ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00050

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 382 del 13/10/2010
Abbinamenti
Atto 6/00048 abbinato in data 13/10/2010
Atto 6/00049 abbinato in data 13/10/2010
Atto 6/00051 abbinato in data 13/10/2010
Firmatari
Primo firmatario: FRANCESCHINI DARIO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 13/10/2010
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
VENTURA MICHELE PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
MARAN ALESSANDRO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
VILLECCO CALIPARI ROSA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
AMICI SESA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
BOCCIA FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
LENZI DONATA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
QUARTIANI ERMINIO ANGELO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
ROSATO ETTORE PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
BARETTA PIER PAOLO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
CALVISI GIULIO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
CAPODICASA ANGELO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
DE MICHELI PAOLA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
GENOVESE FRANCANTONIO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
MARINI CESARE PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
MISIANI ANTONIO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
NANNICINI ROLANDO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
RUBINATO SIMONETTA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
SERENI MARINA PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010
VANNUCCI MASSIMO PARTITO DEMOCRATICO 13/10/2010


Stato iter:
13/10/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 13/10/2010
Resoconto CASERO LUIGI SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 13/10/2010
Resoconto LO MONTE CARMELO MISTO-MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE-ALLEATI PER IL SUD
Resoconto SARDELLI LUCIANO MARIO MISTO - NOI SUD LIBERTA' E AUTONOMIA - PARTITO LIBERALE ITALIANO
Resoconto LANZILLOTTA LINDA MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI
Resoconto DI BIAGIO ALDO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto GALLETTI GIAN LUCA UNIONE DI CENTRO
Resoconto SIMONETTI ROBERTO LEGA NORD PADANIA
Resoconto BARETTA PIER PAOLO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MILANESE MARCO MARIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto LA MALFA GIORGIO MISTO - REPUBBLICANI, AZIONISTI, ALLEANZA DI CENTRO
Resoconto ZACCHERA MARCO POPOLO DELLA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/10/2010

NON ACCOLTO IL 13/10/2010

PARERE GOVERNO IL 13/10/2010

DISCUSSIONE IL 13/10/2010

DICHIARATO PRECLUSO IL 13/10/2010

CONCLUSO IL 13/10/2010

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00050
presentata da
DARIO FRANCESCHINI
testo di
mercoledì 13 ottobre 2010, seduta n.382

La Camera,
esaminato lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013,
premesso che:
ai sensi della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Governo avrebbe dovuto presentare entro il 15 luglio, al Parlamento e alla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per il preventivo parere, le linee guida per la ripartizione degli obiettivi programmatici di finanza pubblica tra Stato ed enti territoriali. Un percorso di coinvolgimento delle autonomie locali coerente con il federalismo fiscale. Tuttavia, le linee guida non sono mai state trasmesse;
in base alla medesima legge n. 196, il Governo avrebbe dovuto presentare lo schema della Decisione di finanza pubblica per gli anni 2011-2013 entro il 15 settembre, mentre il documento all'esame è stato trasmesso il 30 settembre, un ritardo che pone le Camere nell'impossibilità di svolgere regolarmente le proprie funzioni;
il rispetto del termine è fondamentale perché la DFP è tale solo dopo l'approvazione della risoluzione parlamentare in cui sono fissati gli indirizzi cui il Governo dovrà attenersi nel disegno di legge di stabilità, il quale deve essere presentato alle Camere il 15 ottobre: quanto più in ritardo viene presentato lo schema di DFP, tanto più improbabile che il disegno di legge di stabilità possa recepire le indicazioni parlamentari;
lo schema di DFP non reca alcuni dei contenuti necessari previsti dalla legge n. 196 del 2009, ossia: gli andamenti di finanza pubblica cosiddetti a «politiche invariate»; l'obiettivo di massima della pressione fiscale complessiva; il contenuto del Patto di stabilità interno e del Patto di convergenza di cui alle legge n. 42 del 2009, essenziali nel processo di attuazione del federalismo fiscale; le relazioni programmatiche per ciascuna missione di spesa del bilancio dello Stato e le relazioni sullo stato di attuazione delle relative leggi pluriennali di spesa;
il programma delle infrastrutture e insediamenti produttivi strategici è stato trasmesso solo il 5 ottobre;
nella premessa alla DFP si afferma testualmente che questa sarà non solo la prima, ma anche l'ultima, perché si tratta di un documento «sostanzialmente e politicamente superato», poiché «quanto doveva essere deciso è già stato deciso in luglio», ma soprattutto perché destinato ad essere sostituito da un diverso e più articolato apparato di documentazione di matrice europea (Stability Program; National Reform Program), documenti che dovranno essere scritti e presentati da ciascun paese prima della fine dell'anno e all'interno dei quali si concentrerà la discussione sulla politica economica;
l'annuncio di una legge di stabilità: «sostanzialmente tabellare e di contenuto assai ristretto, dato che l'anticipazione della manovra ha già assorbito la gamma di variazioni marginali della spesa e delle entrate pubbliche» costituisce la riproposizione di uno schema consolidato dal Governo: una manovra per decreto-legge, l'abbandono di qualunque logica programmatoria, lo svuotamento della sessione di bilancio e delle sue regole e, per questa via, l'impossibilità per il Parlamento di discutere e di esercitare il suo ruolo di indirizzo sulla politica economica,
considerato che:
le nuove procedure europee, nel quadro della Strategia Europa 2020, prevedono un coordinamento dei diversi momenti di definizione programmatica per i paesi membri attraverso l'introduzione del «Semestre europeo» a decorrere dall'anno 2011;
secondo il nuovo modello, la pianificazione strategica nazionale inizierà a metà aprile, con la presentazione contestuale dei National Reform Program (Piani nazionali di riforma, PNR), e degli Stability Program (Programmi di stabilità, PS), tenendo conto delle linee guida dettate dal Consiglio europeo nei mesi precedenti;
nella fase transitoria, gli Stati membri dovranno presentare entro il 12 novembre alla Commissione la bozza dei PNR, mentre la versione definitiva dei PNR dovrà essere presentata entro aprile 2011;
il PNR assumerà, quindi, un ruolo strategico relativamente allo scenario macro-economico;
quello del Semestre europeo è il più immediato ma non l'unico ambito verso cui si stanno indirizzando le istituzioni europee in materia di governance. Gli altri riguardano l'applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita (PSC) e la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica su squilibri di competitività e crescita;
in particolare, per rafforzare la disciplina del PSC, la Commissione ha proposto l'obbligo per gli Stati di convergere verso l'obiettivo del pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5 per cento, l'obbligo per gli Stati con un debito superiore al 60 per cento del PIL di ridurlo di almeno 1/20 della differenza rispetto alla soglia del 60 per cento, nuove sanzioni finanziarie a carico degli Stati che non rispettino la parte preventiva o correttiva del PSC;
l'introduzione del criterio del debito comporta alcune criticità: 1) aggrava il problema della prociclicità delle misure di aggiustamento di bilancio perché i tagli richiesti sono maggiori proprio quando il paese è in recessione. Questo problema è acuito dal fatto che la maggior parte dei paesi supera abbondantemente la soglia del 60 per cento; 2) continua a fondarsi su un sistema sanzionatorio senza alcun incentivo «in positivo» per indurre i paesi a ridurre deficit/debito durante le fasi di ripresa del ciclo economico;
il nuovo PSC, inoltre, non considera alcuni elementi essenziali quali la competenza nazionale in materia di spesa e tassazione, le responsabilità delle autorità monetarie europee, le condizioni oggettive degli Stati membri;
appare, pertanto, necessaria una ampia e approfondita discussione in Parlamento in merito alle proposte di modifica del PSC che l'Italia dovrà sostenere in sede europea a fronte di una proposta della Commissione che dovrà essere valutata dai Governi e dal Consiglio;
lo schema di DFP presentato dal Governo, quindi, più che essere «il primo e l'ultimo» sembra piuttosto configurarsi come l'ennesima occasione mancata da parte del Governo per rendere espliciti gli scenari a medio termine della politica economica nazionale, in relazione al quadro europeo, e chiamare su questi scenari ad una discussione pubblica trasparente e responsabile,
osservato che:
per quanto riguarda la crescita, il Documento rivede leggermente al rialzo il PIL del 2010, che passa all'1,2 per cento, ma contestualmente stima un peggioramento di due decimali per il PIL del 2011, ora all'1,3 per cento. Si tratta di previsioni ottimistiche (gli ultimi dati del FMI stimano un PIL pari all'1 per cento per entrambi gli anni), anche considerato che dal primo trimestre 2009 a oggi il PIL è aumentato, in termini cumulati, del 4 per cento in Germania, del 2 per cento nella media europea e solo dell'1 per cento in Italia, e fondate su una crescita prevalentemente trainata dalla domanda estera mentre la domanda interna rimane debole quando, come ricorda la Banca d'Italia, le prospettive di crescita sono migliori per i paesi in cui la domanda interna è robusta;
nel prossimo biennio sull'attività economica dovrebbe continuare a gravare una dinamica debole dei consumi, frenati dalla stazionarietà del reddito disponibile, circostanza che fa sembrare altrettanto ottimistica la previsione di un tasso di crescita del 2 per cento nel biennio 2012-2013, anche tenuto conto che esso è pressoché doppio di quello stimabile per il prodotto potenziale dell'Italia alla vigilia della crisi;
le misure di riequilibrio dei conti pubblici disposte dal decreto-legge n. 78 del 2010 sono di segno recessivo, determinando, per stessa ammissione del Governo, una riduzione del tasso di crescita del PIL pari a 0,5 punti percentuali nel periodo di riferimento 2010-2012;
occorrerebbe rafforzare il potenziale di crescita dell'economia anche perché una ripresa dell'economia meno intensa di quella prospettata nella Decisione renderebbe impossibile conseguire gli obiettivi di finanza pubblica;
lo schema di DFP stima un indebitamento netto pari al 3,9 per cento del PIL nel 2011, al 2,7 nel 2012 e al 2,2 per cento nel 2013, mentre l'avanzo primario è previsto arrivare allo 0,8 per cento nel 2011 e al 2,2 per cento nel 2012, con un deterioramento di 0,2 punti percentuali di PIL per ciascuno degli anni 2011 e 2012 rispetto alla RUEF, dovuto anche «alla composizione delle entrate fiscali 2010, connessa all'attività di monitoraggio che, pur confermando sostanzialmente il livello previsto per l'anno in corso, determina, a parità di ipotesi di crescita, una riduzione del gettito atteso»;
nei primi nove mesi dell'anno, le entrate tributarie contabilizzate nel bilancio dello Stato sono diminuite dell'1,8 per cento (-5 miliardi) rispetto al corrispondente periodo del 2009, un dato che desta preoccupazione soprattutto tenendo conto che la correzione effettuata prima dell'estate contava sulla possibilità di recuperare quasi 26 miliardi di euro dalle maggiori entrate, di cui quasi 20 miliardi dall'evasione fiscale da qui al 2013, una stima estremamente ottimistica anche considerato che alcune delle misure - si pensi alla comunicazione telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA - rinviavano a provvedimenti attuativi non ancora emanati;
a tal proposito va criticata la linea, adottata negli ultimi due anni dal Governo, di non considerare più il maggiore gettito atteso dalle misure di contrasto all'evasione come semplicemente eventuale ed aggiuntivo, ma di contabilizzarlo a pieno titolo come fonte di finanziamento delle manovre di finanza pubblica;
l'evasione fiscale in Italia rappresenta un freno alla crescita (secondo l'ISTAT, nel 2008 il valore del sommerso economico è compreso tra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del PIL, tra 255 e 275 miliardi di euro) e ostacola gli interventi di riforma fiscale, mentre la sua riduzione potrebbe rappresentare una rilevante leva di sviluppo se il recupero di gettito verrà utilizzato per redistribuire in maniera più equa il carico delle imposte tra le diverse categorie di contribuenti;
è necessario ridurre le diseguaglianze distributive e a riequilibrare il carico fiscale tra soggetti: nel 2008, secondo la Banca d'Italia, il 10 per cento delle famiglie con il reddito più basso percepiva solo il 2,5 per cento del totale dei redditi prodotti; mentre il 10 per cento delle famiglie con redditi più elevati percepiva una quota del reddito pari al 26,3 per cento. Sempre nel 2008, il 10 per cento delle famiglie più ricche possedeva quasi il 45 per cento dell'intera ricchezza netta delle famiglie italiane;
nel suo intervento alla Camera del 29 settembre il Presidente del Consiglio ha per l'ennesima volta promesso di ridurre la pressione fiscale, sulla base della lotta all'evasione e del dividendo della crescita, ma la DFP prevede che la pressione tributaria tra il 2011 e il 2013 aumenterà di 0,3 punti percentuali, nonostante il venir meno di 0,8 punti di gettito da interventi straordinari (primo fra tutti lo scudo fiscale). Ciò sembrerebbe implicare che il prospettato recupero dell'evasione e il presunto dividendo della crescita si tradurranno in aumento delle imposte;
peraltro, nessuno dei cinque punti programmatici proposti dal Presidente del Consiglio dei ministri in occasione del recente dibattito sulla fiducia al Governo viene quanto meno citato o ricordato nello schema di DFP;
per la spesa corrente gli obiettivi sono particolarmente ambiziosi, soprattutto considerato che la sua dinamica nell'ultimo decennio è stata ampiamente superiore a quella del prodotto e che gran parte della prevista riduzione della spesa corrente al netto degli interessi deriva dalle misure del decreto-legge n. 78 del 2010, ossia da tagli lineari e blocchi temporanei, la cui efficacia è spesso deludente, come ha ricordato la Corte dei conti, risolvendosi per lo più o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti (ciò che ha creato difficoltà alle aziende fornitrici dell'amministrazione) o nell'adozione di atti di riconoscimento di debito, che possono essere espressione di debiti sommersi e, comunque, elementi di turbativa del bilancio. Debiti destinati ad essere regolarizzati in anni successivi, con aggravi rilevanti per la gestione contabile dell'esercizio nel quale avviene l'«emersione»;
nelle stime della DFP, nel 2010 le spese primarie correnti aumenterebbero del 2,2 per cento (ennesima previsione ottimistica considerato che è all'incirca la metà del tasso medio annuo registrato nell'ultimo decennio), dello 0,5 per cento nel 2011 e di poco meno del 2 per cento in media nel biennio 2012-2013;
invece, la spesa in conto capitale continuerebbe a ridursi in termini nominali nel triennio 2011-2013. In particolare gli investimenti, dopo la flessione del 9,7 per cento per l'anno in corso, scenderebbero del 14,6 per cento nel biennio 2011-2012, e il rapporto fra investimenti e prodotto, pari nel 2009 al 2,4 per cento, scenderebbe nel 2012 all'1,7 per cento, una diminuzione di 8,5 miliardi di euro;
il profilo decrescente delle spese in conto capitale non chiarisce se la proiezione ricomprenda o meno le spese che richiedono un apposito rifinanziamento, come tali non registrate dalla previsione a legislazione vigente (come per i contributi alle Ferrovie e all'Anas). Come ricordato dalla Corte dei conti, nella prima ipotesi ci troveremmo di fronte ad una decisione programmatica molto severa, per il collasso di una componente di spesa da sostenere e qualificare, nella seconda ipotesi, invece, dovrebbe essere segnalata una significativa sottostima della spesa futura che richiederebbe un apposito finanziamento;
per quanto riguarda gli enti territoriali, va ricordato la insostenibilità dei tagli di spesa richiesti dal decreto-legge n. 78 del 2010 e dei possibili effetti distorsivi di una applicazione indifferenziata degli stessi: si tratta di oltre un terzo della manovra complessiva e del 60 per cento dei tagli previsti per la spesa. Inoltre, nel primo anno (il 2011) la correzione richiesta è ancora maggiore, rappresentando poco meno del 40 per cento della manovra lorda e quasi due terzi dei tagli di spesa. La riduzione dei trasferimenti, se non compensata da altra fonte di finanziamento, potrebbe comportare, già nel 2011, un taglio delle spese non sanitarie di circa dell'11 per cento, con una forte concentrazione sulle spese in conto capitale, che potrebbero, pertanto, risultare ulteriormente sacrificate. In alternativa, un ricorso a maggiore indebitamento, renderebbe inefficace la misura, ripercuotendosi negativamente sull'andamento del debito pubblico;
sulla realizzabilità dei risparmi attesi e sulla sostenibilità delle misure per le amministrazioni locali si riflette, poi, l'inadeguatezza di un meccanismo, come quello del Patto di stabilità interno, che non è in grado, nell'impianto vigente, di tener conto delle differenti caratteristiche di un universo di riferimento molto ampio (oltre 2.200 enti) e con caratteristiche gestionali e strutturali molto differenziate. Un'impianto indifferenziato e non selettivo che potrebbe tradursi in un rallentamento della spesa in conto capitale, nella riduzione dei servizi ai cittadini, in rilevanti aumenti tariffari che rischiano di incidere sul potere d'acquisto delle famiglie, e soprattutto di quelle che hanno maggiori oneri di cura per i figli e per gli anziani non autosufficienti;
i vincoli alla spesa, inoltre, rischiano di tradursi in un ulteriore aumento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche verso il settore privato;
un dato estremamente preoccupante riguardo il debito pubblico che ora viene stimato per il 2010 al 118,5 per cento del PIL (contro il precedente 118,4 per cento), e di cui nel 2011 è previsto un ulteriore aumento al 119,5 per cento (rispetto al 118,7 per cento stimato in aprile). La diminuzione nei due anni successivi lo riporterà nel 2013 a un livello analogo a quello del 2009, nonostante una previsione di crescita reale del prodotto al 2 per cento l'anno nel 2012-2013, che oggi appare ottimistica. Né sembra consolante, alla luce degli ultimi avvenimenti, il tentativo del Documento di spiegare che l'Italia, considerato il debito aggregato (inclusivo del debito della pubblica amministrazione e di quello del settore privato) pari a 240,8 per cento del PIL, si colloca al di sotto della media e registra un livello contenuto del debito privato, visto che la migliore performance sull'indicatore congiunto è quella della Grecia;
le revisioni del Patto di stabilità e crescita rendono, peraltro, gli scenari di finanza pubblica prospettati in questa Decisione del tutto inadeguati. Si prospetta infatti un aggiustamento più ampio del previsto. La dimensione dei sacrifici richiesti a un paese ad elevato debito come l'Italia rischia di essere molto elevata e ciò potrebbe minare la credibilità stessa dell'aggiustamento. Uno scenario economicamente dannoso e politicamente irrealizzabile e, soprattutto, una questione estremamente complessa che richiede discussioni ampie e svincolate dalla logica del brevissimo periodo,
valutato che:
il riequilibrio duraturo dei conti pubblici passa anche per il rafforzamento del potenziale di crescita dell'economia. L'uscita dalla crisi deve essere un'opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali che accrescano la produttività e la competitività del nostro Paese;
una decisiva azione di liberalizzazione può rappresentare un'importante leva di sviluppo in un paese in cui permangono ostacoli normativi, forme di autoregolamentazione anti-concorrenziali, insufficiente ruolo delle autorità di regolazione indipendenti. Dalle segnalazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, dalle analisi dell'OCSE e della Banca d'Italia sull'intensità della regolazione anti-concorrenziale emerge una posizione dell'Italia più arretrata rispetto ai principali paesi dell'OCSE nei comparti del trasporto aereo, della distribuzione del gas, dei servizi postali, dei trasporti ferroviari, dei servizi professionali. A fronte di questo, i processi di liberalizzazione avviati in Italia nella scorsa legislatura in molti comparti si sono arrestati, e soltanto nel comparto dei servizi pubblici locali è stata varata una nuova normativa, peraltro confusa, contraddittoria e di dubbia efficacia, che rischia di avere come esito un processo fortemente criticabile di «privatizzazione senza liberalizzazione»;
le infrastrutture sono un elemento chiave della capacità di crescita di un paese. L'evidenza dell'impatto positivo del capitale pubblico sulla performance del sistema economico è abbondante. Per l'Italia, le stime indicano che per ogni punto percentuale di aumento dello stock di capitale pubblico il prodotto può crescere fino allo 0,6 per cento nel lungo periodo. Le misure disponibili concordano nel segnalare un ritardo dell'Italia rispetto ai principali paesi europei in termini di dotazione infrastrutturale (basti pensare al gran numero di opere incompiute). Alla luce di queste considerazioni, appare problematica la drastica riduzione delle spese per investimenti prevista nel prossimo biennio;
in tal senso, estremamente problematici appaiono i dati riportati nell'Allegato riguardante il programma delle infrastrutture strategiche, il cui quadro previsionale delle disponibilità, pari a 18,9 miliardi di euro, appare evidentemente sovrastimato, fondandosi largamente sulle risorse derivanti dal pedaggiamento della rete ANAS di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 78 del 2010, stimate in 4,5 miliardi a fronte di una relazione tecnica al medesimo decreto-legge n. 78 che attribuiva alla misura un maggior gettito pari a 200 milioni per il 2011 e 315 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012, e nei fondi FAS e pubblica amministrazione, valutati in oltre 5,5 miliardi di euro e sui quali è legittimo avanzare più di un dubbio sulle effettive disponibilità;
nell'Allegato si afferma chiaramente che le risorse pubbliche necessarie per dare avvio e continuità alle scelte strategiche definite nel prossimo triennio ammontano a circa 64 miliardi, mentre le risorse potenzialmente recuperabili sono pari a circa 19 miliardi sbloccati da vecchi progetti ritenuti non più prioritari; nel prossimo triennio, servirebbero, in ogni caso, altri 50 miliardi di euro da reperire, secondo le intenzioni del Governo, mediante l'intervento di soggetti privati;
il sapere e la ricerca scientifica costituiscono il motore dell'innovazione e rappresentano il volano della crescita sociale ed economica, infatti la strategia di Lisbona dell'Unione europea ha posto al centro del proprio piano programmatico questo stesso assunto. Raggiungere o, meglio, avvicinarsi agli obiettivi di Lisbona entro il termine fissato del 2011 non rappresenta la rivendicazione di un settore sociale o l'atteggiamento corporativistico di una lobby, bensì costituisce un interesse collettivo, in quanto mezzo per migliorare il futuro di tutti. Nonostante, da anni, i dati confermino il gap nazionale per investimenti in ricerca e sviluppo, le scelte portate avanti dal Governo, sin dai primi atti, hanno visto un drastico ridimensionamento delle risorse per il sistema formativo e culturale, compromettendone la stessa funzionalità. Emblematico al riguardo è il caso del sistema universitario per il quale si ipotizza una riforma senza le necessarie risorse che pongano rimedio ai tagli subiti;
l'attuazione del federalismo fiscale è un'occasione importante per razionalizzare la spesa pubblica e migliorare la qualità dei servizi forniti ai cittadini. Affinché questi obiettivi siano conseguiti sono necessari meccanismi di perequazione trasparenti, margini di autonomia nella fissazione delle aliquote, rilevazioni sistematiche della quantità e qualità dei servizi forniti. La definizione degli aspetti cruciali della riforma, nonostante la propaganda, è in alcuni casi ancora in una fase iniziale (in particolare, la determinazione dei costi e fabbisogni standard e le entrate tributarie delle regioni e degli enti locali), in altri ancora da avviare (la ricognizione dei LEP/LEA nei settori costituzionalmente garantiti e nel trasporto pubblico locale, la perequazione infrastrutturale, il funzionamento dei fondi perequativi, le modalità di funzionamento del Patto di convergenza, i premi e le sanzioni per gli amministratori locali, ecc.),
impegna il Governo:
a riformulare lo schema di DFP alla luce delle linee che saranno contenute nel National Reform Program;
a presentare al Parlamento e a recepirne gli indirizzi in merito il National Reform Program prima di presentarlo alle istituzioni europee il 12 novembre prossimo;
a presentare un disegno di legge di stabilità che sappia coniugare i necessari obiettivi di crescita con uno sforzo straordinario di valorizzazione del patrimonio pubblico al fine di ridurre il debito;
a discutere in Parlamento la riforma del Patto di stabilità e crescita impegnandosi in tale sede ad assumere in sede europea una posizione che, in luogo di una visione di esclusiva ortodossia finanziaria, accompagni la giusta sorveglianza sui conti pubblici nazionali con una comune politica economica europea di investimento e di sviluppo, puntando sulla domanda «interna» europea, dotandosi degli strumenti, come gli eurobonds, per finanziare decisivi investimenti nelle infrastrutture, per sostenere la domanda aggregata e innalzare la crescita potenziale dell'area;
a portare altresì in sede europea proposte tese all'obiettivo che al risanamento delle finanze pubbliche dell'area euro non concorrano solo le politiche fiscali, ma anche le politiche in materia finanziaria e monetaria, come ad esempio l'introduzione di una imposta sulle transazioni finanziarie i cui proventi siano destinati a migliorare la sostenibilità dei debiti sovrani, imposta che potrebbe consentire anche una migliore tracciabilità dei patrimoni illeciti;
a procedere ad una riforma fiscale ad invarianza di gettito che riallochi il prelievo da chi paga a chi non paga, dai redditi da lavoro alla rendita, da chi ha di meno, in particolare le famiglie con figli e monoreddito, a chi ha di più, dalle attività «verdi» alle attività inquinanti;
a rilanciare il programma Industria 2015 in coerenza con «Europa 2020», strategia per la crescita intelligente, verde ed inclusiva, riqualificando il sistema produttivo. I cardini della politica industriale per l'Italia devono poggiare su filiere produttive che integrano manifattura, servizi avanzati e nuove tecnologie, integrando diverse leve dell'intervento pubblico (domanda pubblica, incentivi alla domanda privata, realizzazione di infrastrutture, incentivi alle imprese);
a presentare annualmente al Parlamento una relazione dettagliata sull'efficacia, sul grado di realizzazione, sugli effettivi risultati in termini di gettito, evidenziando gli scostamenti rispetto a quanto originariamente stimato, delle misure antievasione contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010;
a potenziare lo strumento della spending review dando concreta attuazione alle disposizioni in materia di analisi e valutazione della spesa previste dalla legge n. 196 del 2009;
a dare concreta attuazione alla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, in modo efficiente ed equo, prevedendo che i risparmi attesi dal passaggio dalla spesa storica ai costi e ai fabbisogni standard siano, nel quadro delle compatibilità della finanza pubblica, utilizzati per raggiungere gli standard di servizio nei settori e nei territori al di sotto dei livelli essenziali delle prestazioni stabiliti dalla Costituzione e dalle leggi statali.
(6-00050) «Franceschini, Ventura, Maran, Villecco Calipari, Amici, Boccia, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Baretta, Calvisi, Capodicasa, De Micheli, Duilio, Genovese, Marchi, Cesare Marini, Misiani, Nannicini, Rubinato, Sereni, Vannucci».