Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento bilancio | ||
Titolo: | I temi dell'attività parlamentare nella XVI legislatura - Finanza regionale e locale - Area n. 17 | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 17 | ||
Data: | 15/03/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | V-Bilancio, Tesoro e programmazione |
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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La XVI legislatura è stata caratterizzata da un importante intervento di riforma della finanza regionale e locale, diretto a dare attuazione al principio dell’autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito nel Titolo V della Costituzione: si tratta della disciplina del federalismo fiscale, mediante la quale è stato avviato un processo - che al termine della legislatura si presenta tuttavia ancora lontano dall'essere completato - per la ridefinizione degli assetti e delle potestà fiscali tra amministrazione centrale ed autonomie territoriali.
Un secondo aspetto che ha contraddistinto il tema della finanza regionale e locale è individuabile nella normativa intervenuta, con cadenza sostanzialmente annuale per tutto il periodo, sul Patto di stabilità interno: normativa la cui continua redifinizione è dipesa anche dalla necessità di realizzare - in un contesto economico e finanziario costantemente negativo per l'intero quinquennio - il concorso delle regioni e degli enti locali al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea, in presenza di vincoli via via più stringenti sia sui saldi finanziari che sul versante della spesa.
In stretta correlazione a tale questione, che ha portato all'introduzione di diverse misure per il contenimento dell'indebitamento degli enti territoriali, sono state altresì innovate, nell'ultimo anno di legislatura, le regole sui controlli operanti per regioni ed enti locali, anche con un potenziamento delle funzioni a tale scopo assegnate alla Corte dei conti. Diversi interventi legislativi, nonché di natura regolamentare ed amministrativa hanno infine avuto la finalità di risolvere il problema, oggetto anche di una specifica disciplina da parte dell'Unione europea, dei ritardi nei tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni, di particolare rilievo per quanto concerne le regioni e gli enti locali.
Dopo un ampio confronto tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali in ordine al riassetto dell’ordinamento finanziario e contabile delle autonome, e dopo un iter parlamentare durato quasi un anno, è stata approvata la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante una delega al Governo in materia di federalismo fiscale , in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione.
Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.
In questo quadro, uno degli obiettivi principali della legge è il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell’attribuzione di risorse basate sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.
A tal fine la legge stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica.
In attuazione della delega, nel corso della legislatura sono stati emanati nove decreti legislativi, che hanno realizzato la gran parte del progetto normativo delineato dalla legge n. 42 del 2009, senza che, tuttavia, possa al momento ritenersi completato il nuovo assetto del federalismo fiscale. Da un lato, infatti, alcuni aspetti fondamentali per la costruzione del nuovo assetto - quali la determinazione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nei settori diversi dalla sanità (ivi individuati nel 2001 come livelli essenziali di assistenza LEA ), ovvero l'individuazione dei fabbisogni standard - non sono ancora intervenuti, né, attesa anche l'oggettiva complessità tecnica delle questioni da risolvere, appaiono di prossima definizione. D'altro lato, il più significativo intervento attuativo della delega, vale a dire la nuova fiscalita' municipale , è stato più volte modificato, dopo l'entata in vigore del relativo decreto legislativo, mediante la decretazione d'urgenza, dando luogo ad un quadro normativo mutevole ed al momento ancora non a regime, come espone la complessa vicenda dell'imposta municipale propria (IMU) . Si tratta peraltro di un tema, quest'ultimo, sul quale ha inciso negativamente l'intensificarsi dell'emergenza finanziaria nell'ultima parte della legislatura,che ha posto nuove e pressanti necessità di reperimento di risorse e di realizzazione di risparmi di spesa. In altri casi,invece, come per l'attribuzione di parte del patrimonio statale agli enti territoriali (c.d. federalismo demaniale) e per le nuove competenze da attribuire a Roma capitale, il processo attuativo è stato rallentato dalla complessià degli interessi coinvolti e da regolare (vedi Ordinamento di Roma capitale e Il secondo decreto su Roma capitale) .
A conclusione della XVI legislatura il federalismo fiscale sembra pertanto presentare, quanto all'assetto normativo, un sistema di regole ancora da completare e (presumibilmente) da riconsiderare in alcuni punti e, per i profili attuativi, un quadro di adempimenti ancora in larga parte da produrre.
Sul versante del controllo della finanza degli enti territoriali, imposto anche ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti dall’ordinamento comunitario, lo strumento utilizzato è, come negli anni precedenti, il Patto di stabilita' interno .
Le regole del Patto di stabilità interno sono funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali quale concorso al raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l’adesione al Patto europeo di stabilità e crescita.
L’obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ha assunto valenza costituzionale con la nuova formulazione dell’articolo 119 della Costituzione, operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 volta ad introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, il quale, oltre a specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, prevede al contempo che tali enti sono tenuti a concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Nel corso della legislatura, nonostante le successive riscritture della disciplina applicativa, l’impostazione del Patto di stabilita' interno si è mantenuta incentrata, per gli enti locali, sul controllo dei saldi finanziari e, per le Regioni, sul principio del contenimento delle spese finali, secondo quella che era stata la tendenza della legislatura precedente.
Nel corso della legislatura, le regole per il raggiungimento degli obiettivi finanziari del patto di stabilità da parte delle regioni e degli enti locali - formulate in sede di manovra di finanza pubblica e inquadrate quali princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del quadro del titolo V della Costituzione - hanno subito un processo di graduale aggiustamento che ha portato ad una disciplina piuttosto consolidata con la legge di stabilità per il 2012.
Le successive revisioni delle regole del patto, pur confermando l’impianto generale della disciplina, sono state volte a superare le criticità connesse ai meccanismi di definizione degli obiettivi finanziari del patto di stabilità interno, soprattutto in una fase di recessione economica quale quella incontrata nel corso della legislatura, e alla diversa distruzione del peso complessivo dei vincoli finanziari fra gli enti territoriali soggetti al patto, anche sulla base del concetto di virtuosità .
Le principali innovazioni introdotte nel corso della XVI legislatura alla disciplina del patto di stabilità interno sono rappresentate dall’introduzione di un nuovo meccanismo di riparto dell’ammontare del concorso agli obiettivi di finanza pubblica tra i singoli enti, basato su criteri di virtuosità , e dalla definizione di meccanismi di flessibilita' nell’applicazione del patto di stabilità interno, soprattutto a livello regionale, che hanno consentito agli enti locali di poter disporre di maggiori margini per l’effettuazione di spese, in particolare in conto capitale, senza incorrere nella violazione del patto.
Ai fini del controllo della finanza regionale e locale, la disciplina del Patto di stabilità interno è stata affiancata da una serie di misure finalizzate al contenimento della spesa delle autonomie territoriali in relazione ai costi degli organismi politici e degli apparati amministrativi, alle spese di rappresentanza, nonché ai costi derivanti da duplicazione di funzioni.
Queste norme richiamano il principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dal Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea.
Per quanto concerne l’ indebitamento delle Regioni e degli Enti locali , il tema è venuto sempre più in rilievo nel corso della XVI legislatura, in presenza dell'obbligo del rispetto dei crescenti vincoli finanziari stabiliti dall'Unione europea, in base ai quali gli enti territoriali sono stati tenuti a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche attraverso il contenimento del proprio debito. Diverse misure di contenimento del debito degli enti medesimi sono state pertanto introdotte nel corso della legislatura, volte da un lato, a ridurre la dinamica crescente della consistenza del debito già in essere e, dall’altro, a ridurre fortemente la possibilità di ulteriore indebitamento degli enti, secondo una tendenza già evidente nella legislatura precedente.
Nell'ultimo anno di legislatura sul punto è intervenuta anche una disposizione della legge costituzionale n.1 del 2012: con essa l'articolo 119 della Costituzione è stato modificato nella parte relativa all'indebitamento e si è rinviato ad una ulteriore fonte normativa, poi costituita dall'articolo 10 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, la disciplina delle modalità di indebitamento degli enti territoriali .
Connessa a tale tema è inoltre la questione dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche , dovuta ai ritardi nei tempi di pagamento da parte delle Amministrazioni pubbbliche, riconducibile in parte prevalente a quelli delle amministrazioni regionali (per la spesa sanitaria) e locali, sulla quale nel corso del 2012 dopo l'adozione di alcuni decreti ministeriali, è poi intervenuto il decreto legislativo n. 192 del 2012, di recepimento della direttiva dell'Unione Europea sul contrasto ai ritardi nei pagamenti.
Va inoltre segnalato il rafforzamento del sistema dei controlli operato dal decreto-legge n. 174 del 2012, volto ad attribuire una maggiore incisività sia ai controlli interni che a quelli esterni degli enti territoriali. In particolare per ciò che concerne i controlli interni si introduce, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, con particolare riferimento alle societa' partecipate , ove non quotate. E’ stata inoltre ampliata consistentemente, per ciò che concerne i controlli esterni, la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che viene a comprendere, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione, nonché la verifica del funzionamento dei controlli interni di ciascun ente. Alla Corte è anche affidato un potere sanzionatorio nei confronti degli amministratori dell’ente locale.Si è altresì disposto che i controlli esterni siano esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche, autonomamente, dal Ministero dell’economia e finanze – RGS, il quale può procedere ad effettuare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo contabile in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario.
E' stata inoltre perseguita, con il citato decreto legge n. 174, la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali nonché una maggiore rappresentatività dei documenti di bilancio degli enti territoriali, al fine di includervi anche le partecipazioni societarie degli stessi.
Sulla finanza locale va infine rammentato che la Commissione V ha proceduto allo svolgimento di una apposita indagine conoscitiva con l'obiettivo, in particolare, di valutare le criticità emerse nelle precedenti legislature con riferimento al processo di superamento della natura derivata della finanza locale e del riconoscimento agli enti locali di entrate proprie di natura tributaria.Il 28 settembre 2010 è stato approvato il documento conclusivo .
In attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, recante i principi e i criteri direttivi per l'attuazione del federalismo fiscale, in riferimento all' articolo 119 della Costituzione, sono stati emanati nove decreti legislativi, finalizzati a definire il nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali. Il quadro attuativo della delega si presenta tuttavia in concreto ancora da completare e, nel corso dell'ultimo anno di legislatura, i contenuti di alcuni di tali decreti sono stati oggetto di numerose e significative modifiche operate mediante la legislazione ordinaria.
Il nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà , riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale.
A tal fine la legge n.42 del 2009 stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui sarà garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. Anche in considerazione dello spessore di tali questioni, e della complessità di individuarne le opportune soluzioni legislative, nel corso dell'esame parlamentare del provvedimento è stata condotta una ampia attivita' conoscitiva da parte delle Commissioni bilancio e finanze della Camera.
Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, ll legge distingue le spese che investono i diritti fondamentali di cittadinanza, quali sanità , assistenza, istruzione e quelle inerenti le funzioni fondamentali degli enti locali - per le quali si prevede l’integrale copertura dei fabbisogni finanziari - rispetto a quelle che, invece, vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.
Per le suddette funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni; le altre funzioni o tipologie di spese decentrate saranno invece finanziate secondo un modello di perequazione delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l’ordine delle rispettive capacità fiscali.
Un diverso trattamento, intermedio rispetto alle precedenti funzioni, è previsto per il trasporto pubblico locale, nonché per gli interventi speciali di cui al quinto comma dell’art. 119 della Costituzione.
Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle funzioni, si afferma, quale principio generale, che il normale esercizio di esse dovrà essere finanziato dalle risorse derivanti dai tributi e dalle entrate proprie di regioni ed enti locali, dalle compartecipazioni al gettito di tributi erariali e dal fondo perequativo.
A tal fine la legge reca i criteri direttivi volti a individuare il paniere di tributi propri e compartecipazioni da assegnare ai diversi livelli di governo secondo il principio della territorialità e nel rispetto dei principi di sussidiarietà , differenziazione ed adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, nonché le modalità di attribuzione agli stessi di cespiti patrimoniali. Ciò al fine di definire un quadro diretto a consentire l’esercizio concreto dell’autonomia tributaria da parte dei governi decentrati, nonché un adeguato livello di flessibilità fiscale.
Per quanto riguarda il sistema tributario complessivo dello Stato, dovrà essere salvaguardato l’obiettivo di non alterare il criterio della sua progressività , rispettando il principio della capacità contributiva ai fini del concorso alle spese pubbliche.
In linea generale, si stabilisce il principio in base al quale l’imposizione fiscale dello Stato deve essere ridotta in misura corrispondente alla più ampia autonomia di entrata di regioni ed enti locali.
Viene inoltre prevista l’attivazione di meccanismi di premialità dei comportamenti virtuosi ed efficienti – in termini di equilibri di bilancio, qualità dei servizi, contenuto livello della pressione fiscale e incremento dell’occupazione – ovvero sanzionatori per gli enti che non rispettano gli obiettivi di finanza pubblica, che possono giungere sino all’individuazione dei casi di ineleggibilità nei confronti degli amministratori responsabili di stati di dissesto finanziario.
In linea generale, l'attuazione della delega dovrà risultare compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto di stabilità e crescita europeo; dovrà inoltre essere evitata ogni duplicazione di funzioni e dunque di costi, nonché salvaguardato l'obiettivo di non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva.
La legge n. 42 delinea la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (21 maggio 2009) e in ventiquattro mesi il termine generale per l’adozione degli altri decreti. Tale termine è stato poi elevato a 30 mesi dalla legge 8 giugno 2011 n. 85 , venendo pertanto a scadenza il 30 novembre 2011. Essendo ormai decorso tale termine, risulta tuttavia possibile continuare ad intervenire sulla disciplina delegata, atteso che la legge n.42 stabilisce che entro il termine di tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo può adottare decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega. La procedura di adozione dei decreti correttivi è identica a quella disciplinata per i decreti su cui intervengono. Pertanto, il termine per l’espressione del parere da parte della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni parlamentari competenti per i profili di carattere finanziario è fissato in 90 giorni dalla trasmissione dello schema di decreto legislativo correttivo. Anche per i decreti correttivi trova applicazione, inoltre, la c.d. “procedura di crisi†(che ha trovato applicazione per il decreto legislativo n.23/2011 sul fisco municipale) in caso di difformità di valutazioni tra Governo e Commissioni: l’articolo 2, comma 4, della legge n.42 medesima dispone in proposito che qualora il Governo non intenda conformarsi ai pareri delle Commissioni parlamentari, è tenuto a ritrasmettere i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, rendendo comunicazioni al riguardo davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo.
Nel corso della XVI legislatura la legge delega ha trovato attuazione mediante l’emanazione di nove decreti legislativi, costituiti dai seguenti:
Non risulta ancora concluso l'iter di un ulteriore decreto legislativo correttivo in materia di ordinamento di Roma capitale, sul quale è stato espresso il 19 dicembre 2012 il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo ficale, e nei due giorni successivi i pareri delle Commissioni bilancio delle due Camere.
Una più compiuta esposizione del quadro normativo sull’ attuazione del federalismo fiscale è riportata nella quarta relazione semestrale sull’attuazione della legge delega sul federalismo fiscale, approvata dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 23 gennaio 2013.
Pur in presenza di un corpus normativo che ha sostanzialmente affrontato pressoché tutti gli aspetti indicati nella legge delega, il percorso attuativo del federalismo fiscale non può ritenersi completato, per due diversi ordini di ragioni.
La prima è rinvenibile nelle caratteristiche della legislazione delegata che in taluni casi, riproponendo anche per l’aspetto lessicale le disposizioni contenute nella legge delega (ad esempio in tema di funzioni fondamentali degli enti locali, ovvero su Roma capitale) non ha risolto alcune delle questioni normative poste dalla delega ed in altri è intervenuta sollevando numerose questioni di coordinamento sia tra i vari decreti (quali quello sul fisco municipale e sulla fiscalità regionale, rispettivamente n. 23 e n. 68 del 2011), che tra i decreti e la disciplina generale in vigore nella materia (ad esempio per il federalismo demaniale e per gli interventi speciali, rispettivamente decreti n. 85 del 2012 e n. 88 del 2011). Ma, più ancora, i provvedimenti emanati rinviano a numerosi altri interventi attuativi di rango secondario – decreti e regolamenti – che in molti casi non risultano emanati, e ciò anche in alcuni aspetti cruciali per l’implementazione della nuova disciplina, nei quali, potrebbe ritenersi, la delega ha posto obiettivi ambiziosi, la cui implementazione normativa risulta oggettivamente molto complessa: è il caso, soprattutto, della individuazione dei fabbisogni standard, i cui termini di conclusione sono stati più volte posposti. E l’assenza, al momento, dei fabbisogni in questione, unitamente alla ancora non intervenuta definizione con legge dei livelli essenziali delle prestazioni (nei settori diversi dalla sanità , ove peraltro la vigente disciplina è risalente al 2001) ai sensi dell’articolo 117, lettera m) della Costituzione, rende fortemente incompiuto il nuovo assetto federalista. Va infatti rammentato come la determinazione dei fabbisogni standard costituisca l’architrave della fiscalità federalista come delineata dalla legge n.42/2009, in quanto è alla base (sia per il complesso delle autonomie territoriali che per ogni singolo ente) della sequenza: costi standard, differenza tra fabbisogno/costo standard e risorse fiscali dell’ente, perequazione integrale, con il concorso dello Stato, del fabbisogno “scoperto†per quanto concerne i livelli essenziali delle prestazioni e perequazione “parziale†(riferita alla capacità fiscale) per le altre funzioni. Un altro rilevante tema concerne infine, la mancata attuazione del meccanismo di coordinamento finanziario dinamico della finanza pubblica posto dal “Patto di convergenza†di cui all’articolo 18 della legge n. 42, che peraltro, come si segnalerà anche di seguito su un’altra tematica, prefigura un complesso disegno concertativo multilivello tra Stato ed autonomie territoriali, la cui messa in opera è stata sicuramente ostacolata dal succedersi di crisi finanziarie che ha contraddistinto la legislatura. Ed inoltre, la concreta realizzazione della finanza decentrata presenta problemi tecnici di oggettiva complessità , che in molti casi hanno reso necessario, come nel caso dei fabbisogni standard, del funzionamento dei fondi perequativi per gli enti locali o dell’armonizzazione dei sistemi contabili la previsione di lunghi periodi transitori e/o di fasi di sperimentazione prima dell’entrata a regime. Alcuni provvedimenti, infine, stentano a trovare una soddisfacente implementazione a causa di inevitabili contrasti tra gli enti coinvolti, come nel caso dl federalismo demaniale o dei provvedimenti su Roma capitale (su cui non a caso si è giunti a tre decreti legislativi, il terzo in corso d’emanazione) che danno luogo a varie difficoltà amministrative ed ordinamentali.
La seconda ragione può indicarsi in quello che appare oggettivamente un ripensamento da parte del legislatore su alcune questioni importanti della delega evidenziatosi nell’ultimo anno di legislatura nel quale aspetti importanti della normativa federalista sono stati modificati con la legislazione oridinaria - a partire dal decreto-legge n. 201 del 2011 – vale a dire fuori dal procedimento previsto dalla delega medesima.
Tra le principali questioni emerge il tema delle funzioni delle province, per il quale, dopo le misure radicalmente innovative dettate dal decreto-legge n. 201 del 2011 (attribuzione alle province esclusivamente di funzioni di indirizzo e coordinamento dell’attività dei comuni e configurazione degli organi di tali enti, ridotti al presidente della provincia e al consiglio provinciale, come organi ad elezione indiretta), la materia è stata di nuovo oggetto di un rilevante intervento normativo con il decreto-legge n. 95 del 2012, con cui si è inteso effettuare un riordino complessivo di tali enti, che ne riducesse significativamente il numero, e si è rivista, anche modificando quanto disposto dal decreto-legge n. 201, la disciplina di organi e funzioni. Lo stesso decreto-legge, proprio in connessione con il riordino delle province, ha disposto l’istituzione delle città metropolitane e ne ha definito la disciplina a regime, abrogando la normativa per la loro istituzione dettata, sia pure in via transitoria, dall’articolo 23 della legge n. 42. Peraltro, la mancata conversione, anche a causa dello scioglimento delle Camere, del decreto-legge n. 188, con il quale si completava il procedimento di riordino delle province stabilito dal decreto-legge n. 95, e, tra l’altro, si puntualizzava la normativa relativa alle città metropolitane, ha lasciato che il disegno complessivo di riforma delle province e di istituzione delle città metropolitane, che era stato avviato, rimanesse incompiuto. La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012) ha pertanto rinviato al 31 dicembre 2013 il termine sia per il riordino delle province sia per la definizione delle modalità di elezione degli organi dell’ente, nonché sospeso fino alla medesima data il trasferimento ai comuni delle relative funzioni e l’applicazione della disciplina istitutiva delle città metropolitane.
Ancor più rilevante il tema dell'IMU per il quale, com’è noto, il decreto-legge n. 201 del 2011 nell’anticipare in via sperimentale l’applicazione dell’imposta al 2012, ne aveva modificato la disciplina (rispetto a come dettata dal decreto n. 23/2011) in misura molto significativa, per ragioni connesse in primo luogo all’emergenza finanziaria, estendendola alla prima casa ed incrementandone, mediante l’aumento delle rendite catastali, la base imponibile. Successivamente una diversa scelta è stata effettuata con la legge di stabilità per il 2013, che ha attribuito interamente ai comuni il gettito dell’imposta (ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che spetta allo Stato), con ciò per un verso ripristinando la configurazione dell’imposta come essenzialmente municipale, ma, per altro verso comportandone, al fine di assicurare la neutralità dell’intervento sotto il profilo dei rapporti finanziari tra Stato e comuni, rilevanti ricadute sul sistema perequativo definito dallo stesso decreto legislativo n. 23, con la soppressione del fondo sperimentale di riequilibrio e l’istituzione di un fondo di solidarietà comunale, che è alimentato con il gettito della stessa IMU spettante ai comuni (a differenza del fondo soppresso, la cui dotazione era costituita da un finanziamento a carico del bilancio dello Stato); ha inoltre comportato la sospensione, per i biennio 2013-2014 della devoluzione della fiscalità immobiliare ai comuni. Per valutare tale vicenda, che ha avuto un forte impatto sui contribuenti, va tuttavia tenuta presente l’emergenza finanziaria che, soprattutto a partire dalla seconda metà del 2011, ha reso urgente l’adozione di misure di consolidamento dei conti pubblici, nel cui ambito un ruolo rilevante riveste la spesa, ed i connessi meccanismi di finanziamento (devoluzione di imposte, trasferimenti e tributi propri) delle regioni e degli enti locali: emergenza che ha costituito un serio ostacolo al procedere del percorso della fiscalità regionale e locale.
Ulteriore questione (limitando la rassegna alle principali) investe infine disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali, dettata dal decreto legislativo n. 149 del 2011, che in alcuni dei suoi strumenti più significativi, quali la relazione di fine legislatura o di fine mandato e le verifiche della regolarità della gestione amministrativo-contabile, è rimasta inapplicata per i ritardi nell’adozione degli atti amministrativi previsti dallo stesso decreto legislativo e necessari per dare attuazione alle misure in esso contenute. Al fine di renderne le disposizioni immediatamente applicabili, superando in tal modo i ritardi e gli ostacoli registrati nella fase attuativa, si è intervenuto con il decreto legge n. 174 del 2012 sugli enti territoriali, che ha rivisitato profondamente le norme contenuto nel decreto legislativo in questione.
Ferme restando tali questioni, che ovviamente non esauriscono il novero delle problematiche poste dalla disciplina in esame, sembra più in generale ravvisarsi l’esigenza di pervenire alla definizione di un quadro normativo dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo certo e (possibilmente) stabile, atteso che nella parte finale della legislatura i ripetuti interventi legislativi, anche a breve distanza di tempo, operati prevalentemente mediante la decretazione d’urgenza, hanno determinato su alcuni temi importanti della disciplina attuativa della legge delega situazioni di precarietà ed incertezza.
1. - Legge delega 5 maggio 2009, n. 42
1.1 - Federalismo demaniale
1.2 - Ordinamento transitorio di Roma capitale
1.3 - I fabbisogni standard degli enti locali
1.4 - Federalismo municipale
1.5 - Federalismo regionale, provinciale e costi e fabbisogni standard sanitari
1.6 - Interventi per la rimozione degli squilibri economici-sociali
1.7 - Armonizzazione dei sistemi contabili delle regioni e degli enti locali
1.8 - Le sanzioni ed i premi relativi a regioni ed enti locali
1.9 - Roma capitale
Relazione semestrale sull'attuazione della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale
Il 17 marzo 2010 è stata costituita, con l'elezione dell'ufficio di presidenza, la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale. La Commissione, composta da 15 deputati e 15 senatori, ha il compito di esprimere il parere sugli schemi dei decreti legislativi che daranno attuazione al federalismo fiscale
Il 17 marzo 2010 si è costituita la Commissione parlamentare prevista dall’articolo 3 della legge n. 42 del 2009, legge-delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale. In tale data infatti la Commissione ha proceduto all’elezione dei due vicepresidenti e dei due segretari; il presidente era già stato precedentemente nominato dai Presidenti del Senato e della Camera, d’intesa fra loro, sulla base di quanto dispone la legge n. 42 medesima.
La Commissione, composta da quindici senatori e da quindici deputati, è configurata come un organo con funzioni consultive, in quanto ha il compito di pronunciarsi sugli schemi dei decreti legislativi attuativi della delega.
Oltre a tale funzione, viene affidato alla Commissione il compito di verificare lo stato di attuazione della riforma (riferendone ogni sei mesi alle Camere); la Commissione, inoltre ha una specifica e significativa funzione propositiva: sulla base dell'attività conoscitiva svolta, essa può infatti formulare osservazioni e fornire al Governo elementi di valutazione utili alla predisposizione degli schemi dei decreti legislativi.
In considerazione della complessità che riveste la materia del federalismo fiscale, mediante la cui attuazione la legge n. 42 mira alla complessiva ridefinizione dei rapporti finanziari tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali (con il passaggio di un sistema di finanza derivata ad un assetto che prevederà una consistente autonomia fiscale per gli enti decentrati), l’attività della Commissione parlamentare si inserisce in un complesso di rapporti interistituzionali con altri organi appositamente istituiti dalla legge in esame.
Si tratta in particolare:
La legge delega sul federalismo fiscale prefigura in tal modo una complessa rete di interrelazioni fra i vari organi istituzionali, posto che la Commissione parlamentare può ottenere, ai fini della verifica dello stato di attuazione della riforma, tutte le informazioni necessarie, sia dalla Commissione paritetica che dalla Conferenza permanente sopradette.
La Commissione inoltre assicura il raccordo con le Regioni e gli enti locali grazie ad un Comitato esterno di rappresentanti delle autonomie territoriali: un organismo tecnico non parlamentare appositamente istituito, composto da dodici membri.
La legge n. 42 delinea la procedura di adozione ed esame parlamentare dei decreti legislativi attuativi, fissando il termine per l’adozione di almeno uno di essi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa (21 maggio 2009) e in ventiquattro mesi il termine generale per l’adozione degli altri decreti. Tale ultimo termine è stato prorogato di sei mesi dalla legge 8 giugno 2011, n 85.
Entro il 30 giugno 2010, il Governo è chiamato a trasmettere alle Camere la relazione contenente dati sulle implicazioni e le ricadute di carattere finanziario conseguenti all’attuazione della delega, nel quale fornire un quadro generale del finanziamento degli enti territoriali e sulla struttura dei rapporti finanziari tra i diversi livelli di governo. La Relazione, presentata alle Camere il 30 giugno 2010 (Doc. XXVII, n. 22), è stata assegnata alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale - nonché alle Commissioni bilancio di ciascuna Camera - che ne ha effettuato l'esame.
Gli schemi di decreto, ciascuno dei quali deve essere corredato di una relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti finanziari, sono adottati dal Governo, previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali e successivamente trasmessi alle Camere per l’espressione del parere da parte:
All’adozione dei decreti si può peraltro procedere anche qualora non venga raggiunta l’intesa in sede di Conferenza unificata: in tal caso, e trascorsi trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza in cui gli schemi di decreto legislativo sono posti all’ordine del giorno, il Consiglio dei ministri può comunque deliberare la trasmissione alle Camere, approvando contestualmente una relazione in cui vengono motivate le ragioni per cui l’intesa non è stata raggiunta.
Sia la Commissione bicamerale che le Commissioni bilancio sono
chiamate a esprimersi entro 60 giorni (prorogabili di ulteriori 20
giorni) dalla trasmissione dei testi; decorso tale termine, i decreti
possono essere comunque adottati. La citata legge n.85 del 2011 ha esteso a 90 giorni il termine per il parere, sopprimendo contestualmente la facoltà di proroga
E’
inoltre prevista l'ipotesi in cui il Governo non intenda conformarsi ai
pareri parlamentari: in tal caso esso trasmette nuovamente gli schemi
alle Camere con le relative osservazioni ed eventuali modificazioni,
rendendo a tal fine comunicazioni davanti a ciascuna Camera; trascorsi
30 giorni da tale trasmissione, i decreti legislativi possono essere
adottati.
E' all'esame delle Camere la Relazione prevista dall'articolo 2 della legge delega n.42 del 2009 sul federalismo fiscale, che riporta il quadro complessivo di finanziamento degli enti locali e reca alcune indicazioni sui rapporti finanziari e su possibili distribuzioni delle risorse tra Stato, regioni ed enti locali, alla luce di quanto prevede la legge n. 42 medesima
L’articolo 2, comma 6, della legge delega sul federalismo fiscale prevede che entro il 30 giugno 2010 il Governo trasmetta alle Camere una relazione concernente:
La relazione, predisposta dal Governo nel termine suindicato, è stata assegnata alla Commissione parlamentare per l‘attuazione del federalismo fiscale (nonché alle Commissioni bilancio di ciascuna Camera) che ne ha iniziato l’esame (Doc. XXVII, n. 22).
Va rammentato che la legge n. 42 dispone espressamente che tale relazione debba essere trasmessa alle Camere prima degli schemi di decreto legislativo concernenti i tributi, le compartecipazioni e la perequazione degli enti territoriali. Essa pertanto, in sostanza, ha la funzione di delineare il quadro generale, sia sui dati fiscali che sui possibili percorsi legislativi, nel cui ambito andranno attuati i trasferimenti di autonomia impositiva dallo Stato alle autonomie territoriali previste dalla legge stessa.
Nell’effettuare una ricostruzione normativa della finanza locale in Italia, la Relazione evidenzia il carattere di finanza derivata che connota l’attuale assetto della finanza regionale e locale, le cui entrate, derivano in buona parte da tributi di cui è titolare lo Stato e da trasferimenti dal bilancio centrale. Ciò comporta che i governi locali hanno il potere di spesa ma non il dovere di reperire le corrispondenti risorse mediante imposte. Così esse sono, osserva la Relazione, fiscalmente irresponsabili.
Oltre a tale questione, vengono evidenziate ulteriori anomalie presenti nel sistema Italia:
Nel rammentare l’importanza del primo intervento finora effettuato con l’approvazione del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85 sul c.d. federalismo demaniale , volto ad attribuire i beni ai territori dove questi hanno avuto la loro origine storica e dove hanno la loro ubicazione fisica, allo scopo di valorizzare il patrimonio pubblico, la Relazione prefigura le prossime azioni, che vengono così individuate:
La Relazione sottolinea quindi la necessità di attuare il processo federale garantendo la stabilità finanziaria, in coerenza con i nuovi meccanismi dell'area dell'euro e le nuove regole del patto rafforzato di stabilità e crescita europeo, e conclude affermando che il federalismo fiscale appare l'unico strumento legislativo idoneo a superare le anomalie di funzionamento e le inefficienze di spesa prodotte dall'attuale sistema di fiscalità delle autonomie territoriali.
In merito alle azioni suindicate, si ricorda che in data 8 settembre 2010 è stato assegnato alla Commissione parlamentare per federalismo fiscale lo schema di decreto legislativo - Atto del Governo n. 240 - recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province.
Con l'emanazione del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, recante "Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42." (c.d. federalismo demaniale), è stato iniziato il percorso di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale.
E' stato emanato il primo provvedimento di attuazione della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, costituito dal decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85( in G.U. n.134 dell'11 giugno 2010)concernente il federalismo demaniale.
Il decreto prevede l'individuazione dei beni statali che possono essere attribuiti a comuni, province, città metropolitane e regioni, operata attraverso uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, e la successiva attribuzione dei beni agli enti medesimi.
Lo Stato, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso secondo i criteri di territorialità , sussidiarietà , adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonchè valorizzazione ambientale.
L'ente territoriale, a seguito dell'attribuzione, dispone del bene nell'interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorirne la "massima valorizzazione funzionale". I beni trasferiti possono peraltro anche essere inseriti dalle regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione; la deliberazione dell’ente territoriale di approvazione del piano di alienazioni e valorizzazioni dovrà tuttavia essere trasmessa ad una apposita conferenza di servizi volta ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni necessari alla variazione di destinazione urbanistica dei beni. Inoltre i beni trasferiti in attuazione del decreto che entrano a far parte del patrimonio disponibile degli enti territoriali possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l’adozione delle varianti allo strumento urbanistico, ed a seguito di apposita attestazione di congruità rilasciata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio. Resta comunque riservata allo Stato la dichiarazione dell’eventuale passaggio al patrimonio dei beni demaniali trasferiti agli enti territoriali.
Il decreto dispone il trasferimento alle regioni, entro 180 giorni, dei beni del demanio marittimo e del demanio idrico, salvo i laghi chiusi privi di emissari di superficie che insistono sul territorio di una sola provincia, che dovranno essere trasferiti alle province, nonché delle miniere di materiali solidi (vale a dire che non comprendono i giacimenti petroliferi e di gas e i siti di stoccaggio di gas naturale): queste ultime, inizialmente trasferite alle province,sono state poi destinate alle regioni ad opera del decreto-legge n.83 del 2012. Una quota dei proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico trasferito è destinata da ciascuna regione alle province, sulla base di una intesa conclusa fra la regione e le singole province sul cui territorio insistono i medesimi beni del demanio idrico.
I beni oggetto del trasferimento vengono inseriti in appositi elenchi adottati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata, da emanare entro 180 giorni. Successivamente, le regioni e gli enti locali che intendono acquisirli sono tenuti a presentare un’apposita domanda di attribuzione, con annessa relazione, all’Agenzia del demanio. A seguito del D.P.C.M. di trasferimento, i beni demaniali e patrimoniali dello Stato indicati dall’art. 5 – salvo alcune eccezioni - entrano a far parte, con pertinenze ed accessori, del patrimonio disponibile degli enti pubblici territoriali; questi ultimi si fanno carico, a seguito del trasferimento, degli eventuali oneri e pesi di cui è gravato il bene.
L’articolo 5 individua le tipologie dei beni immobili statali potenzialmente trasferibili, tra i quali sono annoverati i beni appartenenti al demanio marittimo, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali; i beni appartenenti al demanio idrico con specifiche esclusioni, gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale; le miniere ubicate su terraferma, nonchè altri beni immobili dello Stato e, da ultimo (secondo quanto disposto dall'articolo 4 del decreto-legge n.70/2011) i beni che siano oggetto di intese tra Stato ed enti territoriali alla data di entrata in vigore del decrto legislativo. Sono in ogni caso esclusi dal trasferimento, tra gli altri, gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni pubbliche; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche e le strade ferrate in uso;i parchi nazionali e le riserve naturali statali, nonché i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato, alla Camera, alla Corte Costituzionale e agli organi di rilevanza costituzionale.
Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati è previsto uno specifico meccanismo sanzionatorio, in base al quale il Governo esercita il proprio potere sostitutivo al fine di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento in un apposito patrimonio vincolato, entro il quale con apposito DPCM dovranno, altresì, confluire i beni per i quali non sia stata presentata la domanda di attribuzione.
Il decreto legislativo reca altresì disposizini finalizzate alla valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare, prevedendo a tal fine che i beni trasferiti agli enti territoriali possano essere conferiti ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, sulla base di un valore la cui congruità dovrà essere attestata da parte dell’Agenzia del demanio o dell’Agenzia del territorio; è stata data inoltre alla Cassa depositi e prestiti la facoltà di partecipare ai predetti fondi. Va tenuto presente che in seguito su tale materia è intervenuto l'articolo 23-ter del decreto-legge n.95/2012 (convertito dalla legge n.135/2012), nel quale si prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze promuovo, attraverso società di gestione del risparmio (SGR) la costituzione di uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, cui trasferire immobili di proprietà dello Stato non più utilizzati per finalità istituzionali (c.d. Fondo diretto) ovvero non più utilizzati dal Ministero della difesa (c.d. Fondo difesa) suscettibili di valorizzazione. Contestualmente tale decreto-legge ha abrogato alcune disposizioni del presente decreto legislativo che , non avendo al momento ancora avuto seguito, risultavano di fatto inoperanti, tra cui le norme sui cosiddetti "beni inoptati", nonché la procedura prevista dall'articolo 7 dello stesso per l'adozione di DPCM biennali di beni che via via si rendessero disponibili per ulteriori trasferimenti.
E' stata altresì introdotta una procedura per l’adozione di DPCM biennali di attribuzione di beni eventualmente resisi disponibili per ulteriori trasferimenti a decorrere dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, nonché una procedura di consultazione preventiva per l’utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali, in base alla quale essi possono procedere a consultazioni tra di loro e con le amministrazioni periferiche dello Stato.
E' stata inoltre introdotta la previsione di una intesa in sede di Conferenza Unificata ai fini della determinazione delle modalità per la riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e agli Enti locali contestualmente e in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente alla adozione dei decreti di attribuzione dei beni. Per le spese relative ai beni trasferiti è stata, inoltre, prevista l’esclusione dai vincoli relativi al patto di stabilità interno per un importo corrispondente alle spese già sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni trasferiti.
Si prevede infine un vincolo di destinazione dei proventi netti derivanti a ciascuna Regione ed Ente locale dalla eventuale alienazione dei beni trasferiti, prevedendo che tali proventi, per un ammontare pari al 75%, siano destinati alla riduzione del debito dell’ente e, solo in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento; la residua quota del 25% viene destinata al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
Al momento il quadro attuativo del decreto legislativo si presenta fortemente critico, atteso che, benchè sia in corso la predisposizione di alcuni degli schemi di D.P.C.M. previsti dallo stesso, il processo di attribuzione dei beni da parte dello Stato nei confronti delle Regioni e degli enti locali non ha ancora avuto inizio. Ciò in quanto, ad eccezione di alcune circolari dell'Agenzia del Demanio in ordine alla compilazione degli elenchi dei beni statali trasferibili, nessuno dei richiesti provvedimenti attuativi è stato finora emanato, e la mancanza, in particolare, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sull'elenco dei beni da trasferire e del decreto del Direttore dell'Agenzia del Demanio sui beni esclusi da tale elenco non consente che si avvii il trasferimento dei beni medesimi.
Lo stato di attuazione delle disposizioni recate dal provvedimento è stato esposto dal Governo il 15 febbraio 2012 , in risposta all'interrogazione n. 5-06161 presso la Commissione finanze della Camera;
Poiché rispetto al quadro attuativo ivi descritto non sono finora ravvisabili significative novità , si ritiene utile riportare qui un ampio stralcio dei quanto ivi rapresentato dal Governo, nella parte in cui si espongono le difficoltà che si presentano nell'attuazione del decreto legislativo in questione.
In particolareil Governo evidenzia che “la tempistica del processo, come scandita dal decreto legislativo n. 85 del 2010, prevede tempi massimi di ottemperanza delle diverse prescrizioni, e non tiene conto dei tempi tecnici di pubblicazione in Gazzetta dei vari provvedimenti attuativi. Peraltro la necessità della concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'acquisizione delle prescritte intese ovvero dei pareri, ha comportato una dilatazione dei tempi del procedimento.
A tal proposito si rileva che, nonostante le istanze degli enti territoriali siano state sempre oggetto di confronto e valutazione, anche nel corso dei diversi incontri tecnici svoltisi sul tema, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 5, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 85 del 2010 (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza, non ha tuttavia registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta.
Analogamente, lo schema di decreto del Direttore dell'Agenzia del demanio, recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3), ha riportato il parere negativo della Conferenza.
A quanto sopra aggiungasi che il processo di individuazione e di attribuzione in questione, come delineato dal decreto legislativo n. 85 del 2010, comporta il coinvolgimento non solo dell'Agenzia del demanio, ma di tutte le amministrazioni che attualmente curano la gestione dei vari beni (in particolare, il Ministero della difesa per i beni militari, il Ministero delle infrastrutture e l'Enac per i beni aeroportuali, il Ministero dello sviluppo economico e dell'Ambiente per le miniere e i beni del demanio idrico, eccetera). Nel delineato contesto, segnato anche dal mutamento della compagine governativa, la complessa procedura di formazione e di concertazione degli schemi di provvedimento previsti dalla normativa primaria, ha peraltro portato alla predisposizione di una serie di schemi di provvedimenti, tuttora in fase di definizioneâ€.
In attuazione della delega per la disciplina dell'ordinamento transitorio di Roma capitale, contenuta nella legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, sono stati emanati due decreti legislativi: il D.Lgs. n. 156 del 2010 per la parte relativa agli organi di governo, cioè l'Assemblea capitolina, la Giunta capitolina e il Sindaco; il D.Lgs. n. 61 del 2012 per la disciplina del conferimento di funzioni amministrative a Roma capitale.
Il decreto legislativo n. 156 del 2010 in materia di ordinamento provvisorio di Roma capitale, è stato il primo provvedimento ad essere emanto in attuazione della delega prevista dall’art. 24 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Tale delega, da attuare con uno o più decreti legislativi, riguarda l’ordinamento provvisorio, anche finanziario, di Roma capitale e configura, in luogo del comune di Roma, l'ente territoriale “Roma capitaleâ€. Questo ente è dotato di una speciale autonomia; ad esso la legge n. 42 del 2009 attribuisce, oltre a quelle svolte attualmente, ulteriori funzioni amministrative, relative alla valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali, allo sviluppo del settore produttivo e del turismo, allo sviluppo urbano, all’edilizia pubblica e privata, ai servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità , e alla protezione civile. La stessa legge, inoltre, prevede che siano assegnate risorse ulteriori, in considerazione del ruolo di capitale della Repubblica e delle nuove funzioni ad essa attribuite e la determinazione dei principi generali per l’attribuzione al nuovo ente territoriale di un nuovo patrimonio.
Le disposizioni recate dall’articolo 24 in materia di ordinamento di Roma capitale hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte†in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che, ex articolo 23 della stessa legge n. 42/2009, sarà determinata con apposito decreto legislativo. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo 24 e dai relativi decreti delegati non dovrebbero perdere efficacia ma andare, per così dire, a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale. La suddetta disciplina organica non è poi stata emanata entro i termini di scadenza della delega, e la nuova disciplina sulle città metropolitane è stata dettata con una diversa fonte legislativa, costituita dall'articolo 18 del decreto-legge n.95 del 2012 (convertito dalla legge n.135 del 2012), che ha contestualmente abrogato sia l'articolo 23 sia le disposizioni (commi 9 e 10) dell'articolo 24 relativi all'applicazione a Roma capitale delle norme sulle città metropolitane. In assenza di espressi rinvii normativi tra le due fonti non risulta al momento chiaro il rapporto tra l'ordinamento di Roma capitale dettato dal presente decreto legislativo (nonché dal successivo secondo decreto sull'ente, il n.61 del 2012) e la disciplina generale sulle città metropolitane derivante dal decreto-legge 95/2012 predetto (la cui applicabilità è stata peraltro sospesa fino al 31 dicembre 2013 dalla legge di stabilità 2013, n.228/2012), benchè sembrerebbe comunque presumibile, ad una prima valutazione, che l'ordinamento risultante dai due decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale dvrebbe comunque permanere, se necessario con gli opportuni coordinamenti normativi, nella disciplina generale derivante dal decreto-legge n.95.
Venendo al contenuto del decreto legislativo n. 156, si rappresenta chelo stesso attua la delega limitatamente alla disciplina degli organi di governo di Roma capitale, individuati nell’Assemblea capitolina, nella Giunta capitolina e nel Sindaco.
L’Assemblea capitolina, organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo, è composta dal Sindaco e da 48 consiglieri e presieduta da un Presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta. Tra le competenze dell’Assemblea capitolina vi è la deliberazione dello statuto di Roma capitale, nonché l’adozione di regolamenti per la disciplina delle funzioni amministrative assegnate dalla legge sul federalismo fiscale a Roma capitale, che dovranno essere specificate in un successivo decreto legislativo.
Il Sindaco è il responsabile dell’amministrazione di Roma capitale e la Giunta, composta da assessori nominati dal Sindaco nella misura di un quarto dei consiglieri dell’Assemblea capitolina, collabora con il Sindaco per il governo di Roma capitale.
Il decreto n. 156/2010 conferisce e disciplina lo status di amministratori di Roma capitale ai consiglieri dell’Assemblea capitolina, agli assessori della Giunta capitolina e al Sindaco.
I confini di Roma capitale, secondo le previsione della legge sul federalismo fiscale, sono quelli del comune di Roma; secondo l’art. 24 della medesima legge, quando sarà attuata la disciplina delle città metropolitane, prevista dall’art. 23 della stessa legge, le disposizioni illustrate si intenderanno riferite alla città metropolitana di Roma capitale.
Il provvedimento prevede che, per quanto non espressamente stabilito, alla materia si applichino le vigenti disposizioni del decreto legislativo n. 267 del 2000 recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), nonché ogni altra disposizione di legge.
Lo schema del decreto legislativo è stato esaminato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che ha espresso il proprio parere il 16 settembre 2010, formulando una serie di condizioni, poi recepite nel testo definitivo del provvedimento, tra cui quella di subordinare l'applicabilità di alcune disposizioni all'entrata in vigore del decreto legislativo sulle nuove funzioni di Roma capitale.
A completare la disciplina del nuovo ente territoriale, è stato poi emanato il decreto legislativo n. 61 del 2012, che viene specificamente commentato anche in un ulteriore approfondimento, cui comunque si rinvia. Il secondo decreto legislativo su Roma capitale disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall’articolo 24, comma 3, della legge delega n. 42/2009, prevedendo a tal fine l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale, che è chiamata a coordinare tutte le attività (anche di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, Mibac) di valorizzazione, decidendo il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l’immagine di Roma capitale. A Roma capitale sono poi conferite le funzioni amministrative concernenti il concorso alla valorizzazione dei beni presenti nel territorio della stessa ma appartenenti allo Stato. Ulteriori conferimenti concernono le funzioni in materia di turismo, nel cui ambito Roma capitale potrà avvalersi anche degli uffici statali per la promozione turistica all’estero, e di fiere, nonché di protezione civile, con l’attribuzione delle funzioni amministrative inerenti l’emanazione di specifiche ordinanze.
La necessità di una sede permanente di coordinamento dei nuovi assetti determinati dalla nuova disciplina trova riscontro nella previsione di una apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, il cui scopo è quello di assicurare il “raccordo istituzionale†tra Roma capitale, Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma. In tutti i casi in cui la Conferenza debba occuparsi di materie di interesse per Roma capitale, il Sindaco della stessa partecipa alle relative sedute.
Roma capitale:
Legislazione comparata:
Il decreto legislativo sui fabbisogni standard degli enti locali (D.Lgs. 26 novembre 2010, n. 216) dà attuazione ad alcune disposizioni della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che definisce il fabbisogno standard come l'indicatore che, coniugando efficienza ed efficacia, dovrà consentire la valutazione dell'azione pubblica.
Nel decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, i fabbisogni standard costituiscono i nuovi parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica.
Tale superamento costituisce uno dei punti cardine del nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali delineato dalla legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, incentrato sull’abbandono del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a enti locali e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale.
I criteri generali di delega recati dalla legge n. 42/2009 prevedono il superamento del criterio della spesa storica in favore di nuovi parametri ai quali ancorare il finanziamento delle spese degli enti territoriali, che sono il “fabbisogno standardâ€, per il finanziamento delle funzioni fondamentali, e la “perequazione della capacità fiscaleâ€, per il finanziamento delle altre funzioni.
Pertanto, il nuovo sistema di ripartizione delle risorse nei confronti degli enti territoriali dovrà essere basato sull’individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali.
Si rammenta che, secondo la definizione data dalla legge delega, il fabbisogno standard “valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblicaâ€. Sulla base di tale espressa indicazione legislativa il fabbisogno standard appare dunque costituire il livello ottimale di un servizio valutato a costi standard.
Il computo delle occorrenze finanziarie derivanti dai fabbisogni standard andrà effettuato rispetto alle funzioni fondamentali dei comuni e delle province, che vengono espressamente individuate sia per i comuni che per le province (funzioni generali di amministrazione, di polizia locale, viabilità , istruzione pubblica ed altre). A tal fine andranno altresì stabiliti gli obiettivi di servizio connessi ai livelli essenziali delle prestazioni da erogare. La metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce una operazione tecnicamente complessa, per la cui effettuazione il decreto definisce una serie di elementi da utilizzare, ed in particolare:
La procedura di messa in pratica di tale metodo è affidata alla Società per gli studi di settore – S.O.S.E. s.p.a., società per azioni che opera per la elaborazione degli studi di settore. A tal fine la società potrà avvalersi dell’ Istituto per la finanza e per l’economia locale IFEL, nonchè dell'ISTAT.
Le metodologie risultanti dall'attività della SOSE dovranno essere sottoposte alla valutazione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, nonchè del Ministero dell'economia e delle finanze.
Viene poi prevista una specifica procedura per la pubblicazione sia della nota metodologica della procedura di calcolo sia dei fabbisogni standard per ciascun ente locale, ai cui fini si dispone che ciascun schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, verificato dai competenti organi del Ministero dell'economia e delle finanze e corredato di relazione tecnica che ne evidenzi gli effetti finanziari, venga sottoposto al parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ed a quello delle Commissioni bilancio delle due Camere.
E' inoltre previsto che gli enti locali virtuosi possano trarre beneficio dalla propria efficienza, stabilendosi che, fermo restando il rispetto degli obiettivi di servizio e di erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la differenza positiva, eventualmente realizzata in ciascun anno finanziario, fra il fabbisogno standard e la spesa effettiva dell'ente locale sia acquisita dal bilancio dell'ente medesimo.
Viene infine stabilito un periodo transitorio, dall’anno 2011 all’anno 2013, per l’applicazione del criterio di finanziamento basato sui fabbisogni standard a tutte le funzioni fondamentali, cui segue poi un successivo triennio per l’entrata a regime del nuovo sistema. In ciascuno degli anni predetti i fabbisogni individuati, relativi per ognuno degli anni medesimi ad almeno un terzo delle funzioni fondamentali, entreranno in vigore dal 1° gennaio dell'anno successivo, con conclusione dell'entrata a regime, quindi, decorso il triennio transitorio, al 2017.
La disciplina dettata dal decreto legislativo n. 216/2010 è stata modificata in due aspetti, il primo relativo ai termini di conclusione del procedimento di determinazione dei fabbisogni ed il secondo concernente le funzioni oggetto dei fabbisogni medesimi. E' stato inoltre predisposto un primo provvedimento per l'individuazione degli stessi. In particolare:
1) termini di conclusione
Il vigente testo del decreto legislativo, più volte modificato sul punto, stabilisce che entro il 31 marzo 2013 verranno determinati i fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2013, riguardo ad almeno due terzi delle funzioni fondamentali degli enti locali, e che nel 2013 verranno determinati i fabbisogni standard, che entreranno in vigore nel 2014, riguardo a tutte le funzioni medesime (in entrambi i casi con un processo di gradualità diretto a garantirne l'entrata a regime nell'arco del triennio successivo). Successivamente - ma senza modificare testualmente le norme del decreto, l’articolo 1-bis del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 (convertito dalla legge n.94 del 2012), ha inteso anticipare i termini di conclusione del procedimento di determinazione dei fabbisogni standard rispetto a quanto previsto dal D.Lgs. n. 216, stabilendo che ai fini della revisione della spesa pubblica, ed in particolare in campo sanitario, sulla base delle procedure previste dal decreto legislativo medesimo (fabbisogni standard di province e comuni) e dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011 (livelli essenziali di assistenza e livelli essenziali delle prestazioni), il Governo debba pubblicare i relativi dati entro il 31 dicembre 2012 e ridefinire i tempi per l’attuazione dei decreti di determinazione dei fabbisogni medesimi entro il 30 aprile 2013, in tal modo anticipando il vigente termine del 31 dicembre 2013.
Per quanto concerne invece i livelli essenziali delle prestazioni di competenza regionale previsti dal D.Lgs. n. 68/2011, pur in presenza della nuova tempistica di determinazione dei fabbisogni stabilita dall’articolo 1-bis del D.Lgs. n. 216, rimane ferma la necessità che i LEP siano comunque fissati con legge, sulla base di quanto dispone l’articolo 13 del medesimo D.Lgs. n. 216. Sulla materia è intervenuto altresì il comma 25-ter dell’articolo 15 del D.L. n. 95 del 2012, prevedendo che in relazione alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 68 del 2011, il Governo provveda all'acquisizione e alla pubblicazione dei relativi dati entro il 31 ottobre 2012, nonché a ridefinire i tempi per l'attuazione del medesimo decreto nella parte relativa ai costi e fabbisogni standard nel settore sanitario, entro il 31 dicembre 2012, termine ormai decorso.
2) funzioni fondamentali
Sulle funzioni degli enti locali il quadro normativo è stato reso incerto da disposizioni che sono successivamente intervenute sul punto senza tuttavia recare alcun raccordo con il D.Lgs. n. 216/2010, nei termini seguenti.
Il comma 1 dell'articolo 19 del decreto-legge n. 95 del 2012 individua le funzioni fondamentali dei comuni in conformità all’art. 117, comma secondo, lett. p), della Costituzione, che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza normativa in materia. L’individuazione delle funzioni fondamentali è compiuta attraverso una modifica dell’articolo 14, comma 27, del D.L. n. 78 del 2010, che aveva definito le stesse funzioni mediante rinvio all’articolo 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009, il quale, a sua volta, aveva definito le funzioni fondamentali dei comuni solo in via provvisoria ed esclusivamente ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard disciplinato dal medesimo decreto legislativo. Il comma 1, lett. a), dell’articolo 19, reca un’individuazione di funzioni fondamentali non marcata da finalità specifiche o transitorie, bensì a regime. Essa comprende sia funzioni strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia funzioni dirette alla comunità territoriale. Esso inoltre ha modificato il riparto di attribuzione tra comune e provincia della funzione di edilizia scolastica ed a individuato una nuova funzione per i comuni, rappresentata dai servizi in materia statistica.
Appare superfluo rammentare come l’individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni assuma un’importanza basilare ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard, che sono riferiti, appunto, a tali funzioni. Per questo motivo, il decreto legislativo n. 216 del 2010, come sopra ricordato, ha individuato, sia pure in via transitoria e soltanto ai fini del procedimento di determinazione dei costi e fabbisogni standard di comuni e province, le funzioni fondamentali di tali enti. E’ pertanto emersa l’esigenza, più volte evidenziata dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale, che la diversa individuazione delle funzioni fondamentali dei comuni effettuata dall’articolo 19 del D.L. n. 95 (e quella da effettuare a regime per le province, all’esito della procedura di riordino, che non è ancora conclusa, secondo quanto stabilito dall’articolo 17 del medesimo D.L. n. 95/2012, che qui non si dettaglia) non comportasse ostacoli, ritardi o addirittura interruzioni rispetto alle attività in corso per la determinazione dei costi e fabbisogni standard.
A tal fine, come riportato nella quarta relazione semestrale (gennaio 2013) della Commissione medesima, con il comma 7-bis dell’articolo 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 è stato introdotto, all’articolo 3 del decreto legislativo n. 216 del 2010, il comma 1-bis, che dispone che “in ogni casoâ€, ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, le modifiche all’elenco delle funzioni fondamentali di comuni e province sono prese in considerazione dal primo anno successivo all’adeguamento dei certificati di conto consuntivo alle modifiche suddette, tenuto anche conto degli esiti dell’armonizzazione degli schemi di bilancio ai sensi del decreto legislativo n. 118 del 2011 (che si applicherà a decorrere dal 2014).
Per quanto la formulazione della disposizione richiamata non risulti del tutto chiara, essa comporta che i lavori relativi alla determinazione dei costi e fabbisogni standard possano proseguire sulla base dell’impostazione dettata dal D.Lgs. n. 216, fino a quando (il termine temporale è peraltro lasciato indeterminato) i dati contabili che rappresentano la base per la determinazione dei costi e fabbisogni standard, vale a dire i dati dei certificati di conto consuntivo, saranno adeguati alla nuova classificazione delle funzioni fondamentali degli enti locali.
3) la nota metodologica sulle funzioni di polizia locale e sui servizi del mercato del lavoro
Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 21 dicembre 2012, ha approvato in via definitiva il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, non ancora pubblicato, recante l’adozione delle note metodologiche e i fabbisogni standard relativamente alle funzioni di polizia locale per i comuni e alle funzioni dei servizi del mercato del lavoro per le province.
Si tratta delle prime funzioni per cui la complessa procedura di determinazione dei fabbisogni standard perviene a compimento.
Come previsto dal decreto legislativo n. 216 del 2010, infatti, è affidato a SOSE (Soluzioni per il sistema economico s.p.a.), con la collaborazione scientifica di IFEL (Istituto per la finanza e per l’economia locale), il compito di predisporre le metodologie e determinare i valori relativi ai fabbisogni standard per ciascuna funzione. I risultati dell’attività svolta da SOSE con la collaborazione di IFEL sono sottoposti alla valutazione e all’approvazione della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Tali risultati sono altresì oggetto di verifica da parte della Ragioneria generale dello Stato. A conclusione di questa complessa procedura, le note metodologiche sono approvate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Prima dell’approvazione definitiva, sullo schema di decreto è acquisito il parere della Conferenza Stato-città e autonomie locali e, successivamente, delle Commissioni Bilancio di Camera e Senato e della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
La nota metodologica e i fabbisogni standard, in conformità con quanto previsto dalla legge delega, fanno riferimento esclusivamente alle province ed ai comuni rientranti nelle regioni ad autonomia ordinaria. Sulla base dei dati contenuti nei certificati di conto consuntivo relativi al 2009, le funzioni di polizia locale rappresentano, per i comuni delle regioni a statuto ordinario, il 7,87% della spesa corrente complessiva relativa alle funzioni fondamentali individuate dal D.Lgs. n. 216/2010. I servizi del mercato del lavoro rappresentano per le Province delle Regioni a statuto ordinario un ammontare pari all’ 11,49% della spesa corrente complessiva relativa alle funzioni fondamentali individuate dal D.Lgs. n. 216/2010.
Per quanto concerne i contenuti, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, non ancora pubblicato, reca l’approvazione di tre allegati.
Il primo allegato contiene la nota metodologica e l’individuazione dei fabbisogni standard relativamente alle funzioni di polizia locale dei comuni, funzioni che si compongono di tre differenti servizi: polizia municipale, polizia commerciale e polizia amministrativa.
La metodologia adottata perviene alla determinazione del fabbisogno standard sulla base di diversi elementi, che qui non si dettagliano ma che, nella loro composizione/elaborazione, come risultante anche da un articolato questionario (distribuito a tutti gli enti interessati, vale a dire a 6.702 comuni e a 291 unioni di comuni appartenenti ai territori delle regioni a statuto ordinario:tutti i comuni e 220 unioni hanno compilato il questionario e lo hanno restituito entro la metà del gennaio 2012), hanno permesso di determinare il fabbisogno standard di riferimento per ogni comune. Sulla base del fabbisogno standard di riferimento, rapportato alla popolazione del comune, è determinato, per ciascuno dei comuni appartenenti alle regioni a statuto ordinario, il coefficiente di riparto, vale a dire la quota spettante al comune per ciascuna unità della spesa complessiva relativa alla funzione di polizia locale.
Il secondo allegato approvato con lo schema di decreto del Presidente del Consiglio riguarda la nota metodologica e l’individuazione del fabbisogno standard per le funzioni nel campo dello sviluppo economico, con specifico riferimento ai servizi del mercato del lavoro svolti dalle province. Secondo le medesime procedure messe in atto per il primo allegato, il fabbisogno standard di riferimento, rapportato alla popolazione in età lavorativa (15-64 anni) residente nella provincia, permette di determinare, per ciascuna provincia, il coefficiente di riparto, vale a dire la quota della spesa complessiva relativa alla funzione in questione spettante alla provincia medesima.
Il terzo allegato dello schema reca una nota illustrativa di SOSE che accompagna le note metodologiche. Nel parere espresso dalla Conferenza Stato–città è stata richiesta la soppressione di quest’ultimo allegato, osservando che esso non è stato oggetto di specifica e formale condivisione nell’ambito della Commissione tecnica paritetica. La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha approvato, nella seduta del 14 novembre 2012, un parere favorevole con numerose osservazioni.
Il decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale (D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23) dispone l'attribuzione ai comuni del gettito di numerosi tributi erariali e di una compartecipazione all'IVA, istituisce una cedolare secca sugli affitti degli immobili ad uso abitativo e prevede, a regime, un nuovo assetto tra le competenze dello Stato e degli enti locali nel settore della fiscalità territoriale ed immobiliare. Tale assetto ha trovato finora una solo parziale attuazione, a seguito dei numerosi interventi poi effettuati nell'ultima parte della XVI legislatura sulla fiscalità locale, anche per ragioni connesse all'emergenza finanziaria.
La necessità di esporre la struttura della finanza locale stabilita del decreto legislativo n. 23 del 2011, benché essa sia in aspetti importanti superata dalla legislazione successiva, deriva dalla considerazione che la stessa è tuttora vigente, salvo ovviamente alcune parti espressamente abrogate o modificate. Ciò in quanto la nuova disciplina dell'imposta municipale propria (IMU), che com'è noto costituisce il principale intervento che ha modificato il quadro della fiscalità stabilito dal decreto in esame, risulta al momento anticipata in via sperimentale dal 2012 al 2014, secondo quanto dispone l'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 che ne ha dettato la nuova disciplina medesima.
Tanto precisato - da cui consegue che la disciplina della fiscalità comunale presenta un quadro normativo sul quale risulterebbe opportuno un complessivo intervento di coordinamento - si rileva come il decreto legislativo n. 23 del 2011 intervenga sull’assetto delle competenze fiscali tra Stato ed enti locali, a decorrere, in una prima fase di avvio triennale, dal 2011, e poi disciplinandolo a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione, in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta municipale (IMU); imposta che ora, come si specificherà più avanti, dovrebbe tuttavia entrare a regime nell'anno successivo (2015).
In particolare, per quanto concerne la fiscalità immobiliare, dal 2011(ma la legge di stabilità 2013 ha sospeso l'applicazione delle norme per gli anni 2013 e 2014) vengono attribuiti ai Comuni: a) l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare; b) una quota, pari al 30%, del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare ed una quota, pari al 21,7% nel 2011 ed al 21,6% dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti. I gettiti in questione affluiscono ad un Fondo sperimentale di riequilibrio - poi soppresso dalla legge di stabilità 2013, come più avanti si esporrà - di durata triennale, finalizzato a realizzare in forma progressiva e territorialmente equilibrata la devoluzione dei gettiti medesimi ai Comuni; il Fondo verrà ripartito sulla base di un accordo in sede di Conferenza Stato-città , nell’osservanza, comunque, di due specifici criteri: una quota del 30% del Fondo andrà ripartita in base al numero dei residenti e, al netto di tale quota, una ulteriore percentuale del 20% dovrà essere destinata ai piccoli comuni. L’articolo 13 del decreto, istituisce inoltre, per il finanziamento delle spese dei comuni e delle province successivo alla determinazione dei fabbisogni standard per le funzioni fondamentali, un Fondo perequativo a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni svolte dai predetti enti, articolato in due componenti con riferimento alle funzioni fondamentali e non fondamentali.
Ai Comuni viene inoltre attribuita una compartecipazione al gettito IVA, che dovrà essere determinata con apposito DPCM in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2% al gettito dell’IRPEF. I criteri di attribuzione del gettito ai singoli Comuni dovranno essere stabiliti con apposito DPCM, che dovrà assumere a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al versamento dell’imposta; in prima applicazione (ma il decreto legge n.201 del 2011 ha successivamente disposto che la norma non opererà per il triennio 2012-2014) l’assegnazione ai Comuni avverrà sulla base del gettito IVA per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun ente locale.
Al potenziamento dell’ attività di contrasto all’evasione sono finalizzate le disposizioni che inaspriscono le sanzioni amministrative per l’inadempimento degli obblighi di dichiarazione concernenti gli immobili – ivi comprese quelle in materia di canone di locazione nell’ambito della nuova disciplina sulla cedolare secca – nonché che ampliano l’ interscambio informativo sui dati catastali. Nella medesima finalità viene incentivato il ruolo dei Comuni, prevedendosi che ad essi sia assegnata una quota pari al 50% (quota poi elevata al 100% dall'articolo 1 del decreto-legge n.138/2011) del gettito derivante dalla loro attività di accertamento, e che tale quota sia assegnata, anche in via provvisoria, sulle somme riscosse a titolo non definitivo.
E’ inoltre istituita, come sopra accennato, la cedolare secca sugli affitti, vale a dire la possibilità per i proprietari di immobili concessi in locazione di optare dal 2011, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cu aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. Oltre a severe sanzioni in case di omessa od irregolare registrazione (in cui si prevede automaticamente un durata del contratto pari a quattro anni e l’applicazione di un canone ridotto che fa riferimento al triplo della rendita catastale) si prevede che in caso di contratto a canone concordato il locatore, se opta per la cedolare secca, non potrà richiedere aggiornamenti del canone per tutta la durata del contratto.
Vengono inoltre modificate le aliquote di tassazione delle transazioni immobiliari, che sono individuate al 2% nel caso di prima casa di abitazione ed al 9% nelle restanti ipotesi (le attuali aliquote sono stabilite rispettivamente al 3 ed al 10%, comprese alcune imposte indirette che vengono eliminate). Le nuove aliquote dell’imposta di registro sostituiscono inoltre, a decorrere dal 2014 – data di entrata in vigore delle stesse – l’imposta di bollo e le imposte ipocatastali, nonché i tributi speciali e le tasse ipotecarie. Viene inoltre introdotta, con l'articolo 5, la possibilità , con criteri da definirsi in un provvedimento amministrativo, di aumentare l’addizionale IRPEF da parte dei comuni nei quali non risulti finora stabilita oltre la percentuale dello 0,4 per cento, che comunque costituirà il limite massimo raggiungibile; l’aumento non potrà in ogni caso eccedere lo 0,2 per cento annuo. L'articolo 5 predetto è stato soppresso dall'articolo 1 del decreto-legge n.138/2011, che ha nel contempo regolamentato le modalità di aumento dell'addizionale Irpef comunale. Viene poi istituita, l’imposta di soggiorno (cui è stata successivamente aggiunta, in alternativa, una imposta di sbarco per i comuni delle isole minori) affidandosi ai Comuni capoluogo di provincia ed alle città turistiche e d’arte la possibilità di istituire un’imposta fino a 5 euro per notte a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, con destinazione del relativo gettito ad alcune specifiche finalità , tra cui quelle a favore del turismo; si prevede altresì una nuova disciplina dell’imposta di scopo (ora prevista nella L. n. 296/2006), da stabilirsi con un DPCM che, tra l’altro, possa aumentarne la durata fini a dieci anni e prevedere che il relativo gettito finanzi l’intero ammontare della spesa.
Per quanto concerne l’imposta municipale propria (IMU), essa è introdotta a decorrere dal 2014, in sostituzione, per la componente immobiliare, dell’Irpef (e relative addizionali) dovuta per i redditi fondiari relativi ai beni non locati, nonché dell’ICI, ed ha per presupposto il possesso di immobili diversi dall’abitazione principale, cui pertanto non si applica, incluse le pertinenze. La relativa aliquota è stabilita nello 0, 76%, ridotta alla metà per gli immobili locati, con la facoltà per i Comuni di estendere in tutto o in parte tale riduzione anche agli immobili posseduti da soggetti cui si applichi l’imposta sul reddito delle società (Ires); i Comuni medesimi possono peraltro modificare la suddetta aliquota di 0,3 punti percentuali, in aumento o in riduzione ( la modificabilità è invece fino a 0,2 punti nel caso della aliquota ridotta alla metà per gli immobili locati). Sono esenti dall’IMU gli immobili posseduti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alcune categorie di immobili già esentati ai sensi della normativa dell’ICI (fabbricati destinati ad usi culturali, all’esercizio del culto, utilizzati dalle società non profit ecc..). Il decreto prevede poi, sempre a decorrere dal 2014, l’imposta municipale secondaria, da introdursi con deliberazione del consiglio comunale (che potrà anche prevederne esenzioni ed agevolazioni) in sostituzione degli attuali tributi sull’ occupazione di aree pubbliche, sulle affissioni e sull’installazione dei mezzi pubblicitari; la relativa disciplina verrà dettata con successivo regolamento, sulla base di alcuni criteri tra i quali la previsione che il presupposto del tributo è l’occupazione di spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e che il soggetto del tributo medesimo è quello che effettua l’occupazione.
Il decreto legislativo n.23 del 2011 è stato oggetto, già a poco tempo dalla sua entrata in vigore, a ripetuti interventi di modifica, in particolare operati con i due decreti-legge della manovra di finanza pubblica dell'estate 2011 (nn.98 e 138 del 2011) e poi con l'ulteriore decreto-legge n. 201 del 2011: si tratta pertanto di modifiche determinate, oltre che da motivi riconducibili alla necessità di meglio definire il complesso corpus normativo recato dal provvedimento, anche da necessità dettate dall'emergenza finanziaria. Il nuovo assetto è poi stato ulteriormente definito dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012).
La struttura fiscale comunale che ne risulta al 2013 risulta sostanzialmente riconducibile a tre principali fonti di entrata, costituite dall'Imu, dalla Tares (Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) e dall'addizionale Irpef, cui si aggiungono l'imposta di soggiorno (o, in alternativa, imposta di sbarco nelle isole minori) e l'imposta di scopo, oltre che altri tributi ad oggetto più circoscritto - sui quali il decreto n.23 del 2011 non è intervenuto - come la Tosap, l'imposta sulla pubbicità e le pubbliche affissioni, il canone per l'istallazione dei mezzi pubblicitari. Prescindendo in questa sede dall'addizionale Irpef, la cui disciplina permane sostanzialmente quella di fonte statale vigente all'emanazione del decreto in esame, si espongono sinteticamente le altre due imposte.
In particolare per quanto riguarda l'IMU , la stessa è stata anticipata "in via sperimentale" (come dispone l'articolo 13 del decreto-legge n.2012 del 2011) dal 2012 al 2014, estendendone l'applicabilità anche all'abitazione principale ed alle pertinenze della stessa; contestualmente ne è stata incrementata la base imponibile con un consistente aumento dei moltiplicatori delle rendite catastali. Per quanto concerne la destinazione del gettito derivante dall'imposta, per il 2012 lo stesso è stato attibuito allo Stato per una quota pari alla metà dell'importo ottenuto applicando l'aliquota di base (0,76 per cento) alla base imponibile di tutti gli immobili, tranne l'abitazione principale e relative pertinenze ed i fabbricati rurali. A decorrere dall'anno 2013, ed anche, al momento, per l'anno 2014, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) attribuisce interamente ai comuni il gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo, che rimane destinato allo Stato.
Viene contestualmente istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, del quale viene anche stabilita la dotazione finanziaria ed i criteri di riparto, che qui non si dettagliano.Esso è alimentato da una quota dell'imposta municipale propria (di spettanza dei comuni) da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo accordo da sancire presso la Conferenza Stato-Città ed autonomie locali. Il decreto dovrà essere emanato entro il 30 aprile 2013 per l'anno 2013 ed entro il 31 dicembre 2013 per l'anno 2014.Corrispondentemente, nei predetti esercizi è versata all'entrata del bilancio statale una quota di pari importo dell'imposta municipale propria, di spettanza dei comuni; tale importo è rideterminato a seguito dell'emanazione dei suddetti D.P.C.M..
Ciò comporta che, in sostanza, il gettito IMU affluirà ai comuni in parte direttamente, sulla base degli esiti della riscossione, e in parte dopo essere stato versato al bilancio dello Stato, mediante trasferimento dal Fondo di solidarietà comunale iscritto nel bilancio statale, per la quota di spettanza di ciascun ente locale. In relazione all'istituzione del nuovo Fondo viene soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011, nonché i trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati.
Conseguentemente, sempre in relazione all'attribuzione ai comuni dell'intero gettito IMU, viene sospesa,per gli anni 2013 e 2014, la devoluzione di gettito di imposte erariali immobiliari in favore dei comuni e della compartecipazione comunale al gettito dell’IVA disposta dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 (commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9). Si tratta, per quanto concerne le imposte erariali immobiliari di cui è sospesa la devoluzione, dell’imposta di registro e di bollo sugli atti di trasferimento immobiliare, dell’imposta ipotecaria e catastale, dell’imposta di registro sulle locazioni, delle tasse ipotecarie e della cedolare secca sugli affitti.
Per quanto riguarda la Tares (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi), il nuovo tributo, i cui profili applicativi in questa sede non si dettagliano, è stato istituito a decorrere dal 1° gennaio 2013 dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, e successivamente modificato dalla legge di stabilità 2013, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Il tributo è dovuto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a civili abitazioni e le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
A decorrere dal 1° gennaio 2013, contestualmente all’istituzione della Tares, sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. La tariffa, che deve assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio, è composta da:
Il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.109 del 12 maggio 2011) recante "Disposizioni in materia di'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e della Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario", interviene sulla fiscalità regionale e provinciale attribuendo, in relazione alla soppressione dei trasferimenti in favore dei predetti enti, tributi e potestà fiscali. Viene altresì introdotta l'autonomia di entrata delle Città metropolitane ed istituita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Ulteriori disposizioni concernono, infine, la regolamentazione dei costi e delle risorse relative al settore sanitario. Il decreto legislativo è tuttavia in gran parte inoperante, in quanto non sono stati ancora emanati molti dei provvedimenti attuativi dallo stesso previsti.
Il decreto individua le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario e dispone la contestuale soppressione dei trasferimenti statali. A tal fine si dispone che a decorrere dal 2013 venga rideterminata l’addizionale regionale all’Irpef, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale, al fine di mantenere inalterato il prelievo fiscale a carico del contribuente; la rideterminazione deve comunque garantire alle regioni entrate equivalenti alla soppressione sia dei trasferimenti statali che della compartecipazione regionale all’accisa sulla benzina, entrambe disposte dal provvedimento. Tale rideterminazione, che sarebbe dovuta intervenire entro il 27 maggio 2012, non risulta ancora adottata. All’aliquota così rideterminata si aggiungono le eventuali maggiorazioni dell’addizionale, attualmente pari all’ 0,9%, che ciascuna regione può effettuare nel limite dello 0,5% per il 2012 ed il 2013, dell’1,1% per il 2014 e del 2,1% dal 2015; qualora peraltro la maggiorazione sia superiore allo 0,5% (quindi con riferimento dall'anno 2014 e successivi) la parte eccedente tale quota non si applica ai contribuenti titolari di redditi ricadenti nel primo scaglione di reddito (fino a 15.000 euro).
Alle regioni spetta altresì una compartecipazione al gettito Iva, che per gli anni 2011 e 2012 viene calcolata in base alla normativa vigente, mentre dal 2013 sarà fissata in misura pari al fabbisogno sanitario “in una sola regioneâ€. In applicazione del principio di territorialità tale compartecipazione dal 2013 verrà attribuita - mediante un apposito D.P.C.M., non ancora intervenuto - in base al luogo effettivo di consumo, vale a dire quello in cui avviene la cessione dei beni o la prestazione dei servizi ovvero, nel caso degli immobili, il luogo di ubicazione; regole specifiche vengono previste per l’Iva concernente i beni e servizi di mercato. Per quanto concerne l’Irap, a decorrere dal 2013 ciascuna regione, a carico del proprio bilancio, può ridurne le aliquote, fino ad azzerarle; la riduzione non è tuttavia ammessa qualora la regione interessata abbia aumentato l’addizionale Irpef in misura superiore all’ 0,5 %. Le regioni possono poi istituire dal 2014, a carico dei propri bilanci, ulteriori detrazioni in favore delle famiglie, nonché in sostituzione di misure di sostegno sociale (sussidi, voucher, ecc). Viene altresì disposto, al fine di incentivare l’attività di contrasto all’evasione fiscale, che alle regioni sia attribuito l’intero gettito derivante dall’attività di recupero fiscale nel proprio territorio, sui tributi propri derivati, nonché una quota (commisurata all’aliquota di compartecipazione) del gettito recuperato in riferimento all’IVA. Per la gestione dei loro tributi le regioni possono stipulare apposite convenzioni con l’agenzia delle entrate.
Il principio applicato ai rapporti tra Stato e regione concernente la soppressione dei trasferimenti statali e la sostituzione degli stessi con l’attribuzione o la compartecipazione a nuovi gettiti - principio per la cui implementazione è previsto un apposito D.P.C.M., entro i 31 dicembre 2011, ricognitivo dei trasferimenti statali da sopprimere, non ancora adottato - viene replicato anche nei rapporti tra regioni e comuni, disponendosi in tal senso la soppressione, dal 2013, dei trasferimenti regionali di parte corrente (e, ove non finanziati con indebitamento, anche di conto capitale) diretti al finanziamento delle spese comunali, sostituendola con una compartecipazione dei comuni ai tributi regionali, prioritariamente all’addizionale regionale Irpef. Il relativo gettito confluirà , per una percentuale non superiore al 30%, in un fondo sperimentale regionale di riequilibrio, di durata triennale, per venire poi distribuito dalla regione agli enti locali, previo accordo. Peraltro, in mancanza dei provvedimenti attuativi delle disposizioni sopra illustrate sulla soppressione dei trasferimenti statali alle regioni e della attribuzione alle stesse di nuovi gettiti, neppure questa analoga operazione sui rapporti fiscali regioni/enti locali risulta avviata.
Nel confermare quanto previsto nella delega circa l’affidamento alla normativa statale della definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e delle prestazioni (LEP), ed in ordine alla individuazione delle spese relative ai livelli medesimi, che concernono i settori della sanità , dell’assistenza, dell’istruzione e del trasporto pubblico locale (quest’ultimo limitatamente alle spese in conto capitale), viene precisato che per stabilire i LEP vanno considerate, per ciascuna materia, macro-aree di intervento, operando secondo una progressiva convergenza degli obiettivi di servizio verso i LEP medesimi. E' peraltro previsto a tal fine, come necessario presupposto(articolo 13), un D.P.C.M. per la ricognizione dei LEP nei settori dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale, non ancora emanato. Il decreto legislativo fissa inoltre a regime, dal 2013, le fonti di finanziamento delle spese LEP: tali fonti sono costituite dalla compartecipazione all’Iva, dall’addizionale regionale Irpef, dall’Irap, dalle entrate proprie (principalmente i ticket) del settore sanitario e da quote del fondo perequativo. Quest’ultimo si prevede venga istituito dal 2013 in ciascuna regione (ma al momento non risulta ancora istituito), ed è alimentato dal gettito prodotto dalla compartecipazione al gettito Iva, calcolata in modo da garantire l’integrale finanziamento delle spese per i LEP: tali spese saranno nel primo anno computate anche in base ai valori di spesa storica, per poi convergere gradualmente verso i costi standard.
Va segnalato che il decreto legislativo n.23/2011 sul fisco municipale prevede a regime, vale a dire quando i fabbisogni standard per le funzioni fondamentali saranno determinati, un fondo perequativo, alimentato da una compartecipazione all’Iva, per comuni e province, istituito nel bilancio dello Stato con stanziamenti separati per le due tipologie di enti. Il decreto dispone che le regioni, a loro volta, istituiscano nel proprio bilancio due fondi, alimentati dal fondo perequativo statale, l’uno per i comuni e l’altro per le province e le città metropolitane. Come illustrato in commento al decreto legislativo n.216/ 2010 relativo ai fabbisogni standard, queti ultimi sono ancora in fase di predisposizione.
Secondo quanto dispone il decreto, il finanziamento delle province si incentra principalmente: a) sull’ imposta sulle assicurazioni per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei motori (RC auto), che diviene tributo proprio derivato con aliquota del 12,5%, manovrabile dal 2011 in aumento o in diminuzione nella misura di 3,5 punti percentuali; b) sulla compartecipazione provinciale all’Irpef (stabilita nello 0,60% con D.P.C.M. del 10 luglio 2012), a compensazione, dal 2012, della soppressione dei trasferimenti statali alle province nonché dell'addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, (anch'essa soppressa, con attribuzione del gettito allo Stato). Rimane inoltre ferma la vigente attribuzione alle province dell’imposta provinciale di trascrizione, di cui peraltro viene previsto un riordino finalizzato, per gli atti soggetti all’Iva, al passaggio dall’attuale pagamento in misura fissa a quello di una tariffa modulata sulle caratteristiche di potenza e portata dei veicoli. Inoltre, analogamente ai criteri già applicati nei confronti dei finanziamenti regionali ai comuni, anche i trasferimenti regionali destinati al finanziamento delle spese provinciali sono soppressi, dal 2013, con compensazione a valere sull’istituzione di una compartecipazione provinciale al gettito della tassa automobilistica regionale; il gettito di tale compartecipazione affluisce, in misura non superiore al 30%, ad un fondo sperimentale di riequilibrio regionale, di durata triennale, per essere poi devoluto ad ogni singola provincia, previo accordo. Analogamente a quanto sopra osservato circa la mancata attuazione, al momento, della soppressione dei trasferimenti regionali ai comuni, anche la soppressione degli stessi nei confronti delle province non risulta effettuata.
Viene inoltre istituito dal 2012 un fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, di durata biennale, alimentato con le entrate derivanti dalla compartecipazione provinciale all’Irpef, che ha la finalità di assicurare in forma territorialmente equilibrata l’attribuzione dell’autonomia di entrata alle province.
E’ infine disciplinato il sistema finanziario delle città metropolitane, prevedendo che alle stesse siano sostanzialmente attribuite le fonti di entrata già attribuite alle province sostituite dalle città medesime; si dispone peraltro che con la legge di stabilità l’autonomia di entrata delle città metropolitane possa essere adeguata in relazione alla complessità delle funzioni attribuite.
Per la parte relativa al finanziamento della spesa sanitaria il provvedimento riprende in buona parte il sistema di governance che si è affermato su base pattizia tra Stato e regioni, da ultimo con l’intesa concernente il Patto per la salute per gli anni 2010-2012. In particolare il decreto, precisato che per il 2011 ed il 2012 il fabbisogno sanitario nazionale standard corrisponde al livello di finanziamento già stabilito dalla normativa vigente, stabilisce che dal 2013 tale fabbisogno verrà determinato annualmente, per il triennio successivo, “in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblicaâ€. Per determinare il finanziamento da destinare alla singola regione si prevede di applicare all’ammontare di finanziamento così stabilito il rapporto tra fabbisogno sanitario standard della regione e la somma dei fabbisogni regionali standard risultanti dall’applicazione a tutte le regioni dei costi rilevati in tre regioni benchmark. Sulla base di tale rapporto, vale a dire il valore percentuale di fabbisogno di ciascuna regione, viene effettuato il riparto regionale del fabbisogno sanitario nazionale. Le regioni benchmark sono scelte tra le cinque, appositamente individuate con decreto - che risulta in corso di predisosizione ma non ancora adottato -, che hanno garantito i LEA in condizione di equilibrio economico e di efficienza ed appropriatezza. Vengono a tal fine confermati i macrolivelli di assistenza vigenti, tra i quali dovrà distribuirsi la spesa sanitaria secondo le seguenti percentuali (al cui rispetto dovranno adeguarsi le singole regioni): 5% per l’assistenza sanitaria preventiva (ambiente di vita e di lavoro), 51% per l’assistenza distrettuale e 44% per quella ospedaliera. Per ognuno dei tre macrolivelli si calcola il costo standard come media pro capite pesata (vale a dire corretta tenendo conto della composizione anagrafica della popolazione) del costo nelle regioni benchmark, costo che viene poi applicato alla popolazione (anche in tal caso “pesataâ€) di ognuna delle regioni, ottenendo così il fabbisogno standard di ciascuna, mediante il quale, come detto, si ripartisce il fabbisogno nazionale.
In attuazione di quanto prevede l’articolo 15 della legge recante la delega sul federalismo fiscale (legge 42/2009), il decreto istituisce la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e composta sia da Ministri che da rappresentanti delle autonomie territoriali. Alla Conferenza, che, viene espressamente precisato, costituisce una sede istituzionale di conciliazione degli interessi delle amministrazioni centrali e locali ai fini dell’attuazione del federalismo fiscale, vengono affidati compiti di verifica e controllo dell’ordinamento finanziario delle regioni e degli enti locali, nonché dell’utilizzo, anche secondo principi di trasparenza ed efficacia, delle risorse finanziarie attribuite a tali enti. La Conferenza non risulta ancora operativa, non essendo finora intervenuta la nomina dei componenti della stessa.
Il decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante "Disposizioni in materia di risorse aggiuntive e di interventi speciali per la rimozione degli squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42", interviene sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come "Fondo per lo sviluppo e la coesione" ed individua nuovi strumenti procedurali idonei a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, anche per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie destinate a tale scopo.
Il provvedimento, oltre ad intervenire sulla disciplina del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), che viene ridenominato come “Fondo per lo sviluppo e la coesioneâ€, individua nuovi strumenti finalizzati a rendere più efficace la politica di riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese, stabilendo altresì specifiche regole di programmazione per un miglior utilizzo delle risorse finanziarie. A tale scopo viene espressamente precisato che gli interventi previsti dal decreto debbano venire coordinati con quelli di natura ordinaria, mantenendo distinte le rispettive risorse ed, inoltre, programmando gli interventi a carico del Fondo per lo sviluppo e la coesione tenendo conto della programmazione degli interventi ordinari.
Le risorse, che devono essere aggiuntive rispetto agli interventi ordinari, sono finalizzate alla rimozione degli squilibri e alla promozione dello sviluppo; esse derivano prioritariamente dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, le cui dotazioni sono stabilite dalla politica regionale nazionale, nonché dai finanziamenti a finalità strutturale dell’Unione europea e dai relativi cofinanziamenti nazionali, esclusivamente per la quota in conto capitale, escludendo pertanto l’impiego di tali risorse per le spese correnti da parte dei soggetti destinatari. Nell’ambito delle finalità degli interventi da effettuare va ricompreso anche l’obiettivo di rimuovere le “diseguaglianze di capacità amministrativaâ€.
L’utilizzo delle risorse deve essere effettuato sulla base del criterio della programmazione pluriennale, che, anche tenendo conto di specifiche priorità individuate dall’Unione europea, deve in ogni caso assicurare – con riferimento anche alle zone di montagna, a quelle confinanti con le regioni a statuto speciale ed alle isole minori - una ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione nella quota dell’85 per cento alle regioni del Mezzogiorno e del restante 15 per cento alle regioni del Centro-Nord. La programmazione deve inoltre indirizzare alla costruzione di un sistema di indicatori di risultato, alla valutazione degli impatti e alla previsione, ove appropriato, di riserve premiali e meccanismi sanzionatori, nel rispetto dei criteri di concentrazione territoriale e finanziaria. Per individuare le priorità d’intervento da finanziare occorre aver riguardo alle specificità territoriali, con particolare attenzione alle condizioni socio-economiche e al deficit infrastrutturale, con il coinvolgimento del partenariato economico-sociale secondo il principio della leale collaborazione istituzionale tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali. Il provvedimento prevede una funzione di coordinamento affidata al Ministro delegato per la politica di coesione economica, sociale e territoriale, d’intesa con il Ministro dell’economia. Il Ministro delegato è chiamato altresì ad esercitare una funzione di relazione con i competenti organi dell’Unione europea e a valutare le opportune misure di accelerazione degli interventi, al fine di garantire la tempestiva attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali comunitari e l’integrale utilizzo delle risorse assegnate al Paese.
In merito alle novità introdotte con la disciplina del Fondo per lo sviluppo e la coesione, si prevede che nel Documento di economia e finanza (DEF) risulti determinato, all’inizio del ciclo di programmazione dei fondi europei (il prossimo ciclo inizierà dal 2014), in coerenza con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e tenendo conto degli andamenti del Pil, l’ammontare delle risorse da destinare agli interventi del Fondo, che potrà essere successivamente rideterminato in riferimento alla effettiva realizzazione finanziaria degli interventi medesimi. Il DEF, inoltre, deve indicare gli obiettivi di convergenza economica delle aree del Paese a minore capacità fiscale e del graduale conseguimento, in queste, dei livelli delle prestazioni e dei costi di erogazione dei servizi standardizzati. Sulla base di quanto indicato dal DEF viene assegnato alla legge di stabilita' relativa all’anno che precede l’avvio di un nuovo ciclo pluriennale di programmazione (vale a dire il 2013, atteso che, come detto, il nuovo ciclo inizia dal 2014) il compito di incrementare la dotazione finanziaria del Fondo. Successivamente, ferma restando la dotazione complessiva del Fondo, l’annuale legge di stabilita' potrà rimodulare l’articolazione delle quote anno per anno; è prevista altresì una riprogrammazione delle risorse trascorso il primo triennio del periodo, che può essere effettuata solo previa intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed autonomie locali.
Un’ulteriore innovazione è l’introduzione di un Documento di indirizzo strategico, mediante l’approvazione di una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il mese di ottobre dell’anno che prevede l’avvio di un nuovo ciclo programmatorio, con il quale vengono stabiliti gli obiettivi e i criteri di utilizzazione delle risorse, tenendo conto degli indirizzi comunitari e degli impegni assunti nel Programma Nazionale di Riforma. Si dispone inoltre che la selezione degli interventi da realizzare venga effettuata anche tenendo conto di un rating di capacità tecnico-amministrativa dei soggetti attuatori degli stessi, potendosi a tal fine prevedere, per il rispetto dei tempi di realizzazione, forme di affiancamento dei soggetti in questione.
Viene altresì previsto il nuovo strumento del “contratto istituzionale di sviluppo†che il Ministro delegato stipula con le regioni e le altre amministrazioni competenti, con la finalità di accelerare la realizzazione degli interventi ed assicurare la qualità della spesa pubblica. Con il contratto istituzionale di sviluppo, cui possono partecipare anche i concessionari di servizi pubblici (quali ad esempio Anas, Ferrovie dello Stato, ecc.) sono destinate le risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione assegnate dal CIPE e individuati i tempi, le responsabilità e le modalità di attuazione degli interventi, prevedendo anche le condizioni di definanziamento degli stessi e l’attribuzione delle relative risorse ad altri livelli di governo. In ogni caso, i sistemi informativi dovranno garantire la tracciabilità , distintamente, dei flussi finanziari comunitari e nazionali, fino alla ultimazione di ciascun intervento In caso di inerzia o di mancato rispetto delle scadenze da parte delle amministrazioni responsabili degli interventi, il Governo può esercitare il potere sostitutivo, mediante la nomina di un commissario straordinario.
Il decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (G.U. 26 luglio 2011), modificato da ultimo dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), reca disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni e degli enti locali e ha la finalità di rendere i bilanci degli enti territoriali, ivi compresi i conti del settore sanitario, omogenei e confrontabili tra loro, anche ai fini del consolidamento con i bilanci delle amministrazioni pubbliche.
Il decreto detta regole sulla armonizzazione dei sistemi contabili, diretta a garantire la trasparenza e la comparabilità dei dati di bilancio, che trovano applicazione sia per i bilanci degli enti territoriali, dei loro enti ed organismi strumentali, sia per i conti del settore sanitario
Nel provvedimento si afferma che l’armonizzazione dei bilanci delle regioni e degli enti locali costituisce una operazione necessaria per disporre di dati contabili omogenei e confrontabili per il consolidamento dei conti delle pubbliche amministrazioni, anche al fine della raccordabilità dei sistemi di bilancio degli enti territoriali con i sistemi adottati in ambito europeo secondo le regole sulla procedura per i disavanzi eccessivi. Si dispone pertanto che le regioni, gli enti locali ed i loro enti strumentali (aziende società , consorzi ed altri) adottino la contabilità finanziaria, cui devono affiancare, a fini conoscitivi un sistema di contabilità economico-patrimoniale, per garantire, precisa il decreto, “la rilevazione unitaria dei fatti gestionali sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico-patrimonialeâ€. In considerazione della complessità di tale operazione viene prevista una fase sperimentale di due anni, al termine della quale, ed in base ai risultati della stessa, verranno precisate le regole contabili definitive a regime dal 2014, con particolare riferimento, tra l’altro, ai contenuti del nuovo principio della competenza finanziaria: questo, ai fini della sperimentazione, andrà configurato prevedendo che le obbligazioni attive e passive (che danno luogo, rispettivamente, alle entrate ed alle spese) vadano registrate nell’esercizio nel quale le stesse vengono a scadenza.
Tra gli strumenti introdotti per la realizzazione dei nuovi documenti contabili si prevedono, in particolare: a) l’adozione di un piano dei conti integrato (raccordato con la classificazione SIOPE, che è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche) volto a consentire il monitoraggio dei conti pubblici nonché la raccordabilità dei conti medesimi con il sistema europeo dei conti nazionali. Il piano è composto dall’elenco delle articolazioni delle unità elementari sia del bilancio gestionale che dei conti economico-patrimoniali. Per facilitare il confronto delle grandezze di finanza pubblica rispetto al consuntivo le amministrazioni devono allegare al bilancio un documento conoscitivo concernente le previsioni relative alle voci (aggregati) corrispondenti a quelle riportate nel piano in questione; b) l’introduzione dell’elemento di costruzione dei conti costituito dalla “transazione elementareâ€, che deve essere riferita ad ogni atto gestionale: ad essa viene attribuita una codifica che deve consentire di tracciare le operazioni contabili, ed i sistemi dovranno essere organizzati in modo da non consentire l’esecuzione delle transazioni in assenza di una codifica completa che ne permetta l’identificazione; c) la definizione delle finalità del sistema di bilancio delle amministrazioni regionali e locali, che oltre a costituire lo strumento essenziale per il processo di programmazione, gestione e rendicontazione, ha la funzione di fornire informazioni in favore dei soggetti interessati al processo di decisione politica e finanziaria: andranno pertanto adottati comuni schemi di bilancio, anche con la costruzione di un sistema di indicatori di risultato che, precisa il testo, debbono essere “semplici e misurabiliâ€; d) l’articolazione del bilancio in missioni (gli obiettivi strategici perseguiti dalle amministrazioni) e programmi (attività omogenee volte a perseguire il risultato della missione), secondo quanto già previsto per il bilancio dello Stato: ciò consentirà di evidenziare le finalità della spesa e, in tal modo, di assicurare maggior trasparenza alle decisioni di allocazione delle risorse pubbliche; e) la previsione che anche gli enti e gli organismi strumentali delle regioni e degli enti locali (i cui bilanci andranno pubblicati su internet) elaborino un apposito prospetto in cui si ripartisce la spesa per missioni e programmi, con una classificazione secondo i criteri previsti a livello europeo che ne deve consentire il consolidamento dei dati con quelli delle altre amministrazioni pubbliche; f) l’obbligo per le regioni e gli enti locali di predisporre schemi di bilancio consolidato con i propri enti strumentali, aziende e società controllate e partecipate, nonché di allegare al bilancio una rappresentazione riassuntiva delle spese per i costi sostenuti per le funzioni concernenti i livelli essenziali delle prestazioni, anche per consentirne il raffronto con i costi standard (quando questi risulteranno definiti).
Come detto, il nuovo sistema contabile è sottoposto ad una fase sperimentale di due anni, nel corso della quale potranno essere apportate le necessarie correzioni, onde consentire l’entrata in vigore del sistema medesimo a decorrere dal 2014. Esso verrà applicato anche nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, secondo le rispettive norme statutarie. Qualora esse non provvedano direttamente ad applicarlo entro sei mesi dall’entrata in vigore dei decreti legislativi che detteranno le regole definitive (in vigore, come detto, dal 2014) del nuovo sistema contabile in questione, tale sistema troverà diretta applicazione presso le medesime Regioni e province autonome: tale disposizione è stata poi dichiarata illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 178 del luglio 2012.
La disciplina della fase sperimentale è stata affidata ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, predisposto dal Governo ed assegnato il 29 novembre 2011 alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ed alle Commissioni bilancio delle due Camere per l'espressione del parere, sulla base della procedura prevista dall'articolo 36 del D.Lgs. 118/2011 in commento. Conclusa tale procedura, la disciplina in questione è stata dettata con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 dicembre 2011. Un ulteriore D.P.C.M., recante la stessa data del 28 dicembre 2011, ha individuato le amministrazioni che partecipano alla sperimentazione della nuova disciplina contabile. Tale provvedimento è stato successivamente sostituito dal D.P.C.M. 25 maggio 2012.
D.P.C.M. 28 dicembre 2011
Sperimentazione
della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di
bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi,
di cui all'articolo 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118
La seconda parte del provvedimento reca una disciplina finalizzata ad assicurare l’uniformità dei conti sanitari delle regioni - che, com’è noto, assorbono la quasi totalità delle risorse regionali – nonché degli enti sanitari (aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, policlinici universitari ed altri). L’armonizzazione è diretta a garantire la trasparenza dei dati di bilancio e dei conti, mediante l’individuazione di un modello contenente l’elenco dettagliato delle voci di bilancio utilizzabili, nonché attraverso l’applicazione di criteri omogenei, espressamente precisati nel testo, per procedere alla valutazione delle voci di bilancio nei numerosi casi in cui ciò sia necessario, ad esempio per le rimanenze di magazzino ovvero per la distribuzione sul piano economico dell’importo dei beni ammortizzabili.
Di rilievo appare nella nuova disciplina l’esatta perimetrazione, nel bilancio, delle entrate e delle uscite relative al finanziamento del servizio sanitario, per consentire la confrontabilità tra le entrate e le spese iscritte nel bilancio regionale e le risorse indicate negli atti che determinano il fabbisogno sanitario della regione e che, correlativamente, ne individuano le fonti di finanziamento. Per le entrate si dispone la distinzione tra finanziamento ordinario corrente, finanziamento aggiuntivo corrente (derivante dagli automatismi per la copertura dei disavanzi, dagli aumenti delle aliquote fiscali ed altro), finanziamento regionale del disavanzo pregresso e finanziamento per investimenti. Per la spesa si dispone, specularmente, la distinzione tra spesa sanitaria corrente per il finanziamento dei LEA (livelli essenziali di assistenza), spesa per livelli di assistenza superiori ai LEA, spesa per il ripiano del disavanzo pregresso e spesa per investimenti. Anche i flussi di cassa vengono contabilizzati in maniera differenziata (anche con distinti codici SIOPE) tra le risorse destinate al finanziamento del fabbisogno regionale standard, che confluiscono in appositi conti di tesoreria unica intestati a ciascuna regione, dai quali si effettuano le erogazioni mensili, e le risorse ulteriori, che vanno in appositi conti correnti intestati alla sanità presso il tesoriere dell’ente regionale.
I modelli gestionali sono differenziati in base alla sussistenza o meno della gestione sanitaria accentrata. Le Regioni che scelgono di gestire direttamente una quota di finanziamento del proprio servizio sanitario in regime di contabilità economico-patrimoniale devono a tal fine individuare nella propria struttura organizzativa uno specifico centro di responsabilità , denominato appunto “gestione sanitaria accentrata presso la regione†con il compito di implementare e tenere una contabilità di tipo economico-patrimoniale in grado di rilevare i rapporti economici, patrimoniali e finanziari intercorrenti fra la singola regione e lo Stato, le altre regioni, le aziende sanitarie e gli altri enti pubblici. Le regioni che non operano tale scelta possono effettuare, a valere sui capitoli di spesa dedicati alla sanità , solo operazioni di trasferimento verso enti del servizio sanitario regionale, ai quali destinano, in ciascun esercizio, l’intero importo del finanziamento previsto nell’esercizio di riferimento; conseguentemente, presso la regione sono trattate le sole operazioni di consolidamento degli enti medesimi.
I bilanci di previsione ed i bilanci di esercizio annuali della gestione accentrata e di tutti gli enti del servizio sanitario regionale sono sottoposti all’approvazione dalla Giunta regionale. E’ previsto inoltre il bilancio consolidato del servizio sanitario medesimo, che comprende sia la gestione accentrata che tutti gli enti sanitari. Oltre ai necessari documenti contabili, tale bilancio deve recare, in una nota integrativa, una serie di prospetti tesi a fornire una rappresentazione completa della situazione dei conti sanitari, ed in particolare: a) un prospetto che illustri l’integrale raccordo tra le poste iscritte nel bilancio d’esercizio consolidato e quelle iscritte nel rendiconto di contabilità finanziaria; b) un prospetto che indichi i valori, gli utili e/o le perdite e le quote possedute per ogni eventuale partecipazione detenuta dalle aziende del servizio sanitario regionale presso altri soggetti; c) un prospetto che rechi tali ultime informazioni anche per ogni altra società partecipata o ente dipendente dalla regione che riceva a qualsiasi titolo una quota delle risorse destinate al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale. Una specifica disposizione è volta infine a favorire la raccolta di dati sulla base delle prestazioni di cura erogate, al fine di migliorare i sistemi informativi e statistici del settore sanitario.
Il decreto legislativo 6 settembre 2011, n.149, nell'introdurre nuovi obblighi di trasparenza sulla situazione finanziaria delle regioni e degli enti locali, ne detta contestualmente una disciplina sanzionatoria qualora emergano situazioni di gravi irregolarità ; esso inoltre interviene sui meccanismi premiali.
Il provvedimento completa la normativa attuativa del federalismo fiscale finora emanata e, allo scopo di dare seguito ai criteri di responsabilità ed autonomia che caratterizzano la nuova governance degli enti territoriali, introduce elementi sanzionatori nei confronti degli enti che non rispettano gli obiettivi finanziari e, invece, sistemi premiali verso gli enti che assicurano qualità dei servizi offerti e assetti finanziari positivi. Allo scopo di superare i ritardi che si sono poi determinati nell'applicazione delle nuove disposizioni, sono state recentemente introdotte alcune modifiche al provvedimento mediante il decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174.
Il decreto istituisce per le regioni l’obbligo di redigere una “relazione di fine legislatura regionaleâ€, consistente in un documento del Presidente della Giunta regionale, certificata dagli organi di controllo interno dell’ente. Il documento costituisce uno strumento di rendicontazione delle condizioni finanziarie della regione e deve essere pubblicato – unitamente ad un rapporto di verifica della relazione predisposto da un organo esterno all’ente - sul sito istituzionale della regione stessa prima della scadenza della legislatura. La relazione va predisposta anche in caso di scioglimento anticipato del Consiglio regionale. Vengono inoltre elencate le condizioni al cui verificarsi si determina la fattispecie di “grave dissesto finanziario†riferito al disavanzo sanitario: il manifestarsi di tale fattispecie costituisce, precisa il provvedimento, grave violazione di legge e determina la rimozione del presidente della Giunta regionale per “responsabilità politica nel proprio mandato di amministrazione della Regioneâ€, ove sia accertato dalla Corte dei conti che le condizioni del dissesto siano riconducibili alla sua diretta responsabilità , con dolo o colpa grave, disponendosi conseguentemente la nomina di un commissario ad acta, in sostituzione del presidente rimosso, fino alla costituzione del nuovo Consiglio regionale. Per i successivi dieci anni il presidente rimosso non può essere candidato ad altre cariche elettive né può essere nominato a qualsiasi altra carica di governo degli enti territoriali, dello Stato e dell’Unione Europea. Il verificarsi del dissesto finanziario comporta inoltre la decadenza automatica direttori generali e, previa verifica delle rispettive responsabilità nel dissesto, dei dirigenti del servizio sanitario e dell’assessorato regionale competente, con interdizione per dieci anni (fino a dieci anni per i componenti del collegio dei revisori dei conti, in relazione alla gravità accertata) da altre cariche in enti pubblici.
Meccanismi analoghi sono previsti per gli enti locali. Anche per essi, infatti, è prevista la "relazione di fine mandato" (in forma semplificata per i comuni fino a cinquemila abitanti) da parte del presidente della provincia o del sindaco. Per questi ultimi poi, qualora riconosciuti dalla Corte dei conti come aventi responsabilità nel dissesto del rispettivo ente, la “responsabilità politicaâ€, comporta la sanzione dell’incandidabilità per una durata decennale alle cariche elettive locali, nazionali ed europee, nonché il divieto di ricoprire posizioni di governo negli enti territoriali o cariche in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Analogo divieto decennale di assunzione di cariche è stabilito per gli amministratori di cui sia stata riconosciuta la responsabilità nel dissesto; per i componenti del collegio dei revisori, in termini analoghi a quelli già stabiliti per le regioni, il divieto di nomina in altri enti locali ( o in enti ed organismi riconducibili agli stessi riconducibili) è disposto per un periodo fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata.
Va tuttavia rilevato come la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 149 relativamente alla relazione di fine legislatura e alla relazione di fine mandato non abbia finora trovato attuazione, per i ritardi che si sono registrati nell’adozione dei decreti ministeriali che avrebbero dovuto stabilire gli schemi tipo, tuttora non intervenuti. In ragione di ciò il legislatore ha ritenuto necessario, intervenire mediante la decretazione d'urgenza, ed a tal fine nel decreto-legge sugli enti locali n.174/2012 (convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n.213) sono state introdotte alcune modifiche volte a: - superare gli ostacoli e i ritardi che si sono determinati, in modo da rendere immediatamente applicabile la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 149 (prevedendosi l'obbligo di redigere la relazione anche in mancanza dei provvedimenti misisteriali di adozione dello schema tipo della stessa); - rafforzare la procedura di predisposizione e di verifica della relazione medesima, coinvolgendo, nel primo caso i servizi finanziari e il vertice dell’amministrazione dell’ente, e, nel secondo caso, la sezione regionale di controllo della Corte dei conti; - prevedere, infine, specifiche sanzioni in caso di mancato adempimento. Quanto a quest'ultimo aspetto, in particolare: a) qualora il Presidente della Giunta regionale non proceda alla pubblicazione della relazione sul sito istituzionale l’importo dell’indennità di mandato è ridotto della metà , con riferimento alle successive tre mensilità , e in termini analoghi si riducono gli emolumenti del responsabile del servizio bilancio e finanze della regione e dell’organo di vertice dell’amministrazione regionale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l’obbligo da parte del Presidente di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell’ente; b) in caso di mancata redazione e pubblicazionesul sito istituzionale della relazione, l’importo dell’indennità di mandato del sindaco è ridotto della metà , con riferimento alle successive tre mensilità , e corrispondente riduzione si applica agli emolumenti del responsabile del servizio finanziario del comune e del segretario generale, qualora non abbiano predisposto la relazione, fermo restando comunque l’obbligo da parte del sindaco di dar notizia, motivandone le ragioni, della mancata pubblicazione della relazione sul sito istituzionale dell’ente.
Sempre con il decreto-legge n.174 del 2012, inoltre, è stata inserita una nuova disposizione nel testo del decreto legislativo con cui si introduce la relazione di inizio mandato comunale e provinciale, mediante la quale ciascun ente locale verifica la propria situazione patrimoniale e finanziaria e la misura dell’indebitamento. La relazione deve essere predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale e sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro novanta giorni dall’inizio del mandato; sulla base delle risultanze di tale relazione l’ente locale interessato può ricorrere, sussistendone i presupposti, alle procedure di riequilibrio finanziario vigenti.
Vengono altresì previste sanzioni a carico degli enti che non rispettino il patto di stabilità interno e si dispone, sia per per le regioni che per gli enti locali il versamento allo Stato (nell’anno successivo a quello in cui si verifica l’inadempienza) della differenza tra il risultato finanziario registrato e quello programmato. Sia per le regioni che per gli enti locali è altresì previsto uno stringente limite all’impegno delle spese correnti, il divieto di indebitamento per investimenti, il divieto di assunzione di personale e, infine, l’obbligo di ridurre del 30 per cento le indennità di funzione ed i gettoni di presenza dei componenti degli organi di governo (e, per gli enti locali, anche degli organi elettivi) degli enti. Va peraltro segnalato - anche per dar conto della complessità di un corretto coordinamento normativo tra la disciplina sanzionatoria sugli enti locali recata dal decreto legislativo in esame e la normativa, per così dire, "ordinaria" sulle sanzioni per mancato rispetto del patto di stabilità interno recata dalle leggi finanziarie (poi di stabilità ) annuali, che l'articolo 1, comma 439, della legge n.228/2012 ( legge di stabilità 2013) ha trasposto integralmente le norme sanzionatorie dettate sul punto dal decreto legislativo (articolo 7, comma 2) nell' articolo 31, comma 26, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012) che detta le misure di carattere sanzionatorio applicabili a regime, agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto.
Una specifica norma prevede infine, anche ai fini di una valutazione dell’attività dei Ministri interessati, un raffronto tra fabbisogno di spesa delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato ed ammontare delle spese effettivamente sostenute a consuntivo, disponendo che annualmente i risultati di tale raffronto siano inviati dal Governo alle Camere, per le eventuali ulteriori determinazioni. In assenza della effettiva definizione di tali fabbisogni la disposizione non ha al momento ancora trovato attuazione.
Lo schema di decreto precisa il funzionamento del meccanismo premiale per le regioni che diano applicazione ad alcune misure di contenimento della spesa per le stesse previsto, stabilendo che la regione possa considerarsi adempiente (e quindi avere accesso a tale meccanismo, che qui non si dettaglia) qualora il rapporto tra spese di personale e spesa corrente (al netto delle spese per i ripiani del disavanzo sanitario e del surplus di spesa rispetto agli obiettivi progranmmati del patto di stabilità ) sia uguale o inferiore alla media nazionale.
Inoltre, una specifica misura premiale – che verrà determinata con apposito provvedimento, poi non intervenuto - è altresì introdotta in favore delle regioni che istituiscono una Centrale unica per gli acquisti e l’aggiudicazione di gare per l’approvvigionamento di beni e servizi. Ulteriori meccanismi premiali sono collegati ai risultati dell’ attività di recupero dell’evasione fiscale: alle province che abbiano partecipato all'accertamento dei tributi viene attribuita una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme accertate, relative a tributi statali riscossi a titolo definitivo. Per quanto concerne gli enti territoriali nel loro complesso si prevede che sulla base di un accordo tra Governo, regioni ed enti locali, finalizzato alla ricognizione delle capacità fiscali effettive e potenziali dei singoli territori, si definiscano gli obiettivi da raggiungere nell’attività di contrasto all’evasione fiscale, con contestuale fissazione delle misure premiali (o sanzionatorie) in relazione al raggiungimento di tali obiettivi. L’accordo deve intervenire entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, decorso il quale il Governo procederà all’attuazione di tale disposizione. Nessuna di tali misure ha trovato finora attuazione, in assenza dei provvedimenti attuativi necessari per consentirne l'applicabilità .
Con l'emanazione del secondo provvedimento su Roma capitale, costituito dal decreto legislativo 18 aprile 2012, n.61, le cui disposizioni si aggiungono a quelle già dettate dal precedente decreto legislativo n. 156 del 2010, si è completata la disciplina del nuovo ente territoriale Roma capitale, in attuazione dell'articolo 24 della legge delega sul federalismo fiscale n.42 del 2009.
Il secondo decreto legislativo su Roma capitale, i cui contenuti come di consueto derivano anche dal parere espresso dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale sul testo iniziale dello schema di decreto trasmesso alle Camere , ha la finalità di completare la normativa già introdotta con il decreto legislativo n. 156 del 17 settembre 2010, istitutivo del nuovo assetto ordinamentale di Roma capitale. Il secondo decreto in esame disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall’articolo 24, comma 3, della legge delega n. 42/2009, - concernenti le materie del concorso alla valorizzazione dei beni storici, artistici, ambientali e fluviali, dello sviluppo economico e sociale riferito in particolare ai settori produttivo e turistico, dell’organizzazione dei servizi urbani, della protezione civile ed altro – prevedendo a tal fine l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale, che è chiamata a coordinare tutte le attività (anche di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, Mibac) di valorizzazione, decidendo, precisano le norme, “il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l’immagine di Roma capitaleâ€. La Conferenza si pronuncia inoltre in merito al rilascio dei titoli autorizzatori e dei pareri eventualmente necessari per la realizzazione di specifici interventi. A Roma capitale sono poi conferite le funzioni amministrative concernenti il concorso alla valorizzazione dei beni presenti nel territorio della stessa ma appartenenti allo Stato. L’ente medesimo concorre infine, in concorso con il Mibac e la regione Lazio, anche in tema di politiche ed attività di tutela, pianificazione, valorizzazione e vigilanza sui beni paesaggistici, nonché nella individuazione delle riserve statali non collocate nei parchi nazionali, la cui gestione viene affidata a Roma capitale.
Ulteriori conferimenti concernono le funzioni in materia di turismo, nel cui ambito Roma capitale potrà avvalersi anche degli uffici statali per la promozione turistica all’estero, e di fiere, nonché di protezione civile, con l’attribuzione delle funzioni amministrative inerenti l’emanazione di specifiche ordinanze.
La necessità di una sede permanente di coordinamento dei nuovi assetti determinati dalla nuova disciplina trova riscontro nella previsione di una apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, il cui scopo è quello di assicurare il “raccordo istituzionale†tra Roma capitale, Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma. In tutti i casi in cui la Conferenza debba occuparsi di materie di interesse per Roma capitale, il Sindaco della stessa partecipa alle relative sedute.
Per quanto concerne gli interventi infrastrutturali connessi al ruolo di capitale della Repubblica, per i quali il nuovo ente dovrà seguire, per l’utilizzo delle risorse finanziarie ad essa spettanti, il metodo della programmazione pluriennale, si prevede la realizzazione di una apposita intesa istituzionale di programma con la Regione Lazio e le amministrazioni centrali competenti, da approvarsi da parte del CIPE; gli interventi previsti dall’intesa possono essere inseriti nel programma di cui alla legge-obiettivo sulle opere pubbliche strategiche (Legge n. 443/2001).
Con riguardo al personale, Roma capitale potrà disciplinare con propri regolamenti, ed in conformità allo statuto dell’ente, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, ivi incluso quello di polizia locale; inoltre, in ragione dell’acquisizione delle nuove funzioni potrà altresì, nell’esercizio della propria autonomia normativa, finanziaria ed organizzativa, provvedere alla definizione della dotazione organica, nel rispetto della normativa vigente in materia di personale degli enti locali. E’ istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri un apposito tavolo interistituzionale tra Stato, Regione Lazio, provincia di Roma e Roma capitale per il trasferimento delle funzioni derivante dalla nuova disciplina. Viene inoltre disposto che al trsferimento delle risorse umane e strumentali necessarie all'esercizio delle funzioni amminstrative conferite a Roma capitale si provveda con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri entro novanta giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, vale a dire entro il 31 agosto 2012: decreti che al monento non risultano adottati.
Per gli aspetti finanziari, dovrà determinarsi con apposito DPCM, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo in esame - vale a dire entro il 2 dicembre 2012, ma al momento tale provvedimento non risulta ancora emanato - , il maggior onere, da quantificarsi su proposta della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (che a tal fine si avvale dell’Istituto per la finanza e l’economia locale, IFEL, e dell’ISTAT), derivante per Roma capitale dall’esercizio delle funzioni connesse al ruolo di capitale della Repubblica, tenuto anche conto dei benefici economici che ne derivano in termini di entrate. La legge di stabilità provvede alla eventuale compensazione degli effetti finanziari connessi a tale onere, nonché a quelli derivanti dagli interventi previsti dall’intesa istituzionale di programma prima illustrata. Si dispone infine che entro il 31 maggio di ogni anno Roma capitale concordi con il Ministero dell’economia l’entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica: in caso di mancato accordo tale concorso è determinato sulla base delle disposizioni applicabili ai comuni. In ogni caso si dispone che le spese connesse alle funzioni di Roma capitale della Repubblica ed agli interventi previsti dall’intesa istituzionale di programma non vengano computate nel saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.
Le regioni e gli enti locali partecipano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea attraverso l'assoggettamento alle regole del Patto di stabilità interno.
Come negli anni precedenti, anche nella XVI legislatura lo strumento prioritario cui il legislatore ha affidato il compito di stabilire obiettivi e vincoli della gestione finanziaria di regioni ed enti locali, ai fini della determinazione della misura del concorso dei medesimi al rispetto degli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, è stato il patto di stabilità interno.
Le regole del patto di stabilità interno sono formulate in sede di manovra di finanza pubblica e inquadrate quali princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del quadro del titolo V della Costituzione.
Nel corso della legislatura, nonostante le successive riscritture della disciplina applicativa, l’impostazione del patto di stabilità interno si è mantenuta incentrata, per gli enti locali, sul controllo dei saldi finanziari e, per le Regioni, sul principio del contenimento delle spese finali, secondo quella che era stata la tendenza della legislatura precedente.
Vale ricordare che la disciplina del patto di stabilità interno per le regioni non si applica alla spesa sanitaria corrente, spesa che costituisce circa il 75 per cento della spesa corrente delle Regioni a statuto ordinario. La spesa sanitaria corrente tuttavia è sottoposta ad un apposito monitoraggio, a limiti e vincoli specifici la cui violazione determina responsabilità e sanzioni per la regione inadempiente.
Per gli enti locali, il vincolo al miglioramento dei saldi è risultato funzionale all’impegno di riconoscere agli enti territoriali una maggiore autonomia tributaria, responsabilizzandoli nella gestione finanziaria anche in relazione ai vincoli finanziari derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea, contenuti nel Patto di stabilità e crescita.
Rispetto alla disciplina adottata all’inizio della legislatura con il D.L. n. 112/2008, le regole del patto hanno subito, nel corso della legislatura, un processo di graduale aggiustamento e di sostanziale consolidamento, volto soprattutto a superare, pur confermando l’impianto generale, le criticità connesse ai meccanismi di definizione degli obiettivi finanziari del patto di stabilità interno e alla diversa distruzione del peso complessivo dei vincoli fra gli enti territoriali, anche sulla base del concetto di virtuosità .
Le regole del patto di stabilità interno sono funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali quale concorso al raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l’adesione al Patto europeo di stabilita' e crescita.
L’obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ha assunto, di recente, valenza costituzionale con la nuova formulazione dell’articolo 119 della Costituzione - operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 volta ad introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale - il quale, oltre a specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, prevede al contempo che tali enti sono tenuti a concorrere ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
Nel dare attuazione all'articolo 119, primo e sesto comma, della Costituzione, come riformulati dall’articolo 4 della legge costituzionale n. 1 del 2012, la legge 24 dicembre 2012, n. 243, reca al capo IV le disposizioni per assicurare l'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e il concorso dei medesimi enti anche alla sostenibilità del debito pubblico.
Per quanto concerne la misura del concorso alla finanza pubblica, gli obiettivi finanziari per le autonomie territoriali derivanti dal patto di stabilità interno sono stati fissati, all’inizio della XVI legislatura, dall’articolo 77 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 per il triennio 2009-2011, in aggiunta a quelli già disposti dalla normativa introdotta nelle legislature precedenti.
Nuovi obiettivi finanziari sono stati successivamente fissati dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010, per il 2012 e per gli anni successivi, poi successivamente integrati dai decreti-legge approvati nel corso dell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 e D.L. n. 138/2011) i quali – nell’ambito della manovra di stabilizzazione dei conti pubblici 2012-2014 – hanno imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
Per ridurre gli effetti dell’inasprimento della manovra a carico degli territoriali, è stata disposta per l’anno 2012 (dall’articolo 1, comma 12, del D.L. n. 138/2011) una riduzione dell’importo complessivo della manovra attraverso l’utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla norma, introdotta nel 2008, che ha aumentato il carico fiscale sulle imprese del settore petrolifero ed energetico (c.d. “Robin Taxâ€). Le riduzioni in questione, per una somma complessiva di 1.800 milioni di euro, sono state operate dall’articolo 30, comma 1, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012). Ulteriori riduzioni per l’anno 2012 sono state inoltre disposte in favore degli enti territoriali più virtuosi ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del D.L. n. 98/2011, nell’importo complessivo di 200 milioni, di cui 180 milioni ripartiti tra regioni, province e comuni. L’importo residuo di 20 milioni è stato destinato, in funzione premiale, agli enti territoriali che hanno avviato nel 2012 la sperimentazione dell'armonizzazione dei bilanci e dei sistemi contabili, di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118. La misura premiale in favore degli enti che partecipano alla sperimentazione è stata ribadita anche nell’anno 2013, per ulteriori 20 milioni, dall’articolo 1, comma 429, della legge di stabilità per il 2013.
Ai fini del consolidamento dei conti pubblici, ulteriori misure finanziarie a carico degli enti territoriali sono state poi introdotte con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, e, più di recente, con il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nell’ambito delle disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica (c.d. spending review 2) e con la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228).
A partire dal D.L. n. 112/2008, dunque, il contributo finanziario richiesto agli enti territoriali negli anni 2009-2016, in termini di indebitamento netto, è stato via via incrementato nella misura di seguito indicata nella tabella, nella quale sono riportati distintamente gli effetti derivanti dalle misure di riduzione delle risorse attribuite alle amministrazioni locali e quelli derivanti da disposizioni miranti ad inasprire gli obiettivi di bilancio delle diverse amministrazioni ad invarianza di risorse loro attribuite.
(dati in mln di euro)
La disciplina del patto di stabilità interno per le regioni, continua ad essere basata sul controllo della spesa finale, introdotto nel 2002. Fino all'esercizio 2010, a ciascuna regione è stato richiesto, per ciascun esercizio finanziario, di ridurre di una determinata percentuale il complesso delle spese finali (articolo 77-ter del D.L.112/2008 per gli esercizi 2009 e 2010). A partire dal 2011, (prima con la L. 220/2010, articolo 1, commi da 125 a 150, e poi con la L. 138/2011, art. 32) il risparmio richiesto alle regioni è sempre calcolato sul complesso delle spese finali (da questo esercizio distinte in termini di competenza e di cassa) ma deve essere tale da coprire il taglio di risorse effettuato nell'ambito delle manovre finanziarie di risanamento dei conti pubblici.
Da ultimo la legge di stabilità per il 2013 (L. 228/2012, art. 1, commi 448-472), modifica le regole del patto di stabilità per le regioni e le province autonome al fine di inserire in questa disciplina la nuova modalità di calcolo delle spese finali sottoposte al vincolo del patto, definita competenza eurocompatibile, nonché di adeguare la normativa al risparmio richiesto alle regioni e alle province autonome dal D.L. 95/2012, ulteriormente incrementato dalla stessa legge di stabilità per il 2013 (art. 1, commi 117-118). A decorrere dall'esercizio 2013, il complesso delle spese considerate in termini di competenza eurocompatibile è costituito da:
Dal complesso delle spese, calcolato come sopra descritto, sono escluse determinate tipologie, esattamente elencate dalla legge (L. 183/2011, art. 32, comma 4), considerate 'obbligatorie'. Le spese per il finanziamento del servizio sanitario nazionale sono escluse ma sono sottoposte ad una specifica disciplina di contenimento concernente il controllo della spesa sanitaria. In altri casi si tratta di spese che vanno a finanziare funzioni che la legge ha attribuito alle regioni come, ad esempio, le spese finanziate dal fondo per il trasporto pubblico locale e ferroviario o, da ultimo, le spese inerenti il finanziamento delle scuole non statali attraverso il contributo concesso dallo Stato. Sono escluse anche le spese per la concessione di crediti e le spese per interventi cofinanziati dall’Unione europea, per la sola parte di finanziamento europeo.
Per la disciplina specifica concernente la determinazione del complesso del risparmio da realizzare; le modalità di ripartizione tra le regioni; l'elenco completo delle spese escluse dal patto si rinvia alla scheda di approfondimento Il patto di stabilita' per le regioni a statuto ordinario.
Per le regioni a statuto speciale e le due province autonome di Trento e di Bolzano la disciplina del patto di stabilità si discosta dalla disciplina 'ordinaria' per la necessità della definizione di una intesa tra ciascun ente e il Ministero dell'economia e delle finanze per determinare la misura e le modalità del concorso di ciascuna regione agli obiettivi del patto di stabilità . Al pari degli altri enti territoriali, infatti, esse sono assoggettate agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dalla legge che determina altresì, la misura complessiva del risparmio da realizzare. Tuttavia, in ragione della particolare autonomia di cui esse godono, sancita da norme di rango costituzionale, la legge prevede che l'obiettivo specifico di ciascun ente venga concordato ogni anno con il Ministero. Le regioni a statuto speciale che esercitano in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale, vale a dire quelle che provvedono alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio (Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Province autonome di Trento e di Bolzano) sono altresì competenti per la definizione della disciplina del patto di stabilità per gli enti locali dei rispettivi territori; qualora la regione non provveda, si applicano le regole generali.
Un'altra differenza rilevante riguarda la regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Per esse, la disciplina generale del patto di stabilità , a decorrere dal 2010, è contenuta nell'articolo 79 del D.P.R. 670/1972 (statuto della regione) come modificato dalla legge finanziaria per il 2010 (L. 191/2009) che ai commi 106-125 dell'articolo 2 ha revisionato l'ordinamento finanziario della regione autonoma al fine di recepire i principi del federalismo fiscale. La disciplina 'statutaria' stabilisce che gli obiettivi di risparmio sono calcolati in riferimento al saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, anziché sul complesso delle spese.
Anche per la regione Friuli-Venezia Giulia, le norme emanate ai fini dell'attuazione dei principi del federalismo fiscale (L. 220/2010, legge di stabilità per il 2011, art. 1, commi 149-157) dispongono, tra l'altro, in merito al patto di stabilità interno (commi 154 e 155), riferito al "sistema integrato regionale" comprensivo oltre che della regione di tutti gli enti e organismi finanziati direttamente dalla regione stessa. Le norme non modificano la base sulla quale deve essere costruito l'accordo annuale, che continua ad essere il complesso delle spese, valutate prendendo a riferimento le corrispondenti spese considerate nell'accordo per l'esercizio precedente.
Per la disciplina specifica concernente la determinazione del complesso del risparmio da realizzare; le modalità di raggiungimento dell'accordo, nonché la normativa applicabile in caso di mancato accordo, si rinvia alla scheda di approfondimento Il patto di stabilita' per le regioni a statuto speciale e le province autonome.
Il patto di stabilità interno per gli enti locali è attualmente disciplinato dall’articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come successivamente modificato ed integrato dall’articolo 1, commi 428-447, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012).
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione, negli anni dal 2009 al 2012 sono stati assoggettati alle regole del patto le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
A partire dal 2013 è prevista l’estensione dei vincoli del patto ad una platea più ampia di enti, quali:
Si segnala, infine, che devono considerarsi assoggettate al patto anche le società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali, a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, comma 2-bis, del D.L. n. 112 del 2008. Tuttavia, le regole di assoggettamento di tali enti al patto devono ancora essere individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, al momento non ancora adottato.
Dal 2014, saranno assoggettate alle regole del patto anche le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (in applicazione dell’articolo 16, comma 1, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138), secondo le regole previste per i comuni aventi corrispondente popolazione.
L’obiettivo del patto di stabilità per gli enti locali consiste nel raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario - calcolato quale differenza tra entrate e spese finali, comprese dunque le spese in conto capitale, con l’eccezione di alcune voci - espresso in termini di competenza mista (criterio contabile che considera le entrate e le spese in termini di competenza, per la parte corrente, e in termini di cassa per la parte degli investimenti, al fine di rendere l'obiettivo del patto di stabilità interno più coerente con quello del Patto europeo di stabilità e crescita).
Nel corso della legislatura i meccanismi di calcolo degli obiettivi di saldo sono stati via via rivisti: mentre nella prima parte della legislatura, il saldo obiettivo di ciascun ente è stato rapportato al saldo finanziario raggiunto dall’ente medesimo in un esercizio precedente, a partire dal 2011, con la legge n. 220/2010, gli obiettivi del patto sono stati ancorati alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuto in un triennio, criterio che ha reso ancor più stringenti ed impegnativi gli obiettivi da raggiungere.
In particolare, per gli anni dal 2013 al 2016, il saldo obiettivo viene determinato, per ciascun ente, applicando alla spesa corrente media da esso sostenuta nel triennio 2007-2009 - così come desunta dai certificati di conto consuntivo - determinati coefficienti, fissati in maniera differenziata per le province e i comuni. Gli obiettivi così ottenuti sono però rettificati per neutralizzare il taglio dei trasferimenti erariali determinato dal comma 2 dell’articolo 14 del D.L. 78/2010.
Con riferimento al computo del saldo finanziario valido ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità , si evidenzia che, sia per evitare che i vincoli del patto potessero rallentare gli impegni e i pagamenti per interventi considerati prioritari e strategici, sia per correggere eventuali effetti anomali che potrebbero determinarsi sui saldi a causa del non allineamento temporale tra entrata e spesa, sono state previste alcune specifiche esclusioni di voci di entrata e di spesa, che non rientrano, pertanto, nei vincoli del patto.
I saldi obiettivo così calcolati sono dichiaratamente “transitoriâ€, nelle more dell’applicazione del nuovo meccanismo di ripartizione degli obiettivi del patto fra le singole amministrazioni sulla base delle classi di virtuosità , introdotto a partire dal 2012 dall'articolo 20 del D.L. n. 98/2011, che, come più avanti si illustra, comporta effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti. In particolare:
Va, infine, considerato, che il valore definitivo del saldo-obiettivo di ciascun ente locale potrà essere ulteriormente rideterminato nel corso dell’anno qualora l’ente benefici di misure di flessibilita' del patto di stabilità interno (i c.d. Patti di solidarietà fra enti territoriali), le quali, si ricorda, sono state introdotte nell’ordinamento a partire dal 2009 al fine di rendere più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti soggetti ai vincoli al patto di stabilità e, al contempo, allentare la compressione sulle spese di investimento degli enti locali, che si è venuta a determinare a causa dei meccanismi di calcolo dei saldi obiettivi in termini di competenza mista e del blocco della leva fiscale imposto alle amministrazioni territoriali dal 2008, che ha, di fatto, annullato la possibilità di intervento sulle entrate ai fini del raggiungimento dei saldi-obiettivo.
In merito, si segnala che il potere delle regioni e degli enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, è stato ripristinato, dall’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012, a decorrere dall'anno di imposta 2012.
Per una analisi più dettagliata delle regole del patto, si rinvia alla scheda di approfondimento sulla disciplina del patto di stabilita' per gli enti locali per il 2013.
La principale innovazione introdotta nel corso della XVI legislatura è rappresentata dall’introduzione di un meccanismo di riparto dell’ammontare del concorso alla manovra tra i singoli enti basato su criteri di virtuosità .
Il meccanismo - introdotto a decorrere dall’anno 2012 dall’articolo 20, comma 2, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 - prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno siano attribuiti ai singoli enti in base alla loro virtuosità , misurata operando una valutazione ponderata di alcuni specifici parametri: 1) rispetto del patto di stabilità interno; 2) autonomia finanziaria; 3) equilibrio di parte corrente; 4) rapporto tra riscossioni e accertamenti delle entrate di parte corrente. Per tali parametri, il comma 428 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013 ha introdotto un correttivo, finalizzato a considerare anche la realtà socio-economica dei singoli enti locali, mediante la valutazione dei due seguenti indicatori: valore delle rendite catastali e numero di occupati.
Ulteriori parametri di valutazione della virtuosità dell’ente, oltre i quattro citati, anch'essi previsti dal D.L. 98/2011 saranno applicabili a partire dall’anno 2014. Tali parametri sono: - la prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; - l’incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente; - il tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; - il rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni, ovvero effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale e operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie.
Per l’applicazione del meccanismo della virtuosità , si prevede la ripartizione degli enti sottoposti al patto di stabilità in due classi, con appositi decreti del Ministro dell’interno per gli enti locali e del Ministro dell’economia per le regioni. La suddivisione degli enti nelle due classi è funzionale alla ripartizione, tra i singoli enti appartenenti ad un determinato comparto e fermo restando l’obiettivo complessivo del comparto, degli obiettivi finanziari stabiliti dal patto, con effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.
L’onere connesso al minor contributo che viene richiesto agli enti virtuosi è, pertanto, sostenuto interamente dagli enti non virtuosi, i cui obiettivi saranno conseguentemente rideterminati. Di conseguenza, mentre gli enti virtuosi beneficeranno di un miglioramento dei propri obiettivi del patto di stabilità , per gli enti non virtuosi è invece prevista una penalizzazione, consistente nella rideterminazione in aumento del proprio obiettivo finanziario.
Tale meccanismo di redistribuzione degli obiettivi finanziari sulla base dei criteri di virtuosità si configura come aggiuntivo rispetto al sistema di premialità , disciplinato ai sensi del comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220/2010 come riformulato dall’articolo 7, comma 5, del D.Lgs. n. 149/2011, che prevede il beneficio di una riduzione degli obiettivi imposti agli enti locali rispettosi del patto, commisurata agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione operata a valere sui fondi degli enti locali, in caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno.
La disciplina del patto di stabilità comprende termini e modalità di monitoraggio dei risultati conseguiti dagli enti, ai fini della certificazione dei risultati. Tutti gli enti sono, pertanto, tenuti a trasmettere al Ministero dell’economia e delle finanze - con cadenza trimestrale per le regioni, semestrale per gli enti locali - le informazioni relative agli andamenti della gestione. Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi, gli enti hanno l’obbligo di inviare al Ministero dell'economia la certificazione del risultato finanziario raggiunto entro il termine perentorio del 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento. La mancata trasmissione della certificazione costituisce inadempimento del patto ed è sanzionata al pari del mancato rispetto dell’obietto di risparmio.
Il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno comporta l’applicazione di una serie di misure sanzionatorie.
Il sistema sanzionatorio è stato completamente ridefinito all’inizio della legislatura, con il D.L. n. 112/2008 rispetto alle misure correttive che erano state introdotte negli anni 2007-2008 dalle relative leggi finanziarie (legge n. 196/2007 e legge n. 244/2007), basate su un meccanismo di automatismo fiscale.
Negli anni successivi, l’impianto sanzionatorio introdotto con l’articolo 77-bis del D.L. n. 112/2008 è stato sostanzialmente confermato, con alcuni inasprimenti, e da ultimo ribadito dall’articolo 7 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, che, nell’ambito delle misure attuative della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, reca la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni.
In particolare, per gli enti che non rispettano gli obiettivi del patto di stabilità è previsto:
Nel corso dell’anno 2011, con il D.L. n. 98/2011, è stato inoltre introdotto un meccanismo sanzionatorio diretto a scoraggiare l’adozione di mezzi elusivi per addivenire ad un rispetto solo formale del patto ed è stato previsto che qualora il mancato raggiungimento degli obiettivi del patto venga accertato in un secondo momento le sanzioni previste dalla normativa vigente si applichino comunque nell’esercizio successivo. In funzione 'antielusiva', è previsto:
La legge di stabilità 2013 (L.228/2012, articolo 1, commi 448-472) ha riscritto le regole del patto di stabilità per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano al fine di inserire in questa disciplina la nuova modalità di calcolo delle spese finali sottoposte al vincolo del patto di stabilità , definita competenza eurocompatibile, nonché di adeguare la normativa all'incremento di risparmio richiesto alle regioni e alle province autonome dal decreto legge 95/2012 come modificato dai commi 117 e 118 dell'articolo unico della medesima legge di stabilità 2013. Le disposizioni, che si applicano agli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, riguardano:
Per le regioni a statuto ordinario il comma 449 definisce il tetto massimo di spese finali che non può essere superato dal comparto nel suo complesso; questo è pari a:
L'importo degli obiettivi è stato determinato calcolando il tetto di competenza mista delle regioni a statuto ordinario, secondo i dati relativi ai rendiconti 2011 trasmessi dalle regioni stesse alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del D.L. 135/2009) e sottraendo a questa somma i risparmi richiesti alle regioni dal 2012 al 2016. Sono perciò compresi i risparmi disposti dal D.L. 95/2012 e dall'articolo 1, commi 117 e 118 della legge di stabilità 2013, pari complessivamente a 2.000 milioni di euro nel 2013 e nel 2014 e a 2.050 milioni di euro nel 2015 e nel 2016.
La disciplina relativa agli esercizi precedenti, fissava gli obiettivi del patto di stabilità indicando la misura del risparmio da realizzare in relazione al complesso delle spese finali sia in termini di competenza, sia in termini di cassa. Per l'esercizio 2012, la misura è fissata per ciascuna regione nella tabella inserita ai commi 2 (per la competenza) e al comma 3 (per la cassa) dell'articolo 32 della legge di stabilità 2012 (legge 183/2011).
La disciplina in esame, invece, fissa un tetto alle spese complessive e introduce, al posto della cassa, una diversa modalità di calcolo dell'insieme da considerare, definita competenza eurocompatibile (o saldo eurocompatibile). Il nuovo tetto di spesa è stato definito in collaborazione con l'ISTAT, al fine di garantire, in coerenza con le elaborazioni sull'indebitamento netto delle regioni secondo il sistema SEC '95 (Sistema europeo dei conti nazionali e regionali), l'efficacia del patto di stabilità in termini di indebitamento netto.
Il comma 451, specifica quali sono le voci che costituiscono la competenzaeurocompatibile:
Il comma 450 dispone inoltre che il complesso delle spese finali in termini di competenza finanziaria di ciascuna regione non può essere superiore, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, all'obiettivo fissato dal comma 449 di competenza eurocompatibile.
In relazione a ciascun esercizio, in sede di Conferenza Stato-Regioni si dovrà provvedere alla ripartizione della cifra complessiva tra le regioni, al fine di individuare qual è, per ciascuna regione, il tetto massimo di spesa. La norma (ancora il comma 449) fissa il termine per l'accordo al 31 gennaio di ciascun anno, l'accordo dovrà essere recepito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze. Nella ripartizione si potrà tener conto di quanto disposto in merito alla redistribuzione della manovra sulla base di criteri di virtuosità degli enti dal comma 2 dell'articolo 20 del D.L. 98/2011 (come modificato dal comma 428 dell'articolo unico della legge di stabilità in esame). In caso di mancata deliberazione della Conferenza Stato-Regioni, il decreto è comunque emanato entro il 15 febbraio 2013. In questo caso il criterio di ripartizione è l'incidenza percentuale della spesa di ciascuna regione, calcolata sulla base dei rendiconti 2011 trasmessi alla Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del D.L. 135/2009, modificato dal comma 467 delle norme in esame, vedi infra) nonché sulla base delle informazioni trasmesse dalle regioni attraverso il monitoraggio del patto di stabilità interno del 2011.
Il comma 468 modifica i termini per la definizione dell'accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni per la ripartizione tra le regioni a statuto ordinario del complesso dei tagli disposti dall'articolo 16, comma 2, del D.L. 95/2012 dal 30 settembre 2012 al 31 gennaio di ciascun anno, in coerenza con quanto disposto dal comma 449 sopra descritto. Conseguentemente, il termine per l'emanazione del decreto in caso di mancato accordo è spostato dal 15 ottobre 2012 al 15 febbraio di ciascun anno.
Per il 2013 è stato raggiunto l'accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni il 24 gennaio 2013. L'accordo, non ancora recepito con Decreto ministeriale, reca la distribuzione tra le regioni sia dell'obiettivo del patto, pari a complessivi 20.090 milioni di euro, sia l'ammontare dei tagli disposti dall'art. 16, comma 2, del D.L 95/2012 pari a 1.000 milioni di euro.
Il comma 470, infine, dispone l'abrogazione di alcune norme contenute nell'articolo 32 della legge di stabilità 2012. In particolare sono abrogati:
Le tipologie di spese escluse dal computo ai fini dell'applicazione delle regole del patto di stabilità sono elencate al comma 4 dell'articolo 32 della legge di stabilità 2012, con le limitate modifiche apportate dal comma 452 dell'unico articolo della legge di stabilità 2013, che, al comma 453, abroga ogni altra disposizione che esclude altre tipologie di spesa.
Dal computo delle spese da considerare ai fini dell'applicazione delle regole del patto di stabilità , sono escluse:
Per le regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna, gli obiettivi di risparmio sono definiti dal comma 454 dell'unico articolo della legge di stabilità 2013. Le norme confermano la necessità , per ciascun ente, di concordare con il Ministero dell'economia e delle finanze per ciascuno degli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, l'obiettivo specifico, al pari delle regioni a statuto ordinario, in termini di competenza eurocompatibile e competenza finanziaria.
Questo verrà calcolato sottraendo alle spese finali 2011 (sempre in termini di competenza eurocompatibile) le seguenti voci:
Analogamente a quanto stabilito per le regioni a statuto ordinario, il complesso delle spese finali in termini di competenza finanziaria di ciascun ente non può essere superiore, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016, all'obiettivo di competenza eurocompatibile determinato per il corrispondente esercizio come sopra illustrato.
Il comma 455 disciplina separatamente il patto di stabilità per la regione Trentino Alto Adige e per le province di Trento e di Bolzano, a seguito dell'inserimento della disciplina generale del patto nell'articolo 79 del DPR 670/1972 (statuto speciale della regione) come modificato dai commi 106-125 dell'articolo 2 della legge legge finanziaria 2010 al fine di adeguarlo agli obiettivi di perequazione e solidarietà stabiliti per le regioni a statuto speciale dall’articolo 27 della legge 42/2009, recante la delega al Governo in materia di federalismo fiscale. Per questi enti gli obiettivi di risparmio sono calcolati in riferimento al saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, anziché sul complesso delle spese in termini di competenza eurocompatibile, per il resto la disciplina ricalca quella comune alle altre regioni a statuto speciale. L'accordo sul patto di stabilità per questi enti dovrà perciò determinare il saldo programmatico in termini di competenza mista. A tal fine il saldo programmatico del 2011 dovrà essere aumentato delle medesime voci illustrate sopra al comma 454, che costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica delle autonomie speciali.
Le norme recate dai commi 454 e 455, prevedono per tutti gli enti che la proposta di accordo venga presentata al Ministero entro il 31 marzo di ciascun anno. Nel caso non venga raggiunto l'accordo entro il 31 luglio, il comma 456 dispone che si applicano le modalità di calcolo definite al comma 454 per le regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna e al comma 455 per la regione Trentino Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano. A tale proposito si segnala che il comma 12-bis dell'articolo 32 della legge di stabilità 2012, inserito dal decreto legge 95/20123 (articolo 16, comma 4) disciplina gli obiettivi di risparmio nel caso in cui l'accordo previsto dalla legge non venga raggiunto entro il 31 luglio. In questo caso gli obiettivi di risparmio della regione, o della provincia autonoma, sono calcolati applicando agli obiettivi definiti nell’ultimo accordo, le ulteriori riduzioni indicate nella norma.
I commi 457-459 recano disposizioni presenti anche nella disciplina contenuta nell'articolo 32 della legge di stabilità 2012:
Il comma 469, infine, modifica i termini per la definizione dell'accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni per la ripartizione tra le regioni a statuto speciale e le province autonome del complesso dei tagli disposti dall'articolo 16, comma 3, del D.L. 95/2012 dal 30 settembre 2012, al 31 gennaio di ciascun anno Conseguentemente, il termine per l'emanazione del decreto in caso di mancato accordo è spostato dal 15 ottobre 2012 al 15 febbraio di ciascun anno.
La disciplina del patto di stabilità interno per le province e i comuni per il triennio 2013-2015, funzionale al conseguimento degli obiettivi finanziari assegnati al comparto degli enti locali, è recata dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), che conferma, con alcune modifiche, la normativa prevista dagli articoli 30, 31 e 32 della legge 12 novembre 2011, n. 183.
La disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2013-2015, è illustrata dalla Circolare del Ministero dell’economia e finanze n. 5 del 7 febbraio 2013 .
Per gli anni 2013 e successivi, gli obiettivi finanziari assegnati al comparto locale sono stati fissati originariamente dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 78/2010 e poi successivamente integrati dai decreti-legge approvati nell’estate 2011 (D.L. n. 98/2011 e D.L. n. 138/2011) – con i quali è stata operata la manovra di stabilizzazione dei conti pubblici 2012-2014 – che hanno imposto alle autonomie territoriali, a partire dal 2012, un ulteriore concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. Ulteriori misure finanziarie sono state adottate nei confronti degli enti locali con il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, e poi, nel corso dell’anno 2012, con il D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nell’ambito delle disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica (c.d. spending review 2) e con la legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228).
Va rilevato che il concorso alla manovra di finanza pubblica delle amministrazioni locali è stato per la gran parte perseguito mediante una riduzione delle risorse attribuite agli enti locali, a a valere sui fondi sperimentali di riequilibrio, senza apportare modifiche sostanziali alla disciplina vincolistica sui bilanci prevista dal patto di stabilità interno.
Nel complesso, il concorso alla manovra per gli anni 2013-2016 risulta pari:
In relazione agli obiettivi di risparmio disposti dal D.L. n. 78/2010, si ricorda che con il D.L. n. 98/2011 (articolo 20, comma 4), gli obiettivi già previsti per l’anno 2013 sono stati estesi anche agli anni 2014 e successivi. Sul punto è recentemente intervenuta la Corte Costituzione, che con la sentenza n. 193/2012 ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme recate dal decreto legge n. 98/2011 con le quali gli obiettivi di risparmio determinati fino al 2013 per regioni, province e comuni sono stati estesi anche al 2014 e agli anni successivi. Motivazione principale della Corte è che l’estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive già previste nella precedente normativa, farebbe venir meno una delle due condizioni, quella della temporaneità delle restrizioni, necessarie al fine di poter considerare una norma quale principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica
Da ultimo, l’articolo 1, comma 432, della legge n. 228/2012 ha novellato la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali, di cui all’articolo 31 della legge n. 183/2011, limitando all’anno 2016 l’efficacia del vincolo finanziario imposto agli enti locali, prima fissato a regime.
Si ricorda, infine, che le regole del patto vengono poste in relazione all’esigenza di assicurare il concorso degli enti territoriali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, in considerazione del fatto che i vincoli sul disavanzo e sul debito, previsti dal Patto di stabilita' e crescita (Regolamento UE n. 1466/1997), si riferiscono al complesso delle amministrazioni pubbliche.
Al tempo stesso, la disciplina del patto di stabilità interno è inquadrata nell’ambito del titolo V della Costituzione, nel senso che essa reca i princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, e 119, comma secondo, della Costituzione. Il riferimento alla funzione di coordinamento della finanza pubblica vale non solo a indicare la funzione del patto di stabilità interno, ma anche a individuare il fondamento della competenza dello Stato nel dettarne la disciplina con propria legge. In relazione al Titolo V, il rispetto delle regole del patto di stabilità interno viene altresì posto in relazione all’esigenza di garantire la “tutela dell’unità economica della Repubblicaâ€, che, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione, può giustificare l’intervento sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni e degli enti locali.
Per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione del patto di stabilità interno, negli anni della legislatura (2009-2012) sono stati assoggettati alle regole del patto tutte le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Dal 2013, inoltre, saranno assoggettati alle regole del patto di stabilità :
Inoltre, dal 2014, saranno assoggettate alle regole del patto le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (in applicazione dell’articolo 16, comma 1, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138).
Si segnala, infine, che devono considerarsi assoggettate al patto anche le società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali, a partecipazione pubblica locale totale o di controllo, ai sensi dell’articolo 18, comma 2-bis, del D.L. n. 112 del 2008. Tuttavia, le regole di assoggettamento di tali enti al patto devono ancora essere individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, al momento non ancora adottato.
In merito, si ricorda che il medesimo decreto legge (articolo 23-bis, comma 10, lettera a) delegava inoltre il Governo all’adozione di uno o più regolamenti al fine di prevedere l’assoggettamento dei soggetti affidatari cosiddetti in house di servizi pubblici locali al patto di stabilità interno. Tale norma è stata, tuttavia, dichiarata incostituzionale dalla Corte con sentenza 3-17 novembre 2010, n. 325, in quanto l'ambito di applicazione del patto di stabilità interno attiene alla materia del coordinamento della finanza pubblica di competenza legislativa concorrente, e non a materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali soltanto l'art. 117, sesto comma, Cost. attribuisce allo Stato la potestà regolamentare.
Successivamente, l’articolo 4, comma 14, del D.L. n. 138/2011 ha ribadito la necessità dell’assoggettamento al patto di stabilità delle società cosiddette «in house» affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali, ampliandone l'ambito di applicazione, e rinviando a tal fine alle modalità definite, con il concerto del Ministro per gli Affari Regionali, in sede di attuazione dell'articolo 18, comma 2-bis del D.L. n. 112/2008. Anche di tale norma, tuttavia, la Corte Costituzionale ne ha dichiarato la illegittimità con Sentenza 17-20 luglio 2012, n. 199.
Per quanto concerne, infine, gli enti locali di nuova istituzione, l’articolo 31, comma 23, della legge n. 183/2011 ha disposto, per quelli istituiti a decorrere dall'anno 2009, l’applicazione delle regole del patto di stabilità interno dal terzo anno successivo a quello della loro istituzione. Pertanto, gli enti locali istituiti nel 2009 sono stati assoggettati alle regole del patto di stabilità interno già a partire dall’anno 2012, quelli istituiti a decorrere nell'anno 2010 saranno assoggettati al patto a partire dal 2013 e così via. Ai fini della determinazione degli obiettivi programmatici, tali enti assumono, come base di riferimento, le risultanze dell’anno successivo alla istituzione medesima.
L’articolo 31 della legge di stabilità 2012, come modificato dall’articolo 1, commi 430-432, 436, 439, 445-446, della legge n. 228/2012, conferma una disciplina del patto di stabilità per gli enti locali finalizzata all’obiettivo del miglioramento del saldo finanziario, inteso quale differenza tra entrate finali e spese finali (comprese dunque le spese in conto capitale).
Nel corso della legislatura, i meccanismi di calcolo degli obiettivi di saldo sono stati rivisti più volte: mentre nella prima parte della legislatura il saldo obiettivo di ciascun ente è stato rapportato al saldo finanziario raggiunto dall’ente medesimo in un esercizio precedente, a partire dal 2011 gli obiettivi del patto sono stati ancorati alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuto in un triennio.
In particolare, nella disciplina recata dall’articolo 77-bis del D.L. n. 112/2008 per gli anni 2009-2011, la misura del concorso di ciascun ente locale alla manovra di finanza pubblica era calcolata applicando all’entità del saldo 2007, misurato in termini di competenza mista, determinati coefficienti differenziati, per comuni e province, a seconda che l’ente avesse o meno rispettato il patto di stabilità per l’anno 2007 e presentasse un saldo positivo o negativo nel 2007, in termini di competenza mista. Gli obiettivi programmatici imposti dal patto di stabilità consistevano, in sostanza, nel raggiungimento, per ciascun ente, negli anni 2009, 2010 e 2011, di un saldo finanziario, in termini di competenza mista, almeno pari a quello del 2007, migliorato per gli enti in disavanzo ovvero peggiorato per gli enti in avanzo della misura determinata dall’applicazione degli specifici coefficienti al saldo finanziario dell’anno 2007. Va, infine, ricordato, che, per il solo anno 2009, era individuato un limite massimo del concorso alla manovra, per i comuni che presentavano una situazione di deficit nel 2007 particolarmente grave. Nella successiva disciplina del patto, recata dall’articolo 1, commi 87-124, della legge n. 220/2010 per il triennio 2011-2013, l’obiettivo di saldo programmatico non è più rapportato al saldo finanziario, ma viene invece parametrato alla spesa corrente dell’ente, non più riferita ad un solo anno ma ad un triennio. In particolare, l’obiettivo di saldo finanziario per ciascun ente è determinato applicando alla spesa corrente media sostenuta nel periodo 2006-2008 determinate percentuali, fissate in maniera differenziata per le province e i comuni.
Il concorso di ciascun ente al contenimento dei saldi di finanza pubblica, disciplinato dall’articolo 31 della legge n. 183/2011, viene parametrato alla spesa corrente dell’ente, riferita ad un intervallo temporale triennale.
L’obiettivo di saldo, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2016 viene determinato, per ciascun ente, applicando alla spesa corrente media sostenuta nel triennio triennio 2007-2009, come desunta dai certificati di conto consuntivo, determinate percentuali, fissate nella seguente misura per ciascuna tipologia di ente (articolo 31, comma 2, legge n. 183/2011, come modificato dall’articolo 1, comma 432, legge n. 228/2012):
Ai fini del concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli enti devono pertanto conseguire, in ciascuno degli anni, un obiettivo di saldo finanziario di competenza mista non inferiore al valore individuato in base al suddetto meccanismo. L’importo va, tuttavia, diminuito di un importo pari alla riduzione dei trasferimenti, apportata ai sensi dell’articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78/2010.
Si ricorda che, come già previsto per il 2011 dall’articolo 1, comma 88, della legge n. 220/2010, anche per gli anni successivi gli obiettivi di saldo vengono rettificati per sterilizzare gli effetti connessi con il taglio dei trasferimenti determinati dall’articolo 14, comma 2, del D.L. n. 78 del 2010, da considerarsi strumentali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica (operato, a decorrere dall’anno 2012, negli importi pari a 500 milioni di euro per le province e a 2.500 milioni di euro per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti). I comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non coinvolti dalla riduzione dei trasferimenti erariali di cui al richiamato articolo 14, non opereranno alcuna riduzione a valere sul saldo programmatico. La norma prevedeva che le riduzioni dei trasferimenti fossero ripartite tra i singoli enti secondo criteri e modalità stabiliti in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali e recepiti con decreto annuale del Ministro dell’interno. Per l’anno 2011 la riduzione dei trasferimenti è stata attuata con il decreto del Ministro dell’interno 9 dicembre 2010. Le riduzioni previste a decorrere dal 2012 sono state attuate con il decreto del Ministro dell’interno 13 marzo 2012, per le province, e con il decreto del Ministro dell’interno 22 marzo 2012, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Per quanto concerne il computo del saldo finanziario, come negli anni passati, esso va calcolato quale differenza tra entrate finali e spese finali, al netto delle entrate derivanti dalla riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti, in termini di competenza mista.
Il criterio di competenza mista comporta che le entrate e le uscite di parte corrente si considerano in termini di competenza giuridica (accertamenti e impegni) e quelle in conto capitale si considerano invece in termini di cassa (incassi e pagamenti). Quindi il patto di stabilità lascia liberi i pagamenti di spesa corrente, in quanto la cassa è soggetta a restrizioni esclusivamente per la parte in conto capitale. La circolare esplicativa del Ministero dell’economia n. 5 del febbraio 2013, ribadisce che tra le operazioni finali non sono da considerare né l’avanzo (o disavanzo) di amministrazione né il fondo (o deficit) di cassa. Infatti, l’inserimento nell’ambito del saldo del patto di stabilità interno dell’avanzo di amministrazione non è consentito in quanto, in base alle regole europee della competenza economica, gli avanzi di amministrazione che si sono realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, al contrario delle correlate spese effettuate nell’anno di riferimento.
Tali obiettivi sono validi, tuttavia, nelle more dell’adozione del nuovo meccanismo di ripartizione degli obiettivi finanziari del patto fra gli enti di ciascun livello di governo, basato su criteri di virtuosità , definito dall’articolo 20, commi 2-2-ter e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, come successivamente modificato, prima dall’articolo 1, comma 9 del D.L. n. 138/2011, poi dall’articolo 30 della legge di stabilità 2012 e, infine, dai commi 248 e 249 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013.
Il meccanismo - introdotto a decorrere dall’anno 2012 - prevede che gli obiettivi del patto di stabilità interno siano attribuiti ai singoli enti locali di ciascun comparto in base alla loro virtuosità , misurata operando una valutazione ponderata di alcuni specifici parametri, appositamente indicati dalla norma.
L'articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011 indica i seguenti parametri di virtuosità : a) prioritaria considerazione della convergenza tra spesa storica e costi e fabbisogni standard; b) rispetto del patto di stabilità interno; c) incidenza della spesa del personale sulla spesa corrente dell'ente in relazione al numero dei dipendenti in rapporto alla popolazione residente, alle funzioni svolte anche attraverso esternalizzazioni nonché all'ampiezza del territorio; per la valutazione di questo parametro si tiene conto del suo andamento nell'intera legislatura o consiliatura; d) autonomia finanziaria; e) equilibrio di parte corrente; f) tasso di copertura dei costi dei servizi a domanda individuale per gli enti locali; g) rapporto tra gli introiti derivanti dall'effettiva partecipazione all'azione di contrasto all'evasione fiscale e i tributi erariali, per le regioni; h) effettiva partecipazione degli enti locali all'azione di contrasto all'evasione fiscale; i) rapporto tra le entrate di parte corrente riscosse e accertate; j) operazioni di dismissioni di partecipazioni societarie nel rispetto della normativa vigente.
Per l’applicazione del meccanismo della virtuosità , si prevede la annuale ripartizione degli enti sottoposti al patto di stabilità in due classi sulla base della valutazione ponderata dei suddetti parametri, con appositi decreti ministeriali. Soltanto quattro dei parametri indicati dall’articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011 hanno trovato applicazione nell’anno 2012 ai fini della valutazione della virtuosità degli enti: 1) rispetto del patto di stabilità interno; 2) autonomia finanziaria; 3) equilibrio di parte corrente; 4) rapporto tra riscossioni e accertamenti delle entrate di parte corrente.
Gli ulteriori parametri di valutazione, già previsti dal citato articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011, saranno applicati per valutare la virtuosità degli enti sottoposti al patto di stabilità interno a partire dall’anno 2014, come disposto dall’articolo 1, comma 428, della legge n. 228/2012.
Al fine di tener conto della realtà socioeconomica degli enti, il comma 248 dell’articolo 1 della legge n. 228/2012 ha inoltre introdotto dei correttivi ai suddetti parametri di virtuosità , attraverso l’applicazione di due indicatori: il valore delle rendite catastali e il numero di occupati.
La suddivisione degli enti locali nelle due classi è funzionale alla ripartizione, tra i singoli enti appartenenti ad un determinato comparto, degli obiettivi finanziari stabiliti dal patto di stabilità interno, fermo restando l’obiettivo complessivo di comparto, con effetti di minore incidenza finanziaria dei vincoli per gli enti virtuosi e di maggiore incidenza per gli altri enti.
L’onere connesso al minor contributo che viene richiesto agli enti virtuosi è, pertanto, sostenuto interamente dagli enti non virtuosi, i cui obiettivi saranno conseguentemente rideterminati. Di conseguenza, mentre gli enti virtuosi beneficeranno di un miglioramento dei propri obiettivi del patto di stabilità , per gli enti non virtuosi è invece prevista una penalizzazione, consistente nella rideterminazione in aumento del proprio obiettivo finanziario.
Il meccanismo di redistribuzione della manovra fra gli enti locali sulla base del meccanismo di “virtuosità †è stato, di recente, modificato dall’articolo 1, commi 428-431, legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013), il quale ha ridefinito, per gli anni 2013 e successivi, gli obiettivi finanziari del patto per gli enti virtuosi (regioni, province e comuni) appartenenti al singolo livello di governo, fermo restando l'obiettivo del comparto, abrogando, a tal fine, il comma 5 e modificando il comma 6 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011.
In particolare, ai sensi del comma 3 dell’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, come modificato dal comma 429 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013, agli enti locali che risultano collocati nella classe dei virtuosi è attribuito, per l’anno 2013, un saldo obiettivo, espresso in termini di competenza mista, pari a zero.
Tale previsione risulta essere più vantaggiosa rispetto alla normativa previgente, applicata nel 2012, che richiedeva agli enti locali virtuosi di conseguire un saldo finanziario uguale a zero ovvero pari ad un valore obiettivo compatibile con gli spazi finanziari che si ottengono applicando la penalizzazione agli enti non virtuosi.
I maggiori spazi finanziari concessi agli enti virtuosi sono compensati dal maggior concorso richiesto agli enti non virtuosi, per i quali è prevista una rideterminazione in aumento - fino ad un limite massimo espressamente indicato - delle percentuali da applicare alla media della spesa corrente per l’individuazione dell’obiettivo di saldo.
Per evitare che a questi ultimi siano attribuiti obiettivi di difficile realizzazione, il comma 6, dell’articolo 31, della legge n. 183 del 2011, come modificato dal comma 431, dell’articolo 1, della legge di stabilità 2013, introduce una clausola di salvaguardia in base alla quale il contributo aggiuntivo richiesto agli enti locali non virtuosi non può essere comunque superiore ad una certa percentuale massima della spesa media registrata nel triennio 2007-2009.
Per l’anno 2012, la differenziazione degli obiettivi in base alla virtuosità del singolo ente è stata disciplinata ai sensi dei commi 5 e 6 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011. In particolare, il comma 5 ha previsto, per gli enti collocati nella classe dei virtuosi, il conseguimento di un saldo finanziario uguale a zero ovvero pari ad un valore obiettivo compatibile con gli spazi finanziari che si ottengono applicando la clausola di penalizzazione agli enti non virtuosi. Per gli enti non virtuosi, il comma 6 ha disposto una rideterminazione in aumento - fino ad un limite massimo espressamente indicato - delle percentuali da applicare alla media della spesa corrente per individuare l’obiettivo di saldo. In base alle suddette norme, gli enti virtuosi potranno avere un saldo obiettivo pari a zero solo qualora la clausola di cui al comma 6 consenta il reperimento di adeguati spazi finanziari compensativi; in caso contrario, agli stessi enti sarà attribuito un obiettivo maggiore di zero, comunque inferiore a quello ottenuto applicando le percentuali di cui al comma 2 dell’articolo 31, commisurato agli spazi finanziari derivanti dall’applicazione della clausola di salvaguardia.
L’applicazione del meccanismo di virtuosità nel 2012 è stato disposto con il D.M. Economia del 25 giugno 2012, il quale ha recato la individuazione, in apposite tabelle, delle province e dei comuni ritenuti virtuosi ai sensi dell’articolo 20, comma 2, del D.L. n. 98/2011. Il decreto ha stabilito, ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, che gli enti collocati nella tabella dei virtuosi dovessero conseguire nell'anno 2012 un saldo obiettivo pari a zero, mentre per le province e per i comuni non rientranti nella categoria dei virtuosi, le percentuali sono state invece rideterminate in aumento. In linea con la disciplina recata dal citato articolo 31, comma 5, della legge n. 183/2011, la riduzione complessiva degli obiettivi programmatici degli enti locali è stata commisurata agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della clausola di salvaguardia di cui al summenzionato comma 6. Tali effetti finanziari sono stati quantificati, sulla base delle penalizzazioni inflitte agli enti locali che hanno violato il rispetto del patto, in 31,3 milioni di euro per le province e in 149,4 milioni di euro per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.
Va, infine, considerato, che il valore definitivo del saldo-obiettivo di ciascun ente locale potrà essere ulteriormente rideterminato nel corso dell’anno qualora l’ente sia coinvolto dalle variazioni previste dalle norme afferenti al Patto regionalizzato orizzontale o verticale ovvero relative al Patto orizzontale nazionale (si veda il § 6).
Il meccanismo di redistribuzione degli obiettivi finanziari sulla base dei criteri di virtuosità , introdotto a partire dal 2012, si configura come aggiuntivo rispetto al sistema di premialità già previsto in favore degli enti locali rispettosi del patto di stabilità interno, disciplinato ai sensi del comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220/2010, che prevede il beneficio di una riduzione degli obiettivi imposti agli enti locali rispettosi del patto, commisurata agli effetti finanziari determinati dalle sanzioni operate a valere sui fondi di riequilibrio e perequativo – ovvero sui trasferimenti erariali destinati ai comuni della Regione Siciliana e della Sardegna - applicate nei confronti degli enti locali che non raggiungono l’obiettivo del patto di stabilità interno.
Si ricorda che il meccanismo di premialità è stato inizialmente inserito nella disciplina del patto di stabilità a decorrere dal 2009 dall’articolo 77-bis, commi 23-26, del D.L. n. 112/2008. Esso prevedeva un beneficio in termini di riduzione di saldo valido ai fini della verifica del rispetto del patto, nell’anno successivo a quello di riferimento, complessivamente pari al 70% della differenza registrata tra il saldo conseguito dagli enti inadempienti e l’obiettivo programmatico ad essi assegnato. Lo “sconto†di cui ciascun ente virtuoso poteva beneficiare era determinato in funzione del “grado di virtuosità †dell’ente medesimo, determinato in base al suo posizionamento rispetto a due indicatori economico-strutturali finalizzati a misurare il grado di rigidità strutturale del bilancio e il grado di autonomia finanziaria dell’ente. Tuttavia, la suddetta misura premiale (applicate nell’anno 2009 con il D.M. Economia 22 dicembre 2009) è stata oggetto di alcuni rilievi critici, anche emersi anche nel corso dell’indagine svolta presso la V Commissione bilancio nel corso del 2010, in quanto, in base agli indicatori utilizzati per valutare la virtuosità degli enti, sono risultati assegnatari di premi alcuni enti in stato di dissesto e non altri enti in equilibrio di bilancio, nonostante la loro posizione di sottodotazione nei trasferimenti. Il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante la manovra correttiva di finanza pubblica per il periodo 2010-2013, ha pertanto previsto la temporanea disapplicazione, per l’esercizio 2010, del predetto meccanismo premiale (articolo 14, comma 12).
Il sistema della premialità è stato poi ridefinito dall’articolo 1, comma 122, della legge n. 220/2010 (legge di stabilità 2011), nel senso che la riduzione degli obiettivi annuali degli enti locali sottoposti al patto di stabilità veniva autorizzata dal Ministro dell'economia e delle finanze, con apposito decreto sulla base di criteri ivi definiti, in misura pari all’entità dello sforamento registrato, nell’esercizio antecedente a quello di riferimento, da parte degli enti inadempienti al patto di stabilità interno.
Da ultimo, il D.Lgs n. 149 del 2011 - recante la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni nell’ambito delle misure attuative della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale - ha riformulato il comma 122 della legge n. 220/2010, nel senso di disporre che l’importo della riduzione complessiva degli obiettivi annuali per gli enti venga ora commisurato agli effetti finanziari determinati dalle riduzioni sui fondi di riequilibrio e perequativo nei confronti degli enti locali che non rispettano il patto di stabilità interno. Il decreto ha previsto, inoltre, che lo schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dispone la riduzione sia trasmesso alle Camere, corredato della relazione tecnica.
Il sistema di premialità ai sensi del comma 122 della legge n. 220/2010 è stato applicato nell’anno 2011 con il D.M. Economia 24 febbraio 2012, che ha provveduto alla riduzione degli obiettivi programmatici per l’anno 2011 dei comuni e delle province rispettosi del patto, in considerazione dell'importo complessivo degli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione, pari, rispettivamente, a circa 1,4 milioni di euro per le province e a 10 milioni per i comuni. Per l’anno 2012, la riduzione degli obiettivi annuali degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno in base alla premialità è stata attuata con il D.M. economia 22 gennaio 2013, per un importo complessivo pari a 1,2 milioni per le province a 71,8 milioni per i comuni.
I commi da 7 a 17 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 prevedono l’esclusione di una serie di voci di entrata e di spesa dal computo del saldo di competenza mista. Le esclusioni sono previste sia per evitare che i vincoli del patto rallentino gli impegni e i pagamenti per interventi considerati prioritari e strategici, sia per correggere eventuali effetti anomali che potrebbero determinarsi sui saldi a causa del non allineamento temporale tra entrata e spesa. Con i suddetti commi si provvede, in sostanza, a una razionalizzazione delle deroghe già considerate dalla normativa previgente. Quelle non espressamente richiamate sono pertanto da considerarsi abrogate (comma 17). In particolare, sono escluse dal saldo finanziario:
Ulteriori deroghe - già presenti nella disciplina previgente del patto - sono previste in favore di determinate categorie di enti locali, in particolare:
Tale deroga è stata introdotta dall'articolo 5, comma 1, del D.L. n. 138/2011, il quale prevede la destinazione di una quota del Fondo infrastrutture – istituito dall’articolo 6-quinquies del D.L. n. 112/2008 con le risorse provenienti dal Fondo per aree sottoutilizzate - nel limite massimo di 250 milioni di euro per l’anno 2013 e di 250 milioni di euro per l’anno 2014, ad investimenti infrastrutturali effettuati dagli enti territoriali che procedono, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2012 ed entro il 31 dicembre 2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, diversi dal servizio idrico. La norma medesima prevedeva che le spese effettuate a valere su tali risorse fossero considerate escluse dai vincoli del patto di stabilità interno. Per l’applicazione di tale esclusione, è necessario che gli enti comunichino ai dicasteri interessati le dismissioni effettuate nonché i relativi incassi, ai fini dell’emanazione del relativo decreto attuativo.
A tali esclusioni se ne aggiungono alcune specifiche introdotte, nel corso del 2012, in favore degli enti locali colpiti dal sisma del 20 e 29 maggio 2012. In particolare:
Misure di flessibilità nell'applicazione del patto sono state introdotte per gli enti locali a partire dall'esercizio 2009, con la previsione di due forme di flessibilità a livello regionale: la cosiddetta regionalizzazione orizzontale e verticale del patto di stabilità . Tali misure, introdotte per il 2009, sono state poi confermate negli esercizi successivi e ridefinite ai sensi dell’articolo 1, commi 138-142, della legge n. 220 del 2010. Da ultimo, l’applicazione di tali misure di flessibilità a livello regionale è stata estesa all'esercizio 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 433, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012).
Ad esse si è aggiunta, più di recente, una forma di flessibilità a livello nazionale, limitata ai comuni: il patto orizzontale nazionale.
Con le suddette misure di flessibilità (i c.d. patti di solidarietà fra enti territoriali) si è cercato di definire meccanismi di compensazione regionale e nazionale in grado di rendere più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti locali soggetti ai vincoli al patto di stabilità e, al tempo stesso, di fornire risposta ad alcune criticità emerse nell’applicazione del patto, relative soprattutto alle spese di investimento degli enti locali, che, per il criterio di computo dei saldi obiettivo in termini di competenza mista, sono risultate fortemente compresse dai vincoli del patto di stabilità interno.
Patto regionale verticale
Con il “patto regionale verticaleâ€, disciplinato dall’articolo 1, commi 138-140, della legge n. 220/2010, le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo obiettivo, consentendo un aumento dei pagamenti in conto capitale, e procedere contestualmente alla rideterminazione del proprio obiettivo di risparmio per un ammontare pari all'entità complessiva dei pagamenti in conto capitale autorizzati, al fine di garantire – considerando insieme regione ed enti locali - il rispetto degli obiettivi finanziari.
La procedura prevede che gli enti locali dovranno comunicare all’ANCI, all’UPI e alle regioni e province autonome, entro il 15 settembre di ciascun anno, l’entità dei pagamenti che possono effettuare nel corso dell’anno. Le regioni e le province autonome, entro il termine perentorio del 31 ottobre, comunicano al Ministero dell’economia e delle finanze, con riguardo a ciascun ente beneficiario, gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell’equilibrio dei saldi di finanza pubblica. Entro lo stesso termine la regione comunica i nuovi obiettivi agli enti locali interessati dalla compensazione verticale.
Si ricorda che la c.d. ‘regionalizzazione’ del patto di stabilità è stata introdotta dall’articolo 7-quater del D.L. n. 5/2009, e confermata per il 2010 dall’articolo 4, comma 4-sexsies, del D.L. n. 2/2010, al fine di consentire agli enti locali ‘virtuosi’ di escludere dai vincoli del patto alcune particolari tipologie di spese in conto capitale (ad esempio, pagamenti in conto residui concernenti spese per investimenti effettuati nei limiti delle disponibilità di cassa a fronte di impegni regolarmente assunti, pagamenti per spese in conto capitale per impegni già assunti finanziate dal minor onere per interessi conseguente alla riduzione dei tassi di interesse sui mutui o alla rinegoziazione dei mutui stessi), considerate necessarie a fronteggiare la crisi economica.
Questa tipologia di flessibilità è stata utilizzata già nel 2009, in cui sei regioni hanno proceduto a ricalcolare i proprio obiettivi programmatici, per un importo complessivo di 259 milioni di euro; le somme che gli enti locali hanno potuto ‘spendere’, compensate sul patto della regione, sono state le seguenti: Piemonte 76,1 milioni; Liguria 8,3 milioni; Lombardia 40 milioni, Emilia-Romagna 33,4 milioni; Toscana 100 milioni, Umbria 1,3 milioni. Nell'esercizio 2010 le regioni che hanno autorizzato pagamenti ai rispettivi enti locali sono state sette, per la somma complessiva di 403 milioni di euro. L'entità della spesa, in milioni di euro, per ciascuna regione coinvolta è stata la seguente: Basilicata 2,5; Emilia Romagna 92,7; Lazio 152; Piemonte 65; Sardegna 27,3; Toscana 60 e Umbria 3,8. Nell'esercizio 2011, le regioni che hanno attivato il patto regionale verticale sono salite a dodici per un importo complessivo di 1.128,5 milioni di euro. Per ciascuna regione coinvolta, l’entità della spesa, in milioni di euro, è stata dei seguenti importi: Basilicata 4,1, Emilia Romagna 84, Lazio 180,9, Liguria 62,6, Lombardia 70, Marche 91,4, Piemonte 370, Puglia 50, Sardegna 50, Toscana 55, Umbria 30,3 e Veneto 80. Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, anche nel 2012 il patto verticale è stato molto utilizzato dalle regioni (12 regioni), che hanno ceduto spazi finanziari agli enti locali per circa 906,7 milioni di euro, così distribuiti sul territorio, in milioni di euro: Basilicata 24, Campania 120, Emilia Romagna 56,2, Lazio 242,3, Liguria 140, Lombardia 54,2, Marche 55, Piemonte 124,6, Sardegna 23,2, Toscana 36,9, Umbria 15 e Veneto 15 milioni.
Per favorire questa forma di flessibilità , si ricorda che, sia per il 2012 che per il 2013, è stata prevista l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario, alla Regione siciliana ed alla Regione Sardegna - vale a dire a tutte le regioni in cui i comuni ricevono risorse erariali – di un incentivo consistente in un contributo massimo di complessivi 800 milioni di euro per ciascun anno. A fronte dell’attribuzione alle regioni del contributo, queste si impegnano a cedere, ai comuni e alle province ricadenti nel proprio territorio, spazi finanziari da attribuire mediante le procedure che disciplinano il patto verticale di cui all’articolo 1, commi 138 e seguenti, della legge n. 220/2010. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato esclusivamente alla riduzione del debito.
Si segnala che, con il patto regionale verticale, la regione potrà cedere ulteriori spazi ai singoli enti ovvero cedere spazi a nuovi enti richiedenti ma non ridurre gli spazi già ceduti con il patto verticale incentivato.
Per l’anno 2012, il contributo è stato autorizzato dall'articolo 16, commi da 12-bis a 12-sexies, del D.L. n. 95 del 2012. La norma recava una ripartizione tra le regioni del contributo, ma prevedeva la possibilità di variare gli importi stabiliti per ciascuna regione, mediante accordo da sancire in Conferenza Stato-Regioni. L'accordo tra le regioni è stato raggiunto e ratificato in sede di Conferenza Stato-Regioni il 3 agosto 2012. Tali risorse, che le regioni avrebbero dovuto destinare a riduzione del debito, tuttavia, non sono risultate disponibili – per la maggior parte - essendo state utilizzate per effettuare il taglio di 700 milioni di euro previsto dal comma 2 dell'articolo 16 del medesimo D.L. n. 95 del 2012, quale ulteriore contributo delle regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l‘anno 2012. La norma citata prevede, infatti, che con decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni, vengano individuate la quota di riduzione da imputare a ciascuna regione. A tal fine è intervenuto il decreto 21 dicembre 2012 (recante Riparto del concorso finanziario agli obiettivi di finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario per l'anno 2012 di cui all'articolo 16, comma 2, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95) - su cui è stato raggiunto l'accordo in Conferenza Stato-Regioni il 22 novembre 2012 e che recepisce la ripartizione dei 700 milioni di euro per l’anno 2012 concordata dalle regioni in sede di Conferenza delle Regioni il 3 agosto 2012 - con il quale le risorse da tagliare sono state individuate in quelle autorizzate ai sensi dei commi 12-bis e 12-ter dell'articolo 16 del D.L. 95/2012, vale a dire a valere sul contributo complessivo di 800 milioni di euro per l'anno 2012.
Analogo contributo di 800 milioni è stato assegnato alle regioni anche per l’anno 2013, dall’articolo 1, commi 122-125, della legge n. 228/2012, per le medesime finalità . A differenza di quanto avvenuto per l'anno 2012, il contributo è ripartito in due quote, una da destinare alla rimodulazione degli obiettivi del patto dei comuni pari complessivamente a 600 milioni di euro; l'altra, destinata alla rimodulazione degli obiettivi del patto delle province, pari a complessivi 200 milioni di euro. Il contributo è ripartito tra le regioni beneficiarie come stabilito nella Tabella 1 allegata alla legge di stabilità . Per ciascuna regione, la cifra indicata è destinata a coprire l'83,33% della quota che la regione cede agli enti locali al fine della rimodulazione degli obiettivi del patto di stabilità . La norma reca una ripartizione tra le regioni del contributo, ma prevede la possibilità di variare gli importi stabiliti per ciascuna regione, mediante accordo da sancire in Conferenza Stato-Regioni. In data 7 febbraio 2013, in sede di Conferenza Stato-Regioni è stato raggiunto l'accordo sulla diversa ripartizione del contributo tra le regioni. Gli spazi finanziari ceduti agli enti locali devono essere utilizzati dagli stessi per consentire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato alla riduzione del debito. Il comma 125 fissa il termine del 31 maggio 2013 per la comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze, da parte delle regioni, di tutti gli elementi informativi occorrenti per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica.
Patto regionale orizzontale
Con il patto regionale orizzontale, disciplinato dai commi 141 e 142 dell'articolo 1, della legge n. 220 del 2010, la regione può ulteriormente intervenire, a favore degli enti locali del proprio territorio, integrando le regole e modificando gli obiettivi posti dal legislatore nazionale, per consentire una rimodulazione “orizzontale†degli obiettivi finanziari tra gli enti locali del proprio territorio, in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti sul territorio medesimo, purché venga garantito il rispetto dell’obiettivo complessivamente determinato per gli enti locali della regione.
Il meccanismo di attuazione di tale rimodulazione, come disciplinato dal decreto del Ministero dell'economia e finanze 6 giugno 2011, si fonda sulla cessione di “spazi finanziari†da parte dei comuni e delle province che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all’obiettivo prefissato in favore di quelli che rischiano, invece, di conseguire un differenziale negativo rispetto all’obiettivo. Tali spazi finanziari possono essere utilizzati dagli enti che li acquisiscono soltanto per effettuare spese in conto capitale ovvero spese inderogabili ovvero spese capaci di incidere positivamente sul sistema economico. La rimodulazione non è autorizzata se finalizzata alla realizzazione di spesa corrente di carattere discrezionale.
La procedura prevede che ogni regione provveda, dunque, a ridefinire e a comunicare agli enti locali il nuovo obiettivo annuale del patto di stabilità interno, comunicando altresì al Ministero dell'economia e delle finanze tutti gli elementi informativi per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica per ciascun ente locale che partecipa al meccanismo di compensazione orizzontale, entro il termine del 31 ottobre di ciascun anno.
Le amministrazioni che cedono o acquisiscono spazi finanziari di patto ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un aggravamento del proprio obiettivo.
Anche questa tipologia di rimodulazione orizzontale delle regole per gli enti locali era già presente nella disciplina del patto relativa al triennio 2009-2011. In particolare, l'articolo 77-ter, comma 11, del D.L. n. 112/2008, consentiva alle regioni a statuto ordinario di ‘adattare’ – sulla base dei criteri stabiliti in sede di consiglio delle autonomie - le regole per gli enti locali compresi nel proprio territorio fermo restando l’obiettivo determinato complessivamente dalle regole del patto di stabilità . A “compensazione†del maggiore onere assunto dalla regione, la norma disponeva che parte dei trasferimenti che la regione riceve dallo Stato fosse sottratta al vincolo di destinazione, nella misura del triplo delle somme cedute a compensazione degli obiettivi peggiori degli enti locali. Tale misura incentivante è stata abrogata dall’articolo 1, comma 435, della legge n. 228/2012.
Questa forma di flessibilità non ha trovato applicazione per l'esercizio 2009. Nel 2010 sono state effettuate 'compensazioni' tra gli enti locali soltanto in tre regioni: nella regione Lazio per 118,6 milioni di euro, nella regione Piemonte per 4,4 milioni di euro e nella regione Toscana per 871 migliaia di euro. Nell'esercizio 2011, le regioni in cui sono state effettuate 'compensazioni' tra gli enti locali sono salite a otto, per un totale complessivo di 70,2 milioni, così ripartito: Abruzzo 3,1 milioni, Emilia-Romagna 21,2 milioni, Lazio 32,9 milioni, Liguria 1,1 milioni, Lombardia 5,6 milioni, Piemonte 1,1 milioni, Puglia 4,1 milioni e Toscana 1,0 milioni. Nel 2012, secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, sette regioni hanno attivato il patto orizzontale, per circa 58 milioni di euro complessivi, di cui 6,7 milioni in Abruzzo, 29,3 milioni in Emilia-Romagna, 6,7 milioni nel Lazio, 5,6 milioni Lombardia, 0,5 milioni in Piemonte e 8,9 milioni in Veneto.
Patto regionale integrato
Una evoluzione del patto regionalizzato è stata introdotta con l’articolo 20, comma 1, del D.L. n. 98/2011, che superando il meccanismo delle compensazioni verticali ed orizzontali apre la prospettiva ad un "patto regionale integrato", prevedendo la possibilità , per ciascuna regione di concordare direttamente con lo Stato le modalità di raggiungimento dei propri obiettivi, esclusa la componente sanitaria, e di quelli degli enti locali del proprio territorio, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali.
Tale patto regionalizzato è stato ulteriormente ridefinito dalla legge di stabilità per il 2012 (articolo 32, comma 17, legge n. 183/2011).
Le regioni possono concordare le predette modalità di raggiungimento degli obiettivi singolarmente con lo Stato, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali. Le modalità che vengono così definite devono essere conformi a “criteri europei†per quanto riguarda l'individuazione delle entrate e delle spese valide per il patto. Per le modalità di attuazione di questo "patto regionale integrato", il comma 17 del citato articolo 32 rinvia ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze da emanarsi, d’intesa con la Conferenza Unificata, entro il 30 novembre 2012. Il decreto dovrà stabilire, inoltre, le modalità e le condizioni della eventuale esclusione dal 'patto concordato' delle regioni che nel triennio precedente non abbiano rispettato il patto o siano sottoposte al piano di rientro dal deficit sanitario.
Il Patto c.d. integrato non ha finora ricevuto attuazione. Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 ne ha posticipato l’applicazione al 2014.
Patto orizzontale nazionale
Una ulteriore misura di flessibilità è stata, infine, introdotta per i soli comuni a livello nazionale a partire dall’anno 2012. Il c.d. "Patto orizzontale nazionaleâ€, disciplinato dall'articolo 4-ter del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, come, da ultimo, modificato dall’articolo 1, comma 437, della legge n. 228/2012, consente la rimodulazione orizzontale degli obiettivi finanziari tra i comuni non più a livello regionale ma a livello nazionale - fermo restando l’obiettivo complessivamente determinato per il comparto comunale dalle regole del patto – allo scopo di permettere a tali enti la possibilità di effettuare maggiori spese per il pagamento di residui passivi di parte capitale.
In particolare, lo strumento del patto orizzontale consente ai comuni che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno, ad essi assegnato dalla normativa vigente, di cedere spazi finanziari - la cui entità va comunicata al Ministero dell’economia entro il termine del 15 luglio - a vantaggio di quelli che, invece, prevedono di conseguire, nell'anno di riferimento, un differenziale negativo rispetto all'obiettivo prefissato, consentendo, dunque, a questi ultimi, di sostenere le spese necessarie per il pagamento di residui passivi di parte capitale.
Tale meccanismo di redistribuzione degli spazi finanziari tra i comuni, per evitare lo sforamento degli obiettivi del patto, è attivabile soltanto ed esclusivamente per consentire ai comuni di procedere al pagamento dei residui passivi di parte capitale.
Il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’economia provvede, dunque, entro il 10 settembre, ad aggiornare il prospetto degli obiettivi del patto di stabilità interno dei comuni interessati dalla rimodulazione, con riferimento sia all'anno in corso che al biennio successivo. La disciplina del patto orizzontale nazionale riconosce, infatti, in favore dei comuni che cedono spazi finanziari, un miglioramento degli obiettivi del patto nel biennio successivo, cui fa riscontro un corrispondente peggioramento dei saldi obiettivo per gli enti che, invece, si avvantaggiano di tale normativa. I termini procedurali, fissati nei mesi di luglio e settembre, sono funzionali a consentire ai comuni di conoscere quanto prima il proprio obiettivo di patto di stabilità interno ai fini dell’accesso anche alle rimodulazioni del proprio obiettivo nell’ambito del patto regionalizzato.
Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 441 comuni hanno richiesto di poter beneficiare di rimodulazioni orizzontali degli obiettivi finanziari, per un importo complessivo pari a 985 milioni di euro, a fronte di spazi finanziari ceduti per soli 128 milioni di euro.
In considerazione della specificità della città di Roma quale Capitale della Repubblica, il comma 22 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 prevedeva una procedura particolare per la determinazione degli obiettivi del patto di stabilità interno da applicare al Comune di Roma, che permetteva al comune di concordare direttamente con il Ministero dell'economia e finanze le modalità e l'entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.
Tale particolare procedura concordata era, tuttavia, disciplinata nelle more della compiuta attuazione di quanto previsto dall’articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42 relativamente al nuovo ordinamento di Roma Capitale. Tenuto conto che il nuovo ordinamento di Roma Capitale ha ormai trovato attuazione con l’emanazione del decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, le suddette disposizioni di carattere transitorio sono da ritenersi superate.
Pertanto, le regole per la determinazione degli obiettivi del patto di stabilità interno per il Comune di Roma sono ora contenute nell’articolo 12 del citato D.Lgs. n. 61/2012. In particolare, la norma prevede che Roma capitale concordi con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il 31 maggio di ciascun anno, le modalità e l'entità del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica. A tal fine, entro il 31 marzo di ciascun anno, il Sindaco trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia.
Rispetto alla disciplina previgente, contenuta nella legge di stabilità 2012, l'attuale normativa prevede che in caso di mancato accordo, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, il concorso di Roma capitale alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica è determinato sulla base delle disposizioni applicabili ai restanti comuni.
Sono, infine previste, alcune specificazioni in merito alle modalità di computo del saldo finanziario utile ai fini del rispetto del patto di stabilità interno, prevedendo che siano escluse dal saldo:
A tal riguardo, la circolare del Ministero dell’economia n. 5/2013 ha evidenziato, che il disposto di cui all’articolo 2 del D.Lgs. n. 61 del 2012, in materia di determinazione dei costi connessi al ruolo di capitale della Repubblica, non ha ancora avuto attuazione, né tantomeno sono state appostate nella legge di stabilità risorse da destinare allo scopo. Pertanto, allo stato non è possibile procedere all’esclusione delle spese in questione.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 1, comma 283, della legge di stabilità 2013, ha previsto l’esclusione, per il solo esercizio 2013, delle spese sostenute dal comune di Roma per la realizzazione del Museo Nazionale della Shoah nel limite complessivo di 3 milioni di euro. La predetta esclusione riguarda sia le spese correnti che quelle in conto capitale.
Il comma 18 dell'articolo 31 della legge n. 183/2011 riguarda le modalità di predisposizione del bilancio di previsione degli enti sottoposti al patto di stabilità , prevedendo che esso debba essere approvato iscrivendo le previsioni di entrata e di spesa di parte corrente in misura tale che, unitamente alle previsioni dei flussi di cassa di entrate e spese di parte capitale, al netto delle riscossioni e delle concessioni di crediti, sia garantito il rispetto delle regole che disciplinano il patto.
A tal fine, è fatto obbligo agli enti locali di allegare al bilancio di previsione un apposito prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno.
La finalità di tale disposizione è quella di far sì che il rispetto delle regole del patto di stabilità interno costituisca un vincolo all’attività programmatoria dell’ente, anche al fine di consentire all’organo consiliare di vigilare in sede di approvazione di bilancio.
Come rammentato nella circolare n. 5/2013, il prospetto contenente le previsioni di competenza e di cassa degli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno, non è meramente dimostrativo di poste di bilancio, ma è finalizzato all’accertamento preventivo del rispetto del patto di stabilità interno. Esso, pertanto, pur non incidendo in maniera diretta sul bilancio, è da considerarsi elemento costitutivo del bilancio preventivo stesso, inteso come documento programmatorio complessivo adottato dall’ente. In tal senso si è infatti espressa la Sezione della Corte dei conti della Lombardia con la deliberazione n. 233/2008 ed il parere n. 421/2010.
Con riferimento, inoltre, alla gestione finanziaria, l’eventuale sforamento dei vincoli del patto di stabilità interno può essere oggetto di verifica da parte della magistratura contabile, al fine di segnalare il possibile scostamento agli organi elettivi dell’ente, in modo che possano intervenire in tempo utile per porre rimedio.
Si ricorda peraltro, per quanto concerne in particolare la gestione della spesa, che l’articolo 9, comma 1, lett. a), numero 2, del D.L. n. 78 del 2009 dispone che il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa “ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblicaâ€. Ne discende, pertanto, che, oltre a verificare le condizioni di copertura finanziaria prevista dall’articolo 151 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), come richiamato anche nell’articolo 183 dello stesso TUEL, il predetto funzionario deve verificare anche la compatibilità della propria attività di pagamento con i limiti previsti dal patto di stabilità interno ed, in particolare, deve verificarne la coerenza rispetto al prospetto obbligatorio allegato al bilancio di previsione di cui al comma 18 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011. La violazione dell’obbligo di accertamento in questione comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa a carico del predetto funzionario.
Si rammenta, infine, che, ai sensi dell’articolo 14, comma 1, lett. d), della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196), il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, in virtù delle esigenze di controllo e di monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica, provvede ad effettuare, tramite i Servizi ispettivi di finanza pubblica, verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile delle amministrazioni pubbliche. Tali Servizi, peraltro, essendo chiamati a svolgere verifiche presso gli enti territoriali volte a rilevare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica, effettuano controlli anche sull’andamento della gestione finanziaria rispetto agli aggregati rilevanti ai fini del patto di stabilità interno e sull’eventuale superamento dei vincoli imposti dallo stesso.
Come per gli anni passati, per il 2013 il monitoraggio del rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno prevede la rilevazione delle risultanze finanziarie di tutti gli enti soggetti al patto (province e comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti) anche al fine di acquisire elementi informativi utili per la finanza pubblica, anche con riferimento alla loro situazione debitoria.
Gli enti sono tenuti a trasmettere semestralmente al Ministero dell’economia e finanze – Ragioneria generale dello Stato, entro 30 giorni dalla fine del periodo di riferimento, le informazioni riguardanti le risultanze in termini di competenza mista, attraverso il sistema web (comma 19).
Il prospetto e le modalità di comunicazione delle informazioni richieste sono definiti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato–regioni e autonomie locali. Con il medesimo decreto è definito altresì il prospetto dimostrativo dell’obiettivo determinato per ciascun ente.
La mancata trasmissione del prospetto contenente gli obiettivi programmatici entro 45 giorni dalla pubblicazione del relativo decreto costituisce inadempimento al patto di stabilità interno.
Come precisato nella Circolare n. 5/2013, le informazioni richieste sono quelle utili all’individuazione del saldo, espresso in termini di competenza mista, conseguito nell’anno di riferimento e cioè gli accertamenti e gli impegni, per la parte corrente, gli incassi e i pagamenti, per la parte in conto capitale, le entrate derivanti dalla riscossione di crediti, le spese derivanti dalla concessione di crediti e le altre esclusioni previste dalla norma.
Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, gli enti ad esso soggetti devono, inoltre, inviare al Ministero dell'economia (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato), entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento, una certificazione del saldo finanziario conseguito in termini di competenza mista, sottoscritta dal rappresentante legale, dal responsabile del servizio finanziario e dall’organo di revisione economico-finanziaria. La norma sottolinea l’obbligatorietà di tale certificazione prevedendo, anche in questo caso, che la mancata trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del 31 marzo costituisca inadempimento al patto di stabilità interno (comma 20).
Nel caso in cui la certificazione, sebbene in ritardo, sia trasmessa entro 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del conto consuntivo ed attesti tuttavia il rispetto del patto di stabilità interno, allora si applicano all’ente, tra le sanzioni previste per inadempimento, soltanto quella relativa al divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo.
La legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 445), sostituendo gli ultimi due periodi del comma 20 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, ha introdotto specifiche conseguenze nell’ipotesi di mancata trasmissione della certificazione decorsi 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione. In tale caso, l’organo di revisione, in qualità di commissario ad acta, è tenuto ad assicurare l'assolvimento dell'adempimento e a trasmettere la predetta certificazione entro i successivi 30 giorni. Fino a tale invio, le erogazioni di risorse o di trasferimenti all’ente locale da parte del Ministero dell'interno sono sospesi, su apposita segnalazione del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
Il comma 446 della legge n. 228/2012 ha peraltro previsto – introducendo il comma 20-bis all’articolo 31 della legge n. 183/2011 - che, qualora l’ente locale registri un peggioramento del proprio posizionamento rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno rispetto a quanto già certificato, esso è tenuto comunque, ad inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente anche decorsi i 60 giorni dal termine stabilito per l'approvazione del rendiconto di gestione.
Le informazioni inviate dagli enti locali al Ministero dell’economia ai fini del monitoraggio devono essere messe a disposizione dell'UPI, dell'ANCI e delle Camere da parte del Ministero medesimo secondo modalità e con contenuti individuati tramite apposite convenzioni (comma 25).
Il comma 32 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 reca una disposizione che prevede che i termini riguardanti gli adempimenti degli enti locali relativi al monitoraggio ed alla certificazione del patto di stabilità interno possano essere modificati con decreto del Ministro dell'economia, qualora intervengano modifiche legislative alla disciplina del patto di stabilità interno.
Il comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011, come novellato dall’articolo 1, comma 439, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) riguarda le misure di carattere sanzionatorio applicabili, a regime, agli enti locali che non abbiano rispettato gli obiettivi del patto di stabilità .
Si ricorda che il sistema sanzionatorio per l’inadempienza del patto di stabilità interno è stato completamente ridefinito all’inizio della legislatura, con l’articolo 77-bis del D.L. n. 112/2008, rispetto alle misure correttive che erano state introdotte negli anni 2007-2008, basate su un meccanismo di automatismo fiscale. L’impianto sanzionatorio è stato sostanzialmente confermato, con alcuni inasprimenti, negli anni successivi e, da ultimo, ribadito nell’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, che, nell’ambito delle misure attuative della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, reca la disciplina dei meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, cui il comma 26 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 rinviava. Con la legge di stabilità per il 2013, il citato comma 2 dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 149/2011 è stato integralmente recepito nel comma 26 dell’articolo 31.
Il sistema sanzionatorio dispone per gli enti inadempienti, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:
In merito, si ricorda che fino all’anno 2011, era fissato un limite massimo alla riduzione delle risorse, pari ad un importo comunque non superiore al 5 per cento (poi abbassata al 3 per cento dal D.L. n. 149/2011) delle entrate correnti registrate nell’ultimo consuntivo. Un limite massimo alla riduzione di risorse, nella misura del 5 per cento delle entrate correnti registrate nell'ultimo consuntivo, è stato da ultimo reintrodotto, in via straordinaria per il 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 447, della legge n. 228/2012, in favore degli enti locali che hanno avviato procedure di privatizzazione di società partecipate nell’anno 2012, con relativa riscossione conseguita entro il 28 febbraio 2013, che tuttavia non hanno raggiunto l’obiettivo finanziario del patto di stabilità 2012 per la mancata riscossione nell’anno 2012.
Con riferimento specifico ai comuni, si ricorda che l’articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012 ha disposto la soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale - nonché dei trasferimenti erariali a favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati – in ragione della complessiva ridefinizione della destinazione del gettito rinveniente dall’IMU e, conseguentemente, dei rapporti finanziari tra Stato e comuni, prima delineato dal D.Lgs. n. 23 del 2011 sul federalismo municipale, nell’ambito del quale la legge di stabilità 2013 in esame ha disposto l’abrogazione di numerose disposizioni. Contestualmente all’attribuzione dell’intero gettito IMU ai comuni (con l’eccezione di quello sugli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, che rimane allo Stato), viene istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, il Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell'imposta municipale propria da definirsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Pertanto, le disposizioni in materia di sanzioni che richiamano il fondo sperimentale di riequilibrio comunale o i trasferimenti erariali in favore dei comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna devono intendersi riferite al fondo di solidarietà comunale.
Ai fini dell’applicazione della suddetta sanzione, la Circolare del Ministero dell’economia e finanze 7 febbraio 2013, n. 5, esplicativa del patto di stabilità interno per i comuni e le province per il triennio 2013-2015, ha precisato che i limiti agli impegni si applicano alle spese correnti identificate dal Titolo I della spesa, senza alcuna esclusione;
Per quanto concerne la contrazione di mutui e di prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti, si precisa, in linea con la normativa vigente, che essi devono essere corredati da apposita attestazione, da cui risulti il conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l’anno precedente. In assenza della predetta attestazione, l’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito.
La Circolare n. 5/2013 ha precisato in merito che, ai fini dell’applicazione della sanzione, il divieto non opera nei riguardi delle devoluzioni di mutui già in carico all’ente locale contratti in anni precedenti. Non rientrano, inoltre, nel divieto le operazioni che non configurano un nuovo debito, quali i mutui e le emissioni obbligazionari, il cui ricavato è destinato all’estinzione anticipata di precedenti operazioni di indebitamento, che consentono una riduzione del valore finanziario delle passività , né le sottoscrizioni di mutui la cui rata di ammortamento è a carico di un’altra amministrazione pubblica.
In relazione a tale disposizione, la Circolare n. 5/2013 ha precisato che devono considerarsi riconducibili alla spesa di personale degli enti locali le spese sostenute da tutti gli organismi variamente denominati (istituzioni, aziende, fondazioni, ecc.) che non abbiano indicatori finanziari e strutturali tali da attestare una sostanziale posizione di effettiva autonomia rispetto all’amministrazione controllante. La Circolare evidenzia, altresì, che il divieto di assunzione sussiste per tutti gli enti in cui il rapporto tra spesa di personale(comprensiva delle spese di personale delle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo[1]) e spesa corrente sia pari o superiore al 50%;
La Circolare n. 5/2013 ha precisato che la sanzione in questione si applica soltanto nei confronti degli amministratori in carica nell’esercizio in cui è avvenuta la violazione dei vincoli del patto di stabilità interno (il sindaco, il presidente della provincia, il sindaco metropolitano, il presidente della comunità montana, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei soli comuni capoluogo di provincia, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, nonché i componenti degli organi esecutivi dei comuni e ove previste delle loro articolazioni, delle province, delle città metropolitane, delle comunità montane, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali).
I successivi commi 28 e 29 dell’articolo 31 della legge n. 183/2011 fanno riferimento alle ipotesi in cui la violazione del patto di stabilità interno sia accertata successivamente all'anno seguente a quello cui la violazione si riferisce. In tal caso, il comma 28 prevede che si applichino, nell'anno successivo a quello in cui è stato accertato il mancato rispetto del patto di stabilità interno, le sanzioni sopra elencate, di cui al comma 26.
Gli enti locali sono tenuti a comunicare l'inadempienza al Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato entro 30 giorni dall'accertamento della violazione del patto di stabilità interno (comma 29).
A partire dal 2011, con il D.L. n. 98/2011, sono state introdotte nuove misure 'antielusive' delle regole del patto di stabilità interno, poi confermate per gli anni successivi, finalizzate a scoraggiare l’adozione di mezzi elusivi per addivenire ad un rispetto solo formale del patto.
Secondo quanto evidenziato dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, tra le pratiche elusive del patto di stabilità interno rivestono maggiore incidenza, in termini quantitativi, nell’esperienza delle Sezioni regionali di controllo, operazioni contabili che si sostanziano nell’utilizzo improprio dei servizi per conto terzi (c.d. partite di giro) . Essendo, infatti, poste, queste, che non rilevano ai fini del calcolo dei saldi del patto di stabilità interno, la non corretta imputazione contabile delle entrate e delle spese alle partite di giro è suscettibile di determinare effetti distorsivi sul patto.
Tra le condotte elusive assumono peraltro particolare rilievo alcuni istituti o prassi che, pur ammessi nel quadro normativo vigente, possono assumere carattere distorsivo sul patto di stabilità ove distolti dal fine proprio: è il caso delle esternalizzazioni con finalità elusive, dell’utilizzo improprio di alcuni strumenti contrattuali, quali il leasing immobiliare, il project financing, il sale and lease back, l’accollo del debito. Ma rilevano, soprattutto, prassi che, per un verso, contravvengono al principio di integrità e universalità del bilancio, come nel caso del rinvio a successivi esercizi di pagamenti eccedenti i limiti previsti dal patto con conseguente formazione di debiti fuori bilancio, e che per altro verso contraddicono il principio di veridicità del bilancio, come nel caso della sovrastima delle entrate accertate per effetto di una non corretta valutazione dei presupposti per l’accertamento.
In tali casi, le norme introdotte dall’articolo 20, commi 10 e 12, del D.L. n. 98 e confermate dalla legge di stabilità 2012 (articolo 31, commi 30 e 31) dispongono:
a) la nullità dei contratti di servizio e degli altri atti posti in essere dalle regioni e dagli enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno.
Si ricorda, al riguardo, che la normativa previgente del patto (articolo 1, comma 119, della legge n. 220/2010) già recava il divieto di stipulare contratti di servizio che si configurassero come elusivi della disposizione/sanzione che vieta nuove assunzioni agli enti locali ed alle regioni che risultino inadempienti al patto.
b) sanzioni pecuniarie per i responsabili di atti elusivi delle regole del patto.
In particolare, il comma assegna alle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti - qualora accertino che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive - il compito di irrogare le seguenti sanzioni pecuniarie:
In questo approfondimento si effettua un’analisi del peso e della composizione delle manovre all’interno del settore delle Amministrazioni Locali finalizzata a tre obiettivi:
La tabella seguente e la relativa rappresentazione grafica presentano la sintesi degli effetti delle manovre attuate sul comparto della amministrazioni locali nella XVI legislatura.
Tabella 1- Riepilogo delle manovre della XVI legislatura sulle Amministrazioni Locali(mln di euro)
|
2009 |
2010 |
2011 |
2012 |
2013 |
2014 |
2015 |
Totale manovre sulle Amm. Locali |
3.150 |
5.200 |
15.500 |
25.570 |
33.115 |
33.665 |
33.940 |
Riduzione netta di risorse |
0 |
0 |
5.800 |
9.550 |
15.015 |
15.565 |
15.840 |
Inasprimento obiettivo PSI |
3.150 |
5.200 |
9.700 |
16.020 |
18.100 |
18.100 |
18.100 |
Grafico 1 - XVI Legislatura: evoluzione e composizione delle manovre sulle Amministrazioni Locali
I dati relativi alle manovre di finanza pubblica attuate nel corso della XVI legislatura, utilizzati in tutte le elaborazioni della presente scheda, sono tratti da prospetti riepilogativi degli effetti finanziari delle manovre, allegate a ciascuno dei relativi provvedimenti. Si tratta di dati previsionali: non sono infatti disponibili dati puntuali di consuntivo relativi all’effetto di finanza pubblica effettivamente raggiunto, per ciascun comparto amministrativo, mediante le manovre adottate. Dalle analisi effettuate dalla Corte dei conti in materia di finanza locale (cfr. in particolare il Rapporto annuale sul coordinamento della finanza pubblica, la Relazione annuale sul rendiconto generale dello Stato (primo volume) e le Relazioni annuali sulla gestione di finanziaria delle regioni e degli enti locali), risulta comunque un generale rispetto, da parte di tutti i comparti amministrativi, dei vincoli disposti dalle manovre.
Con riferimento alla dimensione della manovra, risulta evidente l’inasprimento operato nel triennio 2011-2013, rispetto ai valori riferiti agli esercizi precedenti, apparentemente contenuti. In merito a questi ultimi, si consideri comunque che la manovra per il 2009 e il 2010 (prevista dal D.L. n. 112/2008) ha carattere aggiuntivo rispetto agli effetti, di carattere permanente, delle manovre disposte nelle legislature precedenti, non oggetto della presente analisi.
Analogamente, la notevole crescita dell’entità delle manovre negli anni 2011-2013 riflette l’effetto dovuto al succedersi di manovre con cadenza annuale, ciascuna delle quali ha effetti cumulativi rispetto a quelli degli interventi precedenti, resi permanenti.
In particolare, come si vedrà in maggiore dettaglio nella tabella successiva, le misure che determinano il notevole incremento della manovra negli esercizi 2011, 2012 e 2013 sono, rispettivamente, il D.L. 78 del 2010, i D.L. 98 e 201 del 2011 e la L. 228 del 2012.
In merito alla composizione complessiva delle manovre, i dati e il relativo grafico sopra esposti mostrano l’utilizzo, a decorrere dal 2011, dello strumento del taglio dei trasferimenti, in relazione al quale non erano imputati rilevanti effetti di manovra prima di tale esercizio. Peraltro, con riferimento alle legislature precedenti, l’andamento dei trasferimenti agli enti locali - al netto di taluni effetti compensativi di scostamenti di gettito di tributi locali derivanti da interventi legislativi (ICI sulla prima casa, ICI rurale e altre fattispecie minori) – mostra comunque un progressivo contenimento, particolarmente marcato se espresso in termini di incidenza percentuale sul PIL.
Il peso relativo dello strumento del taglio dei trasferimenti arriva, nell’arco di tre anni, a coprire quasi la metà dell’intervento complessivo a carico delle amministrazioni locali (37% nel 2011, 45% nel 2013 e 47% dal 2015).
In merito alle ragioni di tale evoluzione, merita evidenziare in primo luogo la difficoltà di perseguire gli obiettivi di finanza pubblica a carico del comparto delle amministrazioni locali avvalendosi del solo patto di stabilità interno. Quest’ultimo strumento - configurato tradizionalmente come definizione di obiettivi di miglioramento del saldo (per gli enti locali) o di riduzione delle spese (per le regioni) di carattere incrementale rispetto agli obiettivi fissati da precedenti edizioni del patto stesso – si è tradotto, con il succedersi delle manovre, nell’obbligo, per molte amministrazioni, di perseguire obiettivi di avanzo di bilancio, con evidenti profili di inefficiente allocazione delle risorse immobilizzate.
Conseguentemente, al fianco del tradizionale strumento del patto di stabilità interno, è stato inserito, nel corso della legislatura, lo strumento del taglio delle risorse trasferite, che ha carattere ben più radicale. Infatti, mentre il primo impone il mero accantonamento di risorse, in vista dell’obiettivo di miglioramento del saldo o di riduzione della spesa, ma ne lascia inalterata la titolarità in capo alle amministrazioni locali di appartenenza le quali possono sperare in successivi smobilizzi, il taglio dei trasferimenti opera una definitiva sottrazione di risorse.
Un altro vantaggio derivante dallo strumento del taglio dei trasferimenti è che esso consente di computare risparmi anche sul saldo netto da finanziare e non solo sui saldi complessivi di finanza pubblica.
Entrambi i predetti strumenti di manovra presentano elementi di criticità in merito ai profili di compatibilità con i principi contabili disposti dalla legge n. 243/2012, relativa al pareggio di bilancio, e dalla legge n. 42/2009, relativa al federalismo fiscale.
La tavola 2 riporta l’elenco delle principali manovre adottate nella XVI legislatura i cui effetti complessivi a carico delle amministrazioni locali sono stati riportati all’inizio del paragrafo. Le misure adottate sono raggruppate in modo da evidenziare l’effetto finanziario prodotto sui singoli comparti amministrativi, distinguendo, per ciascuno di essi, l’incidenza dei due strumenti di manovra sopra descritti.
Tabella 2 - Effetti delle manovre della XVI legislatura sui sottosettori delle Amministrazioni Locali
(dati in mln di euro)
I dati sopra esposti possono essere analizzati sotto vari profili. In primo luogo essi mostrano che l’incidenza sui singoli comparti dei due strumenti di manovra sopra menzionati - taglio dei trasferimenti e patto di stabilità interno - hanno una incidenza pressoché omogenea in tutti i comparti, fatta eccezione per le regioni a statuto speciale.
In particolare, il grafico seguente mostra la composizione della manovra prevista per il 2013 a carico dei diversi sottosettori. Come sopra ricordato, per tale esercizio, a livello aggregato, l’incidenza complessiva dello strumento del taglio dei trasferimenti ammonta a circa il 45% sul totale della manovra. A livello disaggregato si evidenzia che il taglio dei trasferimenti risulta pari all’incirca alla metà della manovra in tutti i sottosettori, salvo che nelle regioni a statuto speciale, per le quali, anche in considerazione dell’autonomia statutaria, si è privilegiata la revisione degli obiettivi del patto di stabilità interno: nelle RSS, infatti, i predetti tagli incidono per meno di un quinto della manovra. Ne consegue che tali amministrazioni hanno registrato, nell’ambito della manovra di finanza pubblica nel corso della legislatura, una riduzione di risorse proporzionalmente inferiore a quella registrata nei restanti comparti.
Grafico 2 - Composizione della manovra 2013 nei sottosettori delle Amministrazioni Locali
Allargando l’analisi al contributo complessivo dei singoli comparti all’azione di risanamento della finanza pubblica, si ricava la seguente rappresentazione grafica. Il grafico 3 è riferito all’esercizio 2013, ma la medesima analisi riferita agli esercizi successivi fornisce risultati pressoché identici.
Grafico 3 – Riparto delle manovre sulle Amministrazioni Locali - 2013
Al fine di verificare se tale incidenza corrisponda a un criterio di proporzionalità rispetto ad un parametro significativo per la finanza pubblica, quale il peso relativo della spesa corrente dei singoli comparti amministrativi, occorrerebbe disporre dei dati confrontabili, relativi alla spesa corrente ripartita per i singoli sottosettori sopra considerati. Ciò pone alcuni problemi di carattere statistico in quanto i dati disponibili, diffusi dall’Istat, non sono immediatamente utilizzabili. L’analisi è pertanto basata su una rielaborazione statistica dei dati disponibili, al fine di effettuare delle correzioni che tengano conto di alcuni profili critici di seguito menzionati. I risultati presentano pertanto un maggior grado di approssimazione.
Occorre infatti considerare, in particolare, i seguenti aspetti critici:
I risultati dell’analisi consentono di formulare il seguente raffronto tra il riparto della manovra e l’incidenza della spesa corrente, con riferimento ai diversi sottosettori, rispetto all’insieme delle amministrazioni locali. Nel grafico 4, i dati relativi al riparto del complesso delle manovre attuate sono riferiti all’esercizio 2013, sul quale incidono gli effetti di tutte le manovre attuate nella legislatura, inclusi quelli derivanti dall’ultima legge di stabilità (L. 228/2012). Tali dati sono confrontati con quelli relativi al riparto della spesa corrente - “corretta†secondo i criteri sopra descritti - con riferimento all’ultimo esercizio per cui risultano disponibili dati con sufficiente livello di disaggregazione (2010).
Grafico 4
I risultati mostrano che la ripartizione del carico delle manovre attuate nel corso della legislatura - i cui effetti sono qui misurati con riferimento all’esercizio 2013, ma si mantengono pressoché identici per gli esercizi successivi - presenta alcuni scostamenti rispetto alla distribuzione della spesa corrente registrata nel 2010, “corretta†secondo la metodologia sopra descritta. I principali scostamenti riguardano:
La penalizzazione delle province potrebbe risultare collegata, sotto il profilo finanziario, alle linee di riforma espresse in numerosi provvedimenti nel corso della legislatura – che non hanno finora trovato attuazione - riguardanti il riordino dell’assetto amministrativo locale, con la soppressione, o la drastica riduzione, delle province e l’assorbimento delle relative funzioni da altri livelli di governo. La ridotta penalizzazione del comparto comunale risulterebbe coerente con tale assetto ove tale comparto, piuttosto che quello regionale, fosse destinato ad assorbire una quota maggioritaria delle funzioni attualmente svolte dalle province. Si ricorda infatti che, ove venisse effettivamente implementata la riforma amministrativa sopra menzionata, larga parte dei risparmi attesi dalle manovre poste a carico del comparto provinciale dovrebbe essere riallocata a carico dei sottosettori subentranti alle funzioni attualmente assolte dalle province.
Le regioni a statuto speciale (inclusi i rispettivi enti locali)
registrano un peso complessivo della manovra posta a loro carico
proporzionale alla quota di spesa corrente “corretta†da loro erogata.
L’agevolazione di cui gode tale comparto appare quindi limitata alla
composizione della manovra, che vede una minore incidenza dei tagli di
risorse rispetto agli altri comparti.
Misure di flessibilità nell'applicazione del patto di stabilità sono state introdotte nel corso della XVI legislatura al fine di rendere più sostenibili gli obiettivi finanziari individuali e incentivare le spese di investimento degli enti locali fortemente compresse dai vincoli del patto.
Misure di flessibilità nell'applicazione del patto di stabilita' interno sono state introdotte per gli enti locali nella XVI legislatura, a partire dall'esercizio 2009, con la previsione di due forme di flessibilità a livello regionale - la cosiddetta regionalizzazione orizzontale e verticale del patto di stabilità - che sono andate ad affiancare e ad integrare la disciplina nazionale del patto.
Ad esse si è aggiunta, più di recente, una forma di flessibilità a livello nazionale, limitata ai comuni: il patto orizzontale nazionale.
Con le suddette misure di flessibilità (i c.d. patti di solidarietà fra enti territoriali) si è cercato di definire meccanismi di compensazione regionale e nazionale in grado di rendere più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti locali soggetti ai vincoli del patto di stabilità e, al tempo stesso, di fornire risposta ad alcune criticità emerse nell’applicazione del patto, relative soprattutto alle spese di investimento degli enti locali, che, per il criterio di computo dei saldi obiettivo in termini di competenza mista - unitamente al blocco della leva fiscale delle amministrazioni territoriali disposto dal 2008 che ha, di fatto, annullato la possibilità di intervento sulle entrate, ripristinata solo di recente dal 2012 -, sono risultate fortemente compresse dai vincoli del patto di stabilità interno.
Attraverso le compensazioni orizzontali e verticali a livello regionale, definite normativamente nel 2009 ed attivate dal 2010, si consente alle regioni di intervenire a favore degli enti locali del proprio territorio, attraverso una rimodulazione degli obiettivi finanziari assegnati ai singoli enti e alla regione medesima – fermo restando il rispetto degli obiettivi complessivi posti dal legislatore ai singoli comparti - al fine di permettere agli enti locali di poter disporre di maggiori margini per l’effettuazione di spese, soprattutto in conto capitale, senza incorrere nella violazione del patto. L’applicazione di tali misure di flessibilità a livello regionale, è stata via via confermata negli anni successivi. Da ultimo è stata estesa all'esercizio 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 433, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).
Con il sistema di compensazioni orizzontali a livello nazionale, introdotto a partire dal 2012, il Ministero dell'economia e delle finanze consente la rimodulazione orizzontale degli obiettivi finanziari tra i comuni - fermo restando l’obiettivo complessivamente determinato per il comparto comunale dalle regole del patto – allo scopo di consentire lo smaltimento di residui passivi di parte capitale dei comuni che siano in tal senso impossibilitati dai vincoli del patto, garantendo ad essi maggiori spazi finanziari di patto messi a disposizione dagli altri comuni.
Come evidenziato dalla Corte dei Conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, il patto regionalizzato ha avuto innegabili effetti positivi sul raggiungimento complessivo degli obiettivi finanziari da parte degli enti locali, in particolare nell’esercizio 2011, anno in cui gli obiettivi di risparmio sono stati particolarmente difficili da sostenere per gli enti locali, sia per la modifica del meccanismo di calcolo dei saldi obiettivo di patto - che ha avuto un impatto notevole sui saldi triennali già programmati con il precedente metodo - sia per la restrizione delle risorse disponibili a seguito dei tagli operati a valere sui fondi sperimentali di riequilibrio.
Con il “patto regionale verticaleâ€, disciplinato dall’articolo 1, commi 138-140, della legge n. 220/2010, le regioni possono autorizzare gli enti locali del proprio territorio a peggiorare il loro saldo obiettivo, consentendo un aumento dei pagamenti in conto capitale, e procedere contestualmente alla rideterminazione del proprio obiettivo di risparmio, in termini di competenza finanziaria e di competenza euro compatibile, per un ammontare pari all'entità complessiva dei pagamenti in conto capitale autorizzati, al fine di garantire – considerando insieme regione ed enti locali - il rispetto degli obiettivi finanziari.
La procedura prevede che gli enti locali devono comunicare all’ANCI, all’UPI e alle regioni e province autonome, entro il 15 settembre di ciascun anno, l’entità dei pagamenti che possono effettuare nel corso dell’anno. Le regioni, entro il termine perentorio del 31 ottobre, comunicano i nuovi obiettivi agli enti locali interessati dalla compensazione verticale.
Si ricorda che la c.d. ‘regionalizzazione verticale’ del patto di stabilità è stata introdotta dall’articolo 7-quater del D.L. n. 5/2009, e confermata per il 2010 dall’articolo 4, comma 4-sexsies, del D.L. n. 2/2010, al fine di consentire agli enti locali ‘virtuosi’ di escludere dai vincoli del patto alcune particolari tipologie di spese in conto capitale (ad esempio, pagamenti in conto residui concernenti spese per investimenti effettuati nei limiti delle disponibilità di cassa a fronte di impegni regolarmente assunti, pagamenti per spese in conto capitale per impegni già assunti finanziate dal minor onere per interessi conseguente alla riduzione dei tassi di interesse sui mutui o alla rinegoziazione dei mutui stessi), considerate necessarie a fronteggiare la crisi economica.
Questa tipologia di flessibilità è stata utilizzata già nel 2009, in cui sei regioni hanno proceduto a ricalcolare i proprio obiettivi programmatici, per un importo complessivo di 259 milioni di euro. Nell'esercizio 2010 le regioni che hanno autorizzato pagamenti ai rispettivi enti locali, rideterminando i propri obiettivi di risparmio, sono state sette, per un totale di 403 milioni di euro. Nell'esercizio 2011, il patto regionale verticale ha avuto una applicazione molto diffusa. Le regioni che hanno attivato il patto regionale verticale sono salite a dodici per un importo complessivo di 1.128,5 milioni di euro. Per ciascuna regione coinvolta, l’entità della spesa, in milioni di euro, è stata dei seguenti importi: Basilicata 4,1, Emilia Romagna 84, Lazio 180,9, Liguria 62,6, Lombardia 70, Marche 91,4, Piemonte 370, Puglia 50, Sardegna 50, Toscana 55, Umbria 30,3 e Veneto 80 milioni. Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, anche nel 2012 il patto verticale è stato molto utilizzato dalle regioni (12 regioni), che hanno ceduto spazi finanziari agli enti locali per circa 906,7 milioni di euro, così distribuiti sul territorio, in milioni di euro: Basilicata 24, Campania 120, Emilia Romagna 56,2, Lazio 242,3, Liguria 140, Lombardia 54,2, Marche 55, Piemonte 124,6, Sardegna 23,2, Toscana 36,9, Umbria 15 e Veneto 15 milioni.
Per favorire questa forma di flessibilità , si ricorda che, sia per il 2012 che per il 2013, è stata prevista l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario, alla Regione siciliana ed alla Regione Sardegna - vale a dire a tutte le regioni in cui i comuni ricevono risorse erariali – di un incentivo consistente in un contributo massimo di complessivi 800 milioni di euro per ciascun anno. A fronte dell’attribuzione alle regioni del contributo, queste si impegnano a cedere, ai comuni e alle province ricadenti nel proprio territorio, spazi finanziari da attribuire mediante le procedure che disciplinano il patto regionale verticale. Poiché l'obiettivo complessivo del comparto regione-enti locali deve comunque rimanere invariato, il contributo assegnato alle regioni è destinato esclusivamente alla riduzione del debito.
Gli spazi finanziari ceduti agli enti locali devono essere utilizzati dagli stessi per consentire i pagamenti dei residui passivi in conto capitale in favore dei creditori.
Si segnala che, con il patto regionale verticale, la regione potrà cedere ulteriori spazi ai singoli enti ovvero cedere spazi a nuovi enti richiedenti ma non ridurre gli spazi già ceduti con il patto verticale incentivato.
Con il patto regionale orizzontale, attualmente disciplinato dai commi 141 e 142 dell'articolo 1, della legge n. 220 del 2010, la regione può intervenire per consentire una rimodulazione “orizzontale†degli obiettivi finanziari tra gli enti locali del proprio territorio, in relazione alla diversità delle situazioni finanziarie esistenti sul territorio medesimo, purché venga garantito il rispetto dell’obiettivo complessivamente determinato per gli enti locali della regione. Il meccanismo si fonda sulla cessione di “spazi finanziari†da parte dei comuni e delle province che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all’obiettivo prefissato in favore di quelli che rischiano, invece, di conseguire un differenziale negativo rispetto all’obiettivo. Tali spazi finanziari non possono essere utilizzati dagli enti che li acquisiscono per spesa corrente discrezionale, ma soltanto per effettuare spese in conto capitale ovvero spese inderogabili ovvero spese capaci di incidere positivamente sul sistema economico.
Le amministrazioni che cedono o acquisiscono spazi finanziari di patto ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un aggravamento del proprio obiettivo.
La procedura prevede che ogni regione provveda, dunque, a ridefinire e a comunicare agli enti locali il nuovo obiettivo annuale del patto di stabilità interno, comunicando altresì al Ministero dell'economia e delle finanze tutti gli elementi informativi per la verifica del mantenimento dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica per ciascun ente locale che partecipa al meccanismo di compensazione orizzontale, entro il termine del 31 ottobre di ciascun anno.
Anche questa tipologia di rimodulazione orizzontale delle regole per gli enti locali era presente nella disciplina del patto relativa al triennio 2009-2011 (articolo 77-ter, comma 11, del D.L. n. 112/2008) e consentiva alle regioni a statuto ordinario di ‘adattare’ – sulla base dei criteri stabiliti in sede di consiglio delle autonomie - le regole per gli enti locali compresi nel proprio territorio fermo restando l’obiettivo determinato complessivamente dalle regole del patto di stabilità .
Il Patto regionale orizzontale è stato attivato per la prima volta nel 2010 da tre sole regioni. Nell’esercizio 2011, le regioni in cui sono state effettuate 'compensazioni' tra gli enti locali sono salite a otto, per un totale complessivo di 70,2 milioni. Nel 2012, secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, sette regioni hanno attivato il patto orizzontale, per circa 58 milioni di euro complessivi, di cui 6,7 milioni in Abruzzo, 29,3 milioni in Emilia-Romagna, 6,7 milioni nel Lazio, 5,6 milioni Lombardia, 0,5 milioni in Piemonte e 8,9 milioni in Veneto.
Una ulteriore misura di flessibilità è stata introdotta più di recente in favore dei soli comuni a partire dall’anno 2012. Il c.d. "Patto orizzontale nazionaleâ€, disciplinato dall'articolo 4-ter del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, consente la rimodulazione orizzontale degli obiettivi finanziari tra i comuni non più a livello regionale ma a livello nazionale - fermo restando l’obiettivo complessivamente determinato per il comparto comunale dalle regole del patto –, al fine di consentire lo smaltimento di residui passivi di parte capitale degli enti che sono sottoposti al patto.
Il meccanismo si basa, come per il patto regionale orizzontale, sulla cessione di spazi finanziari da parte dei comuni che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all'obiettivo del patto previsto dalla normativa nazionale - la cui entità va comunicata al Ministero dell’economia entro il termine del 15 luglio - a vantaggio di quelli che, invece, prevedono di conseguire, nel medesimo anno di riferimento, un differenziale negativo rispetto all'obiettivo prefissato. Lo scopo è quello di consentire a tali ultimi enti l’utilizzo di maggiori spazi finanziari per effettuare maggiori spese esclusivamente per il pagamento di residui passivi di parte capitale. Come per il patto orizzontale regionale, le amministrazioni che hanno ceduto o acquisito spazi finanziari di patto ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un aggravamento del proprio obiettivo, commisurato alla metà del valore dello spazio acquisito (nel caso di richiesta) o attribuito (nel caso di cessione) nel 2013. Qualora l'entità delle richieste pervenute dai comuni che necessitano di sostenere spese di conto capitale superi l'ammontare degli spazi finanziari resi disponibili dagli altri comuni, l'attribuzione è effettuata in misura proporzionale ai maggiori spazi finanziari richiesti.
Questo tipo di meccanismo di compensazione tra enti dello stesso livello di governo si sovrappone, sostanzialmente, per i comuni, a quello di tipo regionale orizzontale.
Al riguardo, la Corte dei Conti, nel suo Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, ha evidenziato il rischio di un depotenziamento del meccanismo dello scambio di quote a livello regionale - che in base alla tempistica indicata dall’art. 4-ter del D.L. n. 16/2012 diverrebbe residuale rispetto allo scambio sul piano nazionale- soprattutto in considerazione del fatto che il patto regionale orizzontale ha finora evidenziato una scarsità di risorse messe a disposizione rispetto ai fabbisogni finanziari espressi, scarsità che è stato possibile superare solo grazie all’integrazione con l’intervento verticale del patto.
Secondo i dati provvisori forniti dalla Ragioneria generale dello Stato, nel 2012 441 comuni hanno richiesto di poter beneficiare di rimodulazioni orizzontali degli obiettivi finanziari, per un importo complessivo pari a 985 milioni di euro, a fronte di spazi finanziari ceduti per soli 128 milioni di euro.
Una evoluzione del patto regionalizzato è stata introdotta con l’articolo 20, comma 1, del D.L. n. 98/2011, che superando il meccanismo delle compensazioni verticali ed orizzontali apre la prospettiva ad un "patto regionale integrato", prevedendo la possibilità , per ciascuna regione di concordare direttamente con lo Stato le modalità di raggiungimento dei propri obiettivi, esclusa la componente sanitaria, e quelli degli enti locali del proprio territorio, previo accordo concluso in sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI regionali.
Tale patto regionalizzato è stato ulteriormente ridefinito dalla legge di stabilità per il 2012 (articolo 32, comma 17, legge n. 183/2011). Sono rinviate ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze le modalità di attuazione e le condizioni della eventuale esclusione dal 'patto concordato' delle regioni che nel triennio precedente non abbiano rispettato il patto o siano sottoposte al piano di rientro dal deficit sanitario.
Il Patto c.d. integrato non ha finora ricevuto attuazione. Da ultimo, la legge di stabilità per il 2013 ne ha posticipato l’applicazione al 2014.
Con le suddette misure di flessibilità introdotte nel corso della legislatura, si è cercato di definire meccanismi che fossero in grado di dare risposte ad alcune problematiche applicative della disciplina del patto, emerse con riferimento soprattutto alle spese di investimento degli enti locali, fortemente penalizzate dai vincoli del patto di stabilità interno.
Secondo quanto emerso nel corso di un’ampia indagine conoscitiva sulla finanza locale svolta nel corso del 2010 presso la V Commissione bilancio della Camera, l’ampio adempimento degli enti locali agli obiettivi imposti dal patto ha comportato, al contempo, alcune distorsioni delle tendenze strutturali della spesa, indotte dall’esigenza di rispettare i vincoli imposti dal patto di stabilità interno (si veda il documento conclusivo dell'indagine). In particolare, l'adozione della competenza mista, a partire dal 2008, quale criterio di calcolo dei saldi obiettivo per gli enti locali, che considera la spesa per investimenti secondo il criterio della cassa, ha di fatto comportato che molti enti si sono trovati nell’impossibilità di effettuare pagamenti riferiti ad impegni regolarmente assunti negli anni precedenti - per il finanziamento di opere già progettate o per il proseguimento di lavori già iniziati - nonostante avessero le disponibilità di cassa, rese inutilizzabili dai vincoli del patto.
Tali valutazioni hanno indotto il Governo ad apportare alcuni “aggiustamenti†alla disciplina del patto - prima con i vari decreti-legge c.d. anticrisi (D.L. n. 185/2008 e D.L. n. 5/2009), poi, con il D.L. n. 2/2010 recante interventi urgenti concernenti enti locali e regioni e, infine, con la manovra di finanza pubblica operata con D.L. n. 78/2010 - che hanno consentito l’esclusione di determinate tipologie di pagamenti in conto capitale dal computo delle spese sottoposte ai vincoli del patto di stabilità interno (in particolare spese, anche in conto residui, per la realizzazione di investimenti infrastrutturali, a fronte di impegni regolarmente assunti), finalizzate a correggere la compressione degli investimenti e il rallentamento dei pagamenti per le opere giunte in fase di liquidazione, senza compromettere gli obiettivi del patto.
L’attivazione dei meccanismi di compensazione regione del patto, sia a livello verticale che orizzontale, ha avuto innegabili effetti positivi anche su tale fronte.
La Corte dei Conti nel Rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, evidenzia come i meccanismi di compensazione regionale applicati a partire dal 2010 oltre ad aver reso più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti locali ed aver contribuito a contenere i casi di inadempimento del patto, hanno avuto un effetto positivo sul livello dei pagamenti in conto capitale, ponendosi come soluzione idonea a favorire la flessibilizzazione degli investimenti, almeno laddove le necessità di flessibilità del patto erano effettivamente legate a disponibilità di cassa rese non utilizzabili dai vincoli del patto medesimo.
Gli enti che hanno ottenuto spazi aggiuntivi di saldo dal patto regionale hanno raggiunto, infatti, standard di pagamenti di spesa in conto capitale più elevati, riuscendo a contenere la caduta di tale comparto di spesa rispetto agli anni precedenti, pur nella generale flessione degli investimenti pubblici.
L’applicazione diffusa del Patto regionalizzato, che nel 2011 ha coinvolto oltre il 60 per cento degli enti locali monitorati, ha messo in evidenza, secondo la Corte, le potenzialità dello strumento del patto regionale in termini di tempestivo e massimo utilizzo delle capacità finanziarie.
Viene, tuttavia, sottolineata la necessità di affinare un sistema di garanzie tra livelli di governo, affinché tale strumento possa effettivamente costituire l’asse portante per consentire, anche in futuro, il finanziamento degli investimenti in disavanzo compatibilmente con il vincolo costituzionale dell’obiettivo generale di pareggio.
Gli enti territoriali sono tenuti a concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica anche attraverso il contenimento del proprio debito.
Misure di contenimento del debito degli enti territoriali sono state introdotte nel corso della legislatura, volte, da un lato, a tenere sotto controllo la dinamica crescente della consistenza del debito già in essere e, dall’altro, a ridurre drasticamente la possibilità di contrarre nuovo debito da parte degli enti territoriali, secondo una tendenza già evidente nella legislatura precedente.
Con la riforma del Titolo V, l’articolo 119 della Costituzione ha elevato a livello costituzionale il principio della c.d. golden rule, secondo la quale gli enti locali possono indebitarsi esclusivamente per finanziare spese di investimento. La regola, già esistente nell’ordinamento degli enti locali, stabilisce un vincolo di destinazione alla contrazione dei debiti, che non possono finanziare spesa corrente.
La recente riforma costituzionale, operata dalla legge n. 1 del 2012, che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio per il complesso delle pubbliche amministrazioni, ha imposto ulteriori vincoli agli enti territoriali in tema di indebitamento che si sovrappongono a quelli fissati dall’articolo 119 della Costituzione.
L’introduzione del principio costituzionale del pareggio di bilancio esteso alle amministrazioni territoriali avrà incidenza sul livello di indebitamento ammesso, i cui spazi andranno a restringersi ulteriormente, essendo ora consentito il ricorso al debito nel rispetto dell’equilibrio complessivo dell’aggregato regionale.
All’inizio della legislatura, al fine di ricondurre la dinamica di crescita del debito pubblico in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica, l’articolo 77-bis del D.L. 25 giugno 2008, n. 112 (recante la disciplina del patto di stabilità interno per gli enti locali per gli anni 2009-2011) ha introdotto norme volte a contenere la dinamica di crescita dello stock di debito del comparto degli enti locali soggetti al patto di stabilità interno, in linea con gli obiettivi di contenimento della crescita del debito delle amministrazioni pubbliche, indicati nel Documento di programmazione economico-finanziaria. Le norme di contenimento del debito, previste a regime a decorrere dal 2010, erano rivolte anche ai comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, allora esclusi dal Patto.
In particolare, la norma ha stabilito un limite massimo all’aumento della consistenza del debito degli enti locali, stabilendo che, a partire dall’anno 2010, le province ed i comuni possano aumentare la consistenza del proprio debito come risultante al 31 dicembre dell’anno precedente in misura non superiore ad una determinata percentuale, determinata annualmente, ma con proiezione triennale, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sulla base degli obiettivi programmatici indicati nei Documenti di programmazione economico-finanziaria.
La legge di stabilità per il 2012 (articolo 8, legge n. 183/2011), nel sancire che le disposizioni dirette a favorire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito degli enti territoriali costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, ha reso le misure di contenimento del debito per le regioni, le province e i comuni ancora più stringenti
In particolare, la norma dispone che a decorrere dall'anno 2013 gli enti territoriali riducono l'entità del debito pubblico, prevedendo, a tal fine, che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, siano stabilite:
a) distintamente per Regioni, province e comuni, la differenza percentuale, rispetto al debito medio pro capite, oltre la quale i singoli enti territoriali hanno l'obbligo di procedere alla riduzione del debito;
b) la percentuale annua di riduzione del debito;
c) le modalità con le quali può essere raggiunto l'obiettivo di riduzione del debito.
Agli enti che non adempiono a quanto sopra previsto si applicano le disposizioni sanzionatorie in tema di mancato rispetto del patto di stabilità interno, relative ai limiti agli impegni di spese correnti e al divieto di assunzioni di personale.
Il decreto attuativo della descritta misura di contenimento del debito non risulta ancora emanato.
Contestualmente alle misure di riduzione della consistenza del proprio debito, sono stati introdotti limiti progressivamente più stringenti alla possibilità di contrarre nuovo indebitamento da parte degli enti territoriali.
Con riferimento agli enti locali sono state apportate modifiche al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, volte a modificare il limite massimo di indebitamento, rappresentato dall’incidenza del costo degli interessi sulle entrate correnti degli enti locali.
Le norme dell’articolo 204 del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL) prevedono che l'ente locale può assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l'importo annuale dei correlati interessi, sommati agli oneri già in essere (mutui precedentemente contratti, prestiti obbligazionari precedentemente emessi, aperture di credito stipulate e garanzie prestate, al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi) non sia superiore ad una determinata percentuale delle entrate correnti (relative ai primi tre titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l'assunzione dei mutui).
All’inizio della legislatura, tale percentuale di incidenza del costo degli interessi sulle entrate correnti era fissata nella misura del 15 per cento.
Tale percentuale di riferimento è stata gradualmente ridotta, e da ultimo, la legge finanziaria per il 2012 (articolo 8, legge n. 183/2011), nel recare nuove disposizioni per favorire il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione del debito degli enti territoriali a decorrere dal 2012, ha ridotto la percentuale medesima all’8 per cento nel 2012, al 6 per cento nel 2013 e al 4 per cento a partire dal 2014.
Come chiarito dalla norma interpretativa contenuta nell’articolo 16, comma 11, del D.L. 3 marzo 2012, n. 16, i suddetti limiti devono essere rispettati nell’anno di assunzione del nuovo indebitamento.
L’articolo 8 della legge n. 183/2011 - attraverso una novella all’articolo 10, comma 2, della legge 16 maggio 1970, n. 281 - ha introdotto analoghe disposizioni anche per le Regioni.
Per tali enti, a decorrere dal 2012, la percentuale tra l'importo complessivo delle annualità per capitale ed interessi e l'ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate, che rappresenta la misura di riferimento per la contrazione di nuovo indebitamento da parte delle regioni, è stata ridotta dal 25 al 20 per cento.
Le Regioni, pertanto, possono contrarre mutui ed emettere obbligazioni soltanto qualora l’importo complessivo delle annualità di ammortamento per capitale e interesse dei mutui e delle altre forme di indebitamento in estinzione nell'esercizio considerato non sia superiore al 20 per cento dell'ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate della regione ed a condizione che gli oneri futuri di ammortamento trovino copertura nell'ambito del bilancio pluriennale della regione stessa.
Tuttavia, con l’articolo 27, comma 2, del D.L. 29 dicembre 2011, n. 216, l’efficacia della riduzione è stata ridimensionata, prevedendo che resta fermo il (più ampio) limite del 25 per cento per l'indebitamento autorizzato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, fino al 31 dicembre 2011, limitatamente agli impegni assunti alla data del 14 novembre 2011 per spese di investimento finanziate dallo stesso, derivanti da obbligazioni giuridicamente perfezionate e risultanti da apposito prospetto da allegare alla legge di assestamento del bilancio 2012.
Da ultimo, si ricorda che, nell’ambito della vigente disciplina del patto di stabilità interno, è fatto divieto agli enti locali e alle regioni ricorrere all’indebitamento in caso di mancato rispetto del patto di stabilita' interno, ponendo a carico dell’istituto finanziatore l’onere di verificare la presenza dell’attestazione del conseguimento degli obiettivi del patto di stabilità interno per l'anno precedente, prima di erogare mutui o prestiti obbligazionari.
L’esigenza di assicurare il rispetto delle nuove regole europee sul controllo della spesa e sulla sostenibilità del debito pubblico – come richiesto dalla riforma del Patto di stabilita' e crescita dell’Unione Europea e dal trattato sul Fiscal compact – da parte di tutte le amministrazioni pubbliche, ivi incluse pertanto anche le autonomie territoriali – trova espressione nelle modifiche apportate nell’ultimo anno di legislatura alle norme costituzionali che regolano l’autonomia finanziaria e l’indebitamento delle regioni e degli enti locali.
Per tale finalità , la legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1, nell’introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale è intervenuta anche sull’articolo 119 Cost. nel quale, per la parte che qui interessa, nel ribadire che l’indebitamento delle autonomie territoriali è consentito solo per finanziare spese di investimento, introduce due ulteriori condizioni all'indebitamento medesimo, richiedendo che ad esso si possa procedere solo con “la contestuale definizione di piani di ammortamento†ed a condizione che l'equilibrio di bilancio sia rispettato “per il complesso degli enti di ciascuna Regioneâ€.
La stessa norma ha inoltre rinviato ad una apposita legge, da approvarsi a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera (vale a dire una dire una legge che nel sistema delle fonti del diritto ha natura di “legge rinforzataâ€) le necessarie norma attuative del nuovo dettato costituzionale, affidando ad essa, tra l’altro, il compito di disciplinare “la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamentoâ€
Tale compito è stato adempiuto con la legge 24 dicembre 2012, n. 243, di attuazione del principio di pareggio del bilancio, il cui articolo 10 afferma, ribadendo il disposto della norma costituzionale, che l’accesso all’indebitamento è consentito solo per il finanziamento delle spese di investimento, secondo le modalità e nei limiti fissati dallo stesso articolo nonché dalla legge dello Stato, vale a dire con le norme sugli enti locali e sulle regioni che si sono in precedenza richiamate.
L’accesso è tuttavia condizionato a specifici ed ulteriori vincoli rispetto a quelli già vigenti, come in precedenza illustrati, disponendosi che le operazioni di indebitamento possano effettuarsi solo contestualmente all’adozione di piani di ammortamento per il rimborso del debito, con evidenziazione delle obbligazioni che incidono sui singoli esercizi e delle corrispondenti modalità di copertura. I piani in questione, inoltre, devono avere durata non superiore alla vita utile dell’investimento: ciò, presumibilmente, al fine di limitare la possibilità , cui spesso finora si è fatto ricorso, di rinegoziazione di debiti già in essere, con lo scopo di allungarne la scadenza.
Si prevede altresì che le operazioni di indebitamento vadano effettuate sulla base di una procedura di intesa a livello regionale, per garantire, nell’anno di riferimento, che l’accesso al debito dei singoli enti territoriali avvenga nel rispetto dell’equilibrio complessivo a livello di comparto regionale (comprensivo cioè di tutti degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione), misurato in termini di “gestione di cassa finale†del saldo complessivo. Ai fini dell’intesa è previsto che ciascun ente comunichi, ogni anno, alla Regione, ovvero alla provincia autonoma, di appartenenza, il saldo di cassa tra entrate finali e spese finali che prevede di conseguire e gli investimenti che intende realizzare, mediante il ricorso all’indebitamento ovvero mediante l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti.
Alla Regione non sembra pertanto venir attribuita la funzione di organo decisore, atteso che si prevede il raggiungimento di una apposita intesa, in assenza della quale ciascun ente potrà indebitarsi nei limiti del rimborso dei propri prestiti. La possibilità di utilizzare, a fini di investimento, i saldi di bilancio, rappresenta comunque una misura di flessibilità per poter procedere all’indebitamento, che tiene conto del contributo fornito dagli enti locali alla crescita economica.
Viene, inoltre, disciplinato, con una disposizione che appare rivestire anche carattere sanzionatorio, il caso di mancato rispetto degli equilibri a livello regionale in sede di rendiconto, prevedendo che il saldo negativo concorre alla determinazione dell’equilibrio della gestione di cassa finale dell’anno successivo del complesso degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione, ed è ripartito tra gli enti che non hanno rispettato il saldo previsto.
Ulteriori disposizioni in tema di indebitamento degli enti territoriali interessano la disciplina relativa all’emissione di titoli obbligazionari e operazioni in strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali, intervenuta in considerazione dei crescenti rischi che l’evoluzione dei mercati della finanza poteva comportare nei contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati.
In proposito le leggi finanziarie 2007 (legge 29 dicembre 2006, n. 296) e 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) hanno, rispettivamente, limitato l’utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte di regioni ed enti locali e improntato la sottoscrizione dei contratti a criteri di massima trasparenza. Successivamente, la materia è stata oggetto di modifica con la legge finanziaria per il 2009 (legge 22 dicembre 2009, n. 203, articolo 3), che, con lo scopo di contenere l’indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali, ha disposto il divieto, per le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, di stipulare contratti relativi a strumenti finanziari derivati fino alla data di entrata in vigore di un apposito regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, cui è demandata l’individuazione della tipologia dei contratti su derivati che possono essere stipulati dagli enti territoriali. Regolamento in corso di predisposizione ma, al momento, non ancora adottato.
In ragione dell'utilizzo sempre più ampio degli strumenti finanziari derivati da parte degli territoriali, il legislatore ha riformato la materia dettandone una disciplina più dettagliata e restringendone l'emissione entro precisi e severi limiti.
La questione inerente la sottoscrizione di strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali è sorta a seguito dell’instaurarsi di una prassi, consolidata negli anni, in base alla quale regioni, province e comuni hanno fatto ampio ricorso alla finanza derivata sia nella gestione del proprio debito che, in particolare, in fase di ristrutturazione dell’indebitamento. Gli enti (non solo quelli territoriali, in quanto il fenomeno ha avuto incidenza anche presso le amministrazioni centrali) hanno fatto ricorso a tale categoria di strumenti finanziari per gestire l’esposizione ai rischi di mercato o di credito che l’ente stesso assume in relazione alla propria attività .
Per “strumenti finanziari derivati†si intendono gli strumenti finanziari il cui valore dipende (“derivaâ€) dall’andamento di un’attività sottostante (chiamata underlying asset). Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come, ad esempio, i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come, ad esempio, il caffè, il cacao, l’oro, il petrolio, etc.).
Il decreto legislativo 28 febbraio 1998, n. 58 (articolo 1, commi 2 e 3) , recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), fa una prima, ma non esaustiva elencazione delle forme in cui si possono presentare tali strumenti. La pratica internazionale ha tuttavia consentito lo sviluppo di numerose tipologie di contratti, ulteriori a quanto codificato dalla legge, che si possono ritenere appartenenti alla categoria dei derivati.
La particolare complessità di tali strumenti implica un elevato profilo di rischio collegato alla loro sottoscrizione.
Si rammenta che con il regolamento UE n. 648/2012 - European Market Infrastructure Regulation – Regolamento EMIR è stata individuata una cornice europea comune in materia di regolamentazione del mercato dei derivati negoziati fuori dai mercati regolamentati, allo scopo di ridurre i rischi sistemici che vi sono connessi. Il regolamento, adottato il 4 luglio 2012, è formalmente entrato in vigore il 16 agosto 2012. In modo particolare, il predetto regolamento intende regolamentare i derivati "OTC" (over the counter, cioè negoziati singolarmente tra le due controparti e non scambiati su mercati regolamentati), imponendo a tutti gli operatori del settore nuovi e stringenti obblighi, la cui effettiva entrata in vigore è prevista secondo un calendario che prevede varie scadenze in maniera scaglionata.
Da ultimo, il Parlamento Europeo ha approvato (il 7 febbraio 2013) gli standard tecnici al regolamento EMIR: essi entreranno in vigore 20 giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea.
L’attenzione del legislatore alla problematica si è concretata – in particolar modo a cavallo tra la XV e la XVI legislatura – nella progressiva disciplina dell’accesso degli enti locali al mercato dei capitali, nonché dei criteri per l’ammortamento del debito e le operazioni in derivati.
Come anche rilevato dalla Corte dei conti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013, numerosi enti territoriali, specie di grandi dimensioni, a partire dal 1996 (in virtù della legge 539 del 1995 che consentiva agli enti di effettuare operazioni di swap sui tassi di cambio) hanno iniziato a far ricorso a questo strumento per le suindicate finalità .
Le leggi finanziarie 2007 (legge 29 dicembre 2006, n. 296) e 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) hanno, rispettivamente, limitato l’utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte di regioni ed enti locali e improntato la sottoscrizione dei contratti a criteri di massima trasparenza.
In particolare, la legge finanziaria per il 2007 ha previsto l’obbligo di comunicare i contratti al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze prima della sottoscrizione; il MEF ne verifica la conformità alla normativa vigente e, ove ravvisi violazioni, deve informare la Corte dei Conti affinché possa intervenire in virtù delle proprie competenze. In ossequio al principio della trasparenza, inoltre, gli enti locali debbono trimestralmente fornire allo stesso ministero l'elenco delle operazioni effettuate nonché i dati relativi all'utilizzo del credito bancario a breve termine, ai mutui accesi presso soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione, alle emissioni obbligazionarie e alle cartolarizzazioni. I criteri e gli obiettivi del legislatore della finanziaria 2007 sono stati condivisi anche nella finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) nella quale è stata chiarita la necessità che le modalità contrattuali siano espressamente dichiarate in una nota allegata al bilancio.
Da ultimo, la materia è stata oggetto di modifica con la legge finanziaria per il 2009 (legge 22 dicembre 2008, n. 203, articolo 3), con lo scopo di contenere l’indebitamento delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali.
In particolare è stato disposto il divieto, per le Regioni, le Province autonome e gli enti locali, di stipulare contratti relativi a strumenti finanziari derivati fino alla data di entrata in vigore di un apposito regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, cui è demandata l’individuazione della tipologia dei contratti su derivati che possono essere stipulati dagli enti territoriali.
Le norme dispongono la nullità dei contratti emessi in violazione delle norme del suddetto regolamento o privi di un’attestazione scritta dell’ente, nella quale si dichiari di avere preso conoscenza dei rischi e delle caratteristiche dei medesimi. La nullità è di tipo relativo, in quanto può essere fatta valere solo dall’ente stesso.
Le norme hanno previsto stringenti requisiti di forma del contratto (ad esempio, esso deve recare tutte le informazioni in lingua italiana), che deve avere un contenuto tipico.
Alle Regioni e agli enti locali è stato fatto obbligo di allegare al bilancio di previsione e al bilancio consuntivo una nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari, rispettivamente stimati e sostenuti, derivanti da contratti relativi a strumenti finanziari derivati o da contratti di finanziamento che includono una componente derivata.
Vengono inoltre accentuati i controlli della Corte dei Conti e vengono ampiamente estesi gli obblighi informativi e di trasparenza.
Ad oggi il regolamento del MEF previsto dalla finanziaria 2009 in materia di contratti derivati stipulati da Regioni ed enti locali non risulta ancora adottato (ancorché vi sia una bozza sul sito del Dipartimento del Tesoro) .
Di tali tematiche si è occupata la Commissione Finanze e tesoro del Senato con un'indagine conoscitiva sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni. Nel documento conclusivo approvato nel marzo 2010 a conclusione dell’indagine Doc. XVII n. 5 viene evidenziata tra l'altro la necessità di un riordino della normativa di settore diretta al rafforzamento delle regole di correttezza, trasparenza e tutela dell’affidamento degli amministratori pubblici; i principi cardine di tale azione potrebbero essere individuati tra l'altro:
A parere della Commissione andrebbe altresì considerata la possibilità di rafforzare i poteri di controllo in materia del Ministero dell’economia e delle finanze.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 70 del 2012, con riferimento alla mancata previsione di copertura finanziaria di oneri imprevisti derivanti da contratti derivati stipulati dalla Regione Campania, ha affermato che le norme introdotte hanno, tra l’altro, la finalità di garantire che le modalità di accesso ai contratti derivati da parte delle Regioni e degli enti locali siano accompagnate da cautele in grado di prevenire l’accollo da parte degli enti pubblici di oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione. Ciò in considerazione della natura di questa tipologia di contratti, aventi caratteristiche fortemente aleatorie, tanto più per le finanze di un’amministrazione pubblica. In definitiva, secondo la Corte, proprio le peculiari caratteristiche di tali strumenti hanno indotto il legislatore statale a prevedere, limitatamente alle contrattazioni in cui siano parte le regioni e gli enti locali, una specifica normativa non solo per l’accesso al relativo mercato mobiliare, ma anche per la loro gestione e rinegoziazione, che presentano, parimenti, ampi profili di spiccata aleatorietà in grado di pregiudicare il complesso «delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere, appunto, pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività » (sentenza n. 52 del 2010).
E’ stata comunque prevista una deroga a tale disciplina per i territori dell’Abruzzo colpiti dagli eventi calamitosi dell’aprile 2009. In particolare, il decreto-legge “Abruzzo†(articolo 4, comma 8 del 28 aprile 2009, n. 39) con riguardo alla durata massima di una singola operazione di indebitamento, ha autorizzato la regione Abruzzo, la provincia di L'Aquila e gli altri comuni colpiti dal sisma a rinegoziare con la controparte i prestiti, in qualsiasi forma contratti, in essere al 28 aprile 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge); si veda il tema relativo al terremoto in Abruzzo . La durata di ogni singolo prestito può essere estesa per un periodo non superiore a cinquanta anni a partire dalla data della rinegoziazione.
Il decreto-legge 26 giugno 2009, n. 78 (articolo 17, comma 32) ha autorizzato le regioni Lazio, Campania, Molise e Sicilia, in presenza di eccezionali condizioni economiche e dei mercati finanziari, a ristrutturare le operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati al fine esclusivo della salvaguardia del beneficio e della sostenibilità delle rispettive posizioni finanziarie.
Come osservato dalla Corte dei conti nella già citata relazione, sia la giurisprudenza che la dottrina giuridica ritengono che, per valutare la convenienza economico-finanziaria delle operazioni di finanza derivata degli enti pubblici (territoriali in particolare) occorre esaminare non solo le conseguenze finanziarie relative alle singole annualità - in conformità agli ordinari principi della contabilità pubblica -, ma è necessario correlare le loro conseguenze di natura contrattualistico-civile al complesso dei risultati conseguibili nel periodo di validità del contratto.
Il contenzioso tra enti/amministrazioni pubbliche da un lato e banche dall’altro, in materia di contratti derivati, ha infatti principalmente interessato il giudice ordinario (penale e civile) e il giudice amministrativo, e solo in via residuale, e con grandi difficoltà applicative, la Corte dei conti nell’esercizio della funzione giurisdizionale di responsabilità .
Il giudice penale ha perseguito in diverse fattispecie la condotta di funzionari di banca che hanno venduto derivati ad enti locali prospettandone la vantaggiosità in danno dell’ente. Si ricorda in proposito la sentenza dal Tribunale di Milano del 19 dicembre 2012, che ha condannato Depfa Bank PLC, Deutsche Bank AG, JP Morgan Chase Bank N.A. e UBS Limited in favore del Comune di Milano (il giudice ha dichiarato colpevoli i manager coinvolti nella vendita dei prodotti derivati al Comune di Milano disponendo la confisca del profitto dei reati per un totale di 88 milioni di euro).
Il giudice civile è giunto ad affermare che la carenza di una causa legittima rende nullo il contratto di swap. In particolare il Tribunale di Milano, pronunciatosi il 14 aprile 2011, ha ritenuto nulli per carenza di causa i contratti di swap sottoscritti da enti locali che alla data della sottoscrizione presentavano un valore di mercato (mark to market) negativo non compensato mediante l’erogazione, da parte della banca, di un corrispondente premio di liquidità .
Successivamente il Tribunale di Orvieto ha reso un’importante pronuncia il 12 aprile 2012, in sede di reclamo avverso il provvedimento cautelare con cui, in via cautelare, era stato sospeso l’addebito di differenziali negativi connessi ad operazioni del tipo interest rate swap (il contratto col quale due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo predefinito al momento della stipula, flussi di pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad un capitale nozionale). Confermando il provvedimento cautelare, la corte ha osservato che perché sia garantito un sano equilibrio tra le posizioni dei due contraenti, è indispensabile che lo scambio di flussi legato al differenziale tra i due rispettivi tassi di interesse, al momento della stipula dell’operazione, sia pari a zero, “altrimenti il contratto partirà squilibrato a favore di uno dei due contraenti, evidenziando una possibile patologia della fattispecie negozialeâ€. Nella suindicata pronuncia, il Tribunale di Orvieto osserva che l’attività di rinegoziazione di uno swap costituisce di per sé una deviazione dalla normale operatività in derivati che un ente pubblico può compiere in ossequio alle esigenze di copertura del debito.
Secondo tale prospettazione, non può essere consentito ad un Comune, al fine di scongiurare l’imminente addebito di differenziali negativi, di ristrutturare il derivato accettando nell’immediato di incamerare liquidità ma al contempo accollandosi un nuovo derivato dal valore già negativo, spostando solo più in là nel tempo il rischio di andare incontro a flussi di cassa negativi. Tutto ciò non rientrerebbe nelle finalità conservative connesse all’attività finanziaria di un ente pubblico ma sfocerebbe, nella sostanza, in un’operazione negoziale non già di copertura bensì dal significato intrinsecamente aleatorio.
Anche il giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sentenza n. 5032 del 7 settembre 2011) ha ritenuto legittima la decisione di una Provincia di annullare nell’esercizio del potere di autotutela operazioni in strumenti finanziari derivati.
Atti di indirizzo e controllo
Il sistema delle entrate degli enti territoriali appare a tutt'oggi un quadro complesso e ancora non stabilizzato, in ragione dei ripetuti interventi che sulla materia si sono susseguiti nel corso della legislatura. L'assetto normativo presenta pertanto al momento alcuni elementi di transitorietà , con specifico riferimento agli enti locali.
Allo scadere della XVI legislatura il sistema delle entrate comunali presenta un quadro complesso ed ancora non stabilizzato, a causa del sovrapporsi, nel biennio 2011-2012, di numerosi interventi legislativi, costituiti principalmente dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale, dal decreto-legge di manovra intervenuto alla fine del medesimo anno (D.L. n. 201 del 2011) e dalla legge di stabilità 2013 (L. n. 228 del 2012), che, modificando ogni volta la normativa vigente nella materia, hanno concorso a determinare un assetto normativo nel quale al momento sono presenti alcuni elementi di transitorietà .
Il sistema della fiscalita' municipale delineato dal decreto legislativo n. 23 del 2011 prevedeva, in origine una fase transitoria per il biennio 2011-2013 nella quale, in aggiunta alle tradizionali entrate dell’ente (costituite dall’addizionale Irpef, dall’Ici, dalla tassa e dal canone per l’ occupazione spazi ed aree pubbliche - Tosap e Cosap - , dall’imposta di scopo - Iscop, dalla Tarsu/Tia, dall’imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni e dal canone installazione mezzi pubblicitari), venivano istituite nuove forme di entrata: compartecipazione al gettito dell’IVA proveniente dai rispettivi territori, in misura finanziariamente equivalente ad una compartecipazione Irpef del 2 per cento; imposta di soggiorno o di sbarco; cosiddetta “fiscalità immobiliareâ€, vale a dire l’Irpef sui redditi fondiari, le imposte ipotecarie e catastali e la cedolare secca sugli affitti, da far confluire previamente in un Fondo sperimentale di riequilibrio per essere e successivamente ridistribuire ai comuni in forma territorialmente equilibrata.
In particolare tale fondo, alla cui determinazione si è finora proceduto per gli anni 2011 e 2012 (con decreto del Ministro dell’interno, rispettivamente D.M. 21 giugno 2011 e D.M. 4 maggio 2012), era istituito in sostituzione dei trasferimenti da parte dello Stato, contestualmente soppressi, ad eccezione di una quota degli stessi che, in ragione delle peculiari caratteristiche, non risultavano “fiscalizzabili†e dovevano continuare ad essere erogati.
A regime, dal 2014, il decreto legislativo prevedeva l’attribuzione diretta dei cespiti derivanti dalla fiscalità immobiliare, con la sostituzione del Fondo di riequilibrio con un (più ridotto) Fondo perequativo, l’istituzione dell’Imposta municipale propria (IMU) progettata per assorbire l’Ici e l’Irpef sui redditi fondiari, e dell’Imposta municipale secondaria, sostitutiva dell’imposta comunale sulla pubblicità /affissioni e la Tosap/Cosap.
Nel disegno del legislatore, delle imposte storiche sarebbero rimaste pertanto solo l’addizionale Irpef, l’imposta di scopo e la Tarsu/Tia (oltre ai trasferimenti non fiscalizzabili ed a parte, ovviamente, le entrate extratributarie).
Tale assetto è stato poi consistentemente modificato dall’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011, che, nell’ambito di un intervento volto al consolidamento dei conti pubblici nell’emergenza finanziaria determinatasi negli ultimi due mesi dell’anno, ha anticipato “in via sperimentale†la decorrenza dell’ IMU al 2012 (e fino al 2014, disponendo espressamente, all’articolo 13, comma 1 che “l'applicazione a regime dell'imposta municipale propria è fissata al 2015â€) estendendola anche all’abitazione principale e destinandone il gettito per circa la metà (con esclusione di quello derivante dall’abitazione principale e da altre specifiche categorie di immobili) direttamente allo Stato. Il provvedimento ha inoltre istituito, dal 2013, il tributo comunale sui tributi e servizi (Tares), in sostituzione di tutti gli altri proventi attinenti al servizio rifiuti urbani.
Da ultimo, l’articolo 1, commi da 380 a 384 della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), oltre a modificare in molti aspetti la Tares, ha innovato l’assetto della destinazione del gettito proveniente dall’IMU ed ha ridefinito i rapporti finanziari tra Stato e comuni, come delineati dal D.Lgs. n. 23 del 2011.
In particolare si attribuisce interamente ai comuni il gettito IMU, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo (che rimane destinato allo Stato) e contestualmente si sopprime il Fondo sperimentale di riequilibrio previsto dal decreto legislativo n. 23: quest’ultimo viene sostituito da un Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell’IMU di spettanza dei comuni. In ragione di tale soppressine, nonché della circostanza che la modifica all’IMU è per gli anni 2013 e 2014, viene sospesa per i medesimi anni la devoluzione ai comuni del gettito della fiscalità immobiliare prevista nel medesimo decreto n. 23, nonché della compartecipazione comunale al gettito IVA.
Alla luce di quanto sinteticamente illustrato, pertanto, il sistema della fiscalità comunale poggia al momento, con riferimento al biennio 2013-2014, su tre principali imposte, costituite dall’IMU, dalla Tares e dall’addizionale comunale all’Irpef. A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzabili prima segnalati ed alle entrate extratributarie (quali il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, la Cosap, che costituisce un cespite anche provinciale, e l’addizionale comunale sui diritti di imbarco), le tradizionali entrate locali, vale a dire l’imposta di soggiorno, l’Iscop, la Tosap, l’imposta comunale sulla pubblicità /diritto sulle pubbliche affissioni, il canone installazione mezzi pubblicitari.
Ulteriori entrate, che hanno però carattere eventuale, sono infine ravvisabili nei proventi derivanti dalla partecipazione dei comuni all’azione di contrasto all’evasione fiscale, incrementati dal decreto legislativo n.23 del 2011, a seguito del quale viene devoluto all’ente locale che partecipa all’accertamento il 50% del gettito (il 100% nel triennio 2012-2014) e l’intero gettito nel caso di accatastamento di immobili non dichiarati in catasto (c.d. case fantasma).
Una maggiore stabilità presenta invece il sistema delle entrate delle province, il cui assetto è stato peraltro modificato in misura meno incisiva di quello comunale dalla normativa attuativa della delega recata dalla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che è intervenuta sulla fiscalita' provinciale con gli articoli da 16 a 21 del decreto legislativo n. 68 del 2011, recante norme in materia di autonomia di entrata delle regioni e delle province
In considerazione della intervenuta soppressione dell’ addizionale provinciale sull’energia elettrica, disposta dal tale provvedimento, il sistema delle entrate delle provinciali è costituito dai seguenti cespiti:
Va inoltre segnalato che il medesimo provvedimento prevede, all’articolo 19, l’istituzione di una compartecipazione provinciale alla tassa automobilistica regionale, a compensazione, dal 2013, della soppressione dei trasferimenti regionali diretti al finanziamento delle spese delle province. Al momento, tuttavia, benché l’articolo 19 suddetto prevedesse il termine del 20 novembre 2012 per la fissazione di tale compartecipazione, la stessa non risulta ancora stabilita.
Si ricorda, infine, che l’articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 16 del 2012 ripristina il potere di regioni ed enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, a decorrere dall'anno di imposta 2012; questo potere era stato sospeso dall’articolo 1, comma 123, della legge n.220/2010 (legge di stabilità 2011) “fino all'attuazione del federalismo fiscaleâ€.
In via generale un esame delle fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario espone come questi siano individuabili nei tributi propri, nelle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio dell’ente, nelle entrate proprie (quelle derivanti da beni, attività economiche della regione e rendite patrimoniali), nei trasferimenti perequativi, per i territori con minore capacità fiscale per abitante e, infine, nelle entrate da indebitamento, che sono però riservate a spese di investimento (art. 119, Cost.).
Le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono costituite principalmente dal gettito di IRAP, addizionale IRPEF, cosiddetta tassa automobilistica e della compartecipazione al gettito dell’accisa sulla benzina. Gli altri tributi minori, compresa l’addizionale regionale all'accisa sul gas naturale (ARISGAM) e il tributo speciale il deposito in discarica dei rifiuti costituiscono una piccola parte dell’intero gettito tributario.
La compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, invece, istituita dal D.Lgs. 56/2000 e determinata con DPCM, entra nel meccanismo di perequazione previsto dallo stesso decreto 56. Ciascuna regione riceve la quota di compartecipazione all’IVA a seguito delle operazioni di perequazione, e quindi in aumento o in diminuzione rispetto al conteggio iniziale. Su di essa le regioni non hanno alcun potere di manovra, analogamente a quanto accade con la compartecipazione al gettito dell’accisa sulla benzina.
Per quanto riguarda i tributi, le possibilità di manovra sulla leva fiscale da parte regionale sono limitate. Ciascuna regione può determinare l’aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato e – in alcuni casi – differenziare i soggetti passivi (per scaglioni di reddito per l’addizionale IRPEF, per categorie economiche per l’IRAP). Ciascuna regione, inoltre, provvede alla disciplina ed alla gestione degli aspetti amministrativi: riscossione, rimborsi, recupero della tassa e l'applicazione delle sanzioni, sempre entro limiti e principi fissati dalla legge dello Stato.
Tale quadro non risulta ancora mutato dalla disciplina attuativa della legge delega n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, che per quanto concerne la fiscalità regionale è stata dettata dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, benché talune disposizioni di tale provvedimento avrebbero dovuto trovare attuazione già dal 2013. A decorrere da tale anno le fonti di finanziamento delle regioni per l’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nelle materie della sanità , assistenza, istruzione e trasporto pubblico locale (per la spesa di parte capitale) dovevano infatti essere costituite: - dalla compartecipazione all’Iva,e quote dell’addizionale regionale all’Irpef, come entrambe rideterminate ai sensi del decreto legislativo medesimo; - dall’ Irap; - da quote di un Fondo perequativo, appositamente istituito; - dalle entrate proprie.
Il nuovo assetto non ha tuttavia al momento ancora avuto seguito, in quanto: a) la determinazione con legge dei LEP nelle materie sopradette non è finora intervenuta, tranne che per la sanità (dove peraltro risale al 2001 ed è in via di ridefinizione); b) l’addizionale Irpef avrebbe dovuto essere rideterminata (in modo tale da assicurare risorse equivalenti a quelle derivanti dai trasferimenti erariali di parte corrente, da sopprimere dal 2013, con corrispondente riduzione delle aliquote Irpef statali, per lasciare inalterato l’onere per i contribuenti), con riferimento all’anno di imposta 2012, mediante un apposito DPCM da emanarsi entro il 27 maggio 2012, non ancora intervenuto; c) la compartecipazione Iva doveva anche essa venir rideterminata a decorrere dal 2013 secondo il nuovo principio di territorialità stabilito dal decreto legislativo ed, inoltre, in misura tale da garantire in ogni regione il finanziamento delle spese per i LEP, ad opera di un DPCM per il quale non è stabilito un termine di adozione, e che allo stato non è stato ancora emanato; d) di conseguenza, poiché tale compartecipazione è destinata ad alimentare il Fondo perequativo prima citato, da istituire dall’anno 2013, neanche tale Fondo risulta al momento istituito.
Pertanto le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono attualmente quelle già operanti precedentemente alla legge delega sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, costituite dai tributi propri e dalle compartecipazioni ai tributi erariali seguenti,:
Con la sola eccezione dell’IVA, tributi e compartecipazioni sono – con riferimento al gettito – “tributi†regionali secondo due principali caratteristiche: le somme che affluiscono al bilancio della regione provengono interamente ed esclusivamente dal gettito riferito al rispettivo territorio; quale che sia la disciplina del tributo (aliquota, base imponibile, soggetti obbligati, eccetera) e la quota di gettito assegnata alla regione, inoltre, le entrate della regione seguono la dinamica di quel gettito nel rispettivo territorio.
Il gettito della compartecipazione regionale all’IVA è invece assegnato a ciascuna regione in base a parametri che dipendono dalla disciplina del finanziamento della spesa sanitaria corrente delle regioni a statuto ordinario secondo i seguenti criteri:
Nelle regioni eccedentarie le entrate da compartecipazione IVA sono riferite integralmente al proprio territorio, sebbene siano soltanto una quota parte della rispettiva IVA territorializzata. Nelle regioni deficitarie le entrate IVA riferite al territorio sono costituite dall’intera quota territorializzata; a questa si aggiunge il trasferimento perequativo non riferibile ad uno specifico territorio.
L'ordinamento finanziario delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi. Gli statuti – che hanno forma di legge costituzionale – stabiliscono ambiti e limiti della potestà impositiva, tributaria, finanziaria e contabile di ciascuna regione, riconoscono la titolarità del demanio e del patrimonio regionali, elencano i tributi erariali il cui gettito è devoluto, interamente o in parte, alla regione, attribuiscono ad essa la potestà legislativa e amministrativa sull’ordinamento finanziario degli enti locali del rispettivo territorio. Le «norme di attuazione» sono emanate dal Governo con decreto legislativo (in precedenza con decreto del Presidente della Repubblica) in forza della competenza loro riservata in via esclusiva dagli statuti speciali e secondo una procedura che ne prevede l’istruttoria ed il parere, o l’intesa, da parte di Commissioni paritetiche, i cui membri sono designati dal Governo e dalla rispettiva regione. A differenza di quanto solitamente avviene per gli atti di legislazione delegata, le norme di attuazione non sono sottoposte al parere parlamentare.
Nel corso della XVI legislatura sono intervenute modifiche 'concordate' all'ordinamento finanziario di queste regioni, che hanno riguardato l'attuazione dei principi del federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale, secondo le procedure appositamente stabilite dall’art. 27 della legge n. 42/2009. Questo prevede in particolare l’istituzione presso la Conferenza Stato-regioni di un apposito tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e provincia autonoma (poi istituito con D.P.C.M. 6 agosto 2009) con il compito di individuare le linee guida per il concorso delle autonomie speciali, secondo le norme attuative dei rispettivi statuti, agli obiettivi della legge delega sul federalismo fiscale.
Per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e per le Province autonome di Trento e di Bolzano, la legge finanziaria 2010 (Legge 191/2009 art. 2 commi 106-125) reca modifiche concernenti: la disciplina dei tributi propri e delle compartecipazioni ai tributi erariali di questi enti; la nuova disciplina di tesoreria; il riconoscimento e regolazione di somme spettanti alle province autonome, il Patto di stabilità e il concorso delle province autonome al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà del federalismo fiscale.
Per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (art. 1, commi 151-159) e la Regione autonoma Valle d'Aosta (art. 1, commi 160-164) è la legge di stabilità 2011 (Legge 220/2010) che, in recepimento del rispettivo accordo con la regione, reca disposizioni concernenti la quantificazione del contributo di ciascun ente per l'attuazione dei principi di perequazione e solidarietà del federalismo fiscale, la disciplina del patto di stabilità e norme generali per il coordinamento delle norme che provvederanno ad attuare il federalismo fiscale (i decreti legislativi attuativi della legge 42 del 2009) e l'ordinamento finanziario della regione.
Ciò precisato, ad una sintetica ricognizione di carattere generale sulla fiscalità delle autonomie speciali emerge come il connotato più forte dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale e delle province autonome sia rappresentato dalle quote di compartecipazione ai tributi erariali. Ogni statuto elenca le imposte erariali delle quali una quota percentuale è attribuita alla regione, le aliquote eventualmente differenziate per ciascun tipo di imposta, la base di computo, le modalità di attribuzione. Talune specificazioni di dettaglio sono rimesse poi alle norme di attuazione. Le compartecipazioni possono essere considerate tributi regionali solo ai fini della destinazione del gettito (in tal senso sono “tributi propriâ€). Non sono regionali, però, per alcun punto della loro disciplina: istituzione, soggetti passivi e base imponibile, sanzioni, contenzioso, eccetera.
Nella regione Sicilia tutti i tributi erariali sono riscossi direttamente dalla regione stessa; in questo caso la riscossione è disciplinata anche da norme della regione. A decorrere dal 1° gennaio 2008, anche la regione Friuli-Venezia Giulia provvede direttamente alla riscossione delle imposte secondo quanto stabilito dalle norme di attuazione dello statuto emanate con D.Lgs. 137/2007. Nelle altre regioni a statuto speciale e nelle province autonome i tributi erariali sono invece riscossi dallo Stato che provvede poi a ‘devolvere’ alla regione la quota spettante.
Tutte le regioni a statuto speciale e le province autonome collaborano - secondo le specificazioni dei propri Statuti - all'accertamento delle imposte erariali riscosse o prodotte sul proprio territorio. In sintesi, è attribuito alle regioni:
Disposizioni “residuali†contenute negli statuti, inoltre, attribuiscono alla regione Sicilia, alle Province autonome di Trento e di Bolzano ed ora anche alla Sardegna (nella misura di 7/10) e alla Valle d'Aosta (nella misura di 9/10), la compartecipazione su tutte le altre imposte e tasse non elencate dallo statuto.
La legge dello Stato può riservare all’erario il gettito di nuovi tributi ed il gettito proveniente da modificazioni alla disciplina dei tributi compartecipati dalle regioni soltanto se quelle somme sono destinate a scopi specifici, sono limitati nel tempo e determinabili nella misura. Nell'ultima parte della legislatura il Governo ha fatto ricorso alla riserva all'erario diverse volte con misure che in questa sede non si dettagliano, in ragione della temporaneità delle stesse.
Nel corso della XVI legislatura è stato implementato il sistema dei controlli interni ed esterni di gestione degli enti territoriali, ai fini del rafforzamento dell'esigenza del coordinamento della finanza pubblica.
Il sistema dei controlli degli enti territoriali si fonda sul principio dell’equiordinazione costituzionale di tali enti con gli altri livelli di governo. Tale principio fa si che l’ente abbia capacità di verifica e di giudizio interno della propria attività .
Parallelamente, accanto al riconoscimento costituzionale dell’autonomia degli enti territoriali, si è venuto via via a ridurre il ruolo dei controlli esterni, sia con l’eliminazione dei controlli preventivi di legittimità , caratterizzati da un’impostazione di tipo gerarchico e pertanto lesiva dell’autonomia dei vari enti territoriali, sia con il ridimensionamento del ruolo della Corte dei conti, che ha conservato le proprie funzioni di controllore esterno attraverso un rapporto di tipo collaborativo.
Tuttavia, il contesto dinamico e le successive evoluzioni hanno imposto al legislatore riflessioni sull’adeguatezza dei controlli in essere e sulla necessità di migliorarli o integrarli, anche in ragione del principio del coordinamento della finanza pubblica - ai fini del raggiungimento degli obiettivi nazionali sulla base degli impegni comunitari - che ha determinato, da un lato, la previsione di vincoli sempre più stringenti alle politiche di bilancio degli enti territoriali e, dall’altro, l’intensificazione, in controtendenza rispetto al passato, del sistema dei controlli esterni sulla gestione finanziaria degli enti, affidato alla Corte dei conti.
Il processo di rinnovamento del sistema dei controlli, nella XVI legislatura, è iniziato con il D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009, (c.d. Decreto Brunetta) che ha introdotto il concetto di valutazione delle performance individuali e organizzative del personale della pubblica amministrazione (compresi dunque gli enti territoriali) da esercitarsi attraverso Organismi indipendenti di valutazione, e si è andato poi sviluppando alla luce della riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e del potenziamento dell’attività di analisi e valutazione della spesa (ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2011, n. 123) e dei meccanismi sanzionatori e premiali per regioni, province e comuni, introdotti dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, adottato in sede di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale.
Nell’ultimo anno è stato poi adottato il decreto legge n. 174 del 10 ottobre 2012, che ha integralmente rivisto e potenziato il sistema dei controlli, sia interni che esterni, degli enti territoriali, finalizzandolo all’esigenza di rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica e di garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
Il sistema dei controlli interni negli enti locali ha subito, nel corso della legislatura, una profonda innovazione, determinata dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e, in particolare, dall’articolo 3 del D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, provvedimento quest’ultimo che ha completamente ridisegnato l’assetto delineato dall'articolo 147 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali). Tale assetto era originariamente basato sulle seguenti tipologie di controlli:
Con riferimento alla valutazione della dirigenza, il D.Lgs. n. 150 del 27 ottobre 2009 (c.d. Decreto Brunetta) è intervenuto attribuendo tale valutazione a nuovi soggetti, gli Organismi indipendenti di valutazione, i quali si sostituiscono, in tale attività , ai servizi di controllo interno. La misurazione della performance organizzativa e individuale si è sostituita alla previgente valutazione della dirigenza, estendendosi al personale amministrativo.
Il controllo sulla dirigenza, ora disciplinato per tutte le pubbliche amministrazioni nel citato D.Lgs. n. 150/2009, è dunque fuoriuscito dal sistema dei controlli interni dell’ente locale delineati dal TUEL, pur restando strettamente legato alle verifiche attinenti al ciclo strategico dell’ente.
Con riferimento alle altre tipologie di controlli, l’articolo 3 del D.L. n. 174/2012 ha operato diverse novelle al fine di implementare il sistema preesistente. In particolare, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, compaiono ora nuove attività , quali:
In parallelo alle suddette due attività di verifica dell’efficacia degli organismi gestionali esterni all’ente e della qualità dei servizi erogati - le quali appaiono comunque inquadrarsi nell’alveo dei controlli gestionali estesi agli enti facenti parte del bilancio consolidato dell’ente - viene specificamente introdotta una nuova tipologia di controllo interno, il controllo sulle societa' partecipate dagli enti locali, il quale dovrà essere periodico e prevedere l’analisi degli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati, anche con riferimento ai possibili squilibri economico finanziari rilevati per il bilancio dell’ente locale. Il controllo sulle partecipate riguarda sia aspetti di regolarità amministrativa e contabile (ricomprendendo anche la verifica dell'andamento economico finanziario della società al fine di rilevare possibili ripercussioni sull'ente locale) che aspetti tipici del controllo di gestione e del controllo strategico.
Il sistema di controlli sulle società partecipate, che deve essere definito secondo l’autonomia organizzativa dell’ente, riguarda gli enti locali con popolazione superiore a 100.000 abitanti in fase di prima applicazione, a 50.000 abitanti per il 2014 e a 15.000 abitanti a decorrere dal 2015.
L’introduzione del controllo sulle società partecipate rappresenta uno degli elementi più innovativi della riforma del sistema dei controlli, quale momento indispensabile alla governance dell’ente locale come “gruppoâ€.
In merito si sottolinea come negli ultimi anni, infatti, si sia registrata una crescente attenzione del legislatore sul tema delle società controllate dagli enti locali - secondo una tendenza già in atto nella legislatura precedente – che discende dalla effettiva necessità di controllare con sempre maggiore attenzione la spesa complessiva delle amministrazioni locali, posto che non di rado le situazioni di dissesto o comunque di serio squilibrio economico finanziario dell’ente locale possono essere connesse a circostanze che vedono coinvolti gli enti partecipati.
Altro aspetto importante del controllo sulle società partecipate è previsto dal nuovo articolo 147-quater del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL), il quale ribadisce l’obbligo di redazione del bilancio consolidato, già previsto nell’ambito del D.Lgs. 23 giugno 2011, n. 118 in tema di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli Enti Locali e dei loro organismi.
Per ciò che concerne i controlli pre-esistenti, quali, in particolare, il controllo sulla regolarità amministrativo contabile, si osservi, infine, che sono stati implementati e resi più stringenti dal D.L. n. 174/2012 i casi in cui in cui è obbligatorio il parere di regolarità contabile del responsabile di ragioneria, stabilendosi che tale parere debba essere richiesto non solo per le proposte di delibere sottoposte alla Giunta e al Consiglio che comportino impegno di spesa o diminuzione di entrata, ma su ogni proposta di deliberazione che comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente.
L'operazione di rafforzamento del sistema dei controlli interni non poteva, inoltre, non coinvolgere il ruolo svolto dal revisore contabile dell'ente, in particolare ampliando la gamma degli atti che necessitano "obbligatoriamente" del parere dell'organo di revisione.
Ai fini della verifica della situazione finanziaria degli enti locali, si ricorda, inoltre, che il D.Lgs. n. 149/2011 (cosiddetto "premi e sanzioni", emanato in attuazione della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale) ha introdotto alcuni specifici strumenti volti a garantire il coordinamento della finanza pubblica ed in particolare il principio di trasparenza delle decisioni di entrata e di spesa. In particolare, il decreto legislativo ha previsto per le province e gli enti locali, così come per le regioni, l’obbligo di redigere una “relazione di fine mandatoâ€, consistente in un documento sottoscritto dal presidente della provincia o dal sindaco, certificato dagli organi di controllo interno dell’ente, e verificato da un apposito Tavolo tecnico interistituzionale.
Il documento costituisce in sostanza uno strumento di rendicontazione delle principali attività normative e amministrative svolte durante il mandato, con particolare riferimento al sistema e agli esiti dei controlli interni, agli eventuali rilievi della Corte dei Conti, alle azioni intraprese per il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e lo stato del percorso di convergenza verso i fabbisogni standard, alla situazione finanziaria e patrimoniale, anche evidenziando le carenze riscontrate nella gestione degli enti e società controllate dal comune o dalla provincia, alle azioni di contenimento della spesa e stato del percorso di convergenza ai fabbisogni standard, alla quantificazione della misura dell'indebitamento provinciale o comunale. Esso deve essere pubblicato, unitamente al rapporto di verifica, sul sito istituzionale della provincia o del comune.
Con il D.L. n. 174/2011, è stato inoltre previsto l'obbigo per comuni e province di redigere anche una relazione di inizio mandato, volta a verificare la situazione finanziaria e patrimoniale e la misura dell'indebitamento dei medesimi enti. La relazione di inizio mandato, predisposta dal responsabile del servizio finanziario o dal segretario generale, è sottoscritta dal presidente della provincia o dal sindaco entro il novantesimo giorno dall'inizio del mandato.
In relazione alle regioni, si ricorda che ciascun ente dispone autonomamente in merito alla organizzazione dei controlli interni. Sulla materia dei controlli i nuovi statuti delle regioni, emanati ai sensi dell’art. 123 Cost., contengono disposizioni di principio, mentre la disciplina attuativa è affidata alla legge regionale o, anche, al regolamento interno del Consiglio regionale.
Recenti disposizioni normative hanno previsto per le regioni l'obbligo di adottare specifici strumenti volti alla verifica della situazione finanziaria della regione, nonché di dotarsi di appositi organi di controllo interno.
In particolare, il D.Lgs. 149/2011 (cosiddetto "premi e sanzioni", emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 42/2009 sul federalismo fiscale) ha previsto per le regioni l’obbligo di redigere una “relazione di fine legislatura regionaleâ€, consistente in un documento del Presidente della Giunta regionale, certificato dagli organi di controllo interno dell’ente. Il documento costituisce in sostanza uno strumento di rendicontazione delle condizioni finanziarie della regione e deve essere pubblicato – unitamente ad un rapporto di verifica della relazione predisposto da un organo esterno all’ente - sul sito istituzionale della regione stessa prima della scadenza della legislatura.
Da ultimo, inoltre, si ricorda che il decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 ha disposto l’istituzione, a decorrere dal 1° gennaio 2012, di un Collegio dei revisori dei conti, quale organo di vigilanza sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente.
Tale Collegio, già istituito in quasi tutte le regioni, opera in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
Per quanto concerne i controlli esterni sugli enti locali, l’articolo 3 del D.L. n. 174/2012 ha potenziato i poteri della Corte dei conti, già da tempo operanti nell'ordinamento (in particolare sulla base di quanto disposto dall’articolo 7, comma 7, della legge n. 131 del 2003, dall’articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge n. 266 del 2005 e dall’articolo 11 della legge n. 15 del 2009).
La funzione di controllo della Corte nei confronti degli enti locali, ne risulta consistentemente ampliata, e viene ora a comprendere, anche in corso di esercizio:
A tal fine, il nuovo articolo 148 del D.Lgs. n. 267/2000 prevede che le sezioni regionali della Corte verifichino, semestralmente – tramite l’apposito referto ad esse inviato dall’ente - la regolarità della gestione e il funzionamento dei controlli interni adottati al fine del rispetto delle regole contabili e del pareggio di bilancio di ciascun ente locale. Per l'effettuazione dell'attività di verifica semestrale le sezioni regionali di controllo della Corte possono avvalersi anche del Corpo della Guardia di finanza o dei servizi ispettivi del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato previsti dall'articolo 14 della legge di contabilità nazionale.
Alla Corte è affidato, inoltre, un potere sanzionatorio nei confronti degli amministratori dell’ente locale responsabili.
Il rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali, disciplinato dal nuovo articolo 148-bis del D.Lgs. n. 267/2000, comporta, nello specifico, che le sezioni regionali di controllo sono tenute ad esaminare i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119 della Costituzione nonché della sostenibilità dell' indebitamento degli enti territoriali, dell'assenza di irregolarità , suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti.
L'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno, ha effetti inibenti per gli enti locali, i quali sono tenuti a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio, pena l’impossibilità di dare attuazione ai programmi di spesa per i quali è stata accertata la non sostenibilità finanziaria.
Si consideri, poi, che, ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, ulteriori conseguenze – quali la declaratoria dello stato di dissesto dell’ente - sono state previste qualora il controllo della Corte dei conti sulla sana gestione finanziaria degli enti locali abbia dato esito negativo e gli enti non abbiano provveduto ad adottare le necessarie misure correttive dalla medesima Corte indicate.
In particolare, si prevede che il dissesto dell’ente sia disposto da un commissario ad acta nominato dal prefetto ed il consiglio dell'ente sia sciolto qualora dalle pronunce delle sezioni regionali emergano comportamenti dell’ente difformi dalla sana gestione finanziaria ovvero irregolarità contabili o squilibri strutturali del bilancio tali da provocarne il dissesto, e l’ente perduri nel non adottare le necessarie misure correttive dalla stessa Corte indicate.
I controlli esterni sono esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche dal Ministero dell’economia e finanze – Ragioneria Generale dello Stato, per tramite dei Servizi ispettivi di finanza pubblica (SiFiP) - che, in via generale, ai sensi della disciplina sui poteri di monitoraggio attribuiti alla RGS dalla legge di contabilità nazionale (articolo 14, legge n. 196/2009), procede in ogni caso ad effettuare verifiche circa gli eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica.
In particolare, l’articolo 5 del D.Lgs. n. 149/2011 (cosiddetto "premi e sanzioni", già sopra più volte citato) consente al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – di attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, qualora un ente, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, evidenzi situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi.
Il SiFiP, in tale verifica, come già detto, può essere anche attivato dalla Corte dei conti.
Il D.L. n. 174/2011 reca una serie di misure finalizzate ad implementare il sistema dei controlli della Corte dei conti sulla gestione finanziaria delle regioni. Si prevede in particolare:
L'insieme delle citate misure è preordinato alla verifica da parte della Corte di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita' interno.
Anche per le regioni, come per gli enti locali, l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno ha degli effetti inibenti per le regioni, i quali sono tenuti a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio, pena l’impossibilità di dare l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata l’insostenibilità finanziaria.
Specifiche norme riguardano poi i gruppi consiliari delle Assemblee regionali, sotto il profilo della rendicontazione delle risorse di cui sono destinatari e dell’obbligo di invio di tale rendicontazione alla Corte dei Conti.
Come già detto per gli enti locali, i controlli esterni sulle regioni e sulle province autonome di Trento e Bolzano sono esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche dal Ministero dell’economia e finanze – Ragioneria Generale dello Stato, per tramite dei Servizi ispettivi di finanza pubblica (SiFiP), ai sensi di quanto previsto dal D.Lgs. n. 149/2011, come modificato dal D.L. n. 174/2012. In base a tale norma, il MEF-RGS può attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario (ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi; aumento non giustificato delle spese in favore dei gruppi consiliari e degli organi politico istituzionali).
Il problema dei ritardi di pagamento da parte dello Stato e degli enti locali nelle transazioni commerciali è stato affrontato nel corso della legislatura con una serie di interventi normativi finalizzati a dare attuazione alle direttive comunitarie sulla materia. Pur in presenza di tali interventi, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione costituisce, nell'attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese, per le quali la disponibilità di credito è uno dei driver necessari per allontanare il credit crunch ed acquisire competitività . La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della P.A. è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti del settore sanitario.
La problematica del ritardo dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali relative a contratti di fornitura di beni e servizi è stata affrontata in vario modo dal legislatore nel corso della XVI legislatura, attraverso una serie di interventi legislativi finalizzati a dare concreta attuazione alla Direttiva 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 e alla successiva Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, sostitutiva della prima.
Il nuovo provvedimento comunitario, il cui termine di recepimento nel diritto interno degli Stati membri era fissato al 16 marzo 2013, è stato recepito in anticipo nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192. Il provvedimento dispone, per i contratti conclusi a decorrere dal 1° gennaio 2013:
Nonostante le misure adottate nel corso della legislatura, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione si mantiene elevato. L'Eurostat, in una apposita Nota pubblicata ad ottobre 2012, ha indicato l'ammontare complessivo dei debiti commerciali nell’ordine di oltre 67 miliardi di euro nel 2011.
Tale elevato ammontare continua a costituire, nell’attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese che sono più esposte alla variazione dei flussi di cassa e ai maggiori costi da sostenere per il recupero dei crediti.
La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della pubblica amministrazione è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti commerciali del settore sanitario.
Con riferimento specifico ai crediti vantati dalle imprese nei confronti delle amministrazioni regionali e locali per somministrazioni, forniture e appalti, il legislatore è intervenuto, all’inizio della legislatura, con l’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, il quale ha introdotto una disciplina specifica che prevede la certificazione, da parte degli enti territoriali debitori, dei crediti in questione nei confronti dei soggetti interessati anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi crediti nei confronti di banche o intermediari finanziari.
La procedura prevede che, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali certificano, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentirne la cessione a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Il termine per la certificazione è stato originariamente fissato in 60 giorni dalla data di ricezione dell'istanza.
La legge di stabilità per il 2012 (articolo 13, legge n. 183/2011) ha modificato la normativa in questione introducendo la previsione secondo la quale, scaduto il termine di sessanta giorni, su nuova istanza del creditore, provvede alla certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, la quale, ove necessario nomina un commissario ad acta con oneri a carico dell’ente territoriale.
Successivamente, il termine per la certificazione dei crediti da parte degli enti territoriali è stato ridotto da sessanta a trenta giorni dall’articolo 13-bis del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 il quale ha inoltre reso obbligatoria – e non più eventuale - la nomina di un Commissario ad acta, su nuova istanza del creditore, qualora, allo scadere del termine previsto, l’amministrazione non abbia provveduto alla certificazione.
Il meccanismo della certificazione dei crediti per somministrazioni, forniture e appalti è stato esteso anche agli enti del Servizio sanitario nazionale dal D.L. n. 52/2012, e alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, dall’articolo 12 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16. Tale ultimo decreto ha in particolare stabilito che la certificazione possa essere finalizzata a consentire al creditore la cessione del credito a favore di banche o intermediari finanziari, oltre che pro soluto - che esonera il cedente dal rispondere dell'eventuale solvibilità del debitore - anche pro solvendo, che implica invece per il cedente l’obbligo di rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore.
La certificazione dei crediti non può essere rilasciata, a pena di nullità , dagli enti locali commissariati né dagli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi.
Le regole per procedere alla certificazione dei crediti sono contenute in due decreti emanati dal Ministro dell’economia e delle finanze: il Decreto 22 maggio 2012, come modificato dal D.M. economia 24 settembre 2012, concernente la certificazione dei crediti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali, e il Decreto 25 giugno 2012 relativamente alla certificazione da parte delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, integrato dal successivo D.M. economia 19 ottobre 2012.
Nonostante che il quadro regolamentare risulti ormai completato, ed il procedimento di certificazione sia disponibile anche su piattaforma elettronica, realizzata dalla Ragioneria Generale dello Stato e gestita da Consip Spa, la certificazione medesima sembra procedere con lentezza, sulla base di primi dati osservabili all’inizio del 2013.
Secondo le indicazioni fornite dal ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, nel corso di un Convegno organizzato da Assolombarda l'11 febbraio 2013, risultavano al momento rilasciate soltanto 71 certificazioni, per un importo di 3 milioni di euro, con solo 1.227 amministrazioni pubbliche abilitate all'utilizzo della piattaforma (di cui oltre 900 comuni del Centro Nord, e con solo 70 sono enti del servizio sanitario) e 289 imprese.
Ai fini dell’accelerazione dello smaltimento dei debiti da parte degli enti territoriali, l’articolo 31 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 ha introdotto una ulteriore misura, che consente la compensazione dei crediti, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili e certificati secondo la procedura sopra esposta, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo.
L’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 ha esteso l’istituto della compensazione con le somme dovute iscritte a ruolo anche ai crediti vantati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
La possibilità di utilizzare eventuali crediti per compensare, da parte del medesimo soggetto, i propri debiti con l’amministrazione, è disciplinata dal Decreto 25 giugno 2012, come integrato dal D.M. economia 19 ottobre 2012, emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze, nei termini seguenti:
Per ciò che specificamente concerne l’intervento di Cassa depositi finalizzato a fronteggiare la problematica dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, in data 6 marzo 2012, CDP e ABI hanno stipulato una Convenzione che fissa termini e modalità con le quali Cassa mette a disposizione delle banche la cifra massima di 10 miliardi di euro, dei quali 8 miliardi sono destinati al finanziamento di spese di investimento e di esigenze di incremento del capitale circolante del comparto imprenditoriale (Plafond Investimenti) e 2 miliardi di euro destinati alle banche per le operazioni di acquisto ovvero per le altre operazioni consentite sui crediti certificati vantati dalle PMI nei confronti della pubblica amministrazione per somministrazioni, forniture e appalti, (Plafond Crediti vs. PA).
L’accordo del 6 marzo 2012 tra Cassa depositi e prestiti e di ABI si inserisce nel più generale quadro delle recenti iniziative di sostegno all’economia e, in particolare, al tessuto imprenditoriale nazionale, che vedono una stretta collaborazione tra Governo, banche e imprese, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 16 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che disciplina interventi del settore creditizio a favore del pagamento delle imprese creditrici degli enti territoriali.
Tale collaborazione si è concretizzata in un Accordo per il credito alle PMI, firmato il 28 febbraio 2012 dal Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti, dal Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, dai rappresentanti dell’ABI e delle Associazioni d’impresa il nuovo Accordo per il credito alle PMI. In tale accordo, le parti si sono impegnate ad agevolare un rapido smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese verso la pubblica amministrazione rendendone operativi i meccanismi di certificazione, in modo da qualificare i medesimi certi ed esigibili, ovvero attraverso altre forme di anticipazione dei crediti da parte del settore bancario.
Un successivo Accordo sottoscritto il 22 maggio 2012 tra l’ABI e le Associazioni delle imprese ha definito le modalità operative per lo smobilizzo, presso il settore bancario, dei crediti certificati vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
In tale Accordo, ABI si impegna a mettere a disposizione delle imprese uno specifico plafond per lo smobilizzo dei crediti PA (cd. Plafond “Crediti P.A.â€) di ammontare minimo pari a 10 miliardi di euro. Tale ammontare è la risultante di plafond individuali, attivati dalle singole banche aderenti all’iniziativa, utilizzando la provvista acquisita dalla Cassa depositi e prestiti, la provvista acquisita dalla BCE, ovvero acquisita attraverso altri canali di finanziamento particolarmente competitivi che consentano di praticare all’impresa condizioni di accesso al credito vantaggiose. Le modalità per l’utilizzo del plafond sono:
L’anticipazione non potrà essere inferiore al 70 per cento dell’ammontare del credito che l’impresa vanta nei confronti della pubblica amministrazione, e la durata verrà rapportata alla data di pagamento prevista nel credito. Le banche aderenti all’operazione dovranno deliberare l’operazione entro 30 giorni dalla presentazione delle richieste, da presentarsi entro la data del 31 dicembre 2012.
L’articolo 9 del D.L. n. 185/2008 ha previsto l'intervento delle imprese di assicurazione e della SACE s.p.a. - i cui ambiti operativi sono stati pertanto estesi - nella prestazione di garanzie finalizzate ad agevolare la riscossione dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche, con priorità per le ipotesi nelle quali sia contestualmente offerta una riduzione dell'ammontare del credito originario.
Si tratta, specificamente, della concessione di garanzie a banche o intermediari finanziari finalizzate a coprire il rischio del mancato rimborso dei finanziamenti dalle stesse accordati ad imprese fornitrici di beni e servizi che vantano crediti verso la P.A., utilizzati a garanzia dei medesimi finanziamenti.
Secondo l’Accordo SACE – ABI del 30 giugno 2009, la garanzia prestata da SACE copre il 50% dell’importo (in linea di capitale ed interessi) finanziato alle imprese.
Con la finalità di agevolare, da parte dei soggetti interessati, l’utilizzo dei crediti che gli stessi vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche - ma anche, più in generale, per favorire le operazioni finanziarie destinate all’attività d’impresa - l’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 prevede che le certificazioni dei crediti possono essere utilizzate anche ai fini dell’ammissione al Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese.
Si ricorda che l’intervento del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese è stato previsto dall’articolo 39 del D.L. 201/2011 (cd. Salva Italia). Per ciò che specificamente concerne l’intervento del Fondo a sostegno delle imprese creditrici delle pubbliche amministrazioni, l’articolo 4 del D.M. sviluppo economico 26 giugno 2012, attuativo della misura in questione, stabilisce che:
Con riferimento specifico alla liquidazione dei debiti delle amministrazioni centrali, si ricorda che l’articolo 9 del D.L. n. 78/2009, oltre ad aver introdotto misure volte a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie – anche attraverso la previsione di una specifica responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa – ha previsto per i Ministeri l’obbligo di procedere alla liquidazione dei debiti in essere alla data di entrata del 1° luglio 2009 per somministrazioni, forniture ed appalti. Con la direttiva emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2009 le amministrazioni centrali sono state autorizzate ad emettere titoli di pagamento per crediti esigibili vantati dalle imprese private riferibili a somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti, per 7 miliardi di euro.
L’articolo 35 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ha poi introdotto nuove misure per l’estinzione dei debiti pregressi dei Ministeri esistenti alla data del 24 gennaio 2012, connessi a transazioni commerciali per acquisto di servizi e forniture, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, disponendo, da un lato, un incremento dei fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti per complessivi 2,7 miliardi di euro per il 2012 e, dall’altro, introducendo una modalità alternativa di estinzione dei crediti commerciali maturati alla data del 31 dicembre 2011 - in luogo del pagamento attraverso le risorse iscritte sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti - consistente nell'estinzione degli stessi mediante assegnazione di titoli di Stato, su richiesta dei soggetti creditori, nel limite massimo di 2 miliardi di euro.
Tale misura alternativa ha trovato attuazione con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 maggio 2012 il quale stabilisce che i titolari dei crediti commerciali di ammontare (al netto degli interessi) non inferiore a 1.000 euro, possono chiederne all’Amministrazione statale l’estinzione mediante assegnazione di titoli di Stato.
A tal fine l’Amministrazione debitrice, verificato che i crediti in questione risultano iscritti nel conto dei residui passivi al 31 dicembre 2011, ovvero costituiscono residui passivi perenti iscritti sul conto del patrimonio, trasmettono la documentazione agli uffici finanziari competenti; su tale base il Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento del tesoro procede all’assegnazione ai creditori di speciali Certificati di credito del Tesoro, con decorrenza 1° novembre 2012 e scadenza 1° novembre 2016, con taglio minimo di mille euro e tasso d’interessa fisso pagabile in rate semestrali posticipate.
In base a quanto sopra illustrato, la massa finanziaria messa a disposizione delle imprese per lo smobilizzo dei crediti verso la P.A. – non considerando i 2,7 miliardi iscritti sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti dei Ministeri per il 2012 - ammonterebbe complessivamente a 14 miliardi, di cui:
Rispetto alle risorse indicate, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche risulta di gran lunga superiore.
In occasione dell’audizione tenuta presso la V Commissione bilancio della Camera in sede di indagine conoscitiva sulla Relazione annuale sulla crescita 2012, il 13 marzo 2012, la Corte dei conti ha espresso alcune valutazioni in merito alle oggettive difficoltà di poter pervenire ad una stima di tali importi.
Secondo la Corte, infatti, se una ricostruzione dei debiti commerciali pregressi dello Stato può essere effettuata a partire dai bilanci pubblici, nell’ambito della categoria economica dei consumi intermedi della spesa corrente (stimati nell’ordine di circa 7 miliardi di euro nel 2010), valutazioni affidabili sulla stima dei debiti commerciali delle amministrazioni locali richiedono istruttorie molto più complesse, in quanto nella massa complessiva dei debiti degli enti locali, individuati nei residui passivi del bilancio, sono inglobate fattispecie molto diversificate, che richiedono prudenza nell’interpretazione. Oltre a ciò, la Corte mette in evidenza il problema delle passività nel settore sanitario, che costituiscono una parte rilevante dell’intera massa debitoria delle amministrazioni locali per l’acquisizione di servizi e forniture.
Da ultimo, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali dell'intero comparto delle pubbliche amministrazioni è stato contabilizzato da Eurostat, in una Nota, Note on stock of liabilities of trade credits and advances dell’ottobre 2012, con riferimento a tutti gli Stati membri dell’Unione europea: per l’Italia, lo stock di debiti commerciali è indicato, sebbene in via ancora provvisoria, in 62,5 miliardi di euro nel 2010, che salgono a 67,3 miliardi di euro nel 2011.
La crescente diffusione delle società partecipate dagli enti locali ha determinato, nel corso della XVI legislatura, numerosi interventi volti a porre vincoli alla possibilità di detenzione delle stesse società da parte degli enti interessati,nonché a ridurne il numero ed aumentarne la trasparenza finanziaria.
Le finalità perseguite dalle misure introdotte nella XVI legislatura sulle società a partecipazione locale sono state molteplici: l’esigenza di evitare che lo schema societario fosse utilizzato in via strumentale dagli enti locali per eludere i vincoli ed i controlli di finanza pubblica su di essi gravanti, nonché la necessità di evitare che la posizione della società , nel rapporto con l’ente, si risolvesse in un vantaggio competitivo rispetto agli altri soggetti operanti nel mercato. In tale quadro, rientrano pure le norme dettate in materia di affidamento di servizi pubblici locali e di servizi strumentali.
Inoltre, poiché l’equilibrio finanziario dell’ente locale passa anche per il controllo degli equilibri dei soggetti esterni ma ad esso funzionali, cui il medesimo ente partecipa e contribuisce, è stato esplicitamente introdotto nelle tipologie dei controlli interni degli enti locali il controllo sulle società partecipate, ed è stato altresì incluso nei principi dell'armonizzazione dei bilanci degli enti territoriali anche la necessità di un bilancio consolidato tra società partecipate ed ente di riferimento.
Come rilevato dalla Corte dei conti nell’ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, del maggio del 2012 , il crescente utilizzo da parte degli enti locali di organismi societari per la gestione di servizi e per l’esercizio di attività pubbliche ha determinato l’esigenza di individuare strumenti di controllo e di contenimento della spesa sostenuta di fatto da tali enti, in forza dei legami finanziari con le società partecipate.
Secondo i dati diffusi dalla Corte dei Conti, sono oltre 5.000 gli organismi partecipati (aziende, consorzi, fondazioni, istituzioni, società ) nei 7.200 enti locali censiti (ad eccezione di quelli relativi alle regioni a statuto speciale). Si tratta, in gran parte, di organismi costituiti in forme societarie, di cui quasi la metà operante nel settore delle local utilities. Oltre un terzo delle società rilevate ha chiuso in perdita uno degli esercizi compresi nel triennio 2008/2010. Nella grande maggioranza dei casi, le società hanno avuto l’affidamento diretto (per un valore della produzione di quasi 25 miliardi), indice che la gestione è solo formalmente attribuita ad un soggetto esterno, considerato il rapporto organico che esiste tra ente affidante e società in house. A tali soggetti è riferibile un indebitamento consistente (quasi 34 miliardi), in crescita nell’ultimo triennio di oltre l’11 per cento. Una connotazione non necessariamente negativa visto che nei servizi capital intensive (acqua, rifiuti, energia, gas) l’infrastruttura può rappresentare gran parte dei costi del servizio ma fa assumere maggior rilievo alla necessità di mantenere la società in equilibrio economico-finanziario in modo da assicurarne la sostenibilità .
Inoltre, sempre secondo quanto rilevato dalla Corte dei Conti, la mancata previsione di vincoli posti al debito delle società partecipate può aver favorito forme di abuso dello strumento societario per ricorrere a finanziamenti non consentiti alle amministrazioni di riferimento.
Alle società a partecipazione locale si applicano, oltre ai vincoli disposti in generale dal legislatore per le societa' partecipate da amministrazioni pubbliche, quali ad esempio gli obblighi di dismissione e di privatizzazione di società strumentali, anche ulteriori puntuali obblighi.
Il legislatore ha, in particolare, ritenuto di dover porre rimedio al fenomeno della forte diffusione dell’utilizzo, da parte degli enti locali, di organismi societari per la gestione di servizi e per l’esercizio di attività pubbliche, con l’adozione di specifici limiti e divieti alla costituzione e al mantenimento di società da parte dei comuni piccoli e medio piccoli, che sono a livello locale i maggiori detentori di partecipazioni azionarie.
Tra gli interventi adottati in tal senso, si ricorda, in primo luogo, quanto disposto dall’articolo 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010, più volte modificato e corretto nel corso della legislatura, da ultimo con l’articolo 16 del D.L. n. 138/2011. Ai sensi della predetta disciplina, ai comuni con meno di 30.000 abitanti è stato fatto divieto di costituire società . Questi sono stati obbligati, entro il 31 dicembre 2012, a mettere in liquidazione le società già costituite, ovvero a cederne le partecipazioni. Tenuto conto che oltre il 60 per cento delle società sono partecipate da enti sotto i 30.000 abitanti, si coglie il rilievo dell’obbligo di dismissione delle partecipazioni societarie, previsto con il provvedimento del 2010.
E’ stato attribuito al Prefetto il compito di accertare l’osservanza della norma, e assegnare agli enti inadempienti un termine per provvedere, decorso il quale intervienine in via sostitutiva il Governo.
L’obbligo di liquidazione non riguarda le società virtuose, e cioè quelle società che abbiano conseguito un bilancio in utile negli ultimi tre esercizi; che non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio; non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune abbia l'obbligo di procedere al ripiano delle perdite. Parimenti, non rientrano nel divieto e nell’obbligo di liquidazione le società costituite da più comuni, la cui popolazione complessiva supera i 30.000 abitanti e la cui partecipazione sia paritaria ovvero proporzionale al numero degli stessi.
Ai comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è stato consentito di detenere la partecipazione di una sola società , ed è stato imposto di mettere in liquidazione le altre entro il 31 dicembre 2011.
Fermi restando i descritti vincoli, la privatizzazione di società partecipate da parte degli enti locali è stata perseguita dal legislatore anche attraverso misure “incentivantiâ€.
Infatti, secondo la disciplina del patto di stabilità interno, il compimento di operazioni di dismissione di partecipazioni societarie costituisce parametro di virtuosità dell’ente, a decorrere dall’anno 2014 (articolo 20 del D.L. n. 98/2011).
Inoltre, è previsto un alleggerimento delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno per gli enti locali che hanno avviato nell’anno 2012 procedure di privatizzazione di società partecipate, con relativa riscossione conseguita entro il 28 febbraio 2013, i quali tuttavia non hanno raggiunto l’obiettivo finanziario del Patto di stabilità 2012 per la mancata riscossione dei relativi introiti nell’anno 2012 (legge n. 228/2012).
Ai comuni che cedono proprie partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica (diversi dal servizio idrico), è poi destinata una quota del Fondo infrastrutture - complessivamente non superiore a 250 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013 e 2014 - da destinarsi ad investimenti infrastrutturali nei territori dei medesimi comuni. La cessione di partecipazioni deve avvenire, rispettivamente, entro il termine del 31 dicembre 2012 e del 31 dicembre 2013, ai fini dell’accesso alla fruizione della somma. La quota assegnata a ciascun ente non può essere superiore ai proventi della dismissione effettuata e tali spese sono escluse dai vincoli del patto di stabilità (articolo 5, decreto legge n. 138/2011).
Infine, si ricorda che il D.L. n. 112/2008, all’articolo 18, ha introdotto specifici vincoli per le società non quotate a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara; che svolgano funzioni di interesse generale nè industriale né commerciale; che svolgano attività di supporto all’esercizio di funzioni amministrative di natura pubblicistica.
Per tali società è stato disposto l’assoggettamento ai vincoli del patto di stabilita' interno, ma il decreto ministeriale che avrebbe dovuto dettare le modalità attuative di tale assoggettamento non risulta ancora adottato.
Alle stesse società di cui sopra, inserite nel conto economico della P.A, si applicano le disposizioni del D.Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego che stabiliscono a carico della pubblica amministrazione divieti o limitazioni alle assunzioni di personale. Inoltre, queste società si adeguano alle disposizioni vigenti per le amministrazioni controllanti in materia di contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e per consulenze.
In parallelo a tale previsione, l’articolo 76 del D.L. n. 112/2008 e l’articolo 20 del D.L. n. 98/2011, ha qualificato le spese di personale sostenute dalle sopra menzionate società come spese di personale direttamente sostenute dall’ente locale proprietario. Ciò ai fini della verifica del raggiungimento del limite di spesa oltre il quale, per il medesimo ente, opera il divieto di procedere ad assunzioni.
Tutte le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, sono poi tenute a conformarsi, per il reclutamento del personale e il conferimento degli incarichi, ai principi previsti per il personale delle amministrazioni pubbliche contenuti nell’articolo 18 del D.Lgs. n. 165/2011 sopracitato.
Infine, si ricorda che nel corso della legislatura, con il menzionato D.L. n. 112/2008, si è anche intervenuti inasprendo i limiti retributivi per i componenti dei consigli di amministrazione delle società a società a totale partecipazione di comuni o province, contenuti nella legge finanziaria 2007.
Va rammentato che il livello di osservanza delle norme di contenimento da parte degli enti locali è stata oggetto di taluni rilievi della Corte dei conti, nel sopra menzionato Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2012.
In quella sede, la Corte ha osservato che “nell’esame dei conti degli enti locali è frequentemente rilevata la mancata attivazione delle procedure per addivenire alla dismissione delle società partecipate, alla cessazione delle gestioni anomale dei servizi pubblici locali, alla messa in liquidazione delle società strumentali o di servizi caratterizzate da gestioni antieconomicheâ€.
L'adozione di misure in tema di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali ha caratterizzato soprattutto la seconda parte della XVI legislatura che, nel periodo conclusivo, ha visto l'adozione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174. Questo provvedimento, allo scopo di assicurare una gestione amministrativa e contabile efficiente e trasparente, ha riguardato sia le regioni che gli enti locali, tutti chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica.
Il decreto-legge n. 174/2012 reca disposizioni volte a favorire la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali, nonché a riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali in difficoltà , nell’obiettivo di assicurare negli enti territoriali una gestione amministrativa e contabile efficiente e trasparente, in un quadro generale che vede le regioni e gli enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio. Il provvedimento reca inoltre alcune disposizioni concernenti la fiscalità locale, nonché in favore dei soggetti interessati dagli eventi sismici del maggio 2012.
Per quanto concerne le nuove regole in materia di finanza e funzionamento delle regioni, l'articolo 1 del D.L. n. 174/2012 reca disposizioni volte a rafforzare i poteri di controllo della Corte dei conti ed i sistemi di controllo interno, nonché misure di contenimento della spesa degli organi politici degli enti territoriali e di riduzione dell’apparato politico.
La linea ispiratrice è quella di aumentare in modo sostanziale il controllo sulla gestione finanziaria delle regioni attraverso l’introduzione dell’obiettivo della garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, oltre quella già prevista del rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica: si prevede pertanto un modello di controllo sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi, che comporta l’esame da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del complesso dei documenti di bilancio regionali sotto il profilo del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno, dell'osservanza dei vincoli costituzionali, della sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità , suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti. A tal fine i relativi rendiconti dovranno tener conto anche degli effetti finanziari derivanti da partecipazioni societarie nei soggetti che gestiscono servizi pubblici regionali (o servizi strumentali alla regione) nonché dei risultati della gestione degli enti del settore sanitario. La relativa procedura prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte potranno emettere una pronuncia di accertamento qualora riscontrino squilibri economico-finanziari o altre rilevanti irregolarità : entro i successivi 60 giorni le regioni interessate dovranno adottare provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio e, in caso di inerzia o di inidoneità di tali provvedimenti, alle regioni medesime è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria. Inoltre ogni dodici mesi il presidente della regione dovrà trasmettere alla Corte una relazione sulla regolarità della gestione e sul sistema dei controlli interni. E’ inoltre introdotto il giudizio di parificazione, da parte delle sezioni regionali di controllo, dei rendiconti regionali ed una relazione semestrale della Corte dei conti sulla tipologie delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri adottate per i provvedimenti approvati dalle regioni in ciascun semestre.
Il nuovo sistema di controllo si estende anche ai rendiconti dei gruppi consiliari del Consiglio regionale, ciascuno dei quali deve approvare un rendiconto di esercizio annuale (redatto secondo idonee modalità stabilite con DPCM), trasmesso al presidente del Consiglio regionale e da questi al presidente della regione che, entro i successivi sessanta giorni, lo invia alla Corte dei conti. In presenza di irregolarità , quest’ultima (entro 30 giorni, decorsi i quali si determina il silenzio-assenso) può richiederne le opportune modifiche ed integrazioni, da effettuarsi ad opera del gruppo consiliare interessato che, qualora non provveda (o anche qualora non abbia provveduto alla trasmissione stessa del rendiconto) decade dal diritto all’erogazione di risorse da parte del consiglio regionale, con contestuale obbligo di restituzione delle risorse nel frattempo ricevute e non rendicontate.
Ai fini della riduzione dei costi della politica, l’articolo 2 introduce una serie di misure che incidono sulle spese per gli organi regionali, tra le quali si segnalano: a) la conferma della riduzione, già disposta dal precedente decreto legge n.138 del 2011, del numero dei consiglieri ed assessori regionali; b) la riduzione dell’indennità di consiglieri ed assessori; c) il divieto di cumulo di indennità e emolumenti; d) la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari; e) l’introduzione di limiti ai vitalizi dei consiglieri e, comunque, l’esclusione dal vitalizio per coloro che hanno subito un condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione; e) la rideterminazione, per le legislature successive a quella corrente, delle spese per il personale dei gruppi consiliari, in relazione anche alla predetta riduzione del numero dei consiglieri; f) la riduzione dell’assegno di fine mandato per i consiglieri regionali, da determinare sulla base di quello previsto dalla regione “più virtuosa†da individuare secondo una specifica procedura. Tali misure devono essere attuate entro il 23 dicembre 2012, ovvero, se necessitano di modifiche statutarie, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. La mancata attuazione da parte delle regioni delle misure medesime comporta l’applicazione di sanzioni, consistenti nella mancata erogazione dell’80 per cento dei trasferimenti erariali alle regioni (al di fuori di quelli dovuti a titolo di finanziamento del trasporto pubblico locale e del servizio sanitario regionale) a decorrere dal 2013 e, con la medesima decorrenza, nella decurtazione della metà delle risorse trasferite per il trattamento economico dei componenti del Consiglio e della Giunta regionale. Inoltre, la mancata attuazione delle misure di risparmio può dar luogo allo scioglimento del Consiglio regionale
Viene poi novellata (articolo 1-bis) la disciplina sanzionatoria e premiale degli enti territoriali contenuta nel D.Lgs. n. 149/2011, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal medesimo decreto per le regioni e gli enti locali, prevedendo la trasmissione della stessa relazione anche alla Corte dei conti, estendendo anche alle autonomie speciali, in presenza di specifici presupposti, le verifiche di regolarità amministrativo-contabile previste nel medesimo decreto legislativo ed, infine, introducendo per gli enti locali la relazione di inizio mandato.
Il decreto reca poi numerose disposizioni concernenti gli enti locali, prevedendo l’obbligo di trasparenza dei redditi degli amministratori dei comuni con più di 15mila abitanti (il cui stato patrimoniale dovrà essere pubblicato annualmente, nonché all’inizio ed alla fine del mandato) e ridisegnando il sistema dei controlli interni degli enti locali: in proposito si dispone, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, in particolare sulle società partecipate per gli enti locali con popolazione superiore, in prima applicazione della norma, a 100mila abitanti, limite dimensionale che poi scende a 50mila abitanti nel 2014 ed a 15mila abitanti a decorrere dal 2015.
Viene inoltre potenziata la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che viene a ricomprendere, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione e la verifica del funzionamento del sistema di controllo interno di ciascun ente, affidandosi altresì al giudice contabile, nei confronti degli amministratori degli enti, un potere sanzionatorio per un importo che può variare da cinque a venti volte la retribuzione del soggetto interessato; inoltre la Corte dovrà esaminare i bilanci preventivi e consuntivi dell’ente locale, comprensivi delle risultanze delle partecipazioni in società controllate. Gli effetti del controllo potranno condurre ad una pronuncia di accertamento dalla quale deriva l’obbligo per l’ente di adottare provvedimenti correttivi che, se ritenuti inidonei dalla Corte, comportano la preclusione, per l’ente, dei programmi di spesa per i quali è emersa la non sostenibilità finanziaria. Specifiche norme sono poi volte a rafforzare le sanzioni per gli amministratori che abbiano cagionato il dissesto finanziario degli enti locali: si sopprime il limite temporale dei cinque anni precedenti il dissesto accertato dalla magistratura contabile; si inserisce l’espresso richiamo alle condotte omissive rilevanti ai fini delle cause ostative a ricoprire determinati incarichi ivi previste; si introduce una sanzione pecuniaria da irrogare nei confronti degli amministratori giudicati responsabili; misure sanzionatorie sono anche introdotte per i componenti del collegio dei revisori degli enti locali di cui la Corte abbia accertato le responsabilità .
Per gli enti che presentino squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto viene introdotta una nuova procedura per favorirne il riequilibrio finanziario pluriennale ed istituito al contempo (articoli 4 e 5 del D.L. n. 174/2012) il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con una dotazione di 30 milioni di euro per il 2012 (cui si aggiungono 498 milioni per spese vincolate), 90 milioni per il 2013, 190 milioni per il 2014 e 200 milioni per ciascun anno successivo fino al 2020; il Fondo è finalizzato alla concessione di anticipazioni – pari al massimo a 300 euro per abitante, fermo restando il limite di 20 euro per abitante nelle province e città metropolitane - agli enti locali in situazione di squilibrio finanziario. Al fine di garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso si prevede poi, a favore di tali enti, qualora sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto, la facoltà , da parte della commissione straordinaria per la gestione dell'ente, di richiedere, entro sei mesi dal suo insediamento, una anticipazione nel limite massimo di 200 euro per abitante, nei limiti di 20 milioni di euro annui a valere sulle dotazioni del fondo di rotazione sopradetto; vengono stanziati 20 milioni di euro destinati a favorire il ripristino dell'ordinata gestione di cassa del bilancio corrente dei comuni che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario, attraverso l’anticipazione di somme da parte del Ministero dell’interno da destinare ai pagamenti in sofferenza di tali enti. Si dispone infine, a carico del medesimo fondo, alle regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria (di fatto alla regione Campania) di chiedere una anticipazione di cassa, di importo non superiore a 50 milioni di euro nel 2012, per il pagamento delle spese correnti già impegnate, relative a spese di personale, alla produzione di servizi in economia e all'acquisizione di servizi e forniture.
Vengono inoltre rafforzati, all’articolo 6, gli strumenti utilizzabili per la funzione di analisi della spesa pubblica affidata al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa pubblica per acquisti di beni e servizi, istituito dall’articolo 2 del D.L. 52/2012 in materia di spending review, e si affida alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali. Con riguardo al patto di stabilita' interno, per evitare il taglio delle risorse per i comuni assoggettati nel 2012 al patto di stabilità previsto dall’articolo 16 del D.L. n. 95/2012, si modifica tale articolo, allo scopo di consentire a tali enti di procedere all’estinzione anticipata del proprio debito attraverso l’utilizzo delle suddette risorse - “tornate†nella disponibilità dei comuni medesimi - che vengono, a tal fine, escluse dai vincoli del patto di stabilità medesimo (articolo 8). Da segnalare poi, all’articolo 10, la soppressione della Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale stabilendosi, nel contempo, l’istituzione del Consiglio direttivo per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali presso il Ministero dell’interno. Con l’articolo 10-bis si autorizza la costituzione, da parte del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze entro il 28 febbraio 2013, di una apposita società per azioni, soggetta a certificazione di bilancio e sottoposta alla vigilanza degli stessi Ministeri, per la gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, al cui capitale sociale partecipa esclusivamente il comune medesimo.
Ulteriori norme (art. 9) concernono la fiscalità locale, con riguardo in particolare: alla previsione che il gettito dell’ imposta provinciale di trascrizione (IPT) sia destinato alla Provincia ove ha sede legale o residenza il soggetto avente causa o intestatario del veicolo, e non più alla Provincia presso il cui PRA siano state espletate le formalità di trascrizione dei veicoli; al posticipo al 31 ottobre 2012 del termine a disposizione dei comuni per l’approvazione o la modifica del regolamento e delle delibere in materia di aliquote e detrazione IMU ed alla proroga al 30 novembre 2012 dei termini per la presentazione della dichiarazione IMU relativa agli immobili posseduti al 1° gennaio 2012; alla proroga al 30 giugno 2013 del termine a partire dal quale cesseranno le attività di accertamento da parte di Equitalia e delle società partecipate; alla previsione che entro il mese di febbraio 2013 si provvederà alla verifica del gettito IMU 2012, con eventuale conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra Stato e comuni.
Sempre in tema di IMU si dispone che: - entro febbraio 2013 si provveda alla verifica del gettito IMU dell’anno 2012 e che, in base alla suddetta verifica, si provveda all’eventuale conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e i comuni; - il D.M. 19 novembre 2012, n. 200 costituisca la fonte recante le disposizioni di attuazione delle norme sull'esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali, come modificate dal decreto legge in esame; - agli immobili delle fondazioni bancarie non si applica l’esenzione IMU disposta dalla normativa vigente, in relazione allo svolgimento di determinate attività : di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali†sarà dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.
Un ultimo gruppo di disposizioni (articolo 11) sono dirette ad agevolare i comuni e i soggetti residenti nei territori interessati dagli eventi sismici del maggio 2012. Si prevede, in particolare, l’esclusione dei comuni interessati dagli eventi sismici dall’applicazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativo all’anno 2011, nonché la possibilità , per i soggetti residenti in determinati territori interessati dal sisma, di richiedere un’anticipazione sulle loro posizioni individuali maturate ai fondi pensione cui sono iscritti, per l’acquisto della prima casa, per ristrutturazione edilizia o per ulteriori esigenze a prescindere dal requisito degli anni di iscrizione al fondo pensione. Inoltre: a) si consente per i sostituti d’imposta operanti nelle aree colpite dagli eventi sismici in questione la regolarizzazione degli omessi adempimenti e versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro entro il 20 dicembre 2012, senza applicazione di interessi e sanzioni, attraverso la trattenuta sui dipendenti nei limiti del quinto dello stipendio; b) si proroga, per i medesimi soggetti, dal 30 novembre al 20 dicembre 2012 il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria; c) viene introdotta una speciale procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, della durata massima di due anni per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013. Il predetto finanziamento può essere richiesto, oltre che da tali soggetti, anche dagli esercenti attività commerciali o agricole, limitatamente ai danni subiti in relazione alle attività effettuate nell’esercizio di dette imprese, dai titolari di reddito di lavoro autonomo e, inoltre, dai titolari di reddito di lavoro dipendente proprietari di un immobile adibito ad abitazione principale. I soggetti finanziati dovranno restituire la sola quota capitale del finanziamento a partire dal 1° luglio 2013, secondo un piano di ammortamento, mentre le spese e gli interessi saranno accollati dallo Stato.
Sempre con riguardo ai territori in questione si prevede che: - i contratti stipulati dai privati beneficiari dei contributi per l’esecuzione di lavori o l’acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo sono esclusi dall’applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici; - sono escluse patto di stabilità interno per gli anni 2013 e 2014 le spese sostenute dai Comuni delle province interessate dal sisma finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione, qualora siano finanziate con risorse proprie dei comuni o provenienti da erogazioni liberali; la deroga è concessa per un importo massimo complessivo, per ciascun anno, di 10 milioni di euro..
Poiché le norme introdotte dall’articolo 11 recepiscono integralmente le disposizioni introdotte dal decreto-legge 16 novembre 2012, n. 194, recante norme in favore soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012, il cui iter di conversione conseguente non viene concluso, si dispone la salvezza degli atti e dei rapporti giuridici nel frattempo sorti sulla base del D.L. n.194 medesimo.