Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento cultura
Titolo: Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti - A.C. 2994
Riferimenti:
AC N. 2994/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 286
Data: 01/04/2015
Organi della Camera: VII-Cultura, scienza e istruzione

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti

A.C. 2994

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 286

 

 

 

1 aprile 2015

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Cultura

( 066760-3255 – * st_cultura@camera.it

Hanno partecipato alla redazione del dossier i seguenti Servizi e Uffici:

Segreteria Generale – Ufficio Rapporti con l’Unione europea

( 066760-2145 – * cdrue@camera.it

§  Le schede di lettura sono state redatte dal Servizio Studi.

§  Le parti relative alle procedure di contenzioso sono state curate dall'Ufficio rapporti con l'Unione europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

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File: CU0170

 


INDICE

Schede di lettura

Capo I Finalita’ 3

§  Articolo 1 (Oggetto e finalità) 3

Capo II Autonomia scolastica e valorizzazione dell’offerta formativa. 5

§  Articoli 2 e 23, comma 1 (Autonomia scolastica e offerta formativa) 5

§  Articolo 3 (Percorso formativo degli studenti) 21

§  Articolo 4 (Scuola, lavoro e territorio) 23

§  Articolo 5 (Innovazione digitale e didattica laboratoriale) 31

Capo III Organico, assunzioni e assegnazione dei docenti 35

§  Articoli 6 e 23, comma 2 (Organico dell’autonomia per l’attuazione dei piani triennali dell’offerta formativa ) 35

§  Articolo 7 (Competenze del dirigente scolastico e istituzione degli albi territoriali del personale docente) 42

§  Articolo 8 (Piano straordinario di assunzioni di personale docente) 51

§  Articolo 9 (Periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo) 61

§  Articolo 10 (La Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente e il Piano nazionale di formazione) 65

§  Articolo 11 (Valorizzazione del merito del personale docente) 69

§  Articolo 12 (Limite di durata dei contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili e Fondo per il risarcimento) 70

§  Articolo 13 (Comandi e distacchi di personale scolastico) 75

Capo IV Istituzioni scolastiche autonome. 76

§  Articolo 14 (Portale unico dei dati della scuola e progetto sperimentale per l’assistenza alle scuole) 76

Capo V Agevolazioni fiscali 79

§  Articolo 15 (Cinque per mille) 79

§  Articolo 16 (School bonus) 83

§  Articolo 17 (Detraibilità delle spese sostenute per la frequenza scolastica nelle scuole paritarie) 85

Capo VI Edilizia scolastica. 86

§  Articolo 18 (Scuole innovative) 86

§  Articolo 19 (Misure per la sicurezza e la valorizzazione degli edifici scolastici) 89

§  Articolo 20 (Indagini diagnostiche su solai e controsoffitti degli edifici scolastici) 105

Capo VII Riordino, adeguamento e semplificazione delle disposizioni legislative. 106

§  Articolo 21 (Delega al Governo in materia di Sistema nazionale di istruzione e formazione) 106

-      Nuovo testo unico in materia di istruzione (co. 2, lett. a) 109

-      Autonomia scolastica (co. 2, lett. b) 110

-      Abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria (co. 2, lett. c) 113

-      Assunzione, formazione e valutazione del dirigente scolastico (co. 2, lett. d) 115

-      Diritto all’istruzione e alla formazione degli studenti con disabilità e bisogni educativi speciali (co. 2, lett. e) 118

-      Governo della scuola e organi collegiali (co. 2, lett. f) 122

-      Percorsi dell’istruzione professionale (co. 2, lett. g) 127

-      Istituti tecnici superiori (co. 2, lett. h) 129

-      Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni (co. 2, lett. i) 135

-      Diritto allo studio (co. 2, lett. l) 143

-      Ausili digitali per la didattica (co. 2, lett. m) 145

-      Scuole italiane all’estero (co. 2, lett. n) 147

-      Valutazione e certificazione delle competenze degli studenti ed esami di Stato (co. 2, lett. o) 150

Capo VIII Disposizioni finali e norme finanziarie. 155

§  Articolo 22 (Deroghe) 155

§  Articoli 24 e 23, comma 1 (Disposizioni finanziarie e abrogazioni) 157

 


Schede di lettura

 


Capo I
Finalita’

Articolo 1
(Oggetto e finalità)

L’articolo 1 individua l’oggetto della legge nella disciplina dell’autonomia scolastica, allo scopo di garantire massima flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia del servizio scolastico, e la collega:

·     alla dotazione finanziaria;

·     alla integrazione e al migliore utilizzo delle risorse e delle strutture;

·     alla introduzione di tecnologie innovative;

·     al coordinamento con il contesto territoriale.

Il cardine è l’introduzione della programmazione triennale dell’offerta formativa da parte della scuola per il potenziamento della conoscenza e delle competenze degli studenti e l’apertura della comunità scolastica al territorio.

 

In base all’assetto normativo vigente - quale derivante dall’art. 21 della L. 59/1997, dai DPR 275/1999 e 233/1998 e dal DI 44/2001- le istituzioni scolastiche sono dotate di autonomia didattica e di ricerca, organizzativa, amministrativa, finanziaria e contabile.

In particolare:

·     l’autonomia didattica si sostanzia nella scelta libera e programmata di metodologie, strumenti, organizzazione e tempi di insegnamento, e in ogni iniziativa che sia espressione di libertà progettuale, compresa l'eventuale offerta di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi.

Nello specifico, nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività nel modo più adeguato al tipo di studi e ai ritmi di apprendimento degli alunni, adottando tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune, tra le quali  l'articolazione modulare del monte ore annuale di ciascuna disciplina e attività, la definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l'unità oraria della lezione, l'attivazione di percorsi didattici individualizzati - nel rispetto del principio generale dell'integrazione degli alunni nella classe e nel gruppo, anche in relazione agli alunni disabili - l'articolazione modulare di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso, l'aggregazione delle discipline in aree e ambiti disciplinari. Le istituzioni scolastiche hanno anche autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo nei limiti del proficuo esercizio dell'autonomia didattica e organizzativa (art. 21, co. 9 e 10, L. 59/1997; art. 4, DPR 275/1999).

Può essere utile ricordare che proprio per consentire l’esercizio dell’autonomia didattica, l’art. 21, co. 9, della L. 59/1997, aveva previsto la definizione di criteri per la determinazione dell’organico funzionale di istituto;

·     l’autonomia organizzativa è finalizzata, in particolare, alla realizzazione della flessibilità e della diversificazione del servizio scolastico, da realizzare anche mediante il superamento dei vincoli in tema di unità oraria della lezione, di unitarietà del gruppo classe e di impiego dei docenti. In particolare, le modalità di impiego dei docenti possono essere diversificate nelle varie classi in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche e organizzative adottate nel Piano dell’offerta formativa (POF). In ogni caso, devono restare fermi i giorni di attività didattica annuale previsti a livello nazionale, la distribuzione dell’attività didattica in non meno di 5 giorni settimanali, il rispetto degli obblighi annuali di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, che possono essere assolti, invece che in 5 giorni settimanali, anche sulla base di un’apposita programmazione plurisettimanale. Anche gli adattamenti del calendario scolastico sono stabiliti dalle istituzioni scolastiche in relazione alle esigenze derivanti dal POF (art. 21, co. 8, L. 59/1997; art. 5 DPR 275/1999).

Nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica, le istituzioni scolastiche, sia singolarmente che in forma consorziata, realizzano ampliamenti dell’offerta formativa che prevedano, fra l’altro, iniziative di prevenzione dell’abbandono e della dispersione scolastica, iniziative di utilizzazione delle strutture anche in orari extrascolastici e a fini di raccordo con il mondo del lavoro (art. 21, co. 10, L. 59/1997);

·     con l’autonomia amministrativa si fa riferimento al trasferimento alle scuole delle funzioni, relative alla carriera scolastica e al rapporto con gli alunni, all'amministrazione e alla gestione del patrimonio e delle risorse e allo stato giuridico ed economico del personale, che non siano riservate all'amministrazione centrale e periferica (art. 14, co. 1, DPR 275/1999)[1];

·     l’autonomia finanziaria si sostanzia in autonomia di destinazione della dotazione ordinaria statale, con l’unico vincolo dell'utilizzazione prioritaria per lo svolgimento delle attività di istruzione formazione e orientamento, e autonomia di reperire risorse finanziarie aggiuntive, pubbliche e private, per l'attuazione di progetti promossi e finanziati con risorse a destinazione specifica (art. 21, co. 5, L. 59/1997; art. 6, DPR 233/1998).

Alle istituzioni scolastiche è, altresì, riconosciuta autonomia contabile (art. 21, co. 1 e 14, L. 59/1997; DI 44/2001), nonché il potere di stipulare convenzioni con altre istituzioni scolastiche, università, enti, associazioni o agenzie che intendano dare il loro apporto per la realizzazione di obiettivi specifici; esse possono, altresì, aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere compiti istituzionali e per acquisire beni e servizi che facilitino lo svolgimento dei compiti di carattere formativo (art. 7, DPR 275/1999).

 


Capo II
Autonomia scolastica e valorizzazione dell’offerta formativa

Articoli 2 e 23, comma 1
(Autonomia scolastica e offerta formativa)

L’articolo 2, al fine di realizzare compiutamente l’autonomia scolastica, prevede il rafforzamento delle funzioni del dirigente scolastico e l’istituzione dell’organico dell’autonomia. Conseguentemente, l’articolo 23, co. 1, abroga, a decorrere dall’a.s. 2015/2016, l’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012).

Il medesimo articolo 2 prevede anche la programmazione triennale dell’offerta formativa, finalizzata a indicare il fabbisogno di infrastrutture e attrezzature materiali, nonché il fabbisogno organico, anche in considerazione delle iniziative di potenziamento dell’offerta formativa. Disposizioni transitorie sono dettate per l’a.s. 2015/2016.

Prevede, infine, l’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche per 126 milioni di euro annui dal 2016 al 2021.

Autonomia delle istituzioni scolastiche

Il comma 1 dispone che, nelle more della revisione del quadro normativo di attuazione dell’art. 21 della L. 59/1997 (si tratta di uno degli ambiti per i quali l’art. 21 del provvedimento in esame conferisce una delega al Governo):

·     è rafforzata la funzione del dirigente scolastico, per garantire una efficiente gestione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche e materiali, fermi restando i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio, nonché gli elementi comuni del sistema scolastico pubblico (in materia dispone, più dettagliatamente, l’art. 7);

·     è istituito l’organico dell’autonomia, funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle scuole, come emergenti dal Piano triennale dell’offerta formativa. (in materia dispone, più dettagliatamente, l’art. 6)

 

L’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – di cui l’art. 23, co. 1, del provvedimento in esame dispone l’abrogazione a decorrere dall’a.s. 2015/2016 – aveva previsto l’emanazione con decreto interministeriale, sentita la Conferenza Stato-regioni, entro 60 giorni dalla data della entrata in vigore della legge di conversione, di linee guida finalizzate, fra l’altro a prevede la costituzione, per ogni istituzione scolastica, di un “organico dell’autonomia” funzionale all'ordinaria attività didattica, educativa, amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico, anche ai fini di una estensione del tempo scuola[2].

Aveva, altresì, previsto che l’organico dell’autonomia doveva essere costituito sulla base dei posti corrispondenti a fabbisogni con carattere di stabilità per almeno un triennio.

Più ampiamente, si veda dossier del Servizio Studi n. 595/2 del 9 marzo 2012.

 

Il comma 2 ribadisce i contenuti dell’autonomia didattica e organizzativa delle scuole già previsti a legislazione vigente, con riferimento alle scelte relative alle attività curricolari, extracurricolari, educative e organizzative, aggiungendo l’individuazione, da parte delle stesse istituzioni scolastiche, del proprio fabbisogno di docenti, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, e di quello relativo ad attrezzature e infrastrutture materiali.

Potenziamento dell’offerta formativa

In base al comma 3, il fabbisogno di posti dell’organico dell’autonomia è determinato in relazione all’offerta formativa che la singola scuola intende realizzare, nel rispetto dei quadri orari degli insegnamenti, tenuto conto della quota di autonomia dei curricoli e degli spazi di flessibilità, nonché in riferimento al potenziamento dell’offerta formativa, finalizzato al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

·     potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano, nonché all’inglese, mediante l’utilizzo della metodologia CLIL (Content language integrated learning), che consiste nell’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica[3] (lett. a));

·     potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche (lett. b));

·     sviluppo delle competenze digitali, con particolare riguardo al pensiero computazionale, all’utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media (lett. h)).

In materia si ricorda che con circolare Prot. 2937 del 23 settembre 2014 il MIUR, in collaborazione con il Consorzio interuniversitario per l’informatica, ha avviato, per l’a.s. 2014-2015, l’iniziativa “Programma il futuro” finalizzata a introdurre nelle scuole i concetti di base dell’informatica, attraverso la programmazione (coding). In particolare, la circolare sottolinea che “Il lato scientifico-culturale dell’informatica, definito anche ‘pensiero computazionale’, aiuta a sviluppare competenze logiche e capacità di risolvere problemi in modo creativo ed efficiente”.

·     potenziamento delle competenze in musica e arte, nonché alfabetizzazione alle tecniche e ai media di produzione e diffusione delle immagini (lett. c) e f));

·     potenziamento delle competenze in materia di diritto e di economia, inclusa la conoscenza dei principi di cittadinanza attiva, e sviluppo di comportamenti improntanti al rispetto della legalità, della sostenibilità ambientale e dei beni culturali e paesaggistici (lett. d) e e));

·     potenziamento delle discipline motorie e sviluppo di comportamenti improntati ad uno stile di vita sano, anche con riferimento all’alimentazione (lett. g)).

 

Ulteriori obiettivi riguardano:

·     contrasto della dispersione scolastica e della discriminazione, nonché garanzia della più ampia inclusione scolastica (lett. i));

·     apertura pomeridiana delle scuole; valorizzazione della scuola intesa come comunità aperta al territorio e in grado di interagire con le famiglie e la comunità locale, incluse le organizzazioni del terzo settore e le imprese (lett. l) e m)) (in materia dispone anche l’art. 5, co. 5);

·     incremento dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo di istruzione (lett. n)) (al riguardo, si veda anche quanto dispone l’art. 4);

·     riduzione del numero di alunni e studenti per classe (lett. m)) (al riguardo, si veda anche quanto dispone l’art. 7);

·     valorizzazione di percorsi formativi individualizzati e individuazione di sistemi funzionali alla premialità e alla valorizzazione del merito di alunni e studenti (lett. o) e p)) (al riguardo, si veda anche quanto dispone l’art. 3);

·     alfabetizzazione e perfezionamento della lingua italiana per stranieri, anche mediante l’attivazione di corsi opzionali di lingua e la dotazione, anche in rete, di laboratori linguistici (lett. q)).

L’importanza dei laboratori linguistici per consentire all’alunno straniero una partecipazione attiva è sottolineata nelle Linee guida per l’integrazione degli alunni stranieri emanate dal MIUR nel febbraio 2014.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 14 del DPR 81/2009 prevede che per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze nella lingua italiana, il relativo insegnamento, nel rispetto dell'autonomia delle scuole, è rafforzato anche utilizzando il monte ore settimanale destinato alla seconda lingua comunitaria.

 

Qui la normativa vigente sul quadro orario degli insegnamenti e sul curricolo.

 

Con il riconoscimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche, ai programmi nazionali è subentrato il Piano dell’Offerta Formativa (POF) di ogni istituzione scolastica.

Il perno del POF è il curricolo, per la cui definizione l’art. 8 del DPR 275/1999 ha previsto una quota nazionale obbligatoria ed una quota riservata alle istituzioni scolastiche.

Per il secondo ciclo di istruzione, è intervenuto il DM 28 dicembre 2005 (le cui linee sono state poi confermate dal DM 13 giugno 2006, n. 47), che ha determinato la quota nazionale obbligatoria, riservata alla realizzazione del nucleo fondamentale dei piani di studio, omogeneo su base nazionale, nell’80% del monte ore annuale. La quota riservata alle singole istituzioni scolastiche, e da esse determinata nell’ambito degli indirizzi definiti dalle regioni, è costituita dal restante 20%.

In seguito, con nota prot. n. 721 del 22 giugno 2006 il Ministero ha specificato che tale quota del 20% deve intendersi applicabile ad ogni ordine e grado di istruzione. Successivamente, la quota dei piani di studio rimessa alle singole istituzioni è stata elevata, limitatamente al secondo biennio dei licei, al 30% (art. 10, co. 1, lett. c), del DPR 89/2010, per il quale si v. infra).

 

Il primo ciclo di istruzione

In attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) – che ha previsto la ridefinizione, con regolamenti di delegificazione, dei curricoli nei diversi ordini di scuole, anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari –, per il primo ciclo di istruzione è stato emanato il DPR 89/2009 che ha stabilito, in particolare, i modelli orari settimanali della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado[4], nonché, limitatamente a quest’ultima, il quadro orario settimanale e annuale delle discipline[5].

Le vigenti Indicazioni nazionali per il primo ciclo – che costituiscono il quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole e che sono state emanate (in attuazione dell'art. 1, co. 4, del DPR 89/2009[6]) con D.M. 16 novembre 2012, n. 254 – hanno individuato le discipline oggetto di insegnamento per tutto il ciclo (senza definire la quota oraria per ciascuna disciplina).

Si tratta di: Italiano; lingua inglese; seconda lingua comunitaria[7]; storia[8]; geografia; matematica; scienze; musica; arte e immagine; educazione fisica; tecnologia (oltre a Cittadinanza e Costituzione e Religione cattolica[9]).

 

I percorsi liceali

L'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei è stato definito – sempre in attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 – con il DPR 89/2010, in base al quale il sistema dei licei comprende i licei artistico[10], classico, linguistico, musicale e coreutico[11], scientifico[12] e delle scienze umane[13]. Il medesimo DPR ha definito, altresì, i diversi piani degli studi, con i relativi quadri orari.

In particolare, l’art. 10 del DPR ha stabilito che la quota dei piani di studio rimessa alle singole istituzioni scolastiche non può essere superiore al 20% del monte ore complessivo nel primo biennio e nel quinto anno, e al 30% nel secondo biennio, fermo restando che l'orario previsto dal piano di studio di ciascuna disciplina non può essere ridotto in misura superiore a un terzo nell'arco dei 5 anni e che non possono essere soppresse le discipline previste nell'ultimo anno di corso dai piani di studio.

Inoltre, nell'esercizio della loro autonomia didattica, organizzativa e di ricerca, le istituzioni scolastiche possono organizzare, attraverso il POF, attività ed insegnamenti facoltativi, a scelta degli studenti, che concorrono alla valutazione complessiva.

Le vigenti Indicazioni nazionali riguardanti i percorsi liceali sono state emanate – in attuazione dell’art. 13, co. 10, lett. a), del DPR 89/2010 – con D.M. 7 ottobre 2010, n. 211.

 

Gli istituti tecnici e gli istituti professionali

Il riordino degli istituti tecnici e professionali è stato operato – sempre in attuazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 –, rispettivamente, con il DPR 88/2010 e con il DPR 87/2010.

In particolare, i percorsi degli istituti tecnici attengono a 2 settori (economico; tecnologico), articolati a loro volta, rispettivamente, in 2 e 9 indirizzi, ulteriormente specificabili in opzioni[14]. L’art. 5 del DPR 88/2010 ha stabilito che gli istituti tecnici possono utilizzare la quota di autonomia del 20% dei curricoli, fermo restando che ciascuna disciplina non può essere decurtata per più del 20% previsto dai quadri orari definiti con il medesimo DPR[15].

Anche i percorsi degli istituti professionali attengono a 2 settori (industria e artigianato; servizi), articolati a loro volta, rispettivamente, in 2 e 4 indirizzi, ulteriormente specificabili in opzioni[16]. L’art. 5 del DPR 87/2010 ha stabilito che gli istituti professionali possono utilizzare la quota di autonomia del 20% dei curricoli[17], fermo restando che ciascuna disciplina non può essere decurtata per più del 20% previsto dai quadri orari definiti con il medesimo DPR[18].

Il passaggio al nuovo ordinamento è stato definito – ai sensi, rispettivamente, dell’art. 8, co. 3, del DPR 88/2010, e dell’art. 8, co. 6, del DPR 87/2010 – da linee guida, anche per quanto concerne l’articolazione in competenze, abilità e conoscenze dei risultati di apprendimento. In particolare, con Direttiva n. 57 del 15 luglio 2010 e con Direttiva n. 65 del 28 luglio 2010 sono state emanate le linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento per il primo biennio negli istituti tecnici e negli istituti professionali.  Con

Direttive nn. 4 e 5 del 16 gennaio 2012 sono state emanate le linee guida per il secondo biennio e il quinto anno per gli istituti tecnici e per gli istituti professionali.

Il Piano triennale dell’offerta formativa

I commi da 4 a 6, nonché da 8 a 10, individuano i contenuti e le modalità di predisposizione del Piano triennale dell’offerta formativa, che – secondo quanto afferma la relazione illustrativa – si aggiunge al Piano annuale dell’offerta formativa, redatto ai sensi dell’art. 3 del DPR 275/1999.

 

Al riguardo si evidenzia che nell’ordinamento sussisterebbero due strumenti che, almeno in parte, avrebbero gli stessi contenuti. In ogni caso, è opportuno esplicitare meglio la questione nel testo del provvedimento.

 

L’art. 3 del DPR 275/1999 prevede che ogni istituzione scolastica predispone il Piano dell'offerta formativa (POF), che è reso pubblico e consegnato agli alunni e alle famiglie all'atto dell'iscrizione. Il Piano è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia.

Sempre ai sensi dell’art. 3 citato, il POF è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell'offerta formativa. A tal fine, il dirigente scolastico attiva i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti sul territorio.

Dal punto di vista operativo, il POF è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e delle scelte generali di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo o di istituto, tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti, ed è adottato dal consiglio di circolo o di istituto.

 

Con riguardo ai contenuti, i commi 4 e 8 dispongono che il Piano triennale dell’offerta formativa indica, in aggiunta a quanto previsto per il Piano dell’offerta formativa redatto ai sensi dell’art. 3 del DPR 275/1999:

·     il fabbisogno di posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, nonché il fabbisogno di posti per il potenziamento dell’offerta formativa (più ampiamente, si veda la scheda di commento relativa all’art. 6);

·     il fabbisogno di infrastrutture e attrezzature materiali;

·     la programmazione delle attività formative rivolte al personale docente;

·     la quantificazione delle risorse necessarie per la realizzazione dell’offerta formativa.

Inoltre, in base all’art. 4, co. 1, nel Piano triennale sono inseriti anche i percorsi di alternanza scuola-lavoro (che, ad esempio, attualmente, sono già definiti e programmati all’interno del POF).

 

Con riguardo alle modalità di definizione, il citato comma 4 prevede che il Piano triennale dell’offerta formativa è predisposto da ciascuna istituzione scolastica entro il mese di ottobre dell’anno scolastico precedente al triennio di riferimento.

Si intenderebbe, dunque, che, se - a titolo di esempio - il triennio (presumibilmente, scolastico) di riferimento è il 2016/2017, 2017/2018, 2018/2019, il Piano deve essere predisposto entro ottobre 2015.

 

Ai sensi dei commi 5 e 6, l’Ufficio scolastico regionale valuta la proposta di Piano triennale in termini di coerenza con gli obiettivi generali di potenziamento dell’offerta formativa e di compatibilità economico-finanziaria, sulla base delle risorse disponibili a legislazione vigente, e lo trasmette al MIUR, che verifica il rispetto degli obiettivi e stabilisce le risorse effettivamente destinabili alle infrastrutture materiali e il numero di posti dell’organico dell’autonomia attivabili.

A seguito della valutazione del MIUR, le istituzioni scolastiche, entro il mese di febbraio” – si intenderebbe, sempre, dell’anno scolastico precedente al triennio scolastico di riferimento –, aggiornano il Piano triennale, che diventa efficace.

Per la valutazione da parte dell’Ufficio scolastico regionale (USR) e da parte del MIUR non sono indicati termini.

 

Ai sensi del comma 10, le scuole sono tenute a pubblicare i Piani triennali – e le eventuali revisioni – nel Portale unico dei dati sulla scuola (previsto dall’art. 14), anche per consentire una valutazione comparativa da parte degli studenti e delle famiglie.

Al riguardo occorrerebbe chiarire se anche le revisioni devono essere trasmesse dall’istituzione scolastica all’USR e dall’USR al MIUR.

 

Con riferimento ai soggetti coinvolti, il comma 9 prevede che il Piano triennale è elaborato dal dirigente scolastico, sentiti il collegio dei docenti e il consiglio di istituto, con l’eventuale coinvolgimento dei principali attori economici, sociali e culturali del territorio.

Rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente per l’elaborazione del POF, non si prevedono pareri e proposte dei genitori e – limitatamente alle scuole secondarie di secondo grado – degli studenti.

 

Il comma 11 dispone, infine, anticipando contenuti meglio esplicitati dall’articolo 7, che, una volta definito il Piano triennale dell’offerta formativa, il dirigente scolastico sceglie il personale da assegnare ai posti dell’organico dell’autonomia.

La stima del fabbisogno di docenti per l’a.s. 2015-2016

In deroga alla procedura sopra descritta per la determinazione del fabbisogno organico nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa, il comma 13 prevede che, per l’a.s. 2015-2016, il dirigente scolastico provvede all’“immediata predisposizione di una stima del fabbisogno necessario”, redatta sentiti il collegio dei docenti e il consiglio di istituto.

Sembrerebbe necessario fissare un termine per la predisposizione della stima del fabbisogno di docenti da parte dei dirigenti scolastici, anche ai fini di un coordinamento con quanto dispone l’art. 8, co. 1, secondo periodo, che prevede che, per il medesimo a.s., l’organico dell’autonomia - peraltro, limitatamente ai posti comuni e di sostegno - è determinato entro il 31 maggio 2015, previa conferma da parte del MIUR (si richiama, infatti, fra l’altro, l’art. 6, co. 4).

 

A seguito di ciò, il dirigente scolastico individua i docenti da destinare all’organico dell’autonomia per l’a.s. 2015-2016, scegliendoli dagli albi territoriali (di cui all’art. 7).

 

Il medesimo comma 13 stabilisce, infine, che la stima del fabbisogno per l’a.s. 2015-2016 confluirà nel successivo Piano (triennale) dell’offerta formativa.

Dunque, il primo Piano triennale dell’offerta formativa, relativo agli anni scolastici dal 2016-2017 al 2018-2019, includerà anche l’informazione relativa alla dotazione dell’organico dell’autonomia relativo all’a.s. 2015-2016.

Il riferimento corretto è al Piano “triennale” dell’offerta formativa.

Le risorse per la realizzazione del Piano triennale dell’offerta formativa e l’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche

Il comma 7 dispone che, con decreto ministeriale, il MIUR provvede al finanziamento delle istituzioni scolastiche, con riferimento ai diversi ordini e gradi di istruzione, per la realizzazione degli obiettivi del Piano triennale, nei limiti delle risorse disponibili a legislazione vigente.

La relazione illustrativa evidenzia che ciò è finalizzato alla realizzazione dell’autonomia finanziaria delle scuole.

Il comma 12 dispone, poi, che le istituzioni scolastiche realizzano i progetti inseriti nei Piani triennali anche utilizzando le risorse dell’organico dell’autonomia, di cui all’art. 6, nonché le risorse finanziarie destinate allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, di cui all’art. 5, co. 6, alla cui ripartizione si provvede con il medesimo decreto previsto dal co. 7 dell’art. 2.

Peraltro, con lo stesso decreto sono ripartite, in base all’art. 4, co. 7, le risorse finanziarie destinate al rafforzamento dell’alternanza scuola-lavoro.

Si segnala che – a differenza dell’art. 5, co. 6 – l’art. 4, co. 7, non è richiamato nell’art. 2, co. 12.

 

Il comma 16 dell’art. 2 prevede l’incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche per 126 milioni di euro annui dal 2016 al 2021.

 

Le risorse del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, istituito dall’art. 1, co. 601, della L. 296/2006, sono allocate su un capitolo per ciascun grado di istruzione[19] e per il 2015, in base al Decreto 101094 del 29 dicembre 2014 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015- 2017, sono pari, complessivamente, ad € 761,2 mln.

La norma istitutiva del Fondo ha disposto che i criteri e i parametri per l'assegnazione diretta alle istituzioni scolastiche delle risorse sono stabiliti con decreto del Ministro della pubblica istruzione. In attuazione, è stato emanato il DM 1 marzo 2007, in base al quale le somme sono utilizzate per:

§  spese per le supplenze brevi e saltuarie;

§  compensi ed indennità per il miglioramento dell’offerta formativa (c.d. MOF);

§  finanziamenti alle scuole sedi di esami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria superiore e degli esami di idoneità per l’abilitazione all’esercizio della libera professione;

§  contributi alle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado, per la fruizione della mensa da parte del personale docente.

Le risorse sono ripartite tra le istituzioni scolastiche sulla base di criteri che tengono conto della tipologia dell’istituzione scolastica, della consistenza numerica degli alunni, del numero degli alunni diversamente abili, del numero di plessi e sedi in cui si articola la scuola oltre la sede principale.

A seguito delle disposizioni recate dall’art. 7, co. 37, del D.L. 95/2012 (L.135/2012) – che hanno previsto che, a decorrere dal 2013, nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche confluiscono ulteriori autorizzazioni di spesa, fra cui quella relativa al Fondo per l’ampliamento dell’offerta formativa[20] – i criteri indicati dal DM 21/2007 sono stati integrati con DM 351 del 21 maggio 2014, in base al quale le risorse (per il 2014) sono destinate a:

§  laboratori scientifici-tecnologici presso le scuole secondarie di secondo grado;

§  funzionamento amministrativo e didattico delle scuole statali;

§  sistemi informativi;

§  supporto alle scuole in materia amministrativo-contabile;

§  formazione in servizio del personale scolastico (per l'avvio degli insegnamenti in modalità CLIL; per i docenti di scuola primaria, per l'insegnamento della lingua inglese; per interventi formativi destinati ai dirigenti scolastici e ai DSGA in materia amministrativo-contabile; per interventi formativi in favore dei docenti, in particolare, nelle regioni ove i risultati delle valutazioni sugli apprendimenti effettuate dall'INVALSI risultano inferiori alla media nazionale, nelle aree ad alto rischio socio-educativo e nelle aree a forte concentrazione di immigrati);

§  attività inerenti l'alternanza scuola-lavoro;

§  corsi di recupero per gli studenti;

§  integrazione scolastica degli alunni ospedalizzati o colpiti da gravi patologie;

§  integrazione scolastica degli alunni con disabilità;

§  alfabetizzazione linguistica di alunni stranieri di recente immigrazione;

§  promozione di una corretta alimentazione nelle scuole;

§  realizzazione di un piano nazionale di promozione dello sport a scuola;

§  promozione della legalità;

§  promozione della cultura scientifica a scuola;

§  attività volte alla celebrazione del primo centenario della Prima Guerra Mondiale.

Insegnamento dell’inglese nella scuola primaria

Il comma 14 dispone che l’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria è assicurato, nell’ambito delle risorse finanziarie o di organico disponibili, utilizzando docenti madrelingua o “abilitati all’insegnamento nella relativa classe di concorso”, in qualità di specialisti, ovvero ricorrendo alla “fornitura di appositi servizi”.


 

E’ utile ricordare che l'insegnamento di una lingua straniera nella scuola elementare è stato introdotto dall’art. 10 della L. 148/1990, che aveva rinviato a un successivo decreto ministeriale la definizione delle modalità di introduzione generalizzata di tale insegnamento e la definizione delle competenze e dei requisiti di cui i docenti dovevano essere forniti.

In particolare, il D.M. 28 giugno 1991, attuativo della disposizione citata, aveva affidato l'insegnamento della lingua straniera – a scelta tra francese, inglese, spagnolo e tedesco[21] – a un insegnante elementare specializzato, in possesso di determinate competenze[22], inserito nel modulo organizzativo e didattico cui era affidata la classe. Lo stesso DM aveva, peraltro, disposto che nella fase di transizione (era, infatti, prevista la realizzazione di appositi corsi di formazione in servizio), l’insegnamento della lingua straniera veniva affidato ad un insegnante elementare specialista – vale a dire ad un docente che insegnava esclusivamente lingua straniera – al quale venivano assegnate più classi.

Successivamente, l’art. 1, co. 128, della L. 311/2004 (finanziaria 2005) aveva stabilito che l'insegnamento della lingua straniera nella scuola primaria doveva essere impartito dai docenti della classe in possesso dei requisiti richiesti o da altro docente facente parte dell'organico di istituto sempre in possesso dei requisiti richiesti. Potevano essere attivati posti di lingua straniera da assegnare a docenti specialisti solo nei casi in cui non fosse possibile coprire le ore di insegnamento con i docenti di classe o di istituto. A tal fine, erano attivati corsi di formazione, la cui partecipazione era obbligatoria per tutti i docenti privi dei requisiti previsti.

Da ultimo, l’art. 10, co. 5, del DPR 81/2009 – emanato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) – ha previsto che l’insegnamento della lingua inglese nella scuola primaria è affidato ad insegnanti di classe specializzati. Ha, altresì previsto che gli insegnanti non specializzati sono obbligati a partecipare ad appositi corsi triennali di formazione linguistica[23] e che essi, dopo il primo anno di formazione, sono impiegati

preferibilmente nelle prime due classi della scuola primaria e sono assistiti da interventi periodici di formazione linguistica e metodologica, anche con il supporto di strumenti e dotazioni multimediali. Fino alla conclusione del piano di formazione, e comunque fino all'a.s. 2011/2012, dovevano essere utilizzati, in caso di carenza di insegnanti specializzati, insegnanti sempre di scuola primaria specialisti esterni alle classi.

 

Da ultimo, l’Ordinanza Ministeriale n. 4 del 24 febbraio 2015, relativa alla mobilità del personale docente, educativo e ATA per l’a.s. 2015/2016, ha disposto che i posti per l’insegnamento della lingua inglese istituiti nell’ambito dell’organico nella scuola primaria sono richiedibili dagli insegnanti in possesso del titolo previsto dall’art. 14, nota 1, del CCNI concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ATA per l’a.s. 2015/2016. Si tratta, in particolare, di:

§  superamento del concorso per esami e titoli a posti d’insegnante nella scuola primaria con il superamento anche della prova di lingua inglese, ovvero sessioni riservate per il conseguimento dell’idoneità nella scuola primaria con superamento della prova di lingua inglese;

§  attestato di frequenza dei corsi di formazione linguistica in servizio autorizzati dal Ministero;

§  possesso di laurea in Scienze della formazione primaria o di laurea in Lingue straniere valida per l’insegnamento della specifica lingua straniera nella scuola secondaria;

§  certificato rilasciato dal Ministero degli affari esteri attestante un periodo di servizio di almeno 5 anni prestato all’estero con collocamento fuori ruolo relativamente all’area linguistica della zona in cui è stato svolto il servizio all’estero.

 

Sembrerebbe, dunque, che si intenda consentire l’insegnamento della lingua inglese da parte di soggetti specialisti della materia, non necessariamente in possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria.

In particolare, tra detti soggetti rientrerebbero docenti madrelingua e docenti abilitati all’insegnamento nella “relativa classe di concorso”, classi di concorso che, allo stato, risultano istituite solo per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado.

 

In base all’art. 270 del d.lgs. 297/1994, le tipologie delle classi di concorso per l’accesso ai ruoli del personale docente sono stabilite con decreto ministeriale. Da ultimo, si fa riferimento alle classi di concorso determinate con DM 39/1998 e DM 22/2005 e alle classi di abilitazione di cui al DM 37/2009[24].

In particolare, per quanto qui maggiormente interessa, risultano istituite le seguenti classi di concorso o classi di abilitazione:

 

Istituti di istruzione secondaria di I grado

45/A – Lingua inglese e seconda lingua straniera

Istituti di istruzione secondaria di II grado

46/A – Lingue e civiltà straniere

3/C – Conversazione in lingua straniera

 

Sembrerebbero necessarie alcune esplicitazioni, sia con riferimento alla necessità (o meno) del possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria, sia con riferimento all’eventuale ordine di priorità nell’utilizzo, nonché ai docenti madrelingua (ad esempio, con riguardo ai titoli posseduti) e alla “fornitura di appositi servizi”.

Da ultimo, occorre procedere all’abrogazione della normativa vigente incompatibile con le novità proposte.

Insegnamento di musica ed educazione fisica nella scuola primaria

Il comma 15 dispone che l’insegnamento della musica e dell’educazione fisica nella scuola primaria è assicurato, nel limite dell’organico disponibile, avvalendosi di docenti abilitati nelle relative classi di concorso, anche in ruolo in altri gradi di istruzione, in qualità di specialisti.

 

Anche in tal caso, dunque, sembrerebbe che si intenda consentire l’insegnamento degli ambiti sopra richiamati da parte di soggetti specialisti non necessariamente in possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria.

A differenza di quanto avviene per l’insegnamento della lingua inglese, in tali casi si deve provvedere unicamente nell’ambito dell’organico dell’autonomia (senza riferimento alle risorse finanziarie).

 

Occorrerebbero alcune esplicitazioni, sia con riferimento alla necessità (o meno) del possesso del titolo di abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria, sia con riferimento alle condizioni di utilizzo nella scuola primaria di docenti in ruolo in altri gradi di istruzione (ad esempio, quanto ad orario di lavoro, retribuzione e obblighi di servizio) e alle eventuali risorse finanziarie da utilizzare.

Infine, occorre un coordinamento normativo con quanto attualmente previsto (in particolare, v., infra, art. 2, co. 1, DM 8/2011).

 

Sull’argomento, si rammenta, innanzitutto che, nell’ambito della consultazione indetta dal MIUR su “La Buona Scuola”, il Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della Musica per tutti gli studenti[25] ha proposto, relativamente alla scuola primaria, l’intervento di docenti “specialisti” interni, ovvero insegnanti in possesso di specifiche professionalità e competenze didattiche e musicali da offrire a un ampio numero di classi, ritenendo, peraltro, necessaria l’integrazione in organico di tale figura professionale (si v. il documento Proposta di Piano nazionale “Musica nella scuola per la formazione del cittadino”, presentato il 6 ottobre 2014)[26].

 

Con riferimento all’insegnamento della musica nella scuola primaria, si ricorda che, sulla base dell’art. 4, co. 10, del DPR 89/2009[27] – emanato ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) –, è stato adottato il DM 8/2011, che ha individuato i titoli prioritari per insegnare musica e pratica musicale nella scuola primaria.

In particolare, l’art. 2 del DM ha disposto che le istituzioni scolastiche, anche attraverso accordi rete, affidano prioritariamente l’insegnamento curricolare di musica nella scuola primaria a docenti compresi nell’organico ad esse assegnato, in possesso, oltre che dell’abilitazione all’insegnamento per la scuola primaria, di titoli specifici. Questi ultimi sono stati definiti dall’art. 3, nelle more della definizione di specifici percorsi formativi destinati alla specializzazione in musica dei docenti della scuola primaria. Si tratta di:

§  diploma quadriennale in didattica della musica;

§  diploma biennale di cui al DM 137/2007;

§  diploma accademico di secondo livello;

§  diploma conseguito secondo l’ordinamento previgente il DPR 212/2005;

§  diploma accademico di primo livello;

§  diploma accademico specifico in didattica della musica o in musica per l’educazione conseguito all’estero equiparato.

Lo stesso art. 3 ha, altresì, previsto che nell’ambito degli accordi di rete possono, altresì, essere utilizzati docenti delle classi di concorso A031 (educazione musicale nella scuola secondaria di secondo grado), A032 ((secondo il DM 26 marzo 2009, n. 37, musica nella scuola secondaria di primo grado) e A077 (strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado), purché l’utilizzo di questo personale non produca esuberi nell’organico destinato alla scuola primaria.

Infine, ha disposto che il possesso dei titoli – incluse le specifiche abilitazioni - è completato da attività di formazione in servizio, al fine di integrare le competenze musicali con le specifiche esigenze didattiche connesse all’insegnamento nella scuola primaria[28].

 

Per quanto concerne l’insegnamento dell’educazione fisica, si ricorda, in particolare, la recente iniziativa “Sport di Classe”, per il potenziamento dello sport a scuola, avviata da Presidenza del Consiglio, MIUR e CONI e presentata il 16 settembre 2014[29], che ha previsto il coinvolgimento di tutte le scuole primarie per l’a.s. 2014-2015. In tale ambito, la nota del MIUR prot. n. 6263 del 3 novembre 2014, ha disposto, in particolare:

§  l’inserimento nel POFdi 2 ore settimanali di educazione fisica per tutte le classi terza, quarta e quinta, impartite dall’insegnante titolare della classe;

§  un piano per la formazione iniziale e in itinere dell’insegnante titolare della classe;

§  l’inserimento della figura del Tutor sportivo, all’interno del Centro sportivo scolastico, chiamato a collaborare con il dirigente scolastico e con il docente curricolare alla progettazione delle attività didattiche, alla programmazione e realizzazione delle attività motorie e sportive scolastiche, garantendo periodicamente esemplificazioni operative in orario curricolare con presenza di almeno un’ora al mese per ciascuna classe assegnata. Inoltre, garantisce la programmazione, l’organizzazione e la presenza nell’ambito dei Giochi invernali e dei Giochi di fine anno scolastico.

Con nota del MIUR prot. n. 6888 del 27 novembre 2014 il progetto Sport di Classe è stato poi esteso anche alle classi prime e seconde degli istituti scolastici che ne avevano fatto richiesta al momento dell’adesione.

 

Per quanto concerne, infine, le classi di abilitazione per l’insegnamento dell’educazione fisica negli istituti di istruzione secondaria di primo e di secondo grado esse sono, rispettivamente la 30/A (educazione fisica) e la 29/A (scienze motorie e sportive).

 

 

 

 


Articolo 3
(Percorso formativo degli studenti)

L’articolo 3 prevede l’attivazione, nelle scuole secondarie di secondo grado, di insegnamenti opzionali che soddisfino le esigenze didattiche e formative personalizzate degli studenti e istituisce il Curriculum dello studente.

Introduce, dunque, uno specifico profilo di flessibilità dell’offerta formativa.

 

In particolare, il comma 1 prevede che, per soddisfare le esigenze didattiche e formative personalizzate degli studenti, le scuole secondarie di secondo grado inseriscono nel Piano triennale dell’offerta formativa, nell’ambito delle risorse finanziarie disponibili e dei posti di organico dell’autonomia assegnati, insegnamenti opzionali, ulteriori rispetto a quelli previsti dai quadri orari per lo specifico grado, ordine e opzione di istruzione.

Si tratta, dunque, di insegnamenti a scelta degli studenti - evidentemente finalizzati alla motivazione degli stessi negli apprendimenti - che sono inseriti nel “Curriculum dello studente”, introdotto dallo stesso comma 1.

Al riguardo si ricorda che già l’art. 4 del DPR 567/1996 - come modificato, da ultimo, dall’art. 5 del DPR 105/2001 - , ha disposto che il consiglio di istituto ha competenze relative alla predisposizione di iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti, che negli istituti di istruzione secondaria superiore possono essere proposte anche da gruppi di almeno 20 studenti e da associazioni studentesche[30].  

 

Il “Curriculum dello studente” - che ne individua il profilo, associandolo ad una identità digitale (sul punto, si veda anche quanto dispone l’art. 21, co. 2, lett. m) - oltre a documentare il percorso di studi, comprensivo delle competenze acquisite, delle scelte opzionali e delle esperienze di alternanza scuola-lavoro, attesta anche lo svolgimento di esperienze formative (quali, sport, attività culturali e di volontariato) in ambito extrascolastico: si tratta, in base al testo, di tutti i dati utili anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro.

In base al comma 3, il Curriculum è inserito nel Portale unico dei dati della scuola di cui all’art. 14.

 

Il comma 2 dispone che il dirigente scolastico può individuare percorsi formativi e iniziative dirette a garantire un maggiore coinvolgimento degli studenti e una valorizzazione del merito scolastico e dei talenti, utilizzando anche finanziamenti esterni, compresi quelli derivanti da sponsorizzazioni[31]. Resta fermo l’obbligo di trasparenza delle procedure.

In materia, si ricorda che l’art. 1-bis, co. 5, del D.L. 134/2009 (L. 167/2009) ha previsto che, a decorrere dal 2010, le risorse – nel limite annuo di 5 milioni di euro – stanziate per valorizzare l’eccellenza degli studenti (art. 2, co. 5, della L. 1/2007), possono essere utilizzate anche per la valorizzazione del merito e del talento degli studenti. Ha, altresì previsto che, a tal fine, con il decreto ministeriale con il quale, prima dell'avvio di ogni anno scolastico, viene definito il programma nazionale di promozione dell'eccellenza (art. 5, co. 1, del d.lgs. 262/2007), sono definiti anche il programma nazionale di valorizzazione del merito e del talento degli studenti, nonché il riparto delle risorse complessivamente disponibili tra tale finalità e quella della valorizzazione delle eccellenze. Infine, ha disposto che alla valorizzazione del merito e del talento degli studenti possono essere destinate anche le somme disponibili nel bilancio dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ora, INDIRE) finalizzate alla valorizzazione delle eccellenze.

Le somme stanziate nel bilancio dello Stato sono allocate sul cap. 1512 dello stato di previsione del MIUR e, in base al Decreto 101094 del 29 dicembre 2014 - Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015 – 2017, per il 2015 sono pari ad € 2.292.037.

Non sembra, peraltro, che la previsione di cui all’art. 1-bis, co. 5, del D.L. 134/2009, abbia avuto seguito. Infatti, ad esempio, per l'a.s. 2014/2015 è stato definito con DM 8 agosto 2014 solo il programma nazionale di promozione delle eccellenze degli studenti delle scuole di istruzione secondaria superiore, statali e paritarie.

In particolare, la tab. A individua le competizioni nazionali e internazionali, ripartite per ambiti disciplinari - e i soggetti organizzatori, interni ed esterni all’amministrazione scolastica, questi ultimi accreditati per un triennio scolastico ai sensi del DM 8 settembre 2011 – in relazione alle quali saranno riconosciuti i risultati elevati raggiunti dagli studenti. Inoltre, come consentito dall’art. 2, co. 6, del d.lgs. 262/2007, individua come ulteriore forma di eccellenza il conseguimento della votazione di 100 e lode nell’esame di Stato conclusivo dei corsi di istruzione secondaria di secondo grado.

La disponibilità finanziaria complessiva è ripartita per 1/3 e per 2/3 fra i due segmenti di eccellenza indicati.

 

 


Articolo 4
(Scuola, lavoro e territorio)

L’articolo 4 intende rafforzare il collegamento fra scuola e mondo del lavoro e, in particolare, introduce nell’ordinamento una previsione di durata minima dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e mette a regime la possibilità di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato.

Alternanza scuola-lavoro

Il comma 1 dispone che, negli ultimi tre anni di scuola secondaria di secondo grado, i percorsi di alternanza scuola-lavoro - che devono essere inseriti nel Piano triennale dell’offerta formativa - hanno una durata complessiva:

-    di almeno 400 ore negli istituti tecnici e professionali;

-    di almeno 200 ore nei licei.

Tali previsioni si applicano a partire dalle classi terze attivate nell’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge.

Nell’a.s. 2013/2014, come si potrà più ampiamente vedere nella tabella presente alla fine della scheda, la media complessiva delle ore annuali è stata pari a 95.

 

Il comma 2, novellando l’art. 1, co. 2, del d.lgs. 77/2005, introduce la possibilità di stipulare convenzioni per lo svolgimento di percorsi in alternanza anche con gli ordini professionali e specifica che le convenzioni possono essere stipulate anche con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio artistico, culturale e ambientale.

Questi ultimi, peraltro, ben potrebbero essere già ricompresi nel riferimento agli “enti pubblici e privati” presente nel testo vigente della disposizione che si intende modificare.

Al riguardo si ricorda che il 28 maggio 2014 MIUR e MIBACT hanno sottoscritto un Protocollo di intesa che prevede, fra l’altro, l’elaborazione di un progetto nazionale di alternanza scuola-lavoro da svolgersi nei luoghi della cultura.

 

Il comma 3 prevede che l’alternanza può essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche e anche con la modalità dell’impresa formativa simulata.

Come illustrato sul sito dell’INDIRE, la metodologia dell'Impresa Formativa Simulata (IFS) consente l'apprendimento di processi di lavoro reali attraverso la simulazione della costituzione e gestione di imprese virtuali che operano in rete, assistite da aziende reali[32].

Il comma 5 prevede che le scuole secondarie di secondo grado organizzano, nei limiti delle risorse disponibili, corsi di formazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, rivolti agli studenti inseriti nei percorsi di alternanza, e svolti secondo quanto disposto dal d.lgs. 81/2008.

Dunque, si attribuisce alle scuole, a livello normativo, la responsabilità dello svolgimento delle attività formative. Al riguardo si veda, infra, quanto è previsto a  legislazione vigente.

 

Sembrerebbe opportuno introdurre anche le novità proposte nei commi 1, 3 e 5 nel decreto legislativo 77/2005, novellandolo.

 

In particolare, in base al d.lgs. 77/2005, emanato in attuazione della delega conferita dall’art. 4 della L. 53/2003, l’alternanza scuola-lavoro è definita come modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo (incluso il sistema di istruzione e formazione professionale), volta ad assicurare ai giovani competenze spendibili nel mercato del lavoro.

Possono chiedere l’accesso all’alternanza scuola-lavoro - nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa - gli studenti che hanno compiuto 15 anni, per lo svolgimento dell’intera formazione fino ai 18 anni o di parte di essa.

I percorsi in alternanza - che comunque non costituiscono rapporto individuale di lavoro - sono realizzati sulla base di convenzioni con le imprese, o con le rispettive associazioni di rappresentanza, o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con gli enti pubblici e privati, inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di apprendimento in situazione lavorativa.

I criteri generali cui le convenzioni devono fare riferimento - insieme con le risorse finanziarie, i criteri per la loro ripartizione, i requisiti dei soggetti interessati ad ospitare gli studenti, il modello di certificazione per la spendibilità a livello nazionale delle competenze e per il riconoscimento dei crediti - dovevano essere definiti con un decreto interministeriale (MIUR-MEF), previa intesa in sede di Conferenza unificata, e sulla base delle indicazioni del Comitato per il monitoraggio e la valutazione dell’alternanza scuola-lavoro.

Il decreto, tuttavia, non risulta intervenuto.

Peraltro, già il d.lgs. dispone che le convenzioni regolano i rapporti e le responsabilità dei soggetti coinvolti nei percorsi in alternanza, compresi gli aspetti relativi alla tutela della salute e della sicurezza dei partecipanti.

Con riferimento all’organizzazione didattica, il d.lgs. prevede che i percorsi in alternanza sono definiti e programmati all’interno del POF e possono essere svolti, nell’ambito dell’orario complessivo annuale dei piani di studio, anche in periodi diversi da quelli fissati dal calendario delle lezioni. Prevede, altresì, la presenza di un tutor interno, designato dall’istituzione scolastica o formativa, e di un tutor esterno, designato dal soggetto ospitante.

La valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti – utili sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico o formativo, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi, compresa l’eventuale transizione nei percorsi di apprendistato - sono attribuiti all’istituzione scolastica e si concludono con il rilascio di una certificazione supplementare relativa alle competenze acquisite.

Per la realizzazione di percorsi in alternanza, il d.lgs. ha previsto un impegno finanziario nel limite massimo di € 10 mln per il 2005 e di € 30 mln dal 2006, a valere sull’autorizzazione di spesa relativa al Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e gli interventi perequativi (art. 4 L. 440/1997)[33].

Alla realizzazione di tali interventi nel sistema dell’istruzione e formazione professionale concorrono le risorse - nella percentuale stabilita dalla programmazione regionale – previste dall’art. 68 della L. 144/1999 per i percorsi di istruzione professionale.

 

Per il 2014, l’art. 6 del DM 21 maggio 2014, n. 351, di cui si è già detto nella scheda di commento relativa all’art. 2, ha destinato alla realizzazione delle attività attinenti l'alternanza scuola-lavoro € 11 mln[34], prevedendo l’assegnazione degli stessi per progetti innovativi di integrazione tra i percorsi formativi ed il mondo del lavoro, anche secondo la metodologia della "bottega-scuola" e "scuola-impresa", e utilizzando quale criterio prioritario l'esistenza di collaborazioni con associazioni di categoria e soggetti rappresentativi del mondo del lavoro sul territorio di riferimento.

Ha, altresì, rimesso ad un decreto direttoriale la definizione delle specifiche dei progetti innovativi e l’individuazione del riparto delle somme per ambiti regionali ed ordini di istruzione, in proporzione al numero di alunni iscritti nelle classi seconde, terze e quarte in ciascuna regione ed ordine, e agli Uffici scolastici regionali (USR) l’acquisizione delle candidature delle scuole per la realizzazione dei progetti.

Ha, infine, previsto che i progetti sono valutati da commissioni nominate dai Direttori degli USR, una per regione, e ha indicato i criteri da seguire ai fini della medesima valutazione.

E’, dunque, intervenuto il D.D. 20 ottobre 2014, n. 761, che ha definito le specifiche dei progetti innovativi di alternanza e ha operato la ripartizione delle risorse.

 

Sempre per il 2014, il DM 2 ottobre 2014, n. 762, emanato in attuazione dell’art. 16, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), ha destinato € 1 mln all’accrescimento delle competenze dei docenti dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali in merito alla fase di pianificazione e programmazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro e ha rimesso ad un decreto direttoriale la definizione delle specifiche dei progetti formativi, nonché il riparto della somma per ambiti regionali ed ordini di istruzione, in proporzione al numero degli iscritti nelle classi seconde, terze e quarte in ciascuna regione ed ordine.

Ha, altresì, affidato agli USR l’individuazione dei soggetti cui affidare la realizzazione delle attività formative - prevedendo che i progetti possono svilupparsi all’interno dei contesti aziendali -, ha disposto che le candidature sono valutate da commissioni nominate dai Direttori degli stessi USR, una per regione, e ha indicato i criteri da seguire ai fini della medesima valutazione.

E’, dunque, intervenuto il D.D. 4 novembre 2014, n. 832, che ha definito gli obiettivi dei progetti formativi e ha operato la ripartizione delle risorse.

 

Si ricorda, infine, che il nuovo ordinamento degli istituti tecnici e professionali e dei licei richiama l'attenzione dei docenti e dei dirigenti sull'alternanza scuola-lavoro (v., in particolare: art. 5, co. 2, lett. e), DPR 88/2010; art. 5, co. 2, lett. d), DPR 87/2010; art. 2, co. 7, DPR 89/2010).

Anche le linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento si soffermano sull’importanza dell’alternanza.

In particolare, nella direttiva n. 4/2012, relativa alle linee guida per il secondo biennio e il quinto anno degli istituti tecnici, e nella direttiva 5/2012, relativa alle linee guida per il secondo biennio e il quinto anno degli istituti professionali, si evidenzia che “Con l'alternanza scuola lavoro si riconosce un valore formativo equivalente ai percorsi realizzati in azienda e a quelli curricolari svolti nel contesto scolastico. Attraverso la metodologia dell'alternanza si permettono l'acquisizione, lo sviluppo e l'applicazione di competenze specifiche previste dai profili educativi, culturali e professionali dei diversi corsi di studio”.

 

Il 20 novembre 2014 il MIUR ha comunicato, sulla base dei dati elaborati dall’INDIRE, che nell’anno scolastico 2013/2014 l’alternanza scuola-lavoro è stata utilizzata dal 43,5% delle scuole secondarie di secondo grado.

I percorsi attivati sono stati 10.279 (dei quali, il 57,9% negli istituti professionali, il 29,7% negli istituti tecnici, l’11,9% nei licei; in 375 esperienze di alternanza sono stati previsti anche stage all’estero[35]), gli studenti partecipanti 210.506 (il 10,7% del totale, a fronte dell’8,7% dell’anno 2012/2013), le strutture ospitanti 126.003 di cui 55.154 (il 43,8%) imprese.

Gli accordi stipulati tra scuola e impresa sono stati 1.182. In particolare, nel 68,9% dei casi si è fatto ricorso alla convenzione.

Con riferimento alla durata, 6.151 (59,8%) sono percorsi annuali, 2.412 (23,5%) biennali, 1.545 (15%) triennali, 171 (1,7%) quadriennali.

Nei percorsi annuali si è registrato un numero medio di ore totali, pari a 97,9 (di cui, 25,7 in aula e 72,1 di formazione fuori dall’aula), maggiore rispetto ai percorsi pluriennali.

La media complessiva delle ore annuali fra le diverse tipologie di percorso è pari a 95.

Con riferimento alle modalità di partecipazione degli studenti, il 65,4% ha partecipato  come  classe  intera,  il 29,6%  come  gruppo  di  studenti  di indirizzi

diversi, il 4,6% come gruppo di studenti della stessa classe, lo 0,4% come singoli studenti.

 

Qui una tabella di comparazione dall’a.s. 2004/2005 all’a.s. 2012/2013, elaborata dall’INDIRE:

 

http://www.indire.it/lucabas/lkmw_img/scuolavoro2/Tabella_trend_02_10.jpg

 

Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza

Il comma 4 concerne l’emanazione del regolamento di delegificazione concernente diritti e doveri degli studenti impegnati nei percorsi di alternanza scuola-lavoro.

A tal fine novella l’art. 5, co. 4-ter, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), che ne aveva previsto l’emanazione, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, in particolare prevedendo:

-        che, ai fini dell’emanazione, vi sia il concerto (e non più solo il parere) del Ministro del lavoro e delle politiche sociali;

-        che, “nel caso di coinvolgimento di enti pubblici”, vi sia anche il concerto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

-        che sia sentito il Forum nazionale delle associazioni studentesche (art. 5, DPR 567/1996);

-        che il regolamento, che acquista il nome di “Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza” riguarda tutti gli studenti della scuola secondaria di secondo grado impegnati nei percorsi di alternanza (e non più solo quelli del secondo biennio).

Formazione in azienda attraverso la stipulazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma

Il comma 6 prevede, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, la possibilità per gli studenti, a partire dal secondo anno della scuola secondaria di secondo grado, di svolgere periodi di formazione in azienda attraverso la stipulazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale “anche tenuto conto di quanto previsto dal decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

Si ricorda, anzitutto, che, in base all’art. 3 del d.lgs. 167/2011, l’apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale permette di acquisire una qualifica professionale triennale, valida anche ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione, o un diploma professionale (si tratta, cioè, dei titoli di istruzione e formazione professionale conseguibili alla conclusione dei corsi organizzati dalle regioni[36]). Possono essere assunti con tale contratto i soggetti con un’età compresa tra 15 e 25 anni. La durata massima del contratto è di 3 anni per la qualifica e di 4 per il diploma.

 

Per quanto concerne il riferimento all’art. 1, co. 7, della L. 183/2014, si ricorda che lo stesso, allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti, ha delegato il Governo ad adottare, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore, decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, sulla base di specifici principi e criteri direttivi: tra questi, rientrano l’individuazione e l’analisi di tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali (lettera a)), nonché il rafforzamento degli strumenti per favorire l'alternanza tra scuola e lavoro (lettera d)).

Il 20 febbraio u.s. il Governo ha approvato uno schema di decreto (il cui testo è disponibile sul sito del Governo), non ancora presentato al Parlamento ai fini dell’espressione del parere, i cui articoli da 39 a 45 recano norme sulla disciplina del contratto di apprendistato, sostituendo interamente il D.lgs. 167/2011 (che viene contestualmente abrogato).

Anzitutto, lo schema prevede che l’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale (nuovo nome dell’attuale apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale) e quello di alta formazione e ricerca integrano organicamente, in un sistema duale, formazione e lavoro per l'occupazione dei giovani, con riferimento ai titoli di istruzione e formazione e alle qualificazioni professionali contenuti nel Repertorio nazionale di cui all'art. 8 del D.lgs. 13/2013, nell'ambito del Quadro europeo delle qualificazioni.

In particolare, l’art. 41, relativo all’apprendistato per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale, dispone che tale istituto - che continua a riguardare i giovani che hanno compiuto i 15 anni di età e fino al compimento dei 25 - deve essere strutturato in modo da coniugare la formazione sul lavoro effettuata in azienda con l'istruzione e formazione professionale svolta dalle istituzioni formative che operano nell'ambito dei sistemi regionali di istruzione e formazione, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, di cui al D.lgs. 226/2005, nonché di quelli relativi agli standard formativi.

Il medesimo art. 41 prevede che possono essere stipulati anche contratti di apprendistato, di durata non superiore a tre anni, rivolti agli studenti iscritti al quarto e quinto anno degli istituti tecnici e professionali, utili anche ai fini del conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore.

ll datore di lavoro che intende stipulare il contratto di apprendistato deve sottoscrivere un protocollo con l'istituzione formativa a cui lo studente è iscritto, secondo uno specifico schema definito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentita la Conferenza Stato-regioni. Con il medesimo decreto sono definiti i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato negli istituti tecnici e professionali e, in particolare, il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere svolto in apprendistato e i requisiti delle imprese nelle quali si svolge.

 Infine, l’art. 40 prevede che il piano formativo è predisposto sulla base di moduli e formulari predisposti dall’istituzione formativa di provenienza dello studente con il coinvolgimento dell'impresa.

 

Al contempo, il comma 6 abroga il co. 2 dell’art. 8-bis del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) - che ha previsto l’avvio di un programma sperimentale per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, con particolare riferimento a quelli degli istituti professionali, per il triennio 2014-2016, attraverso la stipula di contratti di apprendistato con oneri a carico delle imprese interessate - facendo però salvi, fino alla loro conclusione, i programmi sperimentali già attivati.

 

Al programma sperimentale previsto dall’art. 8-bis, co. 2, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) è stato dato avvio con il D.M. prot.n. 28/0005408/1.44.10 del 5 giugno 2014, che ha disposto, in particolare, che lo stesso programma contempla la stipulazione di contratti di apprendistato di alta formazione e ha definito la tipologia delle imprese che possono partecipare al programma, i loro requisiti, i contenuti del Protocollo d’intesa da stipulare fra MIUR, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regioni interessate e impresa interessata alla sperimentazione, il contenuto delle convenzioni che devono essere concluse, nei limiti previsti dal Protocollo d’intesa, tra le istituzioni scolastiche e l’impresa, i diritti degli studenti coinvolti, i criteri per il riconoscimento dei crediti formativi.

A seguire, l’8 settembre 2014 sul sito del MIUR è stata data notizia dell'avvio della fase di sperimentazione del programma di formazione in alternanza scuola-lavoro per studenti del quarto e quinto anno degli Istituti tecnici ad indirizzo tecnologico messo a punto da MIUR, Ministero del Lavoro, regioni, organizzazioni sindacali ed Enel.

 

Dunque, mentre la sperimentazione avviata sulla base del D.L. 104/2013 riguarda studenti degli ultimi due anni di scuola secondaria di secondo grado e ha previsto l’attivazione di contratti di apprendistato di alta formazione, la nuova disciplina riguarderà gli studenti a partire dal secondo anno del medesimo grado di istruzione e prevederà l’attivazione di contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (ovvero, di contratti di apprendistato per la qualifica, la specializzazione e il diploma professionale che, tuttavia, come si è visto, dovrebbero riguardare studenti iscritti al IV e V anno degli istituti tecnici e professionali).

Attività del Dirigente scolastico

Il comma 8 prevede che il Dirigente scolastico individua le imprese e gli enti pubblici e privati disponibili alla attivazione di percorsi in alternanza scuola-lavoro e di periodi di formazione in azienda con la stipula di contratti di apprendistato e stipula convenzioni finalizzate anche a favorire l’orientamento dello studente.

Analoghe convenzioni possono essere stipulate con musei e altri luoghi della cultura, nonché con gli uffici centrali e periferici del Ministero per i beni e le attività culturali.

Dal punto di vista della formulazione del testo, le parole “musei, istituti e luoghi della cultura” dovrebbero essere sostituite con le parole “istituti e luoghi della cultura” (dei quali i musei, ai sensi dell’art. 101 del d.lgs. 42/2004, fanno parte).

Autorizzazione di spesa

Per le finalità indicate, nonché per l’assistenza tecnica e il monitoraggio dell’attuazione delle stesse, il comma 7 autorizza la spesa di 100 milioni di euro dal 2016, da ripartire fra le istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 2, co. 7, del testo in esame (alla cui scheda di commento si rinvia).

 


Articolo 5
(Innovazione digitale e didattica laboratoriale)

L’articolo 5 prevede l’adozione di un Piano nazionale scuola digitale, nonché la possibilità, per le scuole, di dotarsi di laboratori territoriali per l’occupabilità.

Il Piano nazionale scuola digitale

Il comma 1 prevede che il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta il Piano nazionale scuola digitale, al fine di sviluppare e migliorare le competenze digitali degli studenti, in sinergia, fra l’altro, con il piano nazionale banda ultralarga.

La relazione illustrativa specifica che il Piano deve permettere il passaggio da una visione di digitalizzazione intesa come infrastrutturazione ad una di Education in a digital era.

 

Al riguardo si ricorda che un primo Piano nazionale scuola digitale è stato avviato nel 2007 per generalizzare l’uso delle TIC nelle classi e utilizzare la tecnologia come catalizzatore dell’innovazione didattica, allo scopo di promuovere nuove pratiche di insegnamento, nuovi modelli di organizzazione scolastica, nuovi prodotti e strumenti a sostegno della qualità. Esso ha incluso quattro iniziative: un finanziamento per attrezzare le classi con lavagne interattive multimediali (Piano LIM), e tre progetti di sperimentazione in cui alcune scuole pilota, selezionate tramite bando aperto, hanno sperimentato soluzioni TIC (cl@sse 2.0, scuol@ 2.0, Editoria digitale scolastica).

Su tale piano, l’OCSE ha svolto uno studio.

Qui la pagina dedicata sul sito del MIUR.

 

Il comma 2 dispone che, dall’anno scolastico successivo a quello di entrata  in vigore della legge, le istituzioni scolastiche promuovono, all’interno dei Piani triennali dell’offerta formativa e in collaborazione con il MIUR, azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti dal Piano nazionale scuola digitale.

Quest’ultimo persegue i seguenti obiettivi:

·     realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese;

·     potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari per migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche;

·     adozione di strumenti organizzativi e tecnologici per favorire la governance, nonché la condivisione di dati e lo scambio di informazioni e buone pratiche tra i componenti di ciascuna comunità scolastica e tra le istituzioni scolastiche ed educative e le articolazioni del MIUR.

Al riguardo, si ricorda che nell’estate 2014 è stato avviato il progetto Titulus Scuola[37], promosso dal Mibact – Direzione Generale per gli Archivi, organo di vigilanza nazionale, in collaborazione con CINECA - KION, già supporter tecnologici della gestione documentale in ambito universitario su 70 università, e un primo nucleo di istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, rappresentate dai rispettivi Direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA). Obiettivo del gruppo di lavoro Titulus Scuola è unire gli sforzi delle scuole nel rendere reale la dematerializzazione nel contesto scolastico, sperimentando, condividendo e diffondendo buone pratiche.

·     formazione dei docenti per l’innovazione didattica;

·     formazione dei Direttori dei servizi generali e amministrativi (DSGA), degli assistenti tecnici e degli assistenti amministrativi per l’innovazione digitale nell’amministrazione;

·     potenziamento delle infrastrutture di rete, con particolare riferimento alla connettività delle scuole, sentita la Conferenza Stato-regioni;

·     valorizzazione delle migliori esperienze delle istituzioni scolastiche, anche attraverso la promozione di una rete nazionale di centri di ricerca e formazione da collocare presso le scuole con più alto livello di innovatività.

Sembrerebbe opportuno esplicitare la natura dei centri di ricerca e formazione, quanto a composizione e quanto al loro rapporto con le istituzioni scolastiche.

 

Il comma 4 prevede che le istituzioni scolastiche possono individuare, nell’ambito dell’organico dell’autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività inserite nel Piano triennale dell’offerta formativa in coerenza con il Piano nazionale scuola digitale.

 

In questa sede si ricorda solo che, da ultimo, l’art. 16 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), che ha autorizzato, per il 2014, la spesa di 10 milioni di euro, da utilizzare per attività di formazione e aggiornamento obbligatori del personale scolastico, ha incluso tra le finalizzazioni anche l’aumento delle competenze relative ai processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica.

Per la definizione delle modalità di organizzazione e gestione delle citate attività formative è intervenuto il DM 2 ottobre 2014, n. 762 il cui art. 6 ha destinato all’obiettivo del miglioramento delle competenze relative ai processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica 1 milione di euro.

Con D.D. 6 novembre 2014, n. 12 è stata indetta una selezione finalizzata alla individuazione di progetti formativi, proposti e organizzati da istituzioni scolastiche capofila di Poli Formativi a carattere regionale, e sono state ripartite le risorse su base regionale.

Successivamente, con D.D. 12 dicembre 2014 n. 41, è stato approvato l'elenco delle istituzioni scolastiche individuate quali destinatarie dei finanziamenti.

L’art. 11 dello stesso D.L. 104/2013 ha, invece, autorizzato una spesa di 5 milioni di euro per il 2013 e di 10 milioni di euro per il 2014 per assicurare alle istituzioni scolastiche statali secondarie, prioritariamente di secondo grado, la realizzazione e la fruizione della connettività wireless, in modo da consentire agli studenti l'accesso ai materiali didattici ed ai contenuti digitali.

La procedura attuativa è stata avviata con DM 9 ottobre 2013, n. 804. Le graduatorie finali[38] sono state approvate con D.D.G. prot. 3559 del 19 dicembre 2013.

 

Inoltre, l’art. 6, co. 1, dello stesso D.L. 104/2013, novellando l’art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) con l’introduzione del co. 2-bis, ha previsto la produzione, da parte delle scuole, a decorrere dall’a.s. 2014/2015 e nel termine di un triennio, di materiale scolastico digitale assunto come libro di testo[39].

Con nota 2581 del 9 aprile 2014, il MIUR ha fatto presente che le linee guida contenenti le indicazioni necessarie per l'elaborazione dei suddetti materiali saranno emanate entro la fine dell’a.s. 2014/2015 e che entro lo stesso termine tutti i materiali didattici digitali prodotti nel corso dell’anno dovranno essere inviati al Ministero - secondo le modalità previste nelle linee guida - al fine di renderli disponibili (sull’argomento, si veda anche quanto dispone l’art. 21, co. 2, lett. m), del testo in esame).

I laboratori territoriali per l’occupabilità

Il comma 5 dispone che, per favorire lo sviluppo della didattica laboratoriale, le scuole, anche in rete tra loro o attraverso i poli tecnico-professionali[40], possono dotarsi, evidenziandolo nei Piani triennali dell’offerta formativa, di laboratori territoriali per l’occupabilità, con la partecipazione, anche in qualità di soggetti cofinanziatori, di enti locali, università, associazioni, fondazioni, enti di formazione professionale, istituti tecnici superiori e imprese.

Al riguardo il Rapporto La Buona scuola evidenziava che i laboratori “saranno nuovi spazi formativi a disposizione della scuola, ma non sotto la sua gestione diretta, se non attraverso modelli “a rete”.

I laboratori perseguono i seguenti obiettivi:

·     orientamento della didattica e della formazione ai settori strategici del Made in Italy, in base alla vocazione produttiva di ogni territorio;

·     fruibilità di servizi propedeutici al collocamento al lavoro o alla riqualificazione di giovani non occupati;

·     apertura della scuola al territorio e possibilità di utilizzo degli spazi anche al di fuori dell’orario scolastico.

 

Sul territorio sono già attive alcune esperienze di laboratori territoriali per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro: a titolo di esempio, si veda il protocollo di intesa tra l’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, la scuola Polo provinciale per l’alternanza, gli Istituti di istruzione secondaria superiore della provincia di Macerata, la provincia di Macerata, le Associazioni di categoria, gli Ordini e i Collegi professionali della provincia di Macerata, le l’Università di Macerata e Camerino e l’Università Telematica delle Camere di Commercio “Universitas Mercatorum”, la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Macerata, per la costituzione del Laboratorio territoriale per il raccordo tra domanda e offerta di formazione e lavoro.

Autorizzazione di spesa

Il comma 6 prevede che per l’attuazione delle attività indicate nei commi precedenti nell’anno 2015 si utilizzano 90 milioni di euro delle risorse impegnate nel 2014 a valere sul Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e che, dal 2016, è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro, da ripartire fra le istituzioni scolastiche ai sensi dell’art. 2, co. 7 (alla cui scheda di commento si rinvia).

 


Capo III
Organico, assunzioni e assegnazione dei docenti

Articoli 6 e 23, comma 2
(Organico dell’autonomia per l’attuazione dei piani triennali dell’offerta formativa )

L’articolo 6 definisce la composizione dell’organico dell’autonomia, aggiungendo alle categorie dei posti comuni e dei posti di sostegno la categoria dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa.

Individua, inoltre, il meccanismo per la determinazione della sua consistenza - da effettuare con cadenza triennale, anziché annuale -, oltre che per la sua ripartizione fra le regioni, tra albi territoriali, nonché tra singole istituzioni scolastiche. Conseguentemente l’articolo 23, co. 2, sopprime il riferimento ai docenti presente nell’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2001), concernente limitazioni alle dotazioni organiche del personale della scuola.

Il medesimo articolo 6 dispone, infine, che il dirigente scolastico utilizza per le supplenze temporanee fino a dieci giorni il personale della dotazione organica dell’autonomia. Il medesimo personale è tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura dei posti vacanti e disponibili.

Determinazione della composizione e della consistenza dell’organico dell’autonomia

Il comma 1 dispone che l’organico dell’autonomia, finalizzato alle esigenze curricolari, extracurricolari, educative e organizzative che le istituzioni scolastiche esprimono nei Piani triennali dell’offerta formativa, è composto da:

·     posti comuni;

·     posti di sostegno;

·     posti per il potenziamento dell’offerta formativa.

La consistenza del medesimo organico è determinata tenendo conto del fabbisogno di posti indicati da ogni istituzione scolastica nel Piano triennale dell’offerta formativa, nel limite delle risorse finanziarie disponibili.

In particolare il comma 2, primo periodo, dispone che l’organico dell’autonomia è determinato ogni 3 anni su base regionale, con decreti del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentita la Conferenza unificata, e comunque nel limite massimo di risorse finanziarie di cui all’art. 24, co. 1.

A sua volta, il comma 4 specifica – limitatamente ai posti comuni e ai posti per il potenziamento dell’offerta formativa – che il fabbisogno individuato da ogni istituzione scolastica deve essere confermato dal MIUR nell’ambito della valutazione dei Piani triennali dell’offerta formativa di cui all’art. 2, co. 5 e 6.

Si tratta di un principio che, in base all’art. 2, dovrebbe essere riferito anche all’organico dei posti di sostegno. E’, dunque necessario un coordinamento.

Con riguardo all’organico dei posti di sostegno, il comma 5 dispone (solo) che esso è determinato nel limite previsto dall’art. 2, co. 414, della L. 244/2007 e dall’art. 15, co. 2-bis, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), ferma restando la possibilità di istituire posti in deroga.

L’art. 2, co. 414, della L. 244/2007 – come novellato dall’art. 15, co. 2, del D.L. 104/2013 – ha rideterminato la dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno in misura pari, nell’a.s. 2013/2014 al 75%, nell’a.s. 2014/2015 al 90%, e dall’a.s. 2015/2016 al 100% del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’a.s. 2006/2007[41].

Il co. 2-bis dell’art. 15 del D.L. 104/2013 ha disposto che dall'a.s. 2014/2015 il riparto di cui al co. 2 è assicurato equamente a livello regionale, in modo da determinare una situazione di organico di diritto dei posti di sostegno percentualmente uguale nei territori, fermo restando il numero complessivo dei posti.

Il 17 dicembre 2014, rispondendo alla Camera all’interrogazione a risposta in Commissione 5-01366, il Governo ha fatto presente che, in attuazione di quanto previsto dal D.L. 104/2013, è stata autorizzata, a decorrere dal 1° settembre 2013, l'assunzione a tempo indeterminato di unità di personale docente da destinare agli alunni con disabilità su posti vacanti e disponibili, di cui 4.447 per l'anno scolastico 2013/2014 e 13.342 per l’a.s. 2014/2015. Ha, altresì, fatto presente che i posti di sostegno in organico di diritto sono 81.137, coperti con personale di ruolo, e arriveranno a 90.032 nel prossimo a.s.

 

Con riferimento all’istituzione di posti di sostegno in deroga, il testo fa riferimento all’art. 35, co. 7, della L. 289/2002 e all’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 296/2006.

L’art. 35, co. 7, della L. 289/2002 ha disposto, per quanto qui interessa, che l'attivazione di posti di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni previsto dall’art. 40, co. 3, della L. 449/1997 - pari ad un insegnante ogni 138 alunni frequentanti le scuole della provincia - è autorizzata dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale.

Successivamente, l’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 296/2006 aveva previsto – tramite l’adozione di un decreto ministeriale la sostituzione del criterio previsto dall'art. 40, co. 3, della L. 449/1997, con l'individuazione di organici corrispondenti alle effettive esigenze.

Ancora in seguito, l’art. 2, co. 413, della L. 244/2007, facendo salvo quanto previsto dall’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 244/2007, aveva disposto che il numero dei posti dei docenti di sostegno attivabili a decorrere dall’a.s. 2008-2009 non doveva superare il 25% del numero di sezioni e classi dell’organico di diritto dell’a.s. 2006-2007, mediante criteri definiti con D.I., tenendo conto delle effettive esigenze rilevate e in modo da non superare un rapporto medio nazionale di un insegnante ogni due alunni diversamente abili[42].

Il successivo co. 414 aveva disposto la progressiva rideterminazione della dotazione organica di diritto dei docenti di sostegno nel triennio 2008-2010, fino al raggiungimento, nell’a.s. 2010/2011, di una consistenza organica pari al 70% del numero dei posti di sostegno complessivamente attivati nell’a.s. 2006/2007.

A sua volta, l’art. 5, co. 1, primo periodo, del DPR 81/2009 ha disposto che le dotazioni organiche complessive dei posti di sostegno restavano definite ai sensi dell'art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007.

 

Con sentenza n. 80/2010 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del co. 413 della L. 244/2007 nella parte in cui ha fissato un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno, e del co. 414 nella parte in cui ha escluso la possibilità di assumere insegnanti di sostegno in deroga.

 

A seguire, l’art. 19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha disposto che l’organico dei posti di sostegno è determinato applicando quanto previsto dall’art. 2, co. 413 e 414, della L. 244/2007 (come sopra si è visto, poi, il co. 414 è stato modificato con il D.L. 104/2013), ma con possibilità di istituire posti in deroga in relazione a situazioni di particolare gravità[43].

Nel comma 5 si valuti, dunque, l’opportunità di richiamare (più che l’art. 1, co. 605, lett. b), della L. 296/2006) l’art. 19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).

Al contempo, sembrerebbe opportuno abrogare l’art. 5, co. 1, primo periodo, del DPR 81/2009.

 

I criteri vigenti per la determinazione delle dotazioni organiche dei docenti

 

I criteri per la determinazione delle dotazioni organiche del personale docente sono attualmente recati dal DPR 81/2009 emanato ai sensi dell’art. 64, co. 4, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).

In particolare, l’art. 2 prevede che le dotazioni organiche complessive sono definite annualmente sia a livello nazionale che per ambiti regionali - in questo secondo caso sentita la Conferenza unificata, anche ai fini della distribuzione -, tenuto conto degli assetti ordinamentali, dei piani di studio e delle consistenze orarie previsti dalle norme in vigore, nonché dei criteri relativi: a) alla previsione dell'entità e della composizione della popolazione scolastica e con riguardo alle esigenze degli alunni disabili e degli alunni di cittadinanza non italiana; b) al grado di densità demografica delle province di ogni regione e della distribuzione della popolazione tra i comuni di ogni circoscrizione provinciale; c) alle caratteristiche geo-morfologiche e alle condizioni socio-economiche e di disagio delle diverse realtà territoriali; d) all'articolazione dell'offerta formativa; e) alla distribuzione degli alunni nelle classi

sulla base di un incremento del rapporto medio, a livello nazionale, alunni/classe di 0,40 da realizzare nel triennio 2009-2011; f) alle caratteristiche dell'edilizia scolastica.

Le dotazioni dell'istruzione secondaria di I e II grado sono inoltre determinate con riguardo alle diverse discipline ed attività contenute nei curricoli delle singole istituzioni.

 

Sempre l’art. 2 dispone che i dirigenti preposti agli USR provvedono alla ripartizione delle consistenze organiche a livello provinciale, avendo cura di promuovere interlocuzioni con le regioni e gli enti locali al fine di una piena coerenza tra le previsioni programmatiche del piano regionale di localizzazione delle istituzioni scolastiche e dell'offerta formativa e l'attribuzione delle risorse. L'assegnazione delle risorse è effettuata con riguardo alle specifiche esigenze ed alle diverse tipologie e condizioni di funzionamento delle istituzioni scolastiche, nonché alle possibilità di impiego flessibile delle stesse risorse, in coerenza con quanto previsto dal DPR 275/1999.

Nella determinazione dei contingenti provinciali di organico si tiene conto delle condizioni di disagio legate a specifiche situazioni locali, con particolare riguardo ai comuni montani e alle piccole isole, nonché alle aree che presentano elevati tassi di dispersione e di abbandono.

 

E’ peraltro opportuno ricordare che, successivamente alla rideterminazione prevista dall’art. 64 del D.L. 112/2008, l’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha disposto che, a decorrere dall'a.s. 2012/2013, le dotazioni organiche del personale docente (nonché del personale educativo ed ATA) non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'a.s. 2011/2012[44], assicurando in ogni caso, in ciascun anno, la quota delle economie lorde di spesa che devono derivare per il bilancio dello Stato, a decorrere dall'anno 2012, dall’applicazione del citato art. 64 del D.L. 112/2008.

 

Il 27 febbraio 2015 sul sito del MIUR è stato pubblicato lo schema di decreto interministeriale (MIUR-MEF) relativo alla determinazione delle dotazioni organiche del personale docente per l'a.s. 2015/2016.

Nel documento è evidenziato che “Eventuali ulteriori indicazioni verranno fornite successivamente a seguito di innovazioni normative”.

 

In conseguenza di quanto disposto dall’art. 6, l’art. 23, co. 2, sopprime il riferimento ai docenti presente nell’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2001) (che, dunque, continuerebbe a riguardare le dotazioni organiche del personale educativo e del personale ATA).

Sembrerebbe opportuno disporre anche l’abrogazione dell’art. 2 del DPR 81/2009.

Ripartizione della consistenza dell’organico dell’autonomia

I commi 2, secondo periodo, 3 e 6 riguardano la ripartizione della dotazione dell’organico dell’autonomia.

 

Innanzitutto, il comma 2, secondo periodo, dispone che il riparto della dotazione organica fra le regioni è effettuato sulla base del numero di classi, nonché della presenza di aree interne[45], di aree a forte processo immigratorio e di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica.

Rispetto alla normativa vigente (v. ante) non è previsto il coinvolgimento della Conferenza unificata ai fini della ripartizione della dotazione organica fra le regioni.

 

Il comma 3, primo periodo, dispone che la dotazione organica assegnata a ciascuna regione è ripartita, con decreti dei dirigenti preposti agli USR, tra albi territoriali (di cui all’art. 7) e, successivamente, tra istituzioni scolastiche, sulla base del fabbisogno espresso nei Piani triennali dell’offerta formativa.

Il secondo periodo del comma 3 prevede che, su tale base, i dirigenti scolastici attribuiscono i posti spettanti al personale iscritto nel relativo albo territoriale.

 

Il comma 6 dispone che nella ripartizione dell’organico dei posti dell’organico dell’autonomia si tiene conto delle esigenze delle scuole di minoranza linguistica slovena o bilingui, mentre il comma 7 prevede che restano salve le diverse determinazioni che la Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare in materia di assunzione del personale docente ed educativo.

Utilizzo dell’organico dell’autonomia per supplenze

Il terzo periodo del comma 3 prevede che il dirigente scolastico utilizza il personale docente della dotazione organica dell’autonomia per la copertura delle supplenze temporanee fino a dieci giorni, eventualmente integrando il trattamento stipendiale qualora il docente sia impiegato in un grado di istruzione superiore[46].

Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che la norma consente di realizzare risparmi di spesa sui capitoli per il pagamento delle supplenze brevi[47], che verranno utilizzati per il pagamento dell’eventuale differenziale tra trattamenti stipendiali. Il trasferimento degli importi occorrenti – dai capitoli per il pagamento delle supplenze brevi verso i capitoli per il pagamento degli stipendi[48] – potrebbe essere effettuato in sede di assestamento, a seguito di monitoraggio del MIUR.

 

Il quarto periodo del medesimo comma 3 prevede, inoltre, che il medesimo personale è “tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura dei posti vacanti e disponibili”.

Dalla formulazione testuale sembrerebbe, dunque, che il personale docente della dotazione organica dell’autonomia è utilizzato, in modo prioritario rispetto alle supplenze temporanee, per la copertura delle supplenze annuali.

 

Al riguardo, è opportuno un chiarimento.

Inoltre, occorrerebbe chiarire se anche nel caso delle supplenze annuali la competenza farà capo al dirigente scolastico (v., infra, box, la normativa vigente). Occorrerebbe, altresì, chiarire se si prevede l’integrazione del trattamento stipendiale in termini analoghi a quelli previsti per la copertura delle supplenze temporanee.

 

Supplenze del personale docente

 

L’art. 4 della L. 124/1999 distingue tre tipologie di supplenze del personale docente - che danno luogo al conferimento di incarichi a tempo determinato - e indica a quali graduatorie attingere per le nomine:

§  supplenze annuali, per la copertura di cattedre e posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico;

§  supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, per la copertura di cattedre e posti di insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico, ovvero per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario (intendendo per posti orario gli abbinamenti di spezzoni che non raggiungono l’orario di cattedra);

§  supplenze temporanee più brevi, nei casi diversi da quelli citati.

Nei casi di supplenze annuali e di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche, per l’assegnazione degli incarichi si utilizzano prioritariamente le graduatorie provinciali.  Al conferimento  degli incarichi provvedono  i dirigenti  degli

organi periferici del Ministero competenti per territorio, di norma entro il 31 luglio di ciascun anno. Decorsa tale data, vi provvedono i dirigenti scolastici.

Per le supplenze temporanee più brevi si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto ed il conferimento dell’incarico compete al dirigente di ciascuna istituzione scolastica autonoma (Art. 4 D.L. 255/2001 –L. 333/2001).

 

In materia di supplenze temporanee brevi, ha recentemente disposto l’art. 1, co. 333, della L. 190/2014 (L. di stabilità 2015), che ha vietato – a decorrere dal 1° settembre 2015 – il conferimento di supplenze brevi per il primo giorno di assenza del personale docente.

In materia, si ricorda, altresì, che l’art. 1, co. 78, della L. 662/1996 ha previsto che i capi di istituto sono autorizzati a ricorrere alle supplenze brevi e saltuarie solo per i tempi strettamente necessari ad assicurare il servizio scolastico e dopo aver provveduto, eventualmente utilizzando spazi di flessibilità dell'organizzazione dell'orario didattico, alla sostituzione del personale assente con docenti già in servizio nella medesima istituzione scolastica.

Al contempo, il co. 72 del medesimo art. 1 – poi abrogato dall'art. 24 del DPR 81/2009 – aveva consentito, per le scuole dell’infanzia ed elementari, la sostituzione dei docenti assenti fino a 5 giorni utilizzando i docenti dell’organico di istituto.

A sua volta, l’art. 22, co. 6, della L. 448/2001 ha disposto che le istituzioni scolastiche (ad eccezione delle scuole dell'infanzia e delle scuole elementari) possono provvedere alla sostituzione del personale assente utilizzando, in coerenza con il piano dell'offerta formativa, le proprie risorse di personale docente, anche oltre i limiti temporali previsti dalle disposizioni vigenti e fino a un massimo di 15 giorni.

 

Occorre, infine, rammentare che, in base all’art. 28, co. 5, del CCNL personale del comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007, nella scuola primaria, nell'ambito delle 22 ore d'insegnamento, la quota oraria eventualmente eccedente l'attività frontale e di assistenza alla mensa è destinata - qualora il collegio dei docenti non abbia effettuato la programmazione di attività di arricchimento dell'offerta formativa e di recupero individualizzato o per gruppi ristretti di alunni con ritardo nei processi di apprendimento, anche con riferimento ad alunni stranieri, ovvero qualora non abbia impegnato totalmente la quota oraria eccedente l’attività frontale e di assistenza alla mensa - a supplenze in sostituzione di docenti assenti fino ad un massimo di 5 giorni nell’ambito del plesso di servizio.

In base al co. 6 del medesimo articolo, negli istituti di istruzione secondaria, i docenti il cui orario di cattedra sia inferiore alle 18 ore settimanali sono tenuti al completamento dell'orario di insegnamento anche mediante l'utilizzazione in eventuali supplenze.

 


Articolo 7
(Competenze del dirigente scolastico e istituzione degli albi territoriali del personale docente)

L’articolo 7 reca disposizioni inerenti le competenze dei dirigenti scolastici, in particolare affidando agli stessi l’attribuzione diretta di incarichi triennali ai docenti e la possibilità di derogare ai parametri numerici previsti per la formazione delle classi.

Reca, inoltre, disposizioni sull’articolazione dei ruoli del personale docente – in particolare, introducendo gli albi territoriali – e dispone l’incremento, dall’a.s. 2015/2016, del Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti.

Istituzione degli albi territoriali del personale docente

Il comma 4 stabilisce che i ruoli del personale docente sono regionali e si articolano in albi territoriali – la cui ampiezza è definita dagli USR, anche in funzione della popolazione scolastica – , suddivisi in sezioni separate per:

·     gradi di istruzione;

·     classi di concorso;

·     tipologie di posti.

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 5 del d.lgs. 227/2005 - recante norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, poi abrogato dall’art. 2, co. 416, della L. 244/2007 - prevedeva che chi aveva conseguito la laurea magistrale o il diploma accademico di secondo livello e l'abilitazione all'insegnamento era iscritto, sulla base del voto conseguito nell'esame di Stato abilitante, in un apposito Albo regionale, tenuto presso gli uffici scolastici regionali e distinto per la scuola dell'infanzia, la scuola primaria e, per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, per ciascuna classe di abilitazione.

 

La nuova disciplina dell’iscrizione negli albi territoriali – finalizzata, in particolare, all’attuazione delle nuove disposizioni in materia di incarichi di docenza attribuiti direttamente dal dirigente scolastico– non si applica al personale docente già assunto a tempo indeterminato alla data di entrata in vigore del provvedimento, salvo che in caso di mobilità territoriale e professionale, ipotesi nella quale anche i medesimi docenti sono iscritti negli albi.

 

Con riguardo a quest’ultimo aspetto, si ricorda che l’ordinanza ministeriale n. 4 del 25 febbraio 2015 ha fissato il termine ultimo per la presentazione delle domande di mobilità del personale docente ed educativo per l’a.s. 2015-2016 – riferibili a trasferimenti di sede – al 16 marzo 2015. Successivamente, con nota prot. n. 8201 del 13 marzo 2015, tale termine è stato prorogato al 22 marzo 2015.

 

Pertanto, la disposizione che prevede l’iscrizione negli albi territoriali del personale di ruolo che abbia effettuato domanda di mobilità dovrebbe applicarsi a decorrere dall’a.s. 2016-2017.

 

La disciplina contrattuale della mobilità del personale docente

 

Per mobilità si intende la procedura con cui il docente assunto a tempo indeterminato muta non solo la sede di servizio ma anche, in alternativa, o il ruolo o il profilo professionale.

Essa si articola in mobilità a domanda dell’interessato e mobilità d’ufficio.

La mobilità a domanda, a sua volta, si articola in mobilità a domanda in senso stretto – i cui effetti sono definitivi, e che si distingue in mobilità territoriale e mobilità professionale – e mobilità a domanda annuale, i cui effetti sono di durata pari all’a.s.

Il personale scolastico ha inoltre la possibilità di usufruire della mobilità intercompartimentale, ovvero della procedura che consente il mutamento definitivo dell’Amministrazione di appartenenza.

 

L’art. 10 del CCNL personale del comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007 prevede che i criteri e le modalità per attuare la mobilità territoriale, professionale e intercompartimentale del personale sono definiti in sede di contrattazione integrativa nazionale.

La mobilità professionale è finalizzata non solo a superare o prevenire il soprannumero, ma anche a valorizzare le esperienze acquisite dal personale. Ciò può realizzarsi anche attraverso specifici percorsi formativi di riqualificazione e riconversione professionale mirati all’assegnazione di posti di lavoro vacanti.

In particolare, la mobilità professionale a domanda si attua sulla base della previsione del fabbisogno di risorse professionali, mediante la programmazione delle iniziative di formazione, riqualificazione e riconversione in ambito provinciale o regionale, rivolta, con priorità, al personale appartenente a classi di concorso, aree disciplinari, ruoli, aree e profili professionali in situazione di esubero.

Da ultimo, il 23 febbraio 2015 è stato sottoscritto il già citato CCNI concernente la mobilità del personale docente, educativo ed ATA per l’a.s. 2015/2016, il cui art. 14, in particolare, ha disposto che sono utilizzabili ai fini dei trasferimenti e dei passaggi tutti i posti e le cattedre che risultino vacanti e compresi nella pianta organica relativa all'organico di diritto dell’a.s. 2015/2016.

Le procedure di trasferimento hanno luogo secondo l’ordine di priorità degli interessati stessi stabilito dal punteggio riportato in base alla valutazione dei titoli, secondo la tabella allegata al medesimo CCNI, fatte salve talune precedenza stabilite dallo stesso contratto.

In attuazione di tale CCNI è stata adottata l’ordinanza ministeriale citata nel testo.

 

Competenze del dirigente scolastico generali e per il conferimento di incarichi di docenza

Il comma 1 dispone che il dirigente scolastico, allo scopo di assicurare il buon andamento dell’istituzione scolastica, svolge compiti di gestione direzionale, organizzativa e di coordinamento ed è responsabile delle scelte didattiche e formative, della valorizzazione delle risorse umane e del merito dei docenti.

Ai sensi del comma 5, il dirigente scolastico individua fino a 3 docenti di ruolo che lo coadiuvano nell’organizzazione.

 

Con riferimento alle competenze, si tratta di previsioni sostanzialmente già presenti nella normativa vigente.

 

In particolare, l’art. 25 del d.lgs. 165/2001 prevede che il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell'istituzione, ne ha la legale rappresentanza, è responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare, il dirigente scolastico organizza l'attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali. Nell’esercizio di tali competenze, il dirigente promuove gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio, per l'esercizio della libertà di insegnamento, intesa anche come libertà di ricerca e innovazione metodologica e didattica, per l'esercizio della libertà di scelta educativa delle famiglie e per l'attuazione del diritto all'apprendimento da parte degli alunni. Nell'ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l'adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.

Inoltre, in base all’art. 396 del d.lgs. 297/1994, al dirigente scolastico spettano anche la promozione e il coordinamento delle attività di istituto, la formazione delle classi e l’assegnazione ad esse dei singoli docenti.

 

Il medesimo art. 25 del d.lgs. 165/2001 dispone, altresì, che nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative e amministrative il dirigente può avvalersi di docenti da lui individuati ai quali possono essere delegati specifici compiti.

Al riguardo, l’art. 34 del CCNL 2006-2009, dopo aver richiamato la possibilità che il dirigente scolastico si avvalga di collaboratori, prevista dall’art. 25, co. 5, del d.lgs. 165/2001, precisa che tali collaborazioni sono riferibili a due unità di personale docente retribuibili, in sede di contrattazione di istituto, con i finanziamenti a carico del fondo per le attività aggiuntive previste per le attività di collaborazione con il dirigente scolastico, di cui all’art. 88, co. 2, lett. e).

Si ricorda che in materia è intervenuto anche l’art. 459 del d.lgs. 297/1994, che ha previsto che ad uno dei docenti individuati dal dirigente scolastico per attività di collaborazione nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative ed amministrative può essere concesso, in presenza di determinate condizioni, l'esonero o il semiesonero dall'insegnamento. Si tratta, peraltro, di una previsione abrogata dall’art. 1, co. 329, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) a decorrere dal 1° settembre 2015.

I commi 2 e 3 riguardano l’attribuzione diretta degli incarichi ai docenti da parte del dirigente scolastico. Si tratta di una delle sostanziali novità recate dall’art. 7.

Attualmente, infatti, in base all’art. 400, co. 02, terzo periodo, del d.lgs. 297/1994 sono gli stessi vincitori del concorso a scegliere, nell'ordine in cui sono inseriti nella graduatoria, il posto di ruolo fra quelli disponibili nella regione.

E’ dunque necessario disporre l’abrogazione del terzo periodo del comma 02 dell’art. 400 del d.lgs. 297/1994.

 

In particolare, si dispone che, per la copertura dei posti assegnati all’istituzione scolastica sulla base dei Piani triennali dell’offerta formativa, il dirigente scolastico propone incarichi di docenza di durata triennale rinnovabili ai docenti iscritti negli albi territoriali, nonché “al personale docente di ruolo già in servizio presso altra istituzione scolastica”.

Testualmente sembrerebbe, dunque, che la proposta di incarico possa essere formulata anche nei confronti di docenti già in servizio che non necessariamente abbiano fatto domanda di mobilità (ipotesi nella quale, come si è visto, gli stessi sono iscritti, in base al comma 4, negli albi territoriali).

Ove l’interpretazione sia corretta, è necessario, innanzitutto, un coordinamento con quanto dispone il comma 4, nella parte in cui prevede che la nuova disciplina di proposta di incarico da parte del dirigente scolastico non si applica al personale docente già assunto a tempo indeterminato, salvo che in caso di mobilità territoriale e professionale.

Un coordinamento è, altresì, necessario, in particolare, anche con l’art. 2, co. 13, e con l’art. 6, co. 3, secondo periodo, laddove si stabilisce che il dirigente scolastico provvede alla copertura dei posti dell’organico con il personale iscritto negli albi.

Inoltre, al fine di evitare eventuali criticità in fase applicativa - ad esempio, dal punto di vista del coordinamento fra il dirigente scolastico che propone l’incarico e il dirigente dell’istituzione scolastica presso la quale il docente è già in servizio - appare opportuno un chiarimento.

 

In generale, con riguardo all’istituto di attribuzione degli incarichi da parte del dirigente, sembrerebbe necessario chiarire come si coordini la previsione in base alla quale sono attribuiti incarichi a tempo determinato – seppur rinnovabili – con la previsione che destinatario di tali incarichi risulti personale assunto a tempo indeterminato (neoassunti ma anche personale già di ruolo).

Anche in tal caso, inoltre, al fine di evitare criticità in fase applicativa, occorrerebbe un chiarimento, ad esempio con riferimento all’eventualità di più proposte di incarico indirizzate al medesimo docente da diversi dirigenti scolastici.

 

Ulteriori principi che devono essere rispettati dai dirigenti scolastici ai fini dell’attribuzione degli incarichi ai docenti riguardano:

·     pubblicità dei criteri adottati per la selezione dei docenti ai quali proporre l’incarico – tenuto conto del curriculum degli stessi –, e degli incarichi conferiti (lett. b) e c));

·     possibilità di utilizzo del personale docente di ruolo in classi di concorso diverse da quella per la quale è abilitato, purché “possegga titolo di studio valido all’insegnamento” (lett. d)).

Può essere utile ricordare che la possibilità di essere utilizzati in altri gradi di istruzione o in altre classi di concorso in assenza della relativa abilitazione, purché in possesso di un titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento nello specifico grado di istruzione o per ciascuna classe di concorso, è stata finora prevista per l’utilizzo del personale docente a tempo indeterminato che, al termine delle operazioni di mobilità e di assegnazione dei posti, risulta in esubero nella propria classe di concorso nella provincia in cui presta servizio.

In tal senso ha disposto, da ultimo, l’art. 14, co. 17, lett. a), del D.L. 95/2012 (L. 135/2012)[49].

 

Occorrerebbe integrare la disposizione di cui al comma 3, lett. d), prevedendo che il titolo di studio debba essere valido per l’accesso all’insegnamento “richiesto”.

 

Infine, il comma 3 prevede il potere sostitutivo degli Uffici scolastici regionali nel caso di inerzia dei dirigenti (lett. e)).

 

Si segnala, dal punto di vista della formulazione del testo, che il potere sostitutivo degli USR non deve essere inserito fra i principi e criteri che i dirigenti scolastici devono rispettare per l’attribuzione degli incarichi.

Competenze del dirigente scolastico per la riduzione del numero degli studenti per classe

Il comma 6 prevede che il dirigente scolastico può derogare, nell’ambito della dotazione organica dell’autonomia assegnata e delle risorse, anche logistiche, disponibili, ai parametri sul numero di alunni e studenti per la formazione delle classi previsti dal DPR 81/2009, allo scopo di migliorare la qualità didattica.

 

Di seguito si riporta il numero minimo e massimo di alunni e studenti per classe previsto, di norma, dal DPR 81/2009, emanato sulla base dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008)[50]:

 

Scuola dell’infanzia

Art.

Alunni

min

max

art. 9, co. 2 e 3

18

26[51]

 

Scuola primaria

Art.

Alunni

min

max

art. 10, co. 1 e 4

15
(10 nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche)

26[52]

art. 10, co. 1
(pluriclassi)

8

18

 

Scuola secondaria di primo grado

 

Art.

Alunni

min

max

Classi prime

art. 11, co. 1 e 3

18
(10 nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei comuni montani, nelle piccole isole, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche

27[53]

Classi seconde e terze

art. 11, co. 2

Pari al nr di classi di provenienza solo se:
nr medio alunni per classe > 20

Classi con alunni iscritti ad anni di corso diversi, qualora il numero degli stessi non consenta la formazione di classi distinte

art. 11, co. 4

 

18

 


 

 

Scuola secondaria di secondo grado

 

Art.

Alunni

min

max

Classi prime

art. 16

25[54]/27

30

Classi intermedie

art. 17, co. 1

Pari al nr di classi di provenienza solo se:
nr medio alunni per classe > 22

Ultime classi

art. 17, co. 2

Pari al nr di classi di provenienza solo se:
nr medio alunni per classe > 10

 

Rispetto al numero minimo e massimo di alunni e studenti per classe previsto per ciascun tipo e grado di scuola, l’art. 4 del DPR consente di derogare, in misura non superiore al 10 per cento, al fine di dare stabilità alla previsione delle classi, riducendo al massimo gli scostamenti tra il numero delle classi previsto ai fini della determinazione dell'organico di diritto e quello delle classi effettivamente costituite all'inizio di ciascun anno scolastico.

Inoltre, l’art. 8 prevede che nelle scuole funzionanti nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle zone abitate da minoranze linguistiche, nelle aree a rischio di devianza minorile o caratterizzate dalla rilevante presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione, possono essere costituite classi uniche per anno di corso e indirizzo di studi con numero di alunni inferiore a quello minimo e massimo stabilito dagli articoli 10, 11 e 16.

Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici

Il comma 7 prevede un incremento, a decorrere dall’a.s. 2015/2016, del Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici, in relazione alle nuove competenze agli stessi attribuite. In particolare, l’incremento è pari a 12 milioni di euro per il 2015 e a 35 milioni di euro annui dal 2016, al lordo degli oneri a carico dello Stato.

 

Il trattamento economico dei dirigenti scolastici è formato da tre componenti: lo stipendio tabellare, la retribuzione di posizione e quella di risultato. In particolare, la retribuzione di posizione e quella di risultato vengono erogate a carico del Fondo unico nazionale costituito ai sensi dell’art. 25 del CCNL relativo al personale dell’Area V della Dirigenza per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il primo biennio economico 2006-2007, sottoscritto il 15 luglio 2010.

Ai sensi dell’art. 25, co. 3, del citato CCNL, entro il 31 luglio di ciascun anno il MIUR ripartisce tra gli USR le risorse destinate alla retribuzione di posizione e risultato in relazione al numero dei posti dei dirigenti scolastici. Tale ripartizione è oggetto di informazione preventiva alle organizzazioni sindacali.

Da ultimo, con nota prot. 14724 del 6 novembre 2014, il MIUR ha rideterminato l’ammontare del Fondo unico nazionale in 126,9 milioni di euro per l’a.s. 2012/2013 e in 120,6 mln di euro per l’a.s. 2013/2014.

Valutazione dei dirigenti scolastici

Il comma 8 dispone che, nelle more della revisione del sistema di valutazione dei dirigenti scolastici (si tratta di un altro degli ambiti per i quali l’art. 21 del provvedimento conferisce la delega al Governo), la medesima valutazione tiene conto della disciplina di cui al DPR 80/2013, nonché dei criteri utilizzati per la scelta, la valutazione e la valorizzazione dei docenti “e dei risultati dell’istituzione scolastica, con particolare riguardo alle azioni specifiche messe in campo dal dirigente scolastico per migliorarli”.

 

Il già citato art. 25 del d.lgs. 165/2001 prevede, al co. 1, che i dirigenti scolastici rispondono in ordine ai risultati e sono valutati tenuto conto della specificità delle funzioni e sulla base delle verifiche effettuate da un nucleo di valutazione istituito presso l'amministrazione scolastica regionale, presieduto da un dirigente e composto da esperti anche non appartenenti all'amministrazione stessa.

A sua volta, l’art. 20 del CCNL relativo al personale dell’Area V della Dirigenza - quadriennio normativo 2002-2005, primo biennio economico 2002-2003 (sottoscritto l’11 aprile 2006), mantenuto in vita dal CCNL per il quadriennio normativo 2006-2009, ha disposto che il dirigente risponde in ordine ai risultati della propria azione dirigenziale, tenuto conto delle competenze spettanti in relazione all’assetto funzionale tipico delle istituzioni cui è preposto.

In seguito, l’art. 2 del DPR 80/2013 - che individua le finalità e la struttura del nuovo Sistema nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (SNV)[55] - ha disposto che lo stesso SNV fornisce i risultati della valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema ai direttori generali degli uffici scolastici regionali per la valutazione dei dirigenti scolastici ai sensi proprio dell’art. 25 del d.lgs. 165/2001.

L’art. 3 ha affidato all’INVALSI la definizione degli indicatori per tale valutazione.

In base all’art. 6, co. 4 e 5, inoltre, il procedimento di valutazione[56] è diretto anche ad evidenziare le aree di miglioramento organizzativo e gestionale delle istituzioni scolastiche direttamente riconducibili al dirigente scolastico, ai fini della valutazione dei risultati della sua azione dirigenziale.

Da ultimo, la Direttiva n. 11 del 18 settembre 2014, che ha definito, per gli aa.ss. dal 2014/2015 al 2016/2017, le priorità strategiche della valutazione del sistema educativo di istruzione, cui l'INVALSI deve adeguare la programmazione della propria attività, ha previsto che, entro dicembre 2014, lo stesso avrebbe dovuto definire gli indicatori per la valutazione dei dirigenti scolastici. Gli indicatori devono essere inseriti nell'ambito di una proposta organica di valutazione della dirigenza scolastica, che deve essere oggetto di un confronto con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali da parte del MIUR.

 

In base al combinato disposto dell’art. 25 del d.lgs. 165/2001 e degli artt. 2 e 6 del DPR 80/2013, la considerazione dei risultati dell’istituzione scolastica ai fini della valutazione dei dirigenti è, dunque, già prevista.

 

 


Articolo 8
(Piano straordinario di assunzioni di personale docente)

L’articolo 8 autorizza il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ad attuare, per l’a.s. 2015/2016, un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato di personale docente. Destinatari della disposizione sono i vincitori (non ancora assunti) del concorso pubblico bandito nel 2012 e gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento.

Inoltre, prevede una nuova disciplina, a regime, per l’assunzione del personale docente, che avverrà esclusivamente mediante concorsi per titoli ed esami.

I destinatari del piano straordinario

Il comma 1 dispone che il piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato riguarda il personale docente delle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado di istruzione ed è finalizzato alla copertura dei posti vacanti e disponibili nel nuovo organico dell’autonomia.

Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che si prevede l’assunzione di 100.701 unità di personale docente – inclusi i soggetti da assumere sui nuovi posti di sostegno di cui all’art. 15 del D.L. 104/2013  –, di cui circa 50 mila destinate al potenziamento dell’offerta formativa.

 

In particolare, ai fini dell’attuazione del piano straordinario, si prevede che, in fase di prima applicazione, l’organico dei posti comuni e dei posti di sostegno (per la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria) è determinato, secondo la procedura ordinaria (art. 6, co. 4 e 5), entro il 30 maggio 2015, mentre i posti per il potenziamento dell’offerta formativa sono “istituiti” solo presso la scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, “tenuto conto delle esigenze di potenziamento dell’organico funzionale calcolato in conformità ai criteri ed obiettivi di cui all’articolo 2”.

La formulazione letterale del testo lascerebbe intuire che, ai fini del piano straordinario, l’individuazione della consistenza organica dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa (previsti limitatamente alla scuola primaria e secondaria) sarà operata – in deroga a quanto dispone l’art. 6, co. 4 – direttamente dal MIUR, senza tenere conto delle indicazioni di fabbisogno avanzate dalle singole istituzioni scolastiche.

Sembrerebbe, peraltro, necessario un chiarimento, anche in relazione a quanto prevede l’art. 2, co. 13, in base al quale anche per l’a.s. 2015-2016 il dirigente scolastico predispone una stima del fabbisogno di docenti da destinare all’(intero) organico dell’autonomia.

Dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala che la locuzione “organico funzionale” (ultima parte del secondo periodo del comma 1) – evidentemente riferita all’organico dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa – non è presente in nessuna altra parte del provvedimento.

 

I commi 2 e 3 dispongono che partecipano al piano straordinario, previa presentazione di apposita domanda di assunzione, nei limiti dei posti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, gli appartenenti alle categorie di seguito indicate:

Ø vincitori del concorso pubblico del 2012, presenti nelle graduatorie di merito alla data di scadenza prevista per la presentazione delle domande di assunzione.

Al riguardo, si ricorda che il decreto direttoriale n. 82 del 24 settembre 2012 ha indetto, su base regionale, concorsi per titoli ed esami finalizzati alla copertura di 11.542 posti e cattedre di personale docente nelle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I e II grado, nonché di posti di sostegno, risultanti vacanti e disponibili negli aa.ss. 2013/2014 e 2014/2015.

Con riguardo agli esiti della procedura concorsuale, il Rapporto sul Piano “La buona scuola”, pubblicato dal MIUR nel settembre 2014, evidenziava che, degli oltre 11 mila vincitori, “più di 8 mila non erano ancora stati assunti prima di quest’anno. Di questi ultimi 8 mila, più della metà sono stati assunti entro il 31 agosto 2014 tra cattedre ordinarie e posti di sostegno, mentre circa 3 mila resteranno ancora senza cattedra. Di questi ultimi, circa il 70% risulta comunque iscritto (anche) alle GAE [graduatorie ad esaurimento: v. infra]. Ciò vuol dire che il dato finale ai primi di settembre 2014 dei vincitori di concorso non ancora assunti e non iscritti alle GAE sarà di circa 1.200 persone”;

Ø iscritti (a pieno titolo), alla data di scadenza prevista per la presentazione delle domande di assunzione, nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente (GAE), di cui all’art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006 (v. box infra).

Il citato Rapporto sul Piano “La buona scuola” evidenziava che risultavano iscritte nelle graduatorie ad esaurimento circa 155 mila persone. A seguito delle assunzioni per l’a.s. 2014-2015, il numero si sarebbe ridotto, a partire dai primi di settembre 2014, a circa 140.600 iscritti.

I soggetti che appartengono a entrambe le categorie devono optare, nella domanda di assunzione, per una sola di esse.

 

Il comma 9 esclude dal piano straordinario di assunzioni:

Ø soggetti già assunti in qualità di docenti a tempo indeterminato presso scuole statali (anche qualora presenti nelle graduatorie di merito o ad esaurimento di cui al comma 2);

Ø soggetti per i quali la riserva per il conseguimento del titolo abilitante (v. box infra) non sia stata sciolta entro il 30 giugno 2015.

 

La procedura di assunzione nell’ambito del piano straordinario

Con riguardo al meccanismo di assunzione previsto, il citato comma 2 stabilisce che, nei limiti sopra ricordati, i vincitori del concorso del 2012 e gli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento sono “assunti a tempo indeterminato” e “inseriti negli albi territoriali. In realtà, ciò avviene all’esito dell‘intera procedura descritta ai commi 4 e seguenti.

Più precisamente, il comma 4 dispone, infatti, che, alla copertura dei posti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, individuati a livello di albo territoriale, si provvede – in deroga alla procedura per l’accesso ai ruoli di cui all’art. 399 del d.lgs. 297/1994 (v. box infra) – con le seguenti modalità e secondo l’ordine indicato:

1)   assunzione dei vincitori del concorso del 2012, nell’ambito della regione nella cui graduatoria di merito sono iscritti, nel limite del 50 per cento (lett. a);

2)   assunzione degli iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, nell’ambito della provincia nella cui graduatoria sono iscritti, nel limite del restante 50 per cento, eventualmente incrementato dei posti rimasti vacanti e disponibili al termine della fase precedente (lett. b);

3)   assunzione dei restanti vincitori del concorso del 2012, nel limite dei posti eventualmente rimasti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, al termine delle due fasi precedenti, a livello nazionale (lett. c);

4)   assunzione dei restanti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento, nel limite dei posti eventualmente rimasti vacanti e disponibili nell’organico dell’autonomia, al termine delle tre fasi precedenti, a livello nazionale (lett. c).

 

Il comma 5 dispone che (tutti) i soggetti interessati “possonoesprimere l’ordine di preferenza tra tutti gli albi territoriali.

Nell’ambito degli albi indicati, i soggetti sono assunti prioritariamente – se in possesso del relativo titolo di specializzazione – sui posti di sostegno o, in subordine, a partire dalla classe di concorso per la quale si possiede maggior punteggio. A parità di punteggio, la priorità è data al grado di istruzione superiore. In caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali indicati, non si procede all’assunzione.

Al riguardo, si evidenzia che l’indicazione dell’ordine di preferenza tra tutti gli albi territoriali sembrerebbe configurarsi come necessaria (e non, meramente, possibile) per il corretto funzionamento del meccanismo di attribuzione dei posti. Infatti, ad esempio, gli albi territoriali afferenti alla regione (o alla provincia) cui si riferiscono le graduatorie di merito (o ad esaurimento) dei soggetti interessati alla fase 1) (o 2) potrebbero essere più di uno.

D’altro canto, l’obbligo di specificare in domanda gli albi territoriali discende anche dalla previsione in base alla quale “in caso di indisponibilità di posti per gli albi territoriali indicati, non si procedere all’assunzione”.

Con riguardo alla formulazione del testo, è necessario sopprimere le parole “o grado di istruzione”, dal momento che il punteggio è attribuito a ciascun soggetto con riferimento (solo) alle classi di concorso.

 

Nello stesso ambito, inoltre, il comma 6 prevede che, ai fini di una maggiore fungibilità del personale assunto e di una limitazione al ricorso a contratti a tempo determinato, nella fase di assegnazione degli incarichi si applica l’art. 7, co. 3, lett. d), che prevede l’utilizzo di personale docente (di ruolo) in classi di concorso diverse da quelle per la quale possiede l’abilitazione, purché in possesso di titolo di studio valido all’insegnamento.

Sembrerebbe trattarsi di un criterio per le assunzioni ulteriore rispetto a quelli indicati, secondo un preciso ordine di priorità, al comma 5.

Si valuti, peraltro, l’opportunità di chiarire come si coordinino le previsioni dei commi 5 e 6 e, in particolare, se il criterio indicato al comma 6 operi in via residuale.

 

Il comma 7 prevede l’accettazione espressa della proposta di assunzione da parte dei soggetti interessati, nel termine di 10 giorni dalla data di ricezione attraverso il sistema informativo. I soggetti assunti sono destinatari di proposte di incarico (ai sensi dell’art. 7).

In caso di mancata accettazione nei termini e nelle modalità indicate, i soggetti interessati non possono essere oggetto di ulteriori proposte di assunzione a tempo indeterminato ai sensi del piano straordinario.

Le disponibilità di posti sopravvenute per effetto delle rinunce all’assunzione non possono essere assegnate in nessuna delle fasi della procedura (dunque, rimangono posti vacanti e disponibili).

Al contempo, peraltro, il medesimo comma 7, dispone che alla copertura dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa rimasti vacanti all’esito del piano assunzionale non si provvede con incarichi a tempo determinato, fino al successivo ciclo di determinazione dei fabbisogni (di cui all’art. 2).

La relazione illustrativa evidenzia, invece, che i suddetti posti sono soppressi.

Sul punto, appare necessario un chiarimento.

 

Infine, il comma 8 dispone che con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale saranno indicate tutte le informazioni inerenti le modalità di partecipazione al piano straordinario. Specifica, inoltre, che tutte le comunicazioni con i soggetti interessati (incluse domande di assunzione, espressione delle preferenze, proposta di assunzione, accettazione o rinuncia, per i quali v. infra) avvengono esclusivamente attraverso un apposito sistema informativo, gestito dal MIUR, che cura ogni fase della procedura, in deroga agli artt. 45, co. 2, e 65 del d.lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale)[57].

Interventi relativi a graduatorie esistenti

Il comma 10 stabilisce che, a decorrere dal 1° settembre 2015, perdono efficacia ai fini delle assunzioni con contratti di qualsiasi tipo e durata (dunque, anche per le supplenze), per i gradi di istruzione della scuola primaria e secondaria (ad eccezione, quindi, della scuola dell’infanzia):

§  le graduatorie di merito del concorso pubblico del 2012;

§  le graduatorie ad esaurimento del personale docente.

Inoltre, a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento, sono soppresse le graduatorie dei concorsi pubblici per titoli ed esami banditi antecedentemente al 2012 per il reclutamento del personale docente per le scuole statali di ogni ordine e grado (inclusa, quindi la scuola dell’infanzia).

 

Al riguardo si ricorda che l’art. 13, co. 2 e 3, del citato decreto direttoriale n. 82 del 24 settembre 2012 ha previsto che il titolo di abilitazione all’insegnamento è attribuito unicamente ai vincitori del concorso (in numero pari ai posti messi a concorso) (e non anche agli idonei).

In materia, tuttavia, è successivamente intervenuto il D.M. prot. n. 356 del 23 maggio 2014, che ha disposto che gli idonei del medesimo concorso hanno titolo, a decorrere dall'a.s. 2014-2015, ad essere destinatari di contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, in subordine ai vincitori. Ciò, in base alla premessa del DM, in considerazione del possibile rischio di vedere vanificato il principio dell’attribuzione del 50% dei posti su base concorsuale (art. 399, co. 1, d.lgs. 297/1994), a causa dell’esaurimento delle graduatorie di merito nella maggior parte delle classi di concorso, e in virtù dei principi di validità delle graduatorie fino all’entrata in vigore di quelle relative al concorso successivo e di nomina dei candidati che si collocano in posizione utile in relazione al numero di cattedre o posti eventualmente disponibili (art. 400, co. 17 e 19, d.lgs. 297/1994).

Al riguardo, il citato Rapporto sul Piano “La buona scuola” – che prevedeva l’assunzione anche degli idonei del concorso del 2012 – faceva presente che, dopo le immissioni in ruolo dell’a.s. 2014-2015, il numero degli stessi, considerando solo i non iscritti alle GAE, sarebbe dovuto ammontare a circa 6.300 persone.

 

Pertanto, con riferimento alla perdita di efficacia delle graduatorie del concorso del 2012 a partire dal 1° settembre 2015, appare necessario un chiarimento in relazione a quanto previsto dal DM 356/2014.

 

Il comma 11 dispone che la prima fascia delle graduatorie di circolo e di istituto del personale docente “ed educativo”[58] – comprendente i soggetti già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento – continua ad esplicare la propria efficacia (ai fini del conferimento delle supplenze) fino all’a.s. 2016/2017 incluso, limitatamente ai soli soggetti ivi iscritti alla data di entrata in vigore del provvedimento, non assunti a seguito del piano straordinario.

Nulla dovrebbe essere variato circa la seconda fascia (comprendente i soggetti non inseriti nella graduatoria ad esaurimento ma forniti di specifica abilitazione o idoneità a concorso) e la terza fascia (comprendente gli aspiranti forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto (più approfonditamente, si v. box infra)[59].

E’ necessario un chiarimento circa il riferimento al personale educativo, considerato che il comma 10 non prevede la perdita di efficacia per le graduatorie ad esaurimento del medesimo personale (né il medesimo è destinatario del piano straordinario di assunzioni).

La nuova disciplina per l’assunzione del personale docente

Il comma 12 dispone che, a regime, l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola statale – ad eccezione del personale docente della scuola dell’infanzia e del personale educativo – avviene esclusivamente mediante concorsi pubblici nazionali, su base regionale, per titoli ed esami. Le relative graduatorie di merito restano valide fino all’approvazione della successiva graduatoria concorsuale e, comunque, non oltre 3 anni.

 

Occorre abrogare, ovvero novellare, la disciplina vigente recata, in particolare, dagli artt. 399 e 400 del d.lgs. 297/1994.

Occorre, inoltre, coordinare la previsione con quella recata dall’art. 21, co. 2, lett. c), punto 5), del provvedimento che prevede l’intervento di un decreto legislativo per la ridefinizione della disciplina e delle modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale docente - negli stessi termini recati dall’articolo in esame – nonché, in quel caso, anche del personale educativo.

 

In particolare, l’art. 400, co. 17, del d.lgs. 297/1994 dispone che le graduatorie relative ai concorsi per titoli ed esami restano valide fino all’entrata in vigore di quelle relative al concorso successivo corrispondente.

 

L'accesso ai ruoli del personale docente e le graduatorie ad esaurimento

 

Ai sensi dell’art. 399[60], co. 1, del d.lgs. 297/1994, l'accesso ai ruoli del personale docente ed educativo delle scuole di ogni ordine e grado ha luogo, per il 50 per cento dei posti assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all’art. 401, trasformate poi ad esaurimento dall’art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006.

Nel trasformare le graduatorie ad esaurimento, il medesimo art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006 ha comunque fatto salvi gli inserimenti nelle stesse, da effettuare per il biennio 2007-2008, dei docenti già in possesso di abilitazione, nonché, con riserva del conseguimento del titolo di abilitazione, dei docenti che frequentavano, alla data di entrata in vigore della legge, i corsi abilitanti speciali indetti ai sensi dell’art. 2 del D.L. 97/2004 (L. 143/2004), nonché i corsi presso le scuole di specializzazione all'insegnamento secondario (SISS)[61], i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica presso i Conservatori di musica, il corso di laurea in Scienze della formazione primaria.

Le graduatorie ad esaurimento sono predisposte per ciascuna provincia, in relazione agli insegnamenti effettivamente funzionanti nelle scuole del territorio, e si articolano in più fasce, a seconda dei requisiti posseduti dagli aspiranti[62]:

§  prima fascia: costituita, ai sensi dell'art. 401 del d.lgs. 297/1994 (come sostituito dall’art. 1 della L. 124/1999), dagli aspiranti docenti già inseriti alla data di entrata in vigore della L. 124/1999 (25 maggio 1999) nelle graduatorie dei concorsi per soli titoli (soppressi dalla stessa L. 124/1999);

§  seconda fascia: costituita dagli aspiranti docenti che, alla data di entrata in vigore della L. 124/1999, avevano superato un concorso per titoli ed esami o precedenti esami anche ai soli fini abilitativi, ed avevano effettuato 360 giorni di servizio presso la scuola statale nel triennio precedente[63];

§  terza fascia: costituita (inizialmente) dagli aspiranti docenti che avevano superato le prove di un precedente concorso per titoli ed esami o di precedenti esami anche ai

soli fini abilitativi ed erano inseriti, alla data di entrata in vigore della L. 124/1999, in una graduatoria per l’assunzione del personale non di ruolo, nonché da coloro che rispondevano ai requisiti previsti dall’art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006 (v. ante).

In seguito, l’art. 5-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008) ha disposto l’inserimento nella terza fascia di ulteriori gruppi di docenti. Si tratta dei docenti che avevano frequentato il IX ciclo SSIS o i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID) attivati nell’a.a. 2007-2008 e che avevano conseguito il titolo abilitante e dei docenti che avevano frequentato il primo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola secondaria di primo grado della classe di concorso 77/A e avevano conseguito la relativa abilitazione. Ha, inoltre, previsto la possibilità di iscrizione con riserva per coloro che nell’a.a. 2007-2008 erano stati iscritti al corso di laurea in scienze della formazione primaria e ai corsi quadriennali di didattica della musica, con previsione di scioglimento della riserva all’atto del conseguimento dell’abilitazione.

 

Successivamente, l’art. 14, co. 2-ter, del D.L. 216/2011 (L. 14/2012), pur ribadendo che le graduatorie restano ad esaurimento, ha istituito una fascia aggiuntiva[64], riferita agli aspiranti docenti che hanno conseguito l’abilitazione all’esito della frequenza dei seguenti corsi, attivati negli a.a. 2008/09, 2009/10 e 2010/11:

-      corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID);

-      secondo e terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A;

-      corso di laurea in Scienze della formazione primaria[65].

A decorrere dall’a.a. 2011/2012 l’aggiornamento delle graduatorie viene effettuato con cadenza triennale[66], previa emanazione di un apposito provvedimento ministeriale, ai sensi del quale il personale docente ed educativo, inserito a pieno titolo o con riserva nelle quattro fasce delle graduatorie ad esaurimento costituite in ogni provincia, può chiedere:

-      la permanenza e/o l’aggiornamento del punteggio con cui è inserito in graduatoria;

-      la conferma dell’iscrizione con riserva (in quanto in attesa del conseguimento del titolo abilitante o in pendenza di un ricorso giurisdizionale o straordinario al Capo dello Stato), o lo scioglimento della stessa;

-      il trasferimento ad altra provincia.

Da ultimo, il D.M n. 235 del 1 aprile 2014 ha stabilito che le graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo così aggiornate hanno validità per il triennio scolastico 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017 e sono utilizzate ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato e del conferimento delle supplenze annuali e di quelle fino al termine delle attività didattiche.

 

Graduatorie di circolo o di istituto

 

Il vigente regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee, emanato con D.M. 13 giugno 2007, n. 131, prevede che il dirigente scolastico, sulla base delle domande prodotte, costituisce apposite graduatorie, in relazione agli insegnamenti impartiti nella scuola o alla tipologia di posto, distinte in tre fasce, da utilizzare nell’ordine. Nello specifico, in base all’art. 5:

§  la I Fascia comprende gli aspiranti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento per il medesimo posto o classe di concorso cui è riferita la graduatoria di circolo o di istituto;

§  la II Fascia comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente graduatoria ad esaurimento ma forniti di specifica abilitazione o idoneità al concorso cui è riferita la graduatoria di circolo e di istituto;

§  la III Fascia comprende gli aspiranti forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto.

 

Ai sensi dell’art. 7 le graduatorie di circolo e di istituto sono utilizzate per il conferimento di:

o  supplenze annuali e temporanee fino al termine delle attività didattiche per posti che non sia stato possibile coprire con il personale incluso nelle graduatorie ad esaurimento;

o  supplenze temporanee per la sostituzione del personale temporaneamente assente e per la copertura di posti resisi disponibili, per qualsiasi causa, dopo il 31 dicembre di ciascun anno. In materia, ha recentemente disposto, come ricordato nella scheda di commento relativa all’art. 6 del testo in commento, l’art. 1, co. 332 e 333, della L. 190/2014 (L. di stabilità 2015) (per approfondimenti, si v. dossier del Servizio Studi n. 233/6, del 23 gennaio 2015).

 

Anche per le graduatorie di circolo o di istituto, a decorrere dall’a.a. 2011/2012, l’aggiornamento viene effettuato con cadenza triennale[67], previa emanazione di apposito provvedimento ministeriale.

Da ultimo, il DM n. 353 del 22 maggio 2014, nello stabilire che le nuove graduatorie hanno validità per il triennio scolastico 2014/2015, 2015/2016 e 2016/2017, ha consentito, a seguito del parere n. 03813/2013 del Consiglio di Stato[68], l’inserimento fra

gli abilitati, ossia in II fascia, anche degli aspiranti che risultano in possesso di diploma di maturità magistrale conseguito entro l’a.s. 2001-2002.

Inoltre, fermo restando l’aggiornamento triennale delle graduatorie, il medesimo DM prevede che ogni anno, con cadenza semestrale[69], è consentito l’inserimento in II fascia degli aspiranti che hanno conseguito nel frattempo il titolo di abilitazione (attraverso i TFA, i Percorsi abilitanti speciali-PAS, o i corsi di laurea in Scienze della formazione primaria). In attesa di una delle due “finestre”, dispone che i nuovi abilitati, già inseriti in III fascia, hanno diritto alla precedenza assoluta nell’attribuzione delle supplenze[70].

 

 


Articolo 9
(Periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo)

L’articolo 9 concerne il periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo, in parte confermando quanto previsto a legislazione vigente, in parte introducendo elementi di novità. In particolare, la valutazione viene affidata al dirigente scolastico.

 

Nello specifico, il comma 1 dispone - come sostanzialmente già previsto a legislazione vigente - che il personale docente ed educativo assunto ai sensi dell’art. 8 (che, come si è visto, prevede sia un piano straordinario di assunzioni di personale docente, sia, a regime, nuove modalità di accesso ai ruoli del personale docente ed educativo) è sottoposto al periodo di formazione e prova, cui è subordinata l’effettiva immissione in ruolo.

 

Il comma 2 conferma che la validità dell’anno di formazione e prova è subordinata ad un servizio effettivamente prestato di almeno 180 giorni, specificando che almeno 120 degli stessi giorni devono riguardare attività didattiche.

 

I commi da 3 a 5 concernono la valutazione del personale in questione.

 

In particolare, il comma 3 prevede che la valutazione è effettuata dal dirigente scolastico, sulla base di un’istruttoria del docente al quale lo stesso dirigente affida le funzioni di tutor, sentiti il Collegio dei docenti e il Consiglio di istituto.

Rispetto alla legislazione vigente, in particolare, non c’è alcun riferimento al ruolo del Comitato per la valutazione del servizio (v. infra).

La relazione tecnica specifica che il dirigente scolastico potrà prevedere un compenso per il docente cui affida le funzioni di tutor a valere sulle risorse del MOF, ovvero a valere sulle risorse per il funzionamento delle istituzioni scolastiche nel caso decida di provvedere avvalendosi di personale docente esterno all’istituzione scolastica di competenza mediante contratti di prestazione d’opera.

 

In base al comma 4, i criteri e gli obiettivi della valutazione, nonché le modalità per la valutazione del grado di raggiungimento degli stessi e le attività formative sono individuati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, anche prevedendo verifiche e ispezioni in classe.

Per l’emanazione del decreto non è indicato un termine.

 

Il comma 5 dispone che, in caso di valutazione negativa del periodo di formazione e prova, il dirigente scolastico provvede alla dispensa dal servizio con effetto immediato, senza obbligo di preavviso.

Se il personale proviene da altro ruolo docente o della pubblica amministrazione, il dirigente scolastico opera la restituzione al ruolo di provenienza, nel quale il personale interessato assume la posizione giuridica ed economica che avrebbe conseguito nel medesimo ruolo.

Rispetto alla legislazione vigente, in particolare, non è prevista, in caso di esito negativo, la concessione della proroga di un altro anno scolastico, al fine di acquisire maggiori elementi di valutazione.

 

Infine, il comma 6 dispone che continuano ad applicarsi, in quanto compatibili  con quanto previsto dall’art. 9, gli articoli 437-440 del d.lgs. 297/1994.

 

Occorre novellare le previsioni vigenti.

 

Ai sensi dell’art. 437 del d.lgs. 297/1994, il personale docente, educativo e direttivo della scuola e delle istituzioni educative è nominato in prova ed è ammesso ad un anno di formazione, valido come periodo di prova[71].

Gli artt. 438 e 439 del medesimo d.lgs. stabiliscono che la prova ha durata di un anno scolastico, con un servizio effettivamente prestato non inferiore a 180 giorni. In caso di esito sfavorevole della prova si provvede alla dispensa dal servizio, alla restituzione al ruolo di provenienza (se il personale proviene da altro ruolo docente o direttivo) o alla concessione della proroga di un altro anno scolastico, al fine di acquisire maggiori elementi di valutazione.

In base all’art. 440, durante l’anno di formazione – che ha inizio con l’anno scolastico, termina con la fine delle lezioni, e anch’esso è ritenuto valido con un servizio minimo di 180 giorni – il MIUR provvede alla realizzazione di specifiche attività formative.

I docenti, al termine dell’anno di formazione, discutono con il comitato per la valutazione del servizio dei docenti[72] una relazione sulle esperienze e sulle attività svolte. Sulla base di essa e degli elementi di valutazione forniti dal dirigente scolastico, il comitato per la valutazione del servizio esprime il parere per la conferma in ruolo.

 

La formazione in ingresso costituisce, altresì, un obbligo contrattuale. Al riguardo, l’art. 68 del CCNL per il personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007, siglato il 29 novembre 2007, prevede la realizzazione di specifici progetti contestualizzati, anche con la collaborazione di reti e/o consorzi di scuole, e stabilisce che l’impostazione delle attività tiene conto dell’esigenza di personalizzare i percorsi e di armonizzare la formazione sul lavoro - con il sostegno di tutor appositamente formati - e l’approfondimento teorico. Dispone, altresì, che nel corso dell’anno di formazione sono create particolari opportunità opzionali per il miglioramento delle competenze tecnologiche e della conoscenza di lingue straniere, anche nella prospettiva dell’acquisizione di certificazioni internazionalmente riconosciute.

Ai sensi dell’art. 4, co. 2, lett. b), del medesimo CCNL, inoltre, la formazione – sia in ingresso che in servizio - è oggetto di contrattazione collettiva integrativa. In tale sede, si provvede, in particolare, a definire obiettivi, finalità e criteri di ripartizione delle risorse finanziarie destinate a fini formativi[73].

 

Il 27 febbraio 2015 sono state pubblicate sul sito del MIUR le Linee guida relative al Piano di formazione del personale docente neoassunto per l’a.s. 2014-2015 (pari a 28.716 unità, di cui 13.346 docenti di sostegno), con le quali si intende sperimentare un nuovo modello – cui potranno essere apportate le necessarie variazioni -, per il quale, comunque, rimane ferma la durata del percorso formativo, pari a 50 ore[74].

Le risorse complessivamente disponibili, che l’allegato 1 ripartisce fra le regioni, sono pari ad € 1.358.266,80.

 

In particolare, il nuovo modello è costituito da:

-      condivisione del percorso formativo, che si concretizza in almeno due incontri organizzati dall’amministrazione scolastica territoriale a livello provinciale e subprovinciale – uno all’avvio del percorso (finalizzato a far conoscere, fra l’altro, le innovazioni in atto nella scuola e il profilo professionale atteso), uno alla sua conclusione (che ha l’obiettivo di condividere il lavoro svolto dai docenti e di riflettere sui punti di forza, sulle criticità, su eventuali proposte migliorative) – di durata complessiva non inferiore a 5 ore;

-      laboratori formativi dedicati, progettati a livello territoriale, che prevedono, di norma, 4 incontri in presenza per un totale di 12 ore, di cui almeno 1 (della durata di 3 ore) dedicato alle problematiche relative all’integrazione scolastica dei disabili e degli studenti con bisogni educativi speciali. Ulteriori 3 ore devono essere dedicate all’elaborazione di documentazione ed attività di ricerca on-line in connessione con il tema scelto[75];

-      formazione peer to peer, effettuata attraverso momenti di reciproca osservazione in classe tra docente neoassunto e tutor, per una durata complessiva di 10 ore. In particolare, sono previste 3 ore di osservazione del nuovo docente nella classe del tutor, 3 ore di programmazione e sviluppo condiviso fra tutor e docente, 3 ore di presenza del tutor nella classe del nuovo docente, 1 ora di valutazione dell’esperienza;

-      formazione on line, della durata complessiva di 20 ore. In tale fase, il docente partecipa a forum di discussione tematici e accede a risorse didattiche e metodologiche disponibili in rete.

 

E’ possibile effettuare compensazioni fra le diverse attività, garantendo, comunque, oltre al monte ore totale previsto, almeno 3 ore per il laboratorio formativo relativo all’integrazione scolastica degli studenti disabili e con bisogni educativi speciali.

 

Durante la formazione in ingresso, il docente neoassunto deve elaborare in via sperimentale un proprio portfolio professionale, che si conclude con un progetto formativo personale, sulla base delle competenze maturate anche a seguito della formazione e dei bisogni della scuola in cui si lavora.

Il portfolio professionale è presentato e discusso alla fine dell’anno di prova con il comitato di valutazione del servizio e comprende al suo interno la relazione finale in forma di documentazione didattica[76].

 

Le linee guida definiscono, altresì, il modello organizzativo e il calendario degli adempimenti: in particolare, l’incontro conclusivo del percorso formativo deve svolgersi entro il 30 maggio 2015.

 


Articolo 10
(La Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente e il Piano nazionale di formazione)

L’articolo 10 prevede l’istituzione della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado – che ha un valore nominale di 500 euro annui, da utilizzare per acquisti o iniziative di carattere culturale – e l’adozione, ogni tre anni, di un Piano nazionale di formazione. Inoltre, qualifica come “obbligatoria, permanente e strutturale” la formazione in servizio dei docenti.

La Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente

Il comma 1 prevede che la Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado, finalizzata a sostenere la formazione continua dei docenti e a valorizzarne le competenze, ha un valore nominale di 500 euro per ciascun anno scolastico - che non costituiscono retribuzione accessoria, né reddito imponibile - e può essere utilizzata per l’acquisto di:

·     libri e testi, anche in formato digitale, di natura didattico-scientifica;

·     pubblicazioni e riviste utili all’aggiornamento professionale;

·     hardware e software.

Inoltre, può essere utilizzata per:

·     iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e qualificazione delle competenze professionali;

·     rappresentazioni teatrali o cinematografiche;

·     ingresso a musei, mostre ed eventi culturali;

·     iniziative coerenti con le attività indicate nel “Piano dell’offerta formativa” e nel Piano nazionale di formazione, disciplinato dal comma 4.

Non è chiara la differenza fra “libri” e “testi”.

Inoltre, con riferimento agli ingressi, si valuti l’opportunità di fare riferimento ai luoghi della cultura, dei quali, ai sensi dell’art. 101 del d.lgs. 42/2004, fanno parte, oltre ai musei, anche biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali (nei quali tutti, peraltro, potrebbero svolgersi gli eventi culturali già richiamati nel testo).

Infine, occorre specificare che si tratta del Piano “triennale” dell’offerta formativa.

 

Il comma 2 affida la definizione di criteri e modalità per l’assegnazione e l’utilizzo della Carta, delle modalità per l’erogazione delle agevolazioni collegate alla stessa, nonché dell’”importo da assegnare nell’ambito delle risorse disponibili di cui al successivo comma 3”, ad un DPCM da adottare, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministro dell’economia e delle finanze.

 

Al riguardo, posto che il comma 1 dispone che la Carta ha un valore nominale di 500 euro, nel comma 2 non è chiaro il riferimento alla determinazione dell’importo da assegnare.

A supporto dell’osservazione formulata, si evidenzia che la relazione tecnica specifica che il personale docente di ruolo cui sarà assegnata la Carta ammonta, tenuto conto del piano straordinario di assunzioni, a 762.274 unità che, dunque, determinano una spesa annua di 381,137 milioni di euro.

Si tratta della spesa autorizzata dal comma 3 a decorrere dal 2015.

 

Si ricorda che l’art. 16, co. 3, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) ha previsto, in via sperimentale per il 2014, al fine di promuovere la formazione culturale del personale docente della scuola, l’accesso gratuito dello stesso personale ai musei statali e ai siti di interesse archeologico, storico e culturale gestiti dallo Stato, nel limite complessivo di 10 milioni di euro.

Le modalità di fruizione del servizio sono state definite con D.I. 19 febbraio 2014 (pubblicato nella GU n. 71 del 27 marzo 2014), cui è seguita la circolare del MIUR del 9 aprile 2014.

Il Piano nazionale di formazione

Il comma 4 riguarda la formazione in servizio dei docenti, che viene definita “obbligatoria, permanente e strutturale”.

Prevede, dunque, che le attività di formazione sono definite dalle singole scuole, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, “in coerenza con il Piano triennale dell’offerta formativa” e con i risultati emersi dai Piani di miglioramento della qualità dell'offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti, autonomamente adottati dalle scuole nell’ambito della fase di autovalutazione (ai sensi dell’art. 6 del DPR 80/2013[77]).

Il Piano nazionale di formazione è adottato ogni 3 anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria.

 

Si segnala che, mentre il comma 4 in commento prevede una “coerenza” delle attività formative dei docenti con il Piano triennale dell’offerta formativa, l’art. 2 prevede che le attività in questione costituiscano uno dei contenuti dello stesso Piano triennale.

 

 

 

 

La disciplina contrattuale della formazione in servizio dei docenti

 

Gli artt. 64 e ss. del vigente CCNL per il personale del comparto scuola per il quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007, siglato il 29 novembre 2007, configurano l’attività di formazione in servizio quale obbligo per l’Amministrazione che, a tal fine, è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che la garantiscano. La formazione dei docenti si realizza anche mediante l’accesso a percorsi universitari brevi finalizzati all’integrazione dei piani di studi in coerenza con esigenze derivanti dalle modifiche delle classi di concorso e degli ambiti disciplinari.

Le iniziative formative si svolgono, ordinariamente, fuori dell’orario di insegnamento.

In ogni caso, per la partecipazione a iniziative di formazione, gli insegnanti hanno diritto alla fruizione di 5 giorni di esonero dal servizio nel corso dell’anno scolastico e il dirigente scolastico è tenuto comunque ad assicurare, anche in aggiunta a tale riconoscimento, un’articolazione flessibile dell’orario di lavoro. Tali prerogative sono garantite anche ai docenti impegnati in attività di formatori.

La programmazione delle iniziative di formazione compete alle singole istituzioni scolastiche. In particolare, l’attività di formazione è oggetto di un Piano annuale, deliberato dal Collegio dei docenti, coerentemente con gli obiettivi e i tempi del POF.

Il Piano si articola in iniziative:

-    promosse prioritariamente dall’Amministrazione;

-    progettate dalla scuola autonomamente, o in rete, o consorziata, anche in collaborazione con le Università (anche in regime di convenzione), con le associazioni professionali qualificate, con gli Istituti di ricerca e con gli enti accreditati.

All’Amministrazione centrale competono gli interventi di interesse generale, soprattutto quelli che si rendono necessari per le innovazioni, sia di ordinamento sia curriculari, nonché il coordinamento complessivo degli interventi.

 

L’art. 69 del CCNL dispone che, per gli insegnanti delle scuole collocate in aree a rischio, l’Amministrazione promuove e sostiene iniziative di formazione finalizzate a prevenire la dispersione scolastica, sviluppare la cultura della legalità e aumentare significativamente i livelli di successo scolastico.

I corsi sono organizzati dalle scuole, singole o in rete, che si avvalgono anche della cooperazione di istituzioni ed enti presenti sul territorio.

Per i docenti delle scuole collocate nelle aree a forte processo immigratorio, l’Amministrazione promuove l’organizzazione di specifiche attività formative, quali: pronto intervento linguistico; corsi specifici sull’insegnamento della lingua italiana ad alunni ed adulti di lingua nativa diversa dall’italiano; approfondimento delle tematiche dell’educazione interculturale. A tal fine, i corsi sono organizzati dalle scuole, singole o in rete, e si avvalgono della collaborazione di soggetti qualificati o accreditati, nonché della cooperazione di istituzioni ed enti presenti sul territorio, delle associazioni espressione delle comunità di immigrati, delle organizzazioni non governative e delle associazioni di volontariato riconosciute.

Ulteriori iniziative di formazione sono previste dall’art. 70 per i docenti che operano o che intendano operare in ambienti di apprendimento particolari (attività di educazione degli adulti, sezioni presso gli ospedali e istituti di prevenzione e pena).

 

Per quanto concerne i soggetti che erogano formazione, l’art. 67 del CCNL fa riferimento a soggetti qualificati e soggetti accreditati.

Sono soggetti qualificati le medesime istituzioni scolastiche, le università, i consorzi universitari, interuniversitari e gli istituti pubblici di ricerca, compreso l’INDIRE. Il Ministero può riconoscere come soggetti qualificati anche associazioni professionali.

Inoltre, il Ministero può accreditare altri soggetti avendo a riferimento, fra gli altri, la missione, l’esperienza accumulata nel campo della formazione, l’attività di ricerca e le iniziative di innovazione metodologica, le capacità logistiche e la stabilità economica e finanziaria, la padronanza di approcci innovativi, la disponibilità a consentire la valutazione delle iniziative formative.

 

Il comma 5 autorizza la spesa di 40 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016, per l’attuazione del Piano nazionale di formazione e per la realizzazione delle attività formative.

 

 


Articolo 11
(Valorizzazione del merito del personale docente)

L’articolo 11 prevede l’istituzione nello stato di previsione del MIUR, a decorrere dal 2016, di un nuovo fondo, dotato di uno stanziamento di 200 milioni di euro annui, destinato alla valorizzazione del merito del personale docente di ruolo delle scuole di ogni ordine e grado. Le risorse - che costituiscono un bonus con natura di retribuzione accessoria - sono assegnate ai docenti dal dirigente scolastico.

 

In particolare, il comma 1 prevede che il fondo, con lo stanziamento suddetto, è ripartito a livello territoriale e fra le istituzioni scolastiche con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in proporzione alla dotazione organica dei docenti.

Occorre valutare se il decreto ministeriale sia lo strumento più idoneo per operare la ripartizione fra le singole istituzioni scolastiche o se, invece, a tal fine, non debba intervenire un decreto del dirigente dell’USR.

 

Il comma 2 affida al dirigente scolastico, sentito il Consiglio di istituto, l’assegnazione delle risorse ai docenti, sulla base della valutazione dell’attività didattica: al riguardo, il testo fa esplicito riferimento ai risultati ottenuti in termini di qualità dell’insegnamento, di rendimento scolastico degli studenti, di progettualità nella metodologia didattica utilizzata, di innovatività e di contributo al miglioramento complessivo della scuola.

In base al comunicato stampa riferito al Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2015 -seduta nella quale il disegno di legge in esame è stato approvato - il dirigente scolastico “assegnerà il bonus al 5% dei suoi insegnanti per premiare chi si impegna di più”.

 

Occorre valutare l’opportunità di specificare i criteri generali di assegnazione delle risorse ai docenti.

 

Il comma 3 ribadisce che le risorse così attribuite sono destinate a valorizzare il merito del personale docente delle scuole di ogni ordine e grado, specificando che si tratta del personale di ruolo.

Inoltre, specifica che la somma assegnata a ciascun docente costituisce un bonus avente natura di retribuzione accessoria.

 

Dal punto di vista della formulazione del testo, si segnala che il riferimento alla valorizzazione del merito del personale docente è presente sia nel comma 1 che nel comma 3 (in tal caso specificando, come si è detto, che si tratta del personale docente di ruolo).

 


Articolo 12
(Limite di durata dei contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili e Fondo per il risarcimento)

L’articolo 12 dispone che i contratti a tempo determinato del personale della scuola per la copertura di posti vacanti e disponibili (supplenze annuali) non possono superare la durata complessiva di 36 mesi e istituisce un Fondo per il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti su posti vacanti e disponibili per più di 36 mesi.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce il divieto, per i contratti a tempo determinato stipulati con personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario per la copertura di posti vacanti e disponibili (supplenze annuali), di superare la durata complessiva di 36 mesi, anche non continuativi.

 

Preliminarmente, si ricorda che - come già detto nella scheda di commento relativa all’art. 6 del testo in esame - in base all’art. 4 della L. 124/1999, per la copertura dei posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, si ricorre alle supplenze annuali.

 

Più in generale, si ricorda che, ai sensi dell’art. 5, co. 4-bis, del D.lgs. 368/2001 (attuativo della direttiva 1999/70/CE), qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato.

Il successivo art. 10, co. 4-bis, inserito dall'art. 9, co. 18, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011), tuttavia, esclude dalla richiamata previsione i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato.

Peraltro, già prima dell’intervento normativo del 2011, l’art. 1, co. 1, del D.L. 134/2009 (L.167/2009), modificando l’art. 4 della L. 124/1999, aveva disposto che i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze (di cui ai co. 1, 2 e 3 del richiamato art. 4) possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo.

 

Si tratta di una tematica sulla quale è di recente intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea.

 

In particolare, la Corte di giustizia dell’Unione europea – adita dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli con domanda di pronuncia pregiudiziale in merito alla conformità della normativa italiana all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (Accordo quadro CES, UNICE e CEEP[78] del 18 marzo 1999) - con sentenza del 26 novembre 2014 (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13), si è pronunciata sull’applicazione al personale scolastico della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa al medesimo Accordo quadro.

I procedimenti principali delle cause riguardavano diversi lavoratori assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato, stipulati in successione e protrattisi per periodi di tempo molto estesi. Sostenendo l’illegittimità di tali contratti, i lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la loro immissione in ruolo (oltre al pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti e al risarcimento del danno subito).

Nella sentenza, la Corte ha ricordato, innanzitutto, che il citato Accordo quadro si applica a tutti i lavoratori, senza che si debba distinguere in base alla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro o al settore di attività interessato.

Inoltre, ha evidenziato che il medesimo Accordo quadro (clausola 5, punto 1) impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione di almeno una delle misure elencate alle lettere da a) a c), concernenti, rispettivamente, ragioni obiettive che giustifichino il rinnovo dei contratti, durata massima totale dei contratti, numero dei loro rinnovi.

Poiché la normativa italiana non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi, né misure equivalenti, il rinnovo deve essere giustificato da una “ragione obiettiva”, quale la particolare natura delle funzioni, le loro caratteristiche o il perseguimento di una legittima finalità di politica sociale.

Secondo la Corte, la sostituzione temporanea di lavoratori per motivi di politica sociale (congedi per malattia, parentali, per maternità o altri) costituisce una ragione obiettiva che giustifica la durata determinata del contratto. La Corte ha rilevato, inoltre, che l’insegnamento è correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione che impone allo Stato di organizzare il servizio scolastico garantendo un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di studenti, cosa che dipende da un insieme di fattori, taluni difficilmente controllabili o prevedibili. Tali fattori attestano una particolare esigenza di flessibilità, che può oggettivamente giustificare il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Allo stesso tempo, la Corte ha ammesso che può altresì oggettivamente giustificarsi che, in attesa dell’espletamento di concorsi per l’accesso ai posti permanenti, i posti da occupare siano coperti con una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.

Ciò premesso, la Corte ha evidenziato, tuttavia, che la normativa italiana viola, nella sua applicazione concreta, la clausola 5, punto 1, lettera a), dell’Accordo quadro, in quanto conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato: infatti, tali contratti sono utilizzati per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali a causa della mancanza strutturale di posti di personale di ruolo. Ha ricordato, infatti, che il termine di immissione in ruolo dei docenti nell’ambito di tale sistema è variabile e incerto (non è previsto alcun termine preciso per l’organizzazione delle procedure concorsuali; l’immissione in ruolo per effetto dell’avanzamento dei docenti in graduatoria dipende da circostanze aleatorie e imprevedibili, come la durata complessiva dei contratti di lavoro a tempo determinato, o il numero di posti nel frattempo divenuti vacanti).

La Corte, dunque, è giunta alla conclusione che l’Accordo quadro non ammette una normativa, quale quella nazionale, che, fatte salve le verifiche da parte dei giudici del rinvio, non prevede alcuna misura di prevenzione del ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato e, al contempo, esclude il risarcimento del danno subito a causa del medesimo ricorso abusivo nel settore dell’insegnamento, non consentendo neanche la trasformazione di tali contratti in contratti a tempo indeterminato.

 

Ex plurimis, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia, il Tribunale di Napoli ha emanato tre sentenze di analogo tenore (nn. 528, 529 e 530 del 2015), con le quali, tra l’altro, ha riqualificato il rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con decorrenza dalla data di superamento dei 36 mesi (di cui all’art. 5, co. 4-bis, del d.lgs. 368/2001), e ha condannato il MIUR al pagamento in favore dei ricorrenti delle retribuzioni contrattualmente dovute per i periodi di interruzione del rapporto di lavoro intercorsi tra la medesima data di decorrenza e la effettiva immissione in ruolo.

Il Tribunale di Sciacca, invece, con sentenze nn. 252 e 253 del 3 dicembre 2014 ha dichiarato la illegittimità dei contratti a termine stipulati con il lavoratore e ha condannato il MIUR al pagamento in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento, degli scatti di anzianità e degli emolumenti relativi in corrispondenza delle supplenze concretamente eseguite. Inoltre, la medesima Amministrazione è stata condannata al pagamento di una somma corrispondente alle retribuzioni di fatto per i periodi non lavorati intercorrenti tra i vari contratti, a partire dalla messa in mora della stessa e fino alla data della sentenza.

 

Ai sensi del comma 2, nello stato di previsione del MIUR è iscritto il Fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a 36 mesi, anche non continuativi, su posti vacanti e disponibili, con la dotazione di euro 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016.

Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio Rapporti con l’Unione europea)

Si segnala che il 25 ottobre 2012 la Commissione europea ha avviato nei confronti dell’Italia la procedura di infrazione n. 2010/2124 per la non corretta applicazione della direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato nel settore scolastico italiano.

In particolare, nella fase precontenziosa EU Pilot, la Commissione ha accertato che nell’ordinamento scolastico italiano è estremamente diffuso il ricorso alla stipula di contratti a tempo determinato con la stessa persona (docente e personale ATA); che per tali soggetti non sono previsti dall’ordinamento italiano mezzi efficaci di riparazione in caso di abuso di contratti successivi a tempo determinato; che il trattamento riservato a tali soggetti è meno favorevole rispetto al corrispondente personale a tempo indeterminato (in termini di anzianità lavorativa e di valutazione dell’attività professionale ai fini del calcolo degli stipendi).

Il primo rilievo sollevato dalla Commissione nel parere motivato, emesso il 20 novembre 2013, riguarda il trattamento meno favorevole del personale a tempo determinato rispetto al corrispondente personale con contratto a tempo indeterminato: sulla base delle informazioni inviate dalle autorità italiane, alla Commissione europea risulta che per tale personale non si tiene conto né dell’esperienza professionale maturata, né dei risultati ottenuti ai fini delle progressioni stipendiali (gli stipendi vengono pagati a livello di inizio carriera senza tenere conto degli anni di servizio analogo in forza di contratti precedenti).

Nella risposta alla lettera di costituzione in mora, le autorità italiane hanno avallato tale interpretazione sulla base del carattere di precarietà del rapporto, legata all’assenza del titolare, e della mancanza di continuità, in quanto i vari periodi di servizio di supplenza attengono a distinti contratti di lavoro e non danno luogo ad un vero e proprio sviluppo di carriera.

Ad avviso della Commissione, tuttavia, la giustificazione della differenza di trattamento non è coerente con la direttiva 1999/70/CE.

Un altro rilievo riguarda l’insufficiente efficacia delle misure destinate a contrastare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato nelle scuole pubbliche italiane. La Commissione, a tale riguardo, precisa preliminarmente che non è in discussione la correttezza del ricorso ai contratti a tempo determinato, previsto dalla direttiva, ma piuttosto il ricorso continuo ed indebito a tale tipo di contratto. La coerenza di tale ricorso con la lettera a), della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro allegato alla direttiva, sostenuta dalle autorità italiane, è contestata dalla Commissione, in quanto, non sussisterebbero motivi oggettivi che giustificano il rinnovo dei contratti.

In primo luogo, la direttiva 1999/70/CE non impedisce allo Stato membro di elaborare provvedimenti specifici per un settore altrettanto specifico, purché la soluzione elaborata sia efficace. La Commissione contesta piuttosto il fatto che la soluzione non risulta abbastanza efficace da essere accettabile. Inoltre, la Commissione non condivide l’argomentazione italiana in base alla quale i contratti a tempo determinato sono conformi ad una caratteristica specifica del settore scolastico e garantiscono la continuità dell’insegnamento. Le critiche della Commissione si appuntano sul ricorso abusivo a tale contratto che, nella realtà dei fatti, serve a garantire la presenza di forza lavoro e non riguarda la sostituzione di personale assente. Non è condivisibile nemmeno l’argomentazione riguardante il ricorso residuale ma obbligatorio a tale tipo di contratto per la necessità di garantire la continuità dell’insegnamento. I dati in possesso della Commissione attestano un ricorso massiccio al rinnovo dei contratti a tempo determinato (nell’anno scolastico 2007/2008, più del 15 per cento del personale docente e circa il 31 per cento del personale ATA era a tempo determinato), in contraddizione con il carattere di sussidiarietà delle situazioni, attestato dalle autorità italiane. L’asserita possibilità per i docenti reclutati con più contratti successivi a tempo determinato di arricchirsi con una più vasta gamma di esperienza, assimilando tali periodi al periodo di prova, non è sostenibile in quanto non è prevista l’automatica conversione del contratto in un contratto a tempo indeterminato. Non è nemmeno sostenibile l’argomentazione delle autorità italiane che si tratti di un tipo di lavoro stagionale, dal momento che lo stesso tipo di attività lavorativa ma a tempo indeterminato avrebbe lo stesso carattere di stagionalità. Inoltre, lo stesso ordinamento italiano (DPR n. 1525/1963) non include l’attività didattica tra le attività di lavoro stagionale. Il fatto poi che uno stesso docente possa lavorare per più di venti anni con contratti di lavoro a tempo determinato contraddice l’esistenza delle ragioni oggettive invocate dalle autorità italiane (sostituzione e stagionalità). Inoltre, pur avendo la Corte di cassazione (sentenza n. 10127/2012) validamente considerate ragioni oggettive la necessità di coprire posti di insegnamento vacanti e disponibili o non vacanti e disponibili entro il 31 dicembre e di sostituire personale in congedo (si tratta, infatti, di misure equivalenti a quelle di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro), non risulta validamente considerata l’ulteriore giurisprudenza della Corte di giustizia europea che impone la verifica della situazione, al fine di escluderne il carattere di necessità fittizia. Tale verifica consentirebbe, infatti, di accertare che, nel caso italiano, le assunzioni soddisfano un bisogno permanente di manodopera, non considerato tra le ragioni oggettive che giustificano il ricorso a più contratti a tempo determinato, sulla base della direttiva. La Commissione non condivide nemmeno l’argomentazione italiana in base alla quale il nuovo contratto di lavoro a tempo determinato non costituisce la continuazione di quello precedente in quanto la stipula con il medesimo soggetto dipende dalla sua posizione nell’elenco di docenti non di ruolo. Sulla base della giurisprudenza della Corte europea, la Commissione afferma che tale interpretazione consentirebbe di assumere lo stesso docente con il medesimo tipo di contratto escludendolo di fatto dalle tutele della direttiva 1999/70/CE e svuotando la direttiva medesima e l’accordo quadro allegato del suo significato. La Commissione, inoltre, non contesta la possibilità di uno Stato membro di recepire una direttiva mediante norme specifiche, aggiunte a quelle di carattere generale ma piuttosto il fatto che tali norme non sono abbastanza efficaci da essere accettabili. La Commissione non condivide nemmeno l’argomentazione delle autorità italiane che hanno affermato di essersi avvalse della possibilità, prevista dalla direttiva, di creare deroghe o di escludere i contratti di lavoro nel settore della scuola dai requisiti stabiliti dalla direttiva, in ragione delle caratteristiche specifiche del settore. Infatti, la direttiva non prevede deroghe alla necessità di tutelare i lavoratori ma solo la possibilità di variare le modalità con cui garantire la tutela.

Infine, nessuna delle modifiche normative proposte nel tempo dalle autorità italiane costituiscono, ad avviso della Commissione, una misura efficace per risolvere il problema del ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi nelle scuole.

Da ultimo, ad avviso della Commissione, le norme italiane sul risarcimento del danno non costituiscono una misura efficace per impedire il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nelle scuole.

A parte il risarcimento, non esisterebbero né disposizioni alternative che assicurino in modo soddisfacente la tutela richiesta dalla direttiva né misure efficaci volte a prevenire e, nel caso, a sanzionare, l’abuso. Inoltre, i tribunali nazionali hanno interpretato in modo restrittivo il tipo di risarcimento che può essere concesso, sollevando dubbi sull’efficacia e la deterrenza del risarcimento come forma di riparazione. Oltretutto, per il lavoratore sarebbe oltremodo difficile provare in sede giudiziale le lesioni subite (in termini, ad esempio, di perdita di altre occasioni di lavoro) ai fini di ottenere il ristoro del danno.

Tali motivi, pertanto, dimostrano, ad avviso della Commissione, che le misure italiane non sono compatibili con la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE.


Articolo 13
(Comandi e distacchi di personale scolastico)

L’articolo 13 prevede la possibilità, per il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario, che si trovi in posizione di comando, distacco, o fuori ruolo alla data di entrata in vigore della legge, di transitare, a seguito di una procedura comparativa, nei ruoli dell’Amministrazione di destinazione, previa valutazione delle esigenze organizzative e funzionali dell’Amministrazione medesima e nel limite delle facoltà assunzionali.

Resta fermo quanto previsto dall’art. 1, co. 330, della L. 190/2014.

 

L’art. 1, co. 330, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha disposto l’eliminazione, a decorrere dall’a.s. 2016/2017, della possibilità di collocare fuori ruolo docenti e dirigenti scolastici per assegnazioni presso associazioni professionali del personale direttivo e docente ed enti cooperativi da esse promossi, enti che operano nel campo della formazione e della ricerca educativa e didattica, nonché enti che operano nel campo delle tossicodipendenze.

 

Al riguardo, la relazione tecnica fa presente che si tratta di 1.071 unità di personale utilizzate presso gli Uffici scolastici regionali e di circa 2.200 unità di personale utilizzate presso Organi costituzionali, Ministeri e altre Amministrazioni.

E’ alla luce di questa esplicitazione che si comprende il riferimento all’art. 1, co. 330, della L. 190/2014 che, dunque, implica che il personale ivi considerato non potrà transitare nei ruoli dei soggetti presso cui attualmente opera.

 

Per completezza, si ricorda che il co. 331 dell’art. 1 della L. 190/2014 ha previsto l’eliminazione, dal 1° settembre 2015, della possibilità per il personale del comparto scuola - salve alcune ipotesi[79] - di essere posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o utilizzazione comunque denominata presso pubbliche amministrazioni, autorità indipendenti, enti, associazioni e fondazioni.

 

 


Capo IV
Istituzioni scolastiche autonome

Articolo 14
(Portale unico dei dati della scuola e progetto sperimentale per l’assistenza alle scuole)

L’articolo 14 prevede l’istituzione del Portale unico dei dati della scuola, nonché, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, di un progetto sperimentale per la realizzazione di un servizio di assistenza alle scuole nella risoluzione di problemi connessi alla gestione amministrativa e contabile.

Il Portale unico dei dati della scuola

Il comma 1 prevede l’istituzione del Portale unico dei dati della scuola, che, in base al comma 3, è gestito dal MIUR, sentito il Garante per il trattamento dei dati personali.

In base ai commi 2 e 4, nel Portale - i cui dati devono essere stabilmente accessibili e riutilizzabili, in conformità con l’art. 68, co. 3, del d.lgs. 82/2005[80] e in applicazione del d.lgs. 36/2006[81] - sono pubblicati in formato aperto:

·     i dati relativi ai bilanci delle scuole.

Con riferimento alla conoscibilità dei bilanci, attualmente l’art. 2, co. 9, e l’art. 18, co. 9, del DI 44/2001 dispongono, rispettivamente, che il programma e il conto consuntivo sono affissi all’albo dell’istituzione scolastica entro 15 giorni dall’approvazione e sono inseriti, ove possibile, nel sito web della medesima;

·     i dati pubblici afferenti il Sistema nazionale di valutazione;

·     l’anagrafe dell’edilizia scolastica;

·     gli incarichi di docenza.

Per questi ultimi, l’art. 7 prevede che la pubblicità sia assicurata anche dai dirigenti scolastici che li attribuiscono;

·     i Piani dell’offerta formativa.

Al riguardo, si segnala la necessità di inserire la locuzione “triennali”;

·     i dati dell’Osservatorio tecnologico.

Con nota prot. 2667/RU/U del 31 ottobre 2013 il MIUR ha rappresentato alle scuole la necessità di conoscere nel dettaglio la reale consistenza delle loro dotazioni multimediali, aggiornata all’a.s. 2013/14, evidenziando che l'Osservatorio Tecnologico già realizzato ed avviato negli anni precedenti era stato ristrutturato, adottando modalità operative più semplici per accedere all'applicazione, automatizzando i passaggi volti all'acquisizione di informazioni già in possesso dell'Amministrazione, snellendo la navigabilità. La nota ha, altresì, specificato che il nuovo Osservatorio rimane la fonte unica delle informazioni in materia di dotazioni multimediali.

In particolare, nel Focus Le dotazioni multimediali per la didattica nelle scuole, edito a gennaio 2014, il MIUR ha specificato che “L’Osservatorio tecnologico ha lo scopo di rilevare gli strumenti adottati dalla istituzione per la dematerializzazione dei servizi, l’utilizzo di ambienti web per la didattica, il numero e la qualità dei dispositivi di proiezione interattiva e, più in generale, delle dotazioni multimediali per la didattica nei laboratori e nelle biblioteche, la quantità e la velocità delle connessioni Internet ed, infine, le diverse fonti di finanziamento delle dotazioni”;

·     i materiali e le opere autoprodotte dalle scuole ai sensi dell’art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).

Al riguardo si rinvia a quanto già detto nella scheda di commento relativa all’art. 5;

·     i dati e le informazioni utili a valutare l’avanzamento didattico, tecnologico e di innovazione del sistema scolastico;

·     la normativa, gli atti e le circolari.

Con riferimento a quest’ultima previsione, si richiamano gli standard di cui al D.L. 200/2008 (L. 9/2009) e al d.lgs. 33/2013.

 

Si segnala che il riferimento al D.L. 200/2008 – per il quale la pertinenza era ravvisabile nell’art. 1, co. 1, 2 e 3, recanti misure in materia di semplificazione normativa, riferite per lo più alla fase di avvio del portale Normattiva - appare ormai superato a seguito dell’abrogazione disposta dalla legge di stabilità 2014.

Inoltre, il riferimento al d.lgs. 33/2013 dovrebbe essere circostanziato, richiamando le modalità (piuttosto che gli standard) di cui all’art. 12, co. 1, dello stesso.

Quest’ultimo dispone, infatti, che “le pubbliche amministrazioni pubblicano sui propri siti istituzionali i riferimenti normativi con i relativi link alle norme di legge statale pubblicate nella banca dati «Normattiva» che ne regolano l'istituzione, l'organizzazione e l'attività. Sono, altresì, pubblicati le direttive, le circolari, i programmi e le istruzioni emanati dall'amministrazione e ogni atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti ovvero nei quali si determina l'interpretazione di norme giuridiche che le riguardano o si dettano disposizioni per l'applicazione di esse, ivi compresi i codici di condotta”.

 

Il comma 3 dispone, inoltre, che il portale rende accessibili i dati del curriculum dello studente, di cui all’art. 3 e il curriculum del docente, di cui all’art. 7, co. 3, lett. b).

 

Il comma 5 autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2015 per la predisposizione del Portale e di 100.000 euro dal 2016 per le spese di gestione e funzionamento dello stesso.

Il Progetto sperimentale per l’assistenza alle scuole

Il comma 6 prevede che, a decorrere dall’anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della legge, è avviato un progetto sperimentale per la realizzazione di un servizio di assistenza alle scuole, anche attraverso la costruzione di un portale e di forum dedicati. L’obiettivo è quello di fornire un supporto tempestivo alle istituzioni scolastiche ed educative nella risoluzione di problemi connessi alla gestione amministrativa e contabile, anche valorizzando la condivisione delle buone pratiche.

Il servizio di assistenza è realizzato nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Attualmente, l’art. 61 del DI 44/2001 prevede che l’Ufficio scolastico regionale fornisce alle istituzioni scolastiche assistenza e supporto in materia amministrativo-contabile, anche sulla base delle indicazioni generali predisposte dal Ministero.

 


Capo V
Agevolazioni fiscali

Articolo 15
(Cinque per mille)

L’articolo 15 modifica la disciplina dell’istituto del 5 per mille IRPEF, includendo le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione (che, in base alla L. 62/2000, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali) tra i destinatari del beneficio, a decorrere dall’esercizio finanziario 2016.

 

In particolare, il comma 1 novella in più punti la normativa vigente in materia, recata dai commi 4-novies e seguenti dell’art. 2 del D.L. 40/2010 (L. 73/2010) - la quale, pur introdotta per il riparto del 5 per mille dell’esercizio 2010, è stata di anno in anno estesa agli esercizi successivi con apposite norme di legge - al fine di disporre:

a)      l’inclusione delle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione tra i soggetti che possono beneficiare del riparto della quota del cinque per mille dell’IRPEF in base alla scelta dei contribuenti (nuova lett. e-bis) del co. 4-novies);

b)      che tutte le istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione sono incluse di diritto tra i soggetti ammessi al predetto riparto, come definiti nelle apposite liste stabilite con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri (nuovo periodo introdotto nel co. 4-duodecies).

Si tratta del decreto[82] con il quale sono anche stabilite le modalità di richiesta, le modalità del riparto delle somme stesse, nonché le modalità e i termini del recupero delle somme non spettanti;

c)      che in sede di dichiarazione dei redditi i contribuenti indicano l’istituzione scolastica alla quale devolvere la somma. La quota di risorse attribuita alle istituzioni scolastiche a seguito del riparto delle somme complessivamente assegnate per il finanziamento del cinque per mille (stabilito in 500 milioni di euro annui a decorrere dal 2015 dalla legge di stabilità per il 2015), è iscritta nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche e destinata alle singole istituzioni beneficiarie in maniera proporzionale alle scelte espresse.

La disposizione riserva, tuttavia, la destinazione di una quota parte della somma complessiva, pari al 10 per cento, alle istituzioni poste in zone a basso reddito, da individuare sulla base di criteri stabiliti con apposito decreto del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (nuovo co. 4-quaterdecies).

 

Si segnala che l’articolo 2 del D.L. 40/2010 reca già un comma 4-quaterdecies.

 

Il comma 2 stabilisce l’efficacia delle modifiche sopraesposte a decorrere dall’esercizio finanziario 2016.

 

La disciplina del 5 per mille

 

L’istituto del 5 per mille dell'imposta sul reddito è stato introdotto, a partire dal 2006, dall’art. 1, co. 337, della L. 266/2005 (legge finanziaria per il 2006), con l'istituzione, a titolo iniziale e sperimentale, di un apposito Fondo nel quale far confluire una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito da destinare ad una serie di finalità di interesse sociale e di ricerca. L’istituto è stato poi annualmente confermato per gli esercizi finanziari successivi, da apposite norme di legge.

A differenza del primo anno di applicazione (in cui le somme corrispondenti alla quota del 5 per mille sono state determinate effettivamente “sulla base degli incassi in conto competenza relativi all'IRPEF, sulla base delle scelte espresse dai contribuenti come risultanti dal rendiconto generale dello Stato”), negli anni successivi è stata introdotta una vera e propria autorizzazione legislativa di spesa, da intendersi quale limite massimo di spesa stanziato per le finalità cui è diretto il 5 per mille.

Da ultimo, l’art. 1, co. 154, della L. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015) ha stabilito in 500 milioni di euro annui l'importo destinato alla liquidazione della quota del 5 per mille a decorrere dall’anno 2015.

La norma dispone, inoltre, che le somme non impegnate alla chiusura dell’esercizio (31 dicembre) possono essere utilizzate nell’esercizio successivo[83].

Il citato art. 1, co. 154, della legge di stabilità 2015 ha, inoltre, stabilizzato la disciplina del cinque per mille IRPEF[84] estendendo l’applicazione, a decorrere

dall'esercizio finanziario 2015, delle disposizioni recate dall’art. 2, co. da 4-novies a 4-undecies, del D.L. 40/2010 – che l’articolo in esame intende novellare - nonché l’applicazione delle norme attuative di tale disciplina, contenute nel D.P.C.M. 23 aprile 2010, le quali trovano applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario 2014[85].

 

Per quanto concerne le finalità dell’istituto, si ricorda che il vigente art. 2, co. 4-novies, del D.L. 40/2010 stabilisce che esso sia destinato:

§  al sostegno del volontariato e altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), che operano in determinati settori, quali assistenza sociale e socio-sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica di particolare interesse sociale, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri nazionale, regionale e provinciale (tenuti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per gli affari sociali), delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori sopra citati[86];

§  al finanziamento della ricerca scientifica e dell'università;

§  al finanziamento della ricerca sanitaria;

§  al finanziamento di attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente;

§  al sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI a norma di legge, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.

Si ricorda inoltre, che l’art. 23, co. 46, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ricomprende, a decorrere dall'anno finanziario 2012, tra le finalità cui può essere destinato il cinque per mille, anche il finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni  culturali e  paesaggistici.  In attuazione di quanto sopra, il  D.P.C.M. 30  maggio

2012 ha fissato le modalità di presentazione della richiesta e di predisposizione delle liste dei soggetti ammessi al riparto.

 

Con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, sono stabiliti le modalità di richiesta, le liste dei soggetti ammessi al riparto e le modalità del riparto delle somme stesse nonché le modalità e i termini del recupero delle somme non spettanti (comma 4-duodecies).

Il D.P.C.M. 23 aprile 2010 reca la disciplina attuativa delle disposizioni di cui sopra, stabilendo finalità e soggetti ammissibili al beneficio del 5 per mille. Il decreto disciplina le modalità ed i termini degli adempimenti a carico dei beneficiari e le attività che le amministrazioni devono porre in essere per il riparto e la corresponsione delle quote; lo stesso regolamenta, altresì, gli obblighi successivi all’attribuzione degli importi, cioè la rendicontazione e l’eventuale recupero dei contributi.

Si rileva, comunque, al riguardo, che l’art. 2, co. 2, del D.L. 16/2012 ha modificato i criteri di ammissibilità al beneficio, stabilendo che, a decorrere dall’esercizio finanziario 2012, possono partecipare al riparto del 5 per mille anche gli enti che, pur non avendo assolto gli adempimenti richiesti per l’ammissione al contributo entro i termini di scadenza, rispettino le seguenti condizioni:

§  siano in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;

§  presentino le domande di iscrizione (e le successive integrazioni documentali) entro il 30 settembre;

§  paghino contestualmente la sanzione, nella misura minima di 258 euro prevista dall’articolo 11, co. 1, del D.Lgs. n. 471/1997, tramite versamento, senza possibilità di compensazione.

 

Il D.L. 40/2010, all’art. 2, co. 4-undecies, ha previsto uno specifico obbligo di rendicontazione in capo a tutti i soggetti beneficiari del riparto, chiamati a redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme, un apposito rendiconto delle stesse, da cui deve risultare chiaramente, anche a mezzo di una relazione illustrativa, la destinazione delle somme attribuite ai soggetti beneficiari.

 

Tuttavia, ai fini di una maggiore trasparenza sull'utilizzo delle somme, il co. 154 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 reca la previsione di un decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità medesima, volto alla definizione delle modalità di redazione della rendicontazione delle somme erogate per il regime del 5 per mille dell'IRPEF, di recupero delle stesse somme per violazione degli obblighi di rendicontazione nonché di pubblicazione, sul sito web di ciascuna amministrazione erogatrice, degli elenchi dei soggetti ai quali è stato erogato il contributo e dei rendiconti trasmessi.

 

Sono inoltre introdotte sanzioni in caso di violazione degli obblighi di pubblicazione sul sito web da parte dell’amministrazione erogatrice e di comunicazione della rendicontazione da parte dei soggetti beneficiari.

In tali casi, la norma prevede l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 46 e 47 del D.lgs. 33/2013, in tema di responsabilità dirigenziale[87].

 


Articolo 16
(School bonus)

L’articolo 16 istituisce (sul modello del c.d. Art-Bonus istituito dall’art. 1 del D.L. 83/2014) un credito d’imposta per i soggetti che effettuano erogazioni liberali in denaro a favore degli istituti del sistema nazionale di istruzione per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, per la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti.

 

Come già detto nella scheda relativa all’art. 15, in base alla L. 62/2000 il sistema nazionale di istruzione è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali.

 

In particolare, in base al comma 1, la misura del credito di imposta per le erogazioni liberali in questione è pari al 65 per cento per quelle effettuate negli anni 2015 e 2016 e al 50 per cento di quelle nel 2017.

 

Il comma 2 prevede che il credito di imposta spetta alle persone fisiche, agli enti non commerciali ed ai soggetti titolari di reddito d’impresa e non è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese.

 

Si rammenta che l’art. 15, co. 1, lett. i-octies) del DPR 917/1986 consente di detrarre il 19 per cento delle spese sostenute per erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, statali e paritari, nonché a favore delle istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e delle università, se finalizzate all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e universitaria e all’ampliamento dell’offerta formativa.

La detrazione spetta a condizione che il versamento di tali erogazioni sia eseguito tramite banca o ufficio postale ovvero mediante gli altri sistemi di pagamento tracciabili (previsti dall’art. 23 del d.lgs. 241/1997).

 

Occorrerebbe chiarire se l’agevolazione in commento è cumulabile con quella prevista all’articolo 17. Occorrerebbe inoltre valutare l’opportunità, in analogia con quanto già previsto al medesimo art. 17, di specificare le fattispecie di non cumulabilità della detrazione.

 

Il comma 3 prevede che il credito di imposta è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Per i titolari di reddito d’impresa il credito è utilizzabile in compensazione (art. 17 del D.lgs. 241/1997), e non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

 

Sarebbe opportuno specificare che il credito d’imposta deve comunque essere indicato nella dichiarazione dei redditi.

Ai sensi dell’art.17, co. 1, del D.lgs. 241/1997, i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche dei redditi. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva.

 

Il comma 4 dispone che per la fruizione del credito d’imposta non si applica il limite annuale di utilizzazione di 250.000 euro, previsto dall’art. 1, co. 53, della L. 244/2007, e il limite massimo per la compensazione di 700.000 euro, previsto dall’art. 34 della L. 388/2000.

 

Il comma 5 prevede che gli istituti scolastici beneficiari delle erogazioni liberali devono comunicare mensilmente al MIUR l’ammontare delle erogazioni liberali ricevute. Le stesse scuole devono inoltre pubblicare sul proprio sito internet e sul portale del MIUR il dato relativo all’ammontare delle donazioni ricevute, precisandone la destinazione e l’utilizzo. Tale pubblicità dei dati deve avvenire nel rispetto delle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. 196/2003) e non deve comportare nuovi oneri per lo Stato.

 

Sarebbe opportuno esplicitare se si intenda fare riferimento al Portale unico dei dati della scuola di cui all’art. 14 e, in caso positivo, integrare anche, nello stesso art. 14, l’elenco delle informazioni da pubblicare.

 

Il comma 6 individua i maggiori oneri derivanti dal credito d’imposta in € 7,5 milioni per il 2016, € 15 mln per il 2017, € 20,8 mln per il 2018, € 13,3 mln per il 2019 ed € 5,8 mln per il 2020. La copertura è disposta dal successivo articolo 24, alla cui scheda di lettura si rinvia.

 

Al riguardo, la relazione tecnica evidenzia che, in base ai dati provvisori delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche presentate nell’anno 2014, risulta un ammontare di erogazioni liberali a favore degli istituti scolastici di circa 22,3 milioni di euro. Per gli enti non commerciali ed i titolari di reddito di impresa si stima un ammontare per tali erogazioni di circa 11,4 milioni di euro.

 

 


Articolo 17
(Detraibilità delle spese sostenute per la frequenza scolastica nelle scuole paritarie)

L’articolo 17 introduce una detrazione IRPEF, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente, per le spese sostenute per la frequenza delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del sistema nazionale di istruzione.

La disposizione riguarda, sostanzialmente, solo le spese sostenute per la frequenza di scuole paritarie.

Si ricorda, infatti, che, come riepilogato nella Nota Prot. 1647 del 25 febbraio 2015, concernente i limiti di reddito per l’esonero dal pagamento dalle tasse scolastiche per l’a.s. 2015/2016, gli studenti che si iscrivono alla scuola primaria e secondaria di primo grado nell’ambito degli istituti statali sono esonerati dal pagamento delle tasse scolastiche[88].

 

Al fine indicato, viene introdotta la lett. e-bis) nell’art. 15, co. 1, del DPR 917/1986.

Il richiamato art. 15 disciplina le detrazioni IRPEF spettanti ai contribuenti in ragione di alcuni oneri sostenuti. In particolare, l’ammontare detraibile è pari al 19 per cento dell’onere, ove non deducibile nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo.

Per effetto delle modifiche in esame, sarà, dunque, detraibile dall’IRPEF il 19 per cento delle spese sostenute, per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente.

 

La disposizione in commento dispone, inoltre, che rimane fermo il beneficio già previsto dall’art. 15, co. 1, lett. i-octies), del DPR 917/1986, ovvero, come già detto nella scheda di commento relativa all’art. 16, la detrazione per le erogazioni liberali finalizzate all’ampliamento dell’offerta formativa per le scuole sia statali che paritarie del sistema nazionale di istruzione, che non è cumulabile con la detrazione delle spese per la frequenza.

 

 


Capo VI
Edilizia scolastica

Articolo 18
(Scuole innovative)

L’articolo 18 prevede l’emanazione di un avviso pubblico per l’elaborazione di proposte progettuali per la realizzazione di scuole innovative, alla cui realizzazione destina risorse già previste a legislazione vigente.

 

In particolare, il comma 1 dispone che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca pubblica un avviso pubblico per l’elaborazione di proposte progettuali di scuole altamente innovative dal punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’incremento dell’efficienza energetica e caratterizzate da nuovi ambienti di apprendimento, anche per favorire l’uso delle nuove tecnologie nell’attività didattica.

Le proposte progettuali presentate sono esaminate “e coordinate” da una Commissione di esperti, cui partecipa anche la Struttura di missione per l’edilizia scolastica costituita presso la Presidenza del Consiglio[89], al fine di individuare soluzioni progettuali.

 

Il comma 2 dispone che, “sulla base delle soluzioni progettuali”, gli enti locali interessati presentano un progetto per la realizzazione di una nuova scuola alla regione.

La regione seleziona la migliore proposta, anche in termini di apertura della scuola al territorio, e la trasmette al MIUR per l’assegnazione del finanziamento per la realizzazione della scuola.

 

Occorrerebbe specificare in che cosa consista il “coordinamento” delle proposte da parte della Commissione di esperti.

Inoltre, occorrerebbe specificare dove debba essere pubblicato l’avviso pubblico.

Il comma 3 prevede che per la realizzazione delle scuole è utilizzata quota parte della somma – “pari a 300 milioni di euro” - che, in base all’art. 18, co. 8, del D.L. 69/2013, l’INAIL destina, nel triennio 2014-2016, ad un piano di messa in sicurezza degli edifici scolastici e di costruzione di nuovi edifici scolastici, rispetto alla quale i canoni di locazione, da corrispondere allo stesso, sono posti a carico dello Stato nella misura di euro 3 milioni per il 2016, 6 milioni per il 2017 e 9 milioni a decorrere dal 2018.

Dovrebbe trattarsi dei canoni di locazione da versare all’INAIL nel caso in cui l’Istituto, nell’ambito dei piani di investimento effettuati[90], acquisti l’immobile adibito a scuola e lo dia in locazione alla stessa.

 

Si segnala che le parole “pari a 300 milioni di euro” devono essere sostituite con le parole “fino a 300 milioni di euro” (anche in considerazione del fatto che alle stesse risorse – evidentemente, per l’altra quota parte – fa riferimento l’art. 19, co. 2, del testo in esame)

 

Al riguardo si ricorda che il 4 luglio 2014 è stato presentato sul sito del Governo un piano di edilizia scolastica articolato in tre linee di intervento. “Si tratta della costruzione di nuovi edifici scolastici o di rilevanti manutenzioni, grazie alla liberazione di risorse dei comuni dai vincoli del patto di stabilità per un valore di 244 milioni (#scuolenuove)[91] e del finanziamento per 510 milioni dal Fondo di sviluppo e coesione, dopo la delibera Cipe del 30 giugno[92], per interventi di messa in sicurezza (#scuolesicure), di decoro e piccola manutenzione (#scuolebelle)”.

Qui approfondimenti sul piano.

Nell’ambito del sito www.italiasicura.governo.it, sezione dedicata all’edilizia scolastica, si legge che nella linea di intervento #scuolenuove “sono compresi lo sblocco patto ai comuni già concesso per il 2014-2015, lo sblocco patto alle provincie previsto per il 2015-2016[93]. Rientreranno anche gli interventi di investimento Inail per nuove scuole”[94].

 

Può essere utile ricordare che, nell’ambito delle iniziative istituzionali del MiBACT in occasione della Biennale di Venezia 2014, in concomitanza del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, è stato organizzato un concorso/mostra dal titolo “AGIbiLE E BELLA - architetture di qualità per la qualità delle scuole”. Nel periodo di permanenza della mostra è stato organizzato un programma di visite guidate per scolaresche, con laboratori sul tema “progetta la tua scuola” per gli studenti delle scuole primarie.

Hanno partecipato al bando - che invitava progettisti, dirigenti scolastici, docenti, studenti, enti locali a partecipare inviando opere realizzate di edilizia scolastica ritenute particolarmente significative, riguardanti sia scuole di nuova costruzione che interventi di riqualificazione di edifici scolastici esistenti - 146 scuole, tra le quali sono state selezionate 12 opere realizzate in Italia negli ultimi 20 anni e sono state assegnate 11 menzioni.

 


Articolo 19
(Misure per la sicurezza e la valorizzazione degli edifici scolastici)

L’articolo 19 reca disposizioni attinenti le competenze dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica - al quale, in particolare, sono affidati compiti di indirizzo e di programmazione degli interventi – e prevede un piano del fabbisogno nazionale in materia di edilizia scolastica 2015-2017, al quale sono destinate risorse già stanziate e non utilizzate, ovvero economie realizzate. Reca, inoltre, in particolare, misure per l’accelerazione di procedure e una riduzione delle sanzioni per gli enti locali che non hanno rispettato gli obiettivi del patto di stabilità 2014 e hanno sostenuto, in tale anno, spese per l’edilizia scolastica.

Osservatorio per l’edilizia scolastica

Il comma 1 prevede che all’Osservatorio per l’edilizia scolastica partecipa anche la Struttura di missione per l’edilizia scolastica costituita presso la Presidenza del Consiglio (v. ante, scheda art. 18) e che lo stesso ha anche compiti di indirizzo e di programmazione degli interventi in materia di edilizia scolastica (e non più, solo, compiti di indirizzo e coordinamento delle attività di studio e compiti di supporto dei soggetti programmatori e attuatori degli interventi).

 

L’istituzione dell’Osservatorio per l’edilizia scolastica presso il MIUR è stata prevista dall’art. 6 della L. 23/1996. Allo stesso sono stati affidati compiti di promozione, di indirizzo e di coordinamento delle attività di studio, ricerca e normazione tecnica espletate dalle regioni e dagli enti locali nel campo delle strutture edilizie per la scuola e del loro assetto urbanistico, nonché di supporto dei soggetti programmatori e attuatori degli interventi, ossia regioni ed enti locali. Si ricorda, infatti, che in base all’art. 4 della stessa legge, la programmazione dell'edilizia scolastica si realizza mediante piani generali triennali e piani annuali di attuazione predisposti e approvati dalle regioni, sentiti gli uffici scolastici regionali, sulla base delle proposte formulate dagli enti territoriali competenti[95] individuati dall’art. 3 nei comuni, per gli edifici da destinare a sede di scuole materne, elementari e medie e nelle province per quelli da destinare - fra gli altri - a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore.

La composizione dell’Osservatorio è stata inizialmente definita con DM 18 aprile 1996 che - come modificato dal DM 30 aprile 2001 – prevede che lo stesso è presieduto dal Ministro dell’istruzione o da un sottosegretario da lui delegato, ed è composto, oltre che da rappresentanti dello stesso Ministero, da rappresentanti delle regioni, dell'UPI, dell'ANCI, dell'UNCEM, del Consiglio superiore dei lavori pubblici, della Cassa depositi e prestiti, dell'ISTAT e da esperti di settore designati dal Ministro della pubblica istruzione, d'intesa con la Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome.

Successivamente, l’art. 9 dell’intesa raggiunta in Conferenza unificata il 1 agosto 2013 sull’attuazione dei piani di edilizia scolastica formulati ai sensi dell’art. 11, co. 4-bis e seguenti, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012)[96] ha previsto che l’Osservatorio per l’edilizia scolastica è integrato nella propria composizione con una rappresentanza paritetica delle componenti di cui alla stessa intesa[97] e ha ribadito che lo stesso svolge attività di supporto anche per la programmazione regionale.

Come evidenziato nel comunicato stampa del MIUR dell’8 gennaio 2015, l’Osservatorio è tornato a riunirsi, in pari data, dopo 17 anni. Lo stesso comunicato fa presente che hanno partecipato i rappresentanti della Struttura di missione per l’edilizia scolastica, del Mibact, della Conferenza delle regioni, dell’Upi e dell’Anci.

 

Sembrerebbe opportuno novellare l’art. 6 della L. 23/1996.

Piano del fabbisogno nazionale 2015-2017

Il comma 2 prevede che la programmazione nazionale predisposta in attuazione dell’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) rappresenta il piano del fabbisogno nazionale in materia di edilizia scolastica per il triennio 2015-2017 ed è “utile” per l’assegnazione di finanziamenti statali comunque destinati alla messa in sicurezza di edifici scolastici, incluse le risorse di cui:

·     all’art. 18, co. 8, del D.L. 69/2013 (cui, si ricorda, fa riferimento, per quota parte, l’art. 19), “a beneficio degli enti locali con la possibilità che i canoni di investimento siano posti a carico della regione”.

Al riguardo, occorrerebbe chiarire se con l’espressione “canoni di investimento” si sia voluto intendere – come nel caso dell’art. 18, co. 3 – “canoni di locazione”, o una diversa tipologia di canoni.

·     all’otto per mille[98];

·     al Fondo per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio[99]. Con riferimento alle risorse che, nell’ambito di questo Fondo sono destinate a interventi di adeguamento strutturale e antisismico di edifici scolastici, il testo prevede che termini e modalità di individuazione degli stessi interventi saranno definiti con successivo DPCM, sul proposta del MIUR.

Per l’emanazione del DPCM non è indicato un termine.

 

L’art. 10, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) – come modificato dall’art. 9, co. 2-quater, del D.L. 133/2014 (L. 164/2014) - ha previsto che, al fine di favorire interventi straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico, efficientamento energetico di immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica e all'alta formazione artistica, musicale e coreutica e di immobili adibiti ad alloggi e residenze per studenti universitari, di proprietà degli enti locali, nonché la costruzione di nuovi edifici scolastici pubblici e la realizzazione di palestre nelle scuole o di interventi volti al miglioramento delle palestre scolastiche esistenti, per la programmazione triennale 2013-2015, le regioni interessate possono essere autorizzate dal MIUR, d’intesa con il MIT, a stipulare mutui trentennali con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti, la Banca di Sviluppo del Consiglio d'Europa, la Cassa depositi e prestiti e con i soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività bancaria ai sensi del d.lgs. 385/1993. Per la definizione delle modalità di attuazione, in conformità ai contenuti dell’intesa in Conferenza unificata del 1° agosto 2013 sull'attuazione dei piani di edilizia scolastica formulati ai sensi dell'art. 11, co. 4-bis e seguenti, del D.L. 179/2012 (v. ante), ha previsto l’intervento di un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

E’ stato dunque, adottato il D.I. 23 gennaio 2015 (pubblicato nella GU n. 51 del 3 marzo 2015) che, considerata la mancata attuazione dei piani triennali regionali di edilizia scolastica di cui all’art. 6 dell’intesa del 1° agosto 2013 - relativi al triennio 2013-2015 – ha proceduto alla definizione di una nuova tempistica per la programmazione degli interventi.

In particolare, per quanto qui interessa, l’art. 2 ha previsto che le regioni dovevano trasmettere al MIUR e al MIT, entro il 31 marzo 2015, i piani regionali triennali (triennio 2015-2017), redatti sulla base delle richieste degli enti locali e tenendo conto anche: a) dei progetti già segnalati dagli enti che hanno risposto alle lettere del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo 2014 e del 16 maggio 2014[100]; b) dei progetti di edilizia scolastica già approvati ai sensi dell’art. 18, co. 8-quater, del D.L. 69/2013 (v. infra), che non risultano finanziati a seguito dello scorrimento delle graduatorie operato in base all’art. 48 del D.L. 66/2014 (L. 89/2014 – v. in nota) o che non sono stati a vario titolo attuati; c) degli ulteriori progetti esecutivi immediatamente cantierabili, esecutivi o definitivi appaltabili relativi a edifici scolastici di proprietà degli enti locali richiedenti e non oggetto di altri finanziamenti statali.

I piani annuali sono soggetti a conferma circa l’attualità degli interventi inseriti per il 2016 e il 2017, rispettivamente entro il 31 marzo 2016 e il 31 marzo 2017.

Il MIUR trasmette i piani al MIT e li inserisce in un’unica programmazione nazionale, da predisporre entro il 30 aprile 2015 e che potrà trovare attuazione nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.

 

Il comma 2 prevede, infine, che “a tali fini” i poteri derogatori per interventi di edilizia scolastica di cui all’art. 18, co. 8-ter, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) sono estesi per tutta la durata della programmazione nazionale 2015-2017.

 

L’art. 18, co. 8-ter-8-sexies, del D.L. 69/2013 (L. 98/2013) - come modificato, da ultimo, dall’art. 6, co. 4, 5 e 5-bis, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015) - ha autorizzato, per l’anno 2014, la spesa di 150 milioni di euro per attuare misure urgenti in materia di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, con particolare riferimento a quelle in cui sia stata censita la presenza di amianto. In particolare, ha previsto la ripartizione delle risorse a livello regionale, da assegnare successivamente agli enti locali proprietari degli immobili ad uso scolastico, corrispondentemente al numero degli edifici scolastici e degli alunni presenti nella singola regione, oltre che alla situazione del patrimonio edilizio scolastico, sulla base delle quote indicate nella Tabella 1 ad esso allegata.

Oltre a definire la procedura e i termini[101] ha, altresì, previsto che i sindaci e i presidenti delle province, interessati dai piani per la riqualificazione e la messa in sicurezza delle scuole statali, operano in qualità di commissari governativi con poteri derogatori rispetto alla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014[102]. Il termine è stato poi differito al 31 dicembre 2015 dall’art. 6, co. 5-bis, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015), in relazione ai differimenti di termini previsti dai co. 4 e 5.

 

Con riferimento a tale previsione, la relazione illustrativa e la relazione tecnica evidenziano che si estendono alcuni poteri derogatori a tutte le procedure di edilizia scolastica.

 

Al riguardo si suggerisce di riformulare l’ultimo periodo del comma 2 che, facendo riferimento ai poteri derogatori “per interventi di edilizia scolastica di cui all’articolo 18, comma 8-ter, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69” potrebbe anche leggersi come estensione dei poteri derogatori solo con riferimento a tali interventi.

Destinazione a nuovi interventi per la sicurezza degli edifici scolastici di risorse già stanziate per l’edilizia scolastica.

Sull’argomento intervengono, anzitutto, i commi 3, 4 e 12.

In base alle slides pubblicate il 27 marzo 2015 dal MIUR, si conta di recuperare circa 250 milioni di euro.

 

In particolare, il comma 3 prevede che le risorse non utilizzate alla data di entrata in vigore della legge in relazione ai finanziamenti disposti da varie disposizioni sono destinate all’attuazione, nel 2015, di ulteriori interventi urgenti per la sicurezza degli edifici scolastici, individuati nell’ambito della programmazione nazionale - fermi restando i piani di ammortamento in corso e le relative autorizzazioni di spesa -, ovvero necessari a seguito delle indagini diagnostiche di cui all’art. 20 o sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

Preliminarmente si evidenzia che per tre delle quattro disposizioni citate -ossia, l’art. 11 del D.L. 318/1986 (L. 488/1986), l’art. 1 della L. 430/1991 e l’art. 2, co. 4, della L. 431/1996, che hanno autorizzato la Cassa depositi e prestiti a concedere mutui con onere a carico dello Stato per interventi di edilizia scolastica - era già intervenuto l’art. 7-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008). Il testo in esame fa, inoltre, riferimento ai finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 4 della L. 23/1996.

L’art. 7-bis del D.L. 137/2008 aveva previsto che le economie rinvenienti dai finanziamenti attivati in base alle disposizioni sopra citate, comunque maturate alla data di entrata in vigore del decreto (nonché quelle relative a finanziamenti per i quali non erano state effettuate movimentazioni a decorrere dal 1° gennaio 2006) erano revocate.

A tal fine le stazioni appaltanti dovevano rescindere i contratti stipulati, qualificare le economie e darne comunicazione alla regione territorialmente competente.

La revoca doveva essere disposta con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le regioni territorialmente competenti, e le relative somme dovevano essere riassegnate, con le stesse modalità, per l'attivazione di opere di messa in sicurezza delle strutture scolastiche, finalizzate alla mitigazione del rischio sismico, da realizzare in attuazione del patto per la sicurezza delle scuole sottoscritto il 20 dicembre 2007 dal Ministro della pubblica istruzione e dai rappresentanti delle regioni e degli enti locali, ai sensi dell'articolo 1, co. 625, della L. 296/2006. L'eventuale riassegnazione delle risorse a regione diversa doveva essere disposta sentita la Conferenza unificata.

Prevedeva, altresì, che i relativi finanziamenti potevano, comunque, essere nuovamente revocati e riassegnati, con le medesime modalità, qualora i lavori programmati non fossero avviati entro due anni dall'assegnazione ovvero gli enti beneficiari dichiarassero l'impossibilità di eseguire le opere.

 

Con riferimento ai finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 4 della L. 23/1996, nella delibera CIPE 66/2012 si evidenzia che i mutui accesi presso la Cassa depositi e prestiti, con erogazioni effettuate in ragione dello stato d’avanzamento dei lavori, ammontano nel complesso, tra il 1996 e il 2004, a circa 1.980 milioni di euro; che per il 2005 e il 2006 non è stata reperita nelle rispettive leggi finanziarie alcuna risorsa; che per il finanziamento dei piani relativi al triennio 2007-2009, l’art. 1 co. 625, della L. 296/2006 ha assegnato complessivamente 250 milioni di euro, dei quali 50 per il 2007 e 100 per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e che, a partire dal 2009, la L. 23/1996 non è stata più rifinanziata[103].

 

Con riferimento alla procedura, il comma 3 prevede che, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, gli enti locali risultati beneficiari dei finanziamenti attivati sulla base delle disposizioni citate trasmettono al MIUR e alla Cassa Depositi e prestiti il monitoraggio degli interventi realizzati, a pena di revoca delle risorse ancora da erogare.

Le economie accertate a seguito del completamento dell’intervento finanziato, ovvero della sua mancata realizzazione, sono destinate, secondo criteri e modalità da definire con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, agli ulteriori interventi urgenti di edilizia scolastica prima indicati.

Per l’emanazione del decreto interministeriale non è indicato un termine.

 

Con riferimento alla previsione di un monitoraggio da parte degli enti locali, si ricorda che a seguito dell'Accordo siglato in Conferenza Unificata il 6 febbraio 2014, è stata definita l’architettura di sistema per lo scambio dei flussi informativi fra le diverse articolazioni dell’anagrafe dell’edilizia scolastica prevista dall’art. 7 della L. 23/1996.

Il Sistema prevede due componenti: una centrale (SNAES), che garantisce al MIUR le conoscenze necessarie per lo svolgimento delle funzioni di indirizzo, pianificazione e controllo, e un’altra, distribuita in “nodi regionali” (ARES), che assicura la programmazione, a livello regionale, del patrimonio edilizio e la gestione del medesimo su base provinciale, comunale e di singola unità scolastica.

In particolare, l’art. 3 dell’Accordo ha previsto che, qualora le regioni non si fossero dotate di un proprio sistema di anagrafe entro sei mesi dalla sottoscrizione, il MIUR avrebbe provveduto, in via sostitutiva, ad assicurare le azioni necessarie alla realizzazione di un “nodo regionale”, utilizzando forme di riuso dei “nodi regionali” già esistenti.

Con comunicato del 27 novembre 2014 il MIUR ha reso noto che nella riunione in pari data della Conferenza Unificata era stato sancito l’ulteriore accordo che avrebbe consentito alle regioni, a partire dal 1° dicembre, di inserire in un’apposita piattaforma informatica tutti i dati relativi al patrimonio edilizio scolastico di competenza degli enti locali.

Da ultimo, nelle slides pubblicate il 27 marzo 2015 dal MIUR è indicato che l’Anagrafe sarà pubblicata ad aprile 2015.

 

Si valuti, dunque, l’opportunità di raccordare la previsione del monitoraggio con il sistema dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

 

Il comma 4 prevede che, sempre entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le regioni devono fornire al MIUR il monitoraggio dei piani di edilizia scolastica finanziati, per il triennio 2007-2009, ai sensi dell’art. 1, co. 625, della L. 296/2006, pena la mancata, successiva, assegnazione di ulteriori risorse statali.

Le economie accertate all’esito del monitoraggio restano, in tal caso, nella disponibilità delle regioni per essere destinate a interventi urgenti di messa in sicurezza di edifici scolastici sulla base di progetti esecutivi previsti nella “programmazione regionale predisposta ai sensi dell’art. 10 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104”, nonché, anche in questo caso, agli interventi che si rendono necessari all’esito delle indagini diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

Gli interventi devono essere comunicati dalla regione competente al MIUR, che definisce tempi e modalità di attuazione.

 

Sembrerebbe necessario coordinare le previsioni del comma 3 – nella parte in cui fa riferimento ai finanziamenti erogati ai sensi dell’art. 4 della L. 23/1996 – con le previsioni del comma 4. Come si è prima visto, infatti, le risorse stanziate dall’art. 1, co. 625, della L. 296/2006 sono state esplicitamente finalizzate, per il triennio 2007-2009, all’attivazione dei piani di edilizia scolastica di cui all’art. 4 della L. 23/1996.

Dal punto di vista della formulazione del testo si segnala, inoltre, che la programmazione regionale non deve essere riferita direttamente all’art. 10 del D.L. 104/2013 (che non la prevede), ma al D.I. 23 gennaio 2015, prima citato, adottato sulla base dello stesso art. 10.

 

Il comma 12 prevede che le risorse per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole stanziate con l’art. 2, co. 239, della L. 191/2009, destinate alla realizzazione degli interventi individuati con la risoluzione parlamentare 8-00143 del 2 agosto 2011, per le quali non siano state assunte obbligazioni giuridicamente vincolanti alla data di entrata in vigore della legge, sono destinate alla programmazione nazionale 2015-2017, nonché, anche in tal caso, agli interventi che si rendano necessari all’esito delle indagini diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica

 

Al riguardo si ricorda che, nelle more dell’adozione del terzo programma stralcio del "Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici", con particolare riguardo a quelli insistenti nelle zone a rischio sismico, istituito nell’ambito del "Programma delle Infrastrutture Strategiche" (PIS) con la legge finanziaria 2003 (art. 80, co. 21, della L. 289/2002)[104] in seguito al crollo della scuola elementare “Francesco Iovine” di San Giuliano di Puglia, avvenuto il 31 ottobre 2002 (più ampiamente, v. infra), la legge finanziaria 2010 (art. 2, co. 239, L. 191/2009) ha introdotto alcune norme procedurali finalizzate a garantire condizioni di massima celerità nella realizzazione degli interventi necessari per la messa in sicurezza e l’adeguamento antisismico delle scuole. Ha, infatti, previsto, previa approvazione di apposito atto di indirizzo delle Commissioni parlamentari, l’individuazione, entro il 30 giugno 2010, di interventi di immediata realizzabilità fino all’importo complessivo di 300 milioni di euro, con la relativa ripartizione degli importi tra gli enti territoriali interessati, nell’ambito delle misure e con le modalità previste ai sensi dell’art. 7-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008).

In ottemperanza di tale previsione, le Commissioni Bilancio e Cultura della Camera hanno approvato il 25 novembre 2010 la risoluzione n. 8-00099, modificata il 2 agosto 2011 con l’approvazione della risoluzione n. 8-00143.

Al fine di addivenire all'approvazione del terzo stralcio, l’art. 30, co. 5-bis, del D.L. 201/2011 (L. 214/2011) ha poi disposto che il Governo doveva dare attuazione entro il 12 gennaio 2012 al citato atto di indirizzo approvato il 2 agosto 2011.

In attuazione delle norme e della risoluzione citate, con il D.M. Infrastrutture e trasporti 3 ottobre 2012, n. 343 (GU 9 gennaio 2013, n. 7) si è provveduto all'approvazione del programma stralcio di edilizia scolastica, che riguarda 989 edifici scolastici per un costo stimato complessivo di 111,8 milioni di euro.

 

Disposizioni sui piani straordinari di messa in sicurezza degli edifici scolastici

Il comma 7 reca disposizioni finalizzate a consentire la prosecuzione ed il completamento dei c.d. piani straordinari di messa in sicurezza degli edifici scolastici avviati nel corso delle legislature precedenti, sia attraverso il riutilizzo delle risorse non impiegate, sia mediante l’accelerazione delle procedure.

 

In particolare, i primi quattro periodi riguardano il Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici istituito dall’art. 80, co. 21, della L. 289/2002 (di cui si è detto nel precedente paragrafo).

Per quanto qui più direttamente interessa, si ricorda che tale Piano risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006 e oggetto di definanziamenti e riprogrammazioni con la delibera CIPE 17/2008) per complessivi 489,083 milioni di euro (delibera ricognitiva del CIPE n. 10/2009 sullo stato di attuazione del Programma delle infrastrutture strategiche) riferiti a 1.593 interventi.

Secondo la Relazione semestrale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sull'avanzamento del piano, al 30 giugno 2014 risultano attivati dagli enti locali beneficiari 1.361 interventi (pari all'85% del totale degli interventi programmati) dell'importo di 407 milioni di euro (l'83% del valore dell'intero Piano). I lavori ultimati risultano invece 562 (35%) per un importo complessivo di 156 milioni di euro (pari al 32% del totale).

Il piano in questione non è riportato nel XII Allegato Infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2014 trasmesso alle Camere il 3 ottobre 2014.

Per approfondimenti si veda la scheda n. 181 del 9° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della “legge obiettivo” (marzo 2015).

 

Al fine di assicurare la prosecuzione ed il completamento degli interventi del Piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici relativi al primo e al secondo stralcio, il comma 7 consente agli enti beneficiari l’utilizzo delle economie derivanti dai ribassi d’asta per la realizzazione di altri interventi finalizzati alla sicurezza delle scuole anche sugli stessi edifici e nel rispetto del limite complessivo del finanziamento già autorizzato.

L’utilizzo delle economie è consentito previa rendicontazione dei lavori eseguiti da presentare al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sulla base della pubblicazione sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, delle modalità di rendicontazione.

In caso di mancata rendicontazione nel termine indicato, è precluso l’utilizzo delle eventuali risorse residue ancora nella disponibilità dell’ente, che sono versate all’entrata del bilancio dello Stato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.

Inoltre, il comma 7 dispone che le somme relative a interventi non avviati e per i quali non siano stati assunti obblighi giuridicamente vincolanti, anche giacenti presso la Cassa depositi e prestiti S.p.A., sono destinate dal CIPE, secondo modalità individuate dallo stesso, alla programmazione nazionale 2015-2017, nonché, anche in tal caso, agli interventi che si rendano necessari all’esito delle indagini diagnostiche di cui all’art. 20, ovvero sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe dell’edilizia scolastica.

 

I successivi periodi del comma 7 - a partire dal quinto - riguardano il Programma straordinario stralcio di interventi urgenti sul patrimonio scolastico di cui all’art. 18, co. 1, lett. b), del D.L. 185/2008 (L. 2/2009) e alla delibera CIPE 6/2012.

 

L’art. 18 del D.L. 185/2008 ha previsto, al co. 1, lett. b), che il CIPE provveda all’assegnazione, per la messa in sicurezza delle scuole, di una quota delle risorse nazionali del Fondo aree sottoutilizzate (oggi Fondo sviluppo e coesione - FSC) destinate al Fondo infrastrutture di cui all’art. 6-quinquies del D.L. 112/2008. La delibera CIPE 3/2009 ha quindi assegnato al Fondo Infrastrutture 1 miliardo di euro da destinare ad interventi per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. La successiva delibera 32/2010 (rettificata dalla delibera 67/2010) ha assegnato la prima quota del miliardo di euro (358,42 milioni) al “Piano straordinario stralcio di interventi urgenti sul patrimonio scolastico”, finalizzato alla messa in sicurezza e alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non strutturali, degli edifici scolastici, e previsto la stipula di apposite convenzioni tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e gli enti attuatori.

La successiva delibera CIPE n. 66 del 30 aprile 2012 ha preso atto che gli enti locali hanno sottoscritto 1.630 convenzioni con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per un valore di circa 347 milioni di euro (97% del totale) La stessa delibera ha evidenziato che l’attuazione del piano è stata ritardata dalla mancata messa a disposizione di parte delle relative risorse, a seguito della legge di stabilità 2012 (v. infra), risorse poi ristorate con la delibera CIPE n. 6/2012.

Il piano in questione non è riportato nel XII Allegato Infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2014.

Per approfondimenti si veda la scheda n. 186 del 9° rapporto per la VIII Commissione Ambiente - L’attuazione della “legge obiettivo” (marzo 2015).

Il CIPE, anche in attuazione delle previsioni contenute nell’art. 33, commi 2-3, della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012), con la stessa delibera 6/2012, ha ridefinito il quadro finanziario complessivo del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) assegnando, tra l’altro, 259 milioni per un secondo programma straordinario di interventi urgenti sul patrimonio scolastico, finalizzati alla messa in sicurezza e alla prevenzione e riduzione del rischio connesso alla vulnerabilità degli elementi, anche non strutturali, degli edifici scolastici, che interessa 1.809 interventi, come risulta dalla relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa svolta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l’anno 2012 (DOC CLXIV, n. 6).

 

In particolare, al fine di garantire la sollecita attuazione dei programmi di interventi riconducibili al Piano straordinario stralcio di cui si è detto, e dei programmi di intervento finanziati ai sensi dell’art. 33, co. 3, della L. 183/2011 con la sopracitata delibera CIPE n. 6/2012, il quinto periodo del comma 7 prevede il silenzio-assenso in relazione al parere richiesto ai Provveditorati per le opere pubbliche sui progetti definitivi presentati dagli enti beneficiari. Viene infatti stabilito che il parere si intende positivamente reso entro 30 giorni dalla richiesta, ovvero 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge per quelli presentati precedentemente.

I periodi successivi prevedono che gli enti beneficiari trasmettono al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le aggiudicazioni provvisorie dei lavori entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, pena la revoca dei finanziamenti. Le risorse revocate sono destinate dal CIPE ad interventi ricompresi nella programmazione nazionale 2015-2017, secondo le modalità definite dal medesimo Comitato.

Rimborsi dei progetti retrospettivi del PON FESR 2007-2013

Il comma 5 reca disposizioni volte a far confluire nel Fondo unico per l’edilizia scolastica ulteriori risorse attinenti all’edilizia medesima - riconducibili alla programmazione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) nel settore dell’istruzione del periodo 2007-2013 - da impiegare, in particolare, sulla base della programmazione regionale prevista dal co. 2, nello stesso territorio al quale erano destinate.

Il FESR costituisce uno dei due Fondi strutturali dell’Unione Europea (l’altro è il Fondo Sociale Europeo- FSE): entrambi costituiscono strumenti finanziari gestiti dalla Commissione Europea per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale riducendo il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo. In particolare, il FESR finanzia gli interventi infrastrutturali nei settori della comunicazione, energia, istruzione, sanità, ricerca ed evoluzione tecnologica. I programmi in cui si articola il Fondo possono essere attuati su scala nazionale o regionale e, quando sono di livello nazionale, sono denominati PON (Programmi Operativi Nazionali): in tal caso l’Autorità di gestione del programma – vale a dire l’amministrazione incaricata di gestirne le risorse – è una amministrazione centrale nazionale.

Con riguardo al PON Istruzione, cui fa riferimento il primo periodo del comma 5 in commento (benché non individuandolo espressamente, atteso che la norma cita in generale il “PON FESR 2007/2013”), si evidenzia che esso è costituito dal PON “Ambienti per l’apprendimento”, a titolarità del MIUR (Direzione Generale per gli Affari Internazionali). Il PON prevede il coinvolgimento di circa 4.000 istituti delle regioni dell’Obiettivo Convergenza (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) per la realizzazione di nuovi laboratori tecnologici e didattici e per interventi per l'adeguamento e la sicurezza delle strutture scolastiche, con riguardo anche alla sostenibilità ambientale e al risparmio energetico[105], attuando per le stesse regioni una strategia unitaria che punta a migliorare la qualità del sistema di istruzione e formazione ed includendo tra i propri specifici obiettivi quello di incrementare le dotazioni tecnologiche e le reti delle istituzioni scolastiche.

Quanto alle risorse derivanti dalla programmazione 2007-2013, sulla base delle modifiche da ultimo apportate al PON con Decisione C(2013)8359 del 26 novembre 2013[106], esse risultano stabilite in circa 510,8 milioni di euro, per metà a carico del contributo comunitario e per la restante parte a finanziamento nazionale.

 

In particolare, il comma 5 stabilisce che le risorse relative ai progetti retrospettivi per interventi di edilizia scolastica confluiscono, in relazione all’intervenire dei rimborsi delle quote comunitarie e di quelle di cofinanziamento nazionale, al netto delle eventuali somme ancora dovute ai beneficiari finali degli stessi progetti, nel Fondo unico per l’edilizia scolastica per essere impiegate, sulla base della programmazione regionale prevista dal co. 2, nello stesso territorio cui le stesse erano destinate. Le risorse in questione sono altresì destinate agli interventi che si rendono necessari all’esito delle indagine diagnostiche di cui all’art. 20, nonché a quelli che si rendono necessari sulla base dei dati risultanti dall’Anagrafe degli edifici scolastici.

 

I progetti in questione sono quegli interventi per i quali si è realizzato un sostegno retrospettivo – denominato “assistenza retrospettiva UE” -, vale a dire l’assegnazione da parte di un’autorità di gestione di un cofinanziamento da parte dell’Unione Europea ad un’operazione per la quale sono già state sostenute spese a valere su risorse nazionali o che è già stata completata prima che il contributo dell’UE sia stato già richiesto o assegnato.

Va segnalato che, sulla base di quanto espressamente evidenziato da un apposito documento di lavoro dei servizi della Commissione Europea, costituito dalla “Nota orientativa al COCOF[107] sull’assistenza retrospettiva UE durante il periodo 2007-2013”, la Commissione ha un orientamento sfavorevole verso tale strumento, in quanto lo stesso, precisa il documento ora citato[108], rappresenta un’area ad alto rischio, atteso che le operazioni selezionate ai fini dell’assistenza retrospettiva sono spesso avviate o svolte senza essere espressamente collegate agli obiettivi di un programma ed ai requisiti normativi connessi all’assistenza UE, con un conseguente rischio di dichiarazione di non ammissibilità delle spese.

 

Il comma 5 dispone infine, che, qualora intervengano decurtazioni di spesa da parte della Commissione europea a seguito di audit sui progetti retrospettivi sopradetti, alle conseguenti restituzioni di risorse si provvede a valere sullo stesso Fondo unico per l’edilizia scolastica.

Si segnala che, sulla base della Relazione annuale 2014 della Corte dei conti – Sezione di controllo per gli affari comunitari e internazionali - alla data del 30 giugno 2014 risultavano in corso sul PON/FESR Istruzione 74 operazioni di audit.

 

E’ presumibile che la disposizione faccia riferimento, quanto alle possibili decurtazioni di spesa, sia agli orientamenti della Commissione europea sull’assistenza retrospettiva sopra richiamata, che agli audit in corso.

 

Per quanto concerne il Fondo unico per l’edilizia scolastica, si ricorda che esso è stato istituito dall’art. 11, co. 4-sexies, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) che ha previsto che nello stesso devono confluire tutte le risorse iscritte nel bilancio dello Stato destinate a finanziare interventi di edilizia scolastica.

Il Fondo è allocato sul capitolo 7105 dello stato di previsione del MIUR. In base al Decreto 101094 del 29 dicembre 2014- Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2015 e per il triennio 2015 – 2017 - sul capitolo risultano allocati, per il 2015, € 325 mln[109].

Limitazione di sanzioni per violazione del patto di stabilità

Il comma 6 limita l’efficacia delle misure sanzionatorie da applicare agli enti locali nel 2015 in caso di mancato rispetto degli obiettivi finanziari del patto di stabilità 2014, per gli enti che abbiano sostenuto, in tale anno, spese per l’edilizia scolastica.

 

Più in particolare, il comma mitiga l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 31, co. 26, lett. a), della L. 183/2011, consistente nella riduzione delle risorse del fondo sperimentale di riequilibrio[110] o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato, diminuendo l’entità del taglio delle risorse di un importo pari alla spesa per edilizia scolastica sostenuta dagli enti locali nel corso del 2014[111].

La riduzione della sanzione non si applica, tuttavia, qualora le spese da portare in riduzione della sanzione da applicare nel 2015 siano le medesime che l’ente abbia già escluso dal computo del saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno per il 2014.

 

Si ricorda, al riguardo che per i comuni è vigente una deroga al patto di stabilità, introdotta dall’art. 48, co. 1, del D.L. 66/2014 (L. 89/2014), riguardante le spese sostenute per interventi di edilizia scolastica negli anni 2014 e 2015: in particolare, le spese in questione sono escluse dal computo del saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto medesimo, nel limite massimo complessivo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni indicati.

I comuni beneficiari dell'esclusione - e l'importo dell'esclusione di cui ciascuno di essi beneficia - sono stati individuati con DPCM 13 giugno 2014, DPCM 30 giugno 2014, DPCM 28 ottobre 2014. Da ultimo, il DPCM 24 dicembre 2014 ha sostituito integralmente gli elenchi allegati ai 3 DPCM citati.

 

Per beneficiare della riduzione della sanzione, gli enti locali che non hanno rispettato il patto di stabilità interno nel 2014 devono comunicare le spese sostenute nel 2014 per edilizia scolastica entro il termine del 31 maggio 2015, con le modalità individuate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

 

Per l’emanazione del decreto non è indicato un termine.

Modalità e termini di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo per la progettualità destinate agli interventi di edilizia scolastica

I commi 8 e 9 modificano le modalità e i termini di utilizzo delle risorse del Fondo rotativo per la progettualità (FROP) destinate agli interventi di edilizia scolastica. Viene infatti previsto che tali risorse sono utilizzabili:

§  fino al 31 dicembre 2018;

§  non solo per gli interventi “inseriti nel piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riguardo a quelli che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio sismico”, ma per qualsiasi intervento di edilizia scolastica.

L’articolo 1, co. 54, della L. 549/1995 ha istituito presso la Cassa depositi e prestiti, al fine di razionalizzare e accelerare la spesa per investimenti pubblici, il Fondo rotativo per la progettualità. Il quarto periodo di tale comma ha stabilito che la dotazione del Fondo è riservata, per un biennio ed entro il limite del 30%, alle esigenze progettuali degli interventi “inseriti nel piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riguardo a quelli che insistono sul territorio delle zone soggette a rischio sismico” (è tale parte della disposizione che viene novellata dal comma 9).

L’art. 9, co. 1-bis, del D.L. 266/2004 (L. 306/2004) ha prorogato l’operatività della citata riserva del 30% al 31 dicembre 2006[112].

 

Il comma 9 dispone, altresì, che il FROP potrà essere alimentato anche da risorse finanziarie di soggetti esterni.

Accelerazione delle procedure relative agli interventi di “estrema urgenza”

Il comma 10 introduce una disposizione di accelerazione delle procedure (c.d. meccanismo di silenzio-assenso) per la realizzazione degli interventi qualificati come interventi di “estrema urgenza” dall’art. 9, co. 1, del D.L. 133/2014 (L. 164/2014).

Viene infatti previsto che per tali interventi - tra cui rientrano gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado - le amministrazioni competenti sono tenute a rendere i prescritti pareri, visti e nulla osta entro 45 giorni dalla richiesta, anche tramite conferenza dei servizi. Decorso inutilmente tale termine, gli stessi si intendono acquisiti con esito positivo.

 

L’art. 9, co. 1, del D.L. 133/2014 qualifica come interventi di "estrema urgenza", considerati indifferibili, in conseguenza della certificazione da parte dell'ente interessato, gli interventi, anche su impianti, arredi e dotazioni, funzionali alla messa in sicurezza degli edifici scolastici (la norma fa invero e più esatto riferimento agli interventi funzionali “alla messa in sicurezza degli edifici scolastici di ogni ordine e grado e di quelli dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica - AFAM, comprensivi di nuove edificazioni sostitutive di manufatti non rispondenti ai requisiti di salvaguardia della incolumità e della salute della popolazione studentesca e docente”), alla mitigazione dei rischi idraulici e geomorfologici del territorio, all'adeguamento alla normativa antisismica e alla tutela ambientale e del patrimonio culturale.

Tale disposizione si applica ai lavori di importo compreso fino alla soglia comunitaria. Per l’avvio di questi interventi di “estrema urgenza” lo stesso articolo ha introdotto una serie di disposizioni di semplificazione amministrativa e accelerazione delle procedure.

Proroga dell’entrata in vigore delle procedure di centralizzazione degli acquisti per tutti i comuni non capoluogo di provincia

Il comma 11 proroga (dal 1° settembre 2015) al 1° novembre 2015 l’entrata in vigore della disciplina per la centralizzazione delle procedure di acquisizione di lavori, servizi e forniture, per tutti i comuni non capoluogo di provincia, attraverso forme di aggregazione.

La relazione illustrativa evidenzia che la modifica mira ad evitare ulteriori ritardi nell’applicazione delle procedure di cui al DI attuativo dell’art. 10 del D.L 104/2013 (v. ante).

 

Il termine del 30 settembre 2015 è stato recentemente fissato dall’art. 8, co. 3-ter, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015): in particolare, la disposizione citata ha novellato il primo periodo del co. 1 dell’art. 23-ter del D.L. 90/2014, che aveva fissato due diversi termini, a seconda che si trattasse di acquisizioni di beni e servizi (per i quali la disciplina era già entrata in vigore il 1° gennaio 2015) o di lavori (ai quali la disciplina si sarebbe applicata solo a partire dal 1° luglio 2015), per l’applicazione della disciplina sull’aggregazione delle stazioni appaltanti dei comuni non capoluogo di provincia. Il citato comma 3-ter ha quindi fissato un unico termine (al 1° settembre 2015) a decorrere dal quale si applicherà la nuova disciplina a tutte le procedure di acquisto.

Con riferimento alla disciplina di cui viene fissato un nuovo termine per la sua entrata in vigore, si ricorda che essa è contenuta nell'art. 33, co. 3-bis, primo periodo, del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (d.lsg. 163/2006) e prevede che i comuni non capoluogo di provincia procedono all'acquisizione di lavori, beni e servizi:

§  nell'ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti;

§  mediante un apposito accordo consortile tra comuni, avvalendosi dei competenti uffici;

§  ricorrendo ad un soggetto aggregatore;

§  ricorrendo alla province.

Il secondo periodo del comma 3-bis consente in alternativa, agli stessi comuni, di acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. Il terzo periodo prevede che l'Autorità nazionale anticorruzione sanzioni i comuni inadempienti non rilasciando il codice identificativo di gara (CIG). Per i comuni istituiti a seguito di fusione l'obbligo decorre dal terzo anno successivo a quello di istituzione.

Il comma 3-quater dell’art. 8 del D.L. 192/2014 prevede che la disposizione di cui al precedente comma 3-ter non si applichi alle procedure già avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 11/2015 (vale a dire alla data del 1° marzo 2015).

Monitoraggio degli interventi

Il comma 13 dispone che il monitoraggio degli interventi contemplati dall’articolo 19 è effettuato secondo le disposizioni del D.lgs. 229/2011.

Il D.lgs. 229/2011, in attuazione delle lettere e), f) e g) del comma 9 dell'articolo 30 della L. 196/2009 (legge di contabilità e finanza pubblica), disciplina le procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche e di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti. In particolare, il decreto definisce le informazioni che le amministrazioni pubbliche e i soggetti destinatari di finanziamenti a carico del bilancio dello Stato finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche devono detenere e comunicare ai fini del monitoraggio e stabilisce le regole e le modalità di trasmissione dei dati.

 

 


Articolo 20
(Indagini diagnostiche su solai e controsoffitti degli edifici scolastici)

L’articolo 20 autorizza la spesa di 40 milioni di euro per il 2015 per il finanziamento di indagini diagnostiche dei solai e dei controsoffitti degli edifici scolastici, al fine di prevenire crolli.

 

In particolare, il comma 1, oltre ad autorizzare la spesa suddetta, dispone che le indagini diagnostiche possono essere cofinanziate dagli enti locali proprietari degli edifici.

 

Il comma 2 prevede l’intervento di un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, per la definizione delle modalità e dei termini per l’erogazione dei finanziamenti agli enti locali, che deve tener conto anche della vetustà degli edifici.

 

Il comma 3 prevede che gli interventi di messa in sicurezza necessari a seguito delle indagini diagnostiche possono essere finanziati a valere sulle risorse di cui all’art. 19, co. 2, 3, 4, 5, 8 e 12.

 


Capo VII
Riordino, adeguamento e semplificazione delle disposizioni legislative

Articolo 21
(Delega al Governo in materia di Sistema nazionale di istruzione e formazione)

L’art. 21 delega il Governo ad adottare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, decreti legislativi finalizzati alla riforma di differenti aspetti del sistema scolastico (e, in parte, del sistema terziario).

In particolare, oltre che la redazione di un nuovo testo unico delle disposizioni in materia di istruzione, si prevede che i decreti legislativi intervengano in materia di:

·     autonomia scolastica;

·     abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria;

·     assunzione, formazione e valutazione del dirigente scolastico;

·     diritto all’istruzione di alunni e studenti con disabilità e bisogni educativi speciali;

·     governo della scuola e organi collegiali;

·     percorsi di istruzione professionale;

·     sistema formativo degli Istituti tecnici superiori;

·     sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni;

·     livelli essenziali del diritto allo studio;

·     ausili digitali per la didattica;

·     scuole italiane all’estero;

·     valutazione e certificazione delle competenze degli studenti ed esami di Stato.

Si prevede, altresì, la raccolta per materie omogenee delle norme regolamentari vigenti negli ambiti trattati dal provvedimento in esame.

 

Si segnala che, per alcuni temi, si prevede l’intervento con decreto legislativo in ambiti attualmente disciplinati con regolamenti governativi o ministeriali, o con regolamenti di delegificazione, o con DPCM.

Procedura per l’adozione dei decreti legislativi

Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, “uno o più” decreti legislativi per il riordino, la semplificazione e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione, anche in coordinamento con le disposizioni della stessa legge.

In considerazione del fatto che uno degli obiettivi è la redazione di un nuovo testo unico delle disposizioni in materia di istruzione - che dovrà includere anche le novità che interverranno a seguito dei nuovi decreti legislativi - per lo stesso occorrerebbe prevedere un termine di emanazione posteriore.

 

In base al comma 3, i decreti legislativi sono adottati, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto (in tutti i casi) con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nonché (a seconda degli ambiti) con altri Ministeri interessati, previo parere della Conferenza Stato-regioni.

 

Gli schemi sono trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Il parere deve intervenire entro 60 giorni, decorsi i quali i decreti legislativi possono essere adottati.

Se il termine previsto per l’espressione del parere parlamentare cade nei 30 giorni che precedono la scadenza del termine di 18 mesi di cui al comma 1, la scadenza stessa è prorogata di 90 giorni.

 

Il comma 5 dispone che, entro due anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive con le medesime modalità e rispettando gli stessi principi e criteri direttivi.

 

Infine, il comma 6 dispone che dall’attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che, a tal fine, le Amministrazioni competenti provvedono attraverso una diversa allocazione delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili.

Prevede, tuttavia, che, nel caso per taluni decreti legislativi si determinino nuovi o maggiori oneri, gli stessi sono emanati “solo successivamente o contestualmente” all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le risorse finanziarie.

Al riguardo si richiama la conformità con l’art. 17, co. 2, della legge di contabilità (L. 196/2009).

Quest’ultimo dispone che le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei decreti legislativi. Qualora, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi in sede di conferimento della delega, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti. Questi ultimi sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le risorse finanziarie.

Dispone, inoltre, che ad ogni schema di decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che dà conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto, ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.

 

Norme regolamentari

Il comma 4 prevede che con uno o più regolamenti governativi o ministeriali, emanati ai sensi dell’art. 17, co. 1 e 3, della L. 400/1988, sono raccolte per materie omogenee le norme regolamentari vigenti negli ambiti sui quali interviene il provvedimento in esame, apportando le modifiche necessarie ai fini dell’adeguamento alla disciplina conseguente all’adozione dei decreti legislativi.

 

Si tratta di una deroga implicita a quanto prevede l’art. 17, co. 4-ter, dello stessa L. 400/1988, in base alla quale al riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la propria funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete, si provvede periodicamente con regolamenti governativi (ex art. 17, co. 1).

Principi generali per l’esercizio della delega

In base al comma 2, i decreti legislativi sono adottati nel rispetto dei principi e  criteri direttivi di cui all’art. 20 della L. 59/1997, nonché in base ai principi e criteri direttivi previsti dallo stesso comma 2 per ciascuno degli ambiti di intervento.

 

L’art. 20 della L. 59/1997 interviene in materia di semplificazione e di riassetto normativo. Tra i principi e criteri direttivi indicati vi sono quelli di codificazione della normativa primaria, di determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente, di indicazione esplicita delle norme abrogate, di coordinamento formale e sostanziale del testo delle disposizioni vigenti, di indicazione dei principi generali che regolano i procedimenti amministrativi, di determinazione dei casi in cui le domande di rilascio di un atto di consenso che non implichi esercizio di discrezionalità amministrativa si considerano accolte qualora non venga comunicato apposito provvedimento di diniego entro il termine fissato, di semplificazione dei procedimenti amministrativi e di riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, di regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o presso diversi uffici della medesima amministrazione, di semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e contabili, di aggiornamento delle procedure con una più estesa e ottimale utilizzazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, di conformazione ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nella ripartizione delle attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti istituzionali, di avvalimento di uffici e strutture tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi, di individuazione delle responsabilità e delle procedure di verifica e controllo, di soppressione dei procedimenti che risultino non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi fondamentali definiti dalla legislazione di settore o in contrasto con i principi generali dell'ordinamento giuridico nazionale o comunitario, o che comportino costi più elevati dei benefici conseguibili.

 

Di seguito si indicheranno gli ambiti di intervento e i principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega.


Nuovo testo unico in materia di istruzione (co. 2, lett. a)

 

Ai fini del riordino delle disposizioni normative in materia di “Sistema nazionale di istruzione e formazione”, si prevede la redazione di un nuovo testo unico delle disposizioni legislative, procedendo a:

·     articolazione e rubricazione delle disposizioni legislative “incluse nella codificazione” per materie omogenee;

·     riordino e coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni “incluse nella codificazione”, anche apportando integrazioni e modifiche innovative necessarie per garantire coerenza giuridica, logica e sistematica, nonché per adeguarle all’evoluzione del quadro giuridico nazionale ed europeo;

·     adeguamento delle disposizioni “incluse nella codificazione” alla giurisprudenza costituzionale ed europea;

·     indicazione espressa delle disposizioni abrogate.

 

Si segnala che l’indicazione espressa delle disposizioni abrogate è già inclusa nei principi e criteri direttivi indicati dall’art. 20 della L. 59/1997, al quale fa riferimento l’alinea del comma 2. Nello stesso alinea, il riferimento corretto dovrebbe essere a “Sistema educativo di istruzione e formazione” (v. art. 2, co. 1, lett. d), L. 53/2003).

 


Autonomia scolastica (co. 2, lett. b)

 

I principi e criteri direttivi individuati per il rafforzamento dell’autonomia scolastica (per il quadro normativo vigente, si veda scheda art. 1) e l’ampliamento delle competenze gestionali, organizzative e amministrative delle scuole sono i seguenti:

 

·     valorizzazione del ruolo della scuola, anche nel contesto territoriale, per il successo formativo e l’innalzamento quali-quantitativo dell’offerta formativa.

Si tratta di un principio che necessiterebbe di essere dettagliato.

 

·     Responsabilizzazione del dirigente scolastico nella scelta del personale docente e nella valorizzazione del merito dello stesso, nonché nel conseguimento del miglior utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali.

Sull’argomento, si vedano le schede riferite agli artt. 7 e 11 del testo in esame.

 

·     Incremento dell’autonomia contabile delle istituzioni scolastiche ed educative (ossia, convitti ed educandati) statali e semplificazione degli adempimenti amministrativi e contabili, salvaguardando la revisione amministrativo-contabile di cui al d.lgs. 123/2011 e l’armonizzazione dei sistemi contabili ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. 91/2011.

Le istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle scuole sono attualmente recate dal regolamento emanato con DI 44/2001, il cui art. 22 riguarda la gestione dei (soli) convitti annessi alle scuole (v. infra, in nota).

Per quanto riguarda il controllo di regolarità amministrativo-contabile, gli artt. 57-60 del medesimo D.I. prevedono la costituzione di un Collegio dei revisori dei conti che dal 1° gennaio 2007 è composto, in applicazione dell’art. 1, co. 616, della L. 296/2006, da un componente nominato dal MEF e da un componente nominato dal MIUR.

 

·     Riordino della disciplina degli organi dei convitti e degli educandati, in particolare con riferimento all’attività di revisione amministrativo-contabile.

Preliminarmente, si ricorda che, ai sensi del d.lgs. 297/1994, i convitti nazionali e gli educandati femminili dello Stato[113] sono ricompresi sotto il nome di “istituzioni educative”. In base al disposto, rispettivamente, degli artt. 203 e 204, entrambi hanno personalità giuridica pubblica e sono sottoposti alla tutela dei provveditori agli studi (le cui funzioni sono ora attribuite agli uffici scolastici regionali)[114]. L’art. 53, co. 2, dello stesso d.lgs. ne prevede l’istituzione con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell’interno e del tesoro.

La loro amministrazione è affidata ad un consiglio di amministrazione, nominato con decreto del Ministro della pubblica istruzione, che dura in carica tre anni, può essere confermato e può essere sciolto dal Ministro quando, richiamato all'osservanza di obblighi imposti per legge, persista a violarli, o per altri gravi motivi[115].

In particolare, l’art. 203 del d.lgs. prevede che il CdA di ciascun convitto è composto da: rettore, che ne è il presidente; due delegati, l'uno dal consiglio provinciale e l'altro dal consiglio comunale del luogo dove ha sede il convitto, scelti dai consigli medesimi anche all’esterno; due persone nominate dal Ministro della pubblica istruzione, una delle quali fra il personale direttivo e docente delle scuole medie frequentate dai convittori; un funzionario dell'amministrazione finanziaria.

Il CdA approva il bilancio di previsione e delibera sul conto consuntivo, autorizza il rettore a stare in giudizio, delibera sui contratti e le convenzioni, sulla misura delle rette e di ogni altra contribuzione, cura la conservazione e l'incremento del patrimonio, vigila sul personale e sul funzionamento dell'istituzione.

Nel caso di scioglimento del CdA, l'amministrazione dell'ente è affidata ad un commissario straordinario.

L'amministrazione dei convitti annessi agli istituti tecnici e agli istituti professionali è affidata al consiglio di istituto ed alla sua giunta esecutiva.

 

L’art. 204 dispone che il CdA di ciascun educandato è composto da un presidente e due consiglieri, salvo diversa disposizione dello statuto e salvo aggregazione, deliberata dallo stesso consiglio, di altri due membri designati da opere o enti di assistenza e previdenza che assumano l'obbligo di affidare all'educandato un ragguardevole numero di giovani.. Alle sedute del CdA partecipa, con voto consultivo, la direttrice dell'educandato, la cui presenza è prescritta, ai fini della validità della seduta, quando si tratti dell'ordinamento e dell'andamento educativo e didattico dell'istituto[116].

Il CdA delibera uno statuto che contiene le norme relative alla sua costituzione ed al suo funzionamento, all'amministrazione del patrimonio ed all'ammissione delle allieve. Lo statuto è approvato con decreto del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro del tesoro, sentito il Consiglio di Stato.

In particolare, il CdA delibera sul bilancio di previsione, sul conto consuntivo, su contratti e convenzioni, sulla misura delle rette e di ogni altra contribuzione e sulle azioni da promuovere o sostenere in giudizio, cura la conservazione e l'incremento del patrimonio, vigila sulla direttrice e, per suo tramite, sul restante personale, nonché sul funzionamento del convitto e delle scuole.

 

Nel caso di scioglimento del CdA, l'amministrazione dell'ente è affidata, per la durata massima di un anno, ad un commissario straordinario.

 

Da ultimo, si ricorda che l’art. 52 del d.lgs. 297/1994, al fine di razionalizzare la rete scolastica, ha previsto la graduale soppressione dei convitti nazionali e degli istituti di educazione femminile[117], misura poi confermata dalla legge finanziaria per il 2008. In particolare, l’art. 2, co. 642, della L. 244/2007 ha affidato ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, l’individuazione e la messa in liquidazione dei convitti nazionali e degli istituti pubblici di educazione femminile che abbiano esaurito il proprio scopo o fine statutario o che non risultino più idonei ad assolvere la funzione educativa e culturale cui sono destinati.

Al riguardo, rispondendo, il 26 febbraio 2015, all’interrogazione a risposta in Commissione 5-03803, il rappresentante del Governo ha evidenziato che un primo elenco di 8 istituzioni da liquidare era stato individuato nel 2008. Da allora, l’iter dello schema di decreto interministeriale ha registrato alterne vicende, per cui occorre rinnovare l’istruttoria presso gli Uffici scolastici regionali.

 

Nell’a.s. 2012/2013 erano presenti sul territorio nazionale 49 istituzioni educative, di cui 7 convitti nazionali e 42 educandati.

 

Si segnala che nell’alinea della lett. b) non è presente il riferimento alle istituzioni educative.

Occorrerebbe, inoltre, utilizzare tale locuzione anche nel capoverso 4.

 


Abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria (co. 2, lett. c)

 

I principi e criteri direttivi individuati al fine del riordino del sistema per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola secondaria – ambito attualmente disciplinato con regolamento ministeriale - e delle modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale docente ed educativo sono i seguenti:

·     inclusione del percorso abilitativo all’interno di quello universitario, con superamento dell’attuale percorso di tirocinio formativo attivo, e previsione, all’interno del percorso abilitativo, di un periodo di tirocinio professionale.

In base agli artt. 3, 7, 8, 9 e 10 del regolamento emanato con DM 249/2010, il percorso per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado si articola, attualmente, in un corso di laurea magistrale (biennale) o, per l'insegnamento di discipline artistiche, musicali e coreutiche, in un corso di diploma accademico di II livello a indirizzo didattico, e in un successivo tirocinio formativo attivo, di durata annuale. Il TFA è un corso di preparazione all'insegnamento che sostituisce il percorso effettuato, fino all'a.a. 2007-2008, nelle scuole di specializzazione (SSIS). Esso comprende quattro gruppi di attività:

a) insegnamenti di scienze dell'educazione;

b) un tirocinio indiretto e diretto di 475 ore, svolto presso le istituzioni scolastiche sotto la guida di un tutor. Il percorso di tirocinio contempla una fase osservativa e una fase di insegnamento attivo; almeno 75 ore sono dedicate alla maturazione delle competenze didattiche per l'integrazione degli alunni con disabilità;

c) insegnamenti di didattiche disciplinari che, anche in un contesto di laboratorio, sono svolti stabilendo una stretta relazione tra l'approccio disciplinare e l'approccio didattico;

d) laboratori pedagogico-didattici indirizzati alla rielaborazione e al confronto delle pratiche educative e delle esperienze di tirocinio.

Il TFA si conclude con la stesura di una relazione e con l'esame finale con valore abilitante. La gestione delle attività è affidata al consiglio del corso di tirocinio.

Si ricorda, inoltre, che l’art. 4 del regolamento emanato con DM 81/2013, modificando l’art. 15 del DM 249/2010, ha previsto che fino all'a.a. 2014-2015 sono istituiti percorsi formativi abilitanti speciali (PAS) per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, ai quali si partecipa senza prova di accesso. Tali percorsi sono destinati agli insegnanti che, in possesso di determinati requisiti, ma sprovvisti di qualsiasi abilitazione o di idoneità alla classe di concorso per la quale chiedono di partecipare, abbiano maturato, dall'a.s. 1999/2000 e fino all'a.s. 2011/2012 incluso, almeno 3 anni di servizio.

I titoli di abilitazione conseguiti al termine di tali percorsi non consentono l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, ma danno diritto esclusivamente all'iscrizione nella seconda fascia delle graduatorie di istituto e costituiscono requisito di ammissione alle procedure concorsuali per titoli ed esami.

 

Qui la pagina dedicata sul sito del MIUR.

 

·     Definizione di nuovi percorsi di formazione iniziale, che comprendano sia l’ambito delle materie caratterizzanti, sia l’ambito delle materie relative alla didattica disciplinare.

In base all’art. 2 del già citato DM 249/2010, la formazione iniziale degli insegnanti è finalizzata all'acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali.

 

·     Riordino delle classi di concorso, con attribuzione degli insegnamenti nell’ambito della classe disciplinare, “secondo principi di semplificazione e di flessibilità, fermo restando l’accertamento della competenza nella disciplina insegnata”.

Al riguardo la relazione illustrativa specifica che le classi di concorso attuali appaiono troppo frammentate e poco rispondenti alle esigenze di flessibilità che la scuola dell’autonomia richiede e, dunque, il riordino è finalizzato a individuare ambiti affini delle discipline.

Si valuti, comunque, l’opportunità di esplicitare meglio il criterio direttivo.

 

Al riguardo si ricorda, anzitutto, che, in applicazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), il Consiglio dei ministri aveva approvato in prima lettura, il 12 giugno 2009, uno schema di regolamento di delegificazione di revisione delle classi di concorso, non pervenuto alle Camere.

Nel merito, si ricorda, come già evidenziato nella scheda relativa all’art. 7, che il DM 30 gennaio 1998, n. 39 ha individuato le classi di concorso per l’insegnamento nella scuola secondaria e ha, altresì, fissato per ciascuna classe di concorso i titoli di studio validi per l’ammissione ai concorsi e gli insegnamenti compresi nelle medesime classi di concorso, specificando, peraltro, se si tratta di insegnamenti impartiti in istituti di istruzione secondaria di primo o di secondo grado.

 

·     Ridefinizione della disciplina e delle modalità di assunzione a tempo indeterminato del personale docente ed educativo, prevedendo concorsi pubblici e graduatorie con validità triennale, al fine di omogeneizzazione con le modalità di accesso al pubblico impiego[118].

Al riguardo si ricorda che sull’argomento interviene già l’art. 8, co. 12, che, però, esclude dalla nuova disciplina il personale docente della scuola dell’infanzia e il personale educativo.

E’ dunque necessario un coordinamento.

Dal punto di vista della formulazione del testo si segnala, inoltre, che il riferimento alla finalità di omogeneizzazione con le modalità di accesso al pubblico impiego è presente sia nell’alinea della lett. c), sia nel capoverso 5).


Assunzione, formazione e valutazione del dirigente scolastico (co. 2, lett. d)

 

I principi e criteri direttivi individuati al fine del riordino delle modalità di assunzione, formazione e valutazione del dirigente scolastico, conseguente al rafforzamento delle sue funzioni, sono i seguenti:

 

·     assunzione attraverso concorsi pubblici nazionali per titoli ed esami, volti a selezionare candidati in possesso di competenze didattiche, manageriali e organizzative.

Al riguardo si ricorda che l’art. 17 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) ha introdotto un nuovo sistema di reclutamento dei dirigenti scolastici, basato su un corso-concorso selettivo di formazione bandito annualmente dalla Scuola nazionale dell’amministrazione per tutti i posti vacanti, disponendo l’abrogazione della disciplina previgente, che prevedeva lo svolgimento delle procedure su base regionale (art. 1, co. 618, della L. 296/2006 e DPR 140/2008).

Il concorso per l’accesso al corso-concorso è per esami e titoli, con una prova preselettiva eventuale, una o più prove scritte e una prova orale, cui fa seguito la valutazione dei titoli.

Al concorso può partecipare il personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche ed educative statali che sia in possesso del diploma di laurea magistrale, ovvero di laurea conseguita in base al previgente ordinamento, e abbia maturato dopo la nomina in ruolo un periodo di servizio effettivo di almeno 5 anni.

Al corso-concorso può essere ammesso un numero di candidati fino al 20% superiore a quello dei posti vacanti. Il numero effettivo di candidati ammessi, le modalità di svolgimento della procedura concorsuale, la durata del corso, nonché le forme di valutazione dei candidati devono essere stabilite, in base a tale previsione legislativa, con un DPCM, su proposta del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze. Il DPCM – che doveva essere adottato entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. (dunque, entro il 12 marzo 2014) – non risulta ancora intervenuto.

 

Si ricorda, altresì, che l’art. 6, co. 6, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015), modificando l’art. 1, co. 2-ter, del D.L. 58/2014 (L. 87/2014) - che aveva previsto l’indizione del primo corso-concorso nazionale per il reclutamento di dirigenti scolastici, per le esigenze di copertura di posti vacanti nelle regioni nelle quali sia esaurita la graduatoria del concorso indetto con D.D.G. 13 luglio 2011, entro il 31 dicembre 2014 - ha prorogato tale termine al 31 marzo 2015.

Al riguardo, la relazione illustrativa motivava la proroga con la complessità della “procedura prevista per legge” che comporta, “prima del bando, la definizione di un regolamento, per il quale è necessario acquisire il preventivo concerto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, nonché il parere del Consiglio di Stato”. Ricordava, inoltre, che il procedimento, “che ha richiesto una necessaria preventiva consultazione degli attori coinvolti, compresa la Scuola nazionale della pubblica amministrazione”, non si era ancora concluso.

 

Alla luce di quanto ricostruito, occorrerebbe chiarire se si intenda sostituire la previsione di un corso-concorso nazionale con la previsione di un concorso nazionale, ovvero se, ferma restando la previsione primaria vigente, si intenda sostituire al DPCM per la definizione delle modalità di svolgimento della procedura un decreto legislativo.

 

·     Aggiornamento continuo e strutturale.

La formazione dei dirigenti è regolamentata a livello contrattuale. In particolare, l’art. 21 del CCNL quadriennio normativo 2002-2005 ha previsto che la formazione e l'aggiornamento professionale del dirigente sono assunti dall'Amministrazione come metodo permanente teso ad assicurare il costante adeguamento delle competenze dirigenziali allo sviluppo del contesto culturale, tecnologico e organizzativo di riferimento e a favorire il consolidarsi di una cultura di gestione orientata al risultato e all'innovazione.

Ha, altresì, previsto che le politiche formative dei dirigenti scolastici sono definite dall'Amministrazione in conformità alle proprie linee strategiche e di sviluppo e le iniziative formative sono realizzate dalla stessa Amministrazione, da altri enti, Università, soggetti pubblici o agenzie private specializzate nel settore ed associazioni professionali, anche d'intesa tra loro. Le attività formative devono tendere, in particolare, a rafforzare comportamenti innovativi dei dirigenti e la loro attitudine a promuovere e sostenere iniziative di miglioramento.

La partecipazione alle iniziative di formazione, inserite in appositi percorsi formativi, anche individuali, è comunicata all'Amministrazione dal dirigente interessato ed è considerata servizio utile a tutti gli effetti.

Il dirigente può, inoltre, partecipare, senza oneri per l'Amministrazione, a corsi di formazione ed aggiornamento professionale che siano comunque in linea con gli obiettivi indicati. A tal fine, al dirigente è concesso un periodo di aspettativa non retribuita per motivi di studio della durata massima di tre mesi nell'arco di un anno.

Infine, l’art. 21 ha disposto che il Ministero definisce annualmente la quota delle risorse da destinare ai programmi di aggiornamento e di formazione dei dirigenti.

Come confermato anche dall’art. 2 del CCNL relativo al personale dell’Area V della Dirigenza per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il primo biennio economico 2006-2007, la definizione ed il finanziamento dei programmi di formazione e di aggiornamento dei dirigenti scolastici sono definiti in sede di contrattazione collettiva integrativa nazionale.

In sede di contrattazione collettiva regionale presso ciascuna Direzione scolastica regionale sono poi disciplinati i criteri per la definizione dei programmi di formazione e di aggiornamento attivati a livello locale.

 

Con riferimento all’a.s. 2014/2015, con nota Prot. 18522 del 9 dicembre 2014, il MIUR ha proposto la realizzazione di un percorso formativo sulla base di varie tematiche, fra le quali: progettazione dei servizi di orientamento, governance, relazioni tra scuola e territorio e reti di scuole, dimensionamento degli istituti, dispersione scolastica, coinvolgimento delle istituzioni e partenership dei genitori, Sistema nazionale di valutazione, legislazione scolastica.

La nota ha previsto che, per la realizzazione dell’iniziativa formativa, ogni USR doveva selezionare una scuola polo, da individuare tra quelle con comprovata capacità gestionale e amministrativo-contabile, e che a ciascuna delle 18 scuole polo sarebbero stati assegnati € 8.800,00 per la realizzazione, presso l’USR di riferimento, della formazione relativa ad una delle tematiche indicate.

 

·     Valutazione dei dirigenti anche in ragione dei criteri e delle modalità adottati da ciascuno per la scelta dei docenti cui attribuire gli incarichi di insegnamento, nonché in ragione ai miglioramenti conseguiti dalla scuola, con particolare riferimento alla riduzione della dispersione scolastica e alla valutazione degli apprendimenti.

Sul sistema di valutazione dei dirigenti scolastici, si veda la scheda relativa all’art. 7 del testo in esame.

 


Diritto all’istruzione e alla formazione di alunni e studenti con disabilità e bisogni educativi speciali (co. 2, lett. e)

 

Al riguardo si ricorda, preliminarmente, che la direttiva del MIUR del 27 dicembre 2012, recante "Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica” ha incluso nei Bisogni educativi speciali le aree:

·     della disabilità (L. 104/1992);

·     dei disturbi evolutivi specifici (disturbi specifici dell’apprendimento – DSA - di cui alla L. 170/2010, deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, disturbi dell’attenzione e dell’iperattività, funzionamento cognitivo limite e disturbo evolutivo specifico misto);

·     dello svantaggio socio-economico, linguistico, culturale.

In particolare, sottolineata la rilevanza, anche sul piano culturale, del modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS, che consente di individuare i BES dell’alunno prescindendo da preclusive tipizzazioni, fa presente che, in questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare BES per motivi fisici, biologici, fisiologici, psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.

La direttiva ha esteso, dunque, a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’insegnamento. Strumento privilegiato è il percorso definito in un Piano didattico personalizzato (PDP),per il quale già le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento , allegate al DM 12 luglio 2011, avevano indicato i contenuti minimi e i tempi massimi di definizione (entro il primo trimestre), prevedendo la sua articolazione per le discipline coinvolte nel disturbo[119].

 

I principi e criteri direttivi individuati al fine del riordino del diritto all’istruzione e alla formazione di alunni e studenti con disabilità e bisogni educativi speciali (BES) sono i seguenti:

 

·     Ridefinizione del ruolo dei docenti di sostegno, al fine di favorire l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, anche attraverso appositi percorsi di formazione universitaria (ambito, quest’ultimo, attualmente disciplinato con regolamento ministeriale).

Al riguardo si ricorda, preliminarmente, che l’art. 315, co. 5, del d.lgs. 297/1994 prevede che i docenti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei consigli di intersezione, di interclasse, di classe e dei collegi dei docenti.

Con riferimento alla formazione, l’art. 13 del DM 249/2010 ha disposto, da ultimo, che, in attesa della istituzione di specifiche classi di abilitazione, la specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni disabili si consegue solo presso le università, con la partecipazione a un corso di durata almeno annuale, a numero programmato, che deve comprendere almeno 300 ore di tirocinio e articolarsi distintamente per la scuola dell'infanzia, la scuola primaria, la scuola secondaria di primo grado e quella di secondo grado. Possono partecipare gli insegnanti abilitati. A conclusione, si sostiene un esame finale che consente l'iscrizione negli elenchi per il sostegno ai fini delle assunzioni a tempo indeterminato ed a tempo determinato sui relativi posti disponibili.

Criteri e le modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno sono stati definiti con il DM 30 settembre 2011 (pubblicato nella GU 2 aprile 2012, n. 78). In particolare, l’art. 7 del DM ha disposto che il corso è superato con il conseguimento di 60 crediti formativi universitari.

 

Occorre, peraltro, ricordare che, con D.D. 16 aprile 2012, n.7, intervenuto a seguito di un Accordo del 5 luglio 2011 fra il MIUR e la Conferenza nazionale permanente dei presidi di Scienze della formazione, il cui articolo 4 ha previsto che “nell’ambito del presente Accordo, possono essere attivate altre tipologie di corso/master relative alla disabilità, per la formazione, il perfezionamento e l’aggiornamento professionale del personale scolastico in servizio”, sono stati istituiti corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per il sostegno destinati al personale docente in esubero.

I corsi sono attivati in tre moduli, ciascuno equivalente a 20 crediti formativi universitari, corrispondenti ai livelli base, intermedio ed avanzato. In prima applicazione, è stata prevista la possibilità di utilizzare i docenti su posto di sostegno dopo l’acquisizione del livello intermedio, ovvero del livello base nel caso in cui la tempistica non consenta di espletare le prove di verifica del livello intermedio in tempo utile ai fini della procedura di utilizzazione, in subordine ai docenti in possesso di titolo di specializzazione.

 

·     Revisione dei criteri di assegnazione alle istituzioni scolastiche ed educative dei docenti di sostegno, tenendo conto delle esigenze di continuità didattica ed educativa.

Al riguardo, si rinvia a quanto illustrato nella scheda di commento relativa all’art. 6.

 

·     Individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali.

Al riguardo si ricorda che il co. 1 del già citato art. 315 del d.lgs. 297/1994 dispone che l'integrazione scolastica della persona disabile nelle sezioni e nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado si realizza anche attraverso la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, ricreativi, sportivi e con altre attività sul territorio gestite da enti pubblici o privati. A tale scopo gli enti locali, gli organi scolastici e le unità sanitarie locali, nell'ambito delle rispettive competenze, stipulano accordi di programma finalizzati alla predisposizione, attuazione e verifica congiunta di progetti educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché a forme di integrazione tra attività scolastiche e attività integrative extrascolastiche.

 

·     Previsione di indicatori per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica.

In materia, si veda il progetto realizzato nel 2009 dall’Agenzia Europea per lo sviluppo dell’istruzione degli alunni disabili, su richiesta del Consiglio dei rappresentanti degli Stati membri, sul tema “come individuare una serie di indicatori – per una scuola inclusiva in Europa”[120]. Al progetto hanno partecipato 23 Stati europei, fra i quali l’Italia.

 

·     Revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione e all’iter diagnostico per l’individuazione degli alunni con disabilità, ai fini dell’attivazione del percorso di inclusione scolastica.

Si tratta di un ambito attualmente disciplinato con DPCM.

In particolare, le modalità e i criteri per l’individuazione dell’alunno come soggetto disabile sono recate dal DPCM 185/2006, emanato a seguito dell’art. 35, co. 7, della L. 289/2002.

Il DPCM prevede che, ai fini della individuazione dell'alunno come soggetto disabile, le Aziende Sanitarie dispongono, su richiesta documentata dei genitori o degli esercenti la potestà parentale o la tutela dell'alunno, appositi accertamenti collegiali[121], da effettuarsi in tempi utili rispetto all'inizio dell'anno scolastico, documentati attraverso la redazione di un verbale di individuazione dell'alunno come soggetto disabile. Il verbale reca l'indicazione della patologia stabilizzata o progressiva, accertata con riferimento alle classificazioni internazionali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nonché la specificazione dell'eventuale carattere di particolare gravità della medesima e l'eventuale termine di rivedibilità dell'accertamento effettuato.

Tali accertamenti sono propedeutici alla redazione della diagnosi funzionale dell'alunno, cui provvede l'unità multidisciplinare, prevista dall'art. 3, co. 2 del DPR 24 febbraio 1994[122], anche secondo i criteri di classificazione di disabilità e salute previsti dall'OMS.

Il verbale di accertamento, con l'eventuale termine di rivedibilità ed il documento relativo alla diagnosi funzionale sono trasmessi ai genitori o agli esercenti la potestà parentale o la tutela dell'alunno e da costoro all'istituzione scolastica presso cui l'alunno deve essere iscritto, ai fini della tempestiva adozione dei provvedimenti conseguenti.

Alla redazione della diagnosi funzionale fa seguito la redazione del profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato, alla cui definizione, in base all'art. 12, co. 5, della L. 104/1992, provvedono congiuntamente, con la collaborazione dei genitori, gli operatori delle unità sanitarie locali e, per ciascun grado di scuola, personale insegnante specializzato della scuola, con la partecipazione dell'insegnante operatore psico-pedagogico.

Il profilo indica le caratteristiche fisiche, psichiche, sociali ed affettive dell'alunno e pone in rilievo sia le difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di disabilità e le possibilità di recupero, sia le capacità possedute.

Il piano educativo individualizzato (PEI) descrive annualmente gli interventi educativi e didattici destinati all’alunno con disabilità, definendo obiettivi, metodi e criteri di valutazione[123].

 

·     Revisione e razionalizzazione degli organismi di supporto all’inclusione operanti a livello territoriale. Si tratta di un ambito attualmente regolato a livello amministrativo.

Si ricorda, infatti, che, nell’ambito del progetto “Nuove tecnologie e disabilità”, gli Uffici scolastici regionali istituirono i Centri Territoriali di Supporto (CTS). Il ruolo degli stessi è stato, poi, disciplinato con la citata direttiva del MIUR del 27 dicembre 2012, che ha ritenuto opportuna la presenza di almeno un CTS per ogni provincia[124]. Sempre in base alla direttiva, i CTS hanno il compito, tra l’altro, di definire, autonomamente o in rete, per ogni anno scolastico, il piano annuale di interventi relativo agli interventi formativi, tenendo conto dei bisogni emergenti dal territorio e delle strategie e priorità generali individuate dagli USR e dal MIUR.

Ai CTS sono affiancati, a livello di distretto sociosanitario, i Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI).

Peraltro, nella già citata nota prot. n. 2563 del 22 novembre 2013 il MIUR ha fatto presente che era in atto una riorganizzazione complessiva della rete dei CTS e dei CTI, a cura degli Uffici scolastici regionali, per la ridefinizione di compiti e ruoli, che sarebbero stati chiariti con successiva nota.

 


Governo della scuola e organi collegiali (co. 2, lett. f)

 

I principi e criteri direttivi individuati al fine del riordino del governo della scuola e degli organi collegiali sono i seguenti:

 

·     Adozione, da parte di ogni scuola, di uno statuto, quale strumento di autogoverno, nel rispetto delle norme generali sull’istruzione.

 

·     Intervento sugli organi di governo della scuola, distinguendo fra:

o  funzioni di indirizzo generale, da riservare al consiglio dell’istituzione scolastica;

o  funzioni di gestione, impulso e proposta, proprie del dirigente scolastico;

o  funzioni didattico-progettuali, da attribuire al collegio dei docenti e alle sue articolazioni.

Inoltre, definizione di nuovi criteri di composizione degli organi che valorizzino la partecipazione delle diverse componenti della comunità scolastica - in particolare, genitori e studenti - e della comunità territoriale.

 

Le disposizioni sugli organi collegiali costituti a livello di singola scuola, originariamente previste nel DPR 416/1974, che li ha istituiti, sono, poi, confluite negli artt. da 5 a 10 e da 26 a 50 del D.lgs. 297/1994. Sulle funzioni di alcuni degli organi collegiali sono in seguito intervenuti, in particolare, i regolamenti attuativi dell’art. 21 della L. 59/1997.

Essi si articolano come segue:

-    il consiglio di intersezione (nelle scuole dell’infanzia), di interclasse (nelle scuole primarie), e di classe (negli istituti di istruzione secondaria) è composto dai docenti e da rappresentanti dei genitori nonché, nelle scuole superiori, da rappresentanti degli studenti. A ciascuno di essi compete, tra gli altri, il compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e quello di agevolare ed estendere i rapporti fra docenti, genitori ed alunni. Hanno, inoltre, il compito – in tal caso operando con la sola presenza dei docenti – di valutare gli alunni (art. 5);

-    il collegio dei docenti è presieduto dal dirigente scolastico ed è composto dal personale docente di ruolo e non di ruolo. Al collegio sono affidati, in particolare, la programmazione dell'azione educativa e l’esercizio delle attribuzioni inerenti il funzionamento didattico dell'istituto (art. 7);

-    il consiglio di istituto è composto da rappresentanti del personale docente, del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario, dei genitori e - nella scuola secondaria superiore - degli studenti, nonché dal dirigente scolastico. Il consiglio elegge nel suo seno una giunta esecutiva che ha funzioni istruttorie nei confronti del consiglio medesimo e cura l’attuazione delle relative delibere. Attualmente, il consiglio delibera il documento contabile annuale[125] e dispone in ordine all'impiego dei mezzi finanziari per il funzionamento amministrativo e didattico; ha competenza in ordine all’adozione del Regolamento interno; determina gli indirizzi generali per le attività della scuola e le scelte generali di gestione e amministrazione, sulla base dei quali il collegio dei docenti elabora il POF; adotta il medesimo POF[126] (art. 8);

Ai sensi dell’art. 4 del DPR 567/1996 – come modificato, da ultimo, dall’art. 5 del DPR 105/2001-, infine, il consiglio di istituto ha competenze relative alla predisposizione di iniziative complementari e integrative dell’iter formativo degli studenti (si veda scheda di commento relativa all’art. 3 del testo in esame).

-      il comitato per la valutazione del servizio dei docenti (art. 11), del quale si è già parlato nella scheda di commento relativa all’art. 9.

 

Si ricorda, conclusivamente, che l’art. 16 del DPR 275/1999 ha disposto che gli organi collegiali della scuola garantiscono l'efficacia dell'autonomia delle istituzioni scolastiche nel quadro delle norme che ne definiscono competenze e composizione.

In particolare:

-      il dirigente scolastico esercita le funzioni di cui (ora) al d.lgs. 165/2001, nel rispetto delle competenze degli organi collegiali (al riguardo, si rinvia alla scheda di commento relativa all’art. 7 del testo in esame);

-      i docenti hanno il compito e la responsabilità della progettazione e della attuazione del processo di insegnamento e di apprendimento;

-      il responsabile amministrativo (ora, Direttore dei servizi generali e amministrativi) assume funzioni di direzione dei servizi di segreteria nel quadro dell'unità di conduzione affidata al dirigente scolastico.

 

·     Previsione di specifiche forme di regolazione riferite alla disciplina di dettaglio dell’organizzazione interna delle scuole e regolazione delle modalità di esercizio di tale potestà.

La relazione illustrativa chiarisce che si tratta dell’attribuzione alle scuole della potestà regolamentare per disciplinare la propria organizzazione interna.

 

·     Valorizzazione del direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA) quale figura di supporto tecnico-amministrativo.

Al riguardo, oltre a quanto appena sopra evidenziato con riferimento alle previsioni recate dall’art. 16 del DPR 275/1999, si ricorda che l’art. 25, co. 5, del d.lgs. 165/2001 prevede che il dirigente scolastico è coadiuvato dal responsabile amministrativo, che sovrintende, con autonomia operativa, nell'ambito delle direttive di massima impartite e degli obiettivi assegnati, ai servizi amministrativi ed ai servizi generali dell'istituzione scolastica, coordinando il relativo personale.

Occorrerebbe specificare meglio il criterio direttivo.

·     Valorizzazione dell’autonomia scolastica, anche attraverso la definizione e costituzione di reti di scuole per l’ottimale utilizzo delle risorse umane e strumentali, e attribuzione alle stesse di capacità di rappresentanza.

Al riguardo, si ricorda che la possibilità per le istituzioni scolastiche di promuovere accordi di rete, ovvero aderire ad essi per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali, è stata prevista in modo dettagliato dall’art. 7 del DPR 275/1999. L'accordo può avere ad oggetto attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento; di amministrazione e contabilità, ferma rimanendo in ogni caso l'autonomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni e servizi, di organizzazione e di altre attività coerenti con le finalità istituzionali[127].

Nell’ambito dell'accordo viene individuato l'organo responsabile della gestione delle risorse e del raggiungimento delle finalità del progetto, la sua durata, le sue competenze e i suoi poteri, nonché le risorse professionali e finanziarie messe a disposizione della rete dalle singole istituzioni[128].

Con riferimento al personale, si prevede che gli accordi possono prevedere lo scambio temporaneo di docenti, che liberamente vi consentono, fra le istituzioni che partecipano alla rete i cui docenti abbiano uno stato giuridico omogeneo. I docenti che accettano di essere impegnati in progetti che prevedono lo scambio devono rinunciare al trasferimento per la durata del loro impegno nei progetti stessi, con le modalità stabilite in sede di contrattazione collettiva. Si prevede, altresì, che gli organici funzionali di istituto possono essere definiti in modo da consentire l'affidamento a personale dotato di specifiche esperienze e competenze di compiti organizzativi e di raccordo interistituzionale e di gestione dei laboratori.

 

Si ricorda, altresì, che la costituzione, previa intesa con la Conferenza unificata, di reti territoriali fra le istituzioni scolastiche, al fine di una gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie è prevista dall’art. 50 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012), del quale l’art. 23, co. 1, del testo in esame dispone l’abrogazione.

 

Si valuti se questo criterio direttivo non debba essere riferito, più opportunamente, al capoverso b).

·     Revisione degli organi collegiali della scuola sia a livello nazionale che territoriale, individuando le articolazioni funzionali all’esercizio dell’autonomia e le relative competenze, anche in relazione alle competenze delle autonomie territoriali, e conseguente soppressione di organi non più funzionali.

Al riguardo, si ricorda che gli artt. 16-25 del d.lgs. 297/1994 hanno previsto organi collegiali costituiti a livello distrettuale (Consigli scolastici distrettuali), provinciale (Consigli scolastici provinciali) e nazionale (Consiglio nazionale della pubblica istruzione).

Il D.lgs. 233/1999, adottato a seguito dell’art. 21 della L. 59/1997, ha poi riordinato gli organi collegiali a livello nazionale e territoriale, riaffermandone la funzione consultiva e di supporto tecnico all'azione dell'amministrazione, ma riducendo il numero dei componenti. In sostituzione delle strutture già esistenti ha istituito: a livello centrale, il Consiglio superiore della pubblica istruzione[129]; a livello regionale, i Consigli regionali dell'istruzione; a livello territoriale, i Consigli scolastici locali.

Tuttavia, l’art. 8 dello stesso D.lgs. ha assicurato l’operatività degli organi collegiali esistenti fino all’insediamento dei nuovi e, per tale adempimento, ha indicato il termine del 1° settembre 2001 (successivamente prorogato al 31 dicembre 2002 dall’art. 6 del D.L. 411/2001- L. 463/2001). La scadenza è spirata senza che i nuovi organi fossero costituiti[130].

Per completezza si ricorda, infine, che, nel corso della XIV legislatura, è stata conferita una nuova delega (art. 7 della L. 137/2002) per l’ulteriore riordino delle strutture sopra citate. I termini per l’esercizio di quest’ultima, originariamente fissati al 23 gennaio 2004 e successivamente prorogati al 29 luglio 2005 (art. 2, co. 2, della L. 186/2004, di conversione del D.L. 136/2004), sono, tuttavia, scaduti senza che si pervenisse all’adozione di un provvedimento[131].

 

Con specifico riferimento al Consiglio nazionale della pubblica istruzione (CNPI), si ricorda che esso è rimasto operativo fino al 31 dicembre 2012: in tale data, infatti, è spirata l’ultima proroga disposta con l'art. 14 del D.L. 216/2011 (L. 14/2012).

Dopo lo spirare del termine ultimo di operatività del CNPI, l'art. 23-quinquies del D.L. 90/2014 (L. 114/2014) - come modificato dall’art. 6, co. 1, del D.L. 192/2014 (L. 11/2015) -, nelle more del riordino e della costituzione degli organi collegiali della scuola, ha fatto salvi gli atti e i provvedimenti (fino ad allora) adottati in assenza del parere dello stesso CNPI, stabilendo, al contempo, che, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo D.L. e fino al 31 dicembre 2015 i pareri obbligatori e facoltativi che il suddetto organo doveva esprimere, non sono dovuti (sull’argomento, si veda la deroga, più generale, prevista dall’art. 22, co. 1, del testo in esame).

Ha previsto, inoltre, che le elezioni del Consiglio superiore della pubblica istruzione (CSPI) dovevano essere bandite entro il 30 settembre 2015 e che, in via di prima applicazione, l'ordinanza con cui devono essere stabiliti i termini e le modalità per le medesime elezioni (di cui all’art. 2, co. 9, del d.lgs. 233/1999) può prevedere anche una deroga alla disposizione che stabilisce che, dei 36 membri, 15 sono eletti dalla componente elettiva che rappresenta il personale delle scuole statali nei consigli scolastici locali ed è garantita la rappresentanza di almeno una unità di personale per ciascun grado di istruzione.

 

A seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 00363/2015 REG. RIC, che ha indicato il termine ultimo per fissare le elezioni del CSPI al 30 aprile 2015, le stesse sono state indette, con O.M. n. 7 del 9 marzo 2015, per il 28 aprile 2015.

 

·     Previsione di organi rappresentativi a livello nazionale, regionale e territoriale, di supporto alle scuole e di monitoraggio dell’azione delle stesse, anche a seguito dell’attribuzione della potestà statutaria.

 

Sembrerebbe opportuno esplicitare la previsione, in particolare con riferimento al rapporto con gli organi collegiali nazionali e territoriali.

 


Percorsi dell’istruzione professionale (co. 2, lett. g)

 

I principi e i criteri direttivi individuati per la revisione dei percorsi dell’istruzione professionale e il raccordo con i percorsi dell’istruzione e della formazione professionale (ambito attualmente disciplinato con regolamento di delegificazione) sono i seguenti:

 

·     Ridefinizione di indirizzi, articolazioni ed opzioni dell’istruzione professionale.

Sull’argomento, si rinvia a quanto esposto nella scheda di commento relativa all’art. 2 del testo in esame.

 

·     Potenziamento delle attività didattico-laboratoriali anche attraverso una rimodulazione, a parità di tempo-scuola, dei quadri orari degli indirizzi, in particolare nel primo biennio.

 

Per il raccordo dei percorsi dell’istruzione professionale con i percorsi dell’istruzione e formazione professionale non sono indicati principi e criteri direttivi.

Si tratta di un ambito di intervento attualmente definito da un’intesa raggiunta in Conferenza unificata.

 

Al riguardo, si ricorda che per il sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP) - i cui percorsi rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione - la competenza legislativa esclusiva è delle regioni, spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. In particolare, ai sensi del D.lgs. 226/2005, le regioni assicurano l'articolazione di percorsi di durata triennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di qualifica professionale, che consente l'accesso al quarto anno del sistema dell'istruzione e formazione professionale - e di percorsi di durata almeno quadriennale - che si concludono con il conseguimento di un titolo di diploma professionale, che consente l’accesso all’istruzione e formazione tecnica superiore.

Chiusa una fase di sperimentazione, il primo anno di attuazione dei percorsi di IeFP (nei quali può essere assolto l’obbligo di istruzione, ex art. 64, co. 4-bis, del D.L. 112/2008), coincidente con l’anno scolastico e formativo 2010-2011, è stato avviato sulla base dell’Accordo raggiunto in Conferenza Stato-regioni il 29 aprile 2010, poi recepito con D.I. 15 giugno 2010. In particolare, l’Accordo, prodromico alla disciplina specifica definita da ciascuna regione, ha individuato le figure professionali e gli standard minimi formativi.

Nel frattempo, l’art. 2, co. 3, del DPR 87/2010 ha disposto che, nel rispetto delle competenze esclusive delle regioni, gli Istituti professionali possono svolgere, in regime di sussidiarietà, un ruolo integrativo e complementare nei confronti dell’offerta delle istituzioni formative del sistema IeFP ai fini del conseguimento, anche nell'esercizio dell'apprendistato, di qualifiche professionali (in esito a percorsi triennali) e diplomi (in esito a percorsi quadriennali).

Il 16 dicembre 2010 è stata poi raggiunta un’intesa in Conferenza Unificata in ordine all’approvazione delle linee guida (di cui all’art. 13, co. 1-quinquies, del D.L. 7/2007 – L. 4072007) finalizzate alla realizzazione di raccordi tra i percorsi degli istituti professionali e i percorsi IeFP. Le linee guida sono state adottate con DM 18 gennaio 2011.

Nell’intesa si sottolinea che i raccordi sono in particolare finalizzati a sostenere e garantire l’organicità sul territorio dell’offerta dei percorsi a carattere professionale, prevenire la dispersione scolastica e formativa, facilitare i passaggi tra i sistemi formativi. Si stabilisce, inoltre, che la prima attuazione delle linee guida è oggetto di specifici accordi territoriali tra i competenti Assessorati delle regioni e gli Uffici scolastici regionali, e che ciascuna regione stabilisce i percorsi che gli istituti professionali possono erogare in regime sussidiario.

Il 27 luglio 2011, in sede di Conferenza Stato-Regioni, è stato poi raggiunto l’accordo - recepito con DM 11 novembre 2011 - riguardante gli atti necessari per il passaggio a nuovo ordinamento dei percorsi di istruzione e formazione professionale. La messa a regime del Capo III del d.lgs. n. 226/2005 riguarda, a partire dall'anno scolastico e formativo 2011-2012, i percorsi di durata triennale e quadriennale.

 


Istituti tecnici superiori (co. 2, lett. h)

 

I principi e i criteri direttivi individuati per la semplificazione del sistema formativo degli Istituti tecnici superiori (ITS) - attualmente disciplinato con DPCM e DI - sono i seguenti:

 

·     Ridefinizione di titoli di studio per l’accesso agli ITS, consentendolo  anche a chi possiede il diploma professionale conseguito al termine dei percorsi quadriennali di istruzione e formazione professionale (v. ante).

Al riguardo si ricorda che, a seguito della riorganizzazione del sistema dell’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) - istituito con l’art. 69 della L. 144/1999 e costituente un sistema di formazione terziaria non universitaria – operato, sulla base di quanto previsto dall’art. 1, co. 631, della L. 296/2006, con il DPCM 25 gennaio 2008, sono state previste tre tipologie di intervento: percorsi di IFTS, poli tecnico-professionali e ITS (già citati dall’art. 13 del D.L. 7/2007 -L. 40/2007).

In particolare, il DPCM 25 gennaio 2008 ha previsto che gli ITS possono essere costituiti se previsti nei piani territoriali adottati ogni triennio dalle regioni nell’ambito della programmazione dell’offerta formativa di loro competenza[132].

Essi realizzano percorsi, di regola, di durata biennale, per un totale di 1800/2000 ore (per particolari figure, possono avere una durata superiore, nel limite massimo di sei semestri), e sono volti al conseguimento di un diploma di tecnico superiore riferito alle seguenti aree tecnologiche: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali, tecnologie della informazione e della comunicazione. Ai percorsi si accede con il diploma di istruzione secondaria di secondo grado.

 

·     Previsione, nell’ambito dell’assegnazione delle risorse finanziarie, di una quota premiale da destinare all’attivazione di nuovi percorsi, in relazione al numero dei diplomati e al tasso di occupabilità a dodici mesi rispetto ai percorsi attivati.

Agli ITS, sempre in base al DPCM 25 gennaio 2008, è stato destinato il 70% del Fondo per l’istruzione e la formazione tecnica superiore istituito nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione dall’art. 1, co. 875, della L. 296/2006.

L’art. 7, co. 37-ter, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), modificando l’art. 1, co. 875, della L. 296/2006, ha poi disposto che al Fondo confluisce, per essere destinata agli ITS, quota parte, pari a 14 milioni di euro, dell’autorizzazione di spesa di cui all’art. 1, co. 634, della stessa L. 296/2006 (che è finalizzata anche alla riorganizzazione dell’Istruzione e formazione tecnica superiore)[133].

A seguito, poi, dell’art. 52 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012) – che ha previsto l’emanazione di linee guida volte, fra l’altro, al coordinamento, a livello nazionale, dell’offerta dei percorsi degli ITS con la costituzione, al massimo, di un ITS in ogni regione per la medesima area tecnologica e relativi ambiti, nonché volte alla semplificazione degli organi di indirizzo, gestione e partecipazione previsti dagli statuti delle fondazioni ITS – è stato emanato il D.I. 7 febbraio 2013 che, per quanto qui interessa, ha stabilito che le risorse del Fondo sono assegnate agli ITS sulla base di: a) criteri e requisiti minimi di avvio e riconoscimento del titolo, ai fini dell'accesso iniziale al Fondo; b) indicatori di realizzazione e di risultato, ai fini del mantenimento della autorizzazione al riconoscimento del titolo e di accesso al finanziamento del Fondo[134].

Sulla base del D.I. 7 febbraio 2013, nonché dell’art. 14 del DPCM 25 gennaio 2008, il 5 agosto 2014 in Conferenza unificata è stato poi raggiunto l’accordo per la realizzazione del sistema di monitoraggio e valutazione dei percorsi degli ITS[135].

Per quanto qui più strettamente interessa, l’art. 2 ha previsto che per il 2014 il contributo nazionale dovesse essere ripartito fra le regioni per il 60% in relazione al numero dei percorsi ITS attivati nell’anno precedente e per il 40% in relazione alla popolazione residente nella regione di età compresa fra i 20 e i 34 anni.

Ha, altresì, disposto che, per il 2015, il contributo nazionale è ripartito tra le regioni, a livello sperimentale, in questo modo:

-      il 20% in relazione alla popolazione residente nella regione di età compresa fra i 20 e i 34 anni;

-      il 70% sulla base del numero dei soggetti ammessi al secondo anno e del numero dei soggetti ammessi all’esame, riferiti all’anno precedente a quello di assegnazione delle risorse e della quota per allievo (6/8 euro ora/allievo) al netto del cofinanziamento regionale;

-      il 10% a titolo di premialità ai corsi conclusi nell’anno precedente che hanno ottenuto un punteggio pari o superiore a 70 secondo i criteri indicati nell’All. A, che riguardano, fra l’altro, l’occupazione dei diplomati a 6 e 12 mesi dalla fine del corso[136].

Resta fermo l’obbligo del cofinanziamento regionale.

Le regioni, nell’ambito della quota di contributo assegnato, individuano e comunicano al MIUR l’entità delle risorse da attribuire ad ogni ITS con riferimento ai singoli percorsi, tenendo conto del risultato dell’attività di monitoraggio e valutazione dei percorsi stessi e degli indicatori di efficacia interna, qualità, rete, efficienza, risultato/impatto di cui all’all. A, punto 4, lett. e), del D.I. 7 febbraio 2013 (v. art. 4 Accordo).

Con nota prot. 603 del 23 gennaio 2015 il MIUR, fornendo istruzioni operative, ha chiarito che oggetto di monitoraggio e valutazione saranno i percorsi che alla data del 31 dicembre 2014 si sono conclusi da almeno un anno.

 

·     Partecipazione, quali soci fondatori delle fondazioni di partecipazione cui fanno capo gli ITS, di soggetti pubblici, e definizione della loro attività, senza che si determinino nuovi o maggiori oneri a carico dei loro bilanci.

In base al DPCM 25 gennaio 2008, gli ITS sono configurati secondo il modello della fondazione di partecipazione, alla quale possono partecipare: un istituto tecnico o professionale, statale o paritario, che risulti ubicato nella provincia sede della fondazione; una struttura formativa accreditata dalla regione per l'alta formazione, anch’essa ubicata nella provincia; un’impresa del settore produttivo cui si riferisce l'ITS; un dipartimento universitario o altro organismo appartenente al sistema della ricerca scientifica e tecnologica; un ente locale.

Gli istituti tecnici e professionali ne costituiscono gli enti di riferimento, pur conservando, ai sensi dell’all. A) del DPCM, la distinta e autonoma soggettività giuridica rispetto all’ITS.

Lo stesso all. A) dispone, inoltre, che possono divenire Fondatori - a seguito di delibera adottata a maggioranza assoluta dal Consiglio di indirizzo – le persone fisiche e giuridiche, pubbliche o private, gli enti o agenzie che contribuiscano al fondo di dotazione o al fondo di gestione nelle forme e nella misura determinata nel minimo dal Consiglio di indirizzo.

Occorrerebbe comprendere meglio l’elemento di novità relativo alla previsione di partecipazione di soggetti pubblici come soci fondatori.

 

·     Semplificazione delle procedure per lo svolgimento delle prove conclusive dei percorsi ITS, anche con riferimento alla composizione delle commissioni esaminatrici e alla predisposizione e valutazione delle prove di verifica finale.

Le norme generali concernenti i diplomi degli ITS e le relative figure nazionali di riferimento, la verifica e la certificazione delle competenze sono state definite con D.I. 7 settembre 2011.

In particolare, in base all’art. 6 del D.I., le prove di verifica delle competenze acquisite comprendono: una prova teorico-pratica, predisposta dal comitato tecnico-scientifico; una prova scritta, predisposta dall’INVALSI, in collaborazione con la CRUI; una prova orale in relazione ad un progetto di lavoro sviluppato nel corso del tirocinio e predisposto dall’impresa presso la quale il tirocinio è stato svolto. Per le prove è assegnato un punteggio così articolato: massimo 40 punti per la prima prova, con un minimo di 24; massimo 30 punti per la seconda prova, con un minimo di 18; massimo 30 punti per la prova orale, con un minimo di 18.

La verifica delle competenze si intende positivamente superata con un punteggio complessivo di almeno 70 punti.

 

Con riferimento, infine, alla composizione delle commissioni d’esame, il già citato D.I. 7 febbraio 2013 ha disposto che esse sono costituite da: un rappresentante dell'università, con funzioni di presidente, designato dal MIUR tra i docenti ordinari o associati dei corsi di laurea a carattere scientifico e tecnologico che non hanno prestato la loro opera nella progettazione e/o realizzazione di alcun percorso della fondazione ITS; un rappresentante della scuola, designato dal dirigente scolastico dell'istituto tecnico o professionale, ente di riferimento dell'ITS, tra i docenti di discipline tecnico-professionali a tempo indeterminato in servizio presso l'istituto; un esperto della formazione professionale designato dalla regione; due esperti del mondo del lavoro designati dal comitato tecnico-scientifico dell'ITS, di cui uno che abbia svolto funzioni di docenza/tutoraggio nel percorso dell'ITS e abbia almeno cinque anni di esperienza nelle imprese dell'area tecnologica e dell'ambito ai quali si riferisce il percorso stesso, impegnate nella realizzazione delle attività di tirocinio e il secondo individuato tra una  rosa di esperti segnalati dai presidenti dei fondi interprofessionali dell'area professionale  di riferimento.

 

·     Riconoscimento dei crediti acquisiti a conclusione dei percorsi degli ITS ai fini dell’accesso ai corsi di laurea.

La relazione illustrativa specifica che l’intervento si rende necessario per superare la situazione attuale nella quale le università partecipanti alle fondazioni ITS oggi riconoscono i crediti, sulla base di apposite convenzioni, limitatamente ai diplomati dell’ITS di cui fanno parte.

 

Sull’argomento, da ultimo, l’art. 7 del già citato D.I. 7 settembre 2011 ha fatto rinvio al decreto attuativo dell’art. 14, co. 3, della L. 240/2010.

Si tratta di un decreto da adottare, con regolamento, ai sensi dell’art. 17, co. 3, della L. 400/1988, per la definizione dei criteri per il riconoscimento dei crediti acquisiti dallo studente a conclusione dei percorsi realizzati dagli ITS nell'ambito dei progetti attuati con le università attraverso le federazioni di cui all'articolo 3 della stessa legge.

 

·     Previsione di un contributo dovuto dagli studenti per gli esami conclusivi e il rilascio del diploma.

Al momento, il D.I. 7 febbraio 2013 dispone solo che le regioni stabiliscono i criteri per la determinazione dell’importo delle rette di frequenza per gli studenti da parte delle fondazioni ITS e che gli stessi studenti versano la tassa regionale per il diritto allo studio sulla base del medesimo importo previsto per gli studenti universitari ed accedono ai medesimi benefici.

·     Previsione che, per il riconoscimento della personalità giuridica, le fondazioni devono disporre di un patrimonio, uniforme su tutto il territorio nazionale, tale da garantire la piena realizzazione di un ciclo completo di studi.

In base al DPCM 25 gennaio 2008, gli ITS acquistano la personalità giuridica mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso le prefetture (art. 1 del DPR 361/2000).

Sempre in base al DPCM citato, il loro patrimonio è composto: da un fondo di dotazione (costituito dai conferimenti, in proprietà, uso o possesso a qualsiasi titolo di denaro o beni mobili e immobili, o altre utilità impiegabili per il perseguimento degli scopi, effettuati dai fondatori all’atto della costituzione e dai partecipanti); dai beni mobili e immobili; dalle elargizioni fatte da enti o da privati con espressa destinazione a incremento del patrimonio; da contributi attribuiti al patrimonio da UE, Stato, enti territoriali o altri enti pubblici.

Si ricorda – come già prima indicato – che la disponibilità di un patrimonio che garantisca la piena realizzazione di un ciclo completo di studi (nonché l’avvio di uno successivo) è già prevista dal D.I. 7 febbraio 2013 tra i criteri per l’accesso al Fondo.

 

·     Previsione di un regime contabile e di uno schema di bilancio per la rendicontazione dei percorsi uniforme su tutto il territorio nazionale e previsione della revisione amministrativo-contabile della gestione.

In base al DPCM 25 gennaio 2008, sono organi della Fondazione il Consiglio di indirizzo, la Giunta esecutiva, il Presidente, il Comitato tecnico-scientifico, l’Assemblea di partecipazione, il Revisore dei conti. Per quanto qui interessa, la competenza in ordine all’approvazione del bilancio di previsione e del conto consuntivo predisposti dalla Giunta esecutiva spetta al Consiglio di indirizzo.

Il revisore dei conti, nominato dal consiglio di indirizzo, è organo consultivo contabile della Fondazione, vigila sulla gestione finanziaria, esamina le proposte di bilancio preventivo e di conto consuntivo, redigendo apposite relazioni, ed effettua verifiche di cassa.

 

·     Unificazione delle prove di verifica finale dei percorsi ITS dell’area della mobilità sostenibile – relativamente agli ambiti “Mobilità delle persone e delle merci – conduzione del testo navale” e “Mobilità delle persone e delle merci – gestione degli apparati e impianti di bordo” – con le prove di esame di abilitazione allo svolgimento della professione di Ufficiale di marina mercantile, di coperta e di macchina.

La materia dell’accesso alle professioni della gente di mare è disciplinata dal d.lgs. 136/2011, che ha dato attuazione alla direttiva 2008/106/UE, concernente i requisiti minimi di formazione, oltre che dal Regolamento di esecuzione del codice della navigazione. Il d.lgs. si applica a tutti i lavoratori marittimi di Stati membri dell’UE, nonché a quelli di paesi terzi titolari di un certificato che ne attesti le competenze, che sia stato rilasciato da uno Stato membro dell’UE, e che prestano servizio su navi battenti bandiera italiana.

In particolare, la formazione della gente di mare deve rispettare i requisiti della Convenzione internazionale STCW, di cui all’allegato I del d.lgs.

Si segnala, peraltro, che con la direttiva 2012/35/UE (attualmente, in fase di recepimento: v. schema di d.lgs. 142) è stata modificata la direttiva 2008/106/UE con l'obiettivo di introdurre nel diritto comunitario le importanti modifiche adottate a livello internazionale.

 

·     Disciplina dell’accesso agli esami di Stato per le professioni di agrotecnico, geometra, perito agrario e perito industriale con il diploma di tecnico superiore.

In materia, l’art. 5, co. 6, del DPCM 25 gennaio 2008 dispone che, per quanto riguarda i crediti utili per l’accesso all’esame di Stato per l’esercizio delle professioni indicate, si fa riferimento all’art. 55, co. 3, del DPR 328/2001. Quest’ultimo prevede che agli esami di Stato possono partecipare coloro che, in possesso dello specifico diploma richiesto per l’iscrizione nei rispettivi albi, abbiano frequentato con esito positivo corsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), a norma del DM 436/2000[137], della durata di 4 semestri, comprensivi di tirocini non inferiori a 6 mesi, coerenti con le attività libero professionali previste dall’albo al quale si chiede di accedere.

Si intenderebbe, dunque, estendere questa possibilità anche a chi conseguito un diploma al termine dei percorsi degli Istituti tecnici superiori.

Qui la pagina dedicata sul sito del MIUR.

 


Sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni (co. 2, lett. i)

 

Si tratta di un ambito per il quale la 7° Commissione del Senato sta svolgendo l’esame dell’A.S. 1260[138] e abb.

 

Preliminarmente, si ricorda che la L. 1044/1971 ha riconosciuto come “servizio sociale di interesse pubblico” l'assistenza prestata negli asili nido ai bambini fino ai tre anni di età. In seguito, la L. 285/1997 ha incluso tra gli interventi finanziabili “l’innovazione e la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia”, non sostitutivi degli asili nido, ovvero servizi che presuppongono la presenza continua di genitori, che siano privi di mensa e non prevedano il riposo pomeridiano, servizi autorganizzati dalle famiglie, dalle associazioni e dai gruppi.

Successivamente, il Piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, varato con la legge finanziaria 2007 (art. 1, co. 1259, della L. 296/2006), ha previsto un finanziamento statale, nel triennio 2007-2009, pari ad € 446 mln per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da 0 a 3 anni, a cui si sono aggiunti circa € 281 mln di cofinanziamento regionale. Tale Piano è stato rilanciato con l’art. 1, co. 131, della legge di stabilità 2015 (L. 190/2014), che vi ha destinato 100 milioni di euro per il 2015.

 

Per mettere in moto il processo di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi per la prima infanzia, l’intesa in Conferenza unificata del 26 settembre 2007, nel varare il Piano straordinario, ha individuato quali iniziali livelli essenziali di assistenza la copertura media nazionale della domanda al 13% e, in ciascuna regione, in percentuale non inferiore al 6%. Con i finanziamenti, l’intesa ha dato l’avvio a una rete “integrata, estesa, qualificata e differenziata” dei servizi socio educativi per la prima infanzia - asili nido, servizi integrativi e servizi innovativi nei luoghi di lavoro -, in grado di promuovere il benessere e lo sviluppo sociale ed educativo dei bambini, di sostenere il ruolo genitoriale e la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura. A questo proposito, l’Intesa sottolinea la necessità di assicurare il livello di copertura territoriale della domanda in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, anche in vista del raggiungimento dell’obiettivo di copertura territoriale fissato al 33% dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000.

Ai fini della valutazione del livello di attuazione del Piano Straordinario, l’Intesa del 2007 predispone, infine, l’avvio di un’attività di monitoraggio quantitativo, qualitativo e amministrativo contabile al quale partecipano, fra l’altro, le regioni, il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza, presso l’Istituto degli Innocenti a Firenze, l’ISTAT.

Nel corso degli anni, il monitoraggio ha fotografato l’ampio divario tra le regioni - sia in termini di spesa che di utenti -, nell’offerta pubblica di asili nido. Ancora nell’a.s. 2012/2013, come rilevato dall’Istat nella pubblicazione L’offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia, i bambini che usufruiscono di asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,6% dei residenti fra 0 e 2 anni al sud, al 17,5% al centro. La percentuale dei comuni che garantiscono la presenza del servizio varia dal 22,5% al sud al 76,3% al nord-est.

In relazione alle specifiche difficoltà delle regioni del sud, sono state destinate maggiori risorse statali proprio a Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, grazie al programma di intervento straordinario PAC - Piano d’Azione e Coesione per i Servizi di cura all’Infanzia e agli Anziani non autosufficienti - a cui hanno partecipato il Dipartimento per le politiche della famiglia ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e la cui attuazione è stata affidata al Ministero dell'interno, individuato quale autorità di gestione responsabile[139].

Sul lato della domanda, dal punto di vista legislativo, si è intervenuti in parte con agevolazioni fiscali e, più di recente, con la legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012) che, all’art. 4, co, 24, lett. b), ha introdotto in via sperimentale, per gli anni 2013-2015, la possibilità per le lavoratrici di richiedere un contributo economico utilizzabile alternativamente: a) per il servizio di baby-sitting; b) per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati.

 

I principi e i criteri direttivi individuati per l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni, sono i seguenti:

 

·     definizione dei livelli essenziali delle prestazioni della scuola dell’infanzia e dei servizi educativi per l’infanzia previsti dal Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali, sentita la Conferenza Unificata, che prevedano:

o  la generalizzazione della scuola dell’infanzia;

o  la qualificazione universitaria e la formazione continua del personale dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia;

o  gli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia e della scuola dell’infanzia, diversificati in base alla tipologia, all’età dei bambini e agli orari di servizio, che prevedano tempi di compresenza del personale dei servizi educativi per l’infanzia e dei docenti della scuola dell’infanzia, nonché il coordinamento pedagogico territoriale e il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (DM 254/2012 – si veda ante, scheda art. 12).

Con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni sociali, previsti dalla L. 328/2000 come strumento attuativo del sistema integrato di servizi sociali, si ricorda che l'idea di un Nomenclatore dei servizi e degli interventi sociali nasce, all'inizio del 2006, proprio per la loro mancata definizione e per la mancanza di una classificazione e di una definizione dei servizi sociali[140].

Nel 2009, il Nomenclatore viene proposto quale strumento di mappatura degli interventi e dei servizi sociali regionali, rendendo possibile il confronto su voci omogenee tra i diversi sistemi di welfare regionali. Il Nomenclatore ha costituito anche la base di riferimento per il Glossario utilizzato dall'Istat nella rilevazione sugli "Interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati". Nel 2012, nell’ambito di una convenzione tra la Regione Liguria e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato avviato un progetto finalizzato, da un lato, all’aggiornamento del Nomenclatore, anche ai fini di un suo utilizzo condiviso nella definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, e, dall’altro, alla sua massima diffusione in ambito regionale e sub-regionale.

I risultati prodotti non sono ancora approvati ufficialmente e quindi alla data attuale non sono pubblicati, ma fra alcune delle modifiche più significative sono comprese anche quelle relative ai servizi per la prima infanzia per cui si sono recuperate le tipologie emerse dal Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio educativi per la prima infanzia del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza (vedi supra).

Nel Nomenclatore dei servizi e degli interventi sociali del 2009, fra gli interventi e i servizi individuati per l’area di utenza riconducibile ai minori troviamo come trasferimenti monetari:

·      Retta per asilo nido, quale intervento per garantire all'utente in difficoltà economica la copertura della retta per asili nido. Sono compresi i contributi erogati per la gestione dei servizi al fine di contenere l'importo delle rette;

·      Retta per servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia, quale intervento per garantire all'utente in difficoltà economica la copertura della retta per i servizi integrativi;

·      Contributi economici per i servizi scolastici, quale sostegno economico per garantire all'utente in difficoltà economica il diritto allo studio nell'infanzia e nell'adolescenza, comprese le agevolazioni su trasporto e mensa scolastica riconosciute alle famiglie bisognose.

Fra le strutture semiresidenziali rivolte ai minori sono individuati:

·      Asili nido quale servizio rivolto alla prima infanzia (0-3 anni) per promuovere lo sviluppo psico-fisico, cognitivo, affettivo e sociale del bambino e offrire sostegno alle famiglie nel loro compito educativo, aperti per almeno 5 giorni e almeno 6 ore al giorno per un periodo di almeno 10 mesi all'anno. Rientrano sotto questa tipologia gli asili nido pubblici, gli asili nido aziendali e i micro-nidi e le sezioni 24-36 mesi aggregate alle scuole dell'infanzia;

·      Servizi integrativi per la prima infanzia: in questa categoria rientrano i servizi socio-educativi per la prima infanzia innovativi e sperimentali  previsti dall'art. 5 della L. 285/1997 e i servizi educativi realizzati in contesto familiare. In particolare: spazi gioco per bambini dai 18 ai 36 mesi (per max 5 ore); centri per bambini e famiglie; servizi e interventi educativi in contesto domiciliare.

Si ricorda infine che, nell’ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale, all’interno di un processo volto a garantire una migliore allocazione delle risorse pubbliche, maggiore trasparenza del flusso dei trasferimenti, più equità nella redistribuzione delle risorse e maggiore efficienza nella gestione della spesa pubblica, è stata completata la misurazione dei fabbisogni standard delle funzioni fondamentali dei comuni delle regioni a statuto ordinario. In tale contesto, i fabbisogni standard esprimono i coefficienti di riparto di un ammontare di fondi prestabilito a livello centrale e non incidono sul livello globale della spesa e delle prestazioni e, come avviene per il fabbisogno sanitario, non hanno una diretta relazione con i livelli essenziali delle prestazioni (come già detto, ancora da definire in ambito sociale). In tale contesto, sono state approvate le Note metodologiche e del fabbisogno standard relative alle funzioni di istruzione pubblica e di gestione del territorio delle province, e le restanti Note metodologiche e del fabbisogno standard per ciascun comune e provincia relativi alle funzioni di istruzione pubblica, viabilità e trasporto pubblico locale, gestione del territorio e ambiente, settore sociale e asili nido (gli schemi di decreto sono stati approvati dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 18 dicembre 2014. Il decreto relativo ai fabbisogni per gli asili nidi non è stato ancora pubblicato in G.U).

Per le funzioni relative a istruzione pubblica e servizio degli asili (che rappresentano circa il 18 per cento della spesa corrente dei comuni), le Note metodologiche hanno applicato il principio della spesa storica riferita al 2010, ovvero hanno considerato l’ammontare effettivamente speso da un comune in quell’anno anno per l’offerta del servizio ai cittadini. Le altre funzioni fondamentali dei comuni sono state invece riconosciute come fabbisogni standard, in grado di misurare, sulla base delle caratteristiche territoriali e degli aspetti socio-demografici della popolazione residente, il fabbisogno finanziario di un comune per quel servizio. Da più parti, è stato in seguito rilevato l’asimmetrico trattamento delle funzioni in cui sono previsti i livelli essenziali di assistenza, visto che il sociale è calcolato con la stima dei fabbisogni, mentre istruzione e asili nido prevedono la stima di una funzione di costo. Per gli asili nido, in particolare,è stata infatti effettuata una stima distinta rispetto al sociale[141].

 

Con riferimento alla previsione di qualificazione universitaria del personale dei servizi educativi per l’infanzia, si ricorda, che, secondo quanto evidenziato dal Monitoraggio, i requisiti ordinari di accesso del personale educativo sono i diplomi di laurea in Pedagogia, Scienze dell'educazione, Scienze della formazione primaria o equipollenti, mentre i requisiti transitoriamente validi sono: diploma di maturità rilasciato dal liceo socio-psico-pedagogico, diploma di liceo delle scienze umane, diploma di dirigente di comunità e i titoli equipollenti riconosciuti dal MIUR[142].

Si ricorda, inoltre, che negli ultimi anni sono stati presentati vari disegni di legge (A.C. 261, A.C. 572, A.C. 1037) che intendono disciplinare percorsi formativi universitari e di aggiornamento per la qualificazione degli educatori dei servizi per l’infanzia. In tutti i disegni di legge viene sottolineata la necessità di prevedere figure o strutture di coordinamento pedagogico in grado di svolgere funzioni di supervisione professionale.

Con riferimento alla qualificazione degli insegnanti nella scuola dell’infanzia, da ultimo, l’art. 2 del regolamento emanato con DM 249/2010 ha previsto la frequenza di un corso di laurea magistrale quinquennale, a ciclo unico, comprensivo di tirocinio da avviare a partire dal secondo anno di corso[143].

 

Relativamente agli standard strutturali, organizzativi e qualitativi, si ricorda che, per ogni tipologia di servizio socio educativo le leggi regionali fissano, innanzi tutto, gli standard di qualità dei servizi: numero massimo di bambini per educatore, età minima e massima dei bambini cui viene erogato il servizio; ricettività minima e massima delle strutture; orario di servizio; coordinamento delle attività (esistenza di un coordinatore) e collegamento con altre strutture e servizi operanti nel territorio; requisiti professionali del personale addetto (tipologia, titoli di studio, esperienza); caratteristiche edilizie ed urbanistiche delle strutture dove viene svolto il servizio (metri quadrati per bambino, arredi, attrezzature); modalità di elaborazione delle tabelle alimentari (es. approvazione della Asl). Seppure omogenei nel genere, tali standard sono molto differenziati e variano in funzione del territorio, del tipo di servizio e dell’età dei bambini destinatari (l’età minima di accesso è fissata in più della metà delle regioni a tre mesi, ma essa può aumentare in relazione alla tipologia del servizio erogato). Molto diversa da regione a regione è anche la soglia minima indicata per la ricettività, che può variare da 5 bambini per i micro asili (a volte definiti nido famiglia, con punte minime di un solo bambino in Toscana) ad un massimo di 75 per gli asili nido (ad es., in Piemonte). Un altro elemento di differenza è l’orario di servizio, che può variare dalle 3, 4 ore al giorno (es. Lombardia) alle 10 ore (es. Umbria, Friuli Venezia Giulia). Per quanto riguarda, infine, le superfici minime per bambino, si può stimare che mediamente in Italia la superficie interna è pari a 8mq/bambino, mentre quelle esterne a 27mq/bambino.

Un secondo aspetto disciplinato dalla normativa regionale riguarda una sorta di “obblighi di servizio” per l’infanzia. Si tratta di quegli elementi relativi alla vera e propria erogazione del servizio: definizione di un progetto pedagogico individualizzato; formazione permanente degli operatori; monitoraggio e valutazione delle attività; adozione di carte dei servizi.

Il terzo aspetto riguarda i meccanismi di autorizzazione e di accreditamento, la cui assenza o carenza in alcune Regioni impedisce l’integrazione tra pubblico e privato, ovvero l’emersione di una offerta privata regolamentata e di qualità, all’interno di una governance pubblica.

 

·     la definizione delle funzioni e dei compiti delle regioni e degli enti locali al fine di potenziare la ricettività dei servizi educativi per l’infanzia e la qualificazione del sistema integrato.

 

A legislazione vigente, il sistema dei servizi socio educativi per la prima infanzia vede la compresenza istituzionale dei diversi livelli di governo - Stato, regioni, enti locali – secondo un quadro di competenze normative ed amministrative che impongono meccanismi di rapporti e raccordi ispirati alla leale cooperazione e nel quale il ruolo maggiormente incisivo è rivestito dai comuni.

Il sistema, scaturito dalla riforma costituzionale del 2001, attribuisce allo Stato  compiti di: programmazione, indirizzo e coordinamento del sistema integrato; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni educative; determinazione e assegnazione delle risorse a carico del bilancio statale; determinazione dei criteri di valutazione dell’offerta educativa e delle prestazioni.

Le regioni, che ripartiscono agli enti locali le risorse statali, hanno invece compiti di: programmazione regionale; determinazione degli standard relativi alle modalità organizzative di funzionamento dei nidi e dei servizi integrativi; definizione dei requisiti qualitativi per l’accreditamento e per l’autorizzazione al funzionamento dei servizi socio educativi.

I comuni, infine, sono responsabili, nel loro territorio, di: programmare e attuare lo sviluppo del sistema integrato; autorizzare e accreditare i soggetti privati incaricati di gestire i servizi per la prima infanzia; favorire la continuità dei servizi socio educativi per la prima infanzia con la scuola dell’infanzia.

Il riparto di competenza legislativa nel nuovo Titolo V previsto dalla riforma costituzionale in corso di esame (A.S. 1429-B), con il superamento della legislazione concorrente, dispone che la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali sia competenza delle regioni, rimanendo di competenza esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e le disposizioni generali e comuni per le politiche sociali.

 

·     Esclusione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale.

 

Gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell’utente.

L’art. 3 del D.L. 786/1981 (L. 51/1982) ha stabilito che, per l’erogazione dei servizi pubblici a domanda individuale, i comuni devono richiedere la contribuzione degli utenti. Successivamente, il Decreto del Ministero dell'Interno 31 dicembre 1983 ha individuato le categorie di servizi classificabili quali “servizi a domanda individuale”, premettendo che per tali devono intendersi tutte quelle attività gestite direttamente dall’ente, poste in essere non per obbligo istituzionale, che non siano state dichiarate gratuite per legge nazionale o regionale.

Nel caso degli asili nido, il livello minimo di contribuzione richiesta all’utente è del 50%, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di contribuzione ai costi dei servizi a domanda individuale viene definita al momento dell’approvazione del bilancio di previsione comunale. Allo stato attuale, le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all’ISEE, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica[144].

 

Per quanto concerne la scuola dell’infanzia, si ricorda che, in base all’art. 1 del d.lgs. 59/2004, la stessa non è obbligatoria. Successivamente, l’art. 2 del DPR 89/2009 ha previsto che la scuola dell'infanzia accoglie bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni compiuti entro il 31 dicembre dell'a.s.di riferimento. Su richiesta delle famiglie sono iscritti alla scuola dell'infanzia bambini che compiono tre anni di età entro il 30 aprile dell'as. di riferimento, a condizione che vi sia disponibilità di posti, si sia accertato l’avvenuto esaurimento di eventuali liste di attesa, vi sia disponibilità di locali e dotazioni idonei sotto il profilo dell'agibilità e funzionalità, tali da rispondere alle diverse esigenze dei bambini di età inferiore a tre anni, vi sia la valutazione pedagogica e didattica, da parte del collegio dei docenti, dei tempi e delle modalità dell'accoglienza. Analogamente è prevista la possibilità, previo accordo in sede di Conferenza unificata, di proseguire con l’attivazione delle «sezioni primavera» (art. 1, co. 630 e 634, L. 296/2006), stabilendo gli opportuni coordinamenti con l'istituto degli anticipi.

Alle scuole dell’infanzia statali si affiancano scuole non statali, paritarie e non paritarie.

 

·     Istituzione di una quota capitaria per il raggiungimento dei livelli essenziali, prevedendo il cofinanziamento dei costi di gestione da parte dello Stato con trasferimenti diretti o con la gestione diretta delle scuole dell’infanzia; la restante parte è assicurata dalle regioni e dagli enti locali, al netto delle entrate da compartecipazione delle famiglie utenti del servizio.

 

·     Approvazione e finanziamento di un Piano di azione nazionale per la promozione del sistema integrato, finalizzato al raggiungimento dei livelli essenziali delle prestazioni.

·     Promozione della costituzione di Poli per l’infanzia, destinati a bambini da 0 a 6 anni, anche aggregati a scuole primarie e istituti comprensivi.

 

·     Istituzione, senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato, di una commissione di esperti, nominati dal Ministro, dalle regioni e dagli enti locali, con compiti consultivi e propositivi.

Occorre valutare se non occorra prevedere un maggiore coinvolgimento della Conferenza Stato-regioni ai fini della adozione del decreto legislativo.

 

 


Diritto allo studio (co. 2, lett. l)

 

L’obiettivo è quello di rendere effettivo il diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nel rispetto delle competenze delle regioni, attraverso la definizione dei livelli essenziali.

 

In materia si ricorda che i commi terzo e quarto dell’art. 34 della Costituzione dispongono che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Non vi è, invece, un esplicito riferimento al diritto allo studio nell’art. 117 della Costituzione vigente[145].

La consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha, peraltro, riconosciuto il carattere trasversale della competenza in ordine alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, nel senso che essa può incidere anche su ambiti materiali rimessi alla competenza concorrente o residuale delle Regioni, dal momento che «si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale, in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali» (sentenze n. 371/2008 e n. 387/2007; nello stesso senso sentenza n. 50 del 2008). Peraltro, tale titolo di legittimazione «non può essere invocato se non in relazione a specifiche prestazioni delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione» (sentenze n. 181/2006 e 285/2005; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 328/2006, n. 248/2006, n. 423/2004, n. 16/2004; n. 282/2002).

 

Occorre definire i principi e criteri direttivi per l’individuazione dei livelli essenziali del diritto allo studio (si veda, mutatis mutandis, l’art. 5 della L. 240/2010). 

 

A livello di legislazione ordinaria, si ricordano:

-        l’art. 200 del d.lgs. 297/1994, che ha previsto l’esonero dal pagamento delle tasse scolastiche – ad eccezione della tassa di diploma - per merito, per motivi economici e per appartenenza a speciali categorie di beneficiari;

-        la L. 62/2000, che ha previsto misure di sostegno del diritto allo studio e all’istruzione di tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie nell’adempimento dell’obbligo scolastico e nella frequenza della scuola secondaria superiore, mediante l'assegnazione di borse di studio di pari importo per gli alunni delle scuole statali e paritarie[146];

-        vari provvedimenti per il contenimento della spesa delle famiglie per i libri di testo: al riguardo, si veda l’approfondimento web.

 


Ausili digitali per la didattica (co. 2, lett. m)

 

I principi e criteri direttivi per il riordino della normativa concernente gli ausili digitali per la didattica e i relativi ambienti sono i seguenti:

 

·     Definizione delle finalità dell’identità e del profilo digitale di studenti, docenti, dirigenti scolastici e personale tecnico-amministrativo, e definizione delle relative modalità di gestione.

 

·     Definizione dei criteri per la tutela della riservatezza dei dati personali degli studenti, in particolare se minori di età, in relazione al trattamento dei dati raccolti nell’ambito delle attività didattiche: il riferimento specifico è alla navigazione in piattaforme digitali dedicate ad apprendimento, fruizione o produzione di contenuti didattici digitali.

 

Al riguardo, occorre valutare la necessità di prevedere sin d’ora il parere del Garante per la protezione dei dati personali.

 

·     Definizione di criteri per l’adozione di testi didattici in formato digitale e per la produzione e circolazione di opere e materiali per la didattica anche prodotti autonomamente dagli istituti scolastici.

In materia, si ricorda che l'art. 15 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) aveva introdotto nuove modalità di adozione, realizzazione e fruizione dei testi didattici. In particolare, aveva disposto che:

-      a partire dall'a.s. 2008-2009, nell'adozione dei testi per le scuole era data preferenza a quelli disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet;

-      entro un triennio, vale a dire entro l'a.s. 2010-2011, i libri di testo per le scuole del primo ciclo e per gli istituti di istruzione secondaria superiore erano prodotti nelle versioni a stampa, on line scaricabile da internet e mista;

-      a decorrere dall'a.s. 2011-2012, il collegio dei docenti adottava esclusivamente libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabile da internet o mista, fatta salva l'adozione di appositi strumenti didattici per i soggetti diversamente abili;

-      i testi scolastici sviluppavano i contenuti essenziali delle Indicazioni nazionali dei piani di studio e potevano essere realizzati in sezioni tematiche, corrispondenti ad unità di apprendimento.

Successivamente, l'art. 11, co. 1, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) ha novellato l'art. 15 del D.L. 112/2008 introducendo la versione digitale del libro di testo (che va a sostituire quella on line scaricabile da internet) e fornendo una definizione legislativa di versione mista, in base alla quale la stessa è costituita, alternativamente, da un testo in formato cartaceo e contenuti digitali integrativi, ovvero da una combinazione di contenuti digitali e digitali integrativi accessibili o acquistabili in rete anche in modo disgiunto.

Ha, altresì, previsto che, a decorrere dall'a.s. 2014/2015, il collegio dei docenti adotta, per le nuove adozioni, esclusivamente libri nella versione digitale o mista, progressivamente a partire dalle classi prima e quarta della scuola primaria, dalla prima classe della scuola secondaria di primo grado e dalla prima e terza classe della scuola secondaria di secondo grado.

Per la definizione delle caratteristiche tecniche dei libri di testo nella versione cartacea, anche al fine di assicurarne il contenimento del peso, delle caratteristiche tecnologiche dei libri di testo nella versione digitale e dei criteri per ottimizzare l'integrazione tra i libri in versione digitale, mista e cartacea, tenuto conto delle specifiche esigenze didattiche, è intervenuto il DM 27 settembre 2013, n. 781, che - ribadendo, tra l'altro, che l'obbligo di adozione di libri nella versione digitale e mista è limitata alle nuove adozioni e non si applica alle conferme di adozione - reca, altresì, nell'ambito dell'Allegato 1, alcune indicazioni specifiche relative alle diverse tipologie di libri di testo e di risorse digitali integrative.

In materia, da ultimo, è intervenuto l'art. 6, co. 1-bis, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) che ha stabilito che le disposizioni di cui all'art. 15 del D.L. 112/2008 si applicano a tutte le istituzioni di istruzione secondaria di secondo grado (e, dunque, anche alle scuole paritarie private e degli enti locali).

Inoltre, come già evidenziato nella scheda relativa all’art. 5 del testo in esame, l’art. 6, co. 1, dello stesso D.L. 104/2013, novellando l’art. 15 del D.L. 112/2008 con l’introduzione del co. 2-bis, ha previsto la produzione, da parte delle scuole, a decorrere dall’a.s. 2014/2015 e nel termine di un triennio, di materiale scolastico digitale assunto come libro di testo[147].

Con nota 2581 del 9 aprile 2014, il MIUR ha fatto presente che le linee guida contenenti le indicazioni necessarie per l'elaborazione dei suddetti materiali saranno emanate entro la fine dell’a.s. 2014/2015 e che entro lo stesso termine tutti i materiali didattici digitali prodotti nel corso dell’anno dovranno essere inviati al Ministero - secondo le modalità previste nelle linee guida - al fine di renderli disponibili.

 

Qui la pagina dedicata alla Scuola digitale sul sito del MIUR.

 

Alla luce della ricostruzione effettuata, occorrerebbe, dunque, esplicitare meglio il criterio direttivo in questione.

 


Scuole italiane all’estero (co. 2, lett. n)

 

I principi e criteri direttivi per la revisione, il riordino e l’adeguamento della normativa in materia di istituzioni ed iniziative scolastiche italiane all’estero[148] sono i seguenti:

 

·     definizione dei criteri e delle modalità di selezione, destinazione, permanenza in sede del personale docente ed amministrativo.

L’attuale cornice normativa è delineata dagli artt. 639-654 del d.lgs. 297/1994.

In particolare, l’art. 639 - come, da ultimo, modificato dall’art. 14, co.11, lett. b), del D.L. 95/2012 (L. 135/2012)[149] - dispone che i contingenti di personale da assegnare, nel limite massimo di 624 unità, alle scuole italiane all’estero (oltre che alle scuole europee e alle istituzioni scolastiche e universitarie estere) sono stabiliti ogni 3 anni con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con i Ministri competenti. I contingenti sono soggetti a revisione annuale[150].

L’art. 640 prevede che il personale dipendente dalle Amministrazioni dello Stato da assegnare alle istituzioni scolastiche italiane all’estero (oltre che alle scuole europee e alle istituzioni scolastiche e universitarie estere) è scelto esclusivamente dal personale di ruolo che abbia superato il periodo di straordinariato o di prova nel ruolo di appartenenza, e che abbia conoscenza delle lingue straniere richieste per il paese a cui è destinato.

Alla destinazione all’estero si provvede previo accertamento dei requisiti professionali e culturali, accertamento che è effettuato mediante esami, integrati dalla valutazione dei titoli professionali e culturali.

Gli esami sono indetti ogni triennio con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale da emanare di concerto con i Ministri competenti, e comprendono una o più prove scritte e un colloquio. Terminate le prove di esame si dà luogo alla valutazione dei titoli e le graduatorie di merito sono compilate sulla base della somma dei punteggi riportati nelle prove di esame e nella valutazione dei titoli medesimi. Le graduatorie hanno validità nei tre anni indicati nel provvedimento di indizione degli esami.

In base all’art. 642, l’assegnazione alla sede di servizio dei vincitori avviene con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, previo nulla osta del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca o del Ministero da cui dipendono: il predetto personale è collocato fuori ruolo per il periodo durante il quale esercita le funzioni.

L’art. 643 dispone che la permanenza all’estero non può essere superiore a un periodo complessivo di sette anni scolastici, salva la possibilità di essere ulteriormente impiegati superando di nuovo le procedure concorsuali di selezione.

L’art. 644 prevede, invece, che il personale destinato all’estero assume l’obbligo di risiedervi per una durata non inferiore a tre anni. Lo stesso periodo di tempo deve trascorrere prima della destinazione da una ad altra sede all’estero. Peraltro, in base all’art. 646, la destinazione all’estero può cessare in qualunque momento per ragioni di servizio, con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sentito il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca per il personale da questi dipendente.

In base all’art. 648, è vietata l’assunzione di personale precario, anche se con contratto di diritto privato. Ai sensi dell’art. 654 è, invece, possibile assumere personale non docente per speciali esigenze in situazioni di difficoltà linguistico-ambientali ed in particolari aree geografiche, facendo ricorso a impiegati locali a contratto – secondo le normative locali - in possesso di una conoscenza adeguata della lingua italiana, da utilizzare per mansioni di concetto, esecutive ed ausiliarie. Il decreto ministeriale che individua le speciali esigenze determina anche il contingente da assumere e le aliquote di personale da adibire ai rispettivi compiti.

 

·     revisione del trattamento economico del personale docente ed amministrativo.

L’art. 657 del d.lgs. 297/1994 prevede che le spese per il personale a qualunque titolo in servizio presso le istituzioni scolastiche all’estero rimangano a carico dell’Amministrazione di appartenenza.

In particolare, in base all’art. 658, al personale in questione è corrisposto, oltre allo stipendio ed agli assegni di carattere fisso e continuativo previsti in Italia, uno speciale assegno di sede a carattere non retributivo, volto a sopperire agli oneri derivanti dal servizio all’estero.

L’assegno è costituito dall’assegno-base, nonché dalle maggiorazioni relative alle singole sedi, in base a coefficienti fissati con decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con il Ministro dell’economia delle finanze. Agli assegni di sede si applicano le medesime maggiorazioni per situazioni di rischio e disagio stabilite per il personale diplomatico in servizio nella stessa sede.

Sono altresì previsti aumenti per situazione di famiglia, un’indennità di sistemazione, contributi per spese di abitazione e di viaggio e per il trasporto degli effetti, provvidenze scolastiche. Infine, sono estese le provvidenze previste per il rimanente personale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in materia di decesso durante il servizio all’estero, di danni e assistenza sanitaria (artt. 659-672).

In base all’art. 673, dedicato alla valutazione del servizio prestato all’estero, questo è calcolato, agli effetti degli aumenti periodici dello stipendio, il doppio per i primi due anni e con l’aumento di un terzo per i successivi. Ai fini del trattamento di quiescenza, la maggiorazione è della metà per i primi due anni e di un terzo per gli anni successivi.

Occorre peraltro ricordare che negli ultimi anni vi sono stati vari interventi di carattere normativo che hanno inciso sul trattamento economico del personale delle scuole italiane all’estero.

In particolare: l’art. 1, co. 38 e 39, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha disposto una riduzione degli assegni di sede, nella misura di 712.265 euro annui; l’art. 1, co. 320, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha previsto una riduzione degli stanziamenti per il personale in servizio nelle istituzioni scolastiche e culturali all'estero, nella misura di € 3,7 mln per il 2015 e di € 5,1 mln annui a decorrere dal 2016.

 

·     previsione della disciplina delle sezioni italiane all’interno di scuole straniere o internazionali.

Tali sezioni non sono espressamente disciplinate dalla normativa vigente: trovano applicazione, in questo caso, le disposizioni di cui all’art. 625 del d.lgs. 297/1994, in forza del quale il Governo ha facoltà di istituire, mantenere e sussidiare all’estero scuole ed altre istituzioni educative e quelle di cui al già citato art. 639, co. 1 che riguarda i contingenti del personale di ruolo dello Stato da assegnare anche alle istituzioni scolastiche ed universitarie estere.

Attualmente sono operanti 7 sezioni italiane all’interno di scuole europee, di cui tre a Bruxelles e le altre, rispettivamente, a Lussemburgo, Francoforte, Monaco di Baviera e Varese, e 76 sezioni italiane all’interno di scuole straniere, bilingui o internazionali, di cui 60 in Unione Europea, 14 in Paesi non UE, una nelle Americhe e una in Oceania.

 

·     revisione della disciplina dell’insegnamento di materie obbligatorie secondo la legislazione locale o l’ordinamento scolastico italiano da affidare ad insegnanti a contratto locale.

Al riguardo, l’art. 653 del d.lgs. 297/1994 prevede che, in mancanza di personale di ruolo, possano essere affidati a personale straniero in possesso dei requisiti prescritti dalle disposizioni locali insegnamenti di materie obbligatorie secondo la normativa dei paesi ove hanno sede le scuole, non previste dall’ordinamento scolastico italiano.

 

Attualmente non è, dunque, previsto l’affidamento dell’insegnamento di materie obbligatorie secondo l’ordinamento scolastico italiano a personale a contratto locale.

 

Può essere utile segnalare, a tale proposito, che, nella sua formulazione originaria, l’art. 9 del D.L. 101/2013 (L. 125/2013), consentiva, in primo luogo, di avvalersi anche di personale italiano a contratto locale, residente nel paese ospitante da almeno un anno, oltre che straniero, per l'insegnamento delle materie obbligatorie nei paesi esteri. In secondo luogo, per gli insegnamenti di materie obbligatorie nelle scuole italiane, si consentiva la conclusione di contratti con personale italiano o straniero, con conoscenza dell'italiano e residente nel paese da almeno un anno.

La previsione fu soppressa durante l’esame parlamentare.

 


Valutazione e certificazione delle competenze degli studenti ed esami di Stato (co. 2, lett. o)

 

Sull’argomento, il testo prevede la revisione delle modalità di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e delle modalità di svolgimento degli esami di Stato, anche in raccordo con la normativa vigente in materia di certificazione delle competenze.

 

Non sono, tuttavia, indicati principi e criteri direttivi. In primis, non è indicato se si intende fare riferimento solo agli studenti degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado o anche a quelli degli istituti di istruzione secondaria di primo grado. Inoltre, dato l’utilizzo non univoco, nella legislazione vigente, dei termini “alunno” e “studente”, non è chiaro se ci si intenda riferire anche a chi frequenta la scuola primaria.

 

Solo la relazione illustrativa evidenzia che “si intende valorizzare il carattere formativo della valutazione in tutti i cicli di istruzione, assicurando il raccordo con le competenze chiave di cittadinanza e l’ancoraggio al quadro di riferimento europeo”.

 

La valutazione degli studenti

 

In materia, le ultime novità sono state introdotte con gli artt. 2 e 3 del D.L. 137/2008 (L. 169/2008).

In particolare, l’art. 2 ha previsto la reintroduzione del voto in condotta per gli “studenti” nella scuola secondaria di primo e di secondo grado.

L’art. 3 ha, invece, previsto la valutazione in decimi del rendimento degli “alunni” nella scuola primaria e secondaria di primo grado.

Le disposizioni in materia di valutazione “degli alunni” (espressione nella quale sono stati ricompresi quanti frequentano sia il primo che il secondo ciclo di istruzione) sono poi state coordinate, come previsto dallo stesso D.L. 137/2008, con il DPR 122/2009 che, in base al suo stesso art. 14, co. 8, può essere rivisto, con modifiche e integrazioni, in relazione alla ridefinizione degli assetti del sistema scolastico derivanti dall’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008).

Sulle modalità di valutazione, si veda l’apposito approfondimento web.

 

La disciplina sugli esami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria di primo grado

 

Con circolare n. 48 del 31 maggio 2012 il MIUR ha fornito istruzioni a carattere permanente sugli esami di Stato conclusivi del primo ciclo di istruzione, facendo anzitutto riferimento alla sintesi in materia operata con il DPR 122/2009.

L’art. 3 di quest’ultimo prevede che all'esito dell'esame di Stato concorrono gli esiti delle prove scritte e orali, compresa la prova scritta nazionale di cui all'art. 11, co. 4-ter, del d.lgs. 59/2004, che è volta a verificare i livelli generali e specifici di apprendimento conseguiti dagli studenti. I testi relativi alla prova nazionale sono scelti dal Ministro tra quelli predisposti annualmente dall’INVALSI, conformemente alla direttiva periodicamente emanata dal Ministro stesso, e inviati alle istituzioni scolastiche.

La circolare 48/2012 precisa che le prove scritte continuano a riguardare, come in passato, italiano, matematica e lingue straniere. Il colloquio verte sulle discipline di insegnamento dell’ultimo anno, escluso l’insegnamento della religione cattolica.

 

 

La disciplina sugli esami di Stato conclusivi dei corsi di istruzione secondaria di secondo grado

 

L’art. 3 della L. 425/1997 – come, da ultimo, sostituito dall’art. 1 della L. 1/2007 - prevede che l'esame di Stato al termine del secondo ciclo di istruzione comprende tre prove scritte ed un colloquio.

La prima prova scritta è volta ad accertare la padronanza della lingua italiana o della lingua nella quale si svolge l'insegnamento, nonché le capacità espressive, logico-linguistiche e critiche dello studente.

La seconda prova scritta ha per oggetto una delle materie caratterizzanti il corso di studio. Le materie oggetto della seconda prova scritta sono individuate dal Ministro entro la prima decade del mese di aprile di ciascun anno.

La terza prova scritta è espressione dell'autonomia didattico-metodologica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche ed è correlata al piano dell'offerta formativa. Essa è a carattere pluridisciplinare, verte sulle materie dell'ultimo anno di corso e consiste nella trattazione sintetica di argomenti, nella risposta a quesiti, ovvero nella soluzione di problemi o di casi pratici e professionali o nello sviluppo di progetti, ed è strutturata in modo da consentire, di norma, anche l’accertamento della conoscenza di una lingua straniera. I modelli per l’elaborazione di tale prova sono predisposti dall’INVALSI.

Il colloquio si svolge su argomenti di interesse multidisciplinare attinenti ai programmi e al lavoro didattico dell'ultimo anno di corso.

Per l’a.s. 2014/2015 le materie della seconda prova scritta sono state individuate con DM n.39 del 29 gennaio 2015.

Nella GU n. 45 del 24 febbraio 2015 è stato, inoltre, pubblicato il DM 29 gennaio 2015, n. 10, recante il Regolamento per lo svolgimento della seconda prova scritta degli esami di Stato, che ha abrogato l’art. 2 del precedente DM 23 aprile 2003, n. 139.

 

Si ricorda, infine, che i commi da 350 a 352 dell’art. 1 della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) hanno previsto che con decreto ministeriale (che doveva essere adottato entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge) si modifichi della disciplina inerente la composizione delle commissioni per gli esami di maturità e i compensi per i relativi componenti. Ha, altresì, previsto l’utilizzazione delle economie che da ciò deriveranno per gli interventi ai quali è destinato il Fondo “La buona scuola” di cui ai commi 4 e 5 dello stesso art. 1.

Più approfonditamente, si vedano i dossier n. 233/6 Tomo I e n. 233/6 Tomo II del 23 gennaio 2015.

Qui si evidenzia solo che, con riferimento alla previsione di modifica della disciplina “con effetto dall’anno 2015”, il 25 marzo 2015, rispondendo all’interrogazione a risposta immediata 3-01391, il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha fatto presente che “essendo intervenuta ad anno scolastico avviato, non può che trovare piena applicazione a partire dall'anno scolastico 2015-2016”

 

La certificazione delle competenze degli studenti

 

La certificazione delle competenze degli studenti è stata prevista dall’art. 10 del DPR 275/1999 che, in particolare, ha disposto che con decreto ministeriale sono adottati i nuovi modelli per le certificazioni, che indicano le conoscenze, le competenze, le capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili, compresi quelli relativi alle discipline e alle attività realizzate nell'ambito dell'ampliamento dell'offerta formativa o liberamente scelte dagli alunni e debitamente certificate.

In seguito, è stata prevista dalla L. 53/2003.

Da ultimo, è intervenuto l’art. 8 del DPR 122/2009 in base al quale nel primo ciclo dell'istruzione le competenze acquisite dagli “alunni” sono descritte e certificate al termine della scuola primaria e, relativamente al termine della scuola secondaria di primo grado, accompagnate anche da valutazione in decimi.

Per il secondo ciclo di istruzione il DPR dispone che sono utilizzate come parametro di riferimento, ai fini del rilascio della certificazione circa l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, di cui all'articolo 4 del DM 139/2007, le conoscenze, le abilità e le competenze di cui all'allegato del medesimo decreto.

Dispone, altresì, che la certificazione finale ed intermedia per il riconoscimento dei crediti formativi e delle competenze in esito ai percorsi di istruzione e formazione professionale è definita dall'art. 20 del d.lgs. 226/2005.

Per la certificazione relativa agli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado fa riferimento all’art. 6 della L. 425/1997.

In generale, prevede che le certificazioni delle competenze concernenti i diversi gradi e ordini dell'istruzione sono determinate anche sulla base delle indicazioni espresse dall’INVALSI e delle principali rilevazioni internazionali.

Infine, dispone che i modelli per le certificazioni delle competenze sono adottati con decreto ministeriale.

Il modello di certificazione dei saperi e delle competenze acquisite al termine dell'assolvimento dell'obbligo di istruzione è stato adottato con DM 27 gennaio 2010 (pubblicato nella GU 25 giugno 2010, n. 146).

Con circolare ministeriale n. 3 del 13 febbraio 2015 il MIUR ha messo a disposizione delle scuole, ai fini di una adozione graduale e sperimentale, “attesa la loro natura di "documento di lavoro" non ancora formalizzato sul piano normativo” due distinti modelli di certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e della scuola secondaria di I grado, corredati di "Linee guida" per la loro compilazione.

 


 

 

Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e degli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze

 

Il D.lgs. 16 gennaio 2013, n. 13, emanato in attuazione dell’art. 4, co. 58 e 68, della L. 92/2012[151], definisce le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l'individuazione e validazione degli apprendimenti non formali e informali e gli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze.

In sostanza, ha lo scopo di valorizzare il c.d. apprendimento permanente, cioè le attività intraprese dalla persona nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva di continua crescita dell’individuo e per una sua “spendibilità” nel mercato del lavoro.

Nel corso di tale apprendimento si realizzano le competenze, cioè un insieme strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei tre contesti (formale, non formale e informale).

In particolare, il d.lgs. identifica i soggetti abilitati ad erogare i servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze nei cd. enti titolati (cioè ogni soggetto, pubblico o privato, comprese le C.C.I.A.A., autorizzato o accreditato dall'ente pubblico titolare, ovvero deputato a norma di legge statale o regionale, comprese le istituzioni scolastiche, le università e le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, a erogare in tutto o in parte servizi di individuazione e validazione e certificazione delle competenze, in relazione ai rispettivi ambiti di titolarità). Viene inoltre avviato il sistema nazionale di certificazione delle competenze, consistente nell'insieme dei servizi di individuazione, validazione e certificazione delle competenze erogati nel rispetto delle norme generali, dei livelli essenziali delle prestazioni e degli standard minimi indicati nello stesso D.lgs.[152], sul quale è previsto uno specifico monitoraggio (art. 9).

Alla verifica del rispetto dei livelli di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze (nel rispetto dei principi di terzietà e indipendenza) è preposto un comitato tecnico nazionale.

Al fine di uniformarsi alle direttive europee e per favorire l’incontro tra domanda ed offerta all’interno del mercato del lavoro europeo, l’art. 8 istituisce il repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali, che costituisce il quadro di riferimento unitario per la certificazione delle competenze, attraverso  la  progressiva  standardizzazione  degli  elementi  essenziali  dei  titoli  di

istruzione e formazione (compresi quelli di istruzione e formazione professionale e delle qualificazioni professionali).

In base all’art. 11, fino alla completa implementazione del repertorio nazionale, e comunque per un periodo di norma non superiore ai 18 mesi, gli enti pubblici titolari continuano ad operare, in materia di individuazione e validazione e certificazione delle competenze, nell'ambito delle disposizioni del proprio ordinamento.

 


Capo VIII
Disposizioni finali e norme finanziarie

Articolo 22
(Deroghe)

L’articolo 22 prevede deroghe alla normativa vigente, in particolare, in materia di pareri dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola e delle Commissioni parlamentari.

Dispone, inoltre, che le previsioni contrattuali contrastanti con quanto previsto dalla legge sono inefficaci.

 

In particolare, il comma 1 dispone che per l’adozione degli atti normativi attuativi del provvedimento in esame non è richiesto il parere dell’organo collegiale consultivo nazionale della scuola.

La relazione illustrativa motiva tale previsione in relazione al fatto che tale organo non è ancora costituito.

 

Al riguardo, in relazione a quanto esposto nella scheda di lettura relativa all’art. 21, co. 2, lett. f) circa l’indizione delle elezioni per la costituzione del CSPI per il 28 aprile 2015 e circa il fatto che già l’art. 6, co. 1, del D.L. 192/2014 ha previsto che il parere dell’organo consultivo nazionale non è richiesto fino al 31 dicembre 2015, mentre, invece, per la maggior parte degli atti normativi attuativi del testo in esame è previsto un termine di emanazione più ampio, si valuti l’opportunità di un chiarimento.

 

Il comma 2 dispone che il regolamento sulla razionalizzazione e l’accorpamento delle classi di concorso, previsto dall’art. 64, co. 4, lett. a), del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), non si applica per la procedura del piano straordinario di assunzioni.

La relazione illustrativa chiarisce che l’obiettivo è quello di procedere alle assunzioni relative al piano straordinario senza considerare la revisione delle classi di concorso prevista dall’art. 64 del D.L. 112/2008.

 

Tuttavia, in considerazione del fatto che il regolamento in questione non è stato adottato - come evidenziato nella scheda di lettura relativa all’art. 21, co. 2, lett. c), ove si prevede un nuovo intervento con lo strumento del decreto legislativo – non è chiaro il senso della previsione.

 

Il comma 3 dispone che, limitatamente all’anno scolastico 2015/2016, per la determinazione dell’organico dell’autonomia non è richiesto il parere delle Commissioni parlamentari.

Al riguardo si ricorda che l’art. 19, co. 10, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011), interpretando autenticamente l’art. 22, co. 2, della L. 448/2001 - che prevede il parere delle Commissioni parlamentari ai fini della definizione dei parametri per la definizione dell’organico dei docenti -, ha precisato che il parere è richiesto ogni volta che i parametri sono modificati.

 

Il comma 4 dispone che, fermo restando, per le scuole italiane all’estero, il contingente del personale docente di ruolo dello Stato previsto dall’art. 639, co. 3, del d.lgs. 297/1994 - come rideterminato, nel limite massimo di 624 unità, dall’art. 14, co. 11, lett. b), del D.L. 95/2012 (L. 135/2012) - le disposizioni recate dal testo in esame si applicano alle scuole italiane all’estero compatibilmente con le specifiche situazioni locali (sull’argomento, si veda anche quanto dispone l’art. 21, co. 2, lett. n).

 

Il comma 5 dispone che le norme recate dal testo sono inderogabili e che le norme e le procedure contenute nei contratti collettivi, contrastanti con quanto previsto dal testo, sono inefficaci.

 


Articoli 24 e 23, comma 1
(Disposizioni finanziarie e abrogazioni)

L’articolo 24 individua i limiti di spesa dell’incremento della dotazione organica del personale docente a decorrere dall’a.s. 2015/2016, istituisce nello stato di previsione del MIUR il “Fondo ‘La Buona Scuola’ per il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione scolastica”, individua la copertura finanziaria degli oneri recati dal testo in esame e prevede la costituzione di un comitato di verifica tecnico-finanziaria. Conseguentemente (sembrerebbe) l’articolo 23, co. 1, abroga i commi 8 e 9 dell’art. 19 del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).

Infine, l’art. 24 reca disposizioni sul termine di presentazione delle domande per la ricostruzione di carriera del personale scolastico.

Limiti di spesa incremento dotazione organica docenti

Il comma 1 dell’art. 24 prevede i limiti di spesa dell’incremento della dotazione organica del personale docente a decorrere dall’a.s. 2015/2016, rispetto a quella determinata dall’art. 19, co. 7, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) – nel quale, come si è visto in altra scheda, l’art. 23, co. 2, del testo in esame sopprime il riferimento ai docenti – e dall’art. 15, co. 2 e 2-bis, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), relativa ai docenti di sostegno.

In particolare, a decorrere dall’a.s. 2015/2016, la dotazione organica del personale docente è incrementata nel limite di:

·        € 544,18 nel 2015;

·        € 1.853,35 nel 2016;

·        € 1.865,70 nel 2017;

·        € 1.909,60 nel 2018;

·        € 1.951,20 nel 2019;

·        € 2.012,93 nel 2020;

·        € 2.058,50 nel 2021;

·        € 2.104,44 nel 2022;

·        € 2.150,63 nel 2023;

·        € 2.193,85 nel 2024;

·        € 2.233,60 dal 2025.

Fondo ‘La Buona Scuola’ per il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione scolastica

Il comma 2 dell’art. 24 prevede che nello stato di previsione del MIUR è iscritto un fondo di parte corrente denominato “Fondo ‘La Buona Scuola’ per il miglioramento e la valorizzazione dell’istruzione scolastica” con i seguenti stanziamenti:

·        € 11.683.000 per il 2015;

·        € 97.713.000 per il 2015;

·        € 134.663.000 per il 2017;

·        € 81.963.000 per il 2018;

·        € 47.863.000 per il 2019;

·        € 30.000.000 per il 2020;

·        € 30.000.000 per il 2021;

·         € 33.923.000 per il 2022.

Al riparto del Fondo si provvede con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, che può destinare fino ad un massimo del 10% dello stesso ai servizi istituzionali e generali del MIUR per le attività di supporto al sistema di istruzione scolastica.

Copertura finanziaria

Il comma 3 dell’art. 24 reca la copertura finanziaria degli oneri recati dal provvedimento in esame, quantificati nel complesso pari ad € 1.000 milioni per l'anno 2015, ad € 3.000 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, ad € 3.036,367 milioni per l'anno 2020, ad € 3.076,137 milioni per l'anno 2021, ad € 3.000 milioni per l'anno 2022, ad € 3.012,267 milioni per l'anno 2023, ad € 3.055,487 milioni per l'anno 2024 e ad € 3.095,237 milioni a decorrere dall'anno 2025.

 

Le norme onerose indicate sono le seguenti:

-  art. 2, co. 16, che incrementa il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche statali di € 126 milioni annui dal 2016 sino al 2021;

-  art. 4, co. 7, che fissa in € 100 milioni a decorrere dal 2016 il limite di spesa per l’alternanza scuola-lavoro e i periodi di formazione in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato;

-  art. 5, co. 6, che autorizza la spesa di 30 milioni di euro a decorrere dal 2016 per la digitalizzazione della scuola e lo sviluppo della didattica laboratoriale;

-  art. 7, co. 7, che prevede l’incremento del Fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici di € 12 milioni per il 2015 e di € 35 milioni annui a decorrere dal 2016;

-  art. 10, co. 3 e 5, che autorizzano, rispettivamente, la spesa di € 381 milioni a decorrere dal 2015 per l’istituzione della Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente e di € 40 milioni a decorrere dal 2016 per la formazione in servizio dei docenti di ruolo;

-  art. 11, che autorizza la spesa di € 200 milioni annui a decorrere dal 2016 per la valorizzazione del merito del personale docente;

-  art. 12, co. 2, che prevede l’istituzione nello stato di previsione del MIUR del “Fondo per i pagamenti in esecuzione di provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto il risarcimento dei danni conseguenti alla reiterazione di contratti a termine per una durata complessiva superiore a 36 mesi”, con una dotazione finanziaria di € 10 milioni per ciascuno degli anni 2015 e 2016;

-  art. 14, co. 5, che prevede l’istituzione del Portale unico dei dati della scuola, con oneri pari a € 1 milione per il 2015 e a € 0,1 milioni a decorrere dal 2016;

-  art. 16, co. 6, che autorizza la spesa di € 7,5 milioni per il 2016, € 15 milioni per il 2017, € 20,8 milioni per il 2018, € 13,3 milioni per il 2019 e € 5,8 milioni per il 2020 per la concessione del credito d’imposta (School bonus);

-  art. 17, co. 1, che prevede la detraibilità del 19% delle spese sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia e del primo ciclo del sistema nazionale di istruzione, per un importo annuo non superiore a € 400, per un ammontare totale di detrazione di circa € 66,4 milioni;

-  art. 18, co. 3, che reca oneri per € 3 milioni per il 2016, € 6 milioni per il 2017 e € 9 milioni a decorrere dal 2018 per i canoni di locazione da corrispondere all'Inail;

-  art. 20, co. 1, recante delega al Governo per il riassetto, la semplificazione e la codificazione delle disposizioni di legge vigenti in materia di Sistema nazionale di istruzione e formazione;

-  art. 24, co. 1 e 2, per i quali si veda ante.

 

Agli oneri suddetti si provvede:

a)    quanto a € 1.000 milioni per l’anno 2015 e a € 3.000 milioni a decorrere dall’anno 2016, mediante riduzione del Fondo “La buona scuola” di cui all’art. 1, co. 4, della L. 190/2014.

In base all’art. 1, co. 4, della L. 190/2014, il  Fondo è istituito al fine di dotare il paese di un sistema di istruzione scolastica che si caratterizzi per:

-  un rafforzamento dell’offerta formativa e della continuità didattica;

-  la valorizzazione dei docenti e una sostanziale attuazione dell’autonomia scolastica, anche attraverso la valutazione.

In particolare, le finalizzazioni prioritarie riguardano la realizzazione di un piano straordinario di assunzioni, il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e la formazione di docenti e dirigenti.

b)    quanto a 36,367 milioni per l’anno 2020, a 76,137 milioni per l’anno 2021, a 12,267 milioni per l’anno 2023, a 55,487 milioni per l’anno 2024 e a 95,237 milioni di euro a decorrere dall’anno 2025, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.

Il Fondo è stato istituito dall'art. 10, co. 5, del D.L. 282/2004 (L. 307/2004) al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del MEF (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. Nel bilancio di previsione per gli anni 2015-2017 (L. 191/2014 e relativo D.M. Economia del 29 dicembre 2014 di ripartizione del bilancio in capitoli) il Fondo presenta una dotazione pari a € 271,7 milioni per il 2015, a € 415 milioni per il 2016 e a € 314,4 milioni per il 2017.

 

c)    quanto a 184.752.700 euro per l'anno 2015, a 362.650.250 euro per l’anno 2016, a 376.160.500 euro per l’anno 2017, a 384.869.000 euro per l’anno 2018, a 389.693.000 per l’anno 2019, a 379.753.950 euro per l'anno 2020, a 357.652.500 euro per l'anno 2021, a 335.371.600 euro per l'anno 2022, a 312.969.450 euro per l'anno 2023, a 292.007.750 euro per l'anno 2024 e a 272.729.000 euro a decorrere dall'anno 2025, mediante corrispondente utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all’attualizzazione di contributi pluriennali.

Si tratta del Fondo istituito dall’art. 6, co. 2, del D.L. 154/2008 (L. 189/2008), finalizzato a compensare gli effetti negativi scaturenti, in termini di cassa, da specifici contributi di importo fisso costante con onere a carico dello Stato, concessi in virtù di autorizzazioni legislative. Nel bilancio di previsione per gli anni 2015-2017 (cap. 7593/Economia), il Fondo presenta una dotazione di sola cassa pari a 247,8 milioni per il 2015, 367,9 milioni per il 2016 e a 403,2 milioni per il 2017.

Comitato di verifica tecnico-finanziaria e clausola di salvaguardia

Il comma 4 dell’art. 24, pur ribadendo le competenze istituzionali di controllo e verifica del MIUR e del MEF, dispone la costituzione - tramite decreto interministeriale, a decorrere dall’a.s. 2015-2016, di un apposito un comitato di verifica tecnico-finanziaria, composto da rappresentanti dei due Ministeri, ai quali, in base al comma 6, non spetta alcun compenso, né rimborso spese.

Al comitato è affidato il monitoraggio della spesa concernente l’organico dell’autonomia in relazione all’attuazione del piano straordinario di assunzioni, la progressione economica dei docenti e l’utilizzo del fondo per il risarcimento (di cui all’art. 12).

 

Il comma 5 dell’art. 24 reca la clausola di salvaguardia finanziaria, prevedendo che, qualora, a seguito della procedura di monitoraggio, dovesse emergere una spesa complessiva superiore a quella prevista, sono adottate idonee misure correttive, al fine di assicurare il rispetto dell’art. 81, quarto comma, della Costituzione (art. 17, co. 13, L. 196/2009).

 

Con riferimento alla clausola di salvaguardia finanziaria, si ricorda che l’art. 17, co. 1 della L. 196/2009 prevede che ciascuna legge recante nuovi o maggiori oneri deve indicare espressamente, per ciascun anno e per ogni intervento previsto, la spesa autorizzata, che si intende come limite massimo di spesa, ovvero le relative previsioni di spesa, definendo, in tal caso, una specifica clausola di salvaguardia.

Il co. 12 dispone che le clausole di salvaguardia devono essere effettive ed automatiche, dovendo indicare le misure di riduzione delle spese o di aumento dell’entrata, con esclusione del ricorso ai fondi di riserva, da adottare nel caso in cui si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa. In tali casi, sulla base di un apposito monitoraggio, il Ministro dell’economia e delle finanze adotta le misure indicate dalla clausola di salvaguardia e riferisce alle Camere con apposita relazione, che dovrà indicare le cause degli scostamenti, anche ai fini della revisione dei dati e dei metodi utilizzati per al quantificazione degli oneri autorizzati.

Per le leggi non espressamente corredate da clausole di salvaguardia, suscettibili di recare pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ovvero in caso di sentenze definitive di organi giurisdizionali e della Corte costituzionale recanti interpretazioni della normativa vigente suscettibili di determinare maggiori oneri, il co. 13 dispone che siano assunte, da parte del Ministro dell’economia e delle finanze, le conseguenti iniziative legislative, fermo restando quanto disposto in materia di interventi correttivi del costo del personale dall’art. 61 del d.lgs. 165/2001.

 

Sembrerebbe che, in conseguenza di quanto disposto dai commi 4 e 5, l’articolo 23, co. 1, abroga, a decorrere dall’a.s. 2015-2016, i commi 8 e 9 dell’art. 19 del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).

 

Il co. 8 dell’art. 19 del D.L. 98/2011 dispone che il comitato di verifica tecnico-finanziaria istituito ai sensi dell’art. 64 del D.L. 112/2008 (L. 133/2008) provvede annualmente al monitoraggio e alla verifica del conseguimento degli obiettivi di cui al co. 7 - che, come si è detto nella scheda di commento relativa all’art. 6 del testo in esame, prevede che, a decorrere dall’a.s. 2012/2013 le dotazioni organiche del personale docente, educativo ed ATA non devono superare la consistenza delle relative dotazioni organiche dello stesso personale determinata nell'a.s.2011/2012 - al fine di adottare eventuali interventi correttivi nel caso di scostamento.

Il co. 9 dispone che, per garantire l'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio derivanti dal contenimento delle dotazioni organiche, si applica la procedura di cui all'art. 1, co. 621, lett. b), della L. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che prevede la riduzione lineare delle dotazioni complessive di bilancio del Ministero, ad eccezione di quelle relative alle competenze spettanti al personale della scuola e dell'amministrazione centrale e periferica della pubblica istruzione, fino a concorrenza degli importi indicati.

Domanda per la ricostruzione di carriera del personale scolastico

Il comma 7 dispone che, ferma restando la disciplina vigente per l'esercizio del diritto al riconoscimento dei servizi (prestati antecedentemente alla nomina) agli effetti della carriera, le relative domande del personale scolastico sono presentate al dirigente scolastico nel periodo compreso tra il 1° settembre ed il 31 dicembre di ciascun anno.

Per una corretta programmazione della spesa, entro il 28 febbraio dell’anno successivo il MIUR comunica al Dipartimento della ragioneria generale i dati relativi alle suddette domande.

 

Con il termine "ricostruzione di carriera" si indica l’istituto attraverso il quale, d'ufficio o a domanda dell’interessato, si determinano il trattamento economico ed il successivo sviluppo di carriera del personale scolastico in virtù di servizi prestati antecedentemente alla nomina. Dal 1° settembre 2000, come previsto dall’art. 14 del DPR 275/1999, la ricostruzione di carriera è di competenza delle istituzioni scolastiche.

Essa è attuata mediante decreto del Dirigente scolastico, a cui viene indirizzata la domanda, da presentarsi al termine del periodo di prova e comunque entro 10 anni dal superamento dello stesso, contenente l’elenco di tutti i servizi valutabili.

Qui una guida operativa alla ricostruzione di carriera predisposta dal MIUR.

 

Variazioni di bilancio

Il comma 8 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 



[1]     In base all’art. 15 del medesimo DPR, sono escluse dall'attribuzione alle istituzioni scolastiche le seguenti funzioni in materia di personale:

a)   formazione delle graduatorie permanenti riferite ad ambiti territoriali più vasti di quelli della singola istituzione scolastica;

b)   reclutamento del personale docente e ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

c)   mobilità esterna alle istituzioni scolastiche e utilizzazione del personale eccedente l'organico funzionale di istituto;

d)   autorizzazioni per utilizzazioni ed esoneri per i quali sia previsto un contingente nazionale; comandi, utilizzazioni e collocamenti fuori ruolo;

e)   riconoscimento di titoli di studio esteri.

[2]     La relazione tecnica del ddl di conversione (A.C. 4940) qualificava l’organico dell’autonomia come “dotazione di personale docente, educativo ed ATA che consenta alle istituzioni scolastiche di far fronte a tutte le esigenze derivanti sia dall’organizzazione delle attività didattiche ordinarie, sia dalle situazioni di fatto che, all’avvio o nel corso dell’anno scolastico, determinino scostamenti dalle previsioni iniziali (variazione di alunni rispetto al valore stimato prima delle iscrizioni, aumento delle certificazioni mediche per il sostegno o assenze brevi e temporanee dei docenti, fenomeni di dispersione scolastica, etc.)”.

[3]     I decreti attuativi della riforma della scuola secondaria di secondo grado hanno previsto l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera nell’ultimo anno di Licei e Istituti Tecnici e negli ultimi tre anni dei Licei Linguistici (art. 8, co. 2, lett. b), del DPR 88/2010 e artt. 6, co. 2, e 10, co. 5, del DPR 89/2010). In particolare, per quanto concerne gli Istituti Tecnici, la norma rimandava a un successivo decreto interministeriale MIUR-MEF – non ancora intervenuto – la definizione dei criteri generali per l'insegnamento, in lingua inglese, di una disciplina non linguistica compresa nell'area di indirizzo del quinto anno.

Nell’a.s. 2012/2013 è stato dato avvio all’introduzione della metodologia CLIL esclusivamente nel terzo anno dei Licei Linguistici, con prosecuzione graduale nei successivi anni di corso (per approfondimenti, si v. la pubblicazione MIUR, presentata il 5 marzo 2014, L'introduzione della metodologia CLIL nei Licei Linguistici. Rapporto di monitoraggio nelle classi terze dell’a.s. 2012/2013).

Per consentire l’avvio anche con riguardo al quinto anno di Licei e Istituti Tecnici, la nota MIUR prot. n. 4969 del 25 luglio 2014, nelle more dell’emanazione del decreto attuativo delle disposizioni relative agli Istituti Tecnici, ha dettato norme transitorie per l’a.s. 2014/2015.

[4]     L’art. 4 del DPR 89/2009 stabilisce che il tempo della scuola primaria è svolto secondo le differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale a 24, 27 e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell’organico assegnato; è previsto altresì il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno.

L’art. 5 prevede che l’orario annuale obbligatorio delle lezioni nella scuola secondaria di I grado è di complessive 990 ore, corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento riferita agli insegnamenti di materie letterarie. Nel tempo prolungato il monte ore è determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40.

[5]     In particolare, il quadro orario settimanale della scuola secondaria di I grado è così determinato:

Disciplina

Orario settimanale

Orario settimanale

(tempo prolungato)

Italiano, Storia, Geografia

9

15

Attività di approfondimento

1

1 (o 2)

Matematica e scienze

6

9

Tecnologia

2

2

Inglese

3

3

Seconda lingua comunitaria

2

2

Arte e immagine

2

2

Scienze motorie e sportive

2

2

Musica

2

2

Religione cattolica

1

1

TOTALE

30

39 (o 40)

 

[6]     Il DPR 89/2009 aveva previsto che, in sede di prima attuazione, e comunque per un periodo non superiore a tre anni scolastici decorrenti dall'a.s. 2009-2010, si applicavano le Indicazioni nazionali di cui agli allegati A, B, C e D del d.lgs. 59/2004, come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 31 luglio 2007, e che all’eventuale revisione delle stesse si sarebbe pervenuti nel corso del triennio scolastico 2009/2010-2011/2012.

[7]     In base al co. 10 dell’art. 5 del DPR 89/2009, dall'a.s. 2009/2010, a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico e l'assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria, è introdotto l'insegnamento dell'inglese potenziato anche utilizzando le 2 ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria ovvero i margini di flessibilità previsti dall’art. 4, co. 2, del DPR 275/1999. Le stesse ore sono utilizzate anche per potenziare l'insegnamento della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze.

[8]     L'insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, previsto dal D.L. 137/2008 (L. 169/2008), è inserito nell’area disciplinare storico-geografica.

[9]     L'insegnamento della Religione cattolica è disciplinato dagli accordi concordatari.

[10]   Il percorso del liceo artistico si articola, a partire dal secondo biennio, nei seguenti indirizzi: arti figurative; architettura e ambiente; design; audiovisivo e multimediale; grafica; scenografia.

[11]   Il percorso del liceo musicale e coreutico si articola nelle rispettive sezioni (musicale e coreutica).

[12]   Nell’ambito della programmazione regionale dell'offerta formativa, può essere attivata l'opzione “scienze applicate”.

[13]   Nell'ambito della programmazione regionale dell'offerta formativa, può essere attivata l'opzione “economico-sociale”.

[14]   L’art. 8, co. 2, lett. d), del DPR 88/2010 ha previsto la definizione, con decreto MIUR-MEF, previo parere della Conferenza Stato-regioni, degli ambiti, dei criteri e delle modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo in un numero contenuto di opzioni, incluse in un apposito elenco nazionale, in applicazione degli spazi di flessibilità previsti dall'art. 5, co. 3, lett. b), del medesimo DPR (entro il 30% dell'orario annuale delle lezioni nel secondo biennio e il 35% nell'ultimo anno). In attuazione di quanto disposto, è intervenuto il D.I. 24 aprile 2012, prot. n. 7431. Successivamente, l’elenco è stato integrato con il D.I. 7 ottobre 2013.

[15]   I quadri orari sono stati successivamente integrati ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013).

[16]   L’art. 8, co. 4, lett. c), del DPR 87/2010 ha previsto la definizione, con decreto MIUR-MEF, previo parere della Conferenza Stato-regioni, degli ambiti, dei criteri e delle modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo in un numero contenuto di opzioni, incluse in un apposito elenco nazionale, in applicazione degli spazi di flessibilità previsti dall'art. 5, co. 3, lett. b), del medesimo DPR (entro il 35% dell'orario annuale delle lezioni nel secondo biennio e il 40% nell'ultimo anno). In attuazione di quanto disposto, è intervenuto il D.I. 24 aprile 2012, prot. n. 7428. Successivamente, l’elenco è stato integrato con D.I. 13 novembre 2014, prot. n. 836.

[17]   Ai sensi dell’art. 5, co. 3, lett. c), del DPR 87/2010, gli istituti professionali possono utilizzare gli spazi di flessibilità nel primo biennio entro il 25% dell'orario annuale delle lezioni per svolgere un ruolo integrativo e complementare rispetto al sistema dell'istruzione e della formazione professionale regionale.

[18]   I quadri orari sono stati successivamente integrati ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.L. 104/2013 (L. 128/2013).

[19]   Cap. 1195 per l’istruzione prescolastica; cap. 1204 per l’istruzione primaria; cap. 1196 per l’istruzione secondaria di primo grado; cap. 1194 per l’istruzione secondaria di secondo grado

[20]   Il Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e gli interventi perequativi (L. 440/1997) è finalizzato, tra l’altro: alla realizzazione dell’autonomia scolastica; all’introduzione della seconda lingua comunitaria nella scuola media; all’innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico; alla formazione del personale della scuola; alla formazione post-secondaria non universitaria; a interventi per la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema scolastico; a interventi perequativi finalizzati ad incrementare l’offerta formativa).

Oltre al Fondo previsto dalla L. 440/1997, sono confluiti nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche:

§  le risorse previste dall’art. 1, co. 634, della L. 296/2006, finalizzate a supportare una serie di interventi concernenti il sistema dell’istruzione (fra i quali, ridefinizione dell’obbligo scolastico e innalzamento dell’età per l’accesso al lavoro; norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro; progetti sperimentali per la scuola dell’infanzia; offerta formativa delle istituzioni scolastiche; disposizioni relative ai libri di testo per l’istruzione secondaria superiore; riorganizzazione dell'Istruzione e formazione tecnica superiore e dell’istruzione degli adulti; finanziamenti per le attrezzature tecnologiche di supporto alla didattica);

§  quota parte – pari ad € 15,7 mln – dei fondi destinati all’attuazione del piano programmatico interventi sul sistema dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale previsto dall’art. 1, co. 3, della L. 53/2003.

[21]   Di alfabetizzazione nella (sola) lingua inglese si inizia a parlare a partire a partire dal d.lgs. 59/2004, emanato in virtù della delega attribuita dalla L. 53/2003.

[22]   In particolare, la formazione del docente, oltre alle competenze generali, doveva assicurare una preparazione specifica che consentisse di:

- padroneggiare la lingua d'uso per le situazioni di comunicazione quotidiana con sufficiente fluenza, con correttezza formale e proprietà lessicale, relativamente alle abilità audio-orali;

- conoscere altresì gli elementi caratterizzanti la cultura dei paesi cui si riferiva la lingua insegnata;

- essere in grado di scrivere brevi brani, appropriati e formulati correttamente;

- essere informato sui fondamentali approcci e metodi di insegnamento di una lingua straniera con riferimenti alle scienze dell'educazione.

[23]   Le modalità di riavvio del Piano di formazione per lo sviluppo delle competenze linguistico-comunicative e metodologico-didattiche in lingua inglese degli insegnanti di scuola primaria, a seguito dell’approvazione del DPR 81/2009, sono state definite dal MIUR innanzitutto con la nota prot. 4576 del 29 aprile 2010, che prevedeva un modello di formazione linguistica per docenti di scuola primaria non specializzati. Il piano aveva durata triennale e prevedeva la formazione di circa 5.000 docenti. A conclusione del percorso di formazione, i docenti erano chiamati a sostenere un esame che certificasse il raggiungimento della competenza linguistica di Livello B1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (CEFR-Common European Framework of Reference for Languages, articolato in sei livelli di riferimento: A1, A2, B1, B2, C1 e C2).

Con nota prot. 1188 del 20 febbraio 2012, il MIUR ha dato avvio alle attività di formazione per ulteriori 16.000 docenti.

Ancora in seguito, l’art. 3, co. 1, lett. c), del DM 11 ottobre 2013, n. 821, recante criteri per l’assegnazione diretta alle istituzioni scolastiche delle risorse del Fondo per il funzionamento delle stesse istituzioni per il 2013, ha previsto lo stanziamento di risorse per la formazione di altri 20.000 docenti per l’insegnamento della lingua inglese.

Ulteriori risorse sono state stanziate, da ultimo, per la medesima finalità, dall’art. 5, co. 1, lett. b), del DM 21 maggio 2014, n. 351, recante criteri per l’assegnazione diretta alle istituzioni scolastiche delle risorse del Fondo per il funzionamento per il 2014.

Nel frattempo, il 16 settembre 2014, il MIUR ha sottoscritto con l’Associazione italiana centri linguistici universitari (AICLU) un Accordo quadro, valido fino al 1° settembre 2015, finalizzato a individuare la rete dei Centri linguistici universitari in grado di supportare sul territorio le iniziative di formazione e le relative attestazioni di competenza linguistica da rilasciare al termine dei corsi.

[24]   Il DM 30 gennaio 1998, n. 39 ha individuato le classi di concorso per l’insegnamento nella scuola secondaria fissando in numero di 100 le classi di concorso a cattedre (annessa Tabella A), in numero di 52 le classi di concorso a posti di insegnamento tecnico-pratico (annessa Tabella C) e in numero di 22 le classi di concorso a posti di insegnamento d’arte applicata (annessa Tabella D). Il decreto ha, altresì, fissato per ciascuna classe di concorso i titoli di studio validi per l’ammissione ai concorsi e gli insegnamenti compresi nelle medesime classi di concorso, specificando, peraltro, se si tratta di insegnamenti impartiti in istituti di istruzione secondaria di primo o di secondo grado.

Con il DM 9 febbraio 2005, n. 22, e relativo Allegato A, ad integrazione del DM 39/1998, sono state definite le classi di lauree specialistiche (LS) che danno accesso all’insegnamento nella scuola secondaria e sono stati inseriti taluni diplomi di laurea (DL) del vecchio ordinamento, non previsti in precedenza.

Con DM 26 marzo 2009, n. 37, le classi di concorso a cattedre di cui alla tabella A del DM 39/1998, relativamente alla scuola secondaria di I grado, sono state ridefinite in classi di abilitazione.

In applicazione dell’art. 64 del D.L. 112/2008, il Consiglio dei ministri ha approvato in prima lettura il 12 giugno 2009 uno schema di regolamento di revisione delle classi di concorso, non pervenuto alle Camere.

[25]   Il Comitato è stato costituito con D.M. n. 103 del 23 dicembre 2009 e confermato, da ultimo, con D.M. n. 156 del 7 marzo 2013.

[26]   Al riguardo, si v. anche il comunicato del MIUR .del 3 ottobre 2014.

[27]   L’art. 4, co. 10, del DPR 89/2009 ha stabilito che con DM sono individuati nell'ambito dell'istituto o di reti di scuole, i titoli prioritari per impartire l'insegnamento di musica e pratica musicale.

[28]   Le Linee Guida al DM 8/2011 sono state trasmesse con nota n. 151 del 17 gennaio 2014.

[29]   Il progetto fa seguito, in particolare, al nuovo Protocollo d'Intesa tra MIUR e CONI, sottoscritto il 4 dicembre 2013, che prevedeva l'avvio di una nuova fase di realizzazione di iniziative per la promozione dell'attività motoria e sportiva a scuola e anticipava l’intenzione di rivisitare il progetto per l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria, avviato come progetto pilota nell’a.s. 2009/2010 e la cui ultima annualità si è svolta nell'a.s. 2012-2013.

Nell'a.s. 2013/2014 le attività sono proseguite sulla scorta di quanto realizzato negli anni precedenti con il progetto nazionale per l’educazione fisica nella scuola primaria, impostato sulla base delle linee generali emanate con nota prot. 304 del 17 gennaio 2014.

[30]   Le iniziative complementari dell'iter formativo sono sottoposte al previo esame del collegio dei docenti per il necessario coordinamento con le attività curricolari e per l'eventuale adattamento della programmazione didattico-educativa, con conseguente inserimento nel piano dell'offerta formativa.

[31]   In base all’art. 41 del DM 44/2001, recante il Regolamento relativo alle istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche, le stesse possono concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti pubblici o privati, accordando preferenza a soggetti che, per finalità statutarie, per le attività svolte, o per altre circostanze abbiano in concreto dimostrato particolare attenzione e sensibilità nei confronti dei problemi dell'infanzia e della adolescenza. E’ vietato concludere accordi di sponsorizzazione con soggetti le cui finalità ed attività siano in contrasto, anche di fatto, con la funzione educativa e culturale della scuola.

[32] In particolare, l’impresa formativa simulata nasce nel 1994 con l’obiettivo di dare l’opportunità alle scuole di simulare in laboratorio il processo di realizzazione e gestione di un’azienda, dall’individuazione (business idea) alla elaborazione del business plan, fino all’implementazione dell’impresa stessa, ed emula tutte le attività dell’impresa reale tutor, con cui avvia una stretta collaborazione. Le IFS interagiscono fra loro ed operano nel mercato della rete telematica, rispettando la normativa come se fossero aziende reali (gli unici elementi non reali sono i prodotti, i servizi che offrono e la moneta di scambio). Nel 2006/07 il MIUR ha affidato all’Agenzia Scuola il compito di realizzare un vero e proprio ambiente di simulazione on line, IFSNetwork (www.ifsnetwork.it), che consente di condividere esperienze di simulazione in un e-market-place in cui le IFS presenti sul territorio nazionale effettuano tra loro transazioni commerciali di vendita e/o di acquisto. Il medesimo ambiente rende possibile l’uniformità delle pratiche delle IFS ed il monitoraggio delle attività. Le Imprese Formative Simulate presenti nell'ambiente di simulazione sono 1.324 e gli istituti coinvolti nel progetto sono 760.

[33]   Come si è detto nella scheda di commento relativa all’art. 2, il Fondo di cui all’art. 4 della L. 440/1997 dal 2013 è confluito, ai sensi dell’art. 7, co. 37, del D.L. 95/2012 (L. 135/2012), nel Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all’art. 1, co. 601, della L. 296/2006.

[34]   Dei quali, € 4 mln per i percorsi di istruzione professionale, € 6 mln per i percorsi di istruzione tecnica, € 1 mln per i percorsi di istruzione liceale.

[35]   Dei 10.279 percorsi, la maggior parte (2.836) viene svolta in Lombardia. Seguono Toscana (1.032), Veneto (919), Lazio (711), Marche (681), Emilia Romagna (662) e Sicilia (656).

[36]   Più ampiamente, si veda la scheda di commento relativa all’art. 21, co. 2, lett. g).

[37]   Il nome Titulus Scuola fa riferimento ad un progetto analogo che ha coinvolto le università nel 1997, Titulus 97, con l'analogo obiettivo di mettere a fattor comune le esigenze e le soluzioni in fatto di classificazione e gestione dei documenti digitali.

[38]   Graduatoria A - Ampliamento dei punti di accesso della rete WiFi; Graduatoria B - Ampliamento dei punti di accesso della rete WiFi, con potenziamento del cablaggio fisico ed aggiunta di nuovi apparati (hub, switch, etc.); Graduatoria C - Realizzazione o adeguamento dell’infrastruttura LAN/WLAN di edificio/campus, con potenziamento del cablaggio fisico ed introduzione di nuovi apparati (hub, switch, ponti radio, etc.).

[39]   L'elaborazione di ogni prodotto deve essere affidata a un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell'opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare. L'opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell'anno scolastico, al MIUR e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell'ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale dello stesso MIUR per l'azione Editoria Digitale Scolastica.

[40] L’art. 13, co. 2, del D.L. 7/2007 (L. 40/2007) ha disposto che possono essere istituiti, a livello provinciale o sub-provinciale, “poli tecnico-professionali” tra gli istituti tecnici e gli istituti professionali, le strutture della formazione professionale accreditate ai sensi dell’art. 1, co. 624, della L 296/2006 e gli istituti tecnici superiori. Ipoli” sono costituiti sulla base della programmazione dell’offerta formativa a livello regionale, che comprende anche la formazione tecnica superiore. Le regioni pertanto concorrono alla realizzazione degli stessi con strutture formative di competenza regionale. Essi sono costituiti in forma di consorzio, con il fine di promuovere in modo stabile e organico la diffusione della cultura scientifica e tecnica e di sostenere le misure per la crescita sociale, economica e produttiva del Paese, e sono dotati di propri organi indicati in base alle convenzioni stipulate con gli enti interessati.

In seguito, il DPCM 25 gennaio 2008  ha indicato, tra gli obiettivi da perseguire per sostenere in modo sistematico lo sviluppo economico e la competitività del sistema produttivo italiano, il rafforzamento della collaborazione tra il territorio, il mondo del lavoro, le sedi della ricerca scientifica e tecnologica ed il sistema della formazione professionale nell'ambito dei poli tecnico-professionali.

Da ultimo, il DM 7 febbraio 2013 (pubblicato nella GU del 19 aprile 2013), adottato a seguito dell’art. 52 del D.L. 5/2012 (L. 35/2012), ha evidenziato che i poli tecnico-professionali costituiscono una modalità organizzativa di condivisione delle risorse pubbliche e private disponibili. Ha, altresì, evidenziato che essi possono essere costituiti progressivamente, a partire dalla realizzazione di progetti pilota, sulla base delle determinazioni delle regioni, anche in ambito interprovinciale, con riferimento alle caratteristiche del sistema produttivo del territorio, da aggregazioni tra  soggetti pubblici e privati formalizzate attraverso accordi di rete, e possono essere promossi anche dalle fondazioni I.T.S.

[41]   La relazione tecnica del ddl di conversione del D.L. 104/2013 (A.C. 1574) faceva presente che, per effetto del co. 2, si sarebbe determinato, nel triennio, un incremento dell’organico di diritto di 26.684 unità (di cui, 12.428 presso la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e 14.256 presso la scuola secondaria di I e II grado), pari alla differenza tra l’organico di fatto dell’a.s. 2006/2007, pari a 90.032 unità, e quello degli a.s. 2010/2011 e seguenti, pari a 63.348 unità.

[42]   In attuazione, era intervenuto il D.I. 24 aprile 2008 (pubblicato nella GU n. 172 del 24 luglio 2008).

[43]   Ha, altresì, disposto che l’organico dei posti di sostegno è assegnato complessivamente alla scuola o alle reti di scuole appositamente costituite, considerando un docente ogni due alunni disabili, e che l’azione didattica e di integrazione degli alunni disabili è assicurata sia dai docenti di sostegno che dai docenti di classe.

[44]   Per l’a.s. 2011/2012, il D.I. 100/2011 (pubblicato nel S.O. n. 21 della GU del 27 gennaio 2012) ha indicato la consistenza degli organici di personale docente in 81.216 unità per la scuola dell’infanzia, 198.339 unità per la scuola primaria, 132.192 unità per la scuola secondaria di primo grado, 189.073 unità per la scuola secondaria di secondo grado (per un totale di 600.820 unità), 90.469 unità (in organico di fatto) per i posti di sostegno.

[45]   Sulle aree interne, si veda http://www.dps.gov.it/it/arint/.

[46]   L’art. 10, co. 10, del CCNL personale del comparto scuola 2006-2009 del 29 novembre 2007, dispone che – in accordo con quanto dispone l’art. 52 del d.lgs. 165/2001 – il personale docente utilizzato, a domanda o d’ufficio, ivi compresa l’assegnazione provvisoria, in altro tipo di cattedra o posto, ha diritto all’eventuale trattamento economico superiore, rispetto a quello di titolarità, previsto per detto tipo di cattedra o posto. La maggiore retribuzione è corrisposta per il periodo di utilizzazione, in misura corrispondente a quella cui l’interessato avrebbe avuto titolo se avesse ottenuto il passaggio alla cattedra o posto di utilizzazione. In caso di utilizzazione parziale, la corresponsione avrà luogo in rapporto proporzionale con l’orario settimanale d’obbligo.

[47]   Si tratta dei capitoli afferenti il “cedolino unico” per le supplenze brevi allocati nei programmi di spesa dei vari gradi di istruzione: cap. 1227 per l’istruzione prescolastica; cap. 1228 per l’istruzione primaria; cap. 1229 per l’istruzione secondaria di primo grado; cap. 1230 per l’istruzione secondaria di secondo grado.

[48]   Gli stanziamenti relativi alle competenze fisse e accessorie per il personale della scuola (docenti e ATA) sono allocati nei seguenti capitoli: cap. 2156 per l’istruzione prescolastica; cap. 2154 per l’istruzione primaria; cap. 2155 per l’istruzione secondaria di primo grado; cap. 2149 per l’istruzione secondaria di secondo grado.

[49]   Per approfondimenti si veda il Dossier del Servizio Studi n. 672/2 del 10 settembre 2012.

[50]   In generale, l’art. 3 del medesimo DPR 81/2009 prevede che le classi iniziali di ciclo delle scuole di ogni ordine e grado e le sezioni di scuola dell'infanzia sono costituite con riferimento al numero complessivo degli alunni iscritti. Determinato il numero delle predette classi e sezioni, il Dirigente scolastico procede all'assegnazione degli alunni alle stesse secondo le diverse scelte effettuate, sulla base dell'offerta formativa della scuola e, comunque, nel limite delle risorse assegnate.

[51]   Ove non sia possibile ridistribuire i bambini tra scuole viciniori, eventuali iscrizioni in eccedenza sono ripartite tra le diverse sezioni della stessa scuola senza superare, comunque, le 29 unità per sezione, escludendo dalla redistribuzione le sezioni che accolgono alunni con disabilità.

[52]   Elevabile fino a 27 qualora residuino resti.

[53]   Elevabili fino a 28 qualora residuino resti.

[54]   Devono essere costituite con un numero di alunni di norma non inferiore a 25 le classi del primo anno di corso di sezioni staccate, scuole coordinate, sezioni di diverso indirizzo o specializzazione funzionanti con un solo corso.

[55]   Per approfondimenti, si veda, oltre al sito ufficiale del Sistema nazionale di valutazione, l’apposita scheda web predisposta dal Servizio Studi della Camera.

[56]   Che si articola nelle seguenti fasi: settembre/ottobre 2014: avvio dell’autovalutazione di istituto; luglio 2015: pubblicazione del Rapporto di autovalutazione sul sito della scuola e sul portale Scuola in chiaro; Ottobre 2015: Primo Rapporto sul sistema scolastico italiano; a.s. 2015/2016: pianificazione e realizzazione delle azioni di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche e avvio delle attività di valutazione esterna delle scuole; termine a.s. 2016/2017: primo rapporto di rendicontazione sociale con i risultati dei piani di miglioramento. Qui la timeline dettagliata.

[57]   L’art. 45 del d.lgs. 82/2005 stabilisce che i documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale (co. 1). Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore (co. 2).

L’art. 65 dispone che le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici sono valide se soddisfano una delle seguenti condizioni:

·      sono sottoscritte dall’interessato mediante firma digitale o firma elettronica qualificata;

·      l’autore è identificato dal sistema informatico con l'uso della carta d'identità elettronica o della carta nazionale dei servizi, ovvero con strumenti diversi, purché tali strumenti consentano l'individuazione del soggetto che richiede il servizio, nei limiti di quanto stabilito da ciascuna amministrazione;

·      sono sottoscritte dall’interessato e presentate unitamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore;

·      sono trasmesse dall'autore mediante la propria casella di posta elettronica certificata, purché le relative credenziali di accesso siano state rilasciate previa identificazione del titolare.

[58]   Per il personale educativo l'ultimo concorso è stato indetto con D.D.G. 28 luglio 2000 (G.U. 4a Serie Speciale - Concorsi ed Esami n. 69 del 5 settembre 2000).

[59]   Il più volte citato Rapporto sul Piano “La buona scuola” evidenziava, invece, che le graduatorie di istituto sarebbero state mantenute ma con una sola fascia, riservata a tutti (e solo) gli abilitati. In particolare, evidenziava che sarebbero state abolite la I fascia (in quanto gli iscritti, attualmente presenti anche nelle GAE, sarebbero stati assunti tutti) e la III fascia.

[60]   Come sostituito dall’art. 1, co. 1, della L. 124/1999.

[61]   Le SSIS sono state istituite dall’art. 4 della L. 341/1990 e poi ridisciplinate con vari provvedimenti. L’accesso a tali scuole è stato sospeso dall’art. 64, co. 4-ter, del D.L. 112/2008 (L. 133/2008), in relazione alla ridefinizione delle procedure per l’accesso alla docenza, poi operata con D.M. 249/2010.

[62]   Tale articolazione discende da diverse disposizioni succedutesi nel tempo: L. 124/1999; D.M. 27 marzo 2000, n. 123; D.L. 255/2001 (L. 333/2001) (che ha recato norme di interpretazione autentica della legge e del D.M. citati in relazione al contenzioso amministrativo da essi ingenerato); art. 1 del D.L. 97/2004 (L. 143/2004); art. 1, co. 605, lett. c), della L. 296/2006.

[63]   Si tratta dei requisiti necessari per partecipare ai soppressi concorsi per soli titoli.

[64]   Nel D.M. 1 aprile 2014 n. 235, concernente l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, valevoli per il triennio scolastico 2014/15, 2015/16 e 2016/17, il MIUR definisce la fascia aggiuntiva, “per semplicità”, come “IV”.

[65]   In attuazione di quanto disposto dal D.L. 216/2011, con DM 14 giugno 2012, n. 53 si è provveduto all’integrazione delle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo, di cui al DM 12 maggio 2011, n. 44 (relativo all'aggiornamento delle graduatorie per il triennio 2011/2014), per il biennio 2012/2014.

[66]   Art. 1, co. 4, del D.L. 97/2004 (L. 143/2004), come modificato dall’art. 9, co. 20, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011).

[67]   Art. 1, co. 4, del D.L. 97/2004 (L. 143/2004), come modificato dall’art. 9, co. 20, del D.L. 70/2011 (L. 106/2011).

[68]   Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Adunanza del 5 giugno 2013, parere n. 03813/2013 sull’affare 4929/2012. In particolare, il Consiglio di Stato ha evidenziato l’illegittimità del D.M. n. 62 del 2011, con il quale si è dato avvio alla presentazione delle domande per la costituzione delle graduatorie per gli anni scolastici 2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014, “nella parte in cui non parifica ai docenti abilitati coloro che abbiano conseguito entro l’anno 2001-2002 la c.d. abilitazione magistrale, inserendoli nella III fascia della graduatoria di istituto e non nella II fascia. Si tratta di un profilo appena accennato nel ricorso in oggetto, che tuttavia deve essere esaminato. La disposizione è affetta da evidente eccesso di potere, in quanto contrastante con tutte le disposizioni di legge e di rango secondario, che sanciscono la natura abilitante del titolo conseguito negli istituti magistrali a seguito di regolare corso di studio. In altri termini, prima dell’istituzione della laurea in Scienza della formazione, il titolo di studio attribuito dagli istituti magistrali al termine di corsi triennali e quinquennali sperimentali di scuola magistrale e dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali di istituto magistrale (per la scuola dell’infanzia) o al termine dei corsi quadriennali e quinquennali sperimentali dell’istituto magistrale (per la scuola primaria) dovevano considerarsi abilitanti, secondo l’art. 53 R.D. 6 maggio 1923, n. 1054, in combinato disposto con l’art. 197 d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297”.

[69]   Il comunicato stampa del MIUR del 7 maggio 2014 evidenzia che le “finestre” si aprono a giugno e a dicembre.

[70]   Ulteriori novità hanno riguardato i punteggi: si veda il comunicato stampa citato nella nota precedente.

[71]   L’anno di formazione - introdotto dalla L. 270/1982 - deve essere effettuato una sola volta nel corso della carriera. Pertanto, non sono tenuti a frequentare l’anno di formazione né i docenti già in ruolo per una determinata classe di concorso che siano stati nominati in altra classe di concorso, né quelli che abbiano ottenuto il passaggio di ruolo in altro ordine di scuola. Questi ultimi sono tenuti a svolgere solo il periodo di prova (cfr., in particolare, C.M. 10 settembre 1991, n. 267, C.M. 3 febbraio 2006, prot. n. 196, C.M. 29 febbraio 2008, prot. 3699).

[72]   Il comitato per la valutazione del servizio dei docenti è disciplinato dall’art. 11 del d.lgs. 297/1994. Esso è costituito presso ogni istituto scolastico ed è formato, oltre che dal dirigente scolastico, che ne è il presidente, da 2 o 4 docenti quali membri effettivi e da 1 o 2 docenti quali membri supplenti, a seconda che l’istituto abbia sino a 50 oppure più di 50 docenti. I membri del comitato sono eletti dal collegio dei docenti al suo interno. Il comitato dura in carica un anno scolastico.

[73]   Da ultimo, si veda il CCN integrativo per la formazione del personale docente, educativo, tecnico pratico ed ATA per l’a.s. 2013/2014, siglato il 24 luglio 2013.

[74]   Con la circolare prot. n. 2360 del 23 febbraio 2009 erano state introdotte nuove modalità per la formazione in ingresso del personale docente ed educativo che sono state confermate, da ultimo, con la circolare prot. n. 3801 del 17 aprile 2014, riferita alla formazione in ingresso relativa all’a.s. 2013-2014.

Quest’ultima aveva disposto che le attività formative – connotate da ampi margini di discrezionalità e di scelta – si dovevano svolgere per non meno di 50 ore, di cui 25 in presenza e 25 a distanza – secondo i parametri del modello e-learning integrato – e dovevano essere coordinate da un tutor-facilitatore di apprendimento. La formazione in presenza doveva essere promossa e organizzata dagli uffici scolastici regionali con le risorse messe a disposizione del MIUR (che, per l’a.s. 2013-2014, sono state pari, in base all’all. 3 della circolare, ad € 830.400, per 519 corsi).

Ogni incontro in presenza doveva essere organizzato in classi di 15-30 docenti, provenienti dai due cicli scolastici, purché gravitanti nello stesso ambito territoriale. L’attività di formazione poteva prevedere anche la costituzione di specifici gruppi di lavoro.

Il coordinamento e la direzione di ciascun corso erano affidati ad un dirigente scolastico, che aveva compiti amministrativi-gestionali e la responsabilità dell’attestazione finale delle ore di formazione. La conduzione dei gruppi di docenti poteva essere affidata a insegnanti o dirigenti scolastici, individuati prioritariamente fra coloro già coinvolti in esperienze pregresse di formazione secondo il modello sopra indicato.

La circolare sottolineava, peraltro, che i docenti neoassunti potevano decidere di utilizzare altre attività formative promosse a livello territoriale, anche in relazione alla programmazione formativa avviata a livello regionale e oggetto di contrattazione collettiva integrativa.  Disponeva, inoltre, che, nell’ambito dell’offerta formativa disponibile nell’area pubblica della piattaforma INDIRE, i docenti, d’intesa con il tutor, potevano scegliere di impostare il proprio percorso di formazione in modo personalizzato. Quota parte del monte orario complessivo (orientativamente, 5 ore in presenza e 5 ore a distanza) era destinata a costituire la formazione di base, omogenea nei contenuti e nelle modalità di realizzazione, finalizzata a diffondere le conoscenze essenziali sull’autonomia scolastica, sulle innovazioni ordinamentali in atto, sulle competenze metodologiche e didattiche relative al segmento scolastico di riferimento. La formazione di base poteva essere svolta cumulativamente per più classi anche da un tutor appositamente nominato dall’Ufficio scolastico regionale.

[75]   Le linee guida contengono un elenco esemplificativo degli ambiti di approfondimento, fra i quali: nuove tecnologie e loro impatto sulla didattica, gestione della classe, sistema nazionale di valutazione, bisogni educativi speciali e disabilità, educazione all’affettività, dispersione scolastica, inclusione sociale, alternanza scuola-lavoro, orientamento.

[76]   Le istruzioni operative sugli strumenti da utilizzare e sulle modalità per la costruzione del portfolio sperimentale e sulle figure professionali che possono supportare questa fase della formazione saranno oggetto di una successiva nota del MIUR.

[77]   Ampiamente, si veda l’apposito approfondimento web.

[78]   Si tratta delle organizzazioni intercategoriali a carattere generale CES (Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea) e CEEP (Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica).

[79]   Personale dirigente e docente collocato fuori ruolo per compiti connessi con l’attuazione dell’autonomia scolastica, di cui l’amministrazione scolastica centrale e periferica può avvalersi (art. 26, co. 8, primo periodo, L. 448/1998) e, fino all’avvio dell’a.s. 2016/2017, il personale cui si riferisce il co. 330 del testo; dirigenti scolastici e docenti di ruolo di educazione fisica dispensati in tutto o in parte dall’insegnamento in qualità di coordinatori periferici di educazione fisica (art. 307 D.lgs. 297/1994, sul quale interviene il co. 328 del testo); personale destinato alle scuole italiane all’estero (parte V D.lgs. 297/1994); docenti delle istituzioni scolastiche collocati in esonero parziale o totale in quanto utilizzati presso le università con compiti di supervisione del tirocinio e di coordinamento del medesimo con altre attività didattiche nell'ambito di corsi di laurea in scienze della formazione primaria e di corsi di tirocinio formativo attivo per l’abilitazione all'insegnamento nelle scuole secondarie (art. 1, co. 4, L. 315/1998).

[80]   L’art. 68, co. 3, del d.lgs. 82/2005, come sostituito dall’art. 9, co. 1, del D.L. 179/2012 (L. 221/2012), dispone che per formato dei dati di tipo aperto si intende un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi. Sono dati di tipo aperto quelli che presentano le seguenti caratteristiche: 1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato; 2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti, sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati; 3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione.

[81]   Il d.lgs. 36/2006 costituisce attuazione della direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico.

[82]   Adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute.

[83]   La necessità di una tale disposizione - che consente il mantenimento in bilancio delle somme del 5 per mille che, secondo la normativa contabile, se non utilizzate, alla chiusura dell’esercizio costituirebbero economie di bilancio - è connessa alla complessa procedura per il riparto delle somme che si svolge di media nell’arco di due anni, in considerazione sia dei tempi necessari per l’esame dei soggetti ammissibili al contributo sia anche dei ricorsi che questi possono presentare.

[84]   La necessità della stabilizzazione della disciplina del 5 per mille dell’IRPEF” è stata di recente messa in evidenza dalla Corte dei Conti nell’ultima Relazione concernente la “Destinazione e gestione del 5 per mille dell’IRPEF”, trasmessa alla Camera il 21 dicembre 2013. In particolare, sul punto, la Corte ha rilevato come il fatto che l’esistenza dell’istituto del 5 per mille sia finora dipeso dalla reiterazione annuale di leggi (quali la legge di stabilità ed altre disposizioni relative alla spesa pubblica) e la sua mancata stabilizzazione attraverso una legge organica - in grado di garantire la certezza delle risorse nel corso di un arco temporale ragionevole e la definizione di tempi certi per l’erogazione dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di programmare, con congruo anticipo, le attività - abbiano prodotto inefficienze ed inutili appesantimenti burocratici che hanno pesato negativamente sulla funzionalità dell’istituto medesimo.

[85]   Si ricorda che le citate disposizioni, introdotte per il riparto del 5 per mille dell’esercizio finanziario 2010 (dichiarazione dei redditi 2009), sono state via via estese agli anni successivi con apposite norme di legge: all’anno 2011, dall’art. 2, co. 1, del D.L. 225/2010 (dichiarazioni 2010); all’anno 2012, dall'art. 33, co. 11, della L. 183/2011 (dichiarazioni 2011); all’anno 2013, dall'art. 23, co. 2, del D.L. 95/2012 (dichiarazioni 2012); all’anno 2014, dall’art. 1, co. 205, della L. 147/2013 (dichiarazioni 2013).

[86]   Si tratta di organizzazioni di sostegno al volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di cui all’art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali previsti dall’art. 7 della L. 7 dicembre 2000, n. 383, e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10, co. 1, lett. a), del citato d.lgs. 460/1997.

[87]   Il citato art. 46 prevede che l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all'immagine dell'amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili, a meno che il responsabile non dimostri che tale inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile. L’articolo 47 reca le sanzioni amministrative pecuniarie a carico del responsabile della mancata comunicazione o violazione degli obblighi di comunicazione.

[88]   Inoltre, con CM 4 gennaio 2006, n. 2 e CM 30 gennaio 2007, n. 13, è stato precisato che l’esonero è stato esteso anche agli studenti che si iscrivono al primo, secondo e terzo anno dei corsi di studio di istruzione secondaria di secondo grado. Pertanto, le tasse erariali (la cui misura è stata determinata dal DPCM 18 maggio 1990 e che sono costituite da tassa di iscrizione [€ 6,04], tassa di frequenza [€ 15,13], tassa per esami di idoneità, integrativi, di licenza, di maturità e di abilitazione [€ 12,09], tassa di rilascio dei relativi diplomi [€ 15,13]) sono dovute solo per il quarto e il quinto anno degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado. La tassa di iscrizione è esigibile “una tantum”, all’atto dell’iscrizione al quarto anno.

In materia di contributi richiesti dalle scuole alle famiglie, si vedano le note MIUR 20 marzo 2012, n. 312 e 7 marzo 2013, n. 593.

[89]   In base al DPCM 27 maggio 2014 la Struttura di missione per il coordinamento e impulso nell’attuazione di interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica svolge, fra gli altri, i seguenti compiti: impulso e coordinamento delle strutture competenti dei Ministeri deputati alla gestione degli interventi di riqualificazione dell’edilizia scolastica; impulso all’implementazione dell’anagrafe dell’edilizia scolastica; ricognizione delle fonti di finanziamento e degli interventi finanziati e monitoraggio dello stato di attuazione; verifiche sull’utilizzo dei fondi, anche proponendo, se necessario, il definanziamento o la riprogrammazione delle risorse. La struttura di missione opera fino al 30 aprile 2016 e comunque non oltre la scadenza del mandato del Governo in carica.

[90]   Le risorse utilizzate provengono dagli investimenti immobiliari del piano di impiego dei fondi disponibili di cui all'art. 65 della L. 153/1969. Quest’ultimo ha disposto che gli enti pubblici e le persone giuridiche private che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale devono compilare annualmente il piano di impiego dei fondi disponibili. Per fondi disponibili si intendono le somme eccedenti la normale liquidità di gestione. Se non per particolari esigenze, la percentuale da destinare agli investimenti immobiliari non può superare, comunque, il 40 per cento di tali somme e non può essere inferiore al 20 per cento. I piani di investimento immobiliare sono approvati dal Ministro del lavoro.

[91]   L’art. 48 del D.L. 66/2014 (L. 89/2014) ha previsto, per gli anni 2014 e 2015, l'esclusione dal patto di stabilità interno delle spese sostenute dai comuni per gli interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascun anno.

[92]   Si tratta della delibera CIPE 21/2014, pubblicata nella GU n. 220 del 22 settembre 2014. In particolare, la delibera ha destinato € 110 mln per il finanziamento del piano straordinario per il ripristino del decoro e della funzionalità degli edifici scolastici predisposto dal MIUR, con  assegnazione subordinata all'accordo delle Regioni; 400 milioni di euro per le misure di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali, attraverso lo scorrimento delle graduatorie per la realizzazione di ulteriori interventi finanziabili ai sensi  dell'art. 18, co. 8-ter del D.L. 69/2013, nonché delle graduatorie per la messa in conformita'/agibilita' degli edifici scolastici attraverso l'utilizzo delle economie derivanti dai ribassi d'asta di cui alle graduatorie degli interventi finanziabili ai sensi dello stesso art. 18, co. 8-ter. I 400 milioni di euro sono stati poi assegnati con delibera CIPE 22/2014, pubblicata nella GU n. 222 del 24 settembre 2014.

[93]   L'art. 1, co. 467, della L. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha previsto l'esclusione dal computo del saldo finanziario di competenza mista, rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno per gli anni 2015 e 2016, delle spese sostenute dalle province e dalle città metropolitane per interventi di edilizia scolastica, nel limite massimo di 50 milioni di euro per ciascun anno.

[94]   Ulteriori approfondimenti sul sito http://passodopopasso.italia.it/passo-dopo-passo/edilizia-scolastica-500-cantieri-per-scuolesicure-200-scuolenuove-e-7000-scuolebelle.

[95]   La procedura per l’adozione dei piani prevede l’emanazione di un decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza Stato-regioni, che fissa gli indirizzi per assicurare il coordinamento degli interventi e stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni. Dopo la pubblicazione del decreto, le regioni approvano e trasmettono al MIUR i piani generali triennali contenenti i progetti preliminari, la valutazione dei costi e gli enti territoriali competenti che, in assenza di osservazioni del Ministero, vengono pubblicati nei rispettivi bollettini ufficiali. In seguito, gli enti territoriali competenti approvano i progetti esecutivi degli interventi previsti nel primo anno del triennio e richiedono la concessione di mutui alla Cassa depositi e prestiti. Specifici termini sono previsti anche per i piani triennali successivi al primo: nella ripartizione dei fondi disponibili, infatti, si tiene conto, oltre che dei criteri di riparto, anche dello stato di attuazione dei piani precedenti. Se gli enti territoriali non provvedono agli adempimenti di loro  competenza, in via sostitutiva provvedono regioni e province autonome; in caso di inadempienza di queste ultime, provvede in via sostitutiva il commissario di Governo.

[96]   L’art. 11, co. 4-bis-4-quinquies del D.L. 179/2012 (L. 221/2012) ha previsto la definizione, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'intesa con la Conferenza unificata, di priorità strategiche, modalità e termini per la predisposizione e l'approvazione di appositi piani triennali, articolati in singole annualità, di interventi di edilizia scolastica, nonché dei relativi finanziamenti (senza, tuttavia, chiarire il raccordo con le previsioni della L. 23/1996). Ha, altresì, disposto che, per l'inserimento in tali piani, gli enti locali proprietari degli immobili adibiti all'uso scolastico presentano domanda alle regioni territorialmente competenti. Ciascuna regione e provincia autonoma, valutata la corrispondenza con le disposizioni indicate nel decreto, e tenuto conto della programmazione dell'offerta formativa, approva e trasmette al MIUR il proprio piano, formulato sulla base delle richieste pervenute. La mancata trasmissione dei piani regionali nei termini indicati nel decreto comporta la decadenza dai finanziamenti assegnabili nel triennio di riferimento. Il MIUR, verificati i piani trasmessi, in assenza di osservazioni da formulare li approva e ne dà loro comunicazione ai fini della relativa pubblicazione, nei successivi trenta giorni, nei rispettivi Bollettini ufficiali.

[97]   Si tratta, in particolare, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell’economia e delle finanze. L’intesa in Conferenza unificata sul nuovo schema di decreto per la costituzione dell’Osservatorio è stata raggiunta il 6 febbraio 2014.

[98]   L’art. 1, co. 206, della L. 147/2013 (legge di stabilità 2014) ha introdotto tra le finalità cui può essere destinato l'8 per mille del gettito IRPEF gli interventi straordinari relativi a ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica.
E', conseguentemente, intervenuto il
DPR 172/2014, pubblicato nella GU n. 275 del 26 novembre 2014.

[99]   Il Fondo per interventi straordinari della Presidenza del Consiglio è stato istituito dall’art. 32-bis del D.L. 269/2003 (L. 326/2003). L’art. 2, co. 276, della L. 244/2007 ha poi previsto che lo stesso è incrementato di 20 milioni di euro, a decorrere dal 2008, da destinare ad interventi di adeguamento strutturale ed antisismico degli edifici del sistema scolastico, nonché alla costruzione di nuovi immobili sostitutivi degli edifici esistenti, laddove indispensabili a sostituire quelli a rischio sismico, secondo programmi basati su aggiornati gradi di rischiosità.

[100] Sullo stato dell’arte di queste richieste, si veda http://italiasicura.governo.it/site/home/scuole/faq.html.

[101] Si veda dossier del Servizio Studi n. 254/1 del 13 gennaio 2015. Qui si ricorda solo che l’art. 48, co. 2, del D.L. 66/2014 (L. 89/2014) ha poi previsto l’assegnazione da parte del CIPE, per la prosecuzione del programma di interventi di cui all'art. 18, co. 8-ter, del D.L. 69/2013, di un importo fino a 300 milioni di euro, nell'ambito della programmazione nazionale del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativa al periodo 2014-2020, previa verifica dell'utilizzo delle risorse assegnate nell'ambito della programmazione 2007-2013 del Fondo medesimo e di quelle assegnate a valere sugli stanziamenti relativi al programma delle infrastrutture strategiche per l'attuazione di piani stralcio del programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici.

Con delibera n. 22 del 30 giugno 2014, il CIPE – constatato che, a fronte dei 692 interventi ammessi al finanziamento con le risorse di cui all’art. 18, co. 8-ter, del D.L. 69/2013, restavano in graduatoria ulteriori 2.024 interventi, per un importo complessivo di € 490,6 mln -, ha poi assegnato al MIUR 400 milioni di euro per l'anno 2015, a valere sulle risorse del FSC 2007-2013 resesi disponibili a seguito di ricognizione e riprogrammazione, per il finanziamento delle misure di riqualificazione e messa in sicurezza delle istituzioni scolastiche statali indicate nell'all. 1 della delibera, sulla base dello scorrimento delle graduatorie approvate dalle regioni entro il 15 ottobre 2013.

[102] Tali poteri sono stati individuati dal DPCM 22 gennaio 2014.

[103] Con DM 18 marzo 1999 (GU 23 marzo 1999, n. 68) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del terzo piano annuale del primo piano triennale; con DM 6 settembre 1999 (GU 11 settembre 1999, n. 214) si è provveduto alla ripartizione del primo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 6 aprile 2000 (GU 14 aprile 2000, n. 88) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del secondo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 23 aprile 2001 (GU 7 maggio 2001, n. 104) si è provveduto alla ripartizione dei finanziamenti per l'attivazione del terzo piano annuale del secondo triennio di programmazione; con DM 30 ottobre 2003 (GU 11 novembre 2003, n. 262) si è provveduto alla ripartizione delle prime due annualità, 2003 e 2004, del terzo triennio di programmazione (2003/2005); con DM 16 luglio 2007 (GU 26 luglio 2007, n. 172) sono stati ripartiti i finanziamenti a favore delle regioni per il triennio 2007/2009.

[104] Esso risulta articolato in due stralci (approvati con le delibere CIPE 102/2004 e 143/2006, e successivamente rimodulati, a seguito di definanziamenti, con delibere CIPE 175/2005 e 17/2008) per complessivi 489,083 milioni di euro (come attestati dalla delibera ricognitiva del CIPE 10/2009) riferiti a 1.592 interventi.

E’ stato, poi, previsto un terzo programma stralcio, per l’assegnazione di non meno del 5% delle risorse stanziate per il programma infrastrutture strategiche, disposta dall’art. 7-bis del D.L. 137/2008 (L. 169/2008). Le risorse sono state quantificate con la delibera CIPE 114/2008 in due contributi quindicennali, di 3 e 7,5 milioni di euro annui, a decorrere, rispettivamente, dal 2009 e dal 2010, a valere sui contributi quindicennali autorizzati dall’art. 21 del D.L. 185/2008 (L. 2/2009).

[105] http://archivio.pubblica.istruzione.it/fondistrutturali/allegati/pon_fesr_16_07_07.pdf.

[106] http://www.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/156b53bd-e72a-4c25-8c29-8a60ec431c19/Testo_Aggiornato_PON_FESR_Ambienti_per_apprendimento.zip

[107] Comitato di coordinamento dei Fondi presso la Commissione.

[108] https://webmail.camera.it/service/home/~/COCOF%2012-0050-00%20IT%20assistenza%20retrospettiva%20UE.pdf?auth=co&loc=it&id=27983&part=2.

[109] Le risorse per i contributi alle regioni per oneri di ammortamento dei mutui attivati ai sensi dell’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013) sono state allocate sul cap. 7106 (esposto in tabella E della legge di stabilità). Ulteriori somme destinate alla sicurezza nelle scuole – per complessivi € 8,7 mln – sono allocate sui capp. 7545, 7625, 7645, 7785.

[110]  Per i comuni, a seguito della soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale, disposta ai sensi dell’art. 1, co. 380, della L. 228/2012 in conseguenza della nuova disciplina dell’IMU, la riduzione delle risorse deve intendersi riferita al Fondo di solidarietà comunale.

[111] In base all’art. 31, co. 26, della L. 183/2011, il mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità comporta, per gli enti locali inadempienti, nell’anno successivo all’inadempimento, oltre alla sanzione di cui sopra, anche l’applicazione delle ulteriori seguenti sanzioni:

a)   divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all’importo annuale medio degli impegni effettuati nell’ultimo triennio;

b)   divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare gli investimenti;

c)   divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo;

d)   riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori.

[112] Il Fondo Rotativo per la Progettualità è regolato dalla Circolare n. 1250 del 25 febbraio 2003 della Cassa Depositi e prestiti

[113] Originariamente disciplinati dal R.D. 2392/1929 e dal R.D. 1312/1931.

[114] I provveditorati agli studi – uffici periferici del Ministero, con competenza provinciale – sono stati soppressi dall’art. 6 del DPR 347/2000 e le loro competenze trasferite agli uffici scolastici regionali.

[115] Alle istituzioni educative possono essere annesse scuole elementari, scuole medie e scuole di istruzione secondaria superiore. Agli istituti tecnici ed agli istituti professionali e particolarmente a quelli ad indirizzo agrario possono essere annessi convitti per alunni che frequentano l’istituto (artt. 139, 173, 203, 204, d.lgs. 297/1994).

[116] Le proposte della direttrice in questa materia, qualora non accolte, devono essere allegate, insieme alle sue osservazioni, al verbale da sottoporre all'autorità vigilante.

[117] In particolare, l’art. 52 citato ha disposto che, nell’ambito del piano di razionalizzazione della rete scolastica, si doveva prevedere la graduale soppressione dei convitti nazionali, dei convitti annessi agli istituti tecnici e professionali e degli educandati femminili dello Stato che accolgono meno di 30 convittori o semiconvittori.

[118] La validità triennale delle graduatorie dei concorsi per l’accesso al pubblico impiego è prevista dall’art. 35, co. 5-ter, del d.lgs. 165/2001, introdotto dall’art. 3, co. 87, della L. 244/2007 a decorrere dal 1° gennaio 2008.

[119] Alla direttiva ha fatto seguito la Circolare ministeriale n. 8 del 6 marzo 2013, recante indicazioni operative. Ulteriori chiarimenti sono contenuti nella nota prot. n. 2563 del 22 novembre 2013.

[120] Il progetto ha ricevuto un contributo della Comunità Europea nell’ambito del Programma di apprendimento per tutto l’arco della vita, erogato dalla Commissione Europea, Direzione Generale per l’Istruzione e la Cultura.

[121] L’art. 4 della L. 104/1992 ha previsto che gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'art. 1 della L. 295/1990 (composte da un medico legale e da due medici, di cui uno specialista di medicina del lavoro e di volta in volta integrate con sanitari in rappresentanza delle associazioni delle diverse categorie di invalidi o disabili), che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le stesse unità sanitarie locali. Da ultimo, l’art. 19, co. 11, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011) ha poi disposto che tali commissioni sono integrate obbligatoriamente con un rappresentante dell’INPS nei casi di valutazione della diagnosi funzionale costitutiva del diritto all'assegnazione del docente di sostegno all'alunno disabile (che, tuttavia, è successiva e affidata all’organo di cui alla nota che segue).

[122] L’unità multidisciplinare è composta: dal medico specialista nella patologia segnalata, dallo specialista in neuropsichiatria infantile, dal terapista della riabilitazione, dagli operatori sociali in servizio presso l’unità sanitaria locale o in regime di convenzione con la medesima.

[123] Per approfondimenti si vedano, in particolare, le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità e le FAQ presenti sul sito del MIUR.

[124] Le aree metropolitane, per densità di popolazione, possono necessitare di uno o più CTS dedicati.

[125] Ai sensi dell’art. 2, co. 3, del D.I. 1 febbraio 2001, n. 44, l’attività finanziaria delle istituzioni scolastiche si svolge sulla base di un unico documento contabile annuale, che è proposto dalla giunta esecutiva con apposita relazione. Nella relazione sono illustrati gli obiettivi da realizzare e la destinazione delle risorse in coerenza con le previsioni del POF e sono sinteticamente illustrati i risultati della gestione in corso alla data di presentazione del documento.

[126] Tale competenza è stata attribuita al consiglio di istituto dall’art. 3, co. 3, del DPR 275/1999.

[127] Se l'accordo prevede attività didattiche o di ricerca, sperimentazione e sviluppo, di formazione e aggiornamento, lo stesso deve essere approvato, oltre che dal consiglio di circolo o di istituto, anche dal collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di propria competenza.

[128] Le reti di scuole possono inoltre prevedere, nel loro ambito, laboratori finalizzati, tra l'altro, alla ricerca didattica e alla sperimentazione; alla documentazione, secondo procedure definite a livello nazionale per la più ampia circolazione, anche attraverso la rete telematica, di ricerche, esperienze, documenti e informazioni; alla formazione in servizio del personale scolastico e all'orientamento scolastico e professionale. Le scuole, sia singolarmente che collegate in rete, possono altresì stipulare convenzioni con università statali o private, ovvero con istituzioni, enti, associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono dare il loro apporto alla realizzazione di specifici obiettivi. La promozione e la partecipazione ad accordi e convenzioni delle istituzioni scolastiche è prevista anche al di fuori delle ipotesi riguardanti le “reti di scuole”, ai fini del coordinamento di attività di comune interesse che coinvolgono, su progetti determinati, più scuole, enti, associazioni del volontariato e del privato sociale. Le istituzioni scolastiche, infine, possono costituire o aderire a consorzi pubblici e privati per assolvere ai compiti istituzionali coerenti con il Piano dell'offerta formativa e per l'acquisizione di servizi e beni che facilitino lo svolgimento dei compiti di carattere formativo.

[129] Le innovazioni più significative introdotte per il nuovo organismo (disciplinato dagli artt. 2 e 3) attengono alla valorizzazione dell’attività consultiva, alla riduzione del numero dei suoi componenti (al fine di assicurare un funzionamento più snello) e all’elettività della carica presidenziale (in precedenza assegnata al Ministro).

[130] Si segnala, peraltro, che i distretti scolastici sono stati progressivamente svuotati di funzioni dopo il riconoscimento dell’autonomia scolastica e, poi, di fatto, soppressi per effetto di quanto disposto dalla L. 289/2002, il cui art. 35, co. 4, aveva stabilito, a decorrere dall’a.s. 2003-2004, la restituzione ai compiti di istituto del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario del comparto scuola utilizzato presso i distretti scolastici. A seguito di tale previsione, i Consigli scolastici distrettuali, dallo stesso a.s., hanno cessato di esercitare le proprie funzioni. Cfr. La scuola. Istruzioni per l’uso, a cura di S. Bono e altri, Le Monnier, 2014, pag. 58.

[131] Il Consiglio dei Ministri aveva esaminato in via preliminare uno schema di D.lgs. il 27 novembre 2003. Rispetto a tale schema, la Conferenza unificata il 15 gennaio 2004 sottolineò la mancata considerazione della potestà legislativa concorrente delle regioni in materia di istruzione e della potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.

[132] Alla realizzazione dei piani concorrono le risorse messe a disposizione dal MIUR a valere sul Fondo di cui all’art. 1, co. 875, della L. 296/2006, oltre che risorse delle regioni o messe a disposizione da soggetti pubblici e privati e dall’UE. Ai fini del sostegno dei piani, il Ministero verifica preventivamente la sussistenza di alcuni elementi, fra i quali la messa a disposizione, da parte delle regioni e delle province autonome, di risorse finanziarie pari ad almeno il 30% del contributo del Ministero stesso.

[133] Mentre non confluiscono più le risorse previste sul Fondo per l’offerta formativa di cui alla L. 440/1997 (in parte finalizzate anche alla formazione post-secondaria non universitaria). Rimangono in ogni caso iscritte al Fondo le risorse assegnate dal CIPE, per quanto riguarda le aree sottoutilizzate, per progetti finalizzati alla realizzazione dell’istruzione e formazione tecnica superiore, con l’obiettivo di migliorare l’occupabilità dei giovani che hanno concluso il secondo ciclo di istruzione e formazione.

[134] I criteri di cui alla lett. a) sono i seguenti: gli I.T.S. devono essere ricompresi nei piani territoriali delle regioni, devono disporre di un patrimonio che garantisca la piena realizzazione di un ciclo completo di percorsi e l'avvio di uno successivo, nonché di risorse dedicate (strutturali, professionali, strumentali, logistiche) rese disponibili dai soci, tali da garantire una loro partecipazione attiva, e devono avere una rete di relazioni stabili con imprese e/o sistemi/organizzazioni di imprese in ambito interregionale e internazionale.

      Gli indicatori di cui alla lett. b) sono i seguenti: attrattività: selezione in ingresso (n. allievi iscritti /n. richieste di iscrizione); successo formativo (n. iscritti/n. allievi diplomati); occupabilità: tasso di occupazione coerente a 6 mesi e a 12 mesi dal conseguimento del titolo (n. occupati coerenti/n. iscritti); professionalizzazione/permanenza in impresa: numero di ore formative sviluppate in contesti di impresa; partecipazione attiva: ore docenza di personale di impresa/ore totali; ore sviluppate in laboratori di imprese o laboratori di ricerca/ore totali; ore docenza universitaria /ore totali; reti interregionali: numero di allievi; numero di ore sviluppate in imprese nazionali/estere; numero di formatori; numero di ore provenienti da imprese, istituzioni formative di altri regioni/Stati.    .

[135] I criteri e le modalità per l’applicazione degli indicatori illustrati nella nota precedente sono descritti nell’allegato tecnico “La valutazione dei percorsi ITS” dell’Accordo del 5 agosto 2014.

[136] Nel mese di febbraio 2015 sono stati presentati i risultati di una indagine promossa da Censis e Cnos-Fap sugli esiti occupazionali dei primi diplomati Its, quelli dei percorsi attivati nel periodo 2010-2011. Qui il comunicato stampa e qui il materiale presentato dalla curatrice della ricerca.

[137] In base all’art. 4, co. 2, del DM 436/2000, i percorsi IFTS avevano la durata minima di due semestri e massima di quattro semestri, per un totale rispettivamente di almeno 1.200 ore e non più di 2.400 ore. In base all’art. 9 dell’attuale DPCM 25 gennaio 2008, i percorsi IFTS hanno, di regola, durata annuale, per un totale di 800/1000 ore e sono finalizzati al conseguimento di un certificato di specializzazione tecnica superiore per rispondere a fabbisogni formativi riferiti ai settori produttivi individuati, per ogni triennio, con accordo in sede di Conferenza unificata.

[138] Nella seduta del 10 giugno 2014 la Commissione ha adottato come testo base il ddl A.S. 1260, che ridisegna il sistema dei servizi integrati dell'infanzia e qualifica i nidi quale servizi educativi di interesse generale, non più a domanda individuale. Esso propone un quadro normativo che: valorizza l'esperienza educativa dei bambini nei primi sei anni di vita nella sua continuità; definisce per tutti i servizi per l'infanzia, compresi i servizi in contesto domiciliare, e per le scuole dell'infanzia le età di accesso dei bambini e le principali caratteristiche funzionali; riconosce come princìpi fondamentali che assicurano la qualità dell'offerta ai bambini e alle famiglie: la partecipazione delle famiglie; l'unicità della dimensione di cura e di educazione negli interventi rivolti ai bambini; adeguati rapporti numerici tra personale educativo e bambini accolti nelle diverse fasce di età; la qualificazione a livello universitario e la formazione continua di tutto il personale educativo; la collegialità del lavoro educativo e il coordinamento pedagogico; indica i livelli essenziali di prestazione che devono essere raggiunti dai servizi prescolari stabilendo il progressivo riequilibrio tra aree territoriali; identifica le competenze dei diversi livelli istituzionali nel regolamentare, programmare, gestire e monitorare l'offerta educativa per i bambini da 0 a 6 anni;       riporta nelle competenze del MIUR la formazione dei bambini/e nel segmento 0-3 anni, oggi seguita, per quanto riguarda i servizi socio educativi per la prima infanzia, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

[139] Al Piano di Azione/Coesione e al contributo e alle azioni strategiche della programmazione 2014/20 è dedicato un capitolo del Rapporto di monitoraggio del Piano nidi al 31 dicembre 2013, che restituisce una fotografia aggiornata sullo sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia e propone alcuni contributi di approfondimento sulle prospettive di riforma.

[140] Il CNEL, nella recente relazione annuale “I livelli e la qualità dei servizi offerti dalle Pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini”, che dedica ampio spazio ai servizi educativi, ha ricordato gli sforzi compiuti in tale direzione anche dall’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza. In particolare, l’Autorità, sia attraverso il coordinamento di un percorso di lavoro avviato con un gruppo di associazioni (Agesci, Arciragazzi, Cnca, Cnoas, Cgil, Save the Children, UNICEF) riunite sotto il cartello Batti il cinque, che attraverso il coinvolgimento di esperti nella materia, sta elaborando un documento da cui partire per avviare il confronto e la discussione con i diversi soggetti istituzionali chiamati a occuparsi di questo tema.

[141] Si rinvia a OpenCivitas per visualizzare e confrontare il fabbisogno standard, la spesa storica e un insieme di indicatori per tutti i comuni e le province delle regioni a statuto ordinario.

[142] Sul punto, v. il Monitoraggio del Piano di sviluppo dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, nella sezione dedicata alla Rassegna della normativa delle regioni e delle province autonome pagg. 73-82.

[143] In precedenza, già l’art. 3, co. 2, della L. 341/1990, aveva previsto che per l’insegnamento nella scuola dell’infanzia occorreva la frequenza di uno specifico corso di laurea.

[144] L’indagine di Cittadinanzattiva sugli asili nido comunali ha rilevato che, nel 2014, in Italia l’asilo nido costa mediamente 309 euro al mese, con notevoli differenze territoriali fra nord, centro e sud. Il costo medio rappresenta il 12% delle uscite mensili di una famiglia tipo. Gli asili più costosi sono al nord (380 euro), seguiti dal centro (322 euro) e, infine, dal sud (219 euro). La regione più economica è la Calabria, con una tariffa media mensile di 139 euro, la più costosa la Valle D’Aosta, con in media 432 euro. Fra le province il primato dei costi più alti spetta a Lecco con 515 euro al mese, mentre Vibo Valentia è la più economica con 120 euro mensili.

[145] Nel previgente art. 117 Cost., invece, la materia “assistenza scolastica” era stata devoluta alla potestà legislativa concorrente, da svolgere nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi “cornice” dello Stato. All’attribuzione delle funzioni legislative corrispondeva (ex art. 118 Cost.) quella delle funzioni amministrative, il cui esercizio fu trasferito alle regioni con i DPR 3/1972 e 616/1977. In particolare, gli artt. 42 e ss. del DPR 616/1977 – il cui contenuto fu trasfuso nell’art. 327 del d.lgs. 297/1994 – definivano l’assistenza scolastica in termini molto ampi e la riferivano a tutti i livelli di istruzione (oltre che a tutti gli alunni delle istituzioni scolastiche pubbliche e private) e devolvevano le relative funzioni amministrative ai comuni. Sulla base di tali previsioni, le regioni adottarono normative di ampio respiro, che hanno finito per conferire all’assistenza scolastica i contorni del “diritto allo studio”. Dopo la riforma del titolo V, operato con la L. costituzionale 3/2001, in dottrina sono emerse due tesi in ordine al ricomprendere l’assistenza scolastica (e, quindi, il diritto allo studio) nella materia dell’istruzione (di competenza concorrente) ovvero – non essendo esplicitamente citato – tra le materie affidate alla potestà legislativa residuale delle regioni (ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.). Si veda, più ampiamente: Silvio Troilo, Il diritto allo studio fra Stato e regioni, in Federalismi.it n. 9/2012.

[146] I criteri per la ripartizione di tali somme tra le regioni e le province autonome e per l'individuazione dei beneficiari, in relazione alle condizioni reddituali delle famiglie, sono stati definiti con DPCM 14 febbraio 2001, n. 106.

[147] L'elaborazione di ogni prodotto deve essere affidata a un docente supervisore che garantisce, anche avvalendosi di altri docenti, la qualità dell'opera sotto il profilo scientifico e didattico, in collaborazione con gli studenti delle proprie classi in orario curriculare. L'opera didattica è registrata con licenza che consenta la condivisione e la distribuzione gratuite e successivamente inviata, entro la fine dell'anno scolastico, al MIUR e resa disponibile a tutte le scuole statali, anche adoperando piattaforme digitali già preesistenti prodotte da reti nazionali di istituti scolastici e nell'ambito di progetti pilota del Piano Nazionale Scuola Digitale dello stesso MIUR per l'azione Editoria Digitale Scolastica".

[148] La rete delle scuole italiane all’estero (infanzia, primaria, secondaria di primo e di secondo grado) comprende:

-      8 istituti statali onnicomprensivi con sede ad Addis Abeba, Asmara, Atene, Barcellona, Istanbul, Madrid, Parigi e Zurigo;

-      43  scuole italiane paritarie, la maggior parte delle quali è costituita da istituti onnicomprensivi, presenti in varie aree geografiche nel mondo, tra Europa, Africa-subsahariana, Mediterraneo e Medio Oriente, Americhe.

[149] L’art. 14, co. 1, lett. b), del D.L. 95/2012 ha previsto la riduzione di 776 unità (dal limite massimo di 1.400 a quello di 624) del personale da destinare alle scuole italiane all'estero, alle scuole europee e alle istituzioni scolastiche e universitarie estere.

[150] Secondo i dati forniti dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con riferimento all’a.s. 2014/2015, il contingente prevede 214 posti nelle 8 scuole statali, 36 unità in quelle paritarie, 90 unità nelle sezioni italiane presso scuole straniere, bilingui o internazionali, 28 posti di dirigente scolastico presso le Ambasciate e i Consolati.

[151] Più specificamente, l’art. 4, co. 58, della L. 92/2012 ha delegato il Governo alla definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e validazione degli apprendimenti acquisiti in contesti non formali e informali, con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze, mentre i co. da 64 a 68 hanno introdotto il sistema pubblico nazionale di certificazione delle competenze.

[152] Si ricorda che con il D.M. 26 settembre 2012, emanato in attuazione dell’articolo 6 del D.Lgs. 167/2011 (T.U. sull’apprendistato) è stato definito il sistema nazionale di certificazione delle competenze acquisite in apprendistato. Si evidenzia, inoltre, che l’art. 44 dello schema di decreto approvato dal Governo il 20 febbraio u.s., di cui si è già detto nella scheda di commento relativa all’art. 4 del testo in esame, prevede che le competenze acquisite dall'apprendista sono certificate dall’istituzione formativa di provenienza dell'allievo secondo le disposizioni di cui al D.lgs. 13/2013 (in particolare, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni disciplinati dallo stesso schema).