XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 382 di mercoledì 13 ottobre 2010

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10,30.

EMILIA GRAZIA DE BIASI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 7 ottobre 2010.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, Dal Lago, Gregorio Fontana, Giancarlo Giorgetti, Jannone, Leo, Lo Monte, Mazzocchi, Melchiorre, Mura, Nucara, Sardelli, Stucchi e Tabacci sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del Documento: Schema della decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 (Doc. LVII, n. 3) (ore 10,33).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del Documento recante lo Schema della decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Ricordo che il procedimento si svolgerà secondo le modalità previste dall'articolo 118-bis del Regolamento, in base a quanto stabilito nel parere della Giunta per il Regolamento del 14 luglio del 2010.
In particolare, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 118-bis, le risoluzioni riferite allo Schema della decisione di finanza pubblica devono essere presentate nel corso della discussione.

(Discussione - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Bitonci.

MASSIMO BITONCI, Relatore. Signor Presidente, la Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 (DFP), trasmessa alle Camere il 30 settembre 2010, costituisce il nuovo Documento di programmazione economico-finanziaria - delineato dalla nuova legge di contabilità e finanza pubblica - e sostituisce il DPEF.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 10 della legge n. 196 del 2009, la DFP indica Pag. 2gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica almeno per il triennio successivo.
Essa reca, inoltre, importanti novità quale la definizione degli obiettivi programmatici articolati per i tre sottosettori del conto delle amministrazioni pubbliche relativi all'amministrazione centrale, alle amministrazioni locali e agli enti di previdenza.
Con riferimento ai contenuti specifici della DFP in esame, osservo che nel documento si precisa che, avendo il Governo anticipato all'inizio dell'estate la manovra triennale di finanza pubblica 2011-2013 con il decreto-legge n. 78 del 2010, essa si limita a recepire gli effetti del citato decreto-legge di manovra, confermando nella sostanza gli obiettivi programmatici già esposti nella RUEF per il 2010, presentata a maggio scorso.
Si sottolinea il superamento della DFP quale documento di programmazione economica e finanziaria alla luce della ormai prossima riforma della politica economica europea, che si sta sviluppando e discutendo in questi giorni, in vista dell'approvazione - probabilmente già da questo autunno - di una nuova versione del Patto di stabilità e crescita.
Inoltre, nello spirito della nuova strategia Europa 2020, la Commissione europea ha previsto un coordinamento strategico dei diversi momenti di definizione programmatica per i Paesi membri attraverso l'introduzione di un semestre europeo già a partire dal 2011.
Secondo quanto riportato nella premessa allo schema di DFP, i nuovi documenti politico-contabili europei, Stability Program e National Reform Program, che dovranno essere presentati da ciascun Paese nell'aprile del prossimo anno, assumeranno una «centralità politica assoluta».
Sarà conseguentemente all'interno di questo nuovo schema europeo, e non all'interno dello schema di DFP, che si concentrerà la discussione sulla politica economica.
Inoltre, secondo quanto stabilito in via transitoria, solo per quest'anno una prima versione del Programma nazionale di riforma deve essere presentata in sede europea il prossimo mese di novembre.
Con l'introduzione del semestre europeo, gran parte dei contenuti che l'attuale quadro normativo riserva alla DFP dovranno essere quindi anticipati al fine di addivenire, entro il mese di aprile, alla presentazione alla Commissione del Programma nazionale di riforma e del Programma di stabilità e convergenza, e all'adozione, da parte di quest'ultima, delle linee guida e delle raccomandazioni di politica economica che saranno vincolanti per gli Stati membri.
Inoltre, i Piani nazionali di riforma e i Programmi di stabilità dovranno essere predisposti tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo negli stessi procedimenti.
Ad inizio giugno, sulla base dei PNR e dei PS, la Commissione europea elabora le raccomandazioni di politica economica e di bilancio rivolte ai singoli Stati membri, che saranno approvate dal Consiglio Ecofin. Nella seconda metà dell'anno gli Stati membri approvano le rispettive leggi di bilancio, tenendo conto delle raccomandazioni ricevute.
Con riferimento al quadro macroeconomico, ed in particolare alla congiuntura internazionale, osservo che la DFP si sofferma sulla ripresa economica che ha caratterizzato i primi due trimestri del 2010. Rilevo infatti che, nel corso dell'anno, l'economia mondiale ha fatto registrare stime congiunturali e tendenziali in progressivo aumento, grazie alla consistente ripresa del commercio mondiale, che è stimato crescere del 10 per cento nel 2010, dopo la sensibile riduzione che vi è stata nel 2009, che è stata pari all'11 per cento, per poi ridimensionarsi a tassi più bassi ma stabili nel triennio successivo.
Lo scenario previsto per il 2010 prospetta, dopo la contrazione registrata nel 2009, una crescita dell'economia globale pari al 4,4 per cento. Nell'area dell'euro, il prodotto interno lordo è tornato su valori positivi, con un incremento dell'1 per Pag. 3cento nel secondo trimestre 2010. Il recupero del livello positivo della crescita, stimata all'1,7 per cento nel 2010, è trainato dal significativo risultato dell'economia tedesca, con un incremento del 2,2 per cento nel secondo trimestre rispetto a quello precedente, che per il 2010 è prevista crescere del 3,4 per cento, grazie alla netta ripresa, come si è detto, del commercio mondiale.
La previsione per il 2011 nell'area dell'euro è di una lieve diminuzione della crescita all'1,6 per cento, destinata poi a risalire a livelli non inferiori al 2 per cento nel biennio successivo.
In relazione ai risultati registrati nel corso del 2010, che indicano un'evoluzione positiva della crisi mondiale, lo scenario descritto dalla DFP è più favorevole rispetto a quello previsto nella RUEF, che ipotizzava una crescita mondiale per il 2010 del 3,6 per cento e una ripresa del commercio mondiale del 5,8 per cento.
Con riferimento al quadro macroeconomico italiano per il triennio 2011-2013, rilevo che quanto prospettato nello schema della DFP riflette sostanzialmente le prospettive di recupero dell'economia internazionale. Il documento presenta, infatti, una revisione al rialzo delle stime di crescita dell'economia italiana per l'anno in corso dell'ordine di 0,2 punti percentuali. In particolare, per il 2010 il PIL è stimato crescere dell'1,2 per cento, rispetto all'1 per cento che era previsto nella RUEF di maggio.
Le nuove previsioni confermano i segnali di consolidamento della ripresa economica dell'Italia, trainata soprattutto dalla domanda estera. In particolare ricordo che, in base ai comunicati dell'ISTAT, nei primi due trimestri del 2010 il prodotto interno lordo è tornato a crescere, aumentando nel primo trimestre dello 0,4 per cento rispetto al trimestre precedente, e nel secondo trimestre dello 0,5 per cento.
Osservo che per il 2011 è previsto un ritocco alle stime di crescita del prodotto interno lordo, passando dall'1,5 per cento previsto a maggio all'1,3 per cento, in relazione ai segnali di rallentamento degli scambi internazionali e della crescita, in particolare degli Stati Uniti, emersi dopo l'estate, che potrebbero determinare un rallentamento della ripresa economica anche in Italia. Nel biennio successivo la crescita annua è prevista attestarsi al 2 per cento, con un parziale recupero, secondo la DFP, di un ancora ampio gap di capacità produttiva inutilizzata.
Da segnalare, tuttavia, il dato comunicato dall'ISTAT, molto importante, secondo cui la produzione industriale ha fatto registrare nel mese di agosto un aumento tendenziale del 9,5 per cento (miglior dato dal 1997), mentre nei primi mesi del 2010 la variazione rispetto allo stesso periodo del 2009 è stata pari al più 5,9 per cento.
In tale quadro intendo richiamare quanto affermato nel corso dell'audizione del rappresentante della Banca d'Italia, che ha sottolineato l'importanza, al fine di sostenere la ripresa economica e di rafforzare la crescita, di sviluppare la competitività del sistema anche attraverso una maggiore efficienza del comparto pubblico, nella cui direzione peraltro vanno le misure adottate recentemente da questo Governo.
Secondo le stime contenute nella DFP si prevede che i consumi finali complessivamente aumentino dello 0,4 per cento nel 2010, dato cui dovrebbe seguire una crescita dello 0,6 per cento nel 2011, che continuerà anche negli anni seguenti.
Anche gli investimenti fissi, dopo la forte contrazione degli anni scorsi, sono previsti in crescita del 2,2 per cento nel 2010. Il dato essenzialmente è attribuibile alla dinamica degli investimenti in macchinari, con un incremento del 7,5 per cento, sostenuta dalle agevolazioni fiscali e dalle esportazioni.
Gli investimenti in costruzioni invece continuano, ancora nel 2010, a risentire del ciclo negativo che ha interessato il settore durante il 2009, facendo registrare un decremento del 2,5 per cento.
Gli scambi con l'estero mostrano segnali di ripresa: in particolare, le esportazioni aumenterebbero del 7,1 per cento nel 2010, trainate dal rinnovato vigore del Pag. 4commercio mondiale e dal deprezzamento dell'euro, che ha tuttavia mostrato segni di ripresa nelle ultime settimane.
Anche le importazioni, dopo il risultato ampiamente negativo del 2009, aumenterebbero del 5,9 per cento per il 2010.
Osservo che il mercato del lavoro, secondo le stime del Governo, continua a mostrare segni di debolezza, con il tasso di disoccupazione che si collocherebbe attorno all'8,7 per cento nel 2010 e nel 2011, per poi ridursi progressivamente e attestarsi all'8,4 per cento nel 2013.
Secondo quanto riportato nel documento, anche sulla base dell'andamento più recente dei conti pubblici, le misure adottate nel complesso consentiranno il rispetto degli obiettivi programmatici concordati in sede europea, contenuti nell'aggiornamento del programma di stabilità e confermati nella RUEF presentata a maggio scorso. Le nuove previsioni indicano, dunque, un livello di indebitamento netto tendenziale in linea con quello programmatico esposto nella RUEF di maggio.
Mi preme inoltre evidenziare che lo spostamento relativo alla spesa per interessi si riduce sensibilmente per effetto di uno scenario dei tassi di interesse più favorevole di quello previsto. Rilevo che, sulla base del nuovo quadro tendenziale aggiornato riportato nello schema di DFP, il livello di indebitamento netto è sostanzialmente legato ad una significativa riduzione delle spese complessive, che passerebbero dal 52,5 per cento nel 2009 al 48,6 per cento nel 2013, anche per effetto delle politiche dirette alla riqualificazione della spesa pubblica.
Come già riportato nella RUEF, nel periodo 2010-2013 il quadro aggiornato evidenzia una progressiva riduzione dell'indebitamento netto, che, pur mantenendosi al di sopra del livello del 3 per cento fino al 2011, sarà contenuto al 5 per cento nel 2010, in coerenza con gli impegni assunti in sede europea, per raggiungere poi un valore del 2,2 per cento nel 2013. A tal proposito, ricordo che le misure volte a rendere più efficiente la pubblica amministrazione e ad elevare l'età di pensionamento contribuiranno a rendere strutturale il contenimento della spesa. Inoltre, saranno cruciali le modalità di attuazione del federalismo fiscale e necessario il passaggio, nel più breve tempo possibile, dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard.
Nel 2011 il rapporto tra debito e PIL si attesterà attorno al 119,2 per cento, circa mezzo punto percentuale in aumento rispetto alle stime della RUEF, mentre già a partire dal 2012 si conferma il trend discendente del parametro.
Ritengo importante sottolineare che lo schema della DFP evidenzia come larga parte della dinamica del debito della pubblica amministrazione sia riconducibile alle amministrazioni centrali, a fronte di una sostanziale stabilità del debito delle amministrazioni locali, come confermato e ribadito anche da rappresentanti degli enti locali (mi riferisco all'incontro con l'ANCI e l'UPI), intervenuti nel corso delle audizioni svoltesi questa settimana.
È proprio in questo settore della pubblica amministrazione che l'azione del Governo dovrebbe essere più incisiva per il contenimento della spesa pubblica.
Da ultimo, meritano apprezzamento le scelte operate dal Governo nel Programma delle infrastrutture strategiche, allegato allo schema di DFP. In particolare, sembra da condividere la scelta di conferire a tale Programma la nuova e più incisiva funzione di rappresentare un nuovo itinerario programmatico articolato su due cadenze temporali distinte, una di breve e medio periodo e una di lungo periodo. Nell'attuale quadro di finanza pubblica, che prevede un contenimento delle spese in conto capitale, è, infatti, sempre più necessario che il Governo individui precise cadenze temporali per la definizione dei programmi di spesa, concentrando le risorse su infrastrutture di carattere strategico, evitando, in tal modo, la loro dispersione in una pluralità di finanziamenti di importo trascurabile e il ripetuto differimento dei termini di realizzazione degli interventi.
In questo contesto deve, quindi, condividersi la scelta operata dal Programma delle infrastrutture strategiche che ha inteso Pag. 5predisporre un quadro di interventi che rivestono un ruolo essenziale e strategico. Vi è stato, dunque, un parere favorevole dell'VIII Commissione con le seguenti condizioni: che sia considerata come priorità, in sede di assegnazione delle risorse da parte del CIPE, l'intervento riguardante il nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione; che sia spostata, compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, dalla tabella 3 alla tabella 2 l'opera viaria Pedemontana Piemontese-Raccordo autostradale Biella-Carisio; che siano completati, entro i termini prescritti, i progetti e i documenti relativi ad infrastrutture strategiche individuate in sede europea tra le opere prioritarie, con particolare riferimento alle tratte Verona-Padova e Verona-Monaco che il Governo ha già inserito tra le priorità della tabella 2, allo scopo di non perdere le risorse finanziarie europee in tali tratte; che sia inserita, tra le priorità del Governo, il completamento dell'autostrada A27 Venezia-Monaco, tratto Belluno-Dobbiaco; che siano inserite, tra le opere della cosiddetta legge obiettivo, la Valsugana tratto Bassano del Grappa-Pian dei Zocchi, funzionale alla fluidificazione del traffico del territorio servito dalla Pedemontana veneta e anche le bretelle di collegamento, come, ad esempio, la Limena-Bassano alternativa alla strada statale n. 47; che siano previsti opportuni finanziamenti per il completamento della strada Fano-Grosseto già inserita nella priorità del Governo in tabella 2; che siano mantenuti gli impegni assunti dal Governo in ordine al completamento entro il 2013-2014 dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, assicurando, a tal fine, le risorse economiche necessarie; che siano, infine, sostenute le modalità di pagamento volte ad accelerare i pagamenti dei crediti delle piccole e medie imprese verso le pubbliche amministrazioni.
Emerge, quindi, l'importanza di una revisione del Patto di stabilità degli enti locali al fine di liberare parte delle risorse e dei residui attivi nel bilancio dei comuni che consentirebbero il pagamento dei crediti delle aziende nei confronti della pubblica amministrazione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, innanzitutto mi rivolgo subito a lei e, per suo tramite, al Presidente della Camera perché sarebbe opportuno che prima o poi ci capissimo una volta per tutte. Abbiamo approvato, non molto tempo fa, all'unanimità in entrambi i rami del Parlamento, la legge n. 196 del 2009 che prevedeva tutta una serie di procedure, tempi e documenti che dovevano essere allegati alla Decisione di finanza pubblica. E, invece, che cosa constatiamo? Che il Governo non ha rispettato una legge approvata all'unanimità dal Parlamento italiano.
Affermo questo perché la procedura di formazione della Decisione di finanza pubblica avrebbe dovuto iniziare il 15 luglio - luglio! - con un rinvio alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che è ancora da istituire, e alla Conferenza unificata, delle linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica tra i diversi settori istituzionali.
E la conferenza avrebbe poi dovuto approvare queste linee guida entro il 10 settembre. Sempre entro il 15 luglio quelle linee guida dovevano essere inviate anche alle Camere. Tutto ciò non è avvenuto in disprezzo totale, da parte del Governo, di una legge approvata all'unanimità e in disprezzo naturalmente del Parlamento nel suo insieme, nonostante i richiami fatti ancora recentemente dal Presidente della Repubblica perché sulle decisioni di finanza pubblica vi fosse un coinvolgimento pieno del Parlamento. Non risultano allegate le relazioni programmatiche per ciascuna missione, le relazioni sullo stato di attribuzione della legge pluriennale (articolo 10, comma 6, della legge n. 196 del 2009), il quadro riassuntivo delle leggi di spesa, la ricognizione dei contributi pluriennali iscritti a bilancio e non sono Pag. 6indicati gli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica. Il Governo mi dirà che tutto questo era inutile perché c'è stata la manovra estiva, per capirci quella del decreto-legge n. 78, imposta dall'Unione europea entro il giugno scorso e quindi non è una scelta del Governo. È vero che è stata imposta ma è altresì vero che quella manovra è stata subìta dal Parlamento, perché è stata approvata con l'ennesimo voto di fiducia.
Ma veniamo alla Decisione di finanza pubblica. Non ho alcuna intenzione di parlare di una cosa nata morta, di uno zombi, esattamente come il Governo. Secondo il «superministro» la Decisione di finanza pubblica fotografa una situazione sullo stato di salute della finanza stessa, anticipata a suo dire con il decreto-legge n. 78, che ha - è sempre lui che parla - consentito, in primo luogo, di mettere in sicurezza i conti pubblici e, in secondo luogo, di tracciare una linea di rientro per deficit e debito accertati in sede europea. Ma non è proprio così. Non è vero che siano stati messi in sicurezza i conti pubblici e siano state tracciate linee di rientro per il deficit.
Signor Ministro plenipotenziario, la manovra estiva ha raggiunto quegli obiettivi? Glielo chiedo, ce lo dica una volta per tutte. Secondo lei sì, tant'è che nella premessa alla Decisione scrive: «sarà possibile giungere alla presentazione di una legge di stabilità» che dovrebbe arrivare in Parlamento tra tre giorni, anzi due, «sostanzialmente tabellare e di contenuto assai ristretto». Che questo documento al nostro esame sia sostanzialmente e politicamente superato lo sappiamo bene anche noi, ma non perché quanto doveva essere deciso è già stato deciso, come ha detto il Ministro, ma perché i fatti sono inconfutabili e pesano come macigni. Quali sono questi fatti? Eccoli, i nuovi documenti politico-contabili europei: lo stability program, il national reform program che chiederanno al nostro Paese sacrifici pesantissimi. Quali? Quelli di rientrare rispetto ai due parametri: il deficit e il debito. Del deficit lo sapevamo, del debito abbiamo sempre fatto finta di nulla. Ridurre il debito pubblico per rientrare nel 60 per cento in rapporto con il PIL vuol dire ridurlo di 50 miliardi ogni anno nei prossimi dieci anni. Con gli attuali tassi di interesse e con gli scenari di crescita fiacca della nostra economia tale aggiustamento comporterà un avanzo primario di circa il 5 per cento del PIL.
Guardiamo dunque quello che è contenuto nella Decisione. Si dice che l'avanzo primario mediamente sarà inferiore al 2 per cento: da una parte il 5 e dall'altra parte il 2 e soltanto per i prossimi tre anni quando, invece, ne occorrerebbero dieci. Il che vuol dire che non verrà raggiunto quanto ci chiederà l'Unione europea. Quindi secondo l'Unione europea si prospetta una manovra complessivamente di circa 9 punti percentuali di PIL in tre anni. Se questa riduzione del debito non verrà conseguita da qui a tre anni il nostro Paese dovrà pagare una sanzione che è pari ad oltre un punto percentuale del PIL. Oltre il danno anche la beffa: dovremo pagare anche una sanzione.
Come se ne esce allora? Modificando profondamente la politica economica, cioè puntando su una più profonda crescita, su un contenimento della spesa pubblica, su un contrasto vero e deciso dell'evasione fiscale. Invece nel documento che si proietta al 2013, termine di questa legislatura - almeno termine naturale -, non vi è alcun cenno ad una strategia di rientro del debito, che è aumentato invece in questi due anni e mezzo di oltre 200 miliardi, un record assoluto, cioè oltre il 15 per cento è stato il trend di questo periodo. E ciò nonostante il fatto che il sistema bancario e finanziario italiano non abbia subìto le conseguenze che ha avuto in altri Stati e che lo Stato italiano non abbia dovuto mettere mano al portafoglio per sanare quanto il sistema bancario e finanziario ha fatto in altri Stati; in secondo luogo, nonostante il fatto che il costo del denaro sia decisamente inferiore, il più basso della storia e quindi questo non abbia gravato sugli interessi del debito pubblico e nonostante, in terzo luogo, i vari condoni e scudi fiscali che hanno portato risorse nelle casse dello Stato. Pag. 7
Quindi abbiamo tre fatti «favorevoli» e un aumento di 200 miliardi del debito. Perché? Perché la spesa pubblica è cresciuta a dismisura, sia quella corrente, anzi soprattutto quella, nonostante i tagli lineari o forse proprio per i tagli lineari, ma anche quella per gli investimenti e poi per gli sprechi, per le caste, per gli atti corruttivi, per l'evasione fiscale (che ha raggiunto ormai i 120-125 miliardi di euro l'anno), per il lavoro nero (che sta andando alla grande: il fatturato mafioso da solo viene stimato in 100 miliardi di euro).
Il Fondo monetario ha messo sotto controllo, cari amici della maggioranza e del Governo, proprio il nostro debito, che oggi è al 118,5 per cento, oltre a quello della Grecia: in altre parole, siamo sostanzialmente equiparati alla Grecia.
L'ISTAT poi certifica che nei primi sei mesi dell'anno il rapporto deficit-Pil è schizzato al 6,1 per cento e il documento afferma invece che dovremmo arrivare (e arriveremo, riporta il documento) al 5 per cento entro fine anno. Mission impossible si può tranquillamente dire, perché se siamo al 6,1 per cento quell'obiettivo lo si raggiunge soltanto se vi sarà una nuova manovra correttiva.
Ma va tutto bene per il Ministro, il quale ha sintetizzato così (leggo testualmente): «Gli obiettivi del 2010 saranno assolutamente centrati», non mi pare proprio; «le turbolenze per l'Italia non saranno possibili», allora le affermazioni del Fondo monetario che citavo prima? «Il debito pubblico è meno infelice degli altri» sì, della Grecia, ma rispetto a tutti gli altri Paesi è decisamente più infelice. Poi aggiungeva ancora: «L'Italia è in condizioni» - attenzione all'avverbio - «straordinariamente confortevoli»: beato lui che ci crede davvero o che vuole prendere in giro gli italiani.
L'oracolo - sempre il nostro «superministro» che non c'è - parla di uno o due Paesi che si affacciano sull'Atlantico, mentre il suo capo ci ha parlato di tutt'altro e questo per distogliere l'attenzione degli italiani dal problema vero: le entrate sono in calo, la pressione fiscale è sempre quella e la produzione industriale, signor relatore, è vero che è aumentata in agosto, ma non viene detto che è già diminuita nel mese di settembre purtroppo. Il tasso di disoccupazione è cresciuto a dismisura: non siamo all'8,7 per cento, quello reale, ma siamo oltre il 10 per cento, perché non vengono conteggiati gli inoccupati scoraggiati che non cercano più un lavoro.
Allora i rischi per il nostro Paese sono tanti, ecco perché bisogna rinegoziare in Europa i nuovi rapporti. Bisogna puntare decisamente di più sulla crescita, che invece il centro studi di Confindustria dice che non c'è, che stiamo molto peggio degli altri Paesi, che il reddito pro capite in Italia è in retromarcia, che vi sono carenze strutturali e ritardi competitivi, che la performance dell'Italia è tra le peggiori, che lo scenario economico si presenta confuso e incerto. Potrei ancora andare avanti a citare, ma cito solo una cosa: il nostro Paese - lo afferma sempre il centro studi di Confindustria - è al settantatreesimo posto per qualità del sistema infrastrutturale del trasporto. Allora mi dica, signor relatore: come può vantare tutto questo piano infrastrutturale allegato alla decisione, che rimarrà un libro dei sogni? Gli investimenti sono calati.
Concludo, signor Presidente. Il nuovo Patto di stabilità e crescita significherà per l'Italia tagli pesanti per oltre 35 miliardi. Le conseguenze sono inimmaginabili. Le proposte presentate il 29 settembre prospettano, quindi, un intervento molto duro che inciderà pesantemente e ancora di più su una crisi finanziaria che ormai è incontenibile e che mortificherà anche quegli interventi che potrebbero rilanciare la crescita perché tutte le risorse dovranno essere concentrate sul contenimento del debito.
Entro - concludo per davvero - il 12 novembre gli Stati membri dovrebbero presentare alla Commissione la bozza dei programmi nazionali di riforma. Pertanto, chiedo al sottosegretario e attraverso di lui al Ministro, quando verrà il Ministro a parlarci del programma nazionale di riforma? Il 12 novembre è dopodomani. Lo aspettiamo, perché le cose che ci ha raccontato nel corso dell'audizione sono delle Pag. 8«balle» mostruose (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori - Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, pur ritenendo il documento di finanza pubblica particolarmente puntuale su alcuni aspetti, nella consapevolezza che talune scelte siano state sollecitate dalle dinamiche globali, in primis le maglie della crisi economica, emergono tuttavia delle forti criticità, che si collocano oltre le stime di crescita del nostro Paese nei prossimi tre anni.
Alcune difficoltà analitiche attengono soprattutto al rapporto deficit-PIL nel prossimo triennio. Purtroppo il programma in esame non prevede ulteriori disposizioni correttive rispetto a quelle già previste nel mese di luglio. Però, tenendo presente che la DFP indica una riduzione della pressione fiscale nel 2011, il mancato riferimento ad ulteriori misure correttive sulla spesa comporterà un incremento del rapporto deficit-PIL ed una conseguente revisione degli obiettivi di finanza pubblica che però non sono previsti dal documento.
Credo che il documento risulti, quindi, alquanto deficitario rispetto alle originali aspettative o perlomeno come previsto nella ratio della legge n. 196 del 2009. L'obiettivo era quello di creare un documento su cui la politica avrebbe potuto esprimere i suoi programmi per lo sviluppo dell'Italia, ma - stando al documento attuale - risulta ben poco su cui lavorare.
A questi aspetti di natura macroeconomica, si aggiungono ulteriori aspetti che risultano completamenti assenti nel documento in esame. Faccio riferimento ad importanti misure correttive rivolte ai connazionali residenti oltre confine che non hanno trovato spazio nella manovra di luglio e che non sono previste nel documento di programmazione e, in particolare, alla proroga per il riconoscimento delle detrazioni per i carichi di famiglia dei lavoratori italiani residenti all'estero.
La natura di tale proposta è da ricondurre alla legge n. 2 del 2009, la cosiddetta prima manovra anticrisi che, modificando le disposizioni della legge finanziaria 2007 ha disposto all'articolo 6 la proroga al 2010 per le detrazioni fiscali per carichi di famiglia in favore dei soggetti non residenti. Infatti, il sussistere del carattere limitato di tale riconoscimento ai cittadini italiani residenti all'estero che producono un reddito assoggettabile ad IRPEF in Italia, pone questa categoria di lavoratori in una condizione di sostanziale disparità nei confronti dei residenti nel territorio nazionale.
Proprio in ragione di tale disparità, incomprensibile se si pensa che parliamo di cittadini italiani che lavorano per l'Italia e producono reddito in Italia, il Governo si è impegnato a riconoscere ai lavoratori italiani residenti all'estero un diritto ad un sostegno meritorio e doveroso in occasione dell'esame della legge finanziaria 2010, della legge finanziaria 2009, e dei due provvedimenti «milleproroghe» approvati negli ultimi due anni, oltre ai correttivi anticrisi.
Sarebbe auspicabile, considerando anche la disponibilità del Governo mostrata in occasione delle suindicate discussioni, estendere il diritto alla fruizione delle detrazioni anche per l'anno 2011, e siamo ben consapevoli del fatto che c'è poco tempo per rettificare la normativa vigente.
A tale correttivo si aggiunge quello attinente al riconoscimento dell'esenzione dal pagamento ICI, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 93 del 27 maggio 2008, successivamente convertito con modificazioni dalla legge n. 126 del 24 luglio 2008, agli immobili di proprietà dei residenti all'estero. Ricordiamo che l'articolo 1, comma 4-ter, del decreto-legge n. 16 del 23 gennaio 1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 75 del 24 marzo 1993, ha stabilito che «per i cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, si considera direttamente adibita ad abitazione principale l'unità immobiliare posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata». Pag. 9
Il decreto-legge n. 16 del 1993, ancora in vigore, quindi, introduce una sostanziale equiparazione tra le abitazioni principali dei residenti in Italia e le abitazioni dei non residenti, purché non locate. In sostanza, l'esenzione ICI introdotta nel 2008 dovrebbe applicarsi a tutte le fattispecie riconducibili alla definizione normativa dell'abitazione principale, quindi non solo all'abitazione ove il contribuente risiede o dimora, ma anche all'unità immobile che per legge deve essere considerata direttamente adibita ad abitazione principale, come quelle non locate possedute dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato. Il silenzio della legge o, comunque, la sua formulazione lacunosa lascia aperte diverse soluzioni interpretative, circa il godimento o meno dell'esenzione dell'ICI per il 2008 da parte dei cittadini italiani residenti all'estero.
È importante che tra le priorità del Governo nella programmazione e tra gli obiettivi di finanza pubblica vengano riconosciuti i suindicati correttivi, che consentano ai nostri connazionali di non vedersi considerati cittadini di serie B. Auspico che nella prossima legge di stabilità, che non si limiti ad avere una struttura tabellare, ci sia la possibilità di inserire interventi volti a favorire un sostegno ai cittadini e non ultimo alla crescita del Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatore, l'articolo 10 della legge n. 196 del 2009 di riforma della contabilità e finanza pubblica definisce gli strumenti di programmazione degli obiettivi di finanza pubblica. Rispetto al precedente DPEF, previsto dall'articolo 3 della legge n. 468 del 1978, la Decisione di finanza pubblica in discussione viene presentata entro il 15 settembre, anche se il Governo l'ha presentata il 30 settembre, quindi con notevole ritardo. Perché in notevole ritardo? Questo documento programmatico definisce il quadro macroeconomico, quello tendenziale di finanza pubblica, quello programmatico e previsionale per un triennio, l'aggiornamento delle previsioni dell'anno in corso, gli obiettivi articolati per sottosettori, ossia amministrazione centrale, amministrazioni locali, previdenza e assistenza pubblica, che sono i grandi comparti della spesa pubblica italiana.
La conoscenza di queste ed altre grandezze economiche e finanziarie sono la base essenziale per definire la proposta di legge di stabilità che sostituisce la vecchia legge finanziaria, la quale deve essere presentata entro il 15 ottobre prossimo, cioè tra qualche giorno. È evidente il rischio di un disallineamento tra i due documenti, quando invece il primo è il presupposto dell'altro.
La Decisione di finanza pubblica per il 15 settembre era stata decisa proprio per evitare le note di aggiornamento al DPEF e avvicinare gli obiettivi di programmazione alla legge di bilancio: due prerogative del Parlamento in senso classico. Ancora una volta, nonostante le recenti dichiarazioni del Presidente Berlusconi sull'importanza del ruolo del Parlamento che abbiamo ascoltato qualche giorno fa, il Governo mette con le spalle al muro Camera e Senato, obbligando a due decisioni, quella programmatoria e quella di bilancio, già assunte e blindate dalla maggioranza.
Il Ministro Tremonti ha sorvolato su queste procedure sostenendo che la Decisione di finanza pubblica è superata dal nuovo calendario imposto in sede europea con il semestre di bilancio, detto semestre europeo: così ci ha detto il Ministro nella sua audizione della settimana scorsa. Noi sosteniamo che è vero che vi è un diverso scadenzario delle decisioni di finanza pubblica, ma è pur vero che esso decorre dal 2011 e prevede tra marzo ed aprile un Programma di stabilità, il quale altro non è che un programma di obiettivi di finanza pubblica con gli stessi requisiti di questa Decisione di finanza pubblica che stiamo discutendo. Si tratta cioè di discuterne a marzo anziché a settembre; del resto, la prassi di anticipare la manovra correttiva di finanza pubblica prima dell'estate, così Pag. 10com'è stato con il decreto-legge n. 112 del 2008 e con il decreto-legge n. 78 di questo anno, sterilizza e frustra ogni intento programmatorio del Parlamento, lasciando la gestione e il controllo della finanza pubblica alle logiche ragionieristiche del Governo.
È di tutta evidenza poi la conseguenza di sacrificare la crescita economica, l'equità sociale e l'equilibrio con le istituzioni locali nel concorso al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica alla stupidità dei tagli lineari per tenere in sicurezza i conti pubblici. Anche un bambino di scuola elementare saprebbe tenere i conti in ordine tirando una riga che taglia del 10 per cento sia la spesa buona, sia quella cattiva; noi dell'Unione di Centro abbiamo sempre sostenuto che un taglio lineare ha senso solo se prima è stato fatto un taglio selettivo della spesa pubblica.
La forza e la capacità della politica e di un Governo sta nello scovare, prima di tutto, gli sprechi e poi la spesa improduttiva rispetto alla sua efficacia; solo dopo, quando tutti i centri di spesa sono stati asciugati alla pari, è possibile tagliare, alla pari, se necessario. Con i tagli lineari, invece, si puniscono i centri di spesa virtuosi che hanno saputo risparmiare e innovare a suo tempo e si premiano gli enti e le istituzioni spendaccione che tagliano, ma sul superfluo. Ecco perché questo è un Governo ingiusto ed incapace, perché rinuncia alla funzione principale della politica, che è quella di scegliere.
Lo abbiamo visto quando abbiamo discusso in questo ramo del Parlamento la riforma delle autonomie locali ed abbiamo chiesto, solo noi dell'UdC, la soppressione delle oltre 50 province sulle 107 esistenti, dimensionandole su ambiti superiori a 500 mila abitanti. Questo avrebbe comportato un risparmio strutturale annuo di oltre 2 miliardi di euro, in forma crescente negli anni successivi. Avrebbe comportato anche una ridefinizione degli uffici periferici dello Stato - ed in questo sta il vero risparmio - che sono ancora articolati in un ambito provinciale nonostante il trasferimento dell'80 per cento delle competenze dai Ministeri alle regioni con l'attuazione del federalismo amministrativo delle leggi Bassanini e della modifica del Titolo V della Costituzione. Ebbene, per paura di perdere qualche voto nelle province governate dalla Lega, non avete avuto il coraggio di farlo. Avete tagliato, invece, risorse alla scuola e avete infierito sul futuro dei giovani e del Paese per tenere in piedi clientele burocratiche, inutili e costose delle province.
A questo Governo e a questa maggioranza ciarliera, rissosa e inconsistente manca la politica, manca l'orizzonte, manca la mission; galleggia su alcune fortune del passato, ma non riesce a guardare al futuro e a cambiare l'Italia. Sarà però l'Europa ad obbligarvi al cambiamento: il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche condizionerà l'azione del Governo già nel 2011, molto di più delle intenzioni; la forte sorveglianza economica che si prospetta dopo le vicende della Grecia impone meccanismi di allerta e di sanzioni che richiedono un rientro dall'alto debito pubblico e dal disavanzo eccessivo in tempi più rapidi e certi rispetto agli impegni evanescenti finora assunti con i partner dell'Eurozona.
Il Ministro Tremonti, nell'audizione della scorsa settimana, si è mostrato ottimista su queste nuove procedure imposte dall'introduzione del semestre europeo, ricordando due aspetti favorevoli alle politiche di rientro: il primo riguarda il fatto che l'entrata in vigore a regime dei parametri di Maastricht decorre dal 2016, il secondo è l'introduzione di nuovi parametri per qualificare il debito pubblico.
Indubbiamente, la nuova definizione del debito come debito nazionale lordo, ossia debito pubblico più debito delle imprese finanziarie o come debito aggregato, ossia debito pubblico più debito privato di imprese e famiglie, al netto di quello delle imprese finanziarie, pone l'Italia tra i Paesi più virtuosi dell'Eurozona.
L'esperienza della Grecia, che pure beneficerà di questa innovazione, ha insegnato che i rischi di insolvenza finanziaria non possono concentrarsi solo sul settore Pag. 11delle pubbliche amministrazioni. L'Italia, con la Grecia, è il Paese con il debito privato più basso, pari al 240,8 per cento del PIL rispetto, ad esempio, al 952,1 per cento dell'Irlanda, che è la maglia nera dell'Europa.
Il debito delle famiglie italiane è del 42 per cento più basso di quello della Germania, della Francia e della Finlandia, che sono Paesi virtuosi per quanto riguarda il debito pubblico, delle pubbliche amministrazioni.
Questo dato certifica che una parte del debito pubblico italiano, tanto vituperato dalla Lega e da parte del PdL, finalizzato al sostegno di un welfare che renda la vita degli italiani più sicura socialmente, è un debito pubblico virtuoso. Gli italiani non devono indebitarsi per attendere ai bisogni essenziali della loro vita quotidiana (come la casa, la scuola, la salute, il lavoro e le pensioni).
Sta di fatto, però, che una parte del debito pubblico finanzia un apparato amministrativo che non solo rallenta e intralcia la vita economica e sociale del Paese, ma è anche inutilmente costoso, come ricordavamo poc'anzi con riferimento alle province.
Fino alla fine degli anni Ottanta, il nostro debito pubblico era sotto il PIL. Da quando è sceso in campo Berlusconi, con la Lega, e da quando vi è questo finto bipolarismo post-ideologico, il debito pubblico è andato oltre la ricchezza nazionale e da venti anni oscilla fra il 110 e il 120 per cento del PIL, ossia della ricchezza nazionale. Quest'anno e il prossimo anno il nostro debito pubblico rasenterà il 120 per cento.
Detto questo, non ritengo che vi sia da stare allegri sulla rigidità imposta dal nuovo Patto di stabilità e crescita. Il semestre europeo impone agli Stati membri una nuova strategia per la crescita e l'occupazione, in cui vengono evidenziate le debolezze strutturali che minano la competitività di ciascun Paese dell'Unione a ventisette, con maggiore attenzione e rigore per i Paesi dell'Eurozona.
L'Europa si è resa conto che gli obiettivi dell'agenda di Lisbona del 2000 non sono stati raggiunti, perché ogni Paese era libero di raggiungerli volontariamente e, quindi, sceglie un nuovo percorso più vincolante.
La globalizzazione impone economie competitive; l'Europa, invece, è vecchia e non compete, ha squilibri strutturali, sia geografici sia di settore, cresce da oltre dieci anni meno degli Stati Uniti, della Cina, dell'India, del Giappone e di altri competitor mondiali. L'Europa, per essere un'economia tra le più competitive del mondo, deve crescere almeno quanto gli Stati Uniti: pertanto, tutti devono remare nella stessa direzione.
La Commissione europea propone, quindi, due nuovi regolamenti comunitari, uno per introdurre un sistema di sanzioni ed uno per gli incentivi (tutti e due per i Paesi dell'Eurozona).
Tra i criteri delle valutazioni preventive - in cui emergono le debolezze strutturali di ogni Paese dell'Eurozona - potrebbe esserci la valutazione dei bilanci delle partite correnti, mentre tra le valutazioni correttive vi è la procedura per lo squilibrio eccessivo, con una sorveglianza più rigida.
L'Italia è a rischio sia per quanto riguarda il saldo delle partite correnti (l'avanzo primario negativo nel 2010 era pari a meno 0,3 per cento del PIL) sia sul disavanzo eccessivo, perché chiude il 2010 con un disavanzo del 5 per cento del PIL, ossia di due punti sopra il limite del 3 per cento previsto dal Trattato di Maastricht.
Anche le previsioni del disavanzo per il 2011 sono del 3,8 per cento del PIL: solo nel 2012 dovrebbe scendere sotto il 3 per cento.
Si impone pertanto un programma di riforme per il 2011 che non lascia spazio ad indugi.
La Decisione di finanza pubblica in discussione non è utile ai fini della programmazione della legge di stabilità, ma ci aiuta nell'analisi dei conti a capire la criticità del sistema, soprattutto perché ingloba gli effetti della manovra estiva del decreto-legge n. 78 approvato nel luglio scorso. Pag. 12
Dal quadro macroeconomico ci si rende subito conto che l'esultanza dei due primi trimestri del 2010 sulla ripresa deve raffreddarsi. Infatti, il disavanzo - come detto - rimane al 5 per cento, il saldo primario è negativo e il debito pubblico sale al 118,5 per cento.
Il disavanzo rimane alto nonostante i forti tagli operati con il decreto-legge n. 78: la spesa corrente primaria infatti risale all'1,1 per cento rispetto alle previsioni dello scorso maggio della Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, attestandosi al 43,5 per cento, ossia ai livelli massimi già raggiunti nel 2009. La spesa in conto capitale si riduce, invece, del 9,6 per cento, ossia si assesta al 3,8 per cento del PIL, riportandosi, in termini nominali, al 2005.
Questi dati indicano una stagnazione economica. Le misure di controllo dei conti pubblici assunte dal Governo hanno natura depressiva: da questi dati emerge come il taglio della spesa pubblica si sia tradotto in una riduzione degli investimenti, che sono la condizione essenziale per produrre ricchezza.
Gli enti locali e le regioni, infatti, stanno tagliando la spesa in conto capitale per rimanere nei parametri del Patto di stabilità interno e dentro i tagli del decreto-legge n. 78, anzi gli enti locali si trovano ad avere forti residui passivi che non possono spendere a causa dei criteri restrittivi del Patto di stabilità interno e delle sanzioni previste.
Oltre 40 miliardi è la stima IFIL delle risorse che sono bloccate nelle tesorerie a causa dei vecchi criteri meramente ragionieristici. Migliaia di imprese fornitrici di enti pubblici subiscono dilazioni di pagamento che vanno oltre i 200 giorni e non sono pagate dai comuni e dalle ASL perché supererebbero la linea rossa del Patto di stabilità interno. Molte imprese non assistite dalle banche chiudono o rischiano di chiudere.
L'Unione di Centro, da anni, chiede la modifica del Patto di stabilità limitatamente alle spese di investimento - e, in tal senso, la nostra risoluzione si orienterà - ma il Governo, per tutta risposta, nel 2010, rispetto al 2009 inasprisce i vincoli del Patto. Auguri, signor sottosegretario!
La dinamica della spesa corrente non si risolve dal lato degli effetti, ma dal lato delle cause: non basta tagliare. Nell'ultimo decennio la spesa corrente è cresciuta più del PIL: abbiamo speso più della ricchezza prodotta.
Non so se con il federalismo fiscale queste dinamiche saranno modificate: le intenzioni ci sono, ma i fatti sono diversi. La prima considerazione da fare è che la spesa centrale è cresciuta con lo stesso ritmo di quella locale, tuttavia il federalismo fiscale dovrebbe limitare la spesa locale non quella centrale. Quali sono i meccanismi per ridurre la spesa centrale? Buio pesto.
Ma anche il federalismo fiscale si è inceppato: entro il maggio 2011 scadono i ventiquattro mesi concessi al Governo dalla legge n. 42 del 2009 per approvare i decreti legislativi di attuazione del federalismo fiscale.
Finora sono stati approvati dal Governo solo i provvedimenti sul trasferimento del demanio e su Roma capitale; quest'ultimo, peraltro, rinvia l'attuazione ad altri decreti. Sono in corso di valutazione i provvedimenti sui costi e sui fabbisogni standard, che sono cruciali per la definizione dei livelli di spesa, in base ai quali potranno essere definite le entrate proprie con i decreti sulle imposte locali.
Mancano sei mesi e ancora siamo in alto mare. In questi due anni la Lega Nord e il Governo hanno dormito sonni tranquilli facendo sul federalismo fiscale solo propaganda, probabilmente per illudere alcuni elettori del nord.
L'Europa però ci interrogherà già nel prossimo febbraio sui saldi delle partite correnti di entrata e spesa. Noi ci presenteremo a quell'appuntamento con una dinamica di spesa corrente tutta da verificare rispetto agli obiettivi previsti dal decreto-legge n. 78.
La spesa locale, infatti, è ancora nelle mani delle regioni e degli enti locali che dovranno ridimensionarla, secondo gli Pag. 13obiettivi assegnati, con i propri atti di contabilità. Ce la faranno? Non lo so. Vedremo a consuntivo.
Di sicuro sappiamo che le entrate sono diminuite soprattutto dal lato delle imposte sulle persone fisiche - meno 7 miliardi - e la questione delle entrate vede una pressione fiscale ancora alta, al 42,8 per cento, tra le più alte d'Europa.
Il problema è quello dell'evasione fiscale; la massa delle imposte si concentra solo su una parte degli italiani che ne sopporta tutto il peso.
Il cuneo fiscale sul lavoro è superiore alla media dei Paesi dell'area euro di cinque punti, il prelievo sui redditi da lavoro li rende fra i più bassi, mentre quello sulle imprese è tra i più elevati, di circa 6 punti.
Secondo l'ISTAT, il valore dell'economia sommersa, ossia quella illegale che si sottrae alla misurazione fiscale, è di circa il 16,3 o il 17,5 per cento del PIL, ossia pari a circa 300 miliardi di euro l'anno.
Di particolare rilevanza è la dimensione dell'evasione dell'IVA, che si calcola essere, secondo la Banca d'Italia, di circa il 30 per cento della base imponibile della media 2005-2008, ossia pari a 30 miliardi di euro, pari al 2 per cento del PIL.
Secondo il Fondo monetario internazionale in uno studio fatto nell'anno 2006, la stima della perdita di gettito dell'IVA dovuta all'evasione fiscale in rapporto al PIL in Italia è doppia rispetto a quella della Francia e della Germania.
Si tratta quindi di intraprendere una lotta senza quartiere all'evasione fiscale. La lotta all'evasione fiscale è la prima delle scelte, perché moralmente giusta e perché abbassa la pressione fiscale per le imprese e per le famiglie, quale premessa per il rilancio economico. Se fossi al Governo, prima colpirei gli evasori e poi taglierei la spesa. L'evasione altera il mercato e la libera concorrenza, favorendo l'illegalità. L'evasione colpisce soprattutto i lavoratori a reddito fisso, che hanno la ritenuta d'acconto. Bisognerebbe fare l'esatto opposto di quello che ha fatto questo Governo, che ha favorito con i condoni e gli scudi fiscali i grandi evasori.
La crescita economica è indispensabile anche per favorire l'occupazione. La cassa integrazione ha congelato in parte gli effetti della crisi economica, la ripresa è però ancora lontana benché il commercio mondiale abbia ripreso vigore.
Abbiamo il dramma della disoccupazione, soprattutto fra i giovani tra i 15 e i 24 anni, che secondo l'ISTAT si è posizionata in agosto al 25,9 per cento. Non è la strada dei sussidi quella da percorrere, ma quella della crescita economica.
Oltre al rilancio dei consumi interni favorendo una maggiore disponibilità di reddito per le famiglie, abbassando quindi la pressione fiscale soprattutto a livello di famiglia, è necessario rilanciare anche il commercio estero. Occorre agire sulla leva della qualità totale dei nostri prodotti e sul costo del lavoro, investire sulle università anziché tagliare, favorire la ricerca e migliorare il valore aggiunto. Questa è la strada da percorrere in via prioritaria.
Occorre però anche migliorare la produttività. Nell'ultimo decennio la produttività di un'ora di lavoro è aumentata in media di poco più di mezzo punto percentuale l'anno, mentre nei Paesi dell'area euro è aumentata di un punto. Nell'ultimo decennio il tasso medio di crescita del PIL è stato dell'1,4 per cento, inferiore di un punto alla media dell'Eurozona. Bisogna crescere ed essere più competitivi.
Ci dispiace che questo Governo abbia fermato i processi di liberalizzazione nel comparto dei servizi e dell'energia: secondo l'OCSE, nei comparti del trasporto aereo, del gas, dei servizi postali, dei trasporti ferroviari e dei servizi professionali l'Italia è in posizione arretrata rispetto ad altri Paesi principali e avanzati del mondo occidentale. Eppure, queste sono riforme a costo zero.
Siamo arretrati anche sul rinnovo delle infrastrutture, dove occorrono riforme a costo zero. Non è infatti l'entità della spesa in conto capitale a rendere l'Italia arretrata rispetto ad altri Paesi europei, ma il modo in cui le risorse vengono spese, i ritardi e le complicazioni che si verificano nella realizzazione delle opere pubbliche. Per ogni punto percentuale di stockPag. 14di capitale pubblico investito si calcola una crescita del prodotto interno lordo dello 0,6 per cento nel lungo periodo.
Si tratta però di valutare l'adeguatezza e la velocità nella realizzazione delle stesse infrastrutture ed è in questo campo che i nostri ritardi nei controlli e nelle procedure di investimento sono inaccettabili. Ma in questa Camera - e non solo, anche nel Senato - non vi è un indizio di riforma di queste procedure.
Tutti questi nodi verranno presto al pettine nel semestre europeo. Ci auguriamo che il programma nazionale delle riforme, che accompagnerà il Piano di stabilità nel prossimo mese di marzo, renda evidenti per l'Europa le nostre criticità e acceleri il disegno riformatore di cui l'Italia ha bisogno.
Comunque, l'Unione di Centro sarà qui a ricordarlo e a sollecitarlo, come sta facendo da due anni (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, in Francia si dice touchons du bois dopo queste affermazioni (a livello popolare si dicono altre cose, ma attengono più ai «gabinetti di ginecologia» che alle Aule di un Parlamento).
Abbiamo sentito un'enormità di messaggi di sventura, di messaggi incredibili, con grandissime soluzioni per il momento: tagliare le auto blu e tagliare le province. Da queste due magiche soluzioni sicuramente per il futuro degli italiani deriverebbe una grande risposta!

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 11,35)

MASSIMO POLLEDRI. Ebbene, noi diciamo che abbiamo già tagliato le auto blu, perché, a una migliore lettura, si poteva vedere l'incasso di IVA per auto aziendali: le spese nel 2008 sono ridotte di 201 milioni, poi 243 e 300 milioni nel 2010.
Per quanto riguarda le province - e poi voglio parlare in positivo, perché questi sono piccoli sassolini - se ne prevede l'abolizione, quindi si prevedono ovviamente, perché contemplate nei due miliardi, le abolizioni delle spese per le strade e del resto: non dobbiamo quindi più spendere soldi per le strade provinciali, non dobbiamo più spendere i soldi per le scuole. Abolendo le province infatti noi dovremmo chiudere le strade, chiudere le scuole e, in questo modo, magicamente. Ciò è disonesto intellettualmente, è disonesto dirlo ai cittadini, è disonesto da tutti i punti di vista. Il massimo che si potrebbe ottenere dalla chiusura di alcune province - un percorso che si può realizzare - è la riduzione di qualche gettone per qualche assessore, con la quale si arriva al massimo ad una cifra molto più bassa.
È quindi un quadro drammatico quello che viene dall'opposizione, ma per fortuna il futuro del Paese non dipende dalla politica, ma dipende molto di più, nel bene e nel male, dalla voglia di lavorare dei nostri cittadini, dalla voglia di fare, dall'iniziativa imprenditoriale e dalla coesistenza di un tessuto sano. Esiste infatti una parte del Paese sana, che ha dato una risposta ben precisa a questa crisi. Ho sentito parlare di crisi e ieri si sono invocati scenari apocalittici: quando c'eravamo noi con il centrosinistra vi era un deficit del PIL del 2,7 per cento, ora voi siete arrivati al 5 per cento.

RENATO CAMBURSANO. Sei per cento!

MASSIMO POLLEDRI. Esiste una piccola questione che forse non è stata considerata. Invito il collega che mi interrompe gentilmente, segnalando il 6 per cento, a riguardare i dati. Non voglio magnificare l'intervento del Governo, perché il Governo e la maggioranza hanno fatto una sola cosa: avere fiducia negli italiani, avere fiducia nelle parti produttive del Paese nel nord, che ha continuato a rimboccarsi le maniche, che ha continuato Pag. 15a lavorare, ha continuato a produrre ricchezza nonostante le difficoltà quotidiane che incontra. Infatti, dobbiamo dirlo ben chiaro: chi oggi produce ricchezza in questo Paese è da considerarsi un matto.
Oggi chi continua a produrre in questo Paese, l'imprenditore che continua a produrre ricchezza, il piccolo artigiano che tutti i giorni alza le serrande, il commerciante, il piccolo bottegaio che tutti i giorni apre il proprio negozio, è una persona che ama il suo territorio, ma che molto spesso non è aiutato né dalla burocrazia né dallo Stato. E allora, dovremmo fare una cosa molto semplice, ossia tenere la barra dritta, tenere i nervi saldi, mantenere un clima di fiducia, mantenere gli ammortizzatori sociali e tenere unito il Paese dal punto di vista della coesione sociale. Dovevamo evitare la macelleria sociale, e questo abbiamo fatto, con molta umiltà, non pensando di arrivare a fornire soluzioni magiche, che, ricordo, non ci sono state. Abbiamo avuto fiducia anche nella sussidiarietà, perché questo è un Governo che crede che se la società va avanti, potendosi sviluppare liberamente, può produrre ricchezza. Ci sono state delle misure, sì, a favore dell'economia, ma non misure di intervento sul debito pubblico, perché è facile dire, citando una battuta del Ministro Tremonti, «Vi invito tutti a cena o vi invito tutti a bere. Chi paga il conto? Voi!». Abbiamo un debito pubblico, caro amico dell'UdC, che voi ci avete consegnato, perché il debito pubblico ce lo avete consegnato voi! Io vi ricordo Forlani e altri, come Craxi...

RENATO CAMBURSANO. Stefania Craxi è un vostro sottosegretario!

MASSIMO POLLEDRI....ed altri amici, ex del PCI, che sicuramente facevano le finanziarie assieme. Ma siete andati a vedere a quanto ammonta il debito pubblico e la spesa per interessi annui? Quest'anno paghiamo 780 milioni di euro in più solamente di interessi. Paghiamo 72 miliardi di euro tutti gli anni per i debiti che voi avete contratto, nel momento in cui c'era un'ampia produzione. Li avete contratti voi: la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista! Non venite a chiedere a noi del nord di pagare questo conto (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Avete voi, sulle spalle, la responsabilità di stare affamando, in qualche modo, questo Paese. Settantadue miliardi di euro di interessi! E, dieci anni fa, era un momento in cui c'era (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)...Lo so che vi dispiace quando diciamo la verità, agitatevi, agitatevi. Signor Presidente, dispiace loro, li tocchiamo sul vivo. Si vede che hanno la coda di paglia, signor Presidente. Poi avrete modo sicuramente di ribattere. Ed era, dicevo, un momento in cui c'era un'inflazione bassa, una crescita economica elevata e in cui il debito pubblico era inferiore al 60 per cento. Siete riusciti, nel giro di quattro o cinque anni, a portare il debito pubblico al 110 per cento. Adesso sento gli eredi di Forlani che mi dicono di tagliare le auto blu e le province. Allora, se vogliamo ragionare seriamente, possiamo ragionare seriamente; se, invece, vogliamo raccontare barzellette all'Assemblea, ma soprattutto agli italiani, possiamo continuare così. Abbiamo già avuto modo di ascoltare il relatore, abbiamo avuto modo di vedere come il quadro macroeconomico sicuramente sia un quadro di crescita, ma di deficit strutturale. Voglio ricordare a tutti che il quadro macroeconomico ci propone delle riflessioni importanti su come, in qualche modo, si sia venuta a creare questa crisi, su come questa crisi non sia ciclica, ma strutturale, che ha a che vedere anche con il modo di fare economia e con i principi etici. Ricordiamo e leggiamo attentamente anche l'enciclica Caritas in veritate, dove, a causa appunto di una dissociazione tra economia ed etica, si è venuto a creare uno spaventoso buco e ricorso a quello che poi è stato il fenomeno dei subprime e quant'altro. Quindi, è necessario un recupero dell'etica, della responsabilità e della serietà degli investimenti. Pag. 16
Signor Presidente, se il quadro macroeconomico è questo non abbiamo però visto in Italia la situazione incredibile di devastazione sociale che si è registrata negli Stati Uniti, con persone messe sulla strada dall'oggi al domani, senza cassa integrazione straordinaria, quella cassa integrazione che ha funzionato anche con la piccola e media impresa e con gli artigiani. Seicentomila disoccupati dall'oggi al domani, persone che si spostavano senza più niente da una parte all'altra del Paese per poter trovare lavoro: questo è uno scenario che fortunatamente non abbiamo visto, un poco per merito del Governo, ma molto per merito della composizione e del tessuto sociale della nostra nazione, fatta di famiglie che hanno risparmiato e mantenuto un basso livello di indebitamento familiare. Questa è la leva che giustamente il Governo vuole andare a giocare in Europa nell'ambito del futuro piano europeo, perché non è possibile contare solamente il debito pubblico che avete fatto voi - tengo a precisarlo ancora per l'ennesima volta - ma dobbiamo anche contare (Commenti dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)...

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.

MASSIMO POLLEDRI. Dobbiamo anche contare che non abbiamo poi avuto neanche tutto questo grande apporto all'epoca...

RENATO CAMBURSANO. È vero che il Presidente del Consiglio racconta barzellette, ma che abbia influenzato tutti!

PRESIDENTE. Onorevole Cambursano!

MASSIMO POLLEDRI. Grazie signor Presidente, mi confortano le critiche perché ciò significa che in qualche modo quest'Aula dà segnali di vita, qualche volta inaspettati. Anche dal punto di vista della ripresa, se fosse giustificato il rilievo dell'opposizione per cui non saremmo intervenuti pesantemente ricordo che la vicina Grecia ci è costata 0,4 punti percentuali di PIL: abbiamo cioè dovuto impegnare per il prestito 5,5 miliardi di euro (2,9 ed uno in settembre), pagando così le crisi degli altri.
Ricordo che vi è stato pure un momento di tensione in cui si ipotizzava un attacco anche al debito pubblico italiano ma l'idea di un Fondo europeo - un'idea che nasce dal Ministro Tremonti, che è stata condivisa e rispetto alla quale sono state mosse critiche in passato - oggi è stata quella che in qualche modo ci ha salvato dagli attacchi delle varie finanze internazionali, consentendoci di evitare il rischio del debito pubblico. Come dicevo, se il quadro economico fosse tragico perché il Governo non è intervenuto pesantemente nell'economia, dovreste spiegarmi come mai la produzione è salita del 9,7 per cento, il miglior dato tendenziale dal 1997.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. E la spesa pubblica?

MASSIMO POLLEDRI. Dovreste essere contenti ma, signor Presidente, vedo che l'opposizione non è contenta del fatto che l'Italia abbia prodotto di più e che vi siano più soldi ed un minimo di ripresa nelle tasche degli italiani.

MASSIMO VANNUCCI. Non si è vista!

MASSIMO POLLEDRI. Ripeto: touchons du bois una, due, tre volte! Consiglio comunque agli italiani, tutte le volte che si recano a sentire i comizi dell'opposizione, di portarsi corni, cornetti, ferro e quanti altri ammennicoli perché portano anche gramo, questo è evidente!

ANTONIO BORGHESI. Berlusconi è più bravo!

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.

MASSIMO POLLEDRI. La produzione è aumentata del 9,7 per cento nei primi sei mesi e - ripeto - non per merito del Governo ma degli italiani: glielo vogliamo Pag. 17riconoscere o no questo merito? Noi glielo riconosciamo con umiltà, pazienza, addirittura deferenza.
I consumi finali - perché è anche questo, forse, che in un regime di fiducia dobbiamo trasmettere - sono aumentati del 2,4 per cento, e si stima aumenteranno dello 0,6 per cento nel 2011. Sono aumentati gli investimenti fissi lordi del 2,2 per cento, fondamentalmente per investimenti in macchinari: ciò significa che in qualche modo la parte del Paese che tira la lima, l'Italia dei capannoni continua a mantenere questo Paese; e allora voglio ricordare che l'Italia dei capannoni è umilmente rappresentata, con deferenza, dal partito a cui ho l'onore di appartenere.
Veniamo agli scambi con l'estero. Le esportazioni dovrebbero aumentare del 7,1 per cento nel 2010: si tratta di dati confermati dall'ISTAT e quant'altro. Certo, non siamo usciti dalla crisi, non lo diciamo. Noi diciamo che stiamo attraversando la crisi, e abbiamo fatto quello che dovevamo fare: non deprimere il mercato, tenere in ordine i conti pubblici.
Ricordiamo che le entrate complessive aumenterebbero dell'1,7 per cento, con la pressione fiscale invariata. Mi dispiace anche continuare a sentir dire: voi dovevate ridurre le tasse. Noi non siamo Mandrake! Non potevamo, e nessun Governo serio, a mio giudizio, si può sognare oggi di promettere nel breve periodo una riduzione delle tasse agli italiani. Possiamo dire che abbiamo ridotto gli acconti, possiamo dire che nelle riforme virtuose che stiamo mettendo in cantiere, che sono nelle cascine di questo Governo, fatte anche dei provvedimenti del Ministro Calderoli, del Ministro Bossi, del Ministro Tremonti, del federalismo fiscale, vi sono meccanismi per portare nuove risorse ai comuni ed alle regioni, con una rimodulazione del sistema fiscale.
Noi sappiamo che sono stati chiesti dei sacrifici ai comuni, soprattutto ai comuni ed agli enti locali virtuosi. Ciò noi crediamo sia frutto di uno Stato che ha sempre premiato in passato l'inefficienza e l'inefficacia, e ha chiesto sacrifici straordinari a chi si comportava bene. Si tratta di una costante di molti sistemi complessi, ma soprattutto di questo Stato.
Noi sappiamo che gran parte del deficit si annida in determinate zone, soprattutto, signori, nella sanità. Ricordo che in quell'ambito negli ultimi anni non ha governato la Lega Nord, neanche il PdL: se andiamo a vedere il buco della sanità prodotto in Campania, il buco della sanità prodotto in Calabria, qualcuno si dovrà prendere le responsabilità. O non se le vuol prendere le responsabilità, del Molise, adesso ve ne sono anche in Veneto; tranne però dire che le abbiamo sempre coperte, tranne dire che però Veneto e Lombardia pagano circa 800 milioni l'anno di solidarietà, giustamente, che però dove vanno a finire?
Siamo in grado di dire a quanto ammonta oggi il buco della regione Calabria nell'ambito della sanità? Assolutamente no! Non siamo in grado di sapere, lo Stato centrale, quello che voi giustamente invocate come Stato che dovrebbe controllare, oggi lo Stato non ha una risposta da parte delle ASL della Calabria, e non su quanto è il debito! Sentivo parlare il collega Ciccanti dei debiti della pubblica amministrazione: attenzione, i debiti della pubblica amministrazione nell'ambito della sanità sono funzionali al malaffare!
Abbiamo in Calabria 740 giorni di ritardo, e non fallisce nessuno. Per forza! Arriva l'ingiunzione di pagamento, e si paga tutto a piè di lista; non si sa però, quella fattura che hanno pagato, se l'hanno pagata una volta, se l'hanno pagata due volte. Non c'è uno straccio di delibera che dimostri che dovevano pagare una fattura per mille lire, non c'è uno straccio di bolla che attesti che le mille lire le abbiano veramente prese. Ma di cosa stiamo parlando? Ma chi governava in questi paesi? Ma chi governava in Calabria? Ma chi governava in Campania? Santa Lucia? Babbo Natale? Penso di no! Penso che fossero al governo Agazio Loiero e Bassolino, per tanti anni!
Ora, è vero che non si pretendono i miracoli, che non si pretende una rivoluzione, ma qualcuno vuole dire a che Pag. 18partito queste persone erano iscritte? Lo vuol ricordare? Si vuole prendere uno straccio di responsabilità? Non mi sembra che ciò sia avvenuto. Le entrate aumenterebbero se non fossero venuti meno larga parte degli introiti straordinari in conto capitale. La pressione fiscale dal 43,2 arriva al 42,8. Abbiamo poi ovviamente le entrate tributarie che risentono in larga parte del gettito delle imposte sostitutive. Anche la crescita dell'IRES attiene al fatto che la fase acuta di contrazione dei profitti è superata (lo dice la Banca d'Italia), e in qualche modo qualcuno sta incominciando a guadagnare in questo Paese. Certo, il gettito dell'IRPEF si è ridotto, ma ciò è avvenuto perché si è ridotta l'aliquota dell'acconto del 2009, e in qualche modo si è determinato uno slittamento al 2010 dei versamenti per quasi quattro miliardi. Questi sono alcuni dati.
La discussione potrebbe vertere anche su altri punti, ma il dato politico che vogliamo consegnare al Parlamento (ma soprattutto lo vogliamo consegnare agli italiani) è quello di un Governo che, umilmente, credo faccia il proprio compito giorno per giorno.
Vorrei ricordare, in merito all'evasione fiscale, che sono aumentati nettamente - lo vedete dai dati - non solo gli accertamenti ma anche il recupero. Abbiamo preso più di 8 miliardi alla mafia. È vero che si tratta di una vittoria dei magistrati, e dobbiamo ringraziarli, ma se i magistrati non avessero avuto gli strumenti legislativi che questo Parlamento, questa maggioranza e questo Governo hanno prodotto non avrebbero potuto confiscare (Commenti dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Un collega mi chiede quali. Recentemente (non ha fatto notizia perché i giornali si occupano di altro: dell'esternazione di Tizio e di Caio, del fatto che oggi Tizio ha un po' di febbre, del resto abbiamo 500 giornalisti in giro che si occupano di queste vicende) il Ministro Maroni ha sequestrato qualcosa come 800 milioni ad un mafioso a Palermo. Ho detto che è merito dei magistrati ma - lo ricordo al collega Cambursano - i magistrati non avevano potuto procedere al sequestro, perché questi beni erano intestati al nipotino. Cosa vai a sequestrare, i beni del nipotino? La legge non lo consentiva. La legge approvata e proposta dal Ministro Maroni - ed è merito del Ministro, e di questa maggioranza - ha consentito il sequestro di 800 milioni, che sono finiti in un «quadratino» in settima o ottava pagina, perché giustamente le buone notizie molte volte non vengono date.
Concludo ricordando al mio Governo (perché credo che il mio partito e credo anche Umberto Bossi lo abbiano particolarmente a cuore) un altro episodio sul quale occorre accendere un riflettore. Mi riferisco alla riscossione delle multe relative alle slot machine. Su questo argomento c'è una battaglia, ma l'abbiamo intrapresa e intendiamo continuarla con chiunque. Voglio ricordare che la multa di 98 miliardi di euro è una questione sulla quale il Governo dovrebbe accendere un riflettore. Non abbiamo capito a che titolo il Ministero dell'economia e delle finanze abbia interpellato il Consiglio di Stato.
Una multa di questo tipo non può risolversi in una mini-multa farsa di 4,8 milioni, come ha proposto il Consiglio di Stato, così come abbiamo qualche dubbio - lo dico al mio Governo e al Ministero dell'economia e delle finanze - che possa risolversi in una di 800 milioni, come è stato proposto dal nucleo presieduto dall'ex Ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio, per rimodulare le multe secondo criteri di ragionevolezza. Credo vadano applicate le sanzioni e che, in qualche modo, il Paese debba anche uscire da questa spirale del gioco che sta incidendo pesantemente sui conti delle famiglie.
Ricordo che anche il tema dell'evasione rappresenta, ovviamente, uno degli elementi su cui a nostro giudizio si debba attivare l'attenzione.
Signor Presidente, vi saranno, quindi, altri meccanismi, quelli europei. Pensiamo, però, che occorra sempre una forte discussione in Parlamento. Crediamo nella centralità del Parlamento perché crediamo nella centralità del territorio. Ogni deputato Pag. 19della Lega Nord Padania e, ovviamente, anche delle altre formazioni politiche di maggioranza ed opposizione, rappresenta un pezzo di territorio e ne rappresenta legittimamente gli interessi che porta in quest'Aula di Parlamento e in questa piazza. Essere impoveriti da un meccanismo di discussione europea o da un meccanismo di contabilità che, in qualche modo, non tenga conto anche delle esigenze regolari e legittime del Parlamento, sarebbe un meccanismo a nostro giudizio di limitazione della sovranità popolare (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo ancora tristi per i nostri giovani alpini caduti in Afghanistan, ma la giornata si è aperta con una bella notizia: è iniziata la risalita dei primi minatori cileni, una straordinaria operazione della quale possiamo anche essere fieri come italiani visto che nostri tecnici e nostre imprese hanno partecipato.
Tale premessa per dichiarare che, con questo spirito, signor Presidente, mi accingo ad intervenire in merito alla Decisione di finanza pubblica, per dirle che non è stata rispettata la legge di contabilità di cui lei era relatore e che abbiamo condiviso.
La prima occasione in cui ci arriva la Decisione di finanza pubblica viene vanificata, rovinata e sprecata. È un'occasione persa. Ce l'hanno portata con 15 giorni di ritardo e lei può capire che, nell'economia dei nostri lavori, 15 giorni sono importanti. Abbiamo avuto un'audizione del Ministro che definirei offensiva. Ben altro comportamento hanno tenuto i Ministri dell'economia e delle finanze nella storia del nostro Paese.
Ma, soprattutto, non avete attivato le procedure di legge: il 15 luglio dovevate presentare le linee guida alla Conferenza unificata per la ripartizione degli obiettivi programmatici e non è stato fatto. Se fosse stata rispettata questa scansione, che è un obbligo di legge, avremmo oggi un'altra discussione e forse avremmo aperto nel Paese un dibattito serio, riportando un po' di concertazione vera che, francamente, manca.
E, poi, nelle premesse si dice che la Decisione di finanza pubblica sostanzialmente e politicamente è già superata in vista della riforma economica europea che vedrà una nuova versione del Patto di stabilità e crescita.
Riconosciamo l'importanza delle decisioni europee, ma questo cosa vuol dire? Che l'Italia rimane passiva in attesa delle decisioni? Che il Parlamento non deve discutere la strategia italiana da presentare a Bruxelles? Cos'è, signor Presidente, l'Europa, un'entità astratta? O lì si avanzano proposte discusse dai singoli Paesi e, se è possibile, quando è possibile, rafforzate dalla condivisione che bisogna sempre ricercare? Mi chiedo, osservando il dibattito europeo: che fine farà la posizione italiana sul debito aggregato (debito pubblico più debito delle famiglie e debito delle imprese) che pur aveva una logica? Mi sembra che si vada verso un'altra figuraccia.
Ma per voi l'Europa è un alibi per non assumere decisioni e per bypassare spesso il confronto nazionale. Credo sia proprio così, tutti i passaggi di questa crisi sono lì a dimostrarlo. E, allora, Programma di stabilità, Piano nazionale di riforme, da presentare in Europa: non potevamo cominciare ad abbozzarli, visto che qui si è deciso di non parlare di riforme? Li discuteremo? Verrete in Parlamento o eluderete un'altra volta il dibattito parlamentare?
Siamo tra i pochi Paesi, signor Presidente, che in Europa e nel mondo dopo due anni non sono riusciti ad avere un vero confronto parlamentare sulla crisi. E questa, lei può dirmi, è una questione di metodo ma non tanto: questa è questione di sostanza.
Dunque, voglio venire alle previsioni della Decisione di finanza pubblica. La finanza pubblica ci dice che la disoccupazione è in crescita (8,7 per cento), ma vi Pag. 20segnalo che i lavoratori o gli aspiranti lavoratori non si registrano nemmeno più agli uffici di collocamento, come si chiamavano una volta, tale è la rassegnazione. L'ISTAT ci dice che 2 milioni di giovani dai 18 ai 29 anni non studiano, non lavorano e non stanno cercando lavoro. Hanno perso il lavoro 850 mila persone. Abbiamo ancora centinaia di migliaia di cassaintegrati vicino al milione. Siamo ancora dentro una pesantissima crisi.
La Decisione di finanza pubblica, lo ha testé accennato il collega Polledri al quale vorrei dare questa risposta, prevede il debito pubblico al 119,2 per cento nel 2011: 0,5 per cento in più rispetto alla RUEF di maggio e già abbiamo evidenti gli effetti della manovra che avete presentato, la manovra recessiva che avete prodotto.
Segnalo all'onorevole Polledri un articolo de Il Messaggero di ieri, 12 ottobre, di una voce indipendente, Oscar Giannino, intitolato «Siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi»: ci dà i dati dell'Italia 2007 e li confronta con l'Italia 2010. Per il debito, che lui ha citato, 103,5 nel 2007; 118,5 nel 2010 e 119,2 nel 2011. In due anni siete riusciti ad aumentare il rapporto debito-PIL di 15 punti. Allora questa eredità vostra, onorevole Polledri, la lascerete a noi - immagino - e continueremo a rifarci a questa eredità. Certo, la vostra è già molto, molto pesante.
L'avanzo primario si ricostituisce un po' soltanto nel 2012. Vedremo: noi lo speriamo ovviamente. La spesa corrente rimane sostanzialmente inalterata. Si continua a spendere come se niente fosse grazie ai vostri falsi tagli lineari, ai ciechi tagli lineari.
Lo sa, Presidente, cosa per davvero diminuisce? Quello che diminuisce davvero è la spesa in conto capitale: in due anni è ridotta del 23 per cento da quando siete al Governo. Leggetevi i documenti molto preoccupanti che hanno depositato in audizione Banca d'Italia e la Corte dei conti: così, ci dicono, state togliendo il futuro.
A questo proposito, vorrei fare un accenno all'allegato infrastrutture: avete selezionato 39 opere sulle quali concentrare l'impegno per vederle realizzate entro il 2020. L'elenco è sbagliato, parte da una logica spartitoria nord-sud. Manca il centro. Andava data priorità assoluta alle numerose opere incompiute che ci sono in questo Paese e fra queste voglio citare la principale che è una vergogna dell'Italia; non una vergogna vostra e nemmeno nostra, ma di tutti noi. Mi riferisco alla Fano-Grosseto, l'unica strada che nel centro Italia permette di collegare l'Adriatico al Tirreno, la cosiddetta strada dei due mari: lotti realizzati non fruibili, a metà, uno qua una là, 270 chilometri, realizzata al 70 per cento, è stata in questi giorni nelle cronache. Quest'opera, signor Presidente, va inserita tra le priorità e, invece, è nella tabella 2 senza fondi. Perlomeno diamo un segnale, finanziamo un lotto, ripartiamo come ci ha detto la Commissione lavori pubblici. Ringrazio il relatore che ha citato il parere della Commissione lavori pubblici e che lo ricomprenderà nella risoluzione di maggioranza.
Ma il tema più preoccupante, signor Presidente, è quello della crescita: di fronte ai crolli registrati nel 2008-2009 tra il 6-7 per cento di prodotto, noi cresceremo dell'1,2 nel 2010, dell'1,3 nel 2011 e del 2 per cento nel 2012. Vi segnalo - dal momento che durante le audizioni molti colleghi di maggioranza non erano presenti e non c'era alcun rappresentante del Governo, ma questa è una prassi - che Banca d'Italia considera ottimistiche queste previsioni.
Chiede cautela, indica problematiche strutturali della nostra economia e del bilancio dello Stato che, se non affrontate, non ci faranno risalire. Quindi in questo, nella crescita è evidente il fallimento della vostra strategia.
Qual è stata la vostra strategia? In primo luogo, tamponare ed ammortizzare, ma i risultati sono stati scarsissimi. Successivamente saranno affrontati i nodi strutturali delle riforme; adesso non è possibile procedere con le riforma, perché siamo in momenti di crisi. Altri Paesi hanno invece fatto contestualmente le due cose: la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, soprattutto agendo sulla leva fiscale Pag. 21per favorire maggiore domanda interna. Non a caso quei Paesi che hanno affrontato grandi temi di riforma contestualmente alla crisi oggi vedono margini di crescita ben più alti. Allora questa fase 2 delle riforme quando arriva?
Il governatore Draghi afferma in un articolo: «La Germania cresce molto per le esportazioni, ma per la prima volta la sua crescita si fonda anche su consumi e ad investimenti». È questo il tema, questo bisognava fare per favorire la crescita: domanda interna, consumi, leva fiscale, una grande redistribuzione del carico fiscale, ovviamente a parità di gettito, per spostare la tassazione sulle rendite ed alleviarla sul lavoro e sulle imprese, affinché le famiglie italiane aumentassero il proprio potere d'acquisto, che è giunto ai livelli più bassi in Europa.
Per quanto riguarda gli investimenti, se noi in due anni riduciamo del 23 per cento la spesa in conto capitale, come potremo risalire? Lo ha detto l'onorevole Polledri, vi appellerete ancora una volta al debito. Allora, sfatiamola, signor sottosegretario Casero, questa favola! Voglio dirlo al presidente Cicchitto, il quale, intervistato in televisione ogni domenica, ci ricorda che, se avessimo seguito le proposte della sinistra di operare in deficit, ci saremmo trovati di fronte ad una prospettiva greca. Questo è offensivo per il nostro Paese: noi siamo sempre stati ai livelli di testa. Però voglio dire all'onorevole Cicchitto, che ci accusa del fatto che noi volevamo operare in deficit spending, come si dice, che questo Paese, rispetto alle entrate che ha, spende 80 miliardi in più all'anno. Il deficit è arrivato tra il 5 e il 6 per cento. Noi ve lo abbiamo lasciato al 2,7 per cento, dunque noi spendevamo 40 miliardi più in più all'anno, voi spendete 80 miliardi in più all'anno. Quindi, io vi dico che voi avete agito in deficit ben oltre le richieste che facevamo noi, di 40 miliardi: altro conto era indirizzare le risorse in un'altra direzione per favorire la crescita e quindi favorire anche il rapporto deficit-PIL.
Voglio ancora citare l'osservatore Oscar Giannino: in ordine al periodo 2007-2010, tutti i dati, da quello del PIL a quello sulla crescita, a quello del deficit, a quello del debito, a quello dell'inflazione, a quello della pressione fiscale, a quello dell'export sono in peggioramento. Siamo ancora lontani dai livelli di crisi, quindi cosa occorreva fare? Occorreva fare riforme come hanno fatto gli altri Paesi, liberare energie, agire ancora sulla leva delle liberalizzazioni.
Il Ministro Tremonti paradossalmente in audizione ha affermato che il nostro PIL non cresce a causa del costo dell'energia, ma il nostro PIL ha tratto benefici dall'alto costo dell'energia. Il PIL non cresce certo perché non c'è un mercato vero nell'energia, non c'è un mercato vero nel credito, nelle assicurazioni e nelle telecomunicazioni.
Di fronte a questo, voi vi presentate il 15 ottobre. Già oggi leggo sui giornali, signor Presidente - e sono preoccupato - che non rispetterete la data del 15 ottobre per la legge di bilancio e di stabilità, però oggi il Ministro dice: la legge di stabilità sarà prevalentemente tabellare. Io lo spero, francamente, perché in questa situazione non si può non affrontare i temi e i paradossi, che emergono, di enti pubblici, con risorse che, per il Patto di stabilità, non possono pagare i fornitori che vantano 60 miliardi di debiti o non possono fare investimenti.
Si potrà trovare una strada, si potrà agire su questa leva del bilancio!
In conclusione - signor Presidente, ho finito - ho sentito nel corso della rinnovata fiducia al Governo (devo dire che i momenti di esaltazione sono sempre più rari, ma a volte riaffiorano) che il Presidente del Consiglio ci ha informato - francamente non ce ne eravamo accorti - di essere stato determinante sui principali dossier del mondo riferiti alla crisi economica ed alla sicurezza.
Io vorrei dargli un consiglio, visto che intrattiene maggiormente i suoi rapporti internazionali con il Presidente Putin, con il Presidente Gheddafi, con il Presidente bielorusso Lukashenko: che il Presidente del Consiglio si occupi un po' più di Europa, perché il Ministro Tremonti non Pag. 22ce la fa, Presidente, e vince sempre la Germania, in tutti i dossier e anche nella nuova versione del Patto di stabilità.
Si faccia aiutare, visto che ha queste capacità miracolistiche, e si sposti anche l'attenzione sulla nuova Bretton Woods, sul braccio di ferro sui cambi del Fondo monetario internazionale e sul valore effettivo della moneta cinese che sono i problemi seri che abbiamo di fronte.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MASSIMO VANNUCCI. Ho finito. Voglio dire che questo Paese, pur con tante e forti potenzialità, signor Presidente, risulta ripiegato su se stesso, poco reattivo e stanco. Bisogna dargli uno scopo, un obiettivo, un'ambizione che in questa decisione di finanza pubblica non c'è. Il dramma è che voi non riuscite a dargliela: dovete prenderne atto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli esponenti del Governo, abbiamo ascoltato con attenzione gli interventi dei colleghi che ci hanno preceduto e abbiamo ascoltato con attenzione anche le critiche che sono state svolte dai colleghi componenti della Commissione bilancio.
Ho apprezzato alcuni spunti, però devo dire che nel complesso il quadro che è stato rappresentato dai colleghi è veritiero soltanto in una piccola parte. La parte che manca è quella, a mio avviso, assolutamente più importante, la parte fondamentale, ossia il contesto economico nel quale in questo momento il sistema economico e finanziario del nostro Paese e del sistema Italia si trova e con cui è costretto quindi a fare i conti.
Personalmente non mi scandalizzerei di una serie di cose che sono state dette. Ad esempio, è stato detto che il documento di finanza pubblica è stato presentato in ritardo e questo ha prodotto un restringimento dei tempi di esame in Commissione. In realtà, sappiamo che la legge di contabilità (la legge n. 196 del 2009) prevede un periodo di rodaggio delle nuove norme e buona parte della manovra è stata di per sé anticipata a luglio.
Quello che a me invece un po' suona come campanello d'allarme è qualche dichiarazione che, specie nella giornata di ieri, è stata rivolta nei confronti del Ministro Tremonti da parte di qualche esponente della maggioranza e anche da qualche esponente di FLI secondo il quale, a causa proprio del Ministro Tremonti, non si sono create importanti prospettive di sviluppo.
Ecco, a me questo sembra implicitamente un invito rivolto al cosiddetto partito della spesa che ritenevamo dovesse appartenere più che altro a un ricordo del passato. Il compito di Tremonti sappiamo tutti essere quello di assicurare la tenuta della finanza pubblica ed è quello che sta facendo, a mio avviso, egregiamente.
Faccio osservare ai colleghi che i cordoni della borsa sono stati allentati negli ultimi dodici mesi esattamente dove andavano allentati, nel sostegno del reddito di coloro che hanno perso il lavoro a causa delle due crisi che, occorre ricordarlo, sono crisi importate (quella dei sub-prime e quella della Grecia) che hanno messo in forse l'elemento fondante dei mercati, cioè la fiducia. Quasi l'intero incasso dello scudo fiscale è finito in misure di sostegno al reddito. Voglio anche segnalare gli eccellenti risultati della lotta all'evasione fiscale grazie alle norme approvate nel 2008.
Grazie a questi risultati abbiamo assistito ad una sensibile riduzione della diminuzione delle entrate che altrimenti avrebbe avuto effetti disastrosi.
Il documento di finanza pubblica che abbiamo esaminato disegna quindi un quadro depresso. Tuttavia si tratta di un quadro stabile e, rispetto alla relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica, corregge veramente i dati sulla crescita del PIL nei prossimi anni, aumentandolo all'1,2 per cento per il 2010, Pag. 23diminuendolo all'1,1 per cento per il 2011, per gli anni 2012 e 2013 la crescita prevista è intorno al 2 per cento. Il tasso di disoccupazione viene fissato - e sembra sia stabilizzato - all'8,7 per cento per il 2011 e così anche per gli anni successivi. Le esportazioni, crollate sensibilmente nel 2009, sono cresciute nel 2010 e manterranno un trend comunque positivo per gli anni successivi.
Nei primi sette mesi del 2010 il saldo commerciale è risultato negativo (12,5 miliardi di euro), in particolare verso Paesi extraeuropei, mentre la quota di mercato dell'Italia sulle esportazioni mondiali è parzialmente scesa. Questi sono dati di facile interpretazione e sono legati, da un lato, alla necessità da parte del nostro Paese di approvvigionarsi di grandi quantitativi di materie prime (cosa che non aveva fatto nel periodo precedente) e, dall'altro, alla continua e perdurante crisi del sistema delle esportazioni. Infatti, il nostro è ovviamente un Paese trasformatore ed essendo il sistema economico globale interessato da una fase di recessione, ciò evidentemente produce dei risultati negativi al nostro sistema.
L'inflazione su base annua registrata ad agosto è stata pari all'1,6 per cento rispetto all'1 per cento dell'anno precedente, la sua crescita è dovuta all'incremento dei prezzi energetici che sembra comunque siano dati per stabili anche nei prossimi anni. Il prezzo del petrolio, tra l'altro, in questo momento è a 75 dollari al barile e dobbiamo monitorare sempre con grande attenzione la tenuta del prezzo del petrolio che proprio in questi giorni sembra che sia interessato da fenomeni speculativi con una crescita tendenziale ad 80 euro e anche più.
Il documento introduce una serie di nuovi concetti. Si tratta, tra l'altro, di concetti che si stanno facendo strada nel dibattito oggi in atto all'interno dell'Unione europea. Intanto, il primo concetto importantissimo è quello di debito aggregato, il quale è composto dalla somma delle percentuali del debito pubblico con il debito privato (il debito delle famiglie), e poiché sappiamo che le famiglie italiane hanno sempre avuto un'alta propensione al risparmio, questo è un dato sicuramente migliore rispetto alla media dell'Unione europea. Nella media europea sappiamo tutti che questo dato è intorno al 270 per cento del PIL, mentre nel nostro Paese è un dato migliore, al 240 per cento. Allo stesso modo, il debito nazionale lordo, cioè quel valore che nasce dalla somma del debito aggregato con il debito delle imprese e finanziario, dimostra ancora una volta dati interessanti per il nostro Paese che ha risultati sicuramente migliori rispetto alla media europea.
Sappiamo che tutti questi dati, di fatto, sono prodromici di un quadro economico reale, cioè dell'economia reale, che sostanzialmente è migliore rispetto, invece, al dato disaggregato, e quindi fotografano una realtà Paese interessante e sicuramente migliore.
Sappiamo anche dalla relazione che accompagna il documento di finanza pubblica che la legge di stabilità prossima sarà una legge assolutamente snella, asciutta, di contenuto assai ristretto e sarà una legge prevalentemente tabellare. Infatti, ciò che probabilmente preoccupa più di ogni cosa il Ministro Tremonti e questa maggioranza che responsabilmente sostiene il Governo è che, a dispetto di coloro i quali sostengono che sia necessario incrementare notevolmente la spesa pubblica, noi dobbiamo invece mirare a mantenere saldi gli impegni nei confronti dei nostri partner europei. In particolare, la nostra cifra ed il nostro valore di riferimento è il Patto di stabilità europeo.
Si tratta quindi di realizzare, per ciascuno dei prossimi anni, un avanzo primario del 5 per cento del PIL, il che implica manovre impegnative intorno ai 50 miliardi di euro l'anno.
Tutto ciò si riflette ovviamente nella risoluzione che abbiamo preparato e che stiamo illustrando qui, alla Camera. In ossequio alle decisioni comunitarie impegniamo il Governo a contenere il rapporto debito-PIL al 119,2 per cento per il 2011, al 117,5 per il 2012, al 115,2 per il 2013, ma per far questo occorre una compattezza della maggioranza che ovviamente Pag. 24deve essere una compattezza politica, ma anche una compattezza di intenti e di risultati che noi dobbiamo al Paese non solo per l'oggi, ma naturalmente anche per il domani.
L'ANCI, nel corso, tra l'altro, delle audizioni che hanno caratterizzato l'iter parlamentare del documento, ha osservato che per rispettare i vincoli imposti dal Patto di stabilità i comuni saranno costretti nel triennio 2009-2011 a ridurre la spesa totale di circa il 9 per cento. Considerando che la spesa corrente difficilmente è comprimibile, a risentirne sarà la spesa per investimenti che si potrebbe sensibilmente ridurre addirittura a circa il 30 per cento e questo evidentemente significa una riduzione delle commesse pubbliche, e quindi del PIL.
Allora, cosa fare per evitare che questo possa accadere, cosa fare per conciliare il rigore, la stabilità dei conti pubblici con il reperimento delle risorse per mantenere una stabilità economica e quindi una ripresa? Dove trovare le risorse per dar corso agli impegni che vengono contenuti nella risoluzione che ci accingiamo ad approvare e che presumibilmente dovranno essere contenuti nei disegni di legge collegati da presentare entro il prossimo mese di febbraio?
Cito espressamente alcuni punti che rappresentano le strategie della maggioranza, e ritengo anche del Governo, per i prossimi mesi: proseguire una riforma del sistema fiscale per avviare una graduale riduzione della pressione fiscale; approvare un piano di rilancio del Mezzogiorno d'Italia che viene inteso non come mera dichiarazione politica o come strumento vuoto di significati, ma che diventa addirittura una strategia per la ripresa economica non soltanto del Mezzogiorno, ma di tutto il Paese; attuare politiche per sostenere e favorire l'occupazione, specie dei giovani; proseguire l'azione di contrasto alla crisi economica e di stimolo all'economia reale. Per far questo occorre reperire le maggiori entrate con l'attuazione del federalismo fiscale, con il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, con la lotta sempre più incisiva nei confronti del lavoro irregolare.
Voglio citare una quarta strategia che aggiungerei io, cara sicuramente al Ministro Tremonti perché appartiene alla categoria delle cosiddette riforme senza spesa. Si tratta di un percorso che dobbiamo continuare in maniera più incisiva, più determinata nei confronti della sburocratizzazione del Paese, e di quella semplificazione necessaria oggi alle imprese che va connessa con la riduzione della Babele di norme che, di fatto, regolano attualmente la vita delle imprese, e quindi il sistema Paese.
Aggiungo un'altra strategia: una seria riforma della giustizia che contribuisca a ridurre enormemente i tempi dei processi, ovviamente non soltanto dei processi penali, ma anche dei processi civili per rendere quindi il nostro Paese più competitivo anche da questo punto di vista, e allettare dunque maggiormente quegli investimenti esteri che oggi molto spesso non vengono attratti dal nostro Paese proprio per l'incertezza del diritto e per l'incertezza dei tempi della giustizia.
Occorre dunque prevedere norme che riducano il potere di una burocrazia inefficiente e i tempi dell'azione amministrativa e che annullino i procedimenti superflui e doppi. Da tutto questo può derivare tranquillamente un risparmio di 10 miliardi e ciò ovviamente vuol dire 10 miliardi in più disponibili per le imprese e per le famiglie.
Vi è infine un altro aspetto da considerare. Occorre una maggiore attenzione alle famiglie, da noi sollecitata anche con questo dibattito che sicuramente sta contribuendo a porre al centro dell'attenzione la questione. È necessaria una politica attenta nei confronti delle famiglie e credo che sia arrivato oggi il momento di introdurre il cosiddetto quoziente familiare, e comunque quelle misure che possano dare un sostegno reale alle famiglie, alle quali riconosciamo, oggi e sempre, un ruolo fondamentale per la nostra società.
È per questi motivi che noi abbiamo lavorato in Commissione: queste sono le Pag. 25argomentazioni che in Commissione e in Aula portiamo e rappresentiamo al Governo.
Credo che queste siano le argomentazioni che sicuramente oggi, durante il prosieguo della giornata, ma anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, alimenteranno la vita di questa maggioranza e del Governo tutto.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato al prosieguo della seduta.
Dovremmo ora passare allo svolgimento dell'informativa urgente del Governo sul grave attentato nel quale sono rimasti uccisi quattro militari italiani e sugli sviluppi della situazione in Afghanistan. In attesa dell'arrivo del Ministro della difesa, che ha testè concluso lo svolgimento di un'analoga informativa presso il Senato, sospenderò brevemente la seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 12,25).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, approfittando del momento, richiamo la sua attenzione, in modo che lei possa farsene interprete nei confronti del Governo, sulle vicende svoltesi ieri a Genova e sulla sospensione della partita di calcio tra Italia e Serbia, valida per la qualificazione agli Europei del 2012.
In seguito ai disordini causati dagli ultras serbi, chiedo se sia mai possibile che i nostri servizi di sicurezza non fossero a conoscenza della presenza di patentati neonazisti, già conosciuti per essere contrari all'ingresso della Serbia in Europa (tra l'altro, il 25 ottobre prossimo verrà proprio valutata la possibilità, per questo Paese, di entrare a far parte dell'Unione europea).
Come si fa a dimenticare che, con tutta probabilità, sono gli stessi soggetti che domenica scorsa hanno tentato di bloccare lo svolgimento del gay pride a Belgrado, con il lancio di bottiglie molotov e l'utilizzo di spranghe, con le quali essi hanno ferito oltre cento poliziotti, devastando le sedi del Partito democratico socialista e addirittura facendo irruzione nello stesso Parlamento serbo? Come mai, di fronte a questi neonazisti dichiarati, nessuno ha provveduto a perquisire, prima dell'ingresso, queste persone, quando nel nostro Paese è aperta una disputa sulla tessera del tifoso? E dire che ieri sera si dovevano commemorare i quattro caduti in Afghanistan e che ieri sera, a Genova, c'era un'importante iniziativa di Save the children, che ha portato allo stadio, come sempre si auspica, i bambini con le famiglie, che sono rimasti impauriti e sconvolti!
E che dire delle decisioni delle autorità calcistiche di iniziare comunque la partita, salvo rendersi conto, dopo cinque minuti, che andava sospesa?
Su tutti questi aspetti, chiedo che il Governo voglia gentilmente informare il Parlamento.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, le questioni da lei sottoposte saranno rappresentate al Governo.
Sospendo quindi la seduta, che riprenderà fra cinque minuti.

La seduta, sospesa alle 12,30, è ripresa alle 12,40.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI

Informativa urgente del Governo sul grave attentato nel quale sono rimasti uccisi quattro militari italiani e sugli sviluppi della situazione in Afghanistan.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sul grave attentato nel quale Pag. 26sono rimasti uccisi quattro militari italiani e sugli sviluppi della situazione in Afghanistan.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento del Ministro della difesa)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro della difesa, Ignazio La Russa.

IGNAZIO LA RUSSA, Ministro della difesa. Signor Presidente, onorevoli colleghi, chiedo scusa anche per il ritardo, dovuto esclusivamente al protrarsi della discussione analoga al Senato, dove sono stati previsti tempi più ampi di quelli che normalmente vengono utilizzati in occasioni come queste.
Sono qui a riferire sugli eventi che hanno causato la tragica morte di quattro militari ed il ferimento di un altro soldato del nostro contingente in Afghanistan.
Sento il dovere, innanzitutto, di esprimere il più sincero e profondo cordoglio alle famiglie dei giovani militari deceduti e la vicinanza al militare ferito, cui va l'augurio di un pronto ristabilimento. Sono certo che quest'Aula sia unita nell'espressione di questi sentimenti.
Signor Presidente, passo a descrivere i fatti secondo la ricostruzione effettuata sulla base delle notizie finora pervenute, ricordando che sul posto sono presenti i nostri carabinieri per tutti gli accertamenti tecnici e scientifici del caso.
Il quadro in cui si inserisce tale evento è caratterizzato da una continua evoluzione operativa. Nell'ambito dei compiti assegnati al nostro contingente, a partire dal 1 settembre di quest'anno, la Task Force Sud Est, che fa parte del comando a guida italiana, ha riassunto la responsabilità dei distretti di Bakwa, Golestan e Por Chaman della provincia di Farah, operando dalle basi di Bakwa, Buji e Golestan. Si tratta di un'area della regione ovest dell'Afghanistan, precedentemente sotto la responsabilità di unità statunitensi e georgiane, originariamente sotto la responsabilità nostra ma, per un breve periodo, passata sotto la responsabilità di americani e georgiani. Il controllo dell'area è stato assegnato al 7 reggimento alpini, il cui personale ha iniziato ad affluire in teatro già nella seconda metà del mese di luglio per la familiarizzazione con le procedure operative e con il territorio.
La principale attività è rivolta al controllo del territorio lungo gli itinerari più importanti, al fine di garantire la libertà di movimento alle forze amiche e alla popolazione.
Il 9 ottobre 2010, alle ore 9,35 locali (7,05 ora italiana), un reparto nazionale è stato ingaggiato da forze ostili con fuoco di armi leggere e lanciarazzi a 1,5 km a nord est dalla base di Buji. L'unità del livello di compagnia era costituita da circa 120 uomini su 38 mezzi (più esattamente 34 Lince e quattro mezzi speciali del Genio), per la gran parte dotati di dispositivi di disturbo elettronico, i cosiddetti jammers, tutti appartenenti - come ho detto - alla Task Force Sud Est su base 7 Reggimento Alpini di Belluno, che scortavano un convoglio di rifornimenti logistici di 74 mezzi civili guidati da autisti locali, che precedentemente avevano rifornito le nostre basi nell'area.
Al momento dell'attacco, condotto da un nucleo presumibilmente di una trentina di insurgent, il convoglio stava muovendo lungo una pista ricavata nell'alveo di un torrente asciutto, parallelo alla strada, per diversificare l'itinerario di spostamento. La diversificazione ha infatti l'utilità di evitare che eventuali bombe possano essere messe dove si presume che passi il convoglio.
Sottoposto al fuoco degli insurgent, un mezzo blindato Lince italiano, dotato di jammer, per guadagnare un ciglio di fuoco favorevole, dirigeva in retromarcia verso la strada che corre al lato del greto del fiume, quella che si era voluto evitare. Pag. 27
Proprio durante quel movimento, il mezzo è stato investito dall'esplosione che ha causato il decesso di quattro occupanti e il ferimento di un quinto.
Le nostre unità hanno immediatamente risposto e proseguito nel fuoco con un'intensa reazione, durata 30-40 minuti, che ha disperso gli insurgent. Nell'azione sono intervenuti due aerei F16 americani, che hanno effettuato azione di fuoco, impiegando la mitragliera di bordo.
Durante lo scontro alcuni mezzi civili del convoglio sono stati abbandonati dal personale civile afgano che ne era alla guida: a seguito di ciò, due mezzi, caduti in mani nemiche, sono stati distrutti dai nostri militari.
In rapida successione, poi, sono intervenuti mezzi e uomini per rifornire l'unità di viveri, munizioni, acqua e per assicurare assistenza sanitaria e per effettuare i rilievi del caso.
Sullo stesso itinerario, ma sulla strada e non sulla pista del torrente, nella giornata precedente due mezzi del genio, uno statunitense e uno italiano, erano rimasti coinvolti nell'esplosione di due ordigni esplosivi improvvisati, che avevano fortunatamente provocato soltanto danni ai mezzi e non alle persone.
Nel corso invece dello scontro del 9 ottobre, com'è noto, avvenuto con le modalità che vi ho appena descritto, hanno perso la vita: il primo caporal maggiore Francesco Vannozzi, il primo caporal maggiore Sebastiano Ville, il primo caporal maggiore Gianmarco Manca, il caporal maggiore Marco Pedone; tutti celibi ed effettivi al 7 Reggimento Alpini di Belluno. I primi tre avevano già svolto missioni in teatri operativi e avevano una lunga esperienza professionale. Per il caporal maggiore Pedone, invece, si trattava della prima missione.
Nell'azione è rimasto ferito il caporal maggiore scelto Luca Cornacchia, aquilano, anch'egli effettivo al 7 Reggimento Alpini di Belluno, coniugato e residente a Lecce dei Marsi.
Inizialmente trasportato all'ospedale di campo di Delaram e successivamente trasferito a Camp Dwyer, entrambi statunitensi, è stato sottoposto a TAC, che ha evidenziato una frattura di due vertebre lombari, una sospetta contusione polmonare, una frattura al piede destro e lesioni multifocali alla milza.
Al momento, le sue condizioni risultano serie ma stabili e non gravi, e viene tenuto ovviamente in osservazione. Questa mattina è stato trasferito all'ospedale da campo della nostra base di Herat e sarà trasportato in patria appena possibile.
Durante la notte tra il 9 e il 10 ottobre, successivamente allo scontro, il convoglio ha sostato nella base di Buji per riorganizzare il dispositivo e ripianare le scorte.
Il 10 ottobre, alle ore 8 locali (5,30 ora italiana), durante la prosecuzione del movimento verso Delaram, il convoglio ha subito un ulteriore attacco da parte di un gruppo di insurgent con fuoco di armi leggere e lanciarazzi contro carri.
Le nostre unità, supportate questa volta da due aerei Mirage 2000 francesi e due elicotteri italiani, hanno prontamente risposto al fuoco e si sono sganciati senza danni a mezzi o personale italiano, proseguendo il movimento e completando la missione di scorta. Ricordo che nell'episodio luttuoso del giorno precedente è rimasto ferito anche un civile afgano, che era alla guida di uno dei mezzi.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questa è la ricostruzione dell'evento che ha visto ancora una volta coinvolto un veicolo Lince. Come ho più volte ripetuto, si tratta di un blindato concepito allo stato dell'arte tecnologico e progettuale nel settore della protezione balistica ed antimina. In campo mondiale, al momento, tra i veicoli della stessa categoria non risulta disponibile un'alternativa che possa garantire migliori livelli di protezione del personale.
Peraltro, nell'ambito delle misure tese al miglioramento della sicurezza del personale, sono stati immessi nel teatro afgano i primi diciassette esemplari di veicolo blindato medio, cosiddetto Freccia, operativi già dal mese di agosto. Il Freccia - è bene ricordarlo - è destinato però non a sostituire, ma ad integrare gli attuali Pag. 28assetti operativi basati sul Lince, trattandosi di due tipi di veicoli in grado di operare in modo complementare.
Vorrei precisare che ciascun elemento protettivo e difensivo ha sempre un limite di risposta alla minaccia: se cresce la minaccia, si provvede con nuovi sistemi di difesa, in una sorta di loop in escalation che ricalca lo schema storicamente provato della cosiddetta contrapposizione lancia/scudo o proiettile/corazza.
Per tale ragione non si possono considerare risolutive le soluzioni tecnico-costruttive rispetto alle minacce del tipo in questione.
Quello che risulta fondamentale è, invece, il sistema complessivo posto in atto per fronteggiare la minaccia, nel cui ambito, oltre alla protezione dei mezzi, rientrano l'intelligence, la ricognizione aerea delle nostre rotte terrestri mediante velivoli senza pilota (i cosiddetti Predator), il supporto aereo, le tattiche di movimento, le tecniche di osservazione del terreno, l'addestramento del personale e anche le interrelazioni con la popolazione locale. Ma lo ripeto: qualunque sistema, anche complesso, di sicurezza e di difesa non può mai escludere un pericolo che è insito in una missione, in cui l'uso della forza giusta è ovviamente necessario.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, due sono le questioni che si sono riproposte e che non sono nuove, ma sempre più coinvolgenti: quella relativa alla dotazione di mezzi e di armi e quella inerente la durata della missione in Afghanistan.
A premessa ribadisco che il senso, lo scopo, i compiti e le regole d'ingaggio sono e rimangono quelli definiti e condivisi in ambito Alleanza Atlantica e sottoposti all'avallo del Parlamento. Circa la natura della missione non esistono, dunque, né dubbi, né ambiguità.
In sintesi, l'uso della forza avviene nel rispetto delle risoluzioni dell'ONU, entro il limite del mandato, applicando le regole d'ingaggio e in ottemperanza alle decisioni politiche nazionali. D'altra parte, l'uso delle armi da parte dei nostri militari è stato sempre attuato in risposta ad un attacco o a un tentativo di attacco contro la coalizione. Questo è un dato storico che caratterizza in positivo l'attitudine del militare italiano in rapporto alle proprie missioni.
Ho detto al Senato che sono particolarmente orgoglioso del fatto che non solo in questa o nelle occasioni nel tempo vicine, ma in tutti i nove anni in cui siamo stati in Afghanistan e negli anni in cui siamo stati presenti in Iraq e nelle altre missioni internazionali, mai un soldato italiano ha dato adito a situazioni che potessero mettere in discussione il fatto che, quando occorre la forza giusta, il nostro agire non sia mai indirizzato nei confronti di un civile. È un'attitudine che mi auguro possa rimanere per sempre e che, fortunatamente, non ha mai registrato incidenti contrari o estranei alla nostra volontà. L'orgoglio di poterlo affermare credo che sia da tutti voi certamente condiviso.
Oggi la missione richiede un maggiore controllo del territorio, ampliando il nostro raggio di presenza nell'area di competenza e ciò può comportare un aumento del rischio. Per minimizzare questi rischi e garantire la sicurezza dei nostri militari, è importante anche il supporto aereo tattico.
A questo punto si pone la prima delle due questioni, che io credo si debbano affrontare. Quale è l'uso consentito, l'uso utile dell'armamento e dei mezzi? Sui mezzi abbiamo già detto: stiamo continuamente cercando di adeguarli all'aumento delle minacce: le Frecce insieme ai Lince, la ralla, cioè la torretta comandata dall'interno, la dotazione di dissuasori elettronici, cosiddetti jammer, in pressoché tutti i Lince, un addestramento sempre più adeguato. Potrei proseguire, fermo restando che - lo ripeto - il livello di sicurezza è sempre commisurato al livello del rischio.
Per quanto riguarda l'armamento, si è molto discusso in questi giorni dell'affermazione che ho reso circa la richiesta, che proviene da chi ha la sensibilità sul territorio, ovvero dai comandi militari, di dotare i nostri aerei che sono in teatro dell'armamento previsto. Si tratta di Pag. 29bombe, tra l'altro, non ad alto potenziale e che - voglio ricordarlo - hanno una precisione scientifica, chirurgica, identica a quella che si riscontra negli elicotteri che hanno in dotazione i missili: non vi è differenza di capacità di precisione.
Ho avanzato tale ipotesi, non perché questa decisione competa al Parlamento (tant'è che non mi sono riferito al Parlamento, ma semmai ho detto che voglio il conforto delle Commissioni), ma perché nell'occasione in cui inviammo i Tornado, fui io, mea sponte, a comunicare al Parlamento che avevo deciso, valutate tutte le condizioni, di non dotare di bombe i Tornado che allora mandammo in Afghanistan.
Perché quella decisione? Essa fu presa per due ragioni. Prima di tutto, perché il contesto tattico era diverso da quello attuale, in quanto si operava in zone prevalentemente ricche di agglomerati abitativi, e, secondariamente, vi era ancora una direttiva generale del comando della NATO che un po' mi lasciava perplesso circa l'entità, ancorché minima anche allora, dei rischi di un involontario coinvolgimento di civili a seguito dell'utilizzo di quell'armamento.
Oggi i militari mi ripropongono la situazione che già allora mi avevano proposto, ottenendo da me la decisione che avevo comunicato di non dotare i Tornado di bombe; me la ripropongono, credo correttamente e giustamente, perché in parte si è modificata la condizione di utilizzo tattico. Oggi si opera più spesso in zone completamente deserte, ed è evidente che nessuno si è mai sognato, né prima né ora né dopo, di andare a bombardare. L'immagine delle bombe a grappolo nella seconda guerra mondiale può essere deviante; oggi si tratta di tutt'altro uso tattico.
L'uso tattico ipotizzato è solo quello di intervenire per sottrarre nostre colonne da un fuoco e da una condizione di attacco, che un aereo, con il suo armamento, può alleviare. Questo utilizzo - voglio dirlo - c'è già; non è che noi lo adotteremmo ex novo. Lo avete sentito dalla mia ricostruzione: in seguito a semplice richiesta da parte nostra, intervengono aerei francesi, americani, inglesi. Né si può dire «beh, lo fanno loro». Loro procedono su nostra richiesta, tanto che, se ci fossero degli errori, nel diritto penale si configurerebbe un concorso, su questo non c'è dubbio.
Quindi, tale utilizzo non è tanto per assicurare un livello di sicurezza molto più alto, che già viene assicurato dagli alleati. Certo, un plus di sicurezza ci sarebbe per i tempi ancora più brevi di intervento e per la certezza della disponibilità in quel momento del mezzo, ma credo che la richiesta dei militari sia dipesa - ripeto - dalle mutate condizioni tattiche e anche dal fatto che nel frattempo - e questo è almeno quello che mi ha fatto considerare in maniera parzialmente diversa la richiesta - sono mutate le direttive. Le direttive del comando NATO sono molto più ristrette sulla possibilità di utilizzo del munizionamento bombe negli aerei americani, francesi e di tutti i Paesi (tutti li hanno tranne i tedeschi, che non hanno più neanche gli aerei nel teatro bellico, quindi non hanno ovviamente neanche le bombe).
Non mi sono sentito, benché la consideri giustificata, di accogliere la richiesta, come invece avrei potuto, senza un passaggio non solo informativo, ma anche di consultazione, generica se volete, più complessa, se decidessimo di farlo nelle Commissioni, con il Parlamento. Credo che questo possa e debba essere apprezzato, nello spirito di quella trasparenza che nella prima audizione in sede di Commissioni riunite indicai come mio modo di procedere e che spero anche i parlamentari di opposizione mi possano e mi vogliano in gran parte riconoscere.
Dico subito, però, che il dibattito che si è già sviluppato mi ha un po' disilluso sulla possibilità di affrontare la questione solo ed esclusivamente dal punto di vista tecnico e tattico. Non voglio correre il rischio di far venir meno quella grande condivisione che larga parte del Parlamento ha riservato alle nostre missioni internazionali. Considero un grande motivo, non solo di orgoglio, ma anche di sicurezza per i nostri militari la circostanza Pag. 30che possano sentire dietro e intorno a loro l'unità, o la quasi unità, del Parlamento, che testimonia l'unità della stragrande maggioranza degli italiani nell'affetto, nella solidarietà, nella vicinanza e nella comprensione per il difficile compito che stanno svolgendo.
Vi anticipo, quindi, che la mia valutazione - che alla fine del dibattito parlamentare ed extraparlamentare risulterà solitaria - terrà in conto prioritario questa necessità di condivisione, che vale più dell'utilizzo di qualche bomba italiana al posto di quella americana o francese.
Non sarebbe così se mi convincessi che da questa decisione si modifica, anche di un solo grammo, la sicurezza dei nostri soldati. Ma se mi convincerò - come è possibile - che il perdurare di questa situazione non danneggi neanche di una virgola la sicurezza dei nostri soldati, farò prevalere la volontà di condivisione che si è manifestata in alcune occasioni - in una occasione addirittura con nessun voto contrario - a favore della reiterazione del finanziamento delle missioni all'estero e che recentemente ha visto un solo gruppo legittimamente contrario - a volte strumentalmente, ma sempre legittimamente contrario - al rifinanziamento.
L'altro tema è quello della durata: come dicevo infatti sono due i punti in discussione, uno che concerne l'armamento e l'altro il quando torneremo in Italia, nonché la natura della missione. Sulla natura della missione, come ho detto al Senato, ha provveduto in maniera assolutamente condivisibile - lo ringrazio e mi inchino per questo - il Presidente della Repubblica, il Capo dello Stato che è anche Capo - lo ricordo - delle Forze armate.
Lo ha fatto con un comunicato che non lascia dubbi sulla circostanza che questa missione risponda esattamente al dettato costituzionale: non vi sono dubbi, leggetevelo. Io posso solo dire che l'articolo 11 tante volte viene invocato leggendone solo una parte e dimenticando che non vi è neanche un comma, un secondo comma o un terzo comma, che cioè esso costituisce un comma unico senza neanche un punto in mezzo, con in mezzo solo i punti e virgola: è un tutt'uno. Ed è chiaro che il ripudio della guerra va riferito in maniera assoluta alle frasi che compaiono dopo senza neanche una virgola in mezzo: «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Vi è qualcuno che pensa che noi siamo andati in Afghanistan per attentare alla libertà del popolo afgano? O vi è qualcuno che veramente pensa che avessimo una controversia internazionale da regolare con il Governo afgano e che abbiamo deciso - anziché di seguire la via diplomatica - di ricorrere alla via della guerra?
O invece tutti possono leggere la seconda parte dell'articolo e rendersi conto che, così com'è previsto che si possa cedere una parte della sovranità per la causa della pace e della giustizia, è addirittura richiesto - sottolineo, richiesto - di promuovere e favorire, non si tratta quindi solo di rendere possibile, ma viene richiesto un facere, le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo, ossia allo scopo di portare la pace e la giustizia.
Ringrazio il Presidente della Repubblica per avere chiuso questa disputa, che è disputa a volte solo terminologica. Come ho detto al Senato, se di disputa terminologica si deve parlare non ho difficoltà a convenire che quando si opera in una missione di pace possano esservi, nell'occasione in cui si usa la forza giusta, situazioni che, fotografate, sono identiche ad un atto di guerra: non vi è dubbio. Ma d'altronde in termini di comunicazione la parola «guerra» la usiamo quando parliamo di guerra alla mafia, di guerra alla 'ndrangheta (la si è usata anche ieri sera nel senso di una guerra contro lo sport): in termini di comunicazione, in termini di fotografia, il termine «guerra» ci sta benissimo a descrivere ciò cui sono costretti - ripeto, costretti, e mai come fase propositiva - i nostri militari che però rimangono uomini e donne che hanno lo scopo di portare la pace e la giustizia, in Pag. 31piena aderenza ed osservanza del mandato degli organismi internazionali ed in pieno rispetto della nostra Costituzione.
Credo che questa disputa debba e possa tranquillamente essere messa per sempre da parte dopo l'intervento chiarificatore, drastico, del Presidente della Repubblica. Mi riferivo prima alla natura della missione, ma anche al «fino a quando» di questa missione e perché.
Fissare un termine temporale definito con data, giorno ed ora, anzitutto indebolisce chi opera sul terreno ma a volte è necessario farlo - lo capisco - per dare contezza all'opinione pubblica.
Quindi si può fare ma solo se congiunto a che cosa deve avvenire entro quel dato momento, entro quel giorno.
Si può fissare un arco temporale, aggiungendo che noi pensiamo in esso di riuscire a raggiungere determinati obiettivi. E l'obiettivo è stato ormai fissato con la nuova strategia, che è partita meno di due anni fa: vi è uno iato, una separazione netta tra i primi anni della presenza in Afghanistan e quanto sta avvenendo ora. Non che fosse sbagliato prima, non tocca a me deciderlo: era forse aderente a quelle condizioni, presidiare - in qualche modo, a volte come la tela di Penelope, si lavorava di giorno e qualcun altro disfaceva la notte - per consentire l'avvio della democrazia e le prime elezioni. Cose che sono avvenute: ho qui un elenco interminabile - l'ho letto al Senato, ve lo risparmio - di operazioni di ricostruzione incredibili, avvenute e che sono possibili solo perché ci sono i militari. Non potrebbe essere costruito, non dico un pozzo, non dico una casa, non dico una scuola, non dico un ospedale, ma neanche un canile se non vi fossero i militari a garantire la sicurezza!
Questa prima fase si è completata quando ci si è resi conto che, se si fosse protratta la prima strategia, saremmo rimasti per un tempo indefinito in Afghanistan, o saremmo dovuti tornare vanificando quello che avevamo fatto. È allora scattata la seconda operazione, McChrystal prima, Petraeus adesso, Obama, noi: strategia da sempre - voi lo sapete - auspicata dagli italiani, quella di avvicinare il momento della ricostruzione col momento della presenza militare, conquistando più facilmente i cuori e le menti della popolazione civile. Come? Aumentando il numero dei militari.
Gli americani lo hanno aumentato di un numero incredibile, noi l'abbiamo aumentato in proporzione di mille uomini circa: arriviamo a 4 mila uomini; gli americani hanno aumentato di 30 mila uomini, un po' tutti l'hanno aumentato. Per farne che, di questi uomini in più? Per cercare di conquistare il controllo del territorio in maniera non episodica. Fino a pochi mesi fa, o a un anno e mezzo fa, il territorio veniva attraversato, non mantenuto. L'obiettivo, che rende più pericolosa la nostra missione, è quello di fissare gli avamposti - ad uno di questi stava recandosi la colonna - per controllare il territorio; di modo che si possa immaginare, dicevo al Senato, non di trasformare l'Afghanistan in una Svizzera, e neanche di eliminarne i problemi più evidenti, che a volte sento elencati, ma di rendere la condizione del controllo del territorio sufficientemente adeguata al passaggio di consegne al Governo legittimo afgano, alle sue Forze armate, alle sue forze di polizia. Se non compissimo tale sforzo prima, avremmo la certezza di vanificare, non solo l'opera delle missioni internazionali, ma anche il sacrificio, fatto di dedizione, di onore, di sangue, di vita, dei nostri militari, che in questi nove anni si sono distinti per abnegazione in quel territorio. Questa è la strategia: chi chiede un affinamento della strategia, sappia che essa è individuata.
Certo, abbiamo occasioni vicine di discussione, a partire da domani a Bruxelles; Petraeus sarà qui la settimana prossima, saremo il mese prossimo a Lisbona. In tutte queste occasioni, credo che l'Italia debba continuare ad avere un ruolo importante, che si è conquistata grazie ai militari, grazie alla loro credibilità, grazie all'apprezzamento incredibile che questi ragazzi, vere eccellenze d'Italia, stanno guadagnandosi sul terreno, anche a costo della loro vita. Pag. 32
Dovremmo conseguire un risultato importante, difficile ma non impossibile: affermare un principio relativamente alla nostra zona, la zona ovest, zona che diventa spesso più pericolosa in questi ultimi mesi. È come un problema di vasi comunicanti: se vi è una pressione nelle altre zone più pericolose, vi è reflusso che porta a spingersi lì dove magari prima era leggermente pericoloso; o anche il fatto che noi si vada in ambiti della nostra zona dove prima passavamo sfiorandola, e oggi viceversa in essi ci installiamo.
In un contesto più difficile, tuttavia, è pur possibile che la nostra zona ovest - se saremo concordi, se non ci divideremo sulla natura della missione, se la continueremo a dotare di tutti i mezzi e le risorse necessarie (cosa che questo Parlamento ha autorizzato in questi anni), se avremo la condivisione della NATO, dei comandi degli altri alleati - possa essere riconsegnata ai governatori regionali afgani anche prima di altre zone. Non è una speranza ipotetica. La zona di Herat - mi riferisco alla città, ma anche al territorio circostante - è già stata riconsegnata al governo regionale afgano perché lì il nostro lavoro di combat è praticamente esaurito. È esaurito - lo ripeto - e rimane un compito di sostegno e di addestramento. Ho la speranza, ragionevole, che possa in una larghissima parte della zona a noi affidata - o, almeno, in una larga parte della zona a noi affidata - realizzarsi questa capacità di consegnare il territorio al legittimo governo regionale e quindi nazionale afgano prima che la missione - il cui arco temporale Obama ha fissato per la fine del 2013 - si compia. L'anno di transizione, che è il 2011 e che dovrà vedere in ogni caso entro il suo termine l'inizio della graduale riduzione del numero dei militari, per noi potrebbe essere ancora più importante, il che non significherebbe che noi usciremmo dalla missione prima che questa si concluda (mai e poi mai è prevista una nostra fuoruscita unilaterale, non concordata, non decisa comunemente), ma potrebbe significare che il nostro apporto sarebbe sempre più alto in termini di addestratori. Non mi riferisco solo ad addestratori di polizia, nel cui campo i carabinieri, con la loro specificità, hanno meravigliato il mondo, ma anche ad addestratori militari, perché voglio spezzare una lancia e dire che anche in questo campo i nostri ufficiali hanno guadagnato l'apprezzamento di tutto il contingente internazionale.
Quando parlo di 2011 intendo dire che per quella data la prospettiva - lo ripeto, guai fissare delle date senza fissare gli obiettivi - è quella di raggiungere come obiettivo la riconsegna di gran parte della zona ovest all'Afghanistan e al Governo afgano, e di poterci quindi non trasferire - questo verrà concordato in sede NATO - in altre zone come area combat, ma di mantenere i nostri militari residui in quella zona o anche in altre zone, ma solo con compiti di addestramento. Mi sembra di avere utilizzato - spero ma non so se bene - questa occasione in cui dovevo riferire sulle modalità, anche per cercare, sempre con lo spirito di massima trasparenza e chiarezza - quello è l'intento, poi il risultato lo dovete valutare voi, naturalmente - di trasferire quali sono gli intenti, le aspettative, persino le speranze - ragionevoli, non fondate sul nulla - mie, delle Forze armate e del Governo. Debbo dire - volendo riassumere in una sola frase questo concetto - che meglio facciamo il nostro lavoro e prima potremo riavere indietro la maggior parte dei nostri ragazzi. Più ci sarà condivisione, più facile e più sicuro sarà il loro operato, ma al loro operato non faremo mancare, oltre alla nostra vicinanza e solidarietà, tutte le possibilità tecniche che dovessero emergere.
Da questo punto di vista io rivendico al Governo e al Parlamento italiano di non avere fatto pesare la crisi economica, i tagli, neanche per un centesimo alle missioni internazionali che - voglio ricordarlo - hanno comportato risorse superiori di un terzo - a parità di numeri dei militari - a quelle che c'erano prima del 2008: superiori di un terzo - lo ripeto - a fronte di tagli al Ministero della difesa nel suo complesso o ad altri campi della vita Pag. 33pubblica. È per questo che mi sento di guardare negli occhi i nostri ragazzi e le nostre ragazze che stanno in Afghanistan, e che vi posso assicurare, hanno una motivazione fortissima.
Certo, sono lì perché è il loro lavoro, perché hanno scelto di abbracciare la vita militare, perché sono spesso coraggiosi di natura, ma vi assicuro che sono lì perché sanno di svolgere un compito che è utile al mondo, agli organismi internazionali, ma anche e soprattutto alla nostra cara amata Italia, alle nostre case, alle nostre famiglie, alle nostre città, da dove tengono più lontano possibile il pericolo del terrorismo. Grazie ragazzi! (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud e di deputati dei gruppi Unione di Centro e Misto-Alleanza per l'Italia).

(Interventi)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi. Ha chiesto di parlare l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.

FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, in primo luogo voglio cogliere questa occasione, qua, in Parlamento, per rinnovare la nostra solidarietà alle famiglie dei militari uccisi. E voglio aggiungere, alla luce anche delle considerazioni fatte poco fa dal Ministro e che condividiamo, che questi nostri militari, quelli che stanno sul campo e che, in questi giorni, abbiamo dovuto accogliere uccisi dall'azione talebana, stanno lì per delle ragioni molto profonde, per una missione che non va mai dimenticata Anche tutte le discussioni che facciamo sui tempi, sugli strumenti, infatti, non devono mai dimenticare le ragioni che sono strategiche e profonde; l'ONU, la NATO, i nostri militari, stanno lì per due ragioni di fondo: aiutare l'Afghanistan, le popolazioni afgane e, specialmente, le donne afgane a riconquistare livelli elevati di libertà e di civiltà, una riconquista funzionale anche all'altro obiettivo, che è quello di evitare che l'Afghanistan ritorni ad essere uno Stato strumento dell'azione del terrorismo internazionale che, in quel punto, ha una sua particolare presenza, quella di Al Qaeda, e che ha una situazione nella quale gode di particolari condizioni di copertura determinate dall'ambiguità - dobbiamo dircelo - del così potente e significativo Stato confinante che è lo Stato pakistano. Si vive, quindi, una condizione di singolare difficoltà, ma certamente siamo là per aiutare il popolo afgano, ma anche per evitare che, ritornando l'Afghanistan ad essere uno Stato funzionale al terrorismo, quest'ultimo dilaghi nuovamente in Europa, negli Stati Uniti d'America e nei Paesi del Terzo mondo. E abbiamo visto che quest'azione, che ha avuto ed ha tuttora tanti elementi di contraddizione e di difficoltà sul campo, ha determinato - e non dobbiamo mai dimenticarlo - una situazione nella quale il terrorismo non è più dilagato nel mondo come è avvenuto dall'inizio degli anni Duemila e nel corso di questo periodo. Questo non va mai dimenticato così come non va mai dimenticato, quindi, anche alla luce della riflessione sugli strumenti e sui tempi. Onorevole Ministro, lei ha svolto anche su questo terreno delle considerazioni che condividiamo e che, però, devono sfuggire ad ogni alternativa di tipo assolutamente strumentale o ideologica. Dobbiamo dotare le nostre truppe di tutti gli strumenti che consentano una maggiore difesa e una maggiore tutela della loro forza in campo. In questo quadro, anche dello strumento dell'aviazione, che non va assolutizzato evidentemente, ma che va eventualmente utilizzato nelle forme difensive possibili e considerato in quest'arco di eventualità.
E su questo terreno ritengo che il Governo e chi dirige le nostre Forze armate debba essere libero di poter fare valutazioni che non discendano da considerazioni e valutazioni di carattere ideologico, ma che discendano soltanto da questa esigenza di fondo che è quella di tutelare forze in campo che stanno lì per ragioni così profonde. Pag. 34
Questo riguarda anche la questione dei tempi nel senso che noi faremo un gravissimo errore se ogni qual volta veniamo colpiti, come dire, diamo la sensazione che i tempi si raccorciano perché questo non è un modo per combattere il terrorismo, ma è un modo per favorirlo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Quindi, dobbiamo dirci che in una situazione che presenta queste difficoltà, che vanno affrontate senza demagogia, noi e gli altri Paesi che stanno con noi, la NATO e così via dovremmo star là per tutto il tempo necessario a ricostruire uno Stato afghano degno di questo nome.
Non dimenticheremo mai il valore e il significato di quelle persone in fila che vanno a votare a prezzo della vita: è una situazione che fortunatamente noi non viviamo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà), ma che dà il senso maggiore di un rapporto in uno Stato così lontano, con quella storia e con quelle caratteristiche del valore universale della democrazia e della libertà.
Per tali ragioni, onorevole Ministro, noi condividiamo le sue considerazioni, le sue valutazioni, l'azione che il Governo ha fatto e anche noi condividiamo la valutazione che su questa questione debba esserci il massimo consenso possibile in questo Parlamento. Lo dobbiamo fare per noi...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Cicchitto.

FABRIZIO CICCHITTO. ... lo dobbiamo fare soprattutto per i nostri militari che stanno sul campo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO. Signor Presidente, ogni qual volta accade un evento drammatico e luttuoso come l'agguato nel quale sono caduti i quattro alpini, alle cui famiglie rinnoviamo la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, seguono immediati interrogativi tanto più sinceri per la sofferenza del lutto a cui abbiamo il dovere di dare risposte: perché i nostri soldati sono in Afghanistan; siamo lì a portare pace o fare una guerra; perché un ragazzo italiano deve morire in una terra così lontana.
Siamo in Afghanistan per dare a quel Paese una stabilità e una sicurezza che ci riguardano. Il mondo globale è sempre più interdipendente e unico, e ogni evento, anche ciò che accade molto lontano da noi, investe la nostra vita. E anche il terrorismo conduce la sua guerra ormai su scala globale, colpendo in ogni luogo, da Kabul a New York, da Madrid a Istanbul, e in modo indistinto.
Garantire sicurezza, ovunque sia insidiata, è dunque qualcosa che ci riguarda, tanto più oggi in un mondo dove sicurezza, stabilità e pace non sono più delegabili come accadeva nell'epoca dell'equilibrio bipolare.
Se ieri gran parte delle nazioni era consumatrice della sicurezza prodotta da Stati Uniti ed Unione Sovietica e dai loro rapporti, oggi tutte le nazioni sono chiamate ad essere produttrici in solido della sicurezza del pianeta.
Non siamo dunque in Afghanistan per fare un favore a qualcuno, ma per assicurare sicurezza a noi stessi e al mondo in cui viviamo.
Per questo la nostra è una missione di pace e non di guerra. I quattromila soldati che abbiamo mandato nei Balcani dopo la pace di Dayton hanno garantito pace e stabilità in quelle terre fino allora martoriate dagli orrori della pulizia etnica e dagli stupri di massa. Se oggi è più vicina la prospettiva dell'integrazione europea di quella regione è anche grazie alla stabilità che abbiamo assicurato con le nostre Forze armate.
I 3 mila soldati inviati in Libano hanno garantito il cessate il fuoco tra libanesi e israeliani e impediscono che possa scoppiare un nuovo incendio devastante, contribuendo così a creare le condizioni più favorevoli al difficile negoziato di pace che si è riaperto proprio in queste settimane in Medio Oriente. Pag. 35
Così in Afghanistan abbiamo mandato i nostri soldati su mandato ONU insieme ai contingenti di altri 46 Paesi per impedire che l'Afghanistan continuasse ad essere il santuario dei terroristi di Al Qaeda e per impedire che quel Paese tornasse ad essere sotto il tallone opprimente di un regime, quello dei talebani, che quando governava quel Paese impediva alle bambine di andare a scuola, umiliava le donne con il burqa e con leggi che mandano assolto lo stupratore e condannano la vittima stuprata.
Siamo lì non in contrasto, ma nel pieno rispetto dell'articolo 11 della Costituzione - come ancora autorevolmente il Presidente della Repubblica ha ricordato ieri - che riconosce che in condizioni di parità con altri Stati il nostro Paese accetta le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.
D'altra parte che sia così lo dimostra anche il fatto che nessuno dei 34 soldati italiani caduti in Afghanistan è morto in un combattimento offensivo, ma subendo agguati, attentati e attacchi, e nessun civile afghano ha subito sofferenze a causa del nostro contingente.
È proprio per questo che non riteniamo utile armare di bombe i nostri AMX, perché la maggiore sicurezza dei nostri militari può essere assicurata con modalità di intelligence e operative più efficaci, senza esporci a rischi di coinvolgere in eventi bellici quella popolazione civile che ha potuto apprezzare la nostra umanità e il nostro rispetto per le persone.
Certo, in Afghanistan non si potrà stare in eterno e, d'altra parte, nella Conferenza internazionale di Kabul di qualche mese fa, su impulso in primo luogo dell'amministrazione americana, cioè del Paese più direttamente impegnato in Afghanistan, e del presidente Obama, si è indicata con chiarezza la strategia per accelerare la transizione democratica, individuando anche una finestra temporale (tra la fine del 2011 e l'inizio del 2014) nella quale avviare il rientro.
Ma proprio perché si può rientrare e si può lasciare quel Paese soltanto quando si è certi di quel che si lascia, non avrebbe oggi senso un ritiro unilaterale e immediato, quando invece è essenziale creare le condizioni per dare all'Afghanistan stabilità, sicurezza e pace, rafforzando l'addestramento delle forze di polizia dell'esercito afghano, incrementando gli aiuti allo sviluppo economico per non far dipendere l'economia di quel Paese soltanto dalla droga, mettendo in campo programmi di sostegno alle istituzioni statali e locali afgane e incoraggiando il Governo Karzai a perseguire la strada del dialogo con i settori disponibili - settori insorgenti dei talebani - ad un accordo di riconciliazione nazionale.
È, dunque, in questa strategia che chiediamo all'Italia di collocarsi, consapevoli delle nostre responsabilità e consapevoli anche che le responsabilità comportano scelte adeguate, non solo sul piano militare, come qui è stato indicato dal Ministro, ma anche su quello civile, a partire dal dotare la nostra cooperazione delle risorse necessarie a mettere in campo quegli interventi di natura civile che sono essenziali per accompagnare la presenza militare.
Insomma, chiediamo al nostro Governo - e ho concluso - di non essere solo l'esecutore passivo di strategie decise da altri, ma di concorrere attivamente, facendo fino in fondo la propria parte, a definire le scelte, gli obiettivi e i tempi per dare al mondo, all'Afghanistan e alla nostra vita quella stabilità e quella sicurezza che sono via via più necessarie affinché ciascuno possa guardare con serenità al proprio futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Futuro e Libertà per l'Italia e Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gidoni. Ne ha facoltà.

FRANCO GIDONI. Signor Presidente, signor Ministro e onorevoli colleghi, anche la Lega Nord si associa nel porgere le condoglianze alle famiglie degli alpini caduti in Afghanistan e nell'augurare un Pag. 36pronto ristabilimento al caporal maggiore scelto Luca Cornacchia. È un cordoglio anche mio personale, da alpino bellunese abitante a poche centinaia di metri dalla caserma del Settimo Reggimento. È un cordoglio che vogliamo unire ad un sincero ringraziamento ai nostri ragazzi per tutto quello che hanno fatto finora in quelle terre ed in altre difficili, dando corso a decisioni che sono state prese - non dimentichiamolo - nelle Aule di questo Parlamento.
Apprezziamo anche la tempestività con la quale il Ministro ha accolto l'invito alla Camera a ricostruire l'accaduto e a comunicarci le sue valutazioni al riguardo.
Si è molto parlato nei giorni scorsi, soprattutto a caldo, di come ridurre i rischi che corrono i nostri soldati italiani e della strategia che sono stati chiamati a realizzare. Sappiamo quanto sia difficile: il 60 per cento dei caduti occidentali di quest'anno - non dimentichiamo che sono circa 580 - sono rimasti vittime di questi ordigni improvvisati, che sono costati la vita ai nostri quattro alpini.
In particolare, come è noto, è stata posta sul tappeto la questione dell'armamento dei nostri velivoli AMX attualmente autorizzati soltanto all'impiego del cannoncino di bordo e non all'utilizzo delle bombe.
Riteniamo che debba essere fatto tutto ciò che i tecnici giudicano necessario per accrescere la sicurezza del nostro contingente e che al Parlamento spetti soprattutto una funzione di indirizzo sotto questo profilo, piuttosto che indicare la preferenza per questo o quel sistema d'arma. Non ci sono, da parte della Lega, chiusure pregiudiziali.
Sul piano politico generale vogliamo ricordare oggi nuovamente come la Lega Nord abbia finora sostenuto lealmente il Governo in ogni sua scelta relativa alle missioni internazionali di pace. È un indirizzo costante dal 2001 rispetto al quale l'unica eccezione è rappresentata dalla missione in Libano del 2008 sulla quale la Lega si astenne, dubitando dell'efficacia del mandato attribuito.
Sull'Afghanistan, anche quando si è voluto sollecitare il Parlamento ed il Governo su ciò che si verificava sul terreno, il sostegno non è mai venuto meno. In alcuni casi esponenti del nostro partito - penso, in particolare, all'onorevole Stefani, presidente della Commissione affari esteri - sono stati anche firmatari o relatori di provvedimenti che autorizzavano l'avvio o la prosecuzione degli interventi in corso.
Chi si aspetta quindi dalla Lega uno strappo o un gesto di rottura su questo delicato aspetto della politica del nostro Paese rimarrà quindi deluso, e ci teniamo a sottolinearlo. Questo non vuol dire che si debba rinunciare a pensare, sopratutto di fronte alle difficoltà che si stanno palesando.
Qui non si tratta di ipotizzare una ritirata alla «tutti a casa», come pure qualche forza di opposizione ha fatto, ma di ragionare piuttosto sulle prospettive delle operazioni e lo scenario di un disimpegno graduale, tenendo presente quanto stanno facendo i nostri alleati.
L'amministrazione Obama ha esplicitamente identificato nel luglio 2011 la data a partire dalla quale le Forze armate degli Stati Uniti inizieranno il loro ritiro che, tuttavia, non sappiamo ancora che velocità e tempi complessivi avrà, ed è di oggi la notizia che, per facilitare il negoziato con le forze della guerriglia, l'America si accingerebbe a chiedere all'ONU la rimozione dei talebani dalla lista dei movimenti terroristici.
Si riflette sul limite temporale dell'intervento anche in Gran Bretagna, Spagna, Germania, Polonia ed altri Paesi ancora. Non si può rimanere ciechi di fronte a questi sviluppi, ed è bene che il problema di cosa stia accadendo sia sollevato nelle sedi opportune, innanzitutto al Vertice atlantico di Lisbona, possibilmente coordinandosi con i nostri alleati europei.
È chiaro che l'idea di avviare al più presto un ripiegamento ordinato dall'Afghanistan ci piace, ma c'è qualcuno in questo Parlamento che non condivide? Non credo. Tutti vorremmo vedere in tempi brevi un Afghanistan stabilizzato e lontano dagli eccessi del fondamentalismo Pag. 37islamico e del jihadismo e vorremmo anche riportare i nostri militari a casa invece di guardarli dagli schermi dei nostri televisori a tempo indeterminato, magari quando tornano a casa in veste di caduti.
Saremmo felici di rimpatriare il nostro contingente entro la fine del 2011, come lo stesso Ministro ha fatto capire ed auspicare in alcune dichiarazioni rese a caldo dopo l'agguato di sabato, ma dobbiamo essere realisti e guardare quindi al 2011 come al più che probabile momento di inizio di un processo che difficilmente potrà essere portato a termine così rapidamente, salvo che i negoziati intavolati dal Governo di Kabul e dagli emissari statunitensi non abbiano presto successo.
Finché quell'accordo non verrà raggiunto - ma sarebbe opportuno sapere qual è la piattaforma su cui si discute - dobbiamo considerarci chiamati ad onorare una responsabilità: quella che ci siamo assunti quando, nel dicembre 2001, in occasione della Conferenza internazionale di Bonn, gli afghani ci chiesero di aiutarli a ricostruire il loro Paese.
Decidemmo allora di accettare, anche per allontanare la prospettiva del terrorismo dalle nostre terre, ben sapendo che in Afghanistan si trovava il vertice di Al Qaeda.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCO GIDONI. È chiaro che onoriamo gli impegni, e che dal Governo di Kabul e dal Presidente Karzai si debba pretendere qualcosa in cambio: chiediamo e ci aspettiamo che faccia la sua parte. Ci auguriamo, soprattutto oggi che piangiamo e commemoriamo i nostri alpini caduti, e auspichiamo il nostro successo, anche perché da quello dipende la stessa sicurezza della nostra città.
In conclusione, signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, noi siamo al fianco dei nostri ragazzi e ragazze che desideriamo ringraziare ed onorare una volta di più per quanto fanno (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Gidoni, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.

PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, credo che tutti noi siamo stati colpiti molto ieri, durante i funerali di Marco, di Francesco, di Sebastiano e di Gianmarco, dall'esempio che ci hanno dato i familiari di questi caduti.
Credo, inoltre, che sia importante in questo dibattito - lo voglio fare almeno a nome del mio gruppo - che noi ci inchiniamo a questi familiari perché rappresentano l'Italia migliore, l'Italia che sa reagire alle avversità e che con grandissimo senso di amore verso la Patria subisce un lutto così grande da non poter essere descritto (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro, Popolo della Libertà e Futuro e Libertà per l'Italia).
Vorrei anche far ricordare a tutti che queste sono famiglie del Mezzogiorno. Se prendiamo la tragica statistica di questi caduti, vedremo che, dall'inizio del conflitto in Afghanistan (perché di conflitto purtroppo si tratta), gran parte di questi caduti sono del Mezzogiorno. Questo è un elemento di meditazione che metto lì per far capire a tutti quanto debito noi dobbiamo a questa parte del Paese che troppo spesso subisce pregiudizi di propagande negative.
Signor Ministro, voglio essere telegrafico, oltre i cinque minuti. Lei ha detto: «Non ci dividiamo sulla natura della missione»: ha ragione e siamo d'accordo. Aggiungo: non ci dividiamo neanche sui tempi. È vero, tutti capiscono una cosa fin troppo semplice, ossia che, se le nostre opinioni pubbliche, i nostri Governi, i nostri Parlamenti mettono il limite temporale alle truppe che stanno sul terreno, li esponiamo a rischi supplementari perché è chiaro che incentiviamo indirettamente una pressione dei terroristi.
L'uso della forza militare, secondo il mio gruppo, è compatibile, a volte necessario, Pag. 38anche con le missioni di pace e credo che sia assurdo ritenere che le missioni di pace debbano essere prive, quando è necessario, della possibilità di usare la forza, perché altrimenti il deterrente non si creerebbe mai sul terreno. Tuttavia, le difficoltà qui sono destinate a crescere.
Il maggior controllo del territorio comporterà - come lei ha detto - un aumento dei rischi. Ecco, su una cosa, devo essere sincero, non ho condiviso quello che lei ha detto. La giustifico, perché credo che lei, in buona fede, abbia posto una questione al Parlamento con l'intento sincero e democratico di avere un conforto da parte nostra e di coinvolgerci.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 13,37)

PIER FERDINANDO CASINI. Lei ha fatto una cosa, dal suo punto di vista ma anche forse dal nostro, comprensibile ed anche apprezzabile, ma secondo me sbagliata.
Lei, con atto suo, autonomo - lo ha ricordato - ha scelto di non dotare di bombe la flotta aerea dei tornado quando è stata mandata. Oggi - come ha ricordato - vi è un'opinione mutata dei vertici militari e lei è propenso a prenderne atto, però la sua propensione non supera la necessità di un coinvolgimento del Parlamento e dice che potrebbe in fondo anche avere un'idea diversa per non compromettere l'unità del nostro Parlamento.
È apprezzabile quello che lei ha detto perché capiamo tutti la finalità che è quella di preservare un'unità del Parlamento attorno a questa missione. Tuttavia io, da persona e da membro di un partito che ha sempre votato le missioni di pace e che, le dice subito, le dà un sostegno indipendentemente dalla sua scelta, la richiamo alla solitudine della responsabilità. Su questo punto, poiché il mandato della missione non cambia se lei dota di bombe o meno i tornado e gli aerei, è lei, in contatto con i vertici militari, che non può in qualche modo scaricare impropriamente su organi terzi la responsabilità di una decisione.
Onorevole La Russa, ci conosciamo da tanto tempo, le dico subito che, qualsiasi sarà la sua decisione, lei ha la mia solidarietà perché sarebbe ingiusto avere una riserva mentale, indurla ad una decisione piuttosto che ad un'altra con intenti di polemica politica. Non lo faccio perché mancherei di rispetto non a lei, ma ai militari che rischiano la vita giornalmente in Afghanistan.
Proprio perché non lo farò, la invito ad assumersi la responsabilità di una scelta che sarà dolorosamente solitaria, ma sarà - credo - confortata dal sentimento profondo che abbiamo verso la pace, verso la lotta al terrorismo e verso questi ragazzi che rischiano la vita (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Paglia. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO PAGLIA. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, non entrerò nello specifico su quanto è accaduto sabato perché il Ministro è stato abbastanza chiaro. Purtroppo i soldati cercano di costruirsi il loro destino, però quando ti è avverso è praticamente impossibile resistere.
Venendo ai temi, inizio dal munizionamento. Non capisco le tante polemiche strumentali da parte dell'opposizione, perché qui non si sta parlando di andare a bombardare, come è già avvenuto nel Golfo e in Kosovo, qui si sta chiedendo di aumentare la capacità operativa dei nostri aerei, dei nostri soldati e della nostra missione. Qui si sta chiedendo di avere l'opportunità, se sotto attacco, di poter chiamare i nostri aerei ad intervenire e a bonificare l'area. Vorrei ricordare ai colleghi dell'opposizione che quando ti sparano addosso, i secondi di tempo sono fondamentali: un secondo in più o in meno ti può salvare la vita e dover aspettare l'invio di aerei non italiani, ma di altri contingenti è una perdita di tempo.
Io andrei oltre, signor Ministro, perché non è armando gli aerei AMX che risolviamo Pag. 39il problema dei nostri soldati. Io valuterei con molta attenzione un ulteriore invio di elicotteri, che più si sposano con la missione stessa, un maggior numero di uomini, non solo di addestratori, ma anche di combat per avere un maggior controllo dell'area ed intensificherei l'intelligence perché non ci possiamo nascondere dietro a un dito: se vogliamo vincere e portare a casa un risultato dobbiamo integrare il nostro contingente.
Sulla durata della missione sarei molto, molto cauto, in quanto la Somalia insegna: nel 1995 le Nazioni Unite sono praticamente scappate da Mogadiscio e a distanza di tempo abbiamo constatato che è diventata la più grossa base terroristica al mondo e in Afghanistan non possiamo correre questo rischio, anche perché dimostreremmo che i nostri soldati sono morti invano.
Un'ultima nota polemica: in questo periodo mi sono chiesto spesso se la classe politica meriti il sacrificio dei nostri soldati e obiettivamente vedere i banchi di quest'Aula così vuoti conferma i miei dubbi. Però, ho una certezza che mi accompagna da 17 anni: è quella che ridare il saluto, il sorriso ad un bambino martoriato dalla guerra vale sicuramente il sacrificio di un soldato italiano; quindi continui così, signor Ministro (Applausi dei deputati dei gruppi Futuro e Libertà per l'Italia e Popolo della Libertà, di deputati del gruppo Unione di Centro e del deputato La Malfa).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stanislao. Ne ha facoltà.

AUGUSTO DI STANISLAO. Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi, innanzitutto voglio rinnovare da parte dell'Italia dei Valori il più profondo cordoglio alle famiglie dei militari rimasti uccisi nell'attentato e rinnovare i nostri auguri di pronta guarigione al soldato rimasto gravemente ferito.
Ma veniamo al dunque. L'Italia dei Valori è sempre stata a favore delle missioni internazionali, è a fianco delle nostre Forze armate e dei tanti civili impegnati nei diversi scenari internazionali ed è anche al fianco dei nostri militari e dei nostri civili che in questi nove anni hanno svolto un ruolo importante di cui spesso non si è parlato in questo Parlamento. L'hanno svolto con impegno, dedizione e sacrificio di vite umane nell'ambito di un mandato ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale e dalle popolazioni per le quali si sono prodigati, ma negli ultimi due anni la situazione è cambiata drasticamente.
L'Italia dei Valori già un anno fa ha presentato una mozione per rivedere il senso complessivo della nostra presenza. Della missione di pace, degli obiettivi iniziali che hanno spinto il nostro Paese a dare il proprio contributo non è rimasto più nulla: oggi siamo costruttori di pace, sì, ma in un contesto di guerra, prendiamone responsabilmente atto con scienza e coscienza. La ricostruzione, la stabilizzazione, l'addestramento all'interno di un mandato teso al mantenimento della sicurezza nell'interesse della ricostruzione degli sforzi umanitari: questi sono, o meglio erano, le linee guida di questa missione. Ma di questa, cosa è rimasto?
A nove anni dalla presenza della NATO con la missione ISAF la situazione in Afghanistan è peggiorata in termini di insicurezza. Il 2010 è stato l'anno peggiore dalla caduta del regime talebano: non solo il numero degli incidenti è stato maggiore, ma lo spazio e la profondità della rivolta e le guerriglie connesse non aiutano a contrastare la violenza e hanno altresì ingrandito enormemente il pericolo legato alla mancanza di sicurezza.
Nel mese di giugno sono stati registrati fino a milleduecento incidenti: è il più alto numero di incidenti in un mese dal 2002.
La corruzione regna sovrana, la produzione di oppio è aumentata di quaranta volte, i proventi della droga rappresentano oltre il 60 per cento dell'economia, l'Afghanistan ha il peggior record delle morti infantili ed ha un'aspettativa di vita poco superiore ai quarant'anni.
Non dimentichiamo che il principale obiettivo della missione internazionale che ci vede protagonisti è la cooperazione allo Pag. 40sviluppo e al sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione e il Governo italiano ha grandi responsabilità, nei confronti sia della comunità nazionale, sia di quella internazionale.
Sono stati nove anni svuotati del necessario e progressivo dibattito sulle strategie e sui contenuti e privati di un doveroso confronto politico e istituzionale: anni, mesi, giorni bruciati e passati senza sentire o, quanto meno, senza avvertire l'esigenza di riferire, se non nella tragicità degli eventi, e di coinvolgere tanto il Parlamento quanto l'intero Paese.
Da tempo, ormai, chiediamo un confronto e un dibattito a trecentosessanta gradi sul motivo per il quale siamo ancora lì e in merito al fatto se la mission della nostra partecipazione sia ancora quella iniziale.
I talebani hanno rivendicato l'attentato; in questi giorni altri soldati delle forze ISAF hanno perso la vita, sempre per l'esplosione di bombe; decine di civili muoiono ogni giorno. Ai nostri militari e alle loro famiglie e a tutti i cittadini italiani che assistono inermi a queste tragedie annunciate, si risponde che forse il Governo metterà bombe sugli aerei, così davvero avremo una guerra ad armi pari.
Il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan afferma che, se questo è un periodo critico e violento, i prossimi mesi saranno ancora peggiori. Il generale Petraeus non vede una exit strategy, almeno per ora. Armare i nostri aerei con le bombe? Questa non può e non deve essere una domanda da porsi oggi, perché nella sostanza è un falso problema.
Occorre venire in Parlamento e confrontarsi non sulle bombe eventualmente da utilizzare - le quali aprirebbero un nuovo e diverso scenario sulla nostra presenza in Afghanistan -, bensì su tutta la missione che si va progressivamente e velocemente snaturando, dal momento che si trova, di fatto, in un teatro di guerra. Questo lo denunciamo da tempo.
C'è il rischio vero e concreto che, in attesa di una exit strategy, vi sia una «vietnamizzazione» di quel conflitto: è un rischio altissimo e su questo tema bisogna interrogarsi e darsi risposte, ormai non più rinviabili.
Non basta che il Governo dica che è nostro dovere rimanere in Afghanistan: il Governo chiarisca davvero, una volte per tutte, quali siano i reali interessi che rischiano di farci andare contro la nostra Costituzione e il Ministro della difesa venga in Parlamento ed in Commissione a discutere su cosa accadrà nei prossimi mesi e quale sarà la nostra posizione all'interno di questo scenario, invece di subire sempre e comunque le decisioni altrui.
Concludo: Italia dei Valori ha assunto una posizione intellegibile e responsabile: al sacrificio di uomini e donne, alle tante giovani vite spezzate, al dolore e alla tragedia sempre in agguato dice che bisogna dare un senso alto ed altro e, in assenza di una riflessione politica, perno di un pensiero strategico che dia la cifra della nostra presenza in Afghanistan, ribadiamo la nostra indisponibilità umana, etica e politica, dicendo ad un Governo inadeguato e non all'altezza delle proprie ambizioni e di questa situazione, che è fortunata quella patria che non ha bisogno di eroi (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Stanislao, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, come ha ricordato il Presidente Napolitano mentre rendeva onore al sacrificio dei quattro soldati italiani caduti in Afghanistan, i nostri soldati sono da quasi nove anni in quel Paese per una causa giusta.
Penso che le immagini più importanti, che dimostrano come sia giusta la causa per la quale i nostri soldati siano presenti Pag. 41in quel Paese, l'hanno data quelle migliaia di giovani, donne e anziani che hanno fatto pazientemente la coda ai seggi elettorali il 18 settembre e hanno esibito con orgoglio il loro indice macchiato di inchiostro indelebile, che ha certificato l'avvenuto esercizio della possibilità di votare.
I nostri soldati sono in Afghanistan su mandato delle Nazioni Unite e, insieme agli alleati della NATO, con contingenti di oltre 46 Paesi. Oggi, quindi, compie un grave errore chi parla di ritiro immediato e tale scelta sarebbe evidentemente un atto unilaterale sbagliato, sia contro i nostri alleati europei e americani e contro il nostro sistema di alleanze, sia contro noi stessi.
Ritengo che il lavoro delle nostre Forze armate e della coalizione non sia ancora concluso.
Dopo una fase di contrasto al terrorismo talebano, realizzato spesso con azioni «mordi e fuggi», limitate nel tempo e nello spazio, oggi la coalizione ha l'obiettivo del controllo duraturo del territorio, creando le cosiddette bolle di sicurezza per stabilizzare veramente quel territorio, per permettere la ricostruzione e lo sviluppo e per aumentare la fiducia nella popolazione.
Pertanto, pensiamo che il lavoro sia ancora da concludere e siamo assolutamente favorevoli a che vengano forniti al nostro contingente tutti i mezzi necessari per garantire la sua sicurezza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, signor Ministro, a nome della componente Noi Sud del gruppo parlamentare Misto, esprimo sofferenza e dolore per i quattro valorosi alpini caduti in Afghanistan e sentimenti di solidarietà alle loro famiglie. L'Italia intera ha partecipato e partecipa al lutto che ha colpito queste famiglie e nessuno di noi dimenticherà mai questi nostri valorosi eroi, insieme a tutti gli altri caduti per sostenere la causa giusta della pace e della libertà.
Signor Ministro, Noi Sud condivide la sua relazione, in modo particolare il suo richiamo per una forte unità del Parlamento, la più ampia possibile, e delle forze politiche. Noi - a differenza di altri - ci assumiamo in questo Parlamento le nostre responsabilità e ci sentiamo di darle, sul piano politico, il più ampio mandato possibile per assumere le scelte - anche quelle su cui si è discusso in questi giorni e questa mattina - per garantire la piena sicurezza ai nostri soldati.
Il nostro Paese è in Afghanistan con i suoi soldati per costruire la pace, per dare sicurezza ad un popolo tormentato dalla guerra civile e dai fondamentalismi. Si tratta di uno sforzo che la comunità internazionale ha compiuto con grande dispendio di energie.
Concludo questo mio intervento ribadendo, a nome della componente Noi Sud del gruppo Misto, il pieno sostegno alla sua azione e a quella del Governo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lo Monte. Ne ha facoltà.

CARMELO LO MONTE. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, i parlamentari e tutto il Movimento per le Autonomie rinnovano il proprio cordoglio e la vicinanza ai familiari dei nostri quattro alpini caduti. Questi giovani hanno dato le loro vite al Paese con altruismo e con coraggio.
La morte dei quattro alpini ha profondamente scosso il nostro Paese, tuttavia una grande nazione deve avere la capacità di stringersi attorno ai propri ragazzi inviati nelle varie missioni. Occorre evitare che il sacrificio dei trentaquattro militari caduti, in gran parte meridionali, sia stato inutile per la realizzazione della pace e della stabilità in un Paese tormentato come l'Afghanistan.
Nessuno può pretendere che non vi siano rischi quando si decide di essere presenti, come Paese, nella guerra contro il terrorismo e le nostre Forze armate sapranno fare il loro dovere e svolgere le loro missioni. Tuttavia, allo stesso tempo, gli italiani devono essere certi che le vite dei nostri soldati siano protette con il massimo di sicurezza possibile, nell'ambito Pag. 42di una missione nella quale si abbiano chiari i contorni, le motivazioni e i tempi. In questo quadro, i nostri soldati rimangano in Afghanistan.
Signor Ministro, se fosse necessario, vengano armati i nostri aerei, ma contemporaneamente si individui, insieme agli altri Paesi interessati, una strategia efficace per completare, nel tempo più breve possibile, la missione di pace.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, vorrei dire tre cose al Ministro La Russa. Lei sa che, ovviamente, vi è la piena solidarietà del partito che ho l'onore di rappresentare nei confronti delle forze militari, del corpo degli alpini e delle famiglie di questi nostri caduti.
In merito alle due questioni politiche che egli - ed ho apprezzato - ha posto al Parlamento, cioè la questione dell'armamento delle nostre truppe, dei nostri soldati, e quella della permanenza nello scacchiere dell'Afghanistan, sulla prima debbo dire che sono d'accordo con l'onorevole Casini. Signor Ministro, questa è una responsabilità del Governo, e posso preannunziare che, se il Governo riterrà di dover introdurre delle armi sui nostri aerei, avrà il nostro pieno sostegno, così come se riterrà che può farne a meno. Ma ella, signor Ministro, non può assoggettare questa decisione a una valutazione del Parlamento. Se non è necessaria, non la prenda; se è necessaria, la prenda. Poi veda se ha una maggioranza in Parlamento.
Sull'altra questione, quella dell'Afghanistan, avrei preferito che lei dicesse, signor Ministro, senza retorica (la pace, la libertà, le donne), che l'Italia è impegnata ad accettare e mantenere una decisione di ordine multilaterale, con i nostri alleati, per quanto riguarda la nostra permanenza o la nostra partenza. Non siamo lì per decidere da soli se stare o andar via.

PRESIDENTE. Onorevole La Malfa, La prego di concludere.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Vorremmo sapere cosa dirà il Governo italiano nelle sedi multilaterali e se lei ritiene di convocare le Commissioni affari esteri e difesa in sede riservata, con le forme di cautela, per dirci non quali sono i generali obiettivi sull'Afghanistan ma che cosa l'Italia intende dire nelle sedi multilaterali circa la missione.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i beni e le attività culturali e il Ministro per i rapporti con il Parlamento.

(Conseguenze dell'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 in materia di associazioni di carattere militare con scopi politici - n. 3-01271)

PRESIDENTE. L'onorevole Donadi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01271, concernente conseguenze dell'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 in materia di associazioni di carattere militare con scopi politici (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

Pag. 43

MASSIMO DONADI. Signor Ministro Calderoli, il Parlamento, con l'approvazione della legge sulla semplificazione della legislazione, ha dato delega al Governo e al suo Ministero in particolare di verificare tutte le norme antecedenti al 1970 e di abrogare quelle che non fossero più attuali.
Ricordiamo tutti che nel mese di marzo, con un'immagine anche molto forte, lei con un lanciafiamme dette fuoco a una pira di leggi inutili. Abbiamo scoperto poi, grazie anche alle inchieste fatte da parte della stampa, che tra i reati abrogati vi è quello di associazione di carattere militare con scopi politici, che è tutt'altro una norma inutile, visto che attualmente in un tribunale della Repubblica vi sono 36 alti esponenti della Lega Nord rinviati a giudizio proprio con questo capo di imputazione, proprio per questo reato, in riferimento alla famosa «guardia padana» che ha causato questa imputazione.
Le chiediamo di capire come mai, nonostante l'errore sia stato segnalato per tempo (perché voi avete detto che si è trattato di un errore), il Governo non ha provveduto in nessun modo a correggerlo.

PRESIDENTE. Il Ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, innanzitutto, quello che quest'oggi è l'oggetto dell'interrogazione a risposta immediata non fa parte dei 375 mila provvedimenti, e non centra assolutamente niente, ma fa parte della realizzazione del codice dell'ordinamento militare, che è stato predisposto da una commissione tecnica istituita con decreto del Ministro della difesa del 29 novembre 2007 - quindi, dal Governo precedente - incaricata di provvedere al riassetto delle norme di interesse dell'amministrazione della difesa in attuazione della delega di cui all'articolo 14 della legge n. 246 del 2005. L'operazione di riassetto ha comportato l'espressa abrogazione delle norme non più utili e di quelle oggetto di riordino, determinando la riduzione di quattro quinti della normativa settoriale di rango primario e secondario. Nel corso dei lavori, la commissione tecnica ha incluso il decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, oggetto dell'interrogazione, nell'elenco delle norme da abrogare espressamente in sede riordino.
Lo schema di decreto legislativo recante detto elenco è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri in data 11 dicembre 2009. La suddetta inclusione non ha subìto modifiche nel seguito dell'iter legislativo, né sul punto sono state formulate osservazioni di sorta nei pareri allo schema, tra i quali quelli delle competenti Commissioni parlamentari, neppure da parte dei soggetti interroganti. Lo schema di decreto è stato poi approvato in via definitiva da parte del Consiglio dei ministri il 17 marzo 2010.
Alla stregua di quanto esposto appare chiaro che, dopo l'approvazione definitiva del Consiglio dei ministri e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, il Governo non poteva salvare dall'abrogazione il decreto legislativo n. 43 del 1948 con una semplice rettifica sulla stessa Gazzetta Ufficiale, trattandosi, nella specie, non della correzione di un errore materiale, bensì di una modifica sostanziale di un testo legislativo, su cui già era stato espresso il parere del Parlamento e del Consiglio di Stato.
Quanto, infine, ai rischi di vuoto normativo che taluno avrebbe paventato, si segnala, in punto di stretto diritto, che non può condividersi il rilievo secondo cui l'abrogazione del decreto legislativo n. 43 del 1948 - provvedimento che ha avuto scarsissima applicazione nell'arco della storia costituzionale - si ponga in contrasto con l'articolo 18, secondo comma, della Costituzione. Difatti questa disposizione, secondo cui sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare, è autosufficiente e immediatamente precettiva, di per sé idonea a radicare l'illiceità di qualsiasi organizzazione di carattere militare con scopo politico. Pag. 44
Sintetizzando, la proposta di abrogazione è stata fatta da una Commissione che appartiene al Governo del centrosinistra, vi è stato il passaggio in due sedi di Consiglio dei ministri dove nessuno ha eccepito, e nessuno ha eccepito in sede parlamentare e in Consiglio di Stato. Una volta concluso l'iter, come dice il parroco al matrimonio, chi doveva parlare, parlava allora oppure taceva per sempre.

PRESIDENTE. L'onorevole Donadi ha facoltà di replicare.

MASSIMO DONADI. Signor Presidente, signor Ministro, la sua risposta non solo è insufficiente ma è gravissima.
Lei afferma che anche se è stato adottato un atto dal vostro Governo in sede di Consiglio dei ministri con il quale si abroga un reato gravissimo, come quello di associazione militare con finalità politiche, siccome semplicemente tale situazione non è stata rilevata in sede parlamentare, voi ve ne fregate e ormai chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Così i trentasei militanti e dirigenti leghisti che oggi sono probabilmente gli unici, ma comunque lo sono, rinviati a giudizio per questo gravissimo reato, la fanno franca, alla faccia del diritto, alla faccia dell'Italia e alla faccia dei valori democratici, repubblicani e costituzionali che lei ha chiamato in causa.
Non si fa così, signor Ministro. Voi, come Governo, avevate non solo il tempo, non solo i mezzi, ma avevate anche il dovere giuridico e morale di intervenire per fare in modo che quella legge non venisse abrogata. Avevate il tempo di fare un decreto-legge, di fare un altro decreto legislativo che poteva essere anche di una sola riga e che dava atto di quello che voi stessi, a mezza bocca, avete lasciato intendere, e cioè che si trattasse di un errore.
Oggi, questa vostra inedia, il fatto di non essere intervenuti e di non aver pubblicato nella Gazzetta Ufficiale una norma che impedisse l'entrata in vigore di questa legge produrranno delle conseguenze gravi e così - ma credo che questo sia in qualche modo giusto e vi fosse dovuto - dopo aver approvato per quindici anni tante leggi "ad Berlusconem" avete approvato anche una legge "ad Legam", con buona faccia del diritto e della giustizia italiani. Ma questo gli italiani se lo ricorderanno e non ve lo perdoneranno, perché non si può girare per il nord del Paese la mattina invocando legalità, giustizia e sicurezza e poi farsi i propri porci comodi quando si sta seduti dietro i banchi del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Risultati conseguiti in materia di semplificazione normativa e ulteriori iniziative al riguardo per favorire la competitività del «sistema Paese» - n. 3-01272)

PRESIDENTE. L'onorevole Stracquadanio ha facoltà di illustrare l'interrogazione Baldelli n. 3-01272, concernente risultati conseguiti in materia di semplificazione normativa e ulteriori iniziative al riguardo per favorire la competitività del «sistema Paese» (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, signor Ministro, penso che sia utile la sua presenza in Aula oggi perché l'episodio a cui abbiamo appena assistito, dimostra come la disinformazione intorno al suo lavoro stia avvelenando i pozzi della conoscenza. Se il collega Donadi avesse saputo di che cosa parlava, avrebbe forse evitato di presentare l'interrogazione e di nascondere la sua figuraccia dietro questa intemerata di cui non sentivamo proprio il bisogno.
Detto questo, le volevo chiedere se, più in generale, potesse fornire i risultati sull'opera di semplificazione e delegificazione, anche in relazione al fatto che ieri, nella trasmissione televisiva Ballarò, di grande ascolto nella nostra opinione pubblica, il senatore Rutelli si è permesso di portare il testo di quello che sarebbe un suo sondaggio sull'impatto della normativa di semplificazione sull'opera delle imprese. Siccome, a suo avviso, tale impatto sarebbe Pag. 45zero - lo avrebbe chiesto a una assemblea di artigiani e di commercianti del nord del Paese -, e dai dati in nostro possesso sembra essere diverso, le chiederei un chiarimento su questo punto.

PRESIDENTE. Il Ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, non avendo per fortuna la consuetudine di guardare Ballarò non le so riferire rispetto al caso in oggetto. Le darò qualche specifica rispetto ai contenuti.
Con l'attuazione della delega cosiddetta taglia-leggi prevista dall'articolo 14 della legge n. 246 del 2005 e, in generale, con tutta l'attività di semplificazione normativa realizzata in questa prima parte della legislatura, sono state eliminate dall'ordinamento le norme inutili o troppo onerose per i cittadini e le imprese, garantendo al contempo una migliore riconoscibilità e un maggiore livello di certezza della legislazione vigente. I risultati raggiunti sono notevoli grazie agli interventi di abrogazione, che hanno eliminato circa 375 mila provvedimenti che - sondaggi o non sondaggi - sono stati eliminati e come ricordava il collega, li abbiamo anche bruciati.
Il nostro ordinamento, con poche migliaia di leggi vigenti, si pone in linea con i migliori Paesi dell'Unione europea. L'intervento è stato fortemente apprezzato dall'OCSE, nel suo rapporto sull'Italia del 2010, dove si legge che il «taglia leggi» italiano è ormai considerato una best practice a livello mondiale.
Dopo gli interventi di eliminazione delle norme, stiamo ora lavorando alla codificazione e al riassetto della normativa per settori omogenei: sono già stati emanati il codice dell'ordinamento militare e quello della proprietà industriale; sono già stati approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri il codice sull'attività agricola e quello del turismo.
I risultati raggiunti in termini di maggiore chiarezza e certezza giuridica comprendono anche la realizzazione del sito istituzionale www.normattiva.it, al quale ciascun cittadino può accedere per consultare gratuitamente tutti gli atti normativi vigenti a partire dal 1946 ad oggi (finora il servizio era svolto a pagamento e solo da privati).
Inoltre, nel Consiglio dei ministri del 7 ottobre scorso, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione e il Ministro per la semplificazione normativa hanno illustrato il piano di semplificazione amministrativa per le imprese e per le famiglie, che ha l'obiettivo di ridurre, entro il 2012, di almeno il 25 per cento gli oneri amministrativi gravanti sulle imprese, nonché di semplificare le procedure in favore delle piccole e medie imprese, con evidenti riflessi in termini di rilancio dell'economia.
Dopo la riduzione dello stock normativo, ci si sta ora concentrando sulla fase successiva: entrare nel merito delle regole e ridurne il carico burocratico. Se finora per salvare una legge dal «taglia leggi» è stato sufficiente considerarla non obsoleta, nella seconda fase, che chiameremo il «taglia regole», per salvare una qualsiasi normativa, primaria o secondaria, occorrerà eliminare i costi burocratici superflui. Il meccanismo sarà obbligatorio, pena l'eliminazione automatica della stessa regola attraverso la ghigliottina.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Esso si estenderà anche alle regole inutili, previste da norme secondarie o da altri provvedimenti, quali circolari, decreti, direttive, ordinanze ministeriali, eccetera, con un sistema di raccordo anche per la normativa regionale su intesa in Conferenza Stato-regioni. Quindi, saranno invitati tutti al prossimo rogo del «taglia regole».

PRESIDENTE. L'onorevole Stracquadanio ha facoltà di replicare.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro soprattutto per aver delineato tempi Pag. 46e modi della fase futura della sua iniziativa e dei roghi regionali, che si prevedono, delle normative in eccesso.
Oltre a dichiararmi soddisfatto della sua risposta, se posso avanzare un suggerimento, dal momento che queste cose impattano molto sull'attività dei cittadini e delle imprese (ad esempio, l'esistenza del sito www.normattiva.it è ancora molto poco nota), sarebbe forse opportuna una campagna pubblicitaria della Presidenza...

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. È prevista.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. È prevista? Perfetto. Lo suggerivo affinché si evitino, su questo, misunderstanding e confusioni che non giovano certo alla bontà della riflessione pubblica nel nostro Paese, dove dovremmo occuparci più di cose che impattano tutti i giorni sulla vita delle persone rispetto alle polemiche che abbiamo sentito poc'anzi.

(Orientamenti del Governo in merito alla partecipazione dei privati alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale - n. 3-01273)

PRESIDENTE. L'onorevole Cosenza ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01273, concernente orientamenti del Governo in merito alla partecipazione dei privati alla gestione e valorizzazione del patrimonio culturale (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

GIULIA COSENZA. Signor Presidente, signor Ministro, tutti noi sappiamo che il nostro Paese possiede il patrimonio storico-culturale più ampio del mondo, ma una parte consistente di questo patrimonio versa in condizioni pessime. Come deputata campana, vorrei citare l'area flegrea, che - come ben sappiamo - è una tra le più importanti concentrazioni archeologiche al mondo, ma versa in uno stato di quasi abbandono. Allo stesso modo, vorrei ricordare molte realtà museali periferiche del Mezzogiorno, che non hanno adeguata gestione.
Tutto ciò in un Paese che nell'immaginario collettivo internazionale è il simbolo della culla della civiltà, della cultura, del buon vivere, dell'arte e che, di conseguenza, ha anche una potenzialità dal punto di vista turistico enorme, ma che ogni giorno viene sprecata e sminuita, soprattutto al sud, per questi motivi...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIULIA COSENZA. ...e infatti perdiamo turisti a livello mondiale rispetto alla Francia, alla Spagna, le quali ormai ci hanno stabilmente superato nella classifica delle mete più visitate al mondo. A nostro parere una soluzione possibile...

PRESIDENTE. Onorevole Cosenza, la prego di formulare l'interrogativo, perché il suo tempo è scaduto.

GIULIA COSENZA. Volevo chiedere al Ministro quale fosse la sua opinione in merito alla possibilità di sostenere un coinvolgimento attivo dei privati nella gestione del patrimonio museale e culturale del nostro Paese.

PRESIDENTE. Il Ministro per i beni e le attività culturali, Sandro Bondi, ha facoltà di rispondere.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Signor Presidente, ringrazio l'onorevole Cosenza per aver posto una questione certamente importante, muovendo da considerazioni come quelle che abbiamo ascoltato poc'anzi, in larga misura condivisibili.
Infatti, nonostante gli sforzi dell'Amministrazione dei beni culturali, chiamata con risorse relativamente scarse a far fronte a compiti di tutela e di valorizzazione di un patrimonio culturale vastissimo, resta aperto il problema di come reperire risorse adeguate a questo compito così difficile. Come lei sa, ne ho parlato in Pag. 47Consiglio dei ministri, ne parlo oggi e ne parlerò anche alle Commissioni cultura della Camera e del Senato.
La gestione dei beni culturali spetta, in primo luogo, allo Stato, ma, sicuramente, chiama in causa il ruolo della società civile del Paese, che spesso è pronta ad agire non per sostituire il ruolo dello Stato, che resta e deve restare fondamentale, ma a sostegno e ad integrazione della mano pubblica.
Vi è, dunque, la volontà mia e del Ministero di cui ho la responsabilità sia di mantenere la presenza dello Stato nell'ambito della cultura, che non può fare a meno dell'intervento dello Stato, sia per rendere possibile l'apertura e il contributo dei privati a sostegno dell'attività culturale. Questo coinvolgimento dei privati, in particolare, che pure è necessario, incontra due limitazioni: in primo luogo, deve essere sempre garantita la priorità delle esigenze di tutela del patrimonio che, a mio avviso devono restare in capo allo Stato (diverso è il problema della valorizzazione del patrimonio storico-artistico che può e deve essere fatto dal Governo, dallo Stato, dagli enti locali e dai privati); in secondo luogo, deve essere sempre assicurato il rispetto rigoroso delle regole della concorrenza e del mercato, che ci sono dettate dall'ordinamento interno e da quello comunitario.
Per cui, gli affidamenti in gestione ai privati, se e nella parte in cui sono di rilevanza economica, devono necessariamente obbedire alle regole di evidenza pubblica preordinata ad assicurare il rispetto dell'imparzialità dell'azione amministrativa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SANDRO BONDI, Ministro per i beni e le attività culturali. Mancandomi il tempo per scendere nei dettagli di altre questioni che lei ha posto, voglio soltanto ricordare e condividere con lei la necessità di una cura particolare del patrimonio storico del Mezzogiorno e della Campania: come lei sa, stiamo studiando - come, ad esempio, per l'area archeologica di Pompei - anche delle nuove forme di gestione, che potrebbero essere l'istituzione di una fondazione che veda la partecipazione del pubblico e del privato, dello Stato e degli enti locali, in modo da valorizzare di più e meglio il nostro immenso patrimonio storico-artistico.

PRESIDENTE. L'onorevole Cosenza ha facoltà di replicare.

GIULIA COSENZA. Signor Ministro, la ringrazio per la sua risposta, che mi conforta perché manifesta sensibilità e attenzione, sua e del Governo. Allo stesso tempo - chiaramente nel rispetto dei criteri di tutela del bene che lei ha citato - volevo indicare uno dei tre punti (quello al quale più tengo) che era quello che prevedeva - nell'affidamento eventuale della gestione a privati, o comunque per favorire la partecipazione del privato al sostegno del bene culturale - l'innalzamento dal 19 per cento attuale al 30 per cento dell'aliquota della detrazione fiscale quando le erogazioni in favore delle istituzioni culturali siano effettuate da persone fisiche o giuridiche.
Ovviamente, tutto ciò serve proprio per supportare la partecipazione del privato, il quale, oggi, invece, si vede spesso non motivato nella sua vicinanza all'opera dello Stato, ma alla quale può partecipare attivamente, così come avviene in maniera molto proficua in molti Paesi stranieri.

(Intendimenti del Governo in merito alla proroga dell'efficacia dei limiti previsti dall'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 in materia di accesso senza fili alla rete Internet - n. 3-01274)

PRESIDENTE. L'onorevole Rao ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01274 concernente gli intendimenti del Governo in merito alla proroga dell'efficacia dei limiti previsti dall'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 in materia di accesso senza fili alla rete Internet (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

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ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor Ministro - come lei ben ricorda - all'indomani degli attentati di Londra e Madrid, sanguinosi, nelle metropolitane, il nostro Paese - come tanti altri - assunse una serie di misure di contrasto al terrorismo, tra cui il cosiddetto decreto Pisanu. Un decreto che ha posto dei limiti severi - parliamo di adempimenti burocratici pesantissimi - per l'accesso alla rete Internet senza fili (la cosiddetta rete wi-fi). Si tratta di una norma che non ha eguali in altri Paesi occidentali e secondo la quale i gestori dei pubblici servizi per utilizzare questo sistema, ancora oggi, sono obbligati a chiedere una specifica licenza al questore, a identificare con documento coloro che vogliono accedere alla rete, e a conservare i dati cartacei in un apposito archivio.
Gli stessi proponenti hanno ammesso che questa misura si è rivelata poco utile per il contrasto al terrorismo, ma molto gravosa per la diffusione del libero accesso ad Internet, e dunque estremamente dannosa per lo sviluppo del nostro Paese. Concludo, signor Presidente, facendo una richiesta al Ministro: visto che su iniziativa degli onorevoli Lanzillotta e Gentiloni, insieme al collega Barbareschi, abbiamo presentato una proposta di legge per abrogare o per modificare questa norma, vorrei sapere il parere del Governo su questa questione.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, rispondo all'onorevole Rao sulla base degli elementi che sono stati forniti dal Ministero dell'interno. Come lei ha ricordato, l'articolo 7 del decreto-legge n. 144 del 2005 fa parte di un gruppo di disposizioni volte a controllare attività sensibili, in particolare gli Internet point e gli altri esercizi nei quali sono offerti servizi di comunicazione anche telematica, in relazione a possibili minacce terroristiche. Questa disposizione risponde quindi a esigenze di sicurezza dello Stato. Va evidenziato che l'applicazione della normativa, di straordinaria importanza, ha consentito attività investigative di assoluto rilievo per il contrasto del terrorismo sia nazionale che internazionale, nonché per il contrasto del grave fenomeno della pedopornografia on line. Le richieste di semplificazione e di liberalizzazione poste alla base della sua interrogazione, onorevole Rao, unitamente all'esigenza di non pregiudicare la sicurezza dello Stato (e quindi la sicurezza dei cittadini), le posso assicurare, sono pertanto all'attenta valutazione del Governo e del Ministero dell'interno.

PRESIDENTE. L'onorevole Rao ha facoltà di replicare.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro, e mi dispiace che abbiano scomodato lei, nel senso che la mia richiesta poteva anche essere rivolta al Ministro Romani, o al Ministro Calderoli (che è competente per la semplificazione). Con grande cortesia lei ha interpretato, invece, il pensiero del Ministro dell'interno che chiaramente ha come primo interesse quello della tutela dei nostri cittadini rispetto agli attacchi e in materia di sicurezza anche internazionale, ma è lo stesso pensiero che abbiamo noi. Ovviamente la sicurezza nazionale viene al primo posto, ma questa norma a nostro giudizio - lei ha citato alcuni fatti, ma la risposta era anche necessariamente sintetica e generica, sui grandi risultati che ha dato questa norma in termini di contrasto al terrorismo e questa è la prima volta che ne sentiamo parlare, e sarà il caso di approfondire la questione in sede di dibattito parlamentare - senza dubbio complica la vita dei cittadini, quindi ci saremmo aspettati un intervento che lasciasse presupporre un'iniziativa un po' più forte per abrogarla. È una questione che non riguarda soltanto la sicurezza dei cittadini. Internet rappresenta per noi l'ultima frontiera della libertà, ma anche un volano determinante per lo sviluppo dell'economia. L'abrogazione o la modifica del decreto Pisanu presenta un interesse Pag. 49trasversale. Lei lo sa, anche nei vertici della Commissione Trasporti abbiamo trovato una grande attenzione. Si possono trovare anche soluzioni intermedie (forse quelle che lei ha auspicato), ma si deve assolutamente cancellare l'obbligo per i gestori di conservare un archivio cartaceo di chi si connette, altrimenti siamo veramente agli antipodi.
L'Italia ha un quinto dei punti di accesso wi-fi della Francia, è agli ultimi posti in Europa - e che tristezza queste classifiche - a fianco di Romania e Bulgaria. In altri Paesi che si impegnano come noi e forse anche più di noi nella lotta al terrorismo non ci sono regole simili. Per quanto riguarda lo sviluppo di Internet noi saremo in prima linea, anche al fianco di iniziative come quella che abbiamo presentato noi o di analoghe del Governo. Se vogliamo crescere e svilupparci dobbiamo colmare questo grave ritardo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

(Misure in relazione alla chiusura dello stabilimento Carrier di Torreglia (Padova) e iniziative per la riduzione del costo del lavoro al fine di contrastare la delocalizzazione delle imprese - n. 3-01275)

PRESIDENTE. L'onorevole Bitonci ha facoltà di illustrare l'interrogazione Reguzzoni n. 3-01275, concernente misure in relazione alla chiusura dello stabilimento Carrier di Torreglia (Padova) e iniziative per la riduzione del costo del lavoro al fine di contrastare la delocalizzazione delle imprese (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, è notizia di questi giorni che l'azienda multinazionale Carrier chiude lo stabilimento di Torreglia delocalizzando la produzione in un Paese dell'Est Europa. Questo produrrà il licenziamento per cessata attività di 193 lavoratori e non solo, perché dobbiamo considerare anche l'indotto e, quindi, andrà a colpire anche un'altra settantina di famiglie. La delocalizzazione avverrà in Ungheria. Da diversi giorni i lavoratori presidiano lo stabilimento per evitare la chiusura. Chiediamo al Governo come intenda intervenire con urgenza per risolvere questa questione in particolare che sta creando un importante allarme sociale e se non convenga sull'opportunità di adottare al più presto misure volte a ridurre il costo del lavoro, al fine di evitare il diffondersi di tali iniziative di delocalizzazione, anche valutando l'adozione di misure che introducano dei meccanismi premiali a favore delle aziende che non delocalizzano.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevole Bitonci, nell'interrogazione sua e del gruppo della Lega Nord Padania si richiama correttamente l'attenzione sulle vicende aziendali della multinazionale Carrier, interessata da un processo di delocalizzazione nei Paesi dell'Est Europa, ai fini di un contenimento dei costi del lavoro con negative ripercussioni sul versante occupazionale. Lo scorso 4 ottobre la società ha comunicato alle organizzazioni sindacali la determinazione di chiudere lo stabilimento di Torreglia, in provincia di Padova, e di dare avvio alla procedura di mobilità nei confronti di 193 lavoratori, nonché il trasferimento delle produzioni presso la Repubblica Ceca e l'Ungheria. Le rispondo, quindi, sulla base dei dati che sono stati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministero ci informa che, all'esito degli incontri tenutisi tra le parti nella giornata di ieri presso la sede della provincia di Padova e della Confindustria, l'azienda si è dichiarata disponibile a verificare entro tre settimane, nelle sedi opportune, la possibilità del ricorso a strumenti complementari al collocamento in mobilità, tra cui la cassa integrazione guadagni straordinaria, la mobilità concordata e l'incentivazione all'esodo. Le organizzazioni sindacali hanno manifestato la disponibilità a Pag. 50sospendere le iniziative in atto, ivi compresi l'assemblea permanente, il presidio dei cancelli e il blocco delle portinerie, consentendo la normale agibilità e funzionalità in azienda. Inoltre, per il prossimo 15 ottobre la regione ha appositamente convocato un tavolo nell'ambito del quale potranno essere ulteriormente affrontate le questioni relative alle scelte aziendali annunciate dalla Carrier. Considerata la delicatezza della situazione e il suo impatto sulla realtà territoriale, il Governo, nelle sue diverse componenti, è sicuramente disponibile a svolgere un ruolo attivo al fine di consolidare il sistema produttivo italiano, orientando le iniziative di incentivazione verso imprese che consentano di mantenere sul territorio nazionale le attività a maggiore valore aggiunto e meno aggredibili dalla concorrenza internazionale.
In questa direzione si muove il programma Industria 2015 e, in particolare, il progetto di innovazione industriale sulle nuove tecnologie del made in Italy. Nello stesso senso si muove il contratto di rete previsto dal decreto-legge n. 5 del 2009, che offre al sistema delle imprese italiane un nuovo strumento di aggregazione industriale finalizzato ad accrescere la capacità competitiva. In conclusione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha già offerto la massima disponibilità per verificare le possibili iniziative per una possibile soluzione della vicenda. A questo proposito, si è già tenuto un incontro informale con il capo del personale della Carrier al quale sono state illustrate le soluzioni allo stato praticabili per evitare che ricadano sui dipendenti e sulle loro famiglie le conseguenze dell'attuale situazione dell'azienda.

PRESIDENTE. L'onorevole Bitonci ha facoltà di replicare.

MASSIMO BITONCI. Signor Presidente, signor Ministro, al di là del fatto specifico di cui abbiamo parlato oggi (250 famiglie coinvolte, ossia 193 più l'indotto), noi del gruppo Lega Nord Padania vogliamo far presente quello che è il problema fondamentale e, cioè, che queste aziende che vanno a delocalizzare all'estero magari hanno ricevuto anche dei contributi statali e hanno sfruttato quelli che sono gli incentivi per determinati settori. Dovremmo assolutamente trovare, quindi, una soluzione per spingere queste aziende a rimanere nel nostro territorio ed affrontare quelle che sono anche le reali problematiche di questo periodo di crisi.
Non si può abbandonare il nostro territorio, il nostro Stato solamente in periodo di crisi e magari avere ricevuto in passato contribuzioni pubbliche. Quindi, lo ricordo al Governo e spero che vi siano provvedimenti che mirino ad incentivare le aziende a rimanere nel nostro territorio e non a lasciarlo quando è più comodo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

(Iniziative per favorire la ripresa economica, anche in relazione ai nuovi parametri per l'accesso al credito stabiliti dall'accordo «Basilea 3» - n. 3-01276)

PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01276 concernente iniziative per favorire la ripresa economica, anche in relazione ai nuovi parametri per l'accesso al credito stabiliti dall'accordo «Basilea 3» (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

DANIELA MELCHIORRE. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, tra poche settimane, com'è noto, saranno approvate in via definitiva dal G20 di Seoul le nuove regole di Basilea 3 che prevedono tutele più rigorose per il capitale delle banche al fine di garantire la loro tenuta in caso di crisi finanziaria. La previsione di un irrobustimento del patrimonio delle banche sostanzialmente attraverso una maggiore quota di capitale messo da parte ridurrà il rischio di shock finanziari ma al tempo stesso, con probabilità, questo significherà penalizzare tutte quelle piccole e medie imprese che incontreranno maggiore difficoltà nell'accedere Pag. 51al credito. Il rischio, evidenziato in primis dagli stessi operatori, è che per realizzare nel lungo periodo l'obiettivo di tenuta e di maggiore affidabilità dell'intero sistema bancario si produca nel medio periodo un danno alla ripresa economica, venendo a mancare proprio le risorse necessarie per superarla. Chiediamo pertanto al Ministro interrogato se, alla luce del mutato e mutando contesto normativo internazionale, ritenga concreto il rischio che si verifichi un deficit di finanziamento della ripresa economica nel nostro Paese e, se sì, come intenda evitarlo.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signora Presidente, rispondo all'interrogazione dell'onorevole Melchiorre sulla base degli elementi forniti dal Ministero dell'economia e delle finanze che ha sentito anche la Banca d'Italia tramite la segreteria del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. Come lei ha correttamente ricordato, le nuove regole predisposte dal comitato di Basilea si prefiggono lo scopo di prevenire l'eccessiva assunzione di rischi da parte delle banche, di promuovere un terreno di gioco uniforme e di rendere il sistema finanziario più solido e prudente. Le nuove regole che sono state oggetto di un'ampia consultazione con il sistema bancario e che sono state approvate lo scorso settembre dai governatori e dai capi di vigilanza del G20 entreranno in vigore all'inizio del 2013. Il lungo periodo di transizione che intercorre sino alla loro applicazione dovrebbe favorire un graduale adeguamento delle strategie operative delle banche e al contempo evitare ricadute sulla ripresa economica.
Per quanto riguarda il credito alle imprese, i possibili effetti della riforma, soprattutto per le piccole e medie dimensioni alle quali lei ha fatto riferimento potranno risultare diversificati. Le imprese più indebitate verso il sistema bancario potrebbero subire maggiormente le conseguenze di un possibile irrigidimento delle politiche creditizie. Inoltre il grado di indebitamento delle piccole imprese risulta significativamente più elevato rispetto a quello delle imprese di maggiori dimensioni. A causa della sostanziale assenza di canali di finanziamento alternativi al credito la dipendenza delle piccole imprese dalle banche è più elevata della media. Questi elementi di debolezza non sono tuttavia sufficienti a delineare un quadro completo dei possibili effetti della riforma. Vanno infatti adeguatamente considerati diversi fattori che potrebbero attenuare l'impatto su queste imprese. In primo luogo è possibile stimare che le imprese con meno di 20 addetti sono finanziate in misura minore dalle banche più grandi e complesse che subiranno il maggiore impatto della riforma. Inoltre il numero di banche italiane di medie e piccole dimensioni è già oggi caratterizzato da livelli di patrimonio superiori a quelli richiesti dalle nuove regole. Questi intermediari hanno saputo assicurare anche durante la crisi un sostenuto flusso di credito all'economia. Pertanto le piccole imprese potranno continuare a beneficiare del dinamismo di queste banche che rappresentano un loro interlocutore naturale e soprattutto per il radicamento nel territorio e la spiccata capacità di incorporare nel processo creditizio le informazioni qualitative sul merito di credito alla clientela. Va aggiunto in conclusione, onorevole Melchiorre, che il nuovo impianto regolamentare conferma integralmente i meccanismi previsti da Basilea 2 per contenere l'assolvimento patrimoniale di prestiti alle piccole e medie imprese.
A parità di merito creditizio i finanziamenti alle piccole e medie imprese impegnano una quantità di patrimonio significativamente inferiore a quella richiesta a fronte di prestiti concessi a imprese di maggiore dimensione.
In ogni caso - e concludo - la gradualità con cui le nuove norme entreranno in vigore potrà contenere l'impatto anche sull'economia reale.

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PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di replicare.

DANIELA MELCHIORRE. Signor Ministro, voglio replicare mettendo in fila due recenti dichiarazioni del titolare del dicastero a cui è rivolto il mio quesito e che avrei oggi voluto che fosse qui presente in Aula. Pochi giorni fa i giornali riportavano il grido di allarme del Ministro Tremonti su come la finanza speculativa internazionale avesse rialzato la testa e fosse di nuovo a piede libero. Addirittura leggiamo: «I bankers sono tornati, con tanto di costosi ricevimenti e champagne». Sempre per citare il Ministro dell'economia e delle finanze ricordo che qualche mese fa il Ministro stesso aveva detto che le regole giuste sono un investimento, le sbagliate sono un costo: le regole possono essere sbagliate in sé, ma possono essere sbagliate anche perché sono troppe. Siamo d'accordo che queste regole non sono stato certo fissate dall'Italia e che ci troviamo in un periodo di congiuntura economica notevole. Non possiamo però non considerare a chi si rivolge in realtà Basilea 3, visto che comunque essa non costituisce la risposta più efficace per cambiare il paradigma economico e finanziario di riferimento e metterci al riparo da una nuova crisi.
Sappiamo che va ad agire sull'attività delle banche, quindi è d'obbligo renderci conto di quali tipi di banche effettivamente ci sono in Italia, almeno qual è il maggior numero di banche che ci sono nel nostro Paese. Ebbene, sappiamo che ci sono tante banche di modeste dimensioni che potrebbero addirittura non sopravvivere e che di certo non saranno in grado di dare credito alle imprese. Inoltre le piccole imprese, facendo affidamento più sui prestiti bancari che sul mercato dei capitali, temono che si alzi ancora l'asticella dell'accesso al credito, questo è un dato di fatto. Allora io mi rendo anche conto di quanto sia necessario parlare sì di un adeguamento che dovrà avvenire in maniera graduale alle nuove regole fissate da Basilea 3, ma non si può stare con le mani in mano. È necessario che parallelamente si facciano anche azioni opportune per investire. In altre parole, nessun soggetto può sopravvivere a lungo di solo rigore senza investire. Questo è un dato di fatto. È questa la domanda che noi poniamo fortemente e a cui vorremmo avere avuto comunque una risposta, anche in occasione del quesito in esame, che abbiamo posto per stimolare sicuramente un dibattito su quello che è un problema stringente e che siamo chiamati ad affrontare a livello internazionale e nazionale per superare la crisi e per dare ossigeno finalmente alle imprese italiane.

(Intendimenti in ordine a misure di protezione a favore dei magistrati destinatari di minacce e intimidazioni da parte della criminalità organizzata ed elementi di competenza in merito ad una presunta riunione tra esponenti di vertice delle mafie svoltasi recentemente a Messina - n. 3-01277)

PRESIDENTE. L'onorevole Picierno ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01277, concernente intendimenti in ordine a misure di protezione a favore dei magistrati destinatari di minacce e intimidazioni da parte della criminalità organizzata ed elementi di competenza in merito ad una presunta riunione tra esponenti di vertice delle mafie svoltasi recentemente a Messina (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

PINA PICIERNO. Signor Presidente e signor Ministro, vorrei dire innanzitutto che sono davvero sconcertata dall'assenza del Ministro dell'interno, perché discutiamo di un argomento molto serio e viviamo un clima molto complicato: soprattutto negli ultimi anni nel nostro Paese stiamo assistendo ad una vera e propria escalation di violenza ad opera della criminalità organizzata.
Vorrei ricordare per questioni di tempo soltanto i fatti inquietanti che stanno accadendo a Reggio Calabria: ricordo soltanto gli attentati, le bombe, fino ad arrivare alla lettera anonima che è stata Pag. 53fatta recapitare di recente, come abbiamo appreso dalle agenzie, anche alla Commissione antimafia, che ha la forma di una nota riservata - vorrei sottolinearlo - di organi investigativi e che contiene informazioni su una presunta riunione che si sarebbe svolta a Messina tra esponenti di 'ndrangheta, camorra e Cosa Nostra al fine di individuare i nemici da eliminare.
Dunque noi chiediamo di conoscere cosa di gravissimo sta accadendo nel nostro Paese, perché viviamo un clima che ricorda molto da vicino quello degli anni Novanta. Chiediamo di conoscere cosa il Governo voglia mettere in campo e intenda mettere in campo per arginare quella che è una deriva preoccupante di violenza e chiediamo come intenda ovviamente tutelare l'incolumità fisica delle persone minacciate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, posso testimoniare che il Ministro Maroni è sempre disponibile a intervenire alle sedute del question time e che in questo caso aveva preventivamente comunicato, prima del deposito della interrogazione, la sua non disponibilità a partecipare a questa seduta, ma credo che sicuramente in altre sedute confermerà la sua presenza.
In ogni caso, rispondo sulla base degli elementi che ci sono stati forniti direttamente dal Ministero dell'interno che osserva come il quesito principale dell'interrogazione attiene a vicende sulle quali sono stati attivati poteri di cognizione da parte della magistratura attraverso indagini e procedimenti giudiziari e che, in presenza di questa situazione, il Ministero dell'interno su questi aspetti ritiene di essere incompetente a riferire.
Quanto alla tutela dei magistrati, in particolar modo di quelli impegnati in indagini riguardanti la criminalità organizzata, essa è oggetto della massima attenzione da parte di tutte le competenti articolazioni del Ministero dell'interno. In particolare, sul territorio nazionale risultano tutelati, ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 133 del 2002, con misura di protezione ravvicinata, 272 magistrati svolgenti funzioni sia giudicanti che requirenti.
Inoltre, 23 magistrati risultano assegnatari di dispositivi di protezione disposti dai prefetti nell'ambito delle loro esclusive competenze e altri 678 magistrati fruiscono di misure di vigilanza nelle varie forme di vigilanza generica radiocollegata, vigilanza dinamica dedicata e vigilanza radiocollegata a orari convenuti.
In particolare, nella sola regione Sicilia, esistono 105 dispositivi di protezione ravvicinata ai sensi dell'articolo 1 della citata legge n. 133, mentre nella regione Calabria tali dispositivi ammontano a 36. Infine, onorevole Picierno e onorevole Ferranti (che credo replicherà), quanto a un altro aspetto della vostra interrogazione, ossia ai magistrati e alle personalità citate nell'atto di sindacato ispettivo, il Ministero dell'interno fa presente che ciascuna di esse è già destinataria di dispositivi di protezione personale di livello estremamente elevato, proprio in relazione alle specifiche situazioni di rischio.

PRESIDENTE. L'onorevole Ferranti, cofirmataria dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, va da sé che questa risposta, improntata alla massima burocrazia, non ci soddisfa e devo dire che è la seconda volta (poiché c'è stata un'altra interrogazione sul punto) che il Ministro è latitante rispetto ad una risposta e anche a una presenza fisica davanti a deputati che chiedono di sapere quali interventi intenda fare il Ministro dell'interno laddove le organizzazioni criminali stanno alzando i toni in maniera crescente, con una sfida sempre più a volto scoperto.
L'azione criminale a Reggio Calabria al dottor Di Landro, a Pignatone, la lettera anonima fatta arrivare - come diceva prima la collega - addirittura oggi con Pag. 54sfrontatezza anche alla Commissione antimafia, oltreché al procuratore Lari, sono soltanto l'ennesimo episodio di una lunga serie di intimidazioni che ha origine perlomeno nel gennaio del 2010.
Siamo quasi alla fine di questo anno e due motociclisti nel gennaio 2010 avevano fatto esplodere un ordigno di fronte alla procura generale. È il segno, purtroppo, di una fragilità dello Stato che le organizzazioni criminali avvertono e la conseguenza di un'azione di delegittimazione continua nei confronti della magistratura da parte di esponenti autorevoli del Governo, di una politica della giustizia e della sicurezza che va avanti per slogan, che si accontenta di provvedimenti spot, ma che non si è fatta carico delle vere problematiche del Paese, soprattutto nelle zone dove è più radicata e diffusa la criminalità mafiosa organizzata in genere che si annida nelle istituzioni e nel mondo degli affari con un'arroganza e un'impudenza sempre più forti.
Sicuramente qualche risultato vi è stato per prendere qualche latitante, ma è stato il risultato di uno sforzo sovraumano degli investigatori, della polizia giudiziaria, dei magistrati, del pubblico ministero e di indagini di lungo corso. Ora oggi lei ci ha riportato i dati che riguardano le persone sotto scorta, ma in realtà non è stato fatto nulla per capire e per studiare il nuovo evolversi delle organizzazioni criminali mafiose e della 'ndrangheta in particolare. Infatti la criminalità si evolve.
Invece noi continuiamo a mandare un po' più di Esercito, un po' più di poliziotti a rischiare la vita, ma non stiamo facendo nulla per cercare di contrastare efficacemente questo fenomeno.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI. Le voglio dire soltanto un dato affinché riferisca al nostro Ministro, che a Isola di Capo Rizzuto, che è la patria della cosca Arena nel distretto di Catanzaro, non c'è nemmeno un commissariato.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.
Saluto studenti e docenti del Liceo Scientifico «Carlo Livi» di Prato, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 16.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bongiorno e Caparini sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del Doc. LVII, n. 3.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione.

(Ripresa discussione - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, non interverrò soffermandomi in particolare sui dati che sono stati già richiamati più volte questa mattina, che sono dati anche ufficiali e che fanno giustizia di un entusiasmo da parte del Governo e della maggioranza che è del tutto fuori luogo, perché questa Decisione di finanza pubblica è un documento che praticamente vale carta straccia: è un copia-incolla di elementi e di dati che Pag. 55erano stati considerati nella manovra del Governo approvata in agosto, e che sono, di fatto, ampiamente superati.
Ora non sto a dire perché ci si è esaltati per l'aumento della produzione del mese di agosto - ben venga, magari continuasse - ma sappiamo già che quell'aumento non risulterà più confermato per il mese di settembre, perché ci sarà di nuovo un rallentamento. Questa mattina la Banca d'Italia ha accertato un nuovo aumento del debito pubblico e il Fondo monetario internazionale ha già smontato le ipotesi che stanno alla base di questa Decisione di finanza pubblica che è stata costruita esattamente partendo dal fondo e domandandosi, a bocce ferme, di quanto dobbiamo crescere per poter recuperare e stare dentro i parametri richiesti dall'Unione europea. L'incognita era la cifra da stabilire per la crescita e così è stata ipotizzata, non tanto per quest'anno, ma per gli anni successivi, una crescita che sarà assolutamente irrealizzabile nelle condizioni date, il che farà saltare tutto il documento che è stato costruito su questa base. Allora - ribadisco questi aspetti - il Fondo monetario internazionale ha già corretto al ribasso il dato anche per il 2010, mentre invece l'ha corretto al rialzo per la Germania e per qualche altro Paese, segno, ancora una volta, che siamo sempre più fanalino di coda in Europa.
La scorsa settimana si è svolta l'audizione del Ministro Tremonti sulla Decisione di finanza pubblica e ciò che ho contestato al Ministro è il fatto che il Governo, attraverso questo documento, non dia una prospettiva futura per il nostro Paese e che non ci sia nulla che abbia il carattere di progettualità in relazione alle modalità con cui uscire da questa situazione; non c'è un'idea. Allora, ho detto al signor Ministro che forse qualche suggerimento glielo potremmo dare noi: iniziamo con l'immaginare che, se non si tagliano le imposte alle famiglie ed alle imprese, ai lavoratori dipendenti ed alle imprese nel nostro Paese, ci sarà innanzitutto una continua stagnazione dei consumi che, lo ribadisco, per la prima volta, dopo tempo immemorabile, ha riguardato i generi di prima necessità, non i generi di lusso o i generi voluttuari, e mi riferisco ad esempio ai tagli sull'acquisto della pasta. Quindi, se non aiutiamo la crescita, attraverso l'aumento dei consumi, anche la domanda interna resta stagnante.
Non parliamo poi di quella internazionale: le imprese non fanno investimenti se non vedono la capacità di ritorno, e la capacità di ritorno è data solo dal taglio delle tasse. Tuttavia, dice il Ministro, dove prendiamo i soldi? Noi abbiamo fornito alcune ipotesi sui capitoli da dove prendere le risorse sulle quali il Ministro ha un po' ironizzato.
Il Ministro ha detto: voi proponete il taglio delle province, ma in questo modo, come ha ribadito anche un collega intervenuto stamattina, si recuperano poche centinaia di milioni di euro.
Non è così: uno studio molto dettagliato di un docente della Bocconi, recentemente pubblicato dall'istituto Bruno Leoni, individua in circa due miliardi di euro all'anno il recupero che si otterrebbe dal taglio delle province. Io sono tra coloro che non hanno mai sostenuto che se ne risparmiassero quindici, perché, essendo anche stato presidente di provincia, so bene che qualcuno le strade le deve comunque mettere a posto. Vi è una serie di attività che vanno comunque svolte, dalla manutenzione degli istituti superiori ad altri interventi: due miliardi non sono assolutamente nulla.
Avevamo proposto, ad esempio, anche interventi sulle auto blu: si è detto che non si recupera nulla, ma ciò non è vero, se è vero che il Ministro Brunetta, che è Ministro dello stesso Governo, ha calcolato in 4 miliardi il costo delle auto blu nel nostro Paese. Allora gli interventi possono essere effettuati.
Inoltre, abbiamo affermato che l'evasione fiscale si combatte in primo luogo attraverso i paradisi fiscali: qui viene il bello, perché credo di non avere mai sentito una barzelletta simile. Ho affermato che tutti i Paesi europei hanno stipulato accordi bilaterali con i vecchi paradisi fiscali che sono usciti dalla black list, stabilendo alcuni principi volti a combattere Pag. 56l'evasione fiscale nei loro Paesi. Ebbene, il Ministro Tremonti ha sostenuto - il resoconto stenografico non è ancora disponibile, ma lo sarà a breve - che i Paesi che stipulano accordi bilaterali con i paradisi fiscali sono Paesi poco seri.
Stamattina sono andato a vedere quali siano questi Paesi poco seri, che negli ultimi due anni hanno stipulato accordi bilaterali. Uno non c'è ed è l'Italia: l'Italia non ha stipulato alcun accordo bilaterale, neppure con San Marino, ma tra i Paesi cosiddetti poco seri ho trovato l'Australia, il Canada, la Finlandia, la Francia, la Germania, la Norvegia, la Svezia, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Sapete con chi hanno stipulato accordi la Francia - che è un nostro vicino - o la Germania? Con le Bermuda, con le isole Cayman, con Gibilterra, con l'isola di Malta, con il Liechtenstein, con il Principato di Monaco, con Saint Lucia, quindi con tutti questi paradisi fiscali. La stessa cosa hanno fatto la Francia, la Finlandia, gli Stati Uniti, la Svezia e i Paesi del nord.
Allora, è possibile che il Ministro Tremonti definisca questi Paesi «Paesi poco seri» (perché hanno stipulato accordi che imporranno ai Paesi stessi di trasferire e di fornire notizie molto dettagliate sui conti esteri che si trovano presso tali Paesi) e che questo sia l'unico vero modo per colpire l'evasione fiscale?
Il Ministro Tremonti ha affermato che questi sono Paesi poco seri e che noi, che non abbiamo stipulato neanche un accordo, siamo un Paese serio. Se questo è il modo per affrontare i problemi del nostro Paese, quelli che possono permettere di ridare fiato alla crescita - ribadisco, colpendo le spese inutili e i costi della politica, come per le province, e affrontando in modo serio l'evasione fiscale - e su questo non si costruisce una prospettiva di crescita, che è l'unica che può immaginare o permettere una riduzione del debito e un rientro nei parametri che saranno fissati dall'Unione europea, ebbene, a che cosa serve un documento che si chiama decisione di finanza pubblica, se su questo aspetto e sulle prospettive economiche nel nostro Paese, non dice una sola parola (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe (PD). Ne ha facoltà.

MARIO PEPE (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame ha un riferimento sostanziale, la legge n. 196 del 2009, anche se, dobbiamo dirlo, viene chiamata, con un termine connotato da perentorietà, decisione di finanza pubblica.
Il Governo sa di procedere all'emanazione di questo documento, avendo anticipato la manovra economica e finanziaria.
Non dimentichiamo le gravità e le gravezze del decreto-legge n. 78 del 2010 che, secondo il Governo, doveva mettere in sicurezza i conti pubblici, tracciando peraltro una linea di rientro per il deficit e il debito pubblico.
Ora si tratta di avere un confronto meno dialettico con l'Unione europea, meno esortativo, più negoziale e pattizio, in quanto si tratta di rispettare i parametri che saranno definiti nella Comunità europea, attraverso la presentazione del Piano nazionale di riforme e del Programma di stabilità. Con la definizione e la presentazione contestuale dei suddetti documenti si agevoleranno i Paesi europei ad assumere tutte quelle iniziative di riforme funzionali al raggiungimento delle opzioni fondamentali codificate nella Strategia Europa 2020.
Questi ultimi sono due provvedimenti che, divenendo più rispettosi delle decisioni europee e più rigorosi nel governo dei conti pubblici e della finanza pubblica, consentiranno di uscire fuori dalle incertezze finanziarie e dagli empirismi dinamici e di muoversi separatamente dai vincoli europei. Tralasciamo i dati numerici, macro e micro economici che sono, in maniera tabellare, riportati nella DFP. Sono proiezioni, vettori numerici che dovrebbero trovare una loro concreta attuazione anche se nei precedenti DPEF si era Pag. 57stabilito il rientro del debito pubblico; anzi doveva scendere sempre più in maniera progressiva. Vuol dire che in economia non sempre le previsioni riescono ad avverarsi, ma intanto esse hanno appesantito ancora di più lo stato generale dell'economia.
Nel documento in esame si fa riferimento alla manovra già approvata con la legge n. 122 del 2010, dimenticando però il peso notevole che è caduto sul sistema delle autonomie locali, dovendo esse fronteggiare nel triennio oneri per 27, 2 miliardi.
I temi che richiedono un approfondimento particolare riguardano il ruolo che gli enti locali dovranno sempre avere in uno Stato democratico; ruolo che viene definito solo in maniera negativa, cioè in maniera passiva in quanto gli enti locali sono fortemente debilitati dall'azione del Governo, soprattutto perché è ridotta la partita delle entrate e poi perché bisogna in maniera rigorosa rispettare il Patto di stabilità e di crescita. Se leggiamo, a pagina 48, il documento in esame si dice che noi avremo più entrate combattendo l'evasione e l'elusione fiscale. Se questo non accadrà, come ci regoleremo? Non lo so. Resta l'amletismo del Governo
Si vuole una sessione speciale parlamentare per discutere e affrontare i capisaldi della situazione economica e finanziaria del Paese? Ebbene, ritengo che nessuno si sottrarrà a tale dibattito: il Partito Democratico varie volte ha sollecitato il Governo a fare una sessione monografica e speciale su queste tematiche.
La comunità nazionale ha bisogno di parole chiare: politiche, certamente perché riguardano lo stato dei partiti e del Governo; istituzionali perché si tratta di affrontare seriamente le riforme che interessano la funzionalità e l'adeguatezza delle istituzioni e soprattutto quelle relative al lavoro e allo sviluppo che non possono essere amministrate solo con gli ammortizzatori sociali e con le promesse politiche assistenziali.
Il lavoro e lo sviluppo sono temi centrali e tutto l'apparato economico e finanziario negli articolati e nelle risorse deve essere destinato a questo obiettivo. Esso dovrà essere approfondito, discusso e articolato in provvedimenti chiari e temporalizzati nel Parlamento italiano.
Il Piano nazionale di riforma, cui fa riferimento la DFP in varie parti, con il connesso Programma di stabilità, ci dice che la parte tematica più importante dovrà contenere i dettagli delle misure di riforma attuate, suddivise per obiettivi nazionali con l'indicazione delle risorse finanziarie, della tempistica e degli obiettivi intermedi.
Se viene affermato in questo modo l'orientamento che il Governo vuole e deve realizzare, allora è necessario dare una svolta epocale alle politiche pubbliche, soprattutto quelle che riguardano la nuova centralità delle regioni e del Mezzogiorno d'Italia.
Se non partiamo dal sud, tutte le discussioni diventano fantasiose e prive di concretezza; più sud nell'azione programmatica significa più unità nazionale, più concretezza nelle azioni di riconversione produttiva del nord del Paese.
L'assetto federale a livello ministeriale si avvia a conclusione. È stato detto anche nel documento alla nostra attenzione: il processo è terminato. Ritengo che dobbiamo meglio dire: adesso iniziano i tormenti amministrativi per tradurre in atto e storicizzare gli orientamenti definitivi del federalismo.
Con l'approvazione, qualche giorno fa, del decreto legislativo riassuntivo dei tre settori - il fisco regionale, quello provinciale e il settore della sanità - la cornice normativa è chiara. Adesso si tratta di vedere come si tradurrà nei vari territori.
Si può prescindere dalla manovra del luglio 2010, visto che essa sottrae al sistema delle regioni cospicue risorse?
Non si possono chiedere alle regioni, alla loro responsabilità e quindi alla loro autonomia impositiva partecipazione e protagonismo nei decreti esecutivi e poi colpire la struttura economica e finanziaria delle regioni medesime.
Questo tema, il federalismo, che parte dai territori e dalle risorse dei territori, è Pag. 58uno dei temi essenziali della finanza pubblica, che non è una res esterna a tutto il corpo istituzionale dei governi locali.
Quali scelte vere adottare per il fondo perequativo, i rapporti fiscali fra le regioni e i comuni, il finanziamento del trasporto pubblico locale e la garanzia dei servizi LEA e LEP ai cittadini secondo i richiami costituzionali?
Una parola doveva essere spesa all'interno di questo documento. È una partita aperta e complessa, da affrontare senza ritegni e senza reticenze. C'è e ci deve essere una intensa solidarietà nel sistema dei governi nazionali e regionali. Le questioni si tengono tutte, bisogna avere il coraggio di affrontarle.
Non è stata inutile la provocazione del presidente di Confindustria: non è possibile perdere tempo, le imprese non possono più aspettare. D'altro canto, non possiamo dimenticare l'appello della CISL e della UIL nella grande manifestazione di Roma, con l'invito al Governo, a questo Governo, a dotarsi di un patto sociale per far crescere gli investimenti, l'occupazione e i salari.
Questo è l'obiettivo per il quale è necessario lavorare se vogliamo che questa Decisione di finanza pubblica apra una grande speranza di progresso e di benessere nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto, a nome dell'Assemblea, i rappresentanti della FIDAPA di Cassino, Formia e Gaeta, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, a pagina 10 del documento del Governo, si legge l'auspicio che con la ripresa dell'economia mondiale si consolidi anche in Italia la crescita economica, ma resta solo un auspicio, in realtà le cose stanno purtroppo molto diversamente.
Credo che non basterà galleggiare nella speranza che altri ci tirino fuori dalle difficoltà, sarebbe necessario concentrarsi su riforme e provvedimenti mirati alla promozione della crescita economica.
Senza riforme coraggiose sulla fiscalità del lavoro, sulle infrastrutture materiali e del sapere, sulle liberalizzazioni e sull'apertura dei mercati, perdurando le difficoltà per le economie occidentali, l'Italia non sarà in grado di ritornare tra i Paesi che accrescono la ricchezza e perderà posizione sia in competitività che in attrattività.
Vedrà crescere diseguaglianze sia sociali che territoriali; vedrà ridursi le opportunità di premiare il merito e la qualità; si troverà di fronte al dilemma di ridurre il debito con inutili tagli lineari o con pesanti aumenti della pressione fiscale. Intanto la spesa galoppa e l'avanzo primario è inesistente. In realtà, il presente documento non si dedica al futuro; si impegna solo con una mezza paginetta, (pagine 61 e 62) sulla Strategia europea 2020. Andrebbe invece proprio consolidato e innovato il nostro ancoraggio europeo a partire dalle possibilità di sviluppo che scaturiranno dai nuovi settori del mercato unico, indicate con precisione nel rapporto Monti del maggio 2010. Dovremmo essere protagonisti in Europa, non subirne gli orientamenti. E il Governo continua a rincorrere la chimera del federalismo fiscale, che avrà come effetto certo la crescita della pressione fiscale sui cittadini malcapitati che pagano le tasse.
A questo proposito il testo ultimo del decreto annunciato prevede un'operazione sull'IRPEF che mette in condizioni di crescere la pressione fiscale. Ovviamente, questo riguarda appunto i malcapitati che pagano le tasse. Quelli, e sono tanti, che le evadono possono stare tranquilli.
È scandalosa l'area dell'evasione. Anzi, potremmo dire che l'intreccio tra evasione e area corruttiva tende a saldarsi, trasformando l'Italia in un Paese sempre meno appetibile. Sono le cricche malavitose la nostra cattiva immagine. Ci sarebbe bisogno di una politica esemplare e voi non state rappresentando un buon esempio per gli italiani. Per queste ragioni la nostra discussione sullo schema della Decisione Pag. 59di finanza pubblica 2011-2013 appare svuotata di un significato profondo e incisivo per il Parlamento. Noi non lo possiamo votare. C'è uno svuotamento ulteriore della funzione parlamentare in materia di finanza pubblica. La concentrazione di tutte le leve decisionali nel Ministero dell'economia senza contrappesi parlamentari, e ci si vanta di essere i migliori e che gli altri Governi ci copiano. Temo che in un giorno ravvicinato il nostro risveglio sarà amaro (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, io oggi ho difficoltà, davvero, ad intervenire su questo argomento, perché è imbarazzante discutere di un documento nato morto.
Un documento nato morto perché nasce innanzitutto fuori tempo. Questo è un Governo che ci propone le nuove linee guida che doveva presentare alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica entro il 15 di luglio e non l'ha fatto, e quindi oggi siamo con un ritardo avanzato; poi queste stesse norme verranno rivedute e modificate. Insomma abbiamo un documento nato morto prodotto da un Governo morto. Questa è la verità.
Dico ciò perché abbiamo un Governo che non riesce a garantire neanche un percorso ordinario; un Governo che non riesce a garantire le cose minime essenziali; un Governo che ad oggi non riesce a nominare il presidente della Consob; un Governo che non riesce a nominare il Ministro dello sviluppo economico per ben 153 giorni. Insomma, abbiamo di fatto un Governo morto.
E quando si ha un Governo morto si mettono in moto questi meccanismi che in economia danno dei segnali molto negativi proprio perché il sistema economico-finanziario è molto sensibile a tali indicatori; in particolare, l'economia è molto sensibile alla certezza delle regole. Ed è questa la ragione fondamentale per cui in questo Paese riusciamo a intercettare investimenti di capitali esteri nella modesta misura del 6,7 per cento, mentre in Francia si intercetta il 14 per cento di capitali esteri e in Gran Bretagna il 32 per cento di investimenti. Perché? Perché si ha più certezza delle regole, ci sono Governi affidabili e gli investitori esteri investono in quei Paesi. Ma quando si ha un Governo morto, come è quello Berlusconi, queste sono le conseguenze.
Questo Governo è morto perché ha fallito soprattutto in economia e in materia di occupazione; è lì che ha fallito il Governo Berlusconi. Questo perché? Perché, rispetto a quell'impostazione originaria, che avevamo visto con Berlusconi, del rivoluzionario, oggi, invece, è ricaduto negli stessi errori.
La settimana scorsa abbiamo visto che ha riportato al tavolo la cosiddetta terza gamba, anzi, io direi che ha rimesso in funzione il pentapartito. Non so se vi siete accorti che in Italia, a distanza di venti anni, con il Governo Berlusconi, è ritornato il pentapartito: Popolo della Libertà, Lega Nord Padania, Futuro e Libertà per l'Italia, Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud e Misto-Noi Sud Libertà e Autonomia-Partito Liberale Italiano. Insomma è rinato il pentapartito con la degenerazione partitocratica che li distrae dai problemi veri del Paese, dai problemi veri dell'economia e della finanza e che li vede tutti seduti intorno a un tavolo per parlare o forse per giocare a briscola.
Noi invece ci impegniamo sulle cose concrete, sulle cose vere come ad esempio sulle concessioni dei giochi. Lunedì scorso, nella prima udienza presso la Corte dei conti, ho visto uno Stato assediato, uno Stato assediato perché c'erano quei poteri forti, c'erano quelli che hanno reso oscure, opache le nostre istituzioni e tra questi, c'è qualcuno proprio di questo nuovo partito che non è il partito di Fare Futuro, mi sembra invece il «partito di affare futuro o di affari passati», che non può mettersi addosso il vessillo della legalità. Di questo Pag. 60ne parleremo in modo diffuso perché rispetto al buco che hanno causato nelle finanze pubbliche...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO BARBATO. ...la Corte dei conti ci dice che finanche la Sogei è responsabile per danno erariale per 26 milioni di euro.
Concludo così, Presidente, alla fine che cosa leggiamo? La disoccupazione ha raggiunto livelli massimi: dall'8,7 per cento di quest'anno al 9,3 per cento dell'anno prossimo. Nella mia Campania abbiamo il record assoluto di disoccupazione: il 20 per cento. Siamo diventati in questo ancora più negativi, siamo quelli che abbiamo il livello più alto di disoccupazione tra tutte le regioni d'Italia. Mi avvio a concludere, alla fine come sono stati spesi i soldi? Un debito pubblico che è salito: nel 2004 era al 105 per cento del PIL adesso stiamo al 118 per cento del PIL, perché? Perché c'è stata più spesa corrente nei ministeri, insomma lì si è messa più «ciccia», lì si doveva «incicciare» per alimentare le cricche, e noi contrasteremo questa finanza delle cricche (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lovelli. Ne ha facoltà.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, è stato giustamente osservato che la Decisione di finanza pubblica nasce in ritardo ed è già superata dalla nuova Strategia Europea 2020 che impone dal 2011 una tempistica diversa alla sessione di bilancio basata sui nuovi documenti politico-contabili europei. Non è solo per questo che la discussione della DFP 2011-2013 appare oggi molto rituale e poco incline a traguardare con contenuti innovativi e concreti programmi di sviluppo sociale ed economico oltre la soglia del 2013.
È evidente che pesa su questo dibattito la consapevolezza di una manovra di bilancio che, da un lato, è già stata definita con la manovra correttiva estiva e perciò farà della prossima legge di stabilità e di quella di bilancio un mero adempimento attuativo, ma pesa anche, e soprattutto, dall'altro lato, la consapevolezza che è il Governo stesso, prima di tutto, a non potersi dare un orizzonte di fine legislatura ordinario, anzi è proprio l'ansia di una fine della legislatura in tempi brevi che fa di questo documento un atto politicamente debole, scarsamente innovativo, privo delle ambizioni e del coraggio che si richiederebbero al nostro Paese per reagire alla difficile congiuntura economica e finanziaria internazionale.
Nell'allegato infrastrutture, in particolare, questo dato si percepisce con evidenza: infatti, a metà della legislatura iniziata nel 2008, sarebbe l'ora di poter tracciare dei consuntivi di cose fatte o in itinere, anziché esercitarci in un promemoria delle cose da fare, come quelle che rientrano sotto il capitolo «le riforme non rinviabili».
Quest'ultimo, da una parte, certifica i ritardi ormai irrecuperabili (si pensi al tema della liberalizzazione della rete ferroviaria, alla mancanza di un piano nazionale della mobilità e della logistica, alla riforma del Consiglio superiore dei lavori pubblici e all'esplodere dei costi degli interventi, che la vicenda della «cricca» delle opere pubbliche ha evidenziato in tutta la sua gravità), dall'altra parte, sembra insistere sulla strada degli errori del passato.
Infatti, mentre da un lato si pone molta enfasi sull'escamotage dei lotti costruttivi, di cui alla legge n. 191 del 2009, per realizzare le opere ricomprese nei corridoi europei TEN-T, come se questo bastasse a garantire le risorse effettivamente mancanti, dall'altro lato si ipotizza (ma questo avviene al di fuori del DFP e questo la dice lunga sulla credibilità del documento) la costituzione di una «scuola Spa», a cui conferire la proprietà degli edifici scolastici e la competenza per la loro manutenzione e messa in sicurezza, ossia un'idea centralistica, pericolosa ed economicamente penalizzante per gli enti locali.
E così, ancora, si prosegue sulla strada - confermata nel DFP - dei general contractor per le grandi opere pubbliche, che Pag. 61ha determinato una lievitazione dei costi e che sta causando ritardi attuativi (come nel caso della tratta alta velocità/altà capacità Genova-Milano, Terzo Valico dei Giovi), per ridefinire contratti risalenti agli anni Novanta e non più corrispondenti alle realtà progettuali attuali: basti pensare, nel caso che ho citato, che il costo dell'opera viene oggi preventivato in 6,2 miliardi di euro, rispetto a poco più di 5 del progetto definitivo approvato dal CIPE nel 2006.
Non traspare, insomma, da questo documento, l'effettiva volontà di porre rimedio a ritardi ed errori del passato, anzi, mentre si continua a mettere l'accento sul presunto blocco degli investimenti, che sarebbe avvenuto nel biennio del Governo Prodi, si nasconde il fatto che, se una serie di opere sono nel frattempo decollate o proseguite, ciò avviene evidentemente perché vi è stato un impegno preciso in quel periodo, a cominciare dal completamento della tratta alta velocità Torino-Milano-Roma-Napoli, che ha consentito di mettere in piedi e condurre a termine alcune opere.
Oggi, invece, ci troviamo in una situazione preoccupante per almeno due questioni di fondo. Per quanto riguarda il cosiddetto quadro programmatico prioritario 2010-2013, c'è un fabbisogno di oltre 70 miliardi di euro, a fronte di un costo complessivo di più di 109 miliardi di euro, con entrate comunque sottostimate per le 28 opere, cosiddette di «serie A»; vi è, altresì, un fabbisogno di oltre 70 miliardi di euro, di cui almeno 15 per i grandi valichi del Fréjus, del Brennero e del Terzo Valico dei Giovi, senza contare i valori da aggiornare per la Torino-Lione e l'insieme delle opere di sistema sui tre corridoi europei 1, 5 e 24.
Se pensiamo che venerdì prossimo cadrà l'ultimo diaframma del traforo del Gottardo, in Svizzera, ci rendiamo conto dei ritardi sul fronte italiano, dove, per quanto riguarda il collegamento con la Lombardia, sono stanziati 40 milioni di euro, rispetto ai 1.412 necessari per il quadruplicamento della Monza-Chiasso e 3 milioni di euro, rispetto ai 3 miliardi necessari per il valico ferroviario del Sempione.
Emerge, dunque, un tema che poi è quello delle grandi opere del nord, che sugli assi Lione-Torino-Trieste, Genova-Milano-Svizzera e Verona-Brennero sono ferme a lotti costruttivi di piccola entità e destinati ancora ad essere revisionati.
L'altra questione riguarda le riforme di sistema, indispensabili per rendere coerente anche un quadro di investimenti nelle infrastrutture, che pure ha le criticità prima evidenziate: in questo caso registriamo i ritardi più evidenti che il Ministro Matteoli non può pensare di recuperare con quelli che lui definisce atti di indirizzo su cinque aree.
Infatti, i danni compiuti sono già evidenti, a cominciare da quelli sul trasporto pubblico locale visti i tagli previsti per le regioni dal 2011 - e qui confermati - con l'abolizione, oltretutto, del sistema a regime di finanziamento del trasporto su gomma individuato dal Governo Prodi, e considerato che vanno ad esaurimento i fondi triennali per il trasporto ferroviario regionale prelevati dai FAS.
Si insiste a non affrontare la questione, poi, di un'Autorità di regolazione e di controllo indipendente in grado di governare un sistema dove la liberalizzazione è un fatto avvenuto, come nel caso del trasporto aereo, e in parte sta già avvedendo, ma in modo caotico, come nel caso delle ferrovie.
Ad inizio legislatura abbiamo presentato un nostro progetto di legge incardinato in IX Commissione; bisogna ricominciare da lì, perché il problema non esiste solo per il fatto che lo ha sollevato Montezemolo per l'alta velocità Torino-Napoli, ma perché riguarda, in primo luogo, il fronte del trasporto ferroviario locale e delle linee a media e lunga percorrenza sulle quali vanno delineati il perimetro del servizio universale da mettere a gara e le regole sulle tratte già in regime di concorrenza.
È una questione, quindi, che impatta sul grande tema del trasporto dei pendolari, che subisce oggi le ricadute più negative Pag. 62in termini di efficienza, qualità del materiale rotabile, pulizia delle carrozze e ritardi. Se avete altre idee dovete dirlo, a cominciare da un eventuale ruolo dell'Antitrust transitorio per le ferrovie; ma andiamo avanti nell'interesse degli utenti e delle imprese ferroviarie, che possono crescere e diventare un fattore di sviluppo per il Paese, non solo per il settore passeggeri ma anche per le merci.
Signor Presidente, mi avvio a concludere; non voglio qui negare lo sforzo comunque nuovo che è stato fatto, con questa Decisione, di fotografare nel dettaglio una situazione che richiede coraggio nel darsi delle priorità e nel realizzare delle riforme indispensabili: penso al nodo irrisolto della F.S. holding, dell'ANAS concessionario-concedente, dell'Autorità finanziaria dei porti.
Rilevo, purtroppo, che allo sforzo di analisi non consegue una progettualità coerente; per cui, lo slogan che avete scritto «dal fare al fruire» dovrebbe più propriamente essere «dal dire al fare davvero». Tuttavia, credo che a questo punto ve ne mancherà il tempo e, comunque, non è questa Decisione a fornire le soluzioni e gli indirizzi necessari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Commercio. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Presidente del Consiglio, in questa stessa Aula, appena una settimana fa, proponeva cinque grandi questioni sulle quali si sarebbe incentrato l'impegno del Governo.
Su quei punti è stata chiesta la fiducia, che il Movimento per le autonomie ha accordato vincolandola al rispetto degli impegni solennemente assunti. Tra questi cinque punti assume per noi rilievo fondamentale quello relativo ad un impegno straordinario per il sud.
La Decisione di finanza pubblica, di cui oggi si discute e la cui approvazione è successiva alla predetta dichiarazione di intenti del Governo, non contiene, però, alcuna novità rispetto ad un reale impegno meridionalista di questo Governo.
Poche parole che danno l'idea di un compito redatto più per obbligo che per convinzione, che non aggiungono alcun impegno, né alcuna reale prospettiva di riequilibrio. L'impegno per il sud non può che sostanziarsi attraverso scelte coraggiose a partire da un forte riequilibrio infrastrutturale tra le diverse aree del Paese.
Senza queste scelte gli impegni solenni o meno rimangono lettera morta, e di tutto questo, nella Decisione di finanza pubblica, non vi è traccia. Il Governo cosa intende fare, in concreto, per il Mezzogiorno? Interventi minimali e non inseriti in una logica generale di sviluppo non potranno trovare, da parte nostra, alcuna accoglienza.
Vorremmo sapere se è intenzione del Governo chiedere con forza all'Europa l'autorizzazione a un provvedimento sulla fiscalità di vantaggio per le regioni del Mezzogiorno. Siamo più che consapevoli del fatto che la congiuntura internazionale incida negativamente sull'economia del Paese e sui saldi economici. Non abbiamo certo alcuna intenzione di negare la grave crisi che colpisce l'intero pianeta, riteniamo però che quando si fa una scelta di riequilibrio questa può essere realizzata o comunque avviata anche in tempi di difficoltà. Si tratta soltanto di avere la convinzione che occorre mettere mano a una convinta e giusta politica compensativa. Non si tratta soltanto di promettere la realizzazione del ponte sullo Stretto o di suscitare l'ilarità generale parlando degli straordinari progressi dei lavori della Salerno-Reggio Calabria. Si tratta di assumere una decisione di solidarietà nazionale. Non pretendiamo certo che la risposta ci arrivi oggi in un provvedimento di questo tipo, che dovrebbe avere caratteristiche programmatiche e che invece per ragioni varie è diventato un atto dovuto, certamente poco utile e comunque da dover superare rapidamente; un documento di finanza pubblica che è stato anticipato dalla manovra estiva e quindi non è in grado di svolgere i suoi compiti Pag. 63ordinari di programmazione economica, un documento che non può neanche vantare le sue caratteristiche innovative rispetto al vecchio DPEF, perché è il primo ma anche l'ultimo della sua specie poiché dall'anno prossimo dovranno essere disposti documenti programmatori europei dei quali quelli nazionali saranno semplici articolazioni.
Resta però ferma la necessità di assumere responsabilità politiche rispetto al Mezzogiorno d'Italia. Prendiamo ad esempio il federalismo fiscale, idea corretta che aumenta i livelli di responsabilità della classe politica e punta sulla valorizzazione delle risorse dei territori. Tuttavia, se questo federalismo non saprà essere solidale e compensativo, il rischio di un'amplificazione delle differenze sarà enorme e gli effetti in termini di unità nazionale non potranno che essere catastrofici. Le modalità di realizzazione del federalismo fiscale saranno cruciali. Un federalismo che non affronta i problemi legati alla differenza infrastrutturale tra diverse aree del Paese, che non si pone il problema della soluzione della questione meridionale, diventa automaticamente un federalismo antimeridionalista che aggrava le differenze esistenti.
A questo proposito il piano infrastrutturale allegato alla Decisione di finanza pubblica non rappresenta certo una rottura con il presente. Permangono molte perplessità sugli elementi centrali che devono caratterizzare, in un contesto di sviluppo della logistica intermodale, il recupero di uno stato di gravissima insufficienza di tutte le regioni meridionali. Mentre si vanno completando i sistemi e i sottosistemi delle grandi aree metropolitane del nord risulta poco chiaro in che modo si intenda procedere per quelle del sud. Permangono insufficienti, se non pressoché inesistenti, gli interventi previsti per i nodi di Palermo e di Catania, per la Sicilia, mentre si stimano in circa 850 milioni extra costo della realizzazione del ponte dello Stretto le opere compensative a terra che riguardano i siti di Messina e del versante calabrese, ma non viene spiegato come si reperiranno le occorrenti risorse. È miseramente insufficiente la previsione sul sistema trasportistico ferroviario. Ancora una volta non vi è alcun impegno rispetto alla definizione di un nuovo tracciato Palermo-Catania. È un caso unico nell'intera Europa. Continuano a tenersi scollegate le due più importanti aree produttive metropolitane di un territorio ampio ed articolato come quello siciliano, e con tutta probabilità, malgrado gli sforzi profusi a riguardo dallo stesso Ministero competente, non si porrà mano neppure alla prevista velocizzazione del tracciato esistente.
La tela di Penelope della Salerno-Reggio Calabria, per ammissione del Governo, non vede finanziati (e neppure vede indicato quando ciò accadrà) gli ultimi 60 chilometri, senza i quali nessun corretto termine per l'ultimazione dei lavori può essere ragionevolmente previsto. Il nodo ferroviario di Gioia Tauro è stato salvato fin qui, e solo sulla carta, ma vanno monitorati attentamente modalità e tempi che le ferrovie impiegheranno per la sua definizione. In Campania tutta l'attività regionale del trasporto ferroviario intermedio e pendolare rischia di essere pesantemente compromessa per la grave carenza di risorse. Non vi è alcun serio piano di recupero. La Basilicata vive in completo abbandono rispetto alle strutture di collegamento viario.
Sono inesistenti o insufficienti le risorse per gli schemi idrici del sud, interventi per la messa in sicurezza e il completamento delle dighe, a volte con grandissimo pregiudizio per la stessa mera sicurezza delle popolazioni interessate. E potremmo continuare per molto tempo a citare opere infrastrutturali necessarie per il sud per le quali i finanziamenti sono insufficienti o, addirittura, inesistenti. Ma la domanda resta sempre uguale: il promesso piano per il Mezzogiorno è fatto di chiacchiere inutili o vi è la volontà vera di investirvi risorse ed energie? Finora abbiamo ascoltato soltanto semplici dichiarazioni di intenti, speriamo che a breve inizino anche gli atti concreti e non soltanto roboanti proclami. Vogliamo ancora dare fiducia agli impegni assunti per il Pag. 64sud, però ribadiamo che questi sono l'unica ragione del nostro voto a favore del Governo.
Infine, al Ministro dell'economia e delle finanze e al Presidente del Consiglio vorremmo dire: avete garantito l'avvio di un grande piano straordinario per il sud, qualche mese fa parlavate di nuovo Piano Marshall, vi dichiaravate sostenitori di un nuovo sviluppo per il Mezzogiorno. Bene, siamo soddisfatti di questo, ma ribadiamo ancora una volta che saremo soddisfatti veramente quando dal predicato si passerà davvero al praticato (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marchi. Ne ha facoltà.

MAINO MARCHI. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, la proposta di Decisione di finanza pubblica del Governo non è condivisibile fin dalle premesse in cui si afferma che è sostanzialmente e politicamente superata, perdendo un'occasione per uno strumento di programmazione forte e innovativo. Perché il Governo dice che la DFP è superata e, quindi, inutile? Per due motivi: da una parte, perché ritiene che quanto doveva essere deciso è già stato deciso in luglio con la manovra e relativo decreto-legge; qui, tuttavia, vi sono diverse criticità. Sul fronte delle entrate, 11 dei 25 miliardi della manovra a regime provengono da nuove entrate e lotta all'evasione fiscale, già scontate nei saldi, con forti elementi di aleatorietà. Non era la DFP la sede, visti anche i rilievi della Corte dei conti e come stanno andando le entrate, per indicare come rendere più certe quelle previsioni che se non si realizzeranno determineranno un problema di non poco conto per le finanze pubbliche? Secondo motivo: nell'era del federalismo chiacchierato, il 60 per cento dei tagli di spesa della manovra ricade su amministrazioni locali e regioni. Nel 2011 ben due terzi, un livello che è insostenibile, con cui si scardinano non le auto blu, ma il welfare, i servizi, con gli amministratori locali in trincea. Inoltre, il 2011 è il terzo anno del Patto di stabilità interno in base al decreto-legge n. 112 del 2008 ed è il più aspro sul piano dei miglioramenti dei saldi richiesti agli enti locali, dopo che con i primi due anni l'effetto è stato quello di una pesante caduta degli investimenti. La Corte dei conti fa rilevare che Patto di stabilità interno per il 2011 più riduzione dei trasferimenti comporta una correzione di poco meno di 4 miliardi per i comuni. Nel momento della manovra, il Governo si era impegnato con l'ANCI a riesaminare il Patto di stabilità interno, a valutare gli interventi possibili per liberare quote di residui passivi, a rimediare ai tagli con i provvedimenti sul federalismo fiscale. La legge di riconversione del decreto-legge stabilisce che dei tagli non si terrà conto in sede di attuazione dell'articolo 11, relativo al finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, della legge sul federalismo fiscale. Nella proposta di Decisione di finanza pubblica di questo non si parla, non si dice cosa intende fare il Governo che su tutto ciò colpevolmente tace perché di fatto non intende rispettare quanto previsto nel decreto-legge estivo sul rapporto tra tagli dei trasferimenti e federalismo fiscale. Infatti, in tutti gli schemi di decreti legislativi presentati dal Governo sono fermi i saldi post-manovra, non pre-manovra e tutto l'onere è su regioni ed enti locali. In secondo luogo, viene sostanzialmente tradito l'impianto della legge delega sul federalismo fiscale non essendovi più traccia, negli schemi di decreti legislativi, dei livelli essenziali delle prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza. Manca, cioè, il punto di partenza di quella legge. Circa il Patto di stabilità interno e i residui sappiamo che vi sono tavoli di confronto di cui è tenuto all'oscuro il Parlamento. Non sappiamo quali siano le intenzioni del Governo, se farà l'ennesima finzione o se intende raggiungere accordi per il 2011 o per il 2012 e se intende farlo per il 2011, perché non vi è nessun accenno nella DFP?
A questi due elementi di criticità per cui non è condivisibile l'affermazione che Pag. 65quanto si doveva decidere è già stato deciso, se ne deve aggiungere un terzo: nonostante i tagli di spesa siano in gran parte scaricati su regioni ed enti locali, gli obiettivi per la spesa governata dal centro non sono credibili. In questi anni si è sempre sforato rispetto alle previsioni nonostante tagli enormi a settori fondamentali. Pensiamo agli 8 miliardi di tagli in tre anni nella scuola: siamo l'unico Paese che taglia sul sapere dove ora vi sono situazioni in cui le famiglie sono costrette a portare da casa persino la carta igienica. E dove si negano diritti fondamentali ai disabili oppure pensiamo a sicurezza e giustizia dove non si garantisce il turnover con un impoverimento grave di personale e di risorse finanziarie. Nonostante questo, quando la Corte dei conti si sofferma sul contenimento della spesa pubblica governata dal centro parla: di meri slittamenti dei pagamenti nel tempo, di debiti sommersi, di elementi di turbativa del bilancio, di ipotesi non realistiche. C'è abbondante materia per affrontare più seriamente il discorso nella Decisione di finanza pubblica invece di trincerarsi dietro al tutto è già stato deciso. Il secondo motivo per cui il Governo afferma che la DFP è superata riguarda i nuovi documenti politico-contabili europei sulla stabilità e sulle riforme che dovranno essere presentati da ciascun Paese e che hanno da subito una centralità politica assoluta ed assorbente, secondo il Governo, che perciò ritiene sia all'interno di questo nuovo schema europeo e non dentro la DFP che si concentrerà la discussione sulla nostra politica economica.
Qui c'è una specie di lapsus freudiano perché questa è un'impostazione più consona ad un Governo proiettato verso le elezioni anticipate che ad un Governo impegnato a governare i prossimi anni. Infatti se questi documenti del semestre europeo, nuova realtà per noi positiva, considerato che abbiamo sempre sostenuto l'esigenza di una maggiore integrazione europea delle politiche economiche-fiscali, a differenza di chi governa; se questi documenti vanno presentati entro il 12 novembre la DFP sarebbe proprio l'occasione per una discussione in Parlamento sulla loro impostazione. Il Partito Democratico chiede che tale discussione venga fatta prima del 12 novembre. Sarebbe stato meglio ora. Il Governo deve dire se sul Programma di stabilità pensa a qualcosa di nuovo o ritiene che tutto sia già stato deciso e quali riforme? Quelle della fiducia del cerino? Lo si dica espressamente: il Ministro Tremonti dice che il federalismo è quasi fatto e ora ci vuole la delega per il fisco. Il federalismo è tutto da fare e per il fisco nulla si è fatto. Il Partito Democratico è pronto a discuterne qui sulla base delle proposte che abbiamo lavorato a Varese, tra cui la tassa sulle transazioni finanziarie in ambito almeno europeo di cui si sta discutendo in tutta Europa e su cui è necessario che il Governo italiano porti in Europa una posizione discussa in Parlamento. E poi c'è una questione fondamentale per la tenuta e la prospettiva del Paese. Le ipotesi di revisione del Patto di stabilità e crescita in ambito europeo contemplano un peso molto più elevante che in passato del debito pubblico: questione rilevantissima per l'Italia, anche se entreranno in campo valutazioni sull'indebitamento di famiglie e imprese. Ammesso che il sistema vada a regime nel 2016, come ha affermato il Ministro Tremonti in audizione, come ci arriva l'Italia a quella scadenza? Il Governo nella DFP sul rapporto debito-PIL prevede che cresca del 115,9 per cento nel 2009 sino al 119,2 del 2011 e poi cominci a scendere: 117,5 nel 2012 e 115,2 nel 2013.
Questa previsione si regge su un presupposto molto problematico: che dopo una crescita dell'1,2 nel 2010 e dell'1,3 nel 2011, dal 2012 il PIL cresca del 2 per cento ogni anno. Questa previsione è contemporaneamente eccessiva e insufficiente. Eccessiva perché il 2 per cento l'Italia l'ha raggiunto soltanto nel 2006 in tutto questo decennio e simile alle previsioni di crescita dell'Unione europea e noi siamo sempre stati piuttosto al disotto della media europea. Soprattutto non si può raggiungere senza politiche industriali e fiscali che sostengano l'innovazione, le esportazioni Pag. 66ma anche la domanda interna, i consumi. Non c'è traccia di un'idea in tal senso del Governo. Quindi, una previsione poco credibile e non poche perplessità esprimono Corte dei conti e Banca d'Italia.
E se non si raggiungerà il 2 per cento di crescita del PIL, a che livello arriverà il rapporto debito-PIL? Continuerà ad aumentare, come in tutti i 9 anni complessivi di Governo Berlusconi.
Previsione di crescita però anche insufficiente, perché la ripresa è troppo lenta e la crisi non è finita. Molti soggetti sociali stanno ponendosi il tema della crescita, questione su cui il Partito Democratico ha sempre insistito in questa legislatura. Il Governo non dice nulla. Ricordo che gli ammortizzatori sociali hanno arginato gli effetti sociali della crisi, ma gli ammortizzatori in deroga sono stati finanziati dalle regioni e come faranno le regioni il prossimo anno, dopo i tagli spaventosi della manovra? Crescita troppo lenta, lo ricorda anche la Corte dei conti: dalla fine della recessione, nel primo trimestre 2009 ad oggi, il PIL è aumentato in termini cumulativi del 4 per cento in Germania, del 2 per cento nella media europea e dell'1 per cento in Italia, dopo che siamo calati, fra il 2008 e il 2009, il doppio degli altri.
Nell'audizione dello scorso anno sulla finanziaria il Ministro Tremonti invitò a non guardare le virgole per le previsioni. Queste purtroppo non sono virgole, sono dati pesanti. Non sono previsioni, ma una realtà che richiede di essere affrontata, non con degli spot, ma con una politica economica, industriale e fiscale seria. La decisione di finanza pubblica va rifatta. Soprattutto, più che essere sostanzialmente e politicamente superata la decisione di finanza pubblica, è sostanzialmente e politicamente superato questo Governo: prima se ne prenderà atto e meglio sarà per il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.

(Risoluzioni - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Donadi ed altri n. 6-00048, Casini ed altri n. 6-00049, Franceschini ed altri n. 6-00050 e Cicchitto, Reguzzoni, Bocchino, Sardelli, Mannino, Lo Monte n. 6-00051 che sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Risoluzioni).

(Repliche del relatore e del Governo - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Bitonci.
Prendo atto che vi rinuncia.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
Poiché a norma dell'articolo 118-bis, comma 2, del Regolamento, verrà posta in votazione per prima la risoluzione accettata dal Governo, invito il rappresentante del Governo a dichiarare anche quale risoluzione intenda accettare.
Ricordo che, in caso di approvazione della risoluzione accettata dal Governo, risulteranno precluse le altre risoluzioni presentate.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, nel dare il parere sulle risoluzioni presentate permettetemi di fare una breve replica sul lungo dibattito che è iniziato stamani alle 10,30 e si è concluso adesso. La maggior parte degli interventi era incentrata fondamentalmente su due temi: il primo sul fatto che il documento possa essere considerato superato o comunque che non contiene tutta una serie di elementi validi a definirlo un documento di programmazione; il secondo è il fatto che il documento non contenga una serie di elementi atti a stabilire la crescita del Paese stesso.
Per replicare a queste due considerazioni è necessario innanzitutto partire dal fatto che l'evoluzione internazionale che vi è stata a fronte della crisi e della globalizzazione ha portato al fatto che molte Pag. 67delle decisioni di politica economica, per scelte condivise dai vari Paesi e da queste circostanze, avvengono in una sede sovranazionale e non nazionale. La competizione avviene fra macroaree e l'Europa è una di queste macroaree, è un'area politica oltre che economica ed è un'area che, dopo aver stabilito le scelte di politica monetaria - come vedete le politiche monetarie non sono più nazionali, ma sono sovranazionali - ha stabilito che anche le scelte politiche di bilancio e di politica economica si trasferiscano a livello europeo, tant'è vero che una parte delle considerazioni fatte in questo dibattito, sia in Aula sia in Commissione, riguarda la necessità di spostare il dibattito in sede europea e far sì che dai Parlamenti nazionali possano uscire indicazioni ai Governi, perché i Governi possano rappresentare questa volontà in sede europea. Si è detto che questo rischia di essere l'ultimo documento di finanza pubblica, perché i prossimi futuri documenti saranno documenti stabiliti in sede europea e poi coniugati in sede nazionale.
Anche le politiche industriali sono ormai fatte in sede sovranazionale. Con questa considerazione di fondo, che fondamentalmente porta al fatto che un documento di questo genere rischia di essere superato, ed è superato, dagli eventi e che spesso i tempi, in un momento di crisi e di globalizzazione così forti, rischiano di essere molto più veloci (tanto da non poter seguire tempistiche che rischiano di essere superate), si è deciso di delineare un documento di questo genere che contiene tutta una serie di elementi di quadro e poi sposta il dibattito a quello che avverrà successivamente in sede europea.
La seconda considerazione, fatta in modo sintetico, è quella per cui mancano fondamentalmente elementi di crescita. Il documento contiene una serie di elementi che hanno guidato la linea di politica economica di questo Governo in questo ultimo anno, che a fronte di una situazione di pesantissima crisi economica mondiale - forse la più pesante crisi economica e finanziaria che c'è stata nella storia economica del mondo occidentale - ha cercato di individuare due punti fondamentali: la salvaguardia dei conti dello Stato, e quindi la salvaguardia dei numeri complessivi dello Stato (e su questo ha ottenuto dei risultati sicuramente favorevoli), e il fatto di cercare di mantenere un quadro sociale equilibrato, sicché tutti gli interventi destinati agli ammortizzatori sociali si pongono in quella direttrice.
A questo punto esiste la necessità di spostare in sede europea tutta una serie di elementi necessari allo sviluppo, cercando in sede nazionale di individuare - l'ho detto anche in Commissione ieri - elementi di forza che possano essere stimolati da parte delle nostre politiche economiche per far sì che il nostro Paese recuperi quel gap di crescita che ha nei confronti degli altri Paesi.
Questo è un elemento di scelta di linea di politica economica che sta portando avanti questo Governo e che è contenuto in questo Documento di finanza pubblica. Quindi, esiste la consapevolezza del Governo che, a fronte del semestre europeo che affronterà temi importanti per il nostro sviluppo e per la nostra crescita futura, gli elementi legati al debito - e quindi se esiste il debito solamente pubblico o anche il debito privato - con tutta una serie di ulteriori elementi possono determinare il nostro futuro e le nostre possibilità di crescita.
Esiste la consapevolezza del Governo che in sede parlamentare si debba discutere quello che l'Italia porterà in questa sede per far sì che le nostre iniziative possano essere declinate in sede europea, cercando di stabilire alcuni elementi di fondo che devono essere assolutamente affrontati in un dibattito concreto e corretto, nonché che alcune scelte debbano essere fatte e che quindi, a fronte dell'esigenza di mantenere un quadro di finanza pubblica costante che non porti a elementi di crisi che possano generare possibilità di attacco della speculazione internazionale finanziaria, si debbano fare scelte che devono essere prese dal Parlamento.
Su alcune considerazioni relative al fatto che debbano essere fatti aiuti di riduzione fiscale, aiuti di contributi alla Pag. 68crescita e che debbano essere trovati questi fondi attraverso operazioni giuste dal punto di vista etico e morale che, però, non generino quantità per coprire il debito, riteniamo che il dibattito debba essere affrontato.
Riteniamo, inoltre, che debbano essere fatte alcune scelte in questa sede e che queste scelte debbano essere portate avanti da tutti i gruppi. Con queste considerazioni di fondo, il parere del Governo sulle risoluzioni presentate è favorevole sulla risoluzione Cicchitto, Reguzzoni, Bocchino, Sardelli, Mannino, Lo Monte n. 6-00051 e contrario su tutte le altre risoluzioni.

PRESIDENTE. Si è così conclusa la discussione sullo schema di decisione di finanza pubblica. Dobbiamo quindi passare al punto 4 dell'ordine del giorno, recante l'assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge atto Camera n. 3286 ed abbinata. Successivamente avranno luogo le dichiarazioni di voto e la votazione sulla risoluzione Cicchitto, Reguzzoni, Bocchino, Sardelli, Mannino, Lo Monte n. 6-00051, accettata dal Governo.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,10).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorre da questo momento i termini di preavviso di cinque minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Trasferimento a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 3286.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge atto Camera n. 3286.
Propongo alla Camera l'assegnazione in sede legislativa della seguente proposta di legge, della quale la I Commissione (Affari costituzionali) ha chiesto il trasferimento in sede legislativa, ai sensi dell'articolo 92, comma 6, del Regolamento:
SIRAGUSA ed altri: «Norme per la salvaguardia del sistema scolastico in Sicilia e per la rinnovazione del concorso per dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004» (3286). (La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Per consentire alla stessa Commissione di procedere all'abbinamento richiesto dall'articolo 77 del Regolamento è quindi trasferita in sede legislativa anche la proposta di legge LO MONTE ed altri: «Norme per la salvaguardia del sistema scolastico nella regione Sicilia e per la rinnovazione del concorso per dirigenti scolastici indetto con decreto direttoriale 22 novembre 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale, n. 94 del 26 novembre 2004» (3579).
Se non vi sono obiezioni rimane così stabilito.
(Così rimane stabilito).

Sull'ordine dei lavori (ore 17,12).

EMANUELE FIANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, credo che sia un parere comune a tutti che la gravità dei fatti occorsi ieri all'interno dello stadio di Genova e, prima ancora, nella città di Genova sia sotto gli occhi di tutti e non abbia precedenti per la violenza che si è scatenata nelle ore precedenti la partita Italia-Serbia nella città di Genova e nello stadio di Genova successivamente.
Noi chiediamo formalmente che il Governo venga urgentemente a riferire in Parlamento su quanto è successo, sul perché sia potuto succedere, se e di chi siano Pag. 69le responsabilità per cui questo è potuto accadere. Come sia potuto accadere che dei sedicenti tifosi serbi siano potuti arrivare fino all'interno dello stadio armati di armi improprie - petardi, fumogeni e forse anche di altro - senza che questo sia stato impedito.
Aggiungo, signor Presidente, e concludo, che in queste ore si susseguono e vengono ribattute dalle agenzie di stampa numerose dichiarazioni di esponenti ufficiali del Governo della Serbia che si contraddicono tra loro, nonché affermazioni, che se fossero vere sarebbero gravi, dell'ambasciatrice serba nel nostro Paese. Si tratta di affermazioni per le quali è urgente - penso anche per l'onore di quelle forze dell'ordine che ieri sera nello stadio di Genova hanno evitato con la loro professionalità che qualcosa di peggio potesse accadere - che il Governo dia risposte a coloro che nel Governo serbo, in queste ore, addossano all'Italia la responsabilità di quanto è successo. Mi auguro che il Governo venga quanto prima a riferire alla Camera su questi gravissimi incidenti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Futuro e Libertà per l'Italia).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Fiano, sarà mia cura riferire al Presidente della Camera.

FURIO COLOMBO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, questa è l'Aula nella quale soltanto alcuni giorni fa il collega Ricardo Franco Levi è venuto indossando la kippah. Lo ha dovuto fare per una ragione che non ricorderemo qui perché - come lei sa e come lei mi insegna - non possiamo parlare di ciò che accade nell'altro ramo del Parlamento, ma lo ha dovuto fare anche nei giorni in cui nell'università di Teramo si discuteva uno strano master sul negazionismo e sull'inesistenza della Shoah permesso da quelle autorità scolastiche e dal Ministro dell'istruzione.
Perché oggi? Perché adesso dico queste cose? Perché il 16 ottobre non saremo in quest'Aula, ma il 16 ottobre è un giorno che vorrei, qui, con lei Presidente e con i colleghi di quest'Aula, ricordare.
Il 16 ottobre è il giorno in cui le odiose leggi razziali, che avevano già inferto al Paese una cicatrice che non sarà mai cancellata fin dal 1938, sono diventate realtà ed è cominciata la razzia degli ebrei. Noi diciamo sempre che i tedeschi hanno circondato il quartiere del Ghetto di Roma e hanno proceduto all'arresto di tutte le persone che hanno potuto trovare - e quando si dice persone si intendono gli adulti e i bambini, i bambini piccoli, i lattanti, le persone sane, le persone malate, i vecchi e i vecchissimi e persone che sono state issate sui camion dei militari legati ad una poltrona - ma questo è accaduto in questa Italia, in questa città, in questa Roma, a cinquecento metri dal centro della grande civiltà cristiana!
Cerchiamo di non dimenticarlo nel giorno in cui torna questa ricorrenza, perché quel giorno, Presidente, non può essere oggetto di alcun negazionismo. Giacomo Debenedetti, che diventerà uno dei più grandi critici letterari italiani, lo ha visto, era presente, lo ha descritto e narrato in un piccolo libro, 16 ottobre 1943, che non è uscito dalla memoria di molti e che non dovrebbe uscire dalla memoria di alcun italiano. Come lei ricorderà, Presidente, come i colleghi ricorderanno, soltanto sette persone sono tornate vive di quei 1.022 che sono stati portati da Roma ad Auschwitz senza che nessuno fermasse né i camion né i treni, senza che nessuno levasse una voce di protesta, senza che nessuno avesse qualcosa da dire!
Vorrei ricordarlo con voi perché è molto importante nei giorni in cui viviamo e mentre l'antisemitismo ritorna ad ogni passo a battere alle nostre porte, vorrei ricordarlo con voi perché almeno in quest'Aula, a nome degli italiani che ci hanno mandato qui, questo giorno, questa data, questa pagina dell'olocausto, della Shoah non venga dimenticato. La ringrazio, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Pag. 70Partito Democratico e Italia dei Valori e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ringrazio lei, onorevole Colombo, per aver richiamato all'attenzione di tutti noi un anniversario così importante.

PAOLA BINETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, intervengo per richiamare l'attenzione di tutti noi su quanto sta accadendo in questi giorni in Pakistan. È di pochi minuti fa un'agenzia di stampa che ha riferito che alcune bambine cristiane sono state violentate, stuprate e ridotte veramente in condizioni molto gravi e pesanti.
Non so fino a che punto riusciremo a portare avanti la nostra battaglia per i diritti umani, ma è certo che in casi di questo genere vengono calpestati tutti i diritti umani e a tutto tondo. È calpestato il diritto umano a vivere la propria religione, a manifestare la propria fede; è calpestato il diritto umano al pudore, a conservare la propria integrità fisica; è calpestato il diritto umano delle donne, dal momento che evidentemente queste bambine sono state scelte come oggetto di violenza anche per la loro maggiore debolezza e fragilità.
Credo che vi sia la necessità da parte di tutti noi di ragionare e di riflettere perché ci sono ancora troppe zone intorno a noi nelle quali l'essere cristiani è assunto come una provocazione. Qui stiamo parlando di bambine, quindi non di persone che con la loro condotta possono avere in qualche modo irritato, turbato, innervosito persone di fede diversa, di stili di vita diversi, di condotte diverse. Stiamo parlando di bambine che probabilmente giocavano, vivevano gli obiettivi della loro età, vivevano il loro stesso cristianesimo con la naturalezza e con la semplicità con cui l'avevano assorbito nell'ambito della loro vita di famiglia. Ebbene, contro di loro si è concentrata la violenza e l'aggressività, una violenza e un'aggressività che noi vogliamo con forza respingere in tutti i modi, affinché per nessuna ragione vi sia un luogo in cui la persona venga fatta oggetto di violenza per la propria fede, per le proprie convinzioni, ma è anche necessario un gesto di tutela e di difesa per le donne che comunque costituiscono sempre l'aspetto più debole della nostra società (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Partito Democratico e Italia dei Valori).

Seguito della discussione del documento: Schema della decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 (Doc. LVII, n. 3).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del documento recante lo Schema della decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013.

(Dichiarazioni di voto - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lo Monte, al quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

CARMELO LO MONTE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, riteniamo preoccupante che nel documento recante la decisione di finanza pubblica non si accenni nemmeno ad esplicite e ben calibrate politiche per il Mezzogiorno. Vi è una contraddizione stridente fra questo aspetto e le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che appena dieci giorni fa ha assunto il sud come uno dei punti fondamentali dell'attività di Governo.
Nella risoluzione di maggioranza, che sarà approvata oggi, compare però, su un nostra proposta, un'importante affermazione, che leggo testualmente: occorre avviare una necessaria azione di equilibrio infrastrutturale fra le diverse parti del Paese, premessa indispensabile per l'attuazione Pag. 71del federalismo. Si tratta di una dichiarazione, resa per la prima volta dall'intera maggioranza, nella quale si riconosce la necessità di un riequilibrio nella dotazione infrastrutturale fra le regioni italiane e si afferma che questo riequilibrio è propedeutico all'attuazione del federalismo: consideriamo ciò un risultato sicuramente importante.
Il Movimento per le Autonomie intende raccogliere questa sfida, contrapponendo ad un federalismo egoistico l'idea di un federalismo solidale e compensativo. Se è vero, quindi, che senza riequilibrio non si può arrivare ad un vero federalismo, è necessario che il sud diventi l'investimento prioritario di questo Governo. Su tale aspetto si conterà la sfida del Movimento per le Autonomie dentro questa maggioranza. Noi, nell'esprimere il nostro voto favorevole, non guardiamo al merito del documento e, tanto meno, all'insufficiente Piano infrastrutturale ad esso collegato, ma guardiamo all'importante novità inserita nella risoluzione, che diventa oggi impegno dell'intera maggioranza, e alle dichiarazioni di una settimana fa del Presidente del Consiglio.
L'apertura di credito che allora abbiamo dato prosegue, nella consapevolezza che è arrivata l'ora di attuare il programma nei confronti del Mezzogiorno. Se ciò accadrà - solo se ciò accadrà - saremo leali sostenitori (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sardelli. Ne ha facoltà.

LUCIANO MARIO SARDELLI. Signor Presidente, la grave crisi economica, dalla quale stiamo lentamente emergendo, ha mietuto molte vittime fra gli Stati dell'Unione europea: tanti Paesi, come la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, sono stati costretti a nazionalizzare alcuni istituti di credito, per evitare il collasso ai propri sistemi economici.
Ebbene, colleghi, l'Italia non è fra questi Paesi: il Governo del fare si è distinto per la concretezza e la validità dei suoi provvedimenti, che non solo hanno posto la nostra economia al riparo dalle tempeste finanziarie, ma hanno tracciato il sentiero lungo il quale tutti i Paesi europei si sono poi incamminati.
Oggi, nel valutare il documento recante lo schema della decisione di finanza pubblica, prendiamo atto con soddisfazione che il livello dell'indebitamento netto è sostanzialmente legato ad una significativa riduzione delle spese complessive, che passeranno dal 52 per cento del 2009 al 48 per cento nel 2013, anche per effetto delle politiche operate dall'Esecutivo in questi anni, che hanno puntato alla riduzione e alla riqualificazione di una spesa pubblica che, con i governi di centrosinistra, aveva preso il volo, alimentando sprechi e clientele.
Un altro aspetto significativo del documento recante lo schema della decisione di finanza pubblica è collegato alle entrate tributarie, che registrano un incremento, anche se non sostanzioso in un periodo di crisi, così come alla pressione fiscale, che evidenzia una costante e lieve riduzione, fino ad arrivare al 42,4 per cento nel 2013: si tratta di una percentuale ancora elevata, sulla quale occorre compiere tutti gli sforzi possibili affinché essa possa essere finalmente ridotta a livelli accettabili.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo Governo ha garantito al Paese di non essere travolto dalla crisi economica che ha colpito il mondo occidentale; è riuscito a garantire gli ammortizzatori sociali a chi ha perso il posto di lavoro, a tutelare i risparmi italiani e ad imprimere una serie di impulsi al nostro apparato produttivo altrimenti al collasso.
Noi Sud, alla luce di questi risultati, voterà a favore dell'approvazione della DFP.
Siamo convinti che il Governo debba adoperarsi rapidamente per varare il Piano per il Sud, che costituisce uno strumento fondamentale e indispensabile per rilanciare l'economia meridionale e ridurre l'ormai storico divario che separa il popolo del Mezzogiorno da quello del resto del Paese. Solo con un Sud realmente Pag. 72produttivo sarà possibile garantire la solidità economica di tutto il Paese. Per questo impegno che il Governo ha assunto e continua nei fatti a mantenere, esprimiamo il nostro voto favorevole.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, signori del Governo, colleghi, dissentiamo profondamente dall'impostazione della politica economica del Governo, perfettamente riassunta dalla Decisione di finanza pubblica e sintetizzabile in una parola sola: immobilismo.
Questo documento ci dice infatti che, da qui al 2013, l'Italia continuerà a non crescere, la pressione fiscale non diminuirà e gli investimenti per le infrastrutture, la ricerca e la cultura continueranno a diminuire.
È stato ossessivamente ripetuto ed enfatizzato il risultato di aver tenuto in sicurezza i conti pubblici. Ebbene, questo è un buon risultato, è un vincolo ineludibile che condividiamo. Pertanto, la discussione non è tra rigoristi e sviluppisti, la discussione e il nostro dissenso concernono il modo di attuare il rigore.
Riteniamo - e le politiche realizzate dai nostri partner europei, a cominciare dalla Germania ce lo confermano - che il rigore debba e possa essere attuato guardando alla crescita, cioè guardando al futuro del Paese. Tuttavia, per fare questo, bisogna avere la volontà di mettere le mani dentro la spesa, di combattere rendite e parassitismi, corporativismi e privilegi vecchi e nuovi, di proteggere e potenziare i settori strategici e colpire gli altri.
Lei, signor Ministro, ha acquisito forza, potere e autorevolezza e avrebbe quindi tutte le caratteristiche per condurre e vincere la battaglia storica di dare qualità alla spesa pubblica, renderla produttiva e metterla al servizio di una visione strategica per il Paese.
Questa è una responsabilità alla quale lei non si può sottrarre ed è un obiettivo che non può essere affidato agli effetti miracolosi del federalismo, che, ogni giorno di più, si rivela una grande illusione e mistificazione.
Questo oggi è il suo compito primario: agire sulla spesa. Se lo farà, la appoggeremo, ma questo documento ci dice che purtroppo non ha intenzione di farlo.
In esso viene fotografata la manovra di luglio, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti in termini di paralisi e sfascio di alcuni settori vitali della pubblica amministrazione e, per il futuro, ci dice che ci penserà l'Europa a imporci nuove manovre di riduzione della spesa perché il nostro livello di debito non sarà più tollerato e perché lei, signor Ministro, non ha convinto l'Europa ad adottare l'indicatore del debito nazionale lordo come indicatore del Patto di stabilità.
Tuttavia, il documento ci annuncia che quest'anno non ci saranno provvedimenti collegati alla decisione di bilancio. Il Governo cioè ritiene che non ci sia bisogno di accompagnare i tagli con le riforme e con le politiche pubbliche necessarie a contrastare il progressivo distacco dell'Italia dal gruppo di testa dell'economia mondiale.
Ci saremmo aspettati, al contrario, che la discussione di politica economica affrontasse finalmente i problemi strutturali dell'Italia, che la crisi ha messo drammaticamente a nudo e che ora, non domani, quando l'Europa ce lo imporrà, devono essere affrontati.
Ci saremmo aspettati che il Governo su questo terreno sfidasse l'opposizione, la chiamasse a misurarsi sui cambiamenti che servono all'Italia. Invece no, niente di tutto questo: il Governo è immobile e conservatore. Altro che rivoluzione liberale! Niente rivoluzione fiscale, niente liberalizzazioni. Senza crescita anche gli equilibri di bilancio - che oggi il Governo vanta come il più grande, se non l'unico risultato della sua azione - saranno precari e fittizi.
Il Governo vuole davvero qualificare la spesa e investire sul futuro? Cominci dall'università e dalla riforma che proprio il Ministro Tremonti sta per affossare; senza queste politiche non ci sarà futuro per il Paese. Pag. 73
Quindi, siamo convinti, senza posizione pregiudiziale, ma anzi consapevoli che la gravità della crisi richiederebbe un grande atto di coesione e di responsabilità nazionale, che ci vorrebbe una visione e una strategia da condividere con il Paese e non una politica per galleggiare (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, mi rivolgo al Ministro Vito, visto che il Ministro dell'economia e delle finanze non c'è, però in compenso, fino a qualche istante fa, c'era il suo sottosegretario.
Lei, signor Ministro dell'economia e delle finanze, ci ha detto e scritto che la manovra estiva, cioè il decreto-legge n. 78 del 2010, ha consentito in primo luogo di mettere in sicurezza i conti pubblici, in secondo luogo, di tracciare una linea di rientro per deficit e debito, e che quindi la legge di stabilità, che fra tre giorni dovrà essere presentata alle Camere, sarà una passeggiata, di contenuto assai ridotto, soltanto tabellare.
I conti pubblici, signor Ministro, non sono affatto in sicurezza, né c'è un avvio di rientro del deficit e del debito.
Signor Ministro, come la mettiamo con i nuovi documenti politico-contabili europei, che chiederanno al nostro Paese sacrifici pesantissimi?
L'Unione europea, con le linee guida approvate il 29 settembre, quando in questo Parlamento invece si discuteva sulla fiducia al Presidente del Consiglio dei ministri, ha stabilito che non si dovrà più soltanto rispettare il parametro del deficit dentro il 3 per cento, ma anche quello del debito, e che, nei prossimi dieci anni, occorrerà farlo rientrare - come bisognerà fare - al 60 per cento in rapporto con il PIL.
L'Unione europea ci imporrà quindi di ridurre il nostro debito e di farlo rientrare secondo quanto stabilito dalla medesima.
Mi chiedo, dunque, come possiamo esprimere una posizione favorevole sulla risoluzione avente come primo firmatario il deputato Cicchitto, la n. 6-00051, quando viene detto che impegna il Governo a contenere il rapporto tra debito pubblico e PIL, in ossequio alle nuove norme (ma quali nuove norme?) del Patto di stabilità europeo, al 119 per cento? Niente di più falso, ecco perché quindi la nostra posizione non può che essere negativa.
Signor Ministro, sa cosa vuol dire questo, cioè il rientro in dieci anni al 60 per cento del rapporto debito-PIL? Certo che lo sa, vuol dire che con gli attuali tassi di interesse (Commenti del deputato Torazzi) - veda di fare meno il pagliaccio, grazie - e con gli scenari di crescita fiacca, cosi state operando nella nostra economia, tale aggiustamento comporterà un avanzo primario di circa il 5 per cento del PIL.
Allora, collega, vada a leggere la decisione che stiamo approvando, anzi che state approvando (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 17,35)

RENATO CAMBURSANO. Si prevede che l'avanzo primario nei prossimi tre anni non raggiungerà neanche il 2 per cento, quindi non ce la faremo mai con questo ritmo a raggiungere gli obiettivi nuovi imposti dall'Unione europea. Lei, signor Ministro, sa anche quali sono le conseguenze, ma volutamente le tace. Allora le enuncio io: il nostro Paese dovrà pagare una sanzione, prevista dalle nuove regole, che potrebbe ammontare a più di un punto percentuale del PIL, sanzione che poi chiederemo che venga pagata da voi che approvate questi documenti.
E questo cosa vuol dire? Vuol dire semplicemente tre ipotesi. La prima: lei tace perché è convinto che a marzo si vada a votare e quindi intende scaricare la patata bollente al prossimo Esecutivo; oppure, ritiene che le regole comunitarie ancora una volta per l'Italia non valgano. Pag. 74
Oppure che non si mettano in atto di nuovo delle politiche che non vorremmo più vedere, cioè quelle a cui ci ha abituato il Ministro dell'economia e delle finanze, quelle per le quali ha ormai una certa specialità, cioè la finanza «creativa», le cartolarizzazioni, la svendita del patrimonio pubblico oppure nuovi scudi o nuovi condoni fiscali.
Tutto ciò, però, e lei lo sa bene, porterà ad una immediata riduzione del debito sacrificando entrate future. Vale a dire, noi facciamo le cartolarizzazioni e riduciamo il debito, ma ciò nell'immediato, negli anni successivi ce lo ritroveremo.
Allora come se ne esce? Modificando profondamente la politica economica, cosa che voi non state facendo; cioè puntando su di una più profonda crescita, su un deciso cambiamento rispetto alla spesa corrente, riducendone in modo determinante gli sprechi, che continuate a fare, soprattutto, nelle regioni oggi governate dalla Lega; puntando ancora su un forte contrasto all'evasione fiscale, cosa che non state affatto facendo.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 17,37)

RENATO CAMBURSANO. Di tutto questo nel documento di Decisione di finanza pubblica non c'è traccia, non c'è alcun accenno, così come non c'è accenno ad una strategia di rientro del debito. Le entrate stanno andando peggio del previsto. Si sono già mangiate un quarto della manovra finanziaria che è stata approvata nell'estate scorsa. La pressione fiscale non accenna minimamente a diminuire, è sempre là ferma al 43 per cento complessivo, certamente non per quelli che non pagano le tasse, perché per quelli che invece le pagano supera il 51 per cento. Così come il tasso di disoccupazione reale, non quello «annunciato» dall'ISTAT, ma quello che tiene conto anche di coloro che non vanno neanche più ad iscriversi agli ex uffici di collocamento perché sono amareggiati, sono stanchi, non ce la fanno più. Con quelli superiamo decisamente il 10 per cento del tasso di disoccupazione.
Lo scenario economico è confuso ed incerto e la performance dell'Italia è tra le peggiori. E a dirlo non è Renato Cambursano, ma è Confindustria. Ecco perché i killer giornalistici sono entrati in azione proprio contro la presidente di Confindustria. Lei, signor Ministro, deve venire qui, in Parlamento, come abbiamo scritto tutti insieme in un documento finale sulle politiche economiche datato, 30 luglio 2010, dove, tra l'altro, si dice, leggo testualmente: «(...) appare indispensabile un forte coinvolgimento dei Parlamenti nazionali, sia in fase ascendente, orientando la posizione che il Governo andrà ad illustrare in sede europea, sia discendente, attraverso l'assicurazione del necessario corredo informativo, al fine di poter poi assumere le decisioni relative alle misure da adottare in ciascun Paese».
Il Parlamento, invece, viene ancora una volta completamente svuotato, e il richiamo al Parlamento lo ha fatto anche il Presidente della Repubblica, non più tardi di quattro giorni fa, dicendo che proprio sulle politiche economiche il Governo deve avvalersi dell'apporto del Parlamento.
Deve quindi spiegare subito, signor Ministro che non c'è, quali siano le prospettive future in sede europea e se l'Italia ha la forza di aprire un negoziato per imporre una revisione del patto che non sia un nuovo pesante ostacolo alla crescita del nostro Paese.
Entro il 12 novembre, signor Presidente, gli Stati membri, secondo le nuove regole, dovrebbero presentare alla Commissione europea una bozza dei programmi nazionali di riforma focalizzati su tre obiettivi: uno scenario macroeconomico a medio termine, obiettivi nazionali da perseguire nell'ambito degli scopi della Strategia Europa 2020 e soprattutto la identificazione degli ostacoli principali alla crescita e all'aumento dell'occupazione. Di tutto questo non si fa minimamente cenno nella Decisione di finanza pubblica. È vero, non siamo ancora al 12 di novembre, siamo al 13 ottobre, e in un mese il Governo potrà fare grandi cose.
D'altra parte, tutti quanti ricordiamo che nel maggio del 2008 il Governo in nove Pag. 75minuti e mezzo approvò il decreto-legge n. 112, quindi figuriamoci che cosa può fare in un mese. Questa volta però non ce la farà, dubito fortemente che riesca a produrre quei programmi nazionali di riforma perché non ha idee: parla di speculazione, di bonus, ma non di crescita, di occupazione e di competitività.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENATO CAMBURSANO. Mi avvio a concludere, signor Presidente, nello scenario europeo il problema grosso che abbiamo a proposito dei cambi può disegnare due scenari opposti: uno in cui i cambi penalizzino ancora l'Europa e in quel caso allora l'Italia, che è uno dei punti deboli, sarà penalizzata ulteriormente. Solo facendo una politica di crescita questo Paese potrà uscire dall'impasse in cui lo avete cacciato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è opportuno evidenziare che la Decisione di finanza pubblica attualmente all'esame, appare chiaro su alcuni aspetti. È infatti certa la consapevolezza che talune scelte siano state sollecitate dalle dinamiche globali, in primis le maglie della crisi economica. Emergono tuttavia delle forti criticità che si collocano oltre le valutazioni e le stime di crescita del nostro Paese nei prossimi tre anni; alcune difficoltà analitiche attengono soprattutto al rapporto deficit-PIL del prossimo triennio. Purtroppo il documento in esame non prevede ulteriori disposizioni correttive rispetto a quelle già previste nel mese di luglio, però tenendo presente che la DFP valuta una riduzione della pressione fiscale nel 2011, l'assenza, ad esempio, di un riferimento ad ulteriori misure correttive sulla spesa comporterà un incremento del rapporto deficit-PIL ed una conseguente revisione degli obiettivi di finanza pubblica che però non sono previsti dal documento.
Emergerebbe quindi una sorta di previsione per così dire zoppa rispetto alle originarie aspettative, soprattutto se si tiene conto della ratio della legge n. 196 del 2009. In origine, come abbiamo avuto modo più volte di evidenziare, l'obiettivo era quello di creare un documento su cui la politica avrebbe potuto esprimere i suoi programmi per lo sviluppo dell'Italia; stando al documento attuale risulta ben poco su cui lavorare.
Siamo certi che il Governo sarà attento alle evidenze che in questa sede sono state sollevate anche perché si tratta di sollecitazioni e inviti alla riflessione che riguardano il futuro del nostro Paese. Tenendo presente tali aspetti, a nome del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia, evidenzio l'esigenza inderogabile di provvedere nelle prossime leggi di stabilità a introdurre misure adeguate che consentano il pieno sostegno ai cittadini, stanchi da mesi di criticità e di congiunture economiche negative.
Mi riferisco a misure orientate alla graduale riduzione della pressione fiscale, oltre che iniziative normative volte alla riforma del sistema fiscale, alla definizione di un concreto piano di rilancio del Mezzogiorno d'Italia. Anche in questa occasione, ci sembra auspicabile un invito all'Esecutivo a riflettere sulla situazione di impasse creatasi in merito ai conti della riforma universitaria. È una priorità che il Governo trovi le adeguate coperture per consentire una reale riforma del sistema che tenga conto dei fondi indispensabili per la ricerca e per la meritocrazia piuttosto che valorizzare un provvedimento scarno e inconsistente.
L'Esecutivo deve mettere a disposizione iniziative chiare, volte al completamento delle grandi opere pubbliche e delle infrastrutture, iniziative che, sappiamo bene, hanno anche il grande merito di ridare nuovo slancio all'economia e alle potenzialità del nostro Paese. Parliamo di misure che non possono e non devono arenarsi sulle sponde di una retorica governativa ma che devono trovare un reale impegno del nostro Esecutivo. Una delle nostre priorità, che è da unire a quella del Pag. 76Governo, è di ragionare insieme su provvedimenti e iniziative che mirino alla rettifica dei meccanismi di accesso al mercato del lavoro per i giovani. È altrettanto importante che tra le priorità del Governo, nella programmazione e tra gli obiettivi di finanza pubblica, vengano riconosciuti adeguati correttivi che consentano ai nostri connazionali residenti all'estero di non vedersi considerare cittadini di serie B.
Dunque, l'auspicio del nostro gruppo è proprio quello che il prossimo disegno di legge di stabilità non si limiti ad avere una struttura tabellare, ma vi sia la possibilità di inserirvi una serie di interventi volti a favorire un sostegno ai cittadini e alla crescita del Paese.
Con questa premessa, certi che il Governo non vorrà e non potrà disattendere queste legittime aspettative condivise da una parte cospicua della maggioranza, dichiaro il voto favorevole di Futuro e Libertà per l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Futuro e Libertà per l'Italia).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 17,45).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto - Doc. LVII n. 3)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, in questo intervento non mi voglio soffermare tanto sui ritardi temporali o sulla mancanza di dati che hanno caratterizzato la presentazione di questa Decisione di finanza pubblica. Certo, è un aspetto importante: la mancanza di dati rende difficilmente leggibile questa Decisione e il ritardo, in qualche modo, interagisce in maniera negativa sull'approvazione del documento di finanza pubblica che dovremo approvare tra qualche giorno. Tuttavia, non penso che sia questo il cuore, così come non mi voglio soffermare troppo sulla lettura numerica di questo documento. Vorrei soffermarmi, invece, su altri aspetti. Vorrei capire fino in fondo quello che questa Decisione di finanza pubblica non dice e che, invece, dovrebbe dire. E lo faccio attraverso tre domande, a cui proverò, io stesso, a dare una risposta.
La prima domanda è la seguente: questa Decisione di finanza pubblica è frutto della manovra economica che il Governo ha approvato nel luglio di quest'anno. Quella manovra economica - vi ricordo - era di 25 miliardi di euro; per i due terzi puntava sulla riduzione della spesa, fatta mediante i tagli lineari. Questi ultimi, per intenderci, sono quei tagli che non distinguono la spesa buona da quella cattiva, e che trattano tutto il bilancio dello Stato in egual modo. Ha avuto successo quel taglio così fatto? Oggi i conti sono davvero a posto, a seguito di quel taglio? La Decisione di finanza pubblica non ci risponde, ma se la osserviamo nel dettaglio e interpretiamo quei dati, vediamo e registriamo il fallimento di quella scelta.
Neanche la spesa più cattiva, anzi soprattutto la spesa più cattiva, quella dei consumi intermedi (mi riferisco, cioè, a quella che comprende le consulenze, la spesa per acquisti di beni), proprio quella è rimasta intatta. Che cosa si è tagliato, invece? La spesa buona. Sono in calo le spese per l'istruzione, quelle per la sicurezza e, soprattutto, i trasferimenti alle regioni e agli enti locali. Cosa vuol dire questo? Che il taglio lineare ha agito in maniera contraria a quello che doveva fare: ha tagliato la spesa buona e ha lasciato inalterata quella cattiva, con il risultato che, al 1 gennaio, le nostre famiglie, sui territori, avranno tariffe più Pag. 77alte e servizi minori, in quanto il taglio agli enti locali, alla fine, produce tale risultato.
Non credo che quella sia stata una scelta buona, ricordiamocelo anche per il futuro: il taglio lineare è, di fatto, la morte della politica, poiché, con esso, lo Stato, il Governo non vuole scegliere, non vuole dare la priorità ad alcuni interventi rispetto ad altri. Non è un caso, colleghi, se dall'inizio di settembre, in quest'Aula, non riusciamo ad approvare alcun provvedimento. Certo, registriamo una confusione fortissima all'interno della maggioranza. Avevamo detto che questo sistema bipolare avrebbe causato ciò, tuttavia la colpa non è solo dello stato confusionale in cui si trova la maggioranza, ma anche del fatto che non vi sono risorse, perché i tagli lineari rendono inutile il lavoro del Parlamento.
Il caso emblematico lo abbiamo in queste ore: sulla riforma dell'università la Commissione di merito - Cultura - ha fatto un lavoro che si può apprezzare o meno, ma ha agito su quel testo in maniera forte. Bene! Quelle proposte emendative introdotte dalla Commissione di merito non saranno recepite dal provvedimento finale perché costano, e non ci sono le risorse per portarle avanti; risultato: probabilmente la riforma dell'università non andrà avanti per colpa della mancanza di risorse e dei tagli lineari.
Alla prima domanda bisogna rispondere, allora, in maniera molto eloquente: la manovra di luglio non ha dato i risultati sperati, e quello che noi avevamo denunciato sull'inappropriatezza dei tagli lineari si è puntualmente rilevato.
La seconda domanda è: come si concilia questa Decisione di finanza pubblica con il discorso che il Presidente del Consiglio è venuto a fare in quest'Aula il 29 di settembre? Vi ricordo che il Presidente del Consiglio, nella sua relazione, ha promesso al Paese il quoziente familiare, il federalismo fiscale, più risorse alla giustizia, più risorse alla scuola e una riforma fiscale compiuta.
Questa Decisione di finanza pubblica è incompatibile con queste cose, perché non vi è lo spazio economico per poterle fare; questa Decisione di finanza pubblica ci dice che, pur tagliando le spese e non facendo le riforme, alla fine, non ci sono risorse per fare nulla, se non per crescere poco, e meno degli altri Paesi europei.
È chiaro, allora, che a legislazione vigente non ci sono possibilità di fare nulla, tantomeno queste cose che, calcolate in un valore approssimativo, possono costare sino a venti miliardi di euro. Non penso che si possa continuare con dei semplici spot elettorali.
Se vi è la consapevolezza di passare dalle parole ai fatti, bisogna fare una cosa: le riforme. Noi lo diciamo da tempo e abbiamo depositato delle proposte in Parlamento. Non andremo avanti fino a quando non affronteremo davvero il taglio della spesa, per creare risorse per realizzare le cose che ha detto il Presidente del Consiglio. E quali sono queste riforme? Sono l'abolizione delle province, l'aggregazione dei comuni (questo Paese non si può permettere 8 mila comuni, di cui 6 mila sotto i cinquemila abitanti; in Italia ci sono comuni da 34 abitanti che non ce li possiamo più permettere), una vera riforma dei servizi pubblici locali e, inoltre, una «botta» di concorrenza: a questo Stato serve maggiore concorrenza per far pagare meno i servizi ai cittadini italiani.
Terza domanda: che cosa succede agli investimenti? Noi sottovalutiamo, troppo spesso, un allegato della Decisione di finanza pubblica - ex DPEF, per intenderci - che riguarda gli investimenti; un Paese che cresce meno degli altri Paesi europei ha più bisogno di investimenti che gli altri Paesi perché - ce lo dice la Banca d'Italia nella sua relazione - a ogni 100 euro di investimenti in infrastrutture pubbliche corrisponde, in Italia, un innalzamento del PIL di 60 euro, dello 0,60 per cento. Vi rendete conto? Di fronte ad un Paese che ha un problema di crescita evidente, si possono tagliare gli investimenti? È un controsenso, è illogico! Dovremmo puntare sugli investimenti, anche a scapito della spesa corrente, perché è lì che abbiamo il problema. Noi, invece, ancora una volta, tagliamo gli investimenti, perché Pag. 78col tetto di stabilità - soprattutto per quanto riguarda gli enti locali - si è privilegiata la spesa corrente per pagare quello che ogni giorno devono pagare, sacrificando la politica di investimenti, e questo porta ad una contrazione fortissima degli investimenti.
Ve lo abbiamo detto: il Patto di stabilità, così, non può stare in piedi. Non potete continuare a mettere nei documenti il finanziamento di opere pubbliche degli enti locali quando poi, gli enti locali, non possono cofinanziare quelle opere pubbliche perché altrimenti vanno fuori dal Patto di stabilità.
L'esempio tipico è nel mio comune, dove vi è un contributo per la metropolitana di quasi 100 milioni di euro: riprendetevelo! Riprendevi quel contributo di 100 milioni di euro, perché il comune di Bologna, pur avendo i soldi in cassa, gli altri 100 milioni per completare la metropolitana non può metterli perché vi è il Patto di stabilità.
Allora smettiamola di prendere in giro i cittadini bolognesi e i cittadini italiani. Diciamo che non siamo in grado in questo Paese di fare le infrastrutture e che continueremo a crescere meno degli altri Paesi. Voi avete molte idee in testa, molte proposte, molti spot elettorali. Io vi chiedo una cosa. Avete dieci cose? Fatene almeno una, perché così non riusciamo più ad andare avanti. Fatene poche, ma fatele. Queste sono le motivazioni per cui noi voteremo contro la Decisione di finanza pubblica. Abbiamo presentato una risoluzione che recepisce quanto abbiamo detto, e speriamo che il Parlamento la voti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà per dieci minuti.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, la Decisione di finanza pubblica di quest'anno, prima e ultima per motivi sovranazionali, si colloca in un particolare periodo storico sia politico sia economico. Le tensioni dei mercati finanziari mondiali ed europei hanno prodotto la necessità di realizzare una programmazione economica comune di tutti gli Stati membri al fine di limitare l'effetto domino che la semplice crisi economica di un piccolissimo Stato possa propagarsi alle economie di altri Stati a causa delle esposizioni incrociate dei sistemi bancari europei. Mi riferisco al caso della Grecia che l'Europa ha affrontato nella linea che il Ministro Tremonti indicò, quindi mediante un intervento congiunto degli Stati membri. Noi abbiamo partecipato con prestiti per 5,5 miliardi nel 2010 e ulteriori 9,3 nel successivo biennio. Ciò quindi ha insegnato che è bene accelerare la procedura di riforma della politica economica europea in vista dell'approvazione da parte del Consiglio dei Capi di Stato e di Governo di una nuova versione del Patto di stabilità e di crescita mediante la sessione di bilancio europea, la realizzazione quindi dei nuovi documenti politico-contabili europei (lo Stability program e il National reform program). L'area dell'euro è oggi meglio attrezzata per fronteggiare gli effetti di un rapido e significativo intensificarsi delle tensioni sui mercati dei titoli di Stato, e questo quindi porta all'introduzione dell'European financial stability mechanism, che segna un passaggio importante nella definizione di un meccanismo efficace per la gestione delle crisi, predisponendo procedure chiare e credibili per la concessione tempestiva di assistenza agli Stati membri in serie difficoltà finanziarie. In prospettiva saranno comunque cruciali gli interventi volti a ridurre i disavanzi e i debiti pubblici, e l'introduzione di regole a livello europeo e nazionale volte a impedire condizioni di forti squilibri dei conti pubblici. È proprio in questo contesto che la DFP si muove. Inoltre le manovre fiscali economiche di questa maggioranza, da sempre, si sono mosse in questo senso di fatto anticipando tutta l'Europa, che ci ha copiati. Voglio ricordare che già il decreto-legge n. 112 del 2008 iniziò a programmare a livello triennale i conti pubblici dello Stato per dare stabilità all'economia e creare serenità per i mercati. Ricordo inoltre l'intervento del Governo e della Pag. 79maggioranza nel settore bancario per dare fiducia al mercato e garanzie ai conti correnti dei cittadini, nonché maggiore liquidità alle imprese: un'azione non nuova per noi quindi, e che oggi viene esportata in tutta l'Europa. Tra l'altro, con il decreto-legge n. 78 abbiamo addirittura anticipato la finanziaria, proprio per dare risposte certe e veloci al mondo imprenditoriale ed economico, che è là fuori ad aspettare concretezza e riforme strutturali, ed è stufo delle parole e dei freni che la politica pelosa dell'assistenzialismo contrappone al cambiamento voluto dalla Lega Nord. La manovra triennale di bilancio anticipata a maggio ha contribuito, insieme a un miglioramento del quadro finanziario internazionale, a ridurre l'incertezza per gli operatori; manovra che si fonda soprattutto sul contenimento della spesa e su maggiori entrate mediante un maggior contrasto all'evasione fiscale, per ampliare l'azione di contenimento, appunto, del disavanzo. Le stime della Decisione di finanza pubblica confermano il profilo di riduzione del disavanzo nel triennio 2011-2013 indicato con il Programma di stabilità presentato all'Unione europea all'inizio dell'anno. È chiaro che l'austerità della spesa pubblica però può implicare non solo ovvi benefici. Infatti, intorno alla metà dell'anno sono giunti a scadenza sia gli incentivi all'acquisto di determinate categorie di beni durevoli, sia le agevolazioni fiscali agli investimenti in capitale produttivo disposti nel 2009.
Nel prossimo biennio gli investimenti e le esportazioni dovrebbero continuare a trarre beneficio dal rafforzamento della ripresa internazionale, ma sull'attività economica continuerebbe a gravare una dinamica fiacca dei consumi che risentirebbe della lentezza di miglioramento del mercato del lavoro, anche se ricordo che rimarremo comunque tra i Paesi che, nel prossimo anno, conseguirebbero un risultato migliore rispetto al 2010. Tralascio, quindi, di ricordare ulteriori dati che, comunque, ritengo buoni visti i momenti storici in cui viviamo e che dipendono non dal destino, dal caso, ma dalle azioni politiche ed economiche fin qui svolte dal Governo e da questa maggioranza. Mi riferisco all'azione riformatrice della pubblica amministrazione che porta stabilizzazione finanziaria, all'aumento di produttività del settore pubblico, al taglio della burocrazia, dei costi superflui, ad un controllo serrato della spesa pubblica, alla legislazione già approvata riferita alla responsabilizzazione personale e politica di chi gestisce le casse dei cittadini a livello locale e alle norme relative all'implementazione della lotta all'evasione fiscale. Difatti, in questa materia, il decreto-legge n. 78 del 2010 prevede nuove norme come, per esempio, la comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA, la revisione del redditometro, l'introduzione di verifiche incrociate, nuovi controlli contro le frodi intracomunitarie, limiti alle compensazioni crediti-debiti fiscali, la partecipazione dei comuni all'attività di controllo dell'evasione, controlli mirati alle imprese in perdita sistematica o che aprono e chiudono l'attività nell'arco di un anno. Questa norma, tra l'altro, fa seguito ad una proposta dall'onorevole Bitonci, tanto criticata a livello mediatico, ma che dava una risposta certa ai «furbetti» delle partite IVA facili, attraverso, cioè, una fideiussione al momento dell'apertura a garanzia dei futuri mancati versamenti. Torneremo comunque presto su questa proposta.
Ricordo la via dei cantieri fermi e della programmazione delle opere pubbliche quale volano dell'economia. Le infrastrutture sono un elemento chiave della capacità di crescita di un Paese. Ecco perché è bene dare priorità alle opere cantierabili e realizzabili nel breve e medio periodo. Oltre all'allegato infrastrutture, quindi, bene ha fatto sia il relatore, che l'ha rammentato qui in Aula, che l'VIII Commissione, a ricordare ulteriori opere cantieralizzabili a breve che devono essere seguite dal Governo con ulteriore e maggiore attenzione. Ciò è stato anche inserito nel deliberato della risoluzione oggetto oggi di votazione. Non possono comunque essere anche dimenticati i territori, gli enti locali e le regioni che chiedono maggiore autonomia gestionale e fiscale. A questo Pag. 80proposito, la Lega Nord Padania non può che essere contenta che dopo vent'anni di proposte anche la Banca d'Italia, simbolo non certo dell'autonomia nel senso più lato del termine, certifichi, nei suoi documenti, come quelli depositati in V Commissione, come il percorso di risanamento dello Stato non possa prescindere dall'attuazione del federalismo fiscale e dalla sua celere concretizzazione. Il federalismo fiscale sarà l'unica importante occasione per razionalizzare la spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi forniti ai cittadini. Ecco, quindi, che in parallelo alla capacità impositiva locale è bene costruire vincoli di bilancio rigidi, meccanismi di perequazione trasparenti e non assistenziali, margini di autonomia nella fissazione delle aliquote, rilevazione sistematica della qualità dei servizi forniti. Il decentramento rafforzerà il controllo dei cittadini sull'operato degli amministratori locali e la concorrenza tra enti nella fornitura di servizi. È urgente, quindi, avviare la transazione dalla spesa storica al costo standard, partendo dalla spesa sanitaria che ricopre più dell'80 per cento dei bilanci regionali.
Per tutti questi motivi è giusto votare favorevolmente nei confronti della risoluzione depositata in quanto indica, oltre ai margini economici a cui riferirsi per i bilanci triennali, anche l'impegno del Governo a completare, entro i termini della delega, l'attuazione della legge n. 42 del 2009, quella, appunto, sul federalismo fiscale. Invito, quindi, il Parlamento a dedicare tutto il tempo prezioso che ci rimane da qui a fine legislatura per concludere questo iter legato all'attuazione del federalismo fiscale, cercando di non disperderlo in provvedimenti che i cittadini, d'accordo con me, non considerano certamente pregnanti ai fini della risoluzione economica dei problemi dell'Italia quali, per esempio, la modifica della legge elettorale (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Baretta. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, con il voto di oggi il Paese sta perdendo un'importante occasione. La scelta del Governo di svilire la sessione di bilancio, considerando la Decisione di finanza pubblica carta straccia ed annunciando una legge di stabilità solo tabellare, ovvero senza scelte coraggiose di politica economica e finanziaria, è una grave rinuncia di responsabilità in un momento delicato della situazione italiana.
Basta leggere i dati pubblicati questa mattina dalla Banca d'Italia: il debito pubblico è ulteriormente cresciuto nel mese di agosto dello 0,2 ma nei primi otto mesi dell'anno è aumentato del 4,5 e del 4,7 rispetto allo stesso mese del 2009. Non basta: nel 2010 le entrate tributarie sono calate del 2,6. Se poi abbiamo presente i dati che dovremmo prendere in seria considerazione, drammatici sull'occupazione, le difficoltà delle imprese sulla produzione e il calo dei consumi, ne ricaviamo un quadro preoccupante. Sia chiaro che sono ben lontano dal catastrofismo che sarebbe in ogni caso sbagliato e poco rispettoso dei grandi sforzi che il Paese reale sta facendo per uscire dall'angolo d'ombra della crisi. Non mi nascondo i segnali di ripresa che pure qua e là si intravedono ma vedo anche che essi sono ancora deboli, fragili e contraddittori. Ma ecco il punto, signor Presidente: questa fatica quotidiana pervasa da un alternarsi di ottimismo e di pessimismo ma sempre da una ferma volontà di riuscirci, il Paese la sta facendo da solo. Il dubbio c'era già ma oggi è confermato ed è francamente singolare che la conferma della solitudine nella quale il Governo lascia il Paese, proprio quando bisognerebbe intensificare l'indirizzo e il sostegno, arrivi proprio dal Governo. State chiedendo che tra pochi minuti la vostra maggioranza voti un documento per sua natura solenne, la Decisione di finanza pubblica ovvero la nuova versione del DPEF, la versione rinnovata decisa dalla legge n. 196 del 2009 che, voglio ricordarlo in quest'Aula, è stata approvata da tutti i gruppi. Ma state chiedendo un voto che voi stessi dichiarate inutile: è quanto voi pensate di questa Pag. 81votazione, avendo voi stessi dichiarato che la Decisione di finanza pubblica è sostanzialmente e politicamente superata. Può succedere, è raro ma può succedere, che qualche volta si votino documenti che poi si rivelano poco utili o inutili ma farlo in anticipo su richiesta degli stessi proponenti è certamente una primizia, una delle tante anomale primizie a cui ci sta abituando questo Governo. Quale credibilità può avere la vostra azione di fronte a questo modo di governare? Ma perché poi sarebbe superato? Perché quanto doveva essere deciso è già stato deciso a luglio. Non riprendo le osservazioni critiche che ha fatto poco fa il collega Galletti sulla logica perversa dei tagli lineari. Mi chiedo soltanto: pare a ciascuno di noi ragionevole un'affermazione di questo tipo? Che significato ha dichiarare ciò in questo momento? Significa né più né meno - ed è molto grave - lasciare da soli i produttori e i lavoratori di fronte alle sfide dei mercati globali, della modernizzazione del lavoro, della ricerca di maggiore produttività e competitività e al tempo stesso dei diritti e delle tutele estese a tutti i soggetti a cominciare dai più esposti alle intemperie della crisi. Bisogna reagire, bisogna cambiare strada, dovete cambiare strada. Rinunciate ad una linea attendista ed affrontate le due grandi questioni della crescita e del debito. Sono le emergenze del nostro Paese e non possono andare disgiunte. Occorre una politica di crescita da realizzare attraverso un programma di riforme, a cominciare da quella fiscale tante volte promessa e mai realizzata, eppure se ne sente la necessità. Il peso delle tasse grava sui cittadini oltre alle loro possibilità e soprattutto sull'impresa e il lavoro. Ma l'evasione è a livelli insostenibili e va combattuta con maggiore determinazione. Ascoltate senza alcuna supponenza quanto la Banca d'Italia ci dice sull'urgenza di dedicare i ricavi della lotta all'evasione alla riduzione di imposte e agli investimenti pubblici. Ma anche l'esito del rigore finanziario deve avere questa finalizzazione. Rigore finanziario necessario ma da gestire con oculatezza.
Certo, non sono i tagli alla scuola la prova di questa preveggenza e quanto sta accadendo in queste ore sul disegno di legge università è clamoroso. Ma lo spazio per intervenire c'è ma ci vuole un'operazione strutturale anche a partire da una valorizzazione del patrimonio pubblico e dall'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie per sostenere i debiti sovrani, migliorando in tal modo anche la tracciabilità, ma anche potenziando lo strumento della spending review.
Certo, non è strutturale la sgradevole operazione di tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici, perché è chiaro che alla fine del blocco, a meno che non vi sia tra voi qualcuno che pensa di reiterarlo, la dinamica salariale riprenderà ed a quel appunto il bilancio subirà un'impennata negativa di rimbalzo. Forse è per questo che prevedete che il PIL dei prossimi anni anziché crescere, come sarebbe auspicabile, diminuisca.
Per realizzare invece, come serve, un'operazione strutturale straordinaria serve un ampio consenso. Il consenso pensate di averlo, ma vi sta venendo meno. Allora o ne prendete atto e lasciate il campo o affrontate con più rispetto del Parlamento e collaborazione istituzionale questa fase. Ecco perché all'occasione persa sul Documento di finanza pubblica non potete aggiungere anche quella della legge di stabilità, che dovete presentare al Parlamento entro domani. Ve lo ricordo perché non succeda come per la Decisione di finanza pubblica, che è arrivata con troppo ritardo. Non potete perché ci attende una scadenza europea di straordinaria importanza ed è bene che ci presentiamo a Bruxelles dopo che ne abbiamo discusso in Parlamento. Certamente davanti alla Comunità europea non potete cavarvela dicendo che tutto è stato risolto fin da luglio. Non potete cavarvela con un collegato infrastrutture che affida più di un terzo delle risorse necessarie ai pedaggi sui raccordi stradali, peraltro lasciando scoperte strade e infrastrutture già decise e non confermandone invece altre già finanziate. Pag. 82
So che queste mie perorazioni potrebbero apparire ingenue, ma non possiamo rinunciare all'idea di avere un Governo. Può essere - e voi lo siete - un Governo che non ci piace, ma l'idea che una delle grandi nazioni del mondo attraversi questa congiuntura con un Governo fantasma non è accettabile, anche perché il negoziato che si deve aprire a livello comunitario deve tendere a modificare la regola del 60 per cento come criterio «passa/non passa» per decidere lo stato di salute dei Paesi membri. L'automatismo, che prevede che se si supera quella quota scattano sanzioni indiscriminate, senza tener conto delle specificità dei singoli Paesi, è sbagliato.
Prendo atto del fatto che anche voi sostenete che l'Italia ha un forte risparmio privato, ma al tempo stesso non sono previsti meccanismi premiali per favorire il rientro delle quote a rischio. Ma non potete fare una legge di stabilità finta, perché servono interventi di politica industriale e di sviluppo, a cominciare dalla totale disattenzione che vi è oggi sul Mezzogiorno anche con riferimento alla necessaria applicazione corretta del federalismo.
La nostra risoluzione e gli interventi dei colleghi Pepe, Lovelli, Vannucci e Marchi vi hanno invitato e vi invitano a compiere scelte nuove, responsabili e coraggiose. L'occasione persa oggi può trovare un recupero nella legge di stabilità e nel programma europeo che ci attendiamo di discutere in questo Parlamento nei prossimi giorni, ma anche per recuperare quell'incedere zoppo di cui ha giustamente parlato poco fa l'onorevole Di Biagio. Per tutti questi motivi noi dichiariamo la nostra insoddisfazione rispetto all'insieme delle scelte che state facendo e annunciamo così il nostro voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Milanese. Ne ha facoltà.

MARCO MARIO MILANESE. Signor Presidente e onorevoli colleghi, la premessa della Decisione illustra le finalità del nuovo processo di bilancio italiano, le innovazioni in corso per il processo di sorveglianza europea, il cosiddetto semestre europeo, e la strategia di politica fiscale perseguita dal Governo. Tali obiettivi di finanza pubblica sono esposti dalla decisione, articolati per i tre sottosettori del conto delle amministrazioni pubbliche: amministrazione centrale, locali ed enti di previdenza. Essi scontano integralmente il contributo alla manovra di consolidamento dei conti pubblici richiesto ai diversi comparti. Circa il contenuto specifico, la Decisione presenta altresì nuovi elementi conoscitivi quali l'indicazione delle risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate, con la precisazione della quota nazionale addizionale.
Fatta questa premessa di carattere generale sul contenuto, bisogna soffermarsi su alcuni degli aspetti emergenti che si ritengono di maggiore interesse, tenuto conto del dibattito politico sviluppatosi in questi ultimi mesi.
Emerge chiaramente, dal documento che stiamo esaminando, come la politica economica italiana sia assolutamente coerente con gli obiettivi e la previsione che su base triennale sono stati formulati dal Governo. Ne costituisce dimostrazione il fatto che le linee di finanza pubblica contenute nella decisione sono le stesse definite nel documento esaminato nel marzo di quest'anno in Parlamento e approvato dalla Commissione europea lo scorso giugno e che acclude anche le misure recate dal decreto-legge n. 78 del 2010.
Ciò significa, evidentemente, che il Governo segue gli obiettivi prefissati: una politica di forte contenimento della spesa pubblica che l'Italia ha intrapreso per stabilizzare i conti pubblici nello scenario attuale di crisi finanziaria mondiale. Pur nell'attuale congiuntura internazionale, infatti, solo questa scelta coerentemente perseguita sin dall'insediamento del Governo e dall'inizio della legislatura ha consentito di salvare l'Italia dalle ripercussioni più pericolose che avrebbero potuto manifestarsi nella situazione economica e finanziaria Pag. 83con cui invece altri partner europei ed internazionali hanno dovuto fare i conti.
Prova ne è che gli effetti della crisi sono stati sensibilmente più attenuati nel nostro Paese con ripercussioni meno accentuate rispetto agli altri Paesi europei in termini di incremento del debito pubblico, del divario deficit-PIL, in tema di ripercussioni sociali e ripercussioni occupazionali. Naturalmente si tratta di politiche articolate e diverse a seconda della struttura dei diversi Paesi, ma fondamentalmente comuni nella cifra politica della risposta, e che in Italia si è tradotta in un significativo decremento dell'indebitamento netto della pubblica amministrazione, che tende a ridursi nel corso del quadriennio 2010-2013, passando dal meno 5 per cento del 2010 al meno 2,2 per cento del 2013.
Una politica di rigore, quindi, che come emerge anche dal documento che stiamo esaminando è frutto della consapevolezza ormai maturata e diffusa in tutta Europa soprattutto dalle burrascosa vicende che hanno scosso i mercati internazionali - a partire dalla crisi finanziaria greca in poi - che alla crescita deve necessariamente coniugarsi la stabilità dei conti, in quanto, come rimarcato dal Governo nel corso della scorsa audizione presso le Commissioni bilancio in seduta comune di Camera e Senato, il deficit non crea crescita, ma solo disuguaglianza e povertà per le generazioni presenti e future, il che modifica radicalmente il software politico applicato nei decenni passati.
Non si tratta, dunque, di due quadranti indipendenti, ma di due termini dello stesso problema e della stessa soluzione. La Decisione di finanza pubblica dà conto di questa politica di rigore e dei suoi effetti positivi, sintetizzando le politiche di contenimento attuate in Italia a partire dal giugno del 2008 con la prima manovra di finanza pubblica avente carattere triennale e sviluppate poi con successivi interventi e chiuse per quest'anno con la manovra di luglio. Un'analisi affrettata, superficiale e soprattutto parziale dei dati economici, diffusa nel corso degli ultimi mesi, ha spesso messo in rilievo come il debito pubblico italiano nell'ultimo anno sia cresciuto. Ho volutamente definito tali analisi parziali in quanto evidentemente prive di una valutazione di fondo, invece essenziale per una seria analisi del debito pubblico interno che deve essere considerato nel suo livello e nella sua dinamica complessiva.
Solo in questo modo, come si rileva anche dalla Decisione in esame, ci si può rendere conto che il debito pubblico italiano è cresciuto solo perché è diminuito il prodotto interno lordo per effetto della crisi globale già ricordata, e non perché il Governo abbia alimentato politiche di spesa pubblica incontrollata. Infatti, la dinamica di crescita del debito pubblico italiano è assolutamente diversa rispetto a quella di altri Paesi e si connota per elementi congiunturali che lasciano ben sperare per il futuro, ove si prosegua sulla via di risanamento intrapresa nel corso di questa legislatura.
Inoltre, come già ricordato, i differenziali rispetto ai principali competitori europei ed internazionali su questi punti mostrano come tutti gli altri Paesi sviluppati abbiano, nel corso degli ultimi due anni, incrementato il proprio debito pubblico per motivi analoghi a quelli che hanno interessato l'Italia, ma in proporzioni ben più accentuate rispetto a quanto registrato nel nostro Paese e questo è un ulteriore dato che mette in evidenza proprio la virtuosità del cammino intrapreso, pur nelle condizioni affatto particolari della situazione italiana, caratterizzata dal pesante fardello costituito dal terzo debito pubblico del mondo accumulato nei decenni passati del tutto sproporzionato per i livelli complessivi della nostra economia.
Altro dato di rilievo che emerge dalla Decisione di finanza pubblica e che, tra l'altro, dimostra l'infondatezza del catastrofismo generalizzato è rappresentato dalla prospettiva di crescita per l'Italia che caratterizza i primi mesi di quest'anno. Altro elemento che la Decisione di finanza pubblica mette in rilievo è la coerenza della politica fiscale nazionale, con il preciso impegno assunto volto alla progressiva riduzione della pressione fiscale; ciò dà Pag. 84evidenza della stretta operata dal Governo all'evasione fiscale dimostrando come la crescita delle entrate tributarie - 0,5 punti di PIL - sia correlata principalmente all'aumento di gettito atteso dalle norme in materia di lotta all'evasione fiscale e contributiva recentemente emanate. Nell'ambito quindi di un quadro generale complessivamente positivo, sia pure in un quadro di crisi mondiale, altri dati confortanti provengono dal mondo del lavoro.
In conclusione, onorevoli colleghi, si può dire che la Decisione di finanza pubblica riflette le conseguenze della politica economica di questo Governo e di questa maggioranza. Si tratta di una politica economica precisa e puntuale, che ha pienamente risposto alle aspettative delle istituzioni finanziarie, europee e internazionali, confermando la solidità del sistema di finanza pubblica e scongiurando iniziative di carattere speculativo che avrebbero portato tensioni nella nostra economia.
Da più parti, anche non particolarmente qualificate si parla che, d'ora in avanti, dopo il rigore bisogna pensare alla crescita e allo sviluppo. Per la crescita e lo sviluppo non servono solo norme, ma serve fiducia, sicurezza, buona impresa e buona finanza. Serve anche un quadro politico ed una maggioranza stabile. Servono sempre e comunque i conti a posto. Questo Governo e questa maggioranza hanno dimostrato che lo Stato è diventato come un buon padre di famiglia: tiene i conti a posto per assicurare il futuro dei nostri figli. Siamo certi che con i prossimi provvedimenti il Governo e questa maggioranza dimostreranno cosa fare per la crescita e lo sviluppo. Per questo motivo preannuncio il voto favorevole del gruppo Popolo della Libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, nel mese di luglio votai a favore del decreto-legge n. 78, contenente misure restrittive della finanza pubblica, ma in quel dibattito avvertii che mi sembrava che quella manovra del Governo non tenesse conto del vero problema, del nodo scorsoio, che c'è sull'economia italiana, ossia il problema del debito. Nulla era contenuto in quella manovra, nulla è contenuto in questa presentazione attuale.
L'Europa sta cambiando le sue regole e sta fissando come criterio di intervento la riduzione del debito pubblico. La mia domanda al Governo - l'ho fatta a luglio e la ripeto oggi -: ma come pensate di affrontare questa che sarà una tagliola che renderà pressoché impossibile lo sviluppo dell'economia italiana? C'è un piano per ridurre drasticamente il debito pubblico che continuerà a crescere secondo i vostri dati fino al 2013? Nello stesso tempo, come intendete riprendere il cammino della crescita?
Nella risoluzione Cicchitto e altri c'è scritto: «continuare le misure di stimolo dell'economia reale». Dove sono queste misure di stimolo dell'economia reale se il Governo non ha nulla che riguarda questo problema? Queste sono le ragioni in estrema sintesi, signor Presidente della Camera, signori Ministri, per i quali quel voto favorevole a quelle misure una tantum diventa un voto contrario ad un'impostazione di politica economica che lascia l'economia italiana senza prospettive (Applausi di deputati del gruppo Misto-Alleanza per l'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Zacchera. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, in dissenso dal mio gruppo non voterò questa risoluzione e ho deciso di astenermi. La mia è una forma di protesta per quello che sta avvenendo in queste ore al tavolo Governo-ANCI-enti locali, con una situazione che non può durare a lungo. Stiamo procedendo, come già hanno detto altri colleghi, a dei tagli lineari per i prossimi servizi proporzionali senza minimamente tener conto di chi in Pag. 85passato ha rispettato i Patti di stabilità e chi invece non li ha rispettati.
Andando avanti così si rischia di premiare chi ha eluso e non chi ha fatto il proprio dovere. Io apprezzo e appoggio gli sforzi del Ministro Tremonti e del Governo per il contenimento della spesa pubblica, ma ritengo - ed è il secondo punto di dissenso - che poi sia l'ente locale che debba decidere dove operare i tagli all'interno del proprio bilancio, nell'ambito di un quadro generale. Non ha senso procedere al taglio dell'80 per cento delle spese culturali e turistiche, ad esempio.
Manifesto, dunque, la mia voce di dissenso rappresentando centinaia di amministratori locali, soprattutto del nord Italia, che pure hanno combattuto l'evasione fiscale con ottimi risultati. Spero che da coloro che siedono nei banchi del Governo, oggi molto affollati, venga recepito questo dissenso (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,25).

PRESIDENTE. Prima di passare al voto prego l'Assemblea di prestare qualche minuto di attenzione.
Facendo seguito alla riunione dell'Ufficio di Presidenza del 7 ottobre scorso, informo i colleghi di aver inviato ai Vicepresidenti della Camera una lettera in tema di correttezza nello svolgimento degli interventi nei dibattiti parlamentari, lettera di cui ritengo opportuno dare integrale lettura all'Assemblea.
"Nella riunione dell'Ufficio di Presidenza del 7 ottobre scorso sono stati esaminati gli episodi avvenuti in Assemblea nel corso delle sedute del 30 luglio e del 29 e 30 settembre 2010, concernenti espressioni utilizzate dagli onorevoli Di Pietro e Barbato.
In tale sede è stato constatato un progressivo scadimento del linguaggio parlamentare, tale da rendere necessario un intervento anche sul piano regolamentare, volto a definire in modo più puntuale i limiti di correttezza del dibattito parlamentare e le conseguenze sul piano procedurale e disciplinare.
A tal fine mi sono riservato di convocare sollecitamente la Giunta per il Regolamento per procedere alla verifica delle norme vigenti e dei relativi indirizzi applicativi, contenuti in particolare nel parere della Giunta del 24 ottobre del 1996, anche nella prospettiva di un loro eventuale aggiornamento rispetto al mutato contesto. Tale verifica riguarderà evidentemente i due profili che vengono in rilievo a questo proposito: quello cioè dei poteri esercitabili dalla Presidenza nel corso della seduta per la direzione e la moderazione della discussione e quello delle conseguenze sul piano disciplinare derivanti dalla violazione delle regole di correttezza nello svolgimento degli interventi.
In ogni caso, come preannunciato all'Ufficio di Presidenza, sottolineo la assoluta necessità che sia data rigorosa applicazione alle vigenti norme del Regolamento che disciplinano il corretto svolgimento degli interventi. Se è infatti dovere della Presidenza garantire nei dibattiti parlamentari la più ampia espressione della libertà di manifestazione del pensiero e del diritto di critica e di denunzia politica, allo stesso modo la Presidenza deve assicurare che tali fondamentali diritti siano esercitati nella forma adeguata al ruolo costituzionale del Parlamento. Tale principio generale deve essere fatto valere con particolare rigore anche a tutela dei soggetti esterni che, non essendo parlamentari, non possono avvalersi del diritto di replica né degli strumenti che i deputati possono attivare quando, nel corso di una discussione, siano accusati di fatti che ledano la loro onorabilità.
Nel riservarmi di dare applicazione con la massima fermezza ai principi regolamentari sopra richiamati, rivolgo un invito in tal senso anche ai Vicepresidenti della Camera affinché, nel presiedere l'Assemblea, esercitino il massimo rigore nel garantire che nei dibattiti siano sempre impiegati modi corretti e forme appropriate al linguaggio parlamentare. Pag. 86
In questo contesto, la Presidenza di turno dovrà tempestivamente richiamare, ai sensi degli articoli 39, comma 3, 59, comma 1, e 60, commi 1 e 2, del Regolamento, il deputato che pronunzi parole sconvenienti, ivi comprese le espressioni che trascendono nella diffamazione personale o nel vilipendio di organi costituzionali, nonché le espressioni volgari, quelle ingiuriose e le insinuazioni atte ad offendere, a recare discredito o comunque a ledere persone o istituzioni: tali espressioni, infatti, non potendo essere ammesse nel dibattito parlamentare, sono da considerarsi di per sé estranee all'oggetto della discussione.
Conformemente, poi, agli indirizzi affermati anche in precedenti legislature, la Presidenza di turno dovrà togliere la parola all'oratore, anche indipendentemente da precedenti richiami, quando ciò risulti necessario in relazione al contenuto delle espressioni utilizzate".
Questo è il testo della lettera che ho inviato ai Vicepresidenti. Comunico altresì all'Aula di avere convocato la Giunta per il Regolamento per giovedì 21 ottobre alle 16, per affrontare la discussione su tale delicata materia.

Si riprende la discussione.

(Votazione - Doc. LVII, n. 3)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla risoluzione Cicchitto, Reguzzoni, Bocchino, Sardelli, Mannino e Lo Monte n. 6-00051, accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Onorevoli Morassut, Nicco, Misuraca, Mazzocchi...

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:

Presenti 556
Votanti 553
Astenuti 3
Maggioranza 277
Hanno votato 297
Hanno votato no 256

(La Camera approva - Vedi votazionia ).

Prendo atto che il deputato Granata ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole.

Annunzio del rinnovo della costituzione di Commissioni permanenti.

PRESIDENTE. Comunico che, nelle rispettive sedute di oggi, le seguenti Commissioni permanenti hanno proceduto, ai sensi dell'articolo 20 del Regolamento, al rinnovo della propria costituzione, che è risultata la seguente. I Commissione (Affari costituzionali): presidente onorevole Donato Bruno, vicepresidenti onorevole Iole Santelli, Roberto Zaccaria, segretari onorevole Souad Sbai e Doris Lo Moro; II Commissione (Giustizia): presidente onorevole Giulia Bongiorno, vicepresidenti onorevoli Fulvio Follegot e Federico Palomba, segretari onorevoli Ida d'Ippolito Vitale e Daniela Melchiorre; III Commissione (Affari esteri): presidente onorevole Stefano Stefani, vicepresidenti onorevoli Fiamma Nirenstein e Franco Narducci, segretari onorevoli Michaela Biancofiore e Alessandro Maran; IV Commissione (Difesa): presidente Edmondo Cirielli, vicepresidenti onorevoli Giacomo Chiappori e Francesco Saverio Garofani, segretari onorevoli Giuseppe Moles e Federica Mogherini Rebesani; V commissione (Bilancio): presidente Giancarlo Giorgetti, vicepresidenti onorevoli Giuseppe Francesco Maria Marinello e Gian Luca Galletti, segretari onorevoli Massimo Enrico Corsaro e Maino Marchi; VI Commissione (Finanze): presidente onorevole Gianfranco Conte, vicepresidenti onorevoli Cosimo Ventucci e Pag. 87Sergio Antonio D'Antoni, segretari onorevoli Gerardo Soglia e Giampaolo Fogliardi; VII Commissione (Cultura): presidente Valentina Aprea, vicepresidenti onorevoli Paola Frassinetti e Luigi Nicolais, segretari onorevoli Erica Rivolta e Maria Letizia De Torre; VIII Commissione (Ambiente): presidente onorevole Angelo Alessandri, vicepresidenti onorevoli Roberto Tortoli e Salvatore Margiotta, segretari onorevoli Sergio Pizzolante e Mauro Libè; IX Commissione (Trasporti): presidente onorevole Mario Valducci, vicepresidenti onorevoli Silvia Velo e Luca Giorgio Barbareschi, segretari onorevoli Gianluca Buonanno e Carlo Monai; X Commissione (Attività produttive): presidente onorevole Manuela Dal Lago, vicepresidenti onorevoli Raffaello Vignali e Laura Froner, segretari onorevoli Luigi Lazzari e Paolo Fadda; XI Commissione (Lavoro): presidente onorevole Silvano Moffa, vicepresidenti onorevoli Giuliano Cazzola e Luigi Bobba, segretari onorevoli Paola Pelino e Alessia Maria Mosca; XII Commissione (Affari sociali): presidente onorevole Giuseppe Palumbo, vicepresidenti onorevoli Carlo Ciccioli e Gero Grassi, segretari onorevoli Gianni Mancuso e Maria Antonietta Farina Coscioni; XIII Commissione (Agricoltura): presidente onorevole Paolo Russo, vicepresidenti Roberto Rosso e Angelo Zucchi, segretari onorevoli Fabio Rainieri e Massimo Fiorio; XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea): presidente onorevole Mario Pescante, vicepresidenti onorevoli Gianluca Pini ed Enrico Farinone, segretari onorevoli Giuseppina Castiello e Antonio Razzi.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, è stato stabilito che, ove la Commissione ne concluda l'esame, la discussione sulle linee generali del disegno di legge n. 3687 ed abbinate - Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario (Approvato dal Senato) avrà luogo venerdì 15 ottobre (antimeridiana e pomeridiana).
Nella giornata di domani, giovedì 14 ottobre, alle ore 10, avrà luogo lo svolgimento di interpellanze urgenti.
Resta fermo l'esame degli argomenti già previsti dal calendario vigente per la prossima settimana (18-22 settembre) e la relativa articolazione dei lavori.
Nella settimana 26-28 ottobre avrà luogo l'esame della proposta di legge n. 3333 ed abbinate - Esclusione dei familiari superstiti condannati per omicidio del pensionato o dell'iscritto a un ente di previdenza dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta, con discussione sulle linee generali martedì 26 ottobre (antimeridiana) e seguito dell'esame (con votazioni) dal pomeriggio della stessa giornata, dopo gli altri argomenti già previsti in calendario.
L'organizzazione dei tempia per l'esame della proposta di legge n. 3333 ed abbinate sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Approvazione in Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che nella seduta di oggi, mercoledì 13 ottobre 2010, la III Commissione permanente (Affari esteri), ha approvato, in sede legislativa, il seguente progetto di legge: «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 9 marzo 1948, n. 812, recante nuove norme relative all'Ordine della Stella della solidarietà italiana» (3624).

Proroga del termine assegnato alla Commissione di indagine richiesta dal deputato Amedeo Laboccetta, a norma dell'articolo 58 del Regolamento.

PRESIDENTE. Comunico che il termine per riferire all'Assemblea da parte Pag. 88della Commissione di indagine richiesta dal deputato Amedeo Laboccetta, a norma dell'articolo 58 del Regolamento, è stato prorogato al 30 ottobre 2010.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 18,41).

ELISA MARCHIONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELISA MARCHIONI. Signor Presidente, proprio nel corso di questa seduta si è parlato a più riprese del ruolo e della dignità del Parlamento. Vorrei, pertanto, segnalarle che prenderà il via venerdì 15 ottobre, dopodomani, la V Conferenza nazionale del turismo, organizzata dal Ministro Brambilla sul lago di Como. Si tratta di una conferenza nazionale che si propone di determinare la politica nazionale per un settore strategico dell'economia, come quello del turismo, con una politica nazionale e internazionale.
Vorrei segnalare che a questo appuntamento il Parlamento non è stato invitato: non sono stati invitati i commissari delle Commissioni competenti di Camera e Senato. Mi risulta che, a seguito della nostra segnalazione, siano in arrivo - o siano arrivati recentemente - soltanto gli inviti per i presidenti della Commissione X della Camera e di quella del Senato solamente per partecipare ai lavori, senza diritto di parola.
Pertanto avremmo gradito - non come un segno di cortesia o di doverosa attenzione, ma quantomeno come un segno di stile nei confronti della Commissione X, che lavora proprio sul tema del turismo - essere in qualche modo coinvolti e poter partecipare a questi lavori dai quali risultiamo completamente esclusi, mentre sono invitati perfino le Pro loco e tutte le realtà che lavorano nell'ambito del turismo in Italia.

PRESIDENTE. La Presidenza accerterà quanto da lei testè denunciato.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, vorrei richiamare la sua attenzione su una vicenda che si sta dimostrando sempre più complicata e, per alcuni versi, anche strana.
A suo tempo, proprio il 29 luglio di quest'anno, fu accolto dal Governo un ordine del giorno che riguardava l'assorbimento degli ufficiali giudiziari e cancellieri C1, che avevano partecipato a un concorso a 443 posti.
Sono rimasti 43 idonei in graduatoria e, con questo ordine del giorno accolto dal Governo, chiedemmo l'assorbimento di queste unità, con l'invito anche ad utilizzarle in Calabria, visto e considerato che la regione calabrese necessita, per tutti i fatti e le vicende conosciuti, di avere un incremento degli uffici amministrativi e giudiziari delle varie circoscrizioni e dei vari distretti.
Si ricorderà che l'onorevole Casero, che rappresentava il Governo, aveva chiesto anche una riformulazione dello stesso ordine del giorno perché condizionava questa richiesta alla copertura finanziaria. Io risposi che non accettavo la riformulazione e che chiedevo anche il voto. A questo punto il sottosegretario Casero si dichiarò favorevole all'accoglimento di questo ordine del giorno.
Signor Presidente, è una vicenda un po' delicata, che riguarda soprattutto l'autorevolezza di questa Assemblea. Gli ordini del giorno, gli atti di indirizzo parlamentare hanno significato o no? Il Governo che fa? Gli uffici della Camera possono sollecitare il Governo perché rispetti l'atto di indirizzo parlamentare?
Discutiamo molte volte della centralità del Parlamento ma, rispetto a tale questione, certamente rimbalza emblematicamente la pochezza - molte volte - del Parlamento rispetto ad un atteggiamento, da parte del Governo, molto confuso e soprattutto poco rispettoso dell'atto di indirizzo parlamentare, approvato e voluto dall'Aula di Montecitorio.

Pag. 89

PRESIDENTE. Sarà cura della Presidenza avvisare il Governo della sua denuncia, che ritengo personalmente fondata.

EMANUELE FIANO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO. Signor Presidente, vorrei sollecitare, per il suo tramite, la risposta a un'interrogazione a risposta in Commissione che ho sottoscritto insieme ai colleghi Andrea Orlando e Pedoto del gruppo del Partito Democratico, presentata al Ministro della giustizia il 3 agosto scorso, e che riguarda la vicenda del dottor Degli Angioli, medico che il 16 ottobre 2009 visitò per primo, presso il carcere romano di Regina Coeli, il povero Stefano Cucchi, la cui sorte tutti conosciamo.
Lo stesso dottor Degli Angioli sostiene che nel dicembre 2009, di ritorno al lavoro nel carcere di Regina Coeli, non abbia potuto riprendere la propria attività lavorativa e che, anzi, gli sia stata negata questa possibilità.
Abbiamo chiesto con questa interrogazione di sapere se quanto asserito corrisponda al vero e, poiché il tema è di urgente attualità, la prego di sollecitare la risposta a questa interrogazione presso la Commissione giustizia della Camera.

MARCO ZACCHERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo solo per pochi secondi, approfittando oggi della sua presenza. Già in passato ho sollecitato i Vicepresidenti, ma non c'è stato nessun riscontro - almeno per la conoscenza dei deputati - sulla necessità, a mio avviso, di adottare una specie di automatismo del sollecito quando, passato un congruo periodo di tempo, le interrogazioni parlamentari non hanno riscontro - ad esempio, trascorsi tre mesi - poiché abbiamo una giacenza incredibilmente lunga in questa legislatura e, come sempre dico, ci sono alcuni Ministeri, cito il Ministero degli affari esteri, che rispondono subito, altri che non rispondono mai.
Mi chiedo perché automaticamente gli uffici, passati tre mesi, non debbano procedere a un sollecito e magari, trascorso un altro paio di mesi, non facciano un elenco delle interrogazioni cui non si è risposto, cercando di fare anche un minimo, non dico di classifica ma di sottolineatura. Il ruolo parlamentare, altrimenti, di sollecitare le risposte ad atti ispettivi, è del tutto inutile.

PRESIDENTE. La Presidenza prende buona nota della sua segnalazione.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 14 ottobre 2010, alle 10:
Svolgimento di interpellanze urgenti.

La seduta termina alle 18,45.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI FRANCO GIDONI ED AUGUSTO DI STANISLAO IN SEDE DI INFORMATIVA URGENTE DEL GOVERNO

FRANCO GIDONI. Decidemmo allora di accettare anche per allontanare la prospettiva del terrorismo dalle nostre terre, ben sapendo che in Afghanistan si trovava il vertice di Al Qaeda.
Onorare gli impegni assunti con il Governo di Kabul non significa che dal Presidente Karzai non si possa e debba pretendere qualcosa in cambio. Al contrario. Noi ci aspettiamo che nei prossimi mesi la sua amministrazione faccia finalmente quello che è necessario: operando per rendere più efficiente il suo Stato, che Pag. 90latita persino nella fornitura dei servizi più elementari, combattendo la corruzione, nominando funzionari sul territorio senza ricorrere alle logiche di affiliazione o competizione tribale che lo hanno spesso condizionato finora, e moltiplicando gli sforzi diplomatici per frantumare il fronte della guerriglia, in modo tale da tagliare finalmente l'erba sotto i piedi dei talebani e di chi li fiancheggia.
Senza questi passaggi essenziali, infatti, si fallisce e non c'è prospettiva basata sulla restituzione agli afghani della competenza sulla propria sicurezza nazionale che tenga. E si vanificano i sacrifici sopportati finora. Ciò che chiediamo a Karzai è di contribuire con coraggio politico al nostro impegno militare. Senza questo fattore essenziale, il nostro intervento, occidentale ed italiano, è destinato a rivelarsi infatti inutile ed infruttuoso.

AUGUSTO DI STANISLAO. Se dopo nove anni le vittime militari e civili sono in costante aumento, allora risulta evidente una incapacità della NATO di condurre la missione con successo. Se il Governo italiano non assume immediatamente una posizione chiara e netta con gli alleati, rischiamo di essere e rimanere una comparsa.
Questa chiarezza la dobbiamo prima di tutto alle migliaia di cittadini italiani, militari e civili, impegnati in Afghanistan e a tutto il Paese.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE N. 3333 ED ABBINATE

Pdl n. 3333 e abb. - Esclusione dei familiari superstiti condannati per omicidio dal diritto alla pensione di reversibilità o indiretta

Tempo complessivo: 10 ore e 30 minuti, di cui:

  Discussione generale Seguito esame
Relatore 15 minuti 15 minuti
Governo 15 minuti 15 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti 10 minuti
Tempi tecnici   10 minuti
Interventi a titolo personale 52 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 45 minuti (con il limite massimo di 9 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 58 minuti 3 ore e 25 minuti
Popolo della Libertà 40 minuti 52 minuti
Partito Democratico 39 minuti 48 minuti
Lega Nord Padania 33 minuti 24 minuti
Unione di Centro 32 minuti 21 minuti
Futuro e Libertà per l'Italia 32 minuti 21 minuti
Italia dei Valori 31 minuti 19 minuti
Misto: 31 minuti 20 minuti
Alleanza per l'Italia 7 minuti 5 minuti
Noi Sud Libertà e Autonomia - Partito Liberale Italiano 7 minuti 5 minuti
Movimento per le Autonomie - Alleati per il Sud 5 minuti 4 minuti
Liberal Democratici - MAIE 4 minuti 2 minuti
Minoranze linguistiche 4 minuti 2 minuti
Repubblicani, Azionisti, Alleanza di Centro 4 minuti 2 minuti

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Doc. LVII, n. 3 - Ris. n.6-00051 556 553 3 277 297 256 29 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.