Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento cultura | ||
Titolo: | Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti - A.C. 2994 | ||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 286 | ||
Data: | 01/04/2015 | ||
Organi della Camera: | VII-Cultura, scienza e istruzione |
Servizio responsabile: |
Servizio
Studi – Dipartimento Cultura ( 066760-3255 – * st_cultura@camera.it |
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Le
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Le parti
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File: CU0170 |
INDICE
§
Articolo 1 (Oggetto e finalità)
Capo II Autonomia
scolastica e valorizzazione dell’offerta formativa
§
Articoli 2 e 23, comma 1 (Autonomia scolastica e offerta formativa)
§
Articolo 3 (Percorso formativo degli studenti)
§
Articolo 4 (Scuola, lavoro e territorio)
§
Articolo 5 (Innovazione digitale e didattica laboratoriale)
Capo III Organico,
assunzioni e assegnazione dei docenti
§
Articolo 8 (Piano straordinario di assunzioni di personale docente)
§
Articolo 9 (Periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo)
§
Articolo 11 (Valorizzazione del merito del personale docente)
§
Articolo 13 (Comandi e distacchi di personale scolastico)
Capo IV Istituzioni
scolastiche autonome
§
Articolo 15 (Cinque per mille)
§
Articolo 17 (Detraibilità delle spese sostenute per la frequenza scolastica nelle
scuole paritarie)
§
Articolo 18 (Scuole innovative)
§
Articolo 19 (Misure per la sicurezza e la valorizzazione degli edifici scolastici)
§
Articolo 20 (Indagini diagnostiche su solai e controsoffitti degli edifici
scolastici)
Capo VII Riordino,
adeguamento e semplificazione delle disposizioni legislative
§
Articolo 21 (Delega al Governo in materia di Sistema nazionale di istruzione e
formazione)
-
Nuovo testo unico in materia di istruzione
(co. 2, lett. a)
-
Autonomia
scolastica (co. 2, lett. b)
-
Abilitazione
all’insegnamento nella scuola secondaria (co. 2, lett. c)
-
Assunzione,
formazione e valutazione del dirigente scolastico (co. 2, lett. d)
-
Governo
della scuola e organi collegiali (co. 2, lett. f)
-
Percorsi
dell’istruzione professionale (co. 2, lett. g)
-
Istituti
tecnici superiori (co. 2, lett. h)
-
Sistema
integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni (co. 2,
lett. i)
-
Diritto
allo studio (co. 2, lett. l)
-
Ausili
digitali per la didattica (co. 2, lett. m)
-
Scuole
italiane all’estero (co. 2, lett. n)
-
Valutazione
e certificazione delle competenze degli studenti ed esami di Stato (co. 2,
lett. o)
Capo VIII Disposizioni
finali e norme finanziarie
§
Articoli 24 e 23, comma 1 (Disposizioni finanziarie e abrogazioni)
Articolo 1
(Oggetto e finalità)
L’articolo 1 individua l’oggetto della legge nella disciplina dell’autonomia scolastica, allo scopo di garantire massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico, e la collega:
· alla
dotazione finanziaria;
·
alla integrazione
e al migliore utilizzo delle risorse e delle strutture;
·
alla introduzione di tecnologie innovative;
·
al coordinamento
con il contesto territoriale.
Il cardine è l’introduzione della programmazione triennale dell’offerta
formativa da parte della scuola per il potenziamento
della conoscenza e delle competenze degli studenti e l’apertura
della comunità scolastica al territorio.
In base all’assetto
normativo vigente - quale derivante dall’art. 21 della L. 59/1997, dai DPR
275/1999 e 233/1998 e dal DI 44/2001- le istituzioni scolastiche sono dotate di
autonomia didattica e di ricerca, organizzativa, amministrativa, finanziaria e
contabile.
In particolare:
·
l’autonomia didattica si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie,
strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, e in ogni iniziativa che
sia espressione di libertà progettuale, compresa l'eventuale offerta di insegnamenti opzionali,
facoltativi o aggiuntivi.
Nello specifico, nell'esercizio dell'autonomia
didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell'insegnamento e dello
svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo
di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni, adottando tutte le forme di
flessibilità che ritengono opportune, tra le quali l'articolazione modulare del monte ore
annuale di ciascuna disciplina e attività, la definizione di unità di
insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione, l'attivazione di
percorsi didattici individualizzati - nel rispetto del principio generale
dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione
agli alunni disabili - l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti
dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso, l'aggregazione
delle discipline in aree e ambiti disciplinari. Le istituzioni scolastiche
hanno anche autonomia di ricerca,
sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell'autonomia
didattica e organizzativa (art. 21, co. 9 e 10, L. 59/1997; art. 4, DPR
275/1999).
Può essere utile ricordare che proprio per consentire
l’esercizio dell’autonomia didattica, l’art. 21, co. 9, della L. 59/1997, aveva
previsto la definizione di criteri per la determinazione dell’organico funzionale di istituto;
·
l’autonomia organizzativa è finalizzata,
in particolare, alla realizzazione della flessibilità e della diversificazione
del servizio scolastico, da realizzare anche mediante il superamento dei vincoli in tema di unità oraria della lezione, di
unitarietà del gruppo classe e di impiego dei docenti. In particolare, le
modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi
in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche e
organizzative adottate nel Piano dell’offerta formativa (POF). In ogni caso, devono restare fermi i giorni di
attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione
dell’attività didattica in non meno di 5 giorni settimanali, il rispetto degli
obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, che
possono essere assolti, invece che in 5 giorni settimanali, anche sulla base di
un’apposita programmazione plurisettimanale. Anche gli adattamenti del calendario scolastico
sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze
derivanti dal POF (art. 21, co. 8, L. 59/1997; art. 5 DPR 275/1999).
Nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e
didattica, le istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in forma
consorziata, realizzano ampliamenti
dell’offerta formativa che prevedano, fra l’altro, iniziative di
prevenzione dell’abbandono e della dispersione scolastica, iniziative di
utilizzazione delle strutture anche in orari extrascolastici e a fini di
raccordo con il mondo del lavoro (art. 21, co. 10, L. 59/1997);
·
con l’autonomia amministrativa si fa
riferimento al trasferimento alle scuole delle funzioni, relative alla carriera
scolastica e al rapporto con gli alunni, all'amministrazione e alla gestione
del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del
personale, che non siano riservate all'amministrazione centrale e periferica
(art. 14, co. 1, DPR 275/1999)[1];
·
l’autonomia finanziaria si sostanzia in autonomia
di destinazione della dotazione ordinaria statale, con l’unico vincolo
dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione
formazione e orientamento, e autonomia di reperire risorse finanziarie
aggiuntive, pubbliche e private, per l'attuazione di progetti promossi e
finanziati con risorse a destinazione specifica (art. 21, co. 5, L. 59/1997;
art. 6, DPR 233/1998).
Alle istituzioni scolastiche è, altresì, riconosciuta autonomia contabile (art. 21, co. 1 e
14, L. 59/1997; DI 44/2001), nonché il potere di stipulare convenzioni con
altre istituzioni scolastiche, università, enti, associazioni o agenzie che
intendano dare il loro apporto per la realizzazione di obiettivi specifici;
esse possono, altresì, aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere
compiti istituzionali e per acquisire beni e servizi che facilitino lo
svolgimento dei compiti di carattere formativo (art. 7, DPR 275/1999).
Articoli 2 e
23, comma 1
(Autonomia scolastica e offerta
formativa)
L’articolo 2,
al fine di realizzare compiutamente l’autonomia
scolastica, prevede il rafforzamento delle funzioni del dirigente
scolastico e l’istituzione dell’organico dell’autonomia. Conseguentemente, l’articolo 23, co. 1, abroga, a decorrere
dall’a.s. 2015/2016, l’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012).
Il medesimo articolo
2 prevede anche la programmazione
triennale dell’offerta formativa,
finalizzata a indicare il fabbisogno di infrastrutture e attrezzature
materiali, nonché il fabbisogno organico, anche in considerazione delle
iniziative di potenziamento dell’offerta
formativa. Disposizioni transitorie sono dettate per l’a.s.
2015/2016.
Prevede, infine, l’incremento del Fondo per il funzionamento delle
istituzioni scolastiche per 126 milioni di euro annui dal 2016 al
2021.
Il comma 1 dispone
che, nelle more della revisione del quadro normativo di attuazione dell’art. 21
della L. 59/1997 (si tratta di uno degli ambiti per i quali l’art. 21 del
provvedimento in esame conferisce una delega al Governo):
·
è rafforzata
la funzione del dirigente scolastico, per garantire una efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie,
tecnologiche e materiali, fermi restando i livelli unitari e nazionali di
fruizione del diritto allo studio, nonché gli elementi comuni del sistema
scolastico pubblico (in materia dispone, più dettagliatamente, l’art. 7);
·
è istituito
l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche,
organizzative e progettuali delle scuole, come emergenti dal Piano triennale
dell’offerta formativa. (in materia dispone, più dettagliatamente, l’art. 6)
L’art. 50 del D.L. 5/2012
(L. 35/2012) – di cui l’art. 23, co. 1,
del provvedimento in esame dispone l’abrogazione a decorrere dall’a.s. 2015/2016 – aveva previsto l’emanazione con
decreto interministeriale, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro 60 giorni
dalla data della entrata in vigore della legge di conversione, di linee guida
finalizzate, fra l’altro a prevede la costituzione, per ogni istituzione
scolastica, di un “organico
dell’autonomia” funzionale all'ordinaria attività didattica, educativa,
amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo delle
eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno agli alunni con bisogni
educativi speciali e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, anche
ai fini di una estensione del tempo scuola[2].
Aveva, altresì, previsto
che l’organico dell’autonomia doveva essere costituito sulla base dei posti
corrispondenti a fabbisogni con carattere di stabilità per almeno un triennio.
Più ampiamente, si veda dossier del
Servizio Studi n. 595/2 del 9 marzo 2012.
Il comma 2 ribadisce i contenuti
dell’autonomia didattica e organizzativa delle scuole già previsti a
legislazione vigente, con riferimento alle scelte relative alle attività
curricolari, extracurricolari, educative e organizzative, aggiungendo l’individuazione, da parte delle stesse
istituzioni scolastiche, del proprio
fabbisogno di docenti, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, e di
quello relativo ad attrezzature e
infrastrutture materiali.
In base al comma
3, il fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia è determinato in
relazione all’offerta formativa che la singola scuola intende realizzare, nel
rispetto dei quadri orari degli insegnamenti, tenuto conto della quota di
autonomia dei curricoli e degli spazi di flessibilità, nonché in riferimento al
potenziamento dell’offerta formativa,
finalizzato al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
· potenziamento
delle competenze linguistiche, con
particolare riferimento all’italiano, nonché all’inglese, mediante l’utilizzo
della metodologia CLIL (Content language integrated learning), che
consiste nell’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non
linguistica[3] (lett. a));
·
potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche (lett. b));
· sviluppo delle competenze digitali, con particolare riguardo al pensiero computazionale,
all’utilizzo critico e consapevole dei social
network e dei media (lett. h)).
In materia si ricorda che con circolare Prot. 2937 del 23 settembre 2014 il MIUR, in collaborazione con il Consorzio interuniversitario per
l’informatica, ha avviato, per l’a.s. 2014-2015,
l’iniziativa “Programma il futuro” finalizzata a introdurre
nelle scuole i concetti di base dell’informatica, attraverso la programmazione
(coding). In particolare, la circolare sottolinea che
“Il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche ‘pensiero
computazionale’, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere
problemi in modo creativo ed efficiente”.
· potenziamento
delle competenze in musica e arte,
nonché alfabetizzazione alle tecniche e ai media
di produzione e diffusione delle immagini (lett. c) e f));
·
potenziamento delle competenze in materia di
diritto e di economia, inclusa
la conoscenza dei principi di cittadinanza attiva, e sviluppo di comportamenti
improntanti al rispetto della legalità,
della sostenibilità ambientale e dei beni culturali e paesaggistici (lett. d) e e));
·
potenziamento delle discipline motorie e
sviluppo di comportamenti improntati ad uno stile di vita sano, anche con
riferimento all’alimentazione (lett. g)).
Ulteriori
obiettivi riguardano:
·
contrasto della dispersione
scolastica e della
discriminazione, nonché garanzia
della più ampia inclusione scolastica (lett. i));
·
apertura pomeridiana delle
scuole; valorizzazione della scuola intesa come comunità aperta al territorio e
in grado di interagire con le famiglie e la comunità locale, incluse le
organizzazioni del terzo settore e le imprese (lett. l) e m)) (in materia dispone anche l’art. 5, co. 5);
·
incremento
dell’alternanza scuola-lavoro nel
secondo ciclo di istruzione (lett. n)) (al
riguardo, si veda anche quanto dispone l’art.
4);
·
riduzione del numero di alunni e studenti per classe (lett. m)) (al
riguardo, si veda anche quanto dispone l’art. 7);
·
valorizzazione
di percorsi formativi individualizzati e individuazione di sistemi funzionali alla premialità e
alla valorizzazione del merito di
alunni e studenti (lett. o)
e p)) (al
riguardo, si veda anche quanto dispone l’art. 3);
· alfabetizzazione e
perfezionamento della lingua italiana
per stranieri, anche mediante l’attivazione di corsi opzionali di lingua e
la dotazione, anche in rete, di laboratori linguistici (lett. q)).
L’importanza dei
laboratori linguistici per consentire all’alunno straniero una partecipazione
attiva è sottolineata nelle Linee guida per
l’integrazione degli alunni stranieri emanate dal MIUR nel febbraio 2014.
Si ricorda,
inoltre, che l’art. 14 del DPR 81/2009 prevede che per gli alunni
stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze nella lingua
italiana, il relativo insegnamento, nel rispetto dell'autonomia delle scuole, è
rafforzato anche utilizzando il monte ore settimanale destinato alla seconda
lingua comunitaria.
Qui la normativa vigente sul quadro orario degli insegnamenti e sul curricolo.
Con il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche, ai
programmi nazionali è subentrato il Piano
dell’Offerta Formativa (POF) di ogni istituzione scolastica.
Il perno
del POF è il curricolo, per la cui
definizione l’art. 8 del DPR 275/1999 ha previsto una quota nazionale
obbligatoria ed una quota riservata alle istituzioni scolastiche.
Per il
secondo ciclo di istruzione, è intervenuto il DM 28 dicembre 2005 (le cui linee sono state
poi confermate dal DM 13 giugno 2006, n. 47), che ha
determinato la quota nazionale
obbligatoria, riservata alla realizzazione del nucleo fondamentale dei
piani di studio, omogeneo su base nazionale, nell’80% del monte ore annuale. La quota
riservata alle singole istituzioni scolastiche, e da esse determinata
nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni, è costituita dal restante 20%.
In
seguito, con nota prot. n. 721 del 22 giugno 2006 il Ministero ha specificato che tale quota del 20% deve intendersi applicabile ad ogni ordine e grado di istruzione. Successivamente, la quota dei
piani di studio rimessa alle singole istituzioni è stata elevata, limitatamente
al secondo biennio dei licei, al 30% (art. 10, co. 1, lett. c), del DPR
89/2010, per il quale si v. infra).
Il primo ciclo di istruzione
In
attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) – che ha previsto la ridefinizione, con regolamenti di
delegificazione, dei curricoli nei diversi ordini di scuole, anche
attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari
–, per il primo ciclo di istruzione
è stato emanato il DPR 89/2009 che
ha stabilito, in particolare, i modelli orari settimanali della scuola primaria
e della scuola secondaria di primo grado[4], nonché, limitatamente a quest’ultima, il quadro orario settimanale e
annuale delle discipline[5].
Le
vigenti Indicazioni nazionali per il primo ciclo – che costituiscono
il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole
e che sono state emanate (in attuazione
dell'art. 1, co. 4, del DPR 89/2009[6]) con D.M. 16 novembre 2012, n.
254 – hanno individuato le discipline
oggetto di insegnamento per tutto il ciclo (senza definire la quota oraria
per ciascuna disciplina).
Si tratta di: Italiano; lingua inglese; seconda
lingua comunitaria[7]; storia[8]; geografia; matematica; scienze; musica; arte e immagine; educazione
fisica; tecnologia (oltre a Cittadinanza e Costituzione e Religione cattolica[9]).
I percorsi liceali
L'assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei è stato definito – sempre in
attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 – con il DPR 89/2010, in base al quale il sistema dei licei comprende i licei artistico[10], classico, linguistico, musicale e coreutico[11], scientifico[12] e delle scienze umane[13]. Il medesimo DPR ha definito, altresì, i diversi piani degli studi, con
i relativi quadri orari.
In
particolare, l’art. 10 del DPR ha stabilito che la quota dei piani di studio rimessa alle singole istituzioni scolastiche
non può essere superiore al 20% del
monte ore complessivo nel primo biennio e nel quinto anno, e al 30% nel secondo biennio, fermo restando
che l'orario previsto dal piano di studio di ciascuna disciplina non può essere
ridotto in misura superiore a un terzo nell'arco dei 5 anni e che non possono
essere soppresse le discipline previste nell'ultimo anno di corso dai piani di
studio.
Inoltre,
nell'esercizio della loro autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, le
istituzioni scolastiche possono organizzare, attraverso il POF, attività ed insegnamenti facoltativi, a
scelta degli studenti, che concorrono alla
valutazione complessiva.
Le
vigenti Indicazioni nazionali
riguardanti i percorsi liceali sono state emanate – in attuazione dell’art. 13,
co. 10, lett. a),
del DPR 89/2010 – con D.M. 7 ottobre 2010, n. 211.
Gli istituti tecnici e gli istituti professionali
Il
riordino degli istituti tecnici e professionali è stato operato – sempre in
attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 –, rispettivamente, con il DPR 88/2010 e con il DPR 87/2010.
In
particolare, i percorsi degli istituti
tecnici attengono a 2 settori
(economico; tecnologico), articolati a loro volta, rispettivamente, in 2 e 9 indirizzi, ulteriormente specificabili
in opzioni[14]. L’art. 5 del DPR 88/2010 ha stabilito che gli istituti tecnici possono
utilizzare la quota di autonomia del 20%
dei curricoli, fermo restando che ciascuna disciplina non può essere decurtata
per più del 20% previsto dai quadri
orari definiti con il medesimo DPR[15].
Anche i
percorsi degli istituti professionali attengono
a 2 settori (industria e
artigianato; servizi), articolati a loro volta, rispettivamente, in 2 e 4 indirizzi, ulteriormente specificabili
in opzioni[16]. L’art. 5 del DPR 87/2010 ha stabilito che gli istituti professionali
possono utilizzare la quota di autonomia
del 20% dei curricoli[17], fermo restando che ciascuna disciplina non può essere decurtata per
più del 20% previsto dai quadri orari
definiti con il medesimo DPR[18].
Il
passaggio al nuovo ordinamento è stato definito – ai sensi, rispettivamente,
dell’art. 8, co. 3, del DPR 88/2010, e dell’art. 8, co. 6, del DPR 87/2010 – da
linee guida, anche per quanto
concerne l’articolazione in competenze, abilità e conoscenze dei risultati di
apprendimento. In particolare, con Direttiva n. 57 del 15
luglio 2010 e con Direttiva n. 65 del 28
luglio 2010 sono state emanate le linee guida per il passaggio al nuovo
ordinamento per il primo biennio
negli istituti tecnici e negli istituti professionali. Con
Direttive nn. 4 e 5 del 16 gennaio 2012 sono
state emanate le linee guida per il secondo biennio e il quinto anno per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali.
I commi
da 4 a 6, nonché da 8 a 10, individuano i contenuti e le modalità di predisposizione del Piano
triennale dell’offerta formativa, che – secondo quanto afferma la relazione
illustrativa – si aggiunge al Piano
annuale dell’offerta formativa, redatto ai sensi dell’art. 3 del DPR
275/1999.
Al
riguardo si evidenzia che nell’ordinamento sussisterebbero due strumenti che,
almeno in parte, avrebbero gli stessi contenuti. In ogni caso, è opportuno
esplicitare meglio la questione nel testo del provvedimento.
L’art. 3 del DPR 275/1999
prevede che ogni istituzione scolastica predispone il Piano dell'offerta formativa
(POF), che è reso pubblico e consegnato
agli alunni e alle famiglie all'atto dell'iscrizione. Il Piano è il
documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle
istituzioni scolastiche ed esplicita la
progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che
le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia.
Sempre ai sensi dell’art. 3
citato, il POF è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi
tipi e indirizzi di studi e riflette le
esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale,
tenendo conto della programmazione territoriale dell'offerta formativa. A tal
fine, il dirigente scolastico attiva i necessari rapporti con gli enti locali e
con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti
sul territorio.
Dal punto di vista
operativo, il POF è elaborato dal
collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività
della scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione definiti
dal consiglio di circolo o di istituto, tenuto conto delle proposte e dei
pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei
genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti, ed è adottato dal consiglio di circolo o di
istituto.
Con riguardo ai contenuti, i commi 4 e 8
dispongono che il Piano triennale
dell’offerta formativa indica, in aggiunta
a quanto previsto per il Piano dell’offerta formativa redatto ai sensi
dell’art. 3 del DPR 275/1999:
· il fabbisogno
di posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, nonché il fabbisogno di posti per il potenziamento
dell’offerta formativa (più ampiamente, si veda la scheda di commento relativa
all’art. 6);
·
il fabbisogno di infrastrutture e attrezzature
materiali;
·
la
programmazione delle attività formative
rivolte al personale docente;
· la quantificazione
delle risorse necessarie per la realizzazione dell’offerta formativa.
Inoltre, in base all’art. 4, co. 1, nel Piano triennale
sono inseriti anche i percorsi di
alternanza scuola-lavoro (che, ad esempio, attualmente, sono già definiti e
programmati all’interno del POF).
Con riguardo alle modalità di definizione, il citato comma 4 prevede che il Piano triennale dell’offerta formativa
è predisposto da ciascuna istituzione scolastica entro il mese di ottobre dell’anno
scolastico precedente al “triennio” di riferimento.
Si intenderebbe, dunque, che, se - a titolo
di esempio - il triennio (presumibilmente,
scolastico) di riferimento è il 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019, il Piano
deve essere predisposto entro ottobre 2015.
Ai sensi dei commi 5 e 6, l’Ufficio
scolastico regionale valuta la proposta di Piano triennale in termini di
coerenza con gli obiettivi generali di potenziamento dell’offerta formativa e
di compatibilità economico-finanziaria, sulla base delle risorse disponibili a
legislazione vigente, e lo trasmette al MIUR,
che verifica il rispetto degli obiettivi e stabilisce le risorse effettivamente
destinabili alle infrastrutture materiali e il numero di posti dell’organico
dell’autonomia attivabili.
A seguito della valutazione del MIUR, le
istituzioni scolastiche, “entro il mese di febbraio” – si
intenderebbe, sempre, dell’anno scolastico
precedente al triennio scolastico di riferimento –, aggiornano il Piano triennale, che diventa efficace.
Per la valutazione da parte
dell’Ufficio scolastico regionale (USR) e da parte del MIUR non sono indicati
termini.
Ai sensi del comma 10, le scuole sono tenute a
pubblicare i Piani triennali – e le eventuali revisioni – nel Portale unico dei dati sulla scuola (previsto
dall’art. 14), anche per consentire una valutazione comparativa da parte degli studenti
e delle famiglie.
Al
riguardo occorrerebbe chiarire se anche le revisioni devono essere trasmesse
dall’istituzione scolastica all’USR e dall’USR al MIUR.
Con riferimento ai
soggetti coinvolti, il comma 9 prevede che il Piano triennale è
elaborato dal dirigente scolastico,
sentiti il collegio dei docenti e il consiglio di istituto, con l’eventuale
coinvolgimento dei principali attori economici, sociali e culturali del
territorio.
Rispetto a quanto previsto
dalla normativa vigente per l’elaborazione del POF, non si prevedono pareri e
proposte dei genitori e – limitatamente alle scuole secondarie di secondo grado
– degli studenti.
Il comma 11 dispone, infine, anticipando
contenuti meglio esplicitati dall’articolo 7, che, una volta definito il Piano
triennale dell’offerta formativa, il dirigente
scolastico sceglie il personale da assegnare ai posti dell’organico
dell’autonomia.
In deroga alla
procedura sopra descritta per la determinazione del fabbisogno organico
nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa, il comma 13 prevede che, per l’a.s. 2015-2016,
il dirigente scolastico provvede all’“immediata
predisposizione di una stima del fabbisogno necessario”, redatta sentiti il
collegio dei docenti e il consiglio di istituto.
Sembrerebbe
necessario fissare un termine per la predisposizione della stima del fabbisogno
di docenti da parte dei dirigenti scolastici, anche ai fini di un coordinamento
con quanto dispone l’art. 8, co. 1, secondo periodo, che prevede che, per il
medesimo a.s., l’organico dell’autonomia - peraltro,
limitatamente ai posti comuni e di sostegno - è determinato entro il 31 maggio
2015, previa conferma da parte del MIUR (si richiama, infatti, fra l’altro,
l’art. 6, co. 4).
A seguito di ciò,
il dirigente scolastico individua i docenti
da destinare all’organico dell’autonomia per l’a.s.
2015-2016, scegliendoli dagli albi
territoriali (di cui all’art. 7).
Il medesimo comma
13 stabilisce, infine, che la stima del fabbisogno per l’a.s.
2015-2016 confluirà nel successivo Piano (triennale) dell’offerta formativa.
Dunque, il primo
Piano triennale dell’offerta formativa, relativo agli anni scolastici dal
2016-2017 al 2018-2019, includerà anche l’informazione relativa alla dotazione
dell’organico dell’autonomia relativo all’a.s.
2015-2016.
Il
riferimento corretto è al Piano “triennale” dell’offerta formativa.
Il comma 7 dispone che, con decreto ministeriale, il MIUR provvede
al finanziamento delle istituzioni scolastiche, con riferimento ai diversi
ordini e gradi di istruzione, per la realizzazione degli obiettivi del Piano
triennale, nei limiti delle risorse
disponibili a legislazione vigente.
La relazione illustrativa evidenzia che
ciò è finalizzato alla realizzazione dell’autonomia
finanziaria delle scuole.
Il comma 12 dispone, poi, che le
istituzioni scolastiche realizzano i progetti inseriti nei Piani triennali
anche utilizzando le risorse
dell’organico dell’autonomia, di cui all’art. 6, nonché le risorse finanziarie destinate allo
sviluppo delle competenze digitali degli
studenti, di cui all’art. 5, co. 6, alla cui ripartizione si provvede con
il medesimo decreto previsto dal co. 7 dell’art.
2.
Peraltro, con lo
stesso decreto sono ripartite, in base all’art.
4, co. 7, le risorse finanziarie
destinate al rafforzamento dell’alternanza
scuola-lavoro.
Si segnala
che – a differenza dell’art. 5, co. 6 – l’art. 4, co. 7, non è richiamato
nell’art. 2, co. 12.
Il comma 16 dell’art. 2 prevede l’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche per 126
milioni di euro annui dal 2016 al 2021.
Le risorse del Fondo
per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, istituito dall’art. 1,
co. 601, della L. 296/2006, sono allocate su un capitolo per ciascun grado di
istruzione[19] e per il 2015, in base al Decreto 101094 del 29 dicembre 2014 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al
bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il
triennio 2015- 2017, sono pari, complessivamente, ad € 761,2 mln.
La norma istitutiva del
Fondo ha disposto che i criteri e i
parametri per l'assegnazione diretta alle istituzioni scolastiche delle
risorse sono stabiliti con decreto del
Ministro della pubblica istruzione. In attuazione, è stato emanato il DM 1 marzo 2007, in base al quale le somme sono utilizzate per:
§ spese
per le supplenze brevi e saltuarie;
§
compensi ed indennità per il miglioramento
dell’offerta formativa (c.d. MOF);
§ finanziamenti
alle scuole sedi di esami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione
secondaria superiore e degli esami di idoneità per l’abilitazione all’esercizio
della libera professione;
§
contributi alle scuole dell’infanzia, primarie
e secondarie di I grado, per la fruizione della mensa da parte del personale
docente.
Le risorse sono ripartite
tra le istituzioni scolastiche sulla base di criteri che tengono conto della
tipologia dell’istituzione scolastica, della consistenza numerica degli alunni,
del numero degli alunni diversamente abili, del numero di plessi e sedi in cui si
articola la scuola oltre la sede principale.
A seguito delle
disposizioni recate dall’art. 7, co. 37,
del D.L. 95/2012 (L.135/2012) –
che hanno previsto che, a decorrere dal 2013, nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche confluiscono ulteriori autorizzazioni
di spesa, fra cui quella relativa al Fondo
per l’ampliamento dell’offerta formativa[20] – i criteri indicati dal DM 21/2007 sono stati integrati con DM 351 del 21
maggio 2014, in base al quale le risorse (per il 2014) sono
destinate a:
§ laboratori scientifici-tecnologici presso le scuole secondarie di secondo grado;
§ funzionamento
amministrativo e didattico delle scuole
statali;
§ sistemi informativi;
§ supporto alle scuole in materia amministrativo-contabile;
§ formazione in servizio del personale scolastico (per l'avvio degli insegnamenti in modalità
CLIL; per i docenti di scuola primaria, per l'insegnamento della lingua
inglese; per interventi formativi destinati ai dirigenti scolastici e ai DSGA
in materia amministrativo-contabile; per interventi formativi in favore dei
docenti, in particolare, nelle regioni ove i risultati delle valutazioni sugli
apprendimenti effettuate dall'INVALSI risultano inferiori alla media nazionale,
nelle aree ad alto rischio socio-educativo e nelle aree a forte concentrazione
di immigrati);
§
attività inerenti l'alternanza scuola-lavoro;
§ corsi di recupero
per gli studenti;
§ integrazione
scolastica degli alunni ospedalizzati o colpiti da gravi patologie;
§ integrazione
scolastica degli alunni con disabilità;
§ alfabetizzazione
linguistica di alunni stranieri
di recente immigrazione;
§ promozione
di una corretta alimentazione nelle scuole;
§ realizzazione
di un piano nazionale di promozione dello sport a scuola;
§ promozione della legalità;
§ promozione della cultura scientifica a scuola;
§ attività
volte alla celebrazione del primo centenario della Prima Guerra Mondiale.
Il comma 14 dispone che l’insegnamento
della lingua inglese nella scuola primaria è assicurato,
nell’ambito delle risorse finanziarie
o di organico disponibili,
utilizzando docenti madrelingua o “abilitati all’insegnamento nella relativa
classe di concorso”, in qualità di specialisti,
ovvero ricorrendo alla “fornitura di
appositi servizi”.
E’ utile
ricordare che l'insegnamento di una
lingua straniera nella
scuola elementare è stato introdotto
dall’art. 10 della L. 148/1990, che aveva rinviato a un successivo
decreto ministeriale la definizione delle modalità di introduzione
generalizzata di tale insegnamento e la definizione delle competenze e dei
requisiti di cui i docenti dovevano essere forniti.
In
particolare, il D.M. 28 giugno 1991, attuativo della disposizione citata, aveva affidato l'insegnamento
della lingua straniera – a scelta tra francese, inglese, spagnolo e tedesco[21] – a un insegnante elementare
specializzato, in possesso di determinate competenze[22], inserito nel modulo
organizzativo e didattico cui era affidata la classe. Lo stesso DM aveva,
peraltro, disposto che nella fase di transizione (era, infatti, prevista la
realizzazione di appositi corsi di formazione in servizio), l’insegnamento
della lingua straniera veniva affidato ad un insegnante elementare specialista – vale a dire ad un docente che
insegnava esclusivamente lingua straniera – al quale venivano assegnate più
classi.
Successivamente,
l’art. 1, co. 128, della L. 311/2004 (finanziaria 2005) aveva
stabilito che l'insegnamento della lingua straniera nella scuola primaria
doveva essere impartito dai docenti
della classe in possesso dei requisiti richiesti o da altro docente facente parte dell'organico di istituto sempre in
possesso dei requisiti richiesti. Potevano essere attivati posti di lingua
straniera da assegnare a docenti
specialisti solo nei casi in cui non fosse possibile coprire le ore di
insegnamento con i docenti di classe o di istituto. A tal fine, erano attivati
corsi di formazione, la cui partecipazione era obbligatoria per tutti i docenti
privi dei requisiti previsti.
Da
ultimo, l’art. 10, co. 5, del DPR 81/2009 – emanato sulla base
dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) – ha previsto che l’insegnamento
della lingua inglese nella scuola
primaria è affidato ad insegnanti di
classe specializzati. Ha, altresì previsto che gli insegnanti non
specializzati sono obbligati a
partecipare ad appositi corsi
triennali di formazione linguistica[23] e che essi, dopo il primo anno di formazione, sono impiegati
preferibilmente nelle prime due classi della scuola primaria e sono
assistiti da interventi periodici di formazione linguistica e metodologica,
anche con il supporto di strumenti e dotazioni multimediali. Fino alla conclusione del piano di formazione, e comunque
fino all'a.s.
2011/2012, dovevano essere utilizzati, in caso di carenza di insegnanti
specializzati, insegnanti sempre di scuola primaria specialisti esterni alle classi.
Da
ultimo, l’Ordinanza Ministeriale n. 4 del 24 febbraio 2015, relativa alla mobilità del
personale docente, educativo e ATA per l’a.s.
2015/2016, ha disposto che i posti per l’insegnamento della lingua inglese
istituiti nell’ambito dell’organico nella
scuola primaria sono richiedibili dagli insegnanti in possesso del titolo
previsto dall’art. 14, nota 1, del CCNI concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ATA per
l’a.s. 2015/2016. Si tratta, in particolare,
di:
§ superamento del concorso per
esami e titoli a posti d’insegnante
nella scuola primaria con il superamento anche della prova di lingua inglese,
ovvero sessioni riservate per il conseguimento dell’idoneità nella scuola
primaria con superamento della prova di lingua inglese;
§ attestato di frequenza dei corsi di formazione linguistica in servizio
autorizzati dal Ministero;
§ possesso di laurea in Scienze della formazione primaria
o di laurea in Lingue straniere
valida per l’insegnamento della specifica lingua straniera nella scuola
secondaria;
§ certificato rilasciato dal Ministero degli affari esteri attestante un periodo di servizio di almeno 5 anni prestato all’estero
con collocamento fuori ruolo relativamente all’area linguistica della zona in
cui è stato svolto il servizio all’estero.
Sembrerebbe,
dunque, che si intenda consentire
l’insegnamento della lingua inglese da parte di soggetti specialisti della
materia, non necessariamente in possesso
del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria.
In particolare, tra
detti soggetti rientrerebbero docenti madrelingua e docenti abilitati
all’insegnamento nella “relativa classe
di concorso”, classi di concorso che, allo stato, risultano istituite solo
per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado.
In base all’art. 270 del d.lgs. 297/1994, le tipologie
delle classi di concorso per l’accesso ai ruoli del personale docente
sono stabilite con decreto ministeriale. Da ultimo, si fa riferimento alle classi di concorso determinate
con DM 39/1998 e DM 22/2005 e alle classi di abilitazione di cui al DM 37/2009[24].
In particolare, per quanto qui maggiormente interessa,
risultano istituite le seguenti classi di concorso o classi di abilitazione:
Istituti di istruzione secondaria di I grado |
45/A – Lingua inglese e seconda lingua straniera |
Istituti di istruzione secondaria di II grado |
46/A – Lingue e civiltà straniere |
3/C – Conversazione in lingua straniera |
Sembrerebbero
necessarie alcune esplicitazioni, sia con riferimento alla necessità (o meno)
del possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria,
sia con riferimento all’eventuale ordine di priorità nell’utilizzo, nonché ai
docenti madrelingua (ad esempio, con riguardo ai titoli posseduti) e alla
“fornitura di appositi servizi”.
Da
ultimo, occorre procedere all’abrogazione della normativa vigente incompatibile
con le novità proposte.
Il comma 15 dispone che l’insegnamento
della musica e dell’educazione fisica nella scuola primaria
è assicurato, nel limite dell’organico disponibile,
avvalendosi di docenti abilitati nelle
relative classi di concorso, anche in ruolo in altri gradi di istruzione,
in qualità di specialisti.
Anche in tal caso,
dunque, sembrerebbe che si intenda consentire
l’insegnamento degli ambiti sopra richiamati da parte di soggetti specialisti non necessariamente in possesso del titolo
di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria.
A differenza di
quanto avviene per l’insegnamento della lingua inglese, in tali casi si deve
provvedere unicamente nell’ambito dell’organico dell’autonomia (senza
riferimento alle risorse finanziarie).
Occorrerebbero
alcune esplicitazioni, sia con riferimento alla necessità (o meno) del possesso
del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria, sia con
riferimento alle condizioni di utilizzo nella scuola primaria di docenti in
ruolo in altri gradi di istruzione (ad esempio, quanto ad orario di lavoro,
retribuzione e obblighi di servizio) e alle eventuali risorse finanziarie da
utilizzare.
Infine,
occorre un coordinamento normativo con quanto
attualmente previsto (in particolare, v., infra, art. 2, co. 1, DM 8/2011).
Sull’argomento, si
rammenta, innanzitutto che, nell’ambito della consultazione indetta dal MIUR su
“La Buona Scuola”, il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della
Musica per tutti gli studenti[25] ha proposto, relativamente alla scuola primaria, l’intervento di docenti “specialisti” interni, ovvero insegnanti in
possesso di specifiche professionalità e competenze didattiche e musicali da
offrire a un ampio numero di classi, ritenendo, peraltro, necessaria l’integrazione in organico di tale figura
professionale (si v. il documento Proposta di Piano nazionale
“Musica nella scuola per la formazione del cittadino”, presentato il 6 ottobre 2014)[26].
Con
riferimento all’insegnamento della musica
nella scuola primaria, si ricorda che, sulla base dell’art. 4, co. 10, del DPR
89/2009[27] – emanato ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) –, è
stato adottato il DM 8/2011, che ha individuato i titoli
prioritari per insegnare musica e pratica musicale nella scuola primaria.
In
particolare, l’art. 2 del DM ha disposto che le istituzioni scolastiche, anche
attraverso accordi rete, affidano
prioritariamente l’insegnamento curricolare di musica nella scuola primaria
a docenti compresi nell’organico ad
esse assegnato, in possesso, oltre che
dell’abilitazione all’insegnamento per la scuola primaria, di titoli specifici.
Questi ultimi sono stati definiti dall’art. 3, nelle more della definizione di
specifici percorsi formativi destinati alla specializzazione in musica dei
docenti della scuola primaria. Si tratta di:
§ diploma quadriennale in
didattica della musica;
§ diploma biennale di cui al
DM 137/2007;
§ diploma accademico di
secondo livello;
§ diploma conseguito secondo
l’ordinamento previgente il DPR 212/2005;
§ diploma accademico di primo
livello;
§ diploma accademico
specifico in didattica della musica o in musica per l’educazione conseguito
all’estero equiparato.
Lo stesso
art. 3 ha, altresì, previsto che nell’ambito
degli accordi di rete possono, altresì, essere utilizzati docenti delle classi di concorso A031 (educazione
musicale nella scuola secondaria di secondo grado), A032 ((secondo il DM 26 marzo 2009, n. 37, musica nella scuola secondaria di primo grado) e A077 (strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado),
purché l’utilizzo di questo personale non produca esuberi nell’organico
destinato alla scuola primaria.
Infine,
ha disposto che il possesso dei titoli – incluse le specifiche abilitazioni - è
completato da attività di formazione in
servizio, al fine di integrare le
competenze musicali con le specifiche esigenze didattiche connesse
all’insegnamento nella scuola primaria[28].
Per
quanto concerne l’insegnamento dell’educazione
fisica, si ricorda, in particolare, la recente iniziativa “Sport di Classe”, per il
potenziamento dello sport a scuola, avviata da Presidenza del Consiglio, MIUR e
CONI e presentata il 16 settembre 2014[29], che ha
previsto il coinvolgimento di tutte le
scuole primarie per l’a.s. 2014-2015. In tale
ambito, la nota del MIUR prot. n. 6263
del 3 novembre 2014, ha disposto, in particolare:
§ l’inserimento nel POFdi 2 ore settimanali di educazione fisica per
tutte le classi terza, quarta e quinta, impartite dall’insegnante titolare della classe;
§ un piano per la formazione iniziale e in itinere dell’insegnante titolare della classe;
§ l’inserimento della figura del Tutor sportivo, all’interno del Centro sportivo scolastico, chiamato
a collaborare con il dirigente scolastico e con il docente curricolare alla
progettazione delle attività didattiche, alla programmazione e realizzazione
delle attività motorie e sportive scolastiche, garantendo periodicamente
esemplificazioni operative in orario curricolare con presenza di almeno un’ora
al mese per ciascuna classe assegnata. Inoltre, garantisce la programmazione,
l’organizzazione e la presenza nell’ambito dei Giochi invernali e dei Giochi di
fine anno scolastico.
Con nota del MIUR prot. n. 6888 del 27 novembre 2014 il progetto
Sport di Classe è stato poi esteso anche alle classi prime e seconde degli
istituti scolastici che ne avevano fatto richiesta al momento dell’adesione.
Per quanto concerne,
infine, le classi di abilitazione
per l’insegnamento dell’educazione fisica negli istituti di istruzione
secondaria di primo e di secondo grado esse sono, rispettivamente la 30/A (educazione fisica) e la 29/A (scienze motorie e sportive).
Articolo 3
(Percorso formativo degli studenti)
L’articolo 3 prevede l’attivazione, nelle scuole secondarie di secondo grado, di insegnamenti opzionali che soddisfino le esigenze didattiche e formative personalizzate degli studenti e istituisce il Curriculum dello studente.
Introduce, dunque, uno specifico profilo di flessibilità dell’offerta formativa.
In particolare, il comma 1 prevede che, per soddisfare le esigenze didattiche e formative personalizzate degli studenti, le scuole secondarie di secondo grado inseriscono nel Piano triennale dell’offerta formativa, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili e dei posti di organico dell’autonomia assegnati, insegnamenti opzionali, ulteriori rispetto a quelli previsti dai quadri orari per lo specifico grado, ordine e opzione di istruzione.
Si tratta, dunque, di insegnamenti a scelta degli studenti - evidentemente finalizzati alla motivazione degli stessi negli apprendimenti - che sono inseriti nel “Curriculum dello studente”, introdotto dallo stesso comma 1.
Al riguardo si ricorda che già l’art. 4 del DPR 567/1996 - come modificato, da
ultimo, dall’art. 5 del DPR 105/2001 - , ha disposto che il consiglio di istituto ha competenze
relative alla predisposizione di iniziative
complementari e integrative dell’iter
formativo degli studenti, che negli istituti
di istruzione secondaria superiore possono essere proposte anche da gruppi di almeno 20 studenti e da associazioni studentesche[30].
Il “Curriculum dello studente” - che ne individua il profilo, associandolo ad una identità digitale (sul punto, si veda anche quanto dispone l’art. 21, co. 2, lett. m) - oltre a documentare il percorso di studi, comprensivo delle competenze acquisite, delle scelte opzionali e delle esperienze di alternanza scuola-lavoro, attesta anche lo svolgimento di esperienze formative (quali, sport, attività culturali e di volontariato) in ambito extrascolastico: si tratta, in base al testo, di tutti i dati utili anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro.
In base al comma 3, il Curriculum è inserito nel Portale unico dei dati della scuola di cui all’art. 14.
Il comma 2 dispone che il dirigente scolastico può individuare percorsi formativi e iniziative dirette a garantire un maggiore coinvolgimento degli studenti e una valorizzazione del merito scolastico e dei talenti, utilizzando anche finanziamenti esterni, compresi quelli derivanti da sponsorizzazioni[31]. Resta fermo l’obbligo di trasparenza delle procedure.
In materia, si ricorda che l’art. 1-bis, co. 5, del D.L. 134/2009 (L.
167/2009) ha previsto che, a decorrere dal 2010, le risorse – nel limite annuo
di 5 milioni di euro – stanziate per valorizzare l’eccellenza degli studenti
(art. 2, co. 5, della L. 1/2007), possono essere utilizzate anche per la
valorizzazione del merito e del talento degli studenti. Ha, altresì previsto
che, a tal fine, con il decreto ministeriale con il quale, prima dell'avvio di
ogni anno scolastico, viene definito il programma nazionale di promozione
dell'eccellenza (art. 5, co. 1, del d.lgs. 262/2007), sono definiti anche il programma nazionale di valorizzazione del
merito e del talento degli studenti, nonché il riparto delle risorse
complessivamente disponibili tra tale finalità e quella della valorizzazione
delle eccellenze. Infine, ha disposto che alla valorizzazione del merito e del
talento degli studenti possono essere destinate anche le somme disponibili nel
bilancio dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ora,
INDIRE) finalizzate alla valorizzazione delle eccellenze.
Le somme stanziate nel bilancio dello Stato sono
allocate sul cap. 1512 dello stato
di previsione del MIUR e, in base al Decreto 101094
del 29 dicembre 2014 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto
parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2015 e per il triennio 2015 – 2017, per il 2015 sono pari ad € 2.292.037.
Non sembra, peraltro, che la previsione di cui
all’art. 1-bis, co. 5, del D.L. 134/2009,
abbia avuto seguito. Infatti, ad esempio, per l'a.s. 2014/2015
è stato definito con DM 8 agosto 2014 solo il programma
nazionale di promozione delle eccellenze degli studenti delle scuole di
istruzione secondaria superiore, statali e paritarie.
In particolare, la tab. A
individua le competizioni nazionali e internazionali, ripartite per ambiti
disciplinari - e i soggetti organizzatori, interni ed esterni
all’amministrazione scolastica, questi ultimi accreditati per un triennio
scolastico ai sensi del DM 8 settembre
2011 – in relazione alle quali saranno riconosciuti i
risultati elevati raggiunti dagli studenti. Inoltre, come consentito dall’art.
2, co. 6, del d.lgs. 262/2007, individua come ulteriore forma di eccellenza il
conseguimento della votazione di 100 e lode nell’esame di Stato conclusivo dei
corsi di istruzione secondaria di secondo grado.
La disponibilità finanziaria complessiva è ripartita
per 1/3 e per 2/3 fra i due segmenti di eccellenza indicati.
L’articolo 4 intende rafforzare il collegamento fra scuola e mondo del lavoro e, in particolare, introduce nell’ordinamento una previsione di durata minima dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e mette a regime la possibilità di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato.
Il comma 1 dispone che, negli ultimi tre anni di scuola secondaria di secondo grado, i percorsi di alternanza scuola-lavoro - che devono essere inseriti nel Piano triennale dell’offerta formativa - hanno una durata complessiva:
- di almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali;
- di almeno 200 ore nei licei.
Tali previsioni si applicano a partire dalle classi terze attivate nell’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge.
Nell’a.s. 2013/2014, come
si potrà più ampiamente vedere nella tabella presente alla fine della scheda, la
media complessiva delle ore annuali è stata pari a 95.
Il comma 2, novellando l’art. 1, co. 2, del d.lgs. 77/2005, introduce la possibilità di stipulare convenzioni per lo svolgimento di percorsi in alternanza anche con gli ordini professionali e specifica che le convenzioni possono essere stipulate anche con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio artistico, culturale e ambientale.
Questi ultimi, peraltro, ben potrebbero essere già ricompresi nel
riferimento agli “enti pubblici e privati” presente nel testo vigente della
disposizione che si intende modificare.
Al riguardo si
ricorda che il 28 maggio 2014 MIUR e MIBACT
hanno sottoscritto un Protocollo di
intesa che prevede, fra l’altro, l’elaborazione di un progetto nazionale di alternanza
scuola-lavoro da svolgersi nei luoghi della cultura.
Il comma 3 prevede che l’alternanza può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche e anche con la modalità dell’impresa formativa simulata.
Come illustrato sul sito dell’INDIRE, la metodologia
dell'Impresa Formativa Simulata (IFS) consente l'apprendimento di
processi di lavoro reali attraverso la simulazione della costituzione e
gestione di imprese virtuali che operano in rete, assistite da aziende reali[32].
Il comma
5 prevede che le scuole secondarie di secondo grado organizzano, nei limiti
delle risorse disponibili, corsi di
formazione in materia di tutela
della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolti agli studenti
inseriti nei percorsi di alternanza, e svolti secondo quanto disposto dal
d.lgs. 81/2008.
Dunque, si attribuisce alle scuole, a livello
normativo, la responsabilità dello svolgimento delle attività formative. Al
riguardo si veda, infra, quanto è
previsto a legislazione vigente.
Sembrerebbe opportuno introdurre anche le novità proposte nei commi 1, 3
e 5 nel decreto legislativo 77/2005, novellandolo.
In particolare, in base al d.lgs. 77/2005, emanato in attuazione della delega conferita
dall’art. 4 della L. 53/2003, l’alternanza scuola-lavoro è definita come modalità di realizzazione della formazione del
secondo ciclo (incluso il sistema di istruzione e formazione professionale),
volta ad assicurare ai giovani competenze spendibili nel mercato del lavoro.
Possono chiedere l’accesso all’alternanza
scuola-lavoro - nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e sotto la responsabilità dell’istituzione
scolastica o formativa - gli studenti che hanno compiuto 15 anni, per lo svolgimento
dell’intera formazione fino ai 18 anni o di parte di essa.
I percorsi in alternanza - che comunque non costituiscono rapporto individuale di lavoro -
sono realizzati sulla base di
convenzioni con le imprese, o
con le rispettive associazioni di
rappresentanza, o con le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e privati, inclusi quelli
del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di
apprendimento in situazione lavorativa.
I criteri
generali cui le convenzioni devono fare riferimento - insieme con le
risorse finanziarie, i criteri per la loro ripartizione, i requisiti dei
soggetti interessati ad ospitare gli studenti, il modello di certificazione per
la spendibilità a livello nazionale delle competenze e per il riconoscimento
dei crediti - dovevano essere definiti con un decreto interministeriale (MIUR-MEF), previa intesa in sede di
Conferenza unificata, e sulla base delle indicazioni del Comitato per il
monitoraggio e la valutazione dell’alternanza scuola-lavoro.
Il decreto, tuttavia, non risulta intervenuto.
Peraltro, già il d.lgs. dispone che le convenzioni regolano i rapporti e le
responsabilità dei soggetti coinvolti nei percorsi in alternanza, compresi
gli aspetti relativi alla tutela della salute e della sicurezza dei
partecipanti.
Con riferimento all’organizzazione didattica, il d.lgs. prevede che i percorsi in
alternanza sono definiti e programmati all’interno del POF e possono essere
svolti, nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di studio, anche in periodi diversi da quelli fissati
dal calendario delle lezioni. Prevede, altresì, la presenza di un tutor interno, designato
dall’istituzione scolastica o formativa, e di un tutor esterno, designato dal
soggetto ospitante.
La valutazione, la certificazione e il riconoscimento
dei crediti – utili sia ai fini
della prosecuzione del percorso scolastico o formativo, sia per gli eventuali
passaggi tra i sistemi, compresa l’eventuale transizione nei percorsi di
apprendistato - sono attribuiti all’istituzione scolastica e si concludono con
il rilascio di una certificazione
supplementare relativa alle competenze acquisite.
Per la realizzazione di percorsi in alternanza, il
d.lgs. ha previsto un impegno
finanziario nel limite massimo di € 10 mln per il 2005 e di € 30 mln dal
2006, a valere sull’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per
l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e gli interventi
perequativi (art. 4 L. 440/1997)[33].
Alla realizzazione di tali interventi nel sistema
dell’istruzione e formazione professionale concorrono le risorse - nella
percentuale stabilita dalla programmazione regionale – previste dall’art. 68
della L. 144/1999 per i percorsi di istruzione professionale.
Per il 2014, l’art. 6 del DM 21 maggio
2014, n. 351, di cui si è già detto nella scheda di commento
relativa all’art. 2, ha destinato alla realizzazione delle attività attinenti
l'alternanza scuola-lavoro € 11 mln[34], prevedendo
l’assegnazione degli stessi per progetti
innovativi di integrazione tra i percorsi formativi ed il mondo del lavoro,
anche secondo la metodologia della
"bottega-scuola" e "scuola-impresa", e utilizzando
quale criterio prioritario l'esistenza di collaborazioni con associazioni di
categoria e soggetti rappresentativi del mondo del lavoro sul territorio di
riferimento.
Ha, altresì, rimesso ad un decreto direttoriale la
definizione delle specifiche dei progetti innovativi e l’individuazione del
riparto delle somme per ambiti regionali ed ordini di istruzione, in
proporzione al numero di alunni iscritti nelle classi seconde, terze e quarte
in ciascuna regione ed ordine, e agli Uffici scolastici regionali (USR)
l’acquisizione delle candidature delle scuole per la realizzazione dei
progetti.
Ha, infine, previsto che i progetti sono valutati da
commissioni nominate dai Direttori degli USR, una per regione, e ha indicato i
criteri da seguire ai fini della medesima valutazione.
E’, dunque, intervenuto il D.D. 20 ottobre
2014, n. 761, che ha definito
le specifiche dei progetti innovativi di alternanza e ha operato la
ripartizione delle risorse.
Sempre per il 2014, il DM 2 ottobre
2014, n.
762, emanato in attuazione dell’art. 16, co. 1, del D.L.
104/2013 (L. 128/2013), ha destinato € 1
mln all’accrescimento delle competenze dei docenti dei licei, degli
istituti tecnici e degli istituti professionali in merito alla fase di pianificazione e programmazione dei
percorsi di alternanza scuola-lavoro e ha rimesso ad un decreto
direttoriale la definizione delle specifiche dei progetti formativi, nonché il
riparto della somma per ambiti regionali ed ordini di istruzione, in
proporzione al numero degli iscritti nelle classi seconde, terze e quarte in
ciascuna regione ed ordine.
Ha, altresì, affidato agli USR l’individuazione dei
soggetti cui affidare la realizzazione delle attività formative - prevedendo
che i progetti possono svilupparsi all’interno dei contesti aziendali -, ha
disposto che le candidature sono valutate da commissioni nominate dai Direttori
degli stessi USR, una per regione, e ha indicato i criteri da seguire ai fini
della medesima valutazione.
E’, dunque, intervenuto il D.D. 4 novembre
2014, n. 832, che ha definito
gli obiettivi dei progetti formativi e ha operato la ripartizione delle
risorse.
Si ricorda, infine, che il nuovo ordinamento degli
istituti tecnici e professionali e dei licei richiama l'attenzione dei docenti
e dei dirigenti sull'alternanza scuola-lavoro (v., in particolare: art. 5, co.
2, lett. e),
DPR 88/2010; art. 5, co. 2, lett. d), DPR 87/2010; art. 2, co. 7, DPR
89/2010).
Anche le linee guida per il passaggio al nuovo
ordinamento si soffermano sull’importanza dell’alternanza.
In particolare, nella direttiva n.
4/2012, relativa alle linee guida per il secondo biennio e il quinto anno
degli istituti tecnici, e nella direttiva 5/2012, relativa alle linee guida per il secondo biennio e il quinto anno
degli istituti professionali, si evidenzia che “Con l'alternanza scuola lavoro si
riconosce un valore formativo
equivalente ai percorsi realizzati in azienda e a quelli curricolari svolti nel
contesto scolastico. Attraverso la metodologia dell'alternanza si
permettono l'acquisizione, lo sviluppo e
l'applicazione di competenze specifiche previste dai profili educativi,
culturali e professionali dei diversi corsi di studio”.
Il 20 novembre 2014 il MIUR ha comunicato, sulla base dei dati elaborati dall’INDIRE, che nell’anno scolastico 2013/2014 l’alternanza scuola-lavoro è stata utilizzata dal 43,5% delle scuole secondarie di secondo grado.
I percorsi attivati sono stati 10.279 (dei quali, il 57,9% negli istituti professionali, il 29,7% negli istituti tecnici, l’11,9% nei licei; in 375 esperienze di alternanza sono stati previsti anche stage all’estero[35]), gli studenti partecipanti 210.506 (il 10,7% del totale, a fronte dell’8,7% dell’anno 2012/2013), le strutture ospitanti 126.003 di cui 55.154 (il 43,8%) imprese.
Gli accordi stipulati tra scuola e impresa sono stati 1.182. In particolare, nel 68,9% dei casi si è fatto ricorso alla convenzione.
Con riferimento alla durata, 6.151 (59,8%) sono percorsi annuali, 2.412 (23,5%) biennali, 1.545 (15%) triennali, 171 (1,7%) quadriennali.
Nei percorsi annuali si è registrato un numero medio di ore totali, pari a 97,9 (di cui, 25,7 in aula e 72,1 di formazione fuori dall’aula), maggiore rispetto ai percorsi pluriennali.
La media complessiva delle ore annuali fra le diverse tipologie di percorso è pari a 95.
Con riferimento alle modalità di partecipazione degli studenti, il 65,4% ha partecipato come classe intera, il 29,6% come gruppo di studenti di indirizzi
diversi, il 4,6% come gruppo di studenti della stessa classe, lo 0,4% come singoli studenti.
Qui una tabella di comparazione dall’a.s. 2004/2005 all’a.s. 2012/2013, elaborata dall’INDIRE:
Il comma
4 concerne l’emanazione del regolamento di delegificazione concernente diritti e doveri degli studenti impegnati
nei percorsi di alternanza scuola-lavoro.
A tal fine novella l’art. 5, co. 4-ter, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013),
che ne aveva previsto l’emanazione, su proposta del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, entro 60 giorni dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione, in particolare prevedendo:
-
che, ai
fini dell’emanazione, vi sia il concerto (e non più solo il parere) del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
-
che, “nel
caso di coinvolgimento di enti pubblici”, vi sia anche il concerto del Ministro
per la semplificazione e la pubblica amministrazione;
-
che sia
sentito il Forum nazionale delle associazioni studentesche (art. 5, DPR 567/1996);
-
che il
regolamento, che acquista il nome di “Carta
dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza” riguarda tutti gli
studenti della scuola secondaria di secondo grado impegnati nei percorsi di
alternanza (e non più solo quelli del secondo biennio).
Il comma 6 prevede, a decorrere dall’anno
scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, la
possibilità per gli studenti, a partire dal
secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, di svolgere periodi
di formazione in azienda attraverso
la stipulazione di contratti di
apprendistato per la qualifica e il diploma professionale “anche tenuto
conto di quanto previsto dal decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma
7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
Si ricorda, anzitutto,
che, in base all’art. 3 del d.lgs. 167/2011, l’apprendistato per la qualifica e
per il diploma professionale permette di acquisire una qualifica professionale
triennale, valida anche ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione, o
un diploma professionale (si tratta, cioè, dei titoli di istruzione e
formazione professionale conseguibili alla conclusione dei corsi organizzati
dalle regioni[36]). Possono
essere assunti con tale contratto i soggetti con un’età compresa tra 15 e 25
anni. La durata massima del contratto è di 3 anni per la qualifica e di 4 per
il diploma.
Per quanto concerne il riferimento all’art. 1, co. 7,
della L. 183/2014, si ricorda che lo stesso, allo scopo di rafforzare le
opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, nonché di riordinare i contratti
di lavoro vigenti, ha delegato il Governo ad adottare, entro 6 mesi dalla data
di entrata in vigore, decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico
semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro,
sulla base di specifici principi e criteri direttivi: tra questi, rientrano
l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini
di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il
contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di
semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali
(lettera a)), nonché il rafforzamento
degli strumenti per favorire l'alternanza tra scuola e lavoro (lettera d)).
Il
20 febbraio u.s. il Governo ha approvato uno schema di decreto (il cui testo è disponibile
sul sito del Governo), non ancora presentato al Parlamento ai fini
dell’espressione del parere, i cui articoli da 39 a 45 recano norme sulla
disciplina del contratto di apprendistato, sostituendo interamente il D.lgs.
167/2011 (che viene contestualmente abrogato).
Anzitutto,
lo schema prevede che l’apprendistato
per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale (nuovo
nome dell’attuale apprendistato per la qualifica e per il diploma
professionale) e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente,
in un sistema duale, formazione e lavoro per l'occupazione dei giovani, con
riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni
professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all'art. 8 del D.lgs.
13/2013, nell'ambito del Quadro europeo delle qualificazioni.
In
particolare, l’art. 41, relativo all’apprendistato per la qualifica, il diploma
e la specializzazione professionale, dispone che tale istituto - che continua a
riguardare i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento
dei 25 - deve essere strutturato in modo da coniugare la formazione sul lavoro effettuata in azienda con
l'istruzione e formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che
operano nell'ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione, sulla
base dei livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del
sistema educativo di istruzione e formazione, di cui al D.lgs. 226/2005, nonché
di quelli relativi agli standard
formativi.
Il
medesimo art. 41 prevede che possono
essere stipulati anche contratti di
apprendistato, di durata non superiore a tre anni, rivolti agli studenti iscritti al quarto e quinto anno degli istituti tecnici e professionali,
utili anche ai fini del conseguimento di un certificato di specializzazione
tecnica superiore.
ll datore di lavoro che intende stipulare il contratto
di apprendistato deve sottoscrivere un protocollo con l'istituzione formativa a
cui lo studente è iscritto, secondo uno specifico schema definito con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza
Stato-regioni. Con il medesimo decreto sono definiti i criteri generali per la
realizzazione dei percorsi di apprendistato negli istituti tecnici e
professionali e, in particolare, il monte orario massimo del percorso
scolastico che può essere svolto in apprendistato e i requisiti delle imprese
nelle quali si svolge.
Infine, l’art. 40 prevede che il piano formativo è predisposto sulla base di moduli e formulari predisposti dall’istituzione formativa di provenienza
dello studente con il coinvolgimento dell'impresa.
Al contempo, il comma 6 abroga il co. 2 dell’art. 8-bis del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) - che ha previsto l’avvio di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, con particolare riferimento a quelli degli istituti professionali, per il triennio 2014-2016, attraverso la stipula di contratti di apprendistato con oneri a carico delle imprese interessate - facendo però salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali già attivati.
Al programma sperimentale previsto dall’art. 8-bis, co. 2, del D.L. 104/2013 (L.
128/2013) è stato dato avvio con il D.M. prot.n.
28/0005408/1.44.10 del 5 giugno 2014, che ha disposto, in particolare, che
lo stesso programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato di alta formazione e ha definito la
tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti,
i contenuti del Protocollo d’intesa da
stipulare fra MIUR, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regioni
interessate e impresa interessata alla sperimentazione, il contenuto delle
convenzioni che devono essere concluse, nei limiti previsti dal Protocollo
d’intesa, tra le istituzioni scolastiche e l’impresa, i diritti degli studenti
coinvolti, i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.
A seguire, l’8 settembre 2014 sul sito del MIUR è
stata data notizia dell'avvio
della fase di sperimentazione del programma di formazione in alternanza
scuola-lavoro per studenti del quarto e quinto anno degli Istituti tecnici ad
indirizzo tecnologico messo a punto da MIUR, Ministero del Lavoro, regioni,
organizzazioni sindacali ed Enel.
Dunque, mentre la sperimentazione avviata
sulla base del D.L. 104/2013 riguarda studenti degli ultimi due anni di scuola
secondaria di secondo grado e ha previsto l’attivazione di contratti di
apprendistato di alta formazione, la nuova disciplina riguarderà gli studenti a
partire dal secondo anno del medesimo grado di istruzione e prevederà
l’attivazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma
professionale (ovvero, di contratti di apprendistato per la qualifica, la
specializzazione e il diploma professionale che, tuttavia, come si è visto,
dovrebbero riguardare studenti iscritti al IV e V anno degli istituti tecnici e
professionali).
Il
comma 8 prevede che il Dirigente
scolastico individua le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili
alla attivazione di percorsi in alternanza scuola-lavoro e di periodi di
formazione in azienda con la stipula di contratti di apprendistato e stipula convenzioni finalizzate anche a
favorire l’orientamento dello studente.
Analoghe convenzioni possono essere stipulate
con musei e altri luoghi della cultura, nonché con gli uffici centrali e
periferici del Ministero per i beni e le attività culturali.
Dal punto di vista della
formulazione del testo, le parole “musei, istituti e luoghi della cultura”
dovrebbero essere sostituite con le parole “istituti e luoghi della cultura”
(dei quali i musei, ai sensi dell’art. 101 del d.lgs. 42/2004, fanno parte).
Per le finalità indicate, nonché per
l’assistenza tecnica e il monitoraggio dell’attuazione delle stesse, il comma 7 autorizza la spesa di 100 milioni di euro dal 2016, da
ripartire fra le istituzioni
scolastiche ai sensi dell’art. 2, co. 7, del testo in esame (alla cui scheda di
commento si rinvia).
L’articolo 5 prevede l’adozione di un Piano nazionale scuola digitale, nonché la possibilità, per le scuole, di dotarsi di laboratori territoriali per l’occupabilità.
Il comma 1 prevede che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta il Piano nazionale scuola digitale, al fine di sviluppare e migliorare le competenze digitali degli studenti, in sinergia, fra l’altro, con il piano nazionale banda ultralarga.
La relazione illustrativa specifica che il Piano deve
permettere il passaggio da una visione di digitalizzazione intesa come
infrastrutturazione ad una di Education in a digital era.
Al riguardo si ricorda che un primo Piano nazionale
scuola digitale è stato avviato nel 2007 per generalizzare l’uso delle TIC
nelle classi e utilizzare la tecnologia come catalizzatore dell’innovazione
didattica, allo scopo di promuovere nuove pratiche di insegnamento, nuovi
modelli di organizzazione scolastica, nuovi prodotti e strumenti a sostegno
della qualità. Esso ha incluso quattro iniziative: un finanziamento per
attrezzare le classi con lavagne interattive multimediali (Piano LIM), e tre
progetti di sperimentazione in cui alcune scuole pilota, selezionate tramite
bando aperto, hanno sperimentato soluzioni TIC (cl@sse
2.0, scuol@ 2.0, Editoria digitale scolastica).
Su tale piano, l’OCSE ha svolto uno studio.
Qui la pagina dedicata
sul sito del MIUR.
Il comma 2 dispone che, dall’anno scolastico successivo a quello di entrata in vigore della legge, le istituzioni scolastiche promuovono, all’interno dei Piani triennali dell’offerta formativa e in collaborazione con il MIUR, azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti dal Piano nazionale scuola digitale.
Quest’ultimo persegue i seguenti obiettivi:
· realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese;
· potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari per migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche;
·
adozione di strumenti organizzativi e
tecnologici per favorire la governance, nonché la condivisione
di dati e lo scambio di informazioni
e buone pratiche tra i componenti di ciascuna comunità scolastica e tra le istituzioni
scolastiche ed educative e le articolazioni del MIUR.
Al riguardo, si ricorda che nell’estate 2014 è stato
avviato il progetto Titulus
Scuola[37], promosso dal Mibact – Direzione Generale per gli Archivi, organo di
vigilanza nazionale, in collaborazione con CINECA - KION, già supporter
tecnologici della gestione documentale in ambito universitario su 70
università, e un primo nucleo di istituzioni scolastiche di ogni ordine e
grado, rappresentate dai rispettivi Direttori dei servizi generali e
amministrativi (DSGA). Obiettivo del gruppo di lavoro Titulus Scuola è unire
gli sforzi delle scuole nel rendere reale la dematerializzazione nel contesto
scolastico, sperimentando, condividendo e diffondendo buone pratiche.
· formazione dei docenti per l’innovazione didattica;
· formazione dei Direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA), degli assistenti tecnici e degli assistenti amministrativi per l’innovazione digitale nell’amministrazione;
· potenziamento delle infrastrutture di rete, con particolare riferimento alla connettività delle scuole, sentita la Conferenza Stato-regioni;
· valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche, anche attraverso la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e formazione da collocare presso le scuole con più alto livello di innovatività.
Sembrerebbe opportuno esplicitare la natura dei centri di ricerca e
formazione, quanto a composizione e quanto al loro rapporto con le istituzioni
scolastiche.
Il comma 4 prevede che le istituzioni scolastiche possono individuare, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività inserite nel Piano triennale dell’offerta formativa in coerenza con il Piano nazionale scuola digitale.
In questa sede si ricorda solo che, da ultimo, l’art. 16 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), che ha autorizzato, per il 2014, la
spesa di 10 milioni di euro, da
utilizzare per attività di formazione e
aggiornamento obbligatori del personale scolastico, ha incluso tra le
finalizzazioni anche l’aumento delle competenze relative ai processi di digitalizzazione e innovazione
tecnologica.
Per la definizione delle
modalità di organizzazione e gestione
delle citate attività formative è intervenuto il DM 2 ottobre 2014, n. 762 il cui art. 6 ha destinato all’obiettivo del miglioramento
delle competenze relative ai processi di digitalizzazione e innovazione
tecnologica 1 milione di euro.
Con D.D. 6 novembre 2014, n. 12 è stata
indetta una selezione finalizzata alla individuazione di progetti formativi,
proposti e organizzati da istituzioni scolastiche capofila di Poli Formativi a
carattere regionale, e sono state ripartite le risorse su base regionale.
Successivamente, con D.D. 12 dicembre 2014 n. 41, è stato approvato l'elenco delle istituzioni scolastiche
individuate quali destinatarie dei finanziamenti.
L’art. 11 dello
stesso D.L. 104/2013 ha, invece,
autorizzato una spesa di 5 milioni di
euro per il 2013 e di 10 milioni di euro per il 2014 per assicurare alle istituzioni
scolastiche statali secondarie, prioritariamente di secondo grado, la
realizzazione e la fruizione della connettività
wireless, in modo da consentire agli studenti l'accesso ai materiali
didattici ed ai contenuti digitali.
La procedura attuativa è
stata avviata con DM 9 ottobre 2013, n. 804.
Le graduatorie finali[38] sono state approvate con D.D.G. prot. 3559 del
19 dicembre 2013.
Inoltre, l’art. 6, co. 1, dello stesso D.L. 104/2013, novellando l’art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) con l’introduzione del co. 2-bis, ha previsto la produzione, da parte delle scuole, a decorrere dall’a.s. 2014/2015 e nel termine di un triennio, di materiale scolastico digitale assunto come libro di testo[39].
Con nota 2581 del 9 aprile 2014, il MIUR ha fatto presente che le linee guida contenenti le indicazioni necessarie per l'elaborazione dei suddetti materiali saranno emanate entro la fine dell’a.s. 2014/2015 e che entro lo stesso termine tutti i materiali didattici digitali prodotti nel corso dell’anno dovranno essere inviati al Ministero - secondo le modalità previste nelle linee guida - al fine di renderli disponibili (sull’argomento, si veda anche quanto dispone l’art. 21, co. 2, lett. m), del testo in esame).
Il comma 5
dispone che, per favorire lo sviluppo
della didattica laboratoriale, le scuole, anche in rete tra loro o
attraverso i poli tecnico-professionali[40], possono dotarsi, evidenziandolo nei Piani triennali dell’offerta
formativa, di laboratori territoriali
per l’occupabilità, con la partecipazione, anche
in qualità di soggetti cofinanziatori, di enti locali, università,
associazioni, fondazioni, enti di formazione professionale, istituti tecnici
superiori e imprese.
Al riguardo il Rapporto
La Buona scuola evidenziava che i laboratori “saranno nuovi spazi
formativi a disposizione della scuola, ma non sotto la sua gestione diretta, se
non attraverso modelli “a rete”.
I laboratori perseguono i seguenti obiettivi:
·
orientamento della didattica e della formazione ai settori strategici del Made in Italy, in
base alla vocazione produttiva di ogni territorio;
·
fruibilità di servizi propedeutici
al collocamento al lavoro o alla riqualificazione di giovani non occupati;
·
apertura della scuola al territorio e possibilità di utilizzo degli spazi anche al di fuori dell’orario scolastico.
Sul territorio sono già attive alcune esperienze di
laboratori territoriali per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro: a
titolo di esempio, si veda il protocollo di intesa tra
l’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, la scuola Polo provinciale per
l’alternanza, gli Istituti di istruzione secondaria superiore della provincia
di Macerata, la provincia di Macerata, le Associazioni di categoria, gli Ordini
e i Collegi professionali della provincia di Macerata, le l’Università di
Macerata e Camerino e l’Università Telematica delle Camere di Commercio “Universitas Mercatorum”, la
Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Macerata, per la
costituzione del Laboratorio territoriale per il raccordo tra domanda e offerta
di formazione e lavoro.
Il comma
6 prevede che per l’attuazione delle attività indicate nei commi precedenti
nell’anno 2015 si utilizzano 90 milioni di euro delle risorse
impegnate nel 2014 a valere sul Fondo
per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e che, dal 2016, è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro, da ripartire fra le
istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 2, co. 7 (alla cui scheda di
commento si rinvia).
L’articolo
6 definisce la composizione dell’organico
dell’autonomia, aggiungendo alle categorie dei posti comuni e dei posti di
sostegno la categoria dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa.
Individua, inoltre, il meccanismo per la
determinazione della sua consistenza - da effettuare con cadenza triennale, anziché annuale -, oltre che per la sua
ripartizione fra le regioni, tra albi territoriali, nonché tra singole
istituzioni scolastiche. Conseguentemente
l’articolo 23, co. 2, sopprime il
riferimento ai docenti presente nell’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L.
111/2001), concernente limitazioni alle dotazioni organiche del personale della
scuola.
Il medesimo articolo 6 dispone, infine, che il
dirigente scolastico utilizza per le supplenze
temporanee fino a dieci giorni
il personale della dotazione organica dell’autonomia. Il medesimo personale è
tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura
dei posti vacanti e disponibili.
Il comma
1 dispone che l’organico dell’autonomia, finalizzato alle esigenze
curricolari, extracurricolari, educative e organizzative che le istituzioni
scolastiche esprimono nei Piani triennali dell’offerta formativa, è composto
da:
· posti
comuni;
·
posti di sostegno;
· posti
per il potenziamento dell’offerta formativa.
La consistenza del medesimo organico è determinata
tenendo conto del fabbisogno di posti indicati da ogni istituzione scolastica
nel Piano triennale dell’offerta formativa, nel limite delle risorse
finanziarie disponibili.
In particolare
il comma 2, primo periodo, dispone
che l’organico dell’autonomia è determinato ogni 3 anni su base regionale,
con decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la
pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza unificata,
e comunque nel limite massimo di risorse finanziarie di cui all’art. 24, co. 1.
A sua volta, il comma 4 specifica – limitatamente ai posti comuni e ai posti per il potenziamento dell’offerta formativa
– che il fabbisogno individuato da ogni istituzione scolastica deve essere
confermato dal MIUR nell’ambito della valutazione dei Piani triennali
dell’offerta formativa di cui all’art. 2, co. 5 e 6.
Si tratta di un principio che,
in base all’art. 2, dovrebbe essere riferito anche all’organico dei posti di
sostegno. E’, dunque necessario un coordinamento.
Con riguardo all’organico dei posti di sostegno, il comma 5 dispone (solo) che esso è
determinato nel limite previsto dall’art. 2, co. 414, della L. 244/2007 e
dall’art. 15, co. 2-bis, del D.L.
104/2013 (L. 128/2013), ferma restando la possibilità di istituire posti in
deroga.
L’art. 2, co. 414, della L. 244/2007 –
come novellato dall’art. 15, co. 2, del
D.L. 104/2013 – ha rideterminato la dotazione organica di diritto relativa ai docenti di
sostegno in misura pari, nell’a.s. 2013/2014 al
75%, nell’a.s.
2014/2015 al 90%, e dall’a.s.
2015/2016 al 100% del numero dei posti di
sostegno complessivamente attivati nell’a.s.
2006/2007[41].
Il co. 2-bis
dell’art. 15 del D.L. 104/2013 ha disposto che dall'a.s. 2014/2015 il riparto
di cui al co. 2 è assicurato equamente a
livello regionale, in modo da determinare una situazione di organico di
diritto dei posti di sostegno percentualmente uguale nei territori, fermo
restando il numero complessivo dei posti.
Il
17 dicembre 2014, rispondendo alla Camera all’interrogazione
a risposta in Commissione 5-01366, il Governo ha fatto presente che, in
attuazione di quanto previsto dal D.L. 104/2013, è stata autorizzata, a decorrere
dal 1° settembre 2013, l'assunzione a tempo indeterminato di unità di personale
docente da destinare agli alunni con disabilità su posti vacanti e disponibili,
di cui 4.447 per l'anno scolastico 2013/2014 e 13.342 per l’a.s.
2014/2015. Ha, altresì, fatto presente che
i posti di sostegno in organico di diritto sono 81.137, coperti con
personale di ruolo, e arriveranno a 90.032 nel prossimo a.s.
Con riferimento
all’istituzione di posti di sostegno in
deroga, il testo fa riferimento all’art. 35, co. 7, della L. 289/2002 e
all’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 296/2006.
L’art. 35, co. 7, della L. 289/2002 ha disposto, per quanto
qui interessa, che l'attivazione di
posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni previsto dall’art.
40, co. 3, della L. 449/1997 - pari ad un insegnante ogni 138 alunni
frequentanti le scuole della provincia - è autorizzata
dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale.
Successivamente, l’art. 1, co. 605, lett.
b), della L. 296/2006 aveva previsto – tramite l’adozione di un decreto
ministeriale – la
sostituzione del criterio previsto dall'art. 40, co. 3, della L. 449/1997, con
l'individuazione di organici corrispondenti alle effettive esigenze.
Ancora in seguito, l’art. 2, co. 413, della L. 244/2007, facendo salvo quanto
previsto dall’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 244/2007, aveva disposto
che il numero dei posti dei docenti di sostegno attivabili a decorrere dall’a.s. 2008-2009 non doveva superare il 25% del numero
di sezioni e classi dell’organico di diritto dell’a.s.
2006-2007, mediante criteri definiti con D.I., tenendo conto delle effettive
esigenze rilevate e in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni
diversamente abili[42].
Il successivo co. 414 aveva
disposto la progressiva rideterminazione della dotazione organica di
diritto dei docenti di sostegno nel triennio 2008-2010, fino al raggiungimento,
nell’a.s. 2010/2011, di una consistenza organica pari
al 70% del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’a.s. 2006/2007.
A sua volta, l’art. 5, co. 1, primo periodo, del DPR 81/2009 ha disposto che le
dotazioni organiche complessive dei posti di sostegno restavano definite ai
sensi dell'art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007.
Con sentenza n. 80/2010 la Corte costituzionale
ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale del co. 413 della L. 244/2007 nella parte in cui ha fissato
un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e del co.
414 nella parte in cui ha escluso la possibilità di assumere insegnanti di
sostegno in deroga.
A seguire, l’art. 19, co.
11, del D.L. 98/2011 (L.
111/2011) ha disposto che l’organico dei posti di sostegno è determinato
applicando quanto previsto dall’art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007 (come
sopra si è visto, poi, il co. 414 è stato modificato con il D.L. 104/2013), ma
con possibilità di istituire posti in
deroga in relazione a situazioni di particolare gravità[43].
Nel comma 5 si valuti, dunque, l’opportunità
di richiamare (più che l’art. 1, co. 605, lett.
b), della L. 296/2006) l’art.
19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).
Al contempo, sembrerebbe opportuno abrogare
l’art. 5, co. 1, primo periodo, del DPR 81/2009.
I criteri
vigenti per la determinazione delle dotazioni organiche dei docenti
I criteri
per la determinazione delle dotazioni organiche del personale docente sono
attualmente recati dal DPR 81/2009 emanato ai sensi dell’art.
64, co. 4, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).
In
particolare, l’art. 2 prevede che le
dotazioni organiche complessive sono definite annualmente sia a livello
nazionale che per ambiti regionali - in
questo secondo caso sentita la Conferenza
unificata, anche ai fini della
distribuzione -, tenuto conto degli assetti ordinamentali, dei piani di
studio e delle consistenze orarie previsti dalle norme in vigore, nonché dei
criteri relativi: a) alla previsione dell'entità e della composizione
della popolazione scolastica e con riguardo alle esigenze degli alunni disabili e degli alunni di cittadinanza non italiana; b)
al grado di densità demografica delle province di ogni regione e della distribuzione
della popolazione tra i comuni di ogni circoscrizione provinciale; c)
alle caratteristiche geo-morfologiche e alle condizioni
socio-economiche e di disagio delle diverse realtà territoriali; d)
all'articolazione dell'offerta formativa; e) alla distribuzione degli alunni nelle classi
sulla
base di un incremento del rapporto
medio, a livello nazionale, alunni/classe di 0,40 da realizzare nel triennio
2009-2011; f) alle caratteristiche dell'edilizia scolastica.
Le
dotazioni dell'istruzione secondaria di I e II grado sono inoltre determinate
con riguardo alle diverse discipline ed attività contenute nei curricoli delle
singole istituzioni.
Sempre
l’art. 2 dispone che i dirigenti preposti agli USR provvedono alla ripartizione delle consistenze organiche a
livello provinciale, avendo cura di promuovere interlocuzioni con le
regioni e gli enti locali al fine di una piena coerenza tra le previsioni
programmatiche del piano regionale di localizzazione delle istituzioni
scolastiche e dell'offerta formativa e l'attribuzione delle risorse.
L'assegnazione delle risorse è effettuata con riguardo alle specifiche esigenze
ed alle diverse tipologie e condizioni di funzionamento delle istituzioni
scolastiche, nonché alle possibilità di impiego flessibile delle stesse
risorse, in coerenza con quanto previsto dal DPR 275/1999.
Nella
determinazione dei contingenti provinciali di organico si tiene conto delle condizioni di disagio legate a specifiche
situazioni locali, con particolare riguardo ai comuni montani e alle
piccole isole, nonché alle aree che presentano elevati tassi di dispersione e
di abbandono.
E’ peraltro
opportuno ricordare che, successivamente alla rideterminazione prevista
dall’art. 64 del D.L. 112/2008, l’art.
19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L.
111/2011) ha disposto che, a decorrere dall'a.s.
2012/2013, le dotazioni organiche del personale docente (nonché del personale educativo
ed ATA) non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche
dello stesso personale determinata nell'a.s.
2011/2012[44], assicurando in ogni caso, in ciascun anno, la quota delle economie
lorde di spesa che devono derivare per il bilancio dello Stato, a decorrere
dall'anno 2012, dall’applicazione del citato art. 64 del D.L. 112/2008.
Il 27
febbraio 2015 sul sito del MIUR è stato pubblicato lo schema di decreto interministeriale (MIUR-MEF) relativo alla determinazione delle dotazioni organiche del
personale docente per l'a.s. 2015/2016.
Nel
documento è evidenziato che “Eventuali ulteriori indicazioni verranno fornite
successivamente a seguito di innovazioni normative”.
In conseguenza di
quanto disposto dall’art. 6, l’art. 23,
co. 2, sopprime il riferimento ai docenti presente nell’art. 19, co. 7, del
D.L. 98/2011 (L. 111/2001) (che, dunque, continuerebbe a riguardare le
dotazioni organiche del personale educativo e del personale ATA).
Sembrerebbe
opportuno disporre anche l’abrogazione dell’art. 2 del DPR 81/2009.
I commi 2,
secondo periodo, 3 e 6 riguardano la ripartizione della dotazione dell’organico
dell’autonomia.
Innanzitutto, il
comma 2, secondo periodo, dispone
che il riparto della dotazione organica fra le regioni è effettuato sulla base del numero di classi, nonché della presenza di aree interne[45], di aree a forte processo immigratorio e di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica.
Rispetto alla
normativa vigente (v. ante) non è
previsto il coinvolgimento della Conferenza unificata ai fini della
ripartizione della dotazione organica fra le regioni.
Il comma 3, primo periodo, dispone che la
dotazione organica assegnata a ciascuna regione è ripartita, con decreti dei
dirigenti preposti agli USR, tra albi
territoriali (di cui all’art. 7) e, successivamente, tra istituzioni
scolastiche, sulla base del fabbisogno espresso nei Piani triennali
dell’offerta formativa.
Il secondo periodo del comma 3 prevede
che, su tale base, i dirigenti scolastici attribuiscono i posti spettanti al
personale iscritto nel relativo albo territoriale.
Il comma 6 dispone che nella ripartizione
dell’organico dei posti dell’organico dell’autonomia
si tiene conto delle esigenze delle scuole
di minoranza linguistica slovena o
bilingui, mentre il comma 7
prevede che restano salve le diverse determinazioni che la Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano
possono adottare in materia di assunzione del personale docente ed educativo.
Il terzo periodo del comma 3 prevede che il dirigente
scolastico utilizza il personale docente della dotazione organica
dell’autonomia per la copertura delle
supplenze temporanee fino a dieci giorni, eventualmente integrando il
trattamento stipendiale qualora il docente sia impiegato in un grado di
istruzione superiore[46].
Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che la
norma consente di realizzare risparmi di spesa sui capitoli per il pagamento delle supplenze brevi[47], che verranno utilizzati per il pagamento
dell’eventuale differenziale tra trattamenti stipendiali. Il trasferimento
degli importi occorrenti – dai capitoli per il pagamento delle supplenze brevi
verso i capitoli per il pagamento degli stipendi[48] – potrebbe essere effettuato in sede di assestamento,
a seguito di monitoraggio del MIUR.
Il quarto periodo del medesimo comma 3 prevede, inoltre, che il
medesimo personale è “tenuto ad
assicurare prioritariamente la
copertura dei posti vacanti e disponibili”.
Dalla
formulazione testuale sembrerebbe, dunque, che il personale docente della
dotazione organica dell’autonomia è utilizzato, in modo prioritario rispetto
alle supplenze temporanee, per la copertura delle supplenze annuali.
Al riguardo, è opportuno un chiarimento.
Inoltre, occorrerebbe chiarire
se anche nel caso delle supplenze annuali la competenza farà capo al dirigente
scolastico (v., infra, box, la normativa vigente). Occorrerebbe, altresì,
chiarire se si prevede l’integrazione del trattamento stipendiale in termini
analoghi a quelli previsti per la copertura delle supplenze temporanee.
Supplenze del personale docente
L’art. 4 della L. 124/1999 distingue tre tipologie di supplenze del personale docente - che danno luogo al conferimento di incarichi a tempo determinato - e indica a quali graduatorie attingere per le nomine:
§ supplenze annuali, per la copertura di cattedre e posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico;
§ supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, per la copertura di cattedre e posti di insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico, ovvero per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario (intendendo per posti orario gli abbinamenti di spezzoni che non raggiungono l’orario di cattedra);
§ supplenze temporanee più brevi, nei casi diversi da quelli citati.
Nei casi di supplenze
annuali e di supplenze temporanee
fino al termine delle attività didattiche, per l’assegnazione degli incarichi
si utilizzano prioritariamente le graduatorie
provinciali. Al conferimento degli incarichi provvedono i
dirigenti degli
organi periferici del Ministero competenti per territorio, di norma entro il 31 luglio di ciascun anno. Decorsa tale data, vi provvedono i dirigenti scolastici.
Per le supplenze temporanee più brevi si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto ed il conferimento dell’incarico compete al dirigente di ciascuna istituzione scolastica autonoma (Art. 4 D.L. 255/2001 –L. 333/2001).
In materia di supplenze temporanee brevi, ha recentemente disposto l’art. 1, co. 333, della L. 190/2014 (L. di stabilità 2015),
che ha vietato – a decorrere dal 1°
settembre 2015 – il conferimento di
supplenze brevi per il primo giorno di assenza del personale docente.
In materia, si ricorda, altresì, che
l’art. 1, co. 78, della L. 662/1996 ha previsto che i capi di
istituto sono autorizzati a ricorrere alle
supplenze brevi e saltuarie solo per i tempi strettamente necessari ad
assicurare il servizio scolastico e dopo
aver provveduto, eventualmente utilizzando spazi di flessibilità
dell'organizzazione dell'orario didattico, alla sostituzione del personale assente con docenti già in servizio
nella medesima istituzione scolastica.
Al contempo, il co. 72 del medesimo art. 1 – poi abrogato dall'art. 24 del DPR 81/2009 – aveva consentito, per le scuole dell’infanzia ed elementari, la
sostituzione dei docenti assenti fino a
5 giorni utilizzando i docenti dell’organico di istituto.
A sua volta, l’art. 22, co. 6, della L.
448/2001 ha disposto che le istituzioni scolastiche (ad eccezione delle
scuole dell'infanzia e delle scuole elementari) possono provvedere alla sostituzione del personale assente
utilizzando, in coerenza con il piano dell'offerta formativa, le proprie risorse di personale docente,
anche oltre i limiti temporali previsti dalle disposizioni vigenti e fino a un massimo di 15 giorni.
Occorre,
infine, rammentare che, in base all’art.
28, co. 5, del CCNL personale del comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007, nella
scuola primaria, nell'ambito delle 22 ore d'insegnamento, la quota oraria
eventualmente eccedente l'attività frontale e di assistenza alla mensa è
destinata - qualora il collegio dei docenti non abbia effettuato la
programmazione di attività di arricchimento dell'offerta formativa e di
recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo nei
processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni stranieri, ovvero
qualora non abbia impegnato totalmente la quota oraria eccedente l’attività
frontale e di assistenza alla mensa - a supplenze
in sostituzione di docenti assenti fino ad un massimo di 5 giorni
nell’ambito del plesso di servizio.
In base
al co. 6 del medesimo articolo,
negli istituti di istruzione secondaria, i docenti il cui orario di cattedra sia inferiore
alle 18 ore settimanali sono tenuti al completamento dell'orario di insegnamento anche mediante
l'utilizzazione in eventuali supplenze.
L’articolo
7 reca disposizioni inerenti le competenze dei dirigenti scolastici, in
particolare affidando agli stessi l’attribuzione
diretta di incarichi triennali ai docenti e la possibilità di derogare ai parametri numerici previsti per
la formazione delle classi.
Reca, inoltre, disposizioni sull’articolazione dei ruoli del personale docente
– in particolare, introducendo gli albi
territoriali – e dispone l’incremento, dall’a.s.
2015/2016, del Fondo unico nazionale
per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti.
Il comma
4 stabilisce che i ruoli del
personale docente sono regionali e
si articolano in albi territoriali –
la cui ampiezza è definita dagli USR, anche in funzione della
popolazione scolastica – , suddivisi in sezioni
separate per:
· gradi di istruzione;
·
classi
di concorso;
·
tipologie
di posti.
Al riguardo si ricorda che l’art. 5 del d.lgs. 227/2005
- recante norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini
dell'accesso all'insegnamento, poi abrogato
dall’art. 2, co. 416, della L. 244/2007 - prevedeva che chi aveva conseguito la
laurea magistrale o il diploma accademico di secondo livello e l'abilitazione
all'insegnamento era iscritto, sulla base del voto conseguito nell'esame di
Stato abilitante, in un apposito Albo
regionale, tenuto presso gli uffici scolastici regionali e distinto per la
scuola dell'infanzia, la scuola primaria e, per la scuola secondaria di primo e
di secondo grado, per ciascuna classe di abilitazione.
La nuova
disciplina dell’iscrizione negli albi territoriali – finalizzata, in
particolare, all’attuazione delle nuove disposizioni in materia di incarichi di
docenza attribuiti direttamente dal dirigente scolastico– non si applica al personale docente già assunto a tempo
indeterminato alla data di entrata in vigore del provvedimento, salvo che in caso di mobilità territoriale
e professionale, ipotesi nella quale anche i medesimi docenti sono iscritti
negli albi.
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, si
ricorda che l’ordinanza ministeriale n. 4 del 25 febbraio 2015 ha fissato il termine ultimo per la presentazione delle domande di mobilità
del personale docente ed educativo per l’a.s. 2015-2016 – riferibili a trasferimenti di sede – al 16 marzo 2015. Successivamente, con nota prot. n. 8201 del 13 marzo 2015, tale termine è stato prorogato
al 22 marzo 2015.
Pertanto, la disposizione che prevede
l’iscrizione negli albi territoriali del personale
di ruolo che abbia effettuato domanda
di mobilità dovrebbe applicarsi a decorrere dall’a.s. 2016-2017.
La disciplina contrattuale della
mobilità del personale docente
Per mobilità si intende la procedura con cui il docente assunto a tempo indeterminato
muta non solo la sede di servizio ma anche, in alternativa, o il ruolo o il
profilo professionale.
Essa si articola in mobilità a domanda dell’interessato e mobilità d’ufficio.
La mobilità a domanda, a sua volta, si articola in mobilità a domanda in senso stretto – i cui effetti sono definitivi, e che si distingue in mobilità territoriale e mobilità professionale – e mobilità a domanda annuale, i cui effetti sono di durata pari all’a.s.
Il personale scolastico ha inoltre la possibilità di usufruire della mobilità intercompartimentale, ovvero della procedura che consente il mutamento definitivo dell’Amministrazione di appartenenza.
L’art. 10 del CCNL
personale del comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007
prevede che i criteri e le modalità per attuare la mobilità territoriale, professionale e intercompartimentale del
personale sono definiti in sede di contrattazione
integrativa nazionale.
La mobilità professionale è finalizzata non solo a superare o
prevenire il soprannumero, ma anche a valorizzare le esperienze acquisite dal
personale. Ciò può realizzarsi anche attraverso specifici percorsi formativi di
riqualificazione e riconversione professionale mirati all’assegnazione di posti
di lavoro vacanti.
In particolare, la
mobilità professionale a domanda si attua sulla base della previsione del
fabbisogno di risorse professionali, mediante la programmazione delle iniziative di formazione, riqualificazione e
riconversione in ambito provinciale o regionale, rivolta, con priorità, al
personale appartenente a classi di concorso, aree disciplinari, ruoli, aree e
profili professionali in situazione di
esubero.
Da ultimo, il 23 febbraio
2015 è stato sottoscritto il già citato CCNI
concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ATA per l’a.s. 2015/2016, il cui art. 14, in
particolare, ha disposto che sono utilizzabili
ai fini dei trasferimenti e dei passaggi tutti
i posti e le cattedre che risultino vacanti e compresi nella pianta
organica relativa all'organico di diritto dell’a.s.
2015/2016.
Le procedure di
trasferimento hanno luogo secondo l’ordine di priorità degli interessati stessi
stabilito dal punteggio riportato in base alla valutazione dei titoli, secondo
la tabella allegata al medesimo CCNI, fatte salve talune precedenza stabilite
dallo stesso contratto.
In attuazione di tale CCNI
è stata adottata l’ordinanza ministeriale citata nel testo.
Il comma
1 dispone che il dirigente
scolastico, allo scopo di assicurare il buon andamento dell’istituzione
scolastica, svolge compiti di gestione
direzionale, organizzativa e di coordinamento ed è responsabile delle scelte
didattiche e formative, della valorizzazione
delle risorse umane e del merito dei
docenti.
Ai sensi del comma 5, il dirigente scolastico individua fino a 3 docenti di ruolo che lo
coadiuvano nell’organizzazione.
Con riferimento alle competenze, si tratta di
previsioni sostanzialmente già presenti nella normativa vigente.
In particolare, l’art.
25 del d.lgs. 165/2001 prevede
che il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne
ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse
finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle
competenze degli organi collegiali, spettano al dirigente scolastico autonomi
poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente
scolastico organizza l'attività
scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è
titolare delle relazioni sindacali. Nell’esercizio di tali competenze, il
dirigente promuove gli interventi per
assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle
risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per
l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca
e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della libertà di scelta
educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da
parte degli alunni. Nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni
scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.
Inoltre, in base all’art. 396 del d.lgs. 297/1994, al dirigente scolastico spettano anche la
promozione e il coordinamento delle attività di istituto, la formazione delle classi e l’assegnazione ad
esse dei singoli docenti.
Il medesimo art.
25 del d.lgs. 165/2001 dispone,
altresì, che nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e
amministrative il dirigente può
avvalersi di docenti da lui individuati ai quali possono essere delegati
specifici compiti.
Al riguardo, l’art. 34 del CCNL 2006-2009, dopo aver richiamato la
possibilità che il dirigente scolastico si avvalga di collaboratori, prevista
dall’art. 25, co. 5, del d.lgs. 165/2001, precisa che tali collaborazioni sono
riferibili a due unità di personale
docente retribuibili, in sede di contrattazione
di istituto, con i finanziamenti a carico del fondo per le attività aggiuntive
previste per le attività di collaborazione con il dirigente scolastico, di cui
all’art. 88, co. 2, lett. e).
Si ricorda che in materia è intervenuto anche l’art. 459 del d.lgs. 297/1994, che ha previsto che ad uno dei docenti individuati
dal dirigente scolastico per attività di collaborazione nello svolgimento delle
proprie funzioni organizzative ed amministrative può essere concesso, in
presenza di determinate condizioni, l'esonero
o il semiesonero
dall'insegnamento. Si tratta, peraltro, di una previsione abrogata dall’art. 1, co. 329, della L. 190/2014 (legge di
stabilità 2015) a decorrere dal 1° settembre 2015.
I commi
2 e 3 riguardano
l’attribuzione diretta degli incarichi
ai docenti da parte del dirigente scolastico. Si tratta di una delle
sostanziali novità recate dall’art. 7.
Attualmente, infatti, in base all’art. 400, co. 02, terzo
periodo, del d.lgs. 297/1994 sono gli stessi vincitori del
concorso a scegliere,
nell'ordine in cui sono inseriti nella graduatoria, il posto di ruolo fra
quelli disponibili nella regione.
E’ dunque necessario disporre
l’abrogazione del terzo periodo del comma 02 dell’art. 400 del d.lgs. 297/1994.
In particolare, si dispone che, per la
copertura dei posti assegnati all’istituzione scolastica sulla base dei Piani
triennali dell’offerta formativa, il dirigente scolastico propone incarichi di docenza di durata triennale
rinnovabili ai docenti iscritti
negli albi territoriali, nonché “al
personale docente di ruolo già in
servizio presso altra istituzione scolastica”.
Testualmente sembrerebbe, dunque, che la
proposta di incarico possa essere formulata anche nei confronti di docenti già
in servizio che non necessariamente abbiano
fatto domanda di mobilità (ipotesi nella quale, come si è visto, gli stessi
sono iscritti, in base al comma 4, negli albi territoriali).
Ove l’interpretazione sia
corretta, è necessario, innanzitutto, un
coordinamento con quanto dispone il comma 4, nella parte in cui prevede che la
nuova disciplina di proposta di incarico da parte del dirigente scolastico non
si applica al personale docente già assunto a tempo indeterminato, salvo che in
caso di mobilità territoriale e professionale.
Un coordinamento è, altresì, necessario,
in particolare, anche con l’art. 2, co. 13, e con l’art. 6, co. 3, secondo
periodo, laddove si stabilisce che il dirigente scolastico provvede alla
copertura dei posti dell’organico con il personale iscritto negli albi.
Inoltre, al fine di evitare
eventuali criticità in fase applicativa - ad esempio, dal punto di vista del
coordinamento fra il dirigente scolastico che propone l’incarico e il dirigente
dell’istituzione scolastica presso la quale il docente è già in servizio -
appare opportuno un chiarimento.
In generale, con riguardo
all’istituto di attribuzione degli incarichi da parte del dirigente,
sembrerebbe necessario chiarire come si coordini la previsione in base alla
quale sono attribuiti incarichi a tempo
determinato – seppur rinnovabili – con la previsione che destinatario di tali incarichi risulti
personale assunto a tempo indeterminato (neoassunti ma anche personale già
di ruolo).
Anche in tal caso, inoltre, al
fine di evitare criticità in fase applicativa, occorrerebbe un chiarimento, ad
esempio con riferimento all’eventualità di più proposte di incarico indirizzate
al medesimo docente da diversi dirigenti scolastici.
Ulteriori principi che devono
essere rispettati dai dirigenti scolastici ai fini dell’attribuzione degli
incarichi ai docenti riguardano:
· pubblicità
dei criteri adottati per la selezione dei docenti ai
quali proporre l’incarico – tenuto conto del curriculum degli stessi –, e degli incarichi conferiti (lett. b)
e c));
·
possibilità
di utilizzo del personale docente di ruolo in
classi di concorso diverse da quella
per la quale è abilitato, purché “possegga titolo di studio valido
all’insegnamento” (lett. d)).
Può essere utile ricordare che la possibilità di essere utilizzati in altri gradi di istruzione o in
altre classi di concorso in assenza della relativa abilitazione, purché in
possesso di un titolo di studio valido
per l’accesso all’insegnamento nello specifico grado di istruzione o per
ciascuna classe di concorso, è stata finora
prevista per l’utilizzo del personale docente a tempo indeterminato che, al
termine delle operazioni di mobilità e di assegnazione dei posti, risulta in esubero nella propria classe di concorso nella
provincia in cui presta servizio.
In tal senso ha disposto, da ultimo, l’art. 14, co.
17, lett. a),
del D.L. 95/2012 (L. 135/2012)[49].
Occorrerebbe integrare la
disposizione di cui al comma 3, lett. d), prevedendo che il titolo di studio debba essere
valido per l’accesso all’insegnamento “richiesto”.
Infine, il comma 3 prevede il potere sostitutivo degli Uffici scolastici
regionali nel caso di inerzia dei dirigenti (lett. e)).
Si segnala, dal punto di vista
della formulazione del testo, che il potere sostitutivo degli USR non deve
essere inserito fra i principi e criteri che i dirigenti scolastici devono
rispettare per l’attribuzione degli incarichi.
Il comma
6 prevede che il dirigente scolastico può derogare, nell’ambito della dotazione organica dell’autonomia assegnata
e delle risorse, anche logistiche, disponibili, ai parametri sul numero di alunni e studenti per la formazione delle
classi previsti dal DPR 81/2009, allo scopo di migliorare la qualità
didattica.
Di seguito si riporta il numero minimo e massimo di
alunni e studenti per classe previsto, di
norma, dal DPR 81/2009, emanato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008
(L. 133/2008)[50]:
Scuola dell’infanzia
Art. |
Alunni |
|
min |
max |
|
art. 9, co. 2 e 3 |
18 |
26[51] |
Scuola primaria
Art. |
Alunni |
|
min |
max |
|
art. 10, co. 1 e 4 |
15 |
26[52] |
art. 10, co. 1 |
8 |
18 |
Scuola secondaria di primo grado
|
Art. |
Alunni |
|
min |
max |
||
Classi prime |
art. 11, co. 1 e 3 |
18 |
27[53] |
Classi seconde e terze |
art. 11, co. 2 |
Pari al nr di classi di
provenienza solo se: |
|
Classi con alunni iscritti
ad anni di corso diversi, qualora il numero degli stessi non consenta la
formazione di classi distinte |
art. 11, co. 4 |
|
18 |
Scuola secondaria di secondo grado
|
Art. |
Alunni |
|
min |
max |
||
Classi prime |
art. 16 |
25[54]/27 |
30 |
Classi intermedie |
art. 17, co. 1 |
Pari al nr di classi di
provenienza solo se: |
|
Ultime classi |
art. 17, co. 2 |
Pari al nr di classi di
provenienza solo se: |
Rispetto al numero minimo e massimo di alunni e
studenti per classe previsto per ciascun tipo e grado di scuola, l’art. 4 del DPR consente di derogare, in misura non superiore al 10 per
cento, al fine di dare stabilità alla previsione delle classi, riducendo al
massimo gli scostamenti tra il numero delle classi previsto ai fini della
determinazione dell'organico di diritto e quello delle classi effettivamente
costituite all'inizio di ciascun anno scolastico.
Inoltre, l’art.
8 prevede che nelle scuole funzionanti nelle piccole isole, nei comuni
montani, nelle zone abitate da minoranze linguistiche, nelle aree a rischio di
devianza minorile o caratterizzate dalla rilevante presenza di alunni con
particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione, possono essere
costituite classi uniche per anno di
corso e indirizzo di studi con numero di alunni inferiore a quello minimo e
massimo stabilito dagli articoli 10, 11 e 16.
Il comma
7 prevede un incremento, a
decorrere dall’a.s. 2015/2016, del Fondo unico nazionale per la retribuzione
di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici, in relazione alle
nuove competenze agli stessi attribuite. In particolare, l’incremento è pari a 12 milioni di euro per il 2015 e a 35 milioni di euro annui dal
2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato.
Il trattamento economico
dei dirigenti scolastici è formato da tre componenti: lo stipendio tabellare,
la retribuzione di posizione e quella di risultato. In particolare, la
retribuzione di posizione e quella di risultato vengono erogate a carico del
Fondo unico nazionale costituito ai sensi dell’art. 25 del CCNL relativo al
personale dell’Area V della Dirigenza per il quadriennio normativo 2006-2009 ed
il primo biennio economico 2006-2007,
sottoscritto il 15 luglio 2010.
Ai sensi dell’art. 25, co. 3, del citato CCNL, entro il 31
luglio di ciascun anno il MIUR ripartisce tra gli USR le risorse destinate alla
retribuzione di posizione e risultato in relazione al numero dei posti dei
dirigenti scolastici. Tale ripartizione è oggetto di informazione preventiva
alle organizzazioni sindacali.
Da ultimo, con nota prot. 14724 del 6 novembre 2014, il MIUR ha rideterminato l’ammontare del Fondo unico
nazionale in 126,9 milioni di
euro per l’a.s. 2012/2013 e in 120,6 mln di euro per l’a.s.
2013/2014.
Il comma
8 dispone che, nelle more della revisione del sistema di valutazione dei
dirigenti scolastici (si tratta di un
altro degli ambiti per i quali l’art. 21 del provvedimento conferisce la delega
al Governo), la medesima valutazione tiene conto della
disciplina di cui al DPR 80/2013, nonché dei criteri utilizzati per la scelta,
la valutazione e la valorizzazione dei docenti “e dei risultati
dell’istituzione scolastica, con particolare riguardo alle azioni specifiche
messe in campo dal dirigente scolastico per migliorarli”.
Il già citato art. 25 del d.lgs. 165/2001 prevede, al co. 1, che i dirigenti scolastici rispondono
in ordine ai risultati e sono valutati tenuto conto della specificità
delle funzioni e sulla base delle verifiche
effettuate da un nucleo di
valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale,
presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti
all'amministrazione stessa.
A sua volta, l’art. 20 del CCNL relativo al
personale dell’Area V della Dirigenza - quadriennio normativo 2002-2005, primo
biennio economico 2002-2003 (sottoscritto l’11 aprile 2006),
mantenuto in vita dal CCNL per il
quadriennio normativo 2006-2009, ha disposto che il dirigente
risponde in ordine ai risultati della propria azione dirigenziale, tenuto conto
delle competenze spettanti in relazione all’assetto funzionale tipico delle
istituzioni cui è preposto.
In seguito, l’art.
2 del DPR 80/2013 - che
individua le finalità e la struttura del nuovo Sistema nazionale di valutazione
del sistema educativo di istruzione e formazione (SNV)[55] - ha disposto
che lo stesso SNV fornisce i risultati della
valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema ai direttori generali
degli uffici scolastici regionali per la valutazione dei dirigenti scolastici
ai sensi proprio dell’art. 25 del d.lgs. 165/2001.
L’art. 3 ha
affidato all’INVALSI la definizione
degli indicatori per tale
valutazione.
In base all’art.
6, co. 4 e 5, inoltre, il procedimento di valutazione[56] è diretto anche
ad evidenziare le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle
istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai
fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale.
Da ultimo, la Direttiva
n. 11 del 18 settembre 2014, che ha definito,
per gli aa.ss. dal 2014/2015 al 2016/2017, le
priorità strategiche della valutazione del sistema educativo di istruzione, cui
l'INVALSI deve adeguare la programmazione della propria attività, ha previsto
che, entro dicembre 2014, lo stesso avrebbe dovuto definire gli indicatori per
la valutazione dei dirigenti scolastici. Gli indicatori devono essere inseriti
nell'ambito di una proposta organica di valutazione della dirigenza scolastica,
che deve essere oggetto di un confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni
professionali da parte del MIUR.
In base al combinato disposto dell’art. 25
del d.lgs. 165/2001 e degli artt. 2 e 6 del DPR 80/2013, la considerazione dei
risultati dell’istituzione scolastica ai fini della valutazione dei dirigenti è,
dunque, già prevista.
Articolo 8
(Piano straordinario di assunzioni di
personale docente)
L’articolo 8 autorizza il Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca ad attuare, per l’a.s. 2015/2016, un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di
personale docente. Destinatari della disposizione sono i vincitori (non ancora assunti) del concorso pubblico bandito nel 2012
e gli iscritti nelle graduatorie ad
esaurimento.
Inoltre, prevede
una nuova disciplina, a regime, per l’assunzione
del personale docente, che
avverrà esclusivamente mediante concorsi
per titoli ed esami.
Il comma 1 dispone che il piano
straordinario di assunzioni a tempo indeterminato riguarda il personale docente
delle istituzioni scolastiche statali di
ogni ordine e grado di istruzione ed è finalizzato alla copertura dei posti vacanti e disponibili nel nuovo organico
dell’autonomia.
Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che si prevede l’assunzione di 100.701 unità di personale docente – inclusi i soggetti da assumere sui nuovi posti di sostegno di cui all’art. 15 del D.L. 104/2013 –, di cui circa 50 mila destinate al potenziamento dell’offerta formativa.
In particolare,
ai fini dell’attuazione del piano straordinario,
si prevede che, in fase di prima
applicazione, l’organico dei posti
comuni e dei posti di sostegno (per la scuola dell’infanzia, la scuola
primaria e la scuola secondaria) è determinato, secondo la procedura ordinaria
(art. 6, co. 4 e 5), entro il 30 maggio
2015, mentre
i posti per il potenziamento dell’offerta
formativa sono “istituiti” solo
presso la scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, “tenuto conto
delle esigenze di potenziamento dell’organico funzionale calcolato in
conformità ai criteri ed obiettivi di cui all’articolo 2”.
La formulazione
letterale del testo lascerebbe intuire che, ai fini del piano straordinario,
l’individuazione della consistenza organica dei posti per il potenziamento
dell’offerta formativa (previsti limitatamente alla scuola primaria e
secondaria) sarà operata – in deroga a quanto dispone l’art. 6, co. 4 –
direttamente dal MIUR, senza tenere conto delle indicazioni di fabbisogno
avanzate dalle singole istituzioni scolastiche.
Sembrerebbe, peraltro, necessario un chiarimento,
anche in relazione a quanto prevede l’art. 2, co. 13, in base al quale anche per l’a.s. 2015-2016 il dirigente
scolastico predispone una stima del fabbisogno di docenti da destinare
all’(intero) organico dell’autonomia.
Dal punto di vista della formulazione del testo, si
segnala che la locuzione “organico funzionale” (ultima parte del secondo
periodo del comma 1) – evidentemente riferita all’organico dei posti per il
potenziamento dell’offerta formativa – non è presente in nessuna altra parte
del provvedimento.
I commi 2 e 3 dispongono che partecipano
al piano straordinario, previa
presentazione di apposita domanda di
assunzione, nei limiti dei posti vacanti e disponibili nell’organico
dell’autonomia, gli appartenenti alle categorie di seguito indicate:
Ø
vincitori del concorso pubblico del 2012,
presenti nelle graduatorie di merito alla data di scadenza prevista per la
presentazione delle domande di assunzione.
Al riguardo, si ricorda che il decreto
direttoriale n. 82 del 24 settembre 2012 ha
indetto, su base regionale, concorsi per titoli ed esami finalizzati alla
copertura di 11.542 posti e cattedre di personale docente nelle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria
di I e II grado, nonché di posti di sostegno,
risultanti vacanti e disponibili negli aa.ss.
2013/2014 e 2014/2015.
Con riguardo agli esiti della procedura
concorsuale, il Rapporto sul Piano “La buona scuola”, pubblicato dal MIUR nel settembre 2014, evidenziava
che, degli oltre 11 mila vincitori,
“più di 8 mila non erano ancora stati assunti prima di quest’anno. Di questi
ultimi 8 mila, più della metà sono stati assunti entro il 31 agosto 2014 tra
cattedre ordinarie e posti di sostegno, mentre circa 3 mila resteranno ancora
senza cattedra. Di questi ultimi, circa il 70% risulta comunque iscritto
(anche) alle GAE [graduatorie ad esaurimento: v. infra]. Ciò vuol dire che il dato finale ai primi di settembre 2014
dei vincitori di concorso non ancora
assunti e non iscritti alle GAE sarà di circa 1.200 persone”;
Ø
iscritti (a pieno titolo), alla data di
scadenza prevista per la presentazione delle domande di assunzione, nelle graduatorie ad esaurimento del
personale docente (GAE), di cui all’art. 1, co. 605, lett.
c), della L. 296/2006 (v. box infra).
Il citato Rapporto sul Piano “La buona scuola” evidenziava
che risultavano iscritte nelle graduatorie
ad esaurimento circa 155 mila persone. A seguito delle assunzioni per l’a.s. 2014-2015, il numero si sarebbe ridotto, a partire dai
primi di settembre 2014, a circa 140.600
iscritti.
I soggetti che appartengono a entrambe le
categorie devono optare, nella domanda di assunzione, per una sola di esse.
Il comma 9 esclude dal piano straordinario
di assunzioni:
Ø
soggetti già assunti in qualità di docenti a tempo
indeterminato presso scuole statali
(anche qualora presenti nelle graduatorie di merito o ad esaurimento di cui al
comma 2);
Ø
soggetti per i
quali la riserva per il conseguimento
del titolo abilitante (v. box infra)
non sia stata sciolta entro il 30 giugno
2015.
Con riguardo al
meccanismo di assunzione previsto, il citato comma 2 stabilisce che, nei limiti sopra ricordati, i vincitori del
concorso del 2012 e gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento sono “assunti a tempo indeterminato” e “inseriti negli albi” territoriali. In realtà, ciò avviene all’esito dell‘intera procedura descritta ai
commi 4 e seguenti.
Più
precisamente, il comma 4 dispone,
infatti, che, alla copertura dei posti
vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, individuati a livello di
albo territoriale, si provvede – in deroga alla procedura per l’accesso ai
ruoli di cui all’art. 399 del d.lgs. 297/1994 (v. box infra) – con le seguenti modalità
e secondo l’ordine indicato:
1)
assunzione dei vincitori del concorso del 2012, nell’ambito
della regione nella cui graduatoria
di merito sono iscritti, nel limite del 50
per cento (lett. a);
2)
assunzione degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento,
nell’ambito della provincia nella
cui graduatoria sono iscritti, nel limite del restante 50 per cento, eventualmente
incrementato dei posti rimasti vacanti e disponibili al termine della fase
precedente (lett. b);
3)
assunzione dei
restanti vincitori del concorso del
2012, nel limite dei posti eventualmente
rimasti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, al termine
delle due fasi precedenti, a livello nazionale
(lett. c);
4)
assunzione dei
restanti iscritti nelle graduatorie ad
esaurimento, nel limite dei posti
eventualmente rimasti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia,
al termine delle tre fasi precedenti, a livello nazionale (lett. c).
Il comma 5 dispone che (tutti) i soggetti
interessati “possono” esprimere l’ordine di preferenza tra
tutti gli albi territoriali.
Nell’ambito
degli albi indicati, i soggetti sono assunti prioritariamente – se in possesso del relativo titolo di
specializzazione – sui posti di sostegno
o, in subordine, a partire dalla classe
di concorso per la quale si possiede maggior
punteggio. A parità di punteggio,
la priorità è data al grado di istruzione
superiore. In caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali
indicati, non si procede all’assunzione.
Al riguardo, si evidenzia che
l’indicazione dell’ordine di preferenza tra
tutti gli albi territoriali sembrerebbe configurarsi come necessaria (e non, meramente, possibile) per il corretto
funzionamento del meccanismo di attribuzione dei posti. Infatti, ad esempio,
gli albi territoriali afferenti alla regione (o alla provincia) cui si
riferiscono le graduatorie di merito (o ad esaurimento) dei soggetti
interessati alla fase 1) (o 2) potrebbero essere più di uno.
D’altro canto, l’obbligo
di specificare in domanda gli albi territoriali discende anche dalla
previsione in base alla quale “in caso di indisponibilità di posti per gli albi
territoriali indicati, non si procedere all’assunzione”.
Con riguardo alla formulazione del testo, è necessario
sopprimere le parole “o grado di istruzione”, dal momento che il punteggio è
attribuito a ciascun soggetto con riferimento (solo) alle classi di concorso.
Nello stesso
ambito, inoltre, il comma 6 prevede
che, ai fini di una maggiore fungibilità del personale assunto e di una limitazione al ricorso a contratti a tempo
determinato, nella fase di assegnazione degli incarichi si applica l’art. 7, co. 3, lett. d), che
prevede l’utilizzo di personale docente
(di ruolo) in classi di concorso diverse
da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purché in possesso di
titolo di studio valido all’insegnamento.
Sembrerebbe
trattarsi di un criterio per le assunzioni ulteriore rispetto a quelli
indicati, secondo un preciso ordine di priorità, al comma 5.
Si valuti, peraltro, l’opportunità di chiarire come si
coordinino le previsioni dei commi 5 e 6 e, in particolare, se il criterio
indicato al comma 6 operi in via residuale.
Il comma 7 prevede l’accettazione espressa della proposta di assunzione da parte dei
soggetti interessati, nel termine di 10
giorni dalla data di ricezione attraverso il sistema informativo. I
soggetti assunti sono destinatari di proposte
di incarico (ai sensi dell’art. 7).
In caso di mancata accettazione nei termini e
nelle modalità indicate, i soggetti interessati non possono essere oggetto di
ulteriori proposte di assunzione a tempo indeterminato ai sensi del piano
straordinario.
Le disponibilità di posti sopravvenute per
effetto delle rinunce all’assunzione non
possono essere assegnate in nessuna delle fasi della procedura (dunque,
rimangono posti vacanti e disponibili).
Al contempo,
peraltro, il medesimo comma 7, dispone che alla copertura dei posti per il potenziamento dell’offerta
formativa rimasti vacanti all’esito del piano assunzionale
non si provvede con incarichi a tempo
determinato, fino al successivo ciclo di determinazione dei fabbisogni (di
cui all’art. 2).
La relazione illustrativa evidenzia,
invece, che i suddetti posti sono soppressi.
Sul punto, appare necessario un chiarimento.
Infine, il comma 8 dispone che con avviso pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale saranno indicate tutte le informazioni inerenti le modalità di partecipazione al piano
straordinario. Specifica, inoltre, che tutte le comunicazioni con i soggetti interessati (incluse domande di
assunzione, espressione delle preferenze, proposta di assunzione, accettazione
o rinuncia, per i quali v. infra)
avvengono esclusivamente attraverso un
apposito sistema informativo, gestito dal MIUR, che cura ogni fase della
procedura, in deroga agli artt. 45, co. 2, e 65 del d.lgs. 82/2005 (Codice
dell’amministrazione digitale)[57].
Il comma 10 stabilisce che, a decorrere dal 1° settembre 2015, perdono efficacia ai fini delle
assunzioni con contratti di qualsiasi tipo e durata (dunque, anche per le supplenze), per i gradi di istruzione
della scuola primaria e secondaria (ad
eccezione, quindi, della scuola dell’infanzia):
§
le graduatorie di merito del concorso pubblico del 2012;
§
le graduatorie ad esaurimento del
personale docente.
Inoltre, a
decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento, sono soppresse le graduatorie dei concorsi pubblici
per titoli ed esami banditi
antecedentemente al 2012 per il reclutamento del personale docente per le
scuole statali di ogni ordine e grado (inclusa, quindi la scuola
dell’infanzia).
Al
riguardo si ricorda che l’art. 13, co. 2 e 3, del citato decreto
direttoriale n. 82 del 24 settembre 2012 ha previsto che il titolo di abilitazione all’insegnamento è attribuito unicamente ai vincitori del concorso (in numero pari
ai posti messi a concorso) (e non anche agli idonei).
In
materia, tuttavia, è successivamente intervenuto il D.M. prot. n. 356 del 23 maggio 2014, che
ha disposto che gli idonei del
medesimo concorso hanno titolo, a decorrere dall'a.s.
2014-2015, ad essere destinatari di
contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, in subordine ai
vincitori. Ciò, in base alla premessa del DM, in considerazione del
possibile rischio di vedere vanificato il principio dell’attribuzione del 50%
dei posti su base concorsuale (art. 399, co. 1, d.lgs. 297/1994), a causa
dell’esaurimento delle graduatorie di merito nella maggior parte delle classi
di concorso, e in virtù dei principi di validità delle graduatorie fino
all’entrata in vigore di quelle relative al concorso successivo e di nomina dei
candidati che si collocano in posizione utile in relazione al numero di
cattedre o posti eventualmente disponibili (art. 400, co. 17 e 19, d.lgs. 297/1994).
Al
riguardo, il citato Rapporto
sul Piano “La buona scuola” – che prevedeva l’assunzione anche degli idonei del concorso del 2012 – faceva
presente che, dopo le immissioni in
ruolo dell’a.s. 2014-2015, il numero degli
stessi, considerando solo i non iscritti
alle GAE, sarebbe dovuto ammontare a circa 6.300 persone.
Pertanto, con riferimento alla perdita di efficacia
delle graduatorie del concorso del 2012 a partire dal 1° settembre 2015, appare
necessario un chiarimento in relazione a quanto previsto dal DM 356/2014.
Il comma 11 dispone che la prima fascia delle graduatorie di circolo e di istituto del personale docente “ed educativo”[58] – comprendente i
soggetti già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento – continua ad esplicare
la propria efficacia (ai fini del conferimento delle supplenze) fino all’a.s. 2016/2017 incluso, limitatamente ai soli soggetti ivi iscritti alla data di
entrata in vigore del provvedimento, non assunti a seguito del piano
straordinario.
Nulla dovrebbe essere variato circa la seconda fascia (comprendente i soggetti non inseriti nella graduatoria ad
esaurimento ma forniti di specifica
abilitazione o idoneità a concorso) e la terza fascia (comprendente gli aspiranti forniti di titolo di
studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto (più approfonditamente,
si v. box infra)[59].
E’ necessario un chiarimento circa il riferimento al
personale educativo, considerato che il comma 10 non prevede la perdita di
efficacia per le graduatorie ad esaurimento del medesimo personale (né il
medesimo è destinatario del piano straordinario di assunzioni).
Il comma 12 dispone che, a regime, l’accesso ai ruoli del personale docente
della scuola statale – ad eccezione del personale docente della scuola
dell’infanzia e del personale educativo – avviene esclusivamente mediante concorsi pubblici nazionali, su base
regionale, per titoli ed esami. Le
relative graduatorie di merito
restano valide fino all’approvazione della successiva graduatoria concorsuale
e, comunque, non oltre 3 anni.
Occorre abrogare, ovvero novellare, la disciplina
vigente recata, in particolare, dagli artt. 399 e 400 del d.lgs. 297/1994.
Occorre, inoltre, coordinare la previsione con quella
recata dall’art. 21, co. 2, lett. c), punto 5), del
provvedimento che prevede l’intervento di un decreto legislativo per la ridefinizione della disciplina e delle
modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale docente - negli
stessi termini recati dall’articolo in esame – nonché, in quel caso, anche del personale
educativo.
In
particolare, l’art. 400, co. 17, del d.lgs. 297/1994 dispone che le graduatorie relative ai concorsi per
titoli ed esami restano valide fino all’entrata in vigore di quelle relative al
concorso successivo corrispondente.
L'accesso ai ruoli del personale docente
e le graduatorie ad esaurimento
Ai sensi dell’art. 399[60], co. 1, del d.lgs. 297/1994, l'accesso ai ruoli del personale docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado ha luogo, per il 50 per cento dei posti assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all’art. 401, trasformate poi ad esaurimento dall’art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006.
Nel trasformare le graduatorie ad esaurimento, il medesimo art. 1,
co. 605, lett. c),
della L. 296/2006 ha comunque fatto salvi gli inserimenti nelle stesse, da effettuare per il biennio 2007-2008,
dei docenti già in possesso di
abilitazione, nonché, con riserva del
conseguimento del titolo di abilitazione, dei docenti che frequentavano, alla data di entrata in vigore della legge,
i corsi abilitanti speciali indetti ai sensi dell’art. 2 del D.L. 97/2004
(L. 143/2004), nonché i corsi presso le scuole di specializzazione
all'insegnamento secondario (SISS)[61], i
corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica presso i
Conservatori di musica, il corso di laurea in Scienze della formazione primaria.
Le graduatorie ad esaurimento sono predisposte per ciascuna provincia, in relazione agli insegnamenti effettivamente funzionanti nelle scuole del territorio, e si articolano in più fasce, a seconda dei requisiti posseduti dagli aspiranti[62]:
§ prima fascia: costituita, ai sensi dell'art. 401 del d.lgs. 297/1994 (come sostituito dall’art. 1 della L. 124/1999), dagli aspiranti docenti già inseriti alla data di entrata in vigore della L. 124/1999 (25 maggio 1999) nelle graduatorie dei concorsi per soli titoli (soppressi dalla stessa L. 124/1999);
§ seconda fascia: costituita dagli aspiranti docenti che, alla data di entrata in vigore della L. 124/1999, avevano superato un concorso per titoli ed esami o precedenti esami anche ai soli fini abilitativi, ed avevano effettuato 360 giorni di servizio presso la scuola statale nel triennio precedente[63];
§ terza fascia: costituita (inizialmente) dagli aspiranti docenti che avevano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami o di precedenti esami anche ai
soli fini abilitativi ed erano inseriti, alla data di entrata in vigore della L. 124/1999, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo, nonché da coloro che rispondevano ai requisiti previsti dall’art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006 (v. ante).
In seguito, l’art. 5-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008) ha disposto l’inserimento nella terza fascia di ulteriori gruppi di docenti. Si tratta dei docenti che avevano frequentato il IX ciclo SSIS o i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID) attivati nell’a.a. 2007-2008 e che avevano conseguito il titolo abilitante e dei docenti che avevano frequentato il primo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado della classe di concorso 77/A e avevano conseguito la relativa abilitazione. Ha, inoltre, previsto la possibilità di iscrizione con riserva per coloro che nell’a.a. 2007-2008 erano stati iscritti al corso di laurea in scienze della formazione primaria e ai corsi quadriennali di didattica della musica, con previsione di scioglimento della riserva all’atto del conseguimento dell’abilitazione.
Successivamente, l’art. 14, co. 2-ter, del D.L. 216/2011 (L. 14/2012), pur ribadendo che le graduatorie restano ad esaurimento, ha istituito una fascia aggiuntiva[64], riferita agli aspiranti docenti che hanno conseguito l’abilitazione all’esito della frequenza dei seguenti corsi, attivati negli a.a. 2008/09, 2009/10 e 2010/11:
- corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID);
- secondo e terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A;
- corso di laurea in Scienze della formazione primaria[65].
A decorrere dall’a.a. 2011/2012 l’aggiornamento delle graduatorie viene effettuato con cadenza triennale[66], previa emanazione di un apposito provvedimento ministeriale, ai sensi del quale il personale docente ed educativo, inserito a pieno titolo o con riserva nelle quattro fasce delle graduatorie ad esaurimento costituite in ogni provincia, può chiedere:
- la permanenza e/o l’aggiornamento del punteggio con cui è inserito in graduatoria;
- la conferma dell’iscrizione con riserva (in quanto in attesa del conseguimento del titolo abilitante o in pendenza di un ricorso giurisdizionale o straordinario al Capo dello Stato), o lo scioglimento della stessa;
- il trasferimento ad altra provincia.
Da ultimo, il D.M n. 235 del 1 aprile 2014 ha stabilito che le graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo così aggiornate hanno validità per il triennio scolastico 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017 e sono utilizzate ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato e del conferimento delle supplenze annuali e di quelle fino al termine delle attività didattiche.
Graduatorie di circolo o di istituto
Il vigente regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee, emanato con D.M. 13 giugno 2007, n. 131, prevede che il dirigente scolastico, sulla base delle domande prodotte, costituisce apposite graduatorie, in relazione agli insegnamenti impartiti nella scuola o alla tipologia di posto, distinte in tre fasce, da utilizzare nell’ordine. Nello specifico, in base all’art. 5:
§ la I Fascia comprende gli aspiranti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento per il medesimo posto o classe di concorso cui è riferita la graduatoria di circolo o di istituto;
§ la II Fascia comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente graduatoria ad esaurimento ma forniti di specifica abilitazione o idoneità al concorso cui è riferita la graduatoria di circolo e di istituto;
§ la III Fascia comprende gli aspiranti forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto.
Ai sensi dell’art. 7 le graduatorie di circolo e di istituto sono utilizzate per il conferimento di:
o supplenze annuali e temporanee fino al termine delle attività didattiche per posti che non sia stato possibile coprire con il personale incluso nelle graduatorie ad esaurimento;
o supplenze temporanee per la sostituzione del personale temporaneamente assente e per la copertura di posti resisi disponibili, per qualsiasi causa, dopo il 31 dicembre di ciascun anno. In materia, ha recentemente disposto, come ricordato nella scheda di commento relativa all’art. 6 del testo in commento, l’art. 1, co. 332 e 333, della L. 190/2014 (L. di stabilità 2015) (per approfondimenti, si v. dossier del Servizio Studi n. 233/6, del 23 gennaio 2015).
Anche per le graduatorie di circolo o di istituto, a decorrere dall’a.a. 2011/2012, l’aggiornamento viene effettuato con cadenza triennale[67], previa emanazione di apposito provvedimento ministeriale.
Da ultimo, il DM n. 353 del 22 maggio 2014, nello stabilire che le nuove graduatorie hanno validità per il triennio scolastico 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017, ha consentito, a seguito del parere n. 03813/2013 del Consiglio di Stato[68], l’inserimento fra
gli abilitati, ossia in II fascia, anche degli aspiranti che risultano in possesso di diploma di maturità magistrale conseguito entro l’a.s. 2001-2002.
Inoltre, fermo restando l’aggiornamento triennale delle graduatorie, il medesimo DM prevede che ogni anno, con cadenza semestrale[69], è consentito l’inserimento in II fascia degli aspiranti che hanno conseguito nel frattempo il titolo di abilitazione (attraverso i TFA, i Percorsi abilitanti speciali-PAS, o i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria). In attesa di una delle due “finestre”, dispone che i nuovi abilitati, già inseriti in III fascia, hanno diritto alla precedenza assoluta nell’attribuzione delle supplenze[70].
Articolo 9
(Periodo di formazione e prova del
personale docente ed educativo)
L’articolo 9 concerne il periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo, in
parte confermando quanto previsto a legislazione vigente, in parte introducendo
elementi di novità. In particolare, la valutazione
viene affidata al dirigente scolastico.
Nello specifico,
il comma 1 dispone - come
sostanzialmente già previsto a legislazione vigente - che il personale docente
ed educativo assunto ai sensi dell’art.
8 (che, come si è visto, prevede sia un piano straordinario di assunzioni di
personale docente, sia, a regime, nuove modalità di accesso ai ruoli del
personale docente ed educativo) è sottoposto al periodo di formazione e prova,
cui è subordinata l’effettiva immissione in ruolo.
Il comma 2 conferma che la validità
dell’anno di formazione e prova è subordinata ad un servizio effettivamente
prestato di almeno 180 giorni, specificando che almeno 120 degli stessi giorni
devono riguardare attività didattiche.
I commi da 3 a 5
concernono la valutazione del personale in questione.
In particolare, il
comma 3 prevede che la valutazione è effettuata dal dirigente scolastico, sulla base di un’istruttoria del docente al quale lo
stesso dirigente affida le funzioni di tutor,
sentiti il Collegio dei docenti e il Consiglio di istituto.
Rispetto alla
legislazione vigente, in particolare, non c’è alcun riferimento al ruolo del
Comitato per la valutazione del servizio (v. infra).
La relazione tecnica specifica che il dirigente scolastico potrà
prevedere un compenso per il docente cui affida le funzioni di tutor a valere
sulle risorse del MOF, ovvero a valere sulle risorse per il funzionamento delle
istituzioni scolastiche nel caso decida di provvedere avvalendosi di personale docente esterno
all’istituzione scolastica di competenza mediante contratti di prestazione d’opera.
In base al comma 4, i criteri e gli obiettivi
della valutazione, nonché le modalità per la valutazione del grado di
raggiungimento degli stessi e le attività formative sono individuati con decreto del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, anche prevedendo verifiche e ispezioni in classe.
Per
l’emanazione del decreto non è indicato un termine.
Il comma 5 dispone che, in caso di valutazione negativa del periodo di
formazione e prova, il dirigente scolastico provvede alla dispensa dal servizio con effetto immediato, senza obbligo di preavviso.
Se il personale proviene
da altro ruolo docente o della pubblica amministrazione, il dirigente
scolastico opera la restituzione al ruolo di provenienza, nel quale il
personale interessato assume la posizione giuridica ed economica che avrebbe
conseguito nel medesimo ruolo.
Rispetto alla
legislazione vigente, in particolare, non è prevista, in caso di esito
negativo, la concessione della proroga di un altro anno scolastico, al fine di
acquisire maggiori elementi di valutazione.
Infine, il comma 6 dispone che continuano ad
applicarsi, in quanto compatibili con
quanto previsto dall’art. 9, gli articoli 437-440 del d.lgs. 297/1994.
Occorre
novellare le previsioni vigenti.
Ai sensi dell’art. 437 del d.lgs. 297/1994, il personale docente, educativo e direttivo della scuola e delle istituzioni educative è nominato in prova ed è ammesso ad un anno di formazione, valido come periodo di prova[71].
Gli artt. 438 e 439 del medesimo d.lgs. stabiliscono che la prova ha durata di un anno scolastico, con un servizio effettivamente prestato non inferiore a 180 giorni. In caso di esito sfavorevole della prova si provvede alla dispensa dal servizio, alla restituzione al ruolo di provenienza (se il personale proviene da altro ruolo docente o direttivo) o alla concessione della proroga di un altro anno scolastico, al fine di acquisire maggiori elementi di valutazione.
In base all’art. 440, durante l’anno di formazione – che ha inizio con l’anno scolastico, termina con la fine delle lezioni, e anch’esso è ritenuto valido con un servizio minimo di 180 giorni – il MIUR provvede alla realizzazione di specifiche attività formative.
I docenti, al termine dell’anno di formazione, discutono con il comitato per la valutazione del servizio dei docenti[72] una relazione sulle esperienze e sulle attività svolte. Sulla base di essa e degli elementi di valutazione forniti dal dirigente scolastico, il comitato per la valutazione del servizio esprime il parere per la conferma in ruolo.
La formazione in ingresso costituisce, altresì, un obbligo contrattuale. Al riguardo, l’art. 68 del CCNL per il personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007, siglato il 29 novembre 2007, prevede la realizzazione di specifici progetti contestualizzati, anche con la collaborazione di reti e/o consorzi di scuole, e stabilisce che l’impostazione delle attività tiene conto dell’esigenza di personalizzare i percorsi e di armonizzare la formazione sul lavoro - con il sostegno di tutor appositamente formati - e l’approfondimento teorico. Dispone, altresì, che nel corso dell’anno di formazione sono create particolari opportunità opzionali per il miglioramento delle competenze tecnologiche e della conoscenza di lingue straniere, anche nella prospettiva dell’acquisizione di certificazioni internazionalmente riconosciute.
Ai sensi dell’art. 4, co. 2, lett. b), del medesimo CCNL, inoltre, la formazione – sia in ingresso che in servizio - è oggetto di contrattazione collettiva integrativa. In tale sede, si provvede, in particolare, a definire obiettivi, finalità e criteri di ripartizione delle risorse finanziarie destinate a fini formativi[73].
Il 27 febbraio 2015 sono state pubblicate sul sito del MIUR le Linee guida relative al Piano di formazione del personale docente neoassunto per l’a.s. 2014-2015 (pari a 28.716 unità, di cui 13.346 docenti di sostegno), con le quali si intende sperimentare un nuovo modello – cui potranno essere apportate le necessarie variazioni -, per il quale, comunque, rimane ferma la durata del percorso formativo, pari a 50 ore[74].
Le risorse complessivamente disponibili, che l’allegato 1 ripartisce fra le regioni, sono pari ad € 1.358.266,80.
In particolare, il nuovo modello è costituito da:
- condivisione del percorso formativo, che si concretizza in almeno due incontri organizzati dall’amministrazione scolastica territoriale a livello provinciale e subprovinciale – uno all’avvio del percorso (finalizzato a far conoscere, fra l’altro, le innovazioni in atto nella scuola e il profilo professionale atteso), uno alla sua conclusione (che ha l’obiettivo di condividere il lavoro svolto dai docenti e di riflettere sui punti di forza, sulle criticità, su eventuali proposte migliorative) – di durata complessiva non inferiore a 5 ore;
- laboratori formativi dedicati, progettati a livello territoriale, che prevedono, di norma, 4 incontri in presenza per un totale di 12 ore, di cui almeno 1 (della durata di 3 ore) dedicato alle problematiche relative all’integrazione scolastica dei disabili e degli studenti con bisogni educativi speciali. Ulteriori 3 ore devono essere dedicate all’elaborazione di documentazione ed attività di ricerca on-line in connessione con il tema scelto[75];
- formazione peer to peer, effettuata attraverso momenti di reciproca osservazione in classe tra docente neoassunto e tutor, per una durata complessiva di 10 ore. In particolare, sono previste 3 ore di osservazione del nuovo docente nella classe del tutor, 3 ore di programmazione e sviluppo condiviso fra tutor e docente, 3 ore di presenza del tutor nella classe del nuovo docente, 1 ora di valutazione dell’esperienza;
- formazione on line, della durata complessiva di 20 ore. In tale fase, il docente partecipa a forum di discussione tematici e accede a risorse didattiche e metodologiche disponibili in rete.
E’ possibile effettuare compensazioni fra le diverse attività, garantendo, comunque, oltre al monte ore totale previsto, almeno 3 ore per il laboratorio formativo relativo all’integrazione scolastica degli studenti disabili e con bisogni educativi speciali.
Durante la formazione in ingresso, il docente neoassunto deve elaborare in via sperimentale un proprio portfolio professionale, che si conclude con un progetto formativo personale, sulla base delle competenze maturate anche a seguito della formazione e dei bisogni della scuola in cui si lavora.
Il portfolio professionale è presentato e discusso alla fine dell’anno di prova con il comitato di valutazione del servizio e comprende al suo interno la relazione finale in forma di documentazione didattica[76].
Le linee guida definiscono, altresì, il modello organizzativo e il calendario degli adempimenti: in particolare, l’incontro conclusivo del percorso formativo deve svolgersi entro il 30 maggio 2015.
Articolo 10
(La Carta elettronica per l’aggiornamento
e la formazione del docente e il Piano nazionale di formazione)
L’articolo 10 prevede l’istituzione della
Carta elettronica per l’aggiornamento e
la formazione del docente di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado –
che ha un valore nominale di 500 euro
annui, da utilizzare per acquisti o iniziative di carattere culturale – e
l’adozione, ogni tre anni, di un Piano
nazionale di formazione. Inoltre, qualifica come “obbligatoria, permanente
e strutturale” la formazione in servizio dei docenti.
Il comma 1 prevede che la Carta
elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle
scuole di ogni ordine e grado, finalizzata a sostenere la formazione continua
dei docenti e a valorizzarne le competenze, ha un valore nominale di 500 euro per
ciascun anno scolastico - che non costituiscono retribuzione accessoria, né
reddito imponibile - e può essere utilizzata per l’acquisto di:
·
libri e testi, anche in formato digitale, di
natura didattico-scientifica;
· pubblicazioni e
riviste utili all’aggiornamento professionale;
·
hardware e software.
Inoltre, può
essere utilizzata per:
·
iscrizione a corsi per attività di
aggiornamento e qualificazione delle competenze professionali;
· rappresentazioni
teatrali o cinematografiche;
· ingresso a
musei, mostre ed eventi culturali;
·
iniziative coerenti con le attività indicate
nel “Piano dell’offerta formativa” e nel Piano nazionale di formazione,
disciplinato dal comma 4.
Non è chiara la differenza fra “libri” e
“testi”.
Inoltre, con riferimento agli ingressi, si
valuti l’opportunità di fare riferimento ai luoghi della cultura, dei quali, ai
sensi dell’art. 101 del d.lgs. 42/2004, fanno parte, oltre ai musei, anche biblioteche,
archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali (nei quali tutti,
peraltro, potrebbero svolgersi gli eventi culturali già richiamati nel testo).
Infine, occorre specificare che si tratta del
Piano “triennale” dell’offerta formativa.
Il comma 2 affida la definizione di criteri e modalità per l’assegnazione e
l’utilizzo della Carta, delle modalità per l’erogazione delle agevolazioni
collegate alla stessa, nonché dell’”importo da
assegnare nell’ambito delle risorse disponibili di cui al successivo comma 3”, ad
un DPCM da adottare, entro 60 giorni
dalla data di entrata in vigore della legge, di concerto con il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro dell’economia e
delle finanze.
Al riguardo, posto che il comma 1 dispone che
la Carta ha un valore nominale di 500 euro, nel comma 2 non è chiaro il
riferimento alla determinazione dell’importo da assegnare.
A supporto
dell’osservazione formulata, si evidenzia che la relazione tecnica specifica che il personale docente di ruolo cui
sarà assegnata la Carta ammonta, tenuto conto del piano straordinario di
assunzioni, a 762.274 unità che, dunque, determinano una spesa annua di 381,137 milioni di euro.
Si tratta della
spesa autorizzata dal comma 3 a
decorrere dal 2015.
Si ricorda che l’art. 16, co. 3, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) ha
previsto, in via sperimentale per il 2014, al fine di promuovere la formazione
culturale del personale docente della scuola, l’accesso gratuito dello stesso
personale ai musei statali e ai siti di interesse archeologico, storico e
culturale gestiti dallo Stato, nel limite complessivo di 10 milioni di euro.
Le modalità di fruizione
del servizio sono state definite con D.I. 19 febbraio
2014 (pubblicato nella GU n.
71 del 27 marzo 2014), cui è seguita la circolare del MIUR del 9 aprile 2014.
Il comma 4 riguarda
la formazione in servizio dei docenti, che
viene definita “obbligatoria, permanente e strutturale”.
Prevede, dunque, che le attività di formazione sono
definite dalle singole scuole, sulla base delle priorità nazionali indicate nel
Piano nazionale di formazione, “in coerenza con il Piano triennale dell’offerta
formativa” e con i risultati emersi dai Piani di miglioramento della qualità
dell'offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti,
autonomamente adottati dalle scuole nell’ambito della fase di autovalutazione (ai
sensi dell’art. 6 del DPR 80/2013[77]).
Il Piano
nazionale di formazione è adottato
ogni 3 anni con decreto del
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le
organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.
Si segnala
che, mentre il comma 4 in commento prevede una “coerenza” delle attività formative
dei docenti con il Piano triennale dell’offerta formativa, l’art. 2 prevede che
le attività in questione costituiscano uno dei contenuti dello stesso Piano
triennale.
La disciplina contrattuale
della formazione in servizio dei docenti
Gli artt. 64 e ss. del vigente CCNL per il personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007, siglato il 29 novembre 2007, configurano l’attività di formazione in servizio quale obbligo per l’Amministrazione che, a tal fine, è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che la garantiscano. La formazione dei docenti si realizza anche mediante l’accesso a percorsi universitari brevi finalizzati all’integrazione dei piani di studi in coerenza con esigenze derivanti dalle modifiche delle classi di concorso e degli ambiti disciplinari.
Le iniziative formative si svolgono, ordinariamente, fuori dell’orario di insegnamento.
In ogni caso, per la partecipazione a iniziative di formazione, gli insegnanti hanno diritto alla fruizione di 5 giorni di esonero dal servizio nel corso dell’anno scolastico e il dirigente scolastico è tenuto comunque ad assicurare, anche in aggiunta a tale riconoscimento, un’articolazione flessibile dell’orario di lavoro. Tali prerogative sono garantite anche ai docenti impegnati in attività di formatori.
La programmazione delle iniziative di formazione compete alle singole istituzioni scolastiche. In particolare, l’attività di formazione è oggetto di un Piano annuale, deliberato dal Collegio dei docenti, coerentemente con gli obiettivi e i tempi del POF.
Il Piano si articola in iniziative:
- promosse prioritariamente dall’Amministrazione;
- progettate dalla scuola autonomamente, o in rete, o consorziata, anche in collaborazione con le Università (anche in regime di convenzione), con le associazioni professionali qualificate, con gli Istituti di ricerca e con gli enti accreditati.
All’Amministrazione centrale competono gli interventi di interesse generale, soprattutto quelli che si rendono necessari per le innovazioni, sia di ordinamento sia curriculari, nonché il coordinamento complessivo degli interventi.
L’art. 69 del CCNL dispone che, per gli insegnanti delle scuole collocate in aree a rischio, l’Amministrazione promuove e sostiene iniziative di formazione finalizzate a prevenire la dispersione scolastica, sviluppare la cultura della legalità e aumentare significativamente i livelli di successo scolastico.
I corsi sono organizzati dalle scuole, singole o in rete, che si avvalgono anche della cooperazione di istituzioni ed enti presenti sul territorio.
Per i docenti delle scuole collocate nelle aree a forte processo immigratorio, l’Amministrazione promuove
l’organizzazione di specifiche attività formative, quali: pronto intervento linguistico; corsi specifici sull’insegnamento della lingua italiana ad
alunni ed adulti di lingua nativa diversa dall’italiano; approfondimento delle
tematiche dell’educazione interculturale.
A tal fine, i corsi sono organizzati dalle scuole, singole o in rete, e si
avvalgono della collaborazione di soggetti qualificati o accreditati, nonché
della cooperazione di istituzioni ed enti presenti sul territorio, delle
associazioni espressione delle comunità di immigrati, delle organizzazioni non
governative e delle associazioni di volontariato riconosciute.
Ulteriori iniziative di formazione sono previste dall’art. 70 per i docenti che operano o che intendano operare in ambienti di apprendimento particolari (attività di educazione degli adulti, sezioni presso gli ospedali e istituti di prevenzione e pena).
Per quanto concerne i soggetti che erogano formazione, l’art. 67 del CCNL fa riferimento a soggetti qualificati e soggetti accreditati.
Sono soggetti qualificati le medesime istituzioni scolastiche, le università, i consorzi universitari, interuniversitari e gli istituti pubblici di ricerca, compreso l’INDIRE. Il Ministero può riconoscere come soggetti qualificati anche associazioni professionali.
Inoltre, il Ministero può accreditare altri soggetti avendo a riferimento, fra gli altri, la missione, l’esperienza accumulata nel campo della formazione, l’attività di ricerca e le iniziative di innovazione metodologica, le capacità logistiche e la stabilità economica e finanziaria, la padronanza di approcci innovativi, la disponibilità a consentire la valutazione delle iniziative formative.
Il comma 5 autorizza la spesa di 40 milioni di euro annui, a decorrere dal
2016, per l’attuazione del Piano nazionale di formazione e per la realizzazione
delle attività formative.
Articolo 11
(Valorizzazione del merito del personale
docente)
L’articolo 11 prevede l’istituzione nello
stato di previsione del MIUR, a decorrere dal
2016, di un nuovo fondo, dotato di uno stanziamento di 200 milioni di euro annui, destinato alla valorizzazione del merito del personale docente di ruolo delle
scuole di ogni ordine e grado. Le risorse - che costituiscono un bonus con natura di retribuzione
accessoria - sono assegnate ai docenti dal dirigente scolastico.
In particolare,
il comma 1 prevede che il fondo, con
lo stanziamento suddetto, è ripartito
a livello territoriale e fra le istituzioni scolastiche con decreto del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, in
proporzione alla dotazione organica dei docenti.
Occorre valutare se il decreto ministeriale sia
lo strumento più idoneo per operare la ripartizione fra le singole istituzioni
scolastiche o se, invece, a tal fine, non debba intervenire un decreto del
dirigente dell’USR.
Il comma 2 affida al dirigente scolastico, sentito il Consiglio di istituto, l’assegnazione delle risorse ai docenti,
sulla base della valutazione dell’attività didattica: al riguardo, il testo fa
esplicito riferimento ai risultati ottenuti in termini di qualità
dell’insegnamento, di rendimento scolastico degli studenti, di progettualità
nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo al
miglioramento complessivo della scuola.
In base al comunicato
stampa riferito al Consiglio
dei Ministri del 12 marzo 2015 -seduta nella quale il disegno di legge in esame
è stato approvato - il dirigente scolastico “assegnerà il bonus al 5% dei suoi insegnanti per premiare chi si impegna di
più”.
Occorre valutare l’opportunità di specificare
i criteri generali di assegnazione delle risorse ai docenti.
Il comma 3 ribadisce che le risorse così attribuite sono
destinate a valorizzare il merito del
personale docente delle scuole di ogni ordine e grado, specificando che si
tratta del personale di ruolo.
Inoltre,
specifica che la somma assegnata a ciascun docente costituisce un bonus avente natura di retribuzione
accessoria.
Dal punto di vista della formulazione del
testo, si segnala che il riferimento alla valorizzazione del merito del
personale docente è presente sia nel comma 1 che nel comma 3 (in tal caso
specificando, come si è detto, che si tratta del personale docente di ruolo).
Articolo 12
(Limite di durata dei contratti a tempo
determinato su posti vacanti e disponibili e Fondo per il risarcimento)
L’articolo 12 dispone che i contratti a tempo determinato del personale della scuola per la copertura di posti vacanti e disponibili (supplenze annuali) non possono superare la durata complessiva di 36 mesi e istituisce un Fondo per il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti su posti vacanti e disponibili per più di 36 mesi.
In particolare, il comma 1 stabilisce il divieto, per i contratti a tempo determinato stipulati con personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario per la copertura di posti vacanti e disponibili (supplenze annuali), di superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi.
Preliminarmente, si ricorda che - come già detto nella
scheda di commento relativa all’art. 6 del testo in esame - in base all’art. 4
della L. 124/1999, per la copertura dei
posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano
prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, si ricorre alle supplenze annuali.
Più in generale, si ricorda che, ai sensi dell’art. 5, co. 4-bis, del D.lgs. 368/2001 (attuativo della direttiva 1999/70/CE), qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.
Il successivo art. 10, co. 4-bis, inserito dall'art. 9, co. 18, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011), tuttavia, esclude dalla richiamata previsione i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato.
Peraltro,
già prima dell’intervento normativo del 2011, l’art. 1, co. 1, del D.L.
134/2009 (L.167/2009), modificando l’art. 4 della L. 124/1999, aveva disposto che i contratti a
tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze (di cui ai co.
1, 2 e 3 del richiamato art. 4) possono trasformarsi in rapporti di lavoro a
tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo.
Si tratta di una tematica sulla quale è di recente
intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea.
In particolare, la Corte di giustizia dell’Unione europea – adita dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli con domanda di pronuncia pregiudiziale in merito alla conformità della normativa italiana all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (Accordo quadro CES, UNICE e CEEP[78] del 18 marzo 1999) - con sentenza del 26 novembre 2014 (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13), si è pronunciata sull’applicazione al personale scolastico della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa al medesimo Accordo quadro.
I procedimenti principali delle cause riguardavano diversi lavoratori assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati in successione e protrattisi per periodi di tempo molto estesi. Sostenendo l’illegittimità di tali contratti, i lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la loro immissione in ruolo (oltre al pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti e al risarcimento del danno subito).
Nella sentenza, la Corte ha ricordato, innanzitutto, che il citato Accordo quadro si applica a tutti i lavoratori, senza che si debba distinguere in base alla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro o al settore di attività interessato.
Inoltre, ha evidenziato che il medesimo Accordo quadro (clausola 5, punto 1) impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione di almeno una delle misure elencate alle lettere da a) a c), concernenti, rispettivamente, ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti, durata massima totale dei contratti, numero dei loro rinnovi.
Poiché la normativa italiana non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi, né misure equivalenti, il rinnovo deve essere giustificato da una “ragione obiettiva”, quale la particolare natura delle funzioni, le loro caratteristiche o il perseguimento di una legittima finalità di politica sociale.
Secondo la Corte, la sostituzione temporanea di lavoratori per motivi di politica sociale (congedi per malattia, parentali, per maternità o altri) costituisce una ragione obiettiva che giustifica la durata determinata del contratto. La Corte ha rilevato, inoltre, che l’insegnamento è correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione che impone allo Stato di organizzare il servizio scolastico garantendo un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di studenti, cosa che dipende da un insieme di fattori, taluni difficilmente controllabili o prevedibili. Tali fattori attestano una particolare esigenza di flessibilità, che può oggettivamente giustificare il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Allo stesso tempo, la Corte ha ammesso che può altresì oggettivamente giustificarsi che, in attesa dell’espletamento di concorsi per l’accesso ai posti permanenti, i posti da occupare siano coperti con una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
Ciò premesso, la Corte ha evidenziato, tuttavia, che la normativa italiana viola, nella sua applicazione concreta, la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’Accordo quadro, in quanto conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato: infatti, tali contratti sono utilizzati per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali a causa della mancanza strutturale di posti di personale di ruolo. Ha ricordato, infatti, che il termine di immissione in ruolo dei docenti nell’ambito di tale sistema è variabile e incerto (non è previsto alcun termine preciso per l’organizzazione delle procedure concorsuali; l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria dipende da circostanze aleatorie e imprevedibili, come la durata complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato, o il numero di posti nel frattempo divenuti vacanti).
La Corte, dunque, è giunta alla conclusione che l’Accordo quadro non ammette una normativa, quale quella nazionale, che, fatte salve le verifiche da parte dei giudici del rinvio, non prevede alcuna misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato e, al contempo, esclude il risarcimento del danno subito a causa del medesimo ricorso abusivo nel settore dell’insegnamento, non consentendo neanche la trasformazione di tali contratti in contratti a tempo indeterminato.
Ex plurimis, a seguito della
pronuncia della Corte di giustizia, il Tribunale
di Napoli ha emanato tre sentenze di analogo tenore (nn. 528, 529 e 530 del
2015), con le quali, tra l’altro, ha riqualificato
il rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data di superamento dei 36 mesi
(di cui all’art. 5, co. 4-bis, del
d.lgs. 368/2001), e ha condannato il MIUR al pagamento in favore dei ricorrenti
delle retribuzioni contrattualmente dovute per i periodi di interruzione del
rapporto di lavoro intercorsi tra la medesima data di decorrenza e la effettiva
immissione in ruolo.
Il Tribunale di Sciacca,
invece, con sentenze nn. 252 e 253 del 3 dicembre 2014 ha dichiarato la
illegittimità dei contratti a termine stipulati con il lavoratore e ha
condannato il MIUR al pagamento in
favore del ricorrente, a titolo di
risarcimento, degli scatti di anzianità e degli emolumenti relativi in
corrispondenza delle supplenze concretamente eseguite. Inoltre, la medesima
Amministrazione è stata condannata al pagamento di una somma corrispondente
alle retribuzioni di fatto per i periodi non lavorati intercorrenti tra i vari
contratti, a partire dalla messa in mora della stessa e fino alla data della
sentenza.
Ai sensi del comma 2, nello stato di previsione del MIUR è iscritto il Fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a 36 mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili, con la dotazione di euro 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016.
Si segnala che il 25 ottobre 2012 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2010/2124 per la non corretta applicazione della direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato nel settore scolastico italiano.
In particolare, nella fase precontenziosa EU Pilot, la Commissione ha accertato che nell’ordinamento scolastico italiano è estremamente diffuso il ricorso alla stipula di contratti a tempo determinato con la stessa persona (docente e personale ATA); che per tali soggetti non sono previsti dall’ordinamento italiano mezzi efficaci di riparazione in caso di abuso di contratti successivi a tempo determinato; che il trattamento riservato a tali soggetti è meno favorevole rispetto al corrispondente personale a tempo indeterminato (in termini di anzianità lavorativa e di valutazione dell’attività professionale ai fini del calcolo degli stipendi).
Il primo rilievo sollevato dalla Commissione nel parere motivato, emesso il 20 novembre 2013, riguarda il trattamento meno favorevole del personale a tempo determinato rispetto al corrispondente personale con contratto a tempo indeterminato: sulla base delle informazioni inviate dalle autorità italiane, alla Commissione europea risulta che per tale personale non si tiene conto né dell’esperienza professionale maturata, né dei risultati ottenuti ai fini delle progressioni stipendiali (gli stipendi vengono pagati a livello di inizio carriera senza tenere conto degli anni di servizio analogo in forza di contratti precedenti).
Nella risposta alla lettera di costituzione in mora, le autorità italiane hanno avallato tale interpretazione sulla base del carattere di precarietà del rapporto, legata all’assenza del titolare, e della mancanza di continuità, in quanto i vari periodi di servizio di supplenza attengono a distinti contratti di lavoro e non danno luogo ad un vero e proprio sviluppo di carriera.
Ad avviso della Commissione, tuttavia, la giustificazione della differenza di trattamento non è coerente con la direttiva 1999/70/CE.
Un altro rilievo riguarda l’insufficiente efficacia delle misure destinate a contrastare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato nelle scuole pubbliche italiane. La Commissione, a tale riguardo, precisa preliminarmente che non è in discussione la correttezza del ricorso ai contratti a tempo determinato, previsto dalla direttiva, ma piuttosto il ricorso continuo ed indebito a tale tipo di contratto. La coerenza di tale ricorso con la lettera a), della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro allegato alla direttiva, sostenuta dalle autorità italiane, è contestata dalla Commissione, in quanto, non sussisterebbero motivi oggettivi che giustificano il rinnovo dei contratti.
In primo luogo, la direttiva 1999/70/CE non impedisce allo Stato membro di elaborare provvedimenti specifici per un settore altrettanto specifico, purché la soluzione elaborata sia efficace. La Commissione contesta piuttosto il fatto che la soluzione non risulta abbastanza efficace da essere accettabile. Inoltre, la Commissione non condivide l’argomentazione italiana in base alla quale i contratti a tempo determinato sono conformi ad una caratteristica specifica del settore scolastico e garantiscono la continuità dell’insegnamento. Le critiche della Commissione si appuntano sul ricorso abusivo a tale contratto che, nella realtà dei fatti, serve a garantire la presenza di forza lavoro e non riguarda la sostituzione di personale assente. Non è condivisibile nemmeno l’argomentazione riguardante il ricorso residuale ma obbligatorio a tale tipo di contratto per la necessità di garantire la continuità dell’insegnamento. I dati in possesso della Commissione attestano un ricorso massiccio al rinnovo dei contratti a tempo determinato (nell’anno scolastico 2007/2008, più del 15 per cento del personale docente e circa il 31 per cento del personale ATA era a tempo determinato), in contraddizione con il carattere di sussidiarietà delle situazioni, attestato dalle autorità italiane. L’asserita possibilità per i docenti reclutati con più contratti successivi a tempo determinato di arricchirsi con una più vasta gamma di esperienza, assimilando tali periodi al periodo di prova, non è sostenibile in quanto non è prevista l’automatica conversione del contratto in un contratto a tempo indeterminato. Non è nemmeno sostenibile l’argomentazione delle autorità italiane che si tratti di un tipo di lavoro stagionale, dal momento che lo stesso tipo di attività lavorativa ma a tempo indeterminato avrebbe lo stesso carattere di stagionalità. Inoltre, lo stesso ordinamento italiano (DPR n. 1525/1963) non include l’attività didattica tra le attività di lavoro stagionale. Il fatto poi che uno stesso docente possa lavorare per più di venti anni con contratti di lavoro a tempo determinato contraddice l’esistenza delle ragioni oggettive invocate dalle autorità italiane (sostituzione e stagionalità). Inoltre, pur avendo la Corte di cassazione (sentenza n. 10127/2012) validamente considerate ragioni oggettive la necessità di coprire posti di insegnamento vacanti e disponibili o non vacanti e disponibili entro il 31 dicembre e di sostituire personale in congedo (si tratta, infatti, di misure equivalenti a quelle di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro), non risulta validamente considerata l’ulteriore giurisprudenza della Corte di giustizia europea che impone la verifica della situazione, al fine di escluderne il carattere di necessità fittizia. Tale verifica consentirebbe, infatti, di accertare che, nel caso italiano, le assunzioni soddisfano un bisogno permanente di manodopera, non considerato tra le ragioni oggettive che giustificano il ricorso a più contratti a tempo determinato, sulla base della direttiva. La Commissione non condivide nemmeno l’argomentazione italiana in base alla quale il nuovo contratto di lavoro a tempo determinato non costituisce la continuazione di quello precedente in quanto la stipula con il medesimo soggetto dipende dalla sua posizione nell’elenco di docenti non di ruolo. Sulla base della giurisprudenza della Corte europea, la Commissione afferma che tale interpretazione consentirebbe di assumere lo stesso docente con il medesimo tipo di contratto escludendolo di fatto dalle tutele della direttiva 1999/70/CE e svuotando la direttiva medesima e l’accordo quadro allegato del suo significato. La Commissione, inoltre, non contesta la possibilità di uno Stato membro di recepire una direttiva mediante norme specifiche, aggiunte a quelle di carattere generale ma piuttosto il fatto che tali norme non sono abbastanza efficaci da essere accettabili. La Commissione non condivide nemmeno l’argomentazione delle autorità italiane che hanno affermato di essersi avvalse della possibilità, prevista dalla direttiva, di creare deroghe o di escludere i contratti di lavoro nel settore della scuola dai requisiti stabiliti dalla direttiva, in ragione delle caratteristiche specifiche del settore. Infatti, la direttiva non prevede deroghe alla necessità di tutelare i lavoratori ma solo la possibilità di variare le modalità con cui garantire la tutela.
Infine, nessuna delle modifiche normative proposte nel tempo dalle autorità italiane costituiscono, ad avviso della Commissione, una misura efficace per risolvere il problema del ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi nelle scuole.
Da ultimo, ad avviso della Commissione, le norme italiane sul risarcimento del danno non costituiscono una misura efficace per impedire il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nelle scuole.
A parte il risarcimento, non esisterebbero né disposizioni alternative che assicurino in modo soddisfacente la tutela richiesta dalla direttiva né misure efficaci volte a prevenire e, nel caso, a sanzionare, l’abuso. Inoltre, i tribunali nazionali hanno interpretato in modo restrittivo il tipo di risarcimento che può essere concesso, sollevando dubbi sull’efficacia e la deterrenza del risarcimento come forma di riparazione. Oltretutto, per il lavoratore sarebbe oltremodo difficile provare in sede giudiziale le lesioni subite (in termini, ad esempio, di perdita di altre occasioni di lavoro) ai fini di ottenere il ristoro del danno.
Tali motivi, pertanto,
dimostrano, ad avviso della Commissione, che le misure italiane non sono
compatibili con la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva
1999/70/CE.
Articolo 13
(Comandi e distacchi di personale scolastico)
L’articolo 13 prevede la possibilità, per il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario, che si trovi in posizione di comando, distacco, o fuori ruolo alla data di entrata in vigore della legge, di transitare, a seguito di una procedura comparativa, nei ruoli dell’Amministrazione di destinazione, previa valutazione delle esigenze organizzative e funzionali dell’Amministrazione medesima e nel limite delle facoltà assunzionali.
Resta fermo quanto previsto dall’art. 1, co. 330, della L. 190/2014.
L’art. 1, co. 330, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha disposto l’eliminazione, a decorrere dall’a.s. 2016/2017, della possibilità di collocare fuori ruolo docenti e dirigenti scolastici per assegnazioni presso associazioni professionali del personale direttivo e docente ed enti cooperativi da esse promossi, enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica, nonché enti che operano nel campo delle tossicodipendenze.
Al riguardo, la relazione
tecnica fa presente che si tratta di 1.071 unità di personale utilizzate
presso gli Uffici scolastici regionali e di circa 2.200 unità di personale
utilizzate presso Organi costituzionali, Ministeri e altre Amministrazioni.
E’ alla luce di questa esplicitazione che si comprende il riferimento all’art. 1, co. 330, della L. 190/2014 che, dunque, implica che il personale ivi considerato non potrà transitare nei ruoli dei soggetti presso cui attualmente opera.
Per completezza, si ricorda che il co. 331 dell’art. 1
della L. 190/2014 ha previsto l’eliminazione, dal 1° settembre 2015, della
possibilità per il personale del comparto scuola - salve alcune ipotesi[79] - di essere
posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o utilizzazione comunque
denominata presso pubbliche amministrazioni, autorità indipendenti, enti,
associazioni e fondazioni.
Articolo 14
(Portale unico dei dati della scuola e
progetto sperimentale per l’assistenza alle scuole)
L’articolo 14 prevede l’istituzione del Portale unico dei dati della scuola, nonché, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, di un progetto sperimentale per la realizzazione di un servizio di assistenza alle scuole nella risoluzione di problemi connessi alla gestione amministrativa e contabile.
Il comma 1 prevede l’istituzione del Portale unico dei dati della scuola, che, in base al comma 3, è gestito dal MIUR, sentito il Garante per il trattamento dei dati personali.
In base ai commi 2 e 4, nel Portale - i cui dati devono essere stabilmente accessibili e riutilizzabili, in conformità con l’art. 68, co. 3, del d.lgs. 82/2005[80] e in applicazione del d.lgs. 36/2006[81] - sono pubblicati in formato aperto:
· i dati relativi ai bilanci delle scuole.
Con riferimento alla conoscibilità dei bilanci, attualmente l’art. 2, co. 9, e l’art. 18, co. 9, del DI 44/2001 dispongono, rispettivamente, che il programma
e il conto consuntivo sono affissi all’albo dell’istituzione scolastica entro
15 giorni dall’approvazione e sono inseriti, ove possibile, nel sito web della
medesima;
· i dati pubblici afferenti il Sistema nazionale di valutazione;
· l’anagrafe dell’edilizia scolastica;
· gli incarichi di docenza.
Per questi ultimi, l’art. 7 prevede che la pubblicità sia assicurata anche dai dirigenti scolastici che li attribuiscono;
· i Piani dell’offerta formativa.
Al riguardo, si segnala la necessità di
inserire la locuzione “triennali”;
· i dati dell’Osservatorio tecnologico.
Con nota prot. 2667/RU/U del 31 ottobre 2013 il MIUR ha
rappresentato alle scuole la necessità di conoscere nel dettaglio la reale
consistenza delle loro dotazioni multimediali, aggiornata all’a.s.
2013/14, evidenziando che l'Osservatorio
Tecnologico già realizzato ed avviato negli anni precedenti era stato
ristrutturato, adottando modalità operative più semplici per accedere
all'applicazione, automatizzando i passaggi volti all'acquisizione di
informazioni già in possesso dell'Amministrazione, snellendo la navigabilità. La
nota ha, altresì, specificato che il nuovo Osservatorio rimane la fonte unica
delle informazioni in materia di dotazioni multimediali.
In particolare, nel Focus Le dotazioni
multimediali per la didattica nelle scuole, edito a
gennaio 2014, il MIUR ha specificato che “L’Osservatorio tecnologico ha lo
scopo di rilevare gli strumenti adottati dalla istituzione per la
dematerializzazione dei servizi, l’utilizzo di ambienti web per la didattica,
il numero e la qualità dei dispositivi di proiezione interattiva e, più in generale,
delle dotazioni multimediali per la didattica nei laboratori e nelle
biblioteche, la quantità e la velocità delle connessioni Internet ed, infine,
le diverse fonti di finanziamento delle dotazioni”;
· i materiali e le opere autoprodotte dalle scuole ai sensi dell’art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).
Al riguardo si rinvia a quanto già detto nella scheda di commento relativa all’art. 5;
· i dati e le informazioni utili a valutare l’avanzamento didattico, tecnologico e di innovazione del sistema scolastico;
· la normativa, gli atti e le circolari.
Con riferimento a quest’ultima previsione, si richiamano gli standard di cui al D.L. 200/2008 (L. 9/2009) e al d.lgs. 33/2013.
Si segnala che il riferimento al D.L. 200/2008 – per il quale la
pertinenza era ravvisabile nell’art. 1, co. 1, 2 e 3, recanti misure in materia
di semplificazione normativa, riferite per lo più alla fase di avvio del
portale Normattiva - appare ormai superato a seguito
dell’abrogazione disposta dalla legge di stabilità 2014.
Inoltre, il riferimento al d.lgs. 33/2013 dovrebbe essere circostanziato,
richiamando le modalità (piuttosto che gli standard) di cui all’art. 12, co. 1,
dello stesso.
Quest’ultimo dispone, infatti, che “le pubbliche
amministrazioni pubblicano sui propri siti istituzionali i riferimenti
normativi con i relativi link alle norme di legge statale pubblicate nella
banca dati «Normattiva» che ne regolano
l'istituzione, l'organizzazione e l'attività. Sono, altresì, pubblicati le
direttive, le circolari, i programmi e le istruzioni emanati dall'amministrazione
e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli
obiettivi, sui procedimenti ovvero nei quali si determina l'interpretazione di
norme giuridiche che le riguardano o si dettano disposizioni per l'applicazione
di esse, ivi compresi i codici di condotta”.
Il comma 3 dispone, inoltre, che il portale rende accessibili i dati del curriculum dello studente, di cui all’art. 3 e il curriculum del docente, di cui all’art. 7, co. 3, lett. b).
Il comma
5 autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2015 per la
predisposizione del Portale e di 100.000 euro dal 2016 per le spese di gestione
e funzionamento dello stesso.
Il comma
6 prevede che, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di
entrata in vigore della legge, è avviato un progetto sperimentale per la realizzazione di un servizio di assistenza
alle scuole, anche attraverso la costruzione di un portale e di forum dedicati. L’obiettivo è quello
di fornire un supporto tempestivo alle istituzioni scolastiche ed educative
nella risoluzione di problemi connessi alla gestione amministrativa e
contabile, anche valorizzando la condivisione delle buone pratiche.
Il servizio di assistenza è realizzato
nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a
legislazione vigente.
Attualmente, l’art. 61 del DI 44/2001 prevede che
l’Ufficio scolastico regionale fornisce alle istituzioni scolastiche assistenza
e supporto in materia amministrativo-contabile, anche sulla base delle
indicazioni generali predisposte dal Ministero.
Articolo 15
(Cinque per mille)
L’articolo 15 modifica la disciplina dell’istituto del 5 per mille IRPEF, includendo le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione (che, in base alla L. 62/2000, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali) tra i destinatari del beneficio, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016.
In particolare, il comma 1 novella in più punti la normativa vigente in materia, recata dai commi 4-novies e seguenti dell’art. 2 del D.L. 40/2010 (L. 73/2010) - la quale, pur introdotta per il riparto del 5 per mille dell’esercizio 2010, è stata di anno in anno estesa agli esercizi successivi con apposite norme di legge - al fine di disporre:
a) l’inclusione delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione tra i soggetti che possono beneficiare del riparto della quota del cinque per mille dell’IRPEF in base alla scelta dei contribuenti (nuova lett. e-bis) del co. 4-novies);
b) che tutte le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione sono incluse di diritto tra i soggetti ammessi al predetto riparto, come definiti nelle apposite liste stabilite con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri (nuovo periodo introdotto nel co. 4-duodecies).
Si tratta del
decreto[82] con il quale
sono anche stabilite le modalità di richiesta, le modalità del riparto delle
somme stesse, nonché le modalità e i termini del recupero delle somme non
spettanti;
c) che in sede di dichiarazione dei redditi i contribuenti indicano l’istituzione scolastica alla quale devolvere la somma. La quota di risorse attribuita alle istituzioni scolastiche a seguito del riparto delle somme complessivamente assegnate per il finanziamento del cinque per mille (stabilito in 500 milioni di euro annui a decorrere dal 2015 dalla legge di stabilità per il 2015), è iscritta nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e destinata alle singole istituzioni beneficiarie in maniera proporzionale alle scelte espresse.
La disposizione riserva, tuttavia, la destinazione di una quota parte della somma complessiva, pari al 10 per cento, alle istituzioni poste in zone a basso reddito, da individuare sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (nuovo co. 4-quaterdecies).
Si segnala che l’articolo 2 del D.L. 40/2010 reca già un comma
4-quaterdecies.
Il comma 2 stabilisce l’efficacia delle modifiche sopraesposte a decorrere dall’esercizio finanziario 2016.
La disciplina del 5 per mille
L’istituto
del 5 per mille dell'imposta sul reddito è stato introdotto, a
partire dal 2006, dall’art. 1, co. 337, della L. 266/2005 (legge finanziaria
per il 2006), con l'istituzione, a titolo iniziale e sperimentale, di un
apposito Fondo nel quale far confluire una quota pari al 5 per mille
dell’imposta sul reddito da destinare ad una serie di finalità di interesse
sociale e di ricerca. L’istituto è stato poi annualmente confermato per gli
esercizi finanziari successivi, da apposite norme di legge.
A differenza del primo anno di
applicazione (in cui le somme corrispondenti alla quota del 5 per mille sono
state determinate effettivamente “sulla base degli incassi in conto competenza
relativi all'IRPEF, sulla base delle scelte espresse dai contribuenti come risultanti
dal rendiconto generale dello Stato”), negli anni successivi è stata introdotta
una vera e propria autorizzazione legislativa di spesa, da intendersi quale limite massimo di spesa stanziato per
le finalità cui è diretto il 5 per mille.
Da ultimo,
l’art. 1, co. 154, della L. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015) ha
stabilito in 500 milioni di euro annui
l'importo destinato alla liquidazione della
quota del 5 per mille a decorrere
dall’anno 2015.
La norma dispone, inoltre, che le
somme non impegnate alla chiusura dell’esercizio (31 dicembre) possono essere
utilizzate nell’esercizio successivo[83].
Il citato art. 1, co. 154, della legge di stabilità 2015 ha, inoltre, stabilizzato la disciplina del cinque per
mille IRPEF[84] estendendo l’applicazione, a decorrere
dall'esercizio
finanziario 2015, delle disposizioni recate dall’art. 2, co. da 4-novies a 4-undecies, del D.L. 40/2010 –
che l’articolo in esame intende novellare - nonché l’applicazione delle norme attuative di tale disciplina,
contenute nel D.P.C.M. 23 aprile 2010,
le quali trovano applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario 2014[85].
Per quanto concerne le finalità dell’istituto, si ricorda che
il vigente art. 2, co. 4-novies, del D.L. 40/2010 stabilisce che esso sia destinato:
§ al sostegno del volontariato e altre organizzazioni non lucrative di utilità
sociale (ONLUS), che operano in
determinati settori, quali assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza
sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela,
promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, tutela
e valorizzazione della natura e dell’ambiente, promozione della cultura e
dell’arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica di particolare
interesse sociale, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri
nazionale, regionale e provinciale (tenuti presso la Presidenza
del Consiglio dei ministri, Dipartimento per gli affari sociali), delle associazioni e fondazioni riconosciute
che operano nei settori sopra citati[86];
§ al finanziamento della ricerca scientifica e dell'università;
§ al finanziamento della ricerca sanitaria;
§ al finanziamento di attività sociali svolte dal comune di
residenza del contribuente;
§ al sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche
in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di
legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.
Si ricorda
inoltre, che l’art. 23, co. 46, del D.L.
98/2011 (L. 111/2011) ricomprende,
a decorrere dall'anno finanziario 2012, tra le finalità cui può essere
destinato il cinque per mille, anche
il finanziamento delle attività di
tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici. In attuazione di quanto sopra, il D.P.C.M. 30 maggio
2012 ha fissato le modalità di presentazione della
richiesta e di predisposizione delle liste dei soggetti ammessi al riparto.
Con decreto di natura non
regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali e il Ministro della salute, sono stabiliti le modalità
di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità del
riparto delle somme stesse nonché le modalità e i termini del recupero delle
somme non spettanti (comma 4-duodecies).
Il D.P.C.M. 23 aprile 2010 reca la disciplina attuativa delle disposizioni di cui sopra, stabilendo
finalità e soggetti ammissibili al beneficio del 5 per mille. Il decreto
disciplina le modalità ed i termini degli adempimenti a carico dei beneficiari
e le attività che le amministrazioni devono porre in essere per il riparto e la
corresponsione delle quote; lo stesso regolamenta, altresì, gli obblighi
successivi all’attribuzione degli importi, cioè la rendicontazione e
l’eventuale recupero dei contributi.
Si rileva, comunque, al riguardo,
che l’art. 2, co. 2, del D.L. 16/2012
ha modificato i criteri di ammissibilità
al beneficio, stabilendo che, a
decorrere dall’esercizio finanziario
2012, possono partecipare al riparto del 5 per mille anche gli enti che,
pur non avendo assolto gli adempimenti richiesti per l’ammissione al contributo
entro i termini di scadenza, rispettino le seguenti condizioni:
§ siano in possesso dei requisiti sostanziali richiesti
dalle norme di riferimento;
§ presentino le domande di iscrizione (e le successive
integrazioni documentali) entro il 30 settembre;
§ paghino contestualmente la sanzione, nella misura
minima di 258 euro prevista dall’articolo 11, co. 1, del D.Lgs.
n. 471/1997, tramite versamento, senza possibilità di compensazione.
Il D.L. 40/2010,
all’art. 2, co. 4-undecies, ha
previsto uno specifico obbligo di
rendicontazione in capo a tutti i soggetti beneficiari del riparto,
chiamati a redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme, un apposito
rendiconto delle stesse, da cui deve risultare chiaramente, anche a mezzo di
una relazione illustrativa, la destinazione delle somme attribuite ai soggetti
beneficiari.
Tuttavia, ai fini di una maggiore trasparenza sull'utilizzo delle somme,
il co. 154 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 reca la previsione
di un decreto di natura non
regolamentare del Presidente del Consiglio
dei ministri, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore
della legge di stabilità medesima, volto alla definizione delle modalità di
redazione della rendicontazione delle
somme erogate per il regime del 5 per mille dell'IRPEF, di recupero delle stesse somme per
violazione degli obblighi di rendicontazione nonché di pubblicazione, sul sito web di ciascuna amministrazione erogatrice,
degli elenchi dei soggetti ai quali
è stato erogato il contributo e dei rendiconti
trasmessi.
Sono inoltre introdotte sanzioni in caso di violazione degli
obblighi di pubblicazione sul sito web da parte dell’amministrazione erogatrice
e di comunicazione della rendicontazione da parte dei soggetti beneficiari.
In tali casi, la norma prevede
l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 46 e 47 del D.lgs. 33/2013,
in tema di responsabilità dirigenziale[87].
L’articolo 16 istituisce (sul modello del c.d. Art-Bonus istituito dall’art. 1 del D.L. 83/2014) un credito d’imposta per i soggetti che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, per la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti.
Come già detto nella scheda relativa all’art. 15, in
base alla L. 62/2000 il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti
locali.
In particolare, in base al comma 1, la misura del credito di imposta per le erogazioni liberali in questione è pari al 65 per cento per quelle effettuate negli anni 2015 e 2016 e al 50 per cento di quelle nel 2017.
Il comma 2 prevede che il credito di imposta spetta alle persone fisiche, agli enti non commerciali ed ai soggetti titolari di reddito d’impresa e non è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese.
Si rammenta che l’art.
15, co. 1, lett. i-octies) del DPR 917/1986
consente di detrarre il 19 per cento delle spese sostenute per erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado,
statali e paritari, nonché a favore delle istituzioni dell'alta formazione
artistica, musicale e coreutica e delle università, se finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e universitaria
e all’ampliamento dell’offerta formativa.
La detrazione spetta a condizione che il versamento di
tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante
gli altri sistemi di pagamento tracciabili (previsti dall’art. 23 del d.lgs. 241/1997).
Occorrerebbe chiarire se l’agevolazione in commento è cumulabile con
quella prevista all’articolo 17. Occorrerebbe inoltre valutare l’opportunità,
in analogia con quanto già previsto al medesimo art. 17, di specificare le
fattispecie di non cumulabilità della detrazione.
Il comma 3 prevede che il credito di imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Per i titolari di reddito d’impresa il credito è utilizzabile in compensazione (art. 17 del D.lgs. 241/1997), e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.
Sarebbe opportuno specificare che il credito d’imposta deve comunque
essere indicato nella dichiarazione dei redditi.
Ai sensi dell’art.17,
co. 1, del D.lgs. 241/1997, i
contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti
all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti
previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo,
nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle
denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro
la data di presentazione della dichiarazione successiva.
Il comma 4 dispone che per la
fruizione del credito d’imposta non si
applica il limite annuale di utilizzazione di 250.000 euro, previsto
dall’art. 1, co. 53, della L. 244/2007, e
il limite massimo per la compensazione di 700.000 euro, previsto dall’art.
34 della L. 388/2000.
Il comma 5 prevede che gli istituti scolastici beneficiari delle erogazioni liberali devono comunicare mensilmente al MIUR l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute. Le stesse scuole devono inoltre pubblicare sul proprio sito internet e sul portale del MIUR il dato relativo all’ammontare delle donazioni ricevute, precisandone la destinazione e l’utilizzo. Tale pubblicità dei dati deve avvenire nel rispetto delle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. 196/2003) e non deve comportare nuovi oneri per lo Stato.
Sarebbe opportuno esplicitare se si intenda fare riferimento al Portale
unico dei dati della scuola di cui all’art. 14 e, in caso positivo, integrare
anche, nello stesso art. 14, l’elenco delle informazioni da pubblicare.
Il comma 6 individua i maggiori oneri derivanti dal credito d’imposta in € 7,5 milioni per il 2016, € 15 mln per il 2017, € 20,8 mln per il 2018, € 13,3 mln per il 2019 ed € 5,8 mln per il 2020. La copertura è disposta dal successivo articolo 24, alla cui scheda di lettura si rinvia.
Al riguardo, la relazione
tecnica evidenzia che, in base ai dati provvisori delle dichiarazioni dei
redditi delle persone fisiche presentate nell’anno 2014, risulta un ammontare
di erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di circa 22,3 milioni
di euro. Per gli enti non commerciali ed i titolari di reddito di impresa si
stima un ammontare per tali erogazioni di circa 11,4 milioni di euro.
Articolo 17
(Detraibilità delle spese sostenute per
la frequenza scolastica nelle scuole paritarie)
L’articolo 17 introduce una detrazione
IRPEF, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente, per le spese sostenute per la frequenza
delle scuole dell’infanzia e del primo
ciclo di istruzione del sistema nazionale di istruzione.
La disposizione riguarda, sostanzialmente, solo le spese sostenute per la frequenza di scuole paritarie.
Si ricorda, infatti, che, come riepilogato nella Nota Prot. 1647 del 25 febbraio 2015, concernente i
limiti di reddito per l’esonero dal pagamento dalle tasse scolastiche per l’a.s. 2015/2016, gli studenti
che si iscrivono alla scuola primaria e secondaria di primo grado nell’ambito
degli istituti statali sono esonerati dal pagamento delle tasse scolastiche[88].
Al fine indicato, viene introdotta la lett. e-bis) nell’art. 15, co. 1, del DPR 917/1986.
Il richiamato art. 15 disciplina le detrazioni IRPEF
spettanti ai contribuenti in ragione di alcuni oneri sostenuti. In particolare,
l’ammontare detraibile è pari al 19 per cento dell’onere, ove non deducibile
nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito
complessivo.
Per effetto delle modifiche in esame, sarà, dunque, detraibile dall’IRPEF il 19 per cento delle spese sostenute, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente.
La disposizione in commento dispone, inoltre, che rimane fermo il beneficio già previsto dall’art. 15, co. 1, lett. i-octies), del DPR 917/1986, ovvero, come già detto nella scheda di commento relativa all’art. 16, la detrazione per le erogazioni liberali finalizzate all’ampliamento dell’offerta formativa per le scuole sia statali che paritarie del sistema nazionale di istruzione, che non è cumulabile con la detrazione delle spese per la frequenza.
Articolo 18
(Scuole innovative)
L’articolo 18 prevede l’emanazione di un avviso pubblico per l’elaborazione di proposte progettuali per la realizzazione di scuole innovative, alla cui realizzazione destina risorse già previste a legislazione vigente.
In particolare, il comma 1 dispone che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca pubblica un avviso pubblico per l’elaborazione di proposte progettuali di scuole altamente innovative dal punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’incremento dell’efficienza energetica e caratterizzate da nuovi ambienti di apprendimento, anche per favorire l’uso delle nuove tecnologie nell’attività didattica.
Le proposte progettuali presentate sono esaminate “e coordinate” da una Commissione di esperti, cui partecipa anche la Struttura di missione per l’edilizia scolastica costituita presso la Presidenza del Consiglio[89], al fine di individuare soluzioni progettuali.
Il comma 2 dispone che, “sulla base delle soluzioni progettuali”, gli enti locali interessati presentano un progetto per la realizzazione di una nuova scuola alla regione.
La regione seleziona la migliore proposta, anche in termini di apertura della scuola al territorio, e la trasmette al MIUR per l’assegnazione del finanziamento per la realizzazione della scuola.
Occorrerebbe specificare in che cosa consista il “coordinamento” delle
proposte da parte della Commissione di esperti.
Inoltre, occorrerebbe specificare dove debba essere pubblicato l’avviso
pubblico.
Il comma 3 prevede che per la realizzazione delle scuole è utilizzata quota parte della somma – “pari a 300 milioni di euro” - che, in base all’art. 18, co. 8, del D.L. 69/2013, l’INAIL destina, nel triennio 2014-2016, ad un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici e di costruzione di nuovi edifici scolastici, rispetto alla quale i canoni di locazione, da corrispondere allo stesso, sono posti a carico dello Stato nella misura di euro 3 milioni per il 2016, 6 milioni per il 2017 e 9 milioni a decorrere dal 2018.
Dovrebbe trattarsi dei canoni di locazione da versare all’INAIL nel caso in cui l’Istituto, nell’ambito dei piani di investimento effettuati[90], acquisti l’immobile adibito a scuola e lo dia in locazione alla stessa.
Si segnala che le parole “pari a 300 milioni di euro” devono essere
sostituite con le parole “fino a 300 milioni di euro” (anche in considerazione
del fatto che alle stesse risorse – evidentemente, per l’altra quota parte – fa
riferimento l’art. 19, co. 2, del testo in esame)
Al riguardo si ricorda che il 4 luglio 2014 è stato
presentato sul sito del Governo un piano di edilizia scolastica articolato in
tre linee di intervento. “Si tratta della costruzione di nuovi edifici
scolastici o di rilevanti manutenzioni, grazie alla liberazione di risorse dei
comuni dai vincoli del patto di stabilità per un valore di 244 milioni (#scuolenuove)[91] e del
finanziamento per 510 milioni dal Fondo di sviluppo e coesione, dopo la
delibera Cipe del 30 giugno[92], per interventi
di messa in sicurezza (#scuolesicure), di decoro e piccola manutenzione (#scuolebelle)”.
Qui approfondimenti sul piano.
Nell’ambito del sito www.italiasicura.governo.it, sezione dedicata
all’edilizia scolastica, si legge che nella linea di intervento #scuolenuove “sono compresi lo sblocco patto ai
comuni già concesso per il 2014-2015, lo sblocco patto alle provincie previsto
per il 2015-2016[93]. Rientreranno anche gli interventi di
investimento Inail per nuove scuole”[94].
Può essere utile ricordare che, nell’ambito delle iniziative
istituzionali del MiBACT in occasione
della Biennale di Venezia 2014, in concomitanza del semestre di presidenza
italiana del Consiglio dell’Unione Europea, è stato organizzato un
concorso/mostra dal titolo “AGIbiLE E BELLA -
architetture di qualità per la qualità delle scuole”. Nel periodo di permanenza
della mostra è stato organizzato un programma di visite guidate per
scolaresche, con laboratori sul tema “progetta la tua scuola” per gli studenti
delle scuole primarie.
Hanno partecipato al bando - che invitava
progettisti, dirigenti scolastici, docenti, studenti, enti locali a partecipare
inviando opere realizzate di edilizia scolastica ritenute particolarmente
significative, riguardanti sia scuole di nuova costruzione che interventi di
riqualificazione di edifici scolastici esistenti - 146 scuole, tra le quali
sono state selezionate 12
opere realizzate in Italia negli ultimi 20 anni e sono
state assegnate 11 menzioni.
Articolo 19
(Misure per la sicurezza e la
valorizzazione degli edifici scolastici)
L’articolo 19 reca disposizioni attinenti le competenze dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica - al quale, in particolare, sono affidati compiti di indirizzo e di programmazione degli interventi – e prevede un piano del fabbisogno nazionale in materia di edilizia scolastica 2015-2017, al quale sono destinate risorse già stanziate e non utilizzate, ovvero economie realizzate. Reca, inoltre, in particolare, misure per l’accelerazione di procedure e una riduzione delle sanzioni per gli enti locali che non hanno rispettato gli obiettivi del patto di stabilità 2014 e hanno sostenuto, in tale anno, spese per l’edilizia scolastica.
Il comma 1 prevede che all’Osservatorio per l’edilizia scolastica partecipa anche la Struttura di missione per l’edilizia scolastica costituita presso la Presidenza del Consiglio (v. ante, scheda art. 18) e che lo stesso ha anche compiti di indirizzo e di programmazione degli interventi in materia di edilizia scolastica (e non più, solo, compiti di indirizzo e coordinamento delle attività di studio e compiti di supporto dei soggetti programmatori e attuatori degli interventi).
L’istituzione dell’Osservatorio per l’edilizia
scolastica presso il MIUR è stata prevista dall’art. 6 della L. 23/1996. Allo
stesso sono stati affidati compiti di
promozione, di indirizzo e di coordinamento delle attività di studio, ricerca e
normazione tecnica espletate dalle regioni e dagli enti locali nel campo
delle strutture edilizie per la scuola e del loro assetto urbanistico, nonché
di supporto dei soggetti programmatori e
attuatori degli interventi, ossia regioni
ed enti locali. Si ricorda, infatti, che in base all’art. 4 della stessa
legge, la programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di
attuazione predisposti e approvati dalle regioni, sentiti gli uffici
scolastici regionali, sulla base delle
proposte formulate dagli enti territoriali competenti[95] individuati
dall’art. 3 nei comuni, per gli edifici da destinare a sede di scuole materne,
elementari e medie e nelle province per quelli da destinare - fra gli altri - a
sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore.
La composizione dell’Osservatorio è stata inizialmente
definita con DM 18 aprile 1996 che - come modificato dal DM 30 aprile 2001 –
prevede che lo stesso è presieduto dal Ministro dell’istruzione o da un
sottosegretario da lui delegato, ed è composto, oltre che da rappresentanti
dello stesso Ministero, da rappresentanti delle regioni, dell'UPI, dell'ANCI, dell'UNCEM,
del Consiglio superiore dei lavori pubblici, della Cassa depositi e prestiti,
dell'ISTAT e da esperti di settore designati dal Ministro della pubblica
istruzione, d'intesa con la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle
province autonome.
Successivamente, l’art. 9 dell’intesa raggiunta
in Conferenza unificata il 1 agosto 2013 sull’attuazione
dei piani di edilizia scolastica formulati ai sensi dell’art. 11, co. 4-bis e seguenti, del D.L. 179/2012 (L.
221/2012)[96] ha previsto che
l’Osservatorio per l’edilizia scolastica è integrato nella propria composizione
con una rappresentanza paritetica delle componenti di cui alla stessa intesa[97] e ha ribadito
che lo stesso svolge attività di supporto anche per la programmazione
regionale.
Come evidenziato nel comunicato
stampa del MIUR dell’8 gennaio 2015, l’Osservatorio è tornato a
riunirsi, in pari data, dopo 17 anni. Lo stesso comunicato fa presente che hanno
partecipato i rappresentanti della Struttura di missione per l’edilizia
scolastica, del Mibact, della Conferenza delle regioni,
dell’Upi e dell’Anci.
Sembrerebbe
opportuno novellare l’art. 6 della L. 23/1996.
Il comma
2 prevede che la programmazione nazionale predisposta in attuazione
dell’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) rappresenta il piano del fabbisogno nazionale in materia
di edilizia scolastica per il triennio 2015-2017 ed è “utile” per
l’assegnazione di finanziamenti statali comunque destinati alla messa in sicurezza
di edifici scolastici, incluse le risorse di cui:
· all’art. 18, co. 8, del D.L. 69/2013 (cui, si
ricorda, fa riferimento, per quota parte, l’art. 19), “a beneficio degli enti
locali con la possibilità che i canoni di investimento siano posti a carico
della regione”.
Al
riguardo, occorrerebbe chiarire se con l’espressione “canoni di investimento”
si sia voluto intendere – come nel caso dell’art. 18, co. 3 – “canoni di
locazione”, o una diversa tipologia di canoni.
·
all’otto
per mille[98];
·
al Fondo
per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio[99]. Con
riferimento alle risorse che, nell’ambito di questo Fondo sono destinate a
interventi di adeguamento strutturale e antisismico di edifici scolastici, il
testo prevede che termini e modalità di individuazione degli stessi interventi
saranno definiti con successivo DPCM, sul proposta del MIUR.
Per l’emanazione del DPCM non è
indicato un termine.
L’art. 10, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) – come
modificato dall’art. 9, co. 2-quater,
del D.L. 133/2014 (L. 164/2014) - ha previsto che, al fine di favorire
interventi straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza,
adeguamento antisismico, efficientamento energetico
di immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica e all'alta
formazione artistica, musicale e coreutica e di immobili adibiti ad alloggi e
residenze per studenti universitari, di proprietà degli enti locali, nonché la
costruzione di nuovi edifici scolastici pubblici e la realizzazione di palestre
nelle scuole o di interventi volti al miglioramento delle palestre scolastiche
esistenti, per la programmazione
triennale 2013-2015, le regioni interessate possono essere autorizzate dal
MIUR, d’intesa con il MIT, a stipulare mutui
trentennali con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la
Banca europea per gli investimenti, la Banca di Sviluppo del Consiglio
d'Europa, la Cassa depositi e prestiti e con i soggetti autorizzati
all’esercizio dell’attività bancaria ai sensi del d.lgs. 385/1993. Per la
definizione delle modalità di attuazione, in conformità ai contenuti
dell’intesa in Conferenza unificata del 1° agosto 2013 sull'attuazione dei
piani di edilizia scolastica formulati ai sensi dell'art. 11, co. 4-bis e seguenti, del D.L. 179/2012 (v. ante), ha previsto l’intervento di un
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti.
E’ stato dunque, adottato il D.I. 23 gennaio
2015 (pubblicato nella GU n. 51 del 3 marzo 2015) che,
considerata la mancata attuazione dei
piani triennali regionali di edilizia scolastica di cui all’art. 6
dell’intesa del 1° agosto 2013 - relativi
al triennio 2013-2015 – ha proceduto alla definizione di una nuova
tempistica per la programmazione degli interventi.
In particolare, per quanto qui interessa, l’art. 2 ha
previsto che le regioni dovevano
trasmettere al MIUR e al MIT, entro il 31 marzo 2015, i piani regionali triennali (triennio
2015-2017), redatti sulla base
delle richieste degli enti locali e tenendo conto anche: a) dei progetti già segnalati dagli enti che hanno risposto alle lettere
del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2014 e del 16 maggio 2014[100]; b) dei progetti di edilizia scolastica
già approvati ai sensi dell’art. 18, co. 8-quater,
del D.L. 69/2013 (v. infra), che non
risultano finanziati a seguito dello scorrimento delle graduatorie operato in
base all’art. 48 del D.L. 66/2014 (L. 89/2014 – v. in nota) o che non sono stati a vario titolo attuati; c) degli ulteriori progetti esecutivi
immediatamente cantierabili, esecutivi o definitivi appaltabili relativi a
edifici scolastici di proprietà degli enti locali richiedenti e non oggetto di
altri finanziamenti statali.
I piani annuali sono soggetti a conferma circa
l’attualità degli interventi inseriti per il 2016 e il 2017, rispettivamente
entro il 31 marzo 2016 e il 31 marzo 2017.
Il MIUR trasmette i piani al MIT e li inserisce in un’unica programmazione nazionale, da
predisporre entro il 30 aprile 2015 e
che potrà trovare attuazione nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.
Il comma 2 prevede, infine, che “a tali fini”
i poteri derogatori per interventi
di edilizia scolastica di cui all’art. 18, co. 8-ter, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) sono estesi per tutta la durata della programmazione nazionale 2015-2017.
L’art. 18, co. 8-ter-8-sexies, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) - come modificato, da ultimo, dall’art.
6, co. 4, 5 e 5-bis, del D.L.
192/2014 (L. 11/2015) - ha autorizzato, per l’anno 2014, la spesa di 150
milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle
in cui sia stata censita la presenza di amianto. In particolare, ha previsto la
ripartizione delle risorse a livello
regionale, da assegnare successivamente agli enti locali proprietari degli immobili ad uso scolastico,
corrispondentemente al numero degli edifici scolastici e degli alunni presenti
nella singola regione, oltre che alla situazione del patrimonio edilizio
scolastico, sulla base delle quote indicate nella Tabella 1 ad esso allegata.
Oltre a definire la procedura e i termini[101] ha, altresì,
previsto che i sindaci e i presidenti
delle province, interessati dai piani per la riqualificazione e la messa in
sicurezza delle scuole statali, operano in qualità di commissari governativi con poteri
derogatori rispetto alla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014[102]. Il termine è
stato poi differito al 31 dicembre 2015 dall’art.
6, co. 5-bis, del D.L. 192/2014 (L.
11/2015), in relazione ai differimenti di termini previsti dai co. 4 e 5.
Con riferimento a tale previsione, la relazione illustrativa e la relazione tecnica
evidenziano che si estendono alcuni poteri derogatori a tutte le procedure di
edilizia scolastica.
Al riguardo si suggerisce di riformulare
l’ultimo periodo del comma 2 che, facendo riferimento ai poteri derogatori “per
interventi di edilizia scolastica di cui all’articolo 18, comma 8-ter, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69” potrebbe anche leggersi come estensione
dei poteri derogatori solo con riferimento a tali interventi.
Sull’argomento intervengono, anzitutto, i commi
3, 4 e 12.
In base alle slides pubblicate il
27 marzo 2015 dal MIUR, si conta di recuperare circa 250 milioni di euro.
In particolare, il comma 3 prevede che le risorse non utilizzate alla data di
entrata in vigore della legge in relazione ai finanziamenti disposti da varie
disposizioni sono destinate
all’attuazione, nel 2015, di ulteriori interventi urgenti per la sicurezza degli edifici scolastici, individuati
nell’ambito della programmazione nazionale - fermi restando i piani di
ammortamento in corso e le relative autorizzazioni di spesa -, ovvero necessari
a seguito delle indagini diagnostiche di cui all’art. 20 o sulla base dei dati
risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.
Preliminarmente si evidenzia che per tre
delle quattro disposizioni citate -ossia, l’art. 11 del D.L. 318/1986 (L.
488/1986), l’art. 1 della L. 430/1991 e l’art. 2, co. 4, della L. 431/1996, che
hanno autorizzato la Cassa depositi e prestiti a concedere mutui con onere a
carico dello Stato per interventi di edilizia scolastica -
era già intervenuto l’art. 7-bis del
D.L. 137/2008 (L. 169/2008). Il testo in esame fa, inoltre, riferimento ai
finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 4 della L. 23/1996.
L’art. 7-bis del D.L. 137/2008 aveva previsto che le economie rinvenienti dai
finanziamenti attivati in base alle disposizioni sopra citate, comunque
maturate alla data di entrata in vigore del decreto (nonché quelle relative a
finanziamenti per i quali non erano state effettuate movimentazioni a decorrere
dal 1° gennaio 2006) erano revocate.
A tal fine le stazioni appaltanti dovevano rescindere i
contratti stipulati, qualificare le economie e darne comunicazione alla regione
territorialmente competente.
La revoca doveva
essere disposta con decreto del
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le regioni
territorialmente competenti, e le relative somme dovevano essere riassegnate, con le stesse modalità, per
l'attivazione di opere di messa in sicurezza delle strutture scolastiche, finalizzate alla mitigazione del rischio
sismico, da realizzare in attuazione del patto per la
sicurezza delle scuole sottoscritto il 20 dicembre 2007 dal Ministro
della pubblica istruzione e dai rappresentanti delle regioni e degli enti
locali, ai sensi dell'articolo 1, co. 625, della L. 296/2006. L'eventuale
riassegnazione delle risorse a regione diversa doveva essere disposta sentita
la Conferenza unificata.
Prevedeva, altresì, che i relativi finanziamenti potevano,
comunque, essere nuovamente revocati e
riassegnati, con le medesime modalità, qualora i lavori programmati non fossero
avviati entro due anni dall'assegnazione ovvero gli enti beneficiari dichiarassero
l'impossibilità di eseguire le opere.
Con riferimento ai finanziamenti erogati ai sensi
dell’art. 4 della L. 23/1996, nella delibera CIPE
66/2012 si evidenzia che i mutui accesi presso la Cassa
depositi e prestiti, con erogazioni effettuate in ragione dello stato
d’avanzamento dei lavori, ammontano nel complesso, tra il 1996 e il 2004, a
circa 1.980 milioni di euro; che per il 2005 e il 2006 non è stata reperita
nelle rispettive leggi finanziarie alcuna risorsa; che per il finanziamento dei
piani relativi al triennio 2007-2009, l’art. 1 co. 625, della L. 296/2006 ha
assegnato complessivamente 250 milioni di euro, dei quali 50 per il 2007 e 100
per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e che, a partire dal 2009, la L. 23/1996 non
è stata più rifinanziata[103].
Con riferimento alla procedura, il comma 3 prevede che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, gli enti locali risultati beneficiari dei
finanziamenti attivati sulla base delle disposizioni citate trasmettono al MIUR e alla Cassa Depositi e
prestiti il monitoraggio degli interventi realizzati, a pena di revoca
delle risorse ancora da erogare.
Le economie accertate a seguito del
completamento dell’intervento finanziato, ovvero della sua mancata
realizzazione, sono destinate, secondo criteri
e modalità da definire con decreto del Ministro dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e
delle finanze, agli ulteriori interventi urgenti di edilizia scolastica prima
indicati.
Per l’emanazione del decreto
interministeriale non è indicato un termine.
Con riferimento alla previsione di un monitoraggio da
parte degli enti locali, si ricorda che a seguito dell'Accordo siglato in Conferenza Unificata il 6 febbraio 2014, è stata definita l’architettura di sistema per
lo scambio dei flussi informativi fra le diverse articolazioni dell’anagrafe
dell’edilizia scolastica prevista dall’art. 7 della L. 23/1996.
Il Sistema prevede due componenti:
una centrale (SNAES), che garantisce al MIUR le
conoscenze necessarie per lo svolgimento delle funzioni di indirizzo,
pianificazione e controllo, e un’altra, distribuita in “nodi regionali” (ARES), che assicura la programmazione,
a livello regionale, del patrimonio edilizio e la gestione del medesimo su base
provinciale, comunale e di singola unità scolastica.
In particolare, l’art. 3 dell’Accordo
ha previsto che, qualora le regioni non si fossero dotate di un proprio sistema
di anagrafe entro sei mesi dalla sottoscrizione, il MIUR avrebbe provveduto, in
via sostitutiva, ad assicurare le azioni necessarie alla realizzazione di un
“nodo regionale”, utilizzando forme di riuso dei “nodi regionali” già
esistenti.
Con comunicato del
27 novembre 2014 il MIUR ha reso noto che nella
riunione in pari data della Conferenza
Unificata era stato sancito l’ulteriore accordo
che avrebbe consentito alle regioni, a partire dal 1° dicembre, di inserire in
un’apposita piattaforma informatica tutti i dati relativi al patrimonio
edilizio scolastico di competenza degli enti locali.
Da ultimo, nelle slides pubblicate il
27 marzo 2015 dal MIUR è indicato che l’Anagrafe sarà pubblicata ad aprile
2015.
Si
valuti, dunque, l’opportunità di raccordare la previsione del monitoraggio con il
sistema dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica.
Il comma
4 prevede che, sempre entro 60
giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le regioni devono fornire
al MIUR il monitoraggio dei piani di
edilizia scolastica finanziati, per il triennio 2007-2009, ai sensi dell’art. 1, co. 625, della L. 296/2006,
pena la mancata, successiva, assegnazione di ulteriori risorse statali.
Le economie
accertate all’esito del monitoraggio restano,
in tal caso, nella disponibilità delle regioni per essere destinate a
interventi urgenti di messa in sicurezza di edifici scolastici sulla base di
progetti esecutivi previsti nella “programmazione regionale predisposta ai
sensi dell’art. 10 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104”, nonché,
anche in questo caso, agli interventi che si rendono necessari all’esito delle
indagini diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti
dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.
Gli interventi devono essere comunicati dalla
regione competente al MIUR, che definisce tempi e modalità di attuazione.
Sembrerebbe necessario
coordinare le previsioni del comma 3 – nella parte in cui fa riferimento ai
finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 4 della L. 23/1996 – con le previsioni
del comma 4. Come si è prima visto, infatti, le risorse stanziate dall’art. 1,
co. 625, della L. 296/2006 sono state esplicitamente finalizzate, per il
triennio 2007-2009, all’attivazione dei piani di edilizia scolastica di cui
all’art. 4 della L. 23/1996.
Dal punto di vista della
formulazione del testo si segnala, inoltre, che la programmazione regionale non
deve essere riferita direttamente all’art. 10 del D.L. 104/2013 (che non la
prevede), ma al D.I. 23 gennaio 2015, prima citato, adottato sulla base dello
stesso art. 10.
Il comma
12 prevede che le risorse per la messa in sicurezza e l’adeguamento
antisismico delle scuole stanziate con l’art.
2, co. 239, della L. 191/2009,
destinate alla realizzazione degli interventi individuati con la risoluzione parlamentare
8-00143 del 2 agosto 2011, per le quali non siano state assunte obbligazioni
giuridicamente vincolanti alla data di entrata in vigore della legge, sono
destinate alla programmazione nazionale 2015-2017, nonché, anche in tal caso,
agli interventi che si rendano necessari all’esito delle indagini
diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti
dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica
Al riguardo si ricorda che,
nelle more dell’adozione del terzo programma stralcio del "Piano
straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici", con
particolare riguardo a quelli insistenti nelle zone a rischio sismico,
istituito nell’ambito del "Programma delle Infrastrutture
Strategiche" (PIS) con la legge finanziaria 2003 (art. 80, co. 21, della
L. 289/2002)[104] in seguito al crollo della scuola elementare “Francesco Iovine” di San Giuliano di Puglia, avvenuto il 31 ottobre
2002 (più ampiamente, v. infra), la
legge finanziaria 2010 (art. 2, co. 239, L. 191/2009) ha introdotto alcune
norme procedurali finalizzate a garantire condizioni di massima celerità nella
realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e
l’adeguamento antisismico delle scuole. Ha, infatti, previsto, previa
approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari,
l’individuazione, entro il 30 giugno 2010, di interventi di immediata
realizzabilità fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con
la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati,
nell’ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell’art. 7-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008).
In ottemperanza di tale
previsione, le Commissioni Bilancio e Cultura della Camera hanno approvato il
25 novembre 2010 la risoluzione n. 8-00099, modificata il 2 agosto
2011 con l’approvazione della risoluzione n. 8-00143.
Al fine di addivenire
all'approvazione del terzo stralcio, l’art. 30, co.
5-bis, del D.L. 201/2011 (L.
214/2011) ha poi disposto che il Governo doveva dare attuazione entro il 12 gennaio
2012 al citato atto di indirizzo approvato il 2 agosto 2011.
In attuazione delle norme e
della risoluzione citate, con il D.M. Infrastrutture e trasporti 3 ottobre 2012, n. 343 (GU 9 gennaio 2013, n. 7) si è provveduto all'approvazione del
programma stralcio di edilizia scolastica, che riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111,8 milioni
di euro.
Il comma 7 reca disposizioni finalizzate a consentire la prosecuzione ed il completamento dei c.d. piani straordinari di messa in sicurezza degli edifici scolastici avviati nel corso delle legislature precedenti, sia attraverso il riutilizzo delle risorse non impiegate, sia mediante l’accelerazione delle procedure.
In particolare, i primi quattro periodi riguardano
il Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici istituito
dall’art. 80, co. 21, della L. 289/2002 (di cui si è detto nel precedente
paragrafo).
Per quanto qui più direttamente interessa, si ricorda
che tale Piano risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere
CIPE 102/2004 e 143/2006 e oggetto di definanziamenti
e riprogrammazioni con la delibera CIPE 17/2008) per complessivi 489,083
milioni di euro (delibera ricognitiva del CIPE n. 10/2009 sullo stato di
attuazione del Programma delle infrastrutture strategiche) riferiti a 1.593
interventi.
Secondo la Relazione semestrale del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti sull'avanzamento del piano, al 30 giugno 2014
risultano attivati dagli enti locali beneficiari 1.361 interventi (pari all'85%
del totale degli interventi programmati) dell'importo di 407 milioni di euro
(l'83% del valore dell'intero Piano). I lavori ultimati risultano invece 562
(35%) per un importo complessivo di 156 milioni di euro (pari al 32% del
totale).
Il piano in questione non è riportato nel XII Allegato
Infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2014 trasmesso alle Camere il
3 ottobre 2014.
Per approfondimenti si veda la scheda n. 181 del 9° rapporto
per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della “legge obiettivo” (marzo
2015).
Al fine di assicurare la prosecuzione ed il
completamento degli interventi del Piano straordinario di messa in sicurezza
degli edifici scolastici relativi al primo
e al secondo stralcio, il comma
7 consente agli enti beneficiari l’utilizzo
delle economie derivanti dai ribassi d’asta per la realizzazione di altri interventi finalizzati alla sicurezza delle
scuole anche sugli stessi edifici e nel rispetto del limite complessivo del
finanziamento già autorizzato.
L’utilizzo delle economie è consentito previa rendicontazione dei lavori eseguiti da presentare al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti entro
60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base della
pubblicazione sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,
entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, delle modalità di
rendicontazione.
In caso di mancata rendicontazione nel
termine indicato, è precluso l’utilizzo delle eventuali risorse residue ancora
nella disponibilità dell’ente, che sono versate all’entrata del bilancio dello
Stato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Inoltre, il comma 7 dispone che le somme
relative a interventi non avviati e per i quali non siano stati assunti
obblighi giuridicamente vincolanti, anche giacenti presso la Cassa depositi e
prestiti S.p.A., sono destinate dal CIPE, secondo modalità individuate dallo
stesso, alla
programmazione nazionale 2015-2017, nonché, anche in tal caso, agli interventi
che si rendano necessari all’esito delle indagini
diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti
dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.
I successivi periodi del comma 7 - a partire
dal quinto - riguardano il Programma straordinario stralcio di interventi
urgenti sul patrimonio scolastico di cui all’art. 18, co. 1, lett. b), del
D.L. 185/2008 (L. 2/2009) e alla delibera CIPE 6/2012.
L’art. 18 del D.L. 185/2008 ha previsto, al co. 1, lett. b), che il CIPE provveda all’assegnazione, per la
messa in sicurezza delle scuole, di una quota delle risorse nazionali del Fondo
aree sottoutilizzate (oggi Fondo sviluppo e coesione - FSC) destinate al Fondo
infrastrutture di cui all’art. 6-quinquies
del D.L. 112/2008. La delibera CIPE 3/2009 ha quindi assegnato al Fondo
Infrastrutture 1 miliardo di euro da destinare ad interventi per la messa in
sicurezza degli edifici scolastici. La successiva delibera 32/2010 (rettificata
dalla delibera 67/2010) ha assegnato la prima quota del miliardo di euro
(358,42 milioni) al “Piano straordinario stralcio di interventi urgenti sul
patrimonio scolastico”, finalizzato alla messa in sicurezza e alla prevenzione
e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non
strutturali, degli edifici scolastici, e previsto la stipula di apposite
convenzioni tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e gli enti
attuatori.
La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012
ha preso atto che gli enti locali hanno sottoscritto 1.630 convenzioni con il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un valore di circa 347
milioni di euro (97% del totale) La stessa delibera ha evidenziato che
l’attuazione del piano è stata ritardata dalla mancata messa a disposizione di
parte delle relative risorse, a seguito della legge di stabilità 2012 (v. infra), risorse poi ristorate con la
delibera CIPE n. 6/2012.
Il piano in questione non è riportato nel XII Allegato
Infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2014.
Per approfondimenti si veda la scheda n. 186 del 9° rapporto
per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della “legge obiettivo” (marzo
2015).
Il CIPE, anche in attuazione delle previsioni
contenute nell’art. 33, commi 2-3, della legge 183/2011 (legge di stabilità
2012), con la stessa delibera 6/2012, ha ridefinito il quadro finanziario
complessivo del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) assegnando, tra
l’altro, 259 milioni per un secondo programma straordinario di interventi
urgenti sul patrimonio scolastico, finalizzati alla messa in sicurezza e alla
prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi,
anche non strutturali, degli edifici scolastici, che interessa 1.809
interventi, come risulta dalla relazione sullo stato della spesa,
sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza
dell’azione amministrativa svolta dal Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti per l’anno 2012 (DOC CLXIV, n. 6).
In particolare, al fine di garantire la sollecita attuazione dei programmi di interventi riconducibili al Piano straordinario stralcio di cui si è detto, e dei programmi di intervento finanziati ai sensi dell’art. 33, co. 3, della L. 183/2011 con la sopracitata delibera CIPE n. 6/2012, il quinto periodo del comma 7 prevede il silenzio-assenso in relazione al parere richiesto ai Provveditorati per le opere pubbliche sui progetti definitivi presentati dagli enti beneficiari. Viene infatti stabilito che il parere si intende positivamente reso entro 30 giorni dalla richiesta, ovvero 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge per quelli presentati precedentemente.
I periodi successivi prevedono che gli enti beneficiari trasmettono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le aggiudicazioni provvisorie dei lavori entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, pena la revoca dei finanziamenti. Le risorse revocate sono destinate dal CIPE ad interventi ricompresi nella programmazione nazionale 2015-2017, secondo le modalità definite dal medesimo Comitato.
Il comma
5 reca disposizioni volte a far confluire nel Fondo unico per l’edilizia
scolastica ulteriori risorse attinenti all’edilizia medesima - riconducibili
alla programmazione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) nel settore
dell’istruzione del periodo 2007-2013 - da impiegare, in particolare, sulla
base della programmazione regionale prevista dal co. 2, nello stesso territorio
al quale erano destinate.
Il FESR costituisce uno dei
due Fondi strutturali dell’Unione Europea (l’altro è il Fondo Sociale Europeo-
FSE): entrambi costituiscono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione
Europea per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale riducendo
il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo. In
particolare, il FESR finanzia gli interventi infrastrutturali nei settori della
comunicazione, energia, istruzione, sanità, ricerca ed evoluzione tecnologica.
I programmi in cui si articola il Fondo possono essere attuati su scala
nazionale o regionale e, quando sono di livello nazionale, sono denominati PON (Programmi Operativi Nazionali): in
tal caso l’Autorità di gestione del programma – vale a dire l’amministrazione
incaricata di gestirne le risorse – è una amministrazione centrale nazionale.
Con riguardo al PON Istruzione, cui fa riferimento il primo periodo del comma 5 in commento (benché non individuandolo
espressamente, atteso che la norma cita in generale il “PON FESR 2007/2013”),
si evidenzia che esso è costituito dal PON
“Ambienti per l’apprendimento”, a titolarità del MIUR (Direzione Generale
per gli Affari Internazionali). Il PON prevede il coinvolgimento di circa
4.000 istituti delle regioni dell’Obiettivo Convergenza (Campania, Puglia,
Calabria e Sicilia) per la realizzazione di nuovi laboratori tecnologici e
didattici e per interventi per l'adeguamento e la sicurezza delle strutture
scolastiche, con riguardo anche alla sostenibilità ambientale e al risparmio
energetico[105], attuando per
le stesse regioni una strategia unitaria che punta a migliorare la qualità del
sistema di istruzione e formazione ed includendo tra i propri specifici
obiettivi quello di incrementare le dotazioni tecnologiche e le reti delle
istituzioni scolastiche.
Quanto
alle risorse derivanti dalla programmazione 2007-2013, sulla base
delle modifiche da ultimo apportate al PON con Decisione C(2013)8359 del 26
novembre 2013[106], esse risultano
stabilite in circa 510,8 milioni di euro,
per metà a carico del contributo comunitario e per la restante parte a
finanziamento nazionale.
In particolare, il comma 5 stabilisce che le risorse relative ai progetti retrospettivi per interventi di edilizia scolastica confluiscono, in relazione all’intervenire dei rimborsi delle quote comunitarie e di quelle di cofinanziamento nazionale, al netto delle eventuali somme ancora dovute ai beneficiari finali degli stessi progetti, nel Fondo unico per l’edilizia scolastica per essere impiegate, sulla base della programmazione regionale prevista dal co. 2, nello stesso territorio cui le stesse erano destinate. Le risorse in questione sono altresì destinate agli interventi che si rendono necessari all’esito delle indagine diagnostiche di cui all’art. 20, nonché a quelli che si rendono necessari sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe degli edifici scolastici.
I progetti in
questione sono quegli interventi per i quali si è realizzato un sostegno
retrospettivo – denominato “assistenza
retrospettiva UE” -, vale a dire l’assegnazione da parte di un’autorità di
gestione di un cofinanziamento da parte dell’Unione Europea ad un’operazione
per la quale sono già state sostenute spese a valere su risorse nazionali o che
è già stata completata prima che il contributo dell’UE sia stato già richiesto
o assegnato.
Va segnalato che,
sulla base di quanto espressamente evidenziato da un apposito documento di
lavoro dei servizi della Commissione Europea, costituito dalla “Nota
orientativa al COCOF[107] sull’assistenza
retrospettiva UE durante il periodo 2007-2013”, la Commissione ha un orientamento sfavorevole verso tale strumento,
in quanto lo stesso, precisa il documento ora citato[108], rappresenta
un’area ad alto rischio, atteso che le operazioni selezionate ai fini
dell’assistenza retrospettiva sono spesso avviate o svolte senza essere
espressamente collegate agli obiettivi di un programma ed ai requisiti
normativi connessi all’assistenza UE, con un conseguente rischio di
dichiarazione di non ammissibilità delle spese.
Il comma 5 dispone infine, che, qualora intervengano decurtazioni di spesa da parte della Commissione europea a seguito di audit sui progetti retrospettivi sopradetti, alle conseguenti restituzioni di risorse si provvede a valere sullo stesso Fondo unico per l’edilizia scolastica.
Si segnala che, sulla base della Relazione annuale 2014 della Corte dei conti – Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali - alla data del 30 giugno 2014 risultavano in corso sul PON/FESR Istruzione 74 operazioni di audit.
E’ presumibile che la disposizione faccia riferimento, quanto alle possibili decurtazioni di spesa, sia agli orientamenti della Commissione europea sull’assistenza retrospettiva sopra richiamata, che agli audit in corso.
Per quanto
concerne il Fondo unico per l’edilizia
scolastica, si ricorda che esso è stato istituito dall’art. 11, co. 4-sexies, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012)
che ha previsto che nello stesso devono confluire tutte le risorse iscritte nel
bilancio dello Stato destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.
Il Fondo è
allocato sul capitolo 7105 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 101094
del 29 dicembre 2014- Ripartizione in capitoli delle Unità di voto
parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2015 e per il triennio 2015 – 2017 - sul capitolo risultano
allocati, per il 2015, € 325 mln[109].
Il comma 6 limita l’efficacia delle misure sanzionatorie da applicare agli enti locali nel 2015 in caso di mancato rispetto degli obiettivi finanziari del patto di stabilità 2014, per gli enti che abbiano sostenuto, in tale anno, spese per l’edilizia scolastica.
Più in particolare, il comma mitiga l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 31, co. 26, lett. a), della L. 183/2011, consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio[110] o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato, diminuendo l’entità del taglio delle risorse di un importo pari alla spesa per edilizia scolastica sostenuta dagli enti locali nel corso del 2014[111].
La riduzione della sanzione non si applica, tuttavia, qualora le spese da portare in riduzione della sanzione da applicare nel 2015 siano le medesime che l’ente abbia già escluso dal computo del saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno per il 2014.
Si ricorda, al riguardo che per i comuni è vigente una deroga al patto di stabilità,
introdotta dall’art. 48, co. 1, del D.L. 66/2014 (L. 89/2014), riguardante le
spese sostenute per interventi di edilizia
scolastica negli anni 2014 e 2015: in particolare, le spese in
questione sono escluse dal computo del saldo finanziario rilevante ai fini
della verifica del rispetto del patto medesimo, nel limite massimo complessivo
di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni indicati.
I comuni beneficiari dell'esclusione - e l'importo
dell'esclusione di cui ciascuno di essi beneficia - sono stati individuati con DPCM 13 giugno
2014, DPCM 30 giugno
2014, DPCM 28 ottobre
2014. Da ultimo, il DPCM 24 dicembre
2014 ha sostituito integralmente gli elenchi allegati ai 3
DPCM citati.
Per beneficiare della riduzione della sanzione, gli enti locali che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nel 2014 devono comunicare le spese sostenute nel 2014 per edilizia scolastica entro il termine del 31 maggio 2015, con le modalità individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
Per l’emanazione del decreto non è indicato un termine.
Modalità e termini di utilizzo delle risorse
del Fondo rotativo per la progettualità destinate agli interventi di edilizia
scolastica
I commi 8 e 9 modificano le modalità e i termini di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo per la progettualità (FROP) destinate agli interventi di edilizia scolastica. Viene infatti previsto che tali risorse sono utilizzabili:
§ fino al 31 dicembre 2018;
§ non solo per gli interventi “inseriti nel piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riguardo a quelli che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio sismico”, ma per qualsiasi intervento di edilizia scolastica.
L’articolo 1,
co. 54, della L. 549/1995 ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti, al
fine di razionalizzare e accelerare la spesa per investimenti pubblici, il
Fondo rotativo per la progettualità. Il quarto periodo di tale comma ha stabilito
che la dotazione del Fondo è riservata, per un biennio ed entro il limite del
30%, alle esigenze progettuali degli interventi “inseriti nel piano
straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare
riguardo a quelli che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio
sismico” (è tale parte della disposizione che viene novellata dal comma 9).
L’art. 9, co. 1-bis,
del D.L. 266/2004 (L. 306/2004) ha prorogato l’operatività della citata riserva
del 30% al 31 dicembre 2006[112].
Il comma 9 dispone, altresì, che il FROP potrà essere alimentato anche da risorse finanziarie di soggetti esterni.
Accelerazione delle procedure relative agli
interventi di “estrema urgenza”
Il comma 10 introduce una disposizione di accelerazione delle procedure (c.d. meccanismo di silenzio-assenso) per la realizzazione degli interventi qualificati come interventi di “estrema urgenza” dall’art. 9, co. 1, del D.L. 133/2014 (L. 164/2014).
Viene infatti previsto che per tali interventi - tra cui rientrano gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado - le amministrazioni competenti sono tenute a rendere i prescritti pareri, visti e nulla osta entro 45 giorni dalla richiesta, anche tramite conferenza dei servizi. Decorso inutilmente tale termine, gli stessi si intendono acquisiti con esito positivo.
L’art. 9, co. 1, del D.L. 133/2014 qualifica come
interventi di "estrema urgenza", considerati indifferibili, in
conseguenza della certificazione da parte dell'ente interessato, gli
interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in
sicurezza degli edifici scolastici (la norma fa invero e più esatto riferimento
agli interventi funzionali “alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di
ogni ordine e grado e di quelli dell'alta formazione artistica, musicale e
coreutica - AFAM, comprensivi di nuove edificazioni sostitutive di manufatti
non rispondenti ai requisiti di salvaguardia della incolumità e della salute
della popolazione studentesca e docente”), alla mitigazione dei rischi
idraulici e geomorfologici del territorio, all'adeguamento alla normativa
antisismica e alla tutela ambientale e del patrimonio culturale.
Tale disposizione si applica ai lavori di importo
compreso fino alla soglia comunitaria. Per l’avvio di questi interventi di
“estrema urgenza” lo stesso articolo ha introdotto una serie di disposizioni di
semplificazione amministrativa e accelerazione delle procedure.
Proroga dell’entrata in vigore delle
procedure di centralizzazione degli acquisti per tutti i comuni non capoluogo
di provincia
Il comma 11 proroga (dal 1° settembre 2015) al 1° novembre 2015 l’entrata in vigore della disciplina per la centralizzazione delle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture, per tutti i comuni non capoluogo di provincia, attraverso forme di aggregazione.
La relazione illustrativa evidenzia che la modifica mira ad evitare ulteriori ritardi nell’applicazione delle procedure di cui al DI attuativo dell’art. 10 del D.L 104/2013 (v. ante).
Il termine del
30 settembre 2015 è stato recentemente fissato dall’art. 8, co. 3-ter, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015): in
particolare, la disposizione citata ha novellato il primo periodo del co. 1
dell’art. 23-ter del D.L. 90/2014,
che aveva fissato due diversi termini, a seconda che si trattasse di
acquisizioni di beni e servizi (per i quali la disciplina era già entrata in
vigore il 1° gennaio 2015) o di lavori (ai quali la disciplina si sarebbe
applicata solo a partire dal 1° luglio 2015), per l’applicazione della
disciplina sull’aggregazione delle stazioni appaltanti dei comuni non capoluogo
di provincia. Il citato comma 3-ter
ha quindi fissato un unico termine (al 1° settembre 2015) a decorrere dal quale
si applicherà la nuova disciplina a tutte le procedure di acquisto.
Con riferimento alla disciplina di cui viene fissato
un nuovo termine per la sua entrata in vigore, si ricorda che essa è contenuta
nell'art. 33, co. 3-bis, primo
periodo, del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture (d.lsg. 163/2006) e prevede che i comuni non
capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi:
§ nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti;
§ mediante un apposito accordo consortile tra comuni,
avvalendosi dei competenti uffici;
§ ricorrendo ad un soggetto aggregatore;
§ ricorrendo alla province.
Il secondo
periodo del comma 3-bis consente in
alternativa, agli stessi comuni, di acquisire beni e servizi attraverso gli
strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip
S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. Il terzo periodo prevede
che l'Autorità nazionale anticorruzione sanzioni i comuni inadempienti non
rilasciando il codice identificativo di gara (CIG). Per i comuni istituiti a
seguito di fusione l'obbligo decorre dal terzo anno successivo a quello di
istituzione.
Il comma 3-quater
dell’art. 8 del D.L. 192/2014 prevede che la disposizione di cui al precedente
comma 3-ter non si applichi alle
procedure già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione
n. 11/2015 (vale a dire alla data del 1° marzo 2015).
Monitoraggio degli interventi
Il comma 13 dispone che il monitoraggio degli interventi contemplati dall’articolo 19 è effettuato secondo le disposizioni del D.lgs. 229/2011.
Il D.lgs. 229/2011,
in attuazione delle lettere e), f) e g) del comma 9 dell'articolo 30 della L.
196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), disciplina le procedure di
monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche e di verifica
dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti. In particolare, il decreto
definisce le informazioni che le amministrazioni pubbliche e i soggetti
destinatari di finanziamenti a carico del bilancio dello Stato finalizzati alla
realizzazione di opere pubbliche devono detenere e comunicare ai fini del
monitoraggio e stabilisce le regole e le modalità di trasmissione dei dati.
Articolo 20
(Indagini diagnostiche su solai e
controsoffitti degli edifici scolastici)
L’articolo 20 autorizza la spesa di 40 milioni di euro per il 2015 per il finanziamento di indagini diagnostiche dei solai e dei controsoffitti degli edifici scolastici, al fine di prevenire crolli.
In particolare, il comma 1, oltre ad autorizzare la spesa suddetta, dispone che le indagini diagnostiche possono essere cofinanziate dagli enti locali proprietari degli edifici.
Il comma 2 prevede l’intervento di un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per la definizione delle modalità e dei termini per l’erogazione dei finanziamenti agli enti locali, che deve tener conto anche della vetustà degli edifici.
Il comma 3 prevede che gli interventi di messa in sicurezza necessari a seguito delle indagini diagnostiche possono essere finanziati a valere sulle risorse di cui all’art. 19, co. 2, 3, 4, 5, 8 e 12.
Articolo 21
(Delega al Governo in materia di Sistema
nazionale di istruzione e formazione)
L’art. 21 delega
il Governo ad adottare, entro 18 mesi
dalla data di entrata in vigore della legge, decreti legislativi finalizzati
alla riforma di differenti aspetti del sistema scolastico (e, in parte, del
sistema terziario).
In particolare,
oltre che la redazione di un nuovo testo unico delle disposizioni in materia di
istruzione, si prevede che i decreti legislativi intervengano in materia di:
·
autonomia scolastica;
·
abilitazione all’insegnamento nella scuola
secondaria;
·
assunzione, formazione e valutazione del dirigente
scolastico;
·
diritto all’istruzione di alunni e studenti con
disabilità e bisogni educativi speciali;
·
governo della scuola e organi collegiali;
·
percorsi di istruzione professionale;
·
sistema formativo degli Istituti tecnici superiori;
·
sistema integrato di educazione e di istruzione
dalla nascita fino a 6 anni;
·
livelli essenziali del diritto allo studio;
·
ausili digitali per la didattica;
·
scuole italiane all’estero;
·
valutazione e certificazione delle competenze degli
studenti ed esami di Stato.
Si prevede,
altresì, la raccolta per materie omogenee delle norme regolamentari vigenti
negli ambiti trattati dal provvedimento in esame.
Si segnala che, per alcuni temi, si prevede
l’intervento con decreto legislativo in ambiti attualmente disciplinati con regolamenti
governativi o ministeriali, o con regolamenti di delegificazione, o con DPCM.
Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro 18 mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, “uno o più” decreti legislativi per il riordino, la
semplificazione e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di
istruzione, anche in coordinamento con le disposizioni della stessa legge.
In
considerazione del fatto che uno degli obiettivi è la redazione di un nuovo
testo unico delle disposizioni in materia di istruzione - che dovrà includere
anche le novità che interverranno a seguito dei nuovi decreti legislativi - per
lo stesso occorrerebbe prevedere un termine di emanazione posteriore.
In base al comma 3, i decreti legislativi sono
adottati, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, di concerto (in tutti i casi) con il Ministro per la semplificazione e
la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze,
nonché (a seconda degli ambiti) con altri Ministeri interessati, previo parere
della Conferenza Stato-regioni.
Gli schemi sono trasmessi
alle Camere per l’espressione del parere
da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili
di carattere finanziario. Il parere
deve intervenire entro 60 giorni, decorsi
i quali i decreti legislativi possono essere adottati.
Se il termine
previsto per l’espressione del parere parlamentare cade nei 30 giorni che
precedono la scadenza del termine di 18 mesi di cui al comma 1, la scadenza
stessa è prorogata di 90 giorni.
Il comma 5 dispone che, entro due anni dalla data di entrata in
vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive con le medesime modalità e
rispettando gli stessi principi e criteri direttivi.
Infine, il comma 6 dispone che dall’attuazione
delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica e che, a tal fine, le Amministrazioni competenti provvedono attraverso
una diversa allocazione delle risorse umane, finanziarie e strumentali
disponibili.
Prevede, tuttavia,
che, nel caso per taluni decreti legislativi si determinino nuovi o maggiori
oneri, gli stessi sono emanati “solo successivamente o contestualmente”
all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le risorse
finanziarie.
Al riguardo si
richiama la conformità con l’art. 17, co. 2, della legge di contabilità (L.
196/2009).
Quest’ultimo dispone che le
leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per
l'adozione dei decreti legislativi. Qualora, per la complessità della materia
trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti
finanziari derivanti dai decreti legislativi in sede di conferimento della
delega, la quantificazione degli
stessi è effettuata al momento dell'adozione
dei singoli decreti. Questi ultimi sono emanati
solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi
che stanziano le risorse finanziarie.
Dispone, inoltre, che ad ogni
schema di decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che dà conto
della neutralità finanziaria del medesimo decreto, ovvero dei nuovi o maggiori
oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
Il comma
4 prevede che con uno o più regolamenti governativi o ministeriali, emanati
ai sensi dell’art. 17, co. 1 e 3, della L. 400/1988, sono raccolte per materie
omogenee le norme regolamentari vigenti negli ambiti sui quali interviene il
provvedimento in esame, apportando le modifiche necessarie ai fini
dell’adeguamento alla disciplina conseguente all’adozione dei decreti
legislativi.
Si tratta di una deroga implicita a quanto
prevede l’art. 17, co. 4-ter, dello
stessa L. 400/1988, in base alla quale al riordino delle disposizioni
regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di
abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito
la propria funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono
comunque obsolete, si provvede periodicamente con regolamenti governativi (ex
art. 17, co. 1).
In base al comma 2, i decreti legislativi sono
adottati nel rispetto dei principi e
criteri direttivi di cui all’art. 20 della L. 59/1997, nonché in base ai
principi e criteri direttivi previsti dallo stesso comma 2 per ciascuno degli
ambiti di intervento.
L’art. 20 della L. 59/1997 interviene
in materia di semplificazione e di riassetto normativo. Tra i principi e
criteri direttivi indicati vi sono quelli di codificazione della normativa
primaria, di determinazione dei principi fondamentali nelle materie di
legislazione concorrente, di indicazione esplicita delle norme abrogate, di
coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, di
indicazione dei principi generali che regolano i procedimenti amministrativi,
di determinazione dei casi in cui le domande di rilascio di un atto di consenso
che non implichi esercizio di discrezionalità amministrativa si considerano
accolte qualora non venga comunicato apposito provvedimento di diniego entro il
termine fissato, di semplificazione dei procedimenti amministrativi e di
riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, di regolazione
uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse
amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione, di
semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, di
aggiornamento delle procedure con una più estesa e ottimale utilizzazione delle
tecnologie dell'informazione e della comunicazione, di conformazione ai
principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nella ripartizione
delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, di
avvalimento di uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte
di altre pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi, di individuazione
delle responsabilità e delle procedure di verifica e controllo, di soppressione
dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli
obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o in contrasto
con i principi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario, o
che comportino costi più elevati dei benefici conseguibili.
Di seguito si
indicheranno gli ambiti di intervento e i principi e criteri direttivi
specifici per l’esercizio della delega.
Nuovo
testo unico in materia di istruzione (co. 2, lett. a)
Ai fini del
riordino delle disposizioni normative in materia di “Sistema nazionale di istruzione
e formazione”, si prevede la redazione di un nuovo testo unico delle
disposizioni legislative, procedendo a:
· articolazione e
rubricazione delle disposizioni legislative “incluse nella codificazione” per
materie omogenee;
·
riordino e coordinamento formale e sostanziale
delle disposizioni “incluse nella codificazione”, anche apportando integrazioni e modifiche innovative necessarie per garantire coerenza giuridica,
logica e sistematica, nonché per adeguarle all’evoluzione del quadro giuridico
nazionale ed europeo;
·
adeguamento delle disposizioni “incluse nella
codificazione” alla giurisprudenza costituzionale ed europea;
· indicazione espressa
delle disposizioni abrogate.
Si
segnala che l’indicazione espressa delle disposizioni abrogate è già inclusa
nei principi e criteri direttivi indicati dall’art. 20 della L. 59/1997, al
quale fa riferimento l’alinea del comma 2. Nello stesso alinea, il riferimento
corretto dovrebbe essere a “Sistema educativo di istruzione e formazione” (v.
art. 2, co. 1, lett. d), L. 53/2003).
Autonomia
scolastica (co. 2, lett. b)
I principi e
criteri direttivi individuati per il rafforzamento dell’autonomia scolastica
(per il quadro normativo vigente, si veda scheda art. 1) e l’ampliamento delle
competenze gestionali, organizzative e amministrative delle scuole sono i
seguenti:
· valorizzazione del ruolo della scuola, anche nel contesto territoriale, per il successo
formativo e l’innalzamento quali-quantitativo dell’offerta formativa.
Si
tratta di un principio che necessiterebbe di essere dettagliato.
· Responsabilizzazione del dirigente scolastico nella scelta del personale docente e nella
valorizzazione del merito dello stesso, nonché nel conseguimento del miglior
utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali.
Sull’argomento, si vedano
le schede riferite agli artt. 7 e 11 del testo in esame.
·
Incremento
dell’autonomia contabile delle istituzioni
scolastiche ed educative (ossia, convitti ed educandati) statali e semplificazione degli adempimenti
amministrativi e contabili, salvaguardando la revisione
amministrativo-contabile di cui al d.lgs. 123/2011 e l’armonizzazione dei
sistemi contabili ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. 91/2011.
Le istruzioni generali sulla gestione
amministrativo-contabile delle scuole sono attualmente recate dal regolamento
emanato con DI 44/2001, il cui art.
22 riguarda la gestione dei (soli) convitti annessi alle scuole (v. infra, in nota).
Per quanto riguarda il controllo di regolarità
amministrativo-contabile, gli artt. 57-60 del medesimo D.I. prevedono la
costituzione di un Collegio dei revisori
dei conti che dal 1° gennaio 2007 è composto, in applicazione dell’art. 1, co.
616, della L. 296/2006, da un componente nominato dal MEF e da un componente
nominato dal MIUR.
·
Riordino della disciplina degli organi dei convitti e degli educandati, in particolare con
riferimento all’attività di revisione amministrativo-contabile.
Preliminarmente, si ricorda che, ai sensi del d.lgs. 297/1994, i convitti nazionali e gli educandati femminili
dello Stato[113] sono ricompresi sotto il
nome di “istituzioni educative”. In base al disposto, rispettivamente, degli artt. 203 e 204, entrambi hanno personalità giuridica pubblica e sono sottoposti alla tutela dei
provveditori agli studi (le cui funzioni sono ora attribuite agli uffici
scolastici regionali)[114]. L’art. 53, co. 2, dello stesso d.lgs. ne prevede l’istituzione con
decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri
dell’interno e del tesoro.
La loro amministrazione è
affidata ad un consiglio di
amministrazione, nominato con decreto del Ministro della pubblica istruzione,
che dura in carica tre anni, può essere confermato e può essere sciolto dal
Ministro quando, richiamato all'osservanza di obblighi imposti per legge,
persista a violarli, o per altri gravi motivi[115].
In particolare, l’art. 203 del d.lgs. prevede che il CdA di ciascun convitto è composto da: rettore, che ne è il
presidente; due delegati, l'uno dal consiglio provinciale e l'altro dal
consiglio comunale del luogo dove ha sede il convitto, scelti dai consigli
medesimi anche all’esterno; due persone nominate dal Ministro della pubblica
istruzione, una delle quali fra il personale direttivo e docente delle scuole
medie frequentate dai convittori; un funzionario dell'amministrazione
finanziaria.
Il CdA
approva il bilancio di previsione e delibera sul conto consuntivo, autorizza il
rettore a stare in giudizio, delibera sui contratti e le convenzioni, sulla
misura delle rette e di ogni altra contribuzione, cura la conservazione e
l'incremento del patrimonio, vigila sul personale e sul funzionamento
dell'istituzione.
Nel caso di scioglimento
del CdA, l'amministrazione dell'ente è affidata ad un
commissario straordinario.
L'amministrazione dei
convitti annessi agli istituti tecnici e agli istituti professionali è affidata
al consiglio di istituto ed alla sua giunta esecutiva.
L’art. 204 dispone che il CdA di ciascun
educandato è composto da un presidente e due consiglieri, salvo diversa
disposizione dello statuto e salvo aggregazione, deliberata dallo stesso
consiglio, di altri due membri designati da opere o enti di assistenza e
previdenza che assumano l'obbligo di affidare all'educandato un ragguardevole
numero di giovani.. Alle sedute del CdA partecipa, con voto consultivo, la direttrice
dell'educandato, la cui presenza è prescritta, ai fini della validità della
seduta, quando si tratti dell'ordinamento e dell'andamento educativo e
didattico dell'istituto[116].
Il CdA
delibera uno statuto che contiene le norme relative alla sua costituzione ed al
suo funzionamento, all'amministrazione del patrimonio ed all'ammissione delle
allieve. Lo statuto è approvato con decreto del Ministro della pubblica
istruzione, di concerto con il Ministro del tesoro, sentito il Consiglio di
Stato.
In particolare, il CdA delibera sul bilancio di previsione, sul conto
consuntivo, su contratti e convenzioni, sulla misura delle rette e di ogni
altra contribuzione e sulle azioni da promuovere o sostenere in giudizio, cura
la conservazione e l'incremento del patrimonio, vigila sulla direttrice e, per
suo tramite, sul restante personale, nonché sul funzionamento del convitto e
delle scuole.
Nel caso di scioglimento
del CdA, l'amministrazione dell'ente è affidata, per
la durata massima di un anno, ad un commissario straordinario.
Da ultimo, si ricorda che l’art. 52 del d.lgs. 297/1994, al fine di
razionalizzare la rete scolastica, ha previsto la graduale soppressione dei convitti nazionali e degli istituti di
educazione femminile[117], misura poi confermata dalla legge finanziaria per il 2008. In
particolare, l’art. 2, co. 642,
della L. 244/2007 ha affidato ad un decreto del Ministro dell’economia e
delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione,
l’individuazione e la messa in
liquidazione dei convitti nazionali e degli istituti pubblici di educazione
femminile che abbiano esaurito il proprio scopo o fine statutario o che non
risultino più idonei ad assolvere la funzione educativa e culturale cui sono
destinati.
Al riguardo, rispondendo, il 26 febbraio 2015,
all’interrogazione a risposta in Commissione 5-03803, il rappresentante del
Governo ha evidenziato che un primo elenco di 8 istituzioni da liquidare era
stato individuato nel 2008. Da allora, l’iter dello schema di decreto
interministeriale ha registrato alterne vicende, per cui occorre rinnovare l’istruttoria
presso gli Uffici scolastici regionali.
Nell’a.s. 2012/2013 erano presenti sul territorio nazionale 49 istituzioni educative,
di cui 7 convitti nazionali e 42 educandati.
Si segnala che nell’alinea della lett. b) non è presente il riferimento alle istituzioni
educative.
Occorrerebbe, inoltre, utilizzare tale locuzione
anche nel capoverso 4.
Abilitazione
all’insegnamento nella scuola secondaria (co. 2, lett.
c)
I principi e
criteri direttivi individuati al fine del riordino del sistema per il
conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria – ambito attualmente disciplinato con
regolamento ministeriale - e delle modalità di assunzione a tempo
indeterminato del personale docente ed educativo sono i seguenti:
· inclusione del percorso abilitativo all’interno di
quello universitario, con superamento
dell’attuale percorso di tirocinio formativo attivo, e previsione, all’interno
del percorso abilitativo, di un periodo
di tirocinio professionale.
In base agli artt. 3, 7, 8,
9 e 10 del regolamento emanato con DM
249/2010, il percorso per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado
si articola, attualmente, in un corso di laurea magistrale (biennale) o, per
l'insegnamento di discipline artistiche, musicali e coreutiche, in un corso di
diploma accademico di II livello a indirizzo didattico, e in un successivo tirocinio
formativo attivo, di durata annuale. Il TFA è un corso di preparazione
all'insegnamento che sostituisce il percorso effettuato, fino all'a.a. 2007-2008, nelle scuole di specializzazione (SSIS). Esso
comprende quattro gruppi di attività:
a) insegnamenti di scienze
dell'educazione;
b) un tirocinio indiretto e
diretto di 475 ore, svolto presso le istituzioni scolastiche sotto la guida di
un tutor. Il percorso di tirocinio contempla una fase osservativa e una fase di
insegnamento attivo; almeno 75 ore sono dedicate alla maturazione delle
competenze didattiche per l'integrazione degli alunni con disabilità;
c) insegnamenti di didattiche
disciplinari che, anche in un contesto di laboratorio, sono svolti
stabilendo una stretta relazione tra l'approccio disciplinare e l'approccio
didattico;
d) laboratori
pedagogico-didattici indirizzati alla rielaborazione e al confronto delle
pratiche educative e delle esperienze di tirocinio.
Il TFA si conclude con la
stesura di una relazione e con l'esame finale con valore abilitante. La
gestione delle attività è affidata al consiglio del corso di tirocinio.
Si ricorda, inoltre, che l’art.
4 del regolamento emanato con DM 81/2013,
modificando l’art. 15 del DM 249/2010, ha previsto che fino all'a.a. 2014-2015 sono istituiti percorsi formativi abilitanti
speciali (PAS) per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo
grado, ai quali si partecipa senza prova di accesso. Tali percorsi sono
destinati agli insegnanti che, in possesso di determinati requisiti, ma
sprovvisti di qualsiasi abilitazione o di idoneità alla classe di concorso per
la quale chiedono di partecipare, abbiano maturato, dall'a.s.
1999/2000 e fino all'a.s. 2011/2012 incluso, almeno 3
anni di servizio.
I titoli di abilitazione
conseguiti al termine di tali percorsi non consentono l'inserimento nelle
graduatorie ad esaurimento, ma danno diritto esclusivamente all'iscrizione
nella seconda fascia delle graduatorie di istituto e costituiscono requisito di
ammissione alle procedure concorsuali per titoli ed esami.
Qui la pagina dedicata sul sito del MIUR.
·
Definizione di nuovi
percorsi di formazione iniziale, che comprendano sia l’ambito delle materie caratterizzanti, sia l’ambito
delle materie relative alla didattica
disciplinare.
In base all’art. 2 del già
citato DM 249/2010, la formazione iniziale degli insegnanti è finalizzata all'acquisizione
di competenze disciplinari,
psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali.
·
Riordino delle classi
di concorso, con attribuzione degli insegnamenti nell’ambito della classe
disciplinare, “secondo principi di semplificazione e di flessibilità, fermo
restando l’accertamento della competenza nella disciplina insegnata”.
Al riguardo la relazione illustrativa specifica che le
classi di concorso attuali appaiono troppo frammentate e poco rispondenti alle
esigenze di flessibilità che la scuola dell’autonomia richiede e, dunque, il
riordino è finalizzato a individuare ambiti affini delle discipline.
Si valuti, comunque, l’opportunità di esplicitare
meglio il criterio direttivo.
Al riguardo si ricorda,
anzitutto, che, in applicazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008),
il Consiglio dei ministri aveva approvato in prima lettura, il 12 giugno 2009, uno schema di regolamento di delegificazione di revisione delle classi
di concorso, non pervenuto alle Camere.
Nel merito, si ricorda, come già evidenziato nella
scheda relativa all’art. 7, che il DM 30 gennaio 1998, n. 39 ha
individuato le classi di concorso per l’insegnamento nella scuola secondaria e
ha, altresì, fissato per ciascuna classe di concorso i titoli di studio validi
per l’ammissione ai concorsi e gli
insegnamenti compresi nelle medesime classi di concorso, specificando,
peraltro, se si tratta di insegnamenti impartiti in istituti di istruzione
secondaria di primo o di secondo grado.
·
Ridefinizione della disciplina e delle modalità di
assunzione a tempo indeterminato del personale docente ed educativo, prevedendo
concorsi pubblici e graduatorie con
validità triennale, al fine di omogeneizzazione con le modalità di accesso
al pubblico impiego[118].
Al riguardo si ricorda che
sull’argomento interviene già l’art. 8, co. 12, che, però, esclude dalla nuova
disciplina il personale docente della scuola dell’infanzia e il personale
educativo.
E’ dunque necessario un coordinamento.
Dal punto di vista della formulazione del testo si
segnala, inoltre, che il riferimento alla finalità di omogeneizzazione con le
modalità di accesso al pubblico impiego è presente sia nell’alinea della lett. c), sia nel capoverso 5).
Assunzione, formazione e valutazione del dirigente
scolastico (co. 2, lett. d)
I principi e criteri direttivi individuati al fine
del riordino delle modalità di assunzione, formazione e valutazione del
dirigente scolastico, conseguente al rafforzamento delle sue funzioni, sono i
seguenti:
·
assunzione attraverso concorsi pubblici nazionali per titoli ed esami, volti a
selezionare candidati in possesso di competenze
didattiche, manageriali e organizzative.
Al riguardo si ricorda che l’art. 17 del D.L. 104/2013
(L. 128/2013) ha introdotto un nuovo sistema di reclutamento dei dirigenti scolastici,
basato su un corso-concorso selettivo
di formazione bandito annualmente dalla
Scuola nazionale dell’amministrazione per tutti i posti vacanti, disponendo
l’abrogazione della disciplina previgente, che prevedeva lo svolgimento delle
procedure su base regionale (art. 1, co. 618, della L. 296/2006 e DPR
140/2008).
Il concorso per l’accesso al corso-concorso è per esami e titoli, con una prova
preselettiva eventuale, una o più prove scritte e una prova orale, cui fa
seguito la valutazione dei titoli.
Al concorso può partecipare il personale docente ed
educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali che sia in
possesso del diploma di laurea magistrale, ovvero di laurea conseguita in base
al previgente ordinamento, e abbia maturato dopo la nomina in ruolo un periodo
di servizio effettivo di almeno 5 anni.
Al corso-concorso può essere ammesso un
numero di candidati fino al 20%
superiore a quello dei posti vacanti. Il numero effettivo di candidati
ammessi, le modalità di svolgimento della procedura
concorsuale, la durata del corso, nonché le forme di valutazione dei candidati
devono essere stabilite, in base a tale previsione legislativa, con un DPCM, su proposta del Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la
semplificazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il DPCM – che
doveva essere adottato entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge
di conversione del D.L. (dunque, entro il 12 marzo 2014) – non risulta ancora
intervenuto.
Si ricorda,
altresì, che l’art. 6, co. 6, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015), modificando
l’art. 1, co. 2-ter, del D.L. 58/2014
(L. 87/2014) - che aveva previsto l’indizione
del primo corso-concorso nazionale per il reclutamento di dirigenti
scolastici, per le esigenze di copertura di
posti vacanti nelle regioni nelle quali sia esaurita la graduatoria del
concorso indetto con D.D.G. 13 luglio 2011, entro il 31
dicembre 2014 - ha prorogato tale termine al
31 marzo 2015.
Al riguardo, la relazione illustrativa motivava la
proroga con la complessità della “procedura prevista per legge” che comporta,
“prima del bando, la definizione di un
regolamento, per il quale è necessario acquisire il preventivo concerto del Ministro dell’economia e
delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la
semplificazione, nonché il parere del
Consiglio di Stato”. Ricordava, inoltre, che il procedimento, “che ha
richiesto una necessaria preventiva consultazione degli attori coinvolti,
compresa la Scuola nazionale della pubblica amministrazione”, non si era ancora
concluso.
Alla luce di quanto ricostruito, occorrerebbe
chiarire se si intenda sostituire la previsione di un corso-concorso nazionale
con la previsione di un concorso nazionale, ovvero se, ferma restando la
previsione primaria vigente, si intenda sostituire al DPCM per la definizione
delle modalità di svolgimento della procedura un decreto legislativo.
·
Aggiornamento continuo e strutturale.
La formazione dei dirigenti è regolamentata a livello contrattuale. In particolare,
l’art. 21 del CCNL quadriennio normativo 2002-2005 ha previsto che
la
formazione e l'aggiornamento professionale del dirigente sono assunti
dall'Amministrazione come metodo permanente teso ad assicurare il costante
adeguamento delle competenze dirigenziali allo sviluppo del contesto culturale,
tecnologico e organizzativo di riferimento e a favorire il consolidarsi di una
cultura di gestione orientata al risultato e all'innovazione.
Ha, altresì, previsto che le politiche formative dei
dirigenti scolastici sono definite dall'Amministrazione in conformità alle
proprie linee strategiche e di sviluppo e le iniziative formative sono
realizzate dalla stessa Amministrazione, da altri enti, Università, soggetti
pubblici o agenzie private specializzate nel settore ed associazioni
professionali, anche d'intesa tra loro. Le attività formative devono tendere,
in particolare, a rafforzare comportamenti innovativi dei dirigenti e la loro
attitudine a promuovere e sostenere iniziative di miglioramento.
La partecipazione alle iniziative di formazione,
inserite in appositi percorsi formativi, anche individuali, è comunicata
all'Amministrazione dal dirigente interessato ed è considerata servizio utile a
tutti gli effetti.
Il dirigente può, inoltre, partecipare, senza oneri
per l'Amministrazione, a corsi di formazione ed aggiornamento professionale che
siano comunque in linea con gli obiettivi indicati. A tal fine, al dirigente è
concesso un periodo di aspettativa non retribuita per motivi di studio della
durata massima di tre mesi nell'arco di un anno.
Infine, l’art. 21 ha disposto che il Ministero
definisce annualmente la quota delle risorse da destinare ai programmi di
aggiornamento e di formazione dei dirigenti.
Come confermato anche dall’art. 2 del CCNL relativo al
personale dell’Area V della Dirigenza per il quadriennio normativo 2006-2009 ed
il primo biennio economico 2006-2007, la definizione ed il finanziamento
dei programmi di formazione e di aggiornamento dei dirigenti scolastici sono
definiti in sede di contrattazione collettiva integrativa nazionale.
In sede di contrattazione collettiva regionale presso
ciascuna Direzione scolastica regionale sono poi disciplinati i criteri per la
definizione dei programmi di formazione e di aggiornamento attivati a livello
locale.
Con riferimento all’a.s. 2014/2015, con nota Prot. 18522 del 9 dicembre 2014, il MIUR ha
proposto la realizzazione di un percorso formativo sulla base di varie
tematiche, fra le quali: progettazione dei servizi di orientamento, governance, relazioni tra scuola e territorio e reti di
scuole, dimensionamento degli istituti, dispersione scolastica, coinvolgimento
delle istituzioni e partenership dei genitori, Sistema
nazionale di valutazione, legislazione scolastica.
La nota ha previsto
che, per la realizzazione dell’iniziativa formativa, ogni USR doveva
selezionare una scuola polo, da individuare tra quelle con comprovata capacità
gestionale e amministrativo-contabile, e che a ciascuna delle 18 scuole polo sarebbero stati assegnati € 8.800,00 per la realizzazione, presso
l’USR di riferimento, della formazione relativa ad una delle tematiche
indicate.
· Valutazione dei
dirigenti anche in ragione dei criteri e delle modalità adottati da ciascuno
per la scelta dei docenti cui attribuire gli incarichi di insegnamento, nonché
in ragione ai miglioramenti conseguiti dalla scuola, con particolare
riferimento alla riduzione della dispersione scolastica e alla valutazione
degli apprendimenti.
Sul sistema di
valutazione dei dirigenti scolastici, si veda la scheda relativa all’art. 7 del
testo in esame.
Diritto all’istruzione e alla formazione di
alunni e studenti con disabilità e bisogni educativi speciali (co. 2, lett. e)
Al riguardo si ricorda, preliminarmente, che la direttiva del MIUR del 27 dicembre 2012, recante "Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi
speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica” ha incluso nei
Bisogni educativi speciali le aree:
·
della disabilità (L. 104/1992);
·
dei disturbi evolutivi specifici (disturbi
specifici dell’apprendimento – DSA - di cui alla L. 170/2010, deficit del
linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, disturbi
dell’attenzione e dell’iperattività, funzionamento cognitivo limite e disturbo
evolutivo specifico misto);
·
dello svantaggio socio-economico, linguistico,
culturale.
In particolare, sottolineata la rilevanza, anche sul
piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che consente di individuare i BES
dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni, fa presente che, in questo
senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare
BES per motivi fisici, biologici, fisiologici, psicologici, sociali, rispetto
ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.
La direttiva
ha esteso, dunque, a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla
personalizzazione dell’insegnamento. Strumento privilegiato è il
percorso definito in un Piano didattico
personalizzato (PDP),per il quale già le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con
disturbi specifici di apprendimento , allegate al DM 12 luglio
2011, avevano indicato i contenuti minimi e i tempi massimi di definizione
(entro il primo trimestre), prevedendo la sua articolazione per le discipline
coinvolte nel disturbo[119].
I principi e criteri direttivi individuati al fine
del riordino del diritto all’istruzione e alla formazione di alunni e studenti
con disabilità e bisogni educativi speciali (BES) sono i seguenti:
·
Ridefinizione del
ruolo dei docenti di sostegno, al fine di
favorire l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, anche attraverso appositi percorsi di formazione
universitaria (ambito, quest’ultimo,
attualmente disciplinato con regolamento ministeriale).
Al riguardo si ricorda,
preliminarmente, che l’art. 315, co. 5, del d.lgs. 297/1994 prevede che i docenti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi
in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla
elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di
intersezione, di interclasse, di classe e dei collegi dei docenti.
Con riferimento alla
formazione, l’art. 13 del DM 249/2010 ha disposto, da ultimo,
che, in attesa della istituzione di specifiche classi di abilitazione, la specializzazione per le attività di
sostegno didattico agli alunni disabili si
consegue solo presso le università, con la partecipazione a un corso di durata almeno annuale, a
numero programmato, che deve comprendere almeno 300 ore di tirocinio e articolarsi distintamente per la scuola
dell'infanzia, la scuola primaria, la scuola secondaria di primo grado e quella
di secondo grado. Possono partecipare
gli insegnanti abilitati. A conclusione, si sostiene un esame finale che consente l'iscrizione
negli elenchi per il sostegno ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato ed a
tempo determinato sui relativi posti disponibili.
Criteri e le
modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il
conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno sono stati
definiti con il DM 30 settembre 2011 (pubblicato nella
GU 2 aprile 2012, n. 78). In particolare, l’art. 7 del DM ha disposto che il
corso è superato con il conseguimento di 60 crediti formativi universitari.
Occorre, peraltro, ricordare che, con D.D. 16 aprile
2012, n.7, intervenuto a
seguito di un Accordo del 5 luglio 2011 fra il MIUR e la Conferenza nazionale
permanente dei presidi di Scienze della formazione, il cui articolo 4 ha
previsto che “nell’ambito del presente Accordo, possono essere attivate altre
tipologie di corso/master relative alla disabilità, per la formazione, il
perfezionamento e l’aggiornamento professionale del personale scolastico in
servizio”, sono stati istituiti corsi di
formazione per il conseguimento della specializzazione per il sostegno
destinati al personale docente in esubero.
I corsi sono attivati in tre moduli, ciascuno
equivalente a 20 crediti formativi universitari, corrispondenti ai livelli
base, intermedio ed avanzato. In prima applicazione, è stata prevista la
possibilità di utilizzare i docenti su posto di sostegno dopo l’acquisizione
del livello intermedio, ovvero del livello base nel caso in cui la tempistica
non consenta di espletare le prove di verifica del livello intermedio in tempo utile
ai fini della procedura di utilizzazione, in subordine ai docenti in possesso
di titolo di specializzazione.
·
Revisione
dei criteri di assegnazione alle
istituzioni scolastiche ed educative dei docenti
di sostegno, tenendo conto delle esigenze di continuità didattica ed educativa.
Al riguardo, si rinvia a quanto illustrato nella
scheda di commento relativa all’art. 6.
·
Individuazione
dei livelli essenziali delle prestazioni
scolastiche, sanitarie e sociali.
Al riguardo si ricorda che il co. 1 del già citato art.
315 del d.lgs. 297/1994 dispone
che l'integrazione scolastica della persona disabile nelle sezioni e nelle
classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado si realizza anche attraverso
la programmazione coordinata dei servizi
scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi,
sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o
privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità
sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze, stipulano accordi di
programma finalizzati alla predisposizione, attuazione e verifica congiunta di
progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché
a forme di integrazione tra attività scolastiche e attività integrative
extrascolastiche.
·
Previsione di indicatori
per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica.
In materia, si veda il progetto realizzato nel 2009 dall’Agenzia
Europea per lo sviluppo dell’istruzione degli alunni disabili, su richiesta del
Consiglio dei rappresentanti degli Stati membri, sul tema “come individuare una
serie di indicatori – per una scuola inclusiva in Europa”[120]. Al progetto hanno partecipato 23 Stati europei, fra i quali l’Italia.
·
Revisione delle modalità e dei criteri relativi
alla certificazione e all’iter diagnostico per l’individuazione
degli alunni con disabilità, ai fini dell’attivazione del percorso di
inclusione scolastica.
Si
tratta di un ambito attualmente disciplinato con DPCM.
In particolare, le modalità e i criteri per l’individuazione dell’alunno
come soggetto disabile sono recate dal DPCM
185/2006, emanato a seguito dell’art. 35, co. 7, della L. 289/2002.
Il DPCM prevede che, ai fini della individuazione dell'alunno come
soggetto disabile, le Aziende Sanitarie
dispongono, su richiesta documentata dei
genitori o degli esercenti la potestà parentale o la tutela dell'alunno,
appositi accertamenti collegiali[121], da effettuarsi in tempi utili rispetto all'inizio dell'anno scolastico,
documentati attraverso la redazione di un verbale
di individuazione dell'alunno come soggetto disabile. Il verbale reca
l'indicazione della patologia stabilizzata o progressiva, accertata con
riferimento alle classificazioni internazionali dell'Organizzazione Mondiale
della Sanità, nonché la specificazione dell'eventuale carattere di particolare
gravità della medesima e l'eventuale termine di rivedibilità dell'accertamento
effettuato.
Tali accertamenti sono propedeutici alla redazione della diagnosi funzionale dell'alunno, cui
provvede l'unità multidisciplinare, prevista dall'art. 3, co. 2 del DPR 24
febbraio 1994[122], anche secondo i criteri di classificazione di disabilità e salute
previsti dall'OMS.
Il verbale di accertamento, con l'eventuale termine di rivedibilità ed
il documento relativo alla diagnosi funzionale sono trasmessi ai genitori o
agli esercenti la potestà parentale o la tutela dell'alunno e da costoro
all'istituzione scolastica presso cui l'alunno deve essere iscritto, ai fini
della tempestiva adozione dei provvedimenti conseguenti.
Alla redazione della diagnosi funzionale fa seguito la redazione del profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato, alla
cui definizione, in base all'art. 12, co. 5, della L. 104/1992, provvedono
congiuntamente, con la collaborazione dei genitori, gli operatori delle unità
sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante
specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore
psico-pedagogico.
Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed
affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento
conseguenti alla situazione di disabilità e le possibilità di recupero, sia le
capacità possedute.
Il piano educativo individualizzato (PEI) descrive annualmente gli interventi
educativi e didattici destinati all’alunno con disabilità, definendo obiettivi,
metodi e criteri di valutazione[123].
· Revisione e razionalizzazione degli organismi di supporto all’inclusione
operanti a livello territoriale. Si
tratta di un ambito attualmente regolato a livello amministrativo.
Si
ricorda, infatti, che, nell’ambito del progetto “Nuove
tecnologie e disabilità”, gli Uffici scolastici regionali istituirono i Centri Territoriali di
Supporto (CTS). Il ruolo degli stessi è
stato, poi, disciplinato con la citata direttiva del MIUR del 27 dicembre 2012, che ha ritenuto opportuna la presenza di almeno un CTS per ogni
provincia[124]. Sempre in base alla direttiva, i CTS hanno il compito, tra l’altro, di
definire, autonomamente o in rete, per
ogni anno scolastico, il piano annuale di interventi relativo agli interventi
formativi, tenendo conto dei bisogni emergenti dal territorio e delle strategie
e priorità generali individuate dagli USR e dal MIUR.
Ai CTS sono affiancati,
a livello di distretto sociosanitario, i Centri
Territoriali per l’Inclusione (CTI).
Peraltro, nella già
citata nota prot. n. 2563 del 22 novembre 2013 il MIUR ha fatto presente che era in atto una riorganizzazione
complessiva della rete dei CTS e dei CTI, a cura degli Uffici scolastici
regionali, per la ridefinizione di compiti e ruoli, che sarebbero stati
chiariti con successiva nota.
Governo della scuola e organi collegiali (co. 2, lett. f)
I principi e
criteri direttivi individuati al fine del riordino del governo della scuola e
degli organi collegiali sono i seguenti:
· Adozione, da parte
di ogni scuola, di uno statuto,
quale strumento di autogoverno, nel rispetto delle norme generali
sull’istruzione.
· Intervento sugli organi di governo della scuola, distinguendo fra:
o funzioni
di indirizzo generale, da riservare al consiglio dell’istituzione scolastica;
o funzioni
di gestione, impulso e proposta, proprie del dirigente scolastico;
o funzioni
didattico-progettuali, da attribuire al collegio dei docenti e alle
sue articolazioni.
Inoltre,
definizione di nuovi criteri di
composizione degli organi che valorizzino la partecipazione delle diverse
componenti della comunità scolastica - in particolare, genitori e studenti - e
della comunità territoriale.
Le disposizioni sugli organi collegiali costituti a livello di singola scuola, originariamente previste nel DPR 416/1974, che li ha istituiti, sono, poi, confluite negli artt. da 5 a 10 e da 26 a 50 del D.lgs. 297/1994. Sulle funzioni di alcuni degli organi collegiali sono in seguito intervenuti, in particolare, i regolamenti attuativi dell’art. 21 della L. 59/1997.
Essi si articolano come segue:
- il consiglio di intersezione (nelle scuole dell’infanzia), di interclasse (nelle scuole primarie), e di classe (negli istituti di istruzione secondaria) è composto dai docenti e da rappresentanti dei genitori nonché, nelle scuole superiori, da rappresentanti degli studenti. A ciascuno di essi compete, tra gli altri, il compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e quello di agevolare ed estendere i rapporti fra docenti, genitori ed alunni. Hanno, inoltre, il compito – in tal caso operando con la sola presenza dei docenti – di valutare gli alunni (art. 5);
- il collegio dei docenti è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto dal personale docente di ruolo e non di ruolo. Al collegio sono affidati, in particolare, la programmazione dell'azione educativa e l’esercizio delle attribuzioni inerenti il funzionamento didattico dell'istituto (art. 7);
- il consiglio di istituto è composto da rappresentanti del personale docente, del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, dei genitori e - nella scuola secondaria superiore - degli studenti, nonché dal dirigente scolastico. Il consiglio elegge nel suo seno una giunta esecutiva che ha funzioni istruttorie nei confronti del consiglio medesimo e cura l’attuazione delle relative delibere. Attualmente, il consiglio delibera il documento contabile annuale[125] e dispone in ordine all'impiego dei mezzi finanziari per il funzionamento amministrativo e didattico; ha competenza in ordine all’adozione del Regolamento interno; determina gli indirizzi generali per le attività della scuola e le scelte generali di gestione e amministrazione, sulla base dei quali il collegio dei docenti elabora il POF; adotta il medesimo POF[126] (art. 8);
Ai sensi dell’art. 4 del DPR 567/1996 – come modificato, da ultimo, dall’art. 5 del DPR 105/2001-, infine, il consiglio di istituto ha competenze relative alla predisposizione di iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti (si veda scheda di commento relativa all’art. 3 del testo in esame).
- il comitato per la valutazione del servizio dei docenti (art. 11), del quale si è già parlato nella scheda di commento relativa all’art. 9.
Si ricorda, conclusivamente, che l’art. 16 del DPR 275/1999 ha disposto che gli organi collegiali della scuola garantiscono l'efficacia dell'autonomia delle istituzioni scolastiche nel quadro delle norme che ne definiscono competenze e composizione.
In particolare:
- il dirigente scolastico esercita le funzioni di cui (ora) al d.lgs. 165/2001, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali (al riguardo, si rinvia alla scheda di commento relativa all’art. 7 del testo in esame);
- i docenti hanno il compito e la responsabilità della progettazione e della attuazione del processo di insegnamento e di apprendimento;
- il responsabile amministrativo (ora, Direttore dei servizi generali e amministrativi) assume funzioni di direzione dei servizi di segreteria nel quadro dell'unità di conduzione affidata al dirigente scolastico.
· Previsione di specifiche forme di regolazione riferite alla disciplina di dettaglio dell’organizzazione interna delle scuole e regolazione delle modalità di esercizio di tale potestà.
La relazione illustrativa chiarisce che si tratta dell’attribuzione alle scuole della potestà regolamentare per disciplinare la propria organizzazione interna.
· Valorizzazione del direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) quale figura di supporto tecnico-amministrativo.
Al riguardo, oltre a quanto appena sopra evidenziato con
riferimento alle previsioni recate dall’art. 16 del DPR 275/1999, si ricorda
che l’art. 25, co. 5, del d.lgs. 165/2001 prevede che il
dirigente scolastico è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che
sovrintende, con autonomia operativa, nell'ambito delle direttive di massima
impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi
generali dell'istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.
Occorrerebbe
specificare meglio il criterio direttivo.
· Valorizzazione dell’autonomia scolastica, anche attraverso la definizione e costituzione di reti di scuole per l’ottimale utilizzo delle risorse umane e strumentali, e attribuzione alle stesse di capacità di rappresentanza.
Al riguardo, si ricorda che la possibilità per le istituzioni scolastiche di promuovere accordi di rete, ovvero aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali, è stata prevista in modo dettagliato dall’art. 7 del DPR 275/1999. L'accordo può avere ad oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, ferma rimanendo in ogni caso l'autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali[127].
Nell’ambito dell'accordo viene individuato l'organo responsabile della gestione delle risorse e del raggiungimento delle finalità del progetto, la sua durata, le sue competenze e i suoi poteri, nonché le risorse professionali e finanziarie messe a disposizione della rete dalle singole istituzioni[128].
Con riferimento al personale, si prevede che gli accordi possono prevedere
lo scambio temporaneo di docenti,
che liberamente vi consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i
cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti che accettano di
essere impegnati in progetti che prevedono lo scambio devono rinunciare al
trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le
modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva. Si prevede, altresì,
che gli organici funzionali di istituto possono essere definiti in modo da
consentire l'affidamento a personale dotato di specifiche esperienze e
competenze di compiti organizzativi e di
raccordo interistituzionale e di gestione dei
laboratori.
Si ricorda, altresì, che la costituzione, previa
intesa con la Conferenza unificata, di reti territoriali fra le istituzioni
scolastiche, al fine di una gestione ottimale delle risorse umane, strumentali
e finanziarie è prevista dall’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012), del quale l’art.
23, co. 1, del testo in esame dispone l’abrogazione.
Si
valuti se questo criterio direttivo non debba essere riferito, più
opportunamente, al capoverso b).
· Revisione degli organi collegiali della scuola sia a livello nazionale che territoriale, individuando le articolazioni funzionali all’esercizio dell’autonomia e le relative competenze, anche in relazione alle competenze delle autonomie territoriali, e conseguente soppressione di organi non più funzionali.
Al riguardo, si ricorda che gli artt. 16-25 del d.lgs.
297/1994 hanno previsto organi collegiali costituiti a livello distrettuale
(Consigli scolastici distrettuali), provinciale (Consigli scolastici
provinciali) e nazionale (Consiglio nazionale della pubblica istruzione).
Il D.lgs.
233/1999, adottato a seguito dell’art. 21 della L. 59/1997, ha poi riordinato gli organi collegiali a livello nazionale e territoriale,
riaffermandone la funzione consultiva e di supporto tecnico all'azione
dell'amministrazione, ma riducendo il numero dei componenti. In sostituzione
delle strutture già esistenti ha istituito: a livello centrale, il Consiglio
superiore della pubblica istruzione[129]; a livello regionale, i Consigli regionali
dell'istruzione; a livello territoriale, i Consigli scolastici locali.
Tuttavia, l’art. 8 dello stesso D.lgs. ha assicurato l’operatività degli organi collegiali esistenti fino all’insediamento dei nuovi e, per tale adempimento, ha indicato il termine del 1° settembre 2001 (successivamente prorogato al 31 dicembre 2002 dall’art. 6 del D.L. 411/2001- L. 463/2001). La scadenza è spirata senza che i nuovi organi fossero costituiti[130].
Per completezza si ricorda, infine, che, nel corso della XIV legislatura, è stata conferita una nuova delega (art. 7 della L. 137/2002) per l’ulteriore riordino delle strutture sopra citate. I termini per l’esercizio di quest’ultima, originariamente fissati al 23 gennaio 2004 e successivamente prorogati al 29 luglio 2005 (art. 2, co. 2, della L. 186/2004, di conversione del D.L. 136/2004), sono, tuttavia, scaduti senza che si pervenisse all’adozione di un provvedimento[131].
Con specifico riferimento al Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI), si ricorda che esso è rimasto operativo fino al 31 dicembre 2012: in tale data, infatti, è spirata l’ultima proroga disposta con l'art. 14 del D.L. 216/2011 (L. 14/2012).
Dopo lo spirare del termine ultimo di operatività del CNPI, l'art. 23-quinquies del D.L. 90/2014 (L. 114/2014) - come modificato dall’art. 6, co. 1, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015) -, nelle more del riordino e della costituzione degli organi collegiali della scuola, ha fatto salvi gli atti e i provvedimenti (fino ad allora) adottati in assenza del parere dello stesso CNPI, stabilendo, al contempo, che, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo D.L. e fino al 31 dicembre 2015 i pareri obbligatori e facoltativi che il suddetto organo doveva esprimere, non sono dovuti (sull’argomento, si veda la deroga, più generale, prevista dall’art. 22, co. 1, del testo in esame).
Ha previsto, inoltre, che le elezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione (CSPI) dovevano essere bandite entro il 30 settembre 2015 e che, in via di prima applicazione, l'ordinanza con cui devono essere stabiliti i termini e le modalità per le medesime elezioni (di cui all’art. 2, co. 9, del d.lgs. 233/1999) può prevedere anche una deroga alla disposizione che stabilisce che, dei 36 membri, 15 sono eletti dalla componente elettiva che rappresenta il personale delle scuole statali nei consigli scolastici locali ed è garantita la rappresentanza di almeno una unità di personale per ciascun grado di istruzione.
A seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 00363/2015 REG. RIC, che ha indicato il termine ultimo per fissare le elezioni del CSPI al 30 aprile 2015, le stesse sono state indette, con O.M. n. 7 del 9 marzo 2015, per il 28 aprile 2015.
· Previsione di organi rappresentativi a livello nazionale, regionale e territoriale, di supporto alle scuole e di monitoraggio dell’azione delle stesse, anche a seguito dell’attribuzione della potestà statutaria.
Sembrerebbe opportuno esplicitare la
previsione, in particolare con riferimento al rapporto con gli organi
collegiali nazionali e territoriali.
Percorsi dell’istruzione professionale (co. 2, lett. g)
I principi e i criteri direttivi individuati per la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con i percorsi dell’istruzione e della formazione professionale (ambito attualmente disciplinato con regolamento di delegificazione) sono i seguenti:
· Ridefinizione di indirizzi, articolazioni ed opzioni dell’istruzione professionale.
Sull’argomento, si rinvia a quanto esposto nella
scheda di commento relativa all’art. 2 del testo in esame.
· Potenziamento delle attività didattico-laboratoriali anche
attraverso una rimodulazione, a parità di tempo-scuola, dei quadri orari degli indirizzi,
in particolare nel primo biennio.
Per il raccordo dei percorsi
dell’istruzione professionale con i percorsi dell’istruzione e formazione
professionale non sono indicati principi e criteri direttivi.
Si tratta di un ambito di intervento attualmente
definito da un’intesa raggiunta in Conferenza unificata.
Al
riguardo, si ricorda che per il
sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP)
- i cui percorsi rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del
sistema educativo di istruzione e formazione - la competenza legislativa
esclusiva è delle regioni,
spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. In
particolare, ai sensi del D.lgs. 226/2005, le regioni assicurano
l'articolazione di percorsi di durata
triennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di qualifica professionale, che
consente l'accesso al quarto anno del sistema dell'istruzione e formazione
professionale - e di percorsi di durata
almeno quadriennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di diploma professionale, che
consente l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore.
Chiusa una fase di
sperimentazione, il primo anno di attuazione dei percorsi di IeFP (nei quali può essere assolto l’obbligo di istruzione,
ex art. 64, co. 4-bis, del D.L. 112/2008), coincidente con l’anno
scolastico e formativo 2010-2011, è stato avviato sulla base dell’Accordo
raggiunto in Conferenza Stato-regioni il 29 aprile 2010, poi recepito con D.I.
15 giugno 2010. In particolare, l’Accordo,
prodromico alla disciplina specifica definita da ciascuna regione, ha
individuato le figure professionali e gli standard minimi formativi.
Nel frattempo, l’art. 2,
co. 3, del DPR 87/2010 ha disposto che, nel rispetto delle competenze esclusive
delle regioni, gli Istituti professionali possono svolgere, in regime di
sussidiarietà, un ruolo integrativo e complementare nei confronti dell’offerta
delle istituzioni formative del sistema IeFP ai fini
del conseguimento, anche nell'esercizio dell'apprendistato, di qualifiche
professionali (in esito a percorsi triennali) e diplomi (in esito a percorsi
quadriennali).
Il 16 dicembre 2010 è stata
poi raggiunta un’intesa in Conferenza Unificata in ordine all’approvazione
delle linee guida (di cui all’art. 13, co.
1-quinquies, del D.L. 7/2007 – L. 4072007) finalizzate alla
realizzazione di raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i
percorsi IeFP. Le linee guida sono state adottate
con DM 18 gennaio 2011.
Nell’intesa si sottolinea
che i raccordi sono in particolare finalizzati a sostenere e garantire
l’organicità sul territorio dell’offerta dei percorsi a carattere
professionale, prevenire la dispersione scolastica e formativa, facilitare i
passaggi tra i sistemi formativi. Si stabilisce, inoltre, che la prima
attuazione delle linee guida è oggetto di specifici accordi territoriali tra i
competenti Assessorati delle regioni e gli Uffici scolastici regionali, e che ciascuna regione stabilisce i percorsi che
gli istituti professionali possono erogare in regime sussidiario.
Il 27 luglio 2011, in sede
di Conferenza Stato-Regioni, è stato poi raggiunto l’accordo - recepito con DM 11 novembre 2011 - riguardante gli atti necessari per il passaggio a nuovo ordinamento
dei percorsi di istruzione e formazione professionale. La messa a regime
del Capo III del d.lgs. n. 226/2005
riguarda, a partire dall'anno scolastico e formativo 2011-2012, i
percorsi di durata triennale e quadriennale.
Istituti tecnici superiori (co. 2, lett. h)
I principi e i criteri direttivi individuati per la semplificazione del sistema formativo degli Istituti tecnici superiori (ITS) - attualmente disciplinato con DPCM e DI - sono i seguenti:
· Ridefinizione di titoli di studio per l’accesso agli ITS, consentendolo anche a chi possiede il diploma professionale conseguito al termine dei percorsi
quadriennali di istruzione e formazione professionale (v. ante).
Al riguardo si ricorda che, a seguito della
riorganizzazione del sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore
(IFTS) - istituito con l’art. 69 della L. 144/1999 e costituente un sistema di formazione terziaria non
universitaria – operato, sulla base di quanto previsto dall’art. 1, co.
631, della L. 296/2006, con il DPCM 25 gennaio 2008, sono state
previste tre tipologie di intervento: percorsi di IFTS, poli
tecnico-professionali e ITS (già
citati dall’art. 13 del D.L. 7/2007 -L. 40/2007).
In particolare, il DPCM 25 gennaio 2008 ha previsto
che gli ITS possono essere
costituiti se previsti nei piani territoriali adottati ogni triennio dalle
regioni nell’ambito della programmazione dell’offerta formativa di loro
competenza[132].
Essi realizzano percorsi, di regola, di durata biennale, per un totale di
1800/2000 ore (per particolari figure, possono avere una durata superiore, nel
limite massimo di sei semestri), e sono volti al conseguimento di un diploma di tecnico superiore riferito
alle seguenti aree tecnologiche: efficienza energetica, mobilità sostenibile,
nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività
culturali, tecnologie della informazione e della comunicazione. Ai percorsi si accede con il diploma di istruzione
secondaria di secondo grado.
· Previsione, nell’ambito dell’assegnazione
delle risorse finanziarie, di una quota
premiale da destinare all’attivazione di nuovi percorsi, in relazione al
numero dei diplomati e al tasso di occupabilità a
dodici mesi rispetto ai percorsi attivati.
Agli ITS, sempre
in base al DPCM 25 gennaio 2008, è stato destinato il 70% del Fondo per l’istruzione e la formazione
tecnica superiore istituito nello stato di previsione del Ministero della
pubblica istruzione dall’art. 1, co. 875, della L. 296/2006.
L’art. 7, co.
37-ter, del D.L. 95/2012 (L.
135/2012), modificando l’art. 1, co. 875, della L. 296/2006, ha poi disposto
che al Fondo confluisce, per essere destinata agli ITS, quota parte, pari a 14 milioni di euro, dell’autorizzazione
di spesa di cui all’art. 1, co. 634, della stessa L. 296/2006 (che è
finalizzata anche alla riorganizzazione dell’Istruzione e formazione tecnica
superiore)[133].
A seguito, poi,
dell’art. 52 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – che ha previsto l’emanazione di
linee guida volte, fra l’altro, al coordinamento, a livello nazionale,
dell’offerta dei percorsi degli ITS con la costituzione, al massimo, di un ITS
in ogni regione per la medesima area tecnologica e relativi ambiti, nonché
volte alla semplificazione degli organi di indirizzo, gestione e partecipazione
previsti dagli statuti delle fondazioni ITS – è stato emanato il D.I. 7 febbraio
2013 che, per quanto qui interessa, ha stabilito che le risorse del Fondo sono
assegnate agli ITS sulla base di: a) criteri
e requisiti minimi di avvio e riconoscimento del titolo, ai fini dell'accesso
iniziale al Fondo; b) indicatori di
realizzazione e di risultato, ai fini del mantenimento della autorizzazione
al riconoscimento del titolo e di accesso al finanziamento del Fondo[134].
Sulla base del D.I. 7 febbraio
2013, nonché dell’art. 14 del DPCM 25 gennaio 2008, il 5 agosto 2014 in
Conferenza unificata è stato poi raggiunto l’accordo per la
realizzazione del sistema di monitoraggio e valutazione dei percorsi degli ITS[135].
Per quanto qui
più strettamente interessa, l’art. 2 ha previsto che per il 2014 il contributo
nazionale dovesse essere ripartito fra le regioni per il 60% in relazione al
numero dei percorsi ITS attivati nell’anno precedente e per il 40% in relazione
alla popolazione residente nella regione di età compresa fra i 20 e i 34 anni.
Ha, altresì,
disposto che, per il 2015, il
contributo nazionale è ripartito tra le regioni, a livello sperimentale, in questo modo:
-
il 20% in
relazione alla popolazione residente nella regione di età compresa fra i 20 e i
34 anni;
-
il 70% sulla base
del numero dei soggetti ammessi al secondo anno e del numero dei soggetti
ammessi all’esame, riferiti all’anno precedente a quello di assegnazione delle
risorse e della quota per allievo (6/8 euro ora/allievo) al netto del
cofinanziamento regionale;
-
il 10% a titolo di premialità ai corsi conclusi
nell’anno precedente che hanno ottenuto un punteggio pari o superiore a 70
secondo i criteri indicati nell’All. A, che
riguardano, fra l’altro, l’occupazione dei diplomati a 6 e 12 mesi dalla fine
del corso[136].
Resta fermo l’obbligo del cofinanziamento regionale.
Le regioni, nell’ambito della quota di contributo
assegnato, individuano e comunicano al MIUR l’entità delle risorse da
attribuire ad ogni ITS con riferimento ai singoli percorsi, tenendo conto del
risultato dell’attività di monitoraggio e valutazione dei percorsi stessi e
degli indicatori di efficacia interna, qualità, rete, efficienza,
risultato/impatto di cui all’all. A, punto 4, lett. e), del
D.I. 7 febbraio 2013 (v. art. 4 Accordo).
Con nota prot. 603 del 23 gennaio 2015 il MIUR,
fornendo istruzioni operative, ha chiarito che oggetto di monitoraggio e
valutazione saranno i percorsi che alla
data del 31 dicembre 2014 si sono conclusi da almeno un anno.
·
Partecipazione,
quali soci fondatori delle
fondazioni di partecipazione cui fanno capo gli ITS, di soggetti pubblici, e definizione della loro attività, senza che si
determinino nuovi o maggiori oneri a carico dei loro bilanci.
In base al DPCM 25 gennaio 2008, gli ITS sono
configurati secondo il modello della fondazione
di partecipazione, alla quale
possono partecipare: un istituto tecnico o professionale, statale o paritario,
che risulti ubicato nella provincia sede della fondazione; una struttura
formativa accreditata dalla regione per l'alta formazione, anch’essa ubicata
nella provincia; un’impresa del settore produttivo cui si riferisce l'ITS; un
dipartimento universitario o altro organismo appartenente al sistema della
ricerca scientifica e tecnologica; un
ente locale.
Gli istituti tecnici e professionali ne costituiscono
gli enti di riferimento, pur conservando, ai sensi dell’all.
A) del DPCM, la distinta e autonoma soggettività giuridica rispetto all’ITS.
Lo stesso all. A) dispone,
inoltre, che possono divenire Fondatori
- a seguito di delibera adottata a maggioranza assoluta dal Consiglio di indirizzo
– le persone fisiche e giuridiche, pubbliche o private, gli
enti o agenzie che contribuiscano al fondo di dotazione o al fondo di gestione
nelle forme e nella misura determinata nel minimo dal Consiglio di indirizzo.
Occorrerebbe comprendere meglio l’elemento di
novità relativo alla previsione di partecipazione di soggetti pubblici come
soci fondatori.
·
Semplificazione
delle procedure per lo svolgimento delle prove
conclusive dei percorsi ITS, anche con riferimento alla composizione delle commissioni esaminatrici e alla
predisposizione e valutazione delle prove di verifica finale.
Le norme generali concernenti i diplomi degli ITS e le
relative figure nazionali di riferimento, la verifica e la certificazione delle
competenze sono state definite con D.I. 7 settembre
2011.
In particolare, in base all’art.
6 del D.I., le prove di verifica
delle competenze acquisite comprendono: una prova teorico-pratica, predisposta
dal comitato tecnico-scientifico; una prova scritta, predisposta dall’INVALSI,
in collaborazione con la CRUI; una prova orale in relazione ad un progetto di
lavoro sviluppato nel corso del tirocinio e predisposto dall’impresa presso la
quale il tirocinio è stato svolto. Per le prove è assegnato un punteggio così
articolato: massimo 40 punti per la prima prova, con un minimo di 24; massimo
30 punti per la seconda prova, con un minimo di 18; massimo 30 punti per la
prova orale, con un minimo di 18.
La verifica delle competenze si intende positivamente
superata con un punteggio complessivo di almeno 70 punti.
Con riferimento,
infine, alla composizione delle commissioni
d’esame, il già citato D.I. 7 febbraio 2013 ha disposto che esse sono
costituite da: un rappresentante dell'università, con funzioni di presidente,
designato dal MIUR tra i docenti ordinari o associati dei corsi di laurea a
carattere scientifico e tecnologico che non hanno prestato la loro opera nella
progettazione e/o realizzazione di alcun percorso della fondazione ITS; un
rappresentante della scuola, designato dal dirigente scolastico dell'istituto
tecnico o professionale, ente di riferimento dell'ITS, tra i docenti di
discipline tecnico-professionali a tempo indeterminato in servizio presso
l'istituto; un esperto della formazione professionale designato dalla regione; due
esperti del mondo del lavoro designati dal comitato tecnico-scientifico dell'ITS,
di cui uno che abbia svolto funzioni di docenza/tutoraggio nel percorso dell'ITS
e abbia almeno cinque anni di esperienza nelle imprese dell'area tecnologica e
dell'ambito ai quali si riferisce il percorso stesso, impegnate nella
realizzazione delle attività di tirocinio e il secondo individuato tra una rosa di esperti segnalati dai presidenti dei
fondi interprofessionali dell'area professionale di riferimento.
· Riconoscimento dei crediti acquisiti a conclusione dei percorsi degli ITS ai fini dell’accesso ai corsi di laurea.
La relazione illustrativa specifica che
l’intervento si rende necessario per superare la situazione attuale nella quale
le università partecipanti alle fondazioni ITS oggi riconoscono i crediti,
sulla base di apposite convenzioni, limitatamente ai diplomati dell’ITS di cui
fanno parte.
Sull’argomento, da ultimo, l’art. 7 del già citato
D.I. 7 settembre 2011 ha fatto rinvio al decreto attuativo dell’art. 14, co. 3,
della L. 240/2010.
Si tratta di un decreto da adottare, con regolamento, ai sensi dell’art. 17, co.
3, della L. 400/1988, per la definizione dei criteri per il riconoscimento dei
crediti acquisiti dallo studente a conclusione dei percorsi realizzati dagli
ITS nell'ambito dei progetti attuati con le università attraverso le
federazioni di cui all'articolo 3 della stessa legge.
·
Previsione
di un contributo dovuto dagli
studenti per gli esami conclusivi e il rilascio del diploma.
Al momento, il D.I. 7 febbraio 2013 dispone solo che le regioni stabiliscono i criteri per la
determinazione dell’importo delle rette di frequenza per gli studenti da
parte delle fondazioni ITS e che gli stessi studenti versano la tassa regionale per il diritto allo studio
sulla base del medesimo importo previsto per gli studenti universitari ed
accedono ai medesimi benefici.
·
Previsione
che, per il riconoscimento della personalità giuridica, le fondazioni devono
disporre di un patrimonio, uniforme su tutto il territorio
nazionale, tale da garantire la piena
realizzazione di un ciclo completo di studi.
In base al DPCM 25 gennaio 2008, gli ITS acquistano la
personalità giuridica mediante
l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le
prefetture (art. 1 del DPR 361/2000).
Sempre in base al DPCM citato, il loro patrimonio è composto: da un fondo di
dotazione (costituito dai conferimenti, in proprietà, uso o possesso a
qualsiasi titolo di denaro o beni mobili e immobili, o altre utilità
impiegabili per il perseguimento degli scopi, effettuati dai fondatori all’atto
della costituzione e dai partecipanti); dai beni mobili e immobili; dalle
elargizioni fatte da enti o da privati con espressa destinazione a incremento
del patrimonio; da contributi attribuiti al patrimonio da UE, Stato, enti
territoriali o altri enti pubblici.
Si ricorda – come già prima indicato – che la
disponibilità di un patrimonio che garantisca la piena realizzazione di un
ciclo completo di studi (nonché l’avvio di uno successivo) è già prevista dal
D.I. 7 febbraio 2013 tra i criteri per l’accesso al Fondo.
·
Previsione
di un regime contabile e di uno
schema di bilancio per la rendicontazione dei percorsi uniforme su tutto il territorio nazionale e previsione della revisione amministrativo-contabile
della gestione.
In base al DPCM 25 gennaio 2008, sono organi della
Fondazione il Consiglio di indirizzo, la Giunta esecutiva, il Presidente, il
Comitato tecnico-scientifico, l’Assemblea di partecipazione, il Revisore dei
conti. Per quanto qui interessa, la competenza in ordine all’approvazione del bilancio
di previsione e del conto consuntivo predisposti dalla Giunta esecutiva spetta
al Consiglio di indirizzo.
Il revisore dei conti, nominato dal consiglio di
indirizzo, è organo consultivo contabile della Fondazione, vigila sulla
gestione finanziaria, esamina le proposte di bilancio preventivo e di conto
consuntivo, redigendo apposite relazioni, ed effettua verifiche di cassa.
·
Unificazione delle prove di verifica finale dei percorsi
ITS dell’area della mobilità sostenibile – relativamente agli ambiti “Mobilità
delle persone e delle merci – conduzione
del testo navale” e “Mobilità delle persone e delle merci – gestione degli apparati e impianti di bordo”
– con le prove di esame di abilitazione
allo svolgimento della professione di Ufficiale
di marina mercantile, di coperta e di macchina.
La materia dell’accesso alle professioni della gente
di mare è disciplinata dal d.lgs. 136/2011, che ha dato attuazione alla
direttiva 2008/106/UE, concernente i requisiti minimi di formazione, oltre che
dal Regolamento di esecuzione del codice della navigazione. Il d.lgs. si
applica a tutti i lavoratori marittimi di Stati membri dell’UE, nonché a quelli
di paesi terzi titolari di un certificato che ne attesti le competenze, che sia
stato rilasciato da uno Stato membro dell’UE, e che prestano servizio su navi
battenti bandiera italiana.
In particolare, la formazione della gente di mare deve
rispettare i requisiti della Convenzione internazionale STCW, di cui all’allegato
I del d.lgs.
Si segnala, peraltro, che con la direttiva 2012/35/UE
(attualmente, in fase di recepimento: v. schema di d.lgs.
142) è stata modificata la direttiva 2008/106/UE con l'obiettivo
di introdurre nel diritto comunitario le importanti modifiche adottate a
livello internazionale.
·
Disciplina
dell’accesso agli esami di Stato per
le professioni di agrotecnico, geometra,
perito agrario e perito industriale con il diploma di tecnico superiore.
In materia, l’art. 5, co. 6, del DPCM 25 gennaio 2008
dispone che, per quanto riguarda i crediti utili per l’accesso all’esame di
Stato per l’esercizio delle professioni indicate, si fa riferimento all’art.
55, co. 3, del DPR 328/2001. Quest’ultimo prevede che agli esami di Stato
possono partecipare coloro che, in possesso dello specifico diploma richiesto
per l’iscrizione nei rispettivi albi, abbiano frequentato con esito positivo corsi di istruzione e formazione tecnica
superiore (IFTS), a norma del DM 436/2000[137], della durata di 4 semestri, comprensivi di
tirocini non inferiori a 6 mesi, coerenti con le attività libero
professionali previste dall’albo al quale si chiede di accedere.
Si intenderebbe, dunque, estendere questa
possibilità anche a chi conseguito un diploma al termine dei percorsi degli
Istituti tecnici superiori.
Qui la pagina dedicata
sul sito del MIUR.
Sistema integrato di educazione e di
istruzione dalla nascita fino ai sei anni (co. 2, lett.
i)
Si tratta di un ambito per il quale la 7° Commissione del Senato sta svolgendo l’esame dell’A.S. 1260[138] e abb.
Preliminarmente, si ricorda che la L. 1044/1971 ha riconosciuto
come “servizio sociale di interesse
pubblico” l'assistenza prestata
negli asili nido ai bambini fino ai tre anni di età. In seguito, la L. 285/1997
ha incluso tra gli interventi finanziabili “l’innovazione e la sperimentazione
di servizi socio-educativi per la prima
infanzia”, non sostitutivi degli asili nido, ovvero servizi che
presuppongono la presenza continua di genitori, che siano privi di mensa e non
prevedano il riposo pomeridiano, servizi autorganizzati dalle famiglie, dalle
associazioni e dai gruppi.
Successivamente, il Piano
straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi
socio-educativi per la prima infanzia, varato con la legge finanziaria
2007 (art. 1, co. 1259, della L. 296/2006), ha previsto un finanziamento
statale, nel triennio 2007-2009, pari ad € 446 mln per l'incremento dei posti
disponibili nei servizi per i bambini da 0 a 3 anni, a cui si sono aggiunti
circa € 281 mln di cofinanziamento regionale. Tale Piano è stato rilanciato con
l’art. 1, co. 131, della legge di stabilità 2015 (L. 190/2014), che vi ha
destinato 100 milioni di euro per il 2015.
Per mettere in moto il processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per la prima infanzia, l’intesa in
Conferenza unificata del 26 settembre 2007, nel varare il Piano
straordinario, ha individuato quali iniziali livelli essenziali di
assistenza la copertura media nazionale della domanda al 13% e, in ciascuna regione,
in percentuale non inferiore al 6%. Con i finanziamenti, l’intesa ha dato
l’avvio a una rete “integrata, estesa, qualificata e differenziata” dei servizi
socio educativi per la prima infanzia - asili nido, servizi integrativi e
servizi innovativi nei luoghi di lavoro -, in grado di promuovere il benessere
e lo sviluppo sociale ed educativo dei bambini, di sostenere il ruolo
genitoriale e la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura. A questo
proposito, l’Intesa sottolinea la necessità di assicurare il livello di
copertura territoriale della domanda in maniera uniforme su tutto il territorio
nazionale, anche in vista del raggiungimento dell’obiettivo di copertura
territoriale fissato al 33% dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000.
Ai fini della valutazione del livello di attuazione
del Piano Straordinario, l’Intesa del 2007 predispone, infine, l’avvio di
un’attività di monitoraggio
quantitativo, qualitativo e amministrativo contabile al quale
partecipano, fra l’altro, le regioni, il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per
l’Infanzia e l’Adolescenza, presso l’Istituto degli Innocenti a Firenze,
l’ISTAT.
Nel corso degli anni, il monitoraggio ha fotografato
l’ampio divario tra le regioni - sia in termini di spesa che di utenti -,
nell’offerta pubblica di asili nido. Ancora nell’a.s.
2012/2013, come rilevato dall’Istat nella pubblicazione L’offerta
comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, i bambini che
usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,6%
dei residenti fra 0 e 2 anni al sud, al 17,5% al centro. La percentuale dei comuni
che garantiscono la presenza del servizio varia dal 22,5% al sud al 76,3% al nord-est.
In relazione alle specifiche difficoltà delle regioni del sud, sono state destinate maggiori risorse statali proprio a Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, grazie al programma di intervento straordinario PAC - Piano d’Azione e Coesione per i Servizi di cura all’Infanzia e agli Anziani non autosufficienti - a cui hanno partecipato il Dipartimento per le politiche della famiglia ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e la cui attuazione è stata affidata al Ministero dell'interno, individuato quale autorità di gestione responsabile[139].
Sul lato della domanda, dal punto di vista
legislativo, si è intervenuti in parte con agevolazioni fiscali e, più di
recente, con la legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) che, all’art.
4, co, 24, lett. b),
ha introdotto in via sperimentale, per gli anni 2013-2015, la possibilità per
le lavoratrici di richiedere un contributo economico utilizzabile
alternativamente: a) per il servizio di baby-sitting; b) per far fronte agli
oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati
accreditati.
I principi e i criteri direttivi individuati per l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni, sono i seguenti:
· definizione dei livelli essenziali delle prestazioni della scuola dell’infanzia e dei servizi educativi per l’infanzia previsti dal Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, sentita la Conferenza Unificata, che prevedano:
o la generalizzazione della scuola dell’infanzia;
o la qualificazione universitaria e la formazione continua del personale dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia;
o gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia, diversificati in base alla tipologia, all’età dei bambini e agli orari di servizio, che prevedano tempi di compresenza del personale dei servizi educativi per l’infanzia e dei docenti della scuola dell’infanzia, nonché il coordinamento pedagogico territoriale e il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (DM 254/2012 – si veda ante, scheda art. 12).
Con riferimento ai livelli essenziali delle
prestazioni sociali, previsti dalla L. 328/2000 come strumento attuativo del
sistema integrato di servizi sociali, si ricorda che l'idea di un Nomenclatore dei servizi e degli interventi
sociali nasce, all'inizio del 2006, proprio per la loro mancata definizione e
per la mancanza di una classificazione e di una definizione dei servizi sociali[140].
Nel 2009, il Nomenclatore viene proposto quale
strumento di mappatura degli interventi e dei servizi sociali regionali,
rendendo possibile il confronto su voci omogenee tra i diversi sistemi di welfare
regionali. Il Nomenclatore ha costituito anche la base di riferimento per il
Glossario utilizzato dall'Istat nella rilevazione sugli "Interventi e servizi sociali dei comuni singoli e
associati". Nel 2012, nell’ambito di una convenzione tra
la Regione Liguria e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato
avviato un progetto finalizzato, da un lato, all’aggiornamento del
Nomenclatore, anche ai fini di un suo utilizzo condiviso nella definizione dei
livelli essenziali delle prestazioni sociali, e, dall’altro, alla sua massima
diffusione in ambito regionale e sub-regionale.
I risultati prodotti non sono ancora approvati
ufficialmente e quindi alla data attuale non sono pubblicati, ma fra alcune
delle modifiche più significative sono comprese anche quelle relative ai
servizi per la prima infanzia per cui si sono recuperate le tipologie emerse
dal Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima
infanzia del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza
(vedi supra).
Nel Nomenclatore dei servizi e degli interventi
sociali del 2009, fra gli interventi e i servizi individuati per l’area di
utenza riconducibile ai minori troviamo come trasferimenti monetari:
· Retta per asilo nido, quale intervento per garantire
all'utente in difficoltà economica la copertura della retta per asili nido.
Sono compresi i contributi erogati per la gestione dei servizi al fine di
contenere l'importo delle rette;
· Retta per servizi integrativi o innovativi per la
prima infanzia, quale intervento per garantire all'utente in difficoltà
economica la copertura della retta per i servizi integrativi;
· Contributi economici per i servizi scolastici, quale
sostegno economico per garantire all'utente in difficoltà economica il diritto
allo studio nell'infanzia e nell'adolescenza, comprese le agevolazioni su
trasporto e mensa scolastica riconosciute alle famiglie bisognose.
Fra
le strutture semiresidenziali rivolte ai minori sono individuati:
· Asili nido quale servizio rivolto alla prima infanzia
(0-3 anni) per promuovere lo sviluppo psico-fisico, cognitivo, affettivo e
sociale del bambino e offrire sostegno alle famiglie nel loro compito
educativo, aperti per almeno 5 giorni e almeno 6 ore al giorno per un periodo
di almeno 10 mesi all'anno. Rientrano sotto questa tipologia gli asili nido
pubblici, gli asili nido aziendali e i micro-nidi e le sezioni 24-36 mesi
aggregate alle scuole dell'infanzia;
· Servizi integrativi per la prima infanzia: in questa
categoria rientrano i servizi socio-educativi
per la prima infanzia innovativi e sperimentali previsti dall'art. 5 della L. 285/1997 e i servizi educativi
realizzati in contesto familiare. In particolare: spazi gioco per bambini dai
18 ai 36 mesi (per max 5 ore); centri per bambini e
famiglie; servizi e interventi educativi in contesto domiciliare.
Si ricorda
infine che, nell’ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale,
all’interno di un processo volto a garantire una migliore allocazione delle
risorse pubbliche, maggiore trasparenza del flusso dei trasferimenti, più
equità nella redistribuzione delle risorse e maggiore efficienza nella gestione
della spesa pubblica, è stata completata la misurazione dei fabbisogni standard
delle funzioni fondamentali dei comuni delle regioni a statuto ordinario. In
tale contesto, i fabbisogni standard esprimono i coefficienti di riparto di un
ammontare di fondi prestabilito a livello centrale e non incidono sul livello
globale della spesa e delle prestazioni e, come avviene per il fabbisogno sanitario,
non hanno una diretta relazione con i livelli essenziali delle prestazioni
(come già detto, ancora da definire in ambito sociale). In tale contesto, sono
state approvate le Note metodologiche e del fabbisogno standard relative alle
funzioni di istruzione pubblica e di gestione del territorio delle province, e
le restanti Note metodologiche e del fabbisogno standard per ciascun comune e
provincia relativi alle funzioni di istruzione pubblica, viabilità e trasporto
pubblico locale, gestione del territorio e ambiente, settore sociale e asili
nido (gli schemi di decreto sono stati approvati dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale
nella seduta del 18
dicembre 2014. Il decreto relativo ai fabbisogni per gli asili nidi
non è stato ancora pubblicato in G.U).
Per le funzioni
relative a istruzione pubblica e servizio degli asili (che rappresentano circa
il 18 per cento della spesa corrente dei comuni), le Note metodologiche hanno
applicato il principio della spesa storica riferita al 2010, ovvero hanno
considerato l’ammontare effettivamente speso da un comune in quell’anno anno
per l’offerta del servizio ai cittadini. Le altre funzioni fondamentali dei
comuni sono state invece riconosciute come fabbisogni standard, in grado di
misurare, sulla base delle caratteristiche territoriali e degli aspetti
socio-demografici della popolazione residente, il fabbisogno finanziario di un
comune per quel servizio. Da più parti, è stato in seguito rilevato
l’asimmetrico trattamento delle funzioni in cui sono previsti i livelli
essenziali di assistenza, visto che il sociale è calcolato con la stima dei
fabbisogni, mentre istruzione e asili nido prevedono la stima di una funzione
di costo. Per gli asili nido, in particolare,è stata
infatti effettuata una stima distinta rispetto al sociale[141].
Con riferimento alla previsione di qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi per l’infanzia, si ricorda, che, secondo quanto evidenziato dal Monitoraggio, i requisiti ordinari di accesso del personale educativo sono i diplomi di laurea in Pedagogia, Scienze dell'educazione, Scienze della formazione primaria o equipollenti, mentre i requisiti transitoriamente validi sono: diploma di maturità rilasciato dal liceo socio-psico-pedagogico, diploma di liceo delle scienze umane, diploma di dirigente di comunità e i titoli equipollenti riconosciuti dal MIUR[142].
Si ricorda,
inoltre, che negli ultimi anni sono stati presentati vari disegni di legge
(A.C. 261, A.C. 572, A.C. 1037) che intendono
disciplinare percorsi formativi universitari e di aggiornamento per la
qualificazione degli educatori dei servizi per l’infanzia. In tutti i disegni
di legge viene sottolineata la necessità di prevedere figure o strutture di
coordinamento pedagogico in grado di svolgere funzioni di supervisione
professionale.
Con riferimento
alla qualificazione degli insegnanti
nella scuola dell’infanzia, da ultimo, l’art. 2 del regolamento emanato con
DM 249/2010 ha previsto la frequenza di un corso di laurea magistrale
quinquennale, a ciclo unico, comprensivo di tirocinio da avviare a partire dal
secondo anno di corso[143].
Relativamente
agli standard strutturali, organizzativi
e qualitativi, si ricorda che, per ogni tipologia di servizio socio
educativo le leggi regionali fissano, innanzi tutto, gli standard di qualità
dei servizi: numero massimo di bambini per educatore, età minima e massima dei
bambini cui viene erogato il servizio; ricettività minima e massima delle
strutture; orario di servizio; coordinamento delle attività (esistenza di un
coordinatore) e collegamento con altre strutture e servizi operanti nel
territorio; requisiti professionali del personale addetto (tipologia, titoli di
studio, esperienza); caratteristiche edilizie ed urbanistiche delle strutture
dove viene svolto il servizio (metri quadrati per bambino, arredi,
attrezzature); modalità di elaborazione delle tabelle alimentari (es.
approvazione della Asl). Seppure omogenei nel genere, tali standard sono molto
differenziati e variano in funzione del territorio, del tipo di servizio e
dell’età dei bambini destinatari (l’età minima di accesso è fissata in più
della metà delle regioni a tre mesi, ma essa può aumentare in relazione alla
tipologia del servizio erogato). Molto diversa da regione a regione è anche la
soglia minima indicata per la ricettività, che può variare da 5 bambini per i
micro asili (a volte definiti nido famiglia, con punte minime di un solo
bambino in Toscana) ad un massimo di 75 per gli asili nido (ad es., in
Piemonte). Un altro elemento di differenza è l’orario di servizio, che può
variare dalle 3, 4 ore al giorno (es. Lombardia) alle 10 ore (es. Umbria,
Friuli Venezia Giulia). Per quanto riguarda, infine, le superfici minime per
bambino, si può stimare che mediamente in Italia la superficie interna è pari a
8mq/bambino, mentre quelle esterne a 27mq/bambino.
Un secondo
aspetto disciplinato dalla normativa regionale riguarda una sorta di “obblighi
di servizio” per l’infanzia. Si tratta di quegli elementi relativi alla vera e
propria erogazione del servizio: definizione di un progetto pedagogico
individualizzato; formazione permanente degli operatori; monitoraggio e
valutazione delle attività; adozione di carte dei servizi.
Il terzo aspetto
riguarda i meccanismi di autorizzazione e di accreditamento, la cui assenza o
carenza in alcune Regioni impedisce l’integrazione tra pubblico e privato,
ovvero l’emersione di una offerta privata regolamentata e di qualità,
all’interno di una governance
pubblica.
·
la
definizione delle funzioni e dei compiti delle regioni e degli enti locali
al fine di potenziare la ricettività dei servizi educativi per
l’infanzia e la qualificazione del
sistema integrato.
A legislazione
vigente, il sistema dei servizi socio educativi per la prima infanzia vede la
compresenza istituzionale dei diversi livelli di governo - Stato, regioni, enti
locali – secondo un quadro di competenze normative ed amministrative che
impongono meccanismi di rapporti e raccordi ispirati alla leale cooperazione e
nel quale il ruolo maggiormente incisivo è rivestito dai comuni.
Il sistema,
scaturito dalla riforma costituzionale del 2001, attribuisce allo Stato compiti di: programmazione, indirizzo e
coordinamento del sistema integrato; determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni educative; determinazione e assegnazione delle risorse a
carico del bilancio statale; determinazione dei criteri di valutazione
dell’offerta educativa e delle prestazioni.
Le regioni, che
ripartiscono agli enti locali le risorse statali, hanno invece compiti di:
programmazione regionale; determinazione degli standard relativi alle modalità
organizzative di funzionamento dei nidi e dei servizi integrativi; definizione
dei requisiti qualitativi per l’accreditamento e per l’autorizzazione al
funzionamento dei servizi socio educativi.
I comuni,
infine, sono responsabili, nel loro territorio, di: programmare e attuare lo
sviluppo del sistema integrato; autorizzare e accreditare i soggetti privati
incaricati di gestire i servizi per la prima infanzia; favorire la continuità
dei servizi socio educativi per la prima infanzia con la scuola dell’infanzia.
Il riparto di
competenza legislativa nel nuovo Titolo V previsto dalla riforma costituzionale
in corso di esame (A.S. 1429-B), con il
superamento della legislazione concorrente, dispone che la programmazione e
organizzazione dei servizi sanitari e sociali sia competenza delle regioni,
rimanendo di competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le disposizioni generali e
comuni per le politiche sociali.
·
Esclusione
dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale.
Gli asili nido
comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune
a seguito di specifica domanda dell’utente.
L’art. 3 del D.L.
786/1981 (L. 51/1982) ha stabilito che, per l’erogazione dei servizi pubblici a
domanda individuale, i comuni devono richiedere la contribuzione degli utenti.
Successivamente, il Decreto del Ministero dell'Interno 31 dicembre 1983 ha
individuato le categorie di servizi classificabili quali “servizi a domanda
individuale”, premettendo che per tali devono intendersi tutte quelle attività
gestite direttamente dall’ente, poste in essere non per obbligo istituzionale,
che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale.
Nel caso degli
asili nido, il livello minimo di contribuzione richiesta all’utente è del 50%,
ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura
percentuale di contribuzione ai costi dei servizi a domanda individuale viene
definita al momento dell’approvazione del bilancio di previsione comunale. Allo
stato attuale, le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base
all’ISEE, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante
5 per cento la retta è unica[144].
Per quanto
concerne la scuola dell’infanzia, si
ricorda che, in base all’art. 1 del d.lgs. 59/2004, la stessa non è obbligatoria. Successivamente,
l’art. 2 del DPR 89/2009 ha previsto che la scuola dell'infanzia accoglie
bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni compiuti entro il 31 dicembre
dell'a.s.di riferimento. Su richiesta delle famiglie
sono iscritti alla scuola dell'infanzia bambini che compiono tre anni di età
entro il 30 aprile dell'as. di riferimento, a
condizione che vi sia disponibilità di posti, si sia accertato l’avvenuto esaurimento
di eventuali liste di attesa, vi sia disponibilità di locali e dotazioni idonei
sotto il profilo dell'agibilità e funzionalità, tali da rispondere alle diverse
esigenze dei bambini di età inferiore a tre anni, vi sia la valutazione
pedagogica e didattica, da parte del collegio dei docenti, dei tempi e delle
modalità dell'accoglienza. Analogamente è prevista la possibilità, previo
accordo in sede di Conferenza unificata, di proseguire con l’attivazione delle
«sezioni primavera» (art. 1, co. 630 e 634, L. 296/2006), stabilendo gli
opportuni coordinamenti con l'istituto degli anticipi.
Alle scuole
dell’infanzia statali si affiancano scuole non statali, paritarie e non
paritarie.
· Istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali,
prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione da parte dello Stato con
trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia; la
restante parte è assicurata dalle regioni e dagli enti locali, al netto delle
entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio.
·
Approvazione
e finanziamento di un Piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato, finalizzato al
raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni.
·
Promozione
della costituzione di Poli per
l’infanzia, destinati a bambini da 0 a 6 anni, anche aggregati a scuole
primarie e istituti comprensivi.
· Istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato, di una commissione di esperti, nominati dal Ministro, dalle regioni e dagli enti locali, con compiti consultivi e propositivi.
Occorre
valutare se non occorra prevedere un maggiore coinvolgimento della Conferenza
Stato-regioni ai fini della adozione del decreto legislativo.
Diritto allo studio (co. 2, lett.
l)
L’obiettivo è quello di rendere effettivo il
diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle
competenze delle regioni, attraverso la definizione
dei livelli essenziali.
In materia si ricorda che i commi terzo e quarto dell’art. 34 della Costituzione dispongono che i
capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi e che la Repubblica
rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e
altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
Non vi è, invece, un esplicito riferimento al diritto
allo studio nell’art. 117 della Costituzione vigente[145].
La consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale ha, peraltro, riconosciuto il carattere trasversale della
competenza in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni, nel senso che essa può incidere anche su ambiti materiali rimessi
alla competenza concorrente o residuale delle Regioni, dal momento che «si
riferisce alla determinazione degli standard
strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi
diritto su tutto il territorio nazionale, in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali» (sentenze
n. 371/2008 e n. 387/2007; nello stesso senso sentenza n. 50 del 2008).
Peraltro, tale titolo di legittimazione «non può essere invocato se non in
relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca
il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 181/2006 e 285/2005; nello
stesso senso, ex multis,
sentenze n. 328/2006, n. 248/2006, n. 423/2004, n. 16/2004; n. 282/2002).
Occorre definire i principi e
criteri direttivi per l’individuazione dei livelli essenziali del diritto allo
studio (si veda, mutatis mutandis,
l’art. 5 della L. 240/2010).
A livello di
legislazione ordinaria, si ricordano:
-
l’art. 200 del d.lgs. 297/1994, che ha previsto l’esonero dal pagamento delle
tasse scolastiche – ad eccezione della tassa di diploma - per merito, per
motivi economici e per appartenenza a speciali categorie di beneficiari;
-
la L. 62/2000, che ha previsto misure di
sostegno del diritto allo studio e
all’istruzione di tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella frequenza
della scuola secondaria superiore, mediante l'assegnazione di borse
di studio di pari importo per gli
alunni delle scuole statali e paritarie[146];
-
vari provvedimenti per il contenimento della spesa delle famiglie per i libri di testo: al riguardo, si veda l’approfondimento
web.
Ausili digitali
per la didattica (co. 2, lett. m)
I principi e criteri direttivi per il
riordino della normativa concernente gli ausili digitali per la didattica e i
relativi ambienti sono i seguenti:
· Definizione delle finalità dell’identità e del profilo digitale di studenti, docenti, dirigenti scolastici e
personale tecnico-amministrativo, e definizione delle relative modalità di
gestione.
· Definizione dei criteri per la tutela della riservatezza dei dati
personali degli studenti, in particolare se minori di età, in relazione al
trattamento dei dati raccolti nell’ambito delle attività didattiche: il
riferimento specifico è alla navigazione in piattaforme digitali dedicate ad apprendimento,
fruizione o produzione di contenuti didattici digitali.
Al
riguardo, occorre valutare la necessità di prevedere sin d’ora il parere del
Garante per la protezione dei dati personali.
· Definizione di criteri per l’adozione di testi didattici in formato digitale e
per la produzione e circolazione di opere e materiali per la didattica anche prodotti autonomamente dagli istituti
scolastici.
In materia, si ricorda che l'art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008)
aveva introdotto nuove modalità di adozione, realizzazione e fruizione dei
testi didattici. In particolare, aveva disposto che:
-
a partire dall'a.s. 2008-2009,
nell'adozione dei testi per le scuole era data preferenza a
quelli disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet;
-
entro un triennio, vale a dire entro l'a.s.
2010-2011, i libri di testo per le scuole del primo ciclo e per gli
istituti di istruzione secondaria superiore erano prodotti nelle versioni a
stampa, on line scaricabile da internet e mista;
-
a decorrere dall'a.s. 2011-2012, il
collegio dei docenti adottava esclusivamente libri utilizzabili nelle
versioni on line scaricabile
da internet o mista, fatta salva
l'adozione di appositi strumenti didattici per i soggetti diversamente abili;
-
i testi scolastici sviluppavano i contenuti essenziali delle Indicazioni
nazionali dei piani di studio e potevano essere realizzati in sezioni
tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento.
Successivamente, l'art. 11, co. 1, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) ha novellato
l'art. 15 del D.L. 112/2008 introducendo la versione digitale del libro
di testo (che va a sostituire quella on line scaricabile da internet) e
fornendo una definizione legislativa di versione mista, in base alla
quale la stessa è costituita, alternativamente, da un testo in formato
cartaceo e contenuti digitali integrativi, ovvero da una combinazione di contenuti
digitali e digitali integrativi accessibili o acquistabili in rete anche in
modo disgiunto.
Ha, altresì, previsto che, a decorrere dall'a.s.
2014/2015, il collegio dei docenti adotta, per le nuove adozioni, esclusivamente
libri nella versione digitale o mista, progressivamente a partire dalle
classi prima e quarta della scuola primaria, dalla prima classe della scuola
secondaria di primo grado e dalla prima e terza classe della scuola secondaria
di secondo grado.
Per la definizione delle caratteristiche tecniche dei libri di testo
nella versione cartacea, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso,
delle caratteristiche tecnologiche dei libri di testo nella versione digitale e
dei criteri per ottimizzare l'integrazione tra i libri in versione digitale,
mista e cartacea, tenuto conto delle specifiche esigenze didattiche, è
intervenuto il DM 27 settembre 2013, n. 781, che -
ribadendo, tra l'altro, che l'obbligo di adozione di libri nella versione
digitale e mista è limitata alle nuove adozioni e non si applica alle
conferme di adozione - reca, altresì, nell'ambito dell'Allegato 1, alcune indicazioni
specifiche relative alle diverse tipologie di libri di testo e di risorse
digitali integrative.
In materia, da ultimo, è intervenuto l'art. 6, co. 1-bis, del D.L.
104/2013 (L. 128/2013) che ha stabilito che le disposizioni di cui all'art. 15
del D.L. 112/2008 si applicano a tutte le istituzioni di istruzione secondaria
di secondo grado (e, dunque, anche alle scuole paritarie private e degli
enti locali).
Inoltre, come già evidenziato nella scheda relativa all’art. 5 del
testo in esame, l’art. 6, co. 1, dello stesso D.L. 104/2013, novellando l’art.
15 del D.L. 112/2008 con l’introduzione del co. 2-bis, ha previsto la produzione,
da parte delle scuole, a decorrere dall’a.s.
2014/2015 e nel termine di un triennio, di
materiale scolastico digitale assunto come libro di testo[147].
Con nota 2581 del 9 aprile 2014, il MIUR ha fatto presente che le linee guida contenenti le indicazioni necessarie per l'elaborazione dei suddetti materiali saranno emanate entro la fine dell’a.s. 2014/2015 e che entro lo stesso termine tutti i materiali didattici digitali prodotti nel corso dell’anno dovranno essere inviati al Ministero - secondo le modalità previste nelle linee guida - al fine di renderli disponibili.
Qui la pagina dedicata
alla Scuola digitale sul sito del MIUR.
Alla luce della ricostruzione effettuata,
occorrerebbe, dunque, esplicitare meglio il criterio direttivo in questione.
Scuole italiane all’estero (co. 2, lett. n)
I principi e criteri direttivi per la revisione, il riordino e
l’adeguamento della normativa in materia di istituzioni ed iniziative
scolastiche italiane all’estero[148] sono i seguenti:
·
definizione dei criteri e
delle modalità di selezione,
destinazione, permanenza in sede del personale docente ed amministrativo.
L’attuale cornice normativa è delineata dagli artt. 639-654 del d.lgs.
297/1994.
In particolare, l’art. 639 - come, da ultimo, modificato dall’art. 14,
co.11, lett. b),
del D.L. 95/2012 (L. 135/2012)[149] - dispone che i contingenti di personale da assegnare, nel limite massimo di 624 unità, alle
scuole italiane all’estero (oltre che alle scuole europee e alle istituzioni
scolastiche e universitarie estere) sono stabiliti ogni 3 anni con decreto del
Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze e con i Ministri competenti. I
contingenti sono soggetti a revisione annuale[150].
L’art. 640 prevede che il
personale dipendente dalle Amministrazioni dello Stato da assegnare alle
istituzioni scolastiche italiane all’estero (oltre che alle scuole europee e
alle istituzioni scolastiche e universitarie estere) è scelto esclusivamente dal personale di ruolo che abbia superato il periodo di straordinariato o
di prova nel ruolo di appartenenza, e che abbia conoscenza delle lingue
straniere richieste per il paese a cui è destinato.
Alla destinazione all’estero si provvede previo accertamento dei requisiti professionali e culturali,
accertamento che è effettuato mediante esami,
integrati dalla valutazione dei titoli professionali e culturali.
Gli esami sono indetti ogni triennio con decreto del Ministro degli
affari esteri e della cooperazione internazionale da emanare di concerto con i
Ministri competenti, e comprendono una o più prove scritte e un colloquio.
Terminate le prove di esame si dà luogo alla valutazione dei titoli e le
graduatorie di merito sono compilate sulla base della somma dei punteggi
riportati nelle prove di esame e nella valutazione dei titoli medesimi. Le
graduatorie hanno validità nei tre anni indicati nel provvedimento di indizione
degli esami.
In base all’art. 642, l’assegnazione
alla sede di servizio dei vincitori avviene
con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione
internazionale, previo nulla osta del Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca o del Ministero da cui dipendono: il predetto
personale è collocato fuori ruolo per il periodo durante il quale esercita le
funzioni.
L’art. 643 dispone che la permanenza all’estero non può essere
superiore a un periodo complessivo di
sette anni scolastici, salva la possibilità di essere ulteriormente
impiegati superando di nuovo le procedure concorsuali di selezione.
L’art. 644 prevede, invece, che il personale destinato all’estero assume l’obbligo di risiedervi per una durata non
inferiore a tre anni. Lo stesso periodo di tempo deve trascorrere prima
della destinazione da una ad altra sede all’estero. Peraltro, in base all’art. 646, la destinazione all’estero
può cessare in qualunque momento per ragioni di servizio, con decreto del
Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per il personale da
questi dipendente.
In base all’art. 648, è vietata l’assunzione di personale
precario, anche se con contratto di diritto privato. Ai sensi dell’art. 654 è, invece, possibile assumere personale non docente per speciali
esigenze in situazioni di difficoltà linguistico-ambientali ed in particolari
aree geografiche, facendo ricorso a impiegati locali a contratto – secondo
le normative locali - in possesso di una conoscenza adeguata della lingua
italiana, da utilizzare per mansioni di concetto, esecutive ed ausiliarie. Il
decreto ministeriale che individua le speciali esigenze determina anche il
contingente da assumere e le aliquote di personale da adibire ai rispettivi
compiti.
·
revisione del trattamento economico del personale
docente ed amministrativo.
L’art. 657 del d.lgs. 297/1994 prevede che le spese per il personale a qualunque
titolo in servizio presso le istituzioni scolastiche all’estero rimangano a
carico dell’Amministrazione di appartenenza.
In
particolare, in base all’art. 658,
al personale in questione è corrisposto, oltre allo stipendio ed agli assegni
di carattere fisso e continuativo previsti in Italia, uno speciale assegno di sede a carattere non retributivo, volto a
sopperire agli oneri derivanti dal servizio all’estero.
L’assegno è
costituito dall’assegno-base, nonché dalle maggiorazioni relative alle singole
sedi, in base a coefficienti fissati con decreto del Ministro degli affari
esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro
dell’economia delle finanze. Agli assegni di sede si applicano le medesime
maggiorazioni per situazioni di rischio e disagio stabilite per il personale
diplomatico in servizio nella stessa sede.
Sono altresì
previsti aumenti per situazione di
famiglia, un’indennità di
sistemazione, contributi per spese
di abitazione e di viaggio e per
il trasporto degli effetti, provvidenze scolastiche. Infine, sono estese le provvidenze previste per il rimanente personale del Ministero
degli affari esteri e della cooperazione internazionale in materia di decesso
durante il servizio all’estero, di danni e assistenza sanitaria (artt. 659-672).
In base
all’art. 673, dedicato alla valutazione del servizio prestato
all’estero, questo è calcolato, agli effetti degli aumenti periodici dello
stipendio, il doppio per i primi due anni e con l’aumento di un terzo per i
successivi. Ai fini del trattamento di quiescenza, la maggiorazione è della
metà per i primi due anni e di un terzo per gli anni successivi.
Occorre
peraltro ricordare che negli ultimi anni
vi sono stati vari interventi di carattere normativo che hanno inciso sul trattamento economico del personale delle
scuole italiane all’estero.
In particolare:
l’art. 1, co. 38 e 39, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha disposto una
riduzione degli assegni di sede, nella misura di 712.265 euro annui; l’art. 1,
co. 320, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha previsto una riduzione
degli stanziamenti per il personale in
servizio nelle istituzioni scolastiche e culturali all'estero, nella misura di €
3,7 mln per il 2015 e di € 5,1 mln annui a decorrere dal 2016.
·
previsione della disciplina
delle sezioni italiane all’interno di scuole
straniere o internazionali.
Tali sezioni
non sono espressamente disciplinate dalla normativa vigente: trovano
applicazione, in questo caso, le disposizioni di cui all’art. 625 del d.lgs. 297/1994,
in forza del quale il Governo ha facoltà di istituire, mantenere e sussidiare
all’estero scuole ed altre istituzioni educative e quelle di cui al già citato art. 639, co. 1 che riguarda i
contingenti del personale di ruolo dello Stato da assegnare anche alle istituzioni scolastiche ed
universitarie estere.
Attualmente
sono operanti 7 sezioni italiane
all’interno di scuole europee, di cui tre a Bruxelles e le altre,
rispettivamente, a Lussemburgo, Francoforte, Monaco di Baviera e Varese, e 76 sezioni italiane all’interno di scuole
straniere, bilingui o internazionali, di cui 60 in Unione Europea, 14 in
Paesi non UE, una nelle Americhe e una in Oceania.
·
revisione della disciplina
dell’insegnamento di materie
obbligatorie secondo la legislazione locale o l’ordinamento scolastico italiano da affidare ad insegnanti a contratto
locale.
Al riguardo, l’art.
653 del d.lgs. 297/1994 prevede
che, in mancanza di personale di ruolo, possano essere affidati a personale straniero in possesso dei
requisiti prescritti dalle disposizioni locali insegnamenti di materie obbligatorie secondo la normativa
dei paesi ove hanno sede le scuole, non previste dall’ordinamento scolastico
italiano.
Attualmente non è, dunque, previsto
l’affidamento dell’insegnamento di materie obbligatorie secondo l’ordinamento
scolastico italiano a personale a contratto locale.
Può essere utile segnalare, a tale proposito, che,
nella sua formulazione originaria, l’art. 9 del D.L. 101/2013 (L. 125/2013),
consentiva, in primo luogo, di avvalersi anche di personale italiano a
contratto locale, residente nel paese ospitante da almeno un anno, oltre che
straniero, per l'insegnamento delle materie obbligatorie nei paesi esteri. In
secondo luogo, per gli insegnamenti di
materie obbligatorie nelle scuole italiane, si consentiva la conclusione di contratti con personale italiano o
straniero, con conoscenza dell'italiano e residente nel paese da almeno un anno.
La previsione fu soppressa durante l’esame parlamentare.
Valutazione e certificazione delle competenze degli
studenti ed esami di Stato (co. 2, lett. o)
Sull’argomento, il testo prevede la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e delle modalità di svolgimento degli esami di Stato, anche
in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle
competenze.
Non sono, tuttavia, indicati
principi e criteri direttivi. In primis, non è indicato se si intende fare
riferimento solo agli studenti degli istituti di istruzione secondaria di
secondo grado o anche a quelli degli istituti di istruzione secondaria di primo
grado. Inoltre, dato l’utilizzo non univoco, nella legislazione vigente, dei
termini “alunno” e “studente”, non è chiaro se ci si intenda riferire anche a
chi frequenta la scuola primaria.
Solo la relazione illustrativa evidenzia che
“si intende valorizzare il carattere formativo della valutazione in tutti i cicli di istruzione,
assicurando il raccordo con le competenze chiave di cittadinanza e l’ancoraggio
al quadro di riferimento europeo”.
La valutazione degli studenti
In materia, le ultime novità sono
state introdotte con gli artt. 2 e 3 del D.L. 137/2008 (L. 169/2008).
In particolare, l’art. 2 ha previsto
la reintroduzione del voto in condotta per gli “studenti” nella scuola
secondaria di primo e di secondo grado.
L’art. 3 ha, invece, previsto la
valutazione in decimi del rendimento degli “alunni” nella scuola primaria e secondaria di primo grado.
Le disposizioni in materia di
valutazione “degli alunni”
(espressione nella quale sono stati ricompresi quanti frequentano sia il primo
che il secondo ciclo di istruzione) sono poi state coordinate, come previsto
dallo stesso D.L. 137/2008, con il DPR
122/2009 che, in base al suo stesso art. 14, co. 8, può essere
rivisto, con modifiche e integrazioni, in relazione alla ridefinizione
degli assetti del sistema scolastico derivanti dall’art. 64 del D.L. 112/2008
(L. 133/2008).
Sulle modalità di valutazione, si
veda l’apposito approfondimento
web.
La disciplina sugli esami di
Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria di primo grado
Con circolare n. 48
del 31 maggio 2012 il MIUR ha fornito istruzioni a carattere permanente
sugli esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione, facendo
anzitutto riferimento alla sintesi in materia operata con il DPR 122/2009.
L’art. 3 di quest’ultimo prevede che
all'esito dell'esame di Stato concorrono gli esiti delle prove scritte e orali, compresa la prova scritta nazionale di cui all'art. 11, co. 4-ter, del d.lgs. 59/2004, che è volta a
verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli
studenti. I testi relativi alla prova nazionale sono scelti dal Ministro tra
quelli predisposti annualmente dall’INVALSI, conformemente alla direttiva
periodicamente emanata dal Ministro stesso, e inviati alle istituzioni
scolastiche.
La circolare 48/2012 precisa che le prove scritte continuano a riguardare,
come in passato, italiano, matematica e
lingue straniere. Il colloquio
verte sulle discipline di insegnamento
dell’ultimo anno, escluso l’insegnamento della religione cattolica.
La disciplina sugli esami di
Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria di secondo grado
L’art. 3 della L. 425/1997 – come,
da ultimo, sostituito dall’art. 1 della L. 1/2007 - prevede che l'esame di
Stato al termine del secondo ciclo di istruzione comprende tre prove scritte ed un colloquio.
La prima prova scritta è volta ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale
si svolge l'insegnamento, nonché le capacità espressive,
logico-linguistiche e critiche dello studente.
La seconda prova scritta ha
per oggetto una delle materie
caratterizzanti il corso di studio. Le materie
oggetto della seconda prova scritta sono individuate
dal Ministro entro la prima decade del mese di aprile di ciascun anno.
La terza prova scritta è espressione dell'autonomia
didattico-metodologica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche ed è
correlata al piano dell'offerta formativa. Essa è a carattere
pluridisciplinare, verte sulle materie
dell'ultimo anno di corso e consiste nella trattazione sintetica di
argomenti, nella risposta a quesiti, ovvero nella soluzione di problemi o di
casi pratici e professionali o nello sviluppo di progetti, ed è strutturata in
modo da consentire, di norma, anche l’accertamento della conoscenza di una
lingua straniera. I modelli per l’elaborazione di tale prova sono predisposti
dall’INVALSI.
Il colloquio si svolge su argomenti di interesse multidisciplinare
attinenti ai programmi e al lavoro
didattico dell'ultimo anno di corso.
Per l’a.s.
2014/2015 le materie della seconda prova scritta sono state individuate con DM n.39 del 29
gennaio 2015.
Nella GU n. 45 del 24 febbraio 2015
è stato, inoltre, pubblicato il DM 29 gennaio 2015, n. 10, recante il Regolamento per
lo svolgimento della seconda prova scritta degli esami di Stato, che ha
abrogato l’art. 2 del precedente DM 23 aprile 2003, n. 139.
Si ricorda, infine, che i commi da 350 a
352 dell’art. 1 della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) hanno previsto che
con decreto ministeriale (che doveva essere adottato entro 60 giorni dalla data
di entrata in vigore della legge) si modifichi
della disciplina inerente la composizione delle commissioni per gli esami
di maturità e i compensi per i relativi componenti. Ha, altresì, previsto
l’utilizzazione delle economie che da ciò deriveranno per gli interventi ai
quali è destinato il Fondo “La buona scuola” di cui ai commi 4 e 5 dello stesso
art. 1.
Più approfonditamente, si vedano i dossier
n. 233/6 Tomo I e n. 233/6 Tomo II del 23 gennaio
2015.
Qui si evidenzia solo che, con
riferimento alla previsione di modifica della disciplina “con effetto dall’anno
2015”, il 25 marzo
2015, rispondendo all’interrogazione a risposta immediata 3-01391, il
Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha fatto presente che
“essendo intervenuta ad anno scolastico avviato, non può che trovare piena
applicazione a partire dall'anno scolastico 2015-2016”
La certificazione delle
competenze degli studenti
La certificazione delle competenze
degli studenti è stata prevista dall’art.
10 del DPR 275/1999 che, in
particolare, ha disposto che con decreto ministeriale sono adottati i nuovi
modelli per le certificazioni, che indicano le conoscenze, le competenze, le
capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili, compresi quelli
relativi alle discipline e alle attività realizzate nell'ambito
dell'ampliamento dell'offerta formativa o liberamente scelte dagli alunni e debitamente
certificate.
In seguito, è stata prevista dalla L. 53/2003.
Da ultimo, è intervenuto l’art. 8 del DPR 122/2009 in base al quale nel primo ciclo dell'istruzione le
competenze acquisite dagli “alunni” sono descritte e certificate al termine
della scuola primaria e, relativamente al termine della scuola secondaria di
primo grado, accompagnate anche da valutazione in decimi.
Per il secondo ciclo di istruzione il
DPR dispone che sono utilizzate come parametro di riferimento, ai fini del
rilascio della certificazione circa
l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, di cui all'articolo 4 del DM 139/2007,
le conoscenze, le abilità e le competenze di cui all'allegato del medesimo
decreto.
Dispone, altresì, che la certificazione finale ed intermedia per
il riconoscimento dei crediti formativi e delle competenze in esito ai percorsi di istruzione e formazione
professionale è definita dall'art. 20 del d.lgs. 226/2005.
Per la certificazione relativa agli esami
di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado fa riferimento all’art. 6 della L. 425/1997.
In generale, prevede che le
certificazioni delle competenze concernenti i diversi gradi e ordini
dell'istruzione sono determinate anche sulla base delle indicazioni espresse dall’INVALSI
e delle principali rilevazioni internazionali.
Infine, dispone che i modelli per le
certificazioni delle competenze sono adottati con decreto ministeriale.
Il modello di certificazione dei saperi e delle competenze acquisite al termine
dell'assolvimento dell'obbligo di istruzione è stato adottato con DM 27 gennaio
2010 (pubblicato nella GU 25 giugno 2010, n. 146).
Con circolare
ministeriale n. 3 del 13 febbraio 2015 il MIUR ha messo a disposizione
delle scuole, ai fini di una adozione graduale e sperimentale, “attesa la loro
natura di "documento di lavoro" non ancora formalizzato sul piano
normativo” due distinti modelli di certificazione delle competenze al termine
della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado, corredati di "Linee
guida" per la loro compilazione.
Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni per
l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e
degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle
competenze
Il D.lgs. 16 gennaio 2013, n. 13, emanato in attuazione dell’art. 4, co. 58 e 68, della L. 92/2012[151], definisce le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e gli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze.
In sostanza, ha lo scopo di valorizzare il c.d. apprendimento permanente, cioè le attività intraprese dalla persona nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di continua crescita dell’individuo e per una sua “spendibilità” nel mercato del lavoro.
Nel corso di tale apprendimento si realizzano le competenze, cioè un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei tre contesti (formale, non formale e informale).
In particolare, il d.lgs. identifica i soggetti abilitati ad erogare i servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze nei cd. enti titolati (cioè ogni soggetto, pubblico o privato, comprese le C.C.I.A.A., autorizzato o accreditato dall'ente pubblico titolare, ovvero deputato a norma di legge statale o regionale, comprese le istituzioni scolastiche, le università e le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, a erogare in tutto o in parte servizi di individuazione e validazione e certificazione delle competenze, in relazione ai rispettivi ambiti di titolarità). Viene inoltre avviato il sistema nazionale di certificazione delle competenze, consistente nell'insieme dei servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze erogati nel rispetto delle norme generali, dei livelli essenziali delle prestazioni e degli standard minimi indicati nello stesso D.lgs.[152], sul quale è previsto uno specifico monitoraggio (art. 9).
Alla verifica del rispetto dei livelli di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze (nel rispetto dei principi di terzietà e indipendenza) è preposto un comitato tecnico nazionale.
Al fine di uniformarsi alle direttive europee e per favorire l’incontro tra domanda ed offerta all’interno del mercato del lavoro europeo, l’art. 8 istituisce il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, attraverso la progressiva standardizzazione degli elementi essenziali dei titoli di
istruzione e formazione (compresi quelli di istruzione e formazione professionale e delle qualificazioni professionali).
In base all’art. 11, fino alla completa implementazione del repertorio nazionale, e comunque per un periodo di norma non superiore ai 18 mesi, gli enti pubblici titolari continuano ad operare, in materia di individuazione e validazione e certificazione delle competenze, nell'ambito delle disposizioni del proprio ordinamento.
L’articolo
22 prevede deroghe alla normativa vigente, in particolare, in materia di
pareri dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola e delle
Commissioni parlamentari.
Dispone, inoltre, che le previsioni
contrattuali contrastanti con quanto previsto dalla legge sono inefficaci.
In particolare, il comma 1 dispone che per l’adozione degli atti normativi attuativi
del provvedimento in esame non è
richiesto il parere dell’organo collegiale consultivo nazionale della
scuola.
La relazione
illustrativa motiva tale previsione in relazione al fatto che tale organo
non è ancora costituito.
Al riguardo, in relazione a
quanto esposto nella scheda di lettura relativa all’art. 21, co. 2, lett. f) circa l’indizione delle elezioni per la
costituzione del CSPI per il 28 aprile 2015 e circa il fatto che già l’art. 6,
co. 1, del D.L. 192/2014 ha previsto che il parere dell’organo consultivo
nazionale non è richiesto fino al 31 dicembre 2015, mentre, invece, per la
maggior parte degli atti normativi attuativi del testo in esame è previsto un
termine di emanazione più ampio, si valuti l’opportunità di un chiarimento.
Il comma
2 dispone che il regolamento sulla razionalizzazione e l’accorpamento delle
classi di concorso, previsto dall’art. 64, co. 4, lett.
a), del D.L. 112/2008 (L. 133/2008),
non si applica per la procedura del piano straordinario di assunzioni.
La relazione
illustrativa chiarisce che l’obiettivo è quello di procedere alle
assunzioni relative al piano straordinario senza considerare la revisione delle
classi di concorso prevista dall’art. 64 del D.L. 112/2008.
Tuttavia, in considerazione del
fatto che il regolamento in questione non è stato adottato - come evidenziato
nella scheda di lettura relativa all’art. 21, co. 2, lett.
c), ove si prevede un nuovo intervento con lo strumento del decreto legislativo
– non è chiaro il senso della previsione.
Il comma
3 dispone che, limitatamente all’anno scolastico 2015/2016, per la
determinazione dell’organico dell’autonomia non è richiesto il parere delle
Commissioni parlamentari.
Al riguardo si ricorda che l’art. 19, co. 10, del D.L.
98/2011 (L. 111/2011), interpretando autenticamente l’art. 22, co. 2, della L.
448/2001 - che prevede il parere delle Commissioni parlamentari ai fini della
definizione dei parametri per la definizione dell’organico dei docenti -, ha
precisato che il parere è richiesto ogni volta che i parametri sono modificati.
Il comma
4 dispone che, fermo restando, per le scuole italiane all’estero, il
contingente del personale docente di ruolo dello Stato previsto dall’art. 639,
co. 3, del d.lgs. 297/1994 - come rideterminato, nel limite massimo di 624
unità, dall’art. 14, co. 11, lett. b), del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) - le
disposizioni recate dal testo in esame si applicano alle scuole italiane all’estero compatibilmente
con le specifiche situazioni locali (sull’argomento, si veda anche quanto
dispone l’art. 21, co. 2, lett. n).
Il comma
5 dispone che le norme recate dal testo sono inderogabili e che le norme e
le procedure contenute nei contratti
collettivi, contrastanti con quanto previsto dal testo, sono inefficaci.
Articoli 24 e
23, comma 1
(Disposizioni finanziarie e abrogazioni)
L’articolo
24 individua i limiti di spesa dell’incremento della dotazione organica del
personale docente a decorrere dall’a.s. 2015/2016,
istituisce nello stato di previsione del MIUR il “Fondo ‘La Buona Scuola’ per
il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione scolastica”, individua la
copertura finanziaria degli oneri recati dal testo in esame e prevede la
costituzione di un comitato di verifica tecnico-finanziaria. Conseguentemente
(sembrerebbe) l’articolo 23, co. 1,
abroga i commi 8 e 9 dell’art. 19 del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).
Infine, l’art. 24 reca disposizioni sul
termine di presentazione delle domande per la ricostruzione di carriera del
personale scolastico.
Il comma
1 dell’art. 24 prevede i limiti di
spesa dell’incremento della dotazione organica del personale docente a
decorrere dall’a.s. 2015/2016, rispetto a quella
determinata dall’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) – nel quale,
come si è visto in altra scheda, l’art. 23, co. 2, del testo in esame sopprime
il riferimento ai docenti – e dall’art. 15, co. 2 e 2-bis, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), relativa ai docenti di
sostegno.
In particolare, a decorrere dall’a.s. 2015/2016, la dotazione organica del personale
docente è incrementata nel limite di:
·
€ 544,18
nel 2015;
·
€
1.853,35 nel 2016;
·
€
1.865,70 nel 2017;
·
€
1.909,60 nel 2018;
·
€
1.951,20 nel 2019;
·
€
2.012,93 nel 2020;
·
€
2.058,50 nel 2021;
·
€
2.104,44 nel 2022;
·
€
2.150,63 nel 2023;
·
€
2.193,85 nel 2024;
·
€
2.233,60 dal 2025.
Il comma
2 dell’art. 24 prevede che nello stato di previsione del MIUR è iscritto un
fondo di parte corrente denominato “Fondo
‘La Buona Scuola’ per il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione
scolastica” con i seguenti stanziamenti:
·
€
11.683.000 per il 2015;
·
€
97.713.000 per il 2015;
·
€
134.663.000 per il 2017;
·
€
81.963.000 per il 2018;
·
€
47.863.000 per il 2019;
·
€
30.000.000 per il 2020;
·
€
30.000.000 per il 2021;
·
€ 33.923.000 per il 2022.
Al riparto del
Fondo si provvede con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e
della ricerca, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, che può
destinare fino ad un massimo del 10% dello stesso ai servizi istituzionali e
generali del MIUR per le attività di supporto al sistema di istruzione
scolastica.
Il comma 3 dell’art. 24 reca la copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento in esame, quantificati nel complesso pari ad € 1.000 milioni per l'anno 2015, ad € 3.000 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, ad € 3.036,367 milioni per l'anno 2020, ad € 3.076,137 milioni per l'anno 2021, ad € 3.000 milioni per l'anno 2022, ad € 3.012,267 milioni per l'anno 2023, ad € 3.055,487 milioni per l'anno 2024 e ad € 3.095,237 milioni a decorrere dall'anno 2025.
Le norme onerose indicate sono le seguenti:
- art. 2, co. 16, che incrementa il Fondo per il
funzionamento delle istituzioni scolastiche statali di € 126 milioni annui dal 2016
sino al 2021;
- art. 4, co. 7, che fissa in € 100 milioni a decorrere
dal 2016 il limite di spesa per l’alternanza scuola-lavoro e i periodi di
formazione in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato;
- art. 5, co. 6, che autorizza la spesa di 30 milioni di
euro a decorrere dal 2016 per la digitalizzazione della scuola e lo sviluppo
della didattica laboratoriale;
- art. 7, co. 7, che prevede l’incremento del Fondo
unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici
di € 12 milioni per il 2015 e di € 35 milioni annui a decorrere dal 2016;
- art. 10, co. 3 e 5, che autorizzano, rispettivamente, la
spesa di € 381 milioni a decorrere dal 2015 per l’istituzione della Carta elettronica
per l’aggiornamento e la formazione del docente e di € 40 milioni a decorrere
dal 2016 per la formazione in servizio dei docenti di ruolo;
- art. 11, che autorizza la spesa di € 200 milioni annui
a decorrere dal 2016 per la valorizzazione del merito del personale docente;
- art. 12, co. 2, che prevede l’istituzione nello stato
di previsione del MIUR del “Fondo per i pagamenti in esecuzione di
provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni
conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva
superiore a 36 mesi”, con una dotazione finanziaria di € 10 milioni per
ciascuno degli anni 2015 e 2016;
- art. 14, co. 5, che prevede l’istituzione del Portale
unico dei dati della scuola, con oneri pari a € 1 milione per il 2015 e a € 0,1
milioni a decorrere dal 2016;
- art. 16, co. 6, che autorizza la spesa di € 7,5
milioni per il 2016, € 15 milioni per il 2017, € 20,8 milioni per il 2018, € 13,3
milioni per il 2019 e € 5,8 milioni per il 2020 per la concessione del credito
d’imposta (School bonus);
- art. 17, co. 1, che prevede la detraibilità del 19%
delle spese sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia e del primo
ciclo del sistema nazionale di istruzione, per un importo annuo non superiore a
€ 400, per un ammontare totale di detrazione di circa € 66,4 milioni;
- art. 18, co. 3, che reca oneri per € 3 milioni per il
2016, € 6 milioni per il 2017 e € 9 milioni a decorrere dal 2018 per i canoni
di locazione da corrispondere all'Inail;
- art. 20, co. 1, recante delega al Governo per il
riassetto, la semplificazione e la codificazione delle disposizioni di legge
vigenti in materia di Sistema nazionale di istruzione e formazione;
- art. 24, co. 1 e 2, per i quali si veda ante.
Agli oneri suddetti si provvede:
a) quanto a € 1.000 milioni per l’anno 2015 e a € 3.000 milioni a decorrere dall’anno 2016, mediante riduzione del Fondo “La buona scuola” di cui all’art. 1, co. 4, della L. 190/2014.
In base all’art. 1, co. 4, della L. 190/2014, il Fondo è istituito al fine di dotare il paese
di un sistema di istruzione scolastica che si caratterizzi per:
- un rafforzamento dell’offerta formativa e della
continuità didattica;
- la valorizzazione dei docenti e una sostanziale
attuazione dell’autonomia scolastica, anche attraverso la valutazione.
In particolare, le finalizzazioni prioritarie
riguardano la realizzazione di un piano straordinario di assunzioni, il
potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e la formazione di docenti e
dirigenti.
b) quanto a 36,367 milioni per l’anno 2020, a 76,137 milioni per l’anno 2021, a 12,267 milioni per l’anno 2023, a 55,487 milioni per l’anno 2024 e a 95,237 milioni di euro a decorrere dall’anno 2025, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
Il Fondo è stato
istituito dall'art. 10, co. 5, del D.L. 282/2004 (L. 307/2004) al fine di
agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante
interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto
nello stato di previsione del MEF (cap. 3075) viene utilizzato in modo
flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di
interventi legislativi recanti oneri finanziari. Nel bilancio di previsione per gli anni 2015-2017 (L. 191/2014 e
relativo D.M. Economia del 29 dicembre 2014 di ripartizione del bilancio in
capitoli) il Fondo presenta una dotazione pari a € 271,7 milioni per il 2015, a
€ 415 milioni per il 2016 e a € 314,4 milioni per il 2017.
c) quanto a 184.752.700 euro per l'anno 2015, a 362.650.250 euro per l’anno 2016, a 376.160.500 euro per l’anno 2017, a 384.869.000 euro per l’anno 2018, a 389.693.000 per l’anno 2019, a 379.753.950 euro per l'anno 2020, a 357.652.500 euro per l'anno 2021, a 335.371.600 euro per l'anno 2022, a 312.969.450 euro per l'anno 2023, a 292.007.750 euro per l'anno 2024 e a 272.729.000 euro a decorrere dall'anno 2025, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali.
Si tratta del
Fondo istituito dall’art. 6, co. 2, del D.L. 154/2008 (L. 189/2008),
finalizzato a compensare gli effetti negativi scaturenti, in termini di cassa,
da specifici contributi di importo fisso costante con onere a carico dello
Stato, concessi in virtù di autorizzazioni legislative. Nel bilancio di previsione per gli anni
2015-2017 (cap. 7593/Economia), il Fondo presenta una dotazione di sola cassa
pari a 247,8 milioni per il 2015, 367,9 milioni per il 2016 e a 403,2 milioni
per il 2017.
Il comma 4 dell’art. 24, pur ribadendo le competenze istituzionali di controllo e verifica del MIUR e del MEF, dispone la costituzione - tramite decreto interministeriale, a decorrere dall’a.s. 2015-2016, di un apposito un comitato di verifica tecnico-finanziaria, composto da rappresentanti dei due Ministeri, ai quali, in base al comma 6, non spetta alcun compenso, né rimborso spese.
Al comitato è affidato il monitoraggio della spesa concernente l’organico dell’autonomia in relazione all’attuazione del piano straordinario di assunzioni, la progressione economica dei docenti e l’utilizzo del fondo per il risarcimento (di cui all’art. 12).
Il comma 5 dell’art. 24 reca la clausola di salvaguardia finanziaria, prevedendo che, qualora, a seguito della procedura di monitoraggio, dovesse emergere una spesa complessiva superiore a quella prevista, sono adottate idonee misure correttive, al fine di assicurare il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione (art. 17, co. 13, L. 196/2009).
Con riferimento alla clausola di salvaguardia
finanziaria, si ricorda che l’art. 17,
co. 1 della L. 196/2009 prevede che ciascuna legge recante nuovi o maggiori
oneri deve indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento
previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa,
ovvero le relative previsioni di spesa, definendo, in tal caso, una specifica
clausola di salvaguardia.
Il co. 12
dispone che le clausole di salvaguardia devono essere effettive ed automatiche,
dovendo indicare le misure di riduzione delle spese o di aumento dell’entrata,
con esclusione del ricorso ai fondi di riserva, da adottare nel caso in cui si
verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle
previsioni di spesa. In tali casi, sulla base di un apposito monitoraggio, il Ministro dell’economia e
delle finanze adotta le misure indicate dalla clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita
relazione, che dovrà indicare le cause degli scostamenti, anche ai fini della
revisione dei dati e dei metodi utilizzati per al quantificazione degli oneri
autorizzati.
Per le leggi non espressamente corredate da clausole
di salvaguardia, suscettibili di recare pregiudizio al conseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica, ovvero in caso di sentenze definitive di organi
giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della
normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri, il co. 13 dispone che siano assunte, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, le conseguenti iniziative legislative, fermo restando quanto disposto in materia
di interventi correttivi del costo del personale dall’art. 61 del d.lgs.
165/2001.
Sembrerebbe che, in conseguenza di quanto disposto dai commi 4 e 5, l’articolo 23, co. 1, abroga, a decorrere dall’a.s. 2015-2016, i commi 8 e 9 dell’art. 19 del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).
Il co. 8 dell’art. 19 del
D.L. 98/2011 dispone che il comitato di verifica tecnico-finanziaria istituito
ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) provvede annualmente al
monitoraggio e alla verifica del conseguimento degli obiettivi di cui al co. 7
- che, come si è detto nella scheda di commento relativa all’art. 6 del testo
in esame, prevede che, a decorrere dall’a.s.
2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA non
devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso
personale determinata nell'a.s.2011/2012 - al fine di adottare eventuali
interventi correttivi nel caso di scostamento.
Il co. 9 dispone che, per
garantire l'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio derivanti dal
contenimento delle dotazioni organiche, si applica la procedura di cui all'art.
1, co. 621, lett. b),
della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che prevede la riduzione lineare delle dotazioni complessive di bilancio del
Ministero, ad eccezione di quelle relative alle competenze spettanti al
personale della scuola e dell'amministrazione centrale e periferica della
pubblica istruzione, fino a concorrenza degli importi indicati.
Il comma 7 dispone che, ferma restando la disciplina vigente per l'esercizio del diritto al riconoscimento dei servizi (prestati antecedentemente alla nomina) agli effetti della carriera, le relative domande del personale scolastico sono presentate al dirigente scolastico nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 31 dicembre di ciascun anno.
Per una corretta programmazione della spesa, entro il 28 febbraio dell’anno successivo il MIUR comunica al Dipartimento della ragioneria generale i dati relativi alle suddette domande.
Con il termine "ricostruzione di carriera" si indica l’istituto attraverso il
quale, d'ufficio o a domanda
dell’interessato, si determinano il trattamento economico ed il successivo
sviluppo di carriera del personale scolastico in virtù di servizi prestati
antecedentemente alla nomina. Dal 1° settembre 2000, come previsto dall’art. 14
del DPR 275/1999, la ricostruzione di carriera è di competenza delle
istituzioni scolastiche.
Essa è attuata mediante decreto del Dirigente scolastico, a cui viene indirizzata la
domanda, da presentarsi al termine del
periodo di prova e comunque entro 10
anni dal superamento dello stesso, contenente l’elenco di tutti i servizi
valutabili.
Qui una guida operativa alla ricostruzione di
carriera predisposta dal MIUR.
Il comma 8 autorizza il Ministero dell’economia
e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di
bilancio.
[1] In base all’art. 15 del medesimo DPR, sono escluse dall'attribuzione alle istituzioni scolastiche le seguenti funzioni in materia di personale:
a) formazione delle graduatorie permanenti
riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli della singola istituzione
scolastica;
b) reclutamento del personale docente e ATA con
rapporto di lavoro a tempo indeterminato;
c) mobilità esterna alle istituzioni scolastiche
e utilizzazione del personale eccedente l'organico funzionale di istituto;
d) autorizzazioni per utilizzazioni ed esoneri
per i quali sia previsto un contingente nazionale; comandi, utilizzazioni e
collocamenti fuori ruolo;
e) riconoscimento di titoli di studio esteri.
[2] La relazione tecnica del ddl di conversione (A.C. 4940) qualificava l’organico dell’autonomia come “dotazione di personale docente, educativo ed ATA che consenta alle istituzioni scolastiche di far fronte a tutte le esigenze derivanti sia dall’organizzazione delle attività didattiche ordinarie, sia dalle situazioni di fatto che, all’avvio o nel corso dell’anno scolastico, determinino scostamenti dalle previsioni iniziali (variazione di alunni rispetto al valore stimato prima delle iscrizioni, aumento delle certificazioni mediche per il sostegno o assenze brevi e temporanee dei docenti, fenomeni di dispersione scolastica, etc.)”.
[3]
I decreti
attuativi della riforma della scuola secondaria di secondo grado hanno previsto l’insegnamento di una disciplina
non linguistica in lingua straniera nell’ultimo
anno di Licei e Istituti Tecnici e negli ultimi tre anni dei Licei Linguistici
(art. 8, co. 2, lett. b), del DPR 88/2010 e artt. 6, co. 2, e 10, co. 5, del DPR 89/2010). In
particolare, per quanto
concerne gli Istituti Tecnici, la norma rimandava a un successivo decreto
interministeriale MIUR-MEF – non ancora intervenuto – la definizione dei
criteri generali per l'insegnamento, in lingua inglese, di una disciplina non
linguistica compresa nell'area di indirizzo del quinto anno.
Nell’a.s.
2012/2013 è stato dato avvio
all’introduzione della metodologia CLIL esclusivamente nel terzo anno dei Licei Linguistici, con prosecuzione
graduale nei successivi anni di corso (per approfondimenti, si v. la pubblicazione
MIUR, presentata il 5 marzo 2014, L'introduzione della metodologia CLIL nei
Licei Linguistici. Rapporto di monitoraggio nelle classi terze dell’a.s. 2012/2013).
Per consentire l’avvio anche con riguardo al quinto anno di Licei e Istituti Tecnici, la nota MIUR prot. n. 4969 del 25 luglio 2014, nelle more dell’emanazione del decreto attuativo delle disposizioni relative agli Istituti Tecnici, ha dettato norme transitorie per l’a.s. 2014/2015.
[4] L’art. 4 del DPR 89/2009 stabilisce che il tempo della scuola primaria è svolto secondo le differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale a 24, 27 e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell’organico assegnato; è previsto altresì il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno.
L’art. 5 prevede che l’orario annuale obbligatorio delle lezioni nella scuola secondaria di I grado è di complessive 990 ore, corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento riferita agli insegnamenti di materie letterarie. Nel tempo prolungato il monte ore è determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40.
[5] In particolare, il quadro
orario settimanale della scuola
secondaria di I grado è così determinato:
Disciplina |
Orario settimanale |
Orario settimanale (tempo prolungato) |
Italiano, Storia,
Geografia |
9 |
15 |
Attività di
approfondimento |
1 |
1
(o 2) |
Matematica e scienze |
6 |
9 |
Tecnologia |
2 |
2 |
Inglese |
3 |
3 |
Seconda
lingua comunitaria |
2 |
2 |
Arte e immagine |
2 |
2 |
Scienze motorie e sportive |
2 |
2 |
Musica |
2 |
2 |
Religione cattolica |
1 |
1 |
TOTALE |
30 |
39
(o 40) |
[6] Il DPR 89/2009 aveva previsto che, in sede di prima attuazione, e comunque per un periodo non superiore a tre anni scolastici decorrenti dall'a.s. 2009-2010, si applicavano le Indicazioni nazionali di cui agli allegati A, B, C e D del d.lgs. 59/2004, come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 31 luglio 2007, e che all’eventuale revisione delle stesse si sarebbe pervenuti nel corso del triennio scolastico 2009/2010-2011/2012.
[7] In base al
co. 10 dell’art. 5 del DPR 89/2009, dall'a.s.
2009/2010, a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di
organico e l'assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria, è
introdotto l'insegnamento dell'inglese
potenziato
anche utilizzando le 2 ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria
ovvero i margini di flessibilità previsti dall’art. 4, co. 2, del DPR 275/1999.
Le stesse ore sono utilizzate anche per potenziare l'insegnamento della lingua
italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze.
[8] L'insegnamento di
“Cittadinanza e Costituzione”, previsto dal D.L. 137/2008 (L. 169/2008), è
inserito nell’area disciplinare storico-geografica.
[9] L'insegnamento
della Religione cattolica è disciplinato dagli accordi concordatari.
[10] Il percorso del
liceo artistico si articola, a partire dal secondo biennio, nei seguenti
indirizzi: arti figurative; architettura e ambiente; design; audiovisivo e
multimediale; grafica; scenografia.
[11] Il percorso del liceo musicale e coreutico si articola nelle rispettive sezioni (musicale e coreutica).
[12]
Nell’ambito
della programmazione regionale dell'offerta formativa, può essere attivata l'opzione
“scienze applicate”.
[13]
Nell'ambito
della programmazione regionale dell'offerta formativa, può essere attivata
l'opzione “economico-sociale”.
[14] L’art. 8, co. 2, lett. d), del DPR
88/2010 ha previsto la definizione,
con decreto MIUR-MEF, previo parere della Conferenza Stato-regioni, degli ambiti, dei
criteri e delle modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo
in un numero contenuto di opzioni, incluse
in un apposito elenco nazionale, in
applicazione degli spazi di flessibilità previsti dall'art. 5, co. 3, lett. b), del
medesimo DPR (entro il 30% dell'orario annuale delle lezioni nel secondo
biennio e il 35% nell'ultimo anno). In attuazione di quanto disposto, è
intervenuto il D.I. 24 aprile 2012, prot.
n. 7431. Successivamente, l’elenco è stato integrato con il D.I. 7 ottobre 2013.
[15]
I quadri orari sono stati successivamente integrati
ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013).
[16] L’art. 8, co. 4, lett. c), del DPR
87/2010 ha previsto la definizione,
con decreto MIUR-MEF, previo parere della Conferenza Stato-regioni, degli ambiti, dei
criteri e delle modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo
in un numero contenuto di opzioni, incluse
in un apposito elenco nazionale, in
applicazione degli spazi di flessibilità previsti dall'art. 5, co. 3, lett. b), del
medesimo DPR (entro il 35% dell'orario annuale delle lezioni nel secondo
biennio e il 40% nell'ultimo anno). In attuazione di quanto disposto, è
intervenuto il D.I. 24 aprile 2012, prot.
n. 7428. Successivamente, l’elenco è stato integrato con D.I. 13 novembre
2014, prot. n. 836.
[17] Ai
sensi dell’art. 5, co. 3, lett. c), del DPR 87/2010, gli istituti professionali possono utilizzare
gli spazi di flessibilità nel primo biennio entro il 25% dell'orario annuale
delle lezioni per svolgere un ruolo integrativo
e complementare rispetto al sistema
dell'istruzione e della formazione professionale regionale.
[18]
I quadri orari sono stati successivamente integrati
ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013).
[19] Cap. 1195 per l’istruzione prescolastica; cap. 1204 per l’istruzione primaria; cap. 1196 per l’istruzione secondaria di primo grado; cap. 1194 per l’istruzione secondaria di secondo grado
[20] Il Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e gli interventi perequativi (L. 440/1997) è finalizzato, tra l’altro: alla realizzazione dell’autonomia scolastica; all’introduzione della seconda lingua comunitaria nella scuola media; all’innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico; alla formazione del personale della scuola; alla formazione post-secondaria non universitaria; a interventi per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema scolastico; a interventi perequativi finalizzati ad incrementare l’offerta formativa).
Oltre al Fondo previsto dalla L. 440/1997, sono confluiti nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche:
§ le risorse previste dall’art. 1, co. 634, della L. 296/2006, finalizzate a supportare una serie di interventi concernenti il sistema dell’istruzione (fra i quali, ridefinizione dell’obbligo scolastico e innalzamento dell’età per l’accesso al lavoro; norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro; progetti sperimentali per la scuola dell’infanzia; offerta formativa delle istituzioni scolastiche; disposizioni relative ai libri di testo per l’istruzione secondaria superiore; riorganizzazione dell'Istruzione e formazione tecnica superiore e dell’istruzione degli adulti; finanziamenti per le attrezzature tecnologiche di supporto alla didattica);
§ quota parte – pari ad € 15,7 mln – dei fondi destinati all’attuazione del piano programmatico interventi sul sistema dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale previsto dall’art. 1, co. 3, della L. 53/2003.
[21] Di alfabetizzazione
nella (sola) lingua inglese si
inizia a parlare a partire a partire dal d.lgs. 59/2004, emanato in virtù della
delega attribuita dalla L. 53/2003.
[22] In particolare, la formazione del docente, oltre alle
competenze generali, doveva assicurare una preparazione specifica che
consentisse di:
- padroneggiare la lingua d'uso per le
situazioni di comunicazione quotidiana con sufficiente fluenza,
con correttezza formale e proprietà lessicale, relativamente alle abilità
audio-orali;
- conoscere altresì gli elementi
caratterizzanti la cultura dei paesi cui si riferiva la lingua insegnata;
- essere in grado di scrivere brevi brani,
appropriati e formulati correttamente;
- essere informato sui fondamentali approcci
e metodi di insegnamento di una lingua straniera con riferimenti alle scienze
dell'educazione.
[23]
Le modalità di riavvio del Piano di formazione per
lo sviluppo delle competenze linguistico-comunicative e metodologico-didattiche
in lingua inglese degli insegnanti di scuola primaria, a seguito
dell’approvazione del DPR 81/2009, sono state definite dal MIUR innanzitutto
con la nota prot. 4576 del 29 aprile 2010, che prevedeva un
modello di formazione linguistica per docenti di scuola primaria non specializzati.
Il piano aveva durata triennale e prevedeva la formazione di circa 5.000 docenti. A
conclusione del percorso di formazione, i docenti erano chiamati a sostenere un
esame che certificasse il raggiungimento della competenza linguistica di Livello B1 del Quadro Comune Europeo di
Riferimento per le lingue (CEFR-Common
European Framework of Reference for Languages, articolato in sei livelli di riferimento: A1,
A2, B1, B2, C1 e C2).
Con nota prot. 1188 del 20 febbraio 2012, il MIUR ha dato
avvio alle attività di formazione per ulteriori
16.000 docenti.
Ancora in seguito, l’art. 3, co. 1, lett. c), del DM 11 ottobre 2013,
n. 821, recante criteri per l’assegnazione diretta alle istituzioni
scolastiche delle risorse del Fondo per il funzionamento delle stesse
istituzioni per il 2013, ha previsto lo stanziamento di risorse per la
formazione di altri 20.000 docenti per l’insegnamento della lingua
inglese.
Ulteriori risorse sono state stanziate, da
ultimo, per la medesima finalità, dall’art. 5, co. 1, lett.
b), del DM 21 maggio 2014,
n. 351, recante criteri per l’assegnazione diretta alle istituzioni
scolastiche delle risorse del Fondo per il funzionamento per il 2014.
Nel frattempo, il 16 settembre 2014, il MIUR
ha sottoscritto con l’Associazione italiana centri linguistici universitari
(AICLU) un Accordo quadro, valido fino al 1°
settembre 2015, finalizzato a individuare la rete dei Centri linguistici
universitari in grado di supportare sul territorio le iniziative di formazione
e le relative attestazioni di competenza linguistica da rilasciare al termine
dei corsi.
[24]
Il DM 30 gennaio 1998, n. 39 ha individuato
le classi di concorso per
l’insegnamento nella scuola secondaria fissando in numero di 100 le classi
di concorso a cattedre (annessa Tabella A), in numero di 52 le classi di
concorso a posti di insegnamento tecnico-pratico (annessa Tabella C) e in
numero di 22 le classi di concorso a posti di insegnamento d’arte applicata (annessa
Tabella D). Il decreto ha, altresì, fissato per ciascuna classe di concorso i titoli di studio validi per l’ammissione ai
concorsi e gli insegnamenti compresi nelle medesime classi di concorso, specificando, peraltro, se si tratta di insegnamenti impartiti in
istituti di istruzione secondaria di primo o di secondo grado.
Con il DM 9 febbraio 2005, n. 22, e relativo
Allegato A, ad integrazione del DM 39/1998, sono state definite le classi di lauree specialistiche (LS) che
danno accesso all’insegnamento nella scuola secondaria e sono stati
inseriti taluni diplomi di laurea (DL) del vecchio ordinamento, non previsti in
precedenza.
Con DM 26 marzo 2009, n. 37, le classi di concorso a cattedre di cui
alla tabella A del DM 39/1998, relativamente alla scuola secondaria di I grado, sono state ridefinite in classi di abilitazione.
In applicazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008, il Consiglio dei ministri ha approvato in prima lettura il 12 giugno 2009 uno schema di regolamento di revisione delle classi di concorso, non pervenuto alle Camere.
[25] Il Comitato
è stato costituito con D.M. n. 103 del 23
dicembre 2009 e confermato, da ultimo, con D.M. n. 156 del 7
marzo 2013.
[26] Al riguardo, si v. anche il comunicato del MIUR .del 3 ottobre 2014.
[27] L’art. 4, co. 10, del DPR 89/2009 ha stabilito
che con DM sono individuati nell'ambito dell'istituto o di reti di scuole, i
titoli prioritari per impartire l'insegnamento di musica e pratica musicale.
[28] Le Linee Guida al DM 8/2011 sono state trasmesse con nota n. 151 del 17
gennaio 2014.
[29]
Il progetto fa seguito, in particolare, al nuovo Protocollo d'Intesa tra MIUR
e CONI, sottoscritto il 4
dicembre 2013, che prevedeva l'avvio di una nuova fase di realizzazione di
iniziative per la promozione dell'attività motoria e sportiva a scuola e
anticipava l’intenzione di rivisitare il progetto per l'alfabetizzazione
motoria nella scuola primaria, avviato come progetto pilota nell’a.s. 2009/2010
e la cui ultima annualità si è svolta nell'a.s.
2012-2013.
Nell'a.s. 2013/2014 le attività sono proseguite sulla scorta di quanto realizzato
negli anni precedenti con il progetto nazionale per l’educazione fisica
nella scuola primaria,
impostato sulla base delle linee generali emanate con nota prot. 304 del
17 gennaio 2014.
[30] Le iniziative complementari dell'iter formativo sono sottoposte al previo esame del collegio dei docenti per il necessario coordinamento con le attività curricolari e per l'eventuale adattamento della programmazione didattico-educativa, con conseguente inserimento nel piano dell'offerta formativa.
[31] In base all’art. 41 del DM 44/2001, recante il Regolamento relativo alle istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, le stesse possono concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati, accordando preferenza a soggetti che, per finalità statutarie, per le attività svolte, o per altre circostanze abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell'infanzia e della adolescenza. E’ vietato concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola.
[32]
In
particolare, l’impresa formativa simulata nasce nel 1994 con l’obiettivo di
dare l’opportunità alle scuole di simulare in laboratorio il processo di
realizzazione e gestione di un’azienda, dall’individuazione (business idea)
alla elaborazione del business plan, fino
all’implementazione dell’impresa stessa, ed emula tutte le attività
dell’impresa reale tutor, con cui avvia una stretta collaborazione. Le IFS
interagiscono fra loro ed operano nel mercato della rete telematica,
rispettando la normativa come se fossero aziende reali (gli unici elementi non
reali sono i prodotti, i servizi che offrono e la moneta di scambio). Nel
2006/07 il MIUR ha affidato all’Agenzia Scuola il compito di realizzare un vero
e proprio ambiente di simulazione on line, IFSNetwork
(www.ifsnetwork.it), che consente di condividere esperienze di
simulazione in un e-market-place in cui le IFS
presenti sul territorio nazionale effettuano tra loro transazioni commerciali
di vendita e/o di acquisto. Il medesimo ambiente rende possibile l’uniformità
delle pratiche delle IFS ed il monitoraggio delle attività. Le Imprese
Formative Simulate presenti nell'ambiente di simulazione sono 1.324 e gli
istituti coinvolti nel progetto sono 760.
[33] Come si è detto nella scheda di commento relativa all’art. 2, il Fondo di cui all’art. 4 della L. 440/1997 dal 2013 è confluito, ai sensi dell’art. 7, co. 37, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all’art. 1, co. 601, della L. 296/2006.
[34] Dei quali, € 4 mln per i percorsi di istruzione professionale, € 6 mln per i percorsi di istruzione tecnica, € 1 mln per i percorsi di istruzione liceale.
[35] Dei 10.279 percorsi, la maggior parte (2.836) viene svolta in Lombardia. Seguono Toscana (1.032), Veneto (919), Lazio (711), Marche (681), Emilia Romagna (662) e Sicilia (656).
[36] Più ampiamente, si veda la scheda di commento relativa all’art. 21, co. 2, lett. g).
[37] Il nome Titulus Scuola fa riferimento ad un progetto analogo che ha coinvolto le università nel 1997, Titulus 97, con l'analogo obiettivo di mettere a fattor comune le esigenze e le soluzioni in fatto di classificazione e gestione dei documenti digitali.
[38] Graduatoria A - Ampliamento dei punti di accesso della rete WiFi; Graduatoria B - Ampliamento dei punti di accesso della rete WiFi, con potenziamento del cablaggio fisico ed aggiunta di nuovi apparati (hub, switch, etc.); Graduatoria C - Realizzazione o adeguamento dell’infrastruttura LAN/WLAN di edificio/campus, con potenziamento del cablaggio fisico ed introduzione di nuovi apparati (hub, switch, ponti radio, etc.).
[39] L'elaborazione di ogni prodotto deve essere affidata a un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell'opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare. L'opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell'anno scolastico, al MIUR e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell'ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale dello stesso MIUR per l'azione Editoria Digitale Scolastica.
[40]
L’art. 13, co. 2, del D.L. 7/2007 (L. 40/2007) ha
disposto che possono essere istituiti, a livello provinciale o sub-provinciale,
“poli tecnico-professionali” tra gli
istituti tecnici e gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale
accreditate ai sensi dell’art. 1, co. 624, della L 296/2006 e gli istituti tecnici superiori. I “poli”
sono costituiti sulla base della programmazione
dell’offerta formativa a livello regionale, che comprende anche la
formazione tecnica superiore. Le regioni pertanto concorrono alla realizzazione
degli stessi con strutture formative di competenza regionale. Essi sono costituiti in forma di consorzio, con
il fine di promuovere in modo
stabile e organico la diffusione della
cultura scientifica e tecnica e di sostenere le misure per la crescita
sociale, economica e produttiva del Paese, e sono dotati di propri organi
indicati in base alle convenzioni stipulate con gli enti interessati.
In seguito, il DPCM 25 gennaio 2008 ha indicato, tra gli obiettivi da perseguire
per sostenere in modo sistematico lo sviluppo economico e la competitività del
sistema produttivo italiano, il rafforzamento della collaborazione tra il
territorio, il mondo del lavoro, le sedi della ricerca scientifica e
tecnologica ed il sistema della formazione professionale nell'ambito dei poli tecnico-professionali.
Da ultimo, il DM 7 febbraio
2013 (pubblicato nella GU del 19
aprile 2013), adottato a seguito dell’art. 52 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012), ha
evidenziato che i poli tecnico-professionali costituiscono una modalità organizzativa di condivisione
delle risorse pubbliche e private disponibili. Ha, altresì, evidenziato che
essi possono essere costituiti progressivamente, a partire dalla realizzazione
di progetti pilota, sulla base delle
determinazioni delle regioni, anche in ambito interprovinciale, con riferimento
alle caratteristiche del sistema produttivo del territorio, da aggregazioni
tra soggetti pubblici e privati
formalizzate attraverso accordi di rete, e possono essere promossi anche dalle
fondazioni I.T.S.
[41]
La relazione
tecnica del ddl di conversione del D.L. 104/2013
(A.C. 1574) faceva presente che, per effetto del
co. 2, si sarebbe determinato, nel triennio, un incremento dell’organico di diritto di 26.684 unità (di cui, 12.428 presso la scuola dell’infanzia
e la scuola primaria e 14.256 presso la scuola secondaria di I e II grado),
pari alla differenza tra l’organico di fatto dell’a.s.
2006/2007, pari a 90.032 unità, e quello degli a.s.
2010/2011 e seguenti, pari a 63.348 unità.
[42] In attuazione, era
intervenuto il D.I. 24 aprile 2008 (pubblicato nella
GU n. 172 del 24 luglio 2008).
[43] Ha, altresì, disposto che l’organico dei posti di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o alle reti di scuole appositamente costituite, considerando un docente ogni due alunni disabili, e che l’azione didattica e di integrazione degli alunni disabili è assicurata sia dai docenti di sostegno che dai docenti di classe.
[44] Per l’a.s. 2011/2012, il D.I. 100/2011 (pubblicato nel S.O. n. 21 della GU del 27 gennaio 2012) ha indicato la consistenza degli organici di personale docente in 81.216 unità per la scuola dell’infanzia, 198.339 unità per la scuola primaria, 132.192 unità per la scuola secondaria di primo grado, 189.073 unità per la scuola secondaria di secondo grado (per un totale di 600.820 unità), 90.469 unità (in organico di fatto) per i posti di sostegno.
[45] Sulle aree interne, si veda http://www.dps.gov.it/it/arint/.
[46] L’art. 10, co. 10, del CCNL personale del
comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007, dispone che – in accordo con
quanto dispone l’art. 52 del d.lgs. 165/2001 – il personale docente utilizzato,
a domanda o d’ufficio, ivi compresa l’assegnazione provvisoria, in altro tipo
di cattedra o posto, ha diritto all’eventuale
trattamento economico superiore, rispetto a quello di titolarità, previsto
per detto tipo di cattedra o posto. La maggiore retribuzione è corrisposta per
il periodo di utilizzazione, in misura corrispondente a quella cui
l’interessato avrebbe avuto titolo se avesse ottenuto il passaggio alla
cattedra o posto di utilizzazione. In caso di utilizzazione parziale, la
corresponsione avrà luogo in rapporto proporzionale con l’orario settimanale
d’obbligo.
[47] Si tratta dei capitoli afferenti il “cedolino
unico” per le supplenze brevi
allocati nei programmi di spesa dei vari gradi di istruzione: cap.
1227 per l’istruzione prescolastica; cap. 1228 per l’istruzione primaria; cap. 1229 per
l’istruzione secondaria di primo grado; cap. 1230 per l’istruzione secondaria
di secondo grado.
[48] Gli stanziamenti relativi alle competenze fisse e
accessorie per il personale della scuola (docenti e ATA) sono allocati nei
seguenti capitoli: cap. 2156 per l’istruzione prescolastica; cap. 2154
per l’istruzione primaria; cap. 2155 per l’istruzione secondaria di primo
grado; cap. 2149 per l’istruzione secondaria di secondo grado.
[49]
Per approfondimenti si veda il Dossier
del Servizio Studi n. 672/2 del 10 settembre 2012.
[50] In
generale, l’art. 3 del medesimo DPR 81/2009 prevede che le classi iniziali di
ciclo delle scuole di ogni ordine e grado e le sezioni di scuola dell'infanzia
sono costituite con riferimento al numero complessivo degli alunni iscritti.
Determinato il numero delle predette classi e sezioni, il Dirigente scolastico
procede all'assegnazione degli alunni alle stesse secondo le diverse scelte
effettuate, sulla base dell'offerta formativa della scuola e, comunque, nel
limite delle risorse assegnate.
[51] Ove non sia possibile ridistribuire i bambini tra scuole viciniori, eventuali iscrizioni in eccedenza sono ripartite tra le diverse sezioni della stessa scuola senza superare, comunque, le 29 unità per sezione, escludendo dalla redistribuzione le sezioni che accolgono alunni con disabilità.
[52] Elevabile fino a 27 qualora residuino resti.
[53] Elevabili fino a 28 qualora residuino resti.
[54] Devono essere costituite con un numero di alunni di norma non inferiore a 25 le classi del primo anno di corso di sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di diverso indirizzo o specializzazione funzionanti con un solo corso.
[55] Per approfondimenti, si veda, oltre al sito ufficiale del Sistema nazionale di valutazione, l’apposita scheda web predisposta dal Servizio Studi della Camera.
[56] Che si articola nelle seguenti fasi: settembre/ottobre 2014: avvio dell’autovalutazione di istituto; luglio 2015: pubblicazione del Rapporto di autovalutazione sul sito della scuola e sul portale Scuola in chiaro; Ottobre 2015: Primo Rapporto sul sistema scolastico italiano; a.s. 2015/2016: pianificazione e realizzazione delle azioni di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche e avvio delle attività di valutazione esterna delle scuole; termine a.s. 2016/2017: primo rapporto di rendicontazione sociale con i risultati dei piani di miglioramento. Qui la timeline dettagliata.
[57]
L’art. 45 del d.lgs. 82/2005 stabilisce che i documenti trasmessi da chiunque ad
una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico,
idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della
forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del
documento originale (co. 1). Il documento
informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario
se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella
casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore
(co. 2).
L’art. 65 dispone che le istanze e le dichiarazioni presentate
per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi
pubblici sono valide se soddisfano
una delle seguenti condizioni:
·
sono sottoscritte
dall’interessato mediante firma digitale
o firma elettronica qualificata;
·
l’autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, ovvero con
strumenti diversi, purché tali
strumenti consentano l'individuazione del soggetto che richiede il servizio,
nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione;
·
sono sottoscritte dall’interessato e presentate unitamente a copia fotostatica
non autenticata di un documento di
identità del sottoscrittore;
·
sono trasmesse dall'autore mediante la propria casella di posta
elettronica certificata, purché le relative credenziali di accesso siano
state rilasciate previa identificazione del titolare.
[58] Per il personale educativo l'ultimo concorso è stato indetto con D.D.G. 28 luglio 2000 (G.U. 4a Serie Speciale - Concorsi ed Esami n. 69 del 5 settembre 2000).
[59] Il più volte citato Rapporto sul Piano “La buona scuola” evidenziava, invece, che le graduatorie di istituto sarebbero state mantenute ma con una sola fascia, riservata a tutti (e solo) gli abilitati. In particolare, evidenziava che sarebbero state abolite la I fascia (in quanto gli iscritti, attualmente presenti anche nelle GAE, sarebbero stati assunti tutti) e la III fascia.
[60] Come sostituito dall’art. 1, co. 1, della L. 124/1999.
[61] Le SSIS sono state istituite dall’art. 4 della L. 341/1990 e poi ridisciplinate con vari provvedimenti. L’accesso a tali scuole è stato sospeso dall’art. 64, co. 4-ter, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), in relazione alla ridefinizione delle procedure per l’accesso alla docenza, poi operata con D.M. 249/2010.
[62] Tale articolazione discende da diverse disposizioni succedutesi nel tempo: L. 124/1999; D.M. 27 marzo 2000, n. 123; D.L. 255/2001 (L. 333/2001) (che ha recato norme di interpretazione autentica della legge e del D.M. citati in relazione al contenzioso amministrativo da essi ingenerato); art. 1 del D.L. 97/2004 (L. 143/2004); art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006.
[63] Si tratta dei requisiti necessari per
partecipare ai soppressi concorsi per soli titoli.
[64] Nel D.M. 1 aprile 2014 n. 235, concernente l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, valevoli per il triennio scolastico 2014/15, 2015/16 e 2016/17, il MIUR definisce la fascia aggiuntiva, “per semplicità”, come “IV”.
[65] In attuazione di quanto disposto dal D.L. 216/2011, con DM 14 giugno 2012, n. 53 si è provveduto all’integrazione delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, di cui al DM 12 maggio 2011, n. 44 (relativo all'aggiornamento delle graduatorie per il triennio 2011/2014), per il biennio 2012/2014.
[66] Art. 1, co. 4, del D.L. 97/2004 (L. 143/2004), come modificato dall’art. 9, co. 20, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011).
[67] Art. 1, co. 4, del D.L. 97/2004 (L. 143/2004), come modificato dall’art. 9, co. 20, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011).
[68] Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Adunanza del 5 giugno 2013, parere n. 03813/2013 sull’affare 4929/2012. In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato l’illegittimità del D.M. n. 62 del 2011, con il quale si è dato avvio alla presentazione delle domande per la costituzione delle graduatorie per gli anni scolastici 2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014, “nella parte in cui non parifica ai docenti abilitati coloro che abbiano conseguito entro l’anno 2001-2002 la c.d. abilitazione magistrale, inserendoli nella III fascia della graduatoria di istituto e non nella II fascia. Si tratta di un profilo appena accennato nel ricorso in oggetto, che tuttavia deve essere esaminato. La disposizione è affetta da evidente eccesso di potere, in quanto contrastante con tutte le disposizioni di legge e di rango secondario, che sanciscono la natura abilitante del titolo conseguito negli istituti magistrali a seguito di regolare corso di studio. In altri termini, prima dell’istituzione della laurea in Scienza della formazione, il titolo di studio attribuito dagli istituti magistrali al termine di corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali di istituto magistrale (per la scuola dell’infanzia) o al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale (per la scuola primaria) dovevano considerarsi abilitanti, secondo l’art. 53 R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, in combinato disposto con l’art. 197 d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297”.
[69] Il comunicato stampa del MIUR del 7 maggio 2014 evidenzia che le “finestre” si aprono a giugno e a dicembre.
[70] Ulteriori novità hanno riguardato i punteggi: si veda il comunicato stampa citato nella nota precedente.
[71] L’anno di formazione - introdotto dalla L. 270/1982 - deve essere effettuato una sola volta nel corso della carriera. Pertanto, non sono tenuti a frequentare l’anno di formazione né i docenti già in ruolo per una determinata classe di concorso che siano stati nominati in altra classe di concorso, né quelli che abbiano ottenuto il passaggio di ruolo in altro ordine di scuola. Questi ultimi sono tenuti a svolgere solo il periodo di prova (cfr., in particolare, C.M. 10 settembre 1991, n. 267, C.M. 3 febbraio 2006, prot. n. 196, C.M. 29 febbraio 2008, prot. 3699).
[72]
Il comitato per la valutazione del
servizio dei docenti è disciplinato dall’art. 11 del d.lgs. 297/1994. Esso è
costituito presso ogni istituto scolastico ed è formato, oltre che dal
dirigente scolastico, che ne è il presidente, da 2 o 4 docenti quali membri
effettivi e da 1 o 2 docenti quali membri supplenti, a seconda che l’istituto
abbia sino a 50 oppure più di 50 docenti. I membri del comitato sono eletti dal
collegio dei docenti al suo interno. Il comitato
dura in carica un anno scolastico.
[73] Da
ultimo, si veda il CCN integrativo per la formazione del
personale docente, educativo, tecnico pratico ed ATA per l’a.s.
2013/2014, siglato il 24
luglio 2013.
[74]
Con
la circolare prot. n.
2360 del 23 febbraio 2009 erano
state introdotte nuove modalità per la
formazione in ingresso del personale docente ed educativo che sono state
confermate, da ultimo, con la circolare prot. n.
3801 del 17 aprile 2014, riferita alla formazione in ingresso relativa all’a.s.
2013-2014.
Quest’ultima aveva disposto che le attività formative –
connotate da ampi margini di discrezionalità e di scelta – si dovevano svolgere per non meno di 50 ore, di cui 25 in presenza e 25 a distanza – secondo i parametri del modello e-learning integrato
– e dovevano essere coordinate da un tutor-facilitatore
di apprendimento. La formazione in presenza doveva essere promossa e
organizzata dagli uffici scolastici regionali con le risorse messe a
disposizione del MIUR (che, per l’a.s. 2013-2014,
sono state pari, in base all’all. 3 della circolare,
ad € 830.400, per 519
corsi).
Ogni incontro in presenza doveva essere organizzato in classi di 15-30 docenti, provenienti
dai due cicli scolastici, purché gravitanti nello stesso ambito territoriale.
L’attività di formazione poteva prevedere anche la costituzione di specifici
gruppi di lavoro.
Il coordinamento e la direzione di ciascun corso erano
affidati ad un dirigente scolastico, che aveva compiti
amministrativi-gestionali e la responsabilità dell’attestazione finale delle
ore di formazione. La conduzione dei gruppi di docenti poteva essere affidata a
insegnanti o dirigenti scolastici, individuati prioritariamente fra coloro già
coinvolti in esperienze pregresse di formazione secondo il modello sopra
indicato.
La circolare sottolineava, peraltro, che i docenti
neoassunti potevano decidere di
utilizzare altre attività formative
promosse a livello territoriale, anche in relazione alla programmazione
formativa avviata a livello regionale e oggetto di contrattazione collettiva
integrativa. Disponeva, inoltre, che,
nell’ambito dell’offerta formativa disponibile nell’area pubblica
della piattaforma INDIRE, i docenti,
d’intesa con il tutor, potevano scegliere di impostare il proprio percorso di
formazione in modo personalizzato. Quota parte del monte orario complessivo
(orientativamente, 5 ore in presenza e 5 ore a distanza) era destinata a
costituire la formazione di base, omogenea nei contenuti e nelle modalità di
realizzazione, finalizzata a diffondere le conoscenze essenziali sull’autonomia
scolastica, sulle innovazioni ordinamentali in atto, sulle competenze
metodologiche e didattiche relative al segmento scolastico di riferimento. La
formazione di base poteva essere svolta cumulativamente per più classi anche da
un tutor appositamente nominato dall’Ufficio scolastico regionale.
[75] Le linee guida contengono un elenco esemplificativo degli ambiti di approfondimento, fra i quali: nuove tecnologie e loro impatto sulla didattica, gestione della classe, sistema nazionale di valutazione, bisogni educativi speciali e disabilità, educazione all’affettività, dispersione scolastica, inclusione sociale, alternanza scuola-lavoro, orientamento.
[76] Le istruzioni operative sugli strumenti da utilizzare e sulle modalità per la costruzione del portfolio sperimentale e sulle figure professionali che possono supportare questa fase della formazione saranno oggetto di una successiva nota del MIUR.
[77] Ampiamente, si veda l’apposito approfondimento web.
[78] Si tratta delle organizzazioni intercategoriali a carattere generale CES (Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea) e CEEP (Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica).
[79] Personale dirigente e docente collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica, di cui l’amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi (art. 26, co. 8, primo periodo, L. 448/1998) e, fino all’avvio dell’a.s. 2016/2017, il personale cui si riferisce il co. 330 del testo; dirigenti scolastici e docenti di ruolo di educazione fisica dispensati in tutto o in parte dall’insegnamento in qualità di coordinatori periferici di educazione fisica (art. 307 D.lgs. 297/1994, sul quale interviene il co. 328 del testo); personale destinato alle scuole italiane all’estero (parte V D.lgs. 297/1994); docenti delle istituzioni scolastiche collocati in esonero parziale o totale in quanto utilizzati presso le università con compiti di supervisione del tirocinio e di coordinamento del medesimo con altre attività didattiche nell'ambito di corsi di laurea in scienze della formazione primaria e di corsi di tirocinio formativo attivo per l’abilitazione all'insegnamento nelle scuole secondarie (art. 1, co. 4, L. 315/1998).
[80] L’art. 68, co. 3, del d.lgs. 82/2005, come sostituito dall’art. 9, co. 1, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012), dispone che per formato dei dati di tipo aperto si intende un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi. Sono dati di tipo aperto quelli che presentano le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti, sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.
[81] Il d.lgs. 36/2006 costituisce attuazione della direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico.
[82] Adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute.
[83] La necessità di una tale disposizione - che consente il mantenimento in bilancio delle somme del 5 per mille che, secondo la normativa contabile, se non utilizzate, alla chiusura dell’esercizio costituirebbero economie di bilancio - è connessa alla complessa procedura per il riparto delle somme che si svolge di media nell’arco di due anni, in considerazione sia dei tempi necessari per l’esame dei soggetti ammissibili al contributo sia anche dei ricorsi che questi possono presentare.
[84]
La
necessità della stabilizzazione della disciplina del 5 per mille
dell’IRPEF” è stata di recente messa in evidenza dalla Corte dei Conti
nell’ultima Relazione concernente la “Destinazione e gestione del 5 per mille
dell’IRPEF”, trasmessa alla Camera il 21 dicembre 2013. In particolare, sul
punto, la Corte ha rilevato come il fatto che l’esistenza dell’istituto del 5
per mille sia finora dipeso dalla reiterazione annuale di leggi (quali la legge
di stabilità ed altre disposizioni relative alla spesa pubblica) e la sua mancata stabilizzazione attraverso una
legge organica - in grado di garantire la certezza delle risorse nel corso di
un arco temporale ragionevole e la definizione di tempi certi per l’erogazione
dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di programmare, con congruo
anticipo, le attività - abbiano prodotto inefficienze ed inutili appesantimenti
burocratici che hanno pesato negativamente sulla funzionalità dell’istituto
medesimo.
[85] Si ricorda che le citate disposizioni, introdotte per il riparto del 5 per mille dell’esercizio finanziario 2010 (dichiarazione dei redditi 2009), sono state via via estese agli anni successivi con apposite norme di legge: all’anno 2011, dall’art. 2, co. 1, del D.L. 225/2010 (dichiarazioni 2010); all’anno 2012, dall'art. 33, co. 11, della L. 183/2011 (dichiarazioni 2011); all’anno 2013, dall'art. 23, co. 2, del D.L. 95/2012 (dichiarazioni 2012); all’anno 2014, dall’art. 1, co. 205, della L. 147/2013 (dichiarazioni 2013).
[86] Si tratta di organizzazioni di sostegno al
volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di
cui all’art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni,
nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri
nazionale, regionali e provinciali previsti dall’art. 7 della L. 7 dicembre
2000, n. 383, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei
settori di cui all’art. 10, co. 1, lett. a), del
citato d.lgs. 460/1997.
[87] Il citato art. 46 prevede che l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili, a meno che il responsabile non dimostri che tale inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile. L’articolo 47 reca le sanzioni amministrative pecuniarie a carico del responsabile della mancata comunicazione o violazione degli obblighi di comunicazione.
[88] Inoltre, con CM 4 gennaio 2006, n. 2 e CM 30 gennaio 2007, n. 13, è stato precisato che l’esonero è stato esteso anche agli studenti che si iscrivono al primo, secondo e terzo anno dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado. Pertanto, le tasse erariali (la cui misura è stata determinata dal DPCM 18 maggio 1990 e che sono costituite da tassa di iscrizione [€ 6,04], tassa di frequenza [€ 15,13], tassa per esami di idoneità, integrativi, di licenza, di maturità e di abilitazione [€ 12,09], tassa di rilascio dei relativi diplomi [€ 15,13]) sono dovute solo per il quarto e il quinto anno degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado. La tassa di iscrizione è esigibile “una tantum”, all’atto dell’iscrizione al quarto anno.
In materia di contributi richiesti dalle scuole alle famiglie, si vedano le note MIUR 20 marzo 2012, n. 312 e 7 marzo 2013, n. 593.
[89] In base al DPCM 27 maggio 2014 la Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell’attuazione di interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica svolge, fra gli altri, i seguenti compiti: impulso e coordinamento delle strutture competenti dei Ministeri deputati alla gestione degli interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica; impulso all’implementazione dell’anagrafe dell’edilizia scolastica; ricognizione delle fonti di finanziamento e degli interventi finanziati e monitoraggio dello stato di attuazione; verifiche sull’utilizzo dei fondi, anche proponendo, se necessario, il definanziamento o la riprogrammazione delle risorse. La struttura di missione opera fino al 30 aprile 2016 e comunque non oltre la scadenza del mandato del Governo in carica.
[90] Le risorse utilizzate provengono dagli investimenti immobiliari del piano di impiego dei fondi disponibili di cui all'art. 65 della L. 153/1969. Quest’ultimo ha disposto che gli enti pubblici e le persone giuridiche private che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale devono compilare annualmente il piano di impiego dei fondi disponibili. Per fondi disponibili si intendono le somme eccedenti la normale liquidità di gestione. Se non per particolari esigenze, la percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare, comunque, il 40 per cento di tali somme e non può essere inferiore al 20 per cento. I piani di investimento immobiliare sono approvati dal Ministro del lavoro.
[91] L’art. 48 del D.L. 66/2014 (L. 89/2014) ha previsto, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno.
[92] Si tratta della delibera CIPE 21/2014, pubblicata nella GU n. 220 del 22 settembre 2014. In particolare, la delibera ha destinato € 110 mln per il finanziamento del piano straordinario per il ripristino del decoro e della funzionalità degli edifici scolastici predisposto dal MIUR, con assegnazione subordinata all'accordo delle Regioni; 400 milioni di euro per le misure di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, attraverso lo scorrimento delle graduatorie per la realizzazione di ulteriori interventi finanziabili ai sensi dell'art. 18, co. 8-ter del D.L. 69/2013, nonché delle graduatorie per la messa in conformita'/agibilita' degli edifici scolastici attraverso l'utilizzo delle economie derivanti dai ribassi d'asta di cui alle graduatorie degli interventi finanziabili ai sensi dello stesso art. 18, co. 8-ter. I 400 milioni di euro sono stati poi assegnati con delibera CIPE 22/2014, pubblicata nella GU n. 222 del 24 settembre 2014.
[93] L'art. 1, co. 467, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha previsto l'esclusione dal computo del saldo finanziario di competenza mista, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno per gli anni 2015 e 2016, delle spese sostenute dalle province e dalle città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 50 milioni di euro per ciascun anno.
[94] Ulteriori approfondimenti sul sito http://passodopopasso.italia.it/passo-dopo-passo/edilizia-scolastica-500-cantieri-per-scuolesicure-200-scuolenuove-e-7000-scuolebelle.
[95] La procedura per l’adozione dei piani prevede l’emanazione di un decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza Stato-regioni, che fissa gli indirizzi per assicurare il coordinamento degli interventi e stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni. Dopo la pubblicazione del decreto, le regioni approvano e trasmettono al MIUR i piani generali triennali contenenti i progetti preliminari, la valutazione dei costi e gli enti territoriali competenti che, in assenza di osservazioni del Ministero, vengono pubblicati nei rispettivi bollettini ufficiali. In seguito, gli enti territoriali competenti approvano i progetti esecutivi degli interventi previsti nel primo anno del triennio e richiedono la concessione di mutui alla Cassa depositi e prestiti. Specifici termini sono previsti anche per i piani triennali successivi al primo: nella ripartizione dei fondi disponibili, infatti, si tiene conto, oltre che dei criteri di riparto, anche dello stato di attuazione dei piani precedenti. Se gli enti territoriali non provvedono agli adempimenti di loro competenza, in via sostitutiva provvedono regioni e province autonome; in caso di inadempienza di queste ultime, provvede in via sostitutiva il commissario di Governo.
[96] L’art. 11, co. 4-bis-4-quinquies del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) ha previsto la definizione, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'intesa con la Conferenza unificata, di priorità strategiche, modalità e termini per la predisposizione e l'approvazione di appositi piani triennali, articolati in singole annualità, di interventi di edilizia scolastica, nonché dei relativi finanziamenti (senza, tuttavia, chiarire il raccordo con le previsioni della L. 23/1996). Ha, altresì, disposto che, per l'inserimento in tali piani, gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all'uso scolastico presentano domanda alle regioni territorialmente competenti. Ciascuna regione e provincia autonoma, valutata la corrispondenza con le disposizioni indicate nel decreto, e tenuto conto della programmazione dell'offerta formativa, approva e trasmette al MIUR il proprio piano, formulato sulla base delle richieste pervenute. La mancata trasmissione dei piani regionali nei termini indicati nel decreto comporta la decadenza dai finanziamenti assegnabili nel triennio di riferimento. Il MIUR, verificati i piani trasmessi, in assenza di osservazioni da formulare li approva e ne dà loro comunicazione ai fini della relativa pubblicazione, nei successivi trenta giorni, nei rispettivi Bollettini ufficiali.
[97] Si
tratta, in particolare, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e
del Ministero dell’economia e delle finanze. L’intesa in Conferenza unificata sul nuovo schema di decreto per la
costituzione dell’Osservatorio è stata raggiunta il 6 febbraio 2014.
[98] L’art. 1, co. 206, della L.
147/2013 (legge di stabilità 2014) ha introdotto tra le finalità cui può
essere destinato l'8 per mille del
gettito IRPEF gli interventi straordinari relativi a ristrutturazione,
miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà
pubblica adibiti all'istruzione scolastica.
E', conseguentemente, intervenuto il DPR
172/2014,
pubblicato nella GU n. 275 del 26 novembre 2014.
[99] Il Fondo per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio è stato istituito dall’art. 32-bis del D.L. 269/2003 (L. 326/2003). L’art. 2, co. 276, della L. 244/2007 ha poi previsto che lo stesso è incrementato di 20 milioni di euro, a decorrere dal 2008, da destinare ad interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché alla costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico, secondo programmi basati su aggiornati gradi di rischiosità.
[100] Sullo stato dell’arte di queste richieste, si veda http://italiasicura.governo.it/site/home/scuole/faq.html.
[101] Si veda dossier
del Servizio Studi n. 254/1 del 13
gennaio 2015. Qui si ricorda solo che l’art. 48,
co. 2, del D.L. 66/2014 (L.
89/2014) ha poi previsto l’assegnazione da parte del CIPE, per la prosecuzione del programma di
interventi di cui all'art. 18, co. 8-ter,
del D.L. 69/2013, di un importo fino a 300 milioni di euro, nell'ambito della
programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al
periodo 2014-2020, previa verifica dell'utilizzo delle risorse assegnate
nell'ambito della programmazione 2007-2013 del Fondo medesimo e di quelle
assegnate a valere sugli stanziamenti relativi al programma delle
infrastrutture strategiche per l'attuazione di piani stralcio del programma di
messa in sicurezza degli edifici scolastici.
Con delibera n. 22 del 30 giugno 2014, il CIPE – constatato che, a fronte dei 692 interventi ammessi al
finanziamento con le risorse di cui all’art. 18, co. 8-ter, del D.L. 69/2013, restavano in graduatoria ulteriori 2.024
interventi, per un importo complessivo di € 490,6 mln -, ha poi assegnato al
MIUR 400 milioni di euro per l'anno 2015,
a valere sulle risorse del FSC 2007-2013 resesi disponibili a seguito di
ricognizione e riprogrammazione, per il finanziamento delle misure di
riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali
indicate nell'all.
1 della delibera, sulla base dello scorrimento delle graduatorie approvate
dalle regioni entro il 15 ottobre 2013.
[102] Tali poteri sono
stati individuati dal DPCM 22 gennaio 2014.
[103] Con DM 18 marzo 1999 (GU 23 marzo 1999, n. 68) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del terzo piano annuale del primo piano triennale; con DM 6 settembre 1999 (GU 11 settembre 1999, n. 214) si è provveduto alla ripartizione del primo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 6 aprile 2000 (GU 14 aprile 2000, n. 88) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del secondo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 23 aprile 2001 (GU 7 maggio 2001, n. 104) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del terzo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 30 ottobre 2003 (GU 11 novembre 2003, n. 262) si è provveduto alla ripartizione delle prime due annualità, 2003 e 2004, del terzo triennio di programmazione (2003/2005); con DM 16 luglio 2007 (GU 26 luglio 2007, n. 172) sono stati ripartiti i finanziamenti a favore delle regioni per il triennio 2007/2009.
[104] Esso risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006, e successivamente rimodulati, a seguito di definanziamenti, con delibere CIPE 175/2005 e 17/2008) per complessivi 489,083 milioni di euro (come attestati dalla delibera ricognitiva del CIPE 10/2009) riferiti a 1.592 interventi.
E’ stato, poi, previsto un terzo programma stralcio, per l’assegnazione di non meno del 5% delle risorse stanziate per il programma infrastrutture strategiche, disposta dall’art. 7-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008). Le risorse sono state quantificate con la delibera CIPE 114/2008 in due contributi quindicennali, di 3 e 7,5 milioni di euro annui, a decorrere, rispettivamente, dal 2009 e dal 2010, a valere sui contributi quindicennali autorizzati dall’art. 21 del D.L. 185/2008 (L. 2/2009).
[106] http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/156b53bd-e72a-4c25-8c29-8a60ec431c19/Testo_Aggiornato_PON_FESR_Ambienti_per_apprendimento.zip
[107] Comitato di coordinamento dei Fondi presso la Commissione.
[108] https://webmail.camera.it/service/home/~/COCOF%2012-0050-00%20IT%20assistenza%20retrospettiva%20UE.pdf?auth=co&loc=it&id=27983&part=2.
[109] Le risorse per i contributi alle regioni per oneri di ammortamento dei mutui attivati ai sensi dell’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) sono state allocate sul cap. 7106 (esposto in tabella E della legge di stabilità). Ulteriori somme destinate alla sicurezza nelle scuole – per complessivi € 8,7 mln – sono allocate sui capp. 7545, 7625, 7645, 7785.
[110] Per i comuni, a seguito della soppressione del
Fondo sperimentale di riequilibrio comunale, disposta ai sensi dell’art. 1, co.
380, della L. 228/2012 in conseguenza della nuova disciplina dell’IMU, la
riduzione delle risorse deve intendersi riferita al Fondo di solidarietà
comunale.
[111] In base all’art.
31, co. 26, della L. 183/2011, il mancato raggiungimento degli obiettivi del
patto di stabilità comporta, per gli enti locali inadempienti, nell’anno
successivo all’inadempimento, oltre alla sanzione di cui sopra, anche
l’applicazione delle ulteriori seguenti sanzioni:
a)
divieto di impegnare spese di parte
corrente in misura superiore all’importo annuale medio degli impegni effettuati
nell’ultimo triennio;
b)
divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli
investimenti;
c)
divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi
titolo;
d) riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori.
[112] Il Fondo
Rotativo per la Progettualità è regolato dalla Circolare n. 1250 del 25 febbraio 2003 della
Cassa Depositi e prestiti
[113] Originariamente
disciplinati dal R.D. 2392/1929 e dal R.D. 1312/1931.
[114] I
provveditorati agli studi – uffici periferici del Ministero, con competenza
provinciale – sono stati soppressi dall’art. 6 del DPR 347/2000 e le loro
competenze trasferite agli uffici scolastici
regionali.
[115] Alle istituzioni educative possono essere
annesse scuole elementari, scuole medie e scuole di istruzione secondaria
superiore. Agli istituti tecnici ed agli istituti professionali e
particolarmente a quelli ad indirizzo agrario possono essere annessi convitti
per alunni che frequentano l’istituto (artt. 139, 173, 203, 204, d.lgs.
297/1994).
[116] Le proposte della direttrice in questa materia, qualora non accolte, devono essere allegate, insieme alle sue osservazioni, al verbale da sottoporre all'autorità vigilante.
[117] In particolare, l’art. 52 citato ha disposto
che, nell’ambito del piano di razionalizzazione della rete scolastica, si doveva
prevedere la graduale soppressione dei convitti nazionali, dei convitti annessi agli istituti tecnici e professionali e
degli educandati femminili dello Stato che accolgono meno di 30 convittori o
semiconvittori.
[118] La validità triennale delle graduatorie dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego è prevista dall’art. 35, co. 5-ter, del d.lgs. 165/2001, introdotto dall’art. 3, co. 87, della L. 244/2007 a decorrere dal 1° gennaio 2008.
[119] Alla direttiva ha fatto seguito la Circolare ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, recante indicazioni operative. Ulteriori chiarimenti sono contenuti nella nota prot. n. 2563 del 22 novembre 2013.
[120] Il progetto ha ricevuto un contributo della Comunità Europea nell’ambito del Programma di apprendimento per tutto l’arco della vita, erogato dalla Commissione Europea, Direzione Generale per l’Istruzione e la Cultura.
[121] L’art. 4 della L. 104/1992 ha previsto che gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'art. 1 della L. 295/1990 (composte da un medico legale e da due medici, di cui uno specialista di medicina del lavoro e di volta in volta integrate con sanitari in rappresentanza delle associazioni delle diverse categorie di invalidi o disabili), che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le stesse unità sanitarie locali. Da ultimo, l’art. 19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha poi disposto che tali commissioni sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell’INPS nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all'assegnazione del docente di sostegno all'alunno disabile (che, tuttavia, è successiva e affidata all’organo di cui alla nota che segue).
[122] L’unità multidisciplinare è composta: dal medico specialista nella patologia segnalata, dallo specialista in neuropsichiatria infantile, dal terapista della riabilitazione, dagli operatori sociali in servizio presso l’unità sanitaria locale o in regime di convenzione con la medesima.
[123] Per approfondimenti si vedano, in particolare, le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e le FAQ presenti sul sito del MIUR.
[124] Le aree metropolitane, per densità di popolazione, possono necessitare di uno o più CTS dedicati.
[125] Ai sensi dell’art. 2, co. 3, del D.I. 1 febbraio 2001, n. 44, l’attività finanziaria delle istituzioni scolastiche si svolge sulla base di un unico documento contabile annuale, che è proposto dalla giunta esecutiva con apposita relazione. Nella relazione sono illustrati gli obiettivi da realizzare e la destinazione delle risorse in coerenza con le previsioni del POF e sono sinteticamente illustrati i risultati della gestione in corso alla data di presentazione del documento.
[126] Tale competenza è stata attribuita al consiglio di istituto dall’art. 3, co. 3, del DPR 275/1999.
[127] Se l'accordo prevede attività didattiche o
di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, lo
stesso deve essere approvato, oltre che dal consiglio di circolo o di istituto,
anche dal collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di
propria competenza.
[128] Le reti di scuole possono inoltre prevedere, nel loro ambito, laboratori finalizzati, tra l'altro, alla ricerca didattica e alla sperimentazione; alla documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia circolazione, anche attraverso la rete telematica, di ricerche, esperienze, documenti e informazioni; alla formazione in servizio del personale scolastico e all'orientamento scolastico e professionale. Le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono altresì stipulare convenzioni con università statali o private, ovvero con istituzioni, enti, associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono dare il loro apporto alla realizzazione di specifici obiettivi. La promozione e la partecipazione ad accordi e convenzioni delle istituzioni scolastiche è prevista anche al di fuori delle ipotesi riguardanti le “reti di scuole”, ai fini del coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. Le istituzioni scolastiche, infine, possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere ai compiti istituzionali coerenti con il Piano dell'offerta formativa e per l'acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento dei compiti di carattere formativo.
[129] Le innovazioni più significative introdotte per il nuovo organismo (disciplinato dagli artt. 2 e 3) attengono alla valorizzazione dell’attività consultiva, alla riduzione del numero dei suoi componenti (al fine di assicurare un funzionamento più snello) e all’elettività della carica presidenziale (in precedenza assegnata al Ministro).
[130] Si segnala, peraltro, che i distretti scolastici sono stati progressivamente svuotati di funzioni dopo il riconoscimento dell’autonomia scolastica e, poi, di fatto, soppressi per effetto di quanto disposto dalla L. 289/2002, il cui art. 35, co. 4, aveva stabilito, a decorrere dall’a.s. 2003-2004, la restituzione ai compiti di istituto del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario del comparto scuola utilizzato presso i distretti scolastici. A seguito di tale previsione, i Consigli scolastici distrettuali, dallo stesso a.s., hanno cessato di esercitare le proprie funzioni. Cfr. La scuola. Istruzioni per l’uso, a cura di S. Bono e altri, Le Monnier, 2014, pag. 58.
[131] Il Consiglio dei Ministri aveva esaminato in via preliminare uno schema di D.lgs. il 27 novembre 2003. Rispetto a tale schema, la Conferenza unificata il 15 gennaio 2004 sottolineò la mancata considerazione della potestà legislativa concorrente delle regioni in materia di istruzione e della potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.
[132] Alla realizzazione dei piani concorrono le risorse messe a disposizione dal MIUR a valere sul Fondo di cui all’art. 1, co. 875, della L. 296/2006, oltre che risorse delle regioni o messe a disposizione da soggetti pubblici e privati e dall’UE. Ai fini del sostegno dei piani, il Ministero verifica preventivamente la sussistenza di alcuni elementi, fra i quali la messa a disposizione, da parte delle regioni e delle province autonome, di risorse finanziarie pari ad almeno il 30% del contributo del Ministero stesso.
[133] Mentre non confluiscono più le risorse previste sul Fondo per l’offerta formativa di cui alla L. 440/1997 (in parte finalizzate anche alla formazione post-secondaria non universitaria). Rimangono in ogni caso iscritte al Fondo le risorse assegnate dal CIPE, per quanto riguarda le aree sottoutilizzate, per progetti finalizzati alla realizzazione dell’istruzione e formazione tecnica superiore, con l’obiettivo di migliorare l’occupabilità dei giovani che hanno concluso il secondo ciclo di istruzione e formazione.
[134] I criteri di cui alla lett. a) sono i seguenti: gli I.T.S. devono essere ricompresi nei piani territoriali delle regioni, devono disporre di un patrimonio che garantisca la piena realizzazione di un ciclo completo di percorsi e l'avvio di uno successivo, nonché di risorse dedicate (strutturali, professionali, strumentali, logistiche) rese disponibili dai soci, tali da garantire una loro partecipazione attiva, e devono avere una rete di relazioni stabili con imprese e/o sistemi/organizzazioni di imprese in ambito interregionale e internazionale.
Gli indicatori di cui alla lett. b) sono i seguenti: attrattività: selezione in ingresso (n. allievi iscritti /n. richieste di iscrizione); successo formativo (n. iscritti/n. allievi diplomati); occupabilità: tasso di occupazione coerente a 6 mesi e a 12 mesi dal conseguimento del titolo (n. occupati coerenti/n. iscritti); professionalizzazione/permanenza in impresa: numero di ore formative sviluppate in contesti di impresa; partecipazione attiva: ore docenza di personale di impresa/ore totali; ore sviluppate in laboratori di imprese o laboratori di ricerca/ore totali; ore docenza universitaria /ore totali; reti interregionali: numero di allievi; numero di ore sviluppate in imprese nazionali/estere; numero di formatori; numero di ore provenienti da imprese, istituzioni formative di altri regioni/Stati. .
[135] I criteri e le modalità per l’applicazione degli indicatori illustrati nella nota precedente sono descritti nell’allegato tecnico “La valutazione dei percorsi ITS” dell’Accordo del 5 agosto 2014.
[136] Nel mese di febbraio 2015 sono stati presentati i risultati di una indagine promossa da Censis e Cnos-Fap sugli esiti occupazionali dei primi diplomati Its, quelli dei percorsi attivati nel periodo 2010-2011. Qui il comunicato stampa e qui il materiale presentato dalla curatrice della ricerca.
[137] In base all’art. 4, co. 2, del DM 436/2000, i percorsi IFTS avevano la durata minima di due semestri e massima di quattro semestri, per un totale rispettivamente di almeno 1.200 ore e non più di 2.400 ore. In base all’art. 9 dell’attuale DPCM 25 gennaio 2008, i percorsi IFTS hanno, di regola, durata annuale, per un totale di 800/1000 ore e sono finalizzati al conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore per rispondere a fabbisogni formativi riferiti ai settori produttivi individuati, per ogni triennio, con accordo in sede di Conferenza unificata.
[138] Nella seduta del 10 giugno 2014 la Commissione ha adottato come testo base il ddl A.S. 1260, che ridisegna il sistema dei servizi integrati dell'infanzia e qualifica i nidi quale servizi educativi di interesse generale, non più a domanda individuale. Esso propone un quadro normativo che: valorizza l'esperienza educativa dei bambini nei primi sei anni di vita nella sua continuità; definisce per tutti i servizi per l'infanzia, compresi i servizi in contesto domiciliare, e per le scuole dell'infanzia le età di accesso dei bambini e le principali caratteristiche funzionali; riconosce come princìpi fondamentali che assicurano la qualità dell'offerta ai bambini e alle famiglie: la partecipazione delle famiglie; l'unicità della dimensione di cura e di educazione negli interventi rivolti ai bambini; adeguati rapporti numerici tra personale educativo e bambini accolti nelle diverse fasce di età; la qualificazione a livello universitario e la formazione continua di tutto il personale educativo; la collegialità del lavoro educativo e il coordinamento pedagogico; indica i livelli essenziali di prestazione che devono essere raggiunti dai servizi prescolari stabilendo il progressivo riequilibrio tra aree territoriali; identifica le competenze dei diversi livelli istituzionali nel regolamentare, programmare, gestire e monitorare l'offerta educativa per i bambini da 0 a 6 anni; riporta nelle competenze del MIUR la formazione dei bambini/e nel segmento 0-3 anni, oggi seguita, per quanto riguarda i servizi socio educativi per la prima infanzia, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
[139] Al Piano di Azione/Coesione e al contributo e alle azioni strategiche della programmazione 2014/20 è dedicato un capitolo del Rapporto di monitoraggio del Piano nidi al 31 dicembre 2013, che restituisce una fotografia aggiornata sullo sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia e propone alcuni contributi di approfondimento sulle prospettive di riforma.
[140] Il CNEL, nella
recente relazione annuale “I livelli e la qualità dei servizi offerti dalle
Pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini”, che dedica ampio spazio ai servizi educativi, ha
ricordato gli sforzi compiuti in tale direzione anche dall’Autorità
Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza.
In particolare, l’Autorità, sia attraverso il coordinamento di un percorso di
lavoro avviato con un gruppo di associazioni (Agesci, Arciragazzi, Cnca, Cnoas, Cgil, Save the Children, UNICEF) riunite sotto il cartello Batti il cinque,
che attraverso il coinvolgimento di esperti nella materia, sta elaborando un documento da cui partire
per avviare il confronto e la discussione con i diversi soggetti istituzionali
chiamati a occuparsi di questo tema.
[141] Si rinvia a OpenCivitas per visualizzare e confrontare il fabbisogno standard, la spesa storica e un insieme di indicatori per tutti i comuni e le province delle regioni a statuto ordinario.
[142] Sul punto, v. il Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, nella sezione dedicata alla Rassegna della normativa delle regioni e delle province autonome pagg. 73-82.
[143] In precedenza, già l’art. 3, co. 2, della L. 341/1990, aveva previsto che per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia occorreva la frequenza di uno specifico corso di laurea.
[144] L’indagine di Cittadinanzattiva sugli asili nido comunali ha rilevato che, nel 2014, in Italia l’asilo nido costa mediamente 309 euro al mese, con notevoli differenze territoriali fra nord, centro e sud. Il costo medio rappresenta il 12% delle uscite mensili di una famiglia tipo. Gli asili più costosi sono al nord (380 euro), seguiti dal centro (322 euro) e, infine, dal sud (219 euro). La regione più economica è la Calabria, con una tariffa media mensile di 139 euro, la più costosa la Valle D’Aosta, con in media 432 euro. Fra le province il primato dei costi più alti spetta a Lecco con 515 euro al mese, mentre Vibo Valentia è la più economica con 120 euro mensili.
[145] Nel previgente art. 117 Cost., invece, la materia “assistenza scolastica” era stata devoluta alla potestà legislativa concorrente, da svolgere nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi “cornice” dello Stato. All’attribuzione delle funzioni legislative corrispondeva (ex art. 118 Cost.) quella delle funzioni amministrative, il cui esercizio fu trasferito alle regioni con i DPR 3/1972 e 616/1977. In particolare, gli artt. 42 e ss. del DPR 616/1977 – il cui contenuto fu trasfuso nell’art. 327 del d.lgs. 297/1994 – definivano l’assistenza scolastica in termini molto ampi e la riferivano a tutti i livelli di istruzione (oltre che a tutti gli alunni delle istituzioni scolastiche pubbliche e private) e devolvevano le relative funzioni amministrative ai comuni. Sulla base di tali previsioni, le regioni adottarono normative di ampio respiro, che hanno finito per conferire all’assistenza scolastica i contorni del “diritto allo studio”. Dopo la riforma del titolo V, operato con la L. costituzionale 3/2001, in dottrina sono emerse due tesi in ordine al ricomprendere l’assistenza scolastica (e, quindi, il diritto allo studio) nella materia dell’istruzione (di competenza concorrente) ovvero – non essendo esplicitamente citato – tra le materie affidate alla potestà legislativa residuale delle regioni (ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.). Si veda, più ampiamente: Silvio Troilo, Il diritto allo studio fra Stato e regioni, in Federalismi.it n. 9/2012.
[146] I criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e le province autonome e per l'individuazione dei beneficiari, in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie, sono stati definiti con DPCM 14 febbraio 2001, n. 106.
[147] L'elaborazione di ogni prodotto deve essere affidata a un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell'opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare. L'opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell'anno scolastico, al MIUR e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell'ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale dello stesso MIUR per l'azione Editoria Digitale Scolastica".
[148] La rete delle scuole italiane all’estero (infanzia, primaria,
secondaria di primo e di secondo grado) comprende:
- 8 istituti statali onnicomprensivi con sede ad
Addis Abeba, Asmara, Atene, Barcellona, Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo;
-
43
scuole italiane paritarie, la maggior parte delle quali è costituita da
istituti onnicomprensivi, presenti in varie aree geografiche nel mondo, tra
Europa, Africa-subsahariana, Mediterraneo e Medio Oriente, Americhe.
[149] L’art.
14, co. 1, lett. b),
del D.L. 95/2012 ha previsto la riduzione di 776 unità (dal limite massimo di
1.400 a quello di 624) del personale
da destinare alle scuole italiane all'estero, alle scuole europee e alle istituzioni
scolastiche e universitarie estere.
[150] Secondo i dati forniti
dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con
riferimento all’a.s. 2014/2015, il contingente prevede 214
posti nelle 8 scuole statali, 36 unità in quelle paritarie, 90 unità nelle
sezioni italiane presso scuole straniere, bilingui o internazionali, 28 posti
di dirigente scolastico presso le Ambasciate e i Consolati.
[151] Più specificamente, l’art. 4, co. 58, della L. 92/2012 ha delegato il Governo alla definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti acquisiti in contesti non formali e informali, con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze, mentre i co. da 64 a 68 hanno introdotto il sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze.
[152] Si ricorda che con il D.M. 26 settembre 2012, emanato in attuazione dell’articolo 6 del D.Lgs. 167/2011 (T.U. sull’apprendistato) è stato definito il sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite in apprendistato. Si evidenzia, inoltre, che l’art. 44 dello schema di decreto approvato dal Governo il 20 febbraio u.s., di cui si è già detto nella scheda di commento relativa all’art. 4 del testo in esame, prevede che le competenze acquisite dall'apprendista sono certificate dall’istituzione formativa di provenienza dell'allievo secondo le disposizioni di cui al D.lgs. 13/2013 (in particolare, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinati dallo stesso schema).