Allegato A
Seduta n. 87 del 14/12/2006

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(Sezione 3 - Vicende giudiziarie del signor Abou Elkassim Britel)

C)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri degli affari esteri, della giustizia e dell'interno, per sapere - premesso che:
Abou Elkassim Britel, nato il 18 aprile del 1967 a Casablanca, a ventidue anni è emigrato in Italia, a Bergamo, dove ha lavorato come operaio, dal 1995 è sposato con Khadija Anna Lucia Pighizzini, residente a Bergamo, e dal 1999 è cittadino italiano;
la questura di Bergamo, nel 2000, ha aperto su Britel un fascicolo, avviando indagini su presunte finalità terroristiche, in base al fatto che in casa del fratello di Abou sarebbe passato un sospetto responsabile di una cellula terroristica in Italia;

il 3 luglio del 2001, alla vigilia del G8 di Genova, la casa di Abou e Khadija viene perquisita dalla polizia;
lo stesso anno Il Corriere della sera ha pubblicato la notizia del ritrovamento del numero telefonico di casa di Britel a Kabul, in un campo di addestramento talebano, denunciando che lo stesso Britel aveva fatto perdere le sue tracce;
Abou Elkassim Britel viene indagato dalla magistratura per presunta partecipazione all'organizzazione terroristica islamica Al Qaeda, avente come scopo il compimento di atti di violenza, alcuni dei quali commessi, presumibilmente, a Bergamo;
durante il procedimento in Italia, Britel è rimasto a piede libero, non sono state, infatti, messe in atto misure cautelari personali;
l'avvocato di Britel, Francesca Longhi, successivamente, ha presentato una denuncia contro la stampa per la pubblicazione di alcune notizie ritenute false;
nel giugno del 2001, con regolare passaporto italiano, Britel si reca in Pakistan, per ragioni di studio e di lavoro, viene fermato, il 10 marzo del 2002, a Lahore per un controllo e gli viene contestato il possesso di un passaporto italiano falso, nonché l'appartenenza a gruppi terroristici, accuse formulate anche in base alle segnalazioni della polizia italiana;
Britel viene trasferito, il 5 maggio del 2002, ad Islamabad, dove, per quattro volte, viene portato in una villa dove degli americani lo avrebbero minacciato e gli avrebbero fatto domande sulla sua appartenenza a gruppi terroristici, ma, soprattutto, gli avrebbero chiesta collaborazione per una supposta guerra al terrorismo in Italia;
nella notte tra il 24 e il 25 maggio del 2002, Britel con un aereo della Cia targato N379P, come risulta dalle indagini del Parlamento europeo sulle special rendition, viene trasportato insieme ad altri dal Pakistan in Marocco dove viene prelevato dalla Dst, i servizi segreti marocchini, e trasferito nel carcere di Temara;
per otto mesi e mezzo Britel viene tenuto recluso in un luogo dove non vengono garantiti i diritti più elementari e fondamentali della persona, viene torturato, gli viene assolutamente impedito di parlare con qualunque avvocato e non viene comunicato ai famigliari l'avvenuto arresto;
un rapporto dalla Federazione internazionale dei diritti umani sulle torture nelle carceri marocchine ha denunciato, già nel 2004, il caso Britel, ricordando che è cittadino italiano, che è stato trasferito in segreto e torturato fino all'11 febbraio del 2003, quando, senza alcuna spiegazione e senza che nel frattempo gli sia stata mossa alcuna accusa formale, è stato improvvisamente liberato;
a maggio del 2003 Britel e la moglie, che nel frattempo lo aveva raggiunto in Marocco, si preparano a lasciare il Paese con un documento provvisorio rilasciato dall'Ambasciata italiana, in quanto il passaporto ritenuto falso era stato sequestrato dai pakistani;
il 15 maggio 2003 Britel si appresta a varcare la frontiera terrestre tra il Marocco e la città spagnola di Melilla, ma viene arrestato al momento del passaggio del confine;
invano la moglie e il suo avvocato, Francesca Longhi, cercano notizie tramite la polizia, che risulta essere a conoscenza dei fatti: risulta, infatti, che l'ufficio della Digos di Brescia abbia ricevuto il 22 maggio 2003 una comunicazione dalla direzione centrale di polizia di prevenzione, nella quale i servizi segreti marocchini segnalavano che il signor Abou Elkassim Britel era stato fermato al confine con Melilla «perché in passato indicato quale frequentatore di un campo militare in Afghanistan. Inoltre, nonostante non ci fossero elementi tali da sostenere il coinvolgimento del Britel nell'attentato di Casablanca,

si starebbe comunque sottoponendo il medesimo ad interrogatorio»;
solo il 10 settembre 2003 giunge alla moglie e all'avvocato la notizia che Abou Britel è stato arrestato;
il 16 settembre del 2003, Britel, rinchiuso nella prigione di Salè, viene sottoposto a processo per banda armata e terrorismo, i quattro mesi nel carcere di Temara e i duri interrogatori lo hanno portato ad una confessione, il processo si svolge molto velocemente: il 3 ottobre 2003 Abou Britel viene condannato a 15 anni di carcere, in appello, il 7 gennaio 2004, la pena è ridotta a nove anni;
secondo il suo avvocato difensore, Britel è stato giudicato e condannato dalla magistratura marocchina, sostanzialmente, per reati di opinione e reati associativi, non ci sono contestazioni precise che vengono mosse ai danni di Britel, l'avvocato marocchino che lo assiste non ha potuto avere copia di nessun atto di indagine, né comprovare sia la prima e sia la seconda carcerazione segreta;
il 29 settembre 2006 il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Brescia, Francesca Morelli, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Francesco Piantoni, per «totale insussistenza di elementi di accusa processualmente utilizzabili, che consentano di affermare che gli indagati abbiano partecipato ad un'organizzazione terroristica islamica», ha archiviato il caso;
Abou Elkassim Britel si trova tuttora detenuto nella prigione di Ain Burja (Casablanca, Marocco), dove sta scontando la sentenza a nove anni di carcere -:
come intenda procedere, attivando i canali bilaterali con il Regno del Marocco, perché il cittadino italiano Abou Elkassim Britel venga immediatamente rilasciato ovvero riceva grazia reale dal sovrano del Marocco, Mohammed VI;
se non ritengano di dover avviare un'inchiesta interna al ministero dell'interno per verificare la catena di comando e la procedura in base alla quale un cittadino italiano, incensurato, possa essere per cinque anni oggetto di indagine e subire, con piena conoscenza delle autorità giudiziarie e di polizia, simili privazioni della libertà personale e violazioni dei diritti umani;
se non ritengano di dover chiarire le competenze tra i vari servizi di intelligence e di polizia in merito alle attribuzioni per ciò che riguarda i rapporti con polizie e servizi di intelligence stranieri;
se non ritengano doveroso appurare, con indagine interna al ministero della giustizia, come sia potuto accadere che un procedimento formalmente tanto rilevante sia rimasto per cinque anni negli uffici giudiziari, anche in fase di indagine preliminare.
(2-00259) «Locatelli, Migliore, De Simone, Daniele Farina, Folena, Frias, Guadagno detto Vladimir Luxuria, Khalil, Mantovani, Siniscalchi, Zipponi, Mungo, Mario Ricci, Provera, Smeriglio».
(4 dicembre 2006)