XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 87 di giovedì 14 dicembre 2006

[frontespizio]
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[indice cronologico]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI

La seduta comincia alle 9,35.

SERGIO D'ELIA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del regolamento, i deputati Colucci, Cordoni, Mura, Rigoni e Tremonti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati complessivamente in missione sono sessantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Gestione dei beni sequestrati dalle autorità giudiziarie - n. 2-00250)

PRESIDENTE. Il deputato Pellegrino ha facoltà di illustrare l'interpellanza Bonelli n. 2-00250 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 1), di cui è cofirmitario.

TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ogni anno la magistratura pone sotto sequestro conti correnti, beni mobili ed immobili frutto di attività illecite, accumulando così ingenti risorse che diventano proprietà disponibili dello Stato.
Grazie a questi sequestri un sistema giudiziario efficiente potrebbe far entrare nelle casse dello Stato ingenti somme di denaro, presumibilmente tali da coprire in larga parte i costi di gestione del sistema giudiziario stesso e forse anche di generare un avanzo netto.
La gestione di questi patrimoni, che, in certi casi, come quella degli immobili, comporta una certa manutenzione, è in molti casi problematica. Assegni e bonifici posti sotto sequestro vengono depositati in banca, il contante in posta su un libretto giudiziario intestato al procedimento. In pratica, però, si determina, dal momento del sequestro all'incasso dello Stato, un lasso di tempo burocratico assai rischioso. Un esempio è costituito dai 621 milioni di lire sequestrati dalla magistratura italiana il 6 ottobre del 1993 da un conto svizzero e trasferiti sul conto corrente della Banca nazionale del lavoro del tribunale di Milano. Quei soldi, oggi equivalenti a 390 mila euro, si trovano ancora sul conto della banca.
Secondo Paolo Ielo, pubblico ministero nel processo di primo grado, ciò è dovuto a molteplici intoppi burocratici e, in particolare, al troppo tempo che passa tra il momento in cui si celebra un processo, il momento in cui si giunge ad una sentenza di condanna di primo grado e il momento in cui la sentenza di condanna diventa definitiva.
Secondo la testimonianza della puntata di Report del 5 novembre 2006, soltantoPag. 2pochi giorni prima della messa in onda della trasmissione gli organi competenti si sono attivati per acquisire una sentenza di confisca del 2000 di immobili per ingente valore. Dentro fascicoli depositati in archivio, sono stati rinvenuti tre libretti che contenevano complessivamente circa 23 mila euro, soldi che lo Stato avrebbe potuto incassare dieci anni fa e che, invece, per un errore di cancelleria, sono stati archiviati. Quei soldi ovviamente sono rimasti nella disponibilità di Poste italiane a lungo, fino a quando qualcuno se n'è accorto ed ha provveduto a riscuotere.
La puntata della trasmissione Report citata documenta, altresì, il caso tipo di una mazzetta di 10 mila euro. Il magistrato ha disposto che il denaro venga depositato sul libretto di deposito giudiziario infruttifero presso le Poste. La tangente viene depositata nell'ufficio postale che si trova all'interno del palazzo di giustizia di Milano. In caso di condanna definitiva, i soldi congelati diventano dello Stato, che avrebbe tutto l'interesse ad intascare denaro il più presto possibile piuttosto che lasciarli alle Poste; invece, nel caso documentato, anche se solo pochi metri separano l'ufficio postale dall'ufficio depositi giudiziari, questa somma resta a lungo alle Poste.
Vincenzo De Peppo, capo ufficio depositi giudiziari di Milano, nel corso della trasmissione, attribuisce questi ritardi ai grandi arretrati: i depositi giudiziari più vecchi potrebbero risalire a più di dieci anni fa. Si tratta, secondo il De Peppo, di milioni di euro, tanti milioni: se dovessimo sommare tutti i tribunali - concordano il De Peppo e la conduttrice Sabrina Giannini - si arriverebbe a una manovrina finanziaria, perché sicuramente nei grandi tribunali la giacenza di arretrato è analoga a quella di Milano.
I libretti giudiziari sul territorio nazionale sono circa 680 mila e hanno una giacenza media di circa 2.500 euro per libretto giudiziario; quindi, il totale dei libretti sul territorio è di un miliardo e 700 milioni di euro.
Gli uffici depositi giudiziari non sono collegati in rete con le Poste, il che rende lente, costose e macchinose molteplici operazioni, inerenti, ad esempio, al computo degli interessi maturati, necessarie a chiudere le pratiche di riscossione depositi.
Gli uffici depositi giudiziari hanno scarsissime dotazioni di personale. Quello di Milano, ad esempio, attualmente ha tre impiegati; fino a poco tempo fa c'era solo l'attuale capo ufficio, poi affiancato ad un altro operatore in part time, senza la possibilità finanziaria di ricorrere significativamente a straordinari.
Un ufficio analogo a quello dei depositi giudiziari in un'azienda privata sarebbe il motore economico e, quindi, sarebbe gestito con efficienza. In questo caso, invece, l'amministrazione pubblica sembra disinteressata ad incassare denaro già pronto per essere riscosso. Ovviamente, la Cassa depositi e prestiti, per il 30 per cento in mano alle banche private, quei soldi li usa per le proprie operazioni. Paga solamente l'1 per cento di interessi al Ministero dell'economia e delle finanze che quando ha bisogno di soldi, ovviamente, li chiede alla Cassa depositi e prestiti a tassi decisamente più elevati.
Come è noto, la giustizia italiana è stata sacrificata dal punto di vista delle spese e della gestione proprio per mancanza di fondi, consulenti, traduttori, gente che vive con queste attività. I viceprocuratori onorari hanno spesso faticato a ricevere le dovute retribuzioni. Mancano pure i soldi per le fotocopiatrici, per i toner, per l'acquisto di codici, per la carta, per le spese di benzina e manutenzione e per altro. Non avendo disponibilità monetarie il Ministero della giustizia ha contratto numerosi debiti, circa 200 milioni di euro.
Non essendo le procure collegate ad una banca dati centrale, l'ammontare del denaro congelato e depositato sui conti della Banca nazionale del lavoro o delle Poste non è noto. Verosimilmente, si tratta di diversi milioni, forse miliardi di euro.
Da tempo, dalla magistratura giunge la richiesta di rivedere la normativa in materia e si propone di istituire un'agenzia o un fondo unico che gestisca queste ricchezze.Pag. 3
Anche le automobili sotto sequestro in Italia sono milioni: si tratta di auto che restano spesso nei depositi con ingenti costi per la collettività.
Recente è la tragedia che ha visto come protagonista il signor Rocco Agostino, titolare e custode di questo deposito giudiziario: vantava crediti inevasi per 200 mila euro con le autorità giudiziarie. Lunedì 23 ottobre 2006 si è tolto la vita con un colpo di pistola alla tempia di fronte al palazzo di giustizia di Torino.
Chiediamo al Governo se non si reputi necessario rivedere l'assetto normativo relativo alla gestione dei beni mobili ed immobili, registrati e non, sequestrati dalle autorità giudiziarie, per permettere un migliore funzionamento della burocrazia giudiziaria e, più in generale, per recuperare risorse che appartengono allo Stato.
Chiediamo, altresì, quali provvedimenti si intendano assumere a questo scopo; se nella futura gestione di questo patrimonio non si ritenga di dover prioritariamente onorare i debiti maturati dal Ministero della giustizia e quali provvedimenti si intendano assumere nell'immediato a tal fine.
Chiediamo, infine, se non si reputi improrogabile una quantificazione puntuale degli importi dei depositi giudiziari e se non si stimi utile selezionare i depositi giacenti di importo più alto stabilendo, così, una priorità del lavoro a venire; se non si reputi necessario rinforzare gli uffici depositi giudiziari e creare una banca dati centralizzata delle stesse collegata alle Poste italiane.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, i problemi afferenti le somme depositate in libretti sono stati ereditati dal Ministero in assenza di qualsiasi riscontro sulla stessa entità delle somme depositate ed in assenza totale di interfaccia con le Poste o con le banche che consentisse di verificare la situazione dei depositi. Nel luglio del corrente anno, quando il Governo è riuscito a fare una revisione totale della posizione economica, i debiti riscontrati ammontavano a 256 milioni di euro e le disponibilità di cassa a circa euro 400 (non 400 mila, ma 400!).
Questa situazione, peraltro, si somma alla grave situazione determinata dalla carenza di personale: il personale è carente nella misura del 12 per cento, con alcune punte che arrivano sino al 30 per cento.
È stato disposto dal Ministero un accertamento a campione sulla situazione dei depositi giudiziari, per giungere ad una verifica complessiva dell'entità degli stessi giacimenti presso le poste e le banche e ad una stima, quindi, delle risorse necessarie per gestire l'introito. È allo studio attualmente presso il Ministero un intervento normativo volto a migliorare la gestione e la destinazione dei beni confiscati e sequestrati nel corso dei procedimenti penali. In seno alla commissione, istituita al Ministero, per il riordino della normativa sulla legislazione antimafia per pervenire al Testo unico della legislazione, si sta affrontando anche il tema della gestione dei beni confiscati e della possibile individuazione di un'agenzia nazionale per la gestione effettiva di tali beni. È inoltre in fase di elaborazione un programma informatico, che sostituisce il libretto di deposito giudiziario, modello 1, consentendo un monitoraggio costante delle somme sequestrate.
Per quanto riguarda, poi, la custodia dei veicoli sequestrati, problema che aggrava notevolmente i bilanci, è da evidenziarsi che il Ministero si fece promotore delle disposizioni inserite nella legge finanziaria del 2005, al fine di evitare un indebito prolungamento della custodia giudiziaria, prevedendo un sistema di pagamento forfettario per la liquidazione dei compensi, anche derogando alle tariffe. Con decreto ministeriale del 26 settembre 2005 sono state disciplinate le modalità per l'alienazione, anche finalizzata alla rottamazione dei veicoli in giacenza nei depositi giudiziari da moltissimi anni. Con una circolare del 15 marzo 2006 il dipartimentoPag. 4per gli affari di giustizia ha fornito chiarimenti per dare un'applicazione uniforme della normativa in tutti gli uffici giudiziari, con riferimento alla gestione dei veicoli giacenti nei depositi. Pare che questa circolare abbia raggiunto alcuni risultati e che alcuni problemi siano stati risolti.
Il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, noto come decreto Bersani, ha previsto un nuovo sistema di pagamento delle spese di giustizia, secondo le ordinarie procedure stabilite dalla vigente normativa di contabilità generale dello Stato, vietando quindi il ricorso all'anticipazione da parte degli uffici postali, salvo alcune eccezioni. Tale nuova normativa ha comportato delle iniziali difficoltà. A tal fine, sono state emesse dal Ministero diverse circolari illustrative e dispositive, in data 12 luglio, 28 luglio, 19 settembre, 5 ottobre, 30 ottobre 2006.
Il Ministero ha sollecitato tutti gli uffici giudiziari a far fronte con il massimo sforzo all'immediata corresponsione di tutte le spese di giustizia, con le prescritte modalità, ed ha invitato i funzionari delegati a richiedere le integrazioni di fondo necessarie. In tale contesto, il Ministero è riuscito a recuperare una dotazione straordinaria per coprire le spese fino a fine anno, di circa 5 milioni di euro. Queste ultime integrazioni dei fondi sono state già disposte a favore delle corti d'appello che ne abbiano fatto richiesta. Il Ministero dell'economia, per parte sua, ha comunicato che all'Agenzia del demanio, titolare della gestione dei beni confiscati, sarebbero (anzi, sono) state esaurite le destinazioni, nella misura del 75 per cento dei beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, attraverso l'acquisizione al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile, oppure con trasferimento ai comuni nel cui territorio insistono per finalità istituzionali e sociali.
Il comune può poi assegnarli a comunità, enti od organizzazioni di volontariato.
Per quanto riguarda le aziende confiscate, i criteri adottati sono nel senso che, se sussistono fondate prospettive di continuazione e di ripresa dell'attività produttiva, vengono mantenute al patrimonio dello Stato, per essere poi affidate, a titolo oneroso, ad imprese pubbliche o private o, gratuitamente, a cooperative di dipendenti dell'impresa stessa.
Per quanto riguarda il settore dei beni mobili registrati, tutta la materia è stata disciplinata dal decreto-legge n. 269 del 2003, che, in effetti, ha semplificato la gestione dei veicoli, riducendo i costi, specie quelli di custodia, e prevedendo nel procedimento la figura del custode-acquirente, da individuare per ogni provincia con procedura di evidenza pubblica, e le cui attività verranno avviate una volta definite le propedeutiche attività di aggiudicazione.
Il numero dei veicoli da gestire, per quanto comunica l'Agenzia del demanio, è enorme e vi sono delle procedure eccezionali previste dalla legge n. 326 del 2003 per la rottamazione straordinaria e per la rottamazione di più remota giacenza, attraverso anche il lavoro di commissioni miste provinciali, costituite dall'Agenzia del demanio e dalla prefettura, impostando una procedura transitoria attraverso la stipula di convenzioni-tipo tra l'Agenzia e l'operatore a livello provinciale.
Questa è la radiografia, è la fotografia della situazione. L'interpellanza chiedeva, ovviamente, come intendeva muoversi il Ministero, e le indicazioni che ho fornito, sia pure genericamente, sono nel senso che tutta la materia va rivista, considerando che, al di là dei depositi giudiziari denunziati e non riscossi, esiste anche il problema del recupero delle spese di giustizia.
Abbiamo potuto verificare, infatti, che, nel 2005, su 700 milioni di euro di spese di giustizia, lo Stato è riuscito a recuperarne solo 70 milioni, ossia il 10 per cento. Il giorno in cui riusciremo ad affrontare e a risolvere questo problema, potremmo avere risolto molti dei nostri problemi relativi all'organizzazione giudiziaria.

PRESIDENTE. Il deputato Pellegrino ha facoltà di replicare.

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TOMMASO PELLEGRINO. Signor Presidente, sicuramente sono soddisfatto della risposta, perché c'è una presa di conoscenza di questo problema.
Mi fa piacere proprio partire dall'ultima affermazione, ossia che, effettivamente, in relazione al recupero delle spese giudiziarie, visto che oggi siamo solo al 10 per cento, intervenendo in modo efficace sulla problematica dei beni confiscati, potremmo risolvere gran parte dei nostri problemi legati anche alla macchina organizzativa della giustizia.
Il dato più importante è che sia previsto dal Ministero non solo un intervento specifico, relativo al riordino del testo unico sulla mafia (che anche in Commissione bicamerale antimafia vogliamo affrontare e portare avanti) ma anche che, nell'ambito di questa discussione, la Commissione si possa occupare, in modo specifico, della problematica relativa ai beni confiscati.
Mi fa piacere aver appreso anche che sia previsto un intervento per quanto concerne il sistema informatico, che ritengo indispensabile, se vogliamo realmente augurarci una riorganizzazione di tutta la procedura legata ai beni confiscati. Lo stesso vale per la custodia dei veicoli, che costituisce un altro problema che ho posto nell'interpellanza.
Il dato di partenza è sicuramente quello della completa inadeguatezza della situazione normativa esistente. Quindi, è evidente e ovvio che dobbiamo intervenire proprio dal punto di vista legislativo per definire una normativa che consenta uno snellimento delle procedure burocratiche.
Il vero grande problema dei beni confiscati, come sappiamo, è legato soprattutto alla tempistica e ad un meccanismo burocratico enorme, che non ci consente di valutare concretamente lo stato patrimoniale dei beni confiscati.
Lei faceva riferimento anche al discorso delle aziende.
Mi preoccupa il fatto che soltanto il 34 per cento delle aziende confiscate abbia concluso l'iter di assegnazione: ciò significa che quasi il 70 per cento delle stesse non sono affatto riutilizzate. Quanto si è verificato a Napoli, proprio in questi giorni, ove è stato riscontrato che le case confiscate dalla giustizia restano ancora in mano ai camorristi, è allarmante e rende consapevoli dell'urgenza di dover intervenire. Non è possibile, infatti, che stati patrimoniali, che sono stati confiscati alla camorra, continuino ad essere utilizzati dalla stessa.
Devo rilevare che, ormai, in quasi tutti i comuni, è un'avventura ricostruire lo stato aggiornato del bene, e quindi concordo con quanto ha osservato il sottosegretario in relazione all'esigenza di rivedere il sistema informatico, creando anche un sistema di collegamento con le poste, valutando anche l'opportunità, nell'ambito della discussione normativa, di istituire un'agenzia ad hoc, che si possa occupare, in modo specifico, della gestione dei beni confiscati. È evidente, infatti, che il demanio non riesce ad assolvere questo ruolo, intervenendo concretamente nella redistribuzione, anche ai fini sociali, del bene stesso.
Mi ritengo soddisfatto per quanto il sottosegretario ha espresso in relazione alle risorse finanziarie da destinare al recupero funzionale dei beni confiscati. Molto spesso e per vari anni, i beni confiscati sono in uno stato di completo abbandono, addirittura alcuni sono completamente distrutti e, a stento, se ne conosce l'esistenza; tutto questo, chiaramente, incide nel loro riutilizzo ai fini sociali.
Un altro dato preoccupante - che non attribuisco alle Forze di polizia, che anzi dobbiamo ringraziare per il lavoro che compiono con dedizione - è che la situazione di immobilità dei beni confiscati, paradossalmente, crea una diminuzione degli stessi. Si passa dalle mille confische effettuate nel 2000-2001 alle 161 registrate nell'ottobre del 2005. La riduzione progressiva negli anni è davvero significativa e, a mio avviso, in parte, ritengo che sia dovuta alle difficoltà burocratiche.
Nell'intervenire sulla normativa esistente, sono convinto che si va a dare un supporto ulteriore alle nostre Forze di polizia al fine di procedere, con maggiorePag. 6rigore, alla confisca dei beni, oggi in mano alla criminalità. Mi auguro naturalmente che i tanti beni confiscati possano effettivamente essere utilizzati da un punto di vista sociale. Oggi, il tessuto sociale, soprattutto in determinati territori, presenta grandi difficoltà e risulta indispensabile investire di più in questo settore. Come giustamente ha detto il sottosegretario, riutilizzando le quantità ingenti dei beni confiscati, in termini anche di valutazione prettamente economica, riusciamo sicuramente a fornire al nostro paese un lavoro efficiente, proprio da un punto di vista della situazione sociale che esso presenta nel territorio.

(Misure a favore dei circuiti italiani dedicati allo sport automobilistico - n. 2-00260)

PRESIDENTE. Il deputato Grimoldi ha facoltà di illustrare l'interpellanza Maroni n. 2-00260 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 2), di cui è cofirmatario.

PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, il circuito nazionale di Monza, l'autodromo nazionale di Monza, in funzione oramai da un secolo, è motivo di vanto per il nostro paese: è quello che ci rappresenta nella Formula 1 e, anche attraverso la cornice del parco di Monza (il parco cintato più grande d'Europa), dà lustro, in termini di immagine, a tutto il paese.
Con la sua fama e la sua storia, l'autodromo in parola è sempre riuscito, a dispetto delle nuove normative e dell'affacciarsi di paesi emergenti, con i loro circuiti nazionali, a conservare il gran premio di Formula 1. Ciò nonostante, esso non riceve alcun finanziamento dal 1956 (comunque, anche nel 1956, non si trattò di un finanziamento diretto ma, semplicemente, del pagamento degli interessi sui debiti contratti per investimenti dall'autodromo stesso). Al contrario, nella passata legislatura, l'autodromo di Imola ha ottenuto un finanziamento di 10 milioni di euro.
Ebbene, mentre i paesi emergenti, come Cina, India e Corea, investono sui propri circuiti nazionali perché questi li rappresentano nelle gare di Formula 1, che costituiscono, inevitabilmente, la punta di diamante dell'attività degli autodromi, il nostro paese non lo fa più dal 1956.
In un'intervista rilasciata ad una rivista del settore, il sindaco di Imola ha affermato che sono in corso trattative per ottenere ulteriori finanziamenti. Insomma, non soltanto l'autodromo di Monza non riceve più sovvenzioni ma, nel contempo, vede finanziare altri circuiti. Noi non siamo affatto contrari, ma vorremmo sottolineare che sarebbe prioritario finanziare il circuito di Monza, che rappresenta, nella Formula 1, tutto il nostro paese. Peraltro, il finanziamento concesso, nella scorsa legislatura, all'autodromo di Imola non era esplicitato, ma allocato sotto una voce di bilancio riguardante la Protezione civile di Bologna (quindi, era difficile individuarlo all'interno dei capitoli di spesa).
Tra l'altro, nonostante si gestisca con le proprie forze, l'autodromo di Monza si è fatto promotore di corsi universitari e di investimenti e ricerche sulla tutela dell'ambiente e sulle energie alternative. Anche per questo è fondamentale valorizzarlo.
L'autodromo di Monza vanta un altro grandissimo merito. Con l'affacciarsi sulla scena della Formula 1 dei circuiti dei paesi emergenti, il numero dei Gran premi è stato ridotto e, paradossalmente, come si accenna nell'interpellanza, il circuito di Imola è stato espulso, per così dire, dalla Formula 1, nonostante abbia ricevuto finanziamenti pubblici (com'è noto, da quest'anno, non si terrà più il Gran premio di San Marino). Viceversa, il circuito di Monza, che non riceve più finanziamenti dal 1956, è riuscito a garantire i parametri necessari per lo svolgimento del Gran premio d'Italia.
Noi vorremmo sapere se è vero che sono stati predisposti degli appositi capitoli di spesa da destinare al circuito di Imola. Se ciò risultasse vero, il circuito di Monza si verrebbe a trovare nella situazionePag. 7non solo di non prendere un soldo, ma anche di dover sottostare alla concorrenza sleale portata da altri circuiti nazionali.
Vorremmo capire, inoltre, che cosa si intende fare per valorizzare il Gran premio d'Italia di Monza, che è di fondamentale importanza, per dare - come è avvenuto fino ad oggi - un'immagine positiva del nostro paese, tale da richiamare turisti e visitatori i quali apportano risorse economiche importanti per tutto il sistema paese.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, si fa presente che per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza dell'autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola l'articolo 2, comma 4, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3487 del 2005, così come modificato dall'articolo 13 dell'ordinanza n. 3520 del 2 maggio 2006 ed integrato dall'articolo 7 dell'ordinanza n. 3540 del 4 agosto 2006, prevede l'autorizzazione per la regione Emilia-Romagna di contrarre mutui quindicennali per un importo complessivo annuo di euro 894 mila che presumibilmente svilupperanno in quindici anni un volume di risorse pari a dieci milioni di euro. In particolare, le predette risorse sono destinate alle vie per l'accesso e di deflusso in caso di incidente e in caso di calamità naturali in occasione di eventi sportivi, nonché per l'adeguamento sismico delle strutture realizzate prima degli anni Ottanta che ospitano i box e gli uffici di direzione. Le predette somme confluiranno sulla contabilità speciale intestata al sindaco di Imola, commissario delegato, che, per la realizzazione degli interventi, si avvale del direttore del servizio integrato infrastrutture, in qualità di soggetto attuatore. Per completezza di informazione, si rappresenta che lo stanziamento è stato autorizzato dalla delibera CIPE del 29 marzo 2006, n. 75, a valere sulle risorse residue ancora disponibili dell'articolo 13 della legge 1o agosto 2002, n. 166.
Relativamente al circuito di Monza, si fa presente che in considerazione della rilevanza di tale struttura, che rappresenta sicuramente un punto di riferimento indiscutibile dello sport automobilistico mondiale, è intenzione del Governo di verificare la possibilità di ottenere, nel quadro della situazione finanziaria del paese, adeguate risorse idonee a rilanciare il suddetto circuito sia per l'ammodernamento dello stesso sia per la sua messa in sicurezza.

PRESIDENTE. Il deputato Grimoldi ha facoltà di replicare.

PAOLO GRIMOLDI. Signor Presidente, sono parzialmente soddisfatto dalla risposta fornita dal rappresentante del Governo.
È del tutto evidente che da parte del Governo vi sia la volontà di reperire risorse da destinare alla valorizzazione del Gran premio d'Italia di Formula 1 che si corre sul circuito di Monza. Su ciò tutti siamo d'accordo, il problema, però, è che dal 1956 per tale circuito non arriva un soldo per l'effettuazione di migliorie e i fondi utilizzati a questo scopo sono stati soli quelli che la SIAS, la società di gestione dell'autodromo, reperisce organizzando, oltre al Gran premio, una miriade di piccole attività di intrattenimento relativamente ad eventi che riguardano Monza e le zone limitrofe, che richiamano turisti e visitatori e consentono di ottenere un minimo di introiti economici. Al di là di queste risorse, lo ripeto, che la società di gestione dell'autodromo riesce a reperire autonomamente, non è mai arrivato un soldo! Nonostante ciò, Monza è riuscita a continuare ad ospitare il Gran premio di Formula 1.
Inoltre, ciò che non mi è ben chiaro è se, a prescindere da quanto era stato stipulato nella scorsa legge finanziaria, all'interno della legge finanziaria per il 2007 (fermo restando che forse neanche la maggioranza ha una visione obiettiva, completa di ogni singolo comma dellaPag. 8stessa dopo la presentazione di ieri al Senato del maxiemendamento - quasi 1400 parti - che non tutti avranno avuto il tempo di capire durante la nottata trascorsa) sia o meno previsto un ulteriore finanziamento per il circuito di Imola, perché comunque tali fondi non sono facilmente individuabili; né è ben chiaro (in questo caso, però, la colpa non è esclusivamente vostra, ma anche della passata legge finanziaria) il perché tali soldi siano stati stanziati ma sotto voci di capitolo in parte celate: insomma, non era evidente il finanziamento all'autodromo di Imola, rinvenibile solo in un secondo momento. Ciò non dava la possibilità di individuare tale stanziamento di fondi all'interno del bilancio della finanziaria.
Infine, un ultimo aspetto: visti i continui investimenti di paesi come la Cina, l'India, la Corea - i tre paesi più importanti, al momento - e l'affacciarsi, ben presto, di molte altre realtà che cercheranno di investire sui propri circuiti nazionali, per avere un ritorno in termini di immagine, turismo, visitatori e quant'altro, ribadisco e sottolineo l'importanza per il nostro paese di non restare indietro. Abbiamo una grande risorsa nell'autodromo di Monza perché, a differenza di altri autodromi, lì esiste una condizione specifica e peculiare della nostra realtà: il più grande parco cintato intorno all'autodromo. Si tratta di un dettaglio non da poco, che lo rende unico a livello mondiale: non possiamo quindi permetterci di non finanziarlo, di non supportarlo, perché attraverso l'autodromo di Monza si può dare lustro a tutto il sistema paese grazie al Gran premio d'Italia.

(Vicende giudiziarie del signor Abou Elkassim Britel - n. 2-00259)

PRESIDENTE. L'onorevole Locatelli ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00259 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).

EZIO LOCATELLI. Signor Presidente, il caso che sottoponiamo all'attenzione del Governo è molto grave e per esso ci aspettiamo risposte molto chiare nonché l'adozione di alcune iniziative in tempi celeri.
Il caso in questione riguarda il signor Abou Elkassim Britel, cittadino italiano, residente a Bergamo, vittima di quella pratica aberrante che va sotto il nome di rendition straordinaria, una pratica perseguita dalla Cia con la complicità attiva di servizi di intelligence di altri paesi in base alla quale qualsiasi cittadino, semplicemente sospettato di terrorismo, può essere rapito e arrestato in qualsiasi momento, al di fuori di qualsiasi pratica giudiziale per poi essere tradotto in prigioni segrete e lì essere interrogato, anche mediante ricorso alla tortura: questo è ciò che è capitato al signor Britel in questi anni.
Tutto comincia nel 2001 quando, nei confronti di questo cittadino, così come nei confronti di altre persone, viene aperta un'indagine, senza - lo sottolineo - che ad essa corrisponda alcuna misura cautelare, circa la sua presunta appartenenza all'organizzazione terroristica Al Qaeda.
Ora, a distanza di cinque anni, sappiamo che quell'ipotesi era destituita di qualsiasi fondamento, stante il fatto che la magistratura, proprio nelle settimane scorse, ha deciso di archiviare il caso, con ciò attestando la completa estraneità a qualsiasi attività eversiva degli indagati.
Questa attestazione arriva dopo cinque anni interminabili, in cui è successo di tutto. Sono stati anni che hanno stravolto e rovinato la vita di Britel, bollata e perseguita come quella di un pericoloso soggetto eversivo. Tutta questa vicenda comincia nel marzo del 2002, quando Britel viene fermato in Pakistan, dove si trovava per ragioni di lavoro, con regolare passaporto italiano e regolare visto. Lì viene sequestrato, picchiato e torturato dai servizi pachistani e statunitensi, probabilmente fermi ai primi titoli allarmistici di alcuni organi di stampa italiani e alle prime illazioni dei servizi di intelligence, rivelatesi, alla prova dei fatti, infondati.
Dopo due mesi di questo inferno, Britel viene brutalmente tradotto in Marocco, con un volo organizzato dalla CIA. LaPag. 9destinazione di tale viaggio è una prigione che non esiste sulla carta (si tratta del carcere di Temara), dove Britel rimarrà per altri otto mesi, all'insaputa dei suoi familiari, sarà lasciato in balia di sé stesso, verrà privato di qualsiasi diritto e sarà sottoposto a torture e vessazioni di ogni genere.
Dopo questo periodo, Britel, che versa in un grave stato di debilitazione, viene rilasciato senza che sia formulata alcuna accusa formale nei suoi confronti. Il suo rilascio avviene, tuttavia, senza la riconsegna dei documenti.
Britel vuole legittimamente rientrare nel suo paese, l'Italia; tuttavia, stando alle denunce presentate dalla moglie e dal suo avvocato, la blanda assistenza delle nostre autorità consolari, che rifiutano di accompagnare lui e la moglie in aeroporto, per garantirne la partenza, provoca un nuovo arresto.
Britel si fa altri quattro mesi di prigionia segreta, per poi ricomparire nella prigione di Salé, con l'accusa di associazione sovversiva e svolgimento di riunioni non autorizzate, peraltro senza che gli venga contestato alcun fatto specifico. Ne segue un processo celebrato in mezz'ora - sottolineo: in mezz'ora! -, che si conclude con una condanna a quindici anni, ridotti successivamente a nove in sede di appello, che Britel sta attualmente scontando.
Vorrei evidenziare che, anche in tale frangente, l'assistenza dell'ambasciata italiana lascia a desiderare, malgrado le sollecitazioni della moglie e dell'avvocato, le quali denunciano le gravissime violazioni dei diritti di difesa e delle regole del giusto processo, nonché l'utilizzo di prove estorte sotto tortura ed il fatto che non siano mai state depositate le relazioni dei servizi di intelligence.
Dovremmo aggiungere ancora tantissimi elementi: desidero sottolineare, in particolare, che tutto ciò è avvenuto - e riteniamo si tratti di un fatto gravissimo - interagendo con i nostri servizi di intelligence e di sicurezza e, comunque, in presenza di una colpevole disattenzione del precedente Governo italiano.
Desidero tuttavia concludere l'illustrazione dell'interpellanza di cui sono primo firmatario, signor Presidente, stante i tempi ristretti a disposizione. Di tale vicenda, grazie all'iniziativa della moglie di Britel e dell'avvocata Francesca Longhi, si è occupata la Commissione del Parlamento europeo appositamente costituita in merito al trasporto ed alla detenzione illegale di prigionieri.
Nella sua bozza di rapporto, tale Commissione - cito testualmente - condanna la rendition straordinaria del cittadino italiano Abou Elkassim Britel e sollecita, altresì, il Governo italiano a fare passi concreti per ottenere la liberazione immediata di Abou Elkassim Britel.
Si tratta di quanto chiediamo anche noi. Da parte nostra, infatti, esigiamo che si compiano passi concreti, anche attraverso la proposizione di una domanda di grazia al sovrano del Marocco, affinché il cittadino Britel venga liberato e possa rientrare nel suo paese; insieme ciò, inoltre, chiediamo che si accertino le responsabilità connesse a questi fatti gravissimi.
Ritengo, in conclusione, che il nostro paese abbia un grande debito nei confronti di questo suo cittadino, al quale vanno restituiti libertà, dignità, salute ed affetti familiari, nonché la possibilità di ricostituirsi un'esistenza minimamente dignitosa.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti, ha facoltà di rispondere.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, la situazione descritta nell'interpellanza in oggetto desta sicuramente grave allarme e grande interesse, trattandosi, oltretutto, di un cittadino italiano (anche se in possesso di doppia cittadinanza).
Segnalo innanzitutto che, da informazioni assunte dagli uffici competenti, il caso del signor Britel è seguito con attenzione sia dal Ministero degli affari esteri, sia dalla nostra ambasciata a Rabat. Sin dall'inizio della detenzione, infatti, la rappresentanza a Rabat della nostra ambasciata ha fornito al cittadino italiano inPag. 10questione l'assistenza possibile, attraverso visite consolari ed interventi volti ad ottenere un miglioramento delle condizioni detentive.
A questa attività consolare di assistenza in carcere si è affiancata l'attività dell'Ambasciata di Rabat, che è intervenuta presso le autorità locali al fine di ricevere chiarimenti circa le accuse di costituzione di banda armata finalizzata al compimento di atti terroristici che gli vengono mosse nell'ambito di quel processo che si sarebbe concluso in circa 30 minuti.
La nostra Ambasciata, oggi, è altresì impegnata per appoggiare la richiesta di grazia presentata dai legali del nostro connazionale. E un ulteriore appoggio verrà assicurato con il massimo impegno in occasione della prossima concessione del provvedimento di clemenza, prevista per il prossimo 31 dicembre. Speriamo che per quella data questo caso così drammatico ed allarmante possa ricevere una prima risposta idonea ad alleggerire la sofferenza del cittadino e della sua famiglia.

PRESIDENTE. Il deputato Locatelli ha facoltà di replicare.

EZIO LOCATELLI. Signor Presidente, sono soddisfatto della risposta e dell'impegno che, in questa sede, viene assunto formalmente da parte del nostro Governo e della nostra Ambasciata in Marocco, compreso l'inoltro formale della domanda di grazia nei confronti del cittadino Britel.
Ritengo che, rispetto a questi passaggi formali, occorra fare in fretta. Infatti, come hanno più volte sottolineato i familiari ed il legale, dopo anni di carcerazione illegale, di indicibili sofferenze e di profonde ingiustizie - visto che la magistratura italiana ha dichiarato la completa estraneità del cittadino a qualsiasi attività eversiva -, non vorremmo che la vicenda personale di questo cittadino possa addivenire ad una conclusione drammatica. Quindi, chiediamo che si faccia in fretta!
Peraltro, credo che il problema non sia rappresentato soltanto - e insisto su questo punto - dalle gravissime violazioni dei diritti di difesa o dei diritti umani, non sia solo la pratica aberrante della extraordinary rendition, ma anche l'atteggiamento inadeguato - su tale aspetto si dovrebbero svolgere alcuni approfondimenti - delle nostre autorità, soprattutto in considerazione della documentazione prodotta in sede di Commissione europea. Si tratta di atti formali; il problema è che i nostri servizi di intelligence addirittura (cito testualmente): «erano in cooperazione continua con l'intelligence marocchina».
Mi domando come sia stato possibile tutto ciò! Mi rifaccio a quegli atti formali e a quelle denunce formali! Si tratta di fatti che mi sembrano molto gravi e dei quali occorre accertare la responsabilità.
Infatti, senza la collaborazione deviata tra forze di polizia, frutto del fideistico utilizzo dei nominativi inseriti nelle cosiddette black list da parte della CIA e inoltre senza la colpevole disattenzione del Governo italiano precedente e dei suoi organi - quantomeno in alcuni passaggi -, certamente Britel non sarebbe stato vittima dei gravissimi fatti occorsigli.
Queste sono le risultanze dell'inchiesta svolta a livello di Commissione europea, non si tratta di un nostro giudizio! Ritengo non vi sia alcuna giustificazione di quanto accaduto in questi anni a maggior ragione nel caso specifico, che riguarda un cittadino italiano che, come tale, doveva essere tutelato e garantito pienamente dallo Stato italiano nei suoi diritti inalienabili.
Siamo di fronte non soltanto a fatti gravi in sé, come i sequestri legali, l'attacco ai valori umani e la tortura (proprio ieri, la Camera ha messo al bando la tortura), che l'intero corso della storia ha dimostrato non essere serviti a nulla. Semmai, come è scritto nel rapporto del Consiglio d'Europa, tali abusi sono serviti a conferire un senso, un'apparenza di legittimazione a coloro che attaccano le istituzioni. Una sconfitta nella sconfitta. Siamo convinti che il terrorismo vada contrastato, combattuto, ma senza derogare ai valori della democrazia, ai valori fondamentali dei diritti umani ed ai valori di uno Stato di diritto.Pag. 11
Oltre a tutto ciò, siamo di fronte - cito ancora il rapporto del Consiglio d'Europa - «a reati che comprendono la complicità ed il fiancheggiamento di tali azioni illegali, così come gli atti di omissione, reati che dovrebbero essi stessi prevedere sanzioni penali». Questo è un passaggio della relazione del Consiglio d'Europa.
Anche il Governo in carica è chiamato in causa sia per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, indipendentemente dalla loro posizione giudiziaria, che deve essere naturalmente accertata (ma il rispetto del diritto fondamentale non può essere condizionato dalla posizione giudiziaria delle persone), sia per quanto riguarda la responsabilità del Governo in merito al controllo politico sui servizi di intelligence e di sicurezza, punto sul quale la risposta del Governo non ha detto molto, e su cui invito ad un approfondimento delle responsabilità.
Concludo, prendendo atto della risposta del rappresentante del Governo. Si accertino le responsabilità a tutti i livelli che sono stati coinvolti in questo inammissibile caso di detenzione illegale. È importante che il Governo italiano, fin dai prossimi giorni, muova i passi necessari per sostenere la domanda di grazia presentata tramite la nostra ambasciata. Bisogna rispondere positivamente (e mi sembra che si vada in questa direzione) alla sollecitazione rivolta dalla Commissione europea (cito testualmente) «di fare passi concreti per ottenere la liberazione immediata di Abou Elkassim Britel».
Ringrazio ancora il rappresentante del Governo per la risposta e la disponibilità. Da parte nostra seguiremo fino in fondo il caso.

(Mancati controlli nei confronti di una giornalista che ha indossato il velo islamico integrale - n. 2-00263)

PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00263 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).

GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, è di queste settimane un dibattito, a volte anche surreale, sulla questione del velo islamico e sulla questione più generale dell'ostentazione dei simboli religiosi. A fronte dell'interpellanza che sto per esporre, tale dibattito diventa ancora più surreale ed anche esilarante. Il tema non è, in questo caso, quello della legittima, anche dal punto di vista costituzionale, libertà di manifestazione delle proprie opinioni religiose, ma come queste si concilino con i principi ed i valori del nostro ordinamento giuridico.
Nel caso in esame, si riporta un'inchiesta pubblicata sul quotidiano La Stampa di domenica 26 novembre 2006, realizzata da una giornalista molto brava, tale signora Francesca Paci, dal titolo: «Invisibile per un giorno e nascosta dal niqab. Coperta da capo a piedi, all'aeroporto nessun controllo». L'articolo commenta, fotograficamente, la giornata di questa signora, vestita alla maniera islamica con un velo integrale e documenta come l'interessata si sia mossa nell'aeroporto di Fiumicino.
Ha fatto la carta d'imbarco, esibendo un documento, ma senza essere identificata dagli addetti che presumo appartengano ad Alitalia; ha fatto il controllo al metal detector, anche questo è documentato fotograficamente, con il velo integrale, senza essere identificata e per di più - a detta della giornalista - passando con una borsa piena di tutto ciò che, secondo le nuove disposizioni antiterrorismo, è vietato portare nel bagaglio a mano. È stata in una circoscrizione del comune di Roma, dove le avrebbero rilasciato un certificato di nascita e di residenza senza essere identificata. Avrebbe infine passeggiato indisturbata in piazza Colonna e attorno a palazzo Chigi alla presenza di forze dell'ordine senza essere identificata. Tralascio la parte singolare di un incontro con un ministro della Repubblica che le avrebbe assicurato che non ci sarebbe stata nessuna legge sul velo islamico, dimenticando che esistono norme - come quella che noi citiamo del 1975 - che contemperano l'esercizio della libertà religiosa e, quindi, l'ostentazione dei simboli religiosi con l'esigenza della tutela di un interesse importantePag. 12come quello della sicurezza pubblica che obbliga a sottoporsi comunque all'identificazione.
A fronte di tutto questo non abbiamo riscontrato alcuna reazione né da parte del Governo né da parte specificatamente del Ministero dell'interno rispetto ad un fatto che riteniamo molto grave, non per la circostanza che la signora camminasse per strada ostentando un simbolo religioso che rispettiamo - anzi, abbiamo anche sottolineato come i cittadini di Roma siano stati molto disponibili con questa signora dimostrando in questo modo grande tolleranza e un sentimento di integrazione -, ma per la mancata applicazione di norme che sono presenti nel nostro ordinamento ormai da più di trent'anni e che sono a presidio della tutela e della sicurezza nazionale. Aggiungo che è evidente che questa circostanza rileva l'assoluta assenza delle forze dell'ordine e la gravità del comportamento di alcuni dipendenti di Alitalia e della società preposta al controllo cui sono sottoposti tutti i cittadini italiani - e giustamente anche i parlamentari - per quanto riguarda il transito delle persone ed il bagaglio (cosa che noi accettiamo volentieri). E a fronte di ciò non si è sollevata, in queste settimane, neanche una voce di stupore e di meraviglia rispetto alla mancata applicazione di una norma che - ripeto - contempera esattamente nel nostro ordinamento due interessi costituzionalmente garantiti, cioè la libera manifestazione del proprio credo religioso e, quindi, anche l'ostentazione dei relativi simboli, con l'obbligo necessario che grava su tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla religione che professano, di essere identificati, perché ciò ovviamente è posto a tutela della sicurezza nazionale.
Noi chiediamo al ministro dell'interno di sapere innanzi tutto se sia stato verificato che i fatti riportati in maniera circostanziata e documentata anche da fotografie sono veri; gradirei inoltre conoscere se sia stata avviata un'indagine o un'attività di accertamento e se intenda adottare provvedimenti.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alessandro Pajno, ha facoltà di rispondere.

ALESSANDRO PAJNO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, in relazione ai fatti citati nell'articolo «Invisibile per un giorno» richiamato dagli onorevoli D'Alia e Volontè sono stati svolti accertamenti approfonditi dai quali è risultato che effettivamente la giornalista de La Stampa è partita dall'aeroporto di Torino Caselle coperta da un velo islamico integrale.
Devo innanzitutto precisare che i controlli ai varchi centrali di quell'aeroporto sono affidati ad un istituto di vigilanza privata e che i dipendenti dello stesso istituto hanno dichiarato che in quell'aeroporto il transito di donne islamiche velate non ha carattere di eccezionalità Di conseguenza, non sembra condivisibile quanto affermato dalla giornalista sulla riluttanza del personale ad effettuare controlli accurati perché intimidito dalla diversità.
L'ufficio di polizia di frontiera ha riferito che le guardie giurate addette ai varchi di controllo avevano notato, nella particolare circostanza, la presenza tra i passeggeri di una donna velata e che le stesse guardie erano anche pronte a chiedere l'intervento di operatrici di polizia per effettuare controlli sulla persona, qualora si fossero resi necessari a seguito dell'attivazione del sistema di allarme delle apparecchiature. Le guardie giurate, tuttavia, hanno fatto presente che il passaggio della donna attraverso il metal detector non aveva determinato alcun segnale e, pertanto, non si era proceduto ai controlli sulla persona che, peraltro, quando non vi sia attivazione del sistema di allarme, di norma sono svolti a campione, secondo percentuali prestabilite. Anche il controllo radiogeno del bagaglio a mano della passeggera non avrebbe fatto rilevare la presenza di oggetti vietati. L'ufficio di polizia di frontiera di Torino ha segnalato anche che provvederà a contestare, in via amministrativa, alla società di vigilanza privata l'inosservanza dellePag. 13norme del programma nazionale di sicurezza emanato dall'Ente nazionale per l'aviazione civile in quanto, nel corso delle procedure espletate nella fase di imbarco, il personale di detta società di gestione, pur richiedendo la carta di identità, non avrebbe invitato la passeggera a rimuovere il velo. L'addetta al controllo si sarebbe giustificata, riferendo di avere raggiunto la certezza sull'identità della persona attraverso la attenta verifica del documento di riconoscimento e l'osservazione della parte scoperta del viso (sembra, infatti, che la giornalista avesse occhi e naso parzialmente visibili). La società di handling dell'aerostazione di Torino Caselle è stata sollecitata anche a prestare la massima attenzione nei controlli, richiedendo opportunamente l'intervento delle Forze di polizia.
Per quanto riguarda i fatti accaduti a Roma, l'ufficio di polizia di frontiera di Fiumicino ha precisato di non avere particolari elementi di informazione relativamente al transito della giornalista in quell'aeroporto anche perché, per i voli che si muovono su tratte nazionali, non sono effettuati controlli di sicurezza o di frontiera sui passeggeri in arrivo.
Informo, inoltre, che all'ispettorato di pubblica sicurezza di Palazzo Chigi non risulta che una persona coperta dal niqab, o da altro manto nero, si sia avvicinata al personale della Polizia di Stato in servizio presso gli ingressi della sede del Governo. Neppure dalla lettura dell'articolo o dalle fotografie contenute sembrerebbe potersi evincere che il comportamento della donna fosse tale da potere destare qualche ragionevole preoccupazione.
Quanto all'episodio avvenuto all'interno di un ufficio comunale romano, comunico che l'impiegato del comune in servizio presso lo sportello del rilascio dei certificati anagrafici ricorda di aver notato la presenza di una donna vestita con indumenti islamici e con il volto parzialmente coperto. La stessa donna era munita di un documento di riconoscimento esaminato attentamente dall'operatore, al quale sarebbe sembrato di riconoscere le sembianze di tale persona senza bisogno di richiedere di scoprire del tutto il viso. Aggiungo, infine, che l'ufficio di gabinetto del Ministero dell'interno, fin dall'anno 2004, in risposta a specifici quesiti formulati da alcuni prefetti in ordine al problema delle persone che circolano in luogo pubblico con il volto coperto dal burqa ha precisato che, in tali situazioni, l'attivazione dei poteri di identificazione da parte del personale di polizia sembrerebbe potersi validamente esplicare alla luce di circostanza ambientali tali da costituire giustificato motivo di allarme. Un accertamento condotto in assenza di concreto interesse pubblico alla conoscenza dell'identità della persona potrebbe apparire, infatti, come inutilmente vessatorio.

PRESIDENTE. Il deputato D'Alia ha facoltà di replicare.

GIANPIERO D'ALIA. Signor Presidente, evidentemente devo dichiarare la mia insoddisfazione, anche se ringrazio il sottosegretario Pajno per la sua sensibilità e per la compiutezza della sua risposta. Non sono soddisfatto poiché, come è emerso dalla ricostruzione effettuata, i fatti sono veri e sono gravi. In particolare, sono gravi con riferimento al comportamento della società di vigilanza e con riferimento al controllo che la polizia di frontiera deve effettuare su questo personale che svolge funzioni sussidiarie di sicurezza molto delicate e importanti e sono gravi anche al di là della circostanza che il bagaglio a mano fosse o meno sensibile al controllo effettuato.
In ogni caso, la circostanza in sé avrebbe dovuto indurre ad applicare la procedura standard messa in atto nei confronti di tutti i cittadini italiani, che, quindi, non ha alcun carattere discriminatorio. Mi riferisco all'identificazione del soggetto e al controllo sul bagaglio a mano. Tale procedura, lo ripeto, viene applicata, giustamente, nei confronti di tutti e sempre.
Si tratta di fatti gravi su cui mi auguro il Governo voglia intervenire con maggiore durezza, affinché non si verifichino più, non costringendoci a tornare sull'argomento.Pag. 14
Sono fatti gravi con riferimento al comportamento tenuto da parte della circoscrizione romana. Infatti, quando si richiedono determinati documenti, come un certificato di residenza o di nascita, vi è l'obbligo di effettuare l'identificazione e l'annotazione del soggetto richiedente. Si tratta, infatti, di dati sensibili che devono essere trattati avendo la certezza dell'identità del soggetto richiedente. Quindi, è grave che questo fatto si sia verificato ed è grave che nessuno abbia provveduto all'identificazione.
È ulteriormente grave la circostanza segnalata relativamente al fatto che non risulti alcun comportamento del tipo citato innanzi a Palazzo Chigi. Infatti, la documentazione fotografica pubblicata da La Stampa localizza questa signora che passeggia esattamente di fronte a Palazzo Chigi, in piazza Colonna, che ferma dei passanti o quant'altro. Quindi, vi sarebbe stato, in base alla legge n. 152 del 1975, l'obbligo dell'identificazione.
È grave che si dia un'interpretazione che non ha nulla a che vedere con la tutela della libertà religiosa, per evitare la discriminazione rispetto all'ostentazione del simbolo religioso, ossia che si teorizzi che il processo di identificazione venga attuato in base ad una valutazione assolutamente discrezionale e di circostanze ambientali. Mi dispiace che il Ministero abbia dato questo tipo di interpretazione. Ciò, infatti, non aiuta né i processi di integrazione degli islamici o di altre confessioni religiose, né il sistema della sicurezza. Al contrario, quanto accaduto rende ancor più inquietante l'opinione dei cittadini rispetto a questo tema e, quindi, non svolge neanche una funzione pedagogica.
Credo che su questo tema il Governo debba, con maggiore determinazione (mi si passi il termine non polemico nei confronti del sottosegretario Pajno), con maggiore serietà ed approfondimento, riconsiderare l'applicazione di norme che hanno retto e reggono nel nostro ordinamento da più di trent'anni, che sono a presidio della tutela dell'incolumità pubblica e che garantiscono i diritti di libertà religiosa, come tutti vogliamo.
Mi auguro vi sia un'inversione di rotta totale, perché altrimenti dovremmo ritornare su questo argomento. Ci riteniamo insoddisfatti e, aggiungo, fortemente - lo ripeto: fortemente - preoccupati.

In ricordo di Ignacia de Loyola de Palacio (ore 10,45).

PRESIDENTE. Come i colleghi sapranno, è scomparsa ieri la signora Loyola de Palacio, già Vicepresidente della Commissione europea, con delega di Commissario ai trasporti e all'energia.
La Camera dei deputati si unisce al cordoglio di quanti ricordano la signora de Palacio per il suo impegno europeista e per la collaborazione intensa da lei avuta con le istituzioni governative e parlamentari italiane.

Si riprende lo svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,46).

(Finanziamento delle opere di messa in sicurezza dell'aeroporto d'Abruzzo - n. 2-00277)

PRESIDENTE. Il deputato Buontempo ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00277 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 5).

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, vorrei sperare che si ripeta un fatto usuale, ossia che alcuni ministri compiano delle scelte di cui l'intero Governo non è conoscenza. La mia interpellanza è volta principalmente a richiamare il Governo su un provvedimento assunto dal ministro dei trasporti Bianchi che ha dell'incredibile. Infatti, nella precedente legislatura il ministro Lunardi ha stanziato 5 milioni di euro per la messa in sicurezza dell'aeroporto di Pescara, unico aeroporto abruzzese.
Inoltre, era stato proprio il ministro a promettere quei soldi all'ENAC, l'ente nazionalePag. 15di aviazione civile, quando aveva chiuso il proprio bilancio con un avanzo di 23 milioni di euro.
Ventotto milioni di euro sarebbero andati all'aeroporto di Fiumicino per la costruzione del terminal C, gli altri invece sarebbero serviti all'aeroporto di Pescara per risollevarne le sorti. Roma oltretutto ha già iniziato i lavori e quindi ora si trova senza copertura finanziaria per poterli terminare. Per quanto riguarda invece Pescara, vi è un problema molto serio di messa in sicurezza per aprire nuovi parcheggi, per potenziare tutti i servizi legati a questo aeroporto che va morendo giorno dopo giorno. Pescara ha un effettivo problema di viabilità: ha una ferrovia che obbliga, per un viaggio da Roma a Pescara (pari a 200 chilometri circa), a tre ore e mezza con il treno rapido.
Quale sviluppo può essere assicurato ad una regione che si trova ad una distanza di 200 chilometri dalla capitale che oggi, nel terzo millennio, può essere coperta con un tempo di percorrenza pari a quello del secolo scorso? Per Firenze, i 280 chilometri di distanza da Roma si percorrono in un'ora e mezza. L'Abruzzo ha inoltre un'autostrada, la Roma-Avezzano-L'Aquila-Pescara che, in prossimità di Roma, non presenta un sistema viario tale da consentire alle automobili di inserirsi dal raccordo anulare nelle varie consolari con un minimo di facilità. Quando si arriva dall'autostrada occorrono circa un'ora e mezzo o due per entrare a Roma. Si tratta di una regione che è anche una grande risorsa turistica di mare e di montagna e che presenta una grande ricchezza di piccoli e medi imprenditori in ogni settore e che si vede penalizzata anche con un aeroporto quasi impraticabile.
L'allarme in proposito è stato dato anche dall'ENAC. Nel momento in cui si è trovato uno stanziamento, il ministro, senza avvertire nessuno e senza convocare lo stesso ENAC per valutare le eventuali priorità, prende questi fondi e li trasferisce ad altri due aeroporti, quali - mi pare - Torino e Bologna. È un modo grave ed incredibile di procedere in quanto comunque i territori e le popolazioni non possono essere oggetto di interessi di parte di questo o di quel ministro, secondo proprie clientele, amicizie o preferenze. Vi è stato uno scontro di emergenze e necessità, ma questo aeroporto rischia di chiudere senza quegli interventi e senza l'attuazione di un piano, di un progetto o di un programma.
Vede, caro sottosegretario, anche in questa legge finanziaria nello scontro tra nord e sud l'Abruzzo è stato penalizzato. La protesta ormai è mossa anche da amministratori del centrosinistra. Io ho una lettera del presidente della provincia di Pescara, l'architetto De Dominicis, il quale evidenzia che tra le priorità fissate dal ministro delle infrastrutture è sparito ogni riferimento al completamento della variante della statale 16 Adriatica, opera della quale l'amministrazione provinciale di Pescara - a maggioranza di centrosinistra - è sempre stata sostenitrice e che la stessa giunta regionale ha ritenuto di interesse strategico, tanto da inserirla nel memorandum delle priorità regionali. Tale documento è stato consegnato al ministro Di Pietro in occasione della sua visita a L'Aquila. Tali fondi sono spariti (non se ne trova traccia); in particolare, vorrei anche ricordare che gran parte di questi fondi stanziati erano frutto di un'intensa attività del nostro deputato abruzzese Nino Sospiri, sottosegretario di Stato per i trasporti, che è deceduto, alla memoria del quale siamo legati. Tutte le parti politiche hanno espresso cordoglio alla famiglia ed ammirazione per il lavoro che egli ha svolto per l'Abruzzo, senza differenza di colore per i beneficiari dei fondi necessari per modernizzare le strutture della regione.
Pertanto, anche per quanto riguarda il porto, l'Abruzzo ha visto svanire queste risorse e, anche in tal caso, non si vuole riconoscere la necessità di un'autorità portuale a Pescara che le avrebbe assicurato dei finanziamenti.
Ho presentato tale interpellanza partendo dallo scippo perpetrato dal ministro per poi allargare il discorso alle condizioni in cui si trova quella regione.
Ho fatto appello ai colleghi di tutti i partiti perché si reagisca, indipendentementePag. 16dal colore politico, a questo disprezzo che il Governo di centrosinistra pare avere nei confronti dell'Abruzzo. È un disprezzo inaccettabile perché, prima di uno scippo del genere, quanto meno si potevano convocare il presidente della regione Abruzzo, anch'egli di centrosinistra, i presidenti delle province e alcuni sindaci dei comuni capoluogo per spiegarne le ragioni, offrire garanzie ed assicurazioni circa leggi finanziarie o progetti che potrebbero contemplare la modernizzazione dell'aeroporto di Pescara, la sua messa in sicurezza, la possibilità che quell'aeroporto diventi, proprio per le condizioni della ferrovia e delle strade, un trasporto alternativo sia in termini di passeggeri e merci sia per il potenziamento del turismo.
Mi auguro che la risposta del Governo non sia banale, non sia soltanto quella che burocraticamente gli uffici hanno redatto per fornire una risposta tecnica: prego il sottosegretario di fornire, oltre ad una risposta tecnica, anche una risposta politica.
È vero o no che per l'Abruzzo non c'è un collegamento ferroviario degno di questo nome in una società moderna? È vero o no che, arrivando dall'autostrada, occorre più di un'ora per accedere alle strade consolari di Roma? È vero o no che il porto di Pescara non ha ricevuto i finanziamenti? È vero o no che la cifra di 5 miliardi è stata destinata per altri lavori ad altre città italiane?
Se tutto questo è vero, forse lo è, credo che la risposta non possa essere burocratica, ma anche di impegno e di scelta politica!

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per i trasporti, Andrea Annunziata, ha facoltà di rispondere.

ANDREA ANNUNZIATA, Sottosegretario di Stato per i trasporti. Signor Presidente, l'articolo 1, comma 582, della legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per il 2006) ha autorizzato l'Ente nazionale dell'aviazione civile ad utilizzare le risorse di parte corrente derivanti da trasferimenti statali, relativi agli anni 2004-2005 e disponibili nel proprio bilancio, per far fronte a spese di investimento per le infrastrutture aeroportuali individuate con decreto dell'ex Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
A tale proposito, il Ministero dei trasporti ha proposto all'ENAC di finanziare opere infrastrutturali sui seguenti scali aeroportuali: Bologna, per lavori di prolungamento e riqualificazione della pista di volo (22.154.965,69 euro); Torino, per lavori di realizzazione del sistema automatico di smistamento dei bagagli e degli impianti di sicurezza per il controllo del 100 per cento dei bagagli da stiva (20.621.987 euro); Pescara, per lavori di messa in sicurezza dell'aeroporto, per i quali il ministro pro tempore, il professor Lunardi, aveva messo a disposizione la somma di 5 milioni di euro; Roma Fiumicino, per la realizzazione del molo C (36.151.983 euro) (per tali lavori si fa presente che Aeroporti di Roma Spa ha già provveduto all'espletamento della gara d'appalto ed alla successiva aggiudicazione).
Con l'ENAC vi è stato un confronto, diversamente da quanto affermato dall'onorevole Buontempo. L'ENAC ha condiviso tale proposta ma ha quantificato in complessivi 35 milioni di euro le risorse disponibili. In conseguenza di ciò, e tenuto conto della circostanza che gli interventi relativi agli scali aeroportuali di Bologna e Torino sono già stati realizzati e che in ordine agli stessi si è già formato un significativo contenzioso, il ministero ha dovuto considerare, unitamente all'intenzione già espressa da ENAC, prioritari taluni finanziamenti. In particolare: 22.154.965,69 euro per il rimborso totale alla SAB Spa per i lavori già effettuati di prolungamento e riqualificazione della pista di volo ed opere connesse dell'aeroporto di Bologna (per la restituzione di tale somma la stessa società di gestione ha presentato ricorso al TAR dell'Emilia-Romagna); 12.845.034,31 euro quale parziale rimborso (il 62 per cento) alla SAGAT Spa in relazione ai lavori di realizzazione del sistema automatico di smistamento deiPag. 17bagagli e degli impianti di sicurezza per il controllo del 100 per cento dei bagagli da stiva nell'aeroporto di Torino (per la restituzione della somma complessiva dell'opera la stessa società di gestione ha presentato apposito atto di diffida).
Proprio al fine di consentire il completo rimborso a favore della SAGAT Spa, nonché la realizzazione dei lavori sull'aeroporto di Pescara - che non potranno iniziare prima della fine del 2007, considerato che solo in data 12 ottobre 2006, quindi due mesi fa, onorevole Buontempo, si è conclusa la conferenza di servizi che ha approvato il piano di sviluppo dell'aeroporto: quindi, se ritardi vi sono stati credo siano attribuibili a lungaggini burocratiche che riguardano sicuramente altri e non questo Governo - e la realizzazione del molo C di Fiumicino, è stato proposto apposito emendamento alla legge finanziaria in corso di approvazione che autorizzi l'ENAC, in analogia con quanto previsto dalla legge finanziaria 2006, ad utilizzare le risorse di parte corrente derivanti dai trasferimenti statali relativi all'anno 2006 disponibili nel proprio bilancio per far fronte a spese di investimento per le infrastrutture aeroportuali.
L'onorevole Buontempo, poi, ha denunciato i problemi che vivono Pescara e l'Abruzzo, per cui si va oltre la questione aeroportuale investendo la problematica delle altre infrastrutture: porti e trasporti su ferro e su gomma. Non vi è assolutamente disprezzo da parte del Governo in carica da appena sei mesi per regioni come l'Abruzzo, anzi, vi è attenzione massima. Non so quanto, onorevole Buontempo, abbia fatto invece il precedente Governo per queste stesse regioni.

PRESIDENTE. Il deputato Buontempo ha facoltà di replicare.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, con il massimo rispetto per la persona del sottosegretario, ci vuole una bella faccia tosta a dire quelle cose! Il precedente Governo stanzia fondi per l'aeroporto di Pescara; il Governo di centrosinistra distrae questi soldi e li manda in altre città e poi, anziché rispondere all'interpellanza, fa polemica politica e si chiede cosa abbia fatto il precedente Governo. Ho letto la lettera di un presidente di provincia di centrosinistra il quale è infuriato perché l'Abruzzo ha subito un altro scippo per quanto riguarda un sistema viario già finanziato dal precedente Governo: ecco cosa ha fatto il precedente Governo!
Questo Governo ha eliminato quelle coperture finanziarie e potrei continuare, elencando, onorevole Presidente, ciò che ha fatto il precedente con i finanziamenti di opere per l'Abruzzo, tutti interventi che attualmente sono di incerta realizzazione. Poichè il sottosegretario è disinformato vorrei ricordargli che il precedente Governo aveva previsto il finanziamento per il compartimento lungo la statale 81 Picena Aprutina, nonchè ulteriori finanziamenti con la legge obiettivo, la n. 443 del 21 dicembre del 2003. Potremmo poi continuare, con gli interventi strategici di interesse nazionale, con le infrastrutture nella regione Abruzzo per la realizzazione della dorsale collinare. Mi dispiace fare questo lungo elenco che diventa una risposta politica, probabilmente improduttiva in questa circostanza, ma potremmo continuare con il finanziamento alla statale 84 Frentana. È un elenco lunghissimo; mi dispiace dirlo, ma non si risponde così ad una interrogazione. C'è poi un finanziamento del precedente Governo per l'ammodernamento del tratto della Val d'Agri - non sappiamo che fine farà - oltre alla variante all'abitato di Cermigliano e di Penna Sant'Andrea.
Il Governo non ha dato alcuna risposta. È ovvio che all'aeroporto di Pescara i lavori non sono iniziati nell'incertezza dei finanziamenti. Chi paga questi lavori se non c'è la disponibilità finanziaria? Hanno fatto maturare i tempi per vedere se quei fondi stanziati sarebbero diventati fondi reali.
Adesso apprendono che quei soldi non ci sono più. Rivolgerò a questo punto altre interrogazioni. Vorrei sapere quali intenzioni ha questo Governo affinché l'aeroporto di Pescara non sia costretto a chiudere.Pag. 18A questo deve rispondere il Governo, e non venire a dire cosa ha fatto il precedente Governo, il quale ha stanziato i fondi che poi voi avete rubato all'Abruzzo, per interessi clientelari da parte di un ministro.

(Ipotesi di riordino della Commissione pari opportunità e del Comitato nazionale di parità e di pari opportunità - n. 2-00279)

PRESIDENTE. L'onorevole Rossi Gasparini ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00279 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 6).

FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, in Italia esistono strutture storiche, come la commissione nazionale di parità, la commissione n. 125 presso il Ministero del lavoro e la n. 215, che hanno il compito di riequilibrare i diritti delle donne e che hanno lavorato molto bene, fino al momento in cui tutto si è fermato. Risulta infatti che la commissione per le pari opportunità, presieduta dal ministro Pollastrini, abbia svolto l'ultima riunione il giorno 30 marzo 2006 e da allora non sia stato convocato nemmeno l'ufficio di presidenza. Analoga situazione vale per il comitato n. 125, che ha bloccato ogni attività, non esaminando le centinaia di progetti e di azioni positive, presentate secondo regolare bando, né rispondendo alle richieste di rimodulazione avanzate nel corso del 2006. È vero che è intervenuto l'articolo 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, cosiddetto decreto Bersani, che tende a ridurre il costo della spesa pubblica. Su questo tema tutto il paese è d'accordo, ma l'articolo 29 ha bloccato in modo irrazionale commissione e comitati. Reputiamo che esistano delle iniziative, che non sono purtroppo state avviate, per il contenimento del 30 per cento delle spese, per esempio, convocando i membri delle commissioni nazionali e dei comitati per individuare insieme a loro molto democraticamente eventuali modalità di riduzione dei costi.
Ciò che è assurdo, dato che si tratta di strumenti di democrazia e di rappresentatività, è che non si sia più interloquito con i membri delle commissioni e che non si sia data azione corrente al compito di tali commissioni e comitati.
Domandiamo al Governo, anche in vista del fatto che il 2007 è stato proclamato dalla Commissione dell'Unione europea l'anno delle pari opportunità, quali iniziative intenda adottare affinché tali organismi di parità - gli unici -, nella loro piena funzionalità, possano e debbano dare il loro contributo per il miglioramento delle condizioni delle donne italiane, come previsto dalla direttiva europea 2006/54/CE del 5 luglio 2006.
Chiediamo al Governo anche quali iniziative intenda assumere per immediatamente affrontare e sbloccare la situazione e, soprattutto, se sia vero - noi saremmo contrari e parlo anche a nome di tutte le associazioni che hanno firmato il documento indirizzato al Presidente Prodi - che si intende ridurre il numero delle associazioni presenti nelle commissioni e nei comitati per favorire solo alcune strutture sindacali. Sarebbe un atto non apprezzato, non gradito e fortemente contestato.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ricardo Franco Levi, ha facoltà di rispondere.

RICARDO FRANCO LEVI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, rispondo con piacere all'onorevole Rossi Gasparrini. La vicenda della Commissione pari opportunità, originariamente paralizzata per un contenzioso giudiziario, è stata oggettivamente resa più complessa dal decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (cosiddetto decreto Bersani-Visco), poi convertito in legge, che ha previsto il riordino di tutti gli organismi collegiali e monocratici, comunque denominati, operanti presso le pubbliche amministrazioni, entro centoventi giorni, poi prorogati a centottanta, dalla sua entrata in vigore, anche mediantePag. 19soppressione o accorpamento delle strutture.
La ratio della norma è quella di invitare le amministrazioni ad operare al loro interno un monitoraggio di tutti gli organismi esistenti. All'esito di tale monitoraggio, le amministrazioni avranno tre opzioni tra le quali scegliere la propria condotta: esse potranno procedere alla soppressione del comitato o della commissione non più utile (è evidente che non è questo il caso della Commissione per le pari opportunità); procedere all'accorpamento del comitato o della commissione con altri organismi che svolgano funzioni omogenee, con una razionalizzazione delle competenze e una riduzione delle spese pari almeno al 30 per cento (ma anche questo caso, quello dell'accorpamento con altre commissioni o comitati, mal si presta rispetto alla Commissione per le pari opportunità); riorganizzare il comitato o la commissione, limitando il numero delle strutture di supporto, oppure diminuendo il numero dei componenti e, comunque, assicurando una compressione della spesa nella misura di un terzo.
Se l'amministrazione non procede ad alcuna di queste attività, il comma 4 dell'articolo 29 decreta la soppressione automatica dei comitati e delle commissioni per i quali non sono stati adottati i criteri di riordino.
La riduzione delle spese nella misura del 30 per cento, comunque richiesta in relazione all'attività di queste commissioni, consegue al riordino che le amministrazioni provvederanno a svolgere e può essere realizzata in vario modo, ad esempio con la soppressione di parte della struttura di supporto della commissione, con la riduzione dei compensi ai componenti o del numero dei componenti stessi, oppure attraverso la riduzione dello stanziamento per l'attività della commissione.
Tale riduzione non è procrastinabile, anzi, il decreto Bersani prevede addirittura un'anticipazione degli effetti, nel senso che le amministrazioni dovranno farsi carico della riduzione delle spese già per il corrente anno 2006, in misura proporzionale al numero dei mesi mancanti dall'entrata in vigore del decreto sino alla fine dell'anno. L'entrata in vigore del nuovo decreto, poi, coincide con la trasformazione dell'organismo, contenuta nel regolamento medesimo. Non era, pertanto, ipotizzabile una rinnovazione della procedura di nomina dei componenti mancanti della commissione, in assenza del decreto di riordino, perché la ricostituzione della commissione presuppone che l'amministrazione tenga presente i vincoli imposti dal decreto-legge n. 223 del 2006.
Detto in altri termini e per essere ancora più esplicito, qualora si fosse proceduto alla ricostituzione della commissione, ai sensi della previgente disciplina, si sarebbe poi dovuto procedere, di lì a poco, ad una rinnovazione della procedura in seguito all'entrata in vigore del regolamento di riordino e ciò al fine di adeguarsi ai criteri organizzativi ordinamentali e finanziari ivi imposti, con grave detrimento per la funzionalità del servizio.
Peraltro - questo è un altro profilo che tengo a sottolineare - la ricostituzione della commissione non avrebbe comunque potuto aver luogo con altro atto del ministro Pollastrini, poiché, con provvedimento depositato lo scorso 10 luglio, il tribunale amministrativo regionale di Catania ha disposto la sospensione del decreto del 13 marzo 2006 del ministro per le pari opportunità allora in carica, onorevole Stefania Prestigiacomo, decreto di nomina degli undici componenti rappresentativi di associazioni e movimenti di donne della Commissione nazionale per le pari opportunità tra uomo e donna, relativo al biennio 2006-2008.
La sospensione del decreto di nomina decretata dal TAR di Catania è stata determinata dalla mancata predeterminazione, da parte del Ministero per le pari opportunità, dei criteri di valutazione delle associazioni e dei movimenti di donne maggiormente rappresentativi. Le stesse motivazioni avevano indotto il Consiglio di Stato, il 14 marzo 2006, ad annullare pure il decreto ministeriale di nomina della commissione per il biennio precedente 2004-2006.Pag. 20
Per due volte, pertanto, il giudice amministrativo si è pronunciato nel senso dell'illegittimità della costituzione della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna a causa della mancata rideterminazione dei criteri di scelta nei relativi componenti. È per questo, dunque, che la sospensione del decreto di nomina di undici componenti su venticinque non consentiva alla commissione di operare. Le ragioni della sospensione operata dal giudice amministrativo imponevano, pertanto, una previa identificazione dei criteri di scelta delle associazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
L'ufficio legislativo del ministero sta, proprio per questo, predisponendo un nuovo regolamento della commissione, che conterrà i criteri di valutazione in base ai quali verrà operata la scelta delle componenti della Commissione pari opportunità, così come richiesto dai giudici amministrativi. La proposta, a quel punto, dovrà passare, naturalmente sulla base delle procedure di legge, al pre-Consiglio dei ministri, quindi al Consiglio medesimo, poi andare al Consiglio di Stato, tornare al Consiglio dei ministri, per essere, infine, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e giungere, in poche settimane, all'effettiva operatività.
La questione relativa alla commissione incardinata presso il Ministero del lavoro pone, invece, problemi molto più delicati che, almeno in tal caso, dovrebbero sconsigliare un'applicazione burocratica ed affrettata dell'articolo 29 del decreto Visco-Bersani. Appare pertanto opportuna una proroga di alcune settimane, che stiamo sottoponendo alla valutazione collegiale del Governo.
Per quanto riguarda, infine, il 2007, «Anno europeo delle pari opportunità» per tutte, richiamato nell'interpellanza, il giorno 15 dicembre (tra pochi giorni, dunque), così come previsto dall'Unione europea, sarà presentato il Piano nazionale d'azione, che sarà redatto con la partecipazione dei ministeri, delle regioni, delle città, delle associazioni, delle organizzazioni non governative e delle organizzazioni.
Peraltro, il ministro per i diritti e le pari opportunità, Barbara Pollastrini, per il coordinamento dell'anno europeo, prosegue il confronto con tutti gli attori sociali interessati a contribuire, con il loro apporto di idee e progetti, al superamento di ogni discriminazione, per accogliere le diversità e, in tal modo, promuovere le parità.
L'«Anno europeo delle pari opportunità» sarà dedicato, infatti, ad un vero e proprio processo di partecipazione: processo partecipativo e deliberativo di una molteplicità di attori, pubblici e privati, per realizzare diritti, rappresentatività, riconoscimento e rispetto della persona. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei.
La deputata Rossi Gasparrini ha facoltà di replicare.

FEDERICA ROSSI GASPARRINI. Signor Presidente, ringrazio il Governo per la risposta articolata.
Concordo sulla necessità di riorganizzare in modo democratico la Commissione sulle pari opportunità, essendo stata testimone diretta della non correttezza politica del precedente Governo.
Per quanto riguarda il fatto che il 15 sarà presentato il Piano nazionale d'azione, auspico davvero che vi sia il coinvolgimento delle parti sociali: in quanto più libere, più ancorate al tessuto sociale, più direttamente vicine alle persone, esse possono far salire la voce e le richieste di queste ultime e possono rilevare le mancate occasioni di pari opportunità, che riguardano tanta parte dei cittadini italiani e non soltanto piccole categorie o piccoli gruppi.
Da ultimo, per quanto riguarda il Comitato nazionale nato a seguito della legge n. 125 del 1991, ringrazio per l'attenzione e per la volontà del Governo di considerarlo in modo diverso: effettivamente, esso ha competenze particolari, riguardanti la valutazione di progetti già approvati che sono giunti alla fase dei bandi. La situazione di stallo del Comitato potrebbe dare adito, ove non si trovi rapidamente unaPag. 21soluzione, anche a momenti di contestazione forte.
Quindi, ringrazio e sono soddisfatta, in particolare perché non si presume di procedere alla soppressione delle commissioni di parità, né di procedere ad accorpamenti, in quanto si tratta di strutture diverse, bensì di migliorare. Pongo una condizione: che tutte le associazioni femminili presenti siano convocate ed ascoltate.

(Questioni relative ai pregressi rapporti tra la Siemens A. G. e le società italiane IRI, STET Spa e Italtel Spa - n. 2-00281)

PRESIDENTE. L'onorevole Biancofiore ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00281 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 7).

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, premetto che, recentemente, il Presidente del Consiglio in carica, nel corso della seduta della Camera del 28 settembre scorso, chiamato a riferire, suo malgrado, sulla gravissima intromissione (peraltro mai chiarita, e che, in altri paesi, si sarebbe pagata con le immediate dimissioni del Governo) di una Presidenza del Consiglio che, dapprima, rivelò al mercato gli affari riservati di una società quale Telecom Italia, quotata in borsa e da lui stesso avviata verso la privatizzazione e, in seguito, spintasi ad entrare direttamente, con un piano artigianale redatto, pare, dal consigliere economico - si sospetta con consulenti di una nota banca d'affari per la quale lavorava lo stesso Prodi - nel piatto degli affari privati e quotati di detta società, ha avuto l'ardire di vantarsi di essere stato (cito un virgolettato) «l'artefice, da presidente dell'IRI, negli anni Novanta, dei più consistenti processi di privatizzazione intrapresi in Europa». Tra questi, oltre a Cirio e Telecom, i cui esiti sono noti a tutti, si trova - ed auspico che il Presidente del Consiglio in persona ce lo voglia confermare o meno - anche il fiore all'occhiello del settore manifatturiero della telefonia dell'epoca - e ci risiamo! -, ovvero Italtel, oggetto della mia interpellanza.
Società, quest'ultima, che sarebbe stata in grado di competere e sbaragliare colossi come l'americana T&T o la svedese Ericsson nell'innovazione tecnologica per la telefonia e le telecomunicazioni e che solo dalla STET, riconducibile appunto al gruppo IRI, oggi guarda caso Telecom Italia, riceveva commesse pari a circa mille miliardi di lire l'anno. Un'azienda che dava lavoro a 15 mila lavoratori superspecializzati, sparsi nel mondo a realizzare installazioni di reti portanti, sistemi di commutazione e centraline digitali universali per la gestione e la messa in opera di servizi avanzati di telecomunicazione e che oggi è, viceversa, storia di ordinario declino italiano con un insediamento fantasma a Carini, in provincia di Palermo, e a Castelletto (Settimo Milanese) e con una forza dipendenti pari ormai a scarse, scarsissime duemila anime.
Da questa ennesima privatizzazione fallita, riteniamo si evinca peraltro la conferma che il Presidente del Consiglio dei ministri abbia una dipendenza da gioco con telefoni, telefonini e cavi telefonici. Non stupisce nemmeno che anche in questo caso, che consistette nella svendita, che poi argomenteremo, del 50 per cento di Italtel alla tedesca Siemens AG, la banca d'affari incaricata della vicenda fu la stessa che ritroviamo nel caso Tronchetti Provera versus Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero la stessa della quale l'attuale Presidente è stato consulente per anni. Quel che differisce, però, è che nella vicenda Italtel venne totalmente meno quella invocazione alla salvaguardia della italianità auspicata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nel caso Telecom e criticata, viceversa, in passato, all'epoca delle tentate scalate bancarie.
Il caso Siemens-Italtel-STET, e di conseguenza IRI, a nostro parere, necessita però molto di più di un dettagliato chiarimento che spero il Governo voglia fornire a questa Assemblea ai fini della salvaguardia stessa della democrazia, in quanto direttamente collegato ad un'inchiestaPag. 22internazionale per corruzione per la quale ai primi di dicembre vi sono stati in Germania otto arresti eccellenti di persone indagate dei reati di associazione per delinquere ed appropriazione indebita in relazione alla costituzione, da parte della detta società, di fondi neri extracontabili finalizzati alla commissione, appunto, dei reati di corruzione sulla base della scoperta, da parte della procura della Repubblica di Bolzano, di un conto presso la Raiffeisen-Landesbank di Innsbruck, rifornito da Keil von Jagemann, alto funzionario della Siemens, sul quale tra il 1995 e il 1999 sarebbero transitati 340 e 150 milioni di marchi, pari a circa 80 milioni di euro (parliamo di cifre che superano la maxitangente Enimont).
Ciò che inquieta, in particolare, è che da questi fondi neri di Innsbruck, come riportato dagli organi di stampa - cito Panorama del 2 novembre del 2006 - vennero versati 10 milioni di marchi alla Goldman Sachs, cioè alla stessa banca alla quale la Siemens e l'IRI affidarono il lavoro ufficiale per la cessione di Italtel. Non si capisce, dunque, perché, se non per intuizione, senza un normale pagamento dietro fattura. C'è da chiedersi, appunto, come mai. Si tratta di un'ulteriore domanda che rivolgo al Governo in carica e che ritengo debba trovare una spiegazione negli allora vertici delle aziende pubbliche coinvolte.
La stampa in questa mia interpellanza ha un ruolo fondamentale, sebbene quella italiana, a differenza di quella estera, curiosamente abbia dato fino ad oggi parziale rilievo ad un'inchiesta che sta occupando le prime pagine dei più importanti quotidiani tedeschi, ad esempio, la Sueddeutsche Zeitung, e che vede impiegate un numero impressionante di procure e di pubblici ministeri. Sempre dalla stampa, e cito Muro contro muro, che è un quotidiano on line di Lorenzo Sani per il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino, si apprende che, come risulta dalla documentazione dell'istituto bancario austriaco acquisito dalla procura di Bolzano, da quel conto austriaco tra il 1995 e il 1999 parte dei circa 80 milioni di euro fu trasferita a Londra, per poi finire in Nigeria nelle tasche di alcuni ministri e generali di allora. Non è però del tutto chiaro se questi personaggi fossero dei veri destinatari dei fondi oppure se fungessero soltanto da prestanome per poi far tornare i soldi in Italia.
La procura della Repubblica di Bolzano sospetta, inoltre, che i fondi neri individuati presso l'istituto di credito di Innsbruck siano stati utilizzati dalla Siemens, tra l'altro anche per corrompere funzionari italiani delle società a capitale pubblico (IRI-STET-Italtel) che tra il 1994 ed il 1999 hanno realizzato, con più operazioni societarie, un gruppo europeo di telecomunicazioni con la Siemens AG di Monaco di Baviera, e che un alto funzionario del Ministero delle telecomunicazioni abbia svolto in tale contesto un'attività di mediazione di natura corruttiva tra la Siemens AG e le dette società italiane a capitale pubblico.
Tale ipotesi della procura della Repubblica di Bolzano ha già trovato un riscontro significativo, in quanto è stato accertato che tale ex funzionario ha in effetti conseguito, nella primavera del 1995, dalla Siemens per la sua attività di «mediazione» - ed è il caso di metterlo tra virgolette! -, attraverso i detti fondi neri di Innsbruck, un importo di denaro pari a ben 10 milioni di marchi (equivalente, cioè, a circa 10 miliardi di vecchie lire).
Peraltro, il soggetto che si è «interposto» tra la Siemens e lo stesso ex alto funzionario nel passaggio del detto importo di denaro è un personaggio descritto nelle cronache, che risulta aver definito la propria posizione patteggiando, per il reato di riciclaggio, una pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, come da sentenza, già definitiva, del GUP presso il tribunale di Bolzano dell'ottobre del 2004, per avere, come si legge testualmente in sentenza, «in particolare, in relazione ad una somma di denaro di 10 milioni di marchi tedeschi conseguita dal coindagato ex funzionario della Telefonia di Stato quale prezzo per lo svolgimento di una attività di mediazione di natura corruttiva svolta per conto della società tedesca Siemens AGPag. 23nei confronti degli organi gestionali della società italiana a capitale pubblico STET Spa, riconducibile al gruppo IRI per la realizzazione di un gruppo europeo di telecomunicazioni, compiuto operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa della somma di denaro».
Ne converrete che appare ragionevole, pertanto, ritenere che, se colui che ha svolto il ruolo di «mediatore» in una vicenda corruttiva, ha conseguito l'importo di denaro di 10 miliardi di vecchie lire, coloro che avevano poteri gestionali all'interno delle ricordate società a capitale pubblico, e che hanno deciso le operazioni societarie con la Siemens, abbiano potuto conseguire profitti per importi decisamente superiori.
Vi è da aggiungere, con premessa di ovvietà, che un'operazione societaria di tale importanza (per l'acquisto del 50 per cento di Italtel, infatti, la Siemens risulta aver pagato in contanti ben mille miliardi di lire), avvenuta nella primavera del 1994, e precisamente il 12 maggio di quell'anno, non può non avere avuto il «beneplacito» dell'ente controllante IRI.
Risulta quanto meno curioso, inoltre, che nelle dette operazioni societarie sembri aver avuto un ruolo anche la banca d'affari Goldman Sachs, che all'epoca dei fatti era certa intrattenere rapporti di consulenza con la società ASE. Lascerò al Governo, ovviamente, il compito di indicare quali siano gli amministratori delegati di tale società.
Alla luce delle premesse, immagino che lo stesso Governo sia interessato ad aprire uno squarcio di luce su questa vicenda, la quale ancora una volta vede, tragicamente, non solo la svendita di parte del patrimonio italiano - che, per stessa ammissione della Siemens, sarebbe stato pagato decisamente di più dagli altri concorrenti -, ma anche una privatizzazione fallita, una perdita di credibilità internazionale ed un'ombra di discredito su altissimi manager italiani dell'epoca che riteniamo importante, se possibile, fugare.
Pertanto, i sottoscritti hanno ritenuto di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri ed il ministro della giustizia per sapere, in primo luogo, chi fossero, all'epoca dei fatti, il presidente dell'IRI controllante, il presidente della STET ed il presidente di Italtel.
Si chiede di conoscere, in secondo luogo, quali operazioni societarie furono decise e poste in essere, tra il 1994 ed il 1999, tra la Siemens AG di Monaco di Baviera e le società italiane a capitale pubblico IRI, STET Spa e Italtel Spa, nell'ambito del piano di realizzazione di un «gruppo europeo di telecomunicazioni».
Vorremmo sapere, in terzo luogo, quale ruolo abbia svolto nella decisione ed esecuzione delle dette operazioni societarie l'allora presidente dell'IRI e successivamente Presidente del Consiglio pro tempore.
Chiediamo, in quarto luogo, se l'allora presidente dell'IRI conosca o abbia mai avuto rapporti con il suddetto ex alto funzionario della telefonia di Stato.
Vogliamo sapere, in quinto luogo, chi fossero, all'epoca dei fatti, e precisamente in data 12 maggio 1994, il presidente della banca Goldman Sachs e il legale rappresentante della società ASE, che della prima era consulente.
Domandiamo, inoltre, quale ruolo abbia rivestito, nella decisione ed esecuzione delle dette operazioni societarie, la banca d'affari Goldman Sachs.
Chiediamo, ancora, quali consulenze abbia fatturato alla citata Goldman Sachs, nel detto arco di tempo 1994-1999, la società ASE.
Vorremmo sapere, infine, se risponda al vero quanto riportato da alcuni quotidiani (cito di nuovo Panorama, il Sole 24 Ore e Libero), vale a dire che in un rapporto riservato della Siemens, come emergerebbe dalle indagini, si manifestava soddisfazione nell'aver concluso l'affare con gli italiani (maggio 1994), sottolineando la preoccupazione in merito all'elezione alla Presidenza del Consiglio dei ministri di Silvio Berlusconi, il quale, insieme a Mediobanca, avrebbe potutoPag. 24rimuovere l'allora presidente dell'IRI. In tal caso, si leggerebbe nel rapporto, come appunto riportato dalla stampa, «gli altri concorrenti avrebbero potuto migliorare l'offerta» (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia)!

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ricardo Franco Levi, ha facoltà di rispondere.

RICARDO FRANCO LEVI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Rispondo all'interpellanza urgente degli onorevoli Biancofiore, Bondi ed Elio Vito, augurandomi in premessa che essi possano apprezzare il fatto che si risponde immediatamente all'interpellanza da essi presentata nonostante la complessità dell'atto ed il tempo estremamente breve per l'istruttoria, essendo arrivata l'interpellanza stessa nella tarda serata del 12 dicembre ed avendo questo consentito solo poche ore di lavoro per la raccolta della documentazione e la relativa rielaborazione. Ci riserviamo pertanto, nella prossima seduta dedicata alle interpellanze urgenti, di completare l'informazione che potrò dare in questa sede, integrando tutti gli altri elementi.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bolzano ha fornito le seguenti informazioni. In primo luogo, ha comunicato che presso il suo ufficio è stato iscritto al n. 2080/04 del registro generale delle notizie di reato un procedimento penale a carico di Parrella Giuseppe ed altre otto persone per i reati di cui agli articoli 317, 319, 648-bis e 648-ter del codice penale.
Le indagini hanno ad oggetto, in particolare, il conseguimento, nel maggio del 1995, da parte del suddetto Parrella Giuseppe, ex direttore generale dell'azienda di Stato per i servizi telefonici, residente a Bolzano, già coinvolto e condannato nel passato in processi cosiddetti di «mani pulite», di una somma di denaro pari a circa 10 milioni di marchi tedeschi (equivalenti a 10 miliardi di lire dell'epoca).
Le complesse ed articolate indagini hanno permesso di appurare che detta somma di denaro è stata corrisposta a Parrella Giuseppe dalla Siemens AG di Monaco di Baviera, utilizzando fondi extracontabili costituiti su due conti aperti presso un altro istituto di credito, la Raiffeisen-Landesbank di Innsbruck, sui quali, tra il 1994 e il 1999, sono risultati transitare fondi per circa 150 milioni di marchi.
L'importo di 10 milioni di marchi corrisposto al Parrella è stato fatto transitare da Innsbruck, attraverso Guernsay, a Londra, e successivamente in Italia, venendo impiegato - ovvero, riciclato - in diverse attività finanziarie riconducibili al Parrella per mezzo di persone di sua fiducia.
In separati procedimenti penali, trattati sempre dalla procura di Bolzano, sono state, ad oggi, condannate complessivamente cinque persone che hanno aiutato il Parrella a far transitare o a reinvestire il denaro illecito, reati di cui agli articoli 648-bis e ter del codice penale.
Nel contesto di questi procedimenti a carico delle persone di fiducia del Parrella, la procura di Bolzano ha recuperato alle casse dell'erario un importo complessivo pari a circa 3,5 milioni di euro. In particolare, tale Gaetano Filippozzi, che ha agito quale prestanome, figurando quale titolare delle società e dei conti sui quali, come detto, prima a Guernsay e poi a Londra, sono transitati 110 milioni di marchi destinati a Parrella, ha definito la propria posizione - come peraltro ricordava l'interpellanza - con sentenza di patteggiamento ad anni uno e mesi dieci di reclusione, corrispondendo all'erario la somma di 100 mila euro a titolo di risarcimento del danno, ai sensi dell'articolo 62, punto 6, del codice penale, ammettendo di aver riciclato denari provenienti da «un'attività di mediazione di natura corruttiva» svolta da Giuseppe Parrella tra la Siemens AG e la STET per la realizzazione di un gruppo europeo di telecomunicazioni.
La procura di Bolzano ha poi comunicato che «le indagini sino ad oggiPag. 25compiute fanno ipotizzare che Parrella Giuseppe abbia conseguito il detto importo di denaro per avere agevolato la Siemens AG nell'acquisto di una quota della società Italtel, all'epoca controllata dalla STET, e mirano pertanto ad accertare se coloro che all'epoca dei fatti avevano poteri decisionali rispetto al perfezionamento del detto accordo abbiano a loro volta conseguito illecite azioni di denaro dalla Siemens AG e se rispetto a tali denari, siano stati commessi fatti di riciclaggio».
Il suindicato ufficio requirente ha, infine, fatto presente che, allo stato, non vi è prova alcuna che i dirigenti dell'epoca delle telecomunicazioni italiane abbiano percepito, in relazione al predetto affare, somme illecite di denaro. Le indagini, tuttavia, sono ancora in corso.
In merito alle ulteriori richieste formulate dagli onorevoli Biancofiore, Bondi e Elio Vito e ribadendo l'impegno ad integrare le informazioni in occasione della prossima seduta dedicata allo svolgimento di interpellanze urgenti, faccio presente che l'operazione in oggetto è stata perfezionata nella primavera del 1994 e che, comunque, la decisione in merito rientra e rientrava nell'esclusiva sfera di valutazione e di decisione - dati i rapporti esistenti all'interno del gruppo IRI - della società interessata (Italtel) e della sua controllante STET Spa, società quotata in borsa. La capogruppo IRI Spa è stata oggetto esclusivamente di una informativa.
Mi riservo comunque di completare le informazioni nella prossima occasione.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Biancofiore, vorrei precisare che è possibile integrare la risposta in una prossima seduta soltanto se i colleghi presentano una nuova interpellanza, non identica a quella in esame, vertente sullo stesso argomento.

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, prima di lasciare la parola alla collega Biancofiore per la replica, vorrei evidenziare che in questo caso siamo di fronte ad una fattispecie del tutto diversa, in quanto è lo stesso Governo che chiede di avere più tempo per completare la sua risposta, preannunciando che ciò potrà avvenire già nella prossima seduta. Noi siamo assolutamente d'accordo e forniamo dunque la nostra disponibilità in merito.

PRESIDENTE. Ovviamente, il problema è soltanto formale. Siamo tutti d'accordo nel consentire al Governo di integrare la sua risposta; tuttavia non vi sono precedenti di una risposta alla stessa interpellanza fornita in una diversa seduta. Quindi, ciò sarà possibile se i colleghi presenteranno per la prossima seduta uno strumento di sindacato ispettivo sullo stesso argomento. In ogni caso, vi sarà poi il modo di chiarire questo aspetto tecnico.
La deputata Biancofiore ha facoltà di replicare.

MICHAELA BIANCOFIORE. Signor Presidente, evidentemente non mi posso ritenere soddisfatta, anche perché - come dichiarato dal sottosegretario Levi - il Governo non ha avuto modo di approfondire la questione in oggetto, che è assai delicata. Ricordo, comunque, al sottosegretario che abbiamo seguito il regolamento della Camera ed il Governo si sarebbe conseguentemente dovuto adeguare.
Ciò che più rileva e che mi lascia totalmente insoddisfatta, a parte il casus di proporre un'altra interpellanza urgente e dare il tempo al Governo di approfondire la situazione ampiamente delicata, è il fatto che il sottosegretario Levi abbia spostato l'asse del discorso sulla decisione della procura della Repubblica di Bolzano, che io stessa ho citato. Egli ha ripercorso quanto da me espresso, senza minimamente rispondere ad alcuna delle domande da me poste, anche la più semplice tra queste, ovvero chi fossePag. 26all'epoca dei fatti, nel 1994, il presidente dell'IRI.
A differenza di quanto detto dal sottosegretario, l'IRI era, comunque, l'ente controllante, anche se oggetto di un'informativa (fatto di cui mi permetto di dubitare), e doveva dare il beneplacito ad una così ampia privatizzazione e vendita nei confronti di una società straniera, ed anche questo ritengo sia agli atti della procura della Repubblica di Bolzano. È gravissimo, signor sottosegretario, che si ribadisca, in questo rapporto, il timore che l'avvento al Governo di Silvio Berlusconi avrebbe potuto rimuovere l'allora presidente dell'IRI (che, anche se lei non l'ha citato, tutti sappiamo chi fosse) che era stato richiamato alla guida dell'IRI e che doveva assolutamente dare - lo ripeto - il beneplacito all'operazione.
Apprezzo il fatto che vi riserviate di rispondere ma sottolineo, ancora una volta, che non è stata data una sola risposta alle mie domande assolutamente precise. Agli occhi degli italiani ciò dimostra che in Italia vi è una nube che dovrebbe diradarsi prima o poi, costituita dall'eccessiva vicinanza tra un certo modo di intendere la politica e gli affari italiani, soprattutto relativamente a privatizzazioni che sono state un autentico fallimento, non ultima quella della Telecom (che, come tutti sappiamo, sta morendo sotto i debiti) ed altre già ricordate, tra cui la Cirio, che non sono positive per un'Italia democratica e che, soprattutto, deve avere credibilità agli occhi dei capitali internazionali e delle istituzioni internazionali (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Lega Nord Padania).

(Rinvio interpellanza urgente Colucci - n. 2-00280)

PRESIDENTE. Avverto che lo svolgimento dell'interpellanza urgente Colucci n. 2-00280 è rinviato ad altra seduta.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 19 dicembre 2006, alle 11.

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali (1955-A).
- Relatore: Fasciani.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 960 - Disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le università (Approvato dal Senato) (1961).
e delle abbinate proposte di legge: ANGELA NAPOLI; APREA ed altri (1399-1614).
- Relatore: Rusconi.

La seduta termina alle 11,45.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 13 dicembre 2006, le parole comprese dalla trentaduesima riga della seconda colonna di pagina 52 alla diciassettesima riga della seconda colonna di pagina 53 sono sostituite dalle seguenti:

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza e che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

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SILVANA MURA, Segretario, legge:
PIERGIORGIO WELBY, da Roma, chiede un'indagine parlamentare conoscitiva sulla pratica dell'eutanasia clandestina in Italia (138) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali); contestualmente numerosi cittadini, anche a nome dell'Associazione Luca Coscioni, si sono uniti a tale richiesta, richiedendo altresì la sollecita discussione delle proposte di legge A.C. 843, 1190, 1701, 1702 e 1739 in materia di eutanasia (139) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali);
LUIGI CARLUTTI, da Chiaravalle Centrale (Catanzaro), chiede l'impiego di tecnologie elettroniche per l'esercizio del diritto di voto e, in particolare, l'adozione di nuovi tipi di schede elettorali (140) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
GAETANO VICARI, da Enna, chiede un provvedimento legislativo per il riconoscimento e la tutela del lavoro casalingo (141) - alla XI Commissione (Lavoro);
PASQUALE CHIODI, da Gallo Matese (Caserta), chiede nuove disposizioni per il rilancio delle Scuole di specializzazione per le professioni legali (142) - alla II Commissione (Giustizia);
ANGELO CASELLA, da Verona, chiede norme per l'indennizzo dei beni perduti dai cittadini italiani in stati esteri a causa di eventi bellici (143) - alla V Commissione (Bilancio);
DIEGO MASSARI, da Arcisate (Varese), e numerosi altri cittadini, chiedono la modifica dell'articolo 64 della legge 17 maggio 1999, n. 144, in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali, con particolare riferimento alla data di decorrenza del trattamento di quiescenza nonché la sua estensione anche al personale ex dipendente degli enti indicati nella tabella allegata alla legge 20 marzo 1975 n. 70 (144) - alla XI Commissione (Lavoro);
EDOARDO MACRÌ, da Milazzo (Messina), chiede una riforma del sistema giudiziario che ammetta la possibilità, per il cittadino, di autodifendersi in giudizio (145) - alla II Commissione (Giustizia);
EMO PICCHI, da Castagneto Carducci (Livorno), chiede modifiche alle norme sulla successione ereditaria dei figli in caso di nuovo matrimonio dei genitori (146) - alla II Commissione (Giustizia);
MICHELA BORTOLUSSI, da Pordenone, e numerosi altri cittadini, chiedono l'incremento delle immissioni in ruolo del personale ATA oltre il numero di ventimila unità già stabilito dal disegno di legge finanziaria 2007 (147) - alla XI Commissione (Lavoro);
IOANNIS LIOUMIS, da Modena, e numerosi altri cittadini, chiedono:
l'abolizione delle graduatorie scolastiche permanenti a partire dal 2010 e le assunzioni per i posti liberi e vacanti a partire dall'anno in corso (148) - alla XI Commissione (Lavoro);
misure contro l'aumento del rapporto alunni/classi dello 0,4 per cento (149) - alla VII Commissione (Cultura).