ho detto -, di mettere in discussione un impianto che, sotto il profilo razionale e sistematico, ha ancora una sua giustificazione. Per questo motivo, chiediamo che, nel corso dell'esame degli emendamenti, si presti attenzione alle proposte di modifica che, avanzate da destra, vengono non per affossare una proposta che - come ho già affermato - ha una sua finalità, ma per fare in modo che la stessa sia ricondotta all'interno dei principi che fanno parte del dibattito politico.
Infatti, Alleanza Nazionale è pronta a discutere della condizione dei detenuti così come discute del risarcimento e della condizione delle vittime dei reati. Tuttavia, lo fa e intende farlo anche in questa occasione - da par suo -, con la dovuta attenzione, per evitare di trasformare provvedimenti in norme tese a mettere di fatto sotto processo alcune istituzioni. Pag. 29Queste ultime si richiamano all'applicazione - e non potrebbe essere diversamente -, prima ancora che delle convenzioni internazionali, dei principi della nostra Carta costituzionale, nell'ambito dei quali rientra anche il rispetto dei detenuti e di tutti coloro che si trovano ristretti sotto il profilo della libertà personale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Inconstante. Ne ha facoltà.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei partire dalle considerazioni da ultimo svolte nell'intervento del collega che mi ha preceduto per fugare ogni dubbio sulla volontà e sull'impegno profusi nella I Commissione da parte della relatrice, ma anche di coloro che hanno partecipato ai lavori per una discussione vera sul punto.
È stata una discussione non ideologica e che dovrebbe partire, caro collega, anche da una considerazione: se è vero che dal punto di vista giuridico, formale e sostanziale, la magistratura di sorveglianza svolge alcuni compiti e non è nelle intenzioni di nessuno porre sotto attacco questa istituzione, è anche vero che nella pratica quotidiana questa funzione non viene esercitata nel migliore dei modi. Pertanto, non si tratta di una cattiva valutazione del tribunale o della magistratura di sorveglianza, ma piuttosto della constatazione di una situazione che tuttavia incide sulla condizione dei detenuti e delle persone private di libertà in modo sicuramente non positivo per quanto riguarda l'esigibilità dei loro diritti.
Allora, io credo che dovremmo sgombrare il campo da visioni pregiudiziali e ideologiche, ragionando nel merito, anche con gli emendamenti, e cercando di far sì che questo Parlamento possa pronunciarsi su una questione che appartiene - come lei diceva e come tutti quanti riteniamo - al DNA della nostra Costituzione e che riguarda per l'appunto la libertà personale, che è inviolabile, la violenza fisica e morale sulle persone ristrette, che è punibile, e il concetto fondamentale che la pena non deve essere contraria al senso di umanità, ma anzi deve rendere sempre più possibile la rieducazione delle persone detenute. Questi sono i principi fondamentali che devono essere inverati. È per questo che, rispetto sia alla normativa europea, sia a quella internazionale (e penso alla sottoscrizione del protocollo), sorge la necessità di una figura terza, di un garante per l'appunto, che sia attento ai diritti dei detenuti e delle persone private della loro libertà.
Non è un caso che in tutta Europa, anche con procedure, modalità e competenze diverse, queste figure sono state istituite. Dunque, mi interrogherei su questo punto.
È anche vero e indubbio che lo scenario della situazione carceraria è sempre più peggiorato in tutti questi anni, in Europa, ma in particolare in Italia. Vorrei fare riferimento anche ad elementi che spesso dimentichiamo: innanzi tutto, l'assottigliamento di figure come educatori, psicologi e personale medico; nonostante la professionalizzazione sempre maggiore del corpo di polizia penitenziaria, non vi è dubbio, infatti, che tutte queste altre figure si sono ridotte. Inoltre, penso all'esigibilità dei diritti rispetto alla salute dei detenuti che molto spesso sappiamo essere invece molto in difficoltà.
Il garante è sicuramente una figura che viene dalla cultura anglosassone, ma via via si afferma in tutti i paesi europei.
Per tale motivo, è necessario interrogarsi su questa figura, naturalmente alla luce della nostra Costituzione, sicuramente evitando che essa si sovrapponga in qualche modo ai poteri e alle specifiche competenze della magistratura di sorveglianza. Tuttavia, questa figura, a mio avviso, può agire in tale senso. Infatti, il Garante può avere una funzione integrativa e non sostitutiva di quella dell'autorità giudiziaria e può svolgere un compito di filtro attraverso forme di tutela conciliativa, non surrogandosi, quindi, alla magistratura, ma pervenendo a possibili conciliazioni che, se non soddisfatte, potranno dare seguito alla tutela giurisdizionale. Il Garante, quindi, potrà chiedere all'amministrazione competente di conformarsi ad Pag. 30alcune disposizioni e, allo stesso modo, potrà rivolgersi ad altre autorità, quali il questore e il prefetto del luogo in cui avviene una eventuale violazione, per quanto riguarda il problema delle camere di sicurezza.
Di questo tema, al pari di quello dei CPT, si comprende la delicatezza, ma ritengo si tratti di questioni che non possono essere escluse dalla nostra riflessione. Certamente, questo è l'elemento più delicato e più innovativo del provvedimento in esame. Tuttavia, non è nelle intenzioni di alcuno voler creare confusione e sovrapposizioni che, sicuramente, non aiuterebbero l'esercizio vero dei diritti da parte dei detenuti. Vorrei ricordare che la possibilità per il Garante di essere coadiuvato nelle sue funzioni, senza delegare il suo potere, da una serie di istituzioni regionali, provinciali e comunali, già presenti in molti di tali enti nel nostro paese, costituisce un allargamento della capacità e della possibilità di intervento per l'esercizio dei diritti delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale.
Il problema si pone rispetto alle esigenze avvertite da alcune regioni. Vorrei ricordare all'onorevole Benedetti Valentini, che parla di improbabili figure istituite territorialmente, che la prima di esse è stata istituita presso la regione Lazio, in particolare dal presidente Storace. A questo hanno fatto seguito altri provvedimenti. Tutto ciò rivela come la questione sia avvertita anche a livello territoriale e come non sia più sufficiente l'azione del solo magistrato di sorveglianza il quale, particolarmente oberato e particolarmente versato a definire anche le misure alternative alla pena, non riesce ad essere sempre presente, in ogni condizione, per risolvere i problemi relativi ai diritti dei detenuti e alle condizioni delle carceri.
L'esigenza di una figura terza, che non appartenga all'ordinamento giudiziario, è questione che emerge anche nella normativa di molti paesi europei come la Spagna, il Portogallo, l'Austria, la Danimarca, la Finlandia, l'Olanda e la Norvegia. Bisogna dire, quindi, che l'esigenza è molto forte.
Spero e credo che attraverso le proposte emendative e il lavoro che l'onorevole Mascia, già relatore in sede di I Commissione, potrà svolgere, anche in raccordo con altre Commissioni, in particolare con la Commissione giustizia, si possa approvare un provvedimento che, a mio avviso, costituirà un segnale, se non sarà osteggiato, in chiave ideologica e in maniera pregiudiziale, dall'opposizione. Spero, al contrario, che si possa lavorare nel merito. Auspico che il Parlamento si renda conto che non basta soltanto adoperarsi per quanto riguarda l'esercizio della funzione del Garante, ma che è necessario adoperarsi anche per tutte le azioni che riguardano la condizione psicologica ed educativa dei detenuti e per il loro reinserimento sociale. Non basta intervenire prima, ma bisogna anche chiedersi quale sia il costo in termini sociali, per la collettività, ove non si intenda trattare, anche durante il periodo della pena e successivamente, il problema dei detenuti in modo adeguato e consono ad un paese civile (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 626 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Mascia, alla quale ricordo, tuttavia, che ha già esaurito il tempo a sua disposizione.

GRAZIELLA MASCIA, Relatore. Signor Presidente, sapendo di avere esaurito il tempo a mia disposizione, mi limito a ringraziare tutti coloro che sono intervenuti e che mi sembra abbiano a loro volta interloquito e si siano dati reciprocamente risposte anche attraverso il dibattito. Ciò testimonia il lavoro rigoroso svolto in sede di Commissione.Pag. 31
Ribadisco soltanto che lo sforzo che abbiamo compiuto è stato esattamente quello non di costruire una figura simbolica, per quanto questa sollecitazione ci arrivasse dal resto d'Europa, ma di adeguare tale figura alla peculiarità della situazione italiana. In particolare, grande attenzione è stata prestata a non costruire sovrapposizione con la figura del magistrato di sorveglianza.
Nello stesso tempo sono stati previsti poteri di intervento concreti per la risoluzione preventiva di eventuali problemi del Garante, come è stato sottolineato (non è un caso), anche dotandolo di risorse economiche e dello staff necessario, affinché possa concretamente svolgere un lavoro che corrisponda alle aspettative che probabilmente abbiamo noi stessi determinato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUIGI MANCONI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, onorevoli deputati, onorevole relatrice, inizierò il mio intervento in maniera, forse, non convenzionale e non per formale ossequio o per cortesia istituzionale, ma per convinzione. Vorrei cioè ringraziare l'onorevole Boscetto per un passaggio del suo intervento, pur così diffusamente critico, laddove ha affermato che il miglioramento della situazione delle nostre carceri interessa tutti, l'intera società; rappresenta un contributo alla sicurezza collettiva.
Credo che questo sia il motivo ispiratore di fondo che ha determinato questo dibattito e di ciò voglio ringraziare tutti i partecipanti.
Tuttavia, desidero anche dire che questa proposta di legge è stata in realtà lungamente attesa, ma anche lungamente preparata. Nell'elaborazione delle proposte di legge, così come nella definizione del testo alla nostra attenzione e nelle sperimentazioni in corso a livello regionale e locale, si è partiti dalla constatazione che, nel nostro ordinamento, la persona privata delle libertà è titolare di un ampio sistema di prerogative, diritti e garanzie e che il punto dolente, il nodo più aggrovigliato è la loro effettività e cioè la loro reale esigibilità all'interno dei luoghi della detenzione.
La creazione di un garante per le persone private della libertà risponde ad un'esigenza, dunque, a ben vedere elementare: quella di avere un organo esterno ed indipendente rispetto all'amministrazione competente incaricato di vigilare, affinché la privazione della libertà sia conforme nella sostanza al dettato costituzionale e risulti, quindi, depurata da ogni afflittività aggiuntiva rispetto a quella che le è strettamente connaturata.
La questione è particolarmente rilevante per gli ambiti (le camere di sicurezza nei commissariati e nelle caserme dei carabinieri, i centri di permanenza temporanea per immigrati e altri luoghi di illegittima privazione della libertà o limitazione della stessa) che sono totalmente privi di una previsione normativa di tutela della persona.
Per questo motivo, è importante che il testo alla nostra attenzione, anche rispondendo alle sollecitazioni ed ai vincoli degli organismi, dei protocolli internazionali (tra essi il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, il protocollo addizionale della Convenzione ONU contro la tortura), preveda prime forme di apertura di tali spazi per il controllo da parte di un'autorità indipendente. Vorrei, però, ricordare che questa previsione, ovvero forme di vigilanza e di controllo anche in questi ambiti, è stata regolata nei primi testi in materia ed anche nella prima proposta di legge Mazzoni, ma la questione non è risolta, come sappiamo e come il dibattito ha ripetutamente sottolineato, neppure laddove esiste un apparato normativo, un lavoro giurisprudenziale e vi sono prassi operative attente alla garanzia dei diritti delle persone private della libertà, come nel caso dei nostri penitenziari. Ciò nonostante il fatto che - è stato ricordato pressoché da tutti gli oratori, per una ragione fondamentale, ossia per la qualità e la crucialità di quelle sentenze - la sentenza n. 114 del 1979 e, Pag. 32successivamente, la n. 26 del 1999 siano sul tema assolutamente inequivocabili.
La prima ha affermato che la restrizione della libertà personale non comporta affatto una condizione di minorità di fronte alla discrezionalità dell'autorità preposta alla sua esecuzione. La seconda, oggi ripetutamente evocata, ha affermato che, nel concreto operare dell'ordinamento, la duplice statuizione contenuta nell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, si traduce non soltanto in norme direttive obbligatorie rivolte all'organizzazione e all'azione delle istituzioni penitenziarie, ma anche in diritti di quanti si trovino in esse ristretti.
Non ci sono dubbi, pertanto, sul fatto che la privazione della libertà, pur comprendendo la libertà di circolazione ed altri diritti, tra cui quelli all'alimentazione e ai movimenti, che sono strettamente collegati, lascia sussistere in capo al soggetto detenuto una molteplicità di situazioni soggettive attive, che possono essere raggruppate in due sottoinsiemi: il primo è costituito da quei diritti di cui il medesimo è titolare come essere umano e che non sono intaccati in alcun modo dalla condizione di detenzione (basterà citare, per tutti, il diritto alla salute); il secondo sottoinsieme è costituito da quegli interessi e quei diritti soggettivi ricollegabili alla specificità del suo status.
Il tema delle posizioni soggettive della persona detenuta e della loro tutela è rimasto in ombra anche nel non breve periodo successivo al varo della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario. Negli anni l'attenzione del legislatore è stata prevalentemente rivolta alle misure alternative alla detenzione e alle condizioni per l'accesso ad esse, senza che fosse dedicata la necessaria attenzione al regime intramurario. Questo deficit di attenzione si vorrebbe contribuire a colmare proprio con la proposta di legge in esame.
Dunque, affronterò da subito, rispondendo ad una pluralità di obiezioni, la prima di tali perplessità. La prima obiezione, sulla quale ha particolarmente insistito l'onorevole Benedetti Valentini, è sostanzialmente la seguente: c'è bisogno di una nuova figura di tutela dei diritti dei detenuti? Correlata a questa domanda, evidentemente, ve n'è un'altra: perché non può essere la magistratura di sorveglianza quella figura di cui parliamo?
La mia risposta si articola in tre ordini di ragioni e solo la prima di queste ragioni è già stata, in qualche modo, trattata. La prima, ovvero quella di carattere strettamente funzionale, è che ci riferiamo ad una magistratura di sorveglianza il cui organico è palesemente e dichiaratamente limitato e il cui carico di lavoro nel corso degli anni è cresciuto in maniera significativa, fino a raggiungere, in tempi recenti, una dimensione che non è enfatico definire abnorme.
Ritengo che la seconda ragione sia altrettanto importante e ha a che vedere con la funzione, l'identità e il fondamento istituzionale della magistratura di sorveglianza stessa, ossia il fatto che si tratti di una funzione giudicante. Dunque, essa aspira e persegue - giustamente, potrei dire -, una identità di ruolo separato e di netta autonomia nei confronti della popolazione detenuta, rispetto alla quale esercita anche funzioni strettamente giudicanti.
Ciò introduce il terzo ordine di ragioni. Sempre più la magistratura di sorveglianza si vede attribuire compiti di giudice monocratico nel settore delle misure alternative e di altri provvedimenti, ad esempio i permessi. Il che immediatamente conferisce alla magistratura di sorveglianza una funzione e un potere sul «corpo» del detenuto, per così dire, sulla sua fisicità, la sua esistenza reale e quotidiana, la sua organizzazione della vita, il suo tempo e, vorrei aggiungere, il suo destino. Tale funzione fa sì che il detenuto dipenda dalla magistratura di sorveglianza per un'ampia serie di facoltà e possibilità. Ciò rende problematica l'attribuzione a tale magistratura e, dunque, alla stessa autorità, di quel ruolo di garante dei diritti.
Anche muovendo da queste considerazioni è maturata la proposta di una figura istituzionale diversa dal giudice, che avesse competenze ispettive e di tutela dei diritti Pag. 33delle persone private della libertà anche in ambito penitenziario, pure laddove l'ordinamento prevede una funzione ispettiva e una competenza giurisdizionale del magistrato di sorveglianza. Tale figura potrebbe operare per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti, ispirandosi alla logica e ai canoni della mediazione, oltre che a quelli della decisione. In altre parole, il magistrato di sorveglianza e il Garante delle persone detenute operano su piani nettamente distinti.
Di conseguenza, la Commissione affari costituzionali, sin dalla passata legislatura, ha inteso disciplinare in maniera attenta e dettagliata i rapporti tra Garante e giudice di sorveglianza, assegnando al primo anche quel compito fondamentale che è rappresentato da una sorta di tentativo obbligatorio di conciliazione prima che sia attivata la risorsa della giurisdizione. Tanto più che se la citata sentenza della Corte costituzionale del 1999 fosse presa sul serio, di tale filtro, innanzitutto, potrebbe beneficiare la stessa magistratura di sorveglianza, che sarebbe chiamata a decidere sui reclami dei detenuti solo laddove quei reclami non avessero trovato forma di composizione attraverso l'attività mediatoria del Garante.
In sede di dibattito generale, prima che vengano prese in esame le specifiche proposte emendative, il Governo ritiene di dover lasciare evidentemente al libero dibattito parlamentare l'orientamento da assumere su alcune soluzioni organizzative. Ciò che ci preme è che alle domande che hanno sollecitato la proposta alla nostra attenzione siano date efficaci risposte.
Il Governo tiene a ribadire, in questa sede, che risposte efficaci alla domanda di tutela dei diritti di chi è privato della libertà sono attese dai diretti interessati, ma anche - e non certo in misura minore - dal personale che opera negli istituti di pena e negli altri luoghi di privazione della libertà, la cui professionalità non può che essere valorizzata dalla trasparenza e dall'efficienza dell'amministrazione cui appartiene.
Infine, senza ricorrere alla lezione del pensiero democratico a proposito dei rapporti tra carcere e civiltà, occorre ricordare che nella minuziosa e scrupolosa attenzione ai diritti di chi è recluso - esattamente lì - si legittima quel grande e terribile potere che consiste nella privazione della libertà.
Una società civile e uno Stato democratico quel potere devono saperlo esercitare con scrupolo assoluto, sapendo che la rieducazione alla legalità, cui tutti noi vorremmo richiamare gli autori dei reati, passa, innanzitutto, attraverso la capacità di mostrare loro che il diritto non è vuota retorica (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Verdi e Popolari-Udeur).

(Annunzio di una questione pregiudiziale e di una questione sospensiva - A.C. 626 ed abbinate)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale Maroni n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 626 ed abbinate Questione pregiudiziale sezione 1) e la questione sospensiva Maroni n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 626 ed abbinate Questione sospensiva sezione 2).
Il seguito del dibattito è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. A seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo si è convenuto che nella giornata di mercoledì 13 dicembre, al termine delle votazioni, dopo la discussione generale del disegno di legge in materia di interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali (A.C. 1955) (ove concluso dalla Commissione), avrà luogo la discussione generale del disegno di legge sugli esami di Stato (A.C. 1961) (ove concluso dalla Commissione).
Il seguito dell'esame del disegno di legge sugli esami di Stato avrà luogo nella giornata di martedì 19 dicembre (antimeridiana e pomeridiana con eventuale prosecuzione notturna).Pag. 34
Lo svolgimento di interpellanze urgenti avrà luogo giovedì 14 dicembre, al termine delle votazioni, e nella giornata di venerdì 15 dicembre.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.
L'organizzazione dei tempi per l'esame del disegno di legge n. 1961 sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (A.C. 648-1571-1782-1849) (ore 12,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione, in prima deliberazione, del testo unificato delle proposte di legge costituzionale di iniziativa dei deputati Angela Napoli; La Russa ed altri; Boato; Zaccaria ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 648 ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare di Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Violante, presidente della I Commissione, in sostituzione del relatore, onorevole Bocchino, ha facoltà di svolgere la relazione.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, sostituisco il collega Bocchino e, quindi, svolgerò una relazione informale nel senso che poi nel dibattito ciascuno esporrà le proprie posizioni e le proprie opinioni.
Questo provvedimento riprende un testo che era già stato votato nella scorsa legislatura con alcune correzioni; infatti, nella scorsa legislatura si era registrato un consenso abbastanza unanime sul fatto che la lingua italiana fosse riconosciuta come lingua ufficiale della Repubblica all'interno della Costituzione, nella parte dei principi fondamentali. Poi questo consenso si ruppe nel momento in cui i colleghi della Lega desiderarono introdurre una previsione che riguardava anche i cosiddetti idiomi locali. Su questo ci fu una rottura; infatti, il progetto fu approvato dalla Camera, ma si arrestò al Senato. Alla Camera venne licenziato con il solo voto dell'allora maggioranza, perché ci fu dissenso nell'allora opposizione in ordine a questo punto.
La proposta che qui presentiamo introduce all'articolo 12, dopo la parte relativa alla bandiera, un comma riguardante quest'altro simbolo del carattere, della storia e delle tradizioni italiane. La previsione così enuncia: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». Si è discusso in Commissione se inserire questa previsione nell'articolo 6 - che riguarda le minoranze linguistiche - o nell'articolo 12 ed infine si è deciso di riferirla all'articolo 12 perché l'articolo 6 ci è sembrato che dovesse riguardare unicamente la tutela delle minoranze linguistiche.
Il problema della lingua non si pose nei lavori della Costituente perché allora non fu sentita come un'esigenza, nonostante fosse implicito che l'italiano era la lingua ufficiale della Repubblica; si pensò, invece, con particolare attenzione, per le note ragioni storiche e politiche, a stabilire la tutela delle minoranze linguistiche come elemento caratterizzante della nostra identità civile e politica, inserendola nei principi fondamentali.Pag. 35
In ordine al tema che stiamo dibattendo, vorrei dire che esiste una versione di destra e una di sinistra. Io le esporrò entrambe e concluderò il mio intervento, perché poi sarà compito dei colleghi decidere quale delle due scegliere; ma sono versioni coincidenti.
Nella destra la questione della lingua, così come la questione della nazione, del sangue e via dicendo, fa parte di un patrimonio ideale che risale ad una lettura conservatrice del Risorgimento; infatti, il Risorgimento intese le questioni riguardanti la lingua, la nazione e la cultura come elementi di un tutt'uno che però, letti in modo diverso, sono diventati un elemento di conservazione, non di propulsione.
Per quanto riguarda la lettura di sinistra, vorrei richiamarmi alle pagine scritte da Pasolini sulla lingua italiana. Pur avendo mosso contestazioni molto dure nei confronti del sistema delle istituzioni del nostro paese, Pasolini sottolineò con forza la funzione di koinè della lingua italiana, di grande elemento riunificatore. Infatti, come ci hanno ricordato e spiegato il presidente dell'Accademia della Crusca ed altri illustri linguisti, sentiti in Commissione, la lingua nasce prima della nazione italiana, e nasce prima dello Stato, a differenza di quanto è avvenuto in Francia, dove nasce prima lo Stato, che impone quella lingua. Da noi è stato diverso: è stata la lingua che ha creato la nazione e lo Stato. Ed è francamente singolare che quello che costituisce l'elemento di comunicazione e di identità nazionale sia stato trascurato, finora, tra gli elementi costitutivi dei principi fondamentali della nostra Repubblica. Questa è - come dire? - la lettura di sinistra. Si tratta, quindi, di una lettura che non fa riferimento ad elementi identitari esclusivi, ma allo strumento di identificazione e di comunicazione proprio della nostra tradizione culturale.
Alle considerazioni che ho espresso desidero aggiungere un rilievo di carattere soggettivo. Se i colleghi hanno tempo per riflettere sulla situazione nella quale il nostro paese si trova, si accorgeranno che sono in atto alcuni processi centrifughi che riguardano la società, la politica e le istituzioni. Faccio riferimento, ad esempio, al fenomeno che sta caratterizzando molti comuni italiani (sono più di una decina), che stanno chiedendo, per rivendicare determinate prerogative, di passare da una regione all'altra o da una provincia all'altra, e non sempre da una regione a statuto ordinario ad una a statuto speciale, ma anche ad un'altra regione a statuto ordinario, scegliendo quella dove vi sono più vantaggi, più risorse, e così via. Ebbene, mentre, in passato, si sarebbe probabilmente attivato un processo di rivendicazione, da parte del comune, nei confronti della regione o della provincia, per ottenere il riconoscimento di determinati diritti, interessi o risorse, la soluzione che si trova oggi è quella di andare via.
Trovo che faccia parte dello stesso capitolo il proliferare di autorità che non hanno un elemento di riconoscimento. Mi riferisco, ad esempio, a quella in ordine alla quale abbiamo appena concluso la discussione sulle linee generali. In seguito, faremo una proposta su questo tema, spero d'intesa tra maggioranza ed opposizione. Assistiamo alla proliferazione di soggetti che - come dire? - spogliano il pubblico di determinate prerogative ad esso proprie e spostano fuori dal pubblico quelli che del pubblico dovrebbero essere elementi propri. Guardiamo al modo in cui si è sviluppata la vicenda dell'esame del disegno di legge finanziaria: svariati interessi corporativi hanno esercitato una forte pressione sul sistema politico, sul sistema di governo, senza che alcuno di essi riconoscesse la forza di un interesse generale del paese.
Di fronte a questi dati, una classe politica dirigente che ponga con forza l'esigenza del riconoscimento di valori unificanti, identitari unificanti, non farebbe un discorso reazionario, ma un discorso volto a ricostruire un ordine, all'interno del nostro paese, attorno ad un punto sul quale credo sia difficile mostrare dissenso: quello che stabilisce l'elemento di comunicazione e che fa riferimento alla base sulla quale sono stati costruiti la nazione Pag. 36e, successivamente, lo Stato e la Repubblica. Questi sono gli elementi che volevo evidenziare.
Infine, signor Presidente, ricordo che esiste già nel nostro ordinamento una norma che riconosce l'italiano come lingua ufficiale della Repubblica: si tratta dell'articolo 1 della legge n. 482 del 1999, in materia di tutela delle minoranze linguistiche. Quindi, il principio c'è già: si tratta di portarlo all'interno della Costituzione, ma non come principio nuovo. Se mi permette, signor Presidente, di richiamare la nostra amicizia, abbiamo discusso, tempo fa, in merito all'opportunità di toccare i principi fondamentali: ricorderà che, d'accordo con lei, affermai che era preferibile non toccare quella parte della nostra Costituzione. In questo caso, però, non si tratta di inserire un elemento di novità, ma di tirare fuori qualcosa che c'è già, che è implicito nella nostra storia, nella nostra cultura, nell'impianto della nostra identità nazionale, e che esiste già nell'ordinamento (grazie ad una legge ordinaria).
Questi sono gli elementi che rassegno all'attenzione dei colleghi. Spero che nel dibattito che si svolgerà si possa trovare una larghissima intesa all'interno di questa Camera per sostenere la proposta in esame. Grazie (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur).

PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Violante.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi collego all'ultima riflessione svolta dal presidente Violante in ordine al modo in cui il Parlamento, in sede di processo di eventuale revisione costituzionale, possa e debba rapportarsi sempre con enorme rispetto di tutto il testo costituzionale e, in particolare, della prima parte della Costituzione (più usurata o usurabile dal tempo è la parte che riguarda l'ordinamento) e con un atteggiamento che direi, in senso laico, quasi sacrale nei confronti dei primi 12 articoli che costituiscono i principi fondamentali.
Condivido l'osservazione fatta dal presidente e relatore, onorevole Violante, in merito ad una scelta di revisione costituzionale condivisa, fondata, equilibrata e maturata, nell'atteggiamento di non cambiare il testo dei primi 12 articoli della Costituzione, ma eventualmente di arricchirlo perché, come sappiamo, sono passati quasi sessant'anni dalla loro entrata in vigore. Vi è una sacralità laica, scusate l'espressione che però rende bene l'idea dell'atteggiamento con cui bisogna accostarsi ai principi fondamentali della Costituzione, che consente, nel rispettarli pienamente nella loro lettera formale e nella collocazione, eventuali arricchimenti.
Oggi si discute dell'articolo 12 della Costituzione, ma ritengo che in un prossimo futuro, spero non lontano, si possa tornare, come abbiamo fatto nella scorsa legislatura, ad ipotizzare, con grande equilibrio, un arricchimento ulteriore dell'articolo 9 della Carta costituzionale, senza nulla cambiare del testo oggi vigente, ma aggiungendo un elemento di arricchimento giuridico e culturale per quanto riguarda la tutela degli ecosistemi e dell'ambiente come è stato fatto recentemente nella Costituzione francese e, meno recentemente, in quella tedesca e in varie altre Costituzioni nobilissime di paesi dell'Unione europea, in ordine a materie che non potevano essere percepite nella loro importanza quando tali Costituzioni furono approvate.
La discussione che oggi ci accingiamo a svolgere è di grande importanza sotto il profilo della delicatezza della revisione costituzionale, da intendere però nel senso dell'innovazione e non in quello della sostituzione di uno dei principi fondamentali della Costituzione. Si tratta di una discussione importante anche con riferimento al merito specifico dell'innovazione Pag. 37ed al modo in cui tale questione si è posta nel corso delle ultime tre legislature (XIII, XIV e XV).
È assolutamente necessario affrontare la discussione di un provvedimento che prevede l'inserimento in Costituzione del principio - una norma a tale riguardo esiste già nell'ordinamento - in base al quale si riconosce l'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica. Si tratta di un aggiornamento - per usare un termine giovanneo che fa riferimento all'epoca in cui si svolse il Concilio Vaticano II - che però deve essere depotenziato di qualunque carica ideologica. Non voglio attizzare polemiche, semmai le voglio spegnere, ma non c'è dubbio che, se rileggiamo il testo delle due relazioni che accompagnano le due proposte di legge presentate dai colleghi di Alleanza Nazionale, che sono condivisibili nel merito, questa carica ideologica purtroppo è fortissimamente presente con l'unica attenuante, che mi permetto di sottoporre all'attenzione dei colleghi, anche di Alleanza Nazionale, che quelle relazioni sono state identiche - per curiosità le ho rilette - nella XIII, nella XIV e nella XV legislatura. Proposte presentate nella XIII legislatura, se non ricordo male su ispirazione di un ex collega, molto anziano ma tuttora molto attivo e vitale, Pietro Mitolo, ma aventi, come detto, una forte carica di contrapposizione ideologica assolutamente non condivisibile.
Contrapposizione ideologica a che cosa? Alla tutela delle minoranze linguistiche, che è prevista nell'articolo 6 della Costituzione, così come si è realizzata in alcune regioni a statuto speciale e, in modo molto particolare, nella regione Trentino-AltoAdige/Südtirol, alla quale appartengo e nella quale vengo eletto.
Risulta indispensabile, quindi, ricostruire cosa è avvenuto nella XIII legislatura ed accennare al dibattito che si è svolto nell'Assemblea costituente. Nella XIII legislatura, purtroppo contrastata fortissimamente da settori del centrodestra di allora, venne approvata un'importantissima legge, la legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche». Ci sono volute, signor Presidente, rappresentante Governo, colleghi, ben tredici legislature perché, finalmente, si arrivasse ad attuare, sul piano nazionale, il disposto dell'articolo 6 della Costituzione che, dal 1o gennaio 1948, recita solennemente e castigamente: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». La legge di attuazione sul piano nazionale risale, quindi, alla fine del 1999 e sono orgoglioso di aver contribuito alla sua stesura, insieme all'allora relatore, il collega Maselli, e di essermi battuto per la sua approvazione.
In precedenza, erano stati approvati lo statuto speciale della Valle d'Aosta, con la tutela della minoranza di lingua francese, e quello del Trentino-Alto Adige/Südtirol, con la tutela sia della minoranza di lingua tedesca, che è in maggioranza nel territorio della provincia autonoma di Bolzano, sia della minoranza di lingua ladina, per quanto riguardava, allora, quel territorio. Ricordo che questi statuti speciali risalgono al 1948 e che la nuova formulazione dello statuto del Trentino è stata approvata nel 1972, con alcune modifiche effettuate alla fine della XIII legislatura.
Ancora nella XIII legislatura, più specificatamente al termine della stessa, oltre alla già citata e fondamentale legge n. 482 del 1999, fu approvata la legge n. 38 del 2001 a tutela della minoranza slovena nella regione Friuli-Venezia Giulia, anch'essa, purtroppo, contrastatissima non da tutti, ma da alcuni settori del centrodestra.
Ricordo ancora che, nella stessa legislatura, ricchissima, quindi, sotto questo profilo, nella legge costituzionale di modifica dei cinque statuti delle regioni a statuto speciale, approvata verso la fine della stessa, all'articolo 4, che riguardava lo statuto del Trentino-Alto Adige/Südtirol, furono, su nostra iniziativa, introdotte alcune norme a tutela anche delle minoranze linguistiche presenti nella provincia autonoma di Trento e non soltanto di quelle della provincia autonoma di Bolzano. Mi riferisco ai ladini della Val di Fassa, ai Mocheni della Valle del Fersina e ai Cimbri della Luserna, piccole minoranze Pag. 38linguistiche (la più consistente è quella dei ladini, seguita dai Mocheni, che riguardano quasi un'intera valle e, poi, dai Cimbri attinenti ad un solo comune) che avevano pieno diritto ad una tutela che in passato non era stata prevista esplicitamente.
Il tema della tutela delle minoranze linguistiche fu affrontato con molta attenzione dall'Assemblea costituente. La norma costituzionale (l'articolo 6), collocata nei principi fondamentali della Costituzione, inizialmente fu elaborata dalla Commissione dei settantacinque, perché fosse inserita nell'ambito del Titolo V, che riguarda le autonomie regionali e locali, e, quindi, nella seconda parte della Costituzione. A differenza della proposta originaria della Commissione dei settantacinque, nell'Assemblea costituente il tema fu radicalmente ripensato e trattato non come una questione specifica riguardante le autonomie regionali, ma come un principio fondamentale della Costituzione repubblicana.
L'Assemblea costituente volle togliere la norma dal Titolo V dove l'aveva ipotizzata la Commissione dei settantacinque - la maggioranza dell'Assemblea - e la volle inserire nei principi fondamentali subito dopo l'articolo 5, un articolo che - come tutti noi ricordiamo - recita nella sua parte iniziale che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali.
Anche in questo caso, senza polemiche a posteriori - che non servono più a nulla, essendo ormai nel 2006 - ma semplicemente ai fini di una ricostruzione storica che ci permetta di capire cosa è avvenuto, permettetemi di sottolineare le ragioni di questa scelta fondamentale da parte dell'Assemblea costituente. L'articolo 6 della Costituzione repubblicana recita che la Repubblica tutela (l'espressione usata non è «può tutelare», bensì «tutela») con apposite norme le minoranze linguistiche, perché non c'era, all'epoca, una norma sull'ufficialità della lingua italiana che già allora comunque esisteva nell'ordinamento. Perché tutto questo? Si usciva - ciò si ritrova nel dibattito dell'Assemblea costituente - da vent'anni di regime fascista, di oppressione e di espropriazione dei diritti delle minoranze linguistiche. Non si poteva usare la propria lingua, erano stati addirittura cambiati i cognomi, aboliti i toponimi e così via per vent'anni. Per questo motivo, i costituenti vollero introdurre la norma precettiva secondo cui la Repubblica tutela (non, invece, «può tutelare») con apposite norme le minoranze linguistiche e inserirla nei principi fondamentali, dove si hanno già l'articolo 2, sui diritti inviolabili dell'uomo (uno dei diritti inviolabili dell'uomo consiste nell'uso della propria lingua); l'articolo 3, sulla pari dignità ed eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, religione ma, soprattutto, di lingua; l'articolo 5, che poco fa ho già citato e, subito dopo, l'inserimento dell'attuale articolo 6. Come è già stato ricordato, la legge n. 482 del 1999, la prima legge di organica attuazione dell'articolo 6, «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche», all'articolo 1 afferma solennemente che la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.
Quindi, di per sé, tutto ciò di cui stiamo discutendo oggi in sede costituzionale è pacifico e proprio per tale ragione può essere opportunamente acquisito e inserito nel testo costituzionale.
Tuttavia, è interessante ricordare che è all'articolo 1 della legge sulle minoranze - nel suo incipit - che troviamo - come è giusto che sia - l'affermazione per cui la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano.
Vorrei però ricordare più puntualmente e retrospettivamente che l'italiano, come lingua ufficiale, era già nell'ordinamento sia postcostituzionale che precostituzionale, per esempio nella legge sul notariato, la n. 89 del 1913, all'articolo 54; molto più avanti, nell'ordinamento dello stato civile, con il decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, agli articoli 19, 22 e 34; nel Codice di procedura penale, all'articolo 109; nel Codice di procedura civile, all'articolo 122; nello stesso Statuto della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 99 e in moltissime Pag. 39altre leggi o norme specifiche di settore, che non cito puntualmente solamente per ragioni di tempo.
Pertanto, il fatto che nella XIII legislatura venne inizialmente presentata quella proposta di legge costituzionale sull'articolo 12 per il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica aveva un suo fondamento, perché già nell'ordinamento è così e, quindi, è senz'altro un fatto positivo riconoscerlo anche in Costituzione (non era previsto in Costituzione per le ragioni storiche che poco fa ho ricordato).
Tuttavia, le motivazioni non condivisibili con cui quella proposta era sostenuta ideologicamente - basta leggere i due testi identici e le due relazioni identiche - erano in polemica con la tutela delle minoranze linguistiche, specificamente nei confronti della minoranza di lingua tedesca del Trentino-Alto Adige/Südtirol. Si tratta di una polemica assolutamente sbagliata, infondata costituzionalmente e non condivisibile, anche se era condivisibile il testo dell'innovazione costituzionale proposta.
Nella XIV legislatura le varie proposte di legge costituzionale, fra cui una da me presentata insieme al collega Bressa ed alla collega Amici, furono approvate in un testo unificato alla Camera, ma con un dissenso della gran parte del centrosinistra sull'aggiunta ulteriore del comma secondo cui: la Repubblica valorizza gli idiomi locali. Vi fu molta polemica in quest'aula, come si evince dai documenti riguardanti il dibattito nel quale sono personalmente intervenuto. Personalmente, a nome dei Verdi, non mi dichiarai contrario rispetto a quel principio da inserire in Costituzione. L'Assemblea si spaccò sostanzialmente a metà: il testo fu approvato ma, come ha ricordato poco fa il presidente Violante, si arenò nell'aula del Senato, anche per dissensi interni alla maggioranza di allora. Ripeto, personalmente ritengo che quella norma non fosse di per sé inaccettabile.
In questa legislatura siamo ripartiti con le due storiche - chiamiamole così - proposte di Alleanza nazionale (e, purtroppo, con le due identiche relazioni assolutamente non condivisibili nell'impianto ideologico che le sostiene), una proposta di legge presentata da me, a nome del gruppo dei Verdi, ed una proposta di legge presentata dal collega Zaccaria, firmata anche da me e da numerosi colleghi del suo gruppo e di altri gruppi del centrosinistra. Il testo approvato in I Commissione in sede referente, relatore il collega Bocchino, si è fatto positivamente carico - per questo il mio è giudizio positivo: ho cercato di ricostruire le vicende non per caricarle di polemiche, ma per depotenziarle, in vista dell'auspicabile risultato finale - di tutte le preoccupazioni emerse nelle scorse legislature. Si tratta di un testo condivisibile ed equilibrato che recita: «All'articolo 12 della Costituzione è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali». Pertanto, ogni sospetto di un uso strumentale, ideologico o unilaterale di questa norma viene fugato dal risultato che abbiamo ottenuto con larghissimo accordo in Commissione e con un dibattito che, salvo qualche rara eccezione, si è svolto in modo sereno ed equilibrato.
Il 18 ottobre 2006, abbiamo anche ascoltato il presidente, il vicepresidente ed un componente dell'Accademia della Crusca che ci hanno fornito una loro memoria scritta: mi riferisco al professor Francesco Sabatini, presidente, alla professoressa Nicoletta Maraschio, vicepresidente, ed al professor Vittorio Coletti, socio nazionale dell'Accademia della Crusca. Al di là di questo nome che può suscitare, in chi non ne conosce la storia gloriosa, qualche ironia, in realtà da questi tre altissimi esponenti, tutti ordinari di storia della lingua italiana (il primo all'università di Roma, la seconda all'università di Firenze, il terzo all'università di Genova), abbiamo ascoltato considerazioni di grande intelligenza, sapienza storica ed esperienza sotto il profilo della materia specifica della Pag. 40linguistica ed anche un suggerimento terminologico che abbiamo unanimemente accolto.
Quindi, da una parte vi è l'audizione informale, svolta il 18 ottobre 2006, di esponenti dell'Accademia della Crusca (e faccio riferimento alla memoria scritta, che ritengo di grande interesse, che è stata depositata in Commissione), dall'altra emerge, nell'ambito del testo approvato in sede referente (e che ho testè citato testualmente) la necessità di inserire, all'articolo 12 della Costituzione, questa nuova norma in forma complementare rispetto alle altre garanzie costituzionali. Mi riferisco all'articolo 2 della nostra Carta (diritti inviolabili dell'uomo), all'articolo 3 (uguaglianza dei cittadini senza discriminazione di lingua), all'articolo 6 (la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e, ovviamente, alle relative norme di attuazione (in particolare, la più volte citata legge n. 482 del 1999).
Bisogna fare riferimento, inoltre, alle garanzie previste non solo dalla Costituzione, ma anche dalle altre leggi costituzionali, in particolare dagli statuti speciali della Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, del Trentino-Alto Adige/Südtirol e del Friuli Venezia Giulia. In tal modo, ogni strumentalizzazione nazionalistica (cosa diversa dall'entità nazionale) è evitata in radice.
Ribadisco, dunque, che abbiamo varato di comune accordo e con grande consenso un provvedimento assolutamente equilibrato.
Sotto il profilo del diritto costituzionale comparato, vorrei altresì ricordare che nel 1992, in sede di ratifica del Trattato di Maastricht, il Parlamento francese ha inserito nella Costituzione, per la prima volta, il riconoscimento del francese quale lingua della Repubblica (perché non era previsto). Infatti, l'articolo 2, comma 1 della Costituzione francese, così come novellato nel 1992, recita che: «La lingua della Repubblica è il francese».
Tuttavia, ritengo maggiormente interessante, sotto l'aspetto che ci interessa, ciò che è attualmente previsto dall'articolo 8 (anche in tal caso, quindi, rientra tra i principi fondamentali) della Costituzione austriaca, che leggo testualmente: «La lingua tedesca è la lingua ufficiale della Repubblica, senza pregiudizio dei diritti che la legislazione federale riconosce alle minoranze linguistiche». Vorrei osservare che il nostro testo è più essenziale, ma è sostanzialmente analogo a quanto ho testè illustrato all'Assemblea.
Vorrei da ultimo ricordare (anche perché si tratta di una delle Carte più recenti) la Costituzione spagnola, il cui l'articolo 3 reca un testo abbastanza lungo, ma interessante da leggere. Tale articolo, infatti, recita che: «Il castigliano è la lingua spagnola ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla ed il diritto di usarla. Le altre lingue spagnole saranno anch'esse ufficiali nelle rispettive comunità autonome in armonia con i loro statuti. La ricchezza dei diversi linguaggi della Spagna è un patrimonio culturale che deve formare oggetto di rispetto e protezione speciali».
Vorrei osservare che il testo spagnolo è un po' ridondante, tuttavia lo trovo di grandissimo interesse. Infatti, da una parte vi è la lingua ufficiale e, dall'altra, si prevede il riconoscimento delle altre lingue, nonché l'uso parificato, così come è contemplato nei nostri statuti regionali speciali. Tale testo, inoltre, fa comprendere che potrebbe essere accoglibile un'ipotesi. Ricordo che ho avanzato siffatta ipotesi sia nella mia proposta di legge n. 1782, sia negli emendamenti da me presentati, anche se non intendo insistere troppo, se non si registrerà un largo consenso. Infatti, alla formulazione oggi all'esame dell'Assemblea, più volte ricordata, si potrebbe aggiungere un comma che preveda che: «la Repubblica valorizza gli idiomi locali». Il testo spagnolo, del resto, ci fa comprendere che si tratta di una tematica non soltanto italiana.
In tal modo, si avrebbe una sorta di «stratificazione»: al vertice, ovviamente, vi sarebbe l'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica; ad un secondo livello, avremmo la normativa sulla tutela delle minoranze linguistiche, le quali risulterebbero Pag. 41anche parificate sui territori tutelati dagli statuti speciali; al terzo livello, più in basso (ma comunque significativo ed importante), vi sarebbe non l'ufficialità o la tutela, ma la valorizzazione degli idiomi locali.
So che altri colleghi sia di centrodestra, sia di centrosinistra non sono d'accordo su questo punto, ma per la ricchezza del nostro dibattito, anche sotto il profilo storico-culturale, desidero ricordarlo. Ribadisco pertanto che, al di là dell'inserimento o meno di questa ulteriore disposizione, in ogni caso ritengo il testo predisposto dalla I Commissione, così come è stato oggi prospettato all'Assemblea, pienamente condivisibile, assolutamente equilibrato ed interamente inserito nel contesto delle nostre garanzie costituzionali.
Vorrei da ultimo ricordare, signor Presidente, che abbiamo sottoscritto e ratificato il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966. Esso è stato ratificato e reso esecutivo, purtroppo, con undici anni di ritardo, con l'approvazione della legge 25 ottobre 1977, n. 881. Desidero citare testualmente l'articolo 27 di tale Patto.
«In quegli Stati nei quali esistano minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione e di usare la propria lingua in comune con gli altri membri del proprio gruppo». Ho voluto fare questa citazione di un patto internazionale di grandissima importanza a livello mondiale, che noi abbiamo in precedenza sottoscritto e ratificato, rispettivamente fin dal 1966 e dal 1977, perché è un completamento del sistema di norme nell'ambito del quale oggi si inserirà, se questa proposta di innovazione costituzionale avrà seguito, come mi auguro, anche questa norma che prevede che l'italiano sia la lingua ufficiale della Repubblica, nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
Credo che questo excursus storico, politico, culturale ed istituzionale sia servito, per i colleghi che magari non hanno partecipato alle «tappe» precedenti, a capire che - forse, e me lo auguro - oggi potrebbe essere maturo il momento per approvare ed inserire questa norma nella Costituzione, in un ambito di grande equilibrio costituzionale. Mi auguro - so che vi sono anche alcuni dissensi, rispettabilissimi - un'ipotesi di larga convergenza parlamentare, perché solo con un'ipotesi di larga convergenza parlamentare è possibile immaginare di innovare il testo costituzionale, in particolare di innovare un testo che riguarda l'ultimo dei dodici articoli dei principi fondamentali della nostra Repubblica. Grazie per l'attenzione (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Popolari-Udeur - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cota. Ne ha facoltà.

ROBERTO COTA. Signor Presidente, in apertura del mio intervento vorrei ringraziare l'onorevole Boato.

MARCO BOATO. Perché sono leale!

ROBERTO COTA. Lo faccio perché devo dire che anche nei lavori della Commissione l'onorevole Boato è stato molto leale. Oggi, in aula, ci ha fatto un excursus molto interessante ed anche equilibrato dei corsi e ricorsi storici.
Signor Presidente, noi non abbiamo dubbi, nel senso che l'italiano è la lingua che noi tutti parliamo e nessuno lo vuole mettere in dubbio. Allora, il problema non è se in quest'aula dobbiamo parlare un'altra lingua oppure se nella vita di tutti giorni e con riferimento agli atti dello Stato non si debba più parlare l'italiano. Il problema è che cosa rappresenta questo provvedimento, che segnale dà questo provvedimento, che bisogno sottende questo provvedimento. Dopo tanti anni dall'approvazione della Costituzione, in cui non era stato inserito un articolo come questo, inserire tale articolo senza accogliere, peraltro, gli emendamenti che noi Pag. 42abbiamo proposto ha un solo significato, ed è il significato che il presidente Violante ci ha dato poco fa, nel suo intervento introduttivo: questa è la risposta ad alcune spinte centripete, ossia questa è la risposta di fronte ad istanze, legittime, di federalismo e di autonomia che prendono, queste sì, sistematicamente corpo in maniera sempre più forte. E prendono corpo non soltanto con il pronunciamento degli elettori, ma perché consideriamo anche il fatto che la maggioranza degli elettori al nord ha detto una certa cosa (anche se l'ha detta con riferimento ad una modifica della Costituzione che non riguardava direttamente quei territori, ma riguardava il complesso dei territori dello Stato). Se quella riforma avesse riguardato soltanto i territori delle regioni interessate, il «sì» sarebbe stato ancora maggiore ed ancora più incisivo.
Come dicevo, non soltanto le istanze di federalismo hanno questo tipo di consenso popolare, ma anche gli stessi amministratori locali e rappresentanti istituzionali delle regioni, indipendentemente dalla loro collocazione politica, sono favorevoli alla rivendicazione dell'autonomia e del federalismo e, più in generale, dell'identità.
Al riguardo, penso alla presidente della regione Piemonte, la quale - anche non appartenendo al centrodestra - ha dichiarato nell'ambito del consiglio regionale (sede pubblico-istituzionale) d'essere favorevole al federalismo, all'attribuzione in capo al Piemonte di una serie di competenze legislative e alla difesa dell'identità regionale.
A fronte di una simile situazione, approvare un provvedimento di questo tipo rappresenta un segnale sbagliato nei confronti del Paese e delle istanze di autonomia e di federalismo che arrivano dal territorio. Stiamo parlando di un segnale statalista e centralista che si pone in contrasto con le singole identità; infatti, se così non fosse, sarebbero stati accolti, ad esempio, gli emendamenti presentati dalla Lega.
È proprio per questo motivo che, poco fa, ho ringraziato il collega Boato: egli, infatti, ha avuto nei confronti del provvedimento un approccio equilibrato e non ideologico. In Commissione, Marco Boato si è detto favorevole al testo unificato, ma anche ai nostri emendamenti, tanto che anch'egli ha presentato un emendamento in tutto e per tutto convergente con il nostro.
Per quanto ci riguarda, abbiamo chiesto che assieme alla lingua italiana venissero riconosciute, mediante una legge regionale, anche le lingue storiche regionali; inoltre, secondo noi, il pronunciamento dei consigli regionali può estrinsecarsi in una delibera e non in una legge. Infine, abbiamo proposto che la Repubblica valorizzi gli idiomi locali e la stessa richiesta, come ricordato in precedenza, è stata avanzata anche dall'onorevole Boato.
Non abbiamo nulla contro l'italiano, ma non vogliamo che questa legge assuma un significato sbagliato, riaffermando il concetto di uno Stato centralista contro le autonomie e le identità dei territori.
Non vi è momento più sbagliato di questo per approvare una legge con tali caratteristiche. S'intende introdurre in Costituzione una norma che rappresenta soltanto un orpello, una questione di forma, e non si sente il bisogno di realizzare una modifica di sostanza che attribuisca alle regioni il federalismo vero, il federalismo fiscale.
Quindi, perché non si approva questa legge dopo aver risposto positivamente a quelle regioni del nord che chiedono nuove competenze e l'attivazione del federalismo fiscale?
Con riferimento alla tutela delle lingue regionali, vorrei anche dire ai pochi colleghi presenti in aula che essa è sentita - parlo da piemontese, ma lo stesso potrebbero sostenere i veneti - in maniera così forte che in molti statuti regionali si sono riaffermati principi legati alla tutela degli idiomi e delle culture locali e regionali.
Preferisco parlare in proposito di culture dei territori. Ebbene, questi princìpi sono stati non solo inseriti all'interno dello statuto, ma anche approvati a larga maggioranza. Quindi, questa impostazione crea davvero un solco tra il «palazzo», cioè lo Stato che vuole essere sempre più Pag. 43centralista, e i territori, che si coalizzano in nome della propria autonomia e della difesa della propria identità, dei propri interessi e di valori più alti ed altrettanto importanti.
Per questi motivi, il gruppo della Lega ha compiuto la scelta in sede di Commissione di non partecipare al voto finale e di presentare questi emendamenti - e ancora speriamo che possano essere approvati - affinché questa legge non dia un segnale sbagliato di debolezza. Infatti, uno Stato che sente il bisogno di dare questa impostazione si presenta debole, invece di mostrarsi forte. Non è un segnale di forza. Se poi vogliamo parlare di ideologia, abbiamo agito in questa maniera perché questa legge non si presenti come una «marchetta» ideologica, basata su un'ideologia che riteniamo sbagliata (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Franco Russo. Ne ha facoltà.

FRANCO RUSSO. Signor Presidente, non mi farò trarre, non dico in inganno, ma neppure in fascinazione dall'intervento dell'onorevole Cota perché altrimenti dovrei subito «metterla in politica», affermando che il disegno di legge in esame - nonché quelli analoghi presentati nelle precedenti legislature -, relativo alla modifica dell'articolo 12 della Costituzione, segue una spinta molto politica, volta a prevenire i mali che potrebbero derivare dalle ragioni esposte dall'esponente della Lega. Quindi, non seguirò l'esempio dell'onorevole Cota - di cui ho ascoltato l'intervento e del quale rispetto pienamente le motivazioni - per tentare invece di motivare ai presenti e a coloro che leggeranno il mio intervento dubbi ed ostacoli presenti sul cammino che porta all'approvazione di tale provvedimento. Lo farò partendo da alcune considerazioni, di cui la prima è relativa all'identità di una nazione, la seconda verte su questioni strettamente costituzionali e la terza riguarda direttamente l'italiano.
Sgombrando il campo da eventuali equivoci, vorrei subito chiarire che nessuno in quest'aula - compresi il sottoscritto e i colleghi di Rifondazione Comunista - non intende valorizzare pienamente la lingua italiana, le civiltà succedutesi sulla nostra penisola e l'importanza universale del contributo che la civiltà italiana ha dato - e sta dando - al mondo. Tuttavia, su tale aspetto vorrei tornare nell'ultima parte del mio intervento.
Intanto, vorrei affrontare una prima questione, sollevata dall'onorevole Boato sia in Assemblea che in Commissione. Infatti, egli ha parlato di una sacralità - intesa laicamente - dei princìpi della nostra Carta costituzionale. L'onorevole Boato - così come ha fatto il presidente Violante nel corso della sua sobria relazione - si è giustamente premunito di comprendere i motivi per i quali oggi è importante introdurre l'ufficialità della lingua italiana nella Costituzione. L'onorevole Boato - così come, con motivazioni più politiche e sociologiche, ha argomentato l'onorevole Violante - ritiene che la lingua italiana, anche grazie al modo in cui si è sviluppata, non autoritario né statalista, possa essere oggi un fondamento dell'unità della nazione. Io penso, onorevole Violante e onorevole Boato, che se c'è una lezione da trarre dall'andamento delle costruzioni delle Carte costituzionali dopo la seconda guerra mondiale, essa a mio avviso sta nel fatto che si debba parlare giustamente di una sacralità laica della Costituzione, nel senso che non ci sono i simboli a rendere comune un destino di un popolo. In verità, quel che fonda l'unità di un popolo e lega i cittadini l'un l'altro è il patto costituzionale. Infatti, se noi ci affidassimo alla simbologia e ai famosi segni, potremmo commettere un errore. Certo, occorre anche che vi sia un'adesione sentimentale alla convivenza civile; tuttavia, il fondamento di quest'ultima e il patto di cittadinanza stanno nei diritti costituzionali e nel patto che reciprocamente un cittadino ed una cittadina fanno, l'un l'altro. Questo è anche il fondamento, a mio avviso, del motivo per cui in Europa - mi si consenta la parentesi, ma è per chiarire meglio il mio pensiero - può nascere una Costituzione democratica europea, Pag. 44pur non esistendo un popolo europeo. Infatti, sappiamo che siamo decine di popoli che costituiscono - per fortuna! - questa nostra Europa. Ritengo che la costruzione di un popolo ha carattere storico e che la sanzione di quest'ultima risiede nella Carta costituzionale e nei principi costituzionali. Ha ragione, quindi, l'onorevole Boato nel dire che vi è una sacralità dei principi.
Signor Presidente, non devo fare della retorica nel richiamare il fatto che stiamo toccando non la prima parte della Costituzione, bensì i principi della nostra Carta costituzionale e utilizziamo l'introduzione della lingua italiana come lingua ufficiale nel dodicesimo principio della nostra Costituzione. Quest'ultimo tocca un simbolo. Noi pertanto utilizziamo in maniera distorta una simbologia per tentare di dare unità al nostro popolo. Essa sta nel patto rinnovato, anche con l'ultimo referendum, con i valori della nostra Carta costituzionale. Questo è, secondo me, il patriottismo di cui hanno parlato Rusconi e Habermas; un patriottismo democratico, nel senso che i valori democratici della Carta costituzionale ed il patto comune tra i cittadini fondano una nazione.
Di questo la nostra collega Graziella Mascia ha parlato in Commissione, riferendosi soprattutto all'identità nazionale di cui ha fatto un suo punto di critica anche nella passata legislatura. Inoltre, vorrei ricordare all'onorevole Boato - considerato che anch'io sono andato a rileggere gli atti della passata legislatura - che egli si è dovuto continuamente difendere da una lettura nazionalistica. Lo ha fatto stamattina, con estrema intelligenza e sobrietà, anche l'onorevole Violante, dicendo che vi sono due approcci alla modifica dell'articolo 12 della Costituzione, uno di destra e uno di sinistra: uno che esalta l'identità nazionale e l'altro che invece sottolinea un valore democratico, il quale ancora, tuttavia, non ho discoperto.
E vengo al secondo punto, onorevole Violante. Ovviamente mi rivolgo anche all'onorevole Zaccaria qui presente che, essendo docente di diritto costituzionale, spero si possa convincere dell'erroneità della proposizione da lui formulata nel tentativo di contenere i danni che possono intervenire quando poniamo nella Costituzione l'italiano quale lingua ufficiale.
Onorevole Zaccaria, prima di intervenire sono andato a rileggere quali sono i soggetti a cui la Carta costituzionale fa riferimento. Mi si consenta, visto che parlo ad un professore di diritto costituzionale, ma è solo per sottolineare il volgere ed il ritmo del mio intervento, di ricordare che la nostra Carta costituzionale si rivolge ai cittadini, alle persone, a tutti. Non a caso essa si riferisce a tali soggetti, in quanto parla di diritti universali, di diritti da attribuire ad ogni persona, in quanto essere umano o in quanto cittadino, a seconda dei diritti che vengono concessi.
Onorevole Zaccaria, non troverà mai nella Costituzione italiana un diritto afferente alla maggioranza dei cittadini italiani. Lei ha dovuto far riferimento, nel comma aggiuntivo che riguarda il riconoscimento della ufficialità della lingua italiana, alle garanzie e alle leggi costituzionali perché ha percepito perfettamente - lo dimostrerò con le carte relative ai lavori dell'Assemblea costituente e alla Corte costituzionale - che, disciplinando questo istituto, stiamo disciplinando un diritto della maggioranza degli italiani rispetto alle minoranze. Non c'è Carta costituzionale moderna che regoli i diritti della maggioranza: i diritti sono della minoranza perché quelli della maggioranza, al più, potranno essere relativi al procedimento politico, disciplinato nella seconda parte della Costituzione. Neanche in quella parte, tuttavia, troviamo un riferimento alle maggioranze, ma alle istituzioni e al Governo, sorretti, appunto, dalle maggioranze.
Nella prima parte della Carta costituzionale, quella relativa ai principi fondamentali, non c'è alcun riferimento ai diritti della maggioranza. Per questo motivo, onorevole Boato, il costituente non si è riferito alla lingua italiana e non per ragioni storiche, non a causa del momento storico, cioè l'immediato dopoguerra. Quella circostanza era un fatto contingente che può averlo reso molto sensibile Pag. 45ai problemi delle minoranze linguistiche. Il costituente sapeva che, quando si disciplinano i diritti, bisogna regolamentare quelli posti in favore delle minoranze oppure quelli attribuiti a tutte le persone presenti nella società nazionale. Per questo motivo, non è stata disciplinata la lingua della maggioranza degli italiani, per non incorrere nell'errore di attribuire, in Costituzione, un diritto alla maggioranza. Infatti, come giustamente ha ricordato l'onorevole Boato questa mattina, la norma relativa alle minoranze linguistiche, non a caso, è stata spostata, dalla seconda parte della Costituzione a quella relativa ai principi fondamentali, cioè all'articolo 6. È giusto disciplinare i diritti delle minoranze nella Costituzione perché sono diritti che si esercitano contro la maggioranza. Ecco la risposta che mi attendo da lei, onorevole Zaccaria. I diritti, in Costituzione, sono previsti e disciplinati contro la maggioranza e contro la possibilità che la maggioranza usufruisca del suo potere per contenere, comprimere e reprimere i diritti della minoranza. Se una disciplina è prevista, nella Carta costituzionale, è quella dei diritti della minoranza. Il motivo, quindi, non è il fatto contingente e storico che ci può semplicemente rappresentare l'humus culturale per comprendere il motivo per cui i padri costituenti furono spinti in quella direzione. L'onorevole Boato avrà sicuramente letto, conoscendo la sua cultura in materia, la relazione preparata dal Ministero per la Costituente per l'Assemblea costituente. In tale relazione si evidenzia con molta nettezza tutto questo. Il Ministero per la Costituente rifiutò la nozione di minoranza etnica, ma riconobbe l'esistenza, in Italia, del problema delle minoranze linguistiche e suggerì di affrontarlo. A mio avviso, vi è proprio un errore culturale e di tecnica legislativa nella dizione proposta all'Assemblea.
Un'altra argomentazione, signor Presidente, riguarda il fatto che noi abbiamo un convitato di pietra in questa discussione. In questo caso, sono non le minoranze linguistiche, che ricevono una tutela nell'articolo 6 della Costituzione e nella legge del 1999, ma sono i migranti e le migranti. Questo è il vero problema che è davanti a noi. Infatti, quando, nel 2006, si parla di identità, non si tratta dell'identità della nazione italiana, che è cosa acquisita al punto che possiamo permetterci di entrare a far parte dell'Europa con il nostro patrimonio e di fondare una nuova società sovranazionale (di questo, spero, potremo parlare in altre occasioni, quando avremo modo di discutere della Costituzione europea). Il problema è quello di difendere, presuntivamente, l'italianità nei confronti delle nuove correnti di migranti. Faccio anche una previsione e, cioè, che le forze del centrodestra stanno lavorando per inserire in Costituzione questa norma perché vorranno vincolare anche l'attribuzione della cittadinanza alla conoscenza della lingua italiana (Commenti del deputato Menia).
Vorrei fare un riferimento sociologico. Se esaminate i dati forniti dal Servizio studi della Camera che, come al solito, è preparatissimo in materia, relativi alla Germania, agli Stati Uniti d'America e al Canada, vi accorgerete che i migranti di seconda generazione naturalmente parlano la lingua del luogo.
I migranti di prima generazione, ovviamente, hanno difficoltà a comunicare nella lingua che incontrano (in questo caso l'italiano), mentre quelli di seconda generazione si integrano perfettamente e conoscono a menadito, per svolgere le funzioni sociali ed intessere relazioni umane, la prima lingua. Pertanto, non sussiste nemmeno il problema di difesa dell'italiano o di affermare, a fronte dei pericoli che stanno nascendo, la caratteristica peculiare dell'italiano.
Mi si consenta una seconda considerazione di ordine culturale. Ha fatto bene l'onorevole Boato a riferirsi al documento prezioso - anch'io lo condivido - dei rappresentanti dell'Accademia della Crusca.
Cosa hanno affermano di interessante gli Accademici della Crusca sull'articolo 12 (lo riconosco, sarei un ipocrita a misconoscerlo)? Il francese, come sappiamo, fu imposto da una serie di leggi e fu parte del Pag. 46processo di centralizzazione e della costruzione dello Stato francese (i primi dispositivi risalgono a Francesco I che, nello sforzo della monarchia verso lo Stato nazionale, utilizzò l'omogeneizzazione linguistica per imporre gli istituti della monarchia).
Secondo gli Accademici della Crusca, rispetto a questo tipo di fenomeni, l'italiano gode di una particolarità preziosa che deve essere motivo di riflessione in questa Camera: è vero che l'italiano è stato imposto come lingua ufficiale pubblica dopo l'unità d'Italia, ma è anche vero che, per processi spontanei, cui hanno collaborato i letterati, gli scienziati e la gente comune, con il loro parlare, si è costituita, a partire dal Cinquecento, una lingua, quella italiana, che è divenuta predominante in ambiti letterari colti ed è la lingua utilizzata in maniera più vasta.
Questo processo evolutivo della lingua italiana, che ha caratterizzato la società civile italiana, è un bene prezioso che, a mio avviso, dovrebbe essere preservato e non ostacolato, paralizzato con una norma di rango addirittura costituzionale.
Ritengo che questa caratteristica della nostra lingua, così bella, ricca e aperta al contributo delle altre lingue (al riguardo, Elettra Deiana, in un bellissimo intervento svolto nella passata legislatura, ha spiegato come l'italiano si sia andato arricchendo), si pone a garanzia del fatto che non solo l'italiano è vivo e vegeto, ma continuerà a svilupparsi; quindi, dovremmo preoccuparci piuttosto di avere una politica di diffusione dell'italiano all'estero, di rafforzamento dei nostri istituti culturali, di promozione della nostra lingua nel mondo, perché si conosca direttamente il nostro ricchissimo patrimonio letterario e scientifico.
Certo, non è con questa gabbia, con questa struttura imposta dall'alto che potremo garantire lo sviluppo della nostra lingua! Ce lo hanno detto anche gli Accademici della Crusca. Dunque, poiché ritengo che la caratteristica tipica delle lingue stia nel rappresentare un elemento storico naturale che si sviluppa in maniera evolutiva, non vi è bisogno assolutamente di apportare una modifica, addirittura scomodando l'articolo 12 della nostra Carta costituzionale, per rendere ufficiale la lingua.
D'altro canto, come ha ricordato l'onorevole Boato, con la legge del 1999, all'articolo 1, viene riconosciuta l'ufficialità della lingua, mentre con altre leggi ne viene disciplinato l'uso nei tribunali, nel notariato, nella pubblica amministrazione.
Vorrei fare due ultime considerazioni. Innanzitutto, ricordiamoci come è stato approvato l'articolo 1 della legge n. 482 del 1999 (cito a mente, ma dovrebbe essere questa). Non fu un prodotto, onorevole Boato, della Commissione, ma fu un prodotto dell'Assemblea, a seguito dell'approvazione degli emendamenti del centrodestra. Rispetto all'articolo 1 della legge del 1999, potrei farmi schermo dicendo che è inutile e ridondante ripetere quella dizione all'interno dell'articolo 12 della nostra Carta costituzionale. Anche in quella legge, che doveva essere di attuazione dell'articolo 6, è stato erroneo - anche se, ovviamente, rispetto quella legge - inserire un articolo nel quale si afferma, come per scusarsi della difesa delle minoranze linguistiche, che l'italiano è la lingua ufficiale.
Vorrei concludere, onorevole Presidente, sperando di non aver rubato troppo tempo, citando la sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 1982. È inutile che vi dica che cosa riguardasse. La Corte fu adita ed affermò: «Diversi sono, tuttavia, i motivi della duplice dichiarazione di non fondatezza. Infatti, a proposito del primo comma dell'articolo 137 del codice di procedura penale, si deve ricordare che la Costituzione afferma, per implicito, che il nostro sistema riconosce l'italiano come lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari, da parte dei pubblici uffici nell'esercizio delle loro attribuzioni».
Giustamente, la Corte costituzionale afferma che ciò è implicito, per il ragionamento che ho fatto prima. Nella Costituzione, non possiamo trovare un diritto della maggioranza, ma, ovviamente, il diritto Pag. 47della maggioranza è implicito. In essa non può che trovare spazio il diritto delle minoranze che, giustamente, la sentenza della Corte richiama.
Infine, se riconosciamo in Costituzione l'ufficialità della lingua italiana, come concepiremo tutte le ufficialità riconosciute negli statuti della Val d'Aosta o del Trentino-Alto Adige/Südtirol? Concederemo delle deroghe; ma, allora, questo carattere di ufficialità nasce già «monco»!
In altri termini, già sappiamo che questa ufficialità risponde semplicemente a ciò che molti deputati e deputate vogliono, ossia il famoso segnale identitario. Noi, come Rifondazione Comunista, questo segnale identitario della nazione italiana - oggi, che stiamo costruendo l'Europa, più di ieri - non vogliamo darlo.
Riteniamo che l'accoglienza, il meticciato, l'incontro fra le culture siano importantissimi e che, dunque, la convivenza delle lingue sia estremamente importante.
Vorrei concludere il mio intervento con un richiamo all'articolo 21 della nostra Carta costituzionale, che l'onorevole Zaccaria ben conosce, perché insegna questa materia da anni. Mi chiedo: il riconoscimento dell'ufficialità della lingua italiana non lede l'articolo 21, che stabilisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola (e non con l'italiano!), qualunque essa sia, lo scritto o ogni altro mezzo di diffusione?
Per tutte queste ragioni di ordine culturale, politico e di redazione costituzionale, farà bene Rifondazione Comunista (ovviamente, si verte in materia costituzionale e, quindi, vi potranno essere anche opinioni differenti) ad esprimere un voto contrario su questa proposta di modifica dell'articolo 12 della nostra Carta costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge costituzionale è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.

La seduta, sospesa alle 13,30, è ripresa alle 15,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Colucci, Cordoni, Donadi, Leoni, Maroni e Pinotti sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono settantatre, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,09).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno avere luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del regolamento.

Deliberazione in merito alla costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 23 novembre 2006, è stata notificata alla Camera dei deputati una ordinanza di ammissibilità adottata dalla Corte costituzionale in relazione ad un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dall'autorità giudiziaria.
Si tratta del conflitto elevato dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano relativo alla delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati in data 25 luglio 2005 delle opinioni espresse da Carlo Taormina, deputato all'epoca dei fatti, nei confronti del Pag. 48tenente colonnello Luciano Garofano, nella sua qualità di comandante del reparto investigazioni scientifiche dell'Arma dei carabinieri.
La Giunta per le autorizzazioni, nella riunione del 5 dicembre, ha espresso un orientamento favorevole alla costituzione in giudizio.
Nella riunione del 6 dicembre 2006, l'Ufficio di Presidenza - dopo aver preso atto dell'orientamento emerso presso la Giunta per le autorizzazioni - ha deliberato di proporre all'Assemblea che la Camera dei deputati non si costituisca in giudizio.
Avverto che sulla proposta dell'Ufficio di Presidenza darò la parola ad un deputato a favore e ad uno contro che ne facciano richiesta.
Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, intervengo per preannunciare il voto favorevole dell'Italia dei Valori sulla proposta dell'Ufficio di Presidenza relativa alla non costituzione in giudizio della Camera innanzi alla Corte costituzionale, conseguente alla dichiarazione di ammissibilità del conflitto di attribuzione sollevato dalla magistratura ordinaria. Quest'ultima - giova ricordarlo brevemente - procede nei confronti di Carlo Taormina per diffamazione in danno del colonnello Luciano Garofano, comandante del RIS (Reparto investigativo speciale) dei carabinieri.
Io sono stato l'unico ad esprimere un voto contrario alla costituzione in giudizio nella Giunta per le autorizzazioni e, quindi, si può capire con quale soddisfazione abbia appreso che l'Ufficio di Presidenza ha deciso di proporre all'Assemblea la non costituzione in giudizio della Camera. Ritengo che questa decisione sia giusta e saggia e che la Camera non possa, molto sbrigativamente, esprimere un voto contrario sulla proposta dell' Ufficio di Presidenza.
Vorrei spiegare, sia pure brevemente, le ragioni per le quali ho votato contro in Giunta per le autorizzazioni ed oggi voterò a favore della proposta dell'Ufficio di Presidenza. Allora, era ancora viva l'eco della manifestazione dei sindacati di polizia contro il Governo e la finanziaria, a causa delle ristrettezze in cui versano le forze dell'ordine, come segno di una più generale e ridotta considerazione del mondo politico per il loro lavoro.
Ho legato a queste considerazioni l'attuale vicenda perché la Camera, dopo essere stata considerata poco attenta alle esigenze delle forze di polizia nel disegno di legge finanziaria, non dovrebbe trasmettere, oggi, un ulteriore messaggio di svilimento e di scarsa considerazione verso onesti e leali servitori dello Stato, cosa che avverrebbe, invece, se la stessa Camera dovesse decidere di difendere l'aggressore Taormina piuttosto che esprimere solidarietà al comandante Garofano, diffamato, al RIS ed all'intera Arma dei carabinieri, quotidianamente impegnata con tutto il suo organico, con grande professionalità, nel presidio della legalità. La Camera non può permettere che suoi preziosi ed invidiati operatori siano ingiustamente insultati e dileggiati a causa del compimento del loro dovere, com'è avvenuto nel caso del comandante Garofano da parte di Taormina. Ci sarebbe da vergognarsi se non essi, ma chi li ha oltraggiati venisse difeso!
Oggi, infatti, ci occupiamo di una controversia del tutto privata, legata alla professione di avvocato svolta nel processo per i fatti di Cogne dall'avvocato Taormina, casualmente anche deputato nella passata legislatura, all'epoca della diffamazione. Egli, approfittando della sua posizione, ha gravemente diffamato il colonnello Garofano, in seguito alla cui querela la magistratura ha proceduto.
Senza alcun costrutto giuridico, la Camera, nella scorsa legislatura, deliberò l'insindacabilità della diffamazione. La magistratura procedente ha sollevato conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale, la quale lo ha dichiarato ammissibile. In effetti, tra mandato parlamentare e diffamazione compiuta non c'è alcun nesso.Pag. 49
Oggi, dobbiamo decidere se la Camera si debba costituire in giudizio per difendere la propria precedente delibera e, con essa, l'ex deputato Taormina (che, peraltro, come avvocato, risulta anche avere abbandonato la difesa).
In questa situazione, signor Presidente, non varrebbe a contrastare la proposta dell'Ufficio di Presidenza tirar fuori un'interrogazione parlamentare presentata da Taormina, e rivolta al ministro della giustizia, sulla base di lamentele contro i magistrati. Si tratta di un atto che mai menziona il colonnello Garofano, nei confronti del quale, come peraltro è noto, il ministro della giustizia non ha alcuna competenza, tanto meno in materia disciplinare. Quindi, l'argomento è soltanto strumentale ed incongruente. Comunque, una cosa è l'atto parlamentare tipico; altra cosa è la diffamazione, espressa con modalità del tutto diverse, che mai avrebbero potuto trovare albergo in un'interrogazione parlamentare.
Né si venga a dire, per giustificare la difesa in giudizio dell'aggressore, che c'è la prassi di rispettare le precedenti delibere della Camera...
Presidente ha suonato il campanello per invitare me a concludere o per invitare i colleghi a fare silenzio?

PRESIDENTE. Per invitare lei a concludere, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA. Bene, mi avvio alla conclusione e chiedo fin d'ora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione di considerazioni integrative del mio intervento in calce al resoconto della odierna seduta.
Non c'è una prassi nel senso poc'anzi richiamato; pochi giorni fa, abbiano votato proprio nel senso di superare una precedente delibera nei confronti dell'ex deputato Delmastro delle Vedove.
Signor Presidente, queste sono alcune delle ragioni per le quali io invito caldamente la Camera a votare responsabilmente a favore della proposta dell'Ufficio di Presidenza, che è una proposta saggia. Sarebbe molto strano - concludo davvero, signor Presidente - se la Camera decidesse di non votare a favore di una proposta che viene dall'Ufficio di Presidenza e, quindi, da un organismo così altamente qualificato e responsabile. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. La Presidenza consente senz'altro, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione richiesta dall'onorevole Palomba.
Chiedo se qualcuno intenda parlare contro la proposta dell'Ufficio di presidenza.

MARCO BOATO. Posso rivolgerle una domanda, signor Presidente?

PRESIDENTE. A quale riguardo, onorevole Boato? Ribadisco che sulla proposta dell'Ufficio di Presidenza possono intervenire un deputato a favore ed uno contro; è già intervenuto un deputato a favore: lei desidera quindi parlare contro?

MARCO BOATO. Signor Presidente, lei pensa che sia stato abolito il voto di astensione?

PRESIDENTE. No, non è stato abolito ma, come lei sa...

MARCO BOATO. In un dibattito come questo credo possano intervenire tutti i gruppi...

PRESIDENTE. Come lei sa, onorevole Boato, su argomenti come quello in esame è previsto che intervengano un deputato a favore ed uno contro. Tuttavia, è facoltà del Presidente consentire l'intervento di un deputato per ciascun gruppo che ne faccia richiesta.

MARCO BOATO. Non auspico, come teme il collega Giachetti, ma penso che sia una materia rilevante, su cui è giusto che chi vuole possa esprimere il proprio parere.

PRESIDENTE. Sta bene. Darò la parola ad un deputato per ciascun gruppo che ne Pag. 50faccia richiesta, precisando, ovviamente, che non c'è un obbligo di intervenire...
Prego, onorevole Boato, ha facoltà di parlare.

MARCO BOATO. La ringrazio, Presidente. Cercherò di essere rapido, pur trattandosi di una materia di grande delicatezza, come è risultato da un recente dibattito che abbiamo svolto in quest'aula con riferimento ad un altro caso, non identico ma analogo.
Signor Presidente, nel caso, evocato in precedenza, del collega Delmastro delle Vedove - con riferimento al quale l'Assemblea, a maggioranza, ha deciso di non costituirsi di fronte alla Corte costituzionale nel conflitto di attribuzione sollevato dall'autorità giudiziaria - eravamo in presenza di una proposta, che in quel momento appariva unanime, della Giunta in questa direzione, illustrata in quest'aula dal presidente Giovanardi, che adesso vedo al banco delle Commissioni. Con riferimento a questa vicenda, che riguarda un altro ex collega, ho letto con attenzione il resoconto dei lavori della Giunta e ho verificato l'astensione del presidente della stessa Giunta, annunciata all'inizio e ribadita al termine del dibattito (devo dire che si è trattato di un dibattito un po' confuso sulle varie posizioni, ma si tratta di questioni delicate). Alla fine, salvo il collega dell'Italia dei Valori che mi ha preceduto, mi pare che tutti i gruppi dell'Unione abbiano poi deciso di astenersi, mentre quelli dell'opposizione di votare a favore di un parere all'Ufficio di Presidenza, finalizzato a proporre che la Camera si costituisca nel giudizio per il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale.
Nell'Ufficio di Presidenza - di cui faccio parte e al cui dibattito ho partecipato - ho sostenuto che, come ho già ribadito più volte in quest'aula, la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di insindacabilità, a partire dalle sentenze n. 10 e 11 del 2000 in poi, non prima, a mio e a nostro parere, sono state improntate a criteri troppo rigidi e restrittivi nella verifica della correttezza del fondamento del giudizio di insindacabilità espresso dalla Camera o dal Senato nei singoli casi. Al tempo stesso, ho riconosciuto l'esigenza, prospettata nell'altro dibattito dal presidente Giovanardi, che da parte delle Camere (in questo caso da parte della Camera dei deputati) ci sia un atteggiamento di responsabilità e, per così dire, di self-restraint nel dare noi stessi il giudizio sull'applicazione o meno dell'insindacabilità prevista dal comma 1 dell'articolo 68.
Personalmente, avendo letto tutto il materiale che ci è stato messo a disposizione, trovo una discrasia fra il momento in cui l'ex collega ha presentato un documento del sindacato ispettivo nella nota «vicenda di Cogne» in termini generali e la fase in cui successivamente, avendo assunto (ora non l'ha più) una funzione di difensore nella vicenda giudiziaria specifica, si è trovato a fare alcune denunce, che poi hanno provocato come reazione (non so il fondamento né delle denunce né della reazione: si tratta di un dato storico) la querela dell'ufficiale del RIS di Parma. Da quella querela nascono il giudizio di insindacabilità nella scorsa legislatura, il conflitto di attribuzione sollevato dal giudice per le indagini preliminari di Milano e la necessità di decidere al riguardo.
Credo sia difficile teorizzare che un avvocato difensore che rivesta anche lo status di parlamentare abbia una situazione diversa da un altro avvocato difensore che parlamentare non è. Sotto questo profilo, mi suscita grande perplessità la proposta della Giunta, espressa sia pure a risicata maggioranza e con un ingente numero di astensioni. Tuttavia, per rispetto a questo parere, così controverso e contrastato - a differenza della volta precedente, quando era unanime - ho dichiarato di astenermi nell'Ufficio di Presidenza, che poi, a maggioranza, ha deliberato di non accogliere il parere della Giunta e di proporre all'Assemblea di non costituirsi nel conflitto.
Per tutte queste ragioni, confermando le riserve sia sulla recente giurisprudenza della Corte costituzionale sia su questa vicenda specifica, nella quale lo status di parlamentare è una cosa ed il ruolo del Pag. 51difensore dovrebbe essere cosa ben diversa, confermo in quest'aula il voto di astensione già espresso nell'Ufficio di Presidenza della Camera.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, intervengo per sottolineare una perplessità che attiene al merito della questione oggetto di discussione e al rischio di creare un precedente. La perplessità di merito riguarda la valutazione dell'insindacabilità nell'espletamento della professione di avvocato, come è il caso dell'onorevole avvocato Taormina, che chiede l'insindacabilità in riferimento allo svolgimento di una funzione che non è quella di parlamentare, ma quella del suo mestiere di avvocato.
Nel contempo, sottolineo il pericolo di un precedente. Mi riferisco al fatto che l'Ufficio di Presidenza della Camera, del quale anche io sono parte, possa cambiare posizione a seconda della maggioranza politica che vi è nel suo ambito e di quella che c'è all'interno della Camera dei deputati. È un precedente molto delicato, nel senso che c'è già una soluzione a questo dilemma, che, in qualche misura, è stato adottata nella precedente legislatura, quando non ero deputato e benché meno facevo parte della Presidenza della Camera. Mi riferisco al fatto che, a seconda della maggioranza politica, si possa riconoscere o meno questa prerogativa. Mi chiedo, al di là del merito, su cui mantengo una mia personale perplessità, quale possa essere l'adozione di un criterio, a cui, obbiettivamente e non politicamente, tutti dovremmo essere tenuti ad attenerci. Ecco perché prevale in me questo pericolo di un precedente e ribadisco, come ho già fatto all'interno dell'Ufficio di Presidenza della Camera, la mia posizione contraria alla decisione, assunta a maggioranza, all'interno di questo organo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, non entro nel merito del voto che esprimerà Alleanza Nazionale e prendo la parola a titolo personale, non per dichiarare un voto diverso da quello dei miei colleghi, ma per sottolineare una procedura che ha dell'incredibile.

PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, le debbo dire per chiarezza che lei prende parola a nome del suo gruppo, in quanto, in questa fase, non sono previsti interventi a titolo personale.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, le ho precisato che svolgerò, anche a nome di Alleanza Nazionale, una critica sulle procedure e sui comportamenti, a prescindere dal voto che il mio gruppo esprimerà. Alleanza Nazionale ha già deciso come votare, altrimenti avremmo chiesto la parola per intervenire a favore o contro.
Devo ammettere che l'onorevole Boato, con il quale, di solito, mi trovo in forte contrasto, ha ricostruito con molta onestà intellettuale i due casi, quello di Taormina e quello dell'avvocato Delmastro Delle Vedove.
Onorevole Presidente, non è concepibile che il presidente della Giunta, onorevole Giovanardi, con riferimento a quel caso (sul quale era stata presentata un'interrogazione parlamentare) che riguardava la visita ad un detenuto in carcere e in ordine al quale vi era stato il voto della Giunta per le autorizzazioni, secondo la quale quell'atto rientrava nelle prerogative parlamentari, nonché un voto dell'Assemblea che a stragrande maggioranza lo faceva rientrare nell'ambito dell'articolo 68 della Costituzione, si sia battuto, come se si trattasse di una campagna personale, affinché la Camera non si costituisse in giudizio.
In quell'occasione, intervenni evidenziando il rischio che si entrasse in un tunnel nel quale la Camera potesse rimetterci in prestigio e in dignità. Queste questioni non si possono affrontare caso per caso, a seconda delle maggioranze che si determinano. Mi fa piacere per l'onorevole Pag. 52Taormina, ma va detto chiaramente che l'astensione di una parte e il voto di un'altra determinano una soluzione.
Voglio rendere partecipe l'Assemblea di quanto affermato dall'onorevole Giovanardi in sede di Giunta, in quanto chi riveste cariche istituzionali così delicate deve avere una omogeneità di comportamenti e non si può permettere di giudicare caso per caso, secondo convenienze politiche (e mi assumo la responsabilità di ciò che sto dicendo).
Il presidente Giovanardi dichiara di trovarsi nella situazione dell'asino di Buridano: da un lato, non dubita del discredito che la vicenda ha gettato sulla funzione parlamentare che è stata ritenuta collegata alle parole dell'onorevole Taormina; dall'altro, però - aggiunge Giovanardi - non può trascurare l'esistenza di un atto parlamentare tipico, l'interrogazione n. 3-00906 della XIV legislatura.
Onorevole Giovanardi, anche nel caso dell'onorevole Delmastro delle Vedove era stata presentata un'interrogazione parlamentare! Pertanto, non può giustificare la sua astensione sul caso Taormina utilizzando gli stessi strumenti e le stesse parole con le quali ha chiesto la non costituzione in giudizio per il caso del collega Delmastro delle Vedove.
Attenzione, perché stiamo giocando con un articolo che tutela la libertà del Parlamento! Attenzione, perché i parlamentari non possono essere giudicati caso per caso! La Camera - lo abbiamo ripetuto tante volte - deve rivedere, anche dal punto di vista regolamentare, il modo per affrontare questo problema. Infatti, da una parte, la Camera ricorre ad avvocati esterni, con un costo altissimo per la collettività, per costituirsi in giudizi che poi regolarmente perde e, dall'altra, dovendosi esprimere sulla sindacabilità o sull'insindacabilità, non è possibile che la stessa Assemblea smentisca un precedente voto parlamentare, in quanto ciò significherebbe delegittimare di fronte alle altre istituzioni la Camera dei deputati.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, ritengo che questo caso sia molto particolare e importante.
La Corte costituzionale, tempo fa, ha affermato che la determinazione dell'ambito dell'attività parlamentare costituisce una materia devoluta alla Camera. Pertanto, quando la Camera, attraverso un regolare iter, addiveniva alla determinazione dell'insindacabilità, la Corte costituzionale ne prendeva atto e uniformava le proprie opinioni.
Sono però intervenuti due fattori - diciamo così - terribili. Da una parte, il Parlamento è divenuto una sorta di corporazione, riconoscendo l'insindacabilità per qualsiasi comportamento, anche lontano dal concetto di attività parlamentare.
Dall'altra parte, la Corte costituzionale ha cambiato tendenza sostenendo che, poiché la Camera afferma trattarsi di attività parlamentare, ma la magistratura afferma il contrario, è il giudice del conflitto di attribuzione - cioè la stessa Corte - che deve decidere. Ciò poteva avere una certa logica, ma il tutto si è andato modificando nel tempo e, alla fine, siamo di fronte ad una situazione in cui la Corte costituzionale, a parere della stragrande maggioranza degli appartenenti della Giunta, si pronuncia in maniera del tutto difforme dal fatto logico e da quella che la Camera intende affermare come attività propria dei parlamentari.
Mi pare che la Giunta stia agendo in maniera assolutamente equilibrata, con uno scrupolo ed un'attenzione portati addirittura da Rifondazione Comunista, con una serietà anche di quel partito, che si è allontanato da giudizi politici per cercare di ottenere una soluzione giuridica al problema. La Giunta sta seguendo questa strada per risolvere le questioni che vanno via via proponendosi. In quest'ottica, ci troviamo di fronte ad una decisione: dobbiamo costituirci o meno in un processo davanti alla Consulta?
Dai deputati che hanno avvalorato l'ipotesi di non costituirsi in giudizio ho ascoltato una valutazione di merito: tutti hanno detto che questo caso non è degno di tutela perché i comportamenti appaiono Pag. 53chiaramente sindacabili. Credo che tale ragionamento sia totalmente sbagliato non nel merito, ma perché il merito non deve intervenire nel giudizio di oggi. La Camera dei deputati ha stabilito, a torto o a ragione, che quel comportamento era non sindacabile. Posso anche essere d'accordo sulla diversità dell'attività di avvocato da quella di parlamentare. Dirò di più: l'attività di avvocato è essa stessa tutelata da determinate norme di procedura. Però, tutto questo oggi non c'entra. Oggi dobbiamo decidere se la Camera debba tutelare o meno se stessa davanti alla Consulta. Mi pare di poco pregio l'idea di pensare ai costi di una difesa, anche perché la Camera potrebbe difendersi con gli avvocati interna corporis.
Per due motivi, quindi, voteremo contro la proposta dell'Ufficio di Presidenza della Camera e, quindi, in coerenza con la posizione della Giunta. Il primo motivo è immediato: non si può che comportarsi coerentemente dicendo che quanto la Camera ha giudicato insindacabile è evidentemente difendibile su questo piano e la Camera deve tutelarlo. Non far costituire la Camera in giudizio significa smentire il comportamento del deputato - il che sarebbe poco - ma soprattutto smentire il comportamento della Camera stessa.
La seconda e più importante ragione è data dal fatto che la Giunta sta seguendo un comportamento virtuoso e, dunque, credo che smentirla sarebbe inopportuno. Voteremo quindi in coerenza con le motivazioni fin qui esposte.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leone. Ne ha facoltà.

ANTONIO LEONE. Signor Presidente, intervengo brevemente per chiarire ai colleghi di cosa stiamo parlando. Ascoltando l'intervento del collega Palomba sembrerebbe che oggi siamo chiamati a decidere sull'insindacabilità relativa ad un collega, ma così non è. La Camera si è già espressa sull'episodio riguardante il collega Taormina nel senso di dichiararne l'insindacabilità. Nel momento in cui viene elevato un conflitto di attribuzione, è lapalissiano che la Camera debba costituirsi, non solo e soltanto perché crede nel fatto che al momento in cui è stata dichiarata l'insindacabilità si fosse nel giusto, ma anche per non smentirsi. Altrimenti, di cosa discuteremmo oggi in quest'aula se, avendo l'Assemblea adottato una delibera di insindacabilità delle opinioni espresse da un collega, ed essendosi quindi sollevato un conflitto di attribuzione, poi questa stessa Assemblea, invece, sancisse che la Camera non debba costituirsi a sostegno delle ragioni per cui essa ha concesso l'insindacabilità?
Mi sembra che gli interventi di qualche collega - mi riferisco principalmente all'onorevole Palomba - attengano al merito; ma noi oggi, invece, non stiamo valutando tale profilo, non dovendo votare sulla sindacabilità delle opinioni espresse nell'ambito di quella vicenda. La Camera, infatti, ha già deciso in merito; la Giunta stessa ha deciso, tra l'altro, anche se a maggioranza, di esprimere un orientamento favorevole alla costituzione della Camera stessa nel processo per conflitto di attribuzione. Ciò, anche perché si definiscono, nell'ambito di tale giudizio, le questioni attinenti alle prerogative ed ai principi che la Camera vuole mantenere attraverso l'applicazione dell'articolo 68 della Costituzione e che, all'esterno di questo «potere», si ritiene invece che non debbano essere riconosciuti. Deve essere mantenuto un equilibrio tra la decisione della Camera e la posizione con la quale la stessa, dinanzi al giudice terzo - la Corte costituzionale -, sostiene le motivazioni per cui ha deciso in tal senso; altrimenti, mi sembra che daremmo l'impressione, oggi, in questa Assemblea - non solo a questo Parlamento ma anche a quelli futuri dei prossimi dieci o venti anni -, di una sorta di resipiscenza, melius re perpensa, circa le prerogative che noi riteniamo debbano riconoscersi. Ciò, se appunto, avendo già deciso in un senso, la Camera poi, al contrario, dovesse deliberare di non costituirsi.
È per tale motivo che voglio anche chiarire al collega Buontempo che il gruppo di Forza Italia, non solo in questa Pag. 54occasione ma sempre, ha dato contezza di tali motivazioni ed è altresì per tale motivo che voteremo contro la decisione dell'Ufficio di Presidenza e conformemente all'orientamento emerso in sede di Giunta per le autorizzazioni a procedere.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. I colleghi sanno che la Giunta è composta da ventuno membri, di maggioranza e di opposizione; ritengo che, nell'interesse comune, siamo riusciti ad adottare un metodo di lavoro che ci ha portato finora a condividere le decisioni senza spaccature tra maggioranza ed opposizione. Gli argomenti di cui trattiamo in Giunta - la libertà personale dei colleghi in caso di richiesta di arresto, ovvero l'insindacabilità per le opinioni espresse - debbono infatti corrispondere non a logiche di schieramento ma a logiche di tutela dell'intero Parlamento, a prescindere dai ruoli pro tempore di opposizione e di maggioranza.
Do atto che in questo caso abbiamo registrato il dissenso, espresso con grande onestà intellettuale, dell'onorevole Palomba; non siamo quindi riusciti, come in precedenti casi, tra voti favorevoli ed astensioni, ad esprimere sostanzialmente una decisione unitaria. Vi è stato un dissenso che non si era registrato, per esempio, nella precedente decisione, poi avallata dall'Assemblea, di non sollevare un conflitto di attribuzione per un caso per il quale la Giunta aveva svolto un'approfondita disamina. Anche ora ci siamo trovati dinanzi ad un caso molto difficile e mi associo alle parole di solidarietà pronunciate dall'onorevole Palomba nei confronti delle Forze dell'ordine, dei carabinieri e in particolare di un colonnello dei carabinieri, insultato da un collega parlamentare che ha assunto la difesa di una parte del processo e, come difensore di una parte, attacca i carabinieri del RIS che hanno svolto una perizia. Dov'è l'imbarazzo, onorevole Palomba? È nel fatto che in questo caso specifico, a monte dell'assunzione della difesa da parte dell'onorevole e avvocato Taormina, è intervenuto un atto di sindacato ispettivo che sostanzialmente e specificamente riguardava proprio quel caso. Già si adombravano, infatti, nell'interpellanza parlamentare questioni riguardanti la genuinità delle prove e quanto gli inquirenti potevano avere o meno fatto nel momento delle indagini.
Dunque, ho evocato l'«asino di Buridano», onorevole Buontempo, perché mi trovo veramente imbarazzato nel dover difendere un collega che, facendo il parlamentare, difende una parte in un processo e poi accusa l'altra parte giustificandosi sostenendo di essere un parlamentare: non si possono sostenere troppe parti in commedia se si vuole essere credibili presso l'opinione pubblica.
Però c'è anche un principio di tutela di tutti i colleghi. Se contestiamo noi stessi davanti alla Corte costituzionale che un collega non è neppure coperto da un atto di sindacato ispettivo e, quindi, può essere incriminato e subire un procedimento civile o penale anche per cose che ha sostenuto in aula o in atti di sindacato ispettivo, scavalcheremmo la stessa Corte costituzionale, «cancellando» l'articolo 68 della Costituzione.
Ciò ci ha portato, in Giunta, ad assumere una posizione pressoché unitaria, tra voti favorevoli ed astensioni, con l'eccezione del collega Palomba. Quindi, anch'io mi associo alle valutazioni dei colleghi, dicendo che, in questo caso, ci sembra opportuno che il conflitto di attribuzione presso la Corte costituzionale venga sollevato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, torna all'esame dell'Assemblea, poche settimane dopo quello dell'onorevole Delmastro delle Vedove, un caso che coinvolge principi molto delicati e molto importanti e dispiace che la Camera esamini una questione di questa portata con tanta distrazione. La mia opinione su questo punto, che mi porta a votare contro l'opinione Pag. 55espressa a maggioranza dall'Ufficio di Presidenza, è che la Camera, come corpo, non possa dissociarsi dalle decisioni adottate dalla Camera stessa in un periodo precedente. Se i nostri colleghi della precedente legislatura, a torto o a ragione, hanno deciso a maggioranza per l'insindacabilità del comportamento dell'onorevole Delmastro delle Vedove o dell'onorevole Taormina, credo che a questa Camera non spetti altro che condurre il giudizio alle sue conseguenze, senza necessariamente valutare ex novo tale procedimento. Capisco che la Giunta o che l'Ufficio di Presidenza vogliano informare, da oggi in poi, le decisioni della Camera a qualcosa che vada incontro alla sensibilità pubblica o alle opinioni della Corte costituzionale, ossia che si dica che d'ora in poi solo le opinioni che fanno parte dell'attività parlamentare, espresse in Parlamento o fuori dallo stesso, ma testimoniate dall'attività parlamentare e non dall'attività professionale, possano avere la copertura che la Costituzione prevede, ma ciò può valere soltanto per ciò che decidiamo, per i casi che vengono portati alla nostra attenzione, a partire da oggi. Se ci mettiamo a riconsiderare ciò che i nostri predecessori hanno stabilito, sostanzialmente ci sottraiamo ad un principio di continuità che è il fondamento della vita delle istituzioni.
Per questo motivo, signor Presidente, senza entrare nel merito della questione, voterò contro la proposta dell'Ufficio di Presidenza, essendo a favore di ciò che, in questo caso giustamente, a differenza dell'altra volta, la Giunta propone.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Prego i colleghi di prestare attenzione, per evitare equivoci.
Porrò ora in votazione la proposta formulata dall'Ufficio di Presidenza, nel senso che la Camera dei deputati non si costituisca in giudizio nel conflitto di attribuzione in oggetto.
Faccio presente che qualora venga approvata la proposta dell'Ufficio di Presidenza, la Camera non si costituirà in giudizio nel conflitto di attribuzione in esame. Qualora, invece, l'Assemblea respingesse la proposta dell'Ufficio di Presidenza, la Camera procederà a costituirsi in giudizio nel medesimo conflitto di attribuzione.
Pongo in votazione per alzata di mano la proposta dell'Ufficio di Presidenza.
(È respinta).

La Camera ha pertanto deliberato nel senso della costituzione in giudizio (Applausi).

Sull'ordine dei lavori (ore 15,45).

EMANUELE FIANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire perché in queste ore, nella città di Teheran, in Iran, si sta svolgendo un convegno organizzato dal Governo dell'Iran stesso. Si tratta di un convegno di studiosi mirato a negare l'esistenza nella storia della Shoah.
Considerate le reazioni comuni a tutti gli schieramenti politici, ovviamente non solo del nostro paese, che hanno fortemente criticato e condannato lo svolgimento di questo convegno che cercherebbe, come purtroppo molte altre volte è successo, di negare un fatto così drammatico della storia europea del secolo scorso, e visto che il nostro Governo si è già pronunciato contro questo avvenimento, credo sarebbe cosa giusta - ovviamente non posso interpretare il pensiero di tutti i colleghi, anche se mi auguro di poterlo intuire - se il Presidente della Camera volesse far giungere un messaggio al Presidente del Parlamento iraniano (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)). Quel Parlamento, tra l'altro, registra anche la presenza di forze d'opposizione al leader Ahmadinejad, il primo attore di questo scandaloso fatto con il quale si vuole negare una parte così Pag. 56sostanziale non solo della storia del popolo ebraico, ovviamente, ma di questo continente e del nostro paese.
Nel messaggio il Parlamento italiano, all'unanimità, deve far sapere a quel Parlamento e a quei parlamentari che condanna il vergognoso convegno che si sta svolgendo in queste ore in quel paese (Applausi).

PRESIDENTE. Mi pare che la sua posizione interpreti un sentimento unanime dell'Assemblea; quindi riferirò al Presidente della Camera dei deputati la richiesta da lei avanzata.

GIORGIO LA MALFA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, lei può immaginare quali siano i miei sentimenti, poiché, al riguardo, vi è una lunga tradizione del partito repubblicano. In ogni caso, credo che il Presidente della Camera non possa esprimere, a nome della stessa, alcun sentimento se non attraverso un voto dell'Assemblea.
Attraverso un voto, infatti, si chiarisce quanta ipocrisia vi può essere in quei banchi, dietro i quali in questo momento si difende una causa che è stata attaccata bruciando i fantocci dei soldati italiani (Commenti dei deputati dei gruppi L'Ulivo, Rifondazione Comunista - Sinistra Europea e Comunisti Italiani)...

SALVATORE IACOMINO. Ma stai zitto!

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, lei sa molto bene che per far pronunciare l'Assemblea attraverso un voto i parlamentari hanno a disposizione gli strumenti adeguati.

Inversione dell'ordine del giorno.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, tra poco dovremo procedere alla trattazione del punto 8 dell\`ordine del giorno, cioè esaminare il testo unificato delle proposte di legge recanti l'istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
La Commissione affari costituzionali chiede all'unanimità di anticipare la trattazione di questo punto all'ordine del giorno, al fine di deliberare il rinvio del provvedimento in Commissione, poiché vorremmo affrontare il tema sotto il profilo della garanzia dei diritti umani.
L'ONU ha emesso nel 1993, se non ricordo male, una direttiva nella quale gli Stati membri vengono invitati ad istituire un garante dei diritti umani. L'Italia è tra i pochi paesi a non averlo fatto e a maggio l'ONU deciderà di istituire un council, cioè un nuovo gruppo, per affrontare questi problemi. Il nostro paese chiede di far parte di questo gruppo, perché al momento fa parte anche del Consiglio di sicurezza, ma non sarebbe legittimata ad una tale richiesta se non vi fosse un garante nazionale dei diritti umani.
Per questo motivo chiediamo all'unanimità che il provvedimento venga rinviato in Commissione e che la stessa valuti la sua istruzione per istituire il Garante dei diritti umani. In questo modo, si potrebbe arrivare ad un'approvazione che agevoli l'iter che l'Italia sta seguendo per far parte di questo importante organismo dell'ONU.
Questo è il motivo per il quale mi permetto di chiedere all'Assemblea un'inversione dell'ordine del giorno al fine di deliberare il rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge n. 626 ed abbinate.

PRESIDENTE. Sulla richiesta di inversione dell'ordine del giorno, avanzata dall'onorevole Violante, nel senso di procedere immediatamente alla trattazione del punto 8, recante il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge in materia di istituzione del Garante Pag. 57dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ai sensi dell'articolo 41 del regolamento, darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore che ne facciano richiesta, per cinque minuti, sempre che non vi sia un'intesa - come mi pare di cogliere - abbastanza generale.
Nessuno chiedendo di parlare, e non essendovi obiezioni, può rimanere stabilita l'inversione dell'ordine del giorno proposta dall'onorevole Violante.

Rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge: Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (A.C. 626-1090-1441) (ore 15,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge di iniziativa dei deputati Mazzoni; Mascia ed altri; Boato: Istituzione del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta odierna si è svolta la discussione sulle linee generali.
Ha chiesto di parlare il presidente della I Commissione, onorevole Violante. Ne ha facoltà.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, intervengo per ragioni procedurali. Propongo all'Assemblea di votare il rinvio in Commissione del testo unificato in esame per le motivazioni precedentemente espresse. La Commissione terminerà rapidamente l'esame, in modo che a gennaio l'Assemblea possa di nuovo riprendere la discussione del provvedimento.

PRESIDENTE. Sulla proposta di rinvio del testo unificato in Commissione, formulata dal presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Violante, ai sensi degli articoli 41 e 45 del regolamento, darò la parola ad un oratore a favore e ad uno contro che ne facciano richiesta.
Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, prendo la parola a favore del rinvio in Commissione. Mi sembra assolutamente opportuno che il provvedimento venga rimesso all'esame della Commissione, anche visti i tempi relativamente affrettati con cui esso era stato licenziato. Inoltre, in tal modo si permette di ampliare l'orizzonte ed esaminare l'opportunità e i modi in cui il testo possa tradursi nell'istituzione di un organismo contenente un più ampio spettro di tematiche ed interessi e conforme all'appello internazionale da noi ricevuto.
Effettivamente abbiamo manifestato un consenso di tipo procedurale al rinvio in Commissione. Tuttavia, desidero precisare che questo non ipoteca in alcun modo il giudizio sul merito dell'atto, sia sotto il profilo dell'istituzione della Commissione per la garanzia sui diritti umani, prevista all'interno della nuova proposta, sia sotto il profilo del sommario esame del testo sottopostoci a titolo di ipotesi. Infatti, vi è il riciclaggio del testo relativo all'istituzione del Garante per i diritti dei detenuti che non ha incontrato il favore delle forze di opposizione. Quindi, non va fatta alcuna ipoteca sul contenuto, mentre va ricercato un accordo sui tempi, sulle modalità e sulle procedure con cui riprendere in esame l'argomento. Infatti, esso è di tale dignità e di tale importanza riguardo alla tematica dei diritti umani che non vorremmo si riducesse a strumento di riciclaggio del provvedimento relativo all'ipotizzato Garante sui detenuti.
Ho preso quindi la parola a favore, anche se con questa precisazione e questa riserva relative al contenuto dell'atto stesso.

PRESIDENTE. Prendo atto che nessun deputato chiede di parlare contro.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione la proposta formulata dal presidente Violante di rinvio in Commissione del testo unificato delle proposte di legge n. 626 ed abbinate.
(È approvata).

Pag. 58

Seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057, Maroni ed altri n. 1-00059 e Sereni ed altri n. 1-00063 sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Volontè ed altri n. 1-00052, D'Elia ed altri n. 1-00053, Bonelli ed altri n. 1-00054, Venier ed altri n. 1-00057, Maroni ed altri n. 1-00059 e Sereni ed altri n. 1-00063 (nuova formulazione) sulle iniziative volte a sostenere il rispetto dei diritti umani in Cina (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 27 novembre 2006 si è svolta la discussione sulle linee generali ed è intervenuto il rappresentante del Governo.
Avverto che è stata presentata un'ulteriore riformulazione della mozione Sereni ed altri n. 1-00063 (Nuova formulazione) e che è stata ritirata la mozione Bonelli ed altri n. 1-00054.
Avverto, altresì, che è stata presentata la risoluzione Mellano e Capezzone n. 6-00009 (Vedi l'allegato A - Risoluzione sezione 2).

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulle mozioni all'ordine del giorno e sulla risoluzione presentata.

PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Sulla mozione Rampelli ed altri n. 1-00026 il Governo esprime parere favorevole solo se si accetta la seguente riformulazione della parte dispositiva: «a procedere insieme a partners europei alla revoca dell'embargo, solo qualora si verifichino le condizioni stabilite dal Consiglio europeo del dicembre 2004».
Per quanto riguarda la mozione Pedrizzi ed altri n. 1-00027, il parere del Governo è contrario, pur comprendendo le motivazioni che sono alla base di alcuni punti sollevati. Tuttavia, la formulazione del dispositivo ne rende impossibile l'accettazione da parte del Governo.
Sulla mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033 il Governo esprime parere favorevole solo relativamente ad alcune parti. In particolare, il primo capoverso del dispositivo è accettato se così riformulato: «a procedere insieme a partners europei alla revoca dell'embargo solo qualora si realizzino le condizioni stabilite dal Consiglio europeo del dicembre 2004. Per quanto riguarda il secondo capoverso del dispositivo, il Governo esprime parere favorevole a condizione che sia riformulato nei seguenti termini: "a promuovere, nell'ambito degli scambi culturali e scientifici con la Repubblica popolare cinese, specifici programmi di formazione e informazione sui temi del diritto internazionale e in materia di diritti umani". Per meglio specificare il parere, verrebbe meno l'ultima parte del capoverso in oggetto, che impegna il Governo a sostenere le attività delle organizzazioni, che nella Repubblica popolare cinese perseguono questi obiettivi. Secondo il Governo, infatti, si tratta di una formulazione troppo generica che potrebbe ingenerare equivoci.

PRESIDENTE. Onorevole Sentinelli, la lascio concludere ma vorrei sapere qual è il parere del Governo sulla premessa.

PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Il parere del Governo è favorevole e per tale motivo mi sono soffermata sulle parti del dispositivo della mozione.
Inoltre, il Governo esprime parere favorevole sul terzo ed il quarto capoverso del dispositivo della mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033.
Per quanto riguarda la mozione Volontè n. 1-00052 sulla libertà religiosa e Pag. 59sull'embargo alla Cina relativo alla vendita di armi, il Governo si esprime con riferimento ai capoversi relativi alla parte dispositiva nel seguente modo: parere favorevole sul primo capoverso, contrario sul secondo ed il terzo capoverso. In considerazione di questo, sulla parte motiva il Governo esprime parere favorevole.
Il Governo esprime inoltre parere favorevole sulle mozioni D'Elia ed altri n. 1-00053 e Venier ed altri n. 1-00057 e contrario sulla mozione Maroni n. 1-00059.
Sulla mozione Sereni ed altri n. 1-00063 (Ulteriore nuova formulazione) il Governo esprime parere favorevole sia sul dispositivo, sia sulla parte motiva.
Il parere del Governo sulla risoluzione Mellano e Capezzone n. 6-00009 è contrario. Comprendiamo lo spirito che ha indotto alla stesura della risoluzione e, in particolare, il richiamo all'esigenza che la revoca dell'embargo sia subordinata alla realizzazione delle condizioni stabilite dal Consiglio europeo nel dicembre 2004. Tuttavia, anche alla luce delle conclusioni del recente Consiglio affari generali e relazioni esterne dell'11 dicembre 2006, la formulazione non risulta accettabile.

FEDERICO BRICOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, non abbiamo compreso chiaramente quale sia il parere relativo alla mozione Maroni n. 1-00059.

PRESIDENTE. Onorevole Bricolo, il Governo ha espresso parere contrario.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Al riguardo, vorrei ricordare a tutti colleghi che dovranno tenere conto dei tempi residui, perché la discussione ha già assorbito gran parte del tempo a disposizione.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani, che dispone di sette minuti di tempo. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, credo che la Repubblica popolare cinese costituisca una delle grandi contraddizioni del nostro tempo proprio perché, contrariamente a quanto avvenuto negli altri paesi comunisti dell'Europa centro-orientale, caratterizzati da un rigido rispetto dell'ideologia comunista e collettivista, non ha fatto seguire, alla fine della guerra fredda, una diversa impostazione degli ordinamenti per tornare a sistemi di libertà e di democrazia. Ha seguito, invece, un processo molto diverso. Infatti, già prima della caduta dei regimi comunisti europei, la Repubblica popolare cinese ha avviato un vasto processo di liberalizzazione economica e di promozione dell'iniziativa privata, una forte inversione di rotta, quindi, rispetto all'immediato dopoguerra e alla fase della rivoluzione culturale degli anni Sessanta e Settanta. Tale processo di liberalizzazione e di riscoperta dei valori del capitalismo ha consentito una fortissima crescita ed un incremento molto significativo della competitività, sul piano economico, di questo grande Stato, di questo gigante demografico.
Tuttavia, ad esso non ha fatto seguito alcuna liberalizzazione di tipo politico. Anzi, paradossalmente, si è inasprita la difesa ostinata e la rigida conservazione dei sistemi oppressivi e repressivi e la resistenza a qualsiasi forma di innovazione politica, nel senso del pluralismo. Conosciamo i fenomeni, che sono stati ampiamente illustrati nelle premesse di tutte le mozioni presentate: la diffusa intolleranza religiosa, la repressione delle istanze sociali provenienti dalle comunità locali e dai territori di provincia, l'ostilità verso le minoranze etniche manifestatasi, tra l'altro, con il genocidio culturale compiuto nel Tibet, la resistenza ad ogni forma di riconoscimento di diversità etnica e culturale dei gruppi minoritari, l'inspiegabile repressione del Falun Gong che, al tempo stesso, è uno sport e una filosofia, la conservazione di atteggiamenti Pag. 60minacciosi nei confronti della Repubblica nazionale cinese di Taiwan e la conservazione della pena di morte, anche per reati non di sangue, applicata in modo molto diffuso, dato che la gran parte delle pene capitali eseguite nel mondo avvengono in Cina.
Aggiungo, inoltre, il generale atteggiamento di resistenza e di contrasto ad ogni forma di deroga, un'omologazione culturale che si vuole ancora conservare, nonostante il cambiamento di regime economico, nonché la repressione di ogni forma di dissenso, che ha avuto il momento emblematico, che maggiormente ha commosso l'opinione pubblica internazionale, nelle vicende della piazza Tienanmen del 1989.
Da allora, la situazione politica non ci appare particolarmente cambiata; alla luce delle dimensioni di influenza internazionale raggiunte oggi da questo gigante politico (e mi riferisco anche agli aspetti di carattere demografico e militare e al fatto che si tratta di un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nonché dell'Organizzazione mondiale del commercio), leader ormai sul piano commerciale per tanti paesi africani dove ha rilevanti attività economiche ed infrastrutturali, largamente condizionante i mercati mondiali, un paese di siffatte dimensioni e di siffatta influenza non può restare insensibile al tema dei diritti umani e della libertà politica e religiosa.
Per questo motivo, la comunità internazionale deve intensificare la sua pressione in tal senso e queste mozioni possono concorrere in questa direzione.
Ritengo si debba rimanere fermi di fronte all'embargo internazionale sul commercio di armi (mi dichiaro contrario a certe mozioni possibiliste), perché questa misura costituisce uno dei più efficaci strumenti di pressione nei confronti di un cambiamento. Non basta accettarlo, condizionandolo a successive eventuali verifiche di innovazioni e passi in avanti sul fronte dei diritti umani e della libertà religiosa.
Permanendo questa situazione, deve essere mantenuto fermo l'embargo e per tale motivo dichiaro il mio voto favorevole sulla mozione Volontè ed altri n. 1-00052, impostata in questi termini, nonché sulle altre mozioni che seguono questo tipo di orientamento. Sono contrario a quelle più possibiliste, che sembrano ipotizzare l'accettazione dell'embargo immediato, così come sembra orientato nelle sue prese di posizione pubbliche il nostro Governo, per poi procedere ad eventuali verifiche dei progressi in questo senso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole D'Elia. Ne ha facoltà.

SERGIO D'ELIA. Signor Presidente, preannunzio il voto favorevole del gruppo della Rosa nel Pugno sulla mozione n. 1-00053 di cui sono primo firmatario, nonché sulla mozione Sereni ed altri n. 1-00063 (Ulteriore nuova formulazione).
Sono già intervenuto nella discussione sulle linee generali delle mozioni e pertanto non citerò il lungo elenco delle gravi violazioni dei diritti umani che sono sotto gli occhi di tutti ed oggetto oramai non più solo delle denunce delle organizzazioni non governative, ma anche di prese di posizione e risoluzioni delle organizzazioni internazionali, dalle Nazione Unite all'Unione europea.
Richiamo solo due casi: il primo è il caso del Falun Gong, movimento spirituale e assolutamente pacifico messo fuori legge e perseguitato dalle autorità cinesi in modo spietato. Secondo un rapporto del luglio 2006, risultato di un'indagine indipendente condotta dall'avvocato canadese David Matas e dall'ex parlamentare canadese David Kilgour, da alcuni anni è stata attuata una raccolta su larga scala di organi a praticanti del Falun Gong e questa pratica criminale continua tutt'oggi.
Non vi sono dubbi sugli espianti di organi a condannati a morte che avvengono nelle carceri cinesi. Questa notizia è stata confermata più volte, di recente anche dallo stesso viceministro cinese della sanità, intervenendo in un convegno internazionale di medici.
Il caso del Tibet è molto più noto, ma anche molto più grave. Si tratta di un vero Pag. 61e proprio genocidio culturale in atto da quasi mezzo secolo, con la campagna forzosa condotta dalle autorità cinesi di sinizzazione della regione del Tibet che ha provocato la distruzione del patrimonio culturale, religioso e artistico di una delle più antiche civiltà dell'Asia.
In passato, colleghe e colleghi, si è scelto di lasciar perdere e di essere compiacenti con la dittatura cinese, nella speranza di concludere subito buoni affari, anziché decidere di investire, nel medio periodo, in una maggiore libertà per i cinesi, nonché in una maggiore credibilità del nostro paese e dell'Unione europea sul piano delle relazioni internazionali.
Occorre cambiare registro, e vorrei osservare che la recente visita di Stato in Cina del Presidente del Consiglio Prodi e del ministro Bonino ha segnato una svolta sicuramente piccola, ma comunque significativa rispetto alle precedenti visite ufficiali, caratterizzate da un silenzio assoluto e «tombale» sulla questione dei diritti umani.
Ricordo che nella recente visita del Governo italiano, infatti, sono state sollevate le questioni della pena di morte (essendo stata chiesta una moratoria delle esecuzioni capitali), della libertà religiosa, della libertà nel sistema dell'informazione (in particolare, in Internet) e dei diritti sindacali dei lavoratori cinesi.
Desidero intervenire in maniera particolare su un aspetto, relativo anche al dispositivo della mozione da me presentata: mi riferisco alla questione dell'embargo. Mi rivolgo anche ai colleghi dell'opposizione che hanno presentato documenti di indirizzo nei cui dispositivi è affrontato tale punto.
Sulla questione dell'embargo sul commercio delle armi con la Cina, la posizione del Presidente del Consiglio Prodi non rompe con il passato, ma si colloca in piena continuità con quella assunta dal Governo Berlusconi, il quale, durante il semestre del 2003 in cui ha guidato l'Unione europea, si è adoperato molto per rimuovere tale embargo nei confronti della Repubblica popolare cinese, che considerava - cito testualmente - «anacronistico».
L'orientamento assunto dal Presidente Prodi risulta, altresì, essere in piena continuità con la posizione favorevole alla revoca dell'embargo sostenuta, durante la sua visita di Stato in Cina nel dicembre 2004, dal presidente Fini.
So che, rispetto a tali posizioni, esistono opinioni diverse anche all'interno degli stessi gruppi di opposizione. Ricordo, ad esempio, gli orientamenti manifestati da alcuni colleghi di Alleanza Nazionale...

PRESIDENTE. La invito a concludere...!

SERGIO D'ELIA. ...e, soprattutto, da Azione giovani (l'organizzazione giovanile di AN), i quali hanno contestato la presa di posizione del presidente del loro partito.
Mi rendo conto che un «no» assoluto e di principio alla revoca dell'embargo possa farci sentire a posto con la nostra coscienza; tuttavia temo che ciò non ci consentirebbe nemmeno di compiere un tentativo per ottenere quei cambiamenti, quei piccoli progressi e quelle piccole riforme...

PRESIDENTE. Deve concludere...!

SERGIO D'ELIA. ...che in Cina si rendono necessari.
Al contrario, la mozione di cui sono primo firmatario ( che ricordo essere stata sottoscritta anche da esponenti di altri gruppi parlamentari, e non solo della maggioranza) lega una eventuale - ribadisco: «eventuale» - revoca dell'embargo sul commercio di armi con la Cina a progressi verificabili e tangibili (e mi avvio alla conclusione, Presidente) nel campo...

PRESIDENTE. No: deve proprio concludere, onorevole!

SERGIO D'ELIA. ...dei diritti umani, delle riforme democratiche e delle relazioni pacifiche con i propri vicini.Pag. 62
Proponiamo tale approccio per favorire l'avvio di un processo positivo ed un'evoluzione nella giusta direzione, per non limitarci a contemplare il disastro cinese ed un po' anche per non autocontemplare la propria posizione di principio...

PRESIDENTE. Grazie...!

SERGIO D'ELIA. ...«dura e pura», ma che rischia, questa sì...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Elia!

SERGIO D'ELIA. ...di essere per davvero anacronistica (Applausi dei deputati del gruppo La Rosa nel Pugno)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rampelli, al quale ricordo che ha cinque minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lasciatemi dire sinceramente che, da quando è iniziata la discussione delle mozioni in oggetto, ci aspettavamo, prima di giungere alle dichiarazioni di voto, un atteggiamento completamente diverso da parte della maggioranza.
Stiamo discutendo, infatti, non di «lana caprina», ma proprio della riproposizione, sotto forma di mozioni, di una precisa ed esplicita volontà, sancita dal Parlamento europeo con una votazione quasi «bulgara», perché si era registrato un piccolo numero di parlamentari astenuti ed un numero ridottissimo di voti contrari.
Ricordo che la risoluzione approvata dal Parlamento di Strasburgo, rispetto al mantenimento dell'embargo sul commercio delle armi con la Cina, era prescrittiva e perentoria.
Vorrei segnalare che si tratta non di un embargo sic et simpliciter (poiché non parliamo di un embargo commerciale), ma proprio di un embargo sulla vendita e sul transito di armi verso la Cina. Si tratta di un paese comunista e, soprattutto, di uno Stato che ha un regime dittatoriale. In Cina, infatti, vi è un vero e proprio totalitarismo, che nega le libertà fondamentali e che, come abbiamo ascoltato affermare da numerosi colleghi nel corso del dibattito che si è svolto, applica la pena capitale in misura davvero preoccupante!
Ogni paragone, quindi, con gli Stati Uniti d'America è valido dal punto di vista dei principi. Infatti - a nostro giudizio - è condannabile anche la pena capitale che viene applicata negli Stati Uniti d'America anche se, comunque, la situazione americana non è minimamente paragonabile alla mole di omicidi, talvolta con autentici processi sommari, che si consumano in Cina; un paese dove - come sappiamo bene - esiste la tortura e non ci sono diritti civili e politici tanto che potremmo tranquillamente paragonarlo alle dittature militari della peggiore specie che andavano tanto di moda fino a qualche decennio fa in America latina.
Se oggi in Parlamento si fosse discusso sul mantenimento dell'embargo sul commercio e il transito di armi verso una dittatura militare, probabilmente avremmo dato davvero in escandescenze; il Parlamento si sarebbe indignato se qualcuno avesse voluto difendere la posizione di chi vorrebbe proseguire nel vendere armi a terribili, ciniche e inaccettabili dittature militari. Oggi, invece, va per la maggiore la pratica dei distinguo e le versioni, compresa la riformulazione della mozione da parte della maggioranza di centrosinistra, sono così edulcorate che, a mio giudizio, sono inaccettabili. Anche questa è la ragione per la quale, signor Presidente, onorevoli colleghi, ritengo di dover respingere al mittente la riformulazione del dispositivo della mozione di cui sono primo firmatario e di riproporlo nella sua versione originale. Il mio gruppo, quindi, voterà a favore delle mozioni del centrodestra respingendo le riformulazioni proposte da parte del centrosinistra per le ragioni espresse.
Signor Presidente, mi permetta un'ultima battuta indirizzata verso coloro che hanno polemizzato con il centrodestra in virtù del viaggio che fu fatto dal Governo precedente - due anni fa per l'esattezza -, Pag. 63in quanto in quella circostanza la posizione assunta fu assolutamente in sintonia con quella attuale del Parlamento europeo; quindi bisogna prescrivere l'atteggiamento e dire che l'embargo viene mantenuto, a meno che la Cina non sia concreta nel dimostrare di voler imboccare, una volta per tutte, la strada della democrazia, del riconoscimento dei diritti civili e della moratoria sulle pene capitali e, quindi, la strada della democrazia planetaria.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Affronti. Ne ha facoltà.

PAOLO AFFRONTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Cina sta mutando i meccanismi dell'economia mondiale ed i rapporti di forza internazionali, imponendosi per effetto di uno sviluppo economico e di un cambiamento sociale sempre più dirompente. È un paese in comunicazione con tutto il mondo, ha relazioni intense, non solo commerciali, con l'intero pianeta anche attraverso i vari mezzi di informazione e di comunicazione, nonostante la censura sia ancora ben presente in questa nazione.
Questa apertura sta creando forti cambiamenti al suo interno in quanto sta facendo crescere la consapevolezza dei diritti della persona sia come singolo sia come membro della comunità di appartenenza; restano, però, ancora aperte questioni particolarmente preoccupanti, riguardanti il rispetto dei diritti umani, il frequente ricorso alla pena di morte, alla tortura e alle drammatiche restrizioni alla libertà di religione, di associazione e di espressione.
Ci sono stati, però, dei progressi molto importanti in questi ultimi anni. Un segnale positivo è rappresentato dal fatto che alcuni provvedimenti di rilievo sono all'esame delle autorità cinesi. Vorrei ricordare a questo proposito la ratifica del patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché la decisione di riattribuire alla sole Corte suprema del popolo il potere di ratifica delle condanne capitali.
Un altro tema sul quale la comunità internazionale deve chiedere un concreto impegno è quello di una accelerazione nella approvazione della legislazione in materia di salvaguardia dell'ambiente e di rispetto dei diritti dei lavoratori. Mi sembra che in questo senso, specie per quanto riguarda l'ambiente, qualcosa si stia muovendo in maniera concreta.
In questa fase di crescita economica, infatti, chi si lancia in una operazione imprenditoriale non ha obblighi precisi per rispettare l'ambiente, i diritti umani, le libertà sindacali, i minimi salariali e le norme di sicurezza, e ciò procura sempre più frequenti incidenti in fabbriche e miniere. Anche la situazione della salute è lontana dagli standard internazionali: il cinese medio ha scarsi diritti all'assistenza sanitaria. Sembra un paradosso: si è passati da uno Stato iper-presente, che garantiva i servizi sociali, ad un sistema privatizzato che impedisce ai cinesi poveri di andare in ospedale a curarsi.
Un'altra questione scottante è quella delle libertà di espressione dei media; è un problema da affrontare anche nella prospettiva delle prossime olimpiadi del 2008, che si terranno in Cina, per tutelare i giornalisti che saranno chiamati a seguire questi avvenimenti, anche se è vero che la Cina ha già dato assicurazioni in tal senso.
Un'altra grave limitazione della libertà riguarda Internet. Non solo c'è mancanza di libertà di espressione e di informazione, ma anche non riservatezza dell'identità dei navigatori, che quindi non possono liberamente esprimere le proprie idee. Su questo aspetto, però, anche le aziende ed i motori di ricerca occidentali, che adattano i loro prodotti a disposizioni restrittive della libertà, fanno la loro parte.
Non possiamo inoltre dimenticare un altro gravissimo problema sollevato anche quest'anno da Amnesty International, cioè la condizione della donna in Cina, che è assolutamente impari, discriminata, anche per effetto della pianificazione delle nascite, nel tentativo di applicare una rigida politica di pianificazione familiare. È quindi necessario che anche la questione dei diritti violati delle donne rientri nella richiesta di un sostanziale miglioramento dei diritti umani in Cina.Pag. 64
Questi che sono stati sollevati sono alcuni dei problemi più significativi che la Cina dovrebbe affrontare con lo stesso dinamismo che si riscontra nel tumultuoso evolversi dell'economia cinese.
Proprio per questo, un rapido avanzamento del rispetto dei diritti umani è stato richiesto dall'Unione europea nel summit di Helsinki, ponendo ciò come condizione per superare l'embargo. Lascia in ogni caso ben sperare il ruolo che la Cina sta esercitando contro la proliferazione delle armi nucleari (emblematica la vicenda della Corea del nord).
Riteniamo che si debba lavorare affinché il dialogo di Pechino sui diritti umani con l'Europa e con l'Italia continui e si intensifichi, non solo attraverso i rapporti economici e commerciali, ma anche attraverso più frequenti rapporti culturali e politici.
Vorrei concludere dicendo che voteremo a favore della mozione Sereni n 1-00063, così come ulteriormente riformulata, per tutte le ragioni che abbiamo elencato.
Il Governo italiano deve essere impegnato a produrre tutti gli sforzi possibili con le autorità cinesi affinché il rispetto dei diritti umani, della democrazia e delle libertà si adegui agli standard internazionali nella maniera più rapida possibile.
Questo è il nostro auspicio (Applausi dei deputati del gruppo Popolari-Udeur).

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e gli insegnanti del liceo classico Signorelli di Cortona e della scuola media Mozzillo Iaccarino di Manfredonia, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pedrizzi. Ne ha facoltà.

RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, per la verità, nel corso della discussione sulle linee generali delle mozioni, avevamo anche apprezzato l'auspicio del sottosegretario Crucianelli, il quale intendeva ricercare una posizione condivisa dalla maggioranza e dall'opposizione. Dobbiamo rilevare, tuttavia, che il Governo non ha compiuto alcuno sforzo per tentare di raggiungere la predetta condivisione di intenti.
Comprendiamo l'atteggiamento di questo Governo, che si è attestato su un dispositivo delle mozioni di basso profilo e veramente poco impegnativo. Del resto, in politica estera, il Governo di Romano Prodi segue una deriva mercantilista e neutralista. Non lo dico io, ma Matteo Mecacci della Rosa nel Pugno, partito che sostiene il Governo, il quale ha rilevato come appaia in modo ancora più chiaro - e più inquietante, aggiungiamo noi -, a seguito della visita in Cina, quali siano i tratti essenziali che caratterizzano e sembrano destinati a caratterizzare sempre più, anche in futuro, la politica estera del Governo Prodi, a partire dal dato imprescindibile della marginalizzazione totale di qualsivoglia promozione della democrazia e dei diritti umani, a favore, invece, di una politica estera di stampo mercantilista e tesa alla ricerca del consenso internazionale, soprattutto attraverso compromessi continui con dittature che utilizzano il ricatto, la violenza, le minacce o le loro risorse economiche e naturali come armi per il negoziato politico e per fare affari.
L'impressione che si ha, onorevoli colleghi, è che questo Esecutivo viva sempre più il tema della promozione delle democrazie e della difesa dei diritti umani, primo fra tutti quello alla libertà religiosa, come un elemento di disturbo rispetto alle cosiddette vere questioni che occupano l'agenda internazionale.
Prodi sembra aver dimenticato del tutto l'importanza e la centralità che hanno assunto nella politica internazionale i diritti umani e la promozione della democrazia nel corso degli ultimi decenni! Ed anche il ministro Bonino, un tempo sostenitrice dei diritti umani, civili e religiosi, ha sostenuto la tesi dei due tempi, secondo la quale dopo lo sviluppo economico verrà anche, forse, la tutela dei diritti. Secondo noi, invece, il dovere di un grande paese qual è il nostro è quello di occuparsi dell'attuale condizione delle persone, non di come potrebbero stare tra cinquanta o cento anni. La democrazia, Pag. 65onorevoli colleghi, non si impone, non si esporta, ma si sostiene, soprattutto sostenendo coloro che la chiedono ed innanzitutto all'interno dei singoli paesi.
Alla vigilia del suo viaggio in Cina, il Premier Romano Prodi aveva ribadito senza difficoltà che quello dei diritti umani sarebbe stato uno dei temi in discussione. Eppure, mentre faceva quel viaggio, mentre lo proseguiva, tra un brindisi ed una stretta di mano, dalla Cina arrivava la notizia dell'ennesimo arresto di un vescovo cattolico per motivi religiosi. Quindi, il Governo aveva la possibilità, in quell'occasione, di far valere la sua posizione sui diritti umani.
Per tutti questi motivi, il gruppo di Alleanza Nazionale, ed il sottoscritto, voteranno a favore delle mozioni Volontè ed altri n. 1-00052, Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, Rampelli ed altri n. 1-00026, Pedrizzi ed altri n. 1-00027 e voteranno contro tutte le altre, che rappresentano un compromesso nei confronti di un paese che vede ancora la dittatura, l'uccisione di vittime innocenti ed il completo annichilimento della libertà religiosa e civile del suo popolo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.

IACOPO VENIER. Signor Presidente, colleghi, i diritti umani sono qualcosa di molto delicato: non permettono strumentalizzazioni; non permettono di essere trattati come un elastico, che si tira quando fa comodo e si molla quando non si vuole vedere.
Per tali motivi, il gruppo dei Comunisti Italiani ha presentato una propria mozione, a seguito della presentazione di una pretestuosa mozione della destra, sul tema delicato dei diritti umani in Cina, che è stato strumentalizzato ed utilizzato anche paradossalmente contro se stessi. L'ha già detto il collega D'Elia sulla questione dell'embargo: per primo è stato il Presidente del Consiglio Berlusconi a chiederne la revoca ed oggi, come paradosso, tutte le mozioni della destra «urlano» la necessità di non interrompere l'embargo sulla vendita delle armi alla Cina. Signor Presidente, sussiste una questione più di fondo rispetto alle mozioni. Nelle premesse e nei dispositivi delle mozioni c'è un giudizio sull'esperienza cinese: in gran parte è un giudizio liquidatorio, semplificato, che non fa i conti con la realtà di questo pianeta e con la condizione di quel grande paese che è la Cina.
Il nostro è un giudizio interlocutorio, sul processo, che vuole aiutare quel processo a dare stabilità, diritti e futuro a 1 miliardo 300 milioni di persone che stanno uscendo dalla povertà, dalla miseria e dalla fame, anche grazie all'avvio di un percorso di riforme economiche e sociali, rispetto alle quali bisogna premere perché più veloce e rapido sia il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche. In primo luogo, serve il rispetto del diritto di ciascun popolo di definire autonomamente il proprio modello sociale e politico, anche quando questo modifica le compatibilità determinate dalla globalizzazione economica internazionale. Ecco perché abbiamo presentato una mozione che ripercorre la storia cinese e che, per esempio, problematizza la questione della costituzione dello Stato di diritto. In Cina sinora non c'è mai stata l'affermazione dell'idea del primato della legge, eppure oggi in quel paese di questo si discute (ci sono convegni, studi e iniziative legislative) e su questo terreno dovremmo agire per rafforzare la costruzione di un vero Stato di diritto. Noi lo facciamo sulla base di un impianto che tende a non usare un doppio standard nella denuncia della violazione dei diritti umani, che certo si registra in Cina ed è drammatica per alcuni aspetti, ma che allo stesso modo non può essere negata in altri punti del mondo.
Vorremmo che i colleghi non usassero un doppio standard, ad esempio, sulla questione della pena di morte, elargita negli Stati Uniti con la stessa dimensione sostanziale con cui la si utilizza in Cina: sono due drammi, due violazioni altrettanto gravi. Per tale motivo, riteniamo che l'azione del Governo non debba avere una presunzione di superiorità nel momento in Pag. 66cui dialoga e preme per ottenere degli avanzamenti sul terreno, ad esempio, del diritto internazionale, con la ratifica delle Convenzioni contro la tortura o dei Protocolli aggiuntivi sui diritti umani, ma debba partire dal rispetto di quel percorso e di quell'autonomia. Inoltre, la Cina, con il dialogo e con l'intensificazione delle relazioni con il resto il mondo, con l'idea che quello sviluppo e quella stabilità sono in funzione dello sviluppo e della stabilità dell'intero pianeta, può arrivare ad un nuovo equilibrio. Forse tale equilibrio non sarà quello auspicato dai nostri colleghi del centrodestra - e noi su questo siamo intenzionati anche ad intensificare il dialogo con le strutture politiche cinesi -, ma quello di una combinazione positiva di sviluppo tra la crescita economica e il rispetto dei diritti umani (prima di tutto i diritti alla sussistenza, poi i diritti civili, di democrazia e di nuove sperimentazioni più avanzate, magari anche di quelle che conosciamo nelle nostre terre e nei nostri paesi).
Per tutte queste ragioni, manteniamo la mozione che abbiamo presentato, con la convinzione che occorre un'azione che parta dalla coerenza della difesa dei diritti umani, dell'iniziativa per i diritti umani ovunque essi siano violati, nello stesso modo e con la medesima intensità: rispetto a tutto ciò siamo portatori di azione politica nelle relazioni con chi ci piace e con chi ci piace di meno.
Cari colleghi della destra, quando verrete in quest'aula, presentando altrettante denunce, con altrettanta forza ed altrettanta prosopopea su esperienze e paesi a cui siete più legati, forse, avrete la possibilità di parlare. Oggi, non avete questa possibilità, perché l'applicazione del doppio standard vi viene dalla vostra integrazione con un'idea di scontro geopolitico e di civiltà, che, sullo sfondo, evoca lo scontro tra Stati Uniti e Cina che noi, invece, a tutti i costi, vogliamo evitare. Non ci arruoleremo nelle schiere di questo nuovo scontro di civiltà, che può portare tragedie all'intero secolo che si è appena aperto.
Per queste ragioni, signor Presidente, voteremo a favore della mozione presentata dal nostro gruppo e sosterremo quella presentata dall'Unione che, pur non contenendo il giudizio che abbiamo espresso, nella parte dispositiva, ha una impostazione più problematica ed è più aperta al dialogo (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Non stiamo discutendo dei diritti umani in Cina, né della natura dello Stato cinese, né delle relazioni internazionali, ma stiamo parlando di una cosa ben precisa. Nella scorsa, come in questa legislatura, ministri ed anche Presidenti del Consiglio, in affermazioni e dichiarazioni pubbliche, rese sia in territorio cinese sia in territorio italiano, hanno più volte auspicato il superamento dell'embargo, in vigore dal 1989, sul commercio delle armi con la Repubblica popolare cinese da parte dell'Unione europea. Di questo stiamo parlando. Noi siamo contrari a tutti gli embarghi, tranne a quello sul commercio delle armi e riteniamo che essi abbiano particolari obiettivi e che vengano dichiarati per esercitare pressioni. Noi siamo affinchè si condizioni l'eventuale revoca dell'embargo sul commercio delle armi con la Cina a precise condizioni. Siamo per condizionare questa revoca ad effettivi, verificabili e concreti progressi, dal punto di vista dei diritti umani, politici, civili, religiosi, sindacali e, aggiungo anche, sessuali, che, nelle premesse delle mozioni presentate non sono stati abbastanza considerati.
Siamo quindi favorevoli alle mozioni che abbiamo firmato, quella dell'onorevole D'Elia e quella dell'onorevole Sereni, così come preannuncio che siamo favorevoli al dispositivo della mozione dell'onorevole Venier. Siamo invece contrari a tutti quegli altri atti di indirizzo, compresa la risoluzione dell'onorevole Mellano, che si prefiggono l'obiettivo, non già di esercitare una pressione attraverso l'embargo sul commercio delle armi, bensì di esprimere un giudizio, spesso ingiustificato, come nel Pag. 67caso dell'onorevole Mellano, sull'integrità territoriale della Cina, laddove si parla della questione di Taiwan, in termini che sono inaccettabili, dal punto di vista del diritto internazionale e di quanto stabilito dall'ONU, che riconosce una sola Repubblica popolare cinese, o le altre mozioni, nelle quali si aggiungono, a chiare e giuste denunce delle violazioni dei diritti umani, giudizi che sono più provocatori che altro. Lo dico, senza alzare il tono della voce e senza assumere un tono comiziale, anche perché, pochi mesi prima della fine della scorsa legislatura, all'esame della Commissione esteri è venuto un trattato internazionale, firmato con la Repubblica popolare cinese dal Governo Berlusconi, un piccolo trattato di collaborazione in campo cinematografico, nel quale però era prevista la clausola per cui l'Italia nulla poteva obiettare sulle censure che il Governo cinese poteva applicare a registi o sceneggiatori dei film che l'Italia avrebbe copromosso con la Repubblica popolare cinese.
Noi avremmo espresso un voto contrario su tale trattato, ma appare un po' stravagante che chi ha firmato quel trattato pretenda di dare lezioni agli altri su quali debbano essere i giusti rapporti da intrattenere con la Repubblica popolare cinese.
Dissento su un punto dal collega Venier: vedo il processo allo stesso modo, ma probabilmente vedo un processo diverso, vale a dire la dittatura di un partito unico, con una violazione sistematica delle libertà sindacali, politiche e di libera espressione, congeniale al modello di capitalismo neoliberista e selvaggio promosso all'interno di quel paese. Vedo cioè un processo verso qualcosa di catastrofico e non un processo di avvicinamento ad una effettiva democratizzazione o ad un effettivo riconoscimento dei diritti umani.
Sono d'accordo con tutte le denunce riferite ai diritti umani contenute nelle premesse. Come ho già affermato in precedenza, vi è una violentissima repressione sessuale. Forse a qualche collega della destra potrebbe piacere il fatto che lo Stato e il partito unico si infilino nella camera da letto dei cinesi per decidere che l'omosessualità è una malattia, che vi sono comportamenti che non sono accettabili e che dunque devono essere perseguiti penalmente.
È recentissima la condanna di alcune persone per aver creato siti Internet pornografici, non pedofili; condanne che, in alcuni casi, hanno riguardato la comminazione della pena dell'ergastolo. Pertanto, per cose che in Italia possiamo vedere esposte in vendita in qualsiasi edicola, in Cina, lo Stato ed il giudice possono applicare la pena dell'ergastolo.
Ritengo che tutto ciò sia intollerabile e che si debba squarciare il velo dell'ipocrisia, facendola finita con l'applicazione di due pesi e di due misure. Infatti, in molti altri paesi, tali violazioni non vi sono, sia per la quantità delle pene di morte comminate ed eseguite sia per la gravità di fattispecie di reato punite con pene gravissime come quella che ho appena citato.
Allora, coloro che si indignano per il Tibet, perché non si indignano altrettanto per il trattamento che subiscono i curdi in Turchia? È la stessa cosa! Quelli che si indignano per le libertà sindacali che in Cina vengono violate, perché poi vorrebbero che tali libertà sindacali fossero calpestate ogni volta anche nei nostri paesi occidentali? Perché non si indignano con le imprese multinazionali - mi riferisco, in particolare, a quelle italiane - che delocalizzano le proprie attività in Cina proprio perché in quel paese non vi sono libertà sindacali e i lavoratori possono essere pagati un trentesimo di quanto dovrebbero essere pagati in Italia?
Di ciò bisognerebbe discutere più apertamente, ma è difficile farlo in una sede nella quale chi prima voleva il ritiro dell'embargo e firmava trattati che prevedono la censura da parte della Repubblica popolare cinese sui cineasti poi viene a dare lezioni sull'effettiva correttezza delle relazioni con tale paese.
Conseguentemente, noi che siamo a favore dell'embargo quale strumento di pressione, siamo soddisfatti dell'accordo raggiunto attraverso l'ulteriore riformulazione della mozione Sereni ed altri n. 1-00063 Pag. 68e con la mozione D'Elia ed altri n. 1-00053, nelle quali si fa riferimento ad una eventuale revoca subordinata a condizioni ben precise.
Nella nostra mozione non si impegna il Governo a proporre la revoca dell'embargo.
Tale revoca ci sarebbe se passasse la condizione che il Governo ha posto rispetto alle mozioni dell'opposizione. Nell'eventualità che i presentatori delle mozioni accettassero tale condizione noi - lo dico apertamente - saremmo contrari, voteremmo ugualmente contro quelle mozioni.
In ogni caso, questa è stata l'occasione per affrontare, per la prima volta, un tema di così rara importanza nella nostra Assemblea in un momento non di distrazione. Forse, varrà la pena di tornarci ripetutamente sia nelle Commissioni competenti sia in quest'aula per seguire l'evolversi vero della situazione e per far cambiare, se necessario, posizione al nostro Governo (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bonelli, al quale ricordo che ha sei minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ANGELO BONELLI. Signor Presidente, le mozioni in esame pongono questioni molto importanti che non riguardano solo la Cina, e mi auguro che il Parlamento possa affrontare sistematicamente e compiutamente la grande questione del rispetto dei diritti umani nel pianeta. È sorta una polemica che si ritorce come un boomerang contro coloro i quali l'hanno avviata - mi riferisco, ovviamente, alla destra - dimenticando che l'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ed il ministro degli affari esteri, Fini, in materia di revoca di embargo delle armi, in un viaggio in Cina si prodigarono proprio in tale direzione.
Al di là di ciò, sui diritti umani non può esservi una contrapposizione, deve esservi una condivisione. Come Verdi riteniamo che sui diritti umani non possano esservi né «ma», né «se», e non possano esservi distinguo: questo vale in ogni parte del pianeta. Si tratta di una questione troppo grande che moralmente ed eticamente ci riguarda tutti.
Ebbene, quello che accade in Cina è di fronte agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, come il ruolo che alla stampa di quel luogo viene riservato. Pochi mesi fa un giornalista cinese, reo di aver scritto cose non condivise dall'attuale regime cinese che noi definiamo dittatoriale, è stato ucciso pubblicamente dalle selvagge percosse della polizia. Il modello sociale di un paese è scelto autonomamente da un popolo, ma quando quel popolo è messo nelle condizioni di poterlo fare, e cioè quando vi è una democrazia.
Quanto sta accadendo in quel paese dal punto di vista dell'espansione economica e di aumento del prodotto interno lordo (si tratta del più grande sviluppo di un paese in fase di industrializzazione: oltre 10 punti percentuali) porta con sé grandissime contraddizioni anche nel ruolo che le nostre imprese in quel paese esercitano perché la globalizzazione rende redditizi e proficui gli interventi economici in quell'area. Un anno e mezzo fa, nella provincia di Guangzhou, in una fabbrica di alcuni imprenditori italiani, ben 2 mila operai hanno scioperato, e la repressione rispetto a quello sciopero è stata dura. Scioperavano perché elementari diritti umani e sindacali non venivano assolutamente rispettati. Ebbene, abbiamo chiesto che fosse inserito nella mozione dell'Unione, e tale inserimento ha portato al ritiro della nostra mozione, che debba esservi una responsabilità sociale delle imprese nei processi di globalizzazione economica.
Ciò che accade in quel paese non può non riguardarci anche perché i prodotti cinesi giungono nei nostri territori e noi li consumiamo; si pone una questione etica relativa a ciò che noi chiamiamo codice etico e le Nazioni Unite global compact. Si tratta di fare in modo che le imprese italiane - ma non solo, ovviamente (in un contesto di globalizzazione) - possano acquisire il cosiddetto global compact come modo di operare rispettoso dei diritti Pag. 69umani, sindacali e delle regole ambientali. Sì, delle regole ambientali; mi soffermo su tale aspetto perché il processo di grande espansione economica di quel paese avviene al di fuori del rispetto di regole ambientali, a tal punto che la stessa NASA ha avuto modo di fotografare con il satellite le conseguenze. Aree di inquinamento in espansione, per il forte uso del carbone ma anche per il forte processo di industrializzazione, hanno portato quell'area, in particolare la zona di Pechino, ad essere la più inquinata del mondo, con un problema serio per la salute dei cittadini e della popolazione cinese.
Dobbiamo lavorare con forza affinché le decisioni del Governo italiano - come, peraltro, il Presidente del Consiglio Prodi più volte ha dichiarato - si collochino nell'ambito di una posizione assunta in comune dall'Europa. L'embargo sulle armi, come ricordiamo, derivava e deriva dalla terribile repressione del 1989 della manifestazione di Tienanmen.

PRESIDENTE. Deve concludere...

ANGELO BONELLI. Concludo, Presidente. Noi dobbiamo essere vicini a quei cittadini cinesi che chiedono democrazia, perché è troppo semplice rendere liberi i profitti ma restringere le libertà individuali. Questa è una grande contraddizione che noi dobbiamo sciogliere, perché non vi può essere democrazia economica se non vi è anche democrazia per quanto riguarda le libertà individuali ed i diritti del popolo cinese (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bricolo. Ne ha facoltà.

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, dopo la sanguinosa repressione di piazza Tienanmen nel 1989, i Paesi dell'Unione europea hanno deciso di interrompere ogni forma di cooperazione militare e di commercio di armi con la Cina sulla base di evidenti violazioni dei diritti umani da parte del Governo cinese, inaccettabili per un'Europa che riconosce come propri valori fondanti «il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani». Dal 1989 ad oggi, di fronte all'emergere di un'economia cinese espansiva ed aggressiva, l'atteggiamento di molti paesi europei ha segnato una forte apertura verso Pechino. Alla crescita economica non si è accompagnato alcun significativo passo avanti sul piano dei diritti umani. Ad oggi, per Amnesty international, «la situazione dei diritti umani in Cina non è migliore che nel 1989». Secondo i dati diffusi dall'organizzazione, nel territorio cinese si registrano 10 mila condanne a morte ogni anno, una pratica «endemica» della tortura, una durissima repressione dei dissidenti politici e delle minoranze religiose. Il Governo cinese permette la pratica religiosa nel paese solo con personale riconosciuto e in luoghi registrati presso l'ufficio per gli affari religiosi e sotto il controllo dell'Associazione patriottica, il cui statuto prevede la creazione di una chiesa nazionale separata dalla Santa Sede. Da ciò deriva la differenza tra una chiesa «ufficiale» o «patriottica» - quella riconosciuto dal Governo - ed i fedeli che cercano di sottrarsi a questo controllo per obbedire direttamente al Papa, formando, secondo il Governo cinese, una chiesa «non ufficiale» o «clandestina».
Il 7 settembre 2006, pochi giorni prima della missione del Governo Prodi in Cina, il Parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza il rapporto Belder sulle relazioni tra Cina ed Unione europea, un rapporto molto coraggioso che mette chiaramente in evidenza quali dovranno essere in futuro i punti imprescindibili dei rapporti con Pechino: i diritti della persona, la tutela delle minoranze religiose ed il diritto della Chiesa cattolica a nominare i propri vescovi. Per la prima volta con questo documento il Parlamento europeo sostiene il dialogo della Repubblica popolare cinese con la Santa Sede, esortando le autorità cinesi a liberare tutti i cristiani detenuti e perseguitati (in Cina costoro, a tutt'oggi, sono migliaia).Pag. 70
Il Parlamento europeo ha deplorato la contraddizione tra la libertà di fede, sancita dall'articolo 36 della Costituzione, e le costanti ingerenze dello Stato nella vita interna delle comunità religiose, specialmente per quanto riguarda formazione, selezione, nomina e indottrinamento politico dei ministri del culto, e ha osservato che attualmente in Cina i cristiani che praticano la propria fede in luoghi di culto per il Governo cinese «illegali», ossia all'interno di case-chiesa o in gruppi cattolici «clandestini» fedeli al Vaticano, sono più numerosi di quelli che frequentano i luoghi di culto cosiddetti «patriottici». L'Unione europea ha preso atto con rammarico della grave violazione della libertà religiosa provocata dalle recenti illecite ordinazioni episcopali fatte il 30 aprile 2006 e il 3 maggio 2006, che sono in parte frutto delle forti pressioni e minacce esercitate sul clero cattolico fedele al Vaticano da parte di organismi esterni alla Chiesa.
Durante la missione ufficiale del Governo italiano in Cina del settembre 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi ha esplicitamente dichiarato, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il premier cinese, che «il Governo italiano è favorevole a togliere l'embargo di armi alla Cina», aggiungendo, anzi, che «l'Italia propende affinché l'embargo alla vendita di armi sia tolto il più presto possibile (...)». Alla faccia anche di quei tanti pseudo-pacifisti che appoggiano il Governo Prodi e questa maggioranza presenti in Parlamento, Prodi vuole aprire alla vendita di armi alla Cina: lo ha dichiarato molto chiaramente! Da parte sua, la Commissione europea ha ribadito immediatamente, attraverso uno dei portavoce, la sua posizione, ossia che non è cambiata la posizione dell'Unione europea. La Commissione europea è disponibile a discutere, ma bisogna attendere progressi, che non si sono visti, sul piano dei diritti umani e per questo motivo mantiene, appunto, le sue riserve sull'azione che invece vuole portare avanti il Presidente Prodi. La Commissione mantiene la sua posizione, visto che i progressi in materia di diritti umani non si sono ancora realizzati, dunque smentendo, ancora una volta, il «povero» Presidente del Consiglio Prodi, sempre più delegittimato, evidentemente anche all'estero.
Ancora una volta contro il parere dell'Unione europea, il ministro D'Alema, incontrando il collega cinese il 13 novembre 2006, ha sostenuto invece che «la Cina non è più quella del dopo Tienanmen» smentendo anch'egli i rapporti di Amnesty International, che affermano che ogni anno in Cina, come ho già detto in precedenza, vengono uccise con la pena di morte più di 10 mila persone. E quando Prodi è andato in Cina vi è andato con la ministra Bonino, che è uno dei paladini contro la pena di morte e, dunque, di tutti i comitati che sono nati al riguardo. Dunque, è evidente sempre più che questo è un Governo che mira più agli affari. Infatti, in Cina con il Presidente Prodi vi erano anche i rappresentanti delle grandi multinazionali presenti nel nostro paese. Si tratta di un Governo che cerca di fare affari spingendo a delocalizzare le aziende del nostro paese; ciò serve sicuramente per arricchire pochi, ma crea anche molti disoccupati nel paese e fa chiudere diverse fabbriche, mettendo in crisi il nostro settore economico. Questo è il primo passo che ha fatto il Governo Prodi!
A fronte di ciò, le contraddizioni non finiscono mai: constatiamo che vi è una politica, nel nostro paese, di apertura delle frontiere indiscriminata. Chiunque, ormai, può entrare nel nostro paese, portando gente in cerca di posti di lavoro e pertanto aumentando ancora di più la disoccupazione nel paese, aumentando ancora di più chi sfrutta il lavoro nero, aumentando ancora di più il precariato e creando sempre continui disagi nel paese. Abbiamo visto anche l'altro giorno, a conferma che tali contraddizioni non si fermano mai, che l'onorevole Caruso si è autorecluso in un centro di permanenza temporanea, un'autoreclusione - aveva detto - ad oltranza. Resteremo finché i centri non verranno chiusi, aveva affermato. Chiaramente, da buon politicante del centrosinistra - è appena entrato in aula - e come Pag. 71tutti i buon politicanti del centrosinistra, alle parole non seguono mai i fatti: il giorno dopo era già uscito dal centro di permanenza temporanea (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!
Sul territorio, lo dico molto chiaramente, senza offendere nessuno, tutti sanno cosa sono questi centri di permanenza temporanea: l'unico luogo dove si riescono ad identificare i clandestini che entrano nel nostro paese. Servono per identificare, per capire da dove arrivano, per poi procedere alle espulsioni ed a riportarli nel loro paese. Sul territorio, la gente, almeno al nord, in Padania, ci fermava per strada in questi giorni e ci chiedeva: ma cosa è andato a farci quel cretino dell'onorevole Caruso nel CPT (Commenti dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)...

DONATELLA DURANTI. Ma come ti permetti? Ma come ti permetti?

PRESIDENTE. Onorevole Bricolo, la prego di non offendere i colleghi! Lei deve scusarsi. Non può appellare in questo modo i colleghi!

FEDERICO BRICOLO. Signor Presidente, io ripeto quello che si dice sul territorio. Mi limito a riferire (Commenti dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea). E queste sono, forse, le offese più gentili che sono state pronunciate.
Comunque, signor Presidente, si tratta di cose che si verificano non solo nei confronti dell'onorevole Caruso, ma anche di Prodi, che viene accolto in modo spontaneo dai cittadini di questo paese e non da gente organizzata politicamente.
Si tratta di offese continue ad un Governo che, evidentemente, deve andare a casa, e noi faremo di tutto affinché ciò si verifichi al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

DONATELLA DURANTI. E intanto sei tu a casa!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, noi ci risparmiamo di riferire in aula circa il modo con cui certi colleghi vengono nominati nei territori.
Anche quando si parla di questioni serie, come quella che oggi stiamo affrontando, in quest'aula si esprimono giudizi e si proferiscono espressioni che, in qualche modo, fanno trasalire. L'onorevole Baldelli, ad esempio, ha affermato che la pena di morte in Cina è diversa dalla pena di morte negli Stati Uniti. Comprenderete che, se questi sono i termini di paragone, si fa difficile il confronto delle idee, e allora vi è soltanto spazio per gli insulti e per le contumelie.
In Cina vi è una singolare commistione tra socialismo reale e capitalismo selvaggio, non immune da una vasta corruttela. È oppressa la libertà di espressione, quella di associazione e di riunione, quella religiosa. L'ordinamento penale conosce e sperimenta tutti i giorni la pena di morte, senza le garanzie del giusto processo. Le minoranze, con in testa quelle tibetane, sono oggetto di persecuzione.
Tuttavia, nel motivare il nostro sostegno alla mozione di cui è prima firmataria l'onorevole Sereni, così come ulteriormente riformulata, dobbiamo anche insistere affinché il Governo si muova su un doppio binario: appoggio convinto allo sviluppo economico e alle iniziative di partenariato, ma anche pressione continua - in sintonia con gli atti adottati in sede comunitaria - sugli aspetti politici e giuridici inerenti i diritti umani, tentando di stipulare accordi, memoranda, protocolli per scambi scientifici, culturali e di ONG, affinché siano veicoli di cultura civica, rispettosa dei diritti umani.
A questo proposito, signor Presidente, voglio ancora ricordare, come ho fatto intervenendo nell'ambito della discussione sulle linee generali, le prossime olimpiadi del 2008 che si terranno a Pechino. Esse dovranno rappresentare una formidabile occasione per pretendere per le nostre delegazioni sportive e giornalistiche una proficua libertà di movimento per poter Pag. 72diffondere i valori di una società pluralistica e dei diritti umani (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Del Bue. Ne ha facoltà.

MAURO DEL BUE. Signor Presidente, vorrei toccare tre argomenti emersi quest'oggi nel dibattito attorno alla questione dell'embargo della vendita di armi alla Cina.
Il primo riguarda la posizione del Presidente del Consiglio e del Governo italiano espressa nel corso del recente viaggio in quel paese.
Il secondo riguarda il giudizio sulle diverse mozioni presentate in quest'aula e il terzo alcune affermazioni sul sistema cinese sviluppate dall'onorevole Venier nel corso del suo intervento e giustamente riprese - condivido quanto egli ha detto - dall'onorevole Bonelli poco fa.
In riferimento al Presidente Prodi, non ne faccio una questione procedurale, signor Presidente, egregi colleghi, ma le leggi parlano chiaro. In Italia esiste una legge del 1990 che in fatto di armamenti si richiama direttamente alla risoluzione emersa all'interno dell'Unione europea dopo i fatti di Tienanmen. Mi riferisco all'embargo decretato dall'UE nei confronti della Cina, a seguito della strage di piazza Tienanmen dell'agosto 1989.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 17,10)

MAURO DEL BUE. È evidente che o l'Italia cambia la propria legislazione in materia oppure, se vuole superare l'embargo della vendita di armi alla Cina, deve proporre tale posizione all'interno dell'Unione europea e convincere gli altri partner europei a superare le motivazioni addotte alla base della decisione presa. Mi pare che i partner europei non abbiano alcuna ragione di cambiare idea e quindi mi sembra che le parole di Prodi siano, appunto, solo parole e nulla più.
Vengo ora alle mozioni presentate. Signor Presidente ed egregi colleghi, le mozioni presentate, al di là dell'appartenenza dei singoli gruppi agli schieramenti di coalizione, contengono una diversità sull'embargo che sintetizzo come segue. Una parte di esse non accetta neppure l'idea di superare in futuro l'embargo, un'altra lega tale possibilità all'individuazione di consistenti e reali passi in avanti del sistema cinese in fatto di rispetto dei diritti e delle libertà individuali. Tale atteggiamento è trasversale nei due schieramenti, nel senso che la mozione dei Verdi è forse la più intransigente nel richiedere la conferma dell'embargo, unitamente a quelle di Forza Italia e di Alleanza Nazionale. Invece, la mozione Volontè ed altri, la mozione dell'Ulivo e quella della Rosa nel Pugno dichiarano la possibilità di superare l'embargo, richiamandosi tuttavia alla necessità di passi in avanti in fatto di diritti civili, come prima richiamato.
Personalmente voterò a favore di tutte le mozioni, ad esclusione - e giungo così al terzo punto - di quella presentata dall'onorevole Venier. Onorevole Venier, al di là del dispositivo cui si richiamava prima il collega ed amico Ramon Mantovani di Rifondazione Comunista, vi è un giudizio inaccettabile che parte da un presupposto. Ricordo che quando sono entrato a far parte per la prima volta del consiglio comunale di Reggio Emilia, ogni qualvolta proponevo di discutere del dramma dell'Ungheria o della Cecoslovacchia mi veniva risposto che si trattava di una posizione strumentale. Ogni volta che sono in discussione questioni che in qualche misura rischiano di infrangere il tabù di un'ideologia, salta fuori il discorso sulla strumentalità. Quindi, sarebbe strumentale discutere dei diritti civili in Cina.
Onorevole Venier, stia tranquillo e non si faccia carico dell'attuale sistema cinese. Capisco che molti di voi una volta giravano con l'emblema ed il distintivo di Mao Tse Tung all'occhiello. Ricordo che Mao Tse Tung è stato uno dei più grandi massacratori del secolo scorso: 60 milioni di cinesi sono morti durante la sua «epica» rivoluzione culturale.Pag. 73
Ma cosa è oggi la Cina? È un impasto tra una dittatura del partito unico ed un sistema capitalistico selvaggio, che sfrutta l'uomo e non lascia al lavoratore la possibilità di godere di alcun diritto sindacale. Non lascia la possibilità di godere di ferie durante i primi anni di lavoro. Si tratta di un sistema capitalistico selvaggio. Mi fa specie che un partito che si richiama al comunismo non si senta in dovere di condannare nel modo più deciso quel sistema, che è il peggiore possibile. Infatti, un sistema che abbina il capitalismo selvaggio al partito comunista unico è il peggiore possibile. È un sistema che commina ogni anno migliaia e migliaia di condanne a morte ai propri cittadini. Non si può paragonare agli Stati Uniti d'America; è pazzesco che in quest'aula si possano ascoltare discorsi secondo i quali la Cina è paragonabile agli Stati Uniti d'America. Gli USA sono una grande democrazia al cui interno vi sono grandi contraddizioni, fra le quali l'esistenza della pena di morte; che personalmente non accetto e condanno. Tuttavia, la Cina è un paese dittatoriale, che per ragioni politiche manda a morte ogni anno migliaia di cittadini. Questo è inaccettabile ed esecrabile.
Signor Presidente, mi accingo a concludere. Ogni popolo può darsi il sistema che vuole? Ha ragione l'onorevole Bonelli. Vale per ogni popolo che è nella condizione democratica di farlo. Se un popolo non è nella condizione di poter votare, non si può sapere quale sistema voglia darsi. In Cina esiste questa dittatura e non so se il popolo cinese voterebbe a favore del partito comunista. Nei paesi dove è finito il comunismo, non appena è stato concesso il diritto di voto gli elettori hanno optato per altri partiti e per ben altri sistemi. Ad ogni modo non sono neanche d'accordo nel dire che ogni popolo può darsi il sistema che vuole. Infatti, se andiamo ad aprire precedenti storici su questo punto, potremmo anche giustificare il fatto che nel 1933 la Germania si sia data liberamente un sistema votando a favore del partito nazionalsocialista, che prese il 33 per cento dei voti, e che questo sistema abbia decretato l'odio verso una razza come una delle sue prerogative. Dunque, ogni popolo può darsi il sistema democratico che vuole e non semplicemente il sistema che vuole. Questo è un punto fondamentale che ci deve unire in quest'aula.
Lo dico perché noi siamo a favore dei sistemi democratici ovunque nel mondo. È di questi giorni la notizia della morte di un dittatore, Pinochet, che noi, come socialisti, democratici e liberali, abbiamo combattuto. Il Cile ha conosciuto una pagina ignobile sotto la dittatura di Pinochet e noi siamo stati - ieri come oggi - dalla parte di coloro che sono stati condannati, imprigionati e uccisi in quel paese. Ma siamo contro qualsiasi dittatura nel mondo, senza nessuna eccezione e senza preservare il culto di ideologie che oggi sono state condannate dalla storia (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Cristiana-Partito Socialista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io credo che sarebbe stata opportuna una mozione unitaria su questo tema e ci eravamo anche impegnati perché si arrivasse a questo. Purtroppo non è stato possibile perché nella mozione principale del centrosinistra, ad argomentazioni in premessa in buona misura condivisibili segue - ed è seguito come elemento di sintesi - un dispositivo ambiguo, di mezzi «sì» e mezzi «no».
La causa è da imputare al fatto che il Presidente del Consiglio Romano Prodi - e forse questa è una colpa del Parlamento -, senza alcun «mandato» (lo dico tra virgolette) parlamentare, nella visita della delegazione che ha guidato a Pechino all'inizio di settembre ha deciso unilateralmente di prendere una posizione molto netta rispetto alle sole due questioni che stanno a cuore al regime cinese: la vicenda di Taiwan e quella dell'embargo sulle armi.
Non ripeto ciò che ho detto nell'illustrazione della mozione di cui ero cofirmatario Pag. 74su quella che è la situazione cinese. Voglio cercare di affrontare brevemente un paio di punti politici: il primo è quello della presa di posizione del Governo Prodi.
Prodi ha offerto su un piatto d'argento le uniche cose che il regime cinese gli chiedeva in quel contesto, distanziandosi nettamente da quanto ha fatto in un contesto identico la Cancelliera Merkel, che è andata a Pechino e ha avuto la forza che il Presidente del Consiglio e la delegazione italiana non hanno dimostrato, vale a dire di fare un gesto simbolico per testimoniare la vicinanza del Governo - e immagino del popolo tedesco - a chi in Cina lotta per i diritti umani. La Cancelliera Merkel è andata a trovare il vescovo Dingxian a cui il regime aveva impedito di partecipare al sinodo convocato dal Papa Benedetto XVI.
Soprattutto, la Merkel, una settimana prima di Prodi, aveva detto alle autorità cinesi che non avrebbe seguito Schroeder sulla sua via di revoca dell'embargo. Inoltre, ha ribadito che avrebbe assunto la Presidenza di turno dell'Unione europea dal gennaio al giugno 2007 e che la revoca dell'embargo non sarebbe stata in agenda. Non parlo degli Stati Uniti, ma della Germania, il più grande paese dell'Unione europea.
Sono assolutamente convinto che, se non ci fosse stata quella presa di posizione di Prodi, i colleghi dell'Ulivo, così come hanno fatto i loro omologhi che siedono al Parlamento europeo, avrebbero proposto e votato con noi dell'opposizione una mozione molto netta che riproponesse il «no» alla revoca dell'embargo come punto di partenza, così come ha fatto il Parlamento europeo. Per questo, capisco la difficoltà di dover recuperare lo scivolone di Prodi.
È stato detto che il centrodestra, nel 2004, aveva assunto un atteggiamento analogo. Posto che oggi stiamo discutendo dell'atteggiamento assunto al Governo Prodi e che, quindi, l'argomentazione mi sembra di scarsa efficacia, voglio ricordare ai colleghi che, dal 2004 ad oggi, sono accadute molte cose, emblematicamente rappresentanti dal cambiamento netto di direzione operato dalla Germania, nella quale, peraltro, vige un regime di grande coalizione e i socialdemocratici non sono stati estromessi dal Governo, dato che un loro esponente ricopre la carica di ministro degli esteri. Eppure, la Germania ha cambiato nettamente posizione. Il Parlamento europeo è intervenuto dopo il 2004. Se qualcuno, all'epoca, poteva avere dubbi - personalmente, fui critico ma non avevo alcuna responsabilità - o opinioni diverse sulla direzione di marcia assunta dal regime cinese, quei dubbi sono stati fugati. Una legge, approvata nel 2005, prevede l'uso di mezzi anche non pacifici per procedere a ciò che il regime di Pechino definisce riunificazione cinese. Tutto questo è intercorso successivamente e ha fatto scattare l'allarme in sede europea, presso la Commissione ed il Parlamento, rispetto alla necessità di non procedere alla revoca dell'embargo.
Perciò, i tempi sono molto cambiati. Non voglio ripetere quanto già ho affermato sulla questione dei diritti umani in Cina e sul fatto che le repressioni aumentano, anziché diminuire, e lo stesso vale per le persecuzioni religiose, contro la libertà di stampa e contro quelli che sono definiti reati sessuali. Sono assolutamente d'accordo con quanto affermato dall'onorevole Mantovano riguardo alla carcerazione e all'ergastolo. Tuttavia, ciò accade anche agli omosessuali a Cuba, onorevole Mantovano. Spero che lei, onorevole Mantovano...

SALVATORE CANNAVÒ. Mantovani!

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Mi scusi: Mantovani. Spero che lei, onorevole Mantovani, non voglia confondere la legge Biagi con il laogai, poiché c'è una bella differenza tra un paese in cui si discute una legge - e lei la discute, con i toni che usa - che io apprezzo incondizionatamente ed un altro, come la Cina, in cui ci sono campi di lavoro nei quali i dissidenti politici sono reclusi e costretti a lavorare, ovviamente gratis. Spero che su questo ci possiamo intendere.

Pag. 75

PRESIDENTE. Onorevole Della Vedova...

BENEDETTO DELLA VEDOVA. Concludo, signor Presidente, evidenziando due elementi. Innanzitutto, non è possibile esprimere voto favorevole sulla mozioni Sereni n. 1-00063, perché costituisce un passo all'indietro non solo rispetto a quanto noi pensiamo; ma anche rispetto a quanto il Parlamento europeo ha proposto. Non credo che una posizione unilaterale del Parlamento italiano in ambito europeo sia sostenibile. Invece, avrei espresso voto favorevole sulla mozione Maroni n. 1-00059, molto netta circa la necessità di non revocare l'embargo; purtroppo, invece, è stata ritirata. Esprimeremo voto favorevole sulla risoluzione Mellano n. 6-00009 e chiediamo a tutta l'opposizione di sostenerla. Con tale risoluzione, l'onorevole Mellano, deputato della maggioranza che sostiene questo Governo, ripropone, quanto meno, gli stessi termini utilizzati presso il Parlamento non più di qualche settimana fa.
Pertanto, esprimeremo voto favorevole su tutte le mozioni presentate dall'opposizione, perché colgono, tutte, il dato politico della revoca dell'embargo, e voto contrario non soltanto sulla mozione «cinese» presentata dai comunisti italiani, ma anche sulle altre mozioni presentate dalla maggioranza; infine, come detto, esprimeremo voto favorevole sulla risoluzione Mellano n. 6-00009 (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Spini. Ne ha facoltà.

VALDO SPINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, non c'è dubbio che per una grande democrazia, e per le forze di centrosinistra che sostengono il Governo di questa democrazia, la politica estera non può non essere una politica di principi, non può prescindere da essi ed è rivolta alla loro affermazione. In questo senso, credo che abbiamo tutte le carte in regola, anche dal punto di vista della coerenza dimostrata negli anni.
Signor Presidente, è stato Pietro Nenni che, nel 1968, avviò le pratiche politiche per il riconoscimento della Cina popolare che, allora, si voleva tenere fuori dal concerto delle nazioni ed è proprio alla luce di questo atteggiamento che ci ha contraddistinto che oggi abbiamo l'autorevolezza di dire che, sul piano dei diritti umani, noi non facciamo né due pesi né due misure, ma poniamo in modo serio ed argomentato a questo grande paese il problema della coerenza: alla grande capacità di sviluppo economico e reddituale che ha dimostrato deve corrispondere la capacità di crescere dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, della democrazia e dei diritti civili!
Si noterà che nella mozione che l'Unione ha presentato - sono molto orgoglioso di parlare a nome dei partiti dell'Unione che voterà anche le altre mozioni presentate da esponenti dello stesso schieramento - si è molto avveduti e attenti. Si afferma in esse che si intende intensificare le relazioni e gli scambi culturali universitari, proprio perché puntiamo sulla gioventù di quel paese, quindi sulla possibilità di incrementare la sua capacità di crescere in una moderna visione dello Stato di diritto. Pertanto, sollecitiamo anche l'eliminazione di ostacoli burocratici ed i visti che hanno fortemente, gravemente e scioccamente limitato la capacità di studenti e docenti di intrecciare con il nostro paese un fecondo rapporto di studi e di essere presenti in dimensione adeguata nel nostro paese.
Questo documento dell'Unione fa onore alla Camera dei deputati. Si tratta di un documento nobile, perché è estremamente preciso: contiene il riferimento agli accordi internazionali cui la Repubblica popolare cinese non è addivenuta, come lo Statuto della Corte penale internazionale o il protocollo opzionale della Convenzione, alla pena di morte, alla condizione di lavoro nelle fabbriche, agli episodi dei profughi tibetani, alla libertà religiosa (ciò è molto importante, soprattutto alla luce del fatto che la Commissione affari costituzionali della Camera sta esaminando un disegno di legge importante per quanto Pag. 76riguarda l'attuazione della libertà religiosa in Italia). Abbiamo sempre ripetuto che dobbiamo essere in regola con riferimento alla libertà religiosa nel nostro paese, perché ciò ci avrebbe dato più autorevolezza nel chiedere che fosse affermata negli altri paesi. Lo stesso si può dire per l'esportazione di armi e per il problema del Sudan.
La nostra mozione, pertanto, intende essere estremamente aperta, ma, al tempo stesso, precisa e particolareggiata.
Non capisco francamente perché su un tema così nobile e così importante il Parlamento italiano non possa realizzare una vasta convergenza. La mozione è molto precisa sul tema che ci ha appassionato recentemente, vale a dire sulla questione dell'eventuale embargo da parte dell'Unione europea del commercio delle armi.
Vorrei far notare che, nella scorsa legislatura, tutte le volte che si cercava di aggirare quanto stabilito dalla legge sul controllo degli armamenti attraverso l'attribuzione indebita del regime NATO anche a paesi che non ne facevano parte, dai nostri banchi e dai banchi del centrosinistra si è svolta un'opposizione e si è assunta una chiara posizione! Nessuno, quindi, può non rilevare come, nella scorsa legislatura, vi siano stati tentativi di aggirare la legge sul controllo delle armi che noi vogliamo stigmatizzare, ribadendo la nostra coerenza.
Tuttavia, il documento dell'Unione è estremamente chiaro: non vi può essere revoca dell'embargo sul commercio delle armi se questa non risulta legata e condizionata a progressi sostanziali e verificabili in tema di rispetto dei diritti umani, di riforme democratiche e di relazioni pacifiche con le vicine regioni.
Si tratta di un documento che può effettivamente dare al Governo una piattaforma ed un indirizzo di lavoro politico. Non è un documento demagogico fatto tanto per fare!
Avremmo potuto essere oggettivamente bipartisan su tale vicenda, proprio perché, nella scorsa legislatura, è toccato ad altri andare a Pechino, sviluppare rapporti diplomatici e commerciali (penso ai viaggi di Berlusconi e Fini).
Non credo che premi nessuno l'avere due pesi e due misure, a seconda che si assuma il ruolo di maggioranza o dell'opposizione; tanto meno non vengono premiati né le relazioni internazionali né i rapporti internazionali. Certo, i rapporti internazionali sono di competenza del Governo, ma vi è anche la diplomazia parlamentare, la miriade di contatti politici e culturali, cui sono chiamati anche gli uomini e le donne dell'opposizione.
Come faranno a dire che si sono comportati in un modo quando erano al Governo ed in un altro quando erano all'opposizione? Non giova nemmeno a loro!
Ecco, allora, il motivo per cui ritengo francamente importante che, nell'ambito delle forze della maggioranza di centrosinistra, si sia pervenuti ad una così importante convergenza su un documento di indirizzo preciso ed articolato.
Si tratta, infatti, di una mozione che, con tanto di nomi e cognomi, sottolinea il problema del vescovo cattolico imprigionato, la questione concernente l'incarcerazione del leader delle proteste contro le espropriazioni delle terre e gli sfratti ed il problema della condizione della donne. Devo riconoscere che si tratta di un documento niente affatto elusivo, estremamente costruttivo e decisamente preciso.
È proprio questo il motivo per cui raccomandiamo all'Assemblea l'approvazione della mozione sottoscritta dai gruppi appartenenti all'Unione. Ci dichiariamo altresì disponibili a votare anche a favore dei documenti presentati dagli altri esponenti della maggioranza e ci dispiace di dover essere costretti a votare contro gli atti di indirizzo degli altri gruppi parlamentari. Affermo ciò in tutta franchezza, poiché avremmo preferito un grande e solenne atto di convergenza del Parlamento italiano su tali questioni.
Vorrei infatti rilevare, signor Presidente ed onorevoli colleghi, che in gioco vi sono i diritti umani e civili di centinaia di milioni di abitanti della Cina. Sotto questo Pag. 77punto di vista, allora, osservo che tanto più saremo uniti, tanto più risulteremo autorevoli; tanto più convergeremo, tanto più potremo ottenere risultati concreti.
In questa sede, infatti, non ci stiamo battendo per strappare qualche voto in più in Italia, ma ci confrontiamo per far compiere un sostanziale progresso ai diritti umani e civili in quest'area così importante e determinante del nostro mondo. È proprio con tale considerazione che intendo concludere il mio intervento.
Ricordo che, nel 1989, registrammo un grande moto di rinnovamento e di liberazione all'interno dei regimi comunisti ed autoritari, e tale moto ha provocato cambiamenti in quei paesi. In Cina, tuttavia, questa spinta al rinnovamento fu frenata dalla repressione di piazza Tienanmen.
Ebbene, ritengo importante che la comunità internazionale possa dichiarare che tale repressione non rappresenta un fatto compiuto, che si accetta all'insegna del «cosa fatta, capo ha»; al contrario, è nostra intenzione continuare a batterci, con i metodi democratici, affinché i diritti civili, umani e politici siano pienamente rispettati.
Allora, nobilitiamo questa giornata del Parlamento italiano! Si tratta, infatti, non di una «batracomiomachia» tra le forze politiche italiane, ma di un'affermazione molto netta, precisa e «impegnata» di libertà, di democrazia e di diritti civili a favore di un popolo che, meritoriamente, ha grandi tradizioni culturali da parte di un popolo, quello italiano, che su questo piano certamente intende compiere uno sforzo del tutto particolare (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mellano. Ne ha facoltà.

BRUNO MELLANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo a titolo personale per spiegarvi il motivo per cui, dopo il dibattito svoltosi sulle mozioni presentate (che ho seguito con attenzione), ho deciso di presentare, assieme al collega Capezzone, una risoluzione sulla questione del rispetto dei diritti umani in Cina.
Visto che, da più parti, vengono invocati coerenza e rigore nell'atteggiamento da assumere in questo caso, ritengo indispensabile, dal punto di vista personale, aver presentato tale risoluzione. Ricordo che, esprimendo la mia contrarietà, ho protestato quando l'allora Presidente della Repubblica, Ciampi, ha «abusivamente» parlato in Cina di rimozione dell'embargo sul commercio delle armi. Rammento, altresì, che ho protestato anche quando l'allora ministro degli affari esteri, Fini, chiese la revoca di tale embargo.
Ho manifestato la stessa contrarietà quando lo hanno fatto sia Berlusconi, sia il Presidente Prodi, che sostengo come capo di questo Governo. Infine, esprimo la medesima disapprovazione quando, in questi giorni, lo ha fatto anche il ministro degli affari esteri D'Alema.
Allora, per coerenza personale, nonché per coerenza con una militanza politica che, da vent'anni, mi vede attivista del Partito radicale transnazionale, non violento e transpartito, credo che questa Camera dovrebbe fare propria la mia risoluzione n. 6-00009, la quale ripropone, in maniera puntuale e precisa, il testo della risoluzione approvata, il 7 settembre scorso, a larghissima maggioranza dai nostri esponenti al Parlamento europeo.
Ricordo, infatti, che con tale atto si chiede puntualmente il mantenimento dell'embargo sul commercio di armi, proprio sulla base delle numerose motivazioni che da sinistra, da destra e da centro sono state formulate!
Vorrei osservare che avere a disposizione «l'arma» dell'embargo sulle armi rappresenta una risorsa alla quale non dobbiamo rinunciare in questo momento. Ricordo che la questione di Taiwan è ancora totalmente aperta con gli Stati Uniti che stanno sostenendo, anche militarmente, tale paese. Noi rischiamo non di dare le Beretta ai militari di frontiera che sparano sui profughi tibetani, bensì di fornire l'alta tecnologia al Governo cinese, il quale si prepara alla riunificazione forzata della Cina!Pag. 78
Desidero sottolineare che, in questo momento, rischiamo di privarci di un potere contrattuale che...

PRESIDENTE. La prego di concludere!

BRUNO MELLANO. ...anche in previsione dello svolgimento delle Olimpiadi del 2008, avremmo voluto avere per favorire nuovi diritti e nuove possibilità di agibilità politica per i cittadini cinesi.
È per questo motivo che vi chiedo di votare una risoluzione che testualmente riprende il testo della risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 7 settembre scorso.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIULIO TREMONTI (ore 17,35)

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, ho colto dalle parole dell'onorevole Spini, ma anche di altri colleghi, la sottolineatura di questa contraddizione. Avete detto che il centrodestra oggi sostiene certe cose, mentre nel 2004, quando era al Governo, ne sosteneva altre; però, se la memoria non mi inganna - e non mi inganna - se tornate al 2004 non troverete dichiarazioni né del Presidente del Consiglio né del ministro degli affari esteri volte a togliere l'embargo sulle armi alla Cina. Troverete, invece, una dichiarazione del Capo dello Stato, fatta in occasione della visita in Cina, che non è stata mai né avallata né «coperta» dal Governo Berlusconi; quindi, capisco che solo due anni dopo si tenda a ricordare male le cose rispetto a come sono avvenute, però il Governo Berlusconi non ha mai chiesto di togliere quell'embargo come, invece, ha fatto il Governo Prodi. Non c'è, quindi, alcuna contraddizione; infatti, basta andare a vedere la cronaca e la storia di quegli anni per accorgersi che ciò che è contenuto in queste mozioni, ma anche nella risoluzione del collega Mellano, si muove nella continuità della politica estera del Governo italiano che fino all'ultima mossa del Presidente del Consiglio Berlusconi non aveva mai chiesto di togliere l'embargo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, intanto bisogna dare atto ad Alleanza Nazionale che con la prima mozione ha sollevato questo drammatico problema. Ora questi «balletti» del centrosinistra, per condizionare l'eventuale eliminazione dell'embargo sulle armi alla Cina, con varie condizioni fanno ridere, anzi sono una cosa scandalosa.
Il Governo di centrodestra con la Cina fece un accordo che la sinistra ha tentato di rivendicare, ma che rappresentava la strada giusta, cioè quello che hanno pubblicizzato in questi giorni i giornali italiani sull'università, sulla laurea italo-cinese; accordo che fu siglato quando ministro degli esteri era l'onorevole Fini e quando ministro della pubblica istruzione era l'onorevole Moratti. Quella era la strada giusta.
Dal punto di vista delle libertà, io vorrei dire una cosa semplice: sono le società italiane e del mondo occidentale ad alimentare ulteriormente lo sfruttamento dei minori e la schiavitù in quel paese. Io penso che finché i paesi europei non impediranno la commercializzazione dei prodotti per i quali non c'è la garanzia da parte delle nostre ambasciate che non siano stati realizzati con lo sfruttamento dei minori, senza le garanzie a tutela della dignità della persona, quegli affari rappresenteranno un potenziamento della schiavitù stessa di quel popolo.
Quindi, eliminiamo l'ipocrisia e facciamo in modo che il Parlamento decida sul serio che in Italia...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

Pag. 79

TEODORO BUONTEMPO. Ci sono nomi e cognomi di quelle grandi società italiane che comprano pullover o scarpe da tennis ad un euro e le rivendono in Italia a svariate centinaia di euro...
Molte di quelle imprese finanziano i partiti del centrosinistra; quindi, credo che il primo passo che il Parlamento italiano deve compiere sia quello di vietare la vendita in Italia di qualunque prodotto che non abbia il marchio che garantisca il rispetto dei diritti umani.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Ricordo che sulla mozione Rampelli ed altri n. 1-00026, su cui il Governo ha proposto una riformulazione non accettata dai presentatori, il parere del Governo è da intendersi contrario.
Avverto che è stata richiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Rampelli ed altri n. 1-00026, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 493
Maggioranza 247
Hanno votato
228
Hanno votato
no 265).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Pedrizzi ed altri n. 1-00027, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 493
Maggioranza 247
Hanno votato
229
Hanno votato
no 264).

Prendo atto che l'onorevole Realacci non è riuscito a votare e che avrebbe voluto esprimere voto contrario.
Passiamo alla votazione della mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033.
Ricordo che il rappresentante del Governo ha proposto una riformulazione del primo e del secondo capoverso del dispositivo, riformulazione non accettata dai presentatori.
Il parere del Governo su tali capoversi è dunque da intendere contrario, essendo invece favorevole sulla parte rimanente della mozione.
Avverto che di tale mozione è stata chiesta la votazione per parti separate nel senso di votare le parti su cui il Governo ha espresso parere favorevole distintamente da quelle su cui ha espresso parere contrario.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, limitatamente alla premessa ed ai capoversi terzo e quarto del dispositivo, accettati dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 495
Votanti 492
Astenuti 3
Maggioranza 247
Hanno votato
431
Hanno votato
no 61).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla restante parte della mozione Paoletti Tangheroni ed altri n. 1-00033, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Pag. 80

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 499
Votanti 498
Astenuti 1
Maggioranza 250
Hanno votato
235
Hanno votato
no 263).

Prendo atto che l'onorevole Belisario non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione della mozione Volontè ed altri n. 1-00052.
Avverto che di tale mozione è stata chiesta la votazione per parti separate, nel senso di votare le parti su cui il Governo ha espresso parere favorevole distintamente da quelle su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Volontè ed altri n. 1-00052, limitatamente alla premessa ed al primo capoverso del dispositivo, accettati dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 500
Votanti 453
Astenuti 47
Maggioranza 227
Hanno votato
437
Hanno votato
no 16).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla restante parte della mozione Volontè ed altri n. 1-00052, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 502
Votanti 492
Astenuti 10
Maggioranza 247
Hanno votato
237
Hanno votato
no 255).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione D'Elia ed altri n. 1-00053, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 505
Votanti 486
Astenuti 19
Maggioranza 244
Hanno votato
266
Hanno votato
no 220).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Venier ed altri n. 1-00057, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni - Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).

(Presenti 499
Votanti 475
Astenuti 24
Maggioranza 238
Hanno votato
233
Hanno votato
no 242).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Maroni ed altri n. 1-00059, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Pag. 81

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 503
Votanti 502
Astenuti 1
Maggioranza 252
Hanno votato
238
Hanno votato
no 264).

Passiamo alla votazione della mozione Sereni ed altri n. 1-00063 (Ulteriore nuova formulazione).
Avverto che, a seguito delle votazioni precedenti, risultano assorbiti il primo ed il quarto capoverso del dispositivo.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla parte non assorbita della mozione Sereni ed altri n. 1-00063 (Ulteriore nuova formulazione), nella parte non assorbita, accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 498
Votanti 497
Astenuti 1
Maggioranza 249
Hanno votato
270
Hanno votato
no 227).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Mellano e Capezzone n. 6-00009, non accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 502
Votanti 495
Astenuti 7
Maggioranza 248
Hanno votato
241
Hanno votato
no 254).

Prendo atto che il deputato D'Elia ha erroneamente espresso un voto contrario mentre avrebbe voluto astenersi.
Prendo atto altresì che i deputati Zanella e Balducci hanno erroneamente votato contro mentre avrebbero voluto esprimere un voto favorevole.
Prendo atto infine che il deputato Locatelli ha erroneamente espresso un voto favorevole mentre avrebbe voluto esprimerne uno contrario.

Seguito della discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni (ore 17,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della mozione Bandoli ed altri n. 1-00041 (Nuova formulazione) sulle iniziative volte a sostenere l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale dell'ONU, della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni (Vedi l'allegato A - Mozioni sezione 1).
Ricordo che nella seduta del 27 novembre si è conclusa la discussione sulle linee generali ed è intervenuto il rappresentante del Governo.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo a completare l'espressione del parere sulla mozione all'ordine del giorno, nel testo riformulato.

PATRIZIA SENTINELLI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, il parere del Governo è favorevole alle premesse della mozione in esame, integrate opportunamente anche nel passaggio di cui al terzo capoverso, che, dopo la parola «indigene», recita: «(...) pur nella consapevolezza Pag. 82che l'attuale dichiarazione non comprende alcune realtà indigene del continente africano».
Peraltro, va ricordata, in questo contesto, anche la novità intercorsa tra la discussione sulle linee generali, svoltasi il 27 novembre, ed il dibattito odierno. La III Commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha accolto l'emendamento, presentato dal gruppo africano, volto a differire l'adozione della Dichiarazione, per dare tempo, diciamo così, ad ulteriori discussioni sul testo. Voglio ricordare a questa Assemblea, in questa importante seduta, ai sottoscrittori della mozione, ma a tutto il Parlamento, che resta fermo l'impegno dell'Italia, insieme ai partner europei, per la ricerca di un consensus che assicuri l'adozione, il più presto possibile, della Dichiarazione dei diritti delle popolazioni indigene da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Con queste precisazioni, rinnovo il parere favorevole sia sulle premesse sia sulla parte dispositiva della mozione, nella nuova formulazione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Bandoli. Ne ha facoltà.

FULVIA BANDOLI. Signor Presidente, ho chiesto di parlare per prima per dare atto al Governo di avere, attraverso la dichiarazione del viceministro Sentinelli, recepito la sostanza dell'insieme della mozione. Peraltro, anche le opposizioni ci hanno fatto pervenire, in questi giorni, rilievi ed emendamenti: l'emendamento che è stato citato, ad esempio, che noi abbiamo ritenuto di accogliere, è stato proposto dall'onorevole Paoletti Tangheroni, capogruppo di Forza Italia in Commissione affari esteri, la quale ha messo in rilievo come sia importante che anche tutte le popolazioni indigene dell'Africa siano comprese nella Dichiarazione.
Certo, quello che è accaduto dieci giorni fa nella III Commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ci preoccupa. Alcuni Governi di paesi africani (come Namibia e Botswana) stanno tentando di allungare i tempi per far saltare, io direi, la Dichiarazione che estende i diritti umani alle popolazioni indigene. Questo ci preoccupa perché i popoli indigeni avevano impiegato tanto tempo per arrivare ad un voto in Assemblea plenaria, che era ormai vicinissimo (mancavano venti giorni); ora, invece, tutto rischia di fallire.
So che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, insieme ai rappresentanti dei popoli indigeni, sta lavorando per cercare di trovare un nuovo equilibrio. Perciò, è molto importante che il voto unitario di tutto il Parlamento italiano e di molti altri Parlamenti europei impegni il nostro Governo non soltanto ad esprimere un voto favorevole, ma anche a fare di tutto, ad adoperarsi, in queste settimane, affinché la Dichiarazione venga approvata nei tempi più brevi dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Voglio anche ribadire che stiamo parlando dei diritti di 370 milioni di persone; quindi, di tante piccole minoranze, ma che insieme rappresentano un numero enorme di popoli e di cittadini, di uomini e di donne che in tutti questi decenni si sono visti privati del diritto a rimanere sulla loro terra, sono stati sfruttati e maltrattati, sono stati sradicati dalle loro culture e dalle loro religioni. Di conseguenza, ad essi spetta un risarcimento e un riconoscimento pieno di diritti che, per altri, sono già da molti decenni riconosciuti. Quindi, mi auguro che il Parlamento comprenda l'importanza del voto che sta esprimendo e che il voto sia unitario: anche alla luce dei contatti che ho avuto con i gruppi di opposizione, che ringrazio fin d'ora per il contributo che hanno offerto anche ai fini della modifica del testo della mozione.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Rampelli, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto, non è presente in aula.Pag. 83
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Francescato. Ne ha facoltà.

GRAZIA FRANCESCATO. Signor Presidente, colleghe e colleghi, noi Verdi sosteniamo con forza questa mozione, di cui è prima firmataria l'onorevole Bandoli, ma che è stata sottoscritta anche dal nostro gruppo (il capogruppo Bonelli ed io stessa vi abbiamo aderito). Riteniamo cruciale l'approvazione della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni, adottata il 29 giugno 2006 dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che sarà sottoposta al voto dell'Assemblea generale speriamo in tempi brevi, nonostante le difficoltà a cui faceva cenno l'onorevole Bandoli. Qualcuno in quest'aula potrà pensare che si tratta di un problema minore, di secondaria importanza, ma non è così. Infatti, la valenza e la forza spirituale della cultura indigena - o di quello che è rimasto, dopo lo scempio che ne abbiamo fatto - ha un'importanza che va molto al di là dei numeri, peraltro scarni, sparuti. Parliamo di 370 milioni di soggetti, ma queste sono le persone che si considerano indigene perché hanno avi, radici, origini indigene, mentre, in realtà, gli indigeni veri e propri non superano i 50 milioni di persone nel mondo. Tuttavia, si tratta di un numero rilevante, per quanto oramai in via di estinzione. Parliamo, infatti, del 10 per cento della popolazione totale del globo: 550 differenti etnie e idiomi, 550 culture diverse, una biodiversità variegata e preziosa, che viene da lontano - molte comunità indigene vivono nello stesso territorio da secoli, da millenni - ma che, purtroppo, non sembra avere un futuro.
Come sapete, nel corso della storia la cultura indigena è stata sottoposta a spaventose devastazioni, a veri e propri genocidi - basti pensare a quello consumato dai conquistadores ai danni delle popolazioni precolombiane dell'America Latina -, genocidi e distruzioni che, purtroppo, continuano in tutto il mondo. Questo è un aspetto oscuro della globalizzazione, sono eventi devastanti che spesso si consumano nel silenzio dei media e nell'indifferenza dell'opinione pubblica. Vorrei soltanto evidenziare il caso della Colombia, che conosco molto bene perché i Verdi e gli ambientalisti inviano ogni anno una delegazione a monitorare la situazione in quel paese, che è un vero e proprio regime sotto il dittatore Uribe. In Colombia ci sono 86 popolazioni indigene, che sono sottoposte a delle vere e proprie «spade di Damocle»: l'attacco ai loro territori ancestrali da parte di multinazionali o gruppi di interesse per impadronirsi di risorse preziose (petrolio, legname, oro, non ultima l'acqua), la distruzione fisica. Vorrei fornire un solo dato: la popolazione Cancuamo della Sierra Nevada di Santa Marta è composta da 12 mila persone; con l'uccisione di chiunque si opponga al regime di Uribe, che avviene ad un ritmo di 200 persone l'anno, nel giro di qualche decennio sarà letteralmente estinta.
Laddove non arriva l'assalto ai territori e la distruzione fisica, c'è, ahimè, l'arma di distruzione di massa della disintegrazione culturale e chiunque di noi abbia lavorato con i popoli indigeni in America Latina o nel resto del mondo sa quanto quest'arma ne abbia eroso l'identità culturale e indigena.
Tuttavia, di fronte a quest'assedio martellante, c'è una reazione positiva, decisa e ferma da parte delle etnie indigene. Da qualche decennio, assistiamo, infatti, ad una riscossa dei popoli indigeni, alla volontà di recupero della propria identità stravolta ed erosa, a cominciare dal riconoscimento del proprio territorio ancestrale; il legame tra identità culturale e madre terra (in America Latina la chiamano la Pachamama) è il dato primario della cultura indigena.
Grazie al cielo, abbiamo assistito e assistiamo al varo e al consolidamento di alleanze di popoli indigeni nelle varie nazioni e continenti. Un lavoro condotto, ovviamente, in prima persona dalle comunità indigene, ma con il supporto di un'ampia costellazione di movimenti ecologisti, difensori dei diritti umani, ONG, senza dimenticare istituzioni internazionali, come l'International Fund for Agricultural Development (IFAD), che opera a Pag. 84sostegno di progetti per le comunità indigene nel mondo e finora ha finanziato più di 954 milioni di dollari in vari paesi del mondo.
Questa azione è oggi rafforzata grazie al neocostituito gruppo di supporto tra le agenzie delle Nazioni Unite sulla questione indigena, presieduto dall'IFAD (vi rimando, a questo proposito, agli atti del meeting annuale che si è svolto a Tivoli, dal 15 al 18 settembre di quest'anno).
Si dovrebbe fare un discorso a parte sulla nostra cooperazione internazionale e nazionale, mirata al sostegno del popoli indigeni, ma non mi voglio dilungare. Si tratta di una questione complessa e delicata, che affronteremo in un altro momento. Mi limito a far rilevare che noi Verdi, da tempo, abbiamo varato anche progetti autonomi di cooperazione (penso ai progetti varati dal nostro capogruppo Angelo Bonelli nell'Amazzonia brasiliana), o a quelli che abbiamo portato avanti in Ecuador, dove, tra l'altro, ha svolto un ruolo molto nefasto, insieme ad altre grandi multinazionali petrolifere, anche la nostra ENI, che ha violato diritti umani ed ambientali senza pensarci due volte e senza, naturalmente, permettere che questo genere di notizia arrivasse nel nostro paese.
Sono progetti che mettono al centro la difesa della natura di madre terra e dei suoi custodi, appunto i popoli indigeni, che, da millenni, sanno come vivere in armonia con gli ecosistemi. Sono loro i nostri veri maestri di sviluppo sostenibile e da loro abbiamo molto da imparare.
Per questo motivo, noi Verdi voteremo a favore di questa mozione e, in questa occasione, rinnoviamo il nostro impegno a tradurre in progetti e strategie concrete i principi contenuti nella Dichiarazione (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Forlani. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FORLANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, risultato di complesse trattative durate molti anni, rappresenta uno strumento di portata storica per il progresso dei diritti e della dignità dei popoli indigeni nel mondo. Essa, infatti, è stata redatta e dibattuta formalmente per più di 20 anni, prima di essere adottata il 29 giugno 2006, in occasione della sessione inaugurale del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. La Dichiarazione sancisce il diritto dei popoli indigeni a mantenere e a rafforzare le proprie istituzioni, culture e tradizioni, nonché il diritto a perseguire la forma di sviluppo più adatta ai loro bisogni e aspirazioni; fa riferimento, tanto a livello individuale che collettivo, ai diritti culturali di identità, al diritto all'educazione, alla salute, alla lingua; afferma che i popoli indigeni hanno diritto di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali, sia come individui che come collettività, secondo quanto riconosciuto dalla Carta delle Nazione Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla normativa internazionale sui diritti umani.
I popoli e gli individui indigeni devono essere liberi ed uguali a tutti gli altri popoli e individui e non devono essere, dunque, discriminati, in alcun modo, nell'esercizio dei loro diritti, in particolare di quelli che fanno riferimento alle loro origini e alla loro identità. La Dichiarazione condanna quindi la discriminazione contro di essi, ne promuove la partecipazione piena ed attiva in tutti gli ambiti che li riguardano nonché il diritto a diversificarsi e a perseguire il proprio approccio in materia di sviluppo economico e sociale.
Diciassette dei quarantacinque articoli della Dichiarazione riguardano la cultura indigena e le relative forme di tutela e promozione, rispettando il diritto dei popoli indigeni ad intervenire a livello decisionale e permettendo l'accesso a varie forme di risorse, come quelle finalizzate all'insegnamento delle lingue indigene.
La Dichiarazione conferma inoltre il diritto all'autodeterminazione dei popoli indigeni, in virtù del quale possono sancire liberamente il loro status politico e perseguire il loro sviluppo economico, sociale Pag. 85e culturale. Ne riconosce i diritti ai mezzi di sussistenza e alle terre, ai territori e alle risorse, nonché il diritto a chiedere un equo e giusto risarcimento se privati dei propri mezzi di sostentamento e di sviluppo. Essi hanno diritto quindi a preservare e rafforzare le proprie differenti istituzioni politiche, giuridiche, economiche, sociali e culturali e, nello stesso tempo, a partecipare attivamente, qualora lo vogliano, alla vita economica, sociale e culturale dello Stato in cui vivono.
Le dichiarazioni delle Nazioni Unite non sono, com'è noto, legalmente vincolanti; tuttavia, se adottata, la dichiarazione assume un valore molto importante di indirizzo politico per i diversi paesi del mondo. La Dichiarazione in oggetto stabilisce parametri importanti nelle relazioni con i popoli indigeni e si rivelerà senza dubbio uno strumento fondamentale per l'eliminazione delle violazioni dei diritti umani nei confronti degli oltre 370 milioni di persone indigene presenti nel mondo, sostenendole nella lotta contro la discriminazione e l'isolamento, favorendo il dialogo e la reciproca collaborazione fra le diverse popolazioni.
Onorevoli colleghi, è questo un momento di grande confusione, nel quale a volte sembrano prevalere tendenze alla chiusura, alla discriminazione, all'esasperazione in senso negativo delle diversità, alla diffidenza e, quindi, al mancato riconoscimento dell'estensione a tutti di certi benefici e di certe opportunità in ordine all'accesso a tutte le risorse e ai diritti fondamentali. Un momento nel quale molto spesso prevale la tendenza alla discriminazione per motivi identitari, etnici e linguistici, nonché ad una diffusa paura della diversità, legata alle tante conflittualità e precarietà che si registrano nel mondo.
Per quanto finora esposto, non posso non dichiarare il voto favorevole del gruppo dell'UDC sulla mozione presentata dalla collega Bandoli, che impegna il Governo del nostro paese a sostenere l'approvazione della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni e ad adoperarsi fattivamente affinché la stessa sia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La collega Bandoli ha anche acconsentito ad una modifica del testo originario, ammettendo che la formulazione avrebbe potuto comportare un'esclusione - da noi non accettabile - di alcune popolazioni dell'Africa nella determinazione dei requisiti necessari per l'individuazione dei popoli indigeni.
Anche a seguito di tale modifica, dichiariamo il nostro voto favorevole sulla mozione in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantovani. Ne ha facoltà.

RAMON MANTOVANI. Signor Presidente, intanto ritengo che il rinvio deciso in sede di Nazioni Unite costituisca un fatto molto grave.
Non è vero che il rinvio è stato deciso per permettere di approntare decisioni che consentano di estendere il contenuto della Dichiarazione anche a popolazioni africane. Vi è un fronte ben preciso che guida i contrari all'approvazione di questa risoluzione, capitanato dagli Stati Uniti e dall'Australia. Seguono poi alcuni paesi che si prestano, anche per interessi specifici, a combattere contro l'approvazione di tale risoluzione delle Nazioni Unite.
La risoluzione delle Nazioni Unite interviene su una questione che è venuta alla luce oramai da alcuni decenni, come correttamente altri colleghi hanno detto. Si tratta del riconoscimento, innanzitutto, dell'esistenza dei popoli indigeni e conseguentemente dei diritti che essi hanno, in qualsiasi Stato-nazione essi si siano trovati a dover vivere dopo le conquiste coloniali da parte del tanto osannato Occidente o, per meglio dire, dei paesi attualmente membri dell'Unione europea.
Negli ultimi anni è venuta alla luce una questione di particolare gravità: una cosa è non riconoscere i diritti culturali, ancestrali, il rapporto con la terra, gli usi e i costumi di popolazioni, diciamo così, lontane dalle metropoli, anche dei paesi colonizzati, Pag. 86e quindi usare nei loro confronti una certa discriminazione, trattarle come cittadini di serie B, come paria, ma comunque, oltre a colonizzarle culturalmente, lasciarle tuttavia sopravvivere nelle terre in cui vivevano. Esiste però un nuovo criterio di sfruttamento introdotto almeno negli ultimi 20 o 25 anni sui territori nei quali abitano queste popolazioni indigene, o buona parte di esse: parliamo dello sfruttamento di certe risorse di primaria importanza come quelle energetiche, e parliamo soprattutto dello sfruttamento di una risorsa che è entrata a far parte del ciclo economico, cioè della biodiversità.
Fa venire la pelle d'oca alla Chiesa cattolica, per esempio, il fatto che il genoma di piante ed animali possa entrare nel ciclo economico come se si trattasse di una materia prima qualsiasi, di una materia prima inerte.
Peccato che molte di queste popolazioni indigene vivono in territori che sono i più ricchi in biodiversità, e sono quindi sottoposte ad un duplice attacco, una duplice minaccia: quella storica, che le discrimina, e quella modernissima, che tende a rimuoverle da quei territori sui quali loro vantano diritti di proprietà, affinché su quelle terre si possa sviluppare appieno questo tipo di sfruttamento.
Queste popolazioni corrono il rischio di sparire, cioè di essere disperse nella loro identità, e di essere espulse dal loro territorio. Ciò ha originato una nuova generazione di lotte per difendere l'identità e i diritti di queste popolazioni indigene. L'esempio più conosciuto in Europa è quello messicano degli Zapatisti, fatto proprio anche da tutto il Congresso nazionale indigeno messicano, che è stato oggetto di una rivolta, che è stato oggetto di una trattativa di pace tra il Governo e gli esponenti della guerriglia, che è stato oggetto di un accordo di pace, accordo di pace che è stato sempre disatteso dai due governi che si sono succeduti, o per meglio dire, dal primo Governo che l'ha firmato e dal Parlamento eletto insieme al Presidente Fox, che ha disatteso quegli accordi.
Oggi la questione rimane irrisolta: insistono su quel territorio gli interessi economici di multinazionali, in gran parte europee, che hanno tutto l'interesse a far sparire dalla faccia della terra queste popolazioni, magari mandandole ad ingrossare le favelas che si trovano nelle grandi metropoli capitali dei paesi del terzo mondo, ed insiste ancora su quei territori una repressione contro qualsiasi forma di ribellione nei confronti di questo destino, che sembra assegnato a tali popolazioni da parte della globalizzazione capitalistica contemporanea.
Ecco perché è un fatto molto negativo che la III Commissione dell'Assemblea delle Nazioni Unite abbia rinviato la decisione ed ecco, altresì, perché è importante, colleghe e colleghi, dire chiaramente che da due legislature tutti noi, tutta questa Assemblea, tutti i gruppi parlamentari conducono una battaglia su tale questione. Questione peraltro portata avanti anche attraverso forme parlamentari inusitate ed inconsuete. Durante il Governo di centrosinistra, dal 1996 al 2001, per due o tre volte il Governo è stato messo in minoranza all'unanimità dal Parlamento sulla ratifica del trattato commerciale e politico dell'Unione europea con il Messico, esattamente perché il Governo messicano non riconosceva il diritto delle popolazioni indigene. Analogamente, nell'ultima legislatura, centinaia di parlamentari, tanto della maggioranza quanto dell'opposizione, hanno assunto e sviluppato iniziative con riferimento al Messico e ad altri paesi, come la Colombia, dove i diritti di questi popoli sono minacciati.
Dunque, nel dichiarare un voto favorevole su questa mozione, nel ringraziare la collega Bandoli per aver assunto l'iniziativa e nel ringraziare, altresì, il Governo per avere fatto propri i contenuti della parte dispositiva della mozione, auspico che il Parlamento continui a sviluppare le iniziative opportune affinché, in un paese o in un altro, vengano per la prima volta pienamente e totalmente riconosciuti i diritti di questi popoli. Mi riferisco anche a quei diritti che sono in contrasto con un altro presunto diritto, quello delle società multinazionali a sfruttare risorse minerarie, biodiversità ed esseri umani. Esseri Pag. 87umani che non hanno alcuna colpa, né con riferimento alla presunta modernità di cui sarebbero portatrici le società multinazionali né, tantomeno, per quanto riguarda il dominio secolare cui sono stati sottoposti dalla cosiddetta civiltà occidentale (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, lo scorso 24 novembre è morto a Vancouver, nella provincia canadese della Columbia britannica, Frank Calder.
Calder era una persona eccezionale; vorrei che oggi, ad un mese e qualche giorno dal decesso, e soprattutto a tante migliaia di chilometri di distanza, lo potessimo in qualche modo ricordare. Calder era il presidente della comunità degli indiani d'America della tribù Nishgas; il suo nome venne alla ribalta alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo in occasione delle rivendicazioni dei nativi d'America sui territori che i bianchi intendevano sfruttare per le attività agricole, industriali ed estrattive.
Guardate, colleghi, che quando il Governo coloniale di sua maestà la regina Vittoria si scontrò con gli indiani di quella remota parte del mondo a metà dell'Ottocento, ebbe almeno la sensibilità e l'accortezza - si fa per dire! - di stipulare con loro dei trattati di pace. In virtù di tali trattati, gli indiani cedevano il diritto di sfruttamento e di stanziamento su enormi porzioni di terra - terra fertile e ricca per il pascolo - e in cambio ottenevano le riserve e piccoli indennizzi.
Con il passare degli anni, gli indiani si accorsero che quei trattati erano la loro prigione; all'interno di quelle riserve, essi vivevano in povertà e nell'ignoranza dei loro diritti e delle cause delle loro malattie. Verso la metà degli anni Sessanta del XX secolo, finalmente cominciarono a prendere coscienza della loro condizione, grazie anche all'opera di alcuni coraggiosi antropologi e avvocati pionieri dei diritti umani, come Thomas Berger.
Fatto sta che, ad un dato momento, la provincia della Columbia britannica volle sfruttare le montagne e le praterie dei Nishgas; Frank Calder si accorse che, per quelle zone, non esisteva un trattato di pace; le autorità canadesi, quindi, ritenevano che per lo sfruttamento di quelle zone non vi dovesse essere alcun indennizzo e che gli indiani non potessero vantare alcun diritto. Ma Calder pensava proprio l'opposto: senza trattato, quelle terre appartenevano ancora ai nativi sicché tutte le industrie, le coltivazioni ed i pozzi dovevano ritenersi motivo di occupazione illegittima dei terreni e quindi di indennizzo.
Le autorità della provincia, comunque, non vollero sentire ragioni. Calder, allora, primo indiano in assoluto a compiere un simile passo, andò da un avvocato, Berger appunto, e citò per danni il Governo della provincia. In primo grado e in appello la sorte non gli arrise: nonostante dibattimenti preparati meticolosamente, prove storiche ed antropologiche inoppugnabili, argomenti giuridici raffinati, le corti di merito dettero torto a Berger ed ai suoi assistiti. Ma persa per persa, Calder decise di portare la sua causa fino ad Ottawa, alla Corte suprema del Canada, a migliaia di chilometri di distanza. Ebbene, colleghi, nel 1973 la Corte suprema del Canada gli dette ragione, riconobbe per la prima volta il cosiddetto titolo aborigeno, vale a dire il diritto originario dei nativi sulla propria terra. Fu una rivoluzione politica, giuridica e culturale. Calder, da quel momento, diventò una personalità imprescindibile per tutti i nativi e, poi, in sostanza, per tutta la Columbia britannica. Divenne il primo indiano membro dell'Assemblea legislativa della Columbia stessa e, poi, membro del Governo provinciale. La giurisprudenza delle corti canadesi, da allora, riconosce il titolo aborigeno e ciò è una garanzia fondamentale per le popolazioni originarie. Nel 1982, con l'adozione della Costituzione canadese, ovvero la Carta dei diritti e delle libertà, è stato introdotto, all'articolo 35, il principio del rispetto dei Pag. 88diritti dei popoli autoctoni, sia per titolo originario, sia per trattato. Del resto, proprio l'istituzione del nuovo territorio del Nunavut, sulla baia di Hudson, testimonia tale attenzione alle popolazioni aborigene.
L'esempio del Canada è, quindi, un bell'esempio, cui sarebbe auspicabile si adeguassero i Governi che hanno a che fare con le minoranze e con popolazioni originarie; penso agli indios dell'America latina; penso al popolo Ùwa in Colombia, oggetto di feroci persecuzioni e sottrazione di risorse, come testimonia Rigoberta Menchu, premio Nobel per la pace; penso anche all'Africa, ancora sotto il giogo della fame e dell'AIDS.
L'Italia dei Valori, signor Presidente, voterà pertanto a favore di questa mozione, che avrebbe già voluto il Governo impegnato a sostenere ed a votare a favore della Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni. Non basterà certamente per sollevare dall'oppressione milioni di persone, ma è un primo passo necessario e noi vogliamo che il Governo italiano contribuisca a compierlo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Carlucci. Ne ha facoltà.

GABRIELLA CARLUCCI. Signor Presidente, preannunzio il voto favorevole del gruppo Forza Italia, perché è, in sostanza, un atto dovuto, in quanto si tratta di una Convenzione delle Nazioni Unite che tutela i diritti delle popolazioni indigene. Si tratta di popolazioni che, in gran parte, a causa della loro organizzazione sociale e delle scelte e dei valori di base attorno a cui hanno organizzato il proprio stile di vita sono talvolta escluse dai processi della globalizzazione. Quindi, tali indigeni sono tuttavia, proprio per tale motivo, portatori di valori di notevolissima importanza per tutta l'umanità, che si sta progressivamente ed inesorabilmente omologando. Sono, evidentemente, un contesto ed una tematica estremamente delicati e sensibili. Si tratta, infatti, di procedere sul filo di un affilatissimo rasoio con il rischio, da una parte, di finire nella logica della riserva e, dall'altra, di far precipitare tali popolazioni in un pericolosissimo degrado, che potrebbe vedere le stesse popolazioni vittime di fenomeni di alcolismo e di droga.
Pertanto siamo consapevoli delle difficoltà di arrivare ad un testo che tenga conto di tutte le istanze delle diverse popolazioni indigene, tuttavia abbiamo rilevato che, così com'era stata presentata, la Convenzione rischiava di escludere una notevole parte di popolazione africana. Le perplessità su tali rischi sono state accolte e fatte proprie dalla relatrice, onorevole Bandoli, fatto del quale noi siamo molto soddisfatti e per il quale la ringraziamo.
Chiediamo pertanto di apporre la nostra firma alla mozione in esame ed annunziamo il nostro voto favorevole.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Bandoli ed altri n. 1-00041, (Nuova formulazione), accettata dal Governo.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 474
Votanti 473
Astenuti 1
Maggioranza 237
Hanno votato
472
Hanno votato
no 1).

Prendo atto che i dispositivi di voto degli onorevoli Cacciari, Cannavò e Mele non hanno funzionato.
Prendo altresì atto che l'onorevole Franceschini ha espresso erroneamente un voto contrario mentre avrebbe voluto esprimerne uno favorevole.

Pag. 89

Seguito della discussione della proposta di legge: Mazzoni: Modifica dell'articolo 15 della legge 3 agosto 2004, n. 206, in materia di benefici per le vittime del terrorismo (A.C. 616) (ore 18,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge di iniziativa del deputato Mazzoni: Modifica dell'articolo 15 della legge 3 agosto 2004, n. 206, in materia di benefìci per le vittime del terrorismo.
Ricordo che nella seduta del 5 dicembre 2006 si è conclusa la discussione sulle linee generali.

(Esame degli articoli - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli della proposta di legge, nel testo della Commissione.
Avverto che la V Commissione (Bilancio) ha espresso il prescritto parere, che è distribuito in fotocopia (Vedi l'allegato A - A.C. 616 sezione 1).
Avverto altresì che l'emendamento Paoletti Tangheroni 1.1 si intende sottoscritto dai deputati Baldelli e Licastro Scardino.
Avverto, inoltre, che la Presidenza non ritiene ammissibili in quanto relativi a materie estranee rispetto all'oggetto del provvedimento, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 89 del regolamento, le seguenti proposte emendative, non previamente presentate in Commissione: Paoletti Tangheroni 1.1, volto ad estendere l'applicazione dei benefici previsti dalla proposta di legge in esame anche ai superstiti degli aviatori italiani vittime dell'abbattimento dell'aereo G222 avvenuto a Sarajevo il 3 settembre 1992; Pedrizzi 1.01, volto a modificare l'articolo 2 della legge n. 407 del 1998 in materia di assegni vitalizi per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

(Esame dell'articolo 1 - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 616 sezione 2), al quale non sono state presentate proposte emendative ammissibili.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Pedrizzi. Ne ha facoltà.

RICCARDO PEDRIZZI. Signor Presidente, è stato dichiarato ammissibile il mio articolo aggiuntivo 1.01?

PRESIDENTE. Il suo articolo aggiuntivo è stato dichiarato inammissibile, quindi non lo può nemmeno illustrare.
Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 471
Votanti 470
Astenuti 1
Maggioranza 236
Hanno votato
469
Hanno votato
no 1).

Prendo atto che il deputato Samperi ha espresso erroneamente un voto contrario mentre avrebbe voluto esprimerne uno favorevole.

(Esame dell'articolo 2 - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 616 sezione 3), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Nessuno chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Pag. 90
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 478
Maggioranza 240
Hanno votato
478).

(Esame dell'articolo 3 - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A - A.C. 616 sezione 4), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Nessuno chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 477
Votanti 475
Astenuti 2
Maggioranza 238
Hanno votato
474
Hanno votato
no 1).

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Benedetti Valentini. Ne ha facoltà.

DOMENICO BENEDETTI VALENTINI. Signor Presidente, intervengo solamente per annunciare il voto favorevole del gruppo di Alleanza Nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Adenti, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto, non è presente in aula.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Licandro. Ne ha facoltà.

ORAZIO ANTONIO LICANDRO. Signor Presidente, intervengo soltanto per annunciare il voto favorevole del gruppo dei Comunisti Italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, sarò molto breve nell'annunciare il voto favorevole dei deputati del gruppo dei Verdi. Per quanto riguarda le motivazioni, rimando all'intervento svolto in sede di discussione sulle linee generali, che quindi non riprenderò in questa sede.
Nel corso del dibattito sulle linee generali avevo interloquito con il sottosegretario Rosato in merito alla fino ad allora mancata applicazione della legge relativamente alle vittime della strage di Kindu, votata dal Parlamento al termine della scorsa legislatura. Vorrei dare pubblicamente atto al sottosegretario Rosato di aver svolto immediatamente gli accertamenti e le verifiche da me richiesti e di avermi trasmesso per suo tramite una nota del Ministero della difesa al riguardo. Si tratta di un atto positivo di interlocuzione parlamentare e credo sia giusto dargliene atto.
Confermo con soddisfazione il voto favorevole dei Verdi a questa proposta di legge che credo il Parlamento approverà in modo unanime.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, vorrei in breve esprimere il voto favorevole del gruppo dell'Ulivo. Osservo solo che questi provvedimenti, da noi approvati rapidamente e in maniera - mi auguro - unanime, hanno il senso di applicare criteri di giustizia sostanziale e di uguaglianza ad una serie di soggetti Pag. 91colpiti da queste gravissime vicende. A mio avviso, proprio la struttura della legge ci consente di rispondere a tali criteri di equità. Lo stesso articolo 2, con cui si dà al Governo il compito di riferire in merito ad altre situazioni possibili, consentirà in una seconda fase al Parlamento di rendere il provvedimento ancora più completo. In proposito ringrazio il relatore, onorevole Giovanardi, che ha voluto indirizzare il dibattito su questo piano. Pertanto credo che il provvedimento possa essere approvato all'unanimità.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.

GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, vorrei soltanto dichiarare il voto favorevole del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.

ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, vorrei annunciare il voto favorevole del gruppo dell'UDC ed esprimere anche il mio compiacimento personale per il voto corale riguardo a questa proposta di legge, di cui sono proponente. Ritengo che si tratti di uno strumento legislativo utile ed importante con il quale si riconoscono i benefici a favore delle vittime del terrorismo, superando la sperequazione che purtroppo il legislatore aveva prodotto con la legge approvata nel corso della precedente legislatura. Soprattutto esso consente di dare un ulteriore segnale di forte attenzione alla domanda ancora sentita nel paese, formulata dai tanti soggetti che hanno subìto ed ancora non vengono ripagati adeguatamente dal nostro Stato. A mio avviso si tratta di un passaggio significativo ed importante. Pertanto, ringrazio la Commissione e l'intera Assemblea per il consenso unanime.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare dichiarazione di voto l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, vorrei annunciare il voto favorevole del gruppo di Forza Italia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, vorrei annunciare il voto favorevole del gruppo dei Popolari-Udeur. Infatti, in questo tempo in cui la paura e l'incertezza determinate dai fenomeni di matrice terroristica incidono profondamente sulla vita degli italiani, lo Stato deve dare un segnale importante, da una parte nel riconoscere a tutte le vittime di tali avvenimenti pari dignità in nome dell'alto valore civile e morale che le accomuna, dall'altro nel dimostrarsi vicino e solidale a tutti i nostri concittadini che per nessun motivo devono sentirsi abbandonati o trascurati di fronte a simili tragedie, ovunque esse avvengano.
Per tutti questi motivi, il gruppo dei Popolari-Udeur voterà a favore di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha chiesto parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Intervengo per annunciare il voto favorevole dell'Italia dei Valori al provvedimento in materia di benefici per le vittime del terrorismo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

PIETRO RAO. Intervengo per esprimere la soddisfazione per il consenso corale registratosi sul provvedimento e per annunciare il voto favorevole del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Piazza. Ne ha facoltà.

Pag. 92

ANGELO PIAZZA. Annuncio il voto favorevole del gruppo della Rosa nel Pugno ed il compiacimento per la larghissima maggioranza, quasi unanimità, che si preannuncia a favore dell'approvazione del testo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Vogliamo dichiarare il nostro voto favorevole e la soddisfazione perché finalmente abbiamo condotto a buon fine questa lunga maratona.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Coordinamento formale - A.C. 616)

PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione finale, chiedo che la Presidenza sia autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
Se non vi sono obiezioni, rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 616)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge n. 616, di cui si è testé concluso l'esame.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni - Applausi).

(Mazzoni: Modifiche dell'articolo 15 della legge 3 agosto 2004, n. 206, in materia di benefici per le vittime del terrorismo) (616)

(Presenti e votanti 477
Maggioranza 239
Hanno votato
477).

Sulla base degli accordi intercorsi, i successivi argomenti all'ordine del giorno per i quali siano previste votazioni sono rinviati ad altra seduta.

Si riprende la discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale n. 648 ed abbinate (ore 18,31).

PRESIDENTE. Riprendiamo l'esame del testo unificato delle proposte di legge costituzionale in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica.
Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta sono iniziati gli interventi per la discussione sulle linee generali.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 648 ed abbinate)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Colleghe e colleghi, la libertà di lingua è certo una delle fondamentali ed incomprimibili libertà dell'individuo. Ognuno ha la sua, quella in cui si riconosce, non solo come strumento di comunicazione, ma anche in quanto tramite di un patrimonio culturale sedimentatosi nel tempo.
Non a caso l'articolo 3 della Costituzione sancisce che tutti cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione non solo di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, ma anche di lingua.
Lingue peraltro non cristallizzate o cristallizzabili, ma soggette ad una naturale evoluzione, nella funzione di rappresentare nuovi oggetti e concetti, e ad un continuo mutamento di ruolo e di importanza, l'una rispetto all'altra, frutto principalmente di fattori economico-sociali. A partire, un esempio classico per tutti, Pag. 93dall'imporsi su tutta la Francia della lingua d'oïl, in quanto lingua della capitale politica, economica e militare, ovvero di Parigi, sulle lingue d'oc e sul francoprovenzale.
Si tratta di un mutamento che oggi si manifesta, quotidianamente, nel linguaggio dell'informatica. Ma non solo: l'uniformazione linguistica è uno degli aspetti che caratterizzano la globalizzazione attuale, con i suoi effetti positivi e negativi. Tali effetti, a volte frutto anche di sudditanza psicologica, pigrizia intellettuale o semplice vezzo, si manifestano nei più disparati settori.
Finanche in questa stessa istituzione, la Camera dei deputati, laddove procediamo - due esempi tra i tanti - allo speech di ammissibilità o al question time, che potremmo benissimo definire in altro modo, conformemente alla lingua italiana.
Tuttavia, al di fuori di questi processi di ordine generale, non vedo, francamente, in atto alcuno specifico attacco al ruolo della lingua di Dante, Petrarca, Boccaccio e Manzoni, sciacquata o meno in Arno, la cui funzione è pacificamente riconosciuta ed apprezzata da tutti. Quindi, sono rimasto un po' sorpreso e sconcertato dall'iniziativa legislativa di alcuni colleghi, che ritengono necessario riaffermare ciò che già è palese. Come rilevato dal collega Zeller, in sede di Commissione, evidentemente lo scopo è un altro. Leggendo la relazione che accompagna le proposte di legge A.C. 648 e A.C. 1571, essa traspare chiaramente laddove ci si riferisce a presunte forti tensioni secessioniste, si paventano rischi di avvilimento e offesa degli elementi identificativi della comunità italiana nel Sudtirolo e ci si propone di prevenire situazioni critiche analoghe, nel momento in cui i più recenti orientamenti autonomisti portassero a valorizzare la lingua o il dialetto di altre comunità minoritarie o di altre aree geografiche.
Francamente, non sentivamo proprio il bisogno di riaprire una discussione sulla questione della lingua e, più generale, sul rapporto tra le minoranze linguistiche e lo Stato, che essa implica, essendo tutti, in questa Assemblea, ben consapevoli, credo, di quante discussioni, contrasti e tensioni vi siano stati in passato, su questo punto. Ogni volta che si parla di lingua, infatti, si toccano inevitabilmente corde profonde. Ci corre l'obbligo, perciò, di ricordare che alcune comunità inserite nello Stato italiano, tra cui la Valle d'Aosta che rappresento, hanno subito un processo di italianizzazione in larga parte frutto non di una naturale evoluzione economico-sociale e demografica ma di precise scelte politiche imposte dallo Stato centrale. Bisogna ricordare che quella regione ha fatto parte, sin dal momento in cui in Europa si sono delineate le differenti lingue neolatine, di un'area linguistica e culturale diversa da quella italiana, come tuttora testimoniano toponimi ed antroponimi, e che ancora alla metà dell'ottocento, come scrisse il deputato al Parlamento subalpino Laurent Martinet ad un suo collega, la quasi totalità dei suoi abitanti non conosceva la lingua italiana e quella francese fu, nelle parole di un illustre valdostano rivolte al ministro Matteucci, «arrachée comme on arrache un arbre, en la déracinant à coup de sape», ovvero brutalmente sradicata a colpi di vanga. Furono precise scelte politiche, un organico piano, cari colleghi, chiaramente delineato, fin dal 1861, in un noto opuscolo di un deputato di Lucca, Giovenale Vegezzi Ruscalla, intitolato: Diritto e necessità di abrogare il francese come lingua ufficiale in alcune valli della provincia di Torino. Ne consiglio vivamente la lettura. L'autore citato scrive, tra l'altro: «Egli ci bisogna scancellare ogni traccia di stranierume dalle scritture italiane; noi, eredi dei Romani, dobbiamo, come essi latinizzarono, italianizzare i nomi dei nostri comuni, torrenti, rivoli, monti regioni». Courmayeur sia dunque tradotto in Cortemaggiore e Chamois in Ciamese.
Queste proposte, come è noto, furono poi effettivamente realizzate, nel 1939, dal regime fascista che proprio sulla questione della lingua mostrò pienamente il suo carattere totalitario, senza timore di cadere nel ridicolo: Courmayeur divenne Cormaiore, Allein divenne Alleno e La Thuile divenne Porta Littoria. Sin dal Pag. 941929, la federazione fascista valdostana aveva sollecitato una speciale azione di epurazione nei confronti di quei direttori didattici ed insegnanti che non si adeguassero alla italianizzazione.
Vi fu persino chi propose di usare il «santo manganello», testuale, verso quei sacerdoti che si ostinavano a predicare nella lingua in cui avevano sempre predicato. Tutto ciò è ben impresso nella memoria storica di quella popolazione.
Il decreto luogotenenziale n. 545 del 7 settembre 1945, che ha cancellato l'obbrobrio dell'italianizzazione dei toponimi e lo Statuto speciale del 1948, che ha parificato la lingua francese a quella italiana, hanno posto parziale rimedio a quella prolungata violenza.
La Costituzione, tra i principi fondamentali, non derogabili, all'articolo 6, ha positivamente riconosciuto il ruolo delle minoranze linguistiche, chiudendo quella pagina negativa della storia italiana. Noi ci auguriamo per sempre.
Per tale motivo, ripeto, non avvertiamo alcuna necessità di riaprire vecchie e dolorose ferite che sono state ricomposte e che è bene lasciare ricomposte, senza alterare, come diceva bene il collega Zaccaria in Commissione, gli equilibri che sono stati raggiunti sulla materia.
Per quanto concerne i presunti pericoli che minaccerebbero l'identità nazionale, riteniamo che, qualora così effettivamente fosse, più che ricorrere a norme quale quella proposta, sarebbe opportuno richiamarsi alla lezione di un grande italiano, Federico Chabod, che, nei suoi studi su L'idea di nazione, poneva l'accento sulla necessità di una consapevole e rinnovata manifestazione di volontà, di quel «plébiscite de tous les jours», nella definizione data da Ernest Renan, che effettivamente rinnova, nella sostanza, l'adesione dei cittadini alla propria comunità, nella tolleranza e nel reciproco rispetto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Menia. Ne ha facoltà.

ROBERTO MENIA. Signor Presidente, colleghi, è nozione comune e condivisa quella che, inizialmente, era solo una deduzione delle ricerche filologiche e cioè che la lingua contiene tutti gli elementi qualificanti la storia e l'identità del popolo che la parla.
Nell'articolazione del linguaggio non vi è soltanto l'espressione del pensiero in termini comprensibili, ma vi si condensano esperienze, relazioni, contatti, abitudini, vicende, aspirazioni e creazioni che, nel loro insieme, rappresentano l'evoluzione secolare di una comunità cioè la sua identità nazionale.
Insomma, la lingua non si limita ad essere un addendo del processo aggregante di una nazione, ma la storia della lingua, ammesso che al Presidente interessi... Presidente, anche se, come noto, nella fase della discussione generale di un provvedimento l'attenzione è quella che è, considerato che si tratta anche di una modifica costituzionale, credo che la questione abbia una sua rilevanza, motivo per cui sarebbe opportuno che lei invitasse i colleghi ad abbassare il mormorio per consentirmi di riprendere l'intervento. Stavo tentando di svolgere un discorso compiuto...

PRESIDENTE. Onorevole Menia, ha assolutamente ragione. Prego i colleghi di manifestare rispetto per i temi che stiamo discutendo.
Prego, onorevole Menia.

ROBERTO MENIA. La lingua non si limita ad essere un addendo del processo aggregante di una nazione, ma la storia della lingua consente di ricostruire la storia dello spirito che informa di sé l'ascesa di un popolo verso la nazione.
Data la stretta connessione tra lingua e nazione, possiamo affermare che, dove c'è unità linguistica, c'è unità nazionale.
L'Italia è uno dei pochi paesi occidentali, in cui la Costituzione non prevede espressamente il riconoscimento della lingua nazionale come lingua ufficiale dello Stato ed è questo un vuoto che va colmato per una pluralità di motivi.
Nel secolo della globalizzazione vanno mantenuti e rafforzati gli elementi identitari Pag. 95che danno un senso comune alla vita della nazione.
Ecco perché, proprio in questa fase, ritengo indispensabile riconoscere il ruolo della lingua italiana quale elemento costitutivo identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità localistiche.
La sottolineatura dell'unità linguistica non è certo, peraltro, in contrasto con la conservazione e la valorizzazione delle tradizioni e delle parlate locali e minoritarie, che vengono, tra l'altro, tutelate dall'articolo 6 della Costituzione, nonché da una specifica, anche recente, normazione ordinaria. Segnalo infatti che, proprio nella parte antimeridiana seduta, è stata ricordata, in più occasioni, la legge sulle lingue minoritarie approvata nel 1999.
L'evoluzione stessa della nazione e la sua proiezione nel tempo a venire, anche e soprattutto tenendo conto delle dinamiche demografiche e delle spinte migratorie, deve trovare un collante ed una ragione propulsiva nella lingua. La lingua comune diviene elemento fondamentale di integrazione. Quanto più la lingua italiana, con il suo portato di valori civili, morali e religiosi, sarà strumento di unione ed integrazione, tanto più potremo guardare con fiducia e speranza al futuro dell'Italia e delle prossime generazioni di italiani.
La vitalità di una lingua è la testimonianza della vitalità di una nazione. Va ricordato, in proposito, quanto scriveva un nobile padre della patria, Gioberti: «Ricordi a chi cale della patria comune, che secondo la comune esperienza, la morte delle lingue è la morte delle nazioni».
Potremmo quindi, in proposito e a contrario, essere sordi alle ripetute sollecitazioni dell'Accademia della Crusca - i cui rappresentanti, tra l'altro, sono stati auditi in Commissione affari costituzionali qualche settimana fa -, tese alla salvaguardia della lingua italiana? Questo non tanto e non solo nella difesa di un «purismo linguistico» e di una tradizione interna, ma anche e soprattutto nella conservazione e nell'espansione di uno spazio europeo ed internazionale.
Vale la pena, in proposito, di citare quanto ebbe a dire, nel luglio 2003, proprio il presidente dell'Accademia della Crusca di fronte alla decisione di escludere l'italiano dalle lingue in cui vengono tradotte le conferenze stampa della Commissione dell'Unione europea, appellandosi al Governo italiano affinché difendesse la nostra lingua in Europa.
Egli, infatti, affermò che: «Le idee che circolano in materia, non solo nell'Accademia, ma nella comunità scientifica dei linguisti italiani non sono affatto ispirate ad una difesa nazionalistica dell'italiano e delle lingue in genere, né a una banale anglofobia. Il nucleo forte della nostra riflessione sul tema è dato dal principio che tutte le lingue dei popoli europei sono un bene culturale fondamentale dell'intera Unione e che, perciò, occorre assolutamente una politica comunitaria delle lingue, per sottrarre la loro gestione al prepotere delle tre "nazioni forti" che, come ha ben detto Galli Della Loggia, tendono a fare dell'Europa una propria riserva di dominio».
Ma l'italiano è anche un bene universale fuori dai confini europei. Voglio qui riportare - pensando anche che per la prima volta, a partire da questa legislatura, abbiamo in Parlamento i rappresentanti degli italiani all'estero - a quanto ebbe a dire nel novembre del 2000, nel corso della Conferenza dei parlamentari di origine italiana, l'allora Vicepresidente del Senato della Repubblica argentina, Antonio Francisco Cafiero: «Possiamo affermare, senza tema di esagerare, che l'Italia non appartiene soltanto agli italiani: appartiene all'umanità intera (...). L'italianità ha saputo trasmettere i suoi valori, retaggi e messaggi lungo i secoli (...). Il linguaggio costituisce l'identità fondamentale di un popolo. Quando un'opera o un autore ci parlano con bellezza letteraria e profondità filosofica delle vicissitudini di un uomo alla ricerca del proprio destino, della complessa mutazione della cultura, dell'energica spinta alla vita attraverso l'arte poetica, ci troviamo senza alcun dubbio alla presenza di un genio delle lettere e della parola. Del poeta di una Pag. 96nazione e di tutte le nazioni. L'imponente presenza di Dante Alighieri e del suo capolavoro, la Divina Commedia, sono proprio questo: un passaporto universale degli italiani che, da secoli, apre le porte di tutte le culture».
Proprio il riferimento a Dante mi dà la possibilità di andare alle radici della nostra identità, così come egli, sette secoli fa, le descriveva nel primo capo del De vulgari eloquentia, scrivendo: «Habemus simplicissima signa», vale a dire: «abbiamo (cioè) alcuni tratti semplicissimi e fondamentali, in quanto agiamo come italiani, tratti di costumi, di abitudini, di lingua, rispetto ai quali si soppesano e si misurano le azioni italiane».
Questo valore unificante della lingua, che preesiste, dunque, alla stessa unificazione statuale dell'Italia, va oggi rinsaldato anche di fronte ad alcuni segnali inquietanti che vengono da alcune parti del territorio nazionale, in cui la centralità della lingua italiana è messa seriamente in discussione.
In alcuni casi, elementi di protezione avanzata delle minoranze nazionali o linguistiche (mi riferisco al cosiddetto bilinguismo) diventano, invece, strumento per l'imposizione di un monolinguismo della «toponomastica al contrario», che cancella l'italiano (Applausi del deputato Biancofiore): ciò succede, da anni, nell'Alto Adige, con il tedesco, ed inizia ora ad accadere anche nella mia Venezia Giulia, con lo sloveno. Infatti, vengono cancellati i toponimi italiani per essere «slovenizzati». Si tratta di un fatto ampiamente conosciuto, da decenni, in Alto Adige: scompare - e lo si riscontra, tra l'altro, dai censimenti linguistici ed etnici - la componente italiana!
In altri casi, invece, orientamenti autonomisti esasperati determinano situazioni in cui si tende a valorizzare la lingua o il dialetto di una comunità minoritaria in antitesi alla lingua comune. Nessuno pensa di dimenticarsene né può negarli. Ma la conservazione di questo patrimonio culturale, storico e linguistico si realizza nella valorizzazione del costume, delle tradizioni, delle fedi, dei canti popolari, nella diffusione locale delle opere letterarie dialettali, nella diffusione più vasta di quelle che assurgono a valore dell'arte, nel sostegno pubblico ad associazioni, circoli, filodrammatiche, riviste che abbiano come fine la preservazione e la divulgazione di quel patrimonio dialettale o linguistico.
È evidente, al riguardo, che le espressioni dialettali possono avere però carattere solo aggiuntivo, e mai sostitutivo, rispetto alle espressioni italiane.
La lingua di Dante ha unito l'Italia e di tutto questo c'è traccia nella tradizione popolare anche parlata di ogni nostro luogo anche dove l'Italia non c'è più.
Penso, ad esempio, a me che porto nel cuore la memoria familiare delle vecchie province orientali, che in Istria si cantava: « Viva Dante, gran maestro de l'italica favella» a Fiume invece: «Difendéla, difendéla questa lingua più del pan, perché Fiume la xe bela finché parla l'italian»; e a Zara si diceva: «Semo fradei! Za me capì, restemo sempre gente del sì!». Anche lontane memorie e anche canti popolari di un'Italia che non c'é più vanno poi alle radici di una tradizione antica.
Ho citato, accingendomi a concludere, queste strofe vecchie di decenni o quasi di un secolo per significare che si può fondere memoria e futuro, tradizione locale e nazionale, piccola e grande patria, unità linguistica e unità nazionale, anzi è questa azione intelligente e meritevole di attenzione da parte del Parlamento tutto.
«Sacralizzare» la lingua italiana, riconoscendola tra i principi della Costituzione all'articolo 12 è, al tempo stesso, riconoscere un patrimonio inestimabile e assieme proiettarlo nel futuro. Come ci insegnava Alessandro Manzoni, «dopo l'unità di Governo, d'armi e di leggi, l'unità della lingua è quella che serve più a rendere stretta, sensibile e profittevole l'unità di una nazione» (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale - Congratulazioni)!

PRESIDENTE È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, i colleghi già nel corso della discussione Pag. 97sulle linee generali hanno ricordato come questo disegno di legge prenda le mosse nella XIII legislatura e continui, di fatto, il suo iter nelle legislature successive, senza però arrivare sostanzialmente ad una conclusione.
La maggiore obiezione che si può fare a questo testo è la seguente: considerato che la Costituzione è un testo abbastanza asciutto, almeno nella sua formulazione tecnico-linguistica, e considerato che i costituenti non avevano ritenuto opportuno inserire l'ufficializzazione della lingua italiana nella Costituzione in quanto la ritenevano scontata, perché oggi nasce questo problema? È un problema inutile. Io credo che la discussione effettuata non solo in questa legislatura sia in Commissione sia in aula, ma anche nelle precedenti legislature abbia dimostrato proprio il contrario. È vero che l'italiano è considerato la lingua dello Stato, ma vi sono paure reali e fantasmi che si annidano là dove si ritiene di poterla costituzionalizzare. Se così è vuol dire che non è innocuo inserirla o meno nel testo costituzionale. A tal proposito vorrei dare innanzitutto alcune risposte ai colleghi che hanno parlato in precedenza. Il collega Russo questa mattina ha detto che vi sono delle lingue che si sono dovute imporre nei loro paesi, come per esempio il francese in Francia come estensione del centralismo parigino, ed altre lingue che hanno avuto un loro riconoscimento generale nei loro paesi, come l'italiano, ma in realtà non è proprio così.
Nel 1870 - ai tempi dell'unità d'Italia -, solo 600 mila italiani conoscevano l'italiano e di questi 400 mila erano toscani. L'italiano attuale, che nasce, come sappiamo tutti, dal fiorentino, si impone per un suo dato culturale e letterario agli altri, ma diventa - questa è l'importanza della lingua in termini identitari - il vero collante (come ha ricordato già il presidente Violante nella relazione) dell'unità d'Italia, del senso identitario di un paese che nasceva. Questo avvenne non solo nel 1870 e nel momento dell'unità, quando l'analfabetismo raggiungeva la percentuale dell'80 per cento, ma anche nell'epoca post-repubblicana. Dobbiamo ricordare che la diffusione capillare dell'italiano si deve soprattutto allo strumento più immediato che arriva nelle case, cioè alla televisione. È la televisione che di fatto diventa la scuola tramite cui gli italiani imparano la loro lingua; essi non si discostano o dimenticano quelli che erano gli idiomi locali, ma imparano la loro lingua, che diventa il collante del senso di comunità nazionale.
Il presidente Violante ha citato Pasolini e quanto egli sosteneva a proposito dell'italiano; si tratta di una parte bellissima, con delle frasi meravigliose: l'italiano come vera istituzione, per cui si innova un senso nazionale; l'italiano come lingua e come innovazione per la creazione di una comunità, anzi per la creazione di una fratellanza.
Questa è la risposta - che deriva forse da anni precedenti - più sensata da dare alle preoccupazioni che oggi in quest'aula esprimeva il collega Russo.
Possiamo ritenere che inserire in Costituzione la previsione che l'italiano è la lingua ufficiale dello Stato costituisca un atto contro qualcuno? Stiamo facendo una norma per creare una barriera per coloro che saranno i nuovi cittadini italiani? È esattamente il contrario! Solo tramite la lingua, solo tramite la conoscenza reale della lingua, chi verrà in questo paese riuscirà realmente ad integrarsi e a sentirsi parte della comunità.
Volevo far riflettere, colleghi, su un fatto che ho notato spesso (forse alcuni di voi se ne saranno accorti): spesso in coloro che vivono nel nostro paese e non sono di origine italiana c'è una ricerca, spasmodica quasi, del vocabolo particolare, della proprietà di linguaggio, che noi italiani, parlando comunemente questa lingua, spesso non abbiamo. Ci si chiede perché esista questa ricerca. La risposta sta nel fatto che alla fine più ci si appropria della lingua e più si aumenta il proprio potere reale all'interno di una comunità. Lo sforzo è massimo. Quindi, credo al contrario che questo inserimento, invece di rappresentare una barriera, possa rafforzare Pag. 98il senso di comunità e di integrazione, favorendo l'abbattimento di una barriera.
Altri ostacoli a questa legge - alcuni palesi, altri posti in essere come polemiche finte, ma reali in quanto echeggiate in quest'aula - nascono da due diverse valutazioni.
In primo luogo, inseriamo nella Costituzione il riconoscimento dell'italiano come lingua ufficiale dello Stato perché in qualche modo vogliamo venir meno a quel principio di riconoscimento delle minoranze linguistiche che è previsto nella nostra Costituzione? In questi giorni mi sono divertita a vedere sui siti Internet un mare di rivendicazioni di associazioni che scrivono cose del genere; addirittura esiste un documento di una associazione per i popoli minacciati! Minacciati dal fatto che il Parlamento italiano scrive in Costituzione che l'italiano è la sua lingua ufficiale! La cosa più strana è - ed intendo rispondere anche al collega Boato - che la proposta di modifica della Costituzione genera preoccupazione proprio in quella popolazione (mi riferisco al Trentino-Alto Adige e all'Alto Adige in particolare) che, stranamente, è l'unica ad avere riconosciuto l'italiano come lingua ufficiale: l'unico testo costituzionale in cui c'è il riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale dello Stato è l'articolo 99 dello statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige.
Sull'ufficializzazione della lingua è stato scritto tanto. Essa è ritenuta una cosa naturale. D'altronde, come abbiamo ricordato in Commissione, è vero che non c'è il riconoscimento esplicito della lingua italiana nella Costituzione, ma è anche vero che la Costituzione italiana è scritta in italiano.
Però, direi che i fantasmi di un possibile ritorno all'indietro sul piano del riconoscimento delle minoranze linguistiche devono essere accantonati come pura demagogia politica. Altro è l'affermazione, voluta, di un monolinguismo straniero in queste zone. In alcune zone del nostro paese riconosciamo pienamente il bilinguismo, vale a dire due lingue che abbiano pari dignità, non una lingua straniera che abbia un ruolo maggiore rispetto alla lingua italiana: parità questo vuol dire; e mi sembra un riconoscimento ampissimo delle garanzie di chi si ritiene minoranza linguistica.
In secondo luogo, devo dare atto ai colleghi della Lega di avere cancellato, oggi, in quest'aula, anche quella che poteva essere una speciosa polemica, sollevata ad arte, relativa ad un presunto accanimento della Lega contro il testo in esame. Invece, l'atteggiamento della Lega è stato corretto nei termini, riconoscibile e condivisibile nei suoi principi. Oggi, la Lega ha detto: è vero che esiste una lingua ufficiale, che è l'italiano, ma esistono anche altre lingue, idiomi e dialetti (sulla cui caratterizzazione anche gli studiosi si dividono; io assumo il termine «dialetto» come lingua che non ha riconoscimento ufficiale). Vogliamo dare un riconoscimento costituzionale a queste lingue? Forse no, forse non serve un riconoscimento costituzionale. Sicuramente, è importante sapere che si tratta di una ricchezza. Al riguardo, mi sia consentito mutuare la seguente frase di De Mauro, che trovo bellissima: «Nel confronto europeo e mondiale c'è qualcosa di fondamentale e specificamente italiano: ed è proprio la tenace e millenaria persistenza delle differenziazioni linguistiche e culturali delle popolazioni che hanno convissuto e vivono in Italia».
Il problema diventa più grave, però, nel momento in cui riconosciamo una localizzazione ed una regionalizzazione. È vero che in alcune aree stabilite, in termini regionali, ci sono specifiche lingue, e che in altre regioni, costruite, in qualche modo, più politicamente che geograficamente comunitarie, troviamo un coacervo di lingue (pensiamo alla Sardegna, che ritiene di avere almeno cinque lingue, alcune delle quali riconosciute come vere e proprie lingue).
Quindi, credo che il tema proposto dalla Lega debba essere necessariamente approfondito ed assolutamente non sottovalutato. Si potrà scegliere se inserirlo o meno in Costituzione, ma ricordiamo che quel patrimonio linguistico è, ripetendo le Pag. 99parole di De Mauro, una delle particolarità, una delle peculiarità, delle grandi caratteristiche del nostro paese da preservare.
Per concludere, colleghi, oggi abbiamo una duplice «guerra» (tra virgolette) da combattere: una interna ed una esterna. Quella interna concerne il fatto che, come popolo, siamo particolarmente permeabili a tutte le innovazioni culturali e, spesso, molto affascinati dall'erba del vicino. Ciò ha portato ad una contaminazione fortissima della nostra lingua. Questo non significa che non dobbiamo conoscerne altre ed utilizzare altri termini.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI CASTAGNETTI (ore 19)

JOLE SANTELLI. Un conto è conoscere dei termini scientifici o tecnici, un altro è ricorrere necessariamente a questi. Semplicemente per rimanere nell'ambito parlamentare, comunemente parliamo di question time e il nostro Parlamento ha approvato una legge sulla privacy. Quindi, molto spesso, pur essendoci dei termini assolutamente italiani corrispondenti a quelli di tipo anglo-americano, scegliamo per comodità quelli anglo-americani. Allora, il riconoscimento in Costituzione può anche dare un orientamento reale soprattutto all'uso pubblico della nostra lingua.
Il secondo punto, più delicato, riguarda invece l'ambito estero e soprattutto quello dell'Unione europea. L'italiano, nonostante sia la diciannovesima lingua parlata in termini quantitativi, è la terza lingua studiata in quanto lingua straniera. Molto è stato fatto, molto può essere ancora fatto per la grande fascinazione che ha non solo dal punto di vista storico, ma anche dell'attualità politico-economica. Teniamo conto che, per esempio, in alcune categorie settoriali merceologiche molte imprese straniere scelgono il marchio con l'indicazione nominativa italiana perché, in qualche modo, il made in Italy, in termini di design in generale, viene considerato di maggior attrazione.
Il problema più grave, l'abbiamo visto negli scorsi anni, riguarda l'Unione europea perché si sta tentando di attestare sempre più un monolinguismo inglese. Difficilmente questo arriverà ad essere attuato pienamente nell'Unione europea, perché la forza nazionalistica della Francia e dei paesi di lingua francofona, soprattutto quelli del Benelux, non accetterà mai che esista esclusivamente la lingua inglese. Quindi, potremmo trovarci nell'Unione europea con una documentazione totale in francese e in inglese, con l'espropriazione totale di altre lingue che hanno pari dignità storica. Di conseguenza, oggi, al di là di quelle che possono essere polemiche in parte desuete in uno stato democratico, quello che possiamo riconquistare scrivendo questa modifica della Costituzione non è un arretramento in nessun principio, anzi, è il riconoscimento ulteriore della nostra identità culturale, storica, di quello che significa anche per noi essere nazione, soprattutto ribadendo - questo mi sembra doveroso - anche l'orgoglio di esserlo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, in questo momento abbiamo recuperato il clima di questa mattina che era significativo perché particolarmente attento, anche se, ovviamente, l'aula non era al completo, come in genere avviene durante le discussioni generali. Era importante recuperare un clima di solennità perché stiamo mettendo mano ad una parte significativa della nostra Costituzione. Non sappiamo quale sarà l'esito di questo nostro primo atto, però devo ringraziare il presidente Violante, che, oltre che presidente della Commissione, questa mattina ha svolto anche le funzioni di relatore. Voglio altresì ringraziare l'onorevole Boato, e mi limito a loro due, non perché non voglia ringraziare tutti coloro che sono intervenuti, ma perché l'onorevole Violante ha indicato, il significato complessivo di questo provvedimento legislativo in veste di presidente e di relatore, mentre l'onorevole Boato ci ha aiutato, Pag. 100come spesso fa nei suoi interventi in quest'aula, a ricostruire la memoria storica di questo percorso. Dico ciò perché, parlando in questi giorni con alcuni colleghi, ho trovato nelle loro espressioni atteggiamenti di una certa sorpresa sul fatto che la Commissione affari costituzionali presentasse in aula un testo di questo tipo, quasi che fosse un'improvvisazione e non vi fosse alle spalle il lavoro di ben due legislature.
Anche se ogni legislatura ha la sua autonomia, il Parlamento, com'è naturale, ha una sua storia. E la storia di questo provvedimento risale alla XIII legislatura. Gli atti, gli interventi dei nostri colleghi sono rintracciabili nei documenti parlamentari ed è utile leggerli, per capire che un certo lavoro non nasce all'improvviso, ma attraverso un approfondito percorso parlamentare.
È importante rispettare questo percorso parlamentare perché, naturalmente, tiene conto di una serie di elementi e a questo tipo di intervento dà non solo la solennità, ma anche un significato, uno spessore, una particolare lettura, un valore.
Allora, dobbiamo cominciare con il dire che affrontiamo un percorso di revisione costituzionale. Anche nel dibattito di questa mattina alcuni colleghi hanno riprodotto la preoccupazione già espressa in altre sedi di non toccare la Costituzione, soprattutto la prima parte.
Navigando nel sito della Corte costituzionale, si constata che la Costituzione è stata modificata, con riferimento a diversi articoli, 37 volte e che sono state approvate, non le ho contate bene, 34 o 35 leggi costituzionali, che hanno toccato la nostra Costituzione o che, comunque, l'hanno integrata, dettandone significativi complementi.
All'articolo 10 - lo dico per coloro che si preoccupavano della possibilità di toccare i primi articoli -, laddove si stabilisce che non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici, nella nota, si specifica che l'articolo unico della legge costituzionale 21 giugno 1967, n. 1, stabilisce: «L'ultimo comma dell'articolo 10 e l'ultimo comma dell'articolo 26 della Costituzione non si applicano ai delitti di genocidio».
È vero che dobbiamo stare molto attenti nel momento in cui tocchiamo certe parti della Costituzione, ma, non possiamo neppure considerarle assolutamente intoccabili. È eccessivo (mi sembra che l'abbia ricordato molto bene questa mattina Boato) negare perfino la possibilità di «aggiungere» alcune norme di principio. Questi sono limiti che non hanno senso, neanche alla luce dei recenti referendum in materia costituzionale. Il popolo ha detto «no» a modifiche che riguardino parti significative, fatte con maggioranze non sufficientemente ampie. Da un diverso punto di vista, si può dire che singoli punti della Costituzione, possono essere ben modificati con il conforto di ampie maggioranze.
Né mi preoccuperei del fatto che questa proposta provenga da alcuni colleghi di Alleanza Nazionale, che l'anno presentata in altre legislature. Quello della revisione costituzionale e delle leggi costituzionali è il terreno sul quale bisogna trovare larghe intese. Non è detto che le motivazioni siano le stesse da parte di coloro che concorrono da diverse parti alla modificazione delle norme costituzionali! Quello che è importante è che ci si trovi d'accordo su un determinato testo e su una certa formulazione, con motivazioni che possono venire da culture diverse. Questo è il significato di un lavoro corretto intorno alla Costituzione, altrimenti non arriveremo mai all'obiettivo, che ci siamo proposti, di arrivare a larghe intese.
Vorrei dire anche che l'inserimento della lingua italiana nella Costituzione, certamente, non è stato pensato e neanche molto dibattuto al momento della formazione della Costituzione tra il 1946 ed il 1948: quella non era la stagione.
Probabilmente, un certo modo di rapportarsi alla lingua, tipico del periodo precedente, ha condotto i costituenti a preoccuparsi maggiormente della valorizzazione delle minoranze. In ogni caso, si tratta di una giustificazione di quel momento Pag. 101storico, che non può essere considerata quale motivazione valida in ogni, anche diverso, momento storico.
Del resto, il collega Boato ha ricordato le altre Costituzioni nelle quali vi è un riferimento alla lingua ufficiale dei singoli paesi espresso con formulazioni diverse: la Francia ad esempio ne adotta una, la Spagna ne adotta una diversa, l'Austria fa riferimento alle garanzie delle minoranze linguistiche, in considerazione della propria articolazione sociale. Proprio la formazione dell'Europa (la Francia ha inserito la norma dopo il Trattato di Maastricht) rende plausibile che nelle diverse comunità nazionali questo riferimento, che al momento della formazione della Costituzione non appariva attuale, diventa estremamente significativo. Come a rendere esplicito il fatto che l'Europa si forma quale momento di sintesi di una pluralità di apporti diversi. Ecco perché dobbiamo tener conto che vi possono essere contingenze storiche che rendono indispensabile una norma che magari anni prima non era altrettanto importante.
Quando ho partecipato ai primi dibattiti in Commissione su questo argomento, anch'io ero agitato da alcune preoccupazioni e riserve, che probabilmente facevano parte di una sorta di retaggio e di pregiudizio che spesso accompagna ciascuno di noi nel momento in cui affronta una discussione nuova.
In quell'occasione, è sorta in materia del tutto spontanea la necessità di ascoltare i professori dell'Accademia della Crusca. Quell'audizione è stata per me estremamente illuminante.
Le pagine scritte dai professori Sabatini, Maraschio e Coletti - tra l'altro scritte in un perfetto italiano -, le raccomando alla lettura di tutti i colleghi, in quanto contengono parti estremamente significative.
La prima parte riguarda le premesse generali di storia linguistica italiana. Qui, attraverso pochissime parole, viene fornita una sintesi superba dell'evoluzione del processo linguistico - da Dante fino all'epoca contemporanea - visto, dapprima dal basso, attraverso il percorso dei dialetti fino a giungere al riconoscimento della lingua ufficiale e poi, dall'alto, in un percorso nel quale si evidenziano alcuni canoni significativi per l'identificazione di una lingua nazionale: la disponibilità ad una forma scritta, la formazione e l'accettazione di una norma esplicita sufficientemente univoca, il possesso di strutture sintattiche e di patrimonio lessicale, l'adeguatezza agli usi ufficiali, la capacità di confronto e corrispondenza con altre lingue in ambito internazionale.
Ma vi è una conclusione, in questa prima parte, che vorrei soprattutto ricordare perché mi pare molto importante: «A conclusione di questa rapida ricostruzione della storia linguistica d'Italia, va messo in piena luce un dato essenziale; diversamente da quanto accaduto negli Stati che, costituitisi come tali per tempo, hanno potuto affiancare e promuovere, con azioni politiche, il processo di formazione di una lingua nazionale, nel caso italiano è stata proprio l'esistenza costante ed indiscussa di una lingua unitaria di robusta cultura che ha preparato la successiva riunificazione politica ed ha permesso anche di individuare lo spazio del nuovo Stato».
Mi soffermerò poi sulla seconda parte del testo ma voglio intanto sottolineare ancora il particolare significato assunto dalla lingua italiana con riferimento alla costruzione dell'unità del paese.
Avviandomi alla conclusione del mio intervento, vorrei chiarire che noi abbiamo riflettuto attentamente su come articolare questo testo. Naturalmente, si discuteva della lingua italiana come lingua ufficiale e, al riguardo, ricordo che ci è stato consigliato di utilizzare la formula: l'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Quindi, rifuggendo da qualsiasi volontà normativa sulla lingua, si intendeva in tal caso utilizzare il riferimento alla stessa per affermare un principio importante che è poi quello sul quale hanno richiamato l'attenzione i professori della Crusca.
Ma al riguardo vorrei riprendere le considerazioni svolte questa mattina dal presidente Violante circa il delicato punto Pag. 102di equilibrio tra momenti unitari e momenti di articolazione ed anche disgregazione possibile in una comunità complessa. Vorrei osservare che, in fondo, tale tipo di aspirazione è contenuto nell'articolo 5 della Costituzione, laddove si riconosce, in un'unica disposizione - che reca una delle norme più raffinate dell'intero testo costituzionale -, l'equilibrio tra l'unità e le «autonomie». A mio avviso, ancor più che nell'articolo 6 della Carta sulle minoranze linguistiche - cui farò riferimento tra breve -, è qui che è contenuto il momento fondamentale della nostra sintesi.
Il testo in esame, peraltro, oltre a recare la formula secondo la quale «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica (...)» poteva teoricamente contenere un riferimento alle minoranze, come fanno la Costituzione austriaca o altre Carte. Anzi, taluno aveva proposto, nel corso del dibattito, di inserire appunto nell'articolo 6 un tale riferimento; sotto il profilo logico sarebbe stato abbastanza comprensibile perché l'articolo 6 parla di minoranze linguistiche ed ha esattamente il seguente tenore: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche». Come ha osservato l'onorevole Boato questa mattina, noi ci siamo posti il problema del significato che avrebbe assunto l'inserimento nell'articolo 6 di un «cappello» concernente la lingua italiana, così formulato: «La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica». Anche se quella sembrava la sedes materiae ideale, si sarebbe corso il rischio di frenare tutta l'interpretazione sviluppatasi intorno all'articolo 6. Un'interpretazione ricchissima nella dottrina costituzionalista, e non solo; nell'articolo 6, infatti, si è letta non solo la tutela delle minoranze linguistiche ma quella, anche, delle «diverse» minoranze esistenti. Quindi, un concetto molto più ampio che non quello puramente letterale compreso all'interno del nostro perimetro nazionale.
Ci siamo dunque posti il problema - e l'onorevole Boato ha dato la risposta adeguata - di operare una più discreta aggiunta all'articolo 12 della Carta. L'onorevole Franco Russo ha dichiarato che però si sarebbe «toccato» l'articolo 12; vorrei al riguardo invitare l'onorevole Franco Russo e gli altri colleghi presenti in questa sede a verificare, sui testi e sui commentari di diritto costituzionale, lo spazio dedicato all'articolo 12. Anzi, vorrei aggiungere in maniera più diretta che per lunghi anni molti costituzionalisti leggevano con un certo imbarazzo questo articolo, ritenendo che il riferimento alla bandiera fosse difficilmente commentabile e scarsamente significativo. Certamente, poi, il valore di tale articolo è stato via via costruito, grazie anche all'impegno del Presidente Ciampi nel suo settennato diretto alla valorizzazione del significato della patria, dell'unità nazionale e di tutti questi simboli. Ha quindi acquisito con il tempo un maggiore consenso e una maggiore giustificazione.
Oggi si aggiunge un altro valore simbolico in tale articolo. Vorrei dire che non sono affatto d'accordo con la ricostruzione fatta dall'onorevole Franco Russo, nell'affermare che la Costituzione si rivolge o a tutti o ai cittadini. Nei primi articoli della Costituzione vi sono norme che hanno un altro riferimento. L'onorevole Franco Russo ha parlato di maggioranza. Certo, ci sono norme che possono tener conto delle maggioranze. L'articolo 7 della Costituzione parte dal riconoscimento che vi è un ordinamento particolare per una religione che ha un seguito maggioritario nel paese. Certo che, poi, vi è anche l'articolo 8, che equilibra tale disposizione con l'eguale libertà. È chiaro che il riferimento alla bandiera è un simbolo che riguarda i cittadini tutti, più che gli stranieri, ma credo che anche i migranti che vengono nel nostro paese per risiedervi a lungo, accettino, nella misura in cui vogliono vivere in questo paese, anche quelli che possono essere considerati i valori simbolici di questo paese. Quindi, non mi preoccuperei di tale fatto. La Costituzione non mi pare che dica le cose che stamattina l'onorevole Franco Russo tendeva a farle dire.
Vorrei concludere citando la parte finale dell'audizione dei professori dell'Accademia della Crusca. Questi ultimi sono Pag. 103letterati, non sono giuristi, ma non credo che le leggi, soprattutto quelle costituzionali, non debbano essere fatte dai soli giuristi, anzi vorrei dire (un po' per scherzo e un po' no) che questi ultimi debbono essere tenuti a discreta distanza. Coloro che «maneggiano» la lingua possono, in qualche modo, dare un contributo certo in questa direzione e su questo tema, non decisivo, ma un contributo. «L'inserimento in Costituzione, nell'articolo 12, della menzione dell'italiano come lingua ufficiale è un gesto opportuno e auspicabile, perché riconosce e sintetizza una realtà di fatto secolare, voluta e condivisa da tutte le aree culturali del nostro paese e non può, in nessun modo, essere inteso come un atto di imposizione, un gesto di separazione, da nuclei di popolazione portatori di altre tradizioni linguistiche» e, vorrei aggiungere, culturali.
L'inserimento di tale menzione trova anche altri motivi a suo favore; aiuta innanzitutto una larga parte della popolazione che nel nostro giovane Stato è meno a conoscenza dei fatti storici e culturali che sono stati prospettati nella prima parte di questo documento; opera positivamente sui responsabili dell'istruzione scolastica e delle attività di formazione del personale destinato alla scuola; sostiene i responsabili della comunicazione istituzionale (ne parlava l'onorevole Santelli) e dei grandi mezzi di comunicazione; indirizza i responsabili di ogni azione politica estera, specialmente nel sedi europee, nelle quali è quotidiano il confronto con la pressione di altre lingue che tendono a togliere spazio all'italiano.
Tutto questo lo dicono i professori di storia della lingua. Potrà anche essere una visione discutibile, ma il significato in chiave europea è chiarissimo: si partecipa ad un processo di questo tipo anche forti delle proprie esperienze.
Vorrei ancora citare alcuni passi che mi paiono significativi: «Nel dibattito parlamentare» - e questo è un discorso che ci riguarda direttamente - «che ha preceduto i lavori di questa Commissione ci si è spesso chiesti come mai i costituenti non ritennero di inserire il riconoscimento della lingua ufficiale già nella Carta originaria. La risposta sta nella scarsa urgenza del problema in quel momento storico, nel carattere incontestato e pacifico dell'affermazione di quanto ora si richiede e anche, si può pensare, nell'opportunità di non marcare troppo un tratto che il nazionalismo precedente aveva esasperato, tanto è vero che si ritenne» - lo dicevo poc'anzi - «di inserire in Costituzione la tutela delle minoranze linguistiche. Ciò che allora poté sembrare superfluo e inopportuno oggi, invece, appare necessario, perché le questioni linguistiche hanno acquistato una centralità prima impensabile e le lingue dei grandi paesi hanno bisogno di acquisire una più precisa riconoscibilità».
Dunque, noi abbiamo inserito questa formulazione: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica, nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali».
Non vorrei essere immodesto, poiché quel testo l'abbiamo proposto assieme al collega Boato.

MARCO BOATO. Ma l'hai scritto tu!

ROBERTO ZACCARIA. In ogni caso, ci siamo posti il problema di inserire in Costituzione un riferimento alla stessa Costituzione.
Non è una novità. In altre norme della Costituzione (ad esempio nell'articolo 1) vi sono riferimenti alla stessa Costituzione. Se noi ci fossimo limitati alle sole minoranze linguistiche, avremmo dettato una norma importante e necessaria; ma abbiamo voluto fare di più. Abbiamo voluto dire nel rispetto di tutte le garanzie previste dalla Costituzione, compreso soprattutto l'articolo 3 che parla di ogni minoranza e che, quindi, fa salva la ricchezza plurale e culturale acquisita dal nostro paese. Con il richiamo alla lingua italiana non c'è alcun tipo di imposizione.
Per sottolineare tutto questo, vorrei ancora richiamare le conclusioni dei professori della Crusca. «L'affermazione decisa e nitida posta nell'articolo 12, secondo cui l'italiano è la lingua ufficiale della Pag. 104Repubblica, rappresenterebbe il pieno riconoscimento, a distanza di 700 anni, della visione che Dante aveva già offerto della nostra lingua allora nascente, come lingua non imposta da poteri autoritari, ma nata per consenso degli spiriti nobili della »nazione« culturale e accolta e coltivata dappertutto in essa come principio di unione interna, veicolo di cultura nel mondo, forma concreta di rispetto delle diversità» (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Adenti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ADENTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la nostra Carta costituzionale è un preziosissimo patrimonio che siamo tutti chiamati a valorizzare e difendere - patrimonio che condensa i valori, i principi e la tradizione di civiltà del nostro paese -, ma allo stesso tempo essa deve esser intesa quale testo dinamico, capace di interpretare le evoluzioni che lo sviluppo storico e culturale e il mutare delle condizioni sociali e politiche del nostro paese determinano.
Così com'è avvenuto di recente sul tema dell'abolizione della pena di morte, anche oggi, discutendo delle proposte di legge sulla modifica dell'articolo 12 della Costituzione in materia di lingua ufficiale della Repubblica, ci troviamo di fronte ad un improcrastinabile intervento di modifica costituzionale.
La questione dell'ufficialità della lingua italiana non fu un tema centrale dell'Assemblea costituente; il dibattito di allora dimostra chiaramente come in quella precisa fase storica, da una parte, si considerava il tema della lingua ufficiale come un'ovvietà indiscutibile e, dall'altra, vi era una chiara volontà di non marcare un tratto che il nazionalismo linguistico fascista aveva esasperato.
Oggi le condizioni relative a questo argomento sono radicalmente cambiate. Infatti ci troviamo di fronte a due fenomeni che non possiamo omettere di considerare discutendo su questo tema. Gli anni più recenti ci hanno posto dinanzi a due fenomeni opposti, ma coesistenti: intendo cioè i fenomeni della globalizzazione e, di contro, dell'affermazione dei localismi. Due dinamiche socioculturali strettamente connesse tra di loro. Da una parte, la globalizzazione culturale determinata dai sempre maggiori contatti tra sistemi culturali differenti, dalla contaminazione sempre maggiore tra culture in virtù di sempre più facili, immediate e dirette relazioni tra individui - pensiamo ai grandi cambiamenti avvenuti nel campo della comunicazione, della mobilità, degli scambi e delle relazioni economiche, ma anche a fenomeni come quello dell'immigrazione che, certamente, ha favorito processi di scambio culturale -; dall'altra, una, forse inevitabile, difesa in questo clima da tutto ciò che si presenta come eterogeneo rispetto al proprio sistema culturale, una chiusura rispetto a tutto ciò che è diverso da se stessi. Un atteggiamento difensivo, che passa anche per processi di riscoperta profonda delle proprie origini e tradizioni nell'intenzione di preservare i caratteri precipui della propria identità.
Il tema della lingua nazionale dunque non può essere analizzato se non a partire da questi due fenomeni che interessano l'evoluzione culturale e sociale del nostro paese.
Dobbiamo chiederci che senso abbia oggi procedere alla costituzionalizzazione di un principio che, già presente in effetti nell'ordinamento, stabilisce il ruolo della lingua italiana quale elemento costitutivo identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità localistiche. Da una parte, infatti, tale provvedimento potrebbe essere interpretato come miope, di fronte ad un mondo che si muove verso la globalizzazione, un patetico intervento legislativo vòlto ad affermare un'identità locale. Dall'altra, esso potrebbe sembrare un intervento destinato ad arginare possibili degenerazioni localistiche interne e tentativi di porre in contrapposizione l'identità nazionale del nostro popolo con le tradizioni storiche e culturali locali.
Noi Popolari-Udeur riteniamo che costituzionalizzare questo principio sia un atto dovuto a tutela del patrimonio storico Pag. 105e culturale del nostro paese, anche alla luce della pregnante autonomia riconosciuta alle regioni in materia di istruzione e cultura, ai sensi del nuovo articolo 117 della Costituzione. Infatti, non possiamo in alcun modo dimenticare il significato storico e politico che, sopratutto in epoca risorgimentale, la ricerca e la formazione di una lingua comune a tutti gli italiani ha assunto nella costruzione della nostra coscienza nazionale, intesa come senso di appartenenza ad un'unica nazione, erede di una storia e di una civiltà comuni, benché soggetta a frammentazione locale nel corso dei secoli passati. Ne consegue la necessità di preservare questo elemento di comunione, simbolo, al pari del tricolore, dell'unità e dell'indivisibilità della Repubblica, solennemente affermate dall'articolo 5 della Costituzione. Quest'ultima necessità si impone sia rispetto alle eccessive possibili spinte localistiche, sia rispetto all'importanza di affermare, attraverso il riconoscimento della lingua nazionale, il carattere specifico dell'identità italiana, nell'ambito di un processo di globalizzazione culturale.
Inoltre, crediamo che tale provvedimento, così come risulta al termine dei lavori della Commissione, in nessun modo voglia recare pregiudizio all'identità delle minoranze linguistiche. Il dibattito su questo tema nell'Assemblea Costituente, infatti, si concentrò proprio sulla tutela delle minoranze linguistiche. Il risultato si tradusse nell'articolo 6 dell'attuale dettato costituzionale. Tale principio in nessun modo deve e può essere messo in discussione. In questo senso, si condivide pienamente quella parte del progetto di legge ove si dice espressamente che il riconoscimento della lingua italiana quale lingua nazionale avviene nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
Infine, crediamo che in materia debba anche essere sollecitata, prendendo spunto da questa proposta di legge costituzionale, una significativa azione politica di affermazione del ruolo della lingua italiana nel contesto dell'Unione europea, di cui siamo parte e tra i paesi fondatori, auspicando in tal senso un'azione che sostenga il ruolo della lingua italiana accanto alle altre lingue dei principali paesi europei, in particolare di quelli fondatori.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 648 ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il presidente della I Commissione, onorevole Violante.

LUCIANO VIOLANTE, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, replicherò molto rapidamente. Lei ha avuto la ventura di assistere, tanto questa mattina quanto questa sera, all'intera discussione sulle linee generali del provvedimento in esame. Pertanto, avrà notato come gli interventi abbiano avuto una caratteristica non rituale.
L'onorevole Boato ha compiuto una ricostruzione assolutamente intelligente ed utile delle vicende della lingua italiana, dalla Carta costituzionale ad oggi. L'onorevole Cota ha espresso la posizione della Lega Nord, più favorevole alla costituzionalizzazione degli idiomi locali piuttosto che della lingua italiana. Vorrei dire qualcosa all'onorevole Franco Russo, anche se ora non è presente. Egli ha sostenuto una posizione presente all'interno della sinistra, che contesta il ricorso a simboli ed elementi di carattere nazionale. L'onorevole Nicco ha fatto suo il riferimento proprio della regione di confine e delle minoranze linguistiche. L'onorevole Menia ha riprodotto un dato di neo-nazionalismo linguistico, proprio di alcune vicende di confine, troppo spesso ignorate nella nostra storia nazionale ma che hanno radici assolutamente rispettabili. L'onorevole Jole Santelli ha fatto riferimento ad una posizione abbastanza diffusa nel nostro paese. L'onorevole Zaccaria, da costituzionalista e politico insieme, ha legato questi due aspetti, facendo riferimento a quello che è stato il contributo di grande intelligenza Pag. 106ed interesse fornito dal presidente dell'Accademia della Crusca e da altri, chiedendo loro che vi fosse una costituzionalizzazione della lingua come primo elemento dell'identità di questo Paese, che precede la nazione e lo Stato.
Si nasce prima come produttori di lingua e poi come soggetti con una propria identità nazionale in questo paese. Storia del tutto diversa hanno avuto la Francia, la Spagna ed altri paesi dove la lingua è stata imposta dallo Stato e dal Governo e, in genere, dal sovrano. La nostra lingua è stata invece costruita nelle relazioni culturali, di commercio e anche di fede.
In questo quadro, signor Presidente, devo aggiungere un argomento a favore del provvedimento in esame, che prima non ho citato e che mi viene dall'intervento svolto dal professore e collega Zaccaria: oggi non siamo più nell'orto chiuso degli Stati nazionali in cui l'identità linguistica poteva apparire una rivendicazione nazionalistica in senso deteriore, ma in una scacchiera in cui ci misuriamo con Stati che fanno di tutto ciò che costituisce la loro prerogativa identitaria un punto di forza nella competizione internazionale. Molti di questi Stati hanno inserito il riconoscimento della loro lingua in Costituzione e si battono, qualche volta persino con aspetti che ci fanno sorridere. Penso ai francesi quando chiedono di tradurre «computer» in «ordinataire» o a qualche altro esempio di questo genere, perché devono essere usati termini francesi, per alcuni aspetti, con qualche eccesso.
In ogni caso, il rivendicare l'identità linguistica non è un fatto di chiusura nazionalistica, ma mette sul terreno un altro elemento di competizione con gli altri Stati. Credo che quest'ultimo sia un dato non secondario per quanto riguarda anche la nostra cultura. Se quest'ultima non è una lingua che è capace di trasmettersi, quella stessa cultura rimane chiusa nei recinti nazionali.
Noi scontiamo un grave errore commesso negli anni Cinquanta, quando non abbiamo guardato al Sud America come luogo in cui vi era una grande maggioranza di italiani che avrebbe potuto parlare la nostra lingua. La Spagna fece una scelta diversa, e quel continente, che avrebbe potuto parlare italiano, adesso parla spagnolo.
Allora, credo che sarebbe utile, signor Presidente - e concludo -, che una proposta di questo genere, che riguarda i principi fondamentali sui quali tanti colleghi si sono sperimentati e hanno proposto idee, approfondimenti e anche passione - mi riferisco all'intervento del collega Menia, in particolare, ma non solo lui -, venisse adottata con il più ampio consenso possibile.
Credo che vi sia bisogno ancora di un momento di riflessione perché abbiamo assistito a due rivendicazioni di opportunità di questa legge su fronti completamente diversi: mi riferisco al collega Menia, per un verso, e al collega Zaccaria, per l'altro. Si tratta di argomenti diversi, ma non contrapposti.
Sarebbe particolarmente utile che vi fosse un approfondimento ulteriore e che attorno ad esso si riuscisse a costruire una modifica e un'integrazione dei principi fondamentali con un consenso molto largo in questo Parlamento. Dunque, credo che abbiamo bisogno ancora di un momento di riflessione.
Valuti lei, nella sua discrezionalità e con il Presidente della Camera, se non sia il caso di prenderci ancora un po' di tempo, per poter riflettere anche nell'ambito dei gruppi parlamentari e poter arrivare a proposizioni non pedisseque rispetto a decisioni prese dalla dirigenza complessiva dei gruppi medesimi, ma veramente sentite come integrazioni. Questo riguarderà poi altri argomenti come la scuola e anche, credo, i rapporti con l'estero. Ci stiamo battendo perché in molti paesi stranieri vi siano scuole di italiano, perchè riteniamo che questo sia un importante veicolo di cultura, di prodotti e, se vogliamo utilizzare questo termine, di intelligenza nazionale.
Allora, signor Presidente, io le chiedo in conclusione, sapendo che i colleghi di Alleanza Nazionale hanno fatto propria la proposta che questo provvedimento venga inserito in calendario, in quanto anche essi si rendono conto che sarebbe utile che Pag. 107esso abbia il più largo consenso possibile, di valutare, d'intesa con il Presidente della Camera, l'opportunità che l'esame del provvedimento continui non nella seduta di domani, ma sia differito alla ripresa dei lavori dopo la pausa di fine anno.
Nel frattempo ciascun gruppo potrebbe mettere a punto una sua posizione per fare in modo che in questa Assemblea non vi sia un clima di rivendicazione e di scontro, ma un clima che permetta di pervenire al più largo consenso possibile su una parte certamente rilevante della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Lei mi insegna, presidente Violante, che, trovandoci ora in sede di discussione sulle linee generali, non possiamo assumere alcuna determinazione. L'esame del testo unificato di queste proposte di legge costituzionale è stato inserito nel calendario per decisione della Conferenza dei presidenti di gruppo; nella seduta di domani l'Assemblea potrà eventualmente decidere al riguardo accogliendo le sue valutazioni, che mi paiono molto serie e convincenti.
In altri termini, nella seduta di domani si procederà al seguito della discussione di questo provvedimento e si potrà assumere una decisione su quanto da lei osservato, sempre in conseguenza di una sua proposta, al pari di quanto oggi è accaduto in relazione ad altra materia.
Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 13 dicembre 2006, alle 9,30:

(ore 9,30 e al termine dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata)

1. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
PECORELLA*; FORGIONE e DANIELE FARINA; DE ZULUETA ed altri; SUPPA ed altri: Introduzione dell'articolo 613-bis del codice penale in materia di tortura (915-1206-1272-1279-A).
- Relatore: Pisicchio.

*In data 5 ottobre 2006 il deputato ha ritirato la propria sottoscrizione alla proposta di legge.

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge costituzionale:
ANGELA NAPOLI; LA RUSSA ed altri; BOATO; ZACCARIA ed altri: Modifica all'articolo 12 della Costituzione in materia di riconoscimento dell'italiano quale lingua ufficiale della Repubblica (648-1571-1782-1849-A).
- Relatore: Bocchino.

3. - Seguito della discussione della mozione Realacci ed altri n. 1-00006 sull'istituzione della giornata internazionale del volontariato europeo nel giorno dell'anniversario dell'alluvione di Firenze.

(ore 15)

4. - Svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

(al termine delle votazioni)

5. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali (1955).

6. - Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
S. 960 - Disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e Pag. 108delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le università (Approvato dal Senato) (1961).

e delle abbinate proposte di legge: ANGELA NAPOLI; APREA ed altri (1399-1614).

La seduta termina alle 19,45.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO PRONUNZIATO DAL DEPUTATO FEDERICO PALOMBA IN SEDE DI DELIBERAZIONE PER LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

FEDERICO PALOMBA. Voglio sperare che questa Camera rivendichi con orgoglio anche in questo caso la propria autonomia, e non solo quando è chiamata a votare testi blindati. Riprendiamoci la nostra dignità: le sensibilità cambiano, e bisogna re-interpretarle; e le elezioni servono anche per una loro verifica.
Perciò confido che quanti si sono prima astenuti vogliano ora decidere di rispettare chi è offeso, cioè i Carabinieri ed il comandante Garofano, e non di difendere chi pensa di poterli impunemente offendere, anche per rispetto verso chi nel 2005 si battè valorosamente contro la delibera di insindacabilità e si vedrebbe ingiustamente smentito da una odierna delibera di costituzione a difesa dell'imputato di diffamazione.
Va da sé, infine, che costituendosi nel giudizio la Camera risulterebbe ancora soccombente, come sempre più spesso è capitato. Sprecheremmo ancora denari pubblici a vantaggio di un privato.
Concludendo, signor Presidente: non si può far credere che si vogliono difendere le regole e le forze dell'ordine che le fanno rispettare ed insieme decidere di difendere in quest'aula chi ne disprezza l'opera. Se ciò accadesse, chi la merita porterebbe tutta intera la propria vergogna. Ciò si può evitare votando, come Italia dei Valori confida e voterà, a favore della sapiente proposta dell'Ufficio di Presidenza.

Pag. 109

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1961

Ddl n. 1961 - Esami di Stato

Tempo complessivo: 18 ore, di cui:

  Discussione generale Seguito esame
Relatore 15 minuti 15 minuti
Governo 15 minuti 15 minuti
Richiami al regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici   15 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 35 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) 1 ora e 21 minuti (con il limite massimo di 7 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 7 ore e 45 minuti 5 ore e 44 minuti
L'Ulivo 34 minuti 1 ora e 3 minuti
Forza Italia 1 ora e 4 minuti 58 minuti
Alleanza Nazionale 48 minuti 39 minuti
Rifondazione Comunista-Sinistra Europea 31 minuti 22 minuti
UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) 40 minuti 28 minuti
Lega Nord Padania 36 minuti 23 minuti
Italia dei Valori 30 minuti 16 minuti
La Rosa nel Pugno 30 minuti 16 minuti
Pag. 110
Comunisti Italiani 30 minuti 16 minuti
Verdi 30 minuti 16 minuti
Popolari-Udeur 30 minuti 15 minuti
Democrazia Cristiana-Partito Socialista 32 minuti 18 minuti
Misto 30 minuti
(Minoranze linguistiche: 15 minuti;
Movimento per l'Autonomia: 15 minuti)
14 minuti
(Minoranze linguistiche: 7 minuti;
Movimento per l'Autonomia: 7 minuti)

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Moz. Rampelli ed a. n. 1-26 493 493 247 228 265 65 Resp.
2 Nom. Moz. Pedrizzi ed a. n. 1-27 493 493 247 229 264 65 Resp.
3 Nom. Paoletti Tangheroni 1-33 I p. 495 492 3 247 431 61 65 Appr.
4 Nom. Paoletti Tangheroni 1-33 II p. 499 498 1 250 235 263 65 Resp.
5 Nom. Moz. Volontè ed a. n. 1-52 I parte 500 453 47 227 437 16 65 Appr.
6 Nom. Moz. Volontè ed a. n. 1-52 II part 502 492 10 247 237 255 65 Resp.
7 Nom. Moz. D'Elia ed a. n. 1-53 505 486 19 244 266 220 65 Appr.
8 Nom. Moz. Venier ed a. n. 1-57 499 475 24 238 233 242 65 Resp.
9 Nom. Moz. Maroni ed a. n. 1-59 503 502 1 252 238 264 65 Resp.
10 Nom. Moz. Sereni ed a. n. 1-63 t.r. 498 497 1 249 270 227 65 Appr.
11 Nom. Risol. Mellano e Capezzone n. 6-9 502 495 7 248 241 254 65 Resp.
12 Nom. Moz. Bandoli ed a. n. 1-41 474 473 1 237 472 1 64 Appr.
13 Nom. pdl 616-A - articolo 1 471 470 1 236 469 1 64 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 2 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 16
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nom. articolo 2 478 478 240 478 64 Appr.
15 Nom. articolo 3 477 475 2 238 474 1 64 Appr.
16 Nom. pdl 616-A - voto finale 477 477 239 477 63 Appr.