XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 536 di venerdì 4 dicembre 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alfreider, Beni, Bratti, Colonnese, Giancarlo Giorgetti, Locatelli, Piccoli Nardelli, Rampelli, Sani, Scotto e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza (ore 10,04).

PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza il deputato Maurizio Baradello, in sostituzione della deputata Tinagli, dimissionaria.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti ed iniziative di competenza in merito alla vicenda che ha portato alla reiterazione del commissariamento della Banca Popolare di Spoleto, in particolare in rapporto ad una recente sentenza del Consiglio di Stato – n. 2-01187)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente, Brunetta ed altri n. 2-01187, concernente chiarimenti ed iniziative di competenza in merito alla vicenda che ha portato alla reiterazione del commissariamento della Banca Popolare di Spoleto, in particolare in rapporto ad una recente sentenza del Consiglio di Stato (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
L'onorevole Alberto Giorgetti ha facoltà di illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario.

ALBERTO GIORGETTI. Grazie, Presidente. Con questa interpellanza vogliamo Pag. 2fare chiarezza – speriamo con la collaborazione del Governo – relativamente ai fatti che hanno colpito la Banca Popolare di Spoleto in questi ultimi tempi, in particolar modo, come ricordava lei, Presidente, in merito ad una reiterazione di commissariamento da parte del Ministero, che, a nostro modo di vedere, non trova elementi significativi a sostegno di questa scelta. Rapidamente ricordo quelle che sono le vicende, perché è importante fare anche una breve cronistoria che comunque rappresenti quelli che sono stati i problemi e anche, a nostro modo di vedere, le carenze di conduzione da parte del Ministero dell'economia e della Banca d'Italia rispetto alle vicende che hanno caratterizzato ovviamente la gestione della Popolare di Spoleto. Una banca popolare che, nel 2010, aveva ancora caratteristiche di evidente salute, con un capitale di 2 miliardi e mezzo di euro, sofferenze più che contenute e una capacità di reddito del 10,6 per cento; insomma, una condizione quanto meno buona e che progressivamente è stata valutata in deterioramento, ma per una serie di vicende che, a nostro modo di vedere, non sono state neutrali nella vita di questa azienda di credito. Nel 2012, di fatto, là dove già a suo tempo, nel 2011, da parte di Banca d'Italia il presidente della Banca Popolare di Spoleto doveva essere rimosso al più presto, evidentemente con iniziative che, a nostro modo di vedere, si allargavano a una forma di ingerenza, nonostante questo tipo di richiesta fosse vanificata da una presa di posizione dei soci dell'istituto stesso, Banca d'Italia di fatto riapre il fronte con una nuova ispezione, arrivando, di fatto, al commissariamento della Banca Popolare di Spoleto con delle iniziative che sono state poi realizzate dal Governo, successivamente, con i decreti ministeriali nn. 16 e 17 dell'8 febbraio 2013. Sono decreti del Ministero dell'economia con cui si prevede lo scioglimento degli organi ispettivi di controllo con i relativi interventi di commissariamento. Successivamente c’è un ulteriore atto che noi riteniamo importante e giudicato poi in magistratura, dal Consiglio di Stato, nel 2014, con il quale si decide di vendere l'istituto al Banco Desio con delle modalità che a nostro modo di vedere sono giudicate sicuramente non idonee a quella che era la valorizzazione massima di questo istituto, la tutela dei correntisti e, più in generale, ovviamente, degli equilibri connessi al ruolo sul territorio della banca stessa. Ma la cosa più interessante arriva il 10 febbraio 2015, quando il Consiglio di Stato, accogliendo ad anni di distanza un ricorso presentato dall'allora consiglio d'amministrazione della Popolare di Spoleto, ha stabilito l'illegittimità dello scioglimento del consiglio d'amministrazione. Di fatto, si rileva in questa sentenza come la Banca d'Italia avrebbe formulato una proposta accettata in maniera critica dal Ministero interpellato, come se non ci fosse stata un'attività di vaglio autonoma ed idonea, da parte del Ministero, in merito alla conduzione e alla correttezza delle disposizioni e dell'attuazione fatta dalle stesse relativamente alla governance della banca e quindi sostanzialmente una forma di accondiscendenza che, a nostro modo di vedere, ha dei punti di domanda enormi. Successivamente, come dicevo, c’è una reiterazione del commissariamento, che noi giudichiamo ovviamente dubbia, da questo punto di vista, proprio per le motivazioni che sono state ricordate e che fanno parte, in modo molto più esteso nella sentenza, che non vogliamo qui ricordare e che succintamente abbiamo però ripreso dal punto di vista politico.
Credo che, a fronte di questo commissariamento, a breve il Consiglio di Stato sarà chiamato ancora una volta a doversi pronunciare. Quindi, tutta questa vicenda, Presidente, a nostro giudizio, evidenzia una serie di rilevanti criticità nell'ambito delle decisioni adottate dal Ministro dell'economia, in considerazione del fatto che il dispositivo della sentenza del Consiglio di Stato presuppone un comportamento superficiale del Ministero dell'economia, che rinvia semplicemente agli atti ispettivi dalla Banca d'Italia senza aver preliminarmente esaminato in modo analitico il contenuto di ipotetiche irregolarità svolte dalla banca stessa. Quindi noi chiediamo Pag. 3che venga fatta chiarezza su queste cose e ovviamente che il Governo ci spieghi che cos’è accaduto, come intende agire nei prossimi tempi e quali sono gli elementi di garanzia che non riguardano solo la Banca di Spoleto ma, più in generale, le prassi adottate nel rapporto con la Banca d'Italia per le situazioni di difficoltà degli istituti di credito.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Grazie, Presidente. Al riguardo, sentita in proposito la Banca d'Italia, si fa presente che la Banca Popolare di Spoleto è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze l'8 febbraio 2013, su proposta della Banca d'Italia, per gravi irregolarità nell'amministrazione e gravi perdite, ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo n. 385 del 1993, il Testo unico bancario. In pari data è stata disposta la sottoposizione ad amministrazione straordinaria anche per la controllante, Spoleto Credito e Servizi società cooperativa, per gravi perdite, sempre ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), in base all'articolo 98, comma 2, lettera b), e 105 del citato decreto legislativo n. 385 del 1993, essendo stata accertata la sussistenza di un gruppo bancario di fatto diretto dalla medesima cooperativa, che svolgeva attività di direzione e coordinamento nei confronti della banca controllata. Gli accertamenti ispettivi di vigilanza svolti su entrambi gli intermediari nel secondo semestre 2012 avevano messo in luce l'esistenza di una situazione di ingovernabilità, attestata dall'aspra contrapposizione creatasi tra la controllante, Spoleto Credito e Servizi società cooperativa (51 per cento), e l'altro socio di riferimento, Banca Monte Paschi di Siena (26 per cento), nonché dall'accesa conflittualità negli organi aziendali. Terminata la fase di accertamento sulla Banca Popolare di Spoleto, il complessivo fabbisogno patrimoniale della banca è stato quantificato dagli organi straordinari in almeno euro 130 milioni. In tale contesto, con la consulenza di un advisor era stata avviata la ricerca di idonee controparti interessate ad un intervento. Sono pervenute alla procedura due offerte formali da parte del Banco Desio della Brianza e della cordata di imprenditori Clitumnus. La soluzione prescelta dai commissari, con il benestare della Banca d'Italia, è stata quella basata sull'operazione prospettata da Desio. Per consentire la definizione della soluzione della crisi aziendale e in particolare per attuare l'aumento di capitale di Banca di Spoleto, la procedura di amministrazione straordinaria è stata prorogata anche per la controllante Spoleto Servizi, con i decreti del Ministero dell'economia e delle finanze del 30 gennaio 2014, nei termini massimi consentiti dal Testo unico bancario. Al fine di realizzare il piano predisposto dei commissari, il 17 giugno 2014 l'assemblea della Banca di Spoleto, autorizzata dalla Banca d'Italia, ha deliberato un aumento di capitale sociale per 140 milioni di euro riservato al Banco Desio, che è stato integralmente sottoscritto dall'intermediario della Brianza. Il 31 luglio 2014, previa nomina dei nuovi organi, l'azienda è stata riconsegnata alla gestione ordinaria. La procedura relativa alla controllante Spoleto Crediti e Servizi società cooperativa, la cui quota in Banca Popolare di Spoleto è risultata diluita per effetto del citato aumento di capitale, si è chiusa l'11 ottobre 2014, con la restituzione alla gestione ordinaria dell'intermediario, previa nomina dei nuovi organi aziendali. Con due autonome sentenze, n. 657 del 9 febbraio 2015 e n. 966 del 26 febbraio del 2015, il Consiglio di Stato ha annullato i decreti nn. 16 e 17 del 2013, con i quali erano state poste in amministrazione straordinaria Banca Popolare di Spoleto e la controllante Spoleto Servizi.
In particolare, l'annullamento ha riguardato i soli decreti ministeriali relativi alle due procedure.Pag. 4
La pronunzia affronta solo incidentalmente i correlati atti della Banca d'Italia in base ai quali il Ministro aveva dato avvio alla procedura, nonché la valutazione negativa espressa dalla medesima Banca d'Italia ex articolo 56 del Testo unico in ordine all'aumento di capitale che era stato ipotizzato dalla Banca Popolare di Spoleto prima del commissariamento. La valutazione negativa su tale aumento di capitale è stata motivata dalla circostanza che la componente azionaria di tale rafforzamento patrimoniale ammontava nell'immediato a soli 30 milioni; erano in corso accertamenti ispettivi di vigilanza sull'intermediario volti proprio ad individuare l'esatto fabbisogno patrimoniale dell'azienda, risultato successivamente molto più elevato.
Alla luce delle pronunce del giudice amministrativo e dell'esigenza di evitare qualsiasi incertezza in ordine alla stabilità dei rapporti medio tempore sorti e perseguiti, la Banca d'Italia ha reiterato ora per allora le proposte del Ministero dell'economia e delle finanze di amministrazione straordinaria della Banca Popolare di Spoleto e della Spoleto Crediti e Servizi; in particolare, con i provvedimenti nn. 149 e 150 del 20 aprile 2015, adottati su proposta dell'istituto, il Ministro dell'economia e delle finanze ha reiterato i decreti ministeriali di emissione straordinaria nei confronti dei citati intermediari, con effetto a partire dall'8 febbraio 2013. Si precisa che i citati provvedimenti confermano integralmente gli atti alla base delle procedure a suo tempo avviate.

PRESIDENTE. L'onorevole Alberto Giorgetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Brunetta ed altri n. 2-01187.

ALBERTO GIORGETTI. Presidente, ringrazio ovviamente il sottosegretario Baretta, che ci ha comunque portato queste comunicazioni in Aula; non posso e non possiamo assolutamente considerarci soddisfatti per questa risposta, che ci sembra una risposta che ci dà pochi elementi dal punto di vista della trasparenza, che non risolve le questioni che sono state poste dalla magistratura in merito alle procedure che hanno portato al commissariamento dell'istituto, e quindi alle scelte del febbraio 2013.
Non ci convince questa – se mi permetterà, sottosegretario Baretta – ulteriore valutazione relativa alla proroga dei commissariamenti, quindi gli ulteriori provvedimenti del Ministero dell'economia e delle finanze, su indicazione del Banco Desio, che evidentemente risentono di un vizio all'origine. Il vizio all'origine è legato alle motivazioni che hanno portato al primo commissariamento, che è la causa dei problemi connessi poi alla gestione aziendale. Non c’è una chiarezza, se non un passaggio relativo molto ridotto, relativamente alla valutazione progressiva che ha portato alla definizione di irregolarità e gravi perdite in capo all'istituto, che avrebbero quindi determinato le motivazioni per i successivi provvedimenti di richiesta di commissariamento, laddove proprio nel 2012 un'iniziativa che portava ad un aumento di capitale di 30 milioni di euro, adottata dagli stessi organi all'epoca regolarmente insediati nella Banca Popolare di Spoleto, è stata di fatto congelata; determinando quindi una serie di problemi dal punto di vista operativo, che hanno portato a valle al disimpegno del Monte Paschi di Siena, con poi i fatti che sono stati ricordati dal sottosegretario Baretta.
A nostro modo di vedere, quindi, in quella prima fase ci sono degli elementi che hanno dei vizi di fondo di valutazione, che risentono a nostro avviso di una discrezionalità eccessiva: una discrezionalità eccessiva che è stata poi riconosciuta in una serie di atti da parte della magistratura, che hanno portato anche alla notizia di iscrizione nel registro degli indagati presso la procura di Spoleto di Ignazio Visco; e quindi più in generale di una condotta che è stata giudicata al momento, per quelli che sono gli elementi alla nostra attenzione e la documentazione della magistratura, di dubbia terzietà rispetto Pag. 5a quella che è stata la vita della Banca Popolare di Spoleto e i passaggi successivi.
Ma vorrei anche dire al sottosegretario Baretta che, a proposito di questo argomento della vicenda della Banca Popolare di Spoleto, che vedrà, ad un certo punto, anche un'ulteriore pronuncia da parte del Consiglio di Stato rispetto a questa reiterazione di commissariamento – che, per quello che ha lui raccontato, avviene su indicazione anche del Banco Desio, degli attuali assetti, degli attuali organi –, noi riteniamo che ci sia un problema di fondo connesso a come si vogliono gestire le problematiche degli istituti di credito.
Per quello che riguarda gli scenari futuri, abbiamo vissuto un decreto-legge appena varato dal Governo, di cui abbiamo notizia voler essere inserito all'interno della legge di stabilità con un emendamento specifico: il che dimostra la debolezza in questo momento dell'atteggiamento governativo rispetto a problemi che sono pesantissimi per il territorio, e che non possono vedere adottate politiche e misure diverse caso per caso. Noi abbiamo l'impressione (speriamo di sbagliarci) che in questo momento da parte del Governo ci sia un'iniziativa che punta ad adottare alcune soluzioni per alcune banche, altre soluzioni senza avere elementi oggettivi – lo dimostra anche questo pronunciamento del Consiglio di Stato, della magistratura, sulla vicenda della Banca Popolare di Spoleto – iniziative che sembrano non avere invece un percorso autonomo della cosiddetta attività di autoregolamentazione da parte della vigilanza della Banca d'Italia, nel rapporto col Ministero dell'economia e delle finanze.
Allora, in taluni casi c’è la necessità dell'intervento, in talaltri no ! Ebbene, queste dinamiche ci preoccupano per il futuro, perché dietro queste nostre valutazioni abbiamo poi dei territori, dei sistemi economici, sociali, familiari dei risparmiatori che vengono o meno colpiti, che riescono o meno a superare delle crisi che riguardano poi l'occupazione, riguardano la vita delle imprese e la vita delle famiglie, riguardano la ricchezza dei singoli e delle famiglie.
Sono quindi evidentemente questioni che il Governo deve affrontare, io credo, con minore discrezionalità, maggiore lucidità e maggiore trasparenza. Non c’è stata trasparenza nella gestione delle vicende legate alla Banca Popolare di Spoleto: lo dimostra il fatto che pochi elementi sono stati portati per ricostruire le valutazioni del patrimonio di questa banca, che sono ricostruzioni che stanno nei rapporti tra la Banca d'Italia e il Ministero dell'economia e delle finanze, ma che non sono oggi in nostra disponibilità. Noi chiediamo che su questo ci sia maggiore trasparenza, meno discrezionalità, meno legame a valutazioni di ordine più politico o di solidarietà rispetto alla Banca d'Italia, perché riteniamo che ci sia una priorità fondamentale che riguarda invece oggi i territori, la tenuta del credito, immaginare una garanzia vera per i risparmiatori, per i loro portafogli e per la loro capacità di acquisto nel tempo.

(Iniziative urgenti volte a contrastare la vendita delle armi e i finanziamenti a Daesh e ad organizzazioni terroristiche che operano in ambito internazionale – n. 2-01188)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Scotto ed altri n. 2-01188, concernente iniziative urgenti volte a contrastare la vendita delle armi e i finanziamenti a Daesh e ad organizzazioni terroristiche che operano in ambito internazionale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Scotto se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ARTURO SCOTTO. Signor Presidente, qualche giorno fa Il Sole 24 Ore ha pubblicato un'inchiesta molto approfondita e molto interessante, stranamente non ripresa da nessun altro quotidiano e da nessun altro organo di informazione del Pag. 6nostro Paese, che raccontava, in un periodo di tempo abbastanza limitato, ma che in qualche modo è il periodo in cui il Daesh acquisisce forza, consenso e comincia ad occupare uno spazio territoriale paragonabile alla Gran Bretagna, raccontava di rapporti opachi, operazioni di vendita di armi tracciate, che coinvolgevano alcuni Paesi fortemente legati a questa parte di mondo, all'Occidente: il Qatar e la Turchia. Ed anche di questi voli, che avevano come obiettivo principale attraverso un percorso abbastanza inusuale, passando via Tripoli o via Bengasi, voli del Qatar che arrivavano poi in Turchia, prendevano l'autostrada cosiddetta della jihad e arrivavano dritti dritti ad armare il califfato.
Questi voli C-17 sarebbero voli che avrebbero avuto speciali salvacondotti politico-diplomatici, facendo scalo sistematicamente nella base di Al Udeid, quartier generale avanzato – così dicono gli americani – delle Forze militari statunitensi in Medioriente (il 379 stormo militare degli Stati Uniti d'America in quell'area) e anche delle Forze della RAF inglesi. Questo traffico, che ovviamente passava attraverso questi velivoli qatarini, aveva come società responsabile della pianificazione dei voli la Jeppesen, controllata di Boeing, un colosso che deve il 30 per cento del proprio fatturato al Pentagono.
Ora pare che, dagli articoli che abbiamo potuto leggere – e la stessa inchiesta de Il Sole 24 Ore si richiama a numerose inchieste pubblicate sul New York Times un anno fa – si capisce che c’è una qualche responsabilità anche dei servizi dell’intelligence americana nell'aver dato copertura a questi voli, che poi avrebbero avuto come obiettivo principale quello di armare il Daesh, probabilmente in una prima fase in funzione anti Assad e, successivamente, però sostanzialmente, come per un'eterogenesi dei fini, avrebbero contribuito a determinare il rafforzamento del Daesh.
Noi chiediamo alcune cose molto precise al Governo. Innanzitutto, se non sia arrivata l'ora di produrre un embargo delle armi in quell'area perché, quando parliamo di lotta al terrorismo, oltre a una soluzione militare che rischia di determinare – come ha detto giustamente il nostro Presidente del Consiglio –, una sorta di Libia-bis, probabilmente il tema sarebbe quello di interrompere i flussi di armi verso quell'area, di produrre una sorta di embargo, di isolare le organizzazioni jihadiste, di mettere di fronte alle proprie responsabilità il Qatar e la Turchia e, contemporaneamente, di chiedere anche spiegazioni ai nostri alleati degli Stati Uniti d'America, che avrebbero qualche responsabilità probabilmente nella fase di gestazione di questo mostro che tutti vogliamo combattere e che si chiama Daesh.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, ha facoltà di rispondere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Onorevole Scotto, vorrei innanzitutto ricordare, in merito alla questione della vendita delle armi, che il Governo rispetta, oltre, ovviamente, alla normativa nazionale, anche le regole dell'Unione europea e quelle internazionali e, nello specifico, nel rilascio delle autorizzazioni, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale applica rigorosamente gli otto criteri sanciti dalla posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio europeo dell'8 dicembre 2008: «norme comuni per il controllo dell'esportazione di tecnologia e attrezzature militari».
Tali criteri prevedono una serie di valutazioni in merito alla situazione interna regionale dei Paesi verso i quali le operazioni devono essere condotte, tra le quali l'eventuale impatto dell'esportazione e dei transiti di tecnologia e delle attrezzature militari da esportare sugli stessi Paesi destinatari e sulle regioni circostanti, l'utilizzo finale del materiale, l'eventuale rischio di sviamento o cessioni a terzi dello stesso e il rispetto della pace internazionale Pag. 7e dei diritti umani da parte dei Governi destinatari.
Il Governo, inoltre, rispetta scrupolosamente gli embarghi e le altre misure internazionali di carattere restrittivo adottate a livello internazionale.
In merito alla lotta al terrorismo internazionale richiamata ampiamente dagli onorevoli interpellanti – com’è noto – il nostro Paese è da tempo impegnato in prima linea nel contrasto al Daesh, come ricordato di recente in Parlamento dal Ministro Gentiloni.
Nell'ambito della coalizione internazionale anti-ISIS e della cooperazione rafforzata small group creata tra i Paesi più attivi nel contrasto al Daesh, l'Italia copresiede, insieme a Stati Uniti e Arabia Saudita, il Counter-Isil Finance Group. Tale gruppo ha come obiettivo l'elaborazione e l'adozione di misure concrete per drenare le fonti di reddito di Daesh, comprometterne la capacità di trasferire e ricevere fondi e, più in generale, minarne la sostenibilità economica.
Nel corso della sua prima riunione, ospitata presso la Farnesina a Roma, il 19 e il 20 marzo scorsi, è stato adottato un piano d'azione che individua le fonti di finanziamento dell'ISIS e stabilisce le azioni da intraprendere per precludere all'organizzazione terroristica l'accesso a tali canali. Il gruppo di lavoro, che è composto da 28 Paesi e da quattro istituzioni multilaterali (Unione europea, Gulf Cooperation council, il Gruppo d'azione finanziaria internazionale e l'Egmont Group) può contare sull'apporto di partner mediorientali e del Golfo, oltre a Turchia e Qatar. Partecipano attivamente ai lavori del Counter-Isil Finance Group anche Bahrain, Iraq, Giordania Kuwait, Libano ed Emirati Arabi Uniti. Il coinvolgimento diretto di tali Paesi, oltre a costituire un elemento importante per conferire efficacia all'azione di contrasto dei flussi finanziari a favore di Daesh o dei suoi affiliati, rappresenta un utile strumento per favorire la convergenza delle rispettive legislazioni verso i più alti standard internazionali in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento del terrorismo.
Quanto poi al fenomeno dei foreign terrorist fighters, le iniziative dirette a contrastarlo sono direttamente seguite dalla stessa coalizione anti-ISIS, nell'ambito di un apposito gruppo di lavoro coordinato da Paesi Bassi e Turchia e di cui fa parte anche il Qatar, che ha approvato un piano d'azione nel quale sono indicate le misure da intraprendere per arginare il fenomeno.
Tra queste, vengono enfatizzate l'esauriente scambio di informazioni a livello di intelligence, su cui è necessario intensificare ogni utile azione volta a rafforzare i livelli di coordinamento a livello europeo, l'effettiva applicazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 2178 del 2014 e l'urgenza di porre in essere misure di capacity building in favore dei Paesi meno avanzati, finalizzate a contrastare tale fenomeno.
Non dobbiamo poi dimenticare che i Paesi frontalieri della Siria, inclusa la Turchia, stanno compiendo sforzi per migliorare il controllo delle proprie frontiere, al fine di impedire i flussi di combattenti stranieri. Uno degli obiettivi attualmente perseguiti da americani e turchi è proprio quello di ripulire dalla presenza di Daesh la parte rimanente di frontiera siro-turca ancora sotto il controllo dell'ISIS. Ciò avrebbe senza dubbio un impatto molto forte sui traffici dei movimenti dei foreign terrorist fighters attraverso la frontiera stessa.
In tale contesto, l'Italia ha attivamente promosso una maggiore efficienza nello scambio di informazioni, in particolare nel quadro europeo. In ambito ONU, il nostro Paese si è prontamente attivato per garantire la piena attuazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2178 del 2014 sui foreign terrorist fighters, con il decreto antiterrorismo e missioni internazionali del febbraio scorso.
Da ultimo, i tragici fatti di Parigi ci ricordano che dobbiamo continuare ad intensificare la nostra risposta a questa minaccia. Il Governo lo sta facendo in modo continuato – proprio oggi il Ministro Alfano è impegnato con i suoi omologhi europei a Bruxelles in un consiglio Pag. 8che sarà dedicato al tema della lotta al terrorismo – con il contributo importante del Parlamento, in particolare in questo momento della Camera, dove è in corso l'esame, nelle Commissioni affari esteri e giustizia, di un importante disegno di legge che ratifica cinque accordi sui vari aspetti della lotta al terrorismo, incluso il contrasto al fenomeno dei foreign fighters.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo statale «Alberto Sordi», di Roma, che seguono i nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Il presidente Scotto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ARTURO SCOTTO. Grazie, signor Presidente. Non possiamo ritenerci soddisfatti, non perché non vediamo l'azione del Governo e non perché non condividiamo – lo abbiamo detto in tutte le salse in questi giorni – il tentativo di produrre uno sforzo di responsabilità da parte di tutte le forze politiche in questa fase drammatica che vive l'Europa e che vive il mondo di fronte alla minaccia terroristica e alla necessità di debellare il terrorismo e di annientare il Daesh.
Non possiamo mettere da parte la storia anche perché la storia si fa in queste ore e l'insoddisfazione rispetto a questa risposta del sottosegretario Della Vedova sta innanzitutto in un giudizio che andrebbe espresso rispetto alle responsabilità di Paesi come la Turchia e il Qatar nella costruzione, probabilmente in funzione antisciita e in funzione di espansione verso quell'area, delle basi su cui poi il Daesh è fiorito, ha costruito consensi e forza e ha avuto la capacità di esportare internazionalmente il terrorismo. La dico così, è del tutto evidente che l'Italia rispetta la 185 e le convenzioni che ha citato il sottosegretario Della Vedova, tuttavia noi con la Turchia e con il Qatar, che secondo le cose che sono scritte qui e che sono frutto di relazioni delle Nazioni Unite, sono Paesi che hanno avuto qualche responsabilità nell'armare il Daesh. Allora il tema è: perché noi parliamo di embargo, perché noi parliamo di disarmare il Medioriente ? Probabilmente dovremmo cominciare a riflettere in maniera un po’ più seria rispetto ai flussi di armi che arrivano su quelle aree, in Paesi che sono nostri alleati, con cui abbiamo un'interlocuzione e con cui abbiamo rapporti commerciali abbastanza solidi e che però evidentemente sul piano democratico e sul piano della politica estera non hanno quell'affidabilità che noi auspicheremmo. Questo non significa che il Qatar, la Turchia, l'Arabia Saudita ed altri Paesi che hanno fiancheggiato l'Isis direttamente o indirettamente non debbano essere coinvolti all'interno di una coalizione che deve provare a vincere contro il Daesh, ma questo va fatto nella chiarezza, perché altrimenti i rischi che nella lotta al terrorismo si determini una sorta di tela di Penelope, dove qualcuno la tesse la mattina e qualcun'altro la scuce la sera sono molto forti e quindi io penso che il Governo italiano dovrebbe esigere maggiore chiarezza e dovrebbe esigerla anche dai nostri alleati storici. In queste ore si è consumata una tragedia enorme negli Stati Uniti d'America, non si conosce ancora del tutto – lo ha detto lo stesso Presidente Barack Obama – la matrice degli attacchi a San Bernardino a Los Angeles, ma noi dovremmo chiedere con maggiore forza spiegazioni ai nostri alleati statunitensi, proprio perché sono i nostri principali alleati e proprio perché sappiamo che con loro possiamo costruire le ricette e le soluzioni per battere il Daesh. Infine, io la voglio dire così, l'ha detto Romano Prodi con molta efficacia: il Daesh si alimenta attraverso i flussi finanziari, attraverso le rimesse di alcune famiglie all'interno degli Emirati, si alimenta attraverso il traffico d'armi, si alimenta anche attraverso il traffico di petrolio. L'OPEC stesso riconosce che ogni giorno il califfato produce circa 400.000 barili di petrolio, quei barili da qualche parte arrivano e probabilmente arrivano proprio in quei Paesi che stanno «impigliati» nella tela di Penelope. Forse sarebbe il caso di cominciare, più che a bombardare i civili, a bombardare i pozzi Pag. 9di petrolio, perché quelli sono i punti strategici attraverso i quali il califfato continua a stare in piedi.
Se vogliamo fare davvero la guerra al califfato, dobbiamo iniziare da qui.

(Iniziative volte alla revisione della normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento alle responsabilità dei dirigenti scolastici – n. 2-01171)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Gigli n. 2-01171, concernente iniziative volte alla revisione della normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento alle responsabilità dei dirigenti scolastici (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

GIAN LUIGI GIGLI. Signor Presidente, buongiorno al sottosegretario Della Vedova. Questa interpellanza avrebbe dovuto aver luogo già la settimana scorsa ed era stata ritardata su richiesta del Ministero dell'istruzione che aveva segnalato appunto delle difficoltà ad essere presente, per cui io ringrazio oggi lei per essere presente e tuttavia non posso non chiedermi, al di là della sua personale cortesia, come interpretare il fatto che al sottosegretario agli Affari esteri sia stato delegato di rispondere su un tema che riguarda squisitamente la scuola e, al più, la giustizia. Quindi non so se sia perché forse questa vicenda ormai sta assumendo dimensioni internazionali oppure semplicemente piuttosto rammaricarmi per un disinteresse di qualcun altro. Chiusa parentesi che non riguarda ovviamente la sua persona. Si tratta di un caso – quello che voglio segnalare – che ha un carattere emblematico e paradossale, emblematico perché abbiamo a che fare con il primo dirigente scolastico condannato in via definitiva e incarcerato per effetto del Testo unico sulla sicurezza n. 81 del 2008. Paradossale perché, come è evidente, esso mostra tutta l'inconsistenza di una normativa di fatto inapplicabile e costruita verosimilmente solo per assegnare delle responsabilità più o meno fittizie in un processo che alla fine diventa uno scaricabarili, dove l'ultimo rimane con il cerino acceso. Vale la pena quindi ricostruire brevemente questa vicenda che non può non partire dallo stato di degrado dal punto di vista edilizio in cui versano molte, non voglio essere esagerato, forse vorrei dire la gran parte delle nostre istituzioni scolastiche, tant’è che lo stesso Governo se ne è fatto carico fin dal discorso di insediamento del Presidente del Consiglio Renzi e speriamo che possano essere fatti consistenti passi in avanti. A questo stato di degrado delle scuole corrisponde una normativa che si è andata sviluppando nel corso degli anni e che riguarda il tema più generale della sicurezza negli edifici pubblici, nei luoghi della pubblica amministrazione, un'attenzione che risale già agli anni Novanta e che si è tradotta in importanti provvedimenti, uno per tutti il decreto legislativo n. 626, che ormai fa parte della storia di questo Paese positivamente e che ha messo in capo alcune responsabilità precise. Io stesso con la mia persona le ho vissute nella mia attività di medico all'interno degli ospedali, le responsabilità che vanno dall'identificazione di precisi mandati in capo al primario piuttosto che alla caposala su determinati tipi di operazioni fino all'esercitazione antincendio, alla costruzione di scale di emergenza e quant'altro. Bene, questo ha riguardato ovviamente anche la scuola. Dal decreto legislativo n. 626 siamo poi arrivati al Testo unico n. 81 del 2008 ma in mezzo c’è stato un decreto del Ministro dell'istruzione, il decreto n. 382 del 1998, con il quale il datore di lavoro – e quindi le responsabilità che gravano in capo al datore di lavoro – è stato identificato nel dirigente scolastico. È come se il dirigente scolastico si assumesse a quel punto tutti gli oneri che derivano in capo alla proprietà, è come se la responsabilità Pag. 10di chi è proprietario dell'immobile – cioè lo Stato – e quella di chi lo gestisce – cioè il dirigente scolastico – finissero per riassumersi e identificarsi in una stessa persona.
In capo al dirigente scolastico sono stati messi gli obblighi previsti dall'articolo 18 del Testo unico n. 81 del 2008, relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso alla scuola.
Ora, è evidente che c’è un forte divario tra la responsabilità che grava in capo al dirigente scolastico e la effettiva praticabilità degli interventi che gli vengono richiesti, non foss'altro perché il dirigente scolastico non ha reale possibilità di esercitare un controllo sulle risorse per poter effettuare gli interventi stessi. Fin qui lo scenario generale; nello specifico poi della persona condannata, che cosa è accaduto ? È accaduto che c’è stata la triste vicenda del terremoto del 6 aprile del 2009 a L'Aquila, che causò la morte di oltre 300 persone e in quella tragica vicenda accadde anche il crollo della Casa dello studente di L'Aquila, crollo nel quale morirono purtroppo tre giovani studenti, tre giovani vite andarono perse. Si trattava di un edificio assolutamente datato dal punto di vista strutturale.
Come dicevo prima, con la politica del cerino che rimane in mano accesso all'ultimo che lo ha avuto da gestire, la ricerca del responsabile finì per trovare quello che, secondo me, è un capro espiatorio nella persona del professor Livio Bearzi, il quale ha subìto tutti i gradi di processo fino ad arrivare a sentenza definitiva ed è stato infine incarcerato nel carcere di Udine, in via Spalato. Ora questa persona si trova a pagare per una vicenda che al di là del caso specifico, sul quale poi vorrei intervenire un attimo per gli aspetti personali in replica, ha però delle dimensioni e delle ricadute di natura generale, perché, signor sottosegretario, lei comprende benissimo come di fronte al pericolo, a un pericolo anche parzialmente annunciato, come può essere quello delle piccole scosse che precedono un sisma più grande, o quello di un'allerta meteo che riguarda possibili alluvioni, che magari poi non si verificano, un responsabile di fronte a queste cose può avere un duplice atteggiamento. Può avere l'atteggiamento di chi frena l'allarme, ma può avere anche l'atteggiamento di chi l'allarme lo amplifica e se passa il principio che la responsabilità per una struttura magari obsoleta di proprietà dello Stato è solo ed esclusivamente di chi in quel momento la dirige, è chiaro che questi due tipi di reazioni molto verosimilmente finiranno per essere poi convogliate in un'unica reazione che è quella dell'eccessivo allarme, magari addirittura del procurato allarme. È come se un giorno, di fronte a una possibile alluvione, noi chiudiamo tutto quanto oppure di fronte al pericolo di un terremoto noi chiudiamo tutto quanto. È evidente che la paralisi dei servizi pubblici che potrebbe derivarne è estremamente grave, soprattutto se poi non si verifica nulla, perché se ci fosse l'evento – ahimè – nefasto, è chiaro che tutti direbbero è stato bravissimo quel dirigente, ma se poi l'evento, per fortuna, avesse a non verificarsi, è chiaro che tutti griderebbero all'assurdo, all'esagerazione che è stata messa in piedi da quello stesso dirigente.
Allora, io credo che su questo punto noi qualche cosa dobbiamo fare per rivedere una normativa che, lo ripeto, abbia a separare le responsabilità di chi gestisce, che possono anche essere grandi, non lo erano nel caso specifico, dalle responsabilità della proprietà e di chi, soprattutto, mette a disposizione le risorse per gli eventuali interventi correttivi sulla struttura soprattutto in termini di manutenzione ed efficientamento della stessa.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Benedetto Della Vedova, ha facoltà di rispondere.

BENEDETTO DELLA VEDOVA, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale.Pag. 11Grazie, signor Presidente. Onorevole interpellante, onorevole Gigli, in riferimento alla questione posta circa la normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento, che lei ha testé bene argomentato, alla responsabilità dei dirigenti, appare opportuno preliminarmente ricostruire il quadro normativo di riferimento.
Come esposto dall'interpellante, la questione della responsabilità legata agli aspetti di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro era già disciplinata dal decreto legislativo n. 626 del 1994, riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, all'articolo 4, comma 12, rubricato proprio «Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e preposto».
Tale disposizione è stata interamente trasfusa nel vigente articolo 18, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2008, cosiddetto Testo unico sicurezza sul lavoro, rubricato «Obblighi del datore di lavoro e del dirigente». Il citato comma dispone: «Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico».
Stante quanto previsto dal citato comma, la normativa vigente impone obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per garantire la sicurezza delle scuole in capo all'amministrazione proprietaria. Nel caso di specie, si tratta, infatti, degli enti locali (comune, provincia, enti di area vasta o città metropolitana) proprietari degli stessi edifici scolastici.
Allo stesso tempo, la medesima disposizione normativa di cui sopra prevede che gli obblighi previsti in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro siano individuati in capo ai datori di lavoro e, quindi, nel caso in questione, in capo ai dirigenti scolastici. Gli stessi dirigenti si considerano affrancati dai suddetti obblighi con la richiesta di intervento avanzata alle amministrazioni proprietarie degli edifici. Pertanto, secondo le vigenti disposizioni si configura in capo al dirigente scolastico, in quanto appunto datore di lavoro, una responsabilità relativa al rispetto della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, ma contestualmente lo stesso dirigente scolastico può esimersi da responsabilità segnalando le criticità agli enti proprietari ogni qualvolta ne ravvisi la necessità.
Posto ciò, è evidente che l'unica strada possibile per alleviare le responsabilità legate alla figura del dirigente scolastico è quella di una modifica normativa. Il dirigente scolastico, quale datore di lavoro, anche in riferimento ai contenuti di cui all'articolo 2087 del codice civile (tutela delle condizioni di lavoro) e all'autonomia scolastica, considerato anche il fatto che non può essere presente in ogni luogo ed in ogni tempo, per poter svolgere correttamente e concretamente le sue funzioni, ha la necessità di dover ben impostare la propria struttura lavorativa mettendo in luce gli aspetti organizzativi e gestionali in modo tale che risultino chiaramente identificati i compiti, le funzioni e le responsabilità di ogni singolo prestatore di lavoro subordinato così come identificati dagli articoli 2094 e 2095 del codice civile.
Una proposta, oggetto di riflessione interna al MIUR, da valutare comunque in raccordo con le altre amministrazioni interessate, è quella secondo cui potrebbe prevedersi di limitare gli obblighi attualmente insistenti in capo al dirigente scolastico, quale datore di lavoro, alle sole aree e spazi che gestisce direttamente. Gli Pag. 12altri spazi, come ad esempio, i locali tecnici, i sottotetti non utilizzati e i tetti, potrebbero essere individuati quali luoghi di esclusiva competenza e accesso (e quindi responsabilità) dell'ente locale proprietario. Stesso discorso potrebbe farsi, inoltre, anche con riferimento ai locali adibiti a cucine, mense o bar che, di conseguenza, potrebbero essere individuati quali luoghi per i quali gli obblighi e la responsabilità sono riconosciuti, ad esempio, in capo al titolare della ditta alla quale è affidato il servizio di ristorazione, mensa o bar.
Si evidenzia che, proprio al fine di ridurre i rischi connessi al deterioramento e alla scarsa manutenzione degli edifici e, di conseguenza, i rischi dei dirigenti scolastici di incorrere in responsabilità per l'eventuale mancata o insufficiente segnalazione delle criticità agli enti proprietari ogni qualvolta se ne ravvisi la necessità, il Governo ha investito ingenti risorse negli ultimi due anni per la messa in sicurezza e riqualificazione del patrimonio edilizio scolastico.
Sono stati infatti stanziati circa 4 miliardi di euro, destinati a finanziare numerosi interventi su tutto il territorio nazionale, anche attraverso la recente legge n. 107 del 2015. In conclusione, tra le ulteriori iniziative nuove e rilevanti in materia, si evidenzia, inoltre, che il 7 agosto scorso è stata finalmente resa pubblica l'anagrafe dell'edilizia scolastica quale strumento utile per conoscere l'attuale stato di salute degli edifici scolastici. Il portale è accessibile da parte di tutti gli interessati e tramite l'inserimento del solo codice meccanografico della scuola è possibile ricavare tutte le informazioni al riguardo.

PRESIDENTE. L'onorevole Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

GIAN LUIGI GIGLI. Intanto, signor sottosegretario, io la ringrazio per quello che ci ha detto, nel senso che mi sembra si incominci a delineare un percorso quantomeno per uscire da queste vicende che, ripeto, vanno anche al di là poi della scuola. Le citavo non a caso la vicenda degli ospedali. Mi consenta una piccola chiosa di carattere personale: io stesso per anni ho sottolineato la mancanza di climatizzatori in un reparto ospedaliero che dirigevo, per la quale non è stato fatto niente. Si sono create condizioni da effetto serra proprio in questo reparto in alcune giornate particolari, magari cinque all'anno nel corso dell'estate, e c'era di mezzo la salute di persone che stavano lì certamente perché erano già ammalate. Lei capisce che se si fosse prodotto il morto in quelle circostanze, io credo che sarebbe stato molto difficile per il sanitario, pur avendo segnalato all'amministrazione il fatto che non c'era la climatizzazione, uscire da questa vicenda in maniera del tutto indenne. Quindi, è un problema grande e grave che riguarda soprattutto appunto chi sta a servizio poi dello Stato e delle istituzioni. Quindi, grazie per questo approccio, per questo percorso che, insomma, si incomincia quantomeno a delineare.
Io vorrei aggiungere però due cose, come dicevo all'inizio. La prima riguarda l'uomo, il dottor Bearzi. Io sono stato a visitarlo in carcere il 14 novembre scorso e mi si è confermata la fama che quest'uomo godeva nella nostra regione. Lui era andato a L'Aquila da poco tempo in quanto aveva sempre lavorato in Friuli. Un uomo appassionato della scuola; un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita alla scuola; un uomo che lì non aveva certamente sottovalutato il pericolo per disprezzo delle persone che gli erano affidate, tant’è che nella notte del terremoto lui stesso aveva dormito lì e i suoi figli, che erano andati a trovarlo da Cividale, avevano dormito nel suo alloggio di servizio all'interno di questa Casa dello studente, riuscendo per fortuna a salvarsi. Quest'uomo ha affrontato con grande dignità il percorso processuale e sta affrontando con grandissima dignità il carcere. Non ha risentimenti, non ha odi ed è arrivato al punto di dirmi: io ringrazio la Provvidenza perché sono un Pag. 13sopravvissuto intanto. Sono un sopravvissuto di fronte a quello che, appunto, è accaduto.
Allora, io credo che noi due cose dobbiamo fare e termino. La prima, rispetto a quello che lei ci ha detto, vorrei che il Governo si impegnasse per una corsia preferenziale su questi provvedimenti, cioè che desse la dovuta attenzione in termini di urgenza appunto ai provvedimenti che lei ci ha segnalato. Vorrei che questo lei lo richiamasse ovviamente a chi di dovere. Non è certamente competenza del suo Ministero. Però, appunto, dovrebbe essere sensibilità generale del Governo nel capire che va fatto qualche cosa per evitare poi che i dirigenti scolastici o di altri servizi pubblici possano fuggire dalle loro responsabilità di fronte alla prospettiva di una condanna. La seconda cosa e le chiedo anche questa, perché lei se ne faccia portavoce presso il Ministro della giustizia magari. A livello locale tutte le istituzioni si sono attivate in favore di quest'uomo, per la personalità soprattutto che aveva, per l'evidente carico di sofferenze che gli si è aggiunto sopra per una normativa che probabilmente era appunto sproporzionata, come abbiamo cercato di dire.
Si sono mossi i colleghi, si sono mossi i sindacati, si sono mosse le associazioni di categoria. Ho letto sul giornale di questa mattina che la stessa presidente della regione, nonché vicesegretario del partito di maggioranza relativa, ha fatto un pronunciamento ufficiale in favore della grazia. Io lo faccio ugualmente qui da questa sede del Parlamento chiedendo a lei di rendersi parte proattiva rispetto al Ministro della giustizia perché l'iter della grazia, che è un istituto ovviamente sovrano del Presidente della Repubblica, possa attivarsi nei tempi più rapidi e perché quest'uomo non abbia a marcire per quattro anni all'interno di un carcere, ma possa al più presto ritornare negli affetti della sua famiglia e anche possibilmente al servizio della scuola, rispetto alla quale sono convinto che ha ancora energie ed idee da offrire.

(Chiarimenti e iniziative in relazione ad un'operazione volta allo sgombero e al sequestro di uno stabile a Bologna, che ha visto coinvolte famiglie con minori – n. 2-01143)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zampa ed altri n. 2-01143, concernente chiarimenti e iniziative in relazione ad un'operazione volta allo sgombero e al sequestro di uno stabile a Bologna, che ha visto coinvolte famiglie con minori (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Zampa se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SANDRA ZAMPA. Grazie Presidente, grazie al sottosegretario Bocci. I fatti a cui si riferisce l'interpellanza urgente sono avvenuti il 15 ottobre quando la questura di Bologna ha dato esecuzione a un provvedimento della procura di sequestro di uno stabile, un condominio, sfitto e disabitato, di proprietà dell'Istituto Cavazza. Le operazioni di sgombero sono cominciate molto presto, alle ore 7 del mattino e sono cominciate da parte di agenti in tenuta antisommossa. Gli agenti si sono presentati e all'interno di questo edificio, di questo stabile, stavano circa una trentina di persone, meno di trenta persone. Tra questi, cinque bambini di un'età che va dagli otto mesi agli undici anni, che sono stati ovviamente tra virgolette «portati via» dagli agenti. Tensioni e tafferugli hanno accompagnato le operazioni di sgombero come, d'altra parte, è testimoniato dalle fotografie scattate da presenti e da testimoni. Ma, soprattutto, poco dopo si è verificato – e anche questo è testimoniato da dichiarazioni dei vertici dell'amministrazione comunale – che dello sgombero imminente non era stata data nessuna informazione al comune di Bologna. Né il sindaco Virginio Merola, né l'assessore ai servizi sociali Amelia Frascaroli avevano avuto informazione circa l'imminente sgombero. Lo ha detto l'assessore Frascaroli che ha testualmente dichiarato Pag. 14di essere colpita perché appunto ciò era avvenuto senza che ci fosse stata una comunicazione da parte della questura. Anche il prefetto, che in un primo momento era sembrato a sua volta escluso dall'informazione, ha comunque denunciato un disguido comunicativo. Ciò è particolarmente grave, non tanto e non solo perché rompe una tradizione di collaborazione e di solidarietà tra le istituzioni, una collaborazione che ha certamente concorso al buongoverno e all'efficacia dell'azione amministrativa – Bologna è per questo nota, per la sua capacità amministrativa –, ma soprattutto perché non si è rispettata la normativa che riguarda i minori.
Così si è, infatti, impedito, di fatto, alle assistenti sociali ai servizi sociali di potersi prendere carico e cura dei bambini, di poter assistere le loro famiglie, ma soprattutto i bambini, durante lo sgombero ed è stato impossibile attivare immediatamente il cosiddetto PRIS, che altro non è che il pronto servizio sociale a tutela dei minori, previsto dalla normativa.
Voglio ricordare che il sindaco ha chiesto successivamente che non si trasformino i bambini in occupanti e ha riaffermato la necessità di mantenere Bologna nella sua tradizione di città accogliente. Per questo io credo sia necessario verificare, innanzitutto, se era noto che c'erano bambini, ma soprattutto comprendere perché sia accaduto e cosa possa creare – così come, d'altra parte, è avvenuto – un clima di tensione in città, ma anche l'idea presso l'opinione pubblica che le istituzioni non solo non collaborino, ma siano ostili una all'altra o comunque lavorino senza tenere conto che un buon risultato, soprattutto in una crisi così grande, così profonda e in una difficoltà così grave, come quella che accompagna l'azione e il lavoro delle nostre amministrazioni, avvenga senza il concorso, invece, da parte di tutti.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Grazie, Presidente. Con l'interpellanza all'ordine del giorno, l'onorevole Zampa, unitamente ad altri deputati, richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sullo sgombero di uno stabile di proprietà dell'Istituto Cavazza, eseguito a Bologna lo scorso 15 ottobre, come è stato ricordato proprio ora, su disposizione dell'autorità giudiziaria, sottolineando il mancato coinvolgimento dell'amministrazione comunale, soprattutto in relazione alla presenza nello stesso stabile di alcuni minori.
Al riguardo, premetto che la città di Bologna, da più di un anno, è interessata da occupazioni abusive di immobili da parte di movimenti antagonisti, che li utilizzano per svolgere le proprie attività politiche ovvero li destinano ad ospitare persone sfrattate, strumentalizzando in tal modo lo stato di precarietà abitativa che si registra nel capoluogo. La problematica è stata trattata in diverse riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, dedicate sia al fenomeno nel suo complesso che ai singoli casi di occupazione. In tali in riunioni si è addivenuti, d'intesa con gli organismi competenti, alla definizione dei criteri per l'esecuzione dei provvedimenti di sgombero in questione. Si è stabilito di dare priorità alla esecuzione dei provvedimenti di sequestro dell'autorità giudiziaria e, dopo, di tenere conto, quale ulteriore criterio, del carattere socio-politico o abitativo dell'occupazione.
Riguardo a quest'ultimo aspetto, si è convenuto sull'esigenza di una procedura accelerata per gli sgomberi non incidenti su situazioni a carattere abitativo e connotati da un basso numero di occupanti e da favorevoli condizioni di intervento sotto il profilo della logistica, dell'ubicazione e della conformazione dei locali occupati. Per gli sgomberi caratterizzati dalla presenza di famiglie e di minori o da un consistente numero di occupanti, è stata prevista l'adozione di particolari misure e cautele, da concordare di volta in volta con gli enti interessati, segnatamente con Pag. 15i servizi sanitari, i vigili del fuoco, i servizi sociali e la procura presso il tribunale dei minorenni.
Per quanto riguarda specificamente lo sgombero citato dagli interpellanti, rappresento che, nella mattina del 15 ottobre scorso, il personale della questura di Bologna, in servizio di ordine pubblico, si è recato presso via Solferino n. 42. Nella fattispecie, l'intervento di sgombero ha costituito esecuzione di un provvedimento giudiziario di sequestro dell'immobile di proprietà dell'Istituto dei ciechi Cavazza, occupato illegalmente, il 18 febbraio 2015, da parte di attivisti del locale centro sociale TPO Làbas.
Le modalità operative dell'operazione erano state esaminate nel corso di un'apposita riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, durante la quale era emerso, sulla base di informazioni acquisite, che l'occupazione non aveva carattere abitativo e il numero degli occupanti era costituito da poche persone aderenti al centro sociale, ragion per cui si era ritenuto che l'intervento non presentasse particolare difficoltà. Solo all'atto dello sgombero la questura di Bologna ha potuto verificare la presenza di quattro minori, verosimilmente aggregatisi all'occupazione in una fase successiva. Della circostanza sono stati immediatamente informati i servizi sociali del comune, che sono prontamente intervenuti fornendo la necessaria assistenza.
Questa è la ricostruzione dei fatti, che ritengo evidenzi la sostanziale correttezza dell'operato della pubblica autorità e il tempestivo adeguamento della loro azione alle situazioni contingenti. Concludo assicurando che l'autorità provinciale di pubblica sicurezza e le forze di polizia, a Bologna come in tutto il territorio nazionale, continueranno a prestare la massima attenzione a che gli sgomberi degli immobili occupati senza titolo, oltre che improntati a principi di legalità ed efficacia, avvengano nel rispetto della dignità delle persone, tanto più se in condizioni di vulnerabilità.

PRESIDENTE. L'onorevole Zampa ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SANDRA ZAMPA. Grazie, Presidente. Io la ringrazio, signor sottosegretario, purtroppo non mi posso dichiarare soddisfatta di questa risposta. Innanzitutto, segnalo un'incongruenza: se si riteneva che lo sgombero fosse un'azione semplice, perché appunto riguardava poche persone, non si capisce perché ci si sia presentata alle 7 del mattino in tenuta antisommossa. Aggiungo che, tra l'altro, non tenere conto del carattere socio-politico delle occupazioni, come in questo caso, porta poi a questi risultati. Infatti, in realtà le famiglie che occupavano quello stabile sono composte da italiani e stranieri e da gente che ha perso il lavoro e si è trovata rapidamente in una condizione di difficoltà estrema.
Io credo che sia necessario ribadire che occorre maggiore solidarietà e maggiore capacità di collaborazione tra le istituzioni. Segnalo anche che altrove si sono trovate queste condizioni. Roma ne è un esempio: si sono prese decisioni molto diverse, cioè che fino a quando non si trovano soluzioni non si procede a sgomberi di famiglie. Lì non era presente una associazione, ma erano presenti persone che – ribadisco – si sono trovate private della casa. È vero che sono stati avvertiti immediatamente i servizi sociali ed è vero che Bologna è una città molto efficiente nella sua amministrazione e lo ha dimostrato mandando immediatamente gli assistenti sociali.
Naturalmente questo non toglie che l'impatto su questi bambini sia stato certamente molto duro. Io credo che occorra fare di più, perché, come ho detto nell'illustrazione, le amministrazioni siano sostenute e non sia reso ancora più difficile il loro lavoro e la loro azione dalle altre istituzioni. Tutti devono concorrere a un risultato che non produca tensioni e tafferugli e tanto meno produca traumi sui bambini, che sono davvero vittime innocenti, in questo caso due volte: in primo luogo della crisi, perché i bambini non Pag. 16sono occupanti, e poi, proprio perché i bambini non sono occupanti, vittime di chi li sgombera in tenuta antisommossa alle 7 del mattino.

(Chiarimenti in merito alle linee di comando secondo le quali hanno operato le autorità preposte con riguardo alla vicenda della signora Shalabayeva – n. 2-01193)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Manlio Di Stefano n. 2-01193, concernente chiarimenti in merito alle linee di comando secondo le quali hanno operato le autorità preposte con riguardo alla vicenda della signora Shalabayeva (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Di Battista se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ALESSANDRO DI BATTISTA. Grazie, Presidente. Buongiorno, sottosegretario. Forse la più grande sciagura del popolo italiano è la perdita di memoria, la dimenticanza; forse più della corruzione, quello che ci frega è che ci dimentichiamo in fretta quel che succede nel nostro Paese, mentre il valore più grande sarebbe mantenere la memoria e, anche a distanza di due anni, valutare quei casi che hanno poi gettato l'Italia nel discredito internazionale e hanno colpito e minato così tanto la credibilità delle istituzioni, a cominciare dal Ministero dell'interno. Stiamo parlando della vicenda della signora Shalabayeva e di sua figlia. Ricordiamo quel che è successo.
La signora Alma Shalabayeva è moglie del politico e banchiere kazako Ablyazov, tra l'altro accusato in Kazakistan di truffa e bancarotta, dal Governo del Kazakistan, dove, ricordiamo, comanda un presidente dittatore da 25 anni, però lui va bene, mentre altri dittatori non vanno bene. Lui è amico di Prodi, amico dell'ENI, quindi va bene, mentre ad altri dittatori si fa la guerra. Per il MoVimento 5 Stelle, sottosegretario, la dittatura è sempre una sciagura, ma è compito dei popoli sovrani destituire le dittature, non di accordi o contro-accordi internazionali. Comunque, torniamo alla vicenda.
Tra il 28 e il 29 maggio 2013, la signora Shalabayeva viene arrestata in una villa a Casalpalocco, qui nella periferia di Roma, da circa 50 agenti di polizia e viene portata al CIE, che è il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, sempre a Roma. In pratica, quella sera, gli agenti, in realtà, stavano cercando suo marito, Ablyazov, ma non l'hanno trovato perché lui era fuggito. Il 30 maggio la questura di Roma firma un decreto di espulsione affermando che la signora Shalabayeva fosse entrata illegalmente in Italia.
Il 31 maggio, madre e figlia – perché appunto la signora ha una figlia, Alua – vengono imbarcate su un aereo – noleggiato, pensate, dal Governo kazako – e rispedite in Kazakistan. Il 5 luglio il tribunale di Roma stabilisce che non vi fossero ragioni per l'espulsione. La questione divenne un caso politico nazionale. Già allora Alfano traballò moltissimo; pensate se fossimo riusciti a farlo dimettere allora, quante sciagure avremmo evitato ! Il MoVimento 5 Stelle fece il suo dovere: una durissima opposizione.
Il Ministro venne qui a giustificarsi con pessimi risultati, ma purtroppo Letta e tutto il Partito Democratico lo salvarono. Il Partito Democratico salvò il Ministro dell'interno Alfano, quello che aveva portato le peggiori schifezze berlusconiane, nella passata legislatura, qui in Parlamento. Pagò soltanto un tal Procaccini, l'allora capo di gabinetto del Ministro Alfano; l'unica testa che cadde, lo scalpo che i palazzi del potere hanno portato all'opinione pubblica per dire: ce ne siamo occupati, abbiamo fatto qualcosa, abbiamo fatto dimettere Procaccini. Che cosa è successo ? È successo, sottosegretario, come lei sa, che pochi giorni fa, dopo due anni di indagini preliminari, la procura di Perugia ha inviato una decina di avvisi di garanzia a diversi poliziotti. Spero, tra l'altro, che non pagheranno soltanto i Pag. 17poliziotti. Attenzione, se un poliziotto ha ubbidito a degli ordini nefasti, deve pagare, soprattutto per tutelare l'etica, la professionalità, il valore della stragrande maggioranza dei poliziotti, che non devono essere macchiati per colpa di qualcuno, però ci interessa chi ha dato l'ordine. Devono essere puniti, per la prima volta – in Italia non succede mai –, i potenti che danno gli ordini, non soltanto i poliziotti che eseguono.
Ebbene, gli avvisi di garanzia sono arrivati a poliziotti ma anche al giudice di pace Stefania Levore, per l'appunto, a Renato Cortese, che è attuale capo dello SCO, il servizio centrale della polizia, ovvero l'ufficio che coordina le squadre mobili nelle attività investigative, e a Maurizio Improta, l'attuale questore di Rimini, che ai tempi del rapimento – di questo si tratta – e della deportazione forzata della signora Shalabayeva e di suo figlia in Kazakistan, era a capo dell'ufficio immigrazione della questura di Roma. L'accusa è gravissima: sequestro di persona e falso. La domanda è, sottosegretario: dopo due anni, vi siete resi conto di quale sia stata e di quale sia tuttora la catena di comando che c’è sopra il Ministero dell'interno ? Badi bene, e lo dico senza nessuna ironia: se vi fosse una catena di comando decisionale anche sopra, esterna, estranea al Ministro Alfano, tutto sommato, visti i disastri che ha commesso come Ministro dell'interno, neanche sarei del tutto dispiaciuto; ma se gli ordini di questa catena di comando alternativa fossero quelli di sequestrare una donna ed una bambina e deportarle in Kazakistan per fare un favore ad un dittatore, ad una dittatura, o a coloro che con questa dittatura e con questo dittatore fanno affari commerciali, a cominciare da energia e petrolio, beh, mi preoccuperei moltissimo. Credo che sia innanzitutto nel vostro interesse, sottosegretario, e diritto del Parlamento della Repubblica e di tutti i cittadini, a cominciare da quei giovani che sono in tribuna, sapere se avete oggi informazioni relative a quella catena di comando, chi è stato sul serio. Cioè, il massimo livello decisionale è stato l'attuale questore di Rimini, Improta ? Io non ho prove ma francamente non credo. Però voi state nel Ministero e siete voi che ci dovete dire, a distanza di due anni, chi diede l'ordine, perché, sottosegretario, quando Alfano dice che non ne era a conoscenza e che il Governo non ne era a conoscenza, questa volta gli credo. Sono convinto, credo, insomma, mi sono fatto un'idea, che questa volta il Ministro Alfano non sapesse, il che può essere anche più grave; poi in replica dirò perché. Voi ci dovete dire, a distanza di due anni, in virtù di questa inchiesta appunto, e dei primi avvisi di garanzia che sono partiti e anche delle prime frasi uscite fuori dall'interrogatorio o dalle intercettazioni, per esempio del giudice di pace, quale fosse quella catena di comando. Ve lo chiede una forza politica che rappresenta milioni di italiani, ve lo chiede l'opinione pubblica e ve lo chiede appunto il Parlamento della Repubblica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, onorevole Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Grazie, Presidente. Con l'interpellanza all'ordine del giorno, l'onorevole Manlio Di Stefano, insieme ad altri deputati, richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sulla questione relativa all'espulsione di Alma Shalabayeva, rimpatriata insieme a sua figlia in Kazakistan il 31 maggio 2013. In particolare, vengono chiesti chiarimenti in merito alle linee di comando tenute nel corso della procedura di espulsione, anche alla luce di quanto evidenziato dalle indagini che la procura di Perugia ha avviato sulla vicenda. Premetto che sull'episodio il Governo ha tenuto da sempre una linea improntata alla massima trasparenza e in tale spirito ha deciso che fossero svolti gli opportuni approfondimenti per ricostruire i fatti e accertare l'effettivo svolgimento delle procedure attuate, allo scopo di eliminare ogni zona d'ombra. È stata condotta, infatti, una prima indagine, da cui è scaturito, come ha avuto modo di affermare il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, in Pag. 18un intervento al Senato, che l'esistenza e l'andamento delle procedure di espulsione non erano state comunicati in alcun modo ai vertici del Governo. In relazione a tale aspetto critico, che faceva emergere un evidente difetto comunicativo tra apparati e vertici politici, è stato in seguito deciso che venisse effettuata un'ulteriore indagine, stavolta interna alle strutture del Viminale e alle articolazioni centrali e territoriali del dipartimento di pubblica sicurezza, al fine di accertare le cause e le responsabilità di tale deficit.
L'indagine, affidata dal Ministro dell'interno al capo della polizia, ha portato in breve tempo alla ricostruzione di tutti i passaggi che avevano contraddistinto lo svolgersi dei fatti, fornendo così all'autorità politica quella base conoscitiva utilizzata dallo stesso Ministro Alfano per informare entrambe le Camere.
I risultati di quell'indagine sono stati infatti ufficialmente comunicati il 16 luglio 2013 dal Ministro dell'interno, prima al Senato e poi in quest'Aula. La relazione del capo della polizia, resa nota nella circostanza, esponeva l'intera cronologia dei fatti, soffermandosi dettagliatamente sui profili legati sia alle operazione di ricerca di Muxtar Äblyazov avviate il 28 maggio 2013, sia al successivo rimpatrio della signora Shalabayeva e di sua figlia eseguito tre giorni dopo.
Riprendendo i contenuti di quella relazione, evidenzio che le operazioni di rintraccio del signor Äblyazov erano state avviate anche in esito ad un preciso input proveniente dal circuito di cooperazione internazionale di polizia, che lo segnalavano come un pericoloso ricercato in più Paesi per reati comuni, e in questa fase non è mai venuto all'evidenza degli organi procedenti una sua condizione di dissidente politico. La relazione del capo della polizia metteva in evidenza altresì, con riguardo all'esecuzione dell'espulsione della signora Shalabayeva, che nessuna informazione era stata veicolata dai competenti uffici della questura di Roma verso i vertici ministeriali circa tale operazione: cosicché sono del tutto sfuggiti alla conoscenza degli organi centrali del Dipartimento particolari di quell'espulsione che avrebbero potuto farne comprendere la sua valenza non ordinaria, come ad esempio la messa a disposizione da parte delle autorità del Kazakistan di un volo diretto per Astana.
Come si vede, quindi, quella relazione porta a conoscenza del Parlamento tutta la verità e l'interezza del vicenda, e non ha mancato certo di riservare ampio spazio alla ricostruzione dei flussi informativi e delle cosiddette linee di comando attivate tra il Ministero dell'interno e gli organi procedenti, ponendo l'accento sull'insufficiente veicolazione di informazioni essenziali alla comprensione dell'effettiva portata della vicenda. La ricostruzione quindi ha evidenziato l'interruzione del flusso di notizie nella fase ascendente, ossia verso il vertice politico e nei confronti dello stesso Ministero dell'interno: un'interruzione riconducibile alla mancata capacità di percezione da parte degli apparati della straordinarietà delle circostanze in cui stava maturando l'espulsione della signora Shalabayeva e di sua figlia.
Non vi è stata, in conclusione, nessuna reticenza o opacità nel ripercorrere i fatti, né alcuna volontà di dare copertura a presunte o effettive carenze; al punto che il Ministero dell'interno informava le Camere dell'avvenuta revoca del provvedimento di espulsione della signora Shalabayeva, affermando testualmente che in uno Stato di diritto «non ci si impunta sulle decisioni». Credo dunque che siano già stati forniti pubblicamente e formalmente chiarimenti e precisazioni sullo svolgimento della vicenda, in coerenza con la linea di totale trasparenza che il Governo ha immediatamente adottato e ha continuato a seguire, mai arroccandosi in posizione di chiusura o, peggio, di cieca difesa.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Battista ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Manlio Di Stefano ed altri n. 2-01193.

ALESSANDRO DI BATTISTA. Signor Presidente, io sono convinto, sottosegretario, ma è una mia convinzione, che lei non crede del tutto a quello che ha letto; tra l'altro ha letto delle stesse parti che il Ministro Alfano pronunziò qui in Aula due anni fa. Pag. 19
Le do alcune dichiarazioni. Come lei sa, il giudice di pace che diede l'ok all'espulsione della signora Shalabayeva e della figlia si chiama Stefania Lavore. È stata intercettata dai carabinieri, è agli atti. Lei dice: «mi avrebbero schiacciato, ho fatto «pippa» (che a Roma significa ho dovuto obbedire). Non ho «sputtanato» nessuno, hanno pagato il mio silenzio, i panni sporchi si lavano in casa». Questo l'ha detto il giudice che ha dato l'ok all'espulsione dalla signora Shalabayeva ! Chi l'avrebbe schiacciata ? Perché non ha «sputtanato» nessuno ? Chi ha pagato il suo silenzio e come ? Perché i panni sporchi si lavano in casa, se questa vicenda riguarda tutti noi cittadini ?
E ancora: agli atti della procura di Perugia vi sono le dichiarazioni dell'allora vicecapo dell'ufficio immigrazione di Roma Pierluigi Borgioni. Il vice ! Lui disse: «mai viste pressioni così, si capiva che c'era interesse alla vicenda anche fuori dall'ufficio». Anche fuori dell'ufficio dove ? Chi aveva questo interesse a questa vicenda ? Chi voleva espellere questa signora ? Certamente il Kazakistan, che appunto per ragioni politiche pretese il rapimento della Shalabayeva; e oggi dall'inchiesta appare evidente che quel rapimento fosse stato eseguito per rimediare ad un errore, ovvero l'essersi lasciati sfuggire Ablyazov, marito dalla signora Shalabayeva, un uomo richiestissimo per ragioni che riguardano il popolo e il Governo kazako, appunto, dal regime kazako. Ma fu soltanto l'ambasciata kazaka a fare pressioni ? Questo ci dovevate dire, però non lo dite mai. E questo una stampa libera dovrebbe pretenderlo ogni giorno !
Fece pressione anche l'ENI, sottosegretario, che in Kazakistan ha parecchi interessi ? Perché pare che il pilota dell'aereo che trasportò la signora Shalabayeva in Kazakistan... Aereo pagato – pensate – dal Governo kazako, che paga un aereo qui in Italia per prendere una signora e riportarla in Kazakistan ! Ecco, pare che quell'aereo fosse guidato da un pilota che lavorava per un'azienda satellite di ENI. In questi due anni avete scoperto qualcosa al riguardo ?
Io ricordo perfettamente – l'ha ripetuta lei – una frase del Ministro Alfano. La pronunciò in quest'Aula il 16 luglio 2013: «La signora Shalabayeva non ha mai presentato o annunciato domanda di asilo». Nell'informativa di garanzia della procura di Perugia c’è scritto che la signora Shalabayeva aveva implorato asilo politico sette volte durante il rapimento ! E allora chi dice la verità ?
E ancora. Se ci fosse una stampa libera, sottosegretario (che dovrebbe esser presente qui, ma non c’è: ci son soltanto dei ragazzi), dovrebbe chiedere ogni giorno a Renzi, più che ad Alfano, conto di una frase che il Presidente del Consiglio pronunciò in quel periodo. Non era ancora Presidente del Consiglio, era ancora sindaco di Firenze. «Se Alfano sapeva ha mentito, e questo è un piccolo problema. Se non sapeva è anche peggio». Alfano disse qui di non sapere, di non essere stato avvertito.
E ancora, sempre il Presidente del Consiglio Renzi, allora, il 18 luglio 2013, due giorni dopo che Alfano ebbe parlato qui alla Camera dei deputati (all'epoca era sindaco di Firenze, ma comunque in piena ascesa, discesa, era disceso in campo come Berlusconi per diventare segretario e poi Presidente del Consiglio), disse: «Se si è sbagliato qualcuno si deve assumere la responsabilità. Letta, che allora era Presidente del Consiglio, dovrebbe chiamarlo (intendeva Alfano) e dirgli: non si va avanti». Questo diceva il Presidente del Consiglio ! Ecco, se vi fosse una stampa libera ogni giorno dovrebbe andare da Renzi e dirgli: ma lei all'epoca della vicenda Shalabayeva chiedeva le dimissioni di Alfano, e diceva che Letta doveva chiamare Alfano e dirgli «non si va avanti». Poi Renzi è diventato, – sottosegretario, lei sa, – Presidente del Consiglio, ed è lui che ha chiamato Alfano: non per dimetterlo e dirgli «non mi sembra il caso di andare avanti, visti i tanti disastri che lei ha Pag. 20commesso», ma per chiedergli «vuole venire a fare il Ministro dell'interno ?» E l'ha sempre difeso in questo periodo, sempre, sempre ! Nonostante gli scandali, nonostante il Nuovo Centrodestra abbia moltissime persone con guai con la giustizia: se non sbaglio il 36 per cento dei parlamentari del Nuovo Centrodestra ha guai con la giustizia, il 36 per cento ! Veramente, è da vergognarsi.
Oppure nonostante un sottosegretario, Castiglione, sia immischiato, comunque sia indagato nella vicenda di Mafia capitale, più che altro nel CARA di Mineo: si difende sempre Alfano perché si ha paura che il Governo cada perché traballa, i voti... Allora che cos’è l'etica ? È più importante l'etica, è più importante l'onestà, o sono più importanti i due-tre voti per portare avanti dei provvedimenti, che poi non sono utili per il popolo italiano ?
Ripeto, sottosegretario: io faccio il mio dovere, e il MoVimento 5 Stelle fa il suo dovere di opposizione, e facciamo queste domande, non otteniamo delle risposte, proviamo a reilluminare alcune vicende agli occhi dell'opinione pubblica. Spesso siamo tutti noi distratti, succedono dei disastri nel mondo e ci si dimentica.
Ma la vicenda della Shalabayeva è importante perché rappresenta l'ennesimo caso di sudditanza di un Governo o comunque di apparati forse alternativi al Governo stesso o a catene di comando che non riguardano il Ministero dell'interno, il che è grave. Sono sempre esempi di sudditanza nostra, degli italiani, sempre bistrattati nei confronti dei Governi stranieri, ai quali dobbiamo obbedire, dobbiamo abbassare la testa e rapire pure delle donne con le bambine e rispedirle in Kazakistan. Ma quel che è successo alla signora Shalabayeva, se lo ordina un potente di turno, potrebbe succedere a chiunque; potrebbe succedere a me, potrebbe succedere a lei, potrebbe succedere a voi tutti. Può succedere, perché arriva il potente di turno che ordina, addirittura dà degli ordini che superano il Ministro Alfano – perché il Ministro Alfano non lo sa – e che vengono eseguiti. Lo dico ad un'Aula vuota, sperando che poi il messaggio possa arrivare.
E concludo davvero dicendo che un problema grande che abbiamo in questo Paese, oltre all'inadeguatezza della classe politica, oltre al gioco perenne degli inciuci che favorisce il mantenimento sulla poltrona di un Ministro per me politicamente indegno come il Ministro Alfano, è ancor di più la mancanza – non voglio generalizzare – di una forte stampa libera, perché questa frase che disse il Presidente Renzi: «Se Alfano non sapeva è gravissimo, è ancor più grave e, in sostanza, si doveva dimettere», oggi la dovrebbero ripetere ogni giorno i telegiornali; dovrebbe essere sulla prima pagina di tutti i giornali, perché oggi dall'inchiesta giudiziaria di Perugia sappiamo, appunto, con certezza che c'era una catena di comando – il nome che si fa è, appunto, quello di Improta, per adesso, ma per me ce ne stanno degli altri che ancora non sono usciti fuori, ma non ho le prove – che ha appunto decretato questa oscenità, ossia il rapimento di una donna e di una bambina e la deportazione coatta in Kazakistan.
Ogni giorno si dovrebbe chiedere questo, ossia chiedere delucidazioni al Presidente del Consiglio, Renzi, per quelle dichiarazioni; ogni giorno per far sì che questa Repubblica possa diventare veramente un po’ più libera, un po’ più pulita, un po’ più trasparente e soprattutto per far sì che vicende drammatiche, come quella della signora Shalabayeva, non capitino più, né ovviamente a lei, ma neanche a ciascuno di noi. Grazie, sottosegretario e grazie Presidente.

(Iniziative volte a garantire il pieno e corretto funzionamento dell'Unar e del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riferimento alla situazione degli organi direttivi – n. 2-01191)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Di Vita ed altri n. 2-01191, Pag. 21concernente iniziative volte a garantire il pieno e corretto funzionamento dell'Unar e del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con particolare riferimento alla situazione degli organi direttivi (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Silvia Giordano se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmataria, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

SILVIA GIORDANO. Presidente, Governo, quanto si dirà merita tutta la nostra attenzione, ancor più in ragione del mutato contesto nazionale e internazionale innescato dai recenti eventi terroristici, che hanno indubbiamente turbato le coscienze di tanti cittadini europei.
È chiaro a tutti che oggi più che mai l'integrazione tra i popoli è un valore posto a serio rischio, ma è altrettanto vero che, proprio dalla capacità di contrastare tale pericolosa deriva, si misura il grado di civiltà di un Paese e delle sue istituzioni ed è proprio in tale contesto che, nel nostro Paese, spicca, o meglio dovrebbe spiccare, il ruolo dell'UNAR, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, e del Dipartimento per le pari opportunità che insieme hanno il compito di prendere in carico le situazioni di discriminazione e di disagio sociale e di individuare e fornire gli strumenti adatti al superamento degli ostacoli che impediscono il conseguimento di uguaglianza e di equità sociale.
Le politiche delle pari opportunità sono state messe all'angolo fin per troppo tempo da questo Governo, Presidente. Oggi, non possiamo davvero più permettercelo: ogni ulteriore ritardo è inaccettabile. Molte delle aree di intervento connesse al tema del divieto di discriminazione delle pari opportunità, quali la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale, la tutela dei diversamente abili, la rimozione delle discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, sull'età, sulla religione, sulle convinzioni personali e, in via generale, tutte le tematiche connesse ai diritti civili sono state palesemente ignorate dal Governo.
Ugualmente attuali e rilevanti sono le problematiche collegate alla rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull'origine etnica, acuitesi a seguito del massiccio afflusso di stranieri, che ha trovato il nostro ordinamento gravemente impreparato sotto il profilo, sia istituzionale-amministrativo, che socio-culturale. Questo solo per citare alcune delle questioni delicatissime di cui l'UNAR dovrebbe occuparsi.
Ma veniamo al nodo della questione. Forse non tutti sanno che l'UNAR è un organismo del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri che, dal 2003, ha il compito o, sarebbe meglio dire, avrebbe il compito di vigilare in attuazione della normativa nazionale europea sull'operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e che contribuisce a rimuovere le discriminazioni svolgendo la funzione di garantire l'effettività del principio di parità di trattamento fra le persone.
Questi, almeno sulla carta, sono i compiti dell'Ufficio antidiscriminazioni. La realtà però, purtroppo, è ben diversa. L'UNAR infatti sarebbe attualmente privo dell'organo direttivo addirittura dallo scorso settembre, in particolare a seguito di una polemica innescata dalla collega parlamentare Giorgia Meloni nei confronti del dirigente UNAR Marco De Giorgi, che ha portato incredibilmente al suo sollevamento dall'incarico, per il solo fatto di aver in fin dei conti svolto il suo lavoro, ovvero sensibilizzato un parlamentare sull'opportunità di diffondere messaggi generalizzati che possano suscitare odio e malsopportazione verso popolazioni di una particolare confessione religiosa.
Sembra quasi che la colpa dell'ex direttore De Giorgi sia quella di lesa maestà, come se il solo fatto di essere parlamentari dia a tutti noi, tra i vari privilegi, perfino quello di limitare il funzionamento di un organo che, proprio in virtù delle funzioni di monitoraggio che svolge, deve lavorare privo di condizionamenti di sorta.
Risulta quindi che, alla scadenza del triennio, il dirigente preposto, Marco De Pag. 22Giorgi, non sia stato – guarda caso – confermato nella direzione dell'Ufficio. Da più di due mesi, quindi, la nomina del successore non sarebbe ancora arrivata. Perché ? È questo che vi chiediamo. Ma vi è di più: L'Espresso riferisce infatti dell'ulteriore mancanza di 15 esperti incaricati alla cura di progetti europei e di molte delle attività dell'UNAR. La cosa che preoccupa maggiormente è il depotenziamento dell'Ufficio, perché l'assenza di questi ultimi e di un soggetto a capo dell'Ufficio potrebbe compromettere le regolari procedure di finanziamento di circa 50 milioni di euro di fondi comunitari, una porzione dei soldi che l'Europa stanzia per l'Italia attraverso il Fondo sociale europeo. In ballo ci sono 50 milioni di euro di fondi europei e noi lasciamo per mesi un ufficio senza organico che possa espletare i relativi adempimenti burocratici ? È semplicemente pazzesco e, ancora una volta, denota il totale disinteresse del Governo verso questi delicatissimi temi. Si tratta dei fondi europei, Presidente, per i quali l'Italia sarebbe in ritardo e a cui, quindi, almeno in parte, potrebbe finire con il rinunciare, essendo attualmente pari a zero la spesa per il 2014-2015, a valere sul Programma operativo nazionale d'inclusione sociale, PON.
Immagino che saremo certo tutti d'accordo nel dire che anche la sola idea di poter rischiare di rinunciare ad un finanziamento così cospicuo e destinato per di più a progetti per finalità tanto importanti, a causa di un'assurda e incomprensibile carenza di personale, sia una cosa inaccettabile, oltre che imbarazzante.
Poi, ci chiediamo perché magari, nella sessione di stabilità, ci si debba rabattare per trovare anche pochi milioni in più, utili magari a finanziare più adeguatamente fondi importanti, come, ad esempio, a favore della disabilità o delle non autosufficienze, solo per citarne alcuni.
Nel merito, Palazzo Chigi avrebbe fatto sapere – e la cosa ci lascia increduli – che l'incarico dei quindici esperti sarebbe cessato addirittura nel giugno scorso, ovvero da ben sei mesi.
Per essere chiari, Presidente, qui non è solo a rischio il pieno e corretto funzionamento dell'UNAR, ma dell'intero Dipartimento per le pari opportunità e di tutte le relative attività di competenza. La cosa è paradossale perché, in più occasioni, la Commissione del Consiglio d'Europa contro il razzismo e l'intolleranza (ECRI), in merito alla struttura dell'UNAR, ha chiesto al Governo italiano – e cito testualmente – un ulteriore rafforzamento, sia in termini di risorse umane e finanziare, che dal punto di vista giuridico, prevedendone l'ampliamento formale dell'operatività a tutti gli altri ambiti discriminatori e l'innalzamento del livello di autonomia finanziaria ed amministrativa. Il Governo non può più procrastinare un serio intervento in merito.
Per quei fondi – 50 milioni, ricordiamolo – mancherebbe ancora una convenzione con cui l'autorità di gestione, in questo caso il Ministero del lavoro, dovrebbe incaricare della corretta spesa il Dipartimento delle pari opportunità per il ciclo in corso 2014-2020. L'Espresso ci svela infine che sarebbe inoltre scaduto l’interim assegnato alla direttrice del Dipartimento per le politiche della famiglia, Ermenegilda Siniscalchi. Si aggiunga che il 2015 è il primo anno in cui inspiegabilmente – o forse il Governo può spiegarcelo oggi – non si fa luogo nel mese di Ottobre alla consueta settimana contro le discriminazioni nelle scuole, così come prevista dal Protocollo con il MIUR del 30 gennaio 2013. Insomma, di bene in meglio.
Presidente, nell'attuale delicato momento storico, in cui la tensione sociale tra etnie e culture diverse, percepite perfino come una minaccia per la sicurezza nazionale, è messa a dura prova, soprattutto dopo le stragi terroristiche dei giorni appena trascorsi, è necessario che le diverse confessioni religiose esprimano invece con ancor più voce valori di pace e di rispetto per la persona che sono propri di ciascuna fede. In tale ottica l'UNAR si trova oggi più che mai in prima linea – o almeno dovrebbe trovarsi – nel far fronte alla richiesta sociale di favorire l'integrazione razziale attraverso ogni iniziativa, quali ad Pag. 23esempio l'alfabetizzazione religiosa e il dialogo interreligioso e culturale, utile ad evitare una strumentalizzazione della religione e del sentimento religioso degli uomini e delle donne nel nostro Paese.
Oltretutto, non è la prima volta che ci troviamo in quest'Aula per discutere delle inefficienze e mancanze di questi uffici governativi. A più riprese il MoVimento 5 Stelle, in particolare la collega Giulia Di Vita, ha affrontato nel corso della legislatura numerose questioni inerenti il Ministero per le pari opportunità, presentando numerosi atti parlamentari in merito a partire da due risoluzioni che anzitutto si proponevano di impegnare il Governo già in tempi non sospetti a nominare un nuovo Ministro per le pari opportunità.
In particolare la risoluzione n. 7-00147, depositata il 29 ottobre 2013 in Commissione affari sociali, proponeva, all'indomani della dimissione del Ministro per le pari opportunità Josefa Idem, di individuare un nuovo Ministro al quale assegnare anche la delega alla famiglia, avendo questa materia molte attinenze con le competenze del Dipartimento. Non paghi, nel luglio 2014 è stata inoltre avviata la petizione on line «Si nomini subito un Ministro per le pari opportunità», sul sito change.org, diretta in special modo al Premier Matteo Renzi, in cui venivano elencate le principali emergenze inerenti le pari opportunità segnalate da cittadini, giornalisti, associazioni e politici che il Governo avrebbe dovuto affrontare al più presto.
Infine, prendendo le mosse da tale petizione, sempre la collega Di Vita – e con lei anche altri colleghi del MoVimento 5 Stelle – ha infine depositato alla Camera nell'ottobre 2014 un'apposita mozione di impegno per il Governo con degli specifici punti, che, al di là dell'istituzione o meno del Ministero ad hoc, bisogna al più presto adempiere. Giusto per fare qualche esempio, parliamo non solo delle politiche di contrasto al femminicidio, ma anche dell'avviamento dei lavori per la realizzazione del piano d'azione sulla disabilità, in attesa da ormai due anni; monitoraggio ed eventuale ammodernamento dei comitati unici di garanzia nei posti di lavoro; adeguamento alle normative comunitarie in materia di congedi di maternità e paternità; riforma delle pensioni con particolare attenzione all'equiparazione dei trattamenti per uomini e per donna; redazione ed attuazione del Piano anti-tratta e via dicendo.
Purtroppo – mi spiace doverlo rilevare – dopo oltre un anno su tutti questi temi vi è il nulla più totale, anzi, le cose sembrano essere addirittura peggiorate. Le suddette iniziative parlamentari e sollecitazioni sono rimaste del tutto inascoltate, non avendo ricevuto alcun riscontro se non qualche cenno di apprezzamento e condivisione sfociati però poi nel nulla di fatto. Solo il 1 ottobre 2014 il Presidente del Consiglio, forse credendo di fare un parziale passo avanti, ebbe l'infelice idea di assegnare un non meglio precisato incarico di consigliere in materia al deputato del PD Giovanna Martelli, componente della Commissione lavoro della Camera dei deputati, il cui ruolo, per ovvie ragioni, ben poco avrebbe potuto aggiungere all'azione del Governo, che continua ad essere pressoché inesistente al riguardo.
Anche in quell'occasione, pur avendone tutte le possibilità, ancora una volta non venne assegnata una vera e propria delega ministeriale, ma un semplice incarico da consigliere, con responsabilità e autonomia politica dunque assai limitate, dal profumo quindi altamente politico, in linea con la strategia dell'annuncio tipica, purtroppo, di questo Governo. Ma il danno è presto fatto ed ecco che, come se non bastasse, arriva la ciliegina sulla torta a minare ulteriormente l'operatività del Dipartimento per le pari opportunità; infatti, lo scorso 27 novembre – udite ! Udite ! –, proprio in quest'Aula il vicepresidente Di Maio ha comunicato che la collega Giovanna Martelli, deputato del PD e consigliere per le pari opportunità del Governo, ha lasciato il proprio gruppo parlamentare per iscriversi al gruppo Misto.
A questo punto chiediamo che il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e tutti i soggetti coinvolti facciano chiarezza su questi punti e risolvano una situazione Pag. 24inaccettabile. Chi è ad oggi il soggetto o i soggetti che si stanno occupando di tutte queste materie ? La Presidenza del Consiglio ? Il Ministro per le politiche sociali ? E chi esattamente ? Perché, in realtà se l'azione del Governo fosse efficace su questi temi non ci sarebbe probabilmente nemmeno bisogno di nominare un Ministro per le pari opportunità; tuttavia ci ritroviamo costretti a richiederlo con forza e insieme a noi tutti i cittadini attivi e le associazioni di settore interessati da diverso tempo, perché le azioni messe in atto sono nulle o scarse. Evidentemente avete un problema di assegnazioni di compiti e ruoli.
In particolare, vorremmo sapere quindi se non ritenga sia giunta l'ora di rivolgere finalmente la dovuta attenzione all'intero Dipartimento per le pari opportunità, tutt'oggi privo di un Ministro con delega, cominciando col rimediare all'inaccettabile depotenziamento dell'Unar in cui si ritiene invece occorrerebbe investire maggiori risorse, sia finanziarie che d'organico, in particolare affinché l'ufficio non possa ritrovarsi d'ora in poi in balia di meri e assurdi adempimenti burocratici insanati, come quelli appena evidenziati.
Crediamo che, in un momento storico in cui il diritto all'integrazione comunitaria è più che mai al centro del dibattito politico, la scelta del Governo di continuare a non nominare alcun Ministro alle pari opportunità potrebbe far suscitare nuove e aspre polemiche.
Aggiungiamo quindi – e concludo, Presidente – che forse sarebbe anche arrivato il momento di ricostituire il Ministero delle pari opportunità che qualsiasi Paese che vanta di definirsi civile ha e che indiscutibilmente dovrebbe avere. Le nostre speranze, tuttavia, a giudicare dalle strampalate dichiarazioni dello stesso Premier, non sono molto vive. Renzi si è sempre vantato di avere una squadra di Governo straordinariamente rosa e recentemente si è mostrato fiero di non aver posteggiato le donne nei soliti ruoli su pari opportunità e affari sociali. Vorremmo quindi che questa fosse anche l'occasione per il Governo di aggiustare il tiro e smentire la convinzione che i temi sociali siano per voi un mero posteggio delle deleghe che non abbiano la stessa importanza delle altre. La civiltà di un Paese si misura su come tratta gli ultimi, dall'attenzione che focalizza su chi ha meno, meno opportunità, meno risorse, meno diritti, meno prospettive di futuro. Attualmente, nell'azione di Governo, al netto dei soliti spot, non vediamo nulla di tutto ciò. Si fa sempre in tempo a cambiare passo, è solo questione di volontà.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, ha facoltà di rispondere.

GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, naturalmente non mi soffermo sulle funzioni e compiti dell'Unar perché sono stati già ampiamente ricordati dall'onorevole interpellante, quindi vado subito dentro le questioni poste dall'onorevole interpellante, a cominciare dalla situazione segnalata, che vede l'ufficio attualmente privo di un direttore generale.
Si segnala che ciò consegue al fatto che il contratto del precedente coordinatore dell'ufficio è venuto a scadere nello scorso mese di settembre; a seguito di ciò è stata immediatamente attivata, come si fa in tutti questi casi, la procedura per la copertura di tale posizione, in applicazione e naturalmente nel rispetto delle disposizioni di cui alle direttive del Presidente del Consiglio dei ministri in data 23 gennaio e 5 settembre del 2008, relative appunto alla disciplina del conferimento degli incarichi dirigenziali.
Voglio ricordare che da questo punto di vista si è proceduto con la pubblicazione in data 28 settembre 2015 della richiesta di interpello del Dipartimento per le pari opportunità per la copertura, con carattere d'urgenza, del posto di funzione dirigenziale di livello generale disponibile di coordinatore dell'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate Pag. 25sulla razza. Tale interpello, rivolto ai dirigenti interessati, è scaduto lo scorso 8 ottobre, termine fissato – anche questo, come avviene sempre – per la presentazione delle relative candidature. Attualmente è in corso la valutazione delle istanze presentate a seguito della quale sarà conferito il nuovo incarico di coordinatore dell'Ufficio Unar.
Al riguardo si segnala che in data 26 novembre il direttore dell'Ufficio per gli affari generali, internazionali e gli interventi in campo sociale del Dipartimento per le pari opportunità ha trasmesso al Dipartimento per le politiche di gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali della Presidenza del Consiglio dei ministri una nota contenente una preliminare verifica formale dei requisiti dei candidati che hanno presentato domanda, ai sensi della procedura di interpello, ai fini delle successive determinazioni. Sempre con riferimento all'attuale composizione dell'organo dell'Unar e al depotenziamento del medesimo paventato dall'onorevole interpellante a causa del mancato rinnovo di 15 unità di personale esperto, si segnala che gli ultimi contratti degli esperti sono scaduti – anche questi – lo scorso 30 giugno 2015 a causa del completamento dei progetti finanziati nell'ambito del Fondo sociale europeo, non c’è nulla di particolare e nulla di strano.
La cessazione di tali incarichi, pertanto, non ha alcun legame con le vicende connesse all'incarico del direttore dell'Unar. Rispetto al reclutamento di nuovi collaboratori coordinati e continuativi, ciò potrà avvenire solo nel rispetto delle condizioni poste dalla norma primaria di riferimento e dalla giurisprudenza della Corte dei conti. In particolare, si potrà ricorrere in forma temporanea ed eccezionale al reclutamento di collaboratori solo per esigenze connesse a progetti specifici per le quali non sia possibile utilizzare professionalità interne all'ufficio. Anche questa è una norma di legge di trasparenza della pubblica amministrazione. In ogni caso, ove si ravvisi, in futuro, la necessità di acquisire in forma temporanea collaborazioni esterne specifiche che rispondono a quel principio che ho ricordato, si utilizzerà, come sempre si è fatto, una procedura di selezione ispirata alla massima trasparenza e sulla opportunità e affidabilità professionale. Si ribadisce che la durata sarà sempre temporanea e legata alla realizzazione dello specifico progetto per il quale si richiede una professionalità esterna.
Si ritiene, quindi, che l'attuale quadro normativo e organizzativo dell'Unar consenta pienamente all'ufficio di svolgere in completa autonomia i delicati compiti attribuiti, operando efficacemente rispetto a tutti i fattori di discriminazione. La cessazione dei predetti contratti non ha pregiudicato la capacità dell'Unar di assicurare la regolarità e la continuità delle proprie iniziative istituzionali.
Con riferimento a quanto riportato dall'onorevole interpellante in merito al contenuto dell'articolo pubblicato su l'Espresso, si segnala quanto segue. In merito all'avvio delle attività relative al nuovo ciclo di programmazione dei Fondi europei 2014-2020 per gli obiettivi 9.5 e 2.3 dell'Accordo di partenariato in materia di antidiscriminazione, si segnala che il Dipartimento per le pari opportunità sta finalizzando la predisposizione di tutti gli atti necessari alla stipula della convenzione tra il Dipartimento stesso e l'autorità di gestione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di dare avvio alla nuova programmazione dei Fondi strutturali 2014-2020. Si rende noto che all'interno del PON Inclusione è stato inserito uno specifico obiettivo dedicato ai rom (obiettivo 9.5), riguardo al quale il Dipartimento per le pari opportunità e l'Unar, d'intesa con l'autorità di gestione, hanno elaborato, già dal mese di luglio scorso, una proposta di piano che prevede l'utilizzo di circa 15 milioni di euro. Il predetto piano ha incluso anche azioni di contrasto ad ogni forma di discriminazione, anche con riguardo alla comunità LGBT, con un ammontare di fondi stimato in circa nove milioni di euro. Nel corso dell'ultima riunione di novembre scorso, tra il Dipartimento pari opportunità e l'autorità di gestione, è emersa la regolarità Pag. 26del percorso sin qui costruito, con particolare riferimento alla salvaguardia dei fondi già allocati e alla loro certa disponibilità, non appena la convenzione sarà sottoscritta.
Con riferimento al rischio di perdita, se non di spreco, di risorse conseguente alla mancata spesa negli anni 2014-2015, si sottolinea che negli anni citati è ancora operativa la passata programmazione riferita al settennio 2007-2013. Il PON Inclusione, pur essendo tra i primi programmi approvati in Europa, è comunque stato approvato a fine dicembre 2014. Per i meccanismi previsti per l'utilizzo dei fondi comunitari il ritardo denunciato può essere considerato, quindi, di natura fisiologica e, comunque, non mette in alcun modo a rischio il successivo utilizzo delle risorse.
Con riferimento alla richiesta dell'onorevole interpellante relativa al mancato svolgimento, quest'anno, della settimana di azione contro la violenza e discriminazione nelle scuole, si segnala che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in attuazione del protocollo d'intesa siglato con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con delega alle pari opportunità, il 30 gennaio 2013, ha promosso, nel corso degli scorsi anni scolastici, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, la settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione. In attuazione del protocollo di intesa del 30 gennaio 2013 al quale ho fatto riferimento, è stato sottoscritto in data 30 dicembre 2013 un accordo di collaborazione tra il Dipartimento per le pari opportunità e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in cui le parti si impegnano a collaborare per la realizzazione e attuazione di tutte le attività connesse alle iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione rivolte agli studenti, ai genitori e docenti, che prevedeva risorse congiunte per un totale di 500 mila euro.
Nel corso del corrente anno scolastico la settimana non è stata ancora indetta, in quanto la legge 13 luglio 2015, n. 107, recante riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti, al comma 16, articolo 1, prevede che il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate. Al riguardo, si rappresenta che il 10 dicembre prossimo, quindi tra pochi, pochissimi giorni, è prevista presso il MIUR la riunione di insediamento del tavolo tecnico istituito, avente proprio il compito di elaborare le linee guida per orientare le scuole in merito a quanto sancito dal comma sopra citato. Si è, dunque, in attesa delle linee di prossima emanazione del tavolo per il prosieguo delle attività inerenti il tema delle pari opportunità.

PRESIDENTE. L'onorevole Silvia Giordano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta all'interpellanza Di Vita ed altri n. 2-01191.

SILVIA GIORDANO. Grazie, Presidente. Quindi è un provvedimento d'urgenza per tale nomina che dura da tre mesi e chissà quanto altro tempo ancora vi prenderete per verificare i requisiti.
Comunque, Presidente, purtroppo non possiamo ritenerci affatto soddisfatti della risposta del Governo; ogni volta che si discute di temi sociali vige il caos più totale, confusione di argomenti, competenze e ruoli. Si parla di tutto e di niente e questo caso non fa eccezione. A volte si ha la sensazione di parlare in astratto di filosofia, di ragionamenti sull'esistenza umana, quando, invece, si tratta di problemi che toccano la carne viva delle persone nella loro vita di ogni giorno. Il sentirsi rifiutati dalla società, l'emarginazione, la solitudine, la povertà, essere trattati diversamente dagli altri, subire atti di violenza solo per ciò che si è, affrontare più ostacoli di altri, pagare prezzi più alti Pag. 27per ottenere uno stesso diritto o beneficio, urlare e non essere ascoltati, cadere ed essere ignorati, soffrire e non essere compresi, sono tutte esperienze di vita che la maggior parte dei nostri cittadini avrà provato almeno una volta nel corso della vita e con cui altri cittadini ancora hanno proprio imparato a convivere. Non è filosofia, è carne e sangue delle persone, Presidente, delle famiglie. Se tutto ciò non viene ritenuto, dal Governo, importante quanto, ad esempio, le riforme costituzionali o la legge elettorale, questo Governo non sta creando alcuna prospettiva di futuro, alcun miglioramento per le generazioni a venire e per quelle che stanno pagando il prezzo della crisi e di Governi incapaci, sia a livello nazionale che europeo.
A tutti voi sarà arrivata una lettera, che cito a titolo di esempio, dal coordinamento Torino Pride, sottoscritta dalle principali associazioni LGBT italiane. Ebbene tra le varie segnalazioni citate a partire dalle difficoltà di comunicazione con la guida nazionale, pongono un problema molto concreto e che dimostra quanto poco l'UNAR e il Dipartimento delle pari opportunità siano tenuti in considerazione dal Governo. Si tratta del portale antidiscriminazione LGBT messo a punto sempre dalla città di Torino e dal suo servizio LGBT che è stato consegnato puntualmente all'UNAR e al Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio a maggio 2015. A giugno è stata organizzata una conferenza stampa a Roma, in cui si annunciava la messa online entro pochi giorni; ad oggi, denunciano, le associazioni, il portale, che è costato circa 60 mila euro, non è online ed esiste la concreta presunzione che non lo sarà mai; anche questo è tutto nella norma, vero sottosegretario ? Ebbene, si tratta di un solo, pratico, esempio, ma è sufficiente per capire il caos e la mancanza di obiettivi, pianificazione, suddivisione e assegnazione dei ruoli che vige all'interno del dipartimento delle pari opportunità e di questo, chiaramente, ce n'eravamo accorti un po’ tutti, quando, il Premier, durante l'insediamento del proprio Governo, ha balbettato per giorni e giorni sul tema, risolvendo poi a modo suo con la nomina sui generis della collega Giovanna Martelli a un ruolo che non esiste, che non è stato illustrato, che non è stato definito nelle sue funzioni, giusto per alimentare il caos, ovvero quello della consigliera per la Presidenza del Consiglio sulle pari opportunità. Come al solito, tutto e niente, anzi, visto i risultati, niente. Se così facendo il Governo pensava di calmare le acque e dare ai soliti gufi rosiconi un bel contentino si è chiaramente sbagliato, perché a noi non interessano nomine e poltrone in sé, ci interessano nella misura in cui servono a far funzionare un dipartimento.
Per quanto ci riguarda, Renzi potrebbe fare il Premier da solo senza Ministri se fosse in grado di lavorare a tutto, ma chiaramente ciò non è possibile. Quindi, abbiate il buonsenso finalmente di rendervi conto che il Dipartimento per le pari opportunità non funziona perché voi non lo fate funzionare, non perché sia inutile. Non mettete le persone giuste al posto giusto; ritardate le nomine come se ciò non comportasse alcun problema, nemmeno il rischio di perdere 50 milioni di euro, come se le attività andassero avanti da sole come per magia, senza una guida; vi perdete in beghe interne di Governo e di partito che costano disservizi, soldi e tempo per i cittadini per ogni santa poltrona, come, tra l'altro, dimostrate nelle infinite fumate nere per l'elezione dei giudici della Consulta. Quindi, in effetti, niente di nuovo. Deplorevole come tradizione. Il punto, tuttavia, è che il caos amministrativo da voi volutamente creato per esigenze politico-elettorali – alludiamo all'essere un po’ carne e un po’ pesce per accontentare tutti senza fare in realtà assolutamente nulla – dà poi adito a certe parti politiche di innescare polemiche immotivate su quelle poche iniziative che nonostante tutte le difficoltà mi pare il Dipartimento e l'UNAR stesso riescono a portare avanti, vanificando anche questo lavoro e facendo dividere l'opinione pubblica su temi che, se spiegati chiaramente, magari da un Ministro, metterebbero invece tutti d'accordo, quantomeno nello Pag. 28spirito e negli intenti. E alludiamo, ad esempio, ai programmi di sensibilizzazione nelle scuole contro il bullismo. Insomma, un trionfo di incompetenza e ingenuità.
E, quindi, entriamo nel dettaglio dei rischi che stiamo correndo al momento. Nel complesso, dei fondi europei per la programmazione del settennato precedente, la cui rendicontazione scade a dicembre, l'Italia ad oggi si starebbe preparando a restituire circa 6 miliardi di euro. Certo, tanto poi si fa presto a rimediare, ad esempio tagliando 2 miliardi di euro alla sanità pubblica. Purtroppo, sui dati relativi all'utilizzo dei fondi europei, vantiamo sempre dei record negativi, Presidente. Uno dei temi più delicati su cui parimenti il Dipartimento per le pari opportunità dovrebbe intervenire massicciamente con tutti i propri mezzi è quello della violenza di genere e del femminicidio. In proposito, registriamo, invece, purtroppo, che la cronaca nazionale riporta sempre più spesso episodi di femminicidio, maltrattamenti, bullismo omofobico, razzismo, stalking e discriminazione. Gli episodi di abuso e violenza contro le donne sono in perdurante crescita. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane in modo da realizzare i programmi e le politiche volti a combattere il fenomeno della violenza sulle donne. Sono passati due anni dall'approvazione del decreto sul femminicidio e il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale di genere è stato finalmente adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015. Bisogna fare delle considerazioni di carattere politico, le stesse che hanno contribuito ad ostacolare l'ulteriore progresso. Senza forti forme di collaborazione e finanziamenti sufficienti non si potranno fare passi in avanti per combattere la violenza.
E che dire delle politiche a favore delle persone con disabilità, signor Presidente ? È ridondante a tal proposito dover ricordare che più volte il nostro Paese è stato richiamato dall'Europa, anche con atti ben precisi, procedure di infrazione e sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, soprattutto relativamente alla quasi inesistente politica dell'inclusione lavorativa delle persone disabili. Proprio relativamente a quest'ultima categoria di soggetti e alle relative tutele e politiche inclusive e antidiscriminatorie, si registra ancora la mancata implementazione e il mancato finanziamento del piano d'azione biennale per la disabilità adottato dal Consiglio dei ministri del 2013. In tale ambito, in particolare, il contributo del Dipartimento per le pari opportunità è espressamente previsto nella prima linea di intervento relativa alla riforma del riconoscimento dell'invalidità. Al momento, il lavoro relativo alla realizzazione di tali linee di intervento non sembra essere stato neppure avviato. Nell'attesa che qualche foglia si muova, continueremo a tenere alta la guardia e a monitorare le azioni che ci auguriamo il Governo metterà in campo già nei prossimi giorni per colmare il forte ritardo accumulato finora nell'attuazione delle politiche dedicate alle pari opportunità. Al riguardo, tra l'altro, noi avremmo delle idee maggiormente innovative, ma che dubitiamo questo Governo possa adottare. Infatti, a nostro avviso, il Dipartimento per le pari opportunità, che sarebbe intanto da ripristinare in Ministero, sarebbe da rivoluzionare nel suo modus operandi per rendere l'azione di Governo più omogenea e incisiva. Innanzitutto, non dovrebbe lavorare come un Dipartimento a sé stante, come fossero compartimenti stagni, ma la sua azione dovrebbe essere trasversale agli altri settori, sotto la guida di altri Ministeri, dall'economia, al lavoro, allo sviluppo, alla pubblica amministrazione e via dicendo. E più che di pari opportunità si dovrebbe parlare di uguaglianza e di equità sociale da assicurare in ogni aspetto della vita di questo Paese e del suo popolo.
Ma se attualmente il Dipartimento non riesce nemmeno a svolgere le sue peculiari mansioni, difficilmente potrebbe svolgere questa azione strategica di collante tra i diversi settori sociali, economici e culturali del Paese. Quindi, non siete di certo voi il Pag. 29Governo che potrebbe fare questa vera e propria rivoluzione. La farà evidentemente e la farà anche presto il Governo 5 Stelle.

(Intendimenti del Governo in merito al riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini professionali – n. 2-01189)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Mazziotti Di Celso e Monchiero n. 2-01189, concernente intendimenti del Governo in merito al riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi degli ordini professionali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Mazziotti Di Celso se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie Presidente, signor sottosegretario, l'interpellanza riguarda la disciplina di una serie di ordini professionali, contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, che in particolare riguarda una serie di categorie di ordini tecnici (architetti, dottori agronomi, dottori forestali, pianificatori paesaggistici, conservatori, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici e ingegneri). La disciplina introdotta dal decreto del Presidente della Repubblica prevede una lunghezza dei mandati di quattro anni per gli ordini territoriali, di cinque anni per quelli nazionali e prevedeva originariamente un limite negli ordini di due mandati. Nel 2010 con il milleproroghe, appunto approvato alla fine dell'anno 2010, il numero dei mandati fu portato a tre. Questo, unito al sistema previsto dalla legge, ha determinato un ricambio sostanzialmente inesistente negli ordini perché la legge prevede un meccanismo molto maggioritario, ossia prevede la possibilità di liste pari al numero dei componenti degli ordini e prevede una serie di norme che facilitano il mantenimento dell'esistente e facilitano il nascere di liste dall'alto più che dal basso e scoraggiano qualsiasi partecipazione che possa portare ad altre rappresentanze. Per questo, la situazione è molto, molto consolidata. Recentemente, si è parlato di una riforma degli ordini e il Governo ha avviato un lavoro su questi ordini professionali e, a quanto risulta agli interpellanti, è stata mandata una bozza di testo ad alcuni degli ordini. Una bozza di testo che contiene una serie di principi e mantiene una serie di principi che vanno in senso opposto rispetto al rinnovamento. Infatti, si prevede un abbassamento dei quorum per le elezioni dal 33 al 25 per cento nella prima chiamata e dal 20 per cento a zero addirittura per la seconda tornata. Quindi, si prevede sostanzialmente un meccanismo in cui il rischio è quello di un consolidamento ancora maggiore, anche perché si mantiene il meccanismo delle liste che possono coprire tutti i posti nei consigli. Si prevede che si continui con l'abitudine che gli scrutatori nelle elezioni siano nominati dallo stesso consiglio dell'ordine. E si prevede anche la possibilità di sommare le schede del primo e del secondo turno.
Insomma, ci sono una serie di regole che fanno sì che si rischi di nuovo una sorta di paralisi dal punto di vista del rinnovamento degli organi e che vengano perpetuati gli organi di controllo attuali. Nella bozza di decreto che è stata inviata ad alcuni ordini si prevede, peraltro, una norma che è di scarsa comprensibilità perché si dice sostanzialmente che alla data di entrata in vigore del decreto chi ha svolto uno o più mandati ne può svolgere un altro. Da come è scritto il decreto, l'entrata in vigore a cui si fa riferimento è quella dello stesso decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005. E, allora, non si capisce a cosa serva una norma di questo tipo perché è evidente che i mandati si sono già esauriti, di coloro che avevano svolto uno o più mandati in quel momento. Non serviva prevedere la possibilità di un nuovo mandato.
Da qui la nostra richiesta al Governo di chiarire i suoi intendimenti, perché è evidente che, se si intendesse prorogare, aumentare nuovamente il numero di mandati, consentire a chi già ha superato il limite di candidarsi nuovamente, si continuerebbe Pag. 30a bloccare il sistema. Sarebbe anche importante sapere dal Governo quali siano i suoi intendimenti perché si è sempre detto di voler semplificare il sistema, da una parte, e, dall'altra, di favorire la democrazia interna come principio generale di tutte le organizzazioni associative. È evidente che se si mantengono liste pari a tutti i candidati, gli scrutatori scelti dall'ordine uscente, si abbassano i quorum e si aumenta il limite dei mandati, la conseguenza non può che essere quella di bloccare il sistema.
Questa è la ragione fondamentale dell'interpellanza. Noi pensiamo che si debba andare nella direzione di un rinnovamento. Pensiamo che sia utile ringiovanire gli ordini, che sia utile portare anche le nuove generazioni a partecipare alla vita associativa. Oggi tutto il sistema scoraggia questa partecipazione. C’è anche disinteresse e questo poi viene dimostrato ed è stato dimostrato nella bassissima partecipazione al voto, che viene incentivata da alcune delle norme che ho richiamato. Pertanto, abbiamo deciso di chiedere al Governo, da un lato, di darci indicazioni, in particolare su quali siano gli intendimenti riguardo ai temi del limite dei mandati e della democrazia interna, e anche sulla fonte che si intende adottare per la riforma, in quanto, mancando una delega specifica, ci interessa capire se si ritiene di intervenire con un decreto del Presidente della Repubblica, in quanto si ritiene la materia soggetta a delegificazione, o se si intende far riferimento ad altra delega.
Svolgo un'ultima considerazione. Nella discussione in corso sulla legge di stabilità è stata presentata una proposta di emendamento, da parte della Commissione giustizia e della maggioranza, che prevedeva una proroga di tutti questi ordini fino al 30 giugno 2016. Questa proroga sembrerebbe prodromica alla emanazione delle norme che rinnovano gli organi. La norma è stata dichiarata inammissibile dalla Commissione bilancio. Noi – lo dico subito – non saremmo contrari a una proroga di questo tipo, se servisse a fare emanare delle norme che vanno nel senso del rinnovamento, dell'aumento della democrazia interna e della facilitazione dell'accesso alle cariche ordinistiche anche da parte di chi, fino a oggi, è stato scoraggiato dal partecipare alla vita associativa.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Buongiorno e grazie, Presidente, per avermi dato la parola. Devo dire che l'onorevole Mazziotti Di Celso e l'onorevole Monchiero, che sono oggi i presentatori di questa interpellanza urgente, toccano dei temi non solo molto attuali, ma importanti per il Ministero della giustizia – e quindi per il Governo – perché toccano il tema del riordino delle professioni.
Nella nostra società, ma anche per quanto riguarda il funzionamento della giustizia e, quindi, per tutto quello che il Governo sta facendo per dare al Paese una giustizia più efficiente, di qualità, più rapida, più giusta, il ruolo del professionista è un ruolo determinante, è un ruolo che qualifica, è un ruolo che aiuta anche l'organo della magistratura, se pensate a tutto quello che ruota intorno alla perizia, alla consulenza tecnica d'ufficio. Quindi, è un ruolo tecnico, che accompagna e molto spesso è determinante per quanto riguarda anche i tempi e la qualità della decisione.
Il professionista è determinante anche per il ruolo che può avere, dal punto di vista tecnico, nel saper conciliare le parti, ossia tutto ciò che è anche alternativo alla giurisdizione, su cui questo Governo tanto ha lavorato, con dei provvedimenti importanti. È un settore in cui, quando vi sono questioni tecniche, i professionisti danno un contributo spesso determinante.
Ho svolto questa premessa per dire che, nel momento in cui si punta, si crede nel ruolo del professionista e nelle funzioni che svolge – anche con tutto quello che negli anni è stato investito nella formazione dei professionisti, proprio per garantire Pag. 31ai cittadini servizi di qualità, certificazioni, anche relativamente a ciò che riguarda tutta la riforma della pubblica amministrazione, ossia quando si parla di semplificazione, di meno burocrazia, di dove e di quando il cittadino si confronta con la pubblica amministrazione –, il ruolo del professionista, che spesso assiste il cittadino, è determinante.
Detto questo, da parte del Ministero c’è l'intenzione concreta, intanto, di aggiornare una normativa che disciplina gli ordini professionali. Si tratta di un aggiornamento che è necessario proprio per cogliere quello spirito – che è poi contenuto anche nell'interpellanza degli onorevoli Mazziotti Di Celso e Monchiero – di rappresentatività, di maggior democrazia, di confronto, di ricambio anche all'interno, di discussione. Occorre consentire che anche negli ordini professionali ci sia sempre più questo confronto e delle regole nuove, partendo da strumenti giuridici che sono comunque datati e che necessitano un intervento, anche perché sta cambiando il ruolo del professionista. Gli ordini professionali, tra l'altro, hanno un ruolo determinante. Il Ministero della giustizia ha la vigilanza sugli ordini professionali, perché chiaramente in questo cambiamento, in questa fase nuova gli ordini professionali che gestiscono la formazione, da cui dipende la professionalità e anche l'indipendenza dei professionisti, hanno competenze anche per quanto riguarda la materia disciplinare – non solo quella della formazione – dell'aggiornamento, del confronto con le altre professioni, tanto che, poi, tra gli interlocutori del Ministero ci sono anche le reti tecniche di cui parliamo.
Quindi, vi è la necessità di aggiornare anche la materia elettorale, perché poi sulle regole elettorali si fonda la base della democrazia interna e anche esterna, per quanto riguarda la vita professionale e la vita dei professionisti. Parliamo di regole nuove. Poi arrivo a dei punti, mi devono scusare gli onorevoli interpellanti se non do, poi, delle risposte precise, perché è un cantiere aperto. Infatti, lo scopo del Ministero della giustizia non è quello di imporre una soluzione, ma di arrivarci condividendola. Quindi, è stato aperto un tavolo con le reti delle professioni. Si parla, in questo caso, di professioni tecniche. È un tavolo per condividere queste regole. Quindi, anche il testo a cui fanno riferimento gli onorevoli interpellanti è un testo non definitivo, è un testo che deve essere ancora rielaborato e ancora deve esserci un confronto aperto. Non deve essere un testo chiuso e deve dare anche quelle risposte che oggi, in quest'Aula, sono state sottoposte. Quindi, occorrono massima attenzione, condivisione, coinvolgimento delle professioni. Non sono state prese delle decisioni in modo definitivo. Quindi, mi impegno, qualora interpellanti lo richiedano, anche a tornare in quest'Aula per ragionare sugli sviluppi di un testo che, su molti punti, non è certamente aggiornato.
Quindi, l'intervento normativo allo studio del Ministero, relativo alle modifiche del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, in tema di riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi dei dottori agronomi, forestali, architetti, pianificatori, paesaggisti, conservatori, assistenti sociali, attuari, biologi, chimici, geologi, ingegneri, esiste ed è allo studio, come è aperto questo tavolo. Gli interroganti esprimono una serie di preoccupazioni in ordine ad alcune previsioni che sarebbero contenute nel detto intervento normativo. In particolare a quella che permetterebbe alla data di entrata in vigore del decreto a chi ha già assunto uno o più mandati nel consiglio territoriale o nazionale di assumerne di nuovi, nonché evidenziando i rischi connessi all'abbassamento dei quorum previsti per la validità dell'elezione dei consigli territoriali e nazionali e alle modifiche dei meccanismi e delle procedure di voto, che sarebbero inclusi nella riforma.
Queste sono le contestazioni degli interpellanti. Ciò posto, preme evidenziare, come ho già detto, come la complessità della materia presenti numerosi profili di criticità, come dimostrato, peraltro, anche dal considerevole contenzioso amministrativo e giudiziario sorto nel corso dell'applicazione Pag. 32del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, che costituisce la normativa di riferimento in materia. E di qui, quindi, anche la necessità di un intervento riformatore in una materia resa ulteriormente complessa dalla eterogeneità e dalla quantità cospicua di professionisti. Parliamo di 800 mila persone coinvolte e si tratta, infatti, di soggetti portatori di interessi spesso differenti e di non sempre agevole composizione, perché sono interessi contrapposti e da qui nasce anche il numero del contenzioso. Preme tuttavia segnalare come il Ministero si sia attivato ad un ripensamento della predetta disciplina nell'ambito di una serie di incontri con le categorie professionali interessate, aprendo un confronto non dissimile a quello ottenuto per altre tematiche e che ha portato a risultati positivi e costruttivi. È emerso anche in tali sedi come nella rivisitazione normativa della materia sia necessario confrontarsi con le diversità ordinamentali, perché ogni professione ha un proprio ordinamento e quindi, nel trovare la sintesi, si deve anche trovare un punto di equilibrio e di unicità nella diversità del tipo di professione e le peculiarità connesse alle specifiche questioni afferenti alle diverse categorie professionali ed al numero di iscritti (gli ingegneri sono circa 250 mila, gli attuari, per esempio, sono circa mille, iscritti all'albo) e quindi anche la questione della rappresentanza di genere, tradizionalmente poco valorizzata negli ordini delle professioni tecniche. Ho portato questi due dati (250 mila ingegneri e mille attuari) per far capire che quando si creano delle regole uniche per più professioni, ecco che questa differenza, anche di numero, ha un significato, per quanto riguarda le regole, la rappresentatività e tutto quello che condividiamo sul principio anche di alternanza, di tutela di minoranza e di democrazia, perché sono numeri davvero diversi. Nella prospettiva di trovare una soddisfacente composizione dei fattori di complessità sin qui elencati, è comunque allo studio del Ministero della giustizia, come è stato affermato nell'interpellanza, un intervento normativo, quindi esiste l'intenzione di modificare, riformare, il sistema elettorale delle professioni tecniche e d'ordine degli assistenti sociali, e quindi una modifica al decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005. L'intervento normativo in esame ha l'obiettivo di razionalizzare, semplificare e uniformare la disciplina elettorale per le professioni regolamentate, con speciale riferimento riguardo all'area tecnica. E uno dei principi cui intende ispirarsi il progetto di riforma è certamente da ricercare nella necessità di semplificazione delle procedure elettorali. Quindi, più semplificazione, meno cavilli elettorali, regole chiare, certe e semplici. Ad esempio, le proposte tuttora oggetto di analisi e discussione – desidero sottolinearlo: tuttora oggetto di analisi e discussione –, volte alla semplificazione e all'affermazione del principio di trasparenza, riguardano la possibilità di procedere alla riduzione del numero dei componenti dei consigli territoriali nazionali in proporzione al numero degli iscritti; riguardano le modalità di composizione del seggio elettorale, in modo tale che il presidente, il vice e il segretario nonché i due scrutatori vengano scelti tra iscritti che non abbiano presentato la loro candidatura, per evitare conflitti di interesse; inoltre, particolare attenzione verte sul contenimento dei tempi e dei costi del procedimento elettorale, perché oggi sia i costi che i tempi di questi procedimenti sono eccessivi, quindi anche su questo dobbiamo intervenire.
Preme altresì evidenziare che si tratta di un provvedimento ancora in fase di analisi, suscettibile, come tale, di ulteriori modifiche ed affinamenti che potranno arricchirsi anche dei contributi acquisiti nel corso delle consultazioni con tutte le categorie interessate, ormai da tempo aperte, come sopra ricordato. Quanto, infine, alla scelta dello strumento normativo più idoneo, dalle relazioni trasmesse dalla competente articolazione ministeriale emerge come dallo studio preliminare attualmente in corso lo strumento regolamentare sia stato ritenuto conforme alla scelta del legislatore di delegificare la Pag. 33materia. Tale strumento, infatti, è stato già utilizzato per il settore universitario e della ricerca scientifica, nonché per la modifica introdotta nella disciplina dell'ammissione all'esame di Stato per alcune professioni. Si rassicurano pertanto gli interroganti che, nel perfezionamento del disegno riformatore, saranno tenuti in primario rilievo i princìpi volti a garantire la semplificazione, l'innovazione, il contenimento dei costi, la riduzione del contenzioso e che, nella definizione dei singoli profili, verrà tenuto in considerazione anche l'esito delle consultazioni che ho già citato, per quello spirito costruttivo che contraddistingue il nostro operato.

PRESIDENTE. L'onorevole Mazziotti Di Celso ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Grazie, Presidente. Naturalmente la soddisfazione non può che essere interlocutoria, visto che la risposta del Ministero descrive un lavoro in corso e un cantiere aperto. Alcune brevissime considerazioni. È giustissimo quello che ha detto il sottosegretario: le professioni hanno un grande ruolo, un ruolo sempre crescente nell'ambito del sistema giustizia, nella gestione dei procedimenti disciplinari. Ci sono sicuramente degli aspetti fondamentali delle professioni che richiedono continuamente riforma e attenzione, per questo è benvenuta l'intenzione del Governo di riformare il sistema elettorale, questa è una buona notizia. Alcuni degli aspetti descritti dal sottosegretario, però, vanno proprio nella direzione di quello che noi abbiamo chiesto: quando si dice che gli ordini sono fondamentali per l'esercizio della funzione disciplinare, la funzione disciplinare deve coinvolgere qualcuno che non è espressione della maggioranza consiliare, perché altrimenti, come abbiamo visto – nelle situazioni più negative ovviamente –, vi sono ordini gestiti senza il giusto controllo. Quindi, il sistema disciplinare diventa fondamentale anche da quel punto di vista. Se la gestione della giustizia disciplinare non è sufficientemente aperta e controllata, anche magari da qualcuno che non è espressione di chi governa l'ordine, la situazione potrebbe essere non del tutto aperta. Lo stesso vale per il confronto che il Governo giustamente ha avviato con tutte le categorie, però se il confronto con le categorie si rivolge o si concentra soprattutto in incontri con, giustamente, gli ordini territoriali – e nazionali e questi ordini territoriali e nazionali riflettono soltanto una posizione e non una pluralità di posizioni – è evidente che il confronto diventa un confronto parziale. Per cui, noi siamo assolutamente favorevoli alla semplificazione di cui parla il Governo. Si è detto che bisogna semplificare e ridurre i costi del meccanismo elettorale: è verissimo, però semplificazione non significa ridurre i quorum o la partecipazione, perché in quel modo si scoraggia la democrazia interna. Ad esempio, se semplificazione volesse dire consentire o imporre – che sarebbe ancora meglio – la possibilità del voto online, del voto via PEC, di voti fatti in questa forma, così sì che si semplificherebbe e si spenderebbe molto di meno, ma, allo stesso tempo, si allargherebbe la partecipazione. Per cui, noi pensiamo che si debba andare nella direzione di un sistema che, tenendo conto delle differenze di numeri – è ovvio che un ordine con mille iscritti non può funzionare come uno con 250 mila, bisogna tenere conto di entrambi – si debba però assicurare il ricambio generazionale, perché il punto che noi abbiamo sollevato, del numero dei mandati, diventa un elemento fondamentale. Ci sono ordini che hanno gli stessi componenti da dieci o quindici anni addirittura, in questo modo è difficile pensare che ci sia un avvicinamento di professionisti che fino ad oggi sono stati fuori dalla vita ordinistica e che scelgano di iniziare a partecipare ora, se non c’è un chiaro segno di discontinuità con un sistema che si è cristallizzato per anni.
Per cui il nostro auspicio è che il Governo non consenta alcuna modifica delle regole attuali sul numero di mandati, non consenta a chi ha raggiunto il limite di ripresentarsi, e introduca dei meccanismi di gestione e di partecipazione che assicurino una presenza larga, una partecipazione Pag. 34democratica, semplice, poco costosa ma la più ampia possibile. Perché noi pensiamo... Scelta Civica l'ha sempre pensato sugli ordini legali, su commercialisti, notai, avvocati: abbiamo presentato una proposta che si basa proprio sulla modifica delle regole di accesso agli ordini, eliminando i requisiti di età, prevedendo che, quando ci sono due candidati in parità tra il più anziano e il più giovane, entri il più giovane, che si eviti di introdurre criteri basati come per gli avvocati sul fatto di essere iscritti all'albo dei cassazionisti per essere parte del consiglio nazionale forense. Tutte regole che bloccano il sistema !
Abbiamo sempre presentato proposte che servono a tutelare i giovani professionisti. Sempre con riguardo alle categorie legali, ad esempio, l'obbligo di prevedere un compenso minimo: c’è una proposta di legge che stiamo portando avanti in questo senso ! E nello stesso tempo continueremo ad occuparci delle professioni tecniche, perché noi pensiamo che i giovani dottori agronomi, dottori forestali, architetti, biologi, ingegneri e tutte le altre categorie di cui abbiamo parlato debbano avere la possibilità di partecipare alla vita elettorale degli ordini. Oggi è molto difficile; con una disciplina simile a quella inserita nella bozza che è circolata noi pensiamo che resterebbe difficile: per cui auspichiamo che il Governo intervenga su quel documento, lo modifichi e introduca regole che possano davvero consentire una vita democratica e al tempo stesso efficiente di questi ordini.

(Iniziative di competenza, anche di carattere normativo, alla luce dell'articolo 6 della CEDU e della sentenza della Corte di cassazione n. 32619 del 2014, in ordine al giudizio di appello e alla composizione dei relativi collegi giudicanti, con particolare riferimento alla presenza di magistrati che abbiano rivestito incarichi di governo – n. 2-01192)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta e Alberto Giorgetti n. 2-01192, concernente iniziative di competenza, anche di carattere normativo, alla luce dell'articolo 6 della CEDU e della sentenza della Corte di cassazione n. 32619 del 2014, in ordine al giudizio di appello e alla composizione dei relativi collegi giudicanti, con particolare riferimento alla presenza di magistrati che abbiano rivestito incarichi di governo (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo all'onorevole Alberto Giorgetti se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ALBERTO GIORGETTI. Presidente, l'interpellanza che abbiamo deciso di presentare come gruppo, l'onorevole Brunetta, io ed altri colleghi, è un'interpellanza che punta ad affrontare un tema assolutamente delicato, che è quello della composizione dei collegi, così come ricordato da lei, Presidente. Vorremmo avere parole di chiarezza da parte del Governo relativamente a queste condotte, alle iniziative di trasparenza, alle eventuali iniziative normative, le iniziative di competenza del Dicastero in merito alla verifica delle condizioni anche di opportunità rispetto alle procedure in atto, che partono da alcuni elementi che sono purtroppo agli occhi dell'opinione pubblica e che hanno avuto ampio risalto: in particolar modo un caso specifico che riguarda il nostro collega senatore Minzolini, che noi vogliamo qui evidentemente ricordare come esempio, a maggior ragione oggi, di una condotta metodologica di carattere giudiziario discutibile, dal punto di vista dei collegi giudicanti ma anche per quello che riguarda l'aspetto prettamente politico.
In premessa vorremmo ricordare che l'articolo 24 della Costituzione di fatto pone le basi essenziali della tutela giudiziaria, e di conseguenza del diritto ad un giudizio imparziale, perché garantisce a tutti di agire in giudizio sancendo l'inviolabilità del diritto di difesa. L'articolo 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo sancisce il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente, in un tribunale terzo e imparziale, cosa che noi Pag. 35riteniamo purtroppo non essere avvenuta nel caso Minzolini.
I requisiti di imparzialità e terzietà del giudice sono definiti in modo pressoché unanime da giurisprudenza e autorevole dottrina come caratteristica di neutralità del giudice, che deve agire libero da ogni interesse, pregiudizio e preconcetto anche rispetto ai propri percorsi professionali. La Corte di cassazione, con sentenza n. 32619 del 2014, ha stabilito che il giudice d'appello deve rinnovare l'istruttoria se vuole dare una diversa valutazione della prova testimoniale, sia nel caso egli voglia riformare in peius la sentenza di assoluzione di primo grado, che nel caso in cui vi sia già stata condanna.
Cioè ci dev'essere una nuova istruttoria, cosa che purtroppo non è avvenuta. La Corte europea dei diritti dell'uomo, interpretando l'articolo 6 della Carta, con sentenza del 5 luglio 2011 ha sancito l'obbligo del giudice d'appello di riesaminare il testimone qualora intenda utilizzare in modo difforme dai giudici di primo grado la sua dichiarazione: cosa che anche in questo caso è stata disattesa.
Alla luce del differente giudizio delle Corti d'appello, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di cassazione, il Ministro della giustizia dovrebbe chiarire come possa essere assicurato il rispetto dei principi affermato dalla Corte medesima; e dovrebbe provocare una maggiore e più approfondita riflessione sul tema del ribaltamento delle sentenze, e in particolare sul ribaltamento dell'assoluzione, soprattutto laddove questo venga fatto dipendere da una diversa valutazione dei fatti.
Ricordiamo che il 27 ottobre 2014 la terza Corte d'appello di Roma ha condannato a due anni e sei mesi per peculato, dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto due anni di reclusione, il senatore in carica Minzolini, parlamentare di Forza Italia, dopo che era stato assolto in primo grado nel febbraio 2013. Il giudice ha fissato anche per lo stesso periodo l'interdizione dai pubblici uffici. Il 12 novembre 2015 la sesta sezione penale della Corte di cassazione ha poi confermato la condanna e l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena.
Giova inoltre evidenziare la grave circostanza – questo poi è il punto fondamentale, Presidente – che ha visto la presenza, all'interno del collegio giudicante in appello, del magistrato Giannicola Sinisi, ex parlamentare dell'Ulivo nonché sottosegretario per l'interno durante il primo Governo Prodi e nel primo governo D'Alema. Risulta inoltre all'interpellante che, a tre giorni dalla data fissata per l'udienza presso la Corte di cassazione, sia stata modificata la composizione del collegio giudicante, sostituendone il presidente.
Insomma, noi vorremmo che il Governo chiarisse gli elementi che sono a sua conoscenza, e quali iniziative intenda assumere per garantire percorsi che possano dare certezza di giudizio in una condizione di terzietà del collegio giudicante.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Presidente, gli onorevoli interpellanti oggi impongono all'attenzione del Governo una questione specifica che riguarda il senatore Minzolini, e toccano anche però dei temi di politica generale e di rapporti di chi svolge incarichi politici provenendo dalla magistratura; e quindi il tema anche dell'apparenza e dell'imparzialità e l'indipendenza dei magistrati, quando poi ritornano e cessano il loro mandato: in questo caso mandato parlamentare e di Governo, ma il tema vale anche per quanto riguarda chi riveste un incarico negli enti locali o negli enti regionali.
Sono temi che sono nell'agenda politica. C’è un disegno di legge che è stato approvato dal Senato e che ora è alla Camera, e sul quale ci sarà un confronto come sempre con le forze parlamentari. È un tema che è attuale, in quanto c’è anche un equilibrio di diritti da contemperare anche al fine di trovare delle soluzioni.Pag. 36
Tra l'altro lo stesso CSM, con la delibera delle 21 maggio 2014, ha espresso appunto un parere in tema di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati nell'occasione di elezioni politiche o amministrative o in relazione all'assunzione di incarichi di Governo nazionali e territoriali. Lo stesso CSM nella motivazione dice: «Occorre avviare una riflessione generale per verificare se l'articolata griglia di regole che impone condizioni di ineleggibilità e incompatibilità può ritenersi ancora adeguata a garantire comunque il corretto equilibrio tra due princìpi costituzionali contrapposti: il diritto del magistrato a non essere escluso dall'esercizio dei diritti di elettorato passivo e l'esigenza di salvaguardare l'immagine di indipendenza del singolo magistrato e la credibilità della magistratura, che va sempre preservata essendo un patrimonio delle istituzioni della Repubblica; e dunque se non sia opportuno ragionare su regole coerenti con l'attuale assetto delle istituzioni politiche e con l'attuale struttura della carriera del magistrato».
Questi sono passi della motivazione della delibera che ho citato per mostrare come il tema sia attuale, perché quando si parla di indipendenza e autonomia della magistratura, in cui tutti crediamo, in cui l'organo del CSM, che è il baluardo dell'indipendenza in quanto opera in difesa dell'indipendenza della magistratura, occorre però anche difendere questa indipendenza non solo all'interno alla magistratura, ma anche un'autonomia e un'imparzialità che debba anche essere non solo sostanziale ma anche di apparenza. Sono questi temi generali di cui ora seguiremo gli sviluppi anche in questo ramo del Parlamento con riguardo al disegno di legge che ho prima citato, salvaguardando anche i diritti e trovando un equilibrio tra i vari diritti costituzionali.
Questo è uno dei temi, così come l'altro tema prospettato dagli interroganti è quello della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Proprio in questi giorni è stato organizzato un convegno importante sulla Corte europea dei diritti dell'uomo e sulle funzioni anche della giurisprudenza della CEDU e il rapporto tra giudice nazionale e giudice sovranazionale, quindi una giustizia che oggi è sempre più europea e anche il giudice nazionale è portato a seguire l'orientamento della CEDU. Su questo si inserisce il tema della rinnovazione degli atti, perché c’è una sentenza che viene citata, quella appunto che stabilisce che quando la corte d'appello condanna a seguito di una sentenza di assoluzione – quindi sentenza di assoluzione di primo grado, appello del pubblico ministero, condanna della corte d'appello poi confermata la condanna dalla Corte di cassazione – allora il tema è nel caso in cui, dopo un giudizio di primo grado in cui un cittadino viene assolto, la corte d'appello, come previsto nel nostro ordinamento, può ribaltare la decisione e viene citata una decisione della corte, della CEDU nel caso Dan c/ Moldavia decisa il 5 luglio 2011, che si sofferma sulla necessità di rinnovare l'istruttoria dibattimentale.
La Corte di Cassazione, di cui non si sono ancora lette le motivazioni, ma anche la corte d'appello, nel ragionamento che ha fatto nella motivazione, sembra non abbiano seguito questo orientamento della Corte europea, che impone l'obbligo e la doverosità di rinnovare l'istruttoria dibattimentale quando però la decisione si sia basata sulle prove dichiarative, quindi dice la Corte, quando le prove sono dichiarative e quindi il giudice d'appello ritiene di ribaltare la decisione, deve obbligatoriamente rinnovare l'istruttoria dibattimentale.
In questo caso il ragionamento della corte d'appello si è basata su una diversa valutazione dell'elemento psicologico e non c’è stata la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ma ci si è soffermati sulla diversa valutazione riguardante l'elemento psicologico. Il collegio di appello non ha censurato l'attendibilità delle fonti orali, escusse ma, attraverso la rilettura integrale di tutte le prove acquisite nel dibattimento, ha formulato valutazioni complessive di segno contrario.
Sul punto, come è noto, il giudizio di appello è un procedimento critico avente Pag. 37per oggetto la sentenza impugnata, per cui la rinnovazione delle prove rappresenta un istituto derogatorio rispetto al principio della presunzione di completezza dell'istruttoria di primo grado e l'ordinamento pertanto non conferisce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice di appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, ma vincola e subordina tale potere nel suo concreto esercizio alla condizione che il giudice ritenga nella sua discrezionalità di non poter decidere allo stato degli atti.
È pur vero che, per influenza della giurisprudenza sovranazionale, la Corte di Cassazione ha sancito la doverosità della rinnovazione istruttoria per la riassunzione delle prove dichiarative, specie nei casi in cui il giudice di appello intenda riformare la sentenza assolutoria. Tale doverosità è tuttavia circoscritta, come dicevo prima, nel ragionamento della corte, alla verifica di attendibilità delle prove dichiarative ove di queste si prospetti una diversa valutazione.
Al contempo, la Cassazione ha precisato che l'esercizio del potere di disporre la rinnovazione dell'esame dei testimoni, esercitabile anche nel corso del giudizio di appello, involge un giudizio di mera opportunità che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, così recitano le sentenze della Cassazione n. 1634 nel 2014 e la n. 9322 del 2010. Poste tali premesse, occorre precisare come nel caso in esame costi invece che la valutazione operata dalla corte di appello, di segno contrario rispetto al giudice di primo grado, abbia trovato, come evincibile dalla lettura della motivazione della sentenza, fondamento esclusivo in argomentazioni strettamente giuridiche che hanno portato a escludere la buona fede dell'imputato nell'erronea interpretazione delle disposizioni relative all'uso delle carte aziendali RAI.
Il Collegio ha dato atto nella motivazione del fatto che è apparsa superflua la rinnovazione del dibattimento e che tanto la giurisprudenza CEDU che quella della Cassazione prevedono, come già illustrato, a determinate condizioni. Il principio di diritto prospettato dall'interrogante che è sancito, ed è giusto dirlo, nella pronunzia della Corte europea del 5 luglio 2011, è stato ritenuto nella sentenza della Corte di cassazione citata come un principio da osservare in linea di massima, avendo considerato i giudici di legittimità come la pronuncia della Corte CEDU costituisca espressione del principio di immediatezza che si ritiene attuato quando vi sia un rapporto privo di intermediazioni tra l'assunzione della prova e la decisione.
Nella sentenza n. 32619 del 2014, richiamata proprio dall'interrogante e citata anche oggi in Aula, consta come la Corte abbia altresì motivato che, al fine di permettere una valutazione sull'attendibilità delle dichiarazioni, si vuole che il giudice prenda direttamente contatto con le fonti di prova, aggiungendo come ciò sia una regola non di carattere assoluto, in quanto tale ascolto deve avvenire in linea di massima, perché generalmente la semplice lettura non risolve il compito complesso di valutazione dell'attendibilità intrinseca del testimone.
Dagli accertamenti svolti dalla competente articolazione ministeriale non è risultata la violazione o un'errata applicazione dei parametri sopra indicati; la doglianza sollevata sul punto investe pertanto una questione di stretto merito, ancorata alla fattispecie concreta, e la valutazione del collegio giudicante è stata condivisa dalla Corte di cassazione che ha confermato la pronuncia.
Mi preme però sottolineare in questa sede, che le considerazioni che precedono segnano all'evidenza il limite del sindacato del Guardasigilli, il quale già, secondo il dettato costituzionale, non dispone comunque di prerogative che possano tradursi in valutazioni del merito delle decisioni giurisprudenziali; quindi in questo caso il Guardasigilli non ha un potere di incidere, così prevede la nostra Costituzione proprio nei limiti dei poteri degli equilibri costituzionali, su decisioni dell'autorità giudiziaria e quindi di sindacarne il merito, quando invece è rimesso l'intervento del Guardasigilli solo nei casi residuali di abnormità.Pag. 38
Quanto, invece, alle questioni sollevate in relazione alla precostituzione e all'imparzialità del giudice, dalle informazioni acquisite risulta come, tanto il collegio del processo d'appello come quello del giudizio di legittimità, siano stati composti in conformità alle vigenti previsioni tabellari della corte di appello di Roma e della Corte di cassazione, entrambe adottate in epoca antecedente la data di celebrazione del giudizio. Sono stati quindi rispettati quei criteri tabellari che è giusto che ci siano, perché è giusto che il cittadino abbia diritto ad avere un collegio già definito al momento che arriva la causa, perché altrimenti si violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge che deve garantire imparzialità e terzietà.
Quindi, il cittadino, nel momento in cui è di fronte a una corte o a un tribunale, deve avere un collegio definito che non deve essere composto al momento, perché altrimenti si violerebbe proprio il criterio tabellare e quindi mancherebbe quel requisito anche dell'apparenza di imparzialità che garantisce il principio del giudice naturale precostituito per legge e che viene garantito con il sistema tabellare approvato dal CSM, che tutti i tribunali devono avere e di cui si devono dotare.
Va peraltro rilevato come il procedimento presso la Corte di cassazione sia stata chiamata all'udienza di discussione del 12 novembre 2015, previo differimento dell'originaria data, in accoglimento di un'istanza di rinvio del ricorrente avanzata oralmente nel mese di luglio e formalizzata per iscritto il 29 settembre come risultato dal fascicolo di causa. In riferimento invece ai dubbi sull'imparzialità di uno dei componenti del collegio di appello sollevate in relazione alla pregressa esperienza parlamentare e ministeriale, si osserva come le cause di astensione del giudice siano tassativamente previste dal codice di rito e allo stato non contemplano l'ipotesi che un pregresso impegno politico, parlamentare o governativo del magistrato possa integrare una grave forma di inimicizia personale, laddove sia stato svolto in compagine avversaria ad una delle parti.
Quanto all'ipotesi residuale dei gravi motivi di opportunità, è noto come gli stessi vadano invece valutati nel concreto atteggiarsi della fattispecie e in relazione al collegamento dei fatti per cui si procede con le funzioni pubbliche e politiche svolte. Nel caso di specie non risulta però che l'imputato abbia ricusato alcuno dei giudici del collegio né abbia rappresentato anche successivamente concreti elementi cui ancorare i gravi motivi di opportunità che avrebbero imposto l'astensione del giudice e, quindi, non è parsa pertanto configurarsi la violazione di doveri funzionali.
Invero il tema dell'esercizio dei diritti di elettorato passivo dei magistrati e le conseguenze che investiture politiche amministrative possono determinare sul successivo esercizio delle funzioni e sulle incompatibilità dei magistrati è oggetto, come dicevo in premessa, di ampio dibattito pubblico e parlamentare. Il Ministro segue con attenzione l'iter parlamentare della proposta di legge n. 2188 che citavo all'inizio, trasmessa dal Senato il 13 marzo 2014 e attualmente all'esame in Commissione alla Camera. L'iniziativa normativa è ispirata all'esigenza di restituire organicità e coerenza al sistema normativo vigente, trasferendo a livello di fonte primaria una disciplina in larga parte sinora affidata alle circolari del CSM che mira a coniugare l'imparzialità e l'indipendenza della funzione giurisdizionale con il legittimo esercizio dei diritti politici dei magistrati, evitando al contempo ogni interferenza con l'espletamento delle funzioni giudiziarie.
Sotto il profilo espressamente evidenziato nell'atto ispettivo, l'articolo 6 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e non anche onorari, che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento nazionale o al Parlamento europeo, prevedendo che alla cessazione del mandato il magistrato non possa svolgere le funzioni precedenti. Nella sede parlamentare propria potrà pertanto essere ricercata la più appropriata composizione del delicato equilibrio tra i valori in gioco anche attraverso una rinnovata delimitazione della materia dell'astensione e della ricusazione Pag. 39del giudice. Quindi, il tema certamente rientrerà tra il gioco di questo equilibrio che chiaramente deve portare tutti ad una grande attenzione per garantire non solo quell'imparzialità effettiva ma anche quell'apparenza che fa comunque status e comunque rientra nel concetto di imparzialità del magistrato e di terzietà.

PRESIDENTE. L'onorevole Alberto Giorgetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ALBERTO GIORGETTI. Signor Presidente, grazie al sottosegretario Ferri, che ha ampiamente argomentato la posizione che però, devo dire, al di là del suo impegno e della stima, personale nei suoi confronti, è una posizione che non ci convince, non ci soddisfa, perché risulta in questo suo intervento come sia chiaro a noi, a lui, evidentemente al Ministero e alla politica, come le aree grigie della discrezionalità applicativa delle normative vigenti, del ruolo del Ministero e evidentemente dell'aspetto fondamentale che è la garanzia dell'equilibrio nel percorso processuale siano tutti elementi da dibattere, da discutere nelle sedi parlamentari, senza che ci siano punti fissi che possano essere in qualche modo utilizzati per poter operare e per rendere evidentemente i casi come quello di Minzolini adeguatamente giudicati, senza il dubbio che questo avvenga con una matrice politica.
Crediamo quindi che questo tipo di posizione non sia condivisibile e che, in qualche modo, debba anche richiamare a una responsabilità forte perché è evidente che sono temi di agenda politica, è evidente che è necessario trovare, come è stato richiamato da Ferri, un equilibrio di diritti da contemperare. È altrettanto evidente che il caso specifico, che è sotto gli occhi di tutti, non poteva non essere, per così dire, problematico dal punto di vista del percorso con cui è stato portato avanti alla luce del rilievo politico. Tale rilievo politico deve comprendere anche evidentemente le valutazioni sui collegi. Infatti che vi fosse una matrice politica deriva dai soggetti intervenuti in queste vicende all'epoca: dall'onorevole Di Pietro, poi successivamente dallo stesso ruolo di Minzolini in un percorso molto chiaro e molto forte dal punto di vista politico rispetto agli elementi di questa legislatura che ha portato alla successione di due Governi con caratteristiche diverse. È altrettanto evidente che lo stesso ruolo di Sinisi doveva portare ad un atteggiamento diverso innanzitutto rispetto a quella che doveva essere una forma di astensione: il fatto cioè di riuscire a comprendere che rispetto a un tema così delicato vi fosse in qualche modo una rinuncia al ruolo per fare in modo che si potesse garantire una presenza con una terzietà diversa. Allo stesso modo è stata altrettanto importante nel percorso processuale la scelta discrezionale di rinnovare sostanzialmente le prove senza attivare un nuovo meccanismo nell'esame complessivo delle vicende, evidentemente con il rinnovo del dibattimento. A nostro modo di vedere sono condotte che portano a far pensare a una valutazione di ordine – tra virgolette – «politico» tale da arrivare purtroppo ad una sintesi, ad una conclusione che è stata quella sotto gli occhi di tutti, gravissima a nostro modo di vedere, di un primo grado in cui una richiesta del PM viene addirittura portata a giudizio con una pena più pesante di quella che era la richiesta del pubblico ministero. Insomma ne risulta un contesto complessivo, Presidente, – lo dico al sottosegretario Ferri di cui riconosco l'onestà intellettuale – in cui i problemi sono tanti e dobbiamo cercare di trovare delle sintesi. Però esistono anche i casi specifici e su essi, a nostro modo di vedere, il Dicastero e il Ministro dovrebbero intervenire direttamente per verificare le responsabilità di una valutazione che, a nostro modo di vedere, è stata stressata all'opposto rispetto a quelli che sono i canoni tradizionali di valutazione, che lei stesso ha ricordato, durante le procedure e, quindi, nell'esercizio della capacità tecnica di scegliere quale poteva essere lo strumento più idoneo per garantire la terzietà di giudizio che, a nostro modo di vedere, è stato portato avanti in modo discutibile, parziale, speriamo non fazioso, anche se evidentemente i risultati sono quelli che conosciamo Pag. 40e che soprattutto non trovano una risposta. Infatti, sottosegretario Ferri, benché si tratti di una vicenda specifica, tuttavia non possiamo permetterci, il nostro sistema giudiziario non può permettersi la sommatoria di vicende specifiche che lascino il dubbio che ci sia una matrice politica che in certe fasi comunque interviene a sanzionare di più qualcuno che non la pensa come te. Detto banalmente, questo è l'elemento che noi dobbiamo garantire e di cui il Parlamento si deve occupare in tutti i suoi passaggi, stabilendo gli elementi di garanzia fondamentali per avere un equilibrio e una parità che evidentemente consenta alla difesa di poter rappresentare al meglio il proprio assistito e di sentirsi sicura di poter esercitare le proprie funzioni, garantendolo fino in fondo in una logica di equilibrio. Questo non è avvenuto e abbiamo la sensazione che sia finalizzato ad arrivare a un passaggio ulteriore che è quello – tra virgolette – dell’«eliminazione politica» evidentemente del soggetto giudicato per mezzo di una sentenza che, anche dal punto di vista della pena, consenta poi di attivare altre dinamiche che possono portare alla possibilità purtroppo negativa di perdere un ruolo, di perdere il seggio, con una violazione definitiva del principio democratico elettorale, che costringe chi siede su questi scranni, chi è arrivato qui con un consenso elettorale forte a non poter più rappresentare la gente che lo ha eletto.
Quindi, tutti questi elementi sono elementi che vanno indubbiamente connessi, su cui c’è un lavoro da fare. Siamo disponibili anche noi, ovviamente, a collaborare in questo senso, ma chiediamo che ci sia anche un percorso preciso di valutazione di ciò che è accaduto, di ciò che sta accadendo sul caso specifico, perché il caso specifico è comunque, evidentemente, drogato da una visione che, a nostro modo di vedere, è lesiva nei confronti del senatore Minzolini e di qualunque altra persona avesse potuto vivere, con quelle caratteristiche e quel contesto, un processo così duro e, soprattutto, portato avanti da chi, a nostro modo di vedere, non era nella serenità per poterlo fare in modo equilibrato e terzo.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Convocazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni, per la relativa costituzione (ore 13,08).

PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha convocato la Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato in missioni militari all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti di deposito di munizioni, in relazione all'esposizione a particolari fattori chimici, tossici e radiologici dal possibile effetto patogeno e da somministrazione di vaccini, con particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico e a eventuali interazioni, per la relativa costituzione, giovedì 17 dicembre alle ore 14, presso la sede di Palazzo San Macuto.

Sui lavori dell'Assemblea e annunzio della convocazione del Parlamento in seduta comune (ore 13,09).

PRESIDENTE. Ricordo che, come stabilito dal vigente calendario dei lavori, nella settimana 7- 11 dicembre l'Assemblea non terrà seduta, per consentire alla Commissione bilancio di esaminare i documenti finanziari.Pag. 41
Avverto che lunedì 14 è convocata, alle ore 15, la riunione del Parlamento in seduta comune per l'elezione di tre giudici della Corte costituzionale. La chiama avrà inizio dai senatori.
Conseguentemente, lo svolgimento della discussione congiunta sulle linee generali dei disegni di legge n. 3444, recante la legge di stabilità 2016, e n. 3445, recante il bilancio di previsione per il 2016 e per il triennio 2016-2018, già previsto per lunedì 14 dicembre, alle ore 14, è differito alla seduta di martedì 15 dicembre, a partire dalle ore 10.
Avverto, inoltre, che con lettera del 3 dicembre 2015, il presidente della Commissione affari sociali ha chiesto, a seguito di un orientamento unanime dell'ufficio di Presidenza, che l'esame in Assemblea del testo unificato delle proposte di legge recanti disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario, previsto a partire dal 15 dicembre, non abbia inizio prima di venerdì 18 dicembre. L'esame del provvedimento in Assemblea è quindi differito ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 15 dicembre 2015, alle 10:

1. – Discussione congiunta sulle linee generali dei disegni di legge:
S. 2111 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (Approvato dal Senato) (C. 3444).
S. 2112 – Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (Approvato dal Senato) (C. 3445).
Nota di variazioni al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (C. 3445-bis).

(ore 18)

2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2112 – Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (Approvato dal Senato) (C. 3445).
Nota di variazioni al Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2016 e bilancio pluriennale per il triennio 2016-2018 (C. 3445-bis).

3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 2111 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) (Approvato dal Senato) (C. 3444).

4. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio (C. 3446).

5. – Seguito della discussione della proposta di legge:
BUSINAROLO ed altri: Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato (C. 3365-A).
e delle abbinate proposte di legge: BUSINAROLO ed altri; FERRANTI ed altri (C. 1751-3433).
Relatrici: Businarolo, per la II Commissione; Casellato, per l'XI Commissione.

La seduta termina alle 13,10.