XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 785 di giovedì 27 aprile 2017
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI
La seduta comincia alle 9,05.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Adornato, Alfreider, Amoddio, Baldelli, Baretta, Bobba, Matteo Bragantini, Bratti, Brunetta, Caparini, Capelli, Catania, Cicchitto, Dambruoso, Di Gioia, Epifani, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Fraccaro, Garofani, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Guerra, La Russa, Laforgia, Locatelli, Manciulli, Marcon, Marotta, Mazziotti Di Celso, Paglia, Palladino, Palmieri, Pes, Piepoli, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rossomando, Sanga, Sani, Tabacci, Turco e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente centoventinove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 29 aprile 2017 (ore 9,10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 29 aprile 2017.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 12 aprile 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 12 aprile 2017).
(Intervento del Presidente del Consiglio dei ministri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Paolo Gentiloni Silveri.
PAOLO GENTILONI SILVERI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signora Presidente, onorevoli colleghi, l'informativa riguarda il Consiglio europeo straordinario di sabato, che ha un unico punto all'ordine del giorno, che è Brexit. Dopo dieci mesi dal voto referendario nel Regno Unito, si avvia formalmente, con la riunione di sabato, che deve dare le linee guida e un mandato a una delegazione negoziale dell'Unione europea, il processo, previsto dall'articolo 50 dei Trattati di Lisbona, di separazione del Regno Unito dall'Unione europea.
I dieci mesi che sono trascorsi dalla data del referendum britannico non sono stati dieci mesi qualsiasi. Innanzitutto perché Brexit - la vittoria del leave nel referendum inglese - è stato, in un certo senso, un riflettore acceso su uno dei momenti di difficoltà e di crisi più significativi nella storia pluridecennale dell'Unione europea. Credo che tutti noi abbiamo nella memoria, ma abbiamo ben presente anche nella realtà, quanto ci sia stato e ci sia tuttora un collegamento tra la decisione di una maggioranza, sia pure molto ristretta degli elettori britannici, di lasciare l'Unione e i venti di crisi che l'Unione hanno attraversato.
Al tempo stesso, in questi dieci mesi, tuttavia, dati economici e risultati politici hanno alimentato la speranza: non solo la speranza di poter conservare il progetto dell'Unione, il progetto europeo, il progetto che, da oltre sessant'anni, vede impegnato il nostro Paese insieme ad altri, ma anche la speranza di poter lavorare per una Unione più forte, soprattutto per una Unione più in grado di affrontare i problemi che ha di fronte e che sono all'origine della sua difficoltà.
Non sarebbe, del resto, la prima volta nella storia dell'Unione europea che un momento di evidente, conclamata, grande difficoltà, di cui Brexit - ripeto - è stata, in un certo senso, anche il riflettore, si traduce in una capacità di reazione e in una capacità dell'Unione di uscire dal momento di difficoltà, cercando strade nuove. Non siamo ancora a questo, non credo che dobbiamo dipingere una realtà più positiva di quella che è, ma non c'è dubbio che di questo noi abbiamo avuto alcuni segnali.
Devo dire anche, con un certo orgoglio, un orgoglio non tanto del Governo, ma l'orgoglio, credo, del Paese, che siamo stati anche noi, qui a Roma, esattamente un mese fa, protagonisti come sistema Italia e come città di Roma, per il valore simbolico che ha avuto questo incontro, di uno di questi segnali di ripresa, di vitalità, di temperie positiva dell'Unione europea, che è stata la celebrazione dei sessant'anni dell'Unione, che ha avuto, credo, un certo interesse per un paio di ragioni, oltre al clima positivo in cui questa celebrazione è avvenuta.
La prima ragione è stata il fatto stesso che i 27 Stati membri dell'Unione europea abbiano sottoscritto una dichiarazione comune. Qualcuno potrebbe dire: ci mancherebbe altro che non si sottoscrivesse una dichiarazione comune in occasione di un anniversario così rilevante; ma noi sappiamo che, in realtà, l'esito non era affatto scontato e sappiamo che, ad esempio, dieci anni fa, nell'occasione dei cinquant'anni dei Trattati di Roma, nonostante uno sforzo durato per settimane, non si riuscì a firmare una dichiarazione comune: la dichiarazione del cinquantenario dei Trattati fu firmata soltanto dai rappresentanti delle istituzioni di Bruxelles e non dagli Stati membri.
Al di là di questo - ripeto e lo dico, avendoci in parte anche speso una certa quantità di lavoro -, al di là del fatto importante in sé che i 27 hanno sottoscritto questa dichiarazione impegnativa per i prossimi dieci anni dell'Unione, c'è anche il merito di questa dichiarazione, che, al di là dei i punti essenziali, che credo tutti ben conosciamo - del condiviso discorso europeo -, contiene tuttavia un elemento di novità, che al momento è semplicemente una novità potenziale, ma che tutti, credo, abbiano ampiamente colto e registrato: per la prima volta, si introduce la possibilità, perfino l'importanza e l'utilità, di avere, nell'ambito della costruzione europea, una prospettiva di livelli differenziati di integrazione.
Voi sapete che uno dei dogmi fondamentali dell'Unione europea è sempre stato quello di una unione che, nel complesso dei suoi Stati membri, ha come traguardo, come obiettivo, quello di una integrazione sempre maggiore, la ever closer union tra i diversi Paesi. Non si cancella naturalmente questa aspirazione, ma si introduce l'idea che, nell'ambito di questa cornice, ci possano - e noi riteniamo ci debbano - essere dei terreni sui quali avanzano livelli di integrazione differenziata, perché la negazione di questa possibilità finisce per essere soltanto la presa d'atto che il ritmo di movimento dell'Unione europea finisce per essere dettato dai Paesi che pretendono - legittimamente, se questa è la decisione dei loro Governi - di rallentare tutti i processi di integrazione. Ma è chiaro che, se un convoglio che ha 27 vagoni si muove necessariamente alla velocità dettata dal più lento di questi 27 o da quello che vuole procedere più lentamente, il risultato non è certo dei migliori. Quindi, credo che si possa dire, di questi giorni, settimane, che ci separano dalle celebrazioni di Roma, dal tempo trascorso in questi mesi, dopo la decisione di Brexit, dalle settimane trascorse dopo la formale decisione del Governo di Londra di attivare l'articolo 50 del Trattato dell'Unione, alla fine io credo che si possa dire che coloro che temevano o speravano - perché c'erano entrambe le opinioni - che Brexit sarebbe stata una miccia per l'implosione dell'Unione europea, si sono sbagliati. Le cose non sono andate così e questo non significa affatto sottovalutare l'importanza di Brexit, significa registrare il fatto che dall'Austria all'Olanda - mi auguro, alla Francia, nei prossimi dieci giorni - sono venuti dei messaggi chiari, non che negano l'esistenza di problemi, di difficoltà, perfino di crisi nel progetto europeo, ma che registrano il fatto che le forze che legittimamente ritengono che da questi problemi e da queste difficoltà si debba uscire abbandonando l'Unione europea sono delle minoranze. E questo, a mio parere, è un segnale molto positivo e incoraggiante per il destino dell'Unione europea e di quanto noi italiani abbiamo investito e investiamo nel progetto dell'Unione.
La maggioranza dei cittadini europei, stando a quello che si vede da pronunciamenti più recenti, e io ne sono fortemente convinto, è una maggioranza che tuttora si schiera per una società aperta. La maggioranza dei cittadini europei ritiene che il patriottismo, che è un valore in cui - credo - tutti gli italiani si riconoscono, non debba essere confuso con una sorta di nazionalismo ostile nei confronti dei propri vicini. La maggioranza dei cittadini europei ritiene che, attraverso il dialogo, gli scambi commerciali, il confronto culturale e il dialogo interreligioso, ci sia la possibilità di costruire il progresso, il benessere, il futuro del nostro continente, e questa è una verità che è andata emergendo in questi mesi, che mi auguro continui ad emergere nei prossimi mesi e che ci conforta nell'impostazione che credo dobbiamo avere nei confronti dell'Unione europea.
Sabato, onorevoli colleghi, approveremo un documento con le linee guida per il negoziato con il Regno Unito, documento la cui condivisione, mettiamola così, si sta perfezionando in queste ore tra i 27. Oltre al documento con le linee guida, daremo inoltre un mandato a una delegazione, che, come sapete, è guidata da Michel Barnier, ex Ministro francese, un negoziato che, immagino, entrerà nel vivo nelle prossime settimane, dopo l'appuntamento dell'8 giugno, non credo prima dell'appuntamento dell'8 giugno, data che, come è noto, è stata scelta dal Primo Ministro britannico per delle elezioni rapide nelle quali Theresa May chiederà un mandato in parte finalizzato anche a questo stesso negoziato, per il quale sabato approveremo le linee guida e daremo mandato a una delegazione dell'Unione, e che quindi, immagino, dalla metà di giugno prenderà il via.
Noi ci muoviamo dentro questo negoziato con alcuni principi ispiratori: il primo, al quale io sono molto affezionato, è che noi siamo e restiamo amici e alleati del Regno Unito, non confondiamo le dinamiche che si sono aperte con Brexit e che certamente non saranno semplici da gestire nei prossimi mesi, perché tutti sanno che sarà un negoziato molto complicato, su tantissimi dossier, che apparentemente sono molto tecnici e specifici, ma che investono categorie produttive, comunità, interessi di enormi dimensioni.
Ma nonostante la complessità del negoziato, un punto a mio parere deve essere fuori discussione, e cioè il fatto che ci lega al Regno Unito una radicata e antica amicizia geopolitica di interessi comuni, di condivisione nella NATO e in altri contesti, che sarebbe assolutamente un errore trascurare, dimenticare e rinnegare di fronte a questa nuova dimensione. Lo voglio dire in modo ancora più chiaro: se qualcuno - e in parte c'è questa sensibilità in alcune componenti nel contesto dei 27 Paesi europei - avesse in mente che la posizione inglese debba essere in qualche modo punita, quasi con una vendetta esemplare che possa essere di insegnamento ad altri Paesi che coltivassero l'idea di uscire dall'Unione europea, quindi dando un messaggio molto, molto aggressivo nei confronti del Regno Unito in modo tale che non ci siano tentazioni da parte di altri Paesi, a mio parere compirebbe un grave errore, perché noi abbiamo interesse a un accordo con il Regno Unito, giusto, equo, e perché noi sappiamo bene che mettere in discussione, mettere in minoranza le spinte che ci sono in diversi Paesi europei a considerare l'uscita dall'Unione come una risposta ai problemi, non lo si fa perché si impartisce una dura lezione al Regno Unito, ma lo si fa nella dinamica interna ai diversi Paesi, nel confronto aperto e leale tra le posizioni, nella fiducia, per quanto ci riguarda, nel progetto storico dell'Unione e nella possibilità che questo progetto, oggi, venga rafforzato. Quindi, un'amicizia che non si rinnega e un intento vendicativo che l'Italia, se mai ci fosse, non condivide e considererebbe un errore.
Secondo punto. Noi siamo fermi - ed è una posizione direi condivisa dal 90 per cento dei Paesi europei - sull'idea che si debbano distinguere, nel negoziato con il Regno Unito, due fasi: una prima fase, nella quale si negoziano le modalità del recesso, secondo le regole previste dall'articolo 50, del Regno Unito dall'Unione; e una seconda fase, nella quale sì definisce il quadro nuovo, diverso da quello attuale, dei rapporti tra Regno Unito e Unione europea.
Nel frattempo, tra queste due fasi si possono anche definire degli accordi limitati e di durata ben definita su alcune singole questioni che difficilmente possono restare appese nel corso di due anni o anche più, perché sapete che l'articolo 50 prevede un termine di due anni per il negoziato sul recesso dall'Unione, ma non ci sono precedenti su quanto possa durare un negoziato sulla ridefinizione dei rapporti tra un Paese così importante come il Regno Unito e l'Unione europea, anzi ci sono dei precedenti per la definizione di rapporti con Paesi importanti come il Canada o aree specifiche come la Groenlandia, che hanno portato anni e anni di negoziati, nel corso degli anni precedenti a questo. Quindi, può darsi che siano necessari degli accordi limitati, di durata definita, proprio perché è difficile oggi fare una previsione sulla durata, che noi ci auguriamo rapida, non del recesso, perché lì i tempi sono chiari e stabiliti da trattati, ma sulla durata del nuovo quadro di rapporti tra Unione e Regno Unito.
Sarà il Consiglio europeo a decidere quando passare, se volete, dalla prima alla seconda fase, quindi dalla fase del recesso alla fase del quadro dei nuovi rapporti. Una cosa è certa, naturalmente: che questo quadro dei nuovi rapporti di cui si comincerà a discutere - sia pure non negoziandolo da subito, se ne sta, in realtà, discutendo già da nove mesi - non può essere caratterizzato da una sorta di mercato unico à la carte che verrebbe concesso al Regno Unito, perché è evidente che il mercato unico è una straordinaria risorsa per qualunque dei ventotto - e in futuro ventisette - Paesi membri dell'Unione, come dimensioni del mercato, come potenzialità economica per le imprese, per i cittadini che si muovono, ma non si può immaginare che qualcuno decida di questa enorme risorsa del mercato unico di prendere ciò che gli interessa e, cioè, la parte economico-finanziaria, e di chiudere su ciò che non gli interessa e, cioè, la libera circolazione delle persone, ad esempio. Quindi, la conclusione di questi nuovi rapporti sarà una conclusione che non potrà che ridefinire questi rapporti e non potrà essere, invece, una conclusione che tiene il mercato unico, togliendone alcuni pezzi sgraditi al Governo di Londra.
Infine, io credo che sia utile sottolineare, come io, personalmente, ho sempre fatto, che l'unità tra i 27 Paesi membri dell'Unione in questo negoziato è assolutamente cruciale: lo è per i 27, ovviamente, per ragioni negoziali, ma lo è anche per il Regno Unito, e mi sono permesso di dirlo più volte al Primo Ministro britannico. Perché immaginare che i 27 divisi, ciascuno ingaggiato in un negoziato che possa riguardare i propri più specifici interessi, può apparire come un vantaggio, ma, in ultima analisi, rischia di essere una pietra tombale sulla possibilità di raggiungere un accordo, perché l'accordo, una volta raggiunto, dovrà essere, poi, approvato dall'insieme dei 27 Paesi membri dell'Unione europea e, quindi, in un certo senso, mantenerne l'unità è fondamentale anche per i nostri amici britannici nel corso di questo negoziato.
Noi confidiamo che si arrivi ad un quadro di nuovi rapporti con il Regno Unito positivo, è nell'interesse del nostro sistema economico, delle nostre imprese, degli scambi che abbiamo con questo grande Paese, anche se bisogna dire che l'Italia non è tra i Paesi più - tra virgolette - colpiti, più a rischio: ci sono altri Paesi europei che hanno un livello di integrazione e di interscambio con il Regno Unito molto, molto più rilevante del nostro. Ma noi siamo interessati che la storia del quadro di relazioni tra l'Unione e questo Paese finisca nel migliore dei modi.
Così come siamo interessati in modo molto netto al fatto che tra le priorità di questo negoziato, anche nella sua fase immediata, ci sia il destino dei cittadini dei diversi Paesi dell'Unione europea che attualmente risiedono nel Regno Unito: si tratta di 3.200.000 cittadini europei, all'incirca un 15 per cento di questi sono italiani, che risiedono nel Regno Unito. Noi abbiamo il dovere e il diritto di pretendere per questi nostri concittadini diritti e tutele amministrative certe, immediatamente applicabili, non discriminatorie e basate su un principio di reciprocità con i cittadini britannici: sono 900 mila che vivono nei diversi Paesi dell'Unione. Ci sono alcuni Paesi e, soprattutto un Paese, la Spagna, in cui ci sono più cittadini britannici di quanti spagnoli ci siano nel Regno Unito. Normalmente è il contrario, ma, certamente, dobbiamo fondare questo negoziato su questo punto: su certezze e reciprocità.
Ce lo chiedono i nostri concittadini e credo che sia un nostro dovere porre - e lo faremo - questa come questione assolutamente prioritaria nella prima fase del negoziato.
Infine, il negoziato e, comunque, l'uscita del Regno Unito, oltre a imporre queste diverse discussioni apre per il nostro Paese anche alcune opportunità: opportunità sul piano economico, finanziario - avremo modo credo di discuterne nei prossimi mesi ampiamente - e anche opportunità di competere nella ridislocazione di alcune delle grandi agenzie europee che hanno sede oggi a Londra - sono due le più grandi: una di carattere finanziario e l'altra sui farmaci - e che sono destinate ad essere ridislocate. In particolare, voi sapete che Milano si candida e il Governo è pienamente impegnato a sostenere questa candidatura: io ho dato incarico al professor Moavero Milanesi, ex Ministro per gli affari europei, d'intesa con il sindaco Sala e con il presidente Maroni, di seguire per conto del Governo questo dossier. Penso che Milano abbia delle ottime chance per le sue caratteristiche di ospitare questa grande agenzia europea, però sappiamo anche che ci sono una ventina di Paesi candidati, quindi, non sarà una competizione semplice. Ce la possiamo giocare e credo sarebbe molto importante per il sistema Italia arrivare ad un buon risultato.
In conclusione, è chiaro, signora Presidente, onorevoli colleghi, che, in parallelo con questa discussione, con questo negoziato su “Brexit”, ci attende anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi un più generale confronto sul futuro dell'Unione. Un confronto nel quale - tanto più in un'Europa a 27, in cui i grandi Paesi non sono più quattro, ma diventano tre, per intenderci - l'Italia non solo può, ma deve svolgere un ruolo da protagonista. Un ruolo nel quale, al di là delle ovvie differenze nelle posizioni di ciascuno, è fondamentale per il Governo il confronto, la dialettica e, se possibile, quando è possibile, il supporto del Parlamento.
La discussione sarà sugli orizzonti dell'Unione europea nelle prossime settimane, anzitutto per quanto riguarda le sue politiche economiche, perché ci sono dati macroeconomici incoraggianti, anche se in modo differenziato da Paese a Paese, ma che, in generale, vedono, a livello macroeconomico, la crescita con dei lievi miglioramenti, i tassi di disoccupazione con delle lievi flessioni, i tassi di inflazione con una lieve crescita, un quadro macroeconomico tendenzialmente più incoraggiante.
Ma noi sappiamo perfettamente che la logica dei numeri macroeconomici non coincide necessariamente, anzi, talvolta, non coincide quasi per nulla, con il fatto che le dinamiche sociali, il superamento delle ferite provocate dalla crisi di otto-dieci anni fa siano effettivamente superate. Questo è il motivo per il quale oggi servono politiche di sostegno alla ripresa a livello europeo; serve proseguire nelle politiche di stimolo della Banca centrale europea; serve che prenda il verso giusto la discussione in corso sui criteri di aggiustamento strutturale e sul loro adeguamento alle necessità che abbiamo oggi.
Questa è una discussione che sarà importantissima nel prossimo mese: le matrici e i criteri attraverso i quali l'Unione europea discute dell'aggiustamento strutturale delle diverse economie. Si tiene conto, con questi criteri, della realtà dei livelli di crescita e, quindi, dell'importanza di non deprimere tali livelli di crescita, ma di incoraggiarli, oppure si fa una discussione basata soltanto su alcuni numeri, che sono stati decisi magari sette-dieci anni fa?
Questo è un bivio per l'Unione molto importante e, guardate, non è una richiesta dell'Italia. Certamente l'Italia è tra i Paesi interessati a tale discussione, ma essa riguarda un numero molto, molto consistente di Paesi europei e, se li mettiamo tutti insieme, forse addirittura la maggioranza dal punto di vista del PIL dei Paesi europei. Vedremo se riusciremo a costruire una posizione comune che porti ad avere posizioni più avanzate sugli aggiustamenti strutturali.
Il secondo punto è quello delle politiche migratorie. Ne abbiamo parlato tante volte in questa sede, in Parlamento, quindi mi limito a ribadire un punto che il Governo ha sempre sostenuto, cioè che noi non accettiamo l'idea, come ho detto più volte, di un'Europa a due rigidità, ossia un'Europa che sia molto rigida su alcuni criteri, quando si calcolano, ad esempio, le dinamiche di applicazione dei patti fiscali, e sia invece molto flessibile, quando si devono applicare le decisioni sulla ricollocazione dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Questa logica per noi non è accettabile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e Civici e Innovatori) e quindi siamo convinti che si debba procedere; e guardate che tutto quello che è stato fatto in questi due anni verso politiche migratorie comuni dell'Unione europea è stato fatto a trazione italiana: dal primo vertice che facemmo dopo l'affondamento della nave a largo delle coste libiche, nel maggio del 2015, alle ultime vicende di queste settimane sull'Accordo con la Libia e con il Niger, in questa politica, che spinge per una politica migratoria comune, l'Italia fa da traino all'insieme dell'Unione europea. Ci sono passi avanti, ma la lentezza di questi passi avanti va superata e l'idea di rigidità diverse a seconda del tema per noi non è accettabile.
Infine, ci sarà da discutere di questo principio che abbiamo introdotto nella Dichiarazione di Roma dei diversi livelli di integrazione. È una porta che è stata dischiusa: bisognerà, nei prossimi mesi, riempire tale potenzialità di contenuti e io sono convinto che il primo dossier su cui si faranno passi in avanti, anche perché è il contesto internazionale che ci spinge in questa direzione, sarà il dossier della difesa comune, che è nel nostro interesse dal punto di vista sia geopolitico sia dell'ottimizzazione delle risorse dedicate al settore della difesa.
Quindi, credo che dobbiamo caratterizzarci, in parallelo, ripeto, con i negoziati su Brexit, nei prossimi mesi, durante i quali tali vicende si intrecceranno ad appuntamenti elettorali di grande rilievo e ci sarà un dibattito sul futuro dell'Unione, dobbiamo caratterizzarci per coloro che si battono non solo per tutelare gli interessi italiani, ma per concorrere a definire la cornice del destino comune. Infatti, sono sempre stato convinto e lo sono più che mai che il modo migliore per difendere e tutelare gli interessi italiani sia quello di svolgere un ruolo da protagonisti, come Italia, nella definizione del destino comune ed è questo che il Governo farà, a cominciare dall'incontro di sabato, mi auguro con il sostegno del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista, Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD, Civici e Innovatori, Democrazia Solidale-Centro Democratico e Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIEe di deputati del gruppo Misto).
PRESIDENTE. La ringrazio, Presidente del Consiglio, per la sua relazione.
(Discussione)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
È iscritta a parlare l'onorevole Garavini. Ne ha facoltà.
LAURA GARAVINI. Presidente, Presidente del Consiglio, onorevoli membri del Governo, onorevoli colleghi, la Gran Bretagna vuole abbandonare l'Unione europea e fa male: fa male il fatto che un grande e importante Paese come il Regno Unito non voglia più essere parte della nostra comunità, ma non possiamo non tenere conto che questa decisione è frutto di una scelta espressa democraticamente, che non possiamo che accettare.
I britannici, sia pure attraverso una risicata maggioranza, si sono espressi contro l'Unione europea. La richiesta ufficiale di recesso, presentata alcune settimane fa, non è che la logica conseguenza del referendum.
Rincresce molto che la Gran Bretagna se ne vada, perché è stata parte integrante dell'Europa e della storia europea, nonostante che i britannici, in più occasioni, abbiano dato filo da torcere all'Europa con i loro ostruzionismi, con le loro pretese, ma, tutto sommato, anche questi conflitti in passato sono stati costruttivi e, in ogni caso, il contributo della Gran Bretagna all'economia, alla cultura e a tutta una serie di settori è assolutamente fuori discussione. L'addio di Londra è una perdita vera e profonda per tutti gli europeisti più convinti.
Adesso ci aspettano tre compiti importanti: organizzare per bene l'uscita del Regno Unito; creare le condizioni per una corretta collaborazione futura; potenziare la nostra attrattività, così da rendere in grado di cogliere eventuali opportunità che possano scaturire per l'Italia dalla Brexit. Nessun atteggiamento vendicativo, ma chiarezza, per quanto ci addolori essere arrivati a questo punto: questo divorzio non può determinare trattamenti di favore.
Per prima cosa, dal punto di vista finanziario la Gran Bretagna deve rispettare tutti i suoi obblighi o, detto in altri termini, citando una famosa frase dell'allora Premier Margaret Thatcher, l'Europa nel corso degli accordi deve dire chiaramente “I want my money back”, voglio indietro i miei soldi perché, se in campagna elettorale i sostenitori della Brexit si sono ben guardati dall'ammettere che l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa sarebbe costata un sacco di soldi e avrebbe comportato grosse perdite il Paese, la realtà è che Londra deve ancora la bellezza di 60 miliardi di euro all'Europa e il Presidente della Commissione Juncker fa bene a pretendere indietro questa cifra.
I britannici hanno scelto autonomamente di imboccare la strada della Brexit: il conto per uscire dall'Europa è salato, ma, nonostante la grande stima e affetto che noi nutriamo per il Regno Unito, qui non c'è motivo che debba indurre a concedere sconti speciali.
Inoltre, secondo punto, bisogna creare i presupposti per una collaborazione futura che sia seria e all'insegna della correttezza. Ha fatto bene il Parlamento europeo a precisare che non si può uscire dall'Unione europea e contemporaneamente aspettarsi di continuare a godere degli stessi privilegi di prima. Non ci può essere la moda di togliere l'uvetta sultanina dal panettone, lasciando il resto agli altri. Questo concetto va rimarcato. In altri termini, non è che si possa pretendere di continuare a godere della libera circolazione di merci e di capitali tra l'Europa e la Gran Bretagna e poi non ammettere la piena libertà di movimento per le persone. Se, come mi auguro, la Gran Bretagna vorrà continuare ad avere stretti rapporti con l'Europa, allora non è che possa limitare la mobilità degli europei.
Questo sarà sicuramente uno dei temi più complicati all'interno delle trattative, ma ritengo che l'Europa non possa lasciare che i propri cittadini diventino merce di scambio sul tavolo delle trattative. L'Europa deve dare massima priorità agli interessi della propria gente: europei oltre 3 milioni, dei quali 600.000 italiani. Giovani, professionisti, italiani, studenti, semplici lavoratori, cuori e teste che hanno maturato diritti ed esattamente vanno tutelati questi diritti sia che siano diritti di cittadinanza, diritti previdenziali, diritti sociali, diritti all'istruzione o alla ricerca.
Allo stesso modo è auspicabile che si garantisca ancora l'acquisizione della cittadinanza britannica dopo cinque anni, anche nell'ipotesi in cui si sia avuta la residenza in Gran Bretagna prima o dopo la Brexit.
Ma non ci sono solo sfide, ci sono anche opportunità per l'Europa e per l'Italia. È importante adesso prodigarsi per cogliere tali occasioni proprio nella direzione che il nostro Governo sta già seguendo nel rafforzare il ruolo dell'Italia fra i Paesi guida dell'Europa, nel fare sì che l'Italia concorra da protagonista alle possibili chance in divenire in tutti i settori: ad esempio, nel tentativo di intercettare il possibile trasferimento di alcuni organismi europei, così come pure nel migliorare la nostra attrattività per la localizzazione in Italia di segmenti di elevata specializzazione nel settore bancario, finanziario o in altri.
Insomma, serve una linea chiara, una linea netta nelle trattative: dobbiamo restare buoni partner, anche perché l'Italia presenta il maggiore avanzo commerciale nei confronti del Regno Unito, dopo la sola Germania; quindi abbiamo tutto l'interesse a mantenere buoni rapporti, ma ci devono essere fondamenta di correttezza per questa collaborazione.
In ogni caso, Presidente, bisogna che Bruxelles prenda molto sul serio le cause che hanno determinato la Brexit e tutte le critiche antieuropeiste che si moltiplicano nei diversi Paesi membri. Abbiamo bisogno di un'Europa migliore, il che non significa criticare l'Europa: significa battersi per cambiarla in meglio in modo convinto e costruttivo, esattamente la sfida a cui stiamo lavorando come Partito Democratico.
Viceversa, chi critica l'Europa sono quelli che stanno con i Farage, con i Le Pen, con i populisti antieuropeisti che aizzano le paure della gente. Noi vogliamo migliorare l'Europa, vogliamo un'Europa più vicina ai bisogni della gente. Noi non stiamo con i sovranisti, che seminano angoscia; stiamo con le centinaia di migliaia di giovani e di persone che, per rilanciare i sessant'anni dei Trattati di Roma, sono scesi nelle piazze di tutta Europa al motto di “Pulse of Europe”, proprio per dire “Noi siamo l'Europa”.
L'Europa continua ad essere il più grande successo della nostra generazione e noi ci battiamo perché questo successo sia in futuro ancora più forte, più equo e più solido, esattamente ciò a cui sta lavorando il nostro Governo. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giancarlo Giorgetti. Ne ha facoltà.
GIANCARLO GIORGETTI. Grazie, Presidente; Presidente del Consiglio, lei ha elencato una serie di principi a cui si atterrà nella trattativa, nel negoziato di questo Consiglio straordinario che, in effetti, ci sembra molto straordinario, per i motivi che le dirò. Ma partirei dal principio dei principi, che si chiama democrazia.
Parlando di Brexit, dobbiamo dire che gli inglesi ci hanno dato una grande lezione di democrazia, in tutti i sensi: con il referendum con il quale hanno fatto esprimere il proprio popolo; con il fatto che il Primo Ministro, che ha voluto e indetto questo referendum, si è dimesso, si è dimesso sul serio, e ha lasciato la politica; per il fatto che il Presidente del Governo e Primo Ministro, Theresa May, ha doverosamente ritenuto di chiedere nuove elezioni per avere un mandato pieno per portare avanti l'uscita dell'Unione europea del Regno Unito. Un esempio di democrazia, la democrazia come principio dei principi, a cui poi doversi attenere per qualsiasi azione che andremo a fare.
Dicevo un Consiglio straordinario, perché è surreale che si vada a decidere che cosa fare da parte dell'Unione europea nei confronti del Regno Unito nel momento in cui ci sono elezioni indette nel Regno Unito stesso, non c'è ancora di fatto un Governo in Olanda, si sta votando in Francia, si voterà in Germania e spero che si voti anche in Italia. Ma allora, se questa è la situazione, su quali basi solide si può instaurare un negoziato, posto che, tra qualche mese, magari, avremo uno scenario completamente diverso?
E mi permetta di dissentire da lei quando dice che ci sono segnali, in giro per l'Europa, di un nuovo afflato europeista, che i popoli vogliono l'Europa. Quello che io vedo in giro per l'Europa è un grande voto contro, ma non contro l'Europa, contro chi governa. Come si fa a leggere nel voto francese un grande vuoto europeista, quando Macron - per carità, ha vinto il primo turno con il 24 per cento di voti sinceramente europeisti -, quando magari vincerà il ballottaggio, lo farà non per l'Europa, ma contro la Le Pen? Non confondiamo le cose.
In realtà, a ben vedere, l'unico vuoto significativo “per” è quello che ci sarà in Germania, laddove i tedeschi, quando voteranno, dovranno risolvere il dilemma di Thomas Mann, cioè se vogliamo un'Europa tedesca o una Germania europea. Quello sarà l'unico voto “per” e, da lì in poi, discenderà tutto il resto.
Noi dobbiamo muoverci - è quello che chiediamo noi - in base al principio dei principi: la democrazia, perché il referendum sulla Brexit non nasce dal nulla. Ce la ricordiamo la Costituzione europea del 2004, quando quella cosa lì - perché definirla “Costituzione” francamente mi sembra eccessivo - è andata al voto popolare in Francia e in Olanda ed è stata rispedita al mittente ed è finito tutto?
Lì c'erano i germi del cosiddetto populismo di cui si va parlando adesso. Ogni volta che le decisioni prese con gli alambicchi della chimica, nei segreti palazzi di Bruxelles, vengono sottoposti al voto popolare, al principio dei principi, la democrazia, vengono rispedite al mittente.
Sull'euro - perché poi dai negoziati abbiamo scoperto che dall'Unione europea si può uscire, ma dall'euro no -, sempre per parlare di democrazia, ho trovato questa citazione di Jacques Attali, che ho scoperto essere il maestro, il padre putativo di Emmanuel Macron: “Abbiamo deliberatamente previsto di non poter uscire dall'euro, questo non è molto democratico, ma è una garanzia per rendere le cose più difficili, in modo che fossimo costretti ad andare avanti”. Non mi sembra, nell'Europa del 2017, un modello da seguire.
Il modello da seguire è costruire un'Europa che sia condivisa dai suoi popoli, dove ci sia un idemsentire; il modello forse da seguire - o meglio, secondo noi lo è sicuramente - è quello di mettere in comune ciò che merita di essere messo in comune, dove c'è un sentimento comune, che effettivamente i popoli europei ritengono che sia opportuno, questo è veramente lo spirito dei Trattati di Roma.
Onestamente, queste folle gigantesche in giro a Roma e per l'Europa, ad esultare per i trattati, francamente non l'ho viste.
Vado a concludere rapidamente. Penso che la sfortunata piattaforma “Cameron”, quella che in qualche modo gli inglesi hanno respinto, sia una base interessante da seguire. Si è dimostrato - perché la stessa Unione europea l'aveva controfirmata - che si può discutere in Europa del fatto che non in automatico la legislazione europea venga tradotta nelle legislazioni nazionali, dove ci possono essere legislazioni sull'immigrazione distinte per ogni singolo Paese, dove ci può essere un welfare distinto per ogni singolo Paese. Da quella piattaforma, secondo noi, dovrebbe ripartire un ragionamento, ma per noi vale e varrà sempre il principio dei principi: la democrazia e le ragioni dei popoli (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Maurizio Lupi. Ne ha facoltà.
MAURIZIO LUPI. Grazie, signora Presidente. Signor Presidente del Consiglio, le dico subito che avrà sulle linee e sui contenuti dell'intervento che ha fatto al Parlamento il sostegno convinto del nostro gruppo parlamentare, quello di Alternativa Popolare, ma a me interessa in questa discussione, in questi pochi minuti, sottolineare due grandi questioni, che, tra l'altro, sono state, in modo forte, l'inizio del suo intervento e la conclusione del suo intervento.
La prima: certamente non c'era bisogno della Brexit, del referendum del Regno Unito, per capire che l'Europa fosse in grande difficoltà. Lo percepivamo tutti, lo dicevamo tutti, chiedevamo tutti che ci fosse una grande riflessione sul senso e sullo scopo dell'Europa. La Brexit ha fatto esplodere in maniera chiarissima ed evidente questa grande difficoltà.
Lei ha fatto riferimento anche alle elezioni francesi: la sfida che abbiamo davanti - e le elezioni francesi lo testimoniano - non è quella di superare le difficoltà dell'Europa, ma di avere coscienza tutti, tutti quelli che credono nell'Europa, tutti quelli che sono stati fondatori dell'Europa, che l'Europa oggi ha una grande sfida, quella di essere rifondata, di essere ricostituita. Non a caso, Macron, il candidato alla Presidenza della Repubblica francese, ha posizionato la propria proposta politica non sulla linea demagogica, ma esattamente su questa sfida: più Europa! Abbiamo bisogno di più Europa e questa Europa non è da cambiare, ma da ricostruire e da rifondare e noi, come ha detto lei, dobbiamo essere quelli, come l'abbiamo fondata, che giocano con forza e con coscienza la partita della rifondazione e della ricostruzione dell'Europa.
C'è un paradosso: lei è stato collega parlamentare con me in tanti anni e in diversi ruoli e molti Governi hanno usato un vincolo esterno, quello dell'Europa, per giustificare le riforme da fare all'interno dei propri Paesi; penso ovviamente all'Italia. Si diceva, e si è sempre detto: ce lo chiede l'Europa, quindi dobbiamo fare queste cose, dobbiamo fare le riforme; sbagliando, perché le riforme e i cambiamenti si fanno perché c'è necessità di fare questi cambiamenti e queste riforme per i cittadini, non per l'Europa, perché l'Europa è un'opportunità da questo punto di vista.
Ecco, oggi, per la prima volta, l'Europa, tutta insieme, ha paradossalmente un vincolo esterno per cogliere questa opportunità; il vincolo esterno di dover riflettere rispetto a un dato non intuitivo, ma oggettivo. Un grande Paese che chiede di uscire dall'Europa: per la prima volta non si tratta di discutere in Europa dell'allargamento dell'Europa, ma, per la prima volta, si tratta di dover trattare dell'uscita di un Paese, di un grande Paese, dall'Europa. Ecco, questa grande opportunità, capendo le ragioni perché questo accada, traccia, come ha detto lei, la linea su cui agire.
E la linea su cui agire è esattamente quella di ripartire dalle tre grandi questioni che dovrebbero segnare una ragione per cui in Europa si sta insieme, che non è solo una grande opportunità di trattati, di economia, di dazi, eccetera, ma è la ragione di fondo per cui dei popoli devono stare insieme. E le ragioni di fondo per cui dei popoli devono stare insieme - lei le ha individuate con tre grandi esempi - sono molto semplici: perché l'Europa possa essere una grande opportunità, dove i cittadini possano diventare protagonisti e la vita possa essere sempre più dignitosa e vera, e la politica economica è un elemento che traccia questa strada; la politica della solidarietà: l'immigrazione è uno degli elementi, ma, quando ci sono delle difficoltà, bisogna affrontarle insieme, se siamo uniti; la politica di una comune difesa.
Ha fatto bene, Presidente Gentiloni, a sottolineare con forza che la Gran Bretagna, il Regno Unito, esce dall'Unione europea, ma non esce dall'Europa. Questo noi lo dobbiamo affermare e ridire sempre con grande forza, anche in occasione di quei trattati. Basta pensare, come ha fatto riferimento più volte lei, il Ministro degli affari esteri, sempre al fatto che solo il tema della grande politica della difesa della NATO vede l'Inghilterra, il Regno Unito, essere protagonista insieme a noi.
Allora, però, Presidente del Consiglio, credo che sin da subito noi dobbiamo porre, come sempre ha sottolineato nel suo intervento, con forza e con chiarezza, su che cosa iniziare a rifondare l'Europa e su quali temi iniziare a rimettere in discussione pilastri e certezze che si sono dimostrati non utili, non hanno funzionato.
La revisione di una politica economica, il tema della revisione del Fiscal compact, il tema del bail-in, il ruolo della BCE, sono fondamentali. Non è la richiesta di un Paese, come l'Italia, che dice: guarda, adesso dobbiamo rivedere le cose. Dobbiamo ripensare al modo con cui i cittadini vengono messi al centro delle politiche Europa. Pensi solo a un esempio, lo diceva prima e lo citava prima l'onorevole Tancredi, che su queste cose è sempre attento parlamentare e attento osservatore: in Italia sono cresciuti gli investimenti privati, in Europa c'è una tendenza comune alla crescita degli investimenti privati. Una delle politiche su cui si è più qualificata questa nuova Commissione europea, il Piano Juncker, cioè degli investimenti pubblici, ha oggettivamente mostrato il fianco. Ecco, ripensare a questo fatto e avere la coscienza delle ragioni per cui il Piano Juncker non ha aiutato la ripresa degli investimenti pubblici è una riflessione da mettere oggettivamente sotto gli occhi di tutti. Non è possibile un rilancio dell'impresa e della crescita economica se investimenti pubblici e investimenti privati non vanno nella stessa direzione.
Per concludere, lei ha detto più volte un aggettivo, che è segno di un sano realismo: ha usato la parola “lieve”. Siamo di fronte ad una lieve ripresa, a lievi indicatori che vanno in una certa direzione. Come sempre, noi siamo abituati ed educati a guardare al bicchiere mezzo pieno, anziché al bicchiere mezzo vuoto, ma la sfida, partendo da una certezza, che si sta crescendo, è che non possiamo, come giustamente abbiamo sottolineato più volte tutti insieme, accontentarci di una lieve ripresa.
Dobbiamo accontentarci, e concludo, signora Presidente, solo di una grande questione: di non stare tranquilli fino a che insieme non abbiamo fatto capire che l'Unione europea, l'Europa, è la più grande opportunità che abbiamo costruito insieme, dal dopoguerra ad oggi, ma, perché continui ad essere una grande opportunità, bisogna mettere al centro delle politiche non la burocrazia e i numeri, ma i cittadini e la loro vita (Applausi dei deputati del gruppo Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Villarosa. Ne ha facoltà.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Grazie, Presidente. Allora, analizziamo innanzitutto i passi che ci portano qua. Giugno 2016, la Gran Bretagna esprime il suo dissenso a questa Europa e successivamente esprime la volontà di uscire, utilizzando il famoso articolo 50 del Trattato. Ministro, dissenso assolutamente comprensibile, che va soprattutto rispettato: questo è il primo messaggio che mi sento di darle. I cittadini hanno scelto e la loro decisione va rispettata; quindi, chiediamo anzitutto rispetto per questa scelta. So che per voi sarà complicato, ma almeno provateci. Questa è la prima rassicurazione che vi chiedo: siate comprensivi, ma non stupidi, con voi è meglio precisarlo, anche perché ci avevate quasi convinto. Ministro, se mi ascolta magari…
PRESIDENTE. È il Presidente del Consiglio, onorevole Villarosa.
ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Presidente del Consiglio, mi ascolti, le chiedo almeno questo, dieci minuti. Anche perché, ripeto, prima della Brexit ci avevate quasi convinto, anche io, personalmente, ho titubato; bombardato da false informazioni, anche io ho avuto i miei momenti di panico. Distruzione economica della UE, distruzione della Gran Bretagna.
Avendo, però, la possibilità di accedere alle informazioni di questo palazzo, ho avuto la possibilità di capire il vostro gioco. Avete strumenti potenti, armi di distrazione di massa, però, caro Primo Ministro, lo sa qual è l'arma di distrazione di massa più potente? È la consapevolezza; in questo Paese ce n'è sempre di più, vi dovete rassegnare.
La Gran Bretagna post Brexit - leggiamo e glielo leggo - non ha subito nessuno degli scossoni da voi raccontati in tutte le forme e in tutte le TV. L'economia del Regno è in ottima forma, marcia verso una progressione del 2 per cento nel 2017, un multiplo dello 0,8 ipotizzato mesi scorsi alla luce della Brexit, con un'inflazione destinata a balzare al 2,8 entro un anno, per poi calare vicino al target del 2 per cento. È rivista al rialzo anche la crescita del PIL della Gran Bretagna, prevista nel 2018 dall'1,5 all'1,6 per cento, nel 2019 dall'1,6 all'1,7 per cento. Peccato che tutte quelle famose società di cui voi vi fidate, come Morgan Stanley, pensavano che l'uscita di Londra dalla UE avrebbe dovuto ridurre il PIL del Regno Unito dell'1,3 per cento dal 2016 al 2017; alla fine del 2017, addirittura, l'avrebbe portato in recessione, queste sono le analisi di queste società.
Gli economisti di Danske Bank: la chiusura della Manica avrebbe avuto un impatto negativo anche sull'Unione. Axa paventava, addirittura, una fuga di capitali, un calo degli investimenti esteri, tassi di interesse molto bassi e un calo della sterlina. Gli economisti di Pioneer ipotizzavano anche un taglio del rating. Gente di cui fidarsi, devo dire!
La Brexit non è stata catastrofica né per noi né per gli inglesi, che sono già pronti a orientarsi verso due nuove finanze imponenti, che sono quella cinese e quella islamica; non hanno certo bisogno di noi e, tra l'altro, hanno già iniziato a mettere un piede in questa UE grazie alla vicina Irlanda, con cui stanno facendo gli accordi. Stanno parlando anche con la Spagna su Gibilterra; quindi, non vi preoccupate, saranno anche in Europa.
Avete preso in giro gli italiani per mesi: come facciamo a mandarvi con tranquillità a contrattare a nome di tutti gli italiani, che, tra l'altro, neanche vi hanno votato? I cittadini hanno stracciato la vostra riforma costituzionale, avete fatto un passo indietro sui voucher, perché, altrimenti, avrebbero bocciato anche quelli, vi hanno bocciato la legge elettorale, vi hanno bocciato la riforma sulle banche popolari, hanno bocciato la riforma Madia; insomma, non è che siate tanto credibili, caro Primo Ministro. Quindi, questo mi spaventa molto. Ed è la vostra credibilità, ed è qui la mia seconda rassicurazione: siate credibili.
La terza rassicurazione che vi chiedo riguarda i nostri italiani in fuga. Informatevi sulle loro esigenze, assicurate loro le migliori tutele possibili, perché la maggior parte di loro, ripeto, è in fuga, sì, ma non per colpa loro, semmai, per colpa vostra e di chi vi ha preceduto, perché non riuscite a rendere questo Paese accogliente per le nostre menti; e parliamo di quell'ingegno italiano, caro Primo Ministro, che è riconosciuto ovunque tranne che in Italia. E sono menti perché all'estero vengono pagati bene. Io conosco ingegneri che al primo impiego in Germania percepiscono circa 3 mila euro; in Italia è già un miraggio trovarlo un lavoro per gli ingegneri!
Quindi, vi chiedo questa terza rassicurazione, che, tra l'altro, caro Primo Ministro, sarà facile per voi, perché nel Libro bianco di Theresa May, nei dodici punti, al sesto punto troviamo proprio questo, perché lei ci ha pensato, noi italiani, a quanto pare, no: assicurare i diritti dei cittadini UE residenti nel Regno Unito e dei cittadini britannici residenti nei Paesi UE quanto prima possibile. Loro ci hanno pensato, noi no.
Ve lo chiedo, perché l'unica cosa di cui vi ho sentito parlare in questi mesi, l'unico vostro interesse, va sempre verso un'unica direzione.
Mi sembra che siate all'interno di un tunnel e non riusciate a vedere nient'altro che banche e finanza. Lo avete detto anche voi, vi interessa solo questo distretto finanziario che volete fare a Milano. L'ha detto anche Vegas, presidente Consob, “tuteliamo e importiamo il prima possibile questo shadow banking”, ovvero il sistema bancario ombra. E sì, abbiamo proprio bisogno di ombra in Italia, perché la trasparenza è veramente tanta in questo Paese.
Poi, in cambio di cosa verrebbero queste aziende? Vengono perché siamo più simpatici? Perché siamo più attraenti? In realtà, non siamo neanche attraenti per questi Paesi, perché, anche se Maroni è andato a Londra a farsi vedere e a pubblicizzare Milano e anche se c'è tanta gente, qua dentro, che cerca di pubblicizzare questo distretto finanziario - chissà per quale motivo -, vorrei informare tutti che l'Italia in questo momento, in base anche all'indice di attrattività di A.T. Kearney - il più famoso, quello più conosciuto a livello internazionale - è tredicesima. La Germania è seconda come Paese più attrattivo al mondo, la Francia è settima, e anche la Spagna è davanti a noi, che è undicesima. La Svezia ha fatto un balzo fino al quindicesimo posto. Quindi, non siamo sicuramente il Paese più attrattivo per queste aziende inglesi.
Ma questa Unione è davvero un'unione o favorisce qualcuno a scapito di qualcun altro? Perché, se guardiamo i grafici dei saldi di Target 2… Cosa sono i saldi di Target 2? Sono quel famoso motivo per il quale Draghi, pochi mesi fa, ci ha detto, ha detto a tutti gli italiani, che l'uscita dell'Italia dall'euro comporterebbe un esborso di oltre 300 miliardi di euro. Ci rendiamo conto che metà dei Paesi europei, dall'introduzione dell'euro a oggi, si è indebitata con l'altra metà? Questo è il risultato dell'Unione europea: metà Paesi indebitata con l'altra metà. Noi - avete sentito bene - dobbiamo, a causa di questi saldi, a causa di questo metodo, che si chiama appunto Target 2, noi dobbiamo ben 300 miliardi di euro. Perché? Perché con questo sistema, creato con l'introduzione dell'euro, se un'impresa acquirente paga un fornitore in un altro Paese UE, anche se l'impresa paga realmente, con fatica, con sudore, le banche, tra loro, si limitano ad accreditare o addebitare importi e tutto con l'intermediazione delle banche centrali. Ecco, Presidente, mi rivolgo a lei per informare tutti i cittadini. Cari cittadini, noi siamo “sotto”, come si suol dire, “sotto” di 300 miliardi di euro grazie a queste politiche dell'Unione europea. Viva l'Unione europea! Veramente, viva l'Unione europea!
E cos'è che vorrebbero, queste aziende, per venire in Italia? Sconti fiscali. Vegas, il presidente della Consob, ci ha già fatto capire cos'è che vogliono in cambio, queste aziende: vogliono entrare nelle nostre economie, ma solo se li trattiamo diversamente da tutte le altre aziende italiane, perché vogliono sconti fiscali, non vogliono la Tobin tax, ovvero la tassazione – per chi non lo sapesse - sulle transazioni finanziarie, non vogliono neanche la capital gain tax. Insomma, vengono solo ed esclusivamente, se gli garantiamo determinate facilitazioni. Questa, ovviamente, non dico che non sia una scelta importante, da valutare, ma sicuramente è una scelta politica, che va fatta accuratamente, e vanno analizzati tutti i pro e i contro di questa scelta.
Noi non abbiamo bisogno di maggiore finanza, caro Primo Ministro, semmai di nuove imprese italiane e imprenditori italiani, che siano residenti in Italia e facciano crescere questo di Paese, e soprattutto dobbiamo garantire, in questo Paese, equità fiscale e imposte progressive (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché questo non lo diciamo noi, lo dice la nostra Costituzione; o volete, per caso, farvi bocciare l'ennesima legge? Quindi, caro Primo Ministro, questa è la mia quarta rassicurazione, non siate asini. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lorenzo Dellai. Ne ha facoltà.
LORENZO DELLAI. Grazie, signora Presidente. Signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, il nostro gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico apprezza le comunicazioni del Governo, in vista del prossimo Consiglio europeo, e le condivide. Esse indicano un approccio realistico, prudente, lungimirante, vorrei dire solido, com'è giusto che sia, ed è necessario che sia, in un tempo così difficile. La risoluzione di maggioranza che abbiamo sottoscritto conferma questo approccio e indica i punti principali del percorso, che non riteniamo dunque necessario richiamare qui.
Piuttosto, vorremmo cogliere l'occasione per esprimere una valutazione politica più generale. Non c'è dubbio che la tornata elettorale in alcuni importanti Paesi europei sta esprimendo esiti in parte non prevedibili. A fronte della oggettiva avanzata delle forze politiche più nettamente contrarie al progetto europeo, eco della quale abbiamo sentito poco fa, noi assistiamo invece ad una risposta altrettanto netta e maggioritaria di segno diverso, come il Presidente del Consiglio ha prima ricordato.
Abbiamo visto i risultati delle presidenziali in Austria, i risultati delle elezioni politiche in Olanda e l'esito del primo turno in Francia. Naturalmente, è presto per dare una valutazione finale, ma sembra abbastanza chiaro che la linea di resistenza alle spinte sovraniste e nazionaliste passa dalla difesa, chiara e non equivoca, dell'Europa che c'è. Essa deve essere migliorata, anche in profondità, ma non si ferma l'onda populista prendendo le distanze da questa Europa che c'è, per vagheggiare un'Europa che forse ci sarà. Questa almeno ci pare essere la cifra dell'affermazione parziale di Macron in Francia. È, anzi, da presupporre che l'asse franco-tedesco sarà rilanciato con forza e che le innovazioni richieste da più parti saranno perseguite in un contesto di realismo e di sostanziale conferma strategica.
Il tema vero, dunque, è come il nostro Paese si stia preparando a questa fase europea, che speriamo tutti offrirà importanti e positive novità, alcune delle quali sono state segnalate prima dal Presidente del Consiglio, ma non prevederà - noi riteniamo - sconti o scorciatoie per nessuno. Dunque, una fase che va gestita, da parte italiana, con grande attenzione e piena consapevolezza anche dei rischi di isolamento.
Signor Presidente del Consiglio, noi riteniamo per questo motivo che il suo e il nostro Governo debba proseguire con determinazione il proprio lavoro, con le continuità e le discontinuità che lei ha annunciato, quando si è presentato per chiedere e ottenere la fiducia del Parlamento. Consideriamo altamente irresponsabile ogni tattica di logoramento da fuoco amico. Osserviamo con crescente preoccupazione le quotidiane congetture sulla durata della legislatura e i frequenti distinguo su partite decisive come, appunto, il rapporto con l'Europa, la politica finanziaria o la gestione di vicende delicate come Alitalia.
L'iniziativa assunta ieri dal Capo dello Stato indica, invece, l'unico percorso possibile, alternativo a quello di avventure destinate a pesare sul futuro del Paese. Il Governo governi al meglio delle sue possibilità, con il leale supporto della maggioranza, ed il Parlamento si impegni, entro tempi ragionevoli, per discutere e approvare un sistema elettorale capace di scongiurare, almeno sul piano delle regole – perché, poi, c'è anche la politica -, una prossima legislatura che si perda sulla via della ingovernabilità, proprio mentre Francia e Germania, prevedibilmente, saranno impegnate a guidare la nuova fase della vita europea.
Sia sul piano della stabilità del Governo che su quello dello sforzo per una ragionevole legge elettorale, il nostro gruppo parlamentare garantisce il proprio impegno e la propria disponibilità. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Renato Brunetta. Ne ha facoltà.
RENATO BRUNETTA. Grazie, signora Presidente, signor Presidente del Consiglio. Siamo di fronte a un momento storico, ma è nostra consapevolezza, come anche la sua, che dobbiamo percorrere un sentiero molto stretto e difficile. È in gioco non solo la Brexit - l'uscita ordinata della Gran Bretagna dall'Unione europea -, ma, ne siamo tutti consapevoli, è in gioco anche il futuro stesso dell'Europa, dell'Unione europea.
Vede, signor Presidente, in questi giorni sto rileggendo un libro straordinario e per tanti versi profetico, un libro, pubblicato nel 1919, di un giovane - aveva 36 anni - funzionario del Tesoro inglese, giovane funzionario che aveva appena dato le sue dimissioni dalla delegazione inglese alla Conferenza di Versailles, successiva alla Prima Guerra mondiale; un fellow, docente, del King's College di Cambridge, John Maynard Keynes, e il libro profetico, Le conseguenze economiche della pace.
Sappiamo tutti cosa conteneva quel libro, conteneva la critica durissima, amara, disperata, al Trattato di Versailles, come prodromo, quel trattato, di quello che sarebbe successo in Europa nei decenni successivi, da Weimar, a Hitler, alla Seconda guerra mondiale. E il tutto perché le potenze alleate vincitrici della Prima guerra mondiale avevano avuto, a Versailles, un atteggiamento miope, egoista, egemonico.
Ovviamente, i tempi e la storia non sono gli stessi, ma molto ci riporta a quella situazione e alla forza premonitrice, profetica, di quel libro. Al sesto capitolo di questo libro, che si intitola L'Europa dopo il Trattato, Keynes evoca angoscia, disperazione infinita, quella di chi già vede, solo e inascoltato, la catastrofe prossima ventura.
Ecco, io ho sentito gravità nelle sue parole, signor Presidente, e lo ho apprezzato. Ma ho sentito anche tante voci dissonanti in Europa, a partire da quelle di Juncker, quasi con toni punitivi, di revanche: questo non è l'atteggiamento giusto, in questo momento storico e in questa fase politica. Io non mi rassegno alla catastrofe, all'egoismo, all'arroganza, alla miopia, alle egemonie, non mi rassegno. L'Unione europea, dopo la Brexit, non può essere fattore di ulteriore confusione e incertezza.
E vede, le conclusioni di Roma, dell'evento di celebrazione dei sessant'anni, non sono andate in questa direzione, vale a dire non hanno rassicurato, non hanno dato certezza, non hanno dato futuro, purtroppo, nonostante le buone intenzioni di chi ospitava quell'evento. Rischiamo di negare le ragioni per cui l'Europa era nata, ossia garantire la pace, la solidità democratica ed economica e la solidarietà. L'Italia, il nostro Paese, lei, signor Presidente del Consiglio, in questo momento ha il compito storico di rilanciare su basi nuove e concrete il sogno europeo dei padri fondatori. Il rischio di implosione è davanti a noi, tra recessione e populismo, il rischio di implosione richiede iniziative forti. Torniamo a Maastricht, signor Presidente del Consiglio, ma alla Maastricht di Guido Carli, alla Maastricht degli obiettivi, della flessibilità, non a quello che è avvenuto dopo, fiscal compact, six pack,two pack, alla parametrizzazione, anche con strumenti inadeguati dal punto di vista giuridico, dell'impegno della costruzione europea. La Maastricht di Carli era cosa diversa: obiettivi comuni e tendenze per raggiungere quegli obiettivi, non i decimali e il ragionieristico computo degli stessi. Fiscal compact, six pack,two pack hanno squilibrato il sistema europeo in tempo di crisi.
Lei ha detto, tutti noi diciamo: la Gran Bretagna esce dall'Unione europea, ma non dall'Europa, e dalla sua storia, aggiungo io. Sicurezza, difesa, finanza, uscita ordinata, chiudere i conti, tutto è giusto, 3 milioni di europei in Gran Bretagna, un milione di britannici in Europa; ecco, noi dobbiamo stare dalla parte dei cittadini.
Per questo, l'Unione europea, signor Presidente, e concludo, ha bisogno di un new deal, un nuovo patto, un nuovo accordo; ha bisogno di un Alexander Hamilton, il Primo Ministro del Tesoro americano, che mutualizzò il debito e costruì gli Stati Uniti d'America in maniera forte e ineludibile; ha bisogno di un Roosevelt, per rilanciare la crescita e ricostruire le basi della sua stessa ragione etica ed economica, altrimenti, signor Presidente del Consiglio, sarà l'implosione e la catastrofe. Che Dio non voglia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente – Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Luisa Bossa. Ne ha facoltà.
LUISA BOSSA. Signora Presidente della Camera, signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, sabato entra nel vivo la procedura di uscita del Regno Unito dall'Unione europea. È un mese, come tutti sappiamo, che Theresa May ha annunciato il ricorso all'articolo 50, mentre ormai è passato quasi un anno da quando, nel giugno del 2016, i cittadini britannici hanno detto “no” all'Europa e hanno aperto una fase politica complessa. Una fase che, in realtà, si intreccia al destino di tutto l'Occidente, perché attraversa per alcuni versi anche gli Stati Uniti e parla di temi drammaticamente moderni, come la globalizzazione, la crisi economica, la crisi del lavoro, la rivoluzione tecnologica, la sofferenza dei ceti medi, l'incapacità di dare risposte. Si apre ufficialmente, ma non politicamente e neppure socialmente, perché qui la fase era stata già aperta da tempo, un momento cruciale.
Il Consiglio europeo straordinario servirà per mettere a punto le linee guida dei prossimi passaggi. Non sono pochi i nodi da sciogliere, ci sono principi da fissare, regole da scrivere, c'è soprattutto una condotta da indicare, un precedente che sia chiaro per il futuro e per tutti. Come disse l'onorevole Bersani nei giorni del referendum britannico, si era di fronte ad una scelta tra una cosa brutta, l'uscita, e un'altra non bellissima, il restare in un'Europa lenta, sorda, distante. In quell'occasione molti di noi dissero che, anche in caso di esito positivo, l'Unione Europea doveva cogliere il segnale di allarme che era visibile e doveva attivare un cambio di rotta. A maggior ragione, con l'esito che poi si è avuto, l'Unione europea appare davvero ad un bivio.
Ma c'è un tema politico ancora più grande, che non è più solo il rapporto tra Gran Bretagna ed Europa, ma la natura stessa dell'Unione, il suo rapporto con i cittadini dei Paesi membri, con la complessità sociale del momento, con l'orizzonte e la visione. Lo stesso Presidente del Consiglio europeo, Donal Tusk, con alcune dichiarazioni rese sulla nuova amministrazione americana, scettica sul futuro dell'Unione, ha rilevato uno scenario futuro estremamente imprevedibile per l'Unione stessa. Allora, proprio per questo, se si vuole restituire centralità e protagonismo all'Unione europea, bisogna ragionare seriamente su cosa non va e su cosa intervenire. È evidente a tutti che la crisi economica, la crisi del lavoro, la sofferenza dei ceti medi e popolari stanno diventando la miscela esplosiva su cui rischia di saltare l'Unione europea, ma su cui rischiano di saltare anche i valori che l'hanno ispirata, cioè apertura, tolleranza, democrazia, diritti diffusi, dialogo e cooperazione tra i popoli.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 10,25)
LUISA BOSSA. L'Europa come spazio aperto, come unico territorio, come luogo di una cultura condivisa, rischia di essere sacrificata sotto spinte protezionistiche, autarchiche, che per loro natura, poi, si traducono in chiusura, in muri e, quindi, in autoritarismi e in quelli che definirei piccoli crolli della democrazia.
L'Europa - ricordiamolo tutti - nasce con una grande idea della persona e dei suoi diritti, un'idea universale di così profonda apertura e umanità da dire che la terra è di tutti, che tutti possono circolare, che i muri sono degli uomini e gli uomini possono farli crollare. Come si risponde oggi a questa evidente crisi della democrazia e dello spirito comunitario?
Si risponde facendosi carico della sofferenza, facendola propria e mettendola al centro del dibattito. Parliamo di reddito, per esempio, di giustizia sociale, di redistribuzione, di salario, di povertà, di lavoro, di una sanità universalistica; parliamo di fisco equo, di solidarietà sui debiti, oltre che di rigore sui deficit.
Alziamo, dunque, l'asticella della sfida proprio adesso e, in questo - contestatemi pure -, ritengo che sia utile sottolineare la necessità di uno sguardo da sinistra. L'Europa è stata percepita e, purtroppo, spesso a ragione, come una confraternita di élite, come un luogo di difesa di rendite, di privilegi, di ricchezze. Noi dobbiamo lavorare - e da sinistra ci poniamo questo obiettivo - ad una nuova Europa dei popoli e delle persone, un'Europa che difenda l'uguaglianza e non le ricchezze, che cerchi la giustizia sociale, che tuteli il lavoro e non la rendita.
Non è solo una battaglia politica, guardate: è una battaglia per la difesa della democrazia. Il voto britannico è stato rabbioso, spaventato: rabbia e paura attraversano, in questi mesi, molte campagne elettorali e ne determinano in parte gli esiti. Noi dobbiamo batterle, ma non si battono rimuovendole dal dibattito e nemmeno con una pacca sulla spalla; non si battono con la propaganda e con gli inviti al buonsenso; non si battono con parole di circostanza; non si battono con la retorica né con gli auspici: si battono con le politiche: ci vogliono azioni reali e concrete. Il tempo delle attese è, dunque, è finito: o si cambia o si viene travolti (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Rampelli. Ne ha facoltà.
FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, Presidente Gentiloni, rappresentante del Governo, ci troviamo tradizionalmente a discutere alla vigilia del Consiglio d'Europa: lo facciamo stavolta per una materia, se possibile, almeno egualmente importante rispetto a quelle
trattate, anche come impatto sull'Italia, sul suo destino, sul suo futuro, sulla sua appartenenza all'Europa, sulla stessa esistenza in vita dell'Europa.
L'applicazione dell'articolo 50 dei Trattati da parte della Gran Bretagna è stata sicuramente una notizia importante da cui qualcuno ancora non si è ripreso. Sono passati dieci mesi da quando si è celebrato il referendum nel Regno Unito - era il giugno del 2016, quasi un anno quindi - e l'impressione è che questo segnale di allarme, perché di questo si tratta, si continua a trascurare. Si fanno ottimi e dotti interventi da conferenze accademiche, ma chi è pagato per fare politica, chi è pagato per governare processi assiste, non gestisce quello che gli capita intorno.
Se la Gran Bretagna, una delle più importanti nazioni dell'ex Unione europea, anzi, già appartenente all'Unione europea, dall'Unione si stacca, significa che siamo arrivati al redde rationem, che non ce n'è più per nessuno, che non ci si può più voltare dall'altra parte, che non potete più giocare, neanche voi della sinistra, tradotta in Italia sotto la sigla del Partito Democratico e accoliti vari. Non si può più giocare, perché in mezzo c'è il destino dei nostri cittadini, del nostro popolo, della sua storia millenaria, delle sue tradizioni.
Se la Gran Bretagna ha voltato le spalle non all'Europa, che è una cosa seria, profonda e che precede ampiamente la costituzione dell'Unione europea, ma all'Unione, è perché troppe cose non hanno funzionato e non stanno funzionando; eppure, la Gran Bretagna, paradossalmente, era uno degli Stati che maggiormente riusciva ad incassare i benefici dalla sua posizione di forza e anche del suo ruolo storico di Paese in equilibrio tra l'appartenenza all'Unione europea e l'alleanza con gli Stati Uniti d'America: uno degli anelli fondamentali della catena del Patto Atlantico, della NATO, dunque una sorta di alfiere delle politiche occidentali nel pianeta intero.
Voi, da un lato, avete davvero un atteggiamento schizofrenico: ci dite qui, a casa nostra o nel dibattito politico relativo alle elezioni francesi, che chi, in buona sostanza, mette in discussione l'Europa è una sorta di menagramo o, peggio, è un portatore di catastrofi e, dall'altro, invece, minimizzate il fatto che l'Europa si stia privando della presenza della Gran Bretagna. Le due cose tra loro non dialogano: non so io dov'è che vi siete rinchiusi a cantare la messa, ma sarebbe forse opportuno conquistare il prima possibile un confessionale, per capire chi è che sta dicendo bugie e pentirsi dei propri peccati.
Non funziona l'Europa. Qui abbiamo ascoltato persino insigni esponenti dell'area cosiddetta moderata, che sostiene il Governo Gentiloni - lo ricordo: l'edizione sbiadita del Governo Renzi -, parlare di rifondazione dell'Europa, ma in questi dieci mesi la rifondazione non v'è stata e non se ne parla da nessuna parte.
PRESIDENTE. Concluda.
FABIO RAMPELLI. Le stesse dichiarazioni congiunte fatte in occasione delle celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma sono aria fritta.
Qui voi non riuscite a capire, evidentemente, che l'Europa non deve occuparsi del raggio di curvatura dei cetrioli, della lunghezza delle zucchine o del diametro delle vongole: l'Europa deve proteggerci dalla concorrenza sleale del Marocco, per esempio, sulle arance, sui pomodori, o della Turchia sulle olive; deve occuparsi delle coltivazioni di eccellenza e dei prodotti di qualità, del “made in”.
L'Italia deve alzare la voce per garantirsi il diritto ad una rifondazione che sia rispettosa dei valori su cui l'Europa e l'Occidente si sono fondati. Non ho capito se lo squillo è per avvisare del minuto finale.
PRESIDENTE. Sì, ha concluso.
FABIO RAMPELLI. Non mi risultava. Concludo, allora.
L'Italia, nel suo rapporto con l'Europa, non riesce a mettere in rete, a sistema, i suoi beni culturali; l'Italia non riesce ad avere sostegno dal punto di vista delle disgrazie, degli eventi sismici, dei terremoti, pur essendo un Paese, per natura e per conformazione, debole e fragile.
Ma se l'Europa non funziona, non interviene, non prevede questioni così importanti, queste fragilità, ma anche queste eccellenze, a che cosa serve?
Il nostro grido di dolore - e concludo davvero - è legato esattamente a questa fattispecie: se voi siete capaci di farvi rispettare in Europa…
PRESIDENTE. Deve concludere, Rampelli.
FABIO RAMPELLI. …e di aprire un negoziato tale da ritrattare tutto ciò che è stato stabilito fin qui, vale la pena di investire ancora sull'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Mazziotti Di Celso. Ne ha facoltà.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, è evidente che quello che ha descritto il Presidente del Consiglio è un momento importante della trattativa e anche, come diceva prima il collega Giorgetti, un momento preliminare: ovviamente, ci troviamo in una fase elettorale, è chiaro che tutto l'andamento del negoziato sarà condizionato dalle elezioni, in primis, da quelle inglesi che Theresa May ha chiamato specificamente per rafforzare la sua posizione. Quindi, è probabile che ci sarà una fase interinale di trattativa: in questa fase, noi raccomandiamo al Governo, naturalmente, di attivarsi perché non ci siano provvedimenti, iniziative sui nostri cittadini, sulle nostre imprese, che possano danneggiarli in questo momento.
Sono d'accordo anche con chi, come l'onorevole Brunetta, prima ha detto che non bisogna arrivare a fare guerre, irrigidirsi, creare confusione, però bisogna anche andare con una posizione ferma, perché, una volta che il Regno Unito è uscito dall'Unione europea, è evidente che diventa un partner commerciale non come gli altri, perché è in Europa non come gli altri, perché è particolarmente vicino nelle sensibilità, ma, comunque, è un partner che farà la sua politica commerciale e, quindi, è importante che le nostre trattative vengano condotte in maniera ferma e determinata.
È altrettanto vero che bisogna lavorare sull'Europa, che ci sono cose da cambiare, che ci sono interventi da fare, ma noi non siamo come quelli che dicono “meglio nessuna Europa che questa Europa”: questo tipo di frase l'ha usata Theresa May, dicendo “meglio nessun accordo che un accordo” e il comitato bipartisan sulla “Brexit” gli ha detto che diceva una sciocchezza e che un accordo lo doveva fare comunque.
Quindi, noi siamo per lavorare dentro l'Europa e per restarci, senza fare ragionamenti di altro tipo.
Sono un po' meno d'accordo con l'ottimismo dell'onorevole Brunetta quando ha detto che qui tutti sappiamo che cosa ha detto John Maynard Keynes perché, dall'intervento che ho sentito prima dell'onorevole Villarosa, ci si domanda se i colleghi del MoVimento 5 Stelle ci sono o ci fanno. Infatti, nella prima fase abbiamo sentito il portavoce di Theresa May che ci raccontava tutte le previsioni sulla Brexit, che sono quelle del Governo inglese, tutte naturalmente meravigliose. Poi uno va a vedere i dati di questo periodo, di marzo-aprile, che magari sarebbe il caso di guardarsi: si vede che c'è il più alto aumento dell'inflazione da tre anni, ma è abbastanza normale, anche se hanno il petrolio; i redditi reali sono scesi; i consumi sono scesi con la più alta discesa dei consumi dal 2010; il deficit commerciale è aumentato; il deficit pubblico è aumentato; i risparmi disponibili hanno avuto il più alto calo dal 1963 e non è ancora avvenuta la Brexit.
Questo non vuol dire che le cose andranno male, però vuol dire semplicemente che almeno, se si viene nel Parlamento italiano, non si dovrebbe portare la posizione di chi la Brexit l'ha voluta, ma prendere i dati che sono usciti al consuntivo del mese di marzo (Applausi dei deputati del gruppo Civici e Innovatori), perché si parla di fatti.
Poi dal dubbio se ci sono o ci fanno, si arriva al “ci sono” perché, se una persona viene in quest'Aula a raccontare che, per effetto del target2 e del sistema del target2 della BCE, il debito italiano è aumentato di 300 miliardi, si capisce che qui non è un'arma di distrazione di massa: qui siamo al racconto di favole da parte di chi non sa neanche come funzionI il sistema europeo.
Ci sono ovviamente degli elementi tecnici, ma è evidente che il rapporto di partite attive e passive del sistema Italia non nasce perché si crea una camera di compensazione. D'altra parte, l'abbiamo visto perché recentemente abbiamo letto un illuminante post sul referendum sull'euro, dove non si citavano problemi come la fuga di capitali se lo si annuncia, non si spiegava come si ripagano i debiti delle aziende italiane che hanno emesso obbligazioni in euro, non si spiegava nulla: si diceva di dare la parola ai cittadini, di votare e poi chi vivrà vedrà.
Noi chiediamo al Governo di andare in Europa per fare una trattativa seria con il Governo inglese, seria e amichevole, come deve essere con un partner storico, al quale ci accomunano centinaia di anni di storia, ma con la fermezza necessaria per affrontare le sfide commerciali dei prossimi anni; e chiediamo anche di andare in Europa per discutere le modifiche all'attuale sistema europeo, per rilanciare gli investimenti, la crescita, per rivedere le regole che non ci piacciono sul bail-in di cui abbiamo discusso tante volte, per fare, insomma, cose che è giusto fare per andare a trattare, ma restando fermo, determinato e irremovibile sulla posizione europea.
Prima l'onorevole Giancarlo Giorgetti diceva che in Francia non si vota pro o contro l'Europa, si vota contro la Le Pen, perché quest'ultima è contro l'Europa e per l'uscita dall'euro: questo è il motivo per cui tutti, in quel Paese, partiti che non hanno niente in comune, in questo momento stanno votando contro Marine Le Pen. Quindi, noi davvero voteremo a favore della risoluzione sulle comunicazioni del Governo e sulla posizione del Governo. Raccomandiamo al Governo di andare in Europa, di far sentire la nostra voce e di far sentire una voce fortemente europeista (Applausi dei deputati del gruppo Civici e Innovatori).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Palazzotto. Ne ha facoltà.
ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, signor Presidente. La cosa che più ci preoccupa nel dibattito odierno sulla Brexit, a mio avviso, è la sottovalutazione di quello che la Brexit ha determinato dal punto di vista politico e determinerà nel futuro. La sensazione, cioè, che si stiano sottovalutando gli effetti e anche le cause che hanno portato all'esito di quel referendum e alla scelta che oggi il Governo inglese sta coerentemente portando avanti.
Ho sentito nelle parole del Presidente del Consiglio Gentiloni una sorta di ottimismo quasi consolatorio nel dire che tutto va bene, che in realtà è solo un incidente di percorso e che stiamo provvedendo a mettere una toppa. Ritengo, invece, che non si stia affrontando seriamente in ambito europeo, ma anche nel nostro dibattito pubblico, gli effetti che la Brexit determinerà e quello che la Brexit rappresenta rispetto al progetto europeo.
È indiscutibile che è figlia, in primo luogo, della crisi di fiducia dei popoli europei rispetto alle proprie istituzioni. Questo è il messaggio forte che è arrivato da quel referendum. È una crisi di fiducia in istituzioni che si sono rivelate, dentro l'esito dei trattati che via via si sono susseguiti, istituzioni quasi impermeabili ai processi decisionali dei cittadini. È un tema, cioè, che riguarda la democrazia e quindi la lontananza che si è posta tra le istituzioni europee e i popoli che dovrebbero rappresentare e, quando si crea questo iato tra popoli e istituzioni, tra rappresentati e rappresentanti, succede che quelle istituzioni vengono indebolite, sono istituzioni meno legittimate, istituzioni non validate da processi democratici reali, sono istituzioni più facilmente permeabili da poteri economici ed è questo che ha determinato l'altro elemento di crisi profonda che i popoli europei oggi hanno rispetto alle istituzioni europee, che è determinato dal fatto che i processi economici che sono stati messi in campo da quelle istituzioni, l'austerità in primis, non hanno costruito condizioni di benessere per i popoli europei che si sono lentamente impoveriti e noi di questo oggi dobbiamo prendere atto e dobbiamo discutere di come si inverte la direzione di marcia.
L'Europa è assediata: questa è l'immagine che oggi viene restituita. L'Europa è assediata non da qualche invasione esterna, ma l'Europa è assediata dai propri popoli, le istituzioni europee sono assediate da ogni contesto elettorale. Siamo a qualche giorno dal ballottaggio in Francia, dove ancora una volta il tema dello scontro è la paura che un voto possa far saltare le istituzioni europee, e delle istituzioni che hanno paura dell'esercizio democratico, perché c'è una massa di dissenso così forte, sono istituzioni deboli, destinate a scomparire.
Ritengo che dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione alcuni pilastri su cui si è fondata l'Unione europea. Possiamo dirci oggi, alla luce degli esiti disastrosi, che le politiche di austerità hanno fallito nel proprio compito e hanno creato un disastro dal punto di vista sociale in Europa, ampliando i margini di disuguaglianza a dismisura. L'austerità è stato un modo per drenare risorse dal welfare attraverso le cosiddette spending review verso il sistema finanziario e bancario, così come è accaduto ogni volta che un Governo ha dovuto salvare delle banche e come non è accaduto quando, invece, ha dovuto salvare i sistemi di welfare in Grecia e al popolo greco è stato chiesto di pagare un prezzo altissimo, che non è mai stato chiesto di pagare a chi è stato responsabile della crisi speculativa economica del sistema bancario.
Possiamo dire che il Fiscal compact si sta rivelando una gabbia mortale per le nostre economie e che bisogna metterlo in discussione e l'ex Presidente del Consiglio, segretario del Partito Democratico, non può, quando è nella veste di Presidente del Consiglio, difendere quei Trattati e, quando fa il candidato alla segreteria del Partito Democratico, accusare l'altro candidato di avere votato il pareggio di bilancio in Costituzione, perché lui è il segretario del partito che quel pareggio di bilancio in Costituzione ce l'ha messo.
Ritengo che dobbiamo fare questa discussione: vogliamo mettere in discussione il Fiscal compact? Vogliamo togliere il pareggio di bilancio dalla Costituzione? Vogliamo mettere in campo una politica espansiva, un piano di investimenti pubblici che faccia ripartire l'economia europea e che, quindi, restituisca fiducia ai cittadini europei? Vogliamo mettere in discussione il ruolo dalla Banca centrale europea, democratizzarla, costituirla come prestatrice di ultima istanza, o vogliamo che sia semplicemente il sistema di governance e di controllo del grande casinò della finanza europea?
Questo è il tema: se le istituzioni europee servano alla cittadinanza, a costituire una cittadinanza europea o se servano semplicemente ad allontanare i diritti di cittadinanza e la sovranità dei popoli sulle istituzioni che le devono rappresentare.
Dunque - concludo, Presidente - noi pensiamo che bisogna affrontare anche il negoziato con la Brexit provando a salvare quei principi.
Ci saremmo aspettati che, nell'idea di ricostruire un'idea di unione politica anche con la Gran Bretagna, oggi il Presidente Gentiloni ci fosse venuto a parlare anche, per esempio, di una proposta semplice da fare alla Gran Bretagna: si chiede alla Gran Bretagna di entrare a far parte dell'EFTA, dell'area di libero scambio, anche se non fa parte dell'Europa, o si inizia una competizione sul terreno dei mercati finanziari e degli investimenti?
PRESIDENTE. Concluda.
ERASMO PALAZZOTTO. Concludo subito, Presidente. Noi vorremmo che si salvasse dell'Europa almeno quell'idea, che si tutelassero i diritti dei cittadini europei a partire dal fatto che rimane in vigore “Schengen” e che si ricostruisce un'Europa fondata su nuove basi, sulla libertà di circolazione delle persone prima ancora che dei capitali (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Daniele Capezzone. Ne ha facoltà.
DANIELE CAPEZZONE. Signor Presidente, ho sentito molte voci preoccupate per l'Inghilterra e per il Regno Unito, suggerirei sommessamente di preoccuparci di più per le sorti dell'Italia e dell'Unione europea.
Mi fa molto piacere che, nel suo intervento, il Presidente del Consiglio - almeno questo - abbia preso le distanze dalle dichiarazioni scomposte del Presidente alla Commissione europea, Juncker, contro il popolo e il Governo inglese, quindi, bene che il Ministro Gentiloni adotti un altro tono.
Però, non è solo questione di toni, è questione di sostanza: il Regno Unito ha potuto scegliere liberamente, trovandosi nella condizione di quinta potenza militare del pianeta, di quinta economia del pianeta, di co-leader della NATO, di membro del Consiglio di sicurezza dell'ONU; in cinque anni hanno prodotto più posti di lavoro degli altri 27 Paesi europei messi insieme, ogni giorno Londra produce mille posti di lavoro, tempo di attesa per trovare lavoro pari a tre giorni. Sono stati, dunque, liberi di scegliere, diversamente da noi.
Allora, il tema, a Roma e a Bruxelles, è quello di cogliere l'occasione del negoziato che ci sarà tra Londra e Bruxelles per discutere della sorte dell'Unione europea, ma non nel senso della celebrazione retorica del 1957 e neanche nel senso meccanico di una maggiore integrazione a guida franco-tedesca. Il tema è quello di una nuova negoziazione dei 27 nel segno del riconoscimento della diversità, delle diversità, nel segno della flessibilità, nel segno - da questi banchi lo abbiamo detto molte volte - del “no” al Ministro delle finanze unico europeo. Abbiamo bisogno non di omogeneità fiscale dalla Finlandia al Portogallo, ma di competizione fiscale, affinché ci sia una gara tra i Paesi più capaci di ridurre le tasse, di ridurre la regolamentazione, di rilanciare l'economia.
Vi abbiamo - e chiudo, signor Presidente - riproposto oggi, mutatis mutandis, la medesima risoluzione che ci accoglieste nel periodo del primo negoziato tra il Governo Cameron e Bruxelles, in cui vi incentivavamo a dire: Governo italiano, cogliete l'occasione di quel negoziato per discutere di noi! Ci diceste “sì” in Parlamento, poi purtroppo - non fu volontà dell'allora Ministro degli Affari esteri, Gentiloni, credo fu volontà di altri, sbagliata - ci si schiacciò sulla linea franco-tedesca e non si contribuì a un esito diverso. Ci auguriamo che l'occasione persa dodici, tredici mesi fa possa essere riconquistata nei prossimi 24 mesi: rinegoziare, noi, in Europa, nell'interesse dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Conservatori e Riformisti).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Mariano Rabino. Ne ha facoltà.
MARIANO RABINO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, sono passati esattamente dieci mesi dal referendum sulla Brexit, dieci mesi di incertezze, di rivendicazioni, di strumentalizzazioni, di prese di posizioni ribadite e poi negate, dieci mesi per cercare di capire come rendere il meno doloroso possibile questo divorzio e attutire l'impatto del più brutto colpo subìto dalle istituzioni continentali, come l'ha definito lo stesso Primo Ministro Gentiloni: uno dei momenti di difficoltà e crisi più significativi nella storia dell'Unione europea.
Il 23 giugno scorso, il processo di integrazione, che con fatica i padri fondatori avevano avviato e formalizzato proprio in questa città sessant'anni fa, ha subìto uno stop. E mai parola fu più adatta: non “battuta d'arresto” ma “stop”, perché ad infliggere il colpo è stata la maggioranza dei cittadini del Regno Unito, che hanno votato a favore del leave. Una scelta democratica, si è detto chiaramente, ma che riporta le lancette della storia indietro, e che porta con sé potenziali ricadute negative per tutti gli attori.
Un passo indietro che provoca sconforto sincero in chi, come noi, crede fortemente nell'ideale europeo.
Sabato, signor Presidente del Consiglio, sarete chiamati ad adottare le linee guida per il recesso del Regno Unito dall'Unione europea, una bozza che potrà essere aggiornata periodicamente seguendo lo stato delle negoziazioni, seppur con una cornice che appare ben definita: evitare salti nel buio tramite uno stretto allineamento normativo che eviti il rischio di incertezza dal punto di vista giuridico, la fiducia reciproca nelle rispettive istituzioni, uno spirito di collaborazione da preservare sia nella fase di uscita che nella successiva fase di definizione di nuovi accordi di partnership.
Ed è proprio su questo punto, signor Presidente, che mi permetto di muovere un'obiezione: lungi da noi il voler sostenere un approccio punitivo, ma ciò non ci esime dal sottolineare alcune discordanze tra le linee guida e la lettera che il Primo Ministro britannico ha consegnato al Presidente del Consiglio europeo, Tusk, il 29 marzo scorso. Theresa May scrive: “Riteniamo pertanto necessario concordare le condizioni del nostro futuro partenariato di pari passo con quelle del nostro recesso dall'Unione europea”. Un concetto ribadito ben quattro volte nella missiva. Nella bozza iniziale delle linee guida si affermava esplicitamente che l'accordo di partnership, un accordo che lei, signor Presidente, ha definito giusto ed equo, avrebbe dovuto essere successivo all'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, ma nella versione emendata pare ci sia un'ulteriore apertura che posticipa la finalizzazione dell'intesa, non la sua definizione.
I due processi certamente andranno di pari passo, par di capire: non un gran segnale. Sottolineo questo punto non tanto per la smania di punire il Regno Unito per il reato di “lesa Unione europea” o perché ispirato dal risentimento tipico di chi viene lasciato, quanto per il segnale che si manda.
Sottoscriviamo le sue parole, invece, signor Presidente, e rivendichiamo, se mai ce ne fosse bisogno, la nostra amicizia con la Gran Bretagna, e siamo i primi ad auspicare per il futuro accordi di partenariato con il Regno Unito. Ma a mostrare sin da subito eccessiva disponibilità nei confronti di chi ha deciso, legittimamente, per carità, di archiviare 44 anni di storia comune potrebbe incentivare progetti analoghi da parte di altri Paesi. Meno obblighi, meno vincoli, a fronte di una riduzione minima dei benefici garantita da accordi bilaterali, da definire addirittura in contemporanea alle procedure di uscita dall'Unione europea: se non è un incoraggiamento ad altre exit, poco ci manca. E l'Europa in questo momento non può permettersi che altri Paesi, travolti da un possibile effetto emulativo, percorrano la via dell'allontanamento dall'Unione.
Il messaggio deve essere chiaro: lasciare l'Unione a un costo ineludibile ed insopprimibile, non fosse altro quello di non poter dettare le condizioni per eventuali futuri accordi, specie se da Londra giungono segnali contrastanti, ad esempio, sull'adesione totale o parziale al singlemarketà la carte, come ha detto lei, signor Presidente del Consiglio, o limiti alla libera circolazione delle persone, come ha affermato il Ministro degli esteri britannico, Johnson.
Non possiamo accettare una trattativa sui pilastri dell'Unione, non possiamo permetterci di dare argomenti agli euroscettici.
Ribadiamo: i nuovi rapporti con il Regno Unito dovranno essere di amicizia e collaborazione, ma senza cedimenti da parte dell'Unione europea, perché, almeno dal punto di vista commerciale, è vero che abbiamo bisogno del Regno Unito, ma è ancora più vero che il Regno Unito ha bisogno dell'Europa. Perderanno numerosi vantaggi, a partire dalla possibilità di esportare beni e servizi senza tariffe in un mercato di decine e decine di milioni di persone.
Conforta, invece, l'intenzione condivisa di sottoscrivere accordi in materia di sicurezza, e mi permetto di citare direttamente uno stralcio della lettera, perché questo passaggio è da sottoscrivere in pieno: “Dovremmo continuare a collaborare per portare avanti e tutelare i nostri comuni valori europei. Forse oggi più che mai il mondo ha bisogno dei valori liberali e democratici dell'Europa. Intendiamo fare la nostra parte perché l'Europa rimanga forte e prospera e in grado di svolgere un ruolo guida nel mondo, proiettare i propri valori e difendersi dalle minacce per la sicurezza”. Un'Europa, aggiungo, responsabile e consapevole delle difficoltà che l'attraversano, delle minacce che incombono, delle complicate sfide che l'attendono.
Le difficoltà di una lunga e ancora presente congiuntura economica negativa, sommata ad un eccesso di zelo delle istituzioni europee su vincoli e quote e altre questioni che avrebbero meritato diversa trattazione, hanno minato alla base la fiducia in quella straordinaria intuizione che è stata ed è l'Unione europea. Le minacce rappresentate dal terrorismo internazionale, che da un quindicennio a questa parte sta colpendo l'Occidente e che, negli ultimi anni, sta vivendo una recrudescenza che ha colpito numerose città europee, non ultima Londra, un fenomeno legato a doppio filo con le tensioni in Medio Oriente, che a loro volta implicano scelte di politica estera e di difesa, richiedono, o meglio richiederebbero, risposte unitarie da parte dell'Europa.
Ragion per cui nella nostra risoluzione abbiamo nuovamente inserito l'auspicio che si proceda verso politiche estere e di difesa comuni. Ebbene, c'è un punto non scritto, non meno importante delle linee guida per la Brexit nell'ordine del giorno del Consiglio europeo di sabato: porre le basi per un rilancio dell'Unione europea. Siamo a un bivio: da una parte, la ridefinizione di una nuova piattaforma veramente condivisa, che contempli la riscrittura di alcuni parametri economici, l'adozione di misure utili ad uscire finalmente dalla crisi economica, la compartecipazione di tutti gli Stati europei, ripeto, tutti gli Stati europei, nel governare il fenomeno dell'immigrazione; dall'altra parte, il vicolo cieco della dissoluzione degli ideali europei a sessant'anni dai Trattati di Roma.
Confidiamo nella prima opzione, ma questo non può prescindere dalla riscrittura di un nuovo patto fondativo dell'Unione, un patto che dovrà vedere l'Italia protagonista, come lo fu sessant'anni fa, e che dovrà riavvicinare le istituzioni europee ai cittadini. La Brexit non è stata e non dovrà essere…
PRESIDENTE. Deve concludere, collega.
MARIANO RABINO. …la minaccia di implosione dell'Unione europea, ma un segnale che non possiamo trascurare. Lo dobbiamo all'Italia, lo dobbiamo all'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, noi appoggeremo l'azione del Governo anche in questa occasione. Vorremmo vedere in questa azione del Governo, però, un po' più di decisione, un po' più di entusiasmo europeista. L'Europa nasce da un grande entusiasmo. Ricordate l'inno dell'Europa. Cosa ci dice? Entriamo carichi di entusiasmo nel tempio della gioia, è l'Inno alla gioia di Schiller. Dov'è questo entusiasmo? Senza un entusiasmo europeista non si costruisce l'Europa. Questo entusiasmo oggi non c'è; non c'è per diverse ragioni. Questa Europa ha perso la sua anima alla fine del secolo scorso, quando non abbiamo voluto i valori cristiani nella Costituzione, quando non abbiamo voluto nessun valore nella Costituzione, quando non abbiamo voluto la Costituzione. Un'Europa senza un'anima, preda di burocrazie. Dobbiamo ridare un'anima politica all'Europa.
In questo io capisco e condivido quello che ha detto il collega Giorgetti, e tuttavia quest'anima politica dell'Europa, amici miei, non può essere quella che propongono i populisti, perché da molti la proposta dell'anima dell'Europa sapete qual è? Noi vogliamo il diritto di spendere senza tenere conto delle regole di bilancio, vogliamo il diritto di spendere senza sapere come ci procureremo le entrate. Non è l'Europa che ci impone il vincolo di bilancio, è il buonsenso, è l'interesse del popolo italiano. Fin quando non si capisce questo, il discorso sull'Europa sarà falsato. L'Europa ha tanti torti, ma avere imposto a noi italiani un minimo di disciplina di bilancio non è un torto, è un merito.
Ricominciamo il discorso sull'Europa partendo dai problemi veri e sgombrando il campo da questo problema fittizio.
Mi consenta un'ultima osservazione, signor Presidente: il popolo sceglie sempre bene quando una classe dirigente responsabile gli presenta le alternative possibili, realistiche, e dà anche conto delle conseguenze delle scelte che si fanno, perché, quando una classe politica non presenta alternative realistiche, quando una classe politica non spiega al popolo quali sono i veri problemi, allora è possibile che il popolo impazzisca e che una nazione vada in rovina. Mi auguro che questo non sia il destino né dell'Italia né dell'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDC).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Locatelli. Ne ha facoltà.
PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, Presidente. Il giorno in cui il Consiglio europeo ha ricevuto dalla Prima Ministra britannica la notifica dell'intenzione di uscita del Regno Unito dall'Unione europea noi europeisti lo abbiamo sentito come un lutto. Qualcuno ha parlato di 8 settembre britannico, altri di ponte levatoio sulla Manica; noi lo abbiamo sentito come mutilazione sia dell'Unione come entità sia del progetto europeo. Era evidente che la Brexit avrebbe comportato conseguenze sugli altri Stati membri e, per quanto possa apparire paradossale, aveva ragione Emma Bonino quando diceva che non dovevano essere solo i cittadini britannici a decidere della loro uscita dalla UE, perché è chiaro che l'esito del referendum pesa e peserà su tutti noi.
È stato detto che affronteremo le trattative in modo costruttivo, adoperandoci per trovare un accordo e augurandoci che in futuro il Regno Unito resti un partner stretto. I primi segnali di difficoltà, però, vengono dalla richiesta britannica di doppio negoziato per un nuovo accordo di partnership e, insieme, per l'uscita dalla UE.
Non è possibile fare due negoziati in parallelo, lo ha detto il sottosegretario Sandro Gozi; sono già difficili e complessi anche se li facciamo in successione. E poi alcune regole ineludibili, pur nel rapporto di amicizia e alleanza. Ad esempio, come ha già detto il Presidente del Consiglio, la Gran Bretagna non può pensare di scegliersi del mercato unico solo la parte che preferisce, perché l'accesso al mercato unico europeo implica l'accettazione delle quattro libertà della UE: libera circolazione di beni, di capitali, di servizi e pure delle persone, la parte di cui Theresa May farebbe volentieri a meno. Negoziati difficili e in più elezioni in arrivo, perché saranno le prossime elezioni nei tre principali Paesi UE, Francia, Germania ed Italia, a determinare il futuro della UE. Fortunatamente, i primi segnali che ci sono venuti dall'Olanda e che ci stanno venendo dalle elezioni francesi sono nella direzione positiva.
PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.
(Annunzio di risoluzioni)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai, Pisicchio, Alfreider, Buttiglione, Bueno e Locatelli n. 6-00312, Fedriga ed altri n. 6-00313, Brunetta ed altri n. 6-00314, Capezzone ed altri n. 6-00315, Palazzotto ed altri n. 6-00316, Rampelli ed altri n. 6-00317, Petraroli ed altri n. 6-00318, Rabino ed altri n. 6-00319 (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.
(Replica e parere del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo per la replica e per l'espressione del parere sulle risoluzioni presentate.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Qualche considerazione, non tanto in replica; ritengo che l'intervento del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sia stato molto preciso ed esaustivo.
Tenevo, però, a dare riscontro alla discussione, di cui ringrazio i deputati, e semplicemente a sottolineare alcune cose. Al collega Giorgetti vorrei dire che sicuramente c'è il pieno e assoluto rispetto della democrazia e, nei tempi, è evidente che sulla richiesta di elezioni anticipate del Premier britannico - aveva, peraltro, escluso lei stessa reiteratamente l'intenzione di chiamare a nuove elezioni -, il quadro, se è cambiato, è cambiato solo all'interno del Regno Unito. Quindi, pieno rispetto della democrazia, pieno rispetto, naturalmente, da parte europea, e soprattutto italiana, dell'esito del referendum.
Sulle considerazioni più generali io non so, onorevole Giorgetti, se avere normative distinte Paese per Paese sull'immigrazione aiuterebbe l'Italia a fare meglio o ancor meglio di quello che sta facendo; anzi, casomai, è la differenziazione nella modalità di adozione delle decisioni prese oggi da parte degli Stati, non delle istituzioni di Bruxelles, da parte degli Stati, che crea problemi.
Per quanto riguarda l'intervento dell'onorevole Villarosa, al di là delle considerazioni su quello che sta succedendo o non succedendo nell'economia del Regno Unito, abbiamo sentito il collega Mazziotti dare dei dati aggiornati, ma comunque è evidente a tutti che la Brexit non ha avuto ancora alcun effetto di tipo economico.
Tengo, però, a sottolineare che l'intervento del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato molto chiaro nell'evidenziare tra le priorità che il Governo si è dato, con un'azione congiunta con il sindaco di Milano e con il presidente della regione Lombardia Maroni, quella relativa all'Agenzia del farmaco. Il Presidente del Consiglio non ha parlato di altre istituzioni di natura finanziaria.
Dopodiché, lasciatemi aggiungere che, se l'Italia, e in particolare Milano, che è sicuramente la piazza più attrezzata, dovesse riuscire a competere con Parigi e Francoforte nell'attrazione di istituzioni e di operatori del settore finanziario, non credo che avremmo di che rammaricarcene, ma sottolineo, il Presidente Gentiloni ha parlato di uno sforzo puntuale e corale con le istituzioni locali, rispetto all'Agenzia del farmaco, alla quale però si sono candidati, credo, 26 dei 27 Paesi.
Ringrazio l'onorevole Dellai, che ha espresso considerazioni, che condivido, sulla necessità di rivendicare quello che c'è oggi, come elemento di base per pensare a quello che molti hanno richiamato nei loro interventi a un “rilancio” dell'Unione europea. Da questo punto di vista sulle parole del collega Brunetta, al di là della visione nel merito - lo dico anche all'onorevole Palazzotto - sul Fiscal compact, sulle modalità, evidentemente era chiaro, è chiaro nell'azione del Governo, era chiaro nelle parole del Primo Ministro Gentiloni, che l'Italia considera anche il negoziato sulla Brexit, che ha una portata in sé per il rilievo del Regno Unito e per il fatto che sia un negoziato inedito - quello non per nuovi accessi, ma per un'uscita dall'Unione europea -, premessa l'importanza e la serietà del negoziato in sé, il Presidente del Consiglio ha ben chiarito che l'Italia considera questo negoziato anche una tappa per il “rilancio”. Concordo - ripeto - con quanto ha detto Dellai e con quanto ha detto l'onorevole Mazziotti sulla necessità, però, di basare un progresso nelle istituzioni su una valutazione positiva di quello che c'è. Ringrazio, comunque, il collega Brunetta per il contributo che ha dato alla discussione.
Vorrei dire all'onorevole Palazzotto che non c'è alcuna sottovalutazione politica o economica, ma soprattutto politica, sulla quale l'onorevole ha insistito, degli effetti della Brexit in chiave politica. Il Primo Ministro Gentiloni ha richiamato alcuni elementi del meccanismo democratico dentro i singoli Paesi, che hanno dato risposte già, in parte, in uno scontro che è evidente che c'è e che nessuno vuole sottovalutare. Le elezioni austriache presidenziali, le elezioni legislative olandesi, il primo turno - e poi vedremo - delle elezioni francesi hanno mostrato uno scontro che c'è, ma il cui esito democratico, dentro i singoli Paesi, ha dato finora risultati che forse altri, da noi, non auspicavano.
Infine, vorrei ribadire a quanti hanno sollevato la necessità di un'attenzione agli interessi e ai diritti dei cittadini europei in generale, nello specifico italiani, che vivono, lavorano, studiano o cercano lavoro in Gran Bretagna, che, come è stato specificato nella relazione iniziale, c'è il massimo interesse, entro un criterio naturalmente di reciprocità, a promuovere dentro il negoziato, che sarà, come è stato detto, prima il negoziato sulla Brexit, poi il negoziato sul nuovo status delle relazioni, che auspichiamo migliori possibili. Bisogna naturalmente essere in due a auspicarlo e a lavorare perché vi siano le migliori relazioni possibili, ma, dentro il negoziato, per noi che abbiamo tantissimi concittadini che vivono, lavorano, studiano o cercano lavoro a Londra, questa è una priorità, come credo sia scontato e non ci sarà problema a ottenere, entro un criterio di assoluta reciprocità, proprio per i legami di storica, secolare amicizia politica, culturale e partnership economica.
Al collega Capezzone, che richiamava l'accordo Cameron-Bruxelles, Cameron-Commissione, personalmente avevo un giudizio diverso su quell'accordo, ma è evidente che quello era un accordo, che prevedeva - come dire - di “tirare” il più possibile i trattati verso autonomia e flessibilità per la Gran Bretagna in un quadro di permanenza del Regno Unito dentro l'Unione europea, quindi nella prospettiva che il referendum avesse avuto un esito diverso da quello che ha avuto.
È evidente che quell'accordo, oggi, è un po' più difficile da mettere in campo. Segnalo che ci sono altre discussioni tra l'Unione europea con partner forti. Ne cito semplicemente due: Norvegia e Svizzera, che hanno un accordo che prevede sostanzialmente il pieno accesso al mercato unico. Sia Norvegia che Svizzera, anche con la recente legge svizzera in attuazione di un referendum popolare nella Confederazione, l'accordo con Norvegia e Svizzera prevede sostanzialmente il pieno accesso al mercato unico e il riconoscimento delle quattro libertà fondamentali, ivi compresa la libertà di circolazione e di movimento delle persone. Noi, Paese confinante con la Svizzera, siamo impegnati a far rispettare questo accordo e questa libertà nel caso in cui vi fossero intenzioni, come a volte sembrano affiorare, di avere comportamenti non in ottemperanza alla piena libertà, ma di natura discriminatoria, nei confronti dei lavoratori italiani, lombardi in particolare, in questo caso.
Signor Presidente, in conclusione, do i pareri sulle mozioni.
Sulla risoluzione n. 6-00312 a prima firma Rosato, parere favorevole.
PRESIDENTE. Poi c'è la risoluzione Fedriga ed altri n. 6-00313.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Parere contrario.
PRESIDENTE. Risoluzione Brunetta ed altri n. 6-00314.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Su questa proponiamo le seguenti riformulazioni negli impegni.
All'impegno numero 1, punto h), leggo il testo riformulato: “a promuovere la designazione della Corte di giustizia europea quale autorità competente per l'interpretazione e l'applicazione dell'accordo di recesso”; al punto i): “promuovere la definizione di una liquidazione finanziaria una tantum”; punto j): “ad adoperarsi per raggiungere quanto prima un accordo”; punto k): “a sostenere la volontà di cooperare con il Regno Unito e di mantenere - riformulazione - un partenariato economico quanto più stretto possibile, nel reciproco vantaggio”. Il punto 2, riformulato, risulta: “a stimolare la riflessione delle istituzioni europee, al fine promuovere iniziative volte a cambiare politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e, di conseguenza, in termini di benessere sociale, partendo da interventi tesi ad implementare un grande piano di investimenti, un New deal europeo, nonché - e qui inizia la riformulazione - meccanismi di incentivazione che consentano agli Stati membri” - cade tutto il resto -“l'avvio di riforme volte a favorire la competitività del “sistema Paese” anche individuando tipologie di investimenti da espungere dal calcolo del rapporto deficit-PIL, ai fini del rispetto del vincolo del 3 per cento”. Il resto cade. Quindi, parere favorevole, nel caso di accettazione delle riformulazioni.
Sulla risoluzione n. 6-00315 a prima firma Capezzone, parere contrario. Sulla risoluzione n. 6-00316 a prima firma Palazzotto, si propongono le seguenti riformulazioni. All'impegno numero 1, il primo capoverso, si propone di espungere da “cogliere” fino a “Estremo Oriente”. Al secondo capoverso si propone di aggiungere all'inizio “ad assumere iniziative per” e il resto vive. Il terzo capoverso vive, il quarto capoverso da “ad adoperarsi” fino a “locale”, va bene senza riformulazione.
Al quinto capoverso, aggiungere all'inizio “ad assumere iniziative per ottenere dal Governo (...)” e poi prosegue; il sesto capoverso, quello che ho rubricato come punto 6, dalla parola “chiedere” fino alle parole “London Stock Exchange” cade; il settimo capoverso va bene; l'ottavo capoverso va bene, cioè dalla parola “informare” fino alla parola “documentazione”; il nono capoverso, dalle parole “al fine” fino a “già determinate, a” va bene; poi, per quanto riguarda i relativi sottopunti: il primo, dove dice “porre con forza il tema della revisione del Fiscal Compact, attivando ogni iniziativa finalizzata alla convocazione di una Conferenza europea per definirne le necessarie modifiche” fino a qui va bene e poi il resto cade; il secondo punto: “proporre l'istituzione di un bilancio interno all'euro zona (...)” va bene; il terzo punto, dalle parole “avviare un percorso” fino alle parole “finanza pubblica” va bene; il quarto punto no, cioè dalla parola “proporre” fino alla parola “interessi”; al quinto punto inserire: “valutare la possibilità di” e poi prosegue. Queste sono le riformulazioni proposte.
Sulla risoluzione n. 6-00318, a prima firma Petraroli, il parere è contrario.
Sulla risoluzione n. 6-00319, a prima firma Rabino, il parere è favorevole con la seguente riformulazione: “impegna il Governo...
PRESIDENTE. C'è prima la risoluzione Rampelli ed altri n. 6-00317.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Ah, sì, l'avevo messa sotto, scusi Presidente.
PRESIDENTE. Non si preoccupi.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Sulla risoluzione Rampelli ed altri n. 6-00317 il parere è contrario.
Quindi torno alla risoluzione Rabino ed altri n. 6-00319, ove il punto n. 2) dell'impegno va riformulato nel modo seguente: “ad adoperarsi affinché le istituzioni europee, nel caso in cui il Regno Unito si opponga ad un accordo che garantisca la libertà di movimento delle persone, neghino l'accesso automatico al mercato unico”; il punto 3) diventa: “ad assumere iniziative per evitare che” e poi prosegue.
(Dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Pia Elda Locatelli. Ne ha facoltà.
PIA ELDA LOCATELLI. Grazie, signor Presidente. Noi non abbiamo voluto la Brexit, non l'ha voluta la stragrande maggioranza dei cittadini europei, ma siamo tutti oggi costretti a subirla. Per la verità, riteniamo che anche gli stessi cittadini britannici, che con una risicata maggioranza si sono espressi per il “leave”, abbiano maturato e stiano maturando una maggiore consapevolezza dei rischi e dei costi che questa scelta comporta per loro e per il resto dell'Unione, ma ormai siamo obbligati ad amministrare quella che si rivelerà come una sconfitta collettiva.
Apprezziamo, dunque, la linea di prudenza e di fermezza che il Governo italiano, di concerto con gli altri Governi europei, manterrà nel negoziato con Londra. Sottolineiamo, in particolare, l'importanza di difendere i diritti degli europei che vivono in Gran Bretagna, per quanto attiene la residenza permanente e per scongiurare un abbassamento delle loro prerogative prima della conclusione dei negoziati, ricordando che ci sono circa 600 mila italiani che vivono oggi stabilmente nel Regno Unito.
Sosteniamo convintamente, inoltre, la proposta di destinare 73 seggi, lasciati vacanti al Parlamento europeo, a liste transnazionali, per favorire il processo di legittimazione delle istituzioni europee e la competizione tra diversi programmi e differenti partiti politici non più su base nazionale, ma continentale e transnazionale. Condividiamo pienamente questo passo perché potrebbe essere il primo in direzione di una rifondazione dell'Unione, soprattutto se con le elezioni del 2019 del Parlamento europeo si aprisse la strada anche all'elezione diretta del Presidente dell'Unione.
Noi Socialisti voteremo a favore della risoluzione della maggioranza, a prima firma Rosato, che abbiamo sottoscritto, e di quelle di Brunetta, Palazzotto e Rabino, riformulate secondo le indicazioni del Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Buttiglione. Ne ha facoltà.
ROCCO BUTTIGLIONE. Grazie, signor Presidente. Come ho già detto, noi appoggeremo la risoluzione di maggioranza. Vogliamo ricordare al Governo che il progetto europeo è qualcosa di fortemente unitario. Unitario vuol dire che non è possibile fare uno shopping, cioè una scelta all'interno del progetto, decidendo per esempio di partecipare al mercato comune delle merci e non accettando la libertà di movimento delle persone. Il mercato unico è una ricchezza che è connessa con le quattro fondamentali libertà di cui vive l'Unione. Chi è dentro, è dentro, chi è fuori, è fuori.
Vorremmo anche ricordare che troppo poco viene valorizzato, in questa fase, il tema della cultura. So che nei trattati la sezione 13 è la più debole, tuttavia è necessario fare qualcosa per ricreare una coscienza del cittadino europeo. Non ripartirà l'Europa se non ripartirà dalla cultura. Sarebbe bene che il Governo italiano cominciasse a dirlo e a tirare fuori qualche idea per rendere possibile un processo di educazione degli europei alla cittadinanza comune.
Abbiamo vissuto un grande attacco all'Europa - dobbiamo anche avere una visione di quello che sta accadendo - nato in parte dal fatto che i poveri del mondo cominciano a lavorare e quindi ci fanno concorrenza, e l'Europa ha bisogno di cambiare radicalmente la sua struttura produttiva, quindi l'informatizzazione dell'industria, quindi le nuove fonti d'energia, quindi nuovi materiali, quindi l'economia della conoscenza. L'Europa non vivrà senza un forte rilancio su questo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-UDC). Ma abbiamo avuto anche un drammatico attacco da parte della speculazione internazionale, la quale ha mirato a sfasciare l'Europa. Abbiamo sostenuto questi attacchi e abbiamo sostanzialmente vinto, sia contro la speculazione, che contro i populismi che, insieme con la speculazione, hanno attaccato l'Europa. Ma questo attacco tornerà nell'arco di alcuni anni, tornerà e vincerà, se noi non agiremo in due direzioni: una, il recupero di una identità culturale dell'Europa, l'altra, un grande sforzo per rendere l'Europa competitiva nell'economia della conoscenza che guida il mondo di domani.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Per un chiarimento? Ne ha facoltà.
BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Solo sulla risoluzione Rabino ed altri n. 6-00319, per dire che, in realtà, la riformulazione riguarda solo il punto 2) del dispositivo, che diventa: “ad adoperarsi affinché le istituzioni europee, nel caso in cui il Regno Unito si opponga ad un accordo che garantisca la libertà di movimento delle persone, neghino l'accesso automatico” - l'unico elemento di riformulazione è, dunque, la parola automatico - “al mercato unico”; il resto non era una riformulazione, ma si trattava di correzioni già contenute nella mozione depositata.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la collega Gebhard. Ne ha facoltà.
RENATE GEBHARD. Grazie, Presidente. Non è certamente il tempo di decisioni ordinarie per l'Europa, a maggior ragione non è ordinario il Consiglio europeo del 29 aprile che darà avvio ai negoziati al processo della cosiddetta Brexit. Condividiamo l'equilibrio con il quale il Presidente del Consiglio Gentiloni ha richiamato i principi ai quali ispirare la posizione dell'Italia e ha affrontato le implicazioni e le conseguenze, complesse senza precedenti nella storia europea, della Brexit. Ne accogliamo la valutazione politica.
Il negoziato che si apre dovrà essere impostato con responsabilità e cautela, e riteniamo che pari responsabilità debba esservi nel fare osservare a chi esce dall'Unione europea che ciò comporterà minori diritti e opportunità. Sul piano sociale ed economico si ripropone l'idea, come ha osservato, di avere, nell'ambito della costruzione UE, una prospettiva di livelli differenziati di integrazione. I diversi livelli di integrazione possono coesistere se, al tempo stesso, fanno riferimento a obiettivi comuni. Come donne, come giovani, come minoranze, noi guardiamo a un'Europa nella quale i diritti siano rispettati e le pari opportunità siano effettivamente tutelate e promosse. È, come ha giustamente osservato il Presidente del Consiglio, un'Europa del confronto culturale che ha consentito all'Unione europea di vivere in pace per tanti anni. Per queste ragioni rinnoviamo il nostro consenso nei confronti del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Rocco Palese. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie, Presidente. Penso che non sfugga a nessuno la gravità dal punto di vista politico della Brexit e dell'uscita del Regno Unito. Da questo punto di vista è stato un duro colpo rispetto al sogno dell'Europa, un'Europa che sicuramente va rivista e rivisitata in tutte le sue parti. Io sono molto sorpreso, signor Presidente, perché noi abbiamo presentato una risoluzione, a prima firma Capezzone, e il collega Capezzone, signor Presidente, ha anche messo in rilievo la circostanza che pochi mesi fa a questa è stato dato parere favorevole tout-court, senza alcuna riformulazione da parte del Governo, mentre oggi, al contrario, viene espresso in maniera immotivata parere contrario.
Io, peraltro, faccio notare anche un'altra cosa ai colleghi, signor Presidente: i punti rispetto ai quali si è espresso parere contrario, rispetto all'impegno, grosso modo, nelle parti degli impegni di altre mozioni, su cui è stato espresso parere favorevole.
Ma, insomma, mi sembra veramente strano che questo possa accadere. Ne leggo qualcuno: “a promuovere un processo di rinegoziazione interno all'UE che investa tutte le regole e i Trattati europei esistenti e che riguardi tutti i Paesi membri dell'Unione europea”. Mi sembra che anche il Presidente Gentiloni era dello stesso avviso. Ancora: “a escludere ulteriori cessioni di sovranità a favore delle attuali istituzioni dell'Unione europea”; “a opporsi alla prospettiva di un Ministero delle finanze unico europeo”; “a promuovere un meccanismo per cui i Parlamenti nazionali possano correggere quanto giunge dalle autorità europee”; “a lavorare per un'Europa nella quale ogni Paese possa partecipare o astenersi rispetto ai singoli programmi e attività a seconda del proprio consenso o su ciascuno di essi”; “come primo passo, a chiedere alle autorità di riconoscere agli Stati membri ciò che era già stato riconosciuto al Regno Unito nella prima mediazione o al Governo Cameron”. Mi sembra il minimo sindacale.
Noi abbiamo sempre sostenuto, come componente, che il precedente Governo in Europa ci rappresentasse, come Paese, in maniera insufficiente o male. Debbo rilevare che, alla luce di questi punti su cui si è espresso parere contrario, se il precedente Governo ci rappresentava male, questo Governo ci rappresenta peggio. Comunque, mi auguro ed auspico che, sostanzialmente, rispetto alla situazione che è stata annunciata, almeno si faccia con dignità la da battaglia per rivedere un po' i Trattati, per rivedere un po' le regole assurde di cui tutti parliamo e ci riempiamo la bocca e per vedere se è possibile - perché sarebbe veramente una grande cosa - riuscire ad ottenere l'Agenzia europea per il farmaco e delle misure vere rispetto alla situazione dei flussi migratori. Almeno si abbia la dignità di rappresentare…
PRESIDENTE. Concluda.
ROCCO PALESE. …nell'interesse del Paese questi punti essenziali, in riferimento anche alle trattative…
PRESIDENTE. Colleghi, però dobbiamo stare nei tempi.
ROCCO PALESE. …che ci rappresentano rispetto alla situazione del Regno Unito e della Brexit.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Rizzetto. Ne ha facoltà.
WALTER RIZZETTO. Grazie, Presidente. Presidente Gentiloni, sottosegretario, il gruppo che in questo caso rappresento voterà contro le proposte della maggioranza e voterà a favore delle proposte delle cosiddette opposizioni, poiché uno, sottosegretario, era il tema rispetto a quanto abbiamo dibattuto stamattina ed era quello di Brexit fondamentalmente, ovvero l'uscita dall'Unione europea del Regno Unito. Il Presidente Gentiloni, poco fa, ha ampliato il raggio interpretativo rispetto a questo specifico tema parlando anche di diritti, parlando di immigrazione, parlando di tutto quello che è di fatto la vostra idea di Europa.
Noi abbiamo presentato una risoluzione che andava, di fatto, a tracciare, a segnare delle linee, secondo noi, importanti rispetto a tutto quello che uno Stato sovrano come l'Italia dovrebbe necessariamente andare a riprendersi, alla faccia, Presidente, di interventi bonari, mielosi, di filomaggioranza che io ho ascoltato oggi in quest'Aula; interventi di qualche collega, sia in dichiarazione di voto sia in discussione generale, in cui si dice che va tutto bene, che questa è un'Europa che funziona, che dobbiamo semplicemente modificare alcune cose.
Presidente Gentiloni, io ho ascoltato il suo intervento di stamani e lei ha affermato che Brexit è un riflettore. Brexit, Presidente, non è un riflettore: Brexit è una sberla importante che un popolo fiero, in questo caso, ha dato all'Unione europea, ha dato a quella che voi chiamate comunità europea. Non c'è nulla di comunità in questa Europa: etimologicamente, il termine “comunità” non può essere associato all'Europa di oggi. Un riflettore, lo chiama il Primo Ministro Gentiloni. Attenzione, colleghi, la Gran Bretagna - vi do una notizia - sta benissimo e sta talmente bene che, addirittura, va a votare tra qualche settimana, cosa che a noi, in Italia, ad oggi, è di fatto impedita, e sappiamo anche perché e se n'è accorto anche ieri il Presidente Mattarella.
Il Primo Ministro Gentiloni parla di riflettori, parla di difesa comune, parla di Brexit addirittura come di un'opportunità per l'Italia: Gentiloni stamani dice che Brexit potrebbe essere un'opportunità per l'Italia. Lo dica che allora l'Italia è un'opportunità: sottosegretario, lo dica al Primo Ministro Gentiloni che le aziende vengano ad investire in Italia. Ci comprassero Alitalia in ventiquattr'ore. Probabilmente non lo faranno, attenderanno il fallimento della società per sciacallare una volta in più rispetto alle aziende italiane. Allora, ditelo a qualcuno.
Una settimana fa, mi pare, il Presidente Gentiloni si è recato negli Stati Uniti a far visita riverente al Presidente Trump. Forse, Gentiloni dimentica che, ieri, il Presidente Trump ha portato le aliquote per le aziende dal 35 al 15 per cento. Allora, la nostra attrattività, Primo Ministro Gentiloni, qual è? Dov'è la nostra attrattività se in Italia le aziende pagano sino al 60-70 per cento di tasse? Non volevo parlare di questo, sottosegretario, ma il Presidente Gentiloni, evidentemente, ci ha dato sponda, perché non abbiamo parlato soltanto di Brexit stamattina.
Dove sta la competitività dell'Italia in seno a questa Europa che non ci piace rispetto a tasse, rispetto a burocrazia, rispetto a quanto il Primo Ministro stamattina ha trattato come assunto ovvero a non deprimere i livelli di crescita? Quali livelli di crescita? Vada in Europa il Primo Ministro Gentiloni a dire che in Italia c'è il 35 per cento di disoccupazione giovanile; vada in Europa a dire che c'è l'11,4 per cento di disoccupazione globale. È questa l'attrattività che il Primo Ministro va a fare intendere ai suoi colleghi europei fra qualche ora?
Vada a dire che, in Italia, rispetto al Documento ed in pancia al Documento di economia e finanza, per l'ennesima volta, ci sono 4,6 miliardi per la gestione dell'immigrazione. Allora diamo anche questi 4,6 miliardi alla piccola e media impresa, per la disoccupazione, alle aziende in crisi. Invece no, tutto questo non si fa: queste, secondo il vostro Governo, sono l'attrattività e le opportunità che il nostro Stato, non più sovrano, vuole offrire agli investitori esteri e agli europei.
Allora io vorrei chiedere, in tutta sincerità, ai colleghi e al Primo Ministro che cosa intende lui per Europa. È questa un'Europa che ci piace? Un'Europa che, di fatto, è stata costruita soltanto ed esclusivamente su di una moneta? Sottosegretari, i nostri figli che frequentano una scuola pubblica fanno fatica ad imparare una lingua, ad imparare la lingua inglese, dovranno pagare in euro, ma non sapranno neanche esprimersi nella lingua principe della comunità europea, che dovrebbe essere la lingua inglese. Strano il caso che la lingua principe dell'Unione europea, ovvero l'inglese, faccia parte di un territorio che dell'Europa, in questo momento, se ne frega, anzi che ne è uscito.
Allora qual è questa idea di Europa? Abbiamo parlato, prima ho ascoltato qualche collega che parlava di idea di Europa rispetto alla libera circolazione: fatevi un giro rispetto alla cosiddetta Europa dell'est, rispetto ai confini che attualmente hanno chilometri di filo spinato, ad esempio, tra Croazia e Slovenia. Chilometri di filo spinato: è questa l'Europa che vogliamo? È questa l'Europa che ha funzionato in qualche intervento - lo rinnovo - buonista da parte di qualche collega? Ebbene, io non sono buonista in questo intervento che farò.
Vada a dire il Primo Ministro Gentiloni quanto si soffre di mancanza di lavoro in Italia, come prima ha detto, quanto si soffre rispetto alla competitività delle nostre aziende, rispetto alla burocrazia che un investitore estero deve necessariamente passare in Italia. Vada a capire, ad esempio, ritornando al tema principale di questo dibattito, come funziona nel Regno Unito. Nel Regno Unito il PIL è previsto in crescita, l'economia del Regno Unito è perfettamente in salute, la disoccupazione è bassa.
Sono questi gli effetti di Brexit? Allora se sono questi gli effetti di Brexit va bene, noi siamo d'accordo con Brexit. Dunque, l'attrattività dell'Italia a che cosa si riduce? Dove possiamo andare a fare concorrenza? Ricordo che il Presidente Trump ha abbassato al 15 per cento le aliquote per quanto riguarda le aziende: forse questi sono gli Stati più attrattivi, non tanto l'Italia. L'Italia è attrattiva per quanto riguarda l'artigianato, l'Italia è attrattiva per quanto riguarda le partite IVA; l'Italia è attrattiva rispetto al mercato del lavoro; rispetto alla piccola-media impresa; rispetto alla tecnologia no, non lo è più e non lo è più anche perché è costretta e soffocata da un'Europa che annualmente ci chiede miliardi per restarvi dentro, anche se non ci piace. Dunque, sa che cos'è un diritto? Un diritto è qualcosa che deve essere trasversalmente applicato. Tutti questi miliardi che noi diamo all'Europa, diamoli anche alle nostre imprese, diamoli anche ai nostri lavoratori, diamoli anche ai nostri pensionati o a coloro che non riescono ad andare in pensione: questo è di fatto un diritto. Invece in modo - lo ripeto per la terza volta - piuttosto buonista, demagogo, poco virtuoso, a mio avviso, si va a trattare l'Europa come qualcosa che non funziona. Tanto per essere chiari i 35 euro di fondi cofinanziati per quanto riguarda gli immigrati, diamoli anche ai disoccupati: questo è quello che deve andare a dire il Primo Ministro Gentiloni in Europa. Mi avvio alla conclusione, Presidente, dicendo che mi dispiace che abbiate espresso parere negativo alla nostra risoluzione Rampelli n. 6-00317 con tutti i nostri impegni. Ne voglio citare soltanto uno: “… ad agire affinché l'Italia mantenga la propria sovranità e l'autonomia delle proprie scelte, richiedendo una nuova fase fondativa dell'Unione”. Non siamo contro l'Europa come concetto ma siamo contro questo tipo d'Europa. Si faccia rispettare, Presidente.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
WALTER RIZZETTO. Concludo, Presidente. Presidente Gentiloni, i Trattati europei vanno indubbiamente rivisti. Non possiamo sempre essere sub judice nei confronti di un'Europa che non ci vuole protagonisti. Vada a trattare con i pugni sul tavolo nei confronti dei suoi partner europei ma non vada a trattare su queste basi a nostro nome.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Sberna. Ne ha facoltà.
MARIO SBERNA. Grazie, signor Presidente. In effetti il nostro gruppo non ha molto altro da aggiungere come dichiarazione di voto finale a quanto già detto propriamente dal nostro presidente Lorenzo Dellai durante la discussione, peraltro apprezzato anche in sede di replica dal Governo, ed è quello che sottolineiamo, ancora una volta, con forza: ripensare, valorizzare, rilanciare quello che già oggi c'è dell'Europa, è l'Europa e sarà l'Europa. Credo che sia una priorità per noi renderci conto che, effettivamente, i ragazzi che c'erano prima qui e la maggior parte di noi vive da settantadue anni in pace per la prima volta nella storia dell'Europa. Possiamo dire di aver fatto un periodo di lunghissima pace. Certo, la sofferenza per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea è palpabile, l'abbiamo presente tutti ma c'è anche da dire che, alla fine, il treno perde un vagone che prende un'altra strada, un altro cammino, un altro percorso, un'altra destinazione con l'intenzione probabilmente di andare più veloci. Non so nemmeno, perché è la storia che ce lo dirà, ma non so nemmeno se andrà più veloce. So anche che un treno, che va veloce, certamente arriva prima ma prende solo i ricchi. I poveri li prende un treno che va un po' più piano e che fa tutte le stazioni. Credo che il compito dell'Europa sia di raccogliere tutti. Abbiamo appena visto ieri il Presidente Trump degli Stati Uniti America che taglia di oltre la metà le tasse ai ricchi. Non so cosa ne sarà di quel già enorme debito pubblico americano ma so cosa ne sarà della classe più povera di quel Paese. Certamente quelli che vanno più veloce pagheranno meno tasse ma quelli che vanno più lenti soffriranno di più. Non credo che questa sarà la storia dell'Europa. Sono convinto che un'Europa a 27 continuerà, in questo periodo di pace, di prosperità e anche di sofferenza, ad andare a raccogliere gli ultimi e farli crescere.
Non dimentichiamoci poi che, su quel vagone che lascia il nostro tragitto, c'è praticamente la metà dei cittadini inglesi che avrebbero voluto continuare sul tragitto. È stata quasi una casualità: quella che oggi è la maggioranza che ha voluto la Brexit, nei fatti, per poche centinaia di migliaia di voti, poteva essere la minoranza. E quindi, la storia ce lo dirà ma è anche possibile che un domani ci sia un ritorno. È per questo che al Consiglio europeo, come ha ben detto il Premier Gentiloni, dobbiamo tener presente che gli inglesi sono degli amici, sono degli alleati. Non dimentichiamoci che sul vagone inglese, come diceva prima la collega, ci sono 600.000 italiani in Inghilterra, quasi 300.000 solo a Londra. Sono quelli iscritti all'AIRE ma non iscritti all'AIRE ce ne sono ancora almeno altrettanti: un milione di concittadini stanno su quel vagone oggi e l'amicizia che ci lega e che ci legherà alla Gran Bretagna ci deve ovviamente far pensare anche a loro, anche con pensieri molto, molto economici: la Borsa di Milano è di proprietà della Borsa di Londra; si è parlato del bail in e del Fiscal compact. Non possiamo dimenticare che abbiamo anche una cooperazione in termini di sicurezza, di intelligence e certamente di difesa da mantenere forte. A fronte degli attentati terroristici, di cui è stata vittima anche l'Inghilterra recentemente, insieme alla Francia, alla Germania e, dio non voglia, che anche in altri Paesi possa realizzarsi questa cooperazione per stroncare il terrorismo che è solo malvagio, tale cooperazione deve continuare con la maggior convinzione possibile. Per tale ragione, a questo Consiglio europeo l'unità di intenti nel percorso che era iniziato insieme deve continuare e rispettare la scelta di una piccola maggioranza del popolo inglese di tentare un'altra strada, un percorso diverso che magari un domani quel tracciato, quel binario riporterà ad un percorso ci auguriamo parallelo e poi magari di nuovo unito al treno dell'Unione europea, un treno che, ripeto le parole del Presidente Dellai, è da valorizzare, rivitalizzare e ringraziare per tutto quello che è stato fatto fino ad oggi e che potrà ancora essere fatto. Per questo il nostro voto è favorevole in base a quanto dichiarato dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Parisi. Ne ha facoltà.
MASSIMO PARISI. Grazie, signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, vorrei aprire questo intervento con una citazione: “Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece lavoriamo duro, finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa che è la tragedia di non voler lottare per superarla”. Queste parole furono scritte da Albert Einstein nel 1931 ad un paio d'anni di distanza dal tracollo della Borsa di New York e dal contestuale avvio della terribile crisi economica mondiale che ben conosciamo. Proprio il concetto di crisi era al centro di quelle riflessioni di Albert Einstein e crisi è quella che stanno vivendo oggi le istituzioni europee. Non vuole essere un parallelismo fra il 1929 e oggi ma la lezione di una delle menti più illuminate del secolo scorso merita di essere riproposta e interiorizzata perché è indiscutibile che le ragioni per cui si terrà la riunione straordinaria del Consiglio europeo risiedono negli esiti del referendum tenutosi nel Regno Unito nel giugno 2016 che ha visto prevalere il leave e con ogni probabilità tale esito è stato determinato, anche se non soprattutto, dalla sfiducia nelle istituzioni europee colpevoli agli occhi dei cittadini di non aver saputo affrontare adeguatamente le sfide economiche e sociali e di non aver saputo difenderli dalla crisi.
Vale la pena allora di fare un appunto anche sull'etimologia del termine “crisi”, che significa “scelta”, “decisione”, e una scelta andrà necessariamente presa, e dovrà essere una scelta di rottura con la situazione esistente, perché, per dirla con Einstein, non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. La Brexit è ormai una realtà ineludibile, drammatica ma ineludibile. Non ritorno sulle linee guida, per non ripetere i concetti prima espressi in discussione dal mio collega Rabino. Compito dell'Unione europea è far sì che non si inneschi un effetto domino in altri Paesi membri, anzi bisogna agire per trasformare il problema in opportunità. Non si tratta di contrapporre l'ottimismo della volontà al pessimismo della ragione, si tratta invece di una sfida certo non facile, date le circostanze, ma non impossibile, e soprattutto a cui non possiamo sottrarci. L'obiettivo è e deve essere, a nostro avviso, definire un nuovo patto fondativo che favorisca un'integrazione sempre maggiore tra i 27 Paesi, un rafforzamento delle istituzioni europee, non solo dal punto di vista economico, e un loro riavvicinamento alle istanze dei cittadini.
Il Presidente del Consiglio, Gentiloni, nel suo intervento ha parlato di un'Unione più forte, in grado di affrontare e risolvere i problemi che sono alla base delle sue difficoltà: non possiamo che sottoscrivere le sue parole. Il suo auspicio è il nostro auspicio, e perché ciò avvenga è imprescindibile - mi si passi l'espressione - una rivoluzione interna alle istituzioni europee. Se nel giugno scorso ha vinto la Brexit, se movimenti populisti ed euroscettici raccolgono sempre più consensi - anche se fortunatamente senza sfondare del tutto, come ci hanno dimostrato le recenti elezioni in Austria, in Olanda, nel primo turno delle elezioni presidenziali francesi -, se nell'immaginario collettivo Bruxelles è lontana tanto più di Mosca, le responsabilità non sono dei cittadini che sbagliano, ma anche e soprattutto di chi ha peccato di insensibilità, di pragmatismo, di responsabilità. Il disegno economico dell'area euro, ad esempio, era adeguato a periodi di congiuntura favorevoli, ma ha mostrato i suoi limiti di fronte alle sfide poste dalla crisi economica e finanziaria della globalizzazione. O ancora, la gestione dei flussi migratori: una delle sfide che più da vicino coinvolgono l'Europa, sfida che avrebbe evitato un surplus di responsabilità e di partecipazione da parte di tutti gli Stati europei. La Comunità europea è nata anche e soprattutto per abbattere i confini materiali e simbolici fra gli Stati del continente, chi minaccia di rialzarli, siano essi fatti di rete metallica, di mattoni o semplicemente di egoismo nazionalista, dimostra di aver capito ben poco del messaggio dei padri fondatori dell'Europa.
Ci saremmo aspettati dalle istituzioni europee maggiore attenzione nei contrasti di questo fenomeno, che da emergenziale sta diventando sempre più strutturale. Ci siamo sbagliati, ci sbagliavamo, e le conseguenze sociali e politiche sono sotto gli occhi di tutti. Siamo ancora in tempo perché si inverta la rotta, e lo dimostra - ritorno in Francia, al di là delle Alpi - l'esito del primo turno delle presidenziali in Francia, ma non possiamo sottovalutare i rischi che incombono, e perché la Francia ha una storia e una tradizione diversa e perché il populismo in quel Paese ha caratteristiche diverse da altri populismi che esistono in Europa e nel nostro Paese. Ha prevalso il candidato più europeista, è vero, il candidato che ha avuto, in occasione dei suoi comizi, il coraggio di non utilizzare bandiere di partito ma dell'Europa, oltre al tricolore francese; il candidato che non ha rincorso gli istinti più diffusi della popolazione ma ha convinto della bontà delle scelte europeiste oltre 7 milioni di connazionali. Qualcuno starà pensando che il 7 maggio potrebbero esserci delle sorprese nelle urne, può darsi, non è il caso di fare previsioni, ma non posso negare che l'auspicio è che, a vincere e a salire all'Eliseo, sia Emmanuel Macron. Lo spero proprio per il bene della tanto vituperata Europa, e con la speranza che la tendenza delineatasi in molte delle recenti consultazioni elettorali possa confermarsi anche nei Paesi che andranno prossimamente al voto, compresa l'Italia. Ma perché ciò accada, ripeto, è di fondamentale importanza che le istituzioni europee facciano quello che, in gergo comunicativo, si chiama “operazione simpatia”, che, nei fatti, deve essere una strategia di riavvicinamento alle istanze dei cittadini, adottando politiche finalizzate ad accorciare i tempi di uscita dalla stretta economica, affrontando il dramma della disoccupazione ed aumentando la sicurezza dei cittadini europei.
Il Governo italiano dovrà perciò essere pronto ad attuare tutte le misure necessarie a far sì che i rischi derivanti dalla Brexit siano minimizzati, e che le possibilità di sviluppo offerte da questo evento siano implementate, ma soprattutto essere attore protagonista della riscrittura delle linee guida, non tanto della Brexit quanto del patto fondativo che lega i 27 Paesi dell'Unione europea. Questo adesso diventa un dovere, per chi crede in un'Europa forte e unita: trasformare un fatto decisamente negativo in occasione di crescita e di miglioramento, un'opportunità che non possiamo perdere per far tornare i cittadini a credere nel sogno di un'Europa attenta alle esigenze dei cittadini e non alle burocrazie. Solo così potremo mettere finalmente a tacere i rigurgiti antieuropeisti e ridare slancio ad un'Europa veramente unita, forte e credibile. Per queste ragioni, oltre ad accogliere la riformulazione che il Governo ha proposto alla nostra risoluzione, voteremo quelle risoluzioni che vanno nel senso che ho indicato nel mio intervento, nel senso di un convinto europeismo.
Voteremo quindi la risoluzione di maggioranza, anche con qualche perplessità rispetto al lungo elenco di impegni che sono formulati nella risoluzione di maggioranza. Mi riferisco, in particolar modo, all'idea delle liste transnazionali con cui sostituire i rappresentanti del Regno Unito, idea che personalmente non condivido, mi sembra già un grande risultato se riuscissimo a rifondare i partiti ognuno nei rispettivi Paesi, visto che ormai i partiti non esistono più, e questa forse è una delle ragioni per cui stiamo assistendo a questi fenomeni, a fenomeni come la Brexit e a fenomeni come i risultati elettorali di altri Paesi del mondo occidentale. Comunque, è importante che il Governo vada a questo appuntamento con il sostegno del Parlamento, in ragione di ciò voteremo, come ho detto, anche la risoluzione di maggioranza. Voteremo anche la risoluzione di Forza Italia, segnalando come dato politico nazionale, se vogliamo, la rilevante differenza e divergenza fra la risoluzione presentata da Forza Italia, di cui mi rallegro, e le risoluzioni presentate dagli altri partiti del centrodestra appartenenti al cosiddetto “fronte sovranista”. Con questo e con l'auspicio che davvero l'Europa possa uscire più forte da questi drammatici eventi, concludo il mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Giovanni Monchiero. Ne ha facoltà.
GIOVANNI MONCHIERO. Presidente, avendo sottoscritto la mozione di maggioranza, direi che in essa ci riconosciamo, per cui approfitto di questo intervento per partire da un passo della risoluzione e rafforzare qualche posizione politica nel solco già trattato prima in discussione dal collega Mazziotti Di Celso. Che cosa dice nelle premesse la risoluzione di maggioranza? Cita la bozza di linee guida che dovrebbero appunto fornire gli elementi base per condurre la trattativa con il Regno Unito: un non membro dell'Unione, che non sostiene quindi gli stessi obblighi di un Paese membro, non può avere gli stessi diritti e godere gli stessi benefici riservati ai Paesi che ne fanno parte. Credo che nella civiltà contadina, dalla quale provengo, una frase del genere non sarebbe mai stata scritta, perché nessuno che non si assumesse gli obblighi di una convivenza pensava di poterne trarre i vantaggi; invece oggi è opportuno scriverla, perché anche su queste basi fondamentali dei rapporti interpersonali, quindi anche di rapporti fra Stati, oggi non ci si capisce più, e bisogna anche dire che chi è fuori non è come se fosse dentro. Ecco, cominciamo ad affermare questo, che chi è fuori è diverso da chi è dentro. Poi vediamo se ci sono più motivi per restare fuori o per stare dentro, ma che sia la stessa cosa, no! Che sia la stessa cosa, no! Non sarà così, non può più essere così: è successa una rottura, e a questa rottura non possono non seguire delle conseguenze, sia per chi l'ha provocata e sia per chi l'ha subita.
Il nostro Presidente del Consiglio, di cui apprezziamo sempre il modo davvero molto civile di esprimersi e una naturale propensione alla diplomazia, ha voluto affermare un principio assolutamente condivisibile, cioè che, nella trattativa con la Brexit, non deve prevalere un principio di vendetta ma un principio di collaborazione. Siamo assolutamente d'accordo, aggiungeremmo però una parola: fermezza. Guai se passasse l'idea che si può uscire senza pagare dazio. Leggo una frase di una delle risoluzioni di minoranza, sulla quale il Governo ha espresso per fortuna parere negativo, dove si chiede al Governo di esprimere una posizione che evidenzi il rispetto del popolo del nostro Paese per i risultati dell'esercizio di autodeterminazione che ha condotto gli elettori britannici a pronunciarsi a favore dell'uscita, e a ribadire che il rispetto del metodo democratico implichi anche la possibilità di uscire. Condivido totalmente: è ovvio che il rispetto del principio democratico implichi il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli, ci mancherebbe ancora! Quello che non può implicare è che a questa volontà non seguano delle conseguenze. È troppo facile dire “no”, avendo la certezza che a questo “no” non succederà nulla, avendo la certezza che qualcuno porrà rimedio, che da qualche parte si troveranno i soldi per rimediare a qualsiasi “no”.
Noi siamo un Paese nel quale i “no” si sprecano, ed è proprio per questo che in questa relazione con il problema della Brexit è indispensabile che l'Italia, per una volta, dia la sensazione di essere un Paese che crede agli ideali che proclama e che dagli ideali trae delle conseguenze pratiche. Il Presidente del Consiglio ha fatto un'altra affermazione sulla quale voglio tornare, perché mi pare quanto mai opportuna: “no” ad accordi separati con l'Inghilterra, assolutamente “no”. Non vogliamo che li facciano gli altri Paesi, non vogliamo che li faccia l'Italia. Non c'è nessuna condizione economica che valga il costo politico di un accordo separato con l'Inghilterra. Gli accordi con l'Inghilterra li fa l'Europa; prima si firma l'accordo per l'uscita, poi si ristabiliranno dei rapporti di buon vicinato con un Paese che diventerà extracomunitario, perché deve essere extracomunitario, anche se non sarà, ovviamente, fuori dalla cultura europea.
Qual è il rischio che corriamo, che è percepito e anche condito da ottime intenzioni in quest'Aula, in questa discussione di oggi? Il rischio è che, mentre noi affermiamo più Europa, facciamo riferimento a una comune civiltà, a un comune modo di vivere, a un comune insieme, oserei dire, di valori, ma, forse, per il caso di specie, è una parola un po' elevata, a un comune insieme di stili di vita, di abitudini di vita, di pratica della democrazia ormai consuetudinaria in tutta Europa da molti decenni; tutto questo non è sufficiente per tenere assieme un'unione politica, come non è sufficiente l'unione economica. Noi non possiamo essere più europei se non siamo disponibili a fare dei passi avanti sull'unione politica. Molto bene il Presidente del Consiglio ha fatto nel citare la difesa comune come il primo luogo per sperimentare forme ulteriori di integrazione.
Per la verità, i due argomenti sono abbastanza separati: la trattativa sulla Brexit ha delle sue problematiche e il rilancio dell'Unione europea ne ha delle altre, ma le due cose possono muoversi benissimo in parallelo, non c'è conflitto fra le une e le altre. E, anche se oggi dovremo parlare della prima, questo accenno alla seconda a me pare opportuno e vorrei tornarci un attimo. La difesa è davvero il primo terreno sul quale ci sia in Europa un comune sentire della necessità di unire gli sforzi per avere un sistema di difesa che sia più efficace di quello attuale, totalmente demandato agli Stati Uniti d'America, che ci stanno pure presentando il conto economico del loro interventismo mondiale.
Con l'arroganza e la chiarezza immensa, ma che lo contraddistingue, il Presidente Trump ci ha presentato il conto economico. Dice: noi continueremo a difendervi, però costa tanto, e questo “costa tanto” è il doppio di quello che pagavamo prima. Ora, in questo contesto penso che sia razionale mettere assieme le energie dell'Europa, le tecnologie dell'Europa, la storia dell'Europa, per cercare di fare dei passi avanti sul piano della difesa comune, bisogna farlo. Bisogna fare per questo un terreno sul quale l'integrazione credo che sia ben accetta da tutti i popoli, e, ovviamente, il consenso dei popoli è fondamentale per un qualsiasi ulteriore livello di integrazione. Però non credo che sia possibile un progresso sull'integrazione, partendo dal principio che possiamo avere livelli diversi e successivi di integrazione.
Questo concetto ha senso solo nell'ambito dell'integrazione economica, non può avere nessun senso nell'ambito dell'integrazione politica. È bene che l'Europa venga rifondata su una base di chiarezza e di condivisione di un principio fondamentale e ineludibile: per fare dei passaggi ulteriori sull'integrazione politica, da molti auspicata, da noi auspicata, dal mio gruppo certamente auspicata, ma da molti in quest'Aula auspicata anche stamattina, insomma, non è possibile pensare ad integrazioni politiche successive. Bisogna che ci abituiamo tutti che in un'unione fra Stati si entra e non si esce. In un qualunque accordo economico si può entrare e uscire, ma in un'unione tra Stati si entra e non si esce.
Ci serve una Costituzione europea diversa da quella attuale (quella attuale, ovviamente, si basa solo su accordi economici). Uscire dall'unione economica europea ed entrare davvero nell'Unione europea: questa è la prospettiva per il futuro.
Concludo, citando una frase significativa del collega Sberna, che ha detto: il risultato della Brexit è stato forse un po' casuale, potevano anche vincere i contrari all'uscita e i favorevoli alla permanenza nell'Unione. Certo, ha perfettamente ragione, ma è un altro insegnamento che dobbiamo trarre da quella vicenda politica: non è l'equivalenza numerica o la quasi equivalenza numerica fra i favorevoli e i contrari, ma è che a questo passo, a nostro parere errato, a parere di altri invece giustificato, non si è venuti spinti da una reale necessità di risolvere quel problema, ma si è venuti spinti da un calcolo politico orrendo di un personaggio politico inetto, che ha pensato di mettere in ballo le prospettive del proprio Paese per rafforzare la propria posizione. Gli è andata male, per fortuna degli inglesi non è più lui a gestire quella pratica. Dico per fortuna degli inglesi perché è sempre meglio compiere un passo chiaro che non andare dietro ad un leader che era disposto a vendere l'interesse del Paese per la propria affermazione (Applausi dei deputati del gruppo Civici e Innovatori).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Marcon. Ne ha facoltà.
GIULIO MARCON. Grazie, Presidente, signora sottosegretaria, colleghe e colleghi, vorrei partire ancora dalle valutazione e dalle osservazioni che ha fatto stamattina il Presidente del Consiglio sul prossimo Consiglio europeo, per l'appunto, e sulla vicenda della Brexit. Valutazioni che ci servono, mi servono anche per esprimere un giudizio, una valutazione sulle risoluzioni che sono state presentate oggi e che voteremo. Penso che, nelle parole del Presidente del Consiglio, ci sia una sottovalutazione. Apprezziamo, ovviamente, lo stile diverso rispetto al precedente Presidente del Consiglio, con una maggiore serietà e anche con una maggiore capacità di approfondimento dei temi, però credo ci sia una sottovalutazione.
Una sottovalutazione sia di quello che la Brexit ha rappresentato, le cause, le origini, quali sono le motivazioni che hanno portato all'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, e una sottovalutazione di quello che sta succedendo nell'Unione europea. L'Europa è in una grave crisi - non basta a risollevarla la dichiarazione congiunta dei ventisette Capi di Stato e di Governo a Roma poche settimane fa - e pensiamo che non bastino a risollevare l'Europa, a risollevare l'Unione europea i buoni auspici, le speranze, l'ottimismo con il quale certe volte si cerca di addolcire la pillola. L'Europa è in una grave crisi perché è insostenibile la costruzione con la quale l'Europa si è definita in questi anni.
È insostenibile una scelta come quella dell'unione monetaria, non accompagnata dall'unione, dalla scelta di avere politiche comuni sui temi fiscali, del lavoro, sui temi della politica economica. Non è sostenibile un'Europa attraversata da gravi squilibri regionali, che non sono stati rimossi, non sono stati intaccati, ma, anzi, con questa costruzione sono stati amplificati e sono stati accentuati. Il Presidente del Consiglio ha fatto riferimento all'Europa a due velocità: in realtà, l'Europa a due velocità esiste già. Esiste un'Europa che ha performance di un certo tipo, pensiamo alla Germania e ad altri Paesi, i Paesi europei settentrionali e dell'Europa centrale, e poi un'Europa, soprattutto l'Europa mediterranea, che soffre condizioni gravi, condizioni di sviluppo economico, di crescita, ancora precarie, e pensiamo che ci siano degli squilibri, come ricordavo prima, che sono a testimoniare l'esistenza già oggi di un'Europa a due velocità.
Noi pensiamo che mettere in agenda la costruzione di un'Europa con queste caratteristiche, con due velocità diverse, sia il fallimento di un'impostazione, che è quella che ricordavo prima e che ha portato alle condizioni oggi sotto gli occhi di tutti e che comportano anche la teorizzazione di un'Europa a più velocità. Noi avremmo bisogno di superare questi squilibri regionali economici e sociali tra i diversi Paesi, avremmo bisogno di mettere insieme le politiche, avremmo bisogno di costruire effettivamente, attraverso un bilancio europeo, politiche che vadano in quella direzione. Tutto questo non è successo e non succede. Brexit è in qualche modo il simbolo di un fallimento, un simbolo che evidenzia il deficit della costruzione europea.
Innanzitutto un deficit democratico, un deficit democratico che non riguarda solamente il Parlamento europeo ma riguarda, ad esempio, le strutture e gli organismi che l'Eurozona si è data per governare un processo così complicato come, appunto, la costruzione dell'unione monetaria. Pensiamo all'Eurogruppo: l'Eurogruppo non ha uno statuto, non ha delle procedure, non ha verbali ed è - cosa dire? - descritto con sei righe in un trattato senza spiegare come funziona e attraverso quali meccanismi si prendono le decisioni. Ma può essere che l'organismo più importante, che ha in qualche modo la responsabilità di orientare, di governare e di riformare, per certi versi, anche il funzionamento dell'unione monetaria, sia un organismo così opaco e debba funzionare in questo modo, cioè debba funzionare senza la trasparenza e la democrazia che dovrebbe essere necessaria per dare anche legittimità alle decisioni che vengono prese?
E poi c'è un deficit, come ricordavo prima, delle politiche: deficit delle politiche comuni, deficit delle politiche fiscali, delle politiche sociali, del lavoro. Noi avremmo bisogno di costruire non solo la convergenza rispetto alle politiche di bilancio - come è adesso e come viene fatto attraverso le politiche di austerità, attraverso le politiche di tagli, attraverso la politica di riduzione della spesa - ma avremmo bisogno di una convergenza in realtà su temi fondamentali per il benessere delle persone, cioè i temi del lavoro, della sostenibilità ambientale, di un modello di sviluppo diverso. Avremmo bisogno di una convergenza sui temi del welfare, avremmo bisogno di una convergenza su quei diritti sociali, su quei diritti che sono sanciti pure da alcuni trattati europei - e penso alla Carta di Nizza - ma che non trovano nessuna applicazione. Allora, non è possibile che ci sia la convergenza solo sulle politiche di bilancio e non ci sia la convergenza anche sul lavoro, sulla sostenibilità ambientale, sul modello di sviluppo, sul welfare e sui diritti delle persone. È questo il deficit che ha caratterizzato la costruzione europea e che è anche alla base della Brexit.
Io penso che bisogna evitare posizioni ottimistiche, bisogna evitare posizioni consolatorie e bisogna naturalmente andare nella direzione necessaria per riformare i trattati europei. Noi siamo per la sospensione del fiscal compact, per il non inserimento del fiscal compact nei trattati europei, se il fiscal compact non viene cambiato e non viene modificato strutturalmente. Recentemente, un premio Nobel dell'economia molto famoso, Stiglitz, ha pubblicato un libro in Italia sull'euro e ha aggiunto proprio un capitolo finale, una postfazione, sulla Brexit. Stiglitz dice giustamente che “il dibattito scaturito - leggo - dalla consultazione sulla Brexit a proposito di queste riforme a livello europeo è stato accanito, quasi quanto lo stesso referendum in Gran Bretagna. Il divario tra integrazione politica ed economica, che sembra ovviamente alla base dei problemi sia dell'Unione Europea sia dell'euro, è stato ampiamente riconosciuto a mio avviso - dice Stiglitz - perché l'euro possa funzionare”. Io aggiungo che per fare in modo che la costruzione europea possa funzionare ci deve essere più Europa, non necessariamente strutturata in senso federale come gli Stati Uniti, dove due terzi della spesa pubblica vengono gestiti a livello centrale, ma di certo molta di più di quanta non ve ne sia oggi.
Per avere più Europa bisogna avere più democrazia; per avere più Europa bisogna avere più convergenza sui temi sociali e ambientali; per avere più Europa bisogna riformare democraticamente le strutture che non sono democratiche e gli organismi che non sono democratici, e citavo l'Eurogruppo ma si potrebbe dire la stessa cosa della Banca centrale europea. Abbiamo bisogno, quindi, di più democrazia, della riforma del Parlamento europeo, della BCE e dell'Eurogruppo. Abbiamo bisogno di più Europa, ma questo significa politiche comuni sul lavoro e sul welfare. Abbiamo bisogno di strumenti come gli eurobond, ossia strumenti che sostengono, attraverso investimenti pubblici, l'idea diversa di un modello di sviluppo. Inoltre, abbiamo bisogno di un bilancio europeo sicuramente più consistente di quello attuale e abbiamo bisogno di una politica fiscale comune; perché da tempo si discute della Tobintax e non si fa la Tobintax, non si mette in campo questo strumento fondamentale non solo per recuperare risorse, ma per combattere i meccanismi speculativi che la finanza internazionale ha?
Abbiamo bisogno di solidarietà in Europa, di più solidarietà: solidarietà sul debito, solidarietà attraverso meccanismi di mutualizzazione del debito sovrano di alcuni Paesi attraverso una conferenza sul debito. E abbiamo bisogno - e chiudo su questo - di cambiare modello. E, allora, io auspico, come ricordava anche il collega Palazzotto prima, che il Governo ascolti le parole del futuro segretario, probabilmente, del partito di maggioranza, Matteo Renzi, quando se la prende col fiscal compact, quando rimprovera al Ministro Orlando, come ha fatto ieri sera, di avere votato il pareggio di bilancio (articolo 81 della nostra Costituzione). Allora, il Governo deve essere coerente o deve essere coerente il Partito Democratico. La prossima volta che presenteremo la modifica all'articolo 81 e che presenteremo la mozione sul fiscal compact - succederà nei prossimi giorni - il Partito Democratico si comporti coerentemente e voti a favore sulla cancellazione del pareggio di bilancio in Costituzione e voti a favore del veto, diciamo, per l'inserimento del fiscal compact nei trattati europei.
Questo è quello che noi ci aspettiamo dal Governo e dalla maggioranza ed è anche per questo che valuteremo attentamente, nel corso delle votazioni, i punti che sono inseriti nelle risoluzioni dei vari gruppi politici, compresa quella della maggioranza di governo.
Tuttavia, diciamo che serve - e su questo concludo - una svolta; senza svolta anche l'insegnamento della Brexit rischia di essere inutile. Per essere utile dobbiamo cambiare l'Europa e dobbiamo cambiare le politiche per l'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile).
PRESIDENTE. Approfitto per salutare studenti e docenti del liceo polivalente statale “Don Quirico Punzi” di Cisternino, in provincia di Brindisi, che seguono i nostri lavori (Applausi).
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la collega Barbara Saltamartini. Ne ha facoltà.
BARBARA SALTAMARTINI. Grazie, Presidente. Colleghi, Presidente del Consiglio che non c'è in Aula e sottosegretario, la Brexit è stata una scelta di autodeterminazione di un popolo, un esempio di democrazia, ed è paradossale sentire in quest'Aula chi, giocando sulla percentuale che ha ottenuto il referendum tra leave e remain, ha voluto sottolineare che una maggioranza risicata del popolo inglese si è espressa a favore dell'uscita dall'Unione europea (e non dall'Europa).
È surreale e fa sorridere, perché affermare questo principio e questo concetto equivale a dire che esistono due tipi di democrazia: la democrazia che conviene e, quindi, quando il popolo vota secondo quello che dice la sinistra o secondo gli intenti di alcuni partiti di centro presenti in quest'Aula, allora quella democrazia è valida e, anche se ha preso una percentuale molto ristretta tra il voto favorevole o contrario, però va bene e va seguita quella direzione e quell'indicazione del popolo; quando, invece, il popolo decide in senso inverso a quello che l'establishment ha deciso, piuttosto che a quello che ha deciso un partito che una volta era di massa e che oggi è di pochi, allora quel voto non è corretto e non va bene.
In tal senso, Presidente, è un po' quello che è successo al nostro referendum qui in Italia: il popolo ha decretato con un “no” un sonoro schiaffo all'arroganza del Governo Renzi e alle decisioni calate dall'alto da parte del Partito Democratico, ma il Partito Democratico non è stato in grado di capire l'esempio di democrazia uscito fuori da quel voto ed è andato avanti come un treno, perseguendo e continuando a perseguire la linea che si era data nel Governo Renzi e che oggi è trasferita, pari pari e senza nulla di diverso, nel Governo Gentiloni.
La pratica della democrazia - e dovrebbe essere questo un principio noto a tutti - e la concreta possibilità di libertà di scelte e di espressione politica sono dei principi fondanti di cui occorre avere il massimo rispetto e il gruppo della Lega Nord chiede il massimo rispetto per quanto è accaduto in Gran Bretagna, perché in Gran Bretagna il popolo ha potuto scegliere su un tema così importante - in Italia purtroppo non possiamo farlo, vista la nostra Costituzione - e ha scelto quello che ha ritenuto più giusto per se stesso: non contro un'idea di Europa ma contro questa Unione europea, perché il discrimine non è tra essere europei e anti-europei.
Io sono convintamente europea, ma sono convintamente contraria all'impostazione che l'Unione europea si è data: una costruzione di organismi che sotto sono e che governano l'Unione europea, non democratici, soprattutto non eletti dal popolo, e che di fatto negano quella che doveva veramente essere l'essenza profonda dell'identità europea, ossia la presenza creativa di tante profonde differenze, di una ricchezza di lingue, di identità locali e nazionali, di culture che non hanno riscontro in nessuna parte del mondo.
E, invece, l'Unione europea che è stata costruita è molto diversa da quell'europeismo, nel quale noi crediamo, che è quello dei popoli, che De Gaulle, non la Lega, diceva di volere creare, ossia quella cooperazione tra Stati, strutturata ma paritaria, tra Stati fieramente sovrani. Questo doveva essere la costruzione del percorso che ci portava all'Unione Europea e così non è stato.
Anzi, è successo tutto il contrario. È successo che si è avuta la pretesa di costruire un super Stato europeo, accentratore, livellatore, inevitabilmente destinato a diventare strumento dell'egemonia tedesca. Quest'Unione non ha un'anima politica, non ha radici culturali sulle quali si fonda, non ha una Costituzione, ma si è costruita solo e soltanto attorno a una moneta unica, all'euro. E l'euro è una moneta priva di un progetto economico adeguato e di una governance realmente democratica, una moneta che si è trasformata nello strumento di espansione del mercantilismo tedesco. Ecco cos'è l'euro! L'euro era già un azzardo, se poi si impone la stessa moneta ad aree economiche così profondamente diverse, l'assenza di una vera governance democratica, il rifiuto di un reale trasferimento economico, dalle aree forti alle aree deboli del continente, be' questo ha fatto tutto il resto.
Vedete, noi combattiamo quella logica che ha fatto sì che Prodi e Ciampi imponessero un vincolo esterno, che obbligasse anche l'Italia ad entrare e non uscire - come diceva qualche collega che mi ha preceduto nel mio intervento -, quella costrizione a dover andare avanti. Ma noi non possiamo essere costretti ad andare avanti, quando questa costrizione ci porta a vedere indebolita non solo la nostra presenza politica all'interno dell'Unione. Perché, di pacche sulle spalle, ne abbiamo viste tante dare ai nostri Presidenti del Consiglio, sia che si chiamassero Matteo Renzi sia che si chiamassero Gentiloni. Aveva messo, appunto, quel vincolo esterno per costringere la nostra economia a riformarsi in chiave liberista. Questo è quello che è successo, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. E il prezzo pagato dall'Italia è stato un grave impoverimento del Paese, una crisi decennale, che si sta trasformando in stagnazione e deflazione.
C'era un tempo in cui si pensava che promuovere l'interesse del proprio popolo significasse imporre il proprio protagonismo nell'interdipendenza europea. La patetica fotografia di Renzi, Hollande e Merkel sul ponte dell'incrociatore Garibaldi, al largo di Ventotene, è lo specchio di questa infantile illusione, con la quale volete farci convivere.
Oggi la difesa dell'interesse del nostro popolo - e, quindi, io sono orgogliosamente da questa parte del Parlamento e non da altre - passa per il recupero della sovranità degli Stati, per il recupero della sovranità monetaria, per la difesa dei propri confini, dei propri prodotti, dei propri piccoli e grandi imprenditori, per la difesa di quel made in Italy, di cui tanto vi riempite la bocca, ma poi facilmente in Europa votate affinché altri Stati, magari del Nord Africa, possano venire ad esportare i loro prodotti qui in Italia, a danno delle nostre attività imprenditoriali.
Noi non vogliamo uscire dall'Europa, ma vogliamo riprenderci le chiavi di casa. Vogliamo potere recuperare la libertà di decidere, in base all'interesse della nostra comunità, a quali progetti partecipare, senza che nessuno ci possa imporre un rigido automatismo sulla base del diktat “ce lo chiede l'Europa”. Ma qui non ce lo sta chiedendo l'Europa, che ormai è diventata, per così dire, un quadro un po' astratto, qui ce lo chiedono i soliti burocrati, tecnocrati, piuttosto che i grandi rappresentanti delle lobby multinazionali, che sono i padroni di casa dell'Unione europea! E mi fa sorridere vedere il Partito Democratico e una certa sinistra italiana gioire per Macron vincitore al primo turno.
Vorrei ricordare che Macron, candidato in provetta, creato dalle banche e da un determinato establishment appositamente, è quello che non ha ricevuto i voti degli operai! È quello che non ha ricevuto i voti dei francesi che sono ridotti in condizioni di povertà estreme, come tanti italiani, ahimè, e che gli hanno voltato le spalle! E vedere la sinistra che elogia Macron, sinceramente, la dice molto lunga su cosa oggi il Partito Democratico rappresenta qui in Italia: banche, lobby e poteri forti, non certo il popolo.
Ecco, allora, Presidente, a me spiace che il Governo abbia dato parere negativo alla nostra risoluzione - e concludo – e, in particolare, mi spiace lo abbia dato, perché nella nostra risoluzione ci sono due punti importantissimi, più degli altri. Uno è quello di non punire il popolo britannico e, quindi, di non andare a fare una mediazione al ribasso, per impedire ad altri Stati di seguire l'esempio britannico. L'altro è quello che avete detto “no” al fatto di far sì che il Regno Unito rimanga insieme a noi unito nella lotta contro il terrorismo di matrice jihadista. Su questi due punti avete detto di no e credo che questo “no” pesi molto di più di quello che voi potrete andare a fare in questo negoziato, che tra l'altro non aveva senso di essere, nel momento in cui la Gran Bretagna sta andando al voto. Infatti, lì, sì che c'è un Paese serio! C'è una classe politica seria che, una volta che viene stabilita con un referendum una decisione, decide di fare tornare la parola al popolo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Cicchitto. Ne ha facoltà.
FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, la crisi del 2008 ha determinato uno choc profondo negli equilibri dell'Occidente, investendo tutte le aree più sviluppate, il Giappone, gli Stati Uniti e l'Unione europea, e il suo impatto è stato così forte e violento, da determinare un vero e proprio salto di paradigma.
Ora, per affrontare questi nodi, occorre più Europa, non meno Europa, un'Europa che si dia una politica estera della difesa comune, un'Europa che cambi alcune linee della politica economica e operi anche una revisione di alcuni meccanismi, quale il fiscal compact, ma che costituisca un'entità politica ed economica omogenea, perché solo la sua consistenza e la sua massa critica sono in grado di affrontare i colossi geopolitici ed economici in campo.
I cosiddetti sovranisti - ne abbiamo sentito poco fa uno - propongono di giocare la partita con tanti gnomi in campo, che sarebbero inevitabilmente schiacciati dai grandi giocatori. Quanto alla proposta dell'uscita dall'euro, essa produrrebbe una catastrofe economica e sociale ben descritta da Lorenzo Codogno e dal collega Giampaolo Galli in una lettera su Il Sole 24 Ore. Non parlo, poi, della grottesca proposta delle due monete.
Ciò detto, però, sul terreno di Brexit esistono una serie di questioni concrete e specifiche, con le quali ci dobbiamo misurare. A nostro avviso, le condizioni essenziali sono due. Si tratta di evitare la cosiddetta scelta delle ciliegie, vale a dire l'approccio settore per settore. I principi generali libertà di circolazione delle persone e delle merci, dei servizi e dei capitali, che sono alla base del progetto europeo, non sono negoziabili. Sulla trattativa, poi, l'Europa deve agire come un'unica entità.
Noi dimentichiamo un dato, che io ripropongo in questo dibattito, cioè un dato strutturale assai importante. La Borsa italiana fa parte, dal 2007, della London Stock Exchange Group, una holding di cui la borsa inglese ha il 72 per cento del capitale e il restante 28 per cento è in mano a diverse banche italiane. Per la City transitano il 78 per cento degli scambi valutari, il 74 per cento dei contratti derivati, il 50 per cento delle attività di asset management. Si tratta, pertanto, di un'infrastruttura estremamente potente. In questo quadro, la posizione italiana - su questo noi dovremmo riflettere - può presentare una vistosa anomalia. Il suo mercato finanziario rischia di subire uno spiazzamento, con l'inevitabile rottura del suo legame preferenziale con Londra a favore delle altre borse del continente, organizzate in un network internazionale, che fa capo alla Borsa di New York.
Il problema è reso più serio da due elementi: il risparmio delle famiglie italiane è particolarmente elevato, una sezione specializzata del London Stock Exchange Group è rappresentata proprio dalla Borsa di Milano, che tratta ed è specializzata nei titoli di Stato europei. Quindi, queste due entità, quella londinese e la Borsa italiana, costituiscono oggi una struttura fortemente integrata, con due forti specializzazioni funzionali all'interno di una visione unitaria. Prima di Brexit, per tutte queste attività vigeva il principio del passaporto europeo, dopo Brexit gli stessi operatori, sino ad oggi basati su Londra, dovranno trovare una nuova collocazione nei centri finanziari europei ed essere sottoposti alla relativa disciplina, altrimenti non potranno operare.
Elevati sono gli interessi in gioco per l'Italia, si tratta di molte imprese di investimento o di banche con succursali, di società di gestione di risparmio. Queste attività danno luogo ad un'occupazione qualificata che riguarda diverse migliaia di persone, concentrate soprattutto sulla piazza di Milano. Il problema principale allora, oggi, se si vuol far riferimento anche all'Italia e agli interessi dell'Italia, e non fare delle prediche demagogiche, è quello riguardante la loro necessaria riconversione e alla previgente disciplina inglese, basata sulla logica del passaporto europeo, dovrà esserne sostituita una domestica, che dovrà tener conto della accresciuta concorrenza di Euronext e della Deutsche Börse.
Il rischio da evitare è quello di una progressiva marginalizzazione dei mercati italiani rispetto agli altri due circuiti europei, ipotesi che può essere scongiurata solo rendendo più competitive le nostre strutture, potenziando il controllo europeo, specie al fine di impedire la realizzazione delle cosiddette “cassette delle lettere” o la creazione di centri europei off-shore legati con Londra. Finora in Europa era prevalsa una sorta di delega nei confronti della City, considerata la sua forza finanziaria intrinseca. Si tratta, ora, di appropriarsi di quelle funzioni che Londra non può più esercitare a causa di Brexit.
In Italia esistono le condizioni per non subire fenomeni di spiazzamento. Milano è una piazza finanziaria che già oggi può competere, specie in quei settori - vedi quello dei titoli di Stato - dove da tempo si è conquistata un ruolo di primo piano. L'importante è che non si perda tempo.
L'Europa - come è stato giustamente detto - deve agire as one, ma, affinché questa prospettiva sia realistica, è anche necessario che nei prossimi due anni si gettino le basi per contrastare le asimmetrie che hanno generato la crisi europea. Se questo non avverrà, saranno inevitabilmente le spinte centrifughe a prevalere. È, quindi, indispensabile che l'Europa ritrovi un suo spirito comunitario, che ciascun Paese sappia rinunciare alle pur legittime prerogative nazionali, in nome di un interesse comune.
In questa cornice, tre sono, soprattutto, i temi che interessano un'Italia proiettata sull'Europa e non proiettata a uscirne: il completamento dell'unione bancaria, a partire dall'assicurazione europea sui depositi; l'introduzione di forme di mutualizzazione dei debiti sovrani, ricorrendo anche a forme di cartolarizzazione; una revisione del fiscal compact e anche una strategia fiscale complessiva dell'Unione europea, ad esempio, nei confronti di realtà come Google e simili.
Ma è evidente che, per rendere forte la nostra richiesta di revisione del fiscal compact, dovremo tagliare, come finora non abbiamo fatto, la spesa pubblica, perché, comunque, la disciplina di bilancio è un fattore positivo e una regola indispensabile.
Giustamente il presidente Brunetta, poco fa, si è richiamato al Trattato di Maastricht e a Guido Carli, che respingeva ogni interpretazione meccanicistica delle regole europee, a favore di un approccio che desse la possibilità - cito testualmente - di sviluppare un'attenta valutazione politica, in grado di perseguire realmente gli obiettivi comuni, tenendo conto delle diverse condizioni di partenza. In ogni caso, le alternative sono due: o avvengono passi ulteriori verso un più alto livello di unità europea oppure i rischi di disgregazione non vanno sottovalutati.
Ma non si illudano coloro che oggi vengono a dirci che bisognerebbe far saltare l'Europa e tornare a degli Stati sovrani, perché questa via d'uscita è la via verso la catastrofe, la catastrofe della moneta, perché l'uscita dall'euro implicherebbe una svalutazione del 30 per cento e un blocco selvaggio dei salari. Altro che uscite demagogiche a proposito degli operai e della classe operaia! I primi a essere colpiti sarebbero i salari degli operai. E, in secondo luogo, io sfido chiunque a dimostrare, a parte la Germania, che un'Europa frantumata possa misurarsi con entità quali la Russia, la Cina, l'India e gli Stati Uniti.
La proposta che voi venite a proporre in questo Parlamento, ancora una volta senza misurarvi con i problemi di merito e di contrattazione che certamente Brexit presenta, è una proposta distruttiva, suicida, che io mi auguro che venga respinta e in questo Parlamento e anche alle prossime elezioni (Applausi dei deputati dei gruppi Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD e Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Cimbro. Ne ha facoltà.
ELEONORA CIMBRO. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo. Ci siamo confrontati qui oggi e abbiamo cercato di ragionare insieme, in realtà, su una brutta pagina della storia dell'Unione europea, che ha portato all'uscita della Gran Bretagna non semplicemente da un contenitore formale di regole e austerità, ma da un progetto più ampio, che ha garantito decenni di pace, prosperità e libera circolazione di idee, persone e merci.
Come ha ricordato il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, preso atto della lettera del 29 marzo 2017 con cui il Regno Unito ha notificato, formalmente, l'intenzione di uscire dall'Unione europea, si tratta sostanzialmente di limitare i danni. In questo momento, in questo contesto, di fatto, ci viene chiesto di contenere l'incertezza e i disagi per i cittadini provocati dalla Brexit.
Il primo obiettivo deve essere, appunto, quello di tutelare le persone, quei tanti cittadini provenienti da tutta l'Unione europea, che vivono, lavorano e studiano nel Regno Unito, il cui status dovrà essere definito, dopo il recesso, attraverso garanzie reciproche, esecutive e non discriminatorie.
In secondo luogo, è necessario impedire un vuoto giuridico per le imprese, derivante dal fatto che, dopo la Brexit, le leggi dell'Unione europea non saranno più applicabili nel Regno Unito.
Come terzo punto, ricordato dal Presidente del Consiglio europeo, bisogna che il Regno Unito onori tutte le responsabilità e gli impegni finanziari assunti in qualità di Stato membro.
Da ultimo, si devono trovare soluzioni flessibili e diversificate, per evitare di ripristinare una frontiera fisica tra Irlanda del Nord e Irlanda, continuando a sostenere il processo di pace nella prima.
È solo attraverso la definizione di queste quattro questioni, che costituiscono la prima parte dei negoziati, che sarà possibile discutere il quadro delle future relazioni.
Al di là, però, del quadro delle tappe delineate rispetto alle procedure dell'articolo 50 del TUE, al di là della necessità di trovare un accordo volto a definire le modalità di recesso, al di là di quanto verrà deciso al prossimo Consiglio europeo, riteniamo che sia importante riflettere, come è stato fatto anche in modo importante e significativo questa mattina, sulle cause che hanno portato a questa decisione e che, purtroppo, sono emblematiche di una crisi più generale dell'Unione europea, che fa sentire i cittadini distanti da questa importante istituzione, che si è rivelata incapace di dare risposte concrete ai tanti problemi che la stanno attraversando.
È però più importante, a 60 anni dai Trattati di Roma, avere visioni lungimiranti, per sperimentare percorsi ulteriori e coraggiosi e, come ha ricordato anche il Presidente del Consiglio, diversificati, sulla base delle nuove necessità e delle nuove sfide che questa Europa ci sta ponendo. L'Europa si deve confrontare con un mondo che cresce, con miliardi di persone a sud e a est che stanno crescendo. Da sola rischia di diventare più piccola sullo scacchiere internazionale, mentre altri Stati continuano a crescere.
Per questo, come ricordava il Presidente Mattarella nell'intervento per l'anniversario dei Trattati di Roma, nessun Paese europeo può garantire da solo l'effettiva indipendenza delle proprie scelte. Nessun ritorno alle antiche sovranità nazionali potrà garantire ai cittadini europei pace, sicurezza, benessere e prosperità, perché nessun Paese europeo da solo potrà mai affacciarsi sulla scena internazionale con la pretesa di influire sugli eventi, considerate le proprie dimensioni e la grandezza dei problemi e delle sfide che abbiamo di fronte.
Oggi come sessant'anni fa abbiamo bisogno dell'Europa unita, perché le esigenze di sviluppo e di prosperità del nostro continente sono in maniera indissolubile legate alla capacità collettiva di poter avere voce in capitolo sulla scena internazionale, affermando i valori, le identità, gli interessi dei nostri popoli. In sostanza, l'alternativa reale è tra la frantumazione e l'irrilevanza di ciascuno e, invece, un processo di unificazione basato non sull'egemonia del più potente, ma su uno sviluppo pacifico per mezzo di istituzioni democratiche con uguaglianza di diritti e doveri per Stati grandi e piccoli che liberamente decidono di aderirvi.
È evidente che, rispetto al quadro estremamente complesso che abbiamo di fronte a noi, non sia facile superare la visione dei singoli Stati nazionali per trovare un orientamento comune. Comprendiamo anche le difficoltà del nostro Presidente del Consiglio di provare, come sta facendo e come è stato fatto anche da chi lo ha preceduto, a condividere un modo diverso di stare in Europa, un'Europa della solidarietà e non dell'austerità, ma lo possiamo fare se tutti andiamo nella stessa direzione. Avanti, dunque, con la procedura per il recesso tutelato, cercando, come è stato sottolineato nell'intervento del Presidente del Consiglio, di trovare le modalità migliori per il rapporto tra Regno Unito e Italia, e soprattutto tra Regno Unito e Unione europea. Ma il faro che deve illuminare il percorso da qui in avanti deve ancora di più e con maggior forza essere quello di una politica che ricostruisca con forza le ragioni profonde del nostro stare insieme in Europa.
Mi piace, a questo punto, concludere con una citazione di Einaudi, che è stata fatta nel lontano 1947: “invano gli Stati sovrani elevavano intorno a sé altre barriere doganali per mantenere la propria autosufficienza economica. Le barriere giovavano soltanto ad impoverire i popoli, ad inferocirli gli uni contro gli altri, a far parlare ad ognuno di essi uno strano ed incomprensibile linguaggio di spazio vitale, di necessità geopolitiche e a fare a ognuno di essi pronunciare esclusive scomuniche contro gli immigrati stranieri, quasi che il restringersi feroce di un popolo in se stesso potesse, invece di miseria e malcontento, creare ricchezza e potenza.” Io credo che in questa frase sia racchiuso tutto il senso del nostro stare in Europa e soprattutto della battaglia che in tanti stiamo portando avanti perché questa Europa costituisca un'opportunità e non, invece, una limitazione a quell'ideale di prosperità, di crescita e di fratellanza che pensarono i padri fondatori dell'Unione europea. Per queste ragioni il nostro gruppo voterà a favore della risoluzione di maggioranza e voterà contro, invece, tutte quelle risoluzioni che non hanno come obiettivo quello di costruire questo tipo di Europa, che è la nostra Europa e che dovrebbe essere l'Europa di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 12,42).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Si riprende la discussione.
(Ripresa dichiarazioni di voto)
PRESIDENTE. Ha chiesto adesso di parlare per dichiarazione di voto la collega Elvira Savino. Ne ha facoltà.
ELVIRA SAVINO. Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, come è stato più volte richiamato nel corso della discussione, siamo oggi di fronte a un momento storico, ma anche davanti a un sentiero molto stretto e difficile, ossia come coniugare Brexit, che è stata una scelta di democrazia e di libertà, con la sicurezza e con il futuro dei cittadini europei e dell'Unione stessa. Il Consiglio europeo straordinario del prossimo 29 aprile adotterà, quindi, gli orientamenti per i negoziati sull'uscita del Regno Unito dall'UE e per mettere a punto le regole del processo mediante il quale tale Paese cesserà di essere uno Stato membro dell'Unione.
Sebbene uno Stato membro abbia il diritto sovrano di recedere dall'Unione europea, è compito di tutti i Paesi rimanenti agire congiuntamente nella difesa degli interessi dell'Unione europea e della sua integrità, in modo che il recesso sia organizzato in maniera ordinata e tale da non incidere negativamente sull'Unione, sui suoi cittadini e sul processo di integrazione europea. Di questo siamo pienamente consapevoli, ma siamo altrettanto consapevoli del fatto che l'Unione, così come è, non sta funzionando.
Il recesso del Regno Unito dovrebbe, quindi, spingere le istituzioni dell'Unione ad affrontare meglio le attuali sfide e a riflettere sul futuro. In un quadro internazionale confuso, l'attuale Unione Europea non può più essere fattore di ulteriore confusione, rischiando di negare le ragioni per cui era nata, ovvero come garanzia di pace e di solidità democratica ed economica. A sessant'anni dal Trattato di Roma, il percorso di integrazione europea, l'Unione europea e la moneta comune appaiono, infatti, molto più fragili e molto più precari di quanto sino a pochi anni fa si sarebbe potuto immaginare.
E l'Italia ha il compito storico, dopo la caduta di credibilità morale della fallimentare egemonia tedesca, di rilanciare su basi nuove e concrete il sogno europeo dei padri fondatori. In parallelo con l'adozione di misure di politica economica sbagliate, in Europa si è voluto procedere, sotto pressione tedesca, con sempre più stringenti cessioni di sovranità, presentate, guarda caso, come necessarie e indispensabili per far fronte all'emergenza. E sono proprio degli anni della crisi, infatti, il six-pack, il fiscal compact e il two-pack, tutte modifiche intervenute sull'originario Trattato di Maastricht, tra l'altro attraverso strumenti legislativi inadeguati e secondo noi illegittimi, che hanno ulteriormente squilibrato il sistema europeo, stravolgendone l'impianto iniziale; modifiche che, oggi più che mai, bisogna sospendere per tornare all'impianto originale.
Sarà necessario, quindi, avviare in sede di Consiglio un'imponente riflessione e ci auguriamo che l'impegno del Governo italiano sia chiaro e forte in tal senso, in merito al futuro dell'Unione europea, per analizzare le riserve, le critiche e le perplessità che continuano ad essere espresse sull'Unione europea e in particolare sulla sua capacità di offrire risposte tangibili, efficaci e risolutrici alle problematiche sociali ed economiche dell'Unione e sullo scarso e indiretto coinvolgimento dei cittadini nelle scelte europee.
Sarà fondamentale condividere ed approvare cambiamenti sostanziali per non ipotecare definitivamente il futuro dell'Unione europea, valutando se e in quali termini la volontà di allargamento e il processo legislativo dell'Unione possano in alcuni specifici settori determinare effetti sociali negativi, che non rispondono ai principi di ragionevolezza, sicurezza, equità, trasparenza, utilità e benessere diffuso, sui quali si dovrebbe fondare l'Unione europea. Questa analisi è di straordinaria importanza anche per capire se vi siano Paesi dell'Unione europea più esposti di altri ad un eventuale e temuto effetto domino, determinato appunto dal referendum del Regno Unito.
Le linee guida che il Consiglio europeo adotterà sabato dovranno, quindi, rappresentare un punto di partenza non solo per assicurare un'uscita ordinata del Regno Unito dall'Unione, che è una condizione fondamentale per poter arrivare a un accordo futuro, ma anche e soprattutto per ripartire da un'Europa diversa, consapevole del fatto che il maggior pericolo non è l'exit, ma l'implosione; implosione che, purtroppo, rischia di essere la naturale conseguenza di una deriva tecnocratica che cancella, di fatto, lo spirito dell'Europa delle origini, comportando la progressiva perdita di sovranità dei singoli Stati nazionali. Ed il rischio di questo disfacimento impone scelte ed iniziative forti.
A prescindere dal loro esito, i negoziati sulle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito non potranno, inoltre, comportare alcun compromesso tra la sicurezza interna ed esterna, compresa la cooperazione in materia di difesa, da un lato, e le future relazioni economiche, dall'altro. In vista dell'avvio concreto dei negoziati, emerge poi un tema che coinvolge anche la sicurezza dei mercati finanziari e, a ben vedere, del nostro ingente debito pubblico. I mercati finanziari costituiscono la dimensione privilegiata per stimolare la competitività del sistema Paese e del sistema euro, in quanto permettono alle imprese di raccogliere capitali essenziali per lo sviluppo in uno scenario sempre più integrato e globale, mentre i grandi debitori pubblici non possono fare a meno di attrarre potenziali compratori del proprio debito proprio sulle piazze finanziarie più liquide e più importanti; come è noto, Borsa italiana fa parte del gruppo London stock exchange.
È difficile prevedere ora cosa potrà realmente accadere nel momento in cui si realizzerà davvero l'uscita del Regno Unito. Però, per adesso, un dato è certo: le piattaforme di trading rimangono a Londra e questo significa controllo reale dei flussi di ordini. Pertanto, ciò costituisce un poderoso fattore di pressione in mano al Regno Unito durante la trattativa con l'Unione, non dimentichiamolo.
Inoltre, emergono preoccupanti profili anche per le implicazioni di carattere monetario. Non è infatti pensabile attuare la politica monetaria con transazioni che si svolgono al di fuori delle aree in cui ne è esercitabile il controllo.
Uscita ordinata significa, poi, trovare una soluzione al problema dei 3 milioni di cittadini dell'Unione che vivono nel Regno Unito e, parallelamente, al milione di cittadini britannici che sono residenti nel continente. Questa è la priorità assoluta, che va risolta già nelle prime fasi dei negoziati, per sgombrare il campo dal senso di incertezza che si è creato tra i cittadini.
Uscita ordinata significa, poi, anche chiudere i conti con la necessità per il Regno Unito di onorare gli impegni finanziari contratti dal Governo britannico.
La sfida sarà, poi, quella di trovare soluzioni adeguate al problema delle future frontiere esterne dell'Unione, tenuto conto del crescente fenomeno dei flussi migratori e del fatto che questo ha pesato sensibilmente sull'esito del referendum del Regno Unito. È oggi più che mai necessario che il Governo italiano si faccia portavoce di puntuali iniziative volte a garantire le frontiere esterne dell'Unione e a risolvere il problema legato alla gestione dei flussi, al fine di applicare strategie che dimostrino di contenere un punto di equilibrio tra principio di accoglienza e necessità di garantire la sicurezza interna, ordine e salute pubblica, la nostra e quella dei Paesi dell'Unione europea.
Tutti impegni e auspici, questi, che abbiamo inserito all'interno della risoluzione di Forza Italia. I negoziati dovranno, quindi, essere condotti con l'obiettivo di garantire stabilità del diritto, ridurre al minimo i disagi, nonché fornire una visione forte, una visione chiara del futuro per i cittadini e per le persone giuridiche, ed essere l'occasione anche per offrire alla stessa Unione la possibilità, una volta per tutte, di riflettere e di agire in via definitiva per rendere finalmente il progetto europeo più efficace, più democratico e più vicino ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il collega Petraroli. Ne ha facoltà.
COSIMO PETRAROLI. Grazie, Presidente. Colleghi, dopodomani ci sarà il Consiglio Europeo per discutere, in base all'articolo 50 del Trattato dall'Unione europea, l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione. I Capi di Governo dei Paesi membri si incontreranno per decidere la gestione di questa importante transizione.
Oggi con noi era presente il Presidente del Consiglio, ufficialmente, per partecipare ad un dibattito parlamentare e, quindi, attraverso il voto delle risoluzioni, portare in Europa la voce del Parlamento e, quindi, dei cittadini italiani. Almeno questa è la motivazione formale, ufficiale, ma, ovviamente, non sarà la voce dei cittadini ad andare in Europa, quanto la voce di un solo partito, che voterà delle risoluzioni dettate da un Governo, sostenuto da una maggioranza nata grazie ad una legge elettorale incostituzionale, illegale. Quindi, questo Governo, come tutti i Governi degli ultimi quarant'anni, sono nati con un solo scopo, Presidente: cedere sovranità nazionale, deindustrializzare, impoverire il Paese, trasferire la nostra ricchezza, la ricchezza degli italiani, altrove.
Questo è l'unico scopo, altrimenti non si spiega per quale ragione sostenete trattati come il TTIP, il CETA, per importare nel mercato italiano tacchini, drogati con gli ormoni, di 40 chili. Perché? Perché sostenete l'importazione nel nostro mercato di milioni e milioni di litri di olio tunisino e, contemporaneamente, cosa fate? Sradicate gli ulivi pugliesi per costruire un gasdotto, nonostante i consumi di gas in Italia siano in picchiata da ormai quindici anni consecutivi. Perché permettete l'importazione incontrollata di arance marocchine, distruggendo interi settori produttivi e intere regioni, come la Sicilia? Stessa cosa per il grano ucraino e il riso asiatico.
È questa l'Unione europea? La “direttiva Bolkestein” per ritrovarci i Burger King e i McDonald's nei mercati rionali tipici italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? O, magari, per appaltare ad Autogrill Spa o a Carrefour la gestione delle spiagge salentine? Non so a voi, ma a me questa Europa fa veramente schifo, Presidente.
E non è colpa della crisi, Presidente, perché questo Governo, come sappiamo, come abbiamo ripetuto più volte in varie occasioni, è stato messo lì da JP Morgan, da Goldman Sachs, dalla Commissione trilaterale, dalla finanza, dalla massoneria. State portando alla disperazione milioni e milioni di cittadini italiani.
La situazione è drammatica: a causa di questa Europa, in pochi anni, il 25 per cento della produzione industriale è andato in fumo. Lo voglio sottolineare, perché non è incapacità politica o incapacità amministrativa, del tipo “gli errori del passato”, “è colpa della crisi”, come le menzogne che ci avete raccontato in questi anni, perché la situazione nella quale ci troviamo oggi è voluta, è cercata, è disperatamente cercata. Dite chi sono: fate nomi e cognomi di coloro che stanno sciacallando il nostro Paese e, soprattutto, perché. E poi diteci, senza polemica, ma con serenità perché odiate così tanto i cittadini italiani. Cosa hanno fatto di male per meritare tutto questo?
Oggi si parla di Brexit, ma se, oggi, può avvenire in Gran Bretagna, in modo pacifico e controllato, non significa che potrà accadere in altri Paesi e in altri momenti nello stesso modo. Molti Paesi non ce la fanno più: non ce la fanno a reggere una politica monetaria devota solo al controllo dell'inflazione, anziché all'occupazione; il Patto di stabilità, basato su regole senza un supporto scientifico e il pareggio di bilancio; per non parlare dei regolamenti bancari, ideati da chissà chi, degni del più becero autolesionismo, se non semplicemente - chiamatelo con il suo vero nome - tradimento.
Questo è nel momento in cui siamo costretti ad elemosinare ogni singolo euro dalla Banca centrale europea per comprare la cancelleria delle scuole o per investimenti pubblici utili ai cittadini, nel momento in cui si priva una nazione della possibilità di controllare la sua moneta per aiutare a ripagare i debiti e, soprattutto, per accompagnare e sostenere la propria economia. Se produco dieci, metto in circolazione moneta per dieci; con l'euro, invece, se produco dieci e la BCE mi impone massa monetaria per otto, anche se sono bravo, virtuoso, comunque mi manda in depressione il mercato e, soprattutto, controlla la nostra economia.
Non è questa l'Europa che vogliamo, quindi, bisogna tornare ad un controllo statale della moneta, anche con sistemi alternativi, come la moneta fiscale e, soprattutto, istituire in Italia una banca pubblica degli investimenti che faccia la banca e sostenga la piccola e media impresa. Altrimenti, il grande progetto d'Europa diventa solo un crimine contro l'umanità, uno strumento apparentemente democratico per opprimere i popoli. Allora sì che le prossime exit non saranno né pacifiche né, tanto meno, democratiche.
Io definisco il MoVimento 5 Stelle la forza più europeista che esiste in Europa, perché riteniamo indispensabile introdurre nei trattati procedure chiare che consentano di recedere dall'unione monetaria qualora ci sia una chiara volontà popolare. Siamo europeisti, perché riteniamo necessario modificare il Patto di stabilità, il Fiscal compact, il MES. Vogliamo una fiscalità, salari e welfare uguali a tutti i Paesi europei e, soprattutto, un'Europa che imponga a tutti gli Stati il reddito di cittadinanza.
Siamo europeisti, perché vogliamo la revisione del “regolamento di Dublino”: tutti i Paesi devono prendersi la propria responsabilità di fronte alla gestione immigratoria. L'Italia non può essere il campo profughi d'Europa.
Siamo europeisti, perché vogliamo eliminare qualsiasi forma di incentivazione fiscale a chi produce energia dalle fonti fossili e aprire la strada ad una vera indipendenza energetica: solo così possiamo evitare guerre, come in Siria, dove si ammazzano civili solo perché non ci si mette d'accordo su dove far passare un gasdotto e su chi deve controllare il gas.
Peccato che il Presidente del Consiglio se ne sia andato, altrimenti gli avrei chiesto una cortesia, una cortesia informale, quasi personale, visto che non può farlo in veste ufficiale: dopodomani, al Consiglio europeo, tra una cena, una colazione e una battuta, prenda da parte Juncker, la signora Merkel, Donald Tusk e, in silenzio, nell'orecchio, sussurri la famosa frase della missione “Apollo 13”: “Huston, qui abbiamo un problema”. Eh sì, signora Merkel, in Italia abbiamo avuto un grosso problema, qualcosa è andato storto. Sarà inesperienza? Sarà imperizia? O semplicemente mancanza di lungimiranza?
Sì, perché Licio Gelli, nel famoso “Piano di rinascita democratica”, in cui, negli anni Ottanta, nelle segrete stanze, si decideva il destino dell'Italia dei prossimi cinquant'anni, la vostra pedina mancante è stata proprio quella lungimiranza che ora mette a repentaglio i vostri stessi progetti. Infatti, i cosiddetti illuminati maestri venerabili una cosa non hanno previsto e avrebbero dovuto prevedere: la diffusione della rete, di Internet. È stato un errore che vi ha impedito di pianificare il controllo totale dell'informazione e, quindi, del consenso elettorale: un errore fatale che vi sta mettendo in difficoltà e ha permesso ad una forza politica nuova di emergere nonostante tutto il sistema mediatico contro. Questo è il MoVimento 5 Stelle, una luce, una speranza per i cittadini italiani ed europei nata grazie ad un vostro imperdonabile errore. Essere qui come rappresentante di questa forza politica ed essere anche il primo firmatario di questa risoluzione è il più grande onore che un cittadino italiano e soprattutto europeo possa mai avere. Quindi, dopodomani portate questo messaggio ai vostri amici burocrati di Bruxelles: nel momento in cui il MoVimento 5 Stelle andrà al Governo o si costruisce un'Europa solidale, sostenibile, che faccia suoi tutti i principi della democrazia diretta oppure non ci sarà più alcuna Europa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la collega Berlinghieri. Ne ha facoltà.
MARINA BERLINGHIERI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'esito del referendum britannico favorevole alla Brexit ha aperto scenari inediti e pieni di incognite di fronte ai quali per la prima volta l'Unione europea si prepara ad un ridimensionamento anziché ad un suo allargamento. La vittoria del leave al referendum dello scorso 23 giugno rappresenta per l'Europa un fatto sconfortante per le ragioni che sono state da più parti autorevolmente illustrate, un fatto che ci costringe drammaticamente ma anche positivamente ad interrogarci sulla strada da percorrere ora, partendo da un approccio costruttivo e realistico.
Credo che, a questo scopo, dobbiamo avere ben chiara la consapevolezza che il referendum britannico, anziché costituire l'inizio della fine della costruzione europea, può rappresentare al contrario una straordinaria opportunità per il suo rilancio. Brexit, infatti, impone con urgenza ed evidenza un passo da troppo tempo rinviato per le resistenze di diversi Stati membri: il riavvio di un processo di reale integrazione politica ed economica che è l'unica vera risposta alle grandi sfide globali ed è, dunque, l'unico modo di colmare le lacune che rendono l'Europa attuale così poco gradita ai cittadini.
Abbiamo davanti un periodo in cui dobbiamo lavorare su diversi fronti. Infatti, nei prossimi mesi dovremo procedere coraggiosamente per disciplinare le future relazioni tra Unione europea e Regno Unito e riformare l'Unione stessa. Dovremo negoziare con il Regno Unito in modo rigoroso e fermo, rispettoso della volontà espressa dai cittadini britannici, facendo in modo che sia legato all'Unione Europea da accordi equilibrati per tutte le parti. Ma dovremo anche riformare l'Unione europea secondo un approccio che preveda forme differenziate di integrazione tra gli Stati membri, vale a dire un'Europa a diverse velocità.
L'Unione europea ha il dovere di provare ad avviare immediatamente un processo di riforma costituzionale che preveda il rafforzamento della legittimazione delle istituzioni democratiche dell'Unione e avviare un'Europa che proceda a diverse velocità in cui possano rientrare gli Stati disposti ad accettare un'unione sempre più stretta e, quindi, ad iniziare un processo di integrazione di tipo federale, ma in cui possano anche collocarsi quegli Stati che considerano l'Unione solo come un'area economica integrata, escludendo ogni condivisione di sovranità in settori non strettamente economici. È, infatti, fondamentale anche in risposta alle forze populiste e xenofobe avviare con chi è pronto il processo federale e definirne i pilastri al fine di riaffermare con forza che il progetto europeo con i suoi valori di pace, democrazia, giustizia sociale e libertà è un progetto in cui fortemente crediamo perché indispensabile a noi e al mondo intero.
In questa direzione crediamo utile, per esempio, lavorare affinché i settantatré seggi lasciati liberi dai britannici al Parlamento possano essere sostituiti da liste transnazionali allo scopo di favorire il processo di legittimazione delle istituzioni europee e la competizione tra diversi programmi di partiti politici su base continentale e transnazionale. Costituirebbe un primo passo verso un cambiamento delle istituzioni dell'Unione e aprirebbe la strada all'elezione diretta del Presidente della Commissione europea mediante primarie per indicare i candidati, rafforzando in tal modo le scelte consapevoli dei cittadini e la trasparenza del processo politico.
È importante, infatti, in questa fase storica fare scelte concrete che aiutino nei fatti a ricordare e a riaffermare che il progetto dell'Unione europea è il migliore progetto politico che il Novecento abbia prodotto e che fuori dall'Europa è percepito oggi come indispensabile al mondo.
PRESIDENTE. Colleghi, per favore, il tono della voce.
MARINA BERLINGHIERI. L'Europa, infatti, è vista all'esterno come un punto di riferimento in quanto luogo in cui i diritti e una concezione del vivere insieme, che mette al centro la pace, la democrazia, i diritti, la cura dell'ambiente, la protezione sociale si è affermata negli ultimi sessant'anni. Dobbiamo avere ben presente che, proprio in virtù di questo, in un'ottica globale l'Europa è l'unico strumento che come europei abbiamo per recuperare sovranità. È importante, dunque, che il negoziato sulla Brexit che andiamo ad avviare sia gestito con rigore e fermezza ma senza approcci punitivi, nella consapevolezza che anche attraverso il buon esito di questi negoziati noi avremo la possibilità di dare nuovo slancio e freschezza all'Europa e al progetto europeo in cui tutti noi crediamo.
Per tali ragioni il gruppo del Partito Democratico sarà al fianco del Governo e sosterrà il suo lavoro affinché il percorso di questi negoziati possa essere un'occasione di ripartenza e di rilancio vero degli ideali europei (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.
(Votazioni)
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Come da prassi le risoluzioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Rosato, Lupi, Monchiero, Dellai, Pisicchio, Alfreider, Buttiglione, Bueno e Locatelli n. 6-00312, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 1).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Fedriga ed altri n. 6-00313, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 2).
Colgo l'occasione per salutare il Presidente dell'Assemblea Nazionale della Repubblica di Angola, Fernando da Piedade Dias dos Santos e la delegazione parlamentare che lo accompagna e la Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini (Applausi).
Indìco la votazione nominale, mediante p\rocedimento elettronico, sulla risoluzione Brunetta ed altri n. 6-00314, come riformulata su richiesta del Governo e per quanto non assorbita dalle votazioni precedenti, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 3).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Capezzone ed altri n. 6-00315, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 4).
Passiamo alla votazione della risoluzione Palazzotto ed altri n. 6-00316. Ricordo che, avendo i presentatori accettato le riformulazioni proposte dal Governo devono altresì intendersi espunti il primo, il sesto ed il nono capoverso, lettera d), del dispositivo, sui quali il Governo ha espresso parere contrario.
Indìco dunque la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Palazzotto ed altri n. 6-00316, come riformulata su richiesta del Governo e per quanto non assorbita dalle votazioni precedenti, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 5).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Rampelli ed altri n. 6-00317, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 6).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Petraroli ed altri n. 6-00318, su cui il Governo ha espresso parere contrario.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera respinge (Vedi votazione n. 7).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Rabino ed altri n. 6-00319, come riformulata su richiesta del Governo e per quanto non assorbita dalle votazioni precedenti, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
La Camera approva (Vedi votazione n. 8).
Sono così esaurite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio Europeo straordinario del 29 aprile 2017.
Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.
PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato, in data 26 aprile 2017, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi la senatrice Anna Maria Bernini, in sostituzione del senatore Augusto Minzolini, dimissionario.
Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15 per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 15.
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amici, Amoddio, Biondelli, Bratti, Brunetta, Caparini, Capelli, Catania, Cicchitto, Dambruoso, Dellai, Di Gioia, Epifani, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Guerra, Laforgia, Locatelli, Marcon, Mazziotti Di Celso, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Sottanelli e Tabacci sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente centoventotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.
Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (ore 15,01).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro dell'Interno, il Ministro dell'Economia e delle finanze, il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo e la Ministra dell'Istruzione dell'università e della ricerca.
Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi, considerata la diretta televisiva in corso.
(Iniziative di competenza per assicurare l'effettività dei provvedimenti di espulsione e allontanamento degli stranieri irregolari - n. 3-02976)
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interrogazione all'ordine del giorno Fedriga ed altri n. 3-02976 (Vedi l'allegato A).
L'onorevole Allasia ha facoltà di illustrare l'interrogazione Fedriga ed altri n. 3-02976, di cui è cofirmatario.
STEFANO ALLASIA. Grazie Presidente, grazie al Ministro, oramai non è più solo una nostra percezione, ma secondo un'inchiesta giornalistica apparsa qualche giorno fa sul quotidiano la Repubblica, negli ultimi anni il sistema delle espulsioni e degli allontanamenti si è rivelato del tutto fallimentare riguardo all'effettivo rimpatrio degli stranieri irregolari in generale e in particolare di quelli che hanno commesso dei reati o subito condanne in Italia, a differenza di altri Paesi europei (vedasi la Germania, la Francia, la Spagna). Stando, infatti, ai numeri riportati nell'articolo, nel 2016 i cittadini stranieri rintracciati in posizione irregolare sarebbero stati ben 4.500, con un notevole e costante incremento rispetto ai precedenti anni (circa 7.000 rispetto al 2015, 10.000 rispetto al 2014).
Quali iniziative intende adottare al fine di garantire il trattenimento di tutti gli stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale, ma soprattutto qual è l'effettività dei provvedimenti di espulsione e allontanamento disposti nei confronti sia dei cittadini di Paesi terzi che comunitari.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Interno, Marco Minniti, ha facoltà di rispondere.
MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Grazie signor Presidente e onorevoli deputati, il contrasto dell'immigrazione irregolare e i rimpatri costituiscono aspetti cruciali del programma che il Governo sta portando avanti in questo scorcio di legislatura.
Come ho avuto modo di rappresentare in vari interventi nelle Aule parlamentari, sia in risposta ad interrogazioni come quella di oggi, che nel corso di audizioni davanti ai vari organismi collegiali, sul punto il Governo ha adottato una linea di assoluta determinazione: accogliere e integrare chi ha titolo alla protezione internazionale e umanitaria e rimpatriare chi non ne ha diritto o viola le regole.
Riguardo a quest'ultimo aspetto, sono consapevole che il rimpatrio è un adempimento più impegnativo e complesso della mera consegna di un foglio di via, più precisamente di un ordine del Questore a lasciare il territorio nazionale entro sette giorni in esecuzione di un decreto di espulsione emesso dal prefetto competente, tuttavia riportare nel Paese di provenienza chi non ha i requisiti per rimanere in Italia resta un obiettivo prioritario da realizzare ovviamente nel rispetto dei diritti fondamentali della persona e in condizioni di civiltà.
A tal fine, riferisco che il Governo ha adottato e sta adottando varie iniziative in linea con il Piano d'azione presentato dall'Unione europea lo scorso 2 marzo, contenente una serie di raccomandazioni agli Stati membri su come rendere più efficaci le procedure di rimpatrio.
Con riferimento ai soggetti più pericolosi, ricordo che con il decreto-legge n. 13, convertito in legge il 13 aprile 2017, nelle scorse settimane sono stati istituiti i centri permanenti per il rimpatrio, allo scopo di rendere più efficace l'esecuzione dei provvedimenti di espulsione con una finalizzazione più immediata al rimpatrio forzato proprio delle persone che sono potenzialmente pericolose per la sicurezza del Paese.
L'impegno in questa direzione è testimoniato dall'ultimo dato relativo alle espulsioni per motivi di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica, che ha registrato un forte incremento: nei primi quattro mesi del 2017 ne sono state complessivamente effettuate 36, a fronte delle 13 eseguite nello stesso periodo dello scorso anno e parliamo di rimpatri effettivi. Rispondendo ad una specifica sollecitazione contenuta nell'interrogazione, evidenzio altresì che il decreto-legge è intervenuto anche sui tempi di permanenza nei centri per il rimpatrio dello straniero che sia già stato trattenuto presso le strutture carcerarie: il termine di 30 giorni è ora prorogabile di ulteriori 15 giorni quando sussistono condizioni di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio.
Il rafforzamento delle politiche di rimpatrio è un percorso che non può prescindere tuttavia da un'attività di carattere internazionale che abbia come obiettivo la conclusione di accordi e protocolli operativi in tema di riammissioni con i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori che presentino adeguati standard in tema di salvaguardia e tutela dei diritti. Sono stati siglati nel tempo - e ho finito, Presidente - diversi accordi in tal senso, si tratta ora di realizzarli e renderli pienamente operativi e negoziarne alcuni nuovi.
In questa direzione sono in corso trattative con i Paesi, cito in particolare il Niger e la Tunisia, soprattutto con quest'ultimo Paese intercorrono intensi e proficui contatti a livello di esperti ministeriali volti a rafforzare la cooperazione bilaterale e a snellire le procedure di identificazione dei migranti.
PRESIDENTE. Il deputato Allasia, ha facoltà di replicare.
STEFANO ALLASIA. Grazie Presidente, ma indubbiamente la risposta è molto - come sempre queste risposte - molto irregolare, dato che o è la nostra calcolatrice o quella di la Repubblica che non funziona o è la sua, quella del Ministero, perché la somma non dà i risultati che lei cita qua sempre e costantemente. Noi continuiamo a vedere che, da un lato, lo dice l'Europa, lo chiede l'Europa e viene attuato immediatamente - vedasi la legge Fornero - o dall'altra parte direttive europee, come quella del 2008, in cui si pone che gli Stati membri si obblighino al rimpatrio coatto per i cittadini stranieri che vengono considerati irregolari e abbiano anche una posizione verso la legge non limpida, in cui, se dobbiamo fare semplicemente due casi, Amri e Igor, due non connazionali, due immigrati clandestini irregolari, con fogli di via in tasca, che hanno commesso e reiterato dei reati.
Ma non solo quelli, ne guardiamo a decine se non a centinaia: Torino, emigrato aggredisce e deruba una donna, arrestato; africani ubriachi devastano auto dei residenti - solo esclusivamente nella mia città, Torino - immigrato marocchino completamente ubriaco si denuda al parco, tutti immigrati clandestini irregolari, il più delle volte che avevano anche commesso altri reati, con fogli di via in tasca, che continuano a permanere sul nostro territorio. E la casistica aumenta, senza andare a guardare poi nei CIE, lo scorso novembre, in cui alcuni immigrati hanno messo sotto sopra la città e il Governo oggi continua a dire: “Eh, non sappiamo cosa poter fare per questi problemi”. State continuando a tirare a campare. Fate una cosa sacrosanta, che ha detto anche ieri Mattarella: facciamo questa legge elettorale velocemente e andiamo al più presto al voto.
(Elementi ed iniziative di competenza in relazione alla vicenda delle operazioni di salvataggio in mare dei migranti effettuate da alcune organizzazioni non governative - n. 3-02977)
PRESIDENTE. La collega Ravetto ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02977 (Vedi l'allegato A).
LAURA RAVETTO. Ministro, lungi da Forza Italia criminalizzare tutte le ONG che operano in mare: molte operano seriamente, però il procuratore Zuccaro, dinanzi al Comitato Schengen che presiedo, il 22 marzo ha affermato che c'è un proliferare di piccole ONG che, in alcuni casi, potrebbero pregiudicare la lotta agli scafisti e addirittura il procuratore si è interrogato su come affrontino i costi queste ONG e oggi, durante una trasmissione televisiva - cito Adnkronos - ha dichiarato: A mio avviso alcune ONG potrebbero essere finanziate da trafficanti e so di contatti.
Le chiediamo: il Governo cosa sta facendo? Sta indagando su questo fenomeno? Ci sono evidenze di questo? State valutando che le ONG non facciano solo soccorso in mare, ma magari trasporto? Che lo facciano nel porto vicino più sicuro e non magari verso le nostre coste? Che rispettino il Regolamento di Dublino per cui, se battono bandiera straniera europea, quello è lo Stato di primo approdo? Grazie, se ci fate sapere quali sono le vostre iniziative.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Interno ha facoltà di rispondere.
MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Grazie signor Presidente, il tema sollevato nella interpellanza è insieme delicato e cruciale.
Esso si inquadra in uno scenario che, a fronte di flussi che non accennano a diminuire, anzi si palesano con indicatori significativamente in aumento, vede un impegno deciso, un nostro impegno deciso e determinato per governare i molteplici aspetti che hanno evidenti ricadute sul piano interno, sull'applicazione delle Convenzioni internazionali e sui rapporti con gli altri Stati.
Ho in più occasioni evidenziato come il governo dei flussi migratori richieda soprattutto un'attività proiettata sull'altra sponda del Mediterraneo: ne è testimonianza il memorandum siglato con la Libia lo scorso 2 febbraio, volto a contrastare la tratta di esseri umani. Venerdì scorso due motovedette sono state consegnate alla guardia costiera libica, con l'obiettivo di arrivare entro la fine di giugno al numero di dieci; contemporaneamente, c'è un impegno molto forte per quanto riguarda la sicurezza e il controllo dei confini sud della Libia: ricordiamoci che dalla Libia passa il 90 per cento, e forse più, del traffico di migranti illegali che arrivano nel nostro Paese.
L'obiettivo è dunque fermare i flussi e sconfiggere la sfida dei trafficanti di esseri umani, che con cinismo sempre più agghiacciante non tengono in alcun conto il rispetto della vita umana. L'evoluzione più recente del fenomeno vede infatti l'utilizzo sempre più frequente di mezzi leggeri per il trasporto dei migranti: tale circostanza rappresenta un elemento di accrescimento del rischio per l'incolumità dei migranti stessi. In questo scenario si svolge l'attività di Sophia, di Frontex, della nostra Guardia costiera e delle ONG.
Appare evidente che le attività di ricerca e soccorso non possono prescindere dal rispetto del principio fondamentale della salvaguardia della vita umana, imperativo imprescindibile. In questo quadro, ritengo tuttavia che le questioni sollevate dagli onorevoli interroganti non possono essere sottovalutate. Tuttavia, per evidenti ragioni di principio, che penso siano da voi condivise, si tratta di evitare generalizzazioni - come lei ha detto -, giudizi affrettati, attenendosi quindi ad una rigorosa valutazione degli atti. In questa fase, sono ancora in corso indagini sicuramente da parte della procura della Repubblica di Catania; il Comitato parlamentare Schengen, nell'ambito di un'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio, ha recentemente rivolto la sua attenzione allo specifico tema attraverso audizioni programmate; la Commissione difesa del Senato sta svolgendo analoga attività di indagine sull'impatto delle attività delle organizzazioni non governative e sui flussi migratori, svolgendo una serie di audizioni rivolte anche ad esponenti di ONG, ed ha preannunciato le proprie conclusioni entro la prima settimana di maggio.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Anche il Governo ha aperto un canale di scambio informativo con la Commissione europea, l'Agenzia Frontex e il servizio diplomatico dell'Unione europea, per condividere ogni elemento utile alla definizione di un quadro di valutazione aggiornato. Il Governo dunque segue lo sviluppo di tali attività in stretto rapporto con il lavoro del Parlamento. Considero di particolare importanza acquisirne gli esiti finali,…
PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.
MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Ho finito. Che verranno valutati con grande attenzione, mentre mi sento di garantire convintamente su questo la massima e leale collaborazione tra l'Esecutivo, il Ministero dell'interno e il Parlamento.
PRESIDENTE. Il deputato Elio Vito ha facoltà di replicare.
ELIO VITO. Signor Presidente, ringrazio il ministro Minniti della cortese risposta. Come ha ricordato la collega Ravetto, siamo di fronte ad una questione cruciale: il traffico di immigrati clandestini è oggi, con il traffico di droga, la principale fonte di finanziamento delle organizzazioni criminali. Non opporsi, non limitare, non frenare questo traffico e questa fonte di finanziamento è pura follia. La politica che noi da mesi indichiamo prevede il contrasto sulle coste libiche di queste organizzazioni criminali, per impedire le partenze: non per non salvare in mare le persone partite, ma per impedire le partenze. Per fare questo ci sono delle missioni internazionali già deliberate dall'Unione europea, e queste missioni il Parlamento ha più volte chiesto che vengano attuate. Abbiamo un seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: facciamolo valere! È un problema di una gravità tale, di sicurezza, non solo dell'Italia, ma dell'Europa, che va impedito, limitato, contrastato subito con efficacia.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ELIO VITO. Una volta, purtroppo, partite queste navi, che il traffico ha prodotto i suoi illeciti profitti, certo che le persone vanno salvate, ma non vanno riportate in Italia: i porti più vicini sono quelli delle coste libiche, delle coste tunisine, delle coste maltesi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
L'errore è consentire alle ONG e alle altre navi di riportarli in Italia; e basterebbe questo, che tornassero in Africa, per porre fine al traffico degli immigrati clandestini, e questo è consentito dalla normativa internazionale sul salvataggio delle persone in mare! Si salvino, si riportino in Africa, i porti più vicini: questo salverà il nostro Paese, salverà l'Europa, costringerà le organizzazioni criminali a porre fine a questo traffico criminale (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
(Iniziative per prevenire e contrastare la diffusione della pubblicità ingannevole del gioco d'azzardo - n. 3-02978)
PRESIDENTE. La deputata Paola Binetti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02978 (Vedi l'allegato A).
PAOLA BINETTI. Ministro, Presidente, non è la prima volta che presento un'interrogazione su questo; questa volta l'interrogazione ha un carattere molto circoscritto, molto breve, molto puntuale, però richiama l'attenzione su un punto preciso. Noi abbiamo due fatti concreti: uno, che il Governo di fatto non riesce a legiferare in materia di gioco d'azzardo avendo come punto di riferimento la tutela del giocatore e non esclusivamente gli introiti di carattere fiscale che si possono ricavare dal gioco; l'altro, la recentissima ricerca svolta dall'Istituto superiore di sanità, in cui si dimostra l'aumento delle persone affette da disturbo grave da gioco d'azzardo. In tutta questa logica, continuano ad arrivare sui nostri siti, compresi i siti della Camera, sui nostri cellulari, tutta una serie di meccanismi di pubblicità che sono dei forti induttori del gioco, e quindi creano dipendenza di fatto proprio per l'accessibilità. Vogliamo sapere cosa il Governo intende fare.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Presidente, l'onorevole interrogante lamenta che la pubblicità sul gioco d'azzardo sta assumendo forme sempre più invasive e insidiose: tenuto conto che le lotterie istantanee sono al primo posto per numero di giocatori e fatturato, e che le campagne pubblicitarie sono idonee ad insinuarsi negli spazi personali dei soggetti inducendoli a giocare, l'onorevole chiede al Governo quali iniziative intende assumere per bloccare questo tipo di pubblicità.
Ora, il fenomeno prospettato non rientra propriamente nella tipologia delle campagne pubblicitarie di prodotti di gioco, sottoposte al controllo dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli: la ricezione di e-mail indesiderate è caratterizzata dal collegamento con siti che il più delle volte non consentono attività di gioco, né alcuna attività, ma tendono ad acquisire informazioni e dati personali di incerto utilizzo, quando non sono finalizzati alla realizzazione di vere e proprie truffe online. Il fenomeno è dunque caratterizzato da aspetti di elevata insidiosità sotto il profilo dell'ordine pubblico, e richiede la specifica attenzione della Polizia postale.
Per quanto riguarda il gioco pubblico legale, il decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, cosiddetto decreto Balduzzi, ha introdotto precise limitazioni alla pubblicità; ulteriori limitazioni sono state introdotte dalla legge di stabilità per il 2016, che ha ampliato i divieti la cui violazione è sanzionata ai sensi delle disposizione del decreto Balduzzi. In particolare l'articolo 1 dell'accennata legge ha previsto, in linea con la normativa comunitaria, specifici requisiti che i messaggi pubblicitari di prodotti di gioco devono possedere per proteggere categorie a rischio; il comma 939 dell'articolo 1 della stessa legge di stabilità ha inoltre introdotto il divieto di pubblicità di giochi con vincita in denaro nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste in onda dalle ore 7 alle 22.
Da ultimo, per quanto riguarda l'affermazione che le lotterie istantanee sono al primo posto per numero di giocatori e per fatturato complessivo, si fa presente che, sulla base dei dati forniti dall'Agenzia delle dogane, negli ultimi anni la raccolta complessiva relativa alle lotterie istantanee ha subito una costante diminuzione, ed è stata pari nel 2016 a circa 8,9 miliardi di euro.
PRESIDENTE. La collega Binetti ha facoltà di replicare.
PAOLA BINETTI. È abbastanza evidente che l'insoddisfazione alla risposta non può che essere totale. Primo, si dice che la domanda è posta male: non è posta all'interlocutore responsabile, che non è il Ministro dell'economia e delle finanze ma avrebbe dovuto essere il ministro che si occupa piuttosto delle comunicazioni. Perfetto: potevamo aver cambiato l'interlocutore, ma certamente il problema sussiste. Dopodiché si fa una lunga lista di documenti, il decreto-legge cosiddetto Balduzzi, poi la finanziaria dell'anno scorso, dove si impongono limiti al gioco, ma solo limiti sulle televisioni generaliste: nulla si dice, in quelle leggi, dei limiti al gioco che arriva sullo smartphone, piuttosto che su qualunque altro computer personale.
Qui si sta semplicemente eludendo il problema! Il Governo, nella sua funzione ultima di monopolista, dovrebbe mettere in porto tutte le misure necessarie ad evitare. Poi, mi scusi, Ministro, va bene che si è ridotto il gettito, peccato che ci muoviamo sull'unità di grandezza degli otto miliardi; una cifretta così, che sarà pure meno dei nove miliardi dell'anno precedente, o qualcosa di meno, ma in realtà ci troviamo davanti a cifre estremamente consistenti, davanti alle quali il Governo non prende posizione. L'unica cosa di cui si fa responsabile è assicurarsi che il gettito fiscale resti lo stesso, ma a parità di gettito i malati crescono.
Quindi, a me sembra veramente un modo molto elegante di dire: non è un mio problema, lo passi al collega, noi la legge l'abbiamo fatta, peccato che l'abbiamo fatta su altri canali. Noi anzi ci guadagniamo un po' di meno, quindi, per carità, il problema non ci riguarda. Ma che modo è di affrontare una delle patologie più forti del nostro tempo? Ma che modo è, se non prendete in considerazione nemmeno i dati dell'Istituto Superiore Sanità, organismo tecnico del Ministero della salute? Veramente io credo che sono molti gli italiani sensibili a questo tema che considerano questa una delle débâcle più profonde di questo Governo.
(Iniziative volte a tutelare gli interessi nazionali in ordine alla vicenda del declassamento relativo al debito pubblico italiano operato nel 2012 da agenzie di rating, anche alla luce di una recente sentenza del tribunale di Trani – n. 3-02979)
PRESIDENTE. La deputata Ruocco ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02979 (Vedi l'allegato A).
CARLA RUOCCO. Grazie. Vogliamo fare una semplice domanda al Ministro: dal dispositivo della sentenza del tribunale di Trani emerge chiaramente che il doppio declassamento che l'Italia e i cittadini italiani hanno subito da parte dell'agenzia di rating Standard & Poor's non doveva essere fatto e quindi era illegittimo. Pertanto, questo apre la strada ad un miliardario risarcimento dei danni.
Miliardario perché si parla di 2 miliardi e 600 milioni di euro soltanto per quello che riguarda ciò che incassò la Morgan Stanley a seguito di un derivato il cui incasso dipendeva proprio anche da quel declassamento. Quindi chiediamo al Governo se vuole finalmente chiedere il risarcimento dei danni a chi di dovere, cioè all'agenzia di rating, oppure se vuole continuare a vessare i cittadini italiani con manovre correttive che aumentano il carico fiscale.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'Economia e delle finanze, Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie. Al momento si dispone esclusivamente della sentenza con la quale il tribunale di Trani ha disposto l'assoluzione nei confronti di alcuni esponenti dell'agenzia di rating accusati di manipolazione del mercato. Non sono ancora disponibili le motivazioni della sentenza. Una seria e giudiziosa tutela degli interessi economici e patrimoniali della Repubblica italiana richiede innanzitutto una conoscenza piena di tutti gli elementi, a cominciare dalla sentenza nella sua integralità, completa di motivazioni, onde poter valutare eventuali richieste di risarcimento fondate su piene ragioni. In mancanza di tali presupposti, non può essere presa alcuna iniziativa al riguardo. La lettura delle motivazioni è indispensabile per valutare se emergono elementi nuovi rispetto a quelli apprezzati in passato. Qualora in sede di lettura delle motivazioni emergano elementi nuovi, questi saranno attentamente valutati per decidere in merito alla proposizione di azione civile per danni.
PRESIDENTE. La collega Ruocco ha facoltà di replicare.
CARLA RUOCCO. Ministro non siamo per niente soddisfatti da questa risposta, perché ancora una volta il Governo dice di voler attendere, attendere un risarcimento danni miliardario che spetta ai cittadini italiani.
Contemporaneamente, in via immediata, si chiedono miliardi di euro di sacrifici. Si parla di clausole di salvaguardia all'interno del decreto che introduce la manovra correttiva e che prevede un aumento dell'aliquota dell'IVA ordinaria dal 22 al 25 per cento rischiando di gettare definitivamente il Paese nel baratro e per i risarcimenti dalle agenzie di rating e delle banche d'affari ad esse correlate c'è sempre, c'è sempre, qualcosa da attendere. Noi non vogliamo più attendere, noi siamo dalla parte dei cittadini, Non ci piace il fatto che un Paese si affondi e contemporaneamente si salvi la pelle sempre dei soliti noti. Aspettiamo che il Governo si muova immediatamente e continueremo a fare fiato sul collo.
Adesso l'ultima scusa sono le motivazioni. Sono anni che chiediamo il risarcimento dei danni.
Prima si doveva aspettare la sentenza, la sentenza è arrivata, adesso si devono attendere le motivazioni. Intanto abbiamo avuto l'IMU sulla prima casa, le clausole di salvaguardia che continua ad incombere, manovre correttive di miliardi di euro, aziende che chiudono. Per quelle vessazioni ai cittadini non si è mai dovuta attendere neanche un minuto. Siamo molto insoddisfatti di questa risposta.
(Chiarimenti in ordine all'applicazione della circolare n. 20 del 2015 del Ministero dell'economia e delle finanze in materia di fondi per la contrattazione integrativa – n. 3-02980)
PRESIDENTE. La collega Vezzali ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02980 (Vedi l'allegato A).
MARIA VALENTINA VEZZALI. Grazie Presidente. Ministro, il 13 settembre 2016 l'Asur Marche ha emesso la circolare contenente le linee guida in materia di definizione dei fondi contrattuali per l'anno 2015-2016 escludendo dal computo del personale quello con rapporto di lavoro a tempo determinato supplente e straordinario e quello inserito in processi di stabilizzazione, anche se il documento del Ministero dell'economia e delle finanze disponeva di prendere in considerazione tutti i presenti, rispettivamente al 1° gennaio e al 31 dicembre di ciascun anno.
Questa scelta che sarebbe stata effettuata in base a quanto previsto dalla circolare n. 20 del 2015 del Mef, ha comportato una riduzione dei fondi contrattuali che risulta punitiva nei confronti dei lavoratori delle aree vaste, nello specifico quelli dell'Area Vasta 2, in quanto i fondi contrattuali quantificati per l'anno 2015 non solo sono diventati incapienti, ma vengono cristallizzati producendo danni anche sul 2016 e sugli anni successivi. Si chiede di capire se la dicitura “tutti i presenti” riferita al personale può essere interpretata con: escludendo quello con rapporto di lavoro a tempo determinato supplente e straordinario e quelle inserito in processi di stabilizzazione.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie. L'articolo 1, comma 1, dei diversi contratti collettivi nazionali, include nell'ambito applicativo dei medesimi contratti sia il personale con contratto a tempo indeterminato, che quello a tempo determinato. Ne consegue che le indicazioni concernenti le normative limitative in materia di pubblico impiego, ivi comprese quelle relative al contenimento delle risorse destinate al trattamento accessorio, sono da intendersi riferite a tutto il personale in servizio destinatario delle indicazioni dei contratti collettivi.
Con riferimento invece al personale titolare di altre forme di lavoro flessibile, l'eventuale stabilizzazione dovrà comunque essere attuata nel rispetto delle disposizioni recate dall'articolo 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015, che prevedono che a decorrere dal 1° gennaio 2016 l'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modifiche, non può superare il corrispondente importo determinato per l'anno 2015 ed è comunque automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale assumibile ai sensi della normativa.
Inoltre, si ricorda che l'articolo 1, comma 409, della legge 11 dicembre 2016, la legge di bilancio per il 2017, ha stanziato specifiche risorse per il concorso al rimborso alle regioni degli oneri derivanti dai processi di assunzione e stabilizzazione del personale del Servizio sanitario nazionale, ai sensi delle disposizioni recate dal comma 543, dell'articolo 1, della legge n. 208 del 2015. Non appaiono conseguentemente fondati i segnali di criticità in materia di possibile incapienza e di danni prospettici segnalati anche ai fini della stabilizzazione del personale in questione e non si ritiene pertanto necessario un ulteriore chiarimento dei contenuti della richiamata circolare n. 20 del 2015.
PRESIDENTE. La collega Vezzali ha facoltà di replicare.
MARIA VALENTINA VEZZALI. La ringrazio Ministro per la risposta, mi ritengo ragionevolmente soddisfatta di quello che ha esposto. Vorrei precisare però che il buonsenso porterebbe a ritenere che quanto deciso dall'Asur Marche sia penalizzante per il personale che abbia un rapporto di lavoro a tempo determinato supplente e straordinario, considerato soprattutto che la trasformazione dei contratti coinvolti in processi di stabilizzazione ad oggi risulterebbe impossibile.
Va sottolineato, inoltre, che è proprio grazie a questo personale che vengono garantiti i servizi, e non si capisce quindi perché si possa assumere o ritenere congrua una decisione che mortifica gli sforzi di queste persone che, per competenza e umanità, sono in servizio al pari del personale stabilizzato, e perché proprio essi debbano subire una discriminazione. Non dovremmo consentire, comunque, per il rispetto che dobbiamo a chiunque lavori a dispetto del contratto che è costretto ad accettare, che una data di fine rapporto possa decidere che le sue prestazioni hanno meno dignità di quelle di coloro i quali hanno avuto la fortuna di conquistare la qualifica di effettivo.
(Chiarimenti circa l'ammontare dei canoni annui spettanti allo Stato nell'anno 2016 relativi a concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per impianti turistico-ricreativi - n. 3 -02981)
PRESIDENTE. Il collega Mazziotti Di Celso ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02981 (Vedi l'allegato A).
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, abbiamo presentato questa interrogazione perché nel Documento di economia e finanza, nel Programma nazionale di riforma varato insieme al Documento di economia e finanza, si indicano gli introiti ottenuti dagli stabilimenti marittimi, lacustri e fluviali in circa 100 milioni di euro, 103 milioni di euro, su oltre 21 mila impianti, e sono quindi circa 4 mila euro a stabilimento. Nello stesso Programma di riforma si segnala il fatto che le informazioni sulle concessioni assentite sono rese problematiche dal fatto che la banca dati centralizzata non viene alimentata sufficientemente dagli enti locali.
Peraltro, è stato segnalato anche nelle audizioni sulla delega che è attualmente pendente davanti alle Commissioni finanze e attività produttive che questa banca dati non è completa. Per questo abbiamo chiesto al Governo di fornire informazioni su quanto lo Stato ha diritto di ricevere su queste concessioni, per concessione e chilometro quadrato, e su quanto effettivamente viene incassato, perché crediamo che chi beneficia di questi servizi vorrebbe conoscere gli introiti.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie. È all'esame del Parlamento un disegno di legge delega per la revisione e il riordino della normativa in materia, che si propone: l'apertura e la contendibilità del mercato, assicurando, nel contempo, un uso rispondente all'interesse pubblico del bene affidato in concessione; il contributo allo sviluppo turistico, con incentivi agli investimenti; la messa a regime di un sistema dei canoni concessori chiaro, equilibrato e aggiornato, che dia certezze regolatorie agli operatori. Il testo prevede anche la fissazione di limiti minimi e massimi di durata delle concessioni entro i quali le regioni potranno fissare la durata delle stesse, per assicurare un uso rispondente all'interesse pubblico.
In relazione alla revisione dei canoni concessori, è prevista l'applicazione di valori tabellari che consentano di superare le criticità insorte in relazione all'individuazione delle opere di facile e di difficile rimozione. Con la rideterminazione dei valori tabellari sarà superato il criterio della valutazione dei canoni basato per le anzidette pertinenze sui valori dell'Osservatorio del mercato immobiliare, che aveva condotto ad aumenti di notevole entità degli importi dovuti.
Inoltre, è mantenuta la sostanza dell'attuale previsione normativa, che contempla, nel caso di concessioni demaniali di più elevata valenza turistica, una maggiore misura del canone, destinandone una quota a favore della regione di riferimento. Relativamente alla richiesta dei dati sui canoni annui derivanti dalle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo spettanti allo Stato, gli introiti dello Stato delle concessioni demaniali in argomento per il 2016 sono pari a euro 103.232.870.
I dati puntuali suddivisi per regione sono riportati in apposita tabella che si deposita presso la Presidenza per essere forniti agli interroganti. Si precisa che gli importi dei canoni sono per la gran parte tabellari, stabiliti dal decreto-legge n. 400 del 1993, e riferiti al metro quadro annuo, che varia a seconda delle tipologie di utilizzo e alla valenza turistica. Pertanto, un dato univoco non può essere fornito. In ordine agli utilizzi del demanio fluviale e lacuale non si hanno a disposizione i dati richiesti in quanto la gestione delle concessioni è attribuita esclusivamente alle regioni e agli enti locali, e gli stessi enti introitano i relativi canoni. Per quanto riguarda l'ammontare medio per concessione e chilometro quadrato dei canoni annui per le sole concessioni rilasciate in ambito demaniale marittimo spettanti allo Stato nell'anno 2016, secondo i dati forniti dal MIT tale ammontare risulta pari a 6.106 euro.
PRESIDENTE. Il deputato Mazziotti Di Celso ha facoltà di replicare.
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Naturalmente ringrazio il Ministro per le informazioni e per il deposito delle informazioni regionali. Emerge comunque dalla risposta del Ministro una situazione nella quale le informazioni disaggregate non sono tutte disponibili. Si conferma il fatto che la legge delega persegue delle finalità che noi condividiamo, tra le quali quelle di aumentare la contendibilità, la possibilità che queste concessioni abbiano un regime almeno in senso lato più concorrenziale di quello attuale, che lo è molto poco. Noi abbiamo citato un paper dell'Istituto Bruno Leoni dal quale emerge una situazione problematica del settore. Noi pensiamo che sarebbe fondamentale introdurre ovunque norme di trasparenza per le quali i comuni siano tenuti a rendere pubbliche le concessioni che hanno assentito e per i concessionari, per ciascun concessionario, sapere quanto si paga di canone.
Nel documento che l'ANCI ha depositato oggi, credo, nel dibattito sulla proposta di legge delega si evidenziano delle sproporzioni e delle differenze enormi da una situazione all'altra, si denunciano quelle che vengono chiamate speculazioni, ma semplicemente sono situazioni di cui beneficiano alcuni concessionari, che hanno canoni altissimi di locazione quando danno e affittano i servizi, gli ombrelloni per essere chiari, e che pagano canoni irrisori. Noi pensiamo che una trasparenza totale e locale, cioè anche presso i comuni e presso gli stabilimenti, su questi temi sarebbe molto utile in attesa del riordino, perché tutti i cittadini sappiano quanto lo stabilimento paga a fronte di quanto richiede a chi utilizza il servizio.
(Iniziative volte ad assicurare il “salvataggio” di Alitalia e a salvaguardarne i livelli occupazionali – n. 3-02982)
PRESIDENTE. Il deputato Epifani ha facoltà di illustrare l'interrogazione Laforgia ed altri n. 3-02982 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.
ETTORE GUGLIELMO EPIFANI. Grazie Presidente, signor Ministro, siamo naturalmente a chiedere che cosa intenda fare il Governo di fronte al risultato del referendum che si è tenuto nei giorni scorsi. Naturalmente sappiamo bene le difficoltà che ha questa azienda, non ricordo in Europa un'azienda che abbia attraversato una crisi così lunga, ricorrente e profonda come Alitalia, non solo nel trasporto aereo, ma anche in tutti gli altri settori. E, da questo punto di vista, quindi, so bene quanto sia difficile, arrivati a questo punto, invertire la rotta, come pure c'è bisogno di fare.
E c'è bisogno di farlo perché Alitalia è una grande compagnia aerea, che dà lavoro a migliaia e migliaia di persone, e che, pur non essendo più una compagnia di bandiera, tutto il mondo identifica con il nostro Paese, perché la sua livrea è fatta dai colori del nostro Paese, perché il suo nome richiama il nostro Paese e perché per tanti anni ha portato milioni e milioni di passeggeri dall'Italia verso tutte le altre destinazioni e viceversa. Questa è la domanda: cosa intende fare il Governo a questo punto, dopo che era stato attivo nel favorire l'intesa tra le parti e aveva, con il Presidente del Consiglio, chiesto che i lavoratori si esprimessero a favore dell'accordo?
PRESIDENTE. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Grazie, Presidente. Innanzitutto, ricordo che Alitalia è un'impresa privata e che l'esito della sua attività è ascrivibile esclusivamente alle scelte degli azionisti e del management. Tuttavia, fin dal primo momento in cui si è manifestata la crisi finanziaria, dovuta a una successione di bilanci in perdita, il Governo si è reso parte attiva per scongiurare la crisi aziendale. In particolare, si è lavorato per costruire una soluzione capace di valorizzare il patrimonio materiale e immateriale della società, sulla quale far convergere gli azionisti italiani ed esteri e le rappresentanze dei lavoratori. Nel contesto di questo lavoro, il Governo ha chiesto la discontinuità del management e un piano di ristrutturazione sostenibile, capace di riportare la società in attivo, pur contenendo le conseguenze della ristrutturazione sui livelli occupazionali.
Il CdA di Alitalia, nella giornata del 25 aprile, preso atto dell'esito negativo del referendum sull'ipotesi di accordo negoziato tra Alitalia e le organizzazioni sindacali, ha deciso di sottoporre all'assemblea dei soci la deliberazione in merito alla richiesta di apertura immediata della procedura di amministrazione straordinaria ai sensi della cosiddetta legge Marzano. L'amministrazione straordinaria contemplata dalla legge Marzano è una procedura concorsuale con finalità conservative del patrimonio produttivo e di salvaguardia dell'occupazione, che si svolge sotto la vigilanza del Ministero dello sviluppo economico.
In particolare, la normativa prevede tre distinti indirizzi per il recupero dell'equilibrio dell'attività imprenditoriale, da realizzarsi alternativamente.
Uno, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno; due, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni; tre, tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione all'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno.
Ove l'impresa delibererà di richiedere l'amministrazione straordinaria si procederà con la massima tempestività all'apertura della procedura e alla nomina dell'organo commissariale straordinario, con il compito di provvedere alla gestione dell'impresa e di predisporre ed attuare il programma che consenta una gestione conservativa dell'insolvenza. In questo contesto l'eventuale intervento finanziario dello Stato sarebbe finalizzato esclusivamente ad evitare l'interruzione delle attività e sarà oggetto di approfondimento nelle prossime ore, anche alla luce della documentazione e degli elementi informativi che saranno forniti dall'impresa. È peraltro evidente che l'eventuale intervento pubblico dovrà avvenire nel quadro e nel rispetto delle disposizioni nazionali ed europee sugli aiuti di Stato e che pertanto in tale evenienza l'attività della gestione commissariale dovrà necessariamente conformarsi nelle procedure e nei tempi al quadro regolatorio di riferimento.
PRESIDENTE. Il deputato Epifani ha facoltà di replicare.
ETTORE GUGLIELMO EPIFANI. Prendo atto della dichiarazione del Governo rivolta agli organi societari dell'azienda, i quali dovranno poi deliberare quindi l'apertura della procedura. Da questo punto di vista io insisto su un punto: bisogna assicurare assolutamente la continuità dell'attività di Alitalia, essendo un'azienda di trasporto aereo, avendo dentro di sé ordini per mesi e mesi e avendo clienti sul mercato. L'unica cosa che non possiamo permetterci è il tracollo di una compagnia aerea che, per quanto mi risulta, ha margini ridottissimi di autonomia finanziaria. Quindi, fermi restando gli obblighi europei, internazionali e tutto ciò che prevede la normativa, bisogna che il Governo assicuri questo sforzo, che poi è uno sforzo di tutta la collettività, l'ennesimo, per consentire la piena operatività di Alitalia. Sarà poi compito degli amministratori straordinari di poter portare a termine positivamente questa fase. Per me positivamente vuol dire “no” al fallimento, un fallimento senza prospettiva, e “no” alla vendita a spezzatino dei singoli asset di Alitalia, ma la ricerca puntigliosa, anche se non facile e me ne rendo conto, di una soluzione una volta per tutte definitiva degli assetti proprietari, del piano industriale e dello sviluppo di questa azienda.
(Intendimenti del Governo circa un possibile ingresso di Cassa depositi e prestiti nel capitale di Alitalia-Cai – n. 3-02983)
PRESIDENTE. Il deputato Fassina ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02983 (Vedi l'allegato A).
STEFANO FASSINA. Grazie, Presidente. Signor Ministro, l'oggetto della nostra interrogazione è lo stesso che abbiamo proposto un mese e mezzo fa al Ministro Calenda. Lo riproponiamo dopo il preaccordo che vi è stato la settimana scorsa e il referendum con la netta bocciatura di quel piano. Bisognerebbe, prima di provare a cercare una via d'uscita, chiedersi perché i lavoratori hanno bocciato quell'accordo. La ragione è piuttosto semplice: perché i sacrifici richiesti, notevolissimi, sono a fronte di un'assenza di un piano industriale credibile e una presenza, invece, di un management inadeguato.
Allora, torniamo a chiedere: perché lo Stato italiano non può entrare nel capitale di Alitalia tramite una sua partecipata - Cassa depositi e prestiti abbiamo detto oggi e la ripropone anche la segretaria generale della CGIL - per evitare il fallimento, la disgregazione e la svendita di asset preziosi, con tante professionalità che andrebbero disperse? È sicuro che l'unica strada possibile sia quella definita dal management inadeguato, del quale il preaccordo è stato bocciato?
PRESIDENTE. La ringrazio. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Come ho avuto modo di chiarire nella precedente risposta, ricordo che l'esito dell'attività d'impresa di Alitalia è ascrivibile esclusivamente alle scelte degli azionisti e del management. Ricordo anche che il Governo si è reso parte attiva per individuare una soluzione alla crisi aziendale emersa nei mesi scorsi. Alla luce dell'esito negativo del referendum sull'ipotesi di accordo negoziato fra Alitalia e le organizzazioni sindacali, il CdA di Alitalia ha deciso di sottoporre all'assemblea dei soci la deliberazione in merito alla richiesta di apertura immediata della procedura di amministrazione straordinaria ai sensi della “legge Marzano”. Il Governo può rassicurare sul proprio impegno, ove effettivamente l'impresa delibererà di richiedere l'amministrazione straordinaria, di procedere con la massima tempestività all'apertura della procedura e alla nomina dell'organo commissariale straordinario, con il compito di provvedere alla gestione dell'impresa e di predisporre ed attuare un programma che consenta una gestione conservativa dell'insolvenza.
In ogni caso il Governo non è disponibile a partecipare, direttamente o indirettamente, ad un eventuale aumento di capitale della società.
PRESIDENTE. Il deputato Fassina ha facoltà di replicare.
STEFANO FASSINA. Evidentemente, Ministro, non possiamo essere soddisfatti di questa sua risposta e ovviamente le nostre preoccupazioni vengono confermate. Lei ha ripetuto, anche nella nostra interrogazione, che Alitalia è un'azienda privata; anche l'Ilva è un'azienda privata, eppure Cassa depositi e prestiti partecipa ad una cordata finalizzata all'acquisizione di quell'azienda perché è un asset importante per il nostro Paese; anche le banche oggetto, potenzialmente o effettivamente, dell'intervento del Fondo che abbiamo costituito, di 20 miliardi di euro, sono aziende private e il Governo interviene.
Credo sia davvero irresponsabile, da parte del Governo, lasciare andare avanti una procedura di amministrazione straordinaria che metterebbe oggettivamente l'azienda in una condizione di grandissima difficoltà. Se vi fosse, comunque, un qualcuno disponibile ad intervenire o a comprarla lo farebbe con un enorme potere di ricatto, date le condizioni fallimentari in cui si trova. L'intervento del Governo temporaneo nel capitale di Alitalia potrebbe invece mettere Alitalia sul mercato in condizioni di minore debolezza e costruire le prospettive per un rilancio che certamente è difficile ma che andrebbe tentato perché la strada di dire: “Noi ci laviamo le mani; ci occupiamo di qualche ammortizzatore sociale”, come fatto in passato, è irresponsabile nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici ed è irresponsabile nei confronti del Paese.
(Iniziative del Governo in ordine alla situazione di Alitalia – n. 3-02984)
PRESIDENTE. Il deputato Rampelli ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02984 (Vedi l'allegato A).
FABIO RAMPELLI. Ministro, il 67 per cento dei lavoratori di Alitalia hanno bocciato il piano di salvataggio proposto dal suo Governo che per la terza volta - voglio ricordarlo e sottolinearlo - prevedeva mille licenziamenti e il taglio delle retribuzioni. Ora, dall'atteggiamento un po' spocchioso che avete tenuto in queste ore sembra quasi che la colpa del fallimento di Alitalia sia dei lavoratori, i cui esuberi invece, lo ricordo ancora, ammontano a non più del 17 per cento. Quindi, semmai la responsabilità è dell'assoluto disinteresse dell'ex Presidente Renzi relativamente all'asse industriale Alitalia-Etihad, che non è stato curato adeguatamente e che è stato abbandonato a se stesso, e a manager incapaci rispetto ai quali voi avreste il titolo, come avete fatto per altre situazioni altrettanto private, a intervenire per salvaguardare almeno i livelli occupazionali.
Chiedo, dunque, che cosa intendete fare per lavorare su questo, visto che le sue precedente risposte sono state evasive.
PRESIDENTE. Il Ministro dell'economia e delle finanze, Pietro Carlo Padoan, ha facoltà di rispondere.
PIETRO CARLO PADOAN, Ministro dell'Economia e delle finanze. Rispondendo ai precedenti quesiti, ho già illustrato le prospettive per Alitalia e il ruolo svolto dal Governo. Ricordo, quindi, che si condivide la preoccupazione per il destino dei lavoratori ma, al tempo stesso, che non è perseguibile alcun intervento diretto dello Stato e indiretto nel capitale della società. Confermo l'impegno del Governo, ove effettivamente l'impresa delibererà di richiedere l'amministrazione straordinaria, a procedere con la massima tempestività all'apertura della procedura e alla nomina dell'organo commissariale straordinario, con il compito di provvedere alla gestione dell'impresa e di predisporre ed attuare un programma che consenta una gestione conservativa dell'insolvenza, ai sensi della “legge Marzano”.
Per quanto riguarda l'ipotesi specifica sulla sussistenza, evocata nella domanda scritta dell'interrogante, di trattamenti di favore nei confronti di compagnie low cost attraverso incentivi ai vettori, il Governo esclude che vengano impiegate a questo fine risorse statali e non ha evidenza di pratiche lesive della concorrenza da parte delle autorità regionali. Peraltro, non tutti gli accordi di co-marketing che contemplano un'incentivazione ai vettori sono finanziati con risorse pubbliche, dato che i gestori privati utilizzano, talvolta esclusivamente, risorse proprie e in ogni caso gli incentivi previsti dagli accordi di co-marketing stimolano una produzione di ricchezza sul territorio molto maggiore degli incentivi stessi. Questo tipo di accordi è consentito ed è praticato in tutta Europa e non costituisce una violazione della disciplina sulla concorrenza proprio perché non genera vantaggi tali da condizionare l'accesso al mercato e fa parte delle regole attualmente a disposizione degli aeroporti minori.
PRESIDENTE. Il collega Rampelli ha facoltà di replicare.
FABIO RAMPELLI. Quindi, se non ho capito male, quando il Governo Renzi ha messo le mani su Alitalia, favorendo l'accordo con Etihad, ricordo quello che Renzi scrisse: Alitalia torna in pista. Vola Alitalia, viva l'Italia.
Si trattava di una questione, evidentemente, che riguardava il Governo, perché c'era da incassare propagandisticamente un risultato. Oggi, che le cose sono andate male e che il Governo si è distratto e si è voltato dall'altra parte rispetto alle difficoltà di Alitalia in questi due anni, la questione riguarda Alitalia, che è una compagnia privata e, quindi, lo Stato non può fare niente. Come se MPS fosse invece chissà che cosa. Il Montepaschi Siena - le comunico ufficialmente - è una banca privata, rispetto alla quale il Governo italiano ha potuto contribuire in maniera esosa e sostanziosa - prima con 5 miliardi, adesso con i 20 miliardi, di cui abbiamo discusso qualche mese fa - al suo tentativo di salvataggio.
Ora qual è il problema? Perché avete fatto tutte le scelte strategiche sbagliate e non avete messo a sistema il trasporto in maniera integrata, anche guardando a Trenitalia, piuttosto che ad altri vettori? Lo state facendo con ANAS. Perché non avete messo la testa per evitare che alcune rotte intercontinentali fossero dismesse? Perché avete consentito al manager di turno, in totale conflitto di interessi, di mettere in liquidazione l'Alitalia Maintenance Systems, che comunque era un'eccellenza, che creava profitti e, quindi, era sicuramente un valore aggiunto per l'azienda? Perché avete abbandonato, avete fatto abbandonare il traffico cargo? Ma, soprattutto, perché - e questo vi competeva, perché competeva sicuramente al Governo e non ad Alitalia - non avete regolamentato la concorrenza sleale delle compagnie low cost, che invece prendono i contributi pubblici, regionali e comunali, cosa che sarebbe vietata dalle regole europee? E, infatti, è vietata per Alitalia, ma con accordi commerciali torna sottobanco ed alimenta e rende evidentemente più accessibile e più competitivo il traffico aereo delle compagnie private.
Dunque, che cosa vogliamo fare? Vogliamo perdere anche la possibilità di dominare il nostro spazio aereo? Vogliamo consegnare a Lufthansa o a qualunque altro vettore privato - l'esempio, ovviamente, al vettore tedesco non è casuale - la nostra compagnia aerea, con tutto quello che significa da un punto di vista di valori simbolici e storici?
PRESIDENTE. Concluda.
FABIO RAMPELLI. Noi pensiamo che voi dobbiate svegliarvi.
(Elementi in merito al decreto ministeriale istitutivo del Parco archeologico del Colosseo, con particolare riferimento alla salvaguardia degli interessi e delle competenze del comune di Roma Capitale - n. 3-02985)
PRESIDENTE. La deputata Coscia ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02985 (Vedi l'allegato A).
MARIA COSCIA. Grazie Presidente. Signor Ministro, come lei sa, la sindaca di Roma ha preannunciato in una conferenza stampa un ricorso al TAR contro il suo decreto ministeriale, che ha istituito il Parco archeologico del Colosseo e, conseguentemente, anche il decreto direttoriale, che ha indetto la selezione pubblica internazionale per l'incarico al nuovo direttore del Parco.
In verità, signor Ministro, a nostro avviso, in questi mesi abbiamo dovuto assistere ad un crescendo di polemiche strumentali su questo tema. L'attuale amministrazione di Roma, invece di concentrarsi sul governo della città, in modo particolare sui problemi drammatici che la città di Roma sta vivendo, sta cercando di spostare l'opinione pubblica su un tema inesistente, in modo particolare su una presupposta lesione degli interessi della città, che sarebbe stata compiuta, appunto, con l'attuazione di questi provvedimenti e l'istituzione del Parco archeologico.
Quindi, signor Ministro, noi, siccome teniamo a quello che è l'interesse della città e dei cittadini romani, le chiediamo di fornire tutte le informazioni e i chiarimenti necessari, affinché l'inconsistenza dei punti contestati sia dimostrata, e di fornire, quindi, anche chiarimenti circa gli importanti risultati già raggiunti.
PRESIDENTE. Il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, ha facoltà di rispondere.
DARIO FRANCESCHINI, Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo. L'interrogazione mi dà modo di riferire, come mi pare corretto, in Aula, di quanto sta avvenendo e su una serie di cose inesatte o false, proprio fatte uscire sui giornali in questi giorni.
Primo punto: non è stata un'improvvisazione del Ministro, ma io ho lavorato con il decreto ministeriale in applicazione di una norma di legge, approvata in legge di stabilità dal Parlamento, che ha semplicemente consentito di adeguare anche la struttura di Roma, in particolare l'area archeologica centrale e il Colosseo, una delle aree più importanti del mondo, a quello che è avvenuto già in questi due anni in materia di riforma del sistema museale, cioè: autonomia, autonomia contabile, autonomia amministrativa, direttori scelti con selezioni internazionali, quella riforma che ha portato i risultati che credo tutti hanno visto a Pompei e a Caserta, agli Uffizi, a Brera, in tutti gli altri musei, che ha portato i visitatori dei musei statali italiani da 38 milioni del 2013 a 45 milioni e mezzo del 2016.
Si può essere contro questo, per carità, si può dire che è sbagliato, ma non si possono dire falsità per motivare la propria opinione.
Primo punto: l'area archeologica centrale di Roma resterà come è oggi, resterà aperta la parte a pagamento, la stessa parte a pagamento, che è già a pagamento oggi. Il resto resterà aperto alla città. Ci mancherebbe altro di costruire una cosa chiusa! E l'accordo di valorizzazione, firmato con la precedente giunta dal sottoscritto, che non ha avuto esito nei mesi successivi, perché c'è stato un rallentamento da parte dell'amministrazione comunale, mantiene intatta la sua validità, se si vuole andare avanti, con l'unico cambiamento che la parte statale sarà rappresentata non più dal soprintendente, ma dal direttore dell'area archeologica centrale. Ma si può tranquillamente andare avanti.
Secondo punto: ci sarà più efficienza, non meno efficienza in termini di tutela. Prima della riforma, a Roma, il territorio comunale era diviso in tre soprintendenze distinte, con competenze diverse. Da oggi, da quando entrano in vigore queste norme, ci sarà - e c'è già ora - un'unica soprintendenza con tutte le competenze e il territorio identico a quello del comune di Roma, unica competenza per la parte archeologica, beni architettonici e beni artistici e, quindi, maggiore tutela.
Oggi il soprintendente di una città come Roma deve occuparsi contemporaneamente della gestione del Colosseo, cioè del monumento più visitato d'Italia - e capite quanto tempo richiede - e del dare il permesso per l'apertura di una finestra alla Magliana o a Centocelle. Non poteva funzionare come nel resto d'Italia.
Terzo punto e concludo: falso che sono state tolte risorse a Roma! Prima di questo provvedimento, l'80 per cento di risorse restava a Roma e il 20 per cento, come in tutto il resto d'Italia, andava a un fondo di solidarietà, per aiutare i musei che non hanno tanti incassi, a Roma come nel resto d'Italia. Oggi è tutto identico: l'80 per cento delle risorse resta a Roma e il 20 per cento va al fondo di solidarietà. Qual è l'unica variazione? Che, essendo prima tutto nelle mani della soprintendenza speciale, restava tutto lì. Oggi il 50 per cento resta al Parco archeologico del Colosseo e il 30 per cento va al resto di Roma. Ed è un dato migliorativo, perché, mentre prima le risorse del Colosseo venivano utilizzate per il resto di Roma, in base alle valutazioni discrezionali del soprintendente (interventi su quel monumento o no, ma senza nessuna garanzia), oggi c'è questo minimo 30 per cento, che garantisce che ci saranno risorse per la soprintendenza speciale, che resta, peraltro, l'unica soprintendenza speciale d'Italia.
PRESIDENTE. La deputata Piccoli Nardelli ha facoltà di replicare.
FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Grazie Presidente e grazie Ministro per la sua risposta puntuale, su un tema per noi di particolare rilevanza.
La riforma del sistema museale, avviata nel 2014, che abbiamo condiviso e sostenuto, ha voluto recuperare per il nostro patrimonio culturale un ruolo centrale nelle dinamiche culturali, sociali ed economiche del Paese e l'istituzione del Parco archeologico del Colosseo ne è, per noi, il naturale completamento.
Vogliamo ricordare alla giunta Raggi che la chiarezza dei dati, relativi alla gestione delle entrate del Colosseo e dell'area archeologica centrale, che lei Ministro ha adesso riconfermato ancora (l'80 per cento degli incassi restano a Roma per il Colosseo e i Fori e il resto del patrimonio statale, mentre il 20 per cento va al Fondo di solidarietà nazionale), è condizione preliminare per affrontare correttamente il problema.
I dati, pubblicati sugli ingressi nei luoghi della cultura dello Stato per il 2016, dimostrano che la riforma del sistema museale è servita a riavvicinare i cittadini ai propri istituti e luoghi della cultura e ha rimesso al centro la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale, per il nostro Paese, ma anche per la città di Roma.
Il Parco del Colosseo, che coincide con l'area definita in base all'accordo fra il Ministero e Roma Capitale, il 21 aprile 2015, è stato istituito per mezzo del provvedimento oggi impugnato dal comune e consente di avere una struttura dirigenziale dedicata alla tutela, alla gestione e alla valorizzazione di un sito di eccezionale rilevanza culturale.
Stupisce che sia proprio la giunta Raggi, alimentando false notizie, a creare una conflittualità pretestuosa tra la città e l'area archeologica, che dimostra totale incomprensione dei meccanismi di gestione del patrimonio culturale, incomprensione che può portare solo danni alla città di Roma.
(Tempi di revisione dell'accordo di partenariato europeo al fine di garantire alle scuole paritarie la partecipazione al programma operativo nazionale “Per la scuola, competenze e ambienti per l'apprendimento” 2014-2020 - n. 3-02986)
PRESIDENTE. Il deputato Calabrò ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02986 (Vedi l'allegato A).
RAFFAELE CALABRO'. Grazie Presidente. Signora Ministra, la legge di bilancio del 2017 ha stabilito, per il Programma operativo nazionale per la scuola nel periodo 2014-2020, che per istituzioni scolastiche si debbano intendere tutte le istituzioni scolastiche che costituiscono il nostro sistema nazionale di istruzione, quindi le scuole statali, le scuole paritarie private e gli enti locali che gestiscono scuole.
Ebbene, al fine però dell'utilizzo dei fondi strutturali europei, il MIUR, che deve poter destinare i fondi anche alle scuole paritarie, non ha ancora modificato l'accordo di partenariato con l'Europa, e ad oggi quindi tutta questa possibilità è bloccata, è bloccato cioè l'accesso ai fondi PON da parte delle scuole statali. La richiesta è: quali sono i tempi previsti dal Ministero per la revisione di questo accordo, al fine di consentire che anche le scuole paritarie possano entrare nel programma?
PRESIDENTE. La Ministra dell'istruzione dell'università e della ricerca, Valeria Fedeli, ha facoltà di rispondere.
VALERIA FEDELI, Ministra dell'Istruzione dell'università e della ricerca. Grazie Presidente. Onorevole Calabrò, in primo luogo mi preme evidenziare che le scuole paritarie non sono state completamente escluse dalla partecipazione agli avvisi pubblici del Programma operativo nazionale PON per le scuole 2014-2020, ma è stato loro consentito di partecipare, in rete o in collaborazione con le istituzioni scolastiche statali.
Tale modalità di partecipazione si giustifica alla luce della tipologia di risorse provenienti dal PON 2014-2020. Al riguardo informo infatti che le scuole paritarie non sono previste nell'accordo di partenariato quali beneficiari del PON, che include invece le sole scuole statali. In particolare, nel testo del citato accordo è stabilito espressamente che il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di sviluppo regionale interverranno nel settore dell'educazione pubblica con esclusione delle scuole private o parificate.
Dopo l'approvazione della legge di bilancio per l'anno 2017 il quadro giuridico si è arricchito di una nuova disposizione, il comma 313 dell'articolo 1 da lei citato, teso a chiarire in via interpretativa il tenore del menzionato accordo. La norma nazionale prevede che, ove si parla di istituzioni scolastiche, con tale locuzione si devono intendere tutte le istituzioni scolastiche che costituiscono il sistema nazionale di istruzione, ai sensi della legge n. 62 del 2000. Alla luce di ciò, già dallo scorso mese di gennaio il MIUR ha avviato presso il competente Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri, interlocuzioni volte a valutare eventuali iniziative attuative che risultino già allo stato compatibili con il quadro ordinamentale comunitario; ciò nelle more dell'iter previsto per ottenere dalla Commissione europea indicazioni sulle specifiche modifiche, in coerenza con la norma citata dell'accordo di partenariato del PON in questione.
In attesa della definizione delle suddette procedure, considerata la necessità di attuare il programma operativo in ragione delle scadenze previste per la spesa, sia nel corrente anno sia nell'anno 2018 è stata accantonata, per le scuole paritarie, quota parte dei finanziamenti disponibili per preservare a loro vantaggio adeguate risorse.
PRESIDENTE. Il collega Calabrò ha facoltà di replicare.
RAFFAELE CALABRO'. Signor Ministro, siamo molto parzialmente soddisfatti, perché c'è una contraddizione in questo che lei riferisce: da una parte per istituzione scolastica viene inteso tutto quello che è istituzione al servizio pubblico, fatto di scuole statali e fatto di scuole private paritarie; dall'altra parte c'è questo limite, questo limite di accesso se non in partenariato.
Ebbene, io credo che non si può immaginare che si possano organizzare programmi che possono accedere ai fondi PON, se non c'è un tempo adeguato, se c'è una chiarezza su quello su cui bisogna agire. Per potersi relazionare con un mondo di professionisti, potersi relazionare con un mondo di collaboratori, per potersi relazionare con un mondo di partenariato, per poter realizzare dei programmi seri, è necessario che si abbia davanti a sé un tempo adeguato. Quindi noi quello che chiediamo è che quanto meno si faccia al più presto possibile chiarezza in questo aspetto.
(Iniziative di competenza volte ad introdurre la richiesta, da parte delle scuole, del consenso informato preventivo su tutte le attività che attengono a temi educativi sensibili - n. 3-02987)
PRESIDENTE. Il collega Gigli ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02987 (Vedi l'allegato A).
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie, Presidente. In una apprezzata risposta ad una nostra recente interrogazione riguardante il Progetto “A scuola per conoscerci” promosso da alcune associazioni LGBT, lei, signora Ministra, dichiarava che non si tratta di attività curricolari e che l'eventuale partecipazione di studenti è meramente facoltativa, e comunque necessita del consenso dei genitori per gli studenti minorenni.
Ora, il problema è che purtroppo questo consenso informato non viene a quanto pare formalizzato nelle scuole del Friuli-Venezia Giulia. Secondo: si svolgono al mattino queste lezioni, quindi in orario curricolare e risultano di fatto quindi obbligatorie, non essendo previste attività alternative. Terzo: in molte scuole i docenti di materia sono invitati ad uscire, con scarso rispetto della loro professionalità docente. Ecco, le chiedo quali direttive intenda dare il Ministero perché questi fatti non continuino ulteriormente.
PRESIDENTE. La Ministra dell'istruzione dell'università e della ricerca, Valeria Fedeli, ha facoltà di rispondere.
VALERIA FEDELI, Ministra dell'Istruzione dell'università e della ricerca. Grazie Presidente. Onorevole Gigli, la ringrazio perché mi dà l'occasione per approfondire quanto già riferito in risposta ad un precedente question time del 12 aprile scorso.
Anzitutto premetto che l'azione del MIUR si sostanzia nel fornire la cornice pedagogica, educativa e culturale nell'ambito della quale le scuole promuovono proprie autonome iniziative, attraverso la definizione del piano triennale dell'offerta formativa, in cui devono essere specificate obbligatoriamente tutte le attività che le istituzioni scolastiche intendono realizzare. Il MIUR, nella nota del 6 luglio 2015 indirizzata ai dirigenti scolastici delle istituzioni di ogni ordine e grado, ha spiegato che “le famiglie hanno il diritto, ma anche il dovere di conoscere, prima dell'iscrizione dei propri figli a scuola, i contenuti del piano dell'offerta formativa e, per la scuola secondaria, sottoscrivere formalmente il patto educativo di corresponsabilità, per condividere in maniera dettagliata diritti e doveri nel rapporto tra istituzione scolastica autonoma, studenti e famiglie”. Dunque, rispetto ai progetti relativi a qualsiasi tematica che vengano realizzati in orario curricolare sia nell'ambito del curricolo obbligatorio sia nell'ambito della quota parte facoltativa, i genitori hanno di modo di esaminare e valutare, nell'ambito del PTOF, tutte le attività didattiche, i progetti e le tematiche previste, e manifestare il loro consenso con l'iscrizione dei propri figli a scuola.
Per quanto riguarda invece le attività extracurricolari, posto che le stesse devono comunque essere contemplate nel piano dell'offerta formativa, la relativa partecipazione è sempre facoltativa e postula la richiesta del consenso dei genitori per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni, i quali, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza. In ogni caso la scuola può, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, contemplare attività alternative. A quanto risulta è prevista in ogni caso la presenza, e comunque la supervisione dell'insegnante titolare di classe o referente del progetto.
Con specifico riguardo all'iniziativa della regione Friuli-Venezia Giulia da lei richiamata, essa è stata proposta all'autonoma valutazione delle istituzioni scolastiche della regione, alcune delle quali l'hanno inserita nel proprio piano di offerta formativa. Il MIUR non è stato, neppure nella sua articolazione periferica, coinvolto nella gestione del progetto.
Concludo, in ogni caso, affermando che l'educazione alle pari opportunità, alla prevenzione della violenza, al contrasto delle discriminazioni di cui al comma 16 della legge n. 107 del 2015, se correttamente intesa, non è destinata a produrre conflitti con le esigenze educative delle famiglie, trattandosi di attuazione dei principi costituzionali di cui all'articolo 3. Comunque, a tutela delle studentesse e degli studenti da ogni azione illegittima e contraria alle norme del sistema di istruzione e formazione nazionale, continuerò a monitorare qualsiasi situazione che possa integrare specifiche violazioni.
PRESIDENTE. Il collega Gigli ha facoltà di replicare.
GIAN LUIGI GIGLI. Signora Ministra, questa volta, a differenza della precedente, mi permetta di dirle che non sono soddisfatto. Primo, perché non è chiaro che cosa sia da intendersi con “se correttamente intesa”, ed è prova provata che molti istituzioni scolastiche, molti dirigenti scolastici se lo interpretano secondo criteri molto personali. Secondo: perché non è a mio avviso dovere dei genitori informarsi, ma è diritto dei genitori di essere informati; e non all'interno di un pacchetto generale, dove nessuno sa che cosa poi in effetti ci sia dentro, ma con dettaglio di informazioni, particolarmente appunto su temi sensibili.
Ora io le voglio fare un parallelo, ed è quello dell'insegnamento della religione cattolica: lei sa meglio di me che all'epoca ci fu tutta una battaglia affinché venisse riconosciuto alle persone che non intendevano avvalersi dell'insegnamento della religione il diritto di avere attività alternative e la possibilità altrimenti di uscire, perché venisse posto l'insegnamento alla fine o all'inizio dell'orario, quindi entrare in ritardo o uscire prima. Tutto questo non viene qui in alcun modo accordato.
Allora io le dico: non sarebbe meglio che il Governo prendesse esempio, questa volta, da una regione autonoma a statuto speciale, come il Trentino-Alto Adige, il quale, nella sua autonomia totale per quanto riguarda l'istruzione, come lei sa, ha deliberato invece che il consenso informato debba essere sempre preventivamente richiesto, e richiesto in maniera, appunto, estremamente dettagliata, e ha previsto anche che ci sia una proceduralità nel modo in cui rapportarsi a questo tipo di materie sensibili, prevedendo appunto il ricorso, per esempio, alle ore alternative di insegnamento. Io la invito a fare questo. Non dubito che il Friuli-Venezia Giulia non l'avesse informata di questa cosa, non voglio fare carico a lei di questo; io quello che le dico però è che è necessario forse intervenire anche in vigilando, e quando ci sono lamentele da parte di associazioni, da parte di famiglie, mandare magari anche gli ispettori scolastici, affinché verifichino quello che di fatto sta succedendo.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Venerdì 28 aprile 2017, alle 10,30:
Svolgimento di interpellanze urgenti.
La seduta termina alle 16,10.
SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA
Nel corso della seduta sono pervenute le seguenti segnalazioni in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):
nelle votazioni dalla n. 1 alla n. 6 il deputato Busto ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario;
nella votazione n. 3 la deputata Amici ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole.
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 8) | ||||||||||
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nominale | Ris. Rosato e a. 6-312 | 408 | 406 | 2 | 204 | 308 | 98 | 95 | Appr. |
2 | Nominale | Ris. Fedriga e a. 6-313 | 415 | 414 | 1 | 208 | 64 | 350 | 94 | Resp. |
3 | Nominale | Ris. Brunetta e a. 6-314 rif. | 415 | 412 | 3 | 207 | 316 | 96 | 94 | Appr. |
4 | Nominale | Ris. Capezzone e a. 6-315 | 415 | 414 | 1 | 208 | 66 | 348 | 94 | Resp. |
5 | Nominale | Ris. Palazzotto e a. 6-316 rif. | 415 | 401 | 14 | 201 | 278 | 123 | 94 | Appr. |
6 | Nominale | Ris. Rampelli e a. 6-317 | 418 | 417 | 1 | 209 | 64 | 353 | 94 | Resp. |
7 | Nominale | Ris. Petraroli e a. 6-318 | 416 | 403 | 13 | 202 | 82 | 321 | 94 | Resp. |
8 | Nominale | Ris. Rabino e a. 6-319 rif. | 412 | 409 | 3 | 205 | 306 | 103 | 94 | Appr. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.