PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 24 dicembre 2003, n. 354, recante disposizioni urgenti per il funzionamento dei tribunali delle acque, nonché interventi per l'amministrazione della giustizia.
Ricordo che nella seduta del 26 gennaio si è conclusa la discussione sulle linee generali.
PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 4), nel testo della Commissione (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 5).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo della Commissione (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 6).
Avverto, altresì, che non sono state presentate proposte emendative riferite all'articolo unico del disegno di legge di conversione.
Ricordo che la I Commissione (Affari costituzionali) ha espresso il prescritto parere (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 2).
Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) ha espresso in data 27 gennaio il prescritto parere (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 3).
Ricordo, inoltre, che in data 28 gennaio la V Commissione (Bilancio) ha espresso l'ulteriore prescritto parere (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 3). Preciso al riguardo che la Commissione bilancio ha espresso, in data 28 gennaio, un nuovo parere con il quale ha revocato il parere contrario precedentemente espresso sugli emendamenti Palma 1.101, Tarditi 1.102, 7.100 del Governo e sull'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo. Per l'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo il parere favorevole è subordinato all'accoglimento di una condizione relativa al comma 5, volta a garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione.
Avverto, inoltre, che la II Commissione giustizia ha presentato un subemendamento all'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo (0.6.0100.1), volto ad accogliere la condizione espressa in data odierna dalla Commissione bilancio.
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del regolamento, in quanto non strettamente attinenti alla materia del decreto-legge, concernente il tribunale delle acque, nonché interventi per l'amministrazione della giustizia, l'emendamento Catanoso 2.7, volto a prevedere una disciplina di carattere derogatorio in favore dei giudici onorari per l'accesso alla magistratura ordinaria, nonché gli articoli aggiuntivi Siniscalchi 6.02 e Acquarone 6.01, volti a fornire l'interpretazione autentica dell'articolo 50, comma 4, della legge finanziaria per il 2001 (legge 23 dicembre 2000, n. 388), in materia di estensione degli effetti delle decisioni revocabili rese sui ricorsi individuali in sede di giustizia amministrativa (vedi l'allegato A - A.C. 4594 sezione 1).
ANTONIO BOCCIA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANTONIO BOCCIA. Signor Presidente, intervengo perché desidero soffermarmi sulla comunicazione che lei ha reso poc'anzi all'Assemblea al fine di ben disciplinare il nostro ordine dei lavori e per un richiamo all'attuazione del regolamento, con particolare riferimento agli articoli 85 e 86.
Il nostro regolamento dispone che, allorché sia presentato un emendamento, un articolo aggiuntivo o un subemendamento, sul quale vi sia da parte della Presidenza
il fumus circa l'eventualità che questo possa comportare oneri, lo stesso debba essere trasmesso alla Commissione bilancio la quale, come prevede il regolamento, deve esprimersi non prima del giorno successivo.
Con il subemendamento presentato dalla II Commissione noi, ora, ci troviamo di fronte ad una proposta emendativa che certamente comporta oneri perché la Commissione giustizia si adegua ad un parere, ancorché tardivo, espresso dalla V Commissione in tema di quantificazione e di copertura di questi oneri.
Signor Presidente, ritengo, quindi, che ricorrano le condizioni per rinviare l'esame di questo subemendamento a domani anche perché, in questo caso, vi è anche un'aggravante. Difatti, come il Presidente Biondi ha poc'anzi detto, la Commissione bilancio ha espresso all'Assemblea questa mattina un parere contrario sull'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo, rilevando come lo stesso comportasse oneri non ben quantificati.
Quindi, l'Assemblea è venuta a conoscenza del parere della Commissione bilancio, un parere - ripeto - contrario. Nel corso della giornata, intorno alle ore 15, la Commissione bilancio ha riesaminato il parere, lo ha modificato, in presenza di chiarimenti resi dal Governo, e ha formulato un nuovo parere, non più contrario, ma favorevole con una condizione.
Lei sa, signor Presidente, che quando la Commissione di merito non si adegua alla condizione posta dalla Commissione bilancio, scatta per l'Assemblea la necessità di adottare alcune decisioni, in quanto la proposta della Commissione bilancio viene trasformata automaticamente in emendamento, sottoposto al voto dell'Assemblea, e non è possibile presentare subemendamenti. Non ci troviamo in questa fattispecie, perché alle ore 15,48 la Commissione di merito ha recepito la condizione posta dalla Commissione bilancio e ha presentato all'Assemblea un subemendamento all'articolo aggiuntivo 0.6.0100.1. Pertanto l'Assemblea si trova ad esaminare non la condizione posta dalla Commissione bilancio, ma un subemendamento presentato dalla Commissione di merito, che, in qualche modo, si è adeguata alla condizione posta dalla Commissione bilancio.
Signor Presidente, da un punto di vista strettamente formale questo subemendamento, seppure nelle forme e nei modi previsti dal regolamento, dà diritto ai deputati di presentare subemendamenti, perché non si tratta della condizione posta dalla Commissione bilancio rispetto alla quale la Commissione di merito non si è adeguata. La lettera del regolamento è inequivocabile.
Signor Presidente, sottopongo dunque alla sua attenzione due questioni. In primo luogo, le chiedo di valutare se questo subemendamento, comportando riflessi sulla spesa, debba essere esaminato dall'Assemblea della giornata di domani. In secondo luogo, trattandosi di un subemendamento formulato dalla Commissione giustizia, le chiedo di valutare se ella non debba concedere il tempo utile all'Assemblea per la presentazione di subemendamenti, non ricorrendo, stando alla lettera, il caso di cui al comma 4-bis dell'articolo 86 del regolamento.
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, intervengo molto brevemente, poiché il collega Boccia ha illustrato con dovizia di particolari la questione che sta di fronte all'Assemblea. Si tratta di una questione relativa all'applicazione di quanto previsto dall'articolo 86 del regolamento. Ci troviamo infatti in presenza di un subemendamento all'articolo aggiuntivo presentato dalla Commissione.
Il caso di specie credo sia chiarissimo. Il fatto che il subemendamento nasca dal recepimento di un parere reso dalla Commissione bilancio alla Commissione di merito che riferisce all'Assemblea attiene all'origine del subemendamento stesso, ma non ritengo che possa essere la causa del mancato adempimento di quanto previsto
dal comma 5-bis dell'articolo 86 del regolamento, relativo all'esame nella giornata successiva (a meno che non ci sia un accordo fra tutti i gruppi, come è accaduto in altre occasioni).
Abbiamo sollevato la questione anche durante l'esame in Commissione bilancio. Comprendiamo tutto, ma la velocità con la quale, molte volte, si convocano ad horas Commissioni delicate come queste, su provvedimenti che sono all'ordine del giorno da tempo, essendo programmati dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, determina qualche difficoltà. Non si comprende per quale motivo si debbano presentare emendamenti da parte della Commissione di merito cinque minuti prima dell'esame dell'Assemblea; tre minuti prima, la Commissione bilancio deve esprimere il proprio parere e, quindi, si convoca due minuti prima dell'inizio dei lavori dell'Assemblea. È sempre più corto il tempo per prendere in esame quanto ci viene proposto!
Non voglio fare dietrologie. Tuttavia, mi rimetto alla valutazione del Presidente circa la necessità di considerare, oltre a quanto previsto dall'articolo 86 del regolamento, anche la questione dell'ordinato svolgimento dei lavori, in modo tale che tutti noi possiamo essere messi in condizione di comprendere quello che ci viene proposto e su cui siamo chiamati a votare. Molte volte, nell'accavallarsi delle situazioni, ciò ci sfugge. In questo caso, ci troviamo di fronte ad una proposta del Governo che comporta oneri finanziari. Credo, quindi, sia giusto applicare quanto previsto dall'articolo 86, comma 5-bis del regolamento. Mi associo, dunque, alla richiesta del collega Boccia.
ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione i colleghi. Oramai la storia parlamentare insegna che c'è una prassi fortemente consolidata sul grado di applicazione dell'articolo 86 del regolamento, che è uno dei più citati. Dato che l'intenzione è quella di consentire all'Assemblea di lavorare nel miglior modo possibile, le argomentazioni - forse eccessive - che sono state portate oggi, pur legittime, dovrebbero essere esposte, più opportunamente, in sede di Ufficio di Presidenza o di Conferenza dei presidenti di gruppo o, addirittura dovrebbero essere rivolte alla Giunta per il regolamento. In tal modo, potrebbero essere sviscerate tutte le questioni sulle quali, in questo momento, non è il caso che l'Assemblea perda altro tempo, visto che il calendario è ricco di argomenti e la voglia di continuare a lavorare c'è...!
Quindi, inviterei i colleghi, che continuano a riproporre sempre le medesime argomentazioni, a fare riferimento alle sedi citate, che sono sicuramente le più idonee.
PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, in merito al suo intervento, riferirò al Presidente, perché assuma, se lo ritiene, la decisione di convocare tanto la Conferenza dei presidenti di gruppo quanto la Giunta per il regolamento, per avere una visione complessiva e non episodica della gestione dei problemi dell'Assemblea.
Le questioni sottili - come al solito - sollevate dal collega Boccia, che hanno trovato questa volta l'adesione del collega Innocenti, sono interessanti. Credo, tuttavia, che ad esse si possa dare una risposta che consenta di eliminare i dubbi espressi, riaffermando nello stesso tempo ciò che una prassi basata sui precedenti ha già stabilito. Nella seduta del 15 maggio 2003, nonché in quella del 6 novembre, in caso di presentazione da parte della Commissione di merito di subemendamenti ovvero di riformulazioni di emendamenti che recepivano testualmente condizioni espresse dalla Commissione bilancio ai sensi dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, si è proceduto alla votazione dei predetti emendamenti nella stessa giornata della loro presentazione. Una diversa interpretazione - nel senso di applicare a tali emendamenti, come richiesto, l'articolo 86, comma 5-bis, del regolamento -
costituirebbe un puro formalismo. Mi permetto di dirlo senza voler rivolgere una critica che non abbia il significato di una diversa opinione; peraltro ma, in questo momento, sto presiedendo l'Assemblea. La Commissione bilancio, infatti, sarebbe chiamata ad esprimersi su una condizione che essa stessa ha già formulato.
Vorrei rivolgermi ancora al collega Boccia. È ben vero che il parere della Commissione bilancio è stato reso all'Assemblea. Tuttavia, il fatto che la Commissione giustizia si sia adeguata al parere della Commissione bilancio risponde ad un'evidente esigenza di economia procedurale che dovrebbe informare ogni volta i rapporti tra una Commissione e l'altra, ai fini del buon andamento dei lavori parlamentari.
Quanto poi ai subemendamenti, è costante prassi - ma non è solo prassi - che questi non siano ulteriormente subemendabili. Richiamo a tale riguardo le conformi pronunce della Presidenza della Camera nelle sedute 1o giugno 1995, 20 settembre 2000, 17 dicembre 2001 e 10 ottobre 2002: quindi, come si suole dire, in epoca non sospetta.
Faccio rilevare che il subemendamento, per sua natura, ha contenuto e portata più limitati dell'emendamento, incidendo soltanto sulla parte del testo dell'emendamento cui è riferito. Pertanto, esso, ancorché presentato dalla Commissione o dal Governo oltre il termine ordinario, si inserisce in un contesto già noto, determinato dall'emendamento al quale accede e rispetto al quale è già stata garantita la possibilità di presentare le proposte modificative.
Questa è la mia risposta alle pur interessanti argomentazioni sollevate dai colleghi. Tuttavia, ripeto - in questo prendo spunto da quanto ha detto il collega Gibelli -, se ci sono questioni di interpretazione di carattere più strettamente regolamentare, queste potranno essere oggetto della valutazione della Giunta del regolamento.
RENZO INNOCENTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Su questo tema? Ne ha facoltà.
RENZO INNOCENTI. Signor Presidente, intervengo per rivolgerle una domanda. Lei ha fatto riferimento ai precedenti del maggio 2003, se ricordo bene, e ad altri. Volevo solo chiedere se in quei casi era stato espresso il parere favorevole di tutti i gruppi, perché anch'io sono a conoscenza di taluni casi che sono stati risolti, insieme ad altri rappresentanti dei gruppi, dando l'assenso a votare in un certo modo. C'è sempre stata la prassi - lei me lo insegna, è maestro per questo - per cui quando viene espresso un assenso, quindi si registra l'unanimità dei gruppi, si può procedere anche in una determinata direzione, altrimenti no.
La seconda questione è che non è la prima volta che la Commissione bilancio verifica che le condizioni poste nel proprio parere siano state correttamente recepite dalla Commissione di merito.
Quindi, non ci trovo niente di strano che la Commissione bilancio si riunisca per esaminare quanto le Commissioni competenti abbiano recepito di un suo precedente parere; ciò avviene quasi normalmente, signor Presidente.
PRESIDENTE. Onorevole Innocenti, per la parte relativa ai precedenti, ciò che lei mette in evidenza - ossia che vi fosse il consenso unanime di tutti i gruppi in merito alla procedura seguita - non incide sul caso in ispecie, perché si tratta di una adesione ad una decisione assunta dalla Commissione bilancio.
Per la parte relativa, invece, alla sua seconda osservazione, devo dirle che la Commissione giustizia ha recepito testualmente la condizione posta nel parere della Commissione bilancio. Quindi, non c'è motivo di dissenso fra i pareri dei due organi.
Passiamo agli interventi sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad un disegno di legge di conversione di un decreto-legge ispirato dal ministro della giustizia che, come spessissimo è capitato nel corso di questi due anni e mezzo, si presenta come un provvedimento «calderone». Una volta tanto, siamo lieti di riconoscere che una qualche urgenza ad affrontare alcuni problemi e alcune questioni non si può negare che sussista.
Di qui il nostro atteggiamento, tutto sommato abbastanza positivo, in ordine ai vari articoli che affrontano una serie diversificata di questioni e di problemi, sia in ordine al contenuto della materia, sia in ordine al grado di importanza delle discipline che ci vengono prospettate.
Svolgerò ora un rapido intervento sul complesso degli emendamenti, giacché, partendo da un atteggiamento comunque positivo e costruttivo dell'opposizione, abbiamo a lungo discusso in Commissione anche al fine di offrire contributi rilevanti ed importanti.
Dobbiamo peraltro denunciare e dolerci della circostanza che, «approfittando» - lo dico tra virgolette - del carattere eterogeneo delle materie affrontate, è poi capitato di doverci confrontare con una serie di emendamenti, alcuni anche di iniziativa governativa, che hanno sottoposto ulteriori materie alla nostra attenzione. Devo dire che questo ulteriore intervento emendativo del Governo non ci appare altrettanto «nobile» - uso anche qui le virgolette - quanto la proposta iniziale e cercherò di spiegarvi il perché.
Il decreto-legge, in primo luogo, si preoccupa di intervenire sulla riorganizzazione dei tribunali delle acque pubbliche, prendendo spunto da un'importante sentenza della Corte costituzionale che, al fine di incrementare il carattere di terzietà di quell'organo giurisdizionale, ha affermato principi importanti di coerenza costituzionale per quanto riguarda i magistrati non togati. Qui c'è anche una proposta emendativa, presentata dal gruppo della Margherita, che a noi sembra importante. È una proposta che riguarda per l'appunto i giudici non togati, chiamati a far parte, con il ruolo di esperti, del tribunale delle acque pubbliche e, superando l'attuale disciplina che fa riferimento ai dipendenti della pubblica amministrazione che devono giudicare su se stessi, indica nei laureati in ingegneria idraulica l'ambito entro il quale reperire le professionalità necessarie per incrementare e formare questo importante collegio giudiziario.
L'articolo 2 affronta una materia assolutamente importante: la proroga - che noi condividiamo - della giurisdizione onoraria dei tribunali e delle procure. L'incarico di una serie di giudici onorari è in scadenza e poiché non vi era da parte della pubblica amministrazione la possibilità di intervenire immediatamente per nominare o confermare i giudici onorari, ciò avrebbe determinato uno stallo nell'attività dei nostri tribunali. Pertanto, riteniamo opportuna la norma che introduce una proroga dei mandati onorari sin qui espletati.
Non mi soffermo sull'articolo 3, che probabilmente attiene alla materia più importante di questo decreto-legge, perché interverrà, per il mio gruppo, la collega Magnolfi.
Giova, a questo punto, occuparsi di quelle proposte emendative governative che all'inizio del mio intervento accusavo di non avere carattere di urgenza e soprattutto di non essere così importanti e necessarie come pur lo strumento del decreto-legge dovrebbe in qualche modo avvalorare. Si tratta di due emendamenti presentati dal Governo, il primo dei quali agisce sul nostro ordinamento giudiziario, ed il secondo su una norma da poco tempo approvata nell'ambito della legge finanziaria.
Con il primo emendamento il Governo propone di introdurre nel nostro ordinamento nuove figure apicali della magistratura ordinaria, amministrativa e contabile, e dell'Avvocatura generale, inserendo dappertutto figure vicarie e riconoscendo galloni di generale all'attuale avvocato generale, quindi al procuratore generale aggiunto, ad un presidente aggiunto del Consiglio di Stato, ad un presidente aggiunto
della Corte dei conti e ad un avvocato generale aggiunto nell'ambito dell'Avvocatura dello Stato. Crediamo che queste siano materie importanti, ma gli interventi non ci appaiono così urgenti e così importanti ai fini della funzionalità della nostra giurisdizione. Quindi, fin da ora preannuncio che, su questo emendamento, esprimeremo un voto contrario.
Vi è poi l'ultima proposta emendativa presentata dal Governo, che interviene sulla legge finanziaria per il 2004 nella parte in cui il Parlamento introdusse, probabilmente in maniera opportuna, un'indennità di missione in favore dei consiglieri di Cassazione residenti fuori del distretto della Corte d'appello di Roma.
Come gli operatori del diritto sanno assai bene, è in atto un processo, che parte da lontano, ritualmente indicato come «romanizzazione» della Corte suprema di cassazione. Ciò significa, in altri termini, che le funzioni effettive della Cassazione vengono svolte da magistrati residenti a Roma, o comunque romani. Questo non giova, in linea generale, alla Suprema corte, la quale deve essere rappresentativa di tutto il territorio nazionale e deve saper acquisire la creatività e la professionalità di tutta la magistratura italiana, comunque collocata nel paese.
Il riconoscimento dell'indennità di missione intendeva incentivare proprio tale processo di rinnovamento e di arricchimento della Suprema corte, ma oggi il Governo propone che quel trattamento di missione, che nella legge finanziaria era riconosciuto in favore dei soli consiglieri di Cassazione non residenti, venga esteso, altresì, anche ai magistrati della Corte residenti nella città di Roma. In tal modo, viene evidentemente meno il carattere di incentivo e la finalità che aveva suggerito ed ispirato tale disciplina, e l'indennità di missione diventa nulla più che un incremento della retribuzione.
In linea di principio, non siamo contrari, perché pensiamo - non parlo per me, signor Presidente, mi creda - che il trattamento economico dei magistrati sia una componente essenziale della giurisdizione, e che i magistrati debbano star bene dal punto di vista retributivo al fine di svolgere bene il loro lavoro. Credo che un'attenzione del Governo e del Parlamento su tale materia sia più che legittima, tuttavia non ritengo né equo, né giusto aumentare, di fatto, le retribuzioni dei consiglieri di Cassazione (vale a dire di magistrati all'apice della carriera), dimenticando, viceversa, quelli che sono «in trincea», i quali percepiscono retribuzioni sicuramente molto inferiori.
Pertanto, preannuncio che voteremo contro tale proposta emendativa, sulla quale parlerà successivamente anche un'importante rappresentante del nostro gruppo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, non avevo intenzione di intervenire sul provvedimento in esame, e non avrei coltivato tale intuizione, se non fossimo stati presenti ad una riunione del Comitato dei nove (ove c'era anche il signor ministro) nella quale il contenuto di alcune proposte emendative è stato prospettato in maniera indelicata - e, per certi aspetti, provocatoria -, ostentandosi un rapporto autonomo dell'esecutivo in odio all'autonomia, alla possibilità di verifica e al dovere di coordinamento dell'attività legislativa propri del Parlamento.
Si tratta di decreto-legge che non nasce bene. La prima censura che intendo muovere è, innanzitutto, di metodo, poiché non riteniamo possibile - si tratta di una valutazione che abbiamo già formulato nel corso della discussione sul provvedimento relativo all'ordinamento giudiziario - ricorrere alla decretazione d'urgenza - ovvero a provvedimenti sostanzialmente impositivi nella parte in cui si sostituiscono, in via preventiva, alla volontà del Parlamento -, in materie così delicate, quali quelle attinenti all'ordinamento della giurisdizione.
È vero che il provvedimento al nostro esame riguarda marginalmente il tribunale delle acque, ma è altresì vero che la proposta emendativa presentata dal Governo
(l'articolo aggiuntivo 6.0100) attiene anche ad una riforma marginale, ma non insignificante, della struttura verticistica delle magistrature superiori.
In secondo luogo, la critica di metodo investe l'aspecificità ed il carattere cumulativo del provvedimento. Non solo sotto il profilo della tecnica legislativa, ma anche nei confronti del Parlamento e dei cittadini che esso rappresenta, non riteniamo corretto ricorrere sistematicamente a decreti-legge nei quali vengono conglobate disposizioni tra le quali non esiste alcuna compatibilità logica, sistematica e giuridica.
Ci troviamo di fronte ad un provvedimento in cui si cumulano disposizioni ordinamentali sul tribunale superiore delle acque e sulle magistrature superiori, disposizioni di favore, sotto il profilo economico, per i componenti delle magistrature superiori (vedremo in seguito di cosa si tratta) ed altre norme attinenti alla tutela dei dati personali, che avrebbero imposto - anch'esse - una verifica attenta, una valutazione approfondita, un'analisi condivisa con coloro che sono quotidianamente deputati a far rispettare tali regole.
Ciò è tanto vero che, a decretazione d'urgenza già intervenuta, ci si è sentiti in dovere di procedere alle verifiche che il Governo aveva ritenuto di poter omettere: la Commissione competente ha ascoltato sia il Garante per la tutela dei dati personali sia i magistrati della Direzione antimafia, i quali avevano ritenuto questo provvedimento in qualche modo utile per il lavoro investigativo che stanno svolgendo.
Accanto a queste critiche di metodo, questo provvedimento ispira alcune valutazioni positive - soprattutto per quanto concerne la disciplina che è stata data al problema della conservazione dei dati telefonici -, non per quanto il Governo aveva fatto, ma per l'opera equilibratrice che il Parlamento ha complessivamente svolto a seguito dell'audizione dei soggetti interessati, i quali hanno consigliato - se non preteso - alcune modifiche, alcuni adattamenti, senza i quali la portata del provvedimento sarebbe risultata vanificata.
Tra le altre cose, ci è stato fatto notare come la pretesa di voler estendere a cinque anni l'obbligo di conservazione dei dati, non solo telefonici, ma anche telematici, fosse sostanzialmente irrealizzabile, perché altri Stati, più avanzati di noi in questo settore, si erano dovuti arrendere di fronte alla constatata impossibilità di mettere in pratica una sia pure legittima intuizione nel campo della protezione dei cittadini. Allo stesso modo, siamo stati messi in guardia dagli effetti che un provvedimento siffatto avrebbe prodotto sulla tutela della privacy dei cittadini, pericolosamente compromessa dalla possibilità che i dati conservati fossero utilizzati al di fuori dello stretto regime in cui vengono ricompresi.
Ma la critica maggiore, accanto ad alcune valutazioni che, per correttezza istituzionale, esprimiamo come positive, attiene, ancora una volta, al fatto che il Governo ha introdotto surrettiziamente, all'interno di questo provvedimento, due proposte emendative che, a nostro giudizio, non sono degne di essere valutate in maniera superficiale così come ci sono state prospettate e secondo la veste tecnica - di proposte emendative, appunto - che è stata loro data.
Si tratta di proposte emendative che attengono al ridisegno delle strutture verticistiche della magistratura superiore, che avrebbero avuto necessità di una verifica, di un confronto, di una concertazione diversa e che, ancora una volta, nel metodo con cui sono state prospettate, denotano una tendenza, da parte di questo ministro, ad imporre al Parlamento riforme in materia di giustizia senza aver avuto la possibilità e, direi anche, la prudenza istituzionale di confrontarle con tutti i soggetti partecipi ai processi nei quali si trovano successivamente inseriti.
Ci riferiamo non tanto al fatto che nuove figure siano state inserite ai vertici delle magistrature superiori, né al fatto che ad esse siano stati dati aumenti di stipendio dei quali non si riesce a trovare
una giustificazione corretta. Ci riferiamo al fatto che, attraverso una modifica alla legge finanziaria per il 2004, si siano estesi i benefici della trasferta a tutti i membri della suprema Corte di cassazione; il che non è corretto. Infatti, se era corretto il provvedimento con il quale, sostanzialmente, si tendeva a retribuire le spese affrontate da coloro che provenivano da fuori, non è altrettanto corretto estendere questo provvedimento di beneficio a tutti i membri della Corte di Cassazione, di talché un'indennità di trasferta si trasforma, automaticamente, in un'indennità di carica e, come tale, in un aumento ingiustificato di stipendio. Mi riferisco a tutti, anche a coloro che chiedono rigore sulla spesa.
Colleghi, so che sul rigore di spesa e sull'attenzione al rigore di spesa si è sviluppato, in questi giorni, all'interno della maggioranza, un confronto considerevole, attento, che ha portato a tensioni che, in queste ore, si sta cercando di risolvere. Allora, vi chiedo: a fronte della constatata difficoltà che molte famiglie incontrano sulla spesa quotidiana, a fronte della difficoltà dei pensionati, dei giovani che non trovano lavoro e degli stipendi che non servono più, che senso ha - il Governo me lo deve spiegare - aver utilizzato una norma sulle trasferte per creare una surrettizia, ingiustificata norma di favore nei confronti degli stipendi dei magistrati apicali del nostro ordinamento? Il favore di chi si sta ricercando? La cosa peggiore alla quale abbiamo assistito in Commissione è stata l'ostentazione, da parte del ministro, di una pretesa richiesta, proveniente da centoventi membri della Cassazione, di adesione ad una norma di questo tipo. Non so di chi sia il cattivo gusto, ma, certamente, di questo si tratta.
In una situazione di tal genere, chiediamo alla maggioranza di avviare una riflessione che, nell'intendimento di chi vi parla, dovrebbe portarvi a ritenere che una parte di questa normativa sia da salvare e un'altra sia da cassare definitivamente; soprattutto, dovrebbe portare a farvi ritenere che gli aumenti di retribuzione, in questo momento, sono assolutamente ingiustificati e sono gabellati come norme di favore in una situazione economica che non li giustifica.
Queste sono le considerazioni che vi affido, colleghi della maggioranza e signor rappresentante del Governo; sono valutazioni sulle quali attendo una risposta e una riflessione.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Magnolfi. Ne ha facoltà.
BEATRICE MARIA MAGNOLFI. Signor Presidente, intervengo sugli articoli 3, 4 e 5 di questo decreto-legge (e sulle relative proposte emendative), dietro ai quali ci sono questioni di primaria importanza per tutti i paesi democratici, che investono direttamente la qualità della democrazia, come quelle dei diritti alla riservatezza, alla tutela dei dati sensibili, alla difesa delle libertà personali. Si tratta di questioni che sono portate all'attenzione della politica, in maniera forte, inedita e difficile, dalla modernità e dallo sviluppo della società dell'informazione.
Proprio chi, come noi, cerca di difendere questo sviluppo e, con coerenza, di sostenere la necessità per il nostro paese di accorciare il ritardo che ancora lo separa dagli obiettivi del consiglio di Lisbona (e quindi dalla costruzione di una compiuta società della conoscenza) sente ancora di più l'esigenza di impedire che la società della conoscenza porti ad una sorveglianza generalizzata dei cittadini, ad un controllo degli stessi, ad una violazione delle loro libertà personali. D'altro canto, noi siamo pienamente consapevoli che vi è un'altra famiglia di diritti altrettanto rilevanti, anch'essi scaturenti dalle contraddizioni della modernità: il diritto collettivo alla sicurezza, il diritto alla tutela rispetto alla criminalità nazionale ed internazionale, alle offensive e agli attacchi del terrorismo (in particolare di quello internazionale). Il bilanciamento tra questi diritti che è molto difficile da trovare, rappresenta una questione rilevante per ogni democrazia.
Il testo approvato dalla Commissione e sottoposto all'esame dell'Assemblea è diverso rispetto a quello adottato dal Governo.
Nonostante i tempi strettissimi, credo che abbiamo fatto un buon lavoro - lo voglio riconoscere ai colleghi - , anche grazie ad audizioni di grande importanza, come quella del presidente dell'Autorità garante della privacy, professor Rodotà, e quella del procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna. Le modifiche riguardano i tempi di conservazione dei dati del traffico telefonico - si passa da 30 mesi (più ulteriori 30) a 24 mesi (più ulteriori 24) -; inoltre non si parla più di tutto il traffico Internet, ma solo della corrispondenza telematica.
Nelle audizioni svolte sono state espresse preoccupazioni, che tutti hanno condiviso e che ci hanno portato a modificare il testo. Si tratta di preoccupazioni attinenti alla sfera delle libertà. In fondo, oggi la libertà di navigare in rete è una nuova versione, sia pure elettronica, della libertà di espressione, della libertà di circolazione, della libertà di pensiero, della stessa libertà di associazione. Abbiamo riconosciuto, anche grazie alle audizioni, che solo alcuni Stati, peraltro totalitari (in particolare la Cina), effettuano un controllo generalizzato sul mondo di Internet; nessun paese europeo ha adottato questo tipo di normativa. In Commissione abbiamo riconosciuto che un principio di fondo, il principio di efficacia e di proporzionalità, ci deve guidare nel trovare l'equilibrio di cui ho parlato.
Dall'audizione del procuratore nazionale antimafia è anche emerso che il testo del Governo era andato al di là delle stesse richieste della Direzione nazionale antimafia. Si è parlato di interpretazione estensiva da parte del Governo e si è ricordato che la preoccupazione maggiore - non l'unica, ma la più importante - della magistratura riguarda i dati telefonici, perché nel nostro paese, purtroppo, la durata delle indagini e dei processi rende il periodo di 30 mesi non sufficiente.
Oggi il testo è cambiato, ma riteniamo che sia da eliminare anche la parte che riguarda la posta elettronica, la corrispondenza telematica. Abbiamo presentato un emendamento in proposito, il Folena 3.13, sul quale la Commissione si è espressa in senso favorevole. Noi pensiamo che attraverso la posta elettronica si affermi il principio del controllo su Internet, che è una sfera delicatissima nella quale nessun paese democratico è ancora entrato con termini di durata così lunghi; riteniamo che i dati Internet siano diversi dai dati telefonici, perché dai primi è possibile ricostruire le tendenze politiche, religiose e sessuali, l'appartenenza a gruppi o a associazioni.
Pensiamo che, con riferimento alla posta elettronica, questo rischio sia attenuato, ma vi sia ancora. È stato detto che si conserverebbero solo gli indirizzi e che tale dato sarà affidato ad un regolamento successivo. Su questo tema interviene anche l'emendamento Siniscalchi 3.12, che propone di attribuire al Garante un compito specifico, quello di emanare alcune linee guida, ovviamente di concerto con i ministeri interessati, a proposito degli indirizzi.
Tuttavia, l'intestazione della lettera elettronica - che non è diversa da una lettera chiusa, magari con la ceralacca, e rispetto alla quale vale il principio della riservatezza e della segretezza tutelato dall'articolo 15 della Costituzione - reca anche l'oggetto. Lo voglio sottolineare, perché qui vi è già un'invasione della sfera dei contenuti.
Inoltre, se si fa parte di una mailing list, si dovrebbero conservare tutti gli indirizzi della lista, magari anche quelli di centinaia di persone che non c'entrano niente con le indagini; se vi sono cittadini stranieri, si dovrebbero conservare anche questi dati, che magari appartengono a paesi che non hanno normative neanche assimilabili a questa. Si dovrebbero conservare tutti gli indirizzi della posta, non solo in uscita ma anche in entrata. Vorrei ricordare ai colleghi che ogni giorno siamo invasi dal fenomeno dello spamming, per cui ci pervengono lettere dai mittenti più indesiderati. Mi riferisco a messaggi impossibili da bloccare, alle più svariate offerte di tutti i tipi di materiali, da materiali pornografici, a richieste ed offerte di transazioni economiche con Stati stranieri, o addirittura di armi.
A differenza del telefono mobile, infine, nella posta elettronica si può identificare
la provenienza di un messaggio ed è possibile la localizzazione del ricevente. Per questo motivo, abbiamo letto con grande attenzione il parere della I Commissione affari costituzionali, che avanzava molte perplessità e condizionava il parere favorevole alla cancellazione di questa parte del testo relativa alla posta elettronica.
Riteniamo, infine - questo è lo spirito con cui ci siamo avvicinati a tale materia - che i tempi di esame di un decreto-legge non siano sufficienti per approfondire il tema in oggetto. Vi sono troppi elementi tecnici che ancora ci sfuggono: ci chiediamo cosa accadrà nel mondo dei provider se sarà sufficiente abbonarsi a un provider straniero, creando in qualche modo i cosiddetti paradisi digitali (che si aggiungono agli altri paradisi di questo genere), per poter aggirare la legge, se è vero che la grande criminalità internazionale possiede strumenti per aggirare tali tecnologie. In tal caso, sarebbe una beffa: vi sarebbe un eccesso di controllo sui semplici cittadini, al quale sfuggirebbero invece proprio i casi più sospetti. Tutto ciò ancora non è chiaro. Fra gli addetti ai lavori si parla anche dell'inefficacia di questo tipo di misure: approfondiamo il dibattito in merito.
Il nostro non è certo l'atteggiamento di chi non vuol riconoscere l'esigenza di disporre di tutti gli strumenti necessari per le indagini al fine di tutelare il diritto alla sicurezza dei cittadini. Riteniamo tuttavia che sia presto per definire per legge materie ancora da chiarire, con risvolti istituzionali, oltre che tecnici, così complessi.
Ricordo che il Garante sta preparando un codice di deontologia e di buona condotta per Internet, così come previsto dal decreto legislativo adottato nel giugno 2003. Penso che anche la discussione sviluppatasi in quest'aula su questo decreto-legge e, prima ancora, sulla mozione dell'onorevole Folena sulla riservatezza dei dati personali possa aiutarci ad aprire un dibattito pubblico nel paese ed anche a decidere in materie così complesse in maniera più meditata, dopo una riflessione più attenta.
Con questo spirito, ci auguriamo che l'Assemblea vorrà confermare il parere della Commissione sugli emendamenti che riguardano questo aspetto (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, tra i numerosi misteri che, frequentando, ormai da molti - qualcuno dice da troppi - anni, questa Assemblea, non sono mai riuscito a decifrare, vi è quello relativo al criterio che ispira l'Ufficio di Presidenza nel dichiarare ammissibili o inammissibili gli emendamenti presentati. Devo dire che è un mistero che non sono riuscito a chiarire neppure quando facevo parte io stesso dell'Ufficio di Presidenza. Ritengo di non aver mai visto un caso eclatante come quello odierno. Insieme ai colleghi Siniscalchi e Marone, abbiamo presentato alcune proposte emendative. Posto che veniva in qualche modo riparata un'ingiustizia dando al Consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana i mezzi necessari a sopravvivere, ritenevamo opportuno approfittare di questa occasione per porre rimedio ad una palese ingiustizia che si trascina da anni, riguardante i vincitori, già giudici del TAR, del difficile concorso a consigliere di Stato; si tratta di una questione rispetto alla quale ci sono pronunce passate in giudicato e nei confronti della quale il Governo fa voce sorda (anche se, documentalmente, potremmo provare che vi sono posizioni contrastanti nell'ambito dello stesso Governo, ad alti livelli). Modestamente ritenevo che tali proposte emendative fossero ammissibili, ma sono abituato a dire, di quello che decide l'Ufficio di Presidenza: legis habet valorem, e ne prendo atto. Quando, però, mi si dice che è estraneo alla materia del provvedimento in esame l'equilibrio economico di chi inizia la carriera nel Consiglio di Stato, vorrei che mi si spiegasse come è invece possibile ritenere che attiene alla materia una rivoluzione ordinamentale
quale quella che adesso proponete, e sulla quale, per il momento, almeno io, non entro nel merito; si crea un posto di procuratore generale aggiunto in Cassazione, un posto di generale aggiunto alla Corte dei conti, un posto di avvocato generale in Consiglio di Stato, abolendo gli avvocati generali, non tenendo presente che qualcuno bisognerà fisicamente estromettere, e poi si prevede la nomina del presidente aggiunto del Consiglio di Stato che, peraltro, continua a presiedere una sezione del Consiglio stesso.
È un discorso sul quale si può ragionare a lungo, ma è impensabile che lo si possa fare con un emendamento presentato all'ultimo momento, addirittura riferito non ad un disegno di legge ordinario ma ad un decreto-legge. Francamente non riesco a capire come possano essere dichiarati inammissibili per estraneità di materia gli articoli aggiuntivi 6.01, a mia firma, e il 6.02 presentato dai deputati Siniscalchi e Marone ed, al contrario, come possa essere dichiarato ammissibile il più rilevante 6.0100 del Governo, a meno che la Presidenza della Camera - non parlo del Presidente che al momento presiede - non ritenga tutto lecito ed ammissibile ciò che proviene dal Governo! Se così fosse, ci sarebbe veramente da rammaricarsi nei confronti non solo del Governo - cosa che faccio abitualmente, credo con giusta ragione - ma anche della Presidenza della Camera.
PRESIDENTE. Onorevole Acquarone, devo dirle che le decisioni sull'ammissibilità delle proposte emendative non spettano all'Ufficio di Presidenza bensì alla Presidenza della Camera.
Nessun altro chiedendo di parlare sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge, invìto il relatore ad esprimere il parere della Commissione.
CIRO FALANGA, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti Detomas 1.1 e Mantini 1.2 e 1.3 e parere favorevole sull'emendamento 1.100 del Governo e sull'articolo aggiuntivo Palma 1.01. La Commissione invita i proponenti al ritiro dell'articolo aggiuntivo Tarditi 1.02 e degli emendamenti Cola 2.2 e Catanoso 2.4, ed esprime parere contrario sull'emendamento Catanoso 2.5. Esprime, altresì, parere favorevole sugli emendamenti Cola 2.6 e Folena 3.13, parere contrario sugli emendamenti Bonito 3.8 e 3.9, Cento 3.3, Mascia 3.5 e Bonito 3.10. Infine, la Commissione esprime parere favorevole sull'emendamento Siniscalchi 3.12, sull'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo, come modificato dal subemendamento 0.6.0100.1 della Commissione, e sull'emendamento 7.100 del Governo.
PRESIDENTE. Il Governo?
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il Governo non era, in linea di principio, contrario all'emendamento Detomas 1.1. Tuttavia, preso atto che il parere del relatore sul tale emendamento è contrario, si rimette all'Assemblea. Il Governo esprime parere contrario sugli emendamenti Mantini 1.2 e 1.3, parere favorevole sull'emendamento 1.100 del Governo e sull'articolo aggiuntivo Palma 1.01, e si associa all'invito al ritiro formulato dal relatore sull'articolo aggiuntivo Tarditi 1.02 che, in ogni caso, sarebbe probabilmente assorbito. Se tale articolo aggiuntivo non venisse ritirato, il parere del Governo sarebbe contrario. Il Governo invita infine al ritiro degli emendamenti Cola 2.2 e Catanoso 2.4; preferirei sapere in questo momento se i presentatori accedano all'invito al ritiro.
SERGIO COLA. Ritiro il mio emendamento 2.2 e sono disponibile a ritirare anche l'emendamento Catanoso 2.4, di cui sono cofirmatario.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sta bene, in questo caso è il problema è superato.
Anche sull'emendamento Catanoso 2.5 l'orientamento del Governo non era, in linea di principio, contrario, ma, preso atto del parere contrario del relatore, mi
rimetto all'Assemblea. Il Governo esprime, inoltre, parere favorevole sugli emendamenti Cola 2.6 e Folena 3.13, parere contrario sugli emendamenti Bonito 3.8 e 3.9, Cento 3.3, Mascia 3.5 e Bonito 3.10, e parere favorevole sull'emendamento Siniscalchi 3.12, sull'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo, sul subemendamento 0.6.0100.1 della Commissione, e sull'emendamento 7.100 del Governo.
BASILIO CATANOSO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
BASILIO CATANOSO. Signor Presidente, vorrei chiarire che non ho intenzione di accedere all'invito al ritiro formulato dal relatore e dal Governo sul mio emendamento 2.4.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Detomas 1.1, non accettato dalla Commissione e sul quale il Governo si rimette all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 415
Votanti 405
Astenuti 10
Maggioranza 203
Hanno votato sì 38
Hanno votato no 367).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Mantini 1.2.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. In realtà sono molto meravigliato del parere contrario espresso dal Governo. Dal momento, infatti, che vengono individuati nelle figure degli iscritti all'albo degli ingegneri i nuovi membri del tribunale delle acque in veste di esperti, ritengo si tratti di un emendamento di assoluto buonsenso, perché dire oggi «iscritti all'albo degli ingegneri», conoscendo un po' l'articolazione delle professioni e delle qualificazioni professionali, non vuol dire assolutamente nulla, dato che nell'albo degli ingegneri sono iscritti sia gli ingegneri aerospaziali sia quelli meccanici e così via.
Pertanto, se si vuole rintracciare un profilo di professionalità adeguato alla funzione da esercitare nel tribunale delle acque, l'unica figura proponibile è quella dell'ingegnere laureato in ingegneria idraulica e solo in virtù di queste nozioni e di questo profilo professionale essi possono essere chiamati a far parte del collegio. Mi pare, dunque, che l'emendamento sia persino doveroso, se non vogliamo caricarci di ridicolo rispetto all'intenzione del testo normativo, ma anche rispetto a quella dovuta conoscenza del mondo delle professioni, che naturalmente anche il Parlamento deve avere (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mantini 1.2, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 424
Votanti 421
Astenuti 3
Maggioranza 211
Hanno votato sì 187
Hanno votato no 234).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mantini 1.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 417
Votanti 415
Astenuti 2
Maggioranza 208
Hanno votato sì 186
Hanno votato no 229).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.100 del Governo, accettato dalla Commissione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti e Votanti 428
Maggioranza 215
Hanno votato sì 427
Hanno votato no 1).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo Palma 1.01.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tarditi. Ne ha facoltà.
VITTORIO TARDITI. Chiedo di aggiungere la mia firma all'articolo aggiuntivo Palma 1.01, perché intendo aderire all'invito formulato dal relatore e dal Governo di ritirare il successivo articolo aggiuntivo 1.02, a mia firma, in quanto, pur essendo formalmente diverso, esso ha i medesimi contenuti sostanziali. Ribadisco pertanto di voler sottoscrivere, contestualmente ritirando invece il mio articolo aggiuntivo 1.02, l'articolo aggiuntivo Palma 1.01 (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo Palma 1.01, accettato dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 428
Votanti 426
Astenuti 2
Maggioranza 214
Hanno votato sì 420
Hanno votato no 6).
Ricordo che l'emendamento Cola 2.2 è stato ritirato.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Catanoso 2.4.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Catanoso. Ne ha facoltà.
BASILIO CATANOSO. Vorrei brevissimamente spiegare i motivi per i quali non ho ritenuto di aderire, come già detto prima, all'invito al ritiro formulato dal Governo.
Ritengo che i problemi di bilancio, che il Governo rileva in questo emendamento, non siano del tutto credibili. Dal momento che non ci sarà il tempo di rimettere in discussione, se non con un'altra proroga, la proroga dei giudici onorari di tribunale fino al 31 dicembre 2004, chiedo che tale termine venga fissato al 31 dicembre 2005 (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Catanoso 2.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 424
Votanti 415
Astenuti 9
Maggioranza 208
Hanno votato sì 32
Hanno votato no 383).
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Catanoso 2.5, non accettato dalla Commissione e sul quale il Governo si rimette all'Assemblea.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 422
Votanti 418
Astenuti 4
Maggioranza 210
Hanno votato sì 46
Hanno votato no 372).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Cola 2.6.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, vorrei illustrare brevemente l'emendamento in esame, in relazione al quale la Commissione e il Governo hanno modificato la propria valutazione (è stato, al riguardo, espresso un parere favorevole).
Con il medesimo si intende modificare l'articolo 245 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, che risulta del seguente tenore: le disposizioni del seguente decreto, in forza delle quali possono essere addetti al tribunale ordinario ed alla procura della Repubblica presso il tribunale ordinario magistrati onorari, si applicano fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, a norma dell'articolo 106, secondo comma, della Costituzione e, comunque, non oltre cinque anni dalla data di efficacia del presente decreto.
Ciò vuol dire che, dopo cinque anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, vale a dire sino al 2 giugno 2004, possono essere addetti al tribunale ordinario i giudici onorari, mentre ciò non sarà più possibile dopo tale data. È chiaro che se proroghiamo di due anni l'entrata in vigore di questa disposizione, non creeremo ostacoli alla formazione dei collegi e, quindi, non contribuiremo a rendere ancora più caotica la situazione della giustizia per mancanza di organici.
Vorrei osservare che nell'articolo 245 del decreto legislativo n. 51 del 1998 si prevede l'applicazione delle disposizioni del suddetto «fino a quando non sarà attuato il complessivo riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria».
Ci eravamo pronunciati nel senso di prorogare fino al 2005 ed oltre la durata delle magistrature onorarie, il cui mandato scade il 31 dicembre 2004, perché temiamo che sarà difficile dar corso al riassetto definitivo della magistratura onoraria entro il 2004. Presenteremo comunque un ordine del giorno, nel quale faremo presente questa sollecitazione.
Quanto ho detto è emerso, mi pare in maniera univoca e senza alcuna distinzione da parte di tutte le forze politiche, nel corso della lunga elaborata discussione svoltasi in Commissione. Nessuno ne ha parlato in questa sede: rappresento, quindi, ulteriormente e definitivamente al Governo l'esigenza che il riordino avvenga entro l'anno.
Sono state presentate, al riguardo, tante proposte di legge che affideremo, con una richiesta specifica, spero a nome di tutte le forze politiche, alle valutazioni del presidente della Commissione giustizia, perché siano esaminate dalla stessa.
Sollecitiamo, comunque, il Governo a presentare, se del caso, un disegno di legge in materia ed a inviarlo il più presto possibile in Commissione, perché si possa dar corso al riordino della magistratura onoraria.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cola 2.6, accettato dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 435
Votanti 431
Astenuti 4
Maggioranza 216
Hanno votato sì 430
Hanno votato no 1).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Folena 3.13.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Folena. Ne ha facoltà.
PIETRO FOLENA. Signor Presidente, prendo la parola per esprimere soddisfazione e apprezzamento per il parere espresso prima dalla Commissione e poi dal Governo.
Con questo emendamento, qualora fosse approvato dall'Assemblea, si affermerebbe un indirizzo coerente con quanto, dieci giorni fa, il Parlamento ha espresso in sede di votazione delle mozioni Folena e Antonio Leone a proposito della privacy e del recepimento di alcune delle indicazioni provenienti da parte del Garante per la protezione dei dati personali.
La Commissione giustizia, l'Assemblea e adesso anche il Governo recepiscono, quindi, le osservazioni rese dal Garante in merito al decreto-legge n. 354, così come originariamente formulato, nonché quelle provenienti dal «popolo della rete». Infatti, decine di migliaia di utenti, soprattutto giovani, a partire dallo scorso 24 dicembre si sono rivolti a noi e al Governo segnalando il gravissimo rischio per la libertà delle persone a cui, magari inconsapevolmente, si poteva andare incontro attraverso una norma che, rendendo obbligatoria la conservazione per cinque anni dell'intero traffico on line, avrebbe rappresentato una enormità dal punto di vista giuridico e democratico in tutto l'occidente.
Avevamo sollevato il problema con energia e la Commissione, già la scorsa settimana, con intelligenza, aveva escluso in alcuni casi il protrarsi dell'obbligo di conservazione per ulteriori 24 mesi, prevedendo una limitazione alla sola corrispondenza e-mail rispetto all'intero traffico on line.
Come già evidenziato dall'onorevole Magnolfi, esistono anche problemi pratici che non possono essere elusi: modalità tecniche non ancora ideate per l'eventuale conservazione di questi dati; costi enormi per tale conservazione, che si scaricherebbero sulle aziende; un grave rischio di danneggiare le aziende italiane, spingendo gli utenti a rivolgersi verso i provider stranieri, con un duro colpo ad un settore che nel nostro paese ha già subito una pesante contrazione nel corso dell'ultimo periodo.
Tuttavia, se questi erano gli argomenti concreti da non sottovalutare, esisteva comunque - e mi fa piacere che con questa decisione il Parlamento possa considerare la forza di questo argomento - una grande questione di diritto, vale a dire un problema relativo all'articolo 15 della Costituzione, a proposito della libertà e della segretezza della corrispondenza.
Sappiamo bene che la corrispondenza on line costituisce una novità rispetto alla corrispondenza ordinaria. Tuttavia, anche il paragone, che si è svolto nei giorni scorsi, tra la conservazione dei tabulati telefonici - così come garantita anche da questo decreto - e l'eventuale conservazione degli indirizzari di tutto il traffico della posta elettronica non regge. Infatti, per quanto riguarda i tabulati telefonici, si tratta sostanzialmente di un elenco di numeri di telefono mentre, per quanto concerne la grande questione della posta elettronica, si tratterebbe di conservare una serie di informazioni che, anche ammettendo il fatto che rimanesse segreto il contenuto del messaggio di posta elettronica, permetterebbero una conoscenza molto dettagliata. Mi riferisco alle mailing list a cui questi messaggi vengono inviati, alla posta in entrata e in uscita, all'oggetto del messaggio, che compare nella titolazione dello stesso.
Stralciando definitivamente dal provvedimento al nostro esame tutto il tema del traffico on line possiamo avviare una
nuova fase di riflessione che veda impegnate, a prescindere dal colore politico, tutte le forze presenti in Parlamento nel risolvere il problema della regolamentazione della rete. Un problema, sollevato anche dal procuratore Vigna, legato sia alla criminalità sia alla violazione dei diritti del cittadino e dell'utente della rete a seguito di abusi perpetrati dallo Stato o dal detentore delle informazioni, nonché da abusi compiuti dal mercato attraverso l'uso della posta elettronica, come succede con lo spamming.
Noi rinnoviamo la nostra piena disponibilità a lavorare attorno ad uno statuto dei diritti dell'utente della rete che possa condurre ad alcune forme di regolamentazione che vadano incontro ai problemi sollevati dalla direzione nazionale antimafia, senza che questo, però, vada a ledere il diritto costituzionale democratico fondamentale sancito dall'articolo 15 della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mascia. Ne ha facoltà.
GRAZIELLA MASCIA. Signor Presidente, intervengo per esprimere il mio apprezzamento per il parere favorevole espresso dalla Commissione e dal Governo su quest'emendamento, di cui sono cofirmataria. Noi abbiamo ritirato gli emendamenti 3.4 e 4.1, sottoscritti da me e da altri colleghi, proprio perché il loro contenuto era identico all'emendamento Folena 3.13.
Esprimiamo il nostro apprezzamento anche perché l'accoglimento di questa proposta emendativa risponde ad un impegno che il Governo si era assunto in questa sede su una mozione con la quale si evidenziava come i cittadini abbiano ormai acuito la loro sensibilità in tema di tutela della privacy e dei dati personali. In quella sede avevamo anche rilevato come quest'estensione della conservazione dei dati e di quelli relativi al traffico Internet fosse una questione particolarmente preoccupante che, non a caso, aveva suscitato sia la protesta di diversi giuristi sia la preoccupazione e la raccomandazione da parte dello stesso garante della privacy, perché ciò si poneva in conflitto con le norme costituzionali sulla libertà di manifestazione del pensiero e sulla segretezza delle comunicazioni. In questo senso si era espressa anche la Commissione affari costituzionali che, nell'esprimere il proprio parere, aveva posto una condizione proprio su questo aspetto.
Anch'io, come il collega Folena, ritengo che questo orientamento favorevole espresso dal Governo e dalla Commissione, con il quale si modifica il decreto-legge emanato a dicembre, sia un elemento importante per andare oltre nello svolgere un lavoro comune.
Colgo questa occasione anche per soffermarmi sugli emendamenti successivi che riguardano la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico, la cui estensione è stata mantenuta sebbene tutelandoli con forme di garanzia anche particolari. A questo riguardo, insieme al collega Pisapia abbiamo presentato un emendamento, il 3.5, con il quale si prevede la riduzione del tempo di conservazione di questi dati da 24 a 12 mesi in virtù del fatto, oggetto a suo tempo di discussione in Commissione, che noi abbiamo riscontrato che in Europa i tempi di conservazione sono in media di sei mesi e che nessun paese va, comunque, oltre i 12 mesi. Pertanto, riteniamo che nel nostro paese, per quanto sollecitati dal procuratore antimafia, sia necessario invertire la tendenza.
Vi è un'esigenza, al contrario, di maggiore attenzione per le garanzie, e non sempre le ragioni di sicurezza possono motivare restrizioni delle libertà personali. Riteniamo si possano rendere compatibili le esigenze di sicurezza e le garanzie individuali, ed è per tale ragione che abbiamo mantenuto l'emendamento 3.5 che prevede la riduzione del termine, in quanto si tratta di un argomento che deve essere parte della riflessione cui facevo riferimento.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, intervengo brevemente per esprimere soddisfazione per l'accoglimento dell'orientamento che, sia in sede di Commissione sia durante la discussione sulle linee generali, noi verdi - ma non solo - abbiamo sottoposto all'attenzione del Parlamento.
Non c'è dubbio, come correttamente veniva fatto rilevare nel parere espresso dalla Commissione affari costituzionali della Camera, che si tratta di una vicenda di grande delicatezza costituzionale e che pone un'importante questione relativa alla tutela delle libertà individuali e delle libertà civili. Occorre garantire le esigenze, ovviamente condivise, di sicurezza e di prevenzione e repressione di reati particolarmente odiosi (mi riferisco, ad esempio, al fenomeno della pedofilia, che vede spesso l'uso improprio di Internet quale canale privilegiato) e contemporaneamente i diritti e le libertà (che trovano riscontro non solo nella nostra Carta costituzionale, ma anche nei lavori preparatori della Costituzione europea e nella Carta di Nizza) di quello che è stato chiamato il popolo di Internet ma che preferisco definire un grande spazio pubblico di libertà, di democrazia e di comunicazione civile.
Non c'è dubbio che non possa in alcun modo essere equiparata la normativa concernente le intercettazioni telefoniche nonché il controllo, il mantenimento e la conservazione dei dati del traffico telefonico, a quella relativa al controllo e alla conservazione dei dati inerenti il traffico via Internet, compreso il semplice mantenimento dei dati di quella che viene comunemente definita la posta elettronica (ho già osservato nel corso della discussione sulle linee generali che è come chiedere ad ogni ufficio postale di conservare i dati relativi agli scambi epistolari cartacei).
Si tratta di un tema rilevante, perché dalla conservazione e dal controllo di tali dati si ricostruiscono la rete delle relazioni economiche, personali, sessuali, religiose e le abitudini, gli orientamenti politici e culturali delle persone. Ciò è stato rilevato sia negli interventi che mi hanno preceduto sia nella mozione Folena ed altri n. 1-00215, approvata da questa Camera, relativa a tale specifico argomento.
Ritengo sia stata compiuta una scelta positiva, che rinvia al tema della regolamentazione dell'uso di Internet dando priorità alla tutela dei dati personali, contro ogni forma di sopraffazione da parte dello Stato e delle autorità pubbliche, ma anche contro ogni forma di sopraffazione e di uso improprio di tale immensa rete da parte dei privati, nell'ambito di una concezione avventuristica del libero mercato che spesso diventa una concezione del libero mercato senza regole e senza tutela per le persone.
Esprimiamo dunque il nostro sostegno convinto all'emendamento in esame e alle ragioni che hanno portato anche il Garante per la protezione dei dati personali ad intervenire, rispettosamente ma con grande forza di contenuti, affinché il Parlamento stralciasse tale materia, impropriamente inserita in un provvedimento di tutt'altro genere, originariamente relativo alla proroga di talune, peraltro importanti, funzioni dei tribunali delle acque.
Pur nella positività della decisione che stiamo per assumere, rimane - mi sia consentito dirlo - il tema del traffico telefonico e della conservazione dei dati telefonici tradizionali su cui, forse, presi dall'enormità della questione posta da Internet, non abbiamo soffermato la nostra attenzione con dovizia di particolari. Mi permetto di richiamare il problema. L'abbiamo fatto anche con la presentazione di un emendamento che va oltre la decisione assunta dalla Commissione giustizia di portare da trenta a ventiquattro mesi il periodo di conservazione dei dati telefonici. Suggeriamo di fare attenzione: quei ventiquattro mesi, anche soltanto per i dati telefonici, sono troppi. Non vi è paese in Europa dove i dati telefonici vengano conservati per un lasso di tempo così ampio. Ricordo - e concludo, Presidente - che tale conservazione non riguarda coloro
che hanno commesso reati o che per tale motivo sono indagati, ma riguarda la generalità dei cittadini, la generalità dei contatti e dei rapporti telefonici che ogni cittadino, liberamente, intrattiene.
Credo si tratti di temi della nuova frontiera, che riguardano i diritti e le libertà, su cui facciamo bene ad impegnare il nostro tempo ed a legiferare con grande attenzione.
CIRO FALANGA, Relatore. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CIRO FALANGA, Relatore. Signor Presidente, per la verità ho l'esigenza di chiarire le ragioni che hanno indotto la Commissione ad esprimere parere favorevole sull'emendamento in esame. Ho questa esigenza perché è importante capire che le ragioni sono esclusivamente quelle di ordine pratico - per altro illustrate anche dagli onorevoli Folena e Magnolfi - legate alla difficoltà di conservazione dei dati di posta elettronica, ed anche - perché no ? - quelle di ordine economico, dovute alle ricadute del problema sulle aziende italiane operanti nel settore.
Al di là di queste ragioni, non credo ve ne possano essere altre. E non ve ne sono altre, perché il testo originario prevedeva la conservazione dei dati di posta elettronica - e soltanto di quelli - per consentirne l'accesso, eventualmente, ai magistrati che indagassero nell'ambito di procedimenti per reati gravi, testualmente indicati dalla norma. Non si trattava di invadere la libertà di alcuno perché - e mi preme chiarire ciò più di ogni altra cosa - il garantismo è una componente essenziale del nostro patrimonio culturale. Dunque, alla luce di queste nostre caratteristiche culturali, non potevamo pensare di invadere la libertà dei cittadini italiani. Volevamo soltanto offrire in questo momento ulteriori strumenti alla magistratura inquirente, nell'ambito di procedimenti di particolare gravità nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cola. Ne ha facoltà.
SERGIO COLA. Signor Presidente, per la verità in Commissione, sin dal primo esame del provvedimento, erano emerse forti perplessità in ordine a questa particolare norma, forti perplessità connesse a tanti e tanti fattori, in primis alla conciliabilità della norma con la tutela assicurata dall'articolo 15 della Costituzione. Queste perplessità sono aumentate a dismisura, ancor prima che il provvedimento passasse al vaglio della Commissione affari costituzionali, a seguito dell'audizione del Garante della privacy, il quale ci ha dato un contributo eccezionale, illuminandoci nel vero senso della parola e facendo apparire la problematica, oltre che complessa, anche inquietante per i possibili riflessi.
Non sono d'accordo con il relatore perché, quando si tratta di operare delle scelte, bisogna porre sul piatto della bilancia la libertà e la privacy del cittadino rispetto ad esigenze di ordine pubblico. Non si può comprimere fino all'infinito la libertà del cittadino: non ci sarebbe più la democrazia; ci sarebbe la dittatura nel vero senso della parola. Ciò sarebbe sintomatico di un regime e non di una democrazia.
Devo dire che poi la Commissione affari costituzionali ha confermato le nostre impressioni. Tra l'altro, onorevole Falanga, l'onere sarebbe ricaduto non sulle società fornitrici, ma sui cittadini, dal momento che le società fornitrici lo avrebbero fatto ricadere sulle bollette di pagamento.
A questo punto, ho ascoltato con grande interesse gli interventi degli esponenti dell'Ulivo, che per la verità non sono in linea solo con la mozione Folena; non dimentichiamoci, infatti, che è stata approvata un'altra mozione, con un consenso ancora maggiore, quella del collega Antonio Leone, che andava nella stessa direzione, tant'è che sarebbe più corretto parlare di mozione Antonio Leone e di mozione Folena.
Per quale motivo noi non abbiamo ritenuto opportuno presentare degli emendamenti separati ma ci siamo limitati ad aggiungere la nostra firma a quelli già presentati? Non so se lo avete notato, ma c'è la mia firma e quella dell'onorevole Gironda Veraldi a fianco di quelle degli onorevoli Folena, Finocchiaro ed altri ancora. Lo abbiamo fatto proprio per dare la sensazione che di fronte ad un problema così importante non esistono assolutamente spaccature di carattere politico. La democrazia si tutela trasversalmente.
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Folena 3.13, accettato dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 399
Votanti 396
Astenuti 3
Maggioranza 199
Hanno votato sì 395
Hanno votato no 1).
Passiamo alla votazione dell'emendamento Bonito 3.8.
FRANCESCO BONITO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. A che titolo?
FRANCESCO BONITO. Per annunziare il ritiro di miei emendamenti.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, intervengo per chiedere il ritiro dei miei emendamenti 3.8, 3.9 e 3.10 che tendevano a fotografare e a portare all'attenzione dell'Assemblea un'importante fase del lavoro della Commissione che è stata caratterizzata dalle audizioni, che la Commissione unanimemente ha voluto svolgere, del Garante per la privacy, professor Rodotà, e del procuratore nazionale antimafia, personalità istituzionali che hanno rappresentato la difficoltà di raggiungere un equilibrio fra i diritti di libertà e i diritti di sicurezza e di rispetto della legalità.
In questo ambito, evidentemente, i miei emendamenti tendevano a rappresentare le ragioni compiutamente svolte proprio dal procuratore distrettuale antimafia. Peraltro, io ritengo che l'emendamento che è stato poc'anzi approvato rappresenti una giusta sintesi e un adeguato contemperamento delle esigenze di libertà, appunto, e di quelle di sicurezza e di legalità. Questo mi induce a porre termine a questa azione, per così dire, di testimonianza istituzionale e a chiedere il ritiro dei miei emendamenti.
PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Bonito.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Cento 3.3.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cento. Ne ha facoltà.
PIER PAOLO CENTO. Signor Presidente, intervengo molto brevemente perché in precedenza ho già sottolineato l'importanza di questo emendamento ai fini di una valutazione che credo debba essere effettuata dall'Assemblea.
Si tratta di ridurre ulteriormente il periodo di conservazione dei dati relativi al traffico telefonico a garanzia dei singoli cittadini e della generalità della popolazione. In realtà in nessun paese europeo è concesso alle compagnie che gestiscono il traffico telefonico di mantenere questi dati per un periodo così ampio. Ovviamente, questo non significa che l'autorità giudiziaria, nel perseguire i responsabili o gli indiziati di un eventuale reato, possa prendere provvedimenti di altra natura.
Qui si tratta di una norma generale, si tratta di dare una garanzia generale agli utenti, anche del traffico telefonico, rispetto al mantenimento dei dati dei contatti telefonici.
Voglio ricordare che sono 500 miliardi i dati che le compagnie di telefonia mobile e telefonia fissa già possiedono in virtù della normativa su cui noi, con questo decreto-legge, andiamo ad incidere. Credo, pertanto, che la riduzione da 24 a 18 mesi sia una operazione coerente con la capacità di garantire la tutela e la riservatezza di questi dati, senza incidere negativamente sulle esigenze della giustizia e del perseguimento dei reati e dei loro autori (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Verdi-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Signor Presidente, soltanto poche parole per esprimere la soddisfazione del gruppo della Margherita per la soluzione che è stata raggiunta, una soluzione difficile proprio perché si trattava - e si tratta - di contemperare esigenze e valori diversi. Forse il collega Cento sottovaluta il profilo della conservazione anche ai fini che qui rilevano - le richieste del procuratore antimafia - cioè quelli del perseguimento di determinati specifici reati.
A noi sembra che la soluzione ricercata ed ottenuta, anche con il prezioso ausilio del Garante per la privacy, sia giusta ed esprimiamo soddisfazione anche perché la riformulazione che è stata elaborata in Commissione modifica molto il testo originario, anche sotto alcuni aspetti strettamente legali. Mi riferisco al fatto che ora i dati possono essere acquisiti con decreto motivato non più d'ufficio, ma solo su istanza del pubblico ministero e delle parti, ed anche al fatto che la nuova formulazione garantisce i principi prescritti a garanzia dell'interessato, non con riferimento solo all'accesso e al trattamento dei dati personali, ma anche alla loro utilizzazione.
Riteniamo quindi che la soluzione raggiunta, anche attraverso il voto sull'emendamento esaminato poc'anzi, in relazione alla posta elettronica, sia una soluzione di grande equilibrio, chiamati come siamo alle nuove sfide della «democrazia elettronica», che ci porta sempre a dover fare dei difficili contemperamenti tra diversi valori in gioco, una valutazione difficile, ma assolutamente necessaria (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Cento 3.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 422
Votanti 419
Astenuti 3
Maggioranza 210
Hanno votato sì 21
Hanno votato no 398).
Prendo atto che l'onorevole Tabacci non è riuscito a votare.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Mascia 3.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).
(Presenti 418
Votanti 409
Astenuti 9
Maggioranza 205
Hanno votato sì 14
Hanno votato no 395).
Prendo atto che l'onorevole Tabacci non è riuscito a votare.
Passiamo alla votazione dell'emendamento Siniscalchi 3.12.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Siniscalchi. Ne ha facoltà.
VINCENZO SINISCALCHI. Signor Presidente, anche io manifesto soddisfazione per la sensibilità mostrata dalla Commissione e dal Governo nell'esprimere parere favorevole su questo emendamento, che intendo illustrare rapidamente per richiamare l'attenzione degli onorevoli colleghi su uno dei tratti in origine più allarmanti del decreto-legge in esame, dal punto di vista giuridico e dal punto di vista della corretta legislazione.
Risparmio ciò che è stato affermato rispetto alla «tangenzialità» del presente decreto-legge nei confronti di alcuni beni costituzionali che sono certamente cari a tutti; tuttavia la finalità che si pone l'emendamento che ci accingiamo a votare è quella di sopprimere - ed invito i colleghi a consentirlo, così come hanno convenuto la Commissione e lo stesso Governo - il tentativo di introdurre una singolare forma di decretazione, che doveva occuparsi delle modalità con le quali procedere alla conservazione dei dati e soprattutto, cosa peggiore, al loro trattamento.
In altri termini, si è tentato originariamente - anche se per finalità che forse possono essere comprensibili, ma che non devono confliggere con l'ordinamento - di delegare ad una serie di incaricati la possibilità di accesso e di trattamento dei dati sia telefonici, sia relativi alla posta elettronica. Il provvido voto sull'emendamento Folena 3.13 ci ha allontanato (ed è merito di tutta l'Assemblea) dal riferimento alla posta elettronica; tuttavia, resta il problema di chi deve disciplinare le modalità di accesso a questa archiviazione, sia pure temporanea, dei dati. E non è un problema da poco.
Ebbene, abbiamo chiesto - e ribadisco la nostra soddisfazione per il parere favorevole espresso sia dalla Commissione sia dal Governo - che tutto ciò non potesse essere disciplinato da un decreto del ministro della giustizia. Ci sembra veramente assurdo, infatti, che, in una materia così delicata, che deve coinvolgere addirittura incarichi assegnati a personale tecnico per l'accesso e per il trattamento dei dati, venga sostanzialmente escluso il Garante per la protezione dei dati personali (cui dobbiamo, per la verità, buona parte delle modifiche approvate in questa Assemblea), coinvolto solamente per un parere di conformità su ciò che, nelle intenzioni del Governo, doveva essere individuato con decreto del ministro della giustizia, sentiti i ministri per l'innovazione e le tecnologie e quello dell'interno.
In altri termini, si è tentato di trasformare un'operazione di polizia, vale a dire un'operazione extra giurisdizionale, in un'attività veramente invasiva all'interno dei dati, rimessa ad una disciplina discrezionale, praticata anche con metodi discrezionali. Ecco il motivo per cui abbiamo voluto segnalare, d'intesa anche con i colleghi appartenenti agli altri gruppi, tale grave anomalia.
Auspico, infine - mi riferisco all'autorevole esponente del Governo, che sappiamo essere molto sensibile su tali materie -, che in occasione di successive decretazioni d'urgenza, ancorché omnibus, non si verifichino più queste forme di introduzione, quasi surrettizie, di norme così «sconvolgenti» - se mi è consentito il termine -, come quella che ha portato alla modifica dell'articolo 132 di un provvedimento, il decreto legislativo n. 196, approvato soltanto nel 2003. Ecco il motivo per cui siamo lieti di votare a favore del mio emendamento (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Siniscalchi 3.12, accettato dalla Commissione e dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 403
Votanti 400
Astenuti 3
Maggioranza 201
Hanno votato sì 397
Hanno votato no 3).
Prendo atto che l'onorevole Giuseppe Gianni non è riuscito ad esprimere il proprio voto.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento 0.6.0100.1 della Commissione, accettato dal Governo.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 398
Votanti 396
Astenuti 2
Maggioranza 199
Hanno votato sì 220
Hanno votato no 176).
Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Acquarone. Ne ha facoltà.
LORENZO ACQUARONE. Signor Presidente, nel richiamare la cortese attenzione del sottosegretario Vietti, espongo la mia personale posizione su questa delicata materia.
Non sono pregiudizialmente contrario alle innovazioni proposte dal Governo. Tuttavia, osservo che si tratta di istituti fondamentali per l'organizzazione giuridica del nostro Stato. Premetto anche che ho il massimo rispetto per la Corte suprema di cassazione, per la Corte dei conti, per il Consiglio di Stato (le cui aule normalmente frequento) e per l'Avvocatura dello Stato. Tali organi hanno una struttura consolidatasi nel tempo: probabilmente, vi è bisogno di innovazioni, ma occorre tenere conto del fatto che si tratta di materie delicate. Avete sentito il Consiglio superiore della magistratura per quel che riguarda la Corte di cassazione? Cosa ne pensa? Avete sentito il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ed il Consiglio di presidenza della Corte dei conti? Avete svolto un'istruttoria?
Vorrei che lei, signor sottosegretario, ci spiegasse, oggi, quali ragioni funzionali richiedano tali modificazioni ai vertici dei suddetti organi. Se lei fornisce spiegazioni serie, io non sono pregiudizialmente contrario. Peraltro, l'argomento è così delicato che, a mio avviso, avrebbe richiesto non solo una discussione in Commissione, ma anche audizioni di tutti gli addetti ai lavori, al fine di verificare se effettivamente queste modifiche migliorino o meno la struttura degli organismi seri e delicati i cui vertici vengono intaccati dal provvedimento.
Signor sottosegretario, le chiedo di volere cortesemente spiegare all'Assemblea quali ragioni abbiano indotto a presentare un articolo aggiuntivo ad un disegno di legge di conversione di un decreto-legge per introdurre - con urgenza - una modifica così rilevante.
Si aggiunge, poi, il problema delle nomine a questi posti, che, naturalmente, sono vacanti. Per la Corte di cassazione, il Consiglio superiore della magistratura ha potestà decisionale. Per quanto concerne la Corte dei conti ed il Consiglio di Stato, invece, ho l'impressione che i rispettivi Consigli di presidenza abbiano soltanto un potere di proposta e che la nomina spetti al Governo. Spetta sicuramente al Governo la nomina per quanto riguarda l'Avvocatura generale dello Stato, atteso che si tratta di organo ausiliario del Governo. Allora, in una materia così delicata, nella quale anche le nomine possono essere rimesse alla discrezionalità - non vorrei dire all'arbitrio - del Governo, vorrei sapere quali criteri avete scelto, avete determinato, ai fini del conferimento di incarichi di così alto prestigio.
Ripeto: può benissimo essere che il Governo abbia ragione! Non lo so. Non lo so perché il Governo non ce lo spiega. Il Governo non ci ha detto per quali ragioni vi sia bisogno, con urgenza, di avere un procuratore generale aggiunto presso la Corte suprema di Cassazione, un presidente aggiunto del Consiglio di Stato, un presidente aggiunto ed un procuratore generale aggiunto della Corte dei conti ed un avvocato generale aggiunto presso l'Avvocatura
generale dello Stato. Può darsi che il Governo abbia ragione. Non lo so, ma chiedo al sottosegretario Vietti di volerci cortesemente dare spiegazioni (stavolta, non c'è una relazione, non c'è nulla, perché è stato presentato un articolo aggiuntivo).
Allo stato, la mia non è una posizione di contrarietà, ma di attesa: delle spiegazioni che il Governo - così mi auguro - vorrà darci.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mantini. Ne ha facoltà.
PIERLUIGI MANTINI. Grazie signor Presidente.
Debbo rivolgermi al sottosegretario Vietti, oltre che per invitarlo a fornire chiarimenti, anche per esprimergli tutto il nostro stupore per questo modo di procedere e per la presentazione di questo articolo aggiuntivo scaturito da un intervento assolutamente estemporaneo in Commissione. Esso è stato inserito nel disegno di legge di conversione del decreto legge in spregio - debbo dirlo - anche alla Costituzione, perché, in tal modo, si altera completamente l'oggetto del decreto-legge.
Ricordo che, già quindici mesi or sono, il Capo dello Stato, in un messaggio alle Camere, rinviò un decreto-legge su diversa materia per lo stesso tipo di problema. Infatti, nel corso dell'esame del disegno di legge di conversione, non si possono inserire elementi e materie estranee all'oggetto del decreto-legge. È del tutto evidente che il decreto-legge non recava disposizione alcuna - neanche di contesto - sulla materia ora forzosamente inserita, vale a dire l'istituzione di alcune figure apicali nei ruoli della magistratura, in particolare il procuratore generale aggiunto presso la Cassazione, la nuova figura del presidente aggiunto del Consiglio di Stato, del presidente aggiunto della Corte dei conti e dell'avvocato generale aggiunto.
Richiamo le osservazioni del collega Acquarone, che condivido, circa i diversi meccanismi di nomina e la delicatezza di queste previsioni. Non mi dichiaro pregiudizialmente ostile al merito, ma il metodo, in questo caso, è assolutamente dirimente: è sostanza. Più volte, cerchiamo di incrociare argomenti per creare un clima positivo di confronto per le riforme sulla giustizia, ma a me sembra che, invece, si proceda in modo assolutamente arbitrario, arrogante ed inusitato, perché l'inserimento e la previsione, nei vertici della nostra magistratura, di queste figure doveva essere, quanto meno, oggetto di audizioni formali (non informali) e di un confronto, tanto più che siamo alla vigilia dell'esame, in questo ramo del Parlamento, della riforma complessiva dell'ordinamento giudiziario.
Dunque, esprimo stupore, meraviglia e contrarietà. Non vorrei che, da una parte, si portassero avanti i «pacchetti» Castelli sulla giustizia che, se posso dire, signor Presidente, mi ricordano alcune opere d'arte contemporanea ed artisti come Javacheff Christo (che amava impacchettare i monumenti e le città; Castelli ama «impacchettare» la magistratura, per lo meno, quello vorrebbe esserne il disegno) e, dall'altra, si usassero misure che sembrerebbero tentare un approccio - absit injuria verbis - clientelare, quasi un tentativo di comprare un po' di benevolenza attraverso nuovi ruoli e un aumento di funzione e di indennità (anche questo, infatti, è previsto).
Dovremo cercare di uscire da questo circuito schizofrenico. Chiedo al sottosegretario Vietti di chiarirci, sia pure fuori tempo (sarebbe stato meglio farlo con un altro metodo, in un'altra sede), le vere ragioni di questo importante intervento di riforma dei ruoli della magistratura per capire se esso si colloca come correttivo rispetto al «pacchetto» Castelli, ossia all'ordinamento giudiziario, o come manovra che anticipa tali contenuti, in coerenza con gli stessi: ma allora, perché farlo attraverso queste misure? Mi chiedo se, invece, siamo in presenza di una sorta di verifica strisciante; voi, infatti, la verifica, la state attuando in questo modo: non riuscite a realizzarla nella sede politica propria, con le responsabilità che avreste dinanzi al paese, perciò la fate togliendo
ed inserendo provvedimenti che esprimono punti di vista parziali dei programmi dei singoli partiti di questa lacerata e sbandata coalizione di Governo.
Vorrei concludere invitando una volta per tutte il sottosegretario Vietti e il Governo ad intervenire in modo diverso in materia di riforma della giustizia, poiché proseguendo in questa maniera non avrete né il consenso nostro né quello del paese (Applausi dei deputati del gruppo della Margherita, DL-l'Ulivo).
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MICHELE GIUSEPPE VIETTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, i colleghi Acquarone e Mantini sono troppo esperti per non sapere che questo emendamento risponde ad esigenze reali e profonde, che attengono all'organizzazione degli uffici in questione (dalla Cassazione al Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti all'Avvocatura).
Come è noto e come i colleghi sanno, questi organismi della nostra struttura giurisdizionale sono presieduti da figure di vertice, che riuniscono in sé una serie molto ampia di responsabilità. Esse sono a capo di strutture molto complesse, articolate, numerose, che debbono quotidianamente affrontare e gestire situazioni molto delicate che rientrano nei compiti e nelle funzioni degli uffici e che possono anche presentare caratteri di imprevedibilità. Ebbene, come è noto, queste figure, allo stato, non dispongono di vicari, di supplenti, di persone che possano, in caso di impedimento o di assenza del capo dell'ufficio, svolgere le medesime funzioni.
Questa è, molto semplicemente, la ratio della proposta emendativa in esame. Non per nulla la rubrica dell'articolo si intitola: posizioni vicarie nelle giurisdizioni superiori. Dunque, la volontà è quella di fornire alle funzioni di vertice delle giurisdizioni la possibilità di avvalersi di vicari nel caso - l'articolato lo afferma esplicitamente - di assenza o di impedimento del capo dell'ufficio. Peraltro, come la norma stessa stabilisce, all'introduzione di questo posto di aggiunto corrisponde la soppressione di un posto di avvocato generale in Cassazione e di vice avvocato generale nell'Avvocatura; dunque, l'equilibrio interno degli uffici sostanzialmente non cambia, si crea soltanto una posizione che è in grado di svolgere funzioni vicarie.
Per quanto riguarda i criteri di nomina, francamente non vedo quale possa essere il problema; i criteri di nomina risponderanno alle regole interne di ciascuno degli uffici vigenti. Quindi, si procederà ad identificare chi dovrà ricoprire questo posto in ruolo attraverso le norme vigenti, che riguardano ciascuna di queste magistrature superiori.
Infine, per quanto riguarda la compatibilità della proposta emendativa in esame con l'ordinamento giudiziario, credo che il problema non sussista. Si tratta di un'ipotesi che non è prevista nel testo del Senato, ma sulla quale mi sembra non ci sia alcuna contraddizione.
La domanda dell'onorevole Acquarone sul «perché ora» non può che avere una risposta opinabile, ma, poiché noi crediamo che esista una sostanziale ragione oggettiva per dotare i vertici di queste giurisdizioni di un supplente, di un sostituto, di un vicario, di un braccio destro, questo può a tutti gli effetti essere considerato un momento opportuno per farlo. Non mi illudo con questa risposta di aver convinto i colleghi Acquarone e Mantini, ma spero di avere almeno fornito qualche elemento utile a giustificare la presentazione di questo emendamento.
GERARDO BIANCO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GERARDO BIANCO. Signor Presidente, il sottosegretario Vietti è sicuramente persona di grande garbo, di grande finezza e di notevole lucidità. Tuttavia, anche per lui è difficile trovare un filo razionale per una legge guazzabuglio, che potremmo definire
«quel pasticciaccio brutto di via Arenula». Questo, infatti, è praticamente il risultato del provvedimento in esame.
Confesso che, pur essendo di media intelligenza, non riesco a raccapezzarmi. Sto votando come un automa, secondo le indicazioni, in materie disparate: il tribunale delle acque, i presidenti, la privacy. Lo dico con molta franchezza, signor Presidente: pensavo che, discutendo del tribunale delle acque, forse il Governo avrebbe potuto avanzare una proposta più ragionevole, ossia inserire, fra i tre ingegneri esperti, anche un enologo, perché in realtà l'acqua ha a che vedere con il vino e non con altre materie.
PRESIDENTE. Non sia così pessimista...
GERARDO BIANCO. Evidentemente, la creatività del Governo e del ministro riesce a rimescolare le cose, fino al punto da produrre un pasticcio che non fa certo onore alla razionalità della legislazione del nostro paese (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 6.0100 del Governo, accettato dalla Commissione, nel testo subemendato.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).
(Presenti 396
Votanti 391
Astenuti 5
Maggioranza 196
Hanno votato sì 213
Hanno votato no 178).
Passiamo alla votazione dell'emendamento 7.100 del Governo.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fanfani. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE FANFANI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, questo è il peggiore degli emendamenti che potevate presentare e, in merito ad esso, vi chiedo, ancora una volta, una riflessione.
I colleghi della Camera devono riflettere su ciò che facciamo perché, se fossimo privati cittadini e non fossimo coperti dalla titolarità dell'esercizio della funzione legislativa, una cosa di questo tipo sarebbe un reato. Infatti, stiamo attribuendo l'indennità di trasferta anche ai magistrati che hanno la residenza a Roma, anche a quelli che risiedono in piazza Cavour davanti alla Cassazione, e ciò non è possibile.
Un articolo della legge finanziaria che abbiamo approvato un mese fa stabiliva che l'indennità di trasferta per i magistrati della Cassazione spetta a coloro che fossero residenti fuori dal distretto della Corte d'appello di Roma. Ciò mi sembrava anche giusto: se un magistrato viene da Trento o da Catania è giusto che gli si paghi la trasferta. Cancellare questa norma ed affermare che tutti hanno diritto alla trasferta, anche quelli che risiedono davanti al «Palazzaccio», è aberrante: vuol dire che si è voluto dare un aumento di stipendio incontrollato a tutti. Ve la sentite di approvare una norma di questo tipo solo perché lo ha detto il ministro Castelli? Mi rivolgo a tutti i parlamentari con laicità di pensiero, perché qui dentro ho combattuto contro tutte le leggi di favore che il Governo o qualche potente facevano per sé. Oggi dico che le leggi di favore non se le possono fare neanche i magistrati!
Allora, voi della maggioranza avete il dovere morale ed etico - prima ancora del dovere di parlamentari, titolari del mandato del popolo - di dire «no» a questa norma. Invito, pertanto, il Governo a ritirare questo emendamento (Applausi dei deputati dei gruppi della Margherita, DL-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo e di Rifondazione comunista).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Finocchiaro. Ne ha facoltà.
ANNA FINOCCHIARO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la norma introdotta con l'ultima legge finanziaria ed approvata un mese fa recava una misura molto ragionevole, ossia un ristoro per i magistrati addetti alla Cassazione che risiedessero fuori dal distretto della Corte d'appello di Roma. Aveva, tra l'altro, una funzione che ritengo assolutamente apprezzabile: fare in modo che in Cassazione potessero arrivare, per davvero, i magistrati più motivati e preparati da tutte le parti del paese, senza che, per questo, dovessero soffrire un danno economico certamente rilevante per la loro presenza a Roma nei giorni dell'udienza.
Era, quindi, un'indennità di trasferta; l'emendamento del Governo la trasforma in un'indennità di funzione. È, in qualche modo, la stessa norma già contenuta nel provvedimento di riforma dell'ordinamento giudiziario nel testo presentato al Senato; disposizione che appunto, in quella versione, prevedeva che, per il solo fatto di essere magistrato di Cassazione, si godesse di un'indennità di funzione. Voglio ricordare che in quel caso dalla sezione dell'Associazione nazionale magistrati di Cassazione si manifestò contrarietà avverso la decisione di istituire tale indennità. Tale pronunciamento fu espresso anche in ragione della circostanza (a mio avviso, un dato da tenere presente) che è già in corso, tra l'Associazione nazionale magistrati ed il Ministero - come il ministro Castelli, oggi, ha riferito con grande correttezza nella Commissione giustizia di questo ramo del Parlamento -, una concertazione circa i livelli retributivi.
Si badi bene che le questioni essenziali che si pongono circa i livelli retributivi non concernono certo i magistrati di Cassazione; a mio avviso, due sono le problematiche più importanti. La prima riguarda l'indennità di maternità per le colleghe; l'altra si riferisce ai giovani uditori: come sapete, appena nominati, nella normalità dei casi si viene inviati fuori sede. Si tratta di ragazzi che, con uno stipendio certamente superiore alla media - ma non altissimo - devono affrontare le spese di viaggio e, soprattutto, quelle di installazione presso la sede assegnata. Sede nella quale, spesso, svolgono un'attività giudiziaria che richiede l'obbligo della residenza; dunque, di tale norma, a pensar male, si potrebbe dire che è animata dall'intento di captatio benevolentiae. Non voglio fare alcuna retorica ma molti di voi, forse, ricorderanno con piacere come durante gli anni del terrorismo - quando molti magistrati insieme a molti giornalisti e politici cadevano sotto il fuoco delle brigate rosse - fu la magistratura italiana a rifiutare l'indennità speciale per i pubblici ministeri impegnati nei processi di terrorismo. (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo). Peraltro, sussistono ragioni di buonsenso, specie se, in ipotesi, consideriamo il caso di un giudice di Cassazione il quale si occupi della materia civilistica, venendo a Roma per svolgere doverosamente, con dignità ed alacrità, il suo lavoro in occasione delle udienze fissate per il mese. Non moltissime: molti sono, invece, i provvedimenti da redigere; impegno che, però, può essere svolto tranquillamente a casa. Ebbene, perché detto magistrato dovrebbe avere uno stipendio maggiore rispetto, per esempio, al procuratore della Repubblica di Torino, di Roma, di Palermo o di Napoli o di qualunque altra città? Magistrati, questi ultimi, la cui responsabilità è certamente molto più elevata e che svolgono un carico di lavoro ben maggiore.
Per tale ragione credo che al nostro voto contrario si aggiungerà anche quello di molti colleghi; non si tratta di argomentazioni politiche o ideologiche: sono motivazioni di buonsenso che rimandano ad un secondo momento la valutazione complessiva dei livelli retributivi della magistratura. Abbiamo assistito ad una caduta di stile che può, in qualche modo, velare l'operato del Governo ma anche l'operato di quei magistrati - forse è il caso di dirlo, atteso che il ministro Castelli l'ha ricordato - che, oggi, in Cassazione, in centoventi hanno firmato a favore della proposta emendativa in questione. Lasciamo
la situazione com'è, in nome della ragionevolezza e del buonsenso, e affrontiamo complessivamente, senza delegittimare nessuno, la trattativa su livelli contributivi.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Trantino. Ne ha facoltà.
ENZO TRANTINO. Signor Presidente, sostengo che qualunque sia la lettura che si voglia dare all'iniziativa assunta da parte di alcuni colleghi ed ora criticata, un fatto è certo: aderirvi pigramente o nascondersi dietro la lucina bianca dell'astensione o decidere di non votare o fingere di non aver capito sono atteggiamenti assolutamente più gravi che motivare il consenso. Personalmente, voglio motivare un dissenso, in quanto sono convinto che creeremmo sacche di agevolazioni materiali ma grandissimi disagi psicologici. Inoltre, violeremmo la par condicio di altri magistrati che sicuramente hanno, a volte, carichi di lavoro ben maggiori rispetto a coloro che noi vorremmo gratificare. Ciò porterebbe, peraltro, ingiuria alla convinzione secondo la quale i magistrati italiani - quelli della Cassazione di cui ci stiamo occupando - sarebbero tra i più preparati d'Europa. Infatti, esporremmo sicuramente a possibili ironie questa preparazione ove si dovesse insistere sul punto che - come è stato detto dal collega Fanfani - quanti si trovano ad abitare di fronte al cosiddetto Palazzaccio meritino una indennità. Forse, per l'attraversamento della strada: quella, sì, una indennità di rischio, atteso il traffico esistente a Roma.
Allora sì: se siamo nelle condizioni di stabilire che debba esservi una mascheratura di una retribuzione che non si è avuto il coraggio di determinare come tale, a questa operazione mi sottraggo e dichiaro che voterò contro la proposta del Governo.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vitali. Ne ha facoltà.
LUIGI VITALI. Signor Presidente, sento la necessità di intervenire per due ordini di motivi. Innanzitutto, perché in Commissione, in sede di Comitato ristretto, ad un primo esame di questo emendamento ero stato tra coloro che avevano votato contro. In secondo luogo, perché dopo l'intervento dell'onorevole Fanfani, ritengo opportuno cercare di spiegare ai colleghi che tutto questo scandalo e questo allarmismo non c'è se interpretiamo in maniera specifica la normativa.
Probabilmente, un errore il Parlamento lo ha fatto, ma non lo farà in questa circostanza. L'errore è stato fatto nel momento in cui, all'interno della legge finanziaria, è stata prevista un'indennità per i magistrati di Cassazione fuorisede. Ebbene, si deve sapere che è obbligo dei magistrati, come di tanti altri funzionari pubblici, avere la residenza nel luogo dove viene esercitata la funzione, a meno che non vi sia una deroga autorizzata dal Consiglio superiore della magistratura. Tale deroga non potrà mai essere disposta con oneri a carico dell'amministrazione. Evidentemente, l'errore è stato fatto nella legge finanziaria dando un'indennità ai magistrati di Cassazione che non avevano la residenza e rispetto ai quali era stata autorizzata la deroga. In ogni caso, una volta introdotto tale elemento, legittima è l'insurrezione degli altri magistrati di Cassazione che hanno invece la residenza a Roma e si ritengono sperequati.
L'emendamento in esame - e, ripeto, parlo in tale maniera dopo aver espresso al riguardo, in prima battuta, un voto contrario - ripristina la situazione precedente alla legge finanziaria. Avremmo dovuto avere il coraggio di revocare il beneficio concesso dalla legge finanziaria. Tuttavia, la storia ci insegna che, concesso un beneficio, è molto più facile estenderlo agli altri che revocarlo per tutti.
Ciò non toglie che vi sia la necessità di equiparare le indennità dei magistrati che sono ferme da molti anni. Tuttavia, si tratta di un problema che non riguarda il decreto-legge in esame.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Enzo Bianco. Ne ha facoltà.
ENZO BIANCO. Signor Presidente, vorrei dire brevemente al collega Vitali che usa un argomento abbastanza strano: poiché abbiamo sbagliato una volta, facciamo bene a sbagliare la seconda!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto a titolo personale l'onorevole Bonito. Ne ha facoltà.
FRANCESCO BONITO. Signor Presidente, vorrei ribadire anch'io l'assoluta illogicità delle conclusioni tratte dal collega Vitali, attese le sue premesse. In primo luogo, non so se abbiamo sbagliato in sede di legge finanziaria allorché abbiamo riconosciuto l'indennità di missione ai consiglieri di Cassazione fuorisede rispetto alla capitale. Il legislatore si prefisse un obiettivo molto preciso: lo abbiamo spiegato in precedenza, giova ribadirlo.
PRESIDENTE. Brevemente, però...
FRANCESCO BONITO. Sarò brevissimo, signor Presidente.
Abbiamo una Cassazione formata da giudici di Roma: ciò non è rappresentativo della realtà nazionale. Con quell'intervento nella legge finanziaria abbiamo cercato, tutti quanti insieme, di restituire alla Cassazione la rappresentatività e l'articolazione nazionale che essa deve avere. Approvando l'emendamento governativo, l'indennità di missione diventa incremento di retribuzione. Ciò è doppiamente iniquo, perché premiamo con un incremento di retribuzione i magistrati che oggi, per tabella, hanno il massimo del trattamento economico e ci dimentichiamo di tutto il resto della magistratura italiana.
Non dimentichiamo, poi, che anche da parte nostra, cari colleghi della maggioranza, ci potrà essere una rivendicazione salariale, dal momento che le nostre retribuzioni sono agganciate a quelle dei consiglieri di Cassazione. Se questa missione non è più tale, ma ha tutte le caratteristiche strutturali, essenziali e direi costituzionali di una voce della retribuzione, anche noi potremmo chiedere quell'indennità di missione che oggi viene negata a tanti altri di magistrati che ne avrebbero più bisogno.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.
BRUNO TABACCI. Intervengo a titolo personale, invitando, se possibile, il Governo a ritirare questo emendamento, perché non vorrei essere messo nella condizione di dover esprimere un voto contrario su di esso. A parte il fatto che tale emendamento toccherebbe il rapporto tra gli stipendi dei magistrati di Cassazione e quelli dei parlamentari, nel senso che in teoria ci potrebbe essere un'evoluzione per trascinamento, quello che si evince dalla lettura dello stesso è che si chiede di trasformare un'indennità di missione in un'indennità di funzione, che entra a far parte dello stipendio e dunque avrà anche delle conseguenze previdenziali.
Mi sembra una questione mal posta, sulla quale invito la Commissione e il Governo a riflettere, per evitare di andare ad un voto scomposto.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maura Cossutta. Ne ha facoltà.
MAURA COSSUTTA. Ringrazio sia l'onorevole Tabacci sia l'onorevole Trantino, perché mi sembra che anche loro stiano sostenendo, come noi, che questo emendamento del Governo è scritto innanzitutto male, nel senso che fa confusione rispetto alla norma cui si riferisce.
Francamente non sarei voluta intervenire, ma dato che oggi le Commissioni riunite II e XII hanno affrontato il tema della medicina penitenziaria, chiedo - a parte il fatto che sento frasi fuori luogo, secondo cui i magistrati si sentirebbero sperequati, quando invece nel nostro paese ci sono drammi e questioni sociali ben più
gravi; peraltro, la questione della giustizia non si risolve con questa indennità di funzione concessa ai magistrati di Cassazione - quale sarebbe la copertura finanziaria. Lo chiedo proprio perché, in sede di Commissioni riunite, ripetutamente, da parte sia dell'opposizione sia della maggioranza, sono stati posti problemi serissimi, che attengono alla tenuta del sistema della medicina penitenziaria, per i quali però non ci sarebbe una lira.
Chiedo allora al ministro Castelli, il quale - quando noi abbiamo chiesto quale fosse la copertura -, ha detto che c'è capienza - cosa vuol dire «c'è capienza». Se c'è capienza, allora che si traduca in atti concreti, per esempio a difesa della medicina penitenziaria. Invito, quindi, il Governo a ritirare questo emendamento per ragioni di buonsenso, di logica e, direi di più, per la decenza delle cose che dite (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Comunisti italiani e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Mazzoni. Ne ha facoltà.
ERMINIA MAZZONI. Ho chiesto la parola, signor Presidente, stimolata dall'intervento dell'onorevole Tabacci, il quale appartiene al gruppo dell'UDC, che in questo momento rappresento al tavolo del Comitato dei nove. Ritengo, pertanto, doveroso spiegare, in particolare ai componenti del mio gruppo, quale è stato l'iter sviluppatosi in Commissione rispetto al tema del quale si sta discutendo.
Sull'emendamento in esame - sul quale è stato formulato un invito al ritiro non solo dall'onorevole Tabacci, ma anche da altri colleghi - vorrei precisare, rendendo in tal modo edotta anche l'Assemblea su quanto è stato fatto, che un invito al ritiro è già stato manifestato in termini molto forti al Governo dalla Commissione giustizia. Quest'ultima, in sede di Comitato dei nove, ha infatti espresso un parere contrario su questo emendamento, invitando il Governo a precisare, in particolare il contenuto della proposta, nonché i suoi contenuti economico-finanziari, cioè la copertura.
Rispetto a tale richiesta, il ministro è venuto in aula per fornirci chiarimenti sia sulla copertura finanziaria dell'emendamento, assumendosi anche la responsabilità dei dubbi paventati con riferimento al collegamento e all'effetto di trascinamento che esso potrebbe determinare, sia nel merito dell'emendamento stesso, che non fa che riprodurre, per la categoria dei magistrati di Cassazione, un meccanismo già applicato per altre categorie.
Indubbiamente, vi è una perplessità, che posso condividere, rispetto alla procedura utilizzata, cioè alla proposta del Governo, avanzata al termine dei lavori, di intervenire ulteriormente, poiché il provvedimento è già abbastanza articolato. È stata evidenziata una necessità, come ha spiegato il ministro in Commissione, e pertanto non credo si determineranno quei danni così gravi che si sono immaginati. Qualora, tuttavia, vi fosse la possibilità di riflettere ulteriormente, quindi di accantonare l'emendamento per esaminare la materia oggetto del provvedimento con un approfondimento diverso, onde evitare qualunque rischio, il nostro gruppo non sarà contrario.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Filippo Mancuso. Ne ha facoltà.
FILIPPO MANCUSO. Signor Presidente, sono consapevole della mia assoluta relatività parlamentare, sicché sempre meno frequenti sono i miei interventi in quest'aula; quando ciò avviene, è perché una pulsione intellettuale e morale tramuta la facoltà in obbligo: e questo è uno di quei casi.
Per tanti anni ho fatto parte della Corte di Cassazione e di quell'onore mi sento tuttora rivestito. Era un'epoca in cui normalmente la contestazione nei confronti della suprema magistratura avveniva sulle riviste giuridiche e sui testi dottrinali. E tuttavia era cominciata una forma di contestazione dell'attività della Cassazione e, indirettamente, dei suoi componenti che
attingeva a determinati sentimenti ed a determinate esperienze collettive.
Ciò malgrado, mai avevo assistito ad un fatto vilipendioso ed insultante nei confronti della Cassazione come con questo provvedimento, nel quale si fa balenare, contro ogni principio di logica (di ciò parlerò fra poco) e di necessità, un atto di compiacenza servile; ma i giudizi si vincono o con le buone ragioni o con le buone difese. Dopo la proroga a 75 anni dell'età di pensionamento dei magistrati, si tratta davvero di un ulteriore errore, forse anche nei presupposti obliqui con il quale esso viene agito.
Sta di fatto che nessuna motivazione si impone in questo caso per una licenza di tale genere. Non vi sono motivi funzionali, perché se la cosiddetta indennità è collegata alla situazione di disagio dovuto al fuori sede, ciò non può investire coloro che, invece, sono in sede; se, invece, riguarda la funzione di Cassazione, osservo che, secondo l'ordinamento attuale, la posizione dei magistrati operanti in Cassazione è simmetrica, anzi corrispondente a quella di coloro che, con la stessa veste legittimante, svolgono attività di merito (per esempio, il presidente di sezione di Corte d'appello non è altro che un consigliere di Cassazione dislocato sul territorio).
Dunque, perché questo abuso? Dunque, perché questo insulto? Ciò non è giustificabile da nessun punto di vista e, se vi è stato un gruppo di magistrati chi si è reso attivo in tal senso, lo capisco, ma non posso tollerare, con la responsabilità di aver vissuto un'intera parte dell'esperienza professionale in quel mondo, che si stabilisca, anche da parte del Parlamento, il torto, l'offesa di un prezzo.
Aggiungo, signor Presidente, che non sono mai stato iscritto all'Associazione nazionale dei magistrati e - come forse le è noto - nei confronti di determinati comportamenti di magistrati, mai però della istituzione come tale, sono stato più volte critico in quest'aula e al di fuori della stessa. Tuttavia, questa volta non posso esimermi dal sottolineare che la stessa Associazione dei magistrati, oggi, ha licenziato un comunicato a proposito di questo emendamento governativo, di cui vi dovreste vergognare. Infatti, quello stesso Governo che per altre voci attacca la magistratura, con questo emendamento la compiace e tenta di corromperla (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista e Misto-Comunisti italiani)! Si parla dunque di viva protesta, in quanto si rompe l'unità del trattamento retributivo, trattandosi di una voce aggiuntiva che non ha causa. Aggiungo che il «vizietto» dell'incostituzionalità sembra essere divenuto una moda piacevole.
Dato quanto abbiamo premesso, vale a dire l'equiparazione dei magistrati di Cassazione ai consiglieri di Stato, ai consiglieri della Corte dei conti, ai magistrati di merito che hanno quella qualifica, rispetto ai quali si interrompe la continuità logica della retribuzione, sorge ancora una volta un problema di costituzionalità, che prima o dopo verrà alla luce.
Perché, ancora una volta, dobbiamo mettere a disagio istituzioni, che appartengono a tutti, non attraverso singoli casi e singole persone, ma investendole di un insulto implicito che, francamente, vorrei fosse respinto consapevolmente e non per scelta occasionale della politica (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo)?
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gironda Veraldi. Ne ha facoltà.
AURELIO GIRONDA VERALDI. Signor Presidente, duole - e non poco - ad un parlamentare che si è iscritto ad un gruppo facente parte della Casa delle libertà dover o poter esprimere un voto contrario su un emendamento del Governo. Tutto ciò dispiace, in quanto potrebbe apparire una mancanza di lealtà rispetto all'impegno assunto.
Nei limiti delle mie modestissime possibilità, raccomando che, in questa situazione,
non sia espresso un voto contrario; ritengo che, dal punto di vista parlamentare, vi sia la possibilità di farlo. Il ritiro è molto più proficuo del rigetto; infatti, il ritiro consente di riprodurre questo tema nell'ambito di un equilibrio generale. Mi sono soffermato sulla motivazione fornita dal collega Vitali: si tenta di evitare una disparità di trattamento che si è realizzata nel momento in cui, con la legge finanziaria, è stata prevista un'indennità per coloro che provengono da fuori.
Ma vi rendete conto che quest'indennità è stata decisa sull'illecito? Noi i problemi li rileviamo semplicemente nelle situazioni d'emergenza; è da anni che, nell'ambito della funzione che ho esercitato anche come presidente del consiglio dell'Ordine, vado predicando che i magistrati devono risiedere sul posto. C'è un obbligo tassativo sanzionabile quantomeno dal punto di vista disciplinare ed, esasperando i termini, anche dal punto di vista penale. Duole, infatti, ad un difensore registrare una condanna a sei mesi di reclusione di un operaio o di un impiegato che si sia allontanato dal posto di lavoro senza timbrare, e poi rilevare che per giorni interi qualche magistrato non sia presente in sede.
Fatta questa premessa, credo sia utile rinviare questo provvedimento e, quindi, soprassedere a questa decisione. Dico ciò perché o equipariamo il trattamento rispetto a tutti i magistrati di Cassazione oppure ci troviamo in una situazione veramente di iniquità, di irritualità e di illegalità.
PRESIDENTE. Onorevole Gironda Veraldi, si avvii a concludere, anche perché per il suo gruppo era già intervenuto il collega Trantino.
AURELIO GIRONDA VERALDI. Ho già concluso, Presidente. Quando qualche volta, per fortuna non spesso, mi viene rivolto un invito alla brevità da un giudice cui ho l'onore di parlare, lo accetto perché vuol dire che sono stato efficace nell'intervento (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia).
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo non desidera intervenire.
Passiamo, dunque, ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 7.100 del Governo, accettato dalla Commissione.
(Segue la votazione).
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni - Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, della Margherita, DL-l'Ulivo, di Rifondazione comunista, Misto-Comunisti italiani e Misto-Verdi-l'Ulivo).
(Presenti 391
Votanti 380
Astenuti 11
Maggioranza 191
Hanno votato sì 97
Hanno votato no 283).
Poiché il disegno di legge consiste in un unico articolo, si procederà direttamente alla votazione finale.