La seduta comincia alle 9,30.
LALLA TRUPIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Amoruso, Angioni, Minniti e Ricciotti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
PRESIDENTE. L'onorevole Capuano ha facoltà di
ANTONIO CAPUANO. Signor Presidente, venerdì scorso, durante l'ultimo Consiglio dei ministri, è stato deliberato lo scioglimento per infiltrazione camorristica, con uno di quei provvedimenti che si vogliono definire antimafia, di cinque comuni della provincia di Napoli e, per la prima volta nella storia di questa Repubblica, di una ASL.
particolare riferimento al comune di Napoli, che si erge a capitale del Mezzogiorno.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, onorevole Saponara, ha facoltà di
MICHELE SAPONARA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole interpellante Capuano, tutti i comuni della provincia di Napoli hanno sottoscritto con la locale prefettura il protocollo di legalità, che impegna l'ente locale a includere nei bandi di gara e nei successivi contratti di appalto specifiche clausole di salvaguardia.
PRESIDENTE. L'onorevole Capuano ha facoltà di
ANTONIO CAPUANO. Signor Presidente, mi ritengo molto soddisfatto della risposta fornita dal Governo; anzi, ringrazio particolarmente l'onorevole e collega Michele Saponara per l'attenzione che ha voluto prestare stamani alla questione e, altresì, per l'alto senso delle istituzioni rivelato. Mi ritengo altresì soddisfatto per l'impegno profuso dal sottosegretario e dal Governo sulla vicenda, ma vorrei anche fare notare come, pure, emergano alcuni dati allarmanti dalla risposta testé data.
Per lo stesso motivo, la prefettura dovrebbe insediare commissioni di accesso in altri comuni dove ancora non esistano perché il dilagare di tali eventi è per noi davvero inaccettabile.
dal Sanpaolo tale atteggiamento, non avremmo mai immaginato che la regione Campania si prestasse a questo gioco e non ci saremmo aspettati che un imprenditore venisse messo al centro di tali episodi! Pertanto, anche se si tratta di una vicenda che potrebbe non essere attinente alla mia interpellanza, concernente il patto di legalità, essa dimostra, ancora una volta, come a Napoli si pratichi un clientelismo pazzesco, mentre le questioni importanti sono trascurate e non si affrontano i problemi concreti!
PRESIDENTE. L'onorevole Boccia ha facoltà di
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, in Basilicata, nel corso degli anni Novanta, vi sono state alcune opportunità di crescita e di sviluppo economico. Vorrei ricordare che, negli anni precedenti, era stata gettata una solida base, grazie ad interventi sia infrastrutturali, sia di sostegno alle attività produttive, con la nascita di diverse aree industriali e di numerosissime aree artigianali.
patto, ossia coinvolgendo il territorio. Furono ben 33 le imprese ammesse a tale patto (da qui si comprende come fosse un progetto consistente), e l'operazione si rivelò ben riuscita.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, dagli elementi di risposta forniti dal Ministero delle attività produttive si conferma quanto poc'anzi esposto, con garbo e competenza, dall'onorevole Boccia. Infatti, il patto territoriale della corsetteria di Lavello è stato approvato con decreti del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica n. 2396 del 28 novembre 2000 e n. 2422 del 18 gennaio 2001, con l'obiettivo di favorire, attraverso il coinvolgimento e la concertazione degli attori locali, lo sviluppo del sistema imprenditoriale della corsetteria, mediante l'ampliamento della base produttiva ed il rafforzamento dell'integrazione e della qualificazione delle imprese in un'ottica di filiera, come lei, onorevole Boccia, ha già accennato.
anche le imprese che, pur avendo concluso l'investimento, hanno avviato l'attività.
PRESIDENTE. L'onorevole Boccia ha facoltà di
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, sottosegretario Ventucci, è stato affermato che il Governo riserverà molta attenzione agli emendamenti che sono stati presentati al Senato sul disegno di legge finanziaria. Occorre, però, interpretare il pensiero del Governo in ordine al significato da attribuire all'espressione «molta attenzione»; se ciò si traduce nella presentazione di ordini del giorno di speranze e di indirizzi è una cosa, mentre se si intende accogliere gli emendamenti presentati è tutta un'altra cosa.
fallimento per uscirne con il minor danno. Siccome non penso che un Governo responsabile intenda perseguire questo obiettivo, mi auguro che gli emendamenti possano essere accolti.
PRESIDENTE. L'onorevole Banti ha facoltà di
EGIDIO BANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, il 4 ottobre scorso, a Parigi, in occasione del ventiquattresimo vertice italo-francese, è avvenuto un episodio a dir poco increscioso. Così è stato presentato, tra l'altro, da tutta la stampa non solo italiana, ma anche francese; il che ci fornisce qualche ulteriore motivo di preoccupazione.
relativamente allo sviluppo della Marina militare italiana, che pure da sempre è una delle Forze armate che rivendica un prestigio internazionale ed interno non secondario.
stampa francese, rischi di compromettere un programma impegnativo e porti ad un triplice risultato negativo. Innanzitutto, mi riferisco alla brutta figura internazionale che purtroppo abbiamo già fatto; ora si può cercare di correre ai ripari al più presto possibile, con garanzie e certezze e non con discorsi, come è stato osservato. Inoltre, è stata fatta una brutta figura da parte del Governo ed anche del Parlamento nei confronti della Marina militare, che di tutto avrebbe bisogno tranne che di atteggiamenti di questa natura.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, darò lettura della risposta del Ministero della difesa. Al di là dei fax, degli incontri e delle considerazioni di qualche giornalista, in via preliminare reputo opportuno assicurare l'onorevole Banti che il Governo intende procedere nella realizzazione del programma Fremm, come peraltro confermato anche dal Presidente del Consiglio nel corso del vertice italo-francese.
per il 2006 si è posta l'esigenza di una riduzione e rimodulazione degli stanziamenti previsti per l'avvio del programma nel decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni sulla competitività.
PRESIDENTE. L'onorevole Banti ha facoltà di
EGIDIO BANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, se si fosse trattato di ascoltare nuovamente la riconferma dell'impegno del Governo a finanziare il programma delle fregate Fremm, forse io e i miei colleghi non avremmo presentato l'interpellanza. Ma dirò di più, forse non ci sarebbe lo stato di agitazione dei lavoratori di Riva Trigoso, di La Spezia e di altre località della Liguria, né vi sarebbe la mobilitazione degli enti locali. Perché tale impegno è stato sempre costantemente ribadito dal Governo italiano. Non ho mai trovato una «mezza» dichiarazione di qualche ministro e nemmeno del Presidente del Consiglio che metta in dubbio, a parole, la volontà di onorare gli impegni internazionali.
Governo italiano nell'onorare i propri impegni. Quello che ho citato è il testo di una lettera pubblicata due giorni fa dall'agenzia Reuters.
PRESIDENTE. L'onorevole De Laurentiis ha facoltà di
RODOLFO DE LAURENTIIS. Signor Presidente, illustrerò brevemente l'interpellanza in oggetto.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, la proposta di riforma dell'Organizzazione comune di mercato dello zucchero, rispetto al regime in scadenza il 30 giugno 2006, conferma i tagli ai prezzi, le compensazioni parziali ai bieticoltori ed il regime di ristrutturazione volontario volto ad incoraggiare i produttori meno competitivi alla cessazione dell'attività.
trattativa comunitaria e che costituirà la base anche per le azioni nazionali da intraprendere a salvaguardia del comparto bieticolo-saccarifero, è stato presentato dal ministro Alemanno nel Consiglio dei ministri n. 26 del 14 ottobre ultimo scorso (quindi, qualche giorno fa) insieme con le linee strategiche per la definizione di un piano straordinario per la ristrutturazione delle filiere agroalimentari.
PRESIDENTE. L'onorevole De Laurentiis ha facoltà di
RODOLFO DE LAURENTIIS. Signor Presidente, desidero ringraziare il sottosegretario Ventucci per la sua chiarezza ed anche perché ha voluto esporre, senza mezzi termini e senza ambiguità, la posizione del Governo, che considera questo un settore strategico della nostra economia.
PRESIDENTE. L'onorevole Mazzoni ha facoltà di
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, vorrei svolgere brevemente alcune considerazioni per documentare le motivazioni sottese all'interpellanza da me presentata.
sociale e a sostenere le piccole e medie imprese e il cooperativismo nel Mezzogiorno. Ciò perché il fatto doloroso, grave e preoccupante, direi anche angosciante, che ha colpito il nostro paese, e non solo la Calabria, il 16 ottobre scorso, e cioè l'uccisione dell'onorevole Fortugno, ha suscitato l'attenzione di tutti ed ha fatto alzare i toni.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, il Governo, in riferimento alle problematiche sollevate poc'anzi dall'onorevole Erminia Mazzoni,
precisa che da due anni l'utilizzo delle risorse aggiuntive nazionali è finalizzato prioritariamente a finanziare un programma d'accelerazione della spesa, in conto capitale, per la realizzazione di interventi infrastrutturali nel Mezzogiorno.
pertanto segnalarle che dai citati 790 del 2001 si è giunti, nel 2005, a 44 mila soggetti.
PRESIDENTE. L'onorevole Mazzoni ha facoltà di
ERMINIA MAZZONI. Signor Presidente, desidero innanzitutto ringraziare il sottosegretario Ventucci. L'elenco della iniziative che ha rappresentato in questa Assemblea è sicuramente importante, poiché denota la visione d'insieme posseduta dal Governo, nonché la consapevolezza dell'esistenza di esigenze diverse e della necessità di sviluppare un dialogo con i territori del nostro variegato paese, ricorrendo a misure diverse. Gli interventi da adottare, infatti, devono essere idonei ad affrontare problematiche, esigenze e situazioni effettivamente differenti.
PRESIDENTE. L'onorevole Pinotti ha facoltà di
ROBERTA PINOTTI. Signor Presidente, con la legge finanziaria per il 2003 è stato
istituito l'Istituto italiano di tecnologia. Si prevedeva un finanziamento, per il primo anno, di 50 milioni di euro, e poi 100 milioni di euro per i dieci anni successivi. Quindi, complessivamente, si è stanziata una cifra significativa rispetto a quelle, purtroppo ridotte, previste per la ricerca.
della robotica antropomorfica. Quindi, sebbene casualmente, questa è stata l'indicazione successiva.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, come già ricordato dall'onorevole Pinotti, il consiglio dell'Istituto italiano di tecnologia, ai sensi dello statuto dell'ente, è l'organo cui è affidato il compito di definire gli indirizzi, la verifica dell'utilizzo delle risorse, nonché il coordinamento delle attività scientifiche. Nella sua interpellanza, l'onorevole Pinotti si chiede quale sia il motivo di questo grave ritardo nella nomina del consiglio dell'Istituto italiano di tecnologia.
PRESIDENTE. L'onorevole Pinotti ha facoltà di
ROBERTA PINOTTI. Non posso ritenermi soddisfatta della risposta, se pur corretta dal punto di vista formale - peraltro alcune delle informazioni erano già in mio possesso -, perché essa è insoddisfacente sotto il profilo sostanziale. Ciò in quanto da molte indiscrezioni giornalistiche (anche se si tratta di informazioni che in qualche modo ho cercato di acquisire più direttamente) risulterebbe che le firme del Presidente del Consiglio dei ministri e del ministro dell'economia e delle finanze siano già state apposte su questo decreto; pertanto mancherebbe, da qualche settimana, la firma del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per problemi sui quali non è ora il momento di soffermarsi.
attesa di una risposta senza che vi sia più nemmeno un interlocutore a cui richiederla, rischiamo di partire azzoppati.
PRESIDENTE. L'onorevole Di Serio D'Antona ha facoltà di
OLGA DI SERIO D'ANTONA. Signor Presidente, il 23 ottobre 2005 è apparsa sul Corriere della sera un'intervista fatta dal giornalista Giovanni Bianconi a Cinzia Banelli. Ricordo che Cinzia Banelli è, a suo dire, una ex brigatista, condannata a 36 anni di reclusione per gli omicidi dei professori Massimo D'Antona e Marco Biagi (20 anni da parte del giudice di Roma e 16 da parte del giudice di Bologna).
tale intervista si evince che il comportamento della Banelli è stato determinato più dalla volontà di farla franca che da un vero pentimento. Colpisce, ad esempio, il risentimento che ella manifesta nei confronti dei suoi complici e le ragioni di tale risentimento. La Banelli dice: «Proprio loro che m'imputavano uno scarso rispetto delle regole le avevano violate. Viaggiare nello stesso scompartimento, una sola arma, numeri di telefono da cui si poteva risalire ad altri. Ci avevano detto che erano state prese tutte le precauzioni, ma evidentemente non era così».
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, senatore Ventucci, ha facoltà di
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevole Di Serio D'Antona, vorrei sottolineare che l'argomento è talmente delicato che non leggerò una semplice velina, bensì la ponderata risposta che le avrebbe letto il sottosegretario Valentino, oggi non presente per impegni istituzionali precedentemente assunti. Comunque, spesso in aula portiamo testi scritti perché è opportuno leggere quei documenti che devono restare agli atti in modo da non lasciare tale compito alla facondia del singolo, verso la quale ciascuno può avere o meno una particolare predisposizione.
di applicazione delle misure di assistenza e di protezione, di cui al decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, in relazione alle indagini relative all'omicidio del professor Massimo D'Antona ed all'associazione sovversiva con finalità di terrorismo-banda armata denominata «Brigate rosse per la costruzione del Partito comunista combattente».
OLGA DI SERIO D'ANTONA. Lei mi sta facendo la storia del processo...
COSIMO VENTUCCI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Da tale atteggiamento la Banelli recedette allorché venne posta di fronte ai «rilevanti elementi probatori» che sostenevano i provvedimenti cautelari già adottati e le avanzate richieste di rinvio a giudizio.
di Bologna dimostra come esse si concretizzino nella rilettura degli interrogatori della Banelli alla luce della documentazione già acquisita agli atti, poiché trovata nella disponibilità di altri coimputati e precedentemente sequestrata, dunque in una presa d'atto della conformità delle dichiarazioni ai contenuti dei documenti sequestrati o altrimenti acquisiti.
PRESIDENTE. L'onorevole Di Serio D'Antona ha facoltà di
OLGA DI SERIO D'ANTONA. Signor Presidente, devo dire, con grande stupore, che qui è stato ripercorso tutto l'iter processuale, che, come si può ben immaginare, già conosco. Non era questo l'oggetto della mia interpellanza urgente rivolta al Governo.
PRESIDENTE. Certamente, sì.
OLGA DI SERIO D'ANTONA. ..., da questo Governo una risposta precisa per capire come mai, ripeto, gli arresti domiciliari non siano stati revocati a Cinzia Banelli.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze all'ordine del giorno.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 25 ottobre 2005, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il senatore Lucio Malan in sostituzione del senatore Riccardo Minardo, dimissionario.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Giovedì 3 novembre 2005, alle 12:
1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previ esame e votazione della questione pregiudiziale di merito e della questione sospensiva presentate):
dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale (411-3229-3344-A).
3. - Seguito della discussione della proposta di legge* (previ esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e della questione sospensiva presentate):
* I deputati Cirielli, Arrighi e Bellotti hanno ritirato la loro sottoscrizione dalla proposta di legge.
4. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
La seduta termina alle 11,50.
Si tratta di fatti allarmanti e preoccupanti per la nostra provincia. Infatti, non soltanto in un solo giorno sono state sciolte cinque amministrazioni comunali ed una ASL, ma si sa che molte altre amministrazioni comunali sono al vaglio di commissioni d'accesso nominate dalla prefettura (sono tantissimi i comuni della provincia di Napoli interessati da procedure di accesso).
Appare evidente che il dilagare dell'infiltrazione camorristica nella provincia di Napoli sta diventando sempre più grave e sempre più incontrollabile da parte delle istituzioni. Siamo davvero alla deriva istituzionale!
Ma il dato più allarmante, signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario, è che a Napoli è in vigore il patto di legalità stipulato alla fine del 2003. Esso prevede che i comuni della provincia, compreso quello di Napoli, allorquando bandiscono appalti di valore superiore ai 250 mila euro debbono richiedere la certificazione antimafia rilasciata dalla prefettura. Ebbene, mi risulta che, benché il predetto patto sia stato sottoscritto da quasi tutti i comuni della provincia, sono numerosi quelli che non ne rispettano né il contenuto né lo spirito. Pertanto, occorrerebbe verificare quale sia la situazione attuale da questo punto di vista, con
Signor Presidente, signor sottosegretario, ho presentato l'interpellanza soprattutto perché, ad avvenuto scioglimento dei summenzionati comuni, il presidente della regione Campania, massimo esponente della coalizione di centrosinistra, ha voluto quasi giustificare i comuni interessati e criticare i provvedimenti di scioglimento, che avevano colpito, per la quasi totalità, amministrazioni di centrosinistra. In particolare, egli ha citato i casi dei comuni di Portici e di Marano ed ha affermato che il tribunale amministrativo regionale aveva dato ragione ai comuni ed aveva annullato i provvedimenti di scioglimento.
Questo è scandaloso e vergognoso per un presidente di regione! È vero che il comune di Portici aveva visto accolto il ricorso, ma ciò è avvenuto anche perché la prefettura non ha presentato memorie difensive e, di conseguenza, il TAR ha deciso sulla sola base del ricorso presentato dal comune ricorrente. Bisogna aggiungere, però, che il Ministero dell'interno ha proposto appello al Consiglio di Stato, che ha riformato la sentenza di primo grado ed ha rigettato il ricorso. Quindi, alla fine, il comune di Portici è stato sciolto.
Per quanto riguarda il comune di Marano, è ancora in corso il giudizio davanti al Consiglio di Stato. Anche in questo caso, peraltro, bisognerebbe verificare come la prefettura abbia difeso il provvedimento di scioglimento.
Potrei citare anche il caso di Pomigliano d'Arco. Sebbene le forze dell'ordine avessero svolto, prima delle elezioni di quest'anno, un'accurata indagine, all'esito della quale avevano proposto l'adozione di un provvedimento di scioglimento, la prefettura ha tenuto ferma per molti mesi la loro relazione non so su quale scrivania e l'ha inoltrata al ministero soltanto dopo le elezioni. Con questo giochetto, il comune non è stato sciolto ed il ministero non è potuto più intervenire dopo che il popolo sovrano si era espresso eleggendo una nuova amministrazione (che non era la prosecuzione di quella uscente).
Questi giochetti - dico bene - appaiono allarmanti in una provincia di Napoli dove le forze dell'ordine stanno svolgendo un lavoro meritevole che sta dando risultati brillantissimi.
Cito l'ultimo caso dell'arresto di un boss (che mi pare si chiami Lauro) effettuato dai carabinieri, i quali, pur svolgendo un lavoro meritevole, trovano nelle istituzioni centrali e locali a Napoli debolezze inammissibili e inaudite.
Chiedo, visto che mi risulta che molti di questi comuni non rispettano il patto di legalità stipulato nel 2003, quali siano i comuni che non lo rispettano e quali iniziative il Ministero intenda intraprendere nei confronti di questi soggetti istituzionali, soprattutto con particolare attenzione al comune di Napoli.
La gran parte delle amministrazioni lo sta concretamente attuando con richieste, secondo quanto previsto dallo stesso protocollo, di informazioni antimafia per appalti pari o superiori all'importo di 250 mila euro.
Effettivamente, alcuni comuni, tra i quali Capri, Carbonara di Nola, Casamarciano, Casola di Napoli, Comiziano, Frattaminore, Ischia, Lettere, Mariglianella, Meta, Roccarainola, Sant'Antonio Abate, Sant'Agnello, Scisciano, Serrara Fontana, Terzigno, Trecase, Tufino, Vico Equense e San Vitaliano, pur avendo stipulato il protocollo, non risultano avere avviato sino ad ora alcuna istruttoria secondo gli accordi sottoscritti.
In ordine a tali situazioni, assicura in via preliminare che, nel caso in cui la prefettura di Napoli acquisisca elementi che rilevino una violazione del protocollo di legalità, le motivazioni che hanno impedito di fatto all'ente di attivare la procedura concordata saranno attentamente valutate.
Ricordo, infatti, che una delle possibili motivazioni può essere individuata nell'importo dell'appalto che, qualora sia inferiore ai 250 mila euro, non rientra tra le tipologie previste dall'accordo.
Nei casi in cui, invece, la mancata applicazione del protocollo sia riconducibile alla volontà degli amministratori che, ancorché abbiano indetto gare per appalti superiori al citato importo, non si siano tenuti al patto, la prefettura avvia le procedure previste dalla normativa antimafia, non escluso l'accesso presso l'ente locale da parte di una commissione interforze, come già avvenuto a suo tempo per il comune di Boscoreale.
Quando la violazione del protocollo è riferita, infine, ad una specifica gara di appalto, è previsto che si proceda, anche in questo caso, alla nomina di una commissione interforze che verifichi eventuali ipotesi di condizionamento dell'azione amministrativa da parte della criminalità organizzata, analogamente a quanto avvenuto di recente per il comune di Ercolano.
Per quanto riguarda nello specifico il comune di Napoli, il sindaco di quel comune ha dichiarato che il sistema previsto dal protocollo di legalità è andato a regime a partire dal 1o gennaio 2005 con l'inserimento delle relative clausole nei capitolati speciali di appalto.
Inoltre, la citata amministrazione ha evidenziato che, da tale data per importi pari o superiori a quelli stabiliti dal protocollo, ha approvato solo capitolati muniti della prevista clausola e che è in corso l'invio alla prefettura delle schede relative a ditte aggiudicatarie di appalti di competenza del servizio Rapporti con le scuole statali, nonché di altre nove schede sempre relative gare sottoposte al protocollo di legalità.
Lo stesso sindaco ha, altresì, assicurato che il comune di Napoli ha operato in sinergia con le finalità dell'accordo, anche anteriormente alla data di operatività del protocollo di legalità, procedendo alla risoluzione di numerosi contratti con ditte segnalate, con apposite informative, dal prefetto.
Anzitutto, come sospettavo e come, anzi, sapevo, sono numerosissimi, come ha rivelato il sottosegretario Saponara, i comuni che non rispettano il patto di legalità; osserverei anche come, considerato che l'applicazione di detto patto è limitata alle ipotesi di importi superiori a 250 mila euro e molti di questi comuni sono piccoli, sarebbe forse il caso di rivedere detto importo. In ipotesi, questi comuni, infatti, potrebbero stipulare spesso appalti al di sotto dei 250 mila euro e ditte, sempre in ipotesi colluse con la malavita, con la camorra o con la mafia, potrebbero eventualmente vincere più appalti e quindi evadere il rispetto di questo famoso patto di legalità in quanto la certificazione antimafia non è certo quella che si chiede dalla Camera di commercio. L'informativa antimafia è invece ben altro e parecchi di questi comuni non la richiedono, circostanza che costituisce un dato allarmante.
Tuttavia, l'elemento positivo è che il Governo presterà attenzione a che, per il tramite della prefettura, su questi comuni vigileranno commissioni di accesso già insediate; si vorrà - mi auguro - valutare attentamente e profondamente gli operati.
Il dato scandaloso che però vorrei sottolineare - dato che mi preoccupa e che ha del vergognoso, gentile sottosegretario - è che stamattina emerge come Napoli (ripeto: Napoli) non rispetti il patto di legalità. Nella sua risposta, il sindaco sostiene che dal gennaio 2005 è andato a regime detto patto, che però è stato stipulato nel 2003. Dunque, innanzitutto partono con due anni di ritardo; e poi sostengono che l'inserimento delle clausole di salvaguardia nei capitolati speciali di appalto è appena iniziato. Ma l'inserimento delle clausole in tali capitolati non significa chiedere la certificazione antimafia; in prefettura, invece, non risulta alcun tipo di istruttoria sulle ditte richieste. Non solo; sostengono che è in corso l'invio delle schede, e di ulteriori nove schede; perciò, stanno avviando in questo momento le schede alla prefettura; forse, per così dire, gli è caduto il mondo addosso quando la mia interrogazione è giunta alla conoscenza della prefettura, la quale ha dovuto chiamare il comune, sicché solo oggi loro si ricordano di inviare le schede antimafia sulle aziende. Ma questo è inaccettabile: come si può rispondere al Governo sostenendo dopo due anni che è in corso l'invio? È pazzesco. Addirittura paradossale, onorevole sottosegretario, appare poi l'ultimo capoverso della risposta fornita dal sindaco, che sostiene che il comune, insieme alla prefettura, rispettava il patto anche prima che entrasse in vigore; mi sembra, infatti, doveroso che, quando il prefetto segnala che talune aziende sono colluse con la camorra o con la mafia, il sindaco revochi loro l'appalto. Se il sindaco osservava per l'innanzi tale condotta, la motivazione addotta non lo giustifica; appare piuttosto un modo per giustificare la negligenza ed il mancato rispetto del patto di legalità.
Quindi, è veramente scandaloso: il comune di Napoli non rispetta il patto di legalità e non chiede le certificazioni antimafia sulle aziende con le quali lavora. Se Napoli, che dovrebbe essere il fiore all'occhiello, la città del Mezzogiorno, la nostra capitale, commette tali errori (che non saprei a cosa poter ricondurre) veramente, per così dire, cadono le braccia.
Mi rivolgo a lei, onorevole sottosegretario, per chiederle di farsi portavoce del Governo presso la prefettura per verificare se esistano le condizioni, a questo punto, anche per l'istituzione di una commissione di accesso presso il comune di Napoli, atteso che per taluni motivi, identici motivi, si è così intervenuti per altri comuni. Considerate che la deriva istituzionale a Napoli ha ormai raggiunto livelli incontrollabili, pazzeschi.
Presidente, concludo chiedendo che resti agli atti parlamentari ancora un caso specifico che ricorderò tra breve; intendo infatti rappresentare come la battaglia per la lotta alla camorra debba essere condotta anzitutto dalle istituzioni; la si deve fare nei palazzi del Governo, nei palazzi forti delle istituzioni. Voglio portare un esempio. A Napoli, negli anni scorsi, abbiamo assistito all'acquisto del Banco di Napoli da parte del Sanpaolo di Torino. Mi chiederete cosa c'entri, ed adesso ve lo dirò.
Mi risulta che il Banco di Napoli aveva una sede a New York, negli Stati Uniti. Ebbene, tale sede è stata venduta ad un imprenditore locale.
Quale intreccio si è creato, dunque? Il Sanpaolo-Banco di Napoli ha venduto quella sede a tale imprenditore napoletano, peraltro correntista della banca; questa persona, tuttavia, ha affittato parallelamente l'immobile alla regione e l'importo della rata di mutuo risulta equivalente al canone di affitto.
Ciò non può non far cadere le braccia: il Sanpaolo forse sta praticando una politica di dismissione dei propri immobili, ma che li vendesse ad un americano! Non è possibile, infatti, che si metta d'accordo con un imprenditore napoletano, il quale, successivamente, si accorda con la regione per affittarlo ad un canone uguale alla rata del mutuo acceso.
Si tratta certamente di una deriva istituzionale, poiché non ci saremmo attesi
Vorrei ricordare che, al contrario, le forze dell'ordine stanno svolgendo un lavoro incredibile. Infatti, desidero ringraziare sentitamente tutti quei poliziotti, quei carabinieri e tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine, che rischiano la propria pelle, ma stanno compiendo un lavoro veramente considerevole.
Vorrei denunciare, tuttavia, che tale lavoro, non è supportato né dalla regione, né dalla prefettura, poiché nella stessa prefettura vi sono dei «giochetti strani» che ancora non comprendo. Spero di poter valutare assieme al Governo - e lo chiedo a lei, signor sottosegretario - se esistano collusioni all'interno della prefettura, poiché ribadisco che i casi di Pomigliano d'Arco, di Marano e di Portici lasciano pensare che vi sia qualcosa che non funziona ai vertici delle istituzioni locali, in regione, in provincia, in prefettura, nel comune di Napoli ed in tutti i comuni della provincia partenopea!
Concludo, signor Presidente, affermando che va fatta chiarezza. Il Governo deve intervenire e fare la sua parte, perché, se da un lato siamo di fronte ad una deriva istituzionale, dall'altro abbiamo il dovere di intervenire!
Sotto la spinta dell'impiego dei fondi provenienti dall'intervento straordinario nel Mezzogiorno, agli inizi degli anni Novanta fu possibile passare da una condizione di dipendenza e di assistenza ad uno sviluppo autopropulsivo della regione.
Sulla base di una forte programmazione, nonché dei grandi interventi realizzati negli anni precedenti, venne quindi avviata una serie di consistenti iniziative produttive.
Ricordo il grande contratto di programma della FIAT a Melfi per una ventina di aziende dell'indotto e ricordo i grandi contratti di programma della SNIA e del polo dei salotti.
In questo contesto, nella cittadina di Lavello, in provincia di Potenza, si sviluppò un piccolo distretto della corsetteria che, attraverso piccole e medie imprese con grande capacità manageriale e con quadri dirigenti all'altezza della situazione, è riuscito a farsi spazio con prodotti competitivi che hanno trovato mercato e che hanno dato lavoro a centinaia di giovani disoccupati di quell'area. Nel corso degli anni Novanta questo polo della corsetteria è decollato: funzionava molto bene, aveva mercato, produceva, vendeva e dava lavoro.
Sulla scorta di tale azione, non appena il centrosinistra dette vita agli strumenti di programmazione negoziata e, quindi, diede avvio all'invenzione positiva dei patti territoriali, si pensò di realizzare un patto della corsetteria a Lavello; un vero e proprio patto specifico, che dava la possibilità di un ulteriore impulso, in maniera armonica e secondo i dettagli propri del
Effettivamente, tutte le imprese hanno realizzato i loro investimenti, l'attività produttiva procedeva abbastanza bene, i programmi previsti a monte della sottoscrizione del patto sono stati praticamente tutti realizzati e vi sono stati anche benefici in termini di prodotto interno lordo della Basilicata e del paese, nonché in termini di occupazione e di sviluppo.
Ad un certo punto, la crisi internazionale ed anche qualche errore nella politica economica del Governo nazionale dopo il 2001 creano qualche problema a questo comparto. Emergono difficoltà nel piazzare i prodotti sul mercato così come avveniva prima, c'è una concorrenza sleale anche italiana da parte di piccole imprese che producono con costi di lavoro non legali, c'è una concorrenza internazionale in ordine alla produzione di corsetterie provenienti da paesi in cui il costo del lavoro consente un abbattimento dei prezzi dei prodotti. Insomma, nascono un po' di problemi, perché si abbassa la quota di penetrazione nel mercato delle produzioni del distretto della corsetteria di Lavello.
Il sistema reagisce abbastanza bene: iniziano operazioni di fusione, di accorpamento, di razionalizzazione. C'è una certa solidità, per cui queste piccole imprese nate sul posto si attrezzano per reggere alla nuova competitività del mercato.
Senonché, qualche tempo fa la società PA.TE.COR, che ha la responsabilità della conduzione del patto della corsetteria di Lavello, lancia un grido di allarme, perché la situazione comincia ad essere piuttosto difficile. Nascono ovviamente problemi di mercato e vengono meno anche gli aiuti che erano stati previsti. Emergono farraginosità nelle erogazioni finanziarie e, soprattutto, difficoltà nel piazzare il prodotto.
Che cosa segnala in particolare il soggetto responsabile del patto e qual è il motivo di questa mia interpellanza urgente? La mia interpellanza urgente prende spunto dalle iniziative del soggetto responsabile del patto, nonché da quelle avviate dal sindaco e dalla giunta municipale di Lavello, fatte proprie anche dall'amministrazione provinciale e dal governo regionale.
So che anche al Senato alcuni colleghi senatori, ed in particolare il senatore Di Siena, hanno assunto un'iniziativa. Alla Camera, unitamente ai colleghi lucani del centrosinistra e, in particolare, all'onorevole Lettieri, che è eletto in quel collegio, abbiamo pensato di assumere un'iniziativa per rispondere al campanello di allarme che il responsabile del patto ha lanciato. Tale allarme riguarda il rischio che le 33 imprese che hanno dato vita al patto (che - lo ripeto - è stato fortemente positivo, avendo conseguito i suoi obiettivi, poiché ha consolidato questa esperienza sul territorio facendolo diventare un vero e proprio polo della corsetteria), oggi si trovino in difficoltà nel reggere il ritmo dello scadenzario previsto nel patto, che avevano tutte le intenzioni di rispettare.
Mi riferisco soprattutto al rapporto tra investimenti ed occupazione. Lei sa, sottosegretario Ventucci - ed è bene che sia così - che, quando si finanziano queste iniziative, a fronte dell'erogazione di denaro pubblico, l'imprenditore che riceve il sostegno deve assumere e, quindi, mantenere una serie di impegni. Tra questi vi sono quelli di realizzare l'investimento, di costruire il capannone e di acquistare tutti gli attrezzi necessari, ossia di mettere in atto l'azione produttiva. Ovviamente, ci sono anche gli impegni relativi al rispetto del numero delle assunzioni previste nel progetto.
Queste imprese in un primo momento hanno rispettato tutti questi impegni. Senonché, con i problemi che sono nati, per fare fronte alla nuova competitività, alle difficoltà e alle congiunture negative, quali la riduzione dei consumi e quant'altro, si sono trovate nella necessità di non poter mantenere quegli standard di occupazione che erano previsti dal patto.
Il responsabile della gestione del patto, per evitare che vi fossero dubbi di trasparenza o che si potesse immaginare qualche furbata da parte di queste imprese, ha chiesto una verifica di tutto l'andamento finanziario e delle azioni aziendali, affinché dal rapporto tra costi ed entrate fosse evidente che, oggettivamente, rispettare tutti i parametri previsti nel patto avrebbe comportato il fallimento di queste aziende.
Quindi, il responsabile della gestione del patto si è mosso per chiedere un dilazionamento, un minimo di tempo, per poter fronteggiare la nuova situazione creatasi.
La risposta burocratica è stata quella prevista dalle norme: se non vi mettete in regola nei tempi previsti, dovremo rientrare dei sostegni finanziari che abbiamo erogato. Pazienza se il distretto, il polo della corsetteria, il patto territoriale e 33 imprese falliscono, ma certamente non si possono trasgredire le norme: capisco che la risposta burocratica, probabilmente, non poteva essere diversa.
Dunque, occorre un intervento politico, un intervento governativo. Non credo vi sia bisogno di una soluzione legislativa perché è possibile trovarne una in sede amministrativa. Occorre, comunque, trovare una soluzione, e so che ci si sta già ragionando. Mi auguro che questa mattina, oltre ad alcune conferme, si possa far fare qualche passo avanti in ambito amministrativo. Bisogna trovare soluzioni che - vorrei che fosse chiaro - comunque tengano fermi gli obiettivi previsti nel patto. Infatti, dura lex sed lex, è necessario che tali imprese tengano fede agli impegni contratti. Però, bisogna trovare il sistema di dare ad esse i modi ed i tempi necessari per evitare il rischio che, volendo raggiungere pienamente gli obiettivi in un tempo immediato, nessuno di questi venga, poi, raggiunto effettivamente.
Cum grano salis, l'interpellanza tendeva a conoscere le iniziative del Governo nella ricerca di una soluzione responsabile, comprensiva delle difficoltà e nel rispetto dei patti sottoscritti. Si tratta, dunque, di una soluzione che consenta di mantenere in piedi gli obiettivi e, allo stesso tempo, di fare in modo che una loro rigorosissima applicazione non li faccia saltare completamente. Sono certo che il sottosegretario Ventucci, come sempre, potrà dare una risposta che apre uno spiraglio di speranza per tali imprenditori.
Le iniziative imprenditoriali ammesse all'agevolazione del patto territoriale sono state 33, con un investimento complessivo di 37,4 milioni di euro, a copertura dei quali era previsto un onere per lo Stato pari a 31,1 milioni di euro e per 7 di queste imprese è stato emesso un provvedimento di revoca delle agevolazioni.
Dalla relazione sullo stato di attività del primo semestre 2005 risulta che 15 imprese hanno concluso l'investimento e che i programmi del patto avrebbero dovuto creare «a regime» 221 nuovi posti di lavoro.
Attualmente, pur considerando che non risulta ancora trascorso l'anno a regime, il numero delle unità lavorative assunte è distante dal target prefissato e sono poche
Tenuto conto, peraltro, della grave crisi in cui si trova il settore della corsetteria, si ipotizza l'impossibilità di raggiungere gli obiettivi occupazionali prefissati e l'avvio dell'attività per tutte le 26 imprese del patto.
Il Ministero delle attività produttive ha cercato di agevolare, nei limiti previsti dalla normativa in vigore, le iniziative imprenditoriali del patto, concedendo, ove è stata prodotta adeguata documentazione, una sospensione dei termini per la realizzazione dell'iniziativa, fino ad un massimo di 12 mesi.
Da quanto palesato da più fonti, appare comunque improbabile che gli investimenti realizzati possano produrre gli effetti economici stabiliti, per cause connesse a mutate esigenze economiche in relazione alla concorrenza dei paesi emergenti. Mi pare che lei abbia ampiamente fatto riferimento a questo aspetto, compresa la piaga endemica del lavoro nero.
Qualora le imprese non inizino a svolgere la propria attività e non rispettino il requisito occupazionale previsto, sono soggette alla revoca delle agevolazioni concesse, come previsto dal decreto ministeriale n. 320 del 31 luglio 2000, recante la disciplina per l'erogazione delle agevolazioni relative ai contratti d'area e ai patti territoriali.
La mancata attuazione dell'intervento pone, quindi, in evidenza uno specifico aspetto legato alla proficuità della spesa pubblica, tanto più rilevante in presenza di esiguità di risorse finanziarie e di un crescente numero di richieste.
Poiché, come da lei giustamente affermato nella parte conclusiva del suo intervento, si avverte la necessità di proposte fattive anche per quanto riguarda il quotidiano che attanaglia molti nostri lavoratori e, quindi, molte famiglie, non posso fare altro che confermare quanto da lei rilevato, vale a dire che, al Senato, sono stati presentati specifici emendamenti al disegno di legge finanziaria per il 2006 che mirano ad introdurre modifiche alla normativa vigente in materia.
Le posso assicurare che il Governo porrà molta attenzione a quanto da lei rappresentato in questa interpellanza e mi riferisco anche a determinati interventi legislativi che si renderanno necessari, onorevole Boccia, perché dagli emendamenti scaturiranno norme che mi auguro - come lei ha fatto con molto garbo e pacatezza - porteranno all'osservanza delle leggi non tanto per gli imprenditori, ma per quel quotidiano che attanaglia le famiglie.
In questa fase, mi piace immaginare che la «molta attenzione» propugnata dal Governo significhi che al Senato dobbiamo aspettarci l'accoglimento di emendamenti che consentano di raggiungere un risultato, vale a dire di tenere fermo l'obiettivo strategico, ma dando il tempo che si possa realizzare prima che scattino le revoche.
Cosa significa applicare attualmente la revoca dei contributi (e mi riferisco soprattutto alle 20 imprese che hanno compiuto investimenti)? Le stesse, per poter restituire le risorse, già si saranno indebitate con il sistema creditizio, seppure per la parte marginale di investimento che hanno realizzato. Se chiediamo loro di restituire anche le risorse che, in maniera documentata - lo riconosce anche questa mattina il sottosegretario -, sono servite per realizzare gli stabilimenti, probabilmente gli imprenditori potranno vendere quanto realizzato, recuperando il recuperabile, dopodiché preferiranno dichiarare
In questo senso non posso ritenermi né soddisfatto né insoddisfatto, in quanto aspetto di vedere cosa accadrà. Fortunatamente la finanziaria sarà esaminata anche da questo ramo del Parlamento, dunque in quella occasione, se la molta attenzione promessa risolverà il problema, esprimerò il mio apprezzamento per l'opera del Governo, altrimenti continueremo a sottoporre all'attenzione dell'Assemblea in sede di approvazione della legge finanziaria nuovi emendamenti, nella speranza di convincere il Governo a compiere un atto che ci pare molto responsabile.
Quindi, aspettiamo di vedere cosa succederà, per riprendere il nostro ragionamento quando la finanziaria sarà sottoposta all'esame della Camera (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo).
In tale sede doveva essere siglato l'accordo definitivo tra i due Governi relativamente alla costruzione, e quindi all'avvio, del programma delle fregate Fremm; fregate multimissione considerate assolutamente necessarie dalle due marine militari - quella francese e quella italiana - per ammodernare la flotta, per le attività di difesa, di pattugliamento del mare e, comunque, di organizzazione della stessa, sulla base dei programmi previsti dai rispettivi paesi.
Naturalmente, il programma è atteso con grande ansia dai lavoratori, tanto francesi quanto italiani, dei cantieri che dovrebbero costruire queste fregate. Per quanto riguarda l'Italia ci riferiamo ai cantieri della Fincantieri - si tratta quindi di cantieri di aziende a capitale pubblico - di Riva Trigoso e del Muggiano.
Ebbene, nell'ambito di quel vertice, tutto era già pronto per la firma dell'accordo citato - addirittura alcune agenzie di stampa avevano anticipato la firma, che era inserita nell'agenda dei lavori -, quando è arrivata la notizia (la «doccia italiana», l'ha definita un'autorevole rivista specializzata francese, con una neanche troppo malcelata ironia) che il Governo italiano aveva chiesto di soprassedere alla firma suddetta per ragioni tecniche.
In realtà, si è poi appurato che, dietro le ragioni tecniche, vi era la mancanza di un adeguato finanziamento e dunque il Governo italiano non poteva impegnarsi.
Ciò rasenta l'incredibile, in quanto nei mesi scorsi si è parlato di tale argomento nelle sedi competenti e il Parlamento ha votato un emendamento per finanziare il programma. Mi riferisco a quanto avvenuto nella primavera scorsa quando si verificò che, nella legge finanziaria per l'anno in corso, non era contenuto alcun finanziamento.
Questa circostanza suscitò notevole allarme tra i lavoratori interessati e le loro famiglie, tra gli enti locali, in particolare della Liguria, ma anche tra le alte autorità delle Forze armate italiane e della Marina militare. Io stesso sono stato presente a cerimonie ufficiali nelle quali, sia il capo di stato maggiore della Difesa, sia il capo di stato maggiore della Marina, con parole inusualmente forti, hanno sottolineato l'esigenza che quel programma venisse finanziato, salvo chiudere in maniera quasi paradossale «baracca e burattini»
Ebbene, alla luce di quel mancato finanziamento, vi fu un impegno di tutti noi parlamentari che già allora abbiamo presentato interpellanze urgenti e discusso più volte in varie occasioni di questo problema, anche presentando emendamenti. Proprio uno di questi emendamenti, fatto proprio dal Governo, è stato inserito nella legge di conversione del decreto-legge in materia di competitività, presentato nel mese di aprile e convertito in legge all'inizio dell'estate. Tuttavia, si tratta soltanto di una prima parte del finanziamento.
La prima domanda che ne segue è per quale motivo quell'emendamento non ha avuto effetti. Non voglio dire che il Parlamento è stato preso in giro, perché non posso permettermi di dirlo, tuttavia qualcosa non deve aver funzionato. Infatti, è stato presentato un emendamento, e in proposito ho con me i documenti che attestano il ringraziamento dei sindacati, in cui si afferma che finalmente era stato finanziato il progetto. Tutto ciò non era vero, o perlomeno si trattava di un finanziamento che non ha consentito l'avvio del programma, contrariamente allo scopo che avrebbe dovuto conseguire.
Così è stato presentato un nuovo emendamento, stavolta al disegno di legge finanziaria. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Letta, con la sua consueta bonomia, ha comunicato via fax alle organizzazioni sindacali che tale emendamento sarà presentato nel corso del dibattito al Senato sulla legge finanziaria e che, quindi, non sarebbe stato più necessario tenere l'incontro già fissato a Palazzo Chigi, dietro forte insistenza delle segreterie confederali di CGIL, CISL e UIL, per martedì di questa settimana. I sindacati sono rimasti piuttosto contrariati e, giustamente, hanno rilasciato dichiarazioni affermando che «in questa vicenda c'erano già stati da parte del Governo troppi annunci, poi clamorosamente smentiti dai fatti [ed è la pura verità]. La nostra diffidenza, quindi, è d'obbligo ed anche per questa ragione sarebbe stato meglio fare l'incontro, anziché pensare di risolvere tutto con un fax».
L'incontro è stato rinviato ed ora è stato detto che sarà presentato l'emendamento. Tuttavia - e arrivo all'altra domanda che intendo porre al Governo - l'emendamento in questione non riguarda il finanziamento dell'intero programma, che assegna all'Italia dieci fregate, perché il suo importo è già inferiore a quello contenuto nell'emendamento, a sua volta modificato, presentato e discusso in occasione dell'esame suddetto decreto-legge sulla competitività nella scorsa primavera. Infatti, l'emendamento cui si riferisce il sottosegretario Letta - di cui peraltro bisogna verificare l'esito durante l'iter al Senato - autorizzerebbe contributi quindicennali di 30 milioni di euro a partire dal 2006, di 30 milioni dal 2007 e di ulteriori 75 milioni di euro a decorrere dal 2008, per consentire la prosecuzione del programma.
Nel frattempo, il programma slitta di un anno perché, se il primo finanziamento è previsto per il 2006, i lavori potranno iniziare soltanto nel 2007 a causa dei tempi tecnici di organizzazione dell'appalto. Ciò comporta una difficoltà complessiva, in particolare per il cantiere di Riva Trigoso, ovvero il primo che deve impegnarsi nell'opera. Anche se un anno di slittamento può essere sopportabile, va chiarito quale sia la sorte complessiva del programma e come l'eventuale riduzione (perché di riduzione sembra trattarsi) rispetto all'impegno assunto dall'Italia si rifletterà sul programma francese. Con tutto il rispetto ed anche con i complimenti del caso, forse la Francia potrà farsi «bella», rispetto alla Marina italiana, costruendo quelle fregate che l'Italia, dopo essersi impegnata, dichiara di non essere più in grado di costruire?
Signor sottosegretario, lei capisce che questi interrogativi non sono vuotamente polemici. Siamo davvero preoccupati che questa «doccia italiana» o «commedia dell'arte», come è stata definita dalla
Mi permetto inoltre di sottolineare, da ultimo, ma non in ordine di importanza, le conseguenze sul piano del lavoro, che in Liguria è atteso con grande ansia, rispetto ad un programma di costruzioni navali che garantirebbe la continuità della produzione nei cantieri di Riva Trigoso e del Muggiano, ma che al momento continua ad essere sospeso a seguito di tali incertezze.
Sottolineo che nei giorni scorsi vi è stato, a Riva Trigoso, il varo di un'altra unità, l'Andrea Doria, una bella unità assegnata alla Marina militare italiana, di cui i lavoratori responsabilmente hanno consentito il varo, nonostante si trovino in stato di agitazione per le vicende ricordate. In quella sede è stata ribadita ancora una volta dal capo di stato maggiore l'esigenza che i programmi stabiliti e concordati vadano avanti. Siamo preoccupati del fatto che ciò, purtroppo, possa non avvenire, e chiediamo al sottosegretario Ventucci una risposta chiara, e non semplicemente un riferimento ad un fax del sottosegretario Letta.
La preoccupazione che lo slittamento della firma possa ledere la credibilità del nostro paese nell'ambito dei rapporti internazionali è del tutto infondata. Infatti, l'immagine e la credibilità stessa che l'Italia si è guadagnata con merito in campo internazionale è ampiamente riconosciuta, e i risultati del vertice intergovernativo italo-francese, contraddistinto da un clima di profonda amicizia e di intesa tra i due paesi, hanno evidenziato l'eccellente sviluppo delle relazioni bilaterali in tutti i settori e le crescenti convergenze sui temi dell'attualità internazionale.
Il programma Fremm, come è noto, trae origine dalla dichiarazione congiunta siglata a Parigi il 25 ottobre 2004 dai ministri della difesa italiano e francese, che riconosce l'esigenza di procedere al rinnovamento delle rispettive flotte, nell'ottica di una diffusa e consolidata convergenza degli obiettivi militari, tecnici, finanziari e temporali perseguiti in tale contesto dalle due Marine.
Il Governo è fermamente convinto che l'avvio del programma non rappresenti soltanto la più importante intesa del settore navale tra paesi europei nel dopoguerra, ma costituisca anche un concreto contributo al mantenimento ed alla crescita di competitività di un comparto industriale ad alta tecnologia, risorsa fondamentale per l'intero paese.
Tale consapevolezza deve, peraltro, confrontarsi anche con stringenti considerazioni di natura economica, il cui carattere è prioritario ai fini del contenimento della spesa pubblica per il 2006. Come lei sa, al Senato si stanno svolgendo continui incontri - ieri ve ne è stato uno con il ministro dell'economia e delle finanze -, proprio perché la legge finanziaria prevede un'evoluzione: essa non è affatto elettorale, ma si scontra con la situazione attuale e si sta cercando di non incorrere nello sforamento della spesa pubblica. È in tale quadro che nel disegno di legge finanziaria
La questione è stata, tuttavia, riconsiderata con l'obiettivo di rendere le disponibilità finanziarie compatibili con l'esigenza di formalizzare gli accordi e gli atti discendenti per l'avvio del programma di cooperazione nei termini già previsti con il partner francese. Infatti, martedì scorso, la Presidenza del Consiglio ha comunicato alle organizzazioni sindacali, come da lei ricordato, la presentazione di un emendamento al disegno di legge finanziaria destinato ad assicurare il finanziamento del programma di sviluppo e acquisizione delle unità navali e delle relative dotazioni operative della classe Fremm.
Nel settore dei cantieri navali, il nostro paese vanta un ruolo di primo piano in ambito internazionale e siamo convinti che la partecipazione a tale programma potrà consentire alle imprese nazionali interessate la valorizzazione e lo sviluppo delle proprie potenzialità high tech (elettronica e motoristica in particolare), con riflessi positivi sullo sviluppo delle capacità competitive sul mercato internazionale.
Il Governo dunque è pienamente consapevole dell'importanza che il progetto riveste per il futuro della Marina militare e per le industrie cantieristiche dell'alta tecnologia. Si sta semplicemente tentando di far quadrare i conti, ovviamente senza implicazioni per ciò che credo sia alla base dell'interpellanza in oggetto: il livello occupazionale nei cantieri interessati.
Il tema centrale, signor sottosegretario, è un'altro, ossia che nonostante le ripetute dichiarazioni, e gli atti parlamentari conseguenti, anzi gli atti legislativi, ci troviamo al punto di partenza. È questo l'aspetto incredibile della vicenda. Certamente, non siamo giunti al punto che Italia e Francia si invieranno reciprocamente le cannoniere, dichiarandosi guerra, nemmeno «pacifica», per così dire. Non ho mai sostenuto questo. Ma che non ci sia stato imbarazzo e preoccupazione nel Governo francese per l'atteggiamento tenuto dalla nostra delegazione il giorno 4 ottobre, non è vero. Lo conferma, ad esempio, l'autorevole quotidiano economico francese Les Echos - non certamente di ideologia comunista - il quale, riferendo le notizie il giorno seguente l'incontro, scriveva quanto segue. In effetti, se a mezzogiorno un comunicato dell'Eliseo annunciava la firma dell'accordo, all'ultimo momento il primo ministro italiano Silvio Berlusconi si è rifiutato di siglarlo, dichiarando di doversi consultare di nuovo con il suo ministro dell'economia. I Servizi della Presidenza della Repubblica francese, imbarazzati, hanno spiegato al nostro quotidiano che l'accordo è stato rinviato di qualche giorno - evidentemente saranno quanto meno dei mesi - per ragioni tecniche relative all'amministrazione italiana.
Certamente, non si tratta di polemiche feroci, ma, evidentemente, di un linguaggio felpato, che, tra l'ironia e la preoccupazione, è del tutto legittimo. Non solo, risulta che il sindacato francese CGT abbia inviato una lettera al ministro della difesa francese Michèle Alliot-Marie, in cui si chiede di fare chiarezza sulle decisioni da prendere qualora continui il ritardo del
È evidente l'esistenza di imbarazzo e preoccupazione nei nostri partners internazionali. Può capitare, me ne rendo conto; però, se sbagliare è umano, perseverare nell'errore è diabolico. Nel caso in questione, siamo già un po' nella perseveranza. Lo ripeto: non sono mancate precedenti interpellanze; inoltre vi è stato anche un voto parlamentare.
Probabilmente, oggi non era possibile fare chiarezza, signor sottosegretario, di ciò le do atto. A questo punto, lei vorrà comprendere che nel sospendere qualunque giudizio rispetto alla verifica dei fatti, credo che sia necessario un confronto con i colleghi del centrosinistra, in particolare con i componenti della Commissione difesa, per verificare se non sia il caso che quest'ultima avvii un'indagine parlamentare sulla vicenda, al fine di comprendere cosa esattamente sia avvenuto ed il perché vi sia stata questa «doccia» italiana di andirivieni, di notizie smentite il giorno dopo e di preoccupazioni crescenti che, lo ripeto, riguardano tre livelli. Il primo livello è quello diplomatico internazionale, l'opinione pubblica francese. Vi è poi il livello degli stati maggiori della Marina italiana, che non meritano questo. Il terzo livello è quello dei lavoratori delle zone interessate, i quali, ancor meno, meritano ciò.
Noi proseguiremo su questa strada; non potremo fare sconti ulteriori. Ci auguriamo che tutto vada a buon fine, ma fino ad oggi registriamo che purtroppo ci siamo infilati in un vicolo: ignoriamo se il percorso intrapreso ci porterà alla soluzione del problema (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo e dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).
La proposta di riforma dell'Organizzazione comune di mercato dello zucchero è stata già oggetto di un'intensa attività del Governo, in particolare del ministro Alemanno e delle Commissioni agricoltura di Camera e Senato. Qui, alla Camera, l'esame di questa proposta ha prodotto anche una risoluzione approvata dalla Commissione agricoltura firmata e sostenuta da tutti i gruppi parlamentari. Ciò denota come la proposta di riforma, così come prospettata dalla Commissione europea, rivesta per il nostro paese notevole importanza e strategicità, e comporti anche dei seri rischi. Difatti, tale proposta, se approvata, rischierà di far scomparire definitivamente nel nostro paese un settore, quello bieticolo-saccarifero, certamente strategico ed importante.
Tale proposta di riforma dell'Organizzazione comune di mercato dello zucchero prevede una diminuzione del prezzo dello zucchero comunitario del 39 per cento rispetto all'attuale, l'eliminazione della garanzia del prezzo d'ingresso, sostituito da un semplice parametro di riferimento, e una riduzione del prezzo delle barbabietole del 42,6 per cento, compensato solo per il 60 per cento della diminuzione. Prevede, inoltre, contributi destinati ad incoraggiare la chiusura e la riorganizzazione degli stabilimenti e la rinuncia alla quota. Essa, altresì, privilegia le produzioni dei paesi dell'Europa continentale naturalmente vocati verso questo tipo di coltivazioni, in particolare, verso la coltura della bietola. L'adozione di tale riforma comporterebbe, inoltre, un rischio grave per i principi che fino ad oggi hanno retto la politica agricola comune, quali quello di solidarietà, di equilibrio, di preferenza per i prodotti comunitari. Da ultimo, essa comporterebbe, ripeto, per il nostro paese il rischio di «allontanarlo» da un settore così importante.
Con questa interpellanza urgente vogliamo ribadire e porre nuovamente all'attenzione del Governo - proprio in questi giorni si svolgerà un incontro su questa problematica a livello europeo - la necessità che il Presidente del Consiglio dei ministri svolga, in prima persona, un ruolo forte ed attivo a sostegno di questo settore che consenta all'Italia di permanere all'interno dell'OCM.
Desideriamo, quindi, conoscere dal Governo quali sono le iniziative, i provvedimenti e le azioni diplomatiche che si intendano adottare. A me risulta anche che è stato costituito un cosiddetto sindacato di blocco che vede l'Italia, insieme ad altri dieci paesi europei, allineata contro questa proposta di riforma. Chiediamo, pertanto, al Governo qual è la strategia concreta e reale che intende adottare e quali sono le azioni che lo stesso intende porre in essere nelle prossime settimane per affrontare la problematica oggetto dell'interpellanza.
Il Governo italiano è consapevole che la proposta di riforma non offrirà a tutti i produttori di barbabietole e di zucchero le stesse prospettive di certezza al reddito, in quanto creerà discriminazione tra quelli più o meno competitivi, premiando non il modello multifunzionale voluto con la riforma della PAC, ma quel modello produttivistico sempre condannato e causa di contenziosi con l'Organizzazione mondiale del commercio.
La riforma, infatti, così come impostata avrebbe un impatto sociale devastante, per la sicura perdita di migliaia di posti di lavoro nelle aree più deboli e svantaggiate del territorio comunitario. La proposta di riforma prevede un sistema di ristrutturazione basato sul principio della cessazione volontaria delle attività e poiché l'abbandono della produzione è collegato automaticamente all'abbandono del diritto di fornitura della materia prima di cui sono titolari i coltivatori, occorre che una parte dell'aiuto alla ristrutturazione previsto sia attribuito ai coltivatori di barbabietole da zucchero.
Per quanto concerne, in particolare, la riduzione del prezzo dello zucchero, si precisa che il Ministero delle politiche agricole e forestali ha presentato al Parlamento europeo emendamenti, recepiti negli atti parlamentari, che devono fungere da base per la richiesta di una riduzione meno forte di quella proposta dalla Commissione. Infatti, è stata proposta una riduzione del 25 per cento in due anni del prezzo di riferimento dello zucchero bianco.
Il Governo italiano, convinto che la proposta dovesse essere opportunamente modificata e resa compatibile con i principi fondamentali della politica agricola comune, fin dal primo momento ha condotto un duro negoziato, nel corso del quale sono state presentate con fermezza le nostre ragioni sulla base di articolate proposte alternative.
La strategia posta in essere mira a governare il processo di ristrutturazione attraverso l'adozione di una vera ed equa proposta di riforma dell'Organizzazione comune di mercato dello zucchero, che prenda in considerazione i valori occupazionali, ambientali ed economici connessi alla produzione delle barbabietole e dello zucchero.
Comunque, in previsione di un probabile ridimensionamento del settore, il ministero ha redatto un nuovo piano bieticolo-saccarifero nazionale, frutto di un'ampia concertazione con le rappresentanze agricole, industriali e sindacali. Il piano, che servirà a portare avanti la
Soltanto per dare qualche numero, sono oltre 200 mila gli ettari coltivati a bietola, 46 mila le aziende agricole e 7 mila i dipendenti dell'industria, l'indotto di mezzi tecnici è pari a 180 milioni di euro, il fatturato agricolo è di 600 milioni di euro e quello industriale di 1.300 milioni, mentre l'occupazione complessiva ammonta a 77 mila unità. È evidente, quindi, che la preoccupazione ribadita da tutte le forze politiche è reale e sostanziale. Il nostro paese deve essere mantenuto all'interno di questo filone produttivo e devono essere salvaguardati i livelli occupazionali.
È inutile aggiungere che forti inquietudini si registrano in alcune aree del nostro paese (penso al Molise e all'Abruzzo) in cui gli stabilimenti di produzione dello zucchero rappresentano unità economiche che, offrendo occupazione e reddito, si pongono come elementi peculiari del tessuto economico e sociale. In un momento di crisi congiunturale e strutturale dell'economia europea, è difficile immaginare che si possa fare a meno di tali realtà.
Partendo dall'assunto comune dell'importanza e del ruolo del settore, occorre collocare la trattativa all'interno del quadro della politica agricola comune, che non deve vedere il nostro paese penalizzato - com'è già successo in passato e come rischia di accadere anche stavolta - a favore di paesi politicamente (non tanto industrialmente) più forti.
Credo che, all'interno di questo quadro, il piano prodotto dal ministero rappresenti un momento di condivisione da parte di tutte le organizzazioni produttive, ma anche una base di partenza per stabilire un livello di mediazione più alto rispetto alla partenza e alla proposta presentata dalla Commissione europea.
Intendiamo ribadire la fortissima preoccupazione che vi è su questo tema e credo - lo ripeto - che la presenza e l'impegno in prima persona del Presidente del Consiglio per questo settore possa rappresentare un elemento vitale affinché questa trattativa possa andare in porto in condizioni più favorevoli per il nostro paese. Certamente la sua presenza rafforza la volontà del nostro paese all'interno della Unione europea di essere presenti e di continuare a produrre in questo settore strategico: sono convinto che il Governo farà la sua parte.
Con tale interpellanza chiedo al Governo se non ritenga di dover introdurre, all'interno del pacchetto di interventi straordinari presentato dal ministro Pisanu in quest'aula a seguito della discussione severa e dolorosa sul caso dell'uccisione dell'onorevole Fortugno, misure speciali atte a promuovere lo sviluppo della rete del volontariato e dell'associazionismo
Ricordo che vi sono stati giorni concitati in cui si parlava e si discuteva solo della criminalità in Calabria e nel Mezzogiorno, di tutto quello che ne consegue e di tutte le iniziative
che bisognerebbe mettere in campo per combattere questa gravissima piaga del nostro paese.
Il Governo si è attivato prontamente e - lo ripeto - il ministro Pisanu è intervenuto in quest'aula a dirci le cose che avevamo bisogno di sentire, in risposta alle preoccupazioni che provenivano dalle varie parti del paese, ed ha, tra l'altro, documentato l'iniziativa immediata di predisposizione di un pacchetto complesso e che potremmo definire «pacchetto sicurezza» in senso stretto, concernente una implementazione del numero delle Forze dell'ordine che saranno presenti sul territorio, un'attenzione maggiore agli organi di giustizia, un inasprimento delle misure sanzionatorie e così via. Si tratta di misure importanti e necessarie e ringrazio il Governo per avere pensato di adottarle.
Ritengo però che tali misure non siano sufficienti e che il dolore che, ancora una volta, l'Italia ha provato di fronte ad un episodio così grave, non debba essere dimenticato, poiché nelle zone del Mezzogiorno, come in Calabria, Campania e Sicilia, non accadono solo occasionalmente episodi tali da far accendere i riflettori sui nostri territori, ma ogni giorno si muore, un po' alla volta (e non voglio fare una tragedia, né recitare qui un melodramma). La mia richiesta nasce da una considerazione banale, ma a volte trascurata: tutto questo trova alimento nel Mezzogiorno d'Italia perché lì vi è terreno fertile.
Ci sono quei problemi antichi che ancora non riusciamo a risolvere; la disoccupazione, la povertà, la carenza infrastrutturale sono strumenti nelle mani della criminalità, altre armi di cui dispone. Dunque, ritengo, e anzi sono convinta - e in ciò risiedono le motivazioni della mia interpellanza -, che il Governo, quando fa riferimento ad un pacchetto sicurezza necessario per rispondere ad una aggressione quale questa, non può che allargare il suo intervento, non può che andare oltre le misure di sicurezza intese in senso stretto. Deve prevedere misure che intervengano sul rapporto tra criminalità ed economia e deve fare riferimento alla presenza dello Stato in maniera preventiva ed offrire a tutti cittadini del Mezzogiorno la possibilità di difendersi: deve offrire loro uno scudo.
Ho presentato questa interpellanza quattro giorni fa e ieri è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore un servizio che fa riferimento a tale vicenda drammatica; sono stati intervistati imprenditori, rappresentanti di categoria, rappresentanti istituzionali del territorio. Quindi, si è considerata tutta la platea sociale di tali territori del Mezzogiorno e più d'uno ha rappresentato come prima difficoltà lo strettissimo collegamento tra economia povera e criminalità. Non pochi dicono ciò; ma quanto vorrei evidenziare perché rappresenta un elemento importante è il dato che emerge dall'ultima ricerca condotta dalla camera di commercio di Napoli che verrà pubblicata - sostiene Il Sole 24 Ore - di qui a qualche giorno: dati alla mano, il contesto meridionale si traduce in un sovracosto del 20 per cento sui bilanci di ciascuna impresa. Credo che con questa cifra - non mi dilungo ulteriormente - io abbia reso adeguatamente il senso della mia richiesta al Governo.
Tale intervento prevede, in attuazione del disposto dell'articolo 4, comma 130, della legge finanziaria per il 2004, che le amministrazioni e le regioni presentino al CIPE i cronoprogrammi d'attività e di spesa e disciplina e, inoltre, quote di premialità legate al grado ed ai tempi di realizzazione degli interventi proposti.
Nello stesso tempo, il Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri ha preso l'impegno di fissare tempi certi per la stipula di accordi di programma quadro con le singole regioni, al fine di dare garanzia di realizzazione ai programmi di investimento dalle stesse presentati ed inseriti negli accordi.
Si rammenta, altresì, che il programma operativo nazionale «Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno» (1.226 milioni di euro), a titolarità del Ministero dell'interno, opera anche sulla regione Calabria.
Uno specifico accordo di programma quadro, in tema di sicurezza, è stato sottoscritto, nel settembre 2003, tra la regione Calabria ed il Ministero dell'interno e incide su risorse pari a 38,175 milioni di euro (tra risorse comunitarie e nazionali, aggiuntive e ordinarie).
Anche nell'ambito delle risorse del fondo Aree sottoutilizzate, assegnate al Ministero dell'interno dalle delibere CIPE nn. 19 e 21 del 2004 (tra le quali merita un cenno il finanziamento dedicato all'accompagnamento anticrimine del programma di infrastrutturazione strategica del paese), sono stati finanziati taluni specifici progetti per la sicurezza in Calabria che prevedono l'informatizzazione degli sportelli unici per l'immigrazione presso gli uffici territoriali governativi e la realizzazione di interventi di riqualificazione urbana nei comuni di: Botricello, Lamezia Terme, Marcedusa, Isola di Capo Rizzuto, Strongoli, Briatico (in particolare, il risanamento di aree degradate e la realizzazione di campus nomadi, della centrale operativa municipale e di un presidio di protezione civile).
Si prevedono, inoltre, l'informatizzazione di sale operative dei vigili del fuoco; la qualificazione portuale di Gioia Tauro, con la creazione di strutture di soccorso dei vigili del fuoco; la nuova sede delle Forze di polizia di Lamezia Terme; la sala operativa delle Forze di polizia di Vibo Valentia.
Si fa presente, infine, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha già reso operative, nella regione Calabria, le seguenti iniziative: l'attivazione di 145 tirocini formativi di mobilità per giovani disoccupati, nell'ambito del progetto «Lavoro e sviluppo», finanziato con fondi comunitari; l'istituzione, presso il servizio per l'impiego di Reggio Calabria, di una task force dedicata allo sviluppo di uno sportello per la domanda di lavoro; l'attuazione di due progetti, nell'ambito dell'assistenza tecnica fondo strutturale europeo «obiettivo 1», finalizzati uno al supporto dei servizi gestionali per l'impiego, l'altro all'attivazione di sportelli dedicati a donne disoccupate.
Sono altresì previsti: il finanziamento, a seguito di una delibera CIPE, per un importo di oltre 9 milioni di euro, di progetti per l'emersione del lavoro nero; il finanziamento, sempre con delibera CIPE, di 13 progetti per un impegno di 2 milioni 611 mila euro finalizzati allo sviluppo di reti di cooperative e di imprese sociali; l'attivazione di una task force, presso la regione Calabria, per il supporto allo sviluppo dell'occupazione dei programmi PIT (progetti integrati territoriali) regionali.
Vorrei aggiungere, in qualità di sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che presso tale organo esiste anche un Dipartimento del servizio civile, che ha cominciato la propria attività, nel 2001, con 790 giovani di età compresa tra i 18 ed i 28 anni. Tali giovani devono essere impiegati nell'attività di volontariato, concetto che so esserle molto caro, onorevole Mazzoni, e vorrei
Ciò che noto, tuttavia, è che la maggioranza delle richieste e dei programmi, presentati dagli enti locali e dalle associazioni, proviene dal nord d'Italia, non dal sud. Dunque, come al solito, la responsabilità ricade sempre sugli amministratori locali.
Comunque, onorevole Mazzoni, il collegamento tra economia povera e criminalità - e concludo, signor Presidente - che lei ha evidenziato rappresenta un dato di fatto su cui il nostro Governo ripone la massima attenzione: pertanto, la ringrazio per aver sottolineato tale particolare.
A mio avviso, tuttavia, manca un elemento. Forse, in qualità di espressione del Meridione del nostro paese, ricerco anche in queste vicende istituzionali una passionalità ed una partecipazione che, nei protocolli e nelle carte ufficiali, non si riesce facilmente a trovare, ma ritengo che nella sua risposta, signor sottosegretario - puntuale, precisa ed istituzionalmente soddisfacente -, sia mancata la sensazione di avere uno Stato realmente vicino ai nostri problemi.
Vorrei, infatti, che ci fosse uno Stato effettivamente convinto di voler dare quel qualcosa in più, di voler rivolgere un'attenzione maggiore, e di ricercarla anche avversando quelle «fredde» - mi sia consentito il termine - regole comunitarie che ci impediscono di far valere la nostra diversità quale punto di forza per far progredire sia il nostro orgoglio, sia la nostra voglia di crescere e di competere con i paesi europei e non solo. Credo, tuttavia, che si debbano fare ancora molti passi avanti in questa direzione.
Ritengo che l'appello lanciato in quest'aula dallo stesso ministro Pisanu - che ha chiesto ai cittadini della Calabria e di tutto il Mezzogiorno di farsi protagonisti della loro rinascita e di collaborare con il Governo e con le istituzioni affinché anche il pacchetto sicurezza già predisposto possa produrre i suoi effetti - non possa trovare ascolto se non si entra nelle maglie di questa rete in maniera più forte.
Tutte le misure che il Governo ha enucleato e che sono in campo, in parte, hanno prodotto dei risultati: esse sono operative già da qualche tempo, alcune già da anni. Allora, se dovessimo verificare lo stato di attuazione di quelle misure e l'efficacia di quegli strumenti, dovremmo guardare a vicende quali l'ultimo grave episodio dal quale hanno avuto origine la mia riflessione e la mia interpellanza? Dovremmo, allora, tirare un bilancio negativo del nostro operato! Non credo che esso sia negativo. Credo solo che, anche in questo caso, non sia superfluo e fuori luogo che ci sia un po' più di passione e di cuore nell'impegno istituzionale verso il Mezzogiorno. Il Mezzogiorno non chiede elemosina: esso ha bisogno di sostegno, perché vive una difficoltà dalla quale potrà uscire solo con l'aiuto di uno Stato vero, che partecipa e che condivide il problema.
Inizialmente, siamo rimasti un po' stupiti per il modo in cui era nato questo istituto: da un articolo della legge finanziaria; peraltro, tale istituto era posto alle dipendenze del Ministero dell'economia e delle finanze e non del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (inizialmente, il MIUR non sembrava molto coinvolto, anche se poi questo coinvolgimento c'è stato); né vi era alcun coinvolgimento della comunità scientifica nazionale, che poteva in qualche modo dare apporti significativi su come far nascere un istituto totalmente nuovo.
Nonostante queste perplessità, come opposizione, alla Camera abbiamo dato un'apertura di credito per alcuni motivi. In primo luogo, perché crediamo ci sia davvero bisogno di investire sull'innovazione tecnologica e perché pensiamo sia sensato e utile creare un istituto fortemente votato alla ricerca applicata, che si misuri con il bisogno di unire la ricerca con le esigenze dello sviluppo.
Inoltre, ritenevamo necessarie scelte agili e meno burocratiche. In altri termini, tempi più ristretti potevano rispondere all'esigenza - che spesso si presenta - di dare impulso anche alla rapidità delle scelte compiute sui temi della ricerca; altrimenti, avremmo rischiato di rimanere molto indietro e di perdere treni anche su parti di ricerca su cui vantiamo ancora delle eccellenze.
Da questo punto di vista, mi permetto anche di dire che avevamo considerato contraddittoria l'idea di far nascere l'Istituto italiano di tecnologia, decidendo, nello stesso tempo, di chiudere l'Istituto nazionale di fisica della materia. Si trattava di un istituto a rete, che metteva insieme l'università con il mondo delle imprese e che aveva funzionato molto bene. Era un istituto molto qualificato e si affermava che si sarebbe inserito nel CNR per farlo funzionare: ciò affinché, in qualche modo, lo stesso potesse diventare un modello per un ente di ricerca pubblico più grande.
In realtà, è «morto» l'Istituto nazionale di fisica della materia - che non funziona più - e competenze anche significative insieme alla capacità amministrativa di creare progetti, soprattutto per raccogliere fondi europei, stanno andando disperse. Si è rivelato, dunque, contraddittorio chiudere l'Istituto nazionale di fisica della materia, che funzionava secondo gli obiettivi che lo stesso si prefiggeva e, nello stesso tempo, lanciare l'altro istituto.
Detto ciò, responsabilmente, con riferimento alla legge finanziaria che istitutiva l'Istituto italiano di tecnologia, avevamo presentato, primo firmatario il collega Tocci (personalmente, ero seconda firmataria) un emendamento, dando dei suggerimenti al Governo. Se si voleva far nascere un istituto di questo tipo - dato che tali strutture non nascono dal nulla, perché bisogna agire in tempi stretti ed impegnare risorse significative sulla rete -, occorreva cominciare ad usare la rete dei punti di eccellenza già presenti in Italia, che avrebbero potuto subito mettere a frutto i fondi stanziati dalla legge finanziaria.
In realtà, ciò non è stato fatto e si è dato vita ad un percorso che, purtroppo, si sta rivelando, anche questo, piuttosto lungo, con tempi che coincidono con quanto previsto dalle leggi istitutive, ma che risultano lunghi rispetto all'esigenza della ricerca e anche rispetto al fatto che vengono immobilizzati dei fondi che potrebbero essere molto importanti per settori che hanno subìto dei tagli significativi.
Si è istituito un board, scelto con alte qualificazioni professionali, di cui facevano parte anche alcuni premi Nobel. All'inizio non era chiaro, però, per quale motivo fossero stati scelti quegli scienziati e non altri. Di fatto, erano quasi tutti scienziati legati alle neuroscienze. Infatti, da questo primo board è nata l'idea che l'IIT avrebbe lavorato soprattutto sul tema
In realtà, già in questo board molti degli scienziati nominati provenivano soprattutto dagli Stati Uniti. Scarsa è la presenza dell'Europa e di scienziati europei, perché dall'inizio per la creazione dell'Istituto italiano di tecnologia ci si è ispirati al modello del Ministero per l'innovazione e le tecnologie, pensando che potesse trattarsi in qualche modo di un'esperienza analoga.
In realtà, MIT funziona con ingentissimi fondi privati, mentre in Italia sappiamo che i fondi privati per la ricerca sono molto pochi. La scommessa di ottenerli è molto importante, ma pensare che arrivino subito in quantità ingente è troppo ardito. A mio giudizio, un modello come quello del Max Planck sarebbe stato molto più consono alle caratteristiche dell'Italia e anche alla possibilità di integrare questo istituto con il sistema della ricerca europea.
È stato nominato un direttore scientifico, il professor Cingolani, che ha presentato e fatto approvare dal board un programma di alto livello scientifico.
Nel frattempo, è stato emanato un bando internazionale con il quale si diceva che gli scienziati che volessero partecipare a questo programma scientifico potevano inviare il loro curriculum, e tra questi sarebbero stati scelti i direttori di piattaforma e i ricercatori che sarebbero venuti a lavorare in Italia.
Ci sono state risposte piuttosto consistenti (155 risposte) da parte di ricercatori, molti dei quali stranieri, con programmi scritti. Di queste 155 risposte, 20 sono state selezionate. In settembre sono stati svolti dei colloqui con questi scienziati. Queste persone, che sono qualificate e che hanno importanti responsabilità nella ricerca internazionale, sono in attesa di ricevere una risposta. Dal 2 ottobre, però, l'Istituto italiano di tecnologia non ha più alcuna «testa decisionale», perché, insieme al board, che è decaduto il 26 settembre, anche il direttore scientifico non è più operativo.
Lo statuto è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica il 31 luglio, nei tempi stabiliti per legge: di questo sono consapevole. Ma, in realtà, il testo dello statuto è molto semplice e mi sono chiesta perché vi sia stata la necessità di aspettare quasi due anni per approvare un testo così semplice che, peraltro, come ripeto, si ispira molto agli statuti delle fondazioni americane e poco alle modalità europee di funzionamento della ricerca.
Peraltro, in un question-time di maggio avevo messo in rilievo come i fondi molto significativi (50 milioni di euro iniziali e i 100 milioni di euro del primo anno, ai quali si aggiungeranno altri 100 milioni), di fatto fossero immobilizzati, perché la spesa complessiva iniziale dell'Istituto italiano di tecnologia era stata di 2 milioni e 800 mila euro per spese di funzionamento e consulenza per le prime operazioni.
Il nuovo board sarà così composto sulla base di quanto prevede lo statuto. Il decreto, che dovrebbe essere firmato dal Presidente del Consiglio dei ministri, dal ministro dell'economia e delle finanze e dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dovrebbe nominare tre persone, che, a loro volta, ne nomineranno altre dodici. Come? Con quali criteri? Ciò non viene detto nello statuto e non è dato comprendere.
Mi domando perché non si coinvolgano di più le eccellenze della comunità scientifica italiana. Sappiamo che sulla creazione di tale istituto vi è stata, inizialmente, un'alzata di scudi fortissima della comunità scientifica italiana che si domandava perché i fondi non fossero destinati all'istituto che già funziona. Credo che una scommessa potesse essere fatta, ma non può esserlo contro la comunità scientifica italiana: deve esservi un coinvolgimento della parte più innovativa, di chi vuole scommettere, di chi vuole andare avanti. Certamente, tale scommessa non può essere fatta «contro», anche perché in Italia abbiamo davvero molte eccellenze. Altrimenti, si corre il rischio che tale istituto non funzioni, e noi vorremmo che, invece, funzionasse perché crediamo sia molto importante.
La legge istitutiva, come ribadito anche nello statuto, sceglie Genova come sede dell'Istituto italiano di tecnologia. Nel vecchio board vi era un componente nominato dall'università di Genova. Il nuovo board penserà ad avere anche un rappresentante della comunità accademica e scientifica genovese? Ritengo sarebbe utile perché, altrimenti, non si capisce il motivo della localizzazione a Genova e non da altre parti. Inoltre, far nascere e crescere un'esperienza scientifica di alto livello senza un tessuto connettivo e relazionale con la realtà scientifica del luogo prescelto diventa abbastanza incomprensibile. Anche questo aspetto non viene definito nello statuto. Sono perfettamente cosciente che l'istituto italiano di tecnologia vuole avere un respiro nazionale, ed io spero europeo; anzi, mi piacerebbe uno statuto che lo rendesse più compatibile con i grandi istituti europei, e non statunitensi, proprio per come può funzionare la ricerca in Europa.
Certamente, i suddetti elementi ci portano ad essere preoccupati anche per quanto riguarda la firma del decreto. So che vi è ancora tempo: mi pare, infatti, che la scadenza sia il 15 novembre. Tuttavia, tanto per fare un esempio concreto, la regione Liguria ha trovato un edificio, per cui si è impegnata con cambio di beni e soldi propri per 22 milioni di euro, che dovrà diventare la sede dell'Istituto italiano di tecnologia. Ha fatto tutto in fretta perché riteneva che vi fosse bisogno di partire, di far fruttare i fondi e mettere in moto tale esperienza. Ad oggi, la regione Liguria non sa con chi firmare l'atto di cessione gratuita di tale edificio perché non esiste un elemento decisionale che può assumere tale decisione.
Pertanto, sono in questa sede a richiedere se vi sia la consapevolezza dell'esigenza di fare presto e di fare in modo che questo oggetto misterioso di cui stiamo parlando da anni - l'Istituto italiano di tecnologia - cominci a diventare un po' meno misterioso, a funzionare effettivamente ed a produrre i risultati di cui abbiamo quanto mai bisogno.
È chiaro che le funzioni del consiglio risultano fondamentali per lo svolgimento dell'attività posta in essere dall'istituto. In considerazione di tale rilevanza, lo statuto prevede che tre membri di tale organo, come già ricordato dall'interpellante, vengano nominati dal Presidente del Consiglio, dal ministro dell'economia e delle finanze e dal ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Essendo terminata la fase di avvio delle attività dell'ente il 2 ottobre scorso e decaduti, quindi, da tale data il commissario unico e gli altri organi incaricati di gestire la fondazione nella prima fase di start up, il Governo intende precisare che, ai sensi della normativa vigente in materia, gli organi predetti possono operare in regime di prorogatio per altri 45 giorni.
Per le considerazioni sopra esposte, il Ministero non ritiene, a tutt'oggi, verificata la situazione di grave ritardo nella nomina del consiglio dell'Istituto italiano di tecnologia, cui ha fatto riferimento l'onorevole Pinotti. Pertanto, il Governo assicura, anche a seguito dei precisi impegni da parte del ministro e del viceministro Possa, che l'istruttoria per la definizione del provvedimento di nomina è in corso e che la questione verrà definita in tempi rapidi, nel rispetto della normativa in materia di prorogatio.
Rispetto al fatto di poter operare in regime di prorogatio, vi sono difficoltà oggettive perché, se questo può avvenire, mi chiedo come mai i funzionari della regione Liguria non trovino qualcuno che può firmare con loro la convenzione per la cessione dell'edificio in termini gratuiti. Ieri, il presidente Burlando ha posto questo problema al ministro Scajola, dicendogli che sono fermi, ma che si sono impegnati per una cifra considerevole, 22 milioni di euro, e che pertanto vorrebbero capire con chi devono operare. Se c'è una prorogatio, forse va chiarito a coloro che hanno ancora potenzialità operative e che possono procedere in questo senso.
D'altro canto, mi rendo conto che operare scelte di questa natura in regime di prorogatio è alquanto delicato. Altro aspetto delicato è che in questo momento il direttore scientifico, che ha esaurito il suo ruolo, dato che si è conclusa la fase di start up, non può dare risposte agli scienziati che sono stati selezionati e che dovrebbero conoscere se a questo punto saranno loro a dover fare i capi progetto dell'Istituto italiano di tecnologia oppure se spetterà ad altri, perché dovranno anche programmarsi in qualche modo la vita in questo senso.
Se da un punto di vista formale possiamo dire che non esiste un grave ritardo, dal punto di vista sostanziale tale grave ritardo invece c'è ed è determinato dal fatto che, con la scelta dell'Istituto italiano di tecnologia, si deve, in tempi rapidi e con strumenti agili, fornire risposte immediate al bisogno esistente della ricerca applicata. I tempi, che in questo momento sono in campo, non sono tempi rapidi. Cominciano a diventare purtroppo i tempi ai quali siamo stati abituati da alcuni settori della pubblica amministrazione. Sono dunque tempi lenti. Nel frattempo, altri centri di ricerca di altri paesi stanno viaggiando alla velocità della luce proprio su quei temi, come la robotica antropomorfa, sui quali si è deciso di concentrare la ricerca e i finanziamenti.
Rischiamo dunque di trovarci nella situazione per cui, quando saremo pronti a partire, quello che avremmo potuto scoprire o trovare sarà già stato scoperto o trovato da altre parti. Questo perché nella ricerca il tempo non è denaro, ma rappresenta la possibilità di restare nella competizione oppure di uscirne fuori. L'Italia purtroppo ha perso, nel corso degli anni, per tutta la storia che c'è stata (anche di perdita di industria) tutta una serie di punti di eccellenza della ricerca che esistevano. I campi delle neuroscienze e delle nanotecnologie sono campi nei quali noi abbiamo ancora la possibilità di non essere superati o comunque di svolgere un ruolo anche importante. Ritengo pertanto che vadano superate in tempi più rapidi le difficoltà che insorgono, peraltro neanche molto chiare. Non si capisce infatti perché se il Presidente del Consiglio ed il ministro dell'economia e delle finanze hanno posto la loro firma al decreto, non possa essere messa rapidamente anche la terza firma, quella del ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Diversamente, rischiamo di far perdere alla nostra ricerca credibilità ed appetibilità sullo scenario internazionale. Peraltro, un'altra scommessa poteva essere quella di dire: facciamo in modo che gli stranieri vengano in Italia, realizzando un istituto che possa offrire loro aspetti interessanti, innovativi e grandi finanziamenti.
Tuttavia, se non forniamo le risposte opportune, se si selezionano grandi scienziati internazionali e poi li lasciamo in
Sul tema della ricerca (vi è un'esigenza che si può condividere da parte della maggioranza e dell'opposizione), le preoccupazioni vanno al di là della battaglia politica tesa a sottolineare le inadempienze e vogliono rappresentare, in modo sostanziale, un pungolo, perché si possa cominciare rapidamente ad affrontare un tema così centrale per lo sviluppo di questo paese.
Pregherei il sottosegretario Ventucci di prestare attenzione, dal momento che non sono presenti in aula i rappresentanti dei ministeri competenti (mi riferisco ai ministeri dell'interno e della giustizia) e, pertanto, l'attenzione del sottosegretario sarebbe importante per non limitarsi a leggere soltanto una velina.
Tra l'altro, il fenomeno brigatista rappresenta una particolare peculiarità in questo paese rispetto anche agli altri paesi europei.
Non dimentichiamo che, tra gli anni Settanta e Ottanta, questo fenomeno ha prodotto oltre 500 morti e circa 400 mila feriti ed è stato commesso l'errore, dopo l'ultimo omicidio del professor Ruffilli, nel 1988, di abbassare la guardia. Diversi elementi o documenti, dal 1992, con riferimento ad attentati di minore entità, erano stati lasciati dalle Brigate rosse ed avrebbero consentito, se vi fosse stata maggior attenzione da parte degli inquirenti, di comprendere che le Brigate rosse si stavano ricostituendo e avrebbero colpito di nuovo.
Pertanto, credo che una certa attenzione su questo fenomeno - non voglio creare allarmismi - debba essere mantenuta sempre alta, per evitare altri strazi, perché questo paese ne ha già vissuti abbastanza.
Sono stati comminati 36 anni di reclusione a Cinzia Banelli, senza che fossero concessi quei benefici che la legge sui pentiti prevede e ciò perché la sua collaborazione è stata ritenuta insufficiente.
Infatti, dalla sua testimonianza non è emerso alcun dato che non fosse già a conoscenza degli inquirenti; neppure la chiave di accesso al computer è bastata, perché dalla lettura dei documenti trovati in quel computer non è emerso alcun elemento di rilevante novità.
L'articolo apparso sul Corriere della sera è stato seguito da un altro articolo apparso il giorno successivo, in cui vi era un diretto attacco alla commissione ministeriale che ha avuto il compito di analizzare tutti gli atti processuali per decidere se a Cinzia Banelli sarebbe stato concesso il programma di protezione. Questa commissione ministeriale, per ben due volte, non ha ritenuto che vi fossero elementi meritevoli di un programma di protezione e, quindi, per la seconda volta, le è stato negato.
L'intervista della Banelli è stata seguita, il giorno successivo, da un articolo dello stesso giornalista, Giovanni Bianconi, nel quale si riportavano anche dichiarazioni molto gravi dell'avvocato della Banelli, Grazia Volo, con attacchi quasi calunniosi nei confronti della commissione, asserendo che i benefici di questo tipo erano stati concessi a persone non meritevoli del programma di protezione.
Dunque, mi rivolgo al Governo anche alla luce della gravità di alcuni aspetti emersi dall'intervista di Cinzia Banelli. Da
Ancora, sia durante il processo sia durante l'intervista, Cinzia Banelli ha sostenuto che le nuove Brigate rosse hanno tratto ispirazione dai documenti degli irriducibili nelle carceri: «Cominciarono a circolare gli scritti dei prigionieri politici delle Brigate rosse, gli irriducibili chiusi in carcere. Dalla lettura di quei testi si avviò un dibattito che poi è proseguito in ambito più ristretto. Da lì nacquero i Nuclei comunisti combattenti, poi divenuti Brigate rosse con l'omicidio D'Antona». Quindi, la possibilità di comunicare tra detenuti e persone esterne determina conseguenze molto pericolose per il paese.
Che certezza abbiamo che Cinzia Banelli a suo modo non stia ancora lanciando messaggi sovversivi? La Banelli afferma: «Conta la strategia che si fa testimonianza: la volontà di tenere accesa una fiaccola, di dire che c'è ancora spazio per un'opposizione combattente anche se non arriverà alla vittoria. Io non ho mai pensato di fare la rivoluzione, ma di riproporre il patrimonio politico-teorico delle Brigate rosse, la strategia della lotta armata a prescindere da una lotta di classe diffusa». «Quindi» - domanda l'intervistatore -, «l'assenza del "contesto" non è un anticorpo contro il terrorismo?». La risposta della Banelli è: «No e la nostra storia lo dimostra. Per questo penso che un giorno le Brigate rosse potrebbero tornare. Non oggi né domani, ma un giorno è possibile».
Ritengo che consentire la diffusione delle idee delle Brigate rosse, che non uccidono per la rivoluzione ma soltanto per riaffermare il proprio patrimonio politico e teorico, sia gravissimo ed estremamente pericoloso per la sicurezza di tutti i cittadini del nostro paese.
Inoltre, Cinzia Banelli afferma che le Brigate rosse potrebbero tornare e rappresentare ancora una minaccia. Per questi motivi teme anche per la sua propria vita e paradossalmente chiede per sé il programma di protezione che fu negato a Marco Biagi, da lei assassinato. È questo il vero paradosso.
Chiedo al Governo di sapere se Cinzia Banelli è stata autorizzata a rilasciare questa intervista e, in tal caso, sapere da chi è stata autorizzata. Inoltre, nell'ipotesi che non vi sia stata alcuna autorizzazione, chiedo di sapere come sia stato possibile che ella, nella sua posizione, possa aver avuto accesso agli organi di stampa e, in questo caso, quali iniziative intenda adottare il Governo affinché non si ripetano episodi di analoga natura.
Il Ministero dell'interno ha rappresentato che nei confronti di Cinzia Banelli, la quale è stata detenuta presso il carcere di Sollicciano dal 24 ottobre 2003 al 20 maggio 2005, la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, con nota del 12 novembre 2004, ha avanzato richiesta
Analoga richiesta è stata avanzata, in data 18 gennaio 2005, alla procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna in relazione alle indagini relative all'omicidio del professor Marco Biagi.
La Commissione centrale per la definizione e l'applicazione delle speciali misure di protezione, acquisiti la documentazione necessaria ed i provvedimenti dell'autorità giudiziaria di Roma e Bologna, in data 8 marzo 2005, ha deliberato di non accogliere le predette proposte di applicazione delle misure di assistenza e di protezione nei confronti della Banelli e dei suoi familiari.
In relazione alle condizioni ed ai requisiti previsti dalla normativa in vigore per l'accoglimento della richiesta in questione, deve rammentarsi che, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, «ai fini dell'applicazione delle speciali misure di protezione, assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale. La collaborazione e le dichiarazioni predette devono avere carattere di intrinseca attendibilità. Devono altresì avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali, le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni». Questo è quanto previsto dall'articolo 9.
Tanto premesso, il Ministero dell'interno ha sottolineato, nel merito, che dalla proposta della procura di Bologna è emerso che le dichiarazioni rese dalla Banelli sono iniziate dopo che le procure, interessate ad indagini collegate sui delitti delle Brigate rosse (Roma, Firenze e Bologna), avevano già chiesto ed ottenuto l'emissione di provvedimenti cautelari a carico di molti indagati, raggiunti da gravi indizi di colpevolezza ed avevano anche già richiesto il rinvio a giudizio degli imputati.
La conseguente possibilità di confrontare le sue dichiarazioni con gli elementi probatori già raccolti aveva indotto la stessa Banelli a modificare, negli interrogatori dell'8 settembre 2004 e successivi, l'atteggiamento che aveva caratterizzato il precedente interrogatorio del 5 agosto 2004, allorché «aveva cercato di minimizzare il proprio ruolo nell'attentato ai danni del professor Marco Biagi e le proprie conoscenze degli appartenenti all'organizzazione».
Il giudice per le indagini preliminari di Roma, nel rigettare, in data 21 dicembre 2004, la richiesta di arresti domiciliari avanzata dalla Banelli, aveva sottolineato come le dichiarazioni rese dall'imputata nel corso dell'incidente probatorio non costituissero, avuto riguardo alla personalità e alla pericolosità dell'imputata, elemento idoneo a confortare un giudizio di attenuazione delle esigenze cautelari.
Per quanto concerne le indagini svolte in ordine alle dichiarazioni della Banelli dalla polizia giudiziaria, la lettura dell'informativa della Divisione investigazioni generali ed operazioni speciali della questura
Quanto al contenuto dei documenti dei quali la Banelli avrebbe consentito la decriptazione, «riferendo le chiavi del cifrario utilizzato che li rendeva incomprensibili», si tratta di documenti che nulla aggiungono a quanto già accertato, sulla scorta delle indagini svolte prima della richiesta di rinvio a giudizio, sia per quanto attiene alle fasi preparatoria ed esecutiva degli attentati in danno del professor Massimo D'Antona e del professor Marco Biagi, sia per quanto attiene alla struttura organizzativa dell'associazione sovversiva-banda armata denominata BR-PCC, sia per quel che concerne i rapporti di questa con i Nuclei comunisti combattenti e struttura di questi.
Il giudice per le indagini preliminari di Roma, con sentenza 1o marzo 2005, non ha concesso alla Banelli l'attenuante della collaborazione di cui all'articolo 4 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 623, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15, applicando le sole attenuanti generiche, ed infliggendo alla Banelli, per i reati di cui era chiamata a rispondere, fra cui l'omicidio del professor Massimo D'Antona, la pena di venti anni di reclusione.
Il giudice per le indagini preliminari di Roma, con provvedimento del 7 marzo 2005, ha respinto la richiesta di arresti domiciliari reiterata dall'imputata il 1o marzo 2005, sottolineando che di fronte all'evidenza delle prove raccolte dalla DIGOS e alla completezza degli esiti delle indagini non sono emersi, se non in termini pienamente confermativi di quanto già acquisito, elementi di particolare valore investigativo: l'apporto investigativo dato dalla Banelli, oltre a non essere apparso decisivo per l'individuazione o la cattura dei concorrenti relativamente alle più gravi ipotesi di reato, non è stato ritenuto emergenza idonea a fondare il convincimento di una reale dissociazione dell'imputata medesima dal contesto associativo terroristico di appartenenza, presupposto ulteriore cui il legislatore condiziona il riconoscimento dell'attenuante della collaborazione.
Tali decisioni dell'autorità giudiziaria hanno costituito il presupposto di fatto dei provvedimenti adottati dalla commissione centrale ex articolo 10 della legge n. 82 del 1991. Dalla medesima commissione centrale, la posizione della Banelli è stata segnalata al Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria (quella dei suoi familiari alle competenti autorità di pubblica sicurezza), ai fini dell'adozione delle ordinarie misure di protezione, nonché al direttore dell'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS). Di tali misure l'UCIS ha assicurato l'immediata attivazione.
La procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, con nota del 18 aprile 2005, ha chiesto una nuova valutazione dei presupposti e delle condizioni per l'ammissione della Banelli al programma speciale di protezione.
È stato trasmesso, in proposito, il dispositivo della sentenza del 19 marzo 2005 di condanna della Banelli, emessa dal giudice per le udienze preliminari di Roma, nel giudizio abbreviato per alcune rapine, con il riconoscimento dell'attenuante della collaborazione, nonché l'ordinanza del 31 marzo 2005 del tribunale di Roma, sezione per il riesame dei provvedimenti sulla libertà personale, che ha disposto la sostituzione della custodia cautelare con agli arresti domiciliari.
Anche la procura della Repubblica presso il tribunale di Bologna, con una nota del 20 maggio 2005, avanzava richiesta di riesame per l'ammissione della Banelli al programma speciale di protezione, trasmettendo a tal fine l'ordinanza del 20 maggio 2005 del tribunale di Bologna, che disponeva la sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari nei confronti della Banelli.
La commissione, con delibera del 26 maggio 2005, ha confermato la precedente delibera dell'8 marzo, non accogliendo le richieste di riesame avanzate dalle procure di Roma e di Bologna.
Ciò per le seguenti ragioni. Anzitutto, perché le ordinanze, per la loro natura incidentale e cautelare, non possono contrapporsi alla valutazione di merito compendiata nel dispositivo delle relative sentenze che hanno definito i processi; in particolare, dalla lettura dell'ordinanza del tribunale di Bologna, emerge che la condotta collaborativa della Banelli deve realisticamente interpretarsi come una mera condotta di dissociazione; essa, infatti, non ha comportato quegli elementi di novità, di completezza e di notevole importanza che consentono di ritenere che, ad una presa di distanza dall'organizzazione criminale, sia corrisposta una collaborazione nel senso inteso dall'articolo 9 della legge n. 82 del 1991 e dell'articolo 3 del decreto ministeriale n. 161 del 2004.
Inoltre, vi è il fatto che le dichiarazioni della Banelli si siano sovrapposte alle conoscenze già acquisite dagli investigatori.
Infine, vi è la circostanza che permangono, seppure attenuate nella valutazione del giudice del riesame, le esigenze di cui all'articolo 275 del codice di procedura penale, se è vero che la custodia in carcere è stata sostituita dalla misura comunque detentiva, quale è quella degli arresti domiciliari.
Al fine di garantire a Banelli Cinzia ed ai suoi familiari la massima tutela, è stato nuovamente interessato l'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, nonché i prefetti competenti, per l'adozione delle misure di sicurezza necessarie (in base al decreto-legge n. 83 del 2002, convertito nella legge n. 133 del 2002).
Ciò posto, il Ministero dell'interno ha comunicato che, in relazione alle determinazioni della commissione centrale, la Banelli non risulta destinataria di misure di assistenza e di protezione, di cui alla legge n. 82 del 1991 sui collaboratori di giustizia, né soggiace ai relativi obblighi connessi, tra i quali il divieto di rilasciare interviste a terzi.
Il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha riferito che, dagli atti del fascicolo personale dell'ex detenuta in questione, non risulta alcuna traccia della missiva scritta a mano dalla stessa ed inviata all'onorevole Olga Di Serio D'Antona.
Ha precisato, inoltre, che Cinzia Banelli, per tutta la durata della sua attenzione in carcere, è stata sottoposta al «visto di censura» sulla corrispondenza, dal quale è esclusa la sola corrispondenza epistolare dei detenuti e degli interessati indirizzata ad organismi internazionali amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di cui l'Italia fa parte (articolo 38, comma 11, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 30 giugno 2000), nonché la corrispondenza epistolare indirizzata ai difensori di fiducia, secondo la norma prevista dagli articoli 103 (commi 5 e 6) e 104 del codice di procedura penale.
Sia la procura di Roma sia la procura di Bologna hanno inoltre riferito di non aver mai autorizzato Cinzia Banelli a rilasciare l'intervista pubblicata il 23 ottobre 2005 su Il Corriere della sera, né quest'ultima ha mai chiesto di essere a ciò autorizzata.
Per accertare «come sia stato possibile che Cinzia Banelli nella sua posizione abbia avuto accesso agli organi di stampa», la procura di Bologna ha aperto il procedimento n. 3013 del 2005 RGNR, modello 45, concernente «atti relativi ad intervista di Cinzia Banelli a Il Corriere della sera».
Tale procedimento è stato iscritto per iniziativa della procura, in seguito alla pubblicazione dell'articolo, su segnalazione del procuratore generale della corte di appello di Bologna, senza alcuna previa informativa da parte di organi di polizia giudiziaria.
Condivido assolutamente le affermazioni, qui riportate dal sottosegretario Ventucci, sul fatto che Cinzia Banelli non abbia fornito alla commissione ministeriale preposta a concedere gli arresti domiciliari - e questo l'ho già scritto nell'interpellanza - elementi di novità rispetto a quello che gli inquirenti già non sapessero e che quindi la sua dissociazione non corrisponda poi ad una reale collaborazione. Su ciò siamo d'accordo.
Se è vero, come è vero, e come il sottosegretario Ventucci sostiene, che nessuna autorizzazione è stata concessa a Cinzia Banelli a rilasciare interviste, e, se è vero, come è vero, che la procura di Bologna sta svolgendo accertamenti per capire come questo sia stato possibile, a questo punto allora la mia domanda è in parte esaurita ed in parte disattesa in quanto nell'interpellanza chiedevo anche quali provvedimenti si intendano adottare per evitare che ciò accada nuovamente.
Detto ciò, rivolgo un'ulteriore richiesta al Governo a svolgere un ulteriore accertamento amministrativo per capire come mai, di fronte ad una così evidente violazione di quelli che sono gli obblighi previsti a carico di una persona posta agli arresti domiciliari - peraltro solo ed esclusivamente per un senso umanitario, considerata la sopravvenuta maternità; con questo non si vuole certo infierire nei confronti di un bambino di un anno e mezzo, ma ciò non toglie però che la società debba comunque difendersi dalla pericolosità di questi soggetti - non sia stato adottato dal giudice competente un immediato provvedimento di revoca degli arresti domiciliari per Cinzia Banelli. Mi attendo, quindi, in tempi brevissimi, non so se è il caso di presentare un'ulteriore interpellanza...
Conversione in legge del decreto-legge 9 settembre 2005, n. 182, recante interventi urgenti in agricoltura e per gli organismi pubblici del settore, nonché per contrastare andamenti anomali dei prezzi nelle filiere agroalimentari (6063-A).
- Relatore: Misuraca.
PISAPIA ed altri; MAZZONI; FINOCCHIARO ed altri: Istituzione del garante
- Relatore: Palma.
CIRIELLI ed altri: Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (2055-B).
- Relatore: Perlini.
S. 3524 - Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2004 (Approvato dal Senato) (6118).
S. 3525 - Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2005 (Approvato dal Senato) (6119).
- Relatore: Garnero Santanchè.