Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: I temi dell'attività parlamentare nella XVI Legislatura - Cittadinanza e immigrazione
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 8
Data: 15/03/2013
Descrittori:
CITTADINANZA   DIRITTI DEGLI STRANIERI
IMMIGRAZIONE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.

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Indice

Cittadinanza e immigrazione 1
Asilo 2
L'asilo nella XVI legislatura 5
La politica di asilo dell'Unione europea 8
Spagna: nuova legge sul diritto d'asilo 14
Cittadinanza 16
La cittadinanza: quadro normativo vigente 18
Immigrazione 26
L'attività parlamentare e di governo in materia di immigrazione nella XVI legislativa 31
La disciplina dell'immigrazione 45
La gestione delle frontiere esterne dell'Unione europea 50
Integrazione 54
L'integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente nel territorio dell'UE 58
Libera circolazione dei cittadini europei 61
Recepimento della direttiva rimpatri 64

Cittadinanza e immigrazione

Le politiche sull’immigrazione si ispirano a due princìpi fondamentali: l’integrazione degli stranieri regolari e il contrasto all'immigrazione clandestina.

All’inizio della XVI legislatura, particolare attenzione è stata rivolta al contrasto dell’immigrazione irregolare e dei reati ad essa connessa.

Il “pacchetto sicurezza”, una serie di misure legislative adottate dal governo pro tempore a partire dal maggio 2008, anche se non ha modificato l'impianto generale della disciplina, contiene numerose disposizioni che intervengono sull’immigrazione illegale, recando anche alcune disposizioni in materia di integrazione. I provvedimenti del pacchetto sicurezza (tra cui il decreto-legge 92/2008, e la legge 94/2009) sono stati oggetto di un ampio ed acceso dibattito parlamentare, nel corso del quale sono state apportate diverse modifiche a punti importanti dei testi originariamente presentato dal Governo. Tra le innovazioni principali introdotte dal pacchetto, si segnala l’introduzione del reato di immigrazione clandestina.

Anche la disciplina dell’asilo è stata modificata con il pacchetto sicurezza.

Disposizioni relative al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari sono state adottate con il decreto legge 89/2011 di attuazione della direttiva comunitaria 2004/38/CE.

Uno strumento volto a rendere più efficace il contrasto all’immigrazione clandestina è la stipula da parte del Governo di una serie di accordi internazionali. Il Parlamento ha in proposito ratificato un accordo con la Libia finalizzato al rafforzamento della collaborazione nella lotta al terrorismo ed all’immigrazione clandestina (L. 7/2009).

All’inizio del 2011, a causa della crisi politica dei Paesi del Nord Africa, si è registrato un massiccio afflusso di profughi in Italia (oltre 60.000 persone) cui si è fatto fronte con la dichiarazione dello stato di emergenza (chiuso il 31 dicembre 2012) e l’adozione di numerose misure di protezione civile.

Il pacchetto sicurezza è intervenuto anche sul versante dell’integrazione, introducendo, tra l'altro, l'accordo di integrazione che lo straniero deve sottoscrivere per ottenere il permesso di soggiorno.

A livello dell'organizzazione istituzionale, il principio ha portato, nel novembre 2011, alla nomina, finora senza precedenti, di un Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l'integrazione.

Partendo dalla consapevolezza che il riconoscimento della cittadinanza costituisce il punto di arrivo del processo di integrazione dello straniero, la Camera ha esaminato nel corso della legislatura diverse proposte di riforma dell'acquisto della cittadinanza, senza tuttavia pervenire alla approvazione di un testo.

Asilo

L'Italia riconosce il diritto di asilo e aderisce alle norme internazionali sui rifugiati. Nella XVI legislatura, nell'ambito del c.d. "pacchetto sicurezza", sono state apportate alcune modifiche alla disciplina, approvata nella precedente legislatura, sul riconoscimento dello status di rifugiato

Diritto di asilo e status di rifugiato

Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell’uomo ed è riconosciuto dall’art. 10 della Costituzione, allo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge.

Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l’istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest’ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito specifici atti di persecuzione.

Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è ancora stato attuato: manca una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero pur in assenza di una disciplina apposita.

Il riconoscimento dello status di rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l’adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (L. 772/1954), che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea. La convenzione è stata poi sostituita dal Regolamento n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003 (c.d. Dublino II).

Il recepimento delle direttive europee

Nella XV legislatura la materia ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera del decreto legislativo 251/2007 e del successivo decreto legislativo 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (direttiva “qualifiche”) il secondo della direttiva 2005/85/CE (direttiva “procedure”).

Nella legislatura in corso il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato è stato modificato in più punti dal D.Lgs. 159/2008, parte integrante del “pacchetto sicurezza”.

Tra le modifiche principali apportate alla disciplina previgente:

Anche la legge 94/2009, recante disposizioni in materia di sicurezza, è intervenuta sul procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato introducendo la facoltà per il Ministro dell’interno di partecipare al giudizio in caso di ricorso contro le decisioni relative alle domande di riconoscimento (art. 1, comma 13).

Verso un Sistema comune europeo di asilo

Il programma di Stoccolma per lo Spazio di libertà sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo del dicembre 2009, ha previsto la creazione di un Sistema comune europeo di asilo (CEAS-Common european Asylum System), fondato su una procedura comune di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo o la protezione sussidiaria.. La realizzazione del Sistema comune europeo di asilo, che dovrebbe essere compiuta entro il primo semestre 2013, si basa essenzialmente sulla modifica degli strumenti legislativi attualmente vigenti, volta a uniformare gli standard di accoglienza, limitare il fenomeno ancora esistente delle domande multiple (c.d. “asylum shopping”) e offrire maggiore assistenza agli Stati membri più fortemente esposti.

In tale quadro sono all’esame delle istituzioni UE proposte legislative in materia di:

Oltre che sulla revisione dell’attuale quadro giuridico, la realizzazione del Sistema europeo comune di asilo si baserà sul rafforzamento della cooperazione pratica tra gli Stati membri, attraverso il pieno sviluppo delle potenzialità degli strumenti già esistenti, quali l’Ufficio europeo di sostegno all’asilo e il Programma comune per il reinsediamento dei rifugiati, e l’introduzione di nuovi meccanismi, quali il sistema di ricollocazione interna

Il dibattito parlamentare sui respingimenti

Il Parlamento ha dibattuto le questioni legate all’asilo in occasione di un’informativa del Ministro dell’interno (Senato, seduta del 25 maggio 2009) che ha riferito sui respingimenti di immigrati clandestini su imbarcazioni intercettate in acque internazionali. Il Ministro ha dichiarato che la politica che il Governo persegue è in linea con gli impegni contenuti nel Patto europeo sull'immigrazione e sul diritto di asilo, firmato nell'ottobre 2008.

Il Comitato parlamentare Schengen, ha svolto una indagine conoscitiva sul diritto di asilo, immigrazione ed integrazione in Europa, deliberata il 25 ottobre 2011.

 

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: L'asilo nella XVI legislatura



Il pacchetto sicurezza

Nella XVI legislatura il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al D.Lgs. 25/2008 è stato modificato in più punti dal D.Lgs. 159/2008.

Il provvedimento fa parte del “pacchetto sicurezza” approvato dal Consiglio dei ministri tenutosi a Napoli il 21 maggio 2008: una serie di misure legislative in materia di sicurezza dove ampio spazio è dedicato alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.

L’intervento normativo, come emerge dalla relazione illustrativa dello schema trasmesso alle Camere per il parere, è stato predisposto al fine di evitare l’uso strumentale della domanda di asilo come mezzo per permanere in Italia senza essere in possesso dei requisiti.

Tra le modifiche principali alla disciplina previgente si ricorda l’introduzione della possibilità da parte del prefetto di stabilire un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare e il trasferimento del potere di nomina delle commissioni territoriali per l’esame delle domande dal Presidente del Consiglio al Ministro dell’interno.

Inoltre, lo straniero che risulta già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento, nel caso in cui presenti domanda di protezione internazionale, deve rimanere nel centro di identificazione ed espulsione nel quale si trova (si tratta degli ex centri di permanenza temporanea e assistenza, così ridenominati dal D.L. 92/2008).

Anche la legge sulla sicurezza (L. 15 luglio 2009 n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), uno dei pilastri del pacchetto, reca una disposizione che incide sul procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato: si prevede la possibilità per il Ministro dell’interno di partecipare al giudizio in caso di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni relative alle domande di riconoscimento (art. 1, comma 13).



L'emergenza umanitaria del Nord Africa

Dopo una fase di sostanziale diminuzione dei flussi migratori, si è registrata nel 2011 una forte ripresa degli sbarchi legata alla crisi che ha attraversato i Paesi del Nord Africa. Sono stati oltre 60.000, in gran parte profughi, gli stranieri sbarcati sulle coste italiane nel 2011 (Camera dei deputati, Intervento del Sottosegretario Ruperto in risposta all’interpellanza urgente n. 2-01434, seduta del 10 maggio 2012).

In relazione a tale afflusso massiccio è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria in tutto il territorio nazionale fino al 31 dicembre 2011 (D.P.C.M. 12 febbraio 2011), poi prorogato al 31 dicembre 2012 (D.P.C.M. 6 ottobre 2011).

La dichiarazione dello stato di emergenza ha consentito l’adozione dell’ordinanza di protezione civile del Presidente del consiglio del 18 febbraio 2011, n. 3924, che ha adottato i primi provvedimenti di urgenza per fronteggiare la situazione tra cui la nomina del Capo della protezione civile quale Commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari in materia. Ad essa sono seguite numerose altre ordinanze (13 aprile 2011, n. 3933, 21 aprile 2011, n. 3934, 21 aprile 2011, n. 3935, 16 giugno 2011, n. 3947, 26 luglio 2011, n. 3955, 10 agosto 2011, n. 3958, 6 settembre 2011, n. 3962, 21 settembre 2011, n. 3965, 30 settembre 2011, n. 3966, 21 ottobre 2011, n. 3970, 30 settembre 2011, n. 3966, 21 ottobre 2011, n. 3970, 30 dicembre 2011, n. 3991, 10 settembre 2012, n. 19, 9 novembre 2012, n. 24, 23 novembre 2012, n. 26).

Nel marzo 2011, successivamente all’intervento militare in Libia, ed in previsione di un ulteriore afflusso di profughi, il Governo, le regioni e gli enti locali hanno sancito un accordo che prevede un piano di accoglienza straordinario, con il concorso delle regioni e gli enti locali, per distribuire fino a 50.000 profughi nel territorio italiano. La definizione di tale flusso territoriale è stata demandata a una cabina di regia nazionale, coordinata dal Governo, con le regioni e gli enti locali ed articolata nelle diverse realtà regionali, coinvolgendo le Prefetture.

Il 5 aprile 2011 è stata sottoscritta a Tunisi una intesa tra Italia e Tunisia che impegna le autorità del Paese nordafricano a rafforzare i controlli per evitare nuove partenze e ad accettare il rimpatrio diretto per i nuovi arrivi in Italia .

Ai cittadini provenienti dei Paesi nordafricani sbarcati in Italia è stato concesso un permesso di soggiorno temporaneo per protezione umanitaria, per consentire la loro libera circolazione nei Paesi dell'area Schengen (D.P.C.M. 5 aprile 2011). La durata del permesso di soggiorno, inizialmente fissata a 6 mesi, è stata poi prorogata di altri 6 mesi dal D.P.C.M. 6 ottobre 2011 e di ulteriori 6 mesi dal D.P.C.M. 15 maggio 2012.

Il 31 dicembre 2012 è stata dichiarata la cessazione dello stato di emergenza e il rientro nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell’interno e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l’afflusso di cittadini stranieri sul territorio nazionale (Ordinanza del Capo Dipartimento della protezione civile 28 dicembre 2012, n. 33). L’ordinanza prevede l’adozione da parte dei prefetti di percorsi di uscita dei profughi dalle strutture di accoglienza. Una nota del Ministero del’interno del 18 febbraio 2012, prevede che le risorse residue sono sufficienti a garantire per 60 giorni il regime ordinario di accoglienza. Dopo tale periodo si prevede la corresponsione di 500 euro a persona quale misura di uscita. Con il D.P.C.M. del 28 febbraio 2013 è stata disciplinata la cessazione delle misure umanitarie di protezione temporanea dei rifugiati, prevedendo che essi possano presentare, entro il 31 marzo 2013, domanda di rimpatrio assistito nel Paese di provenienza o di origine, oppure possano presentare domanda di conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in permessi per lavoro, famiglia, studio e formazione professionale. In mancanza di una di queste due opzioni si prevede l'espulsione.



L'attività conoscitiva del Parlamento

Nel maggio 2009 il Ministro dell’interno pro tempore è intervenuto al Senato sulle questioni dell’immigrazione e dell’asilo, anche per fornire informazioni sui respingimenti di immigrati clandestini su imbarcazioni intercettate in acque internazionali avvenuti nei giorni precedenti (Informativa del Ministro dell’interno su questioni connesse all’immigrazione e conseguente discussione, Senato della Repubblica, seduta 25 maggio 2009, n. 214).

Il Ministro ha dichiarato che la politica che il Governo persegue è in linea con gli impegni contenuti nel Patto europeo sull'immigrazione e sul diritto di asilo, firmato nell'ottobre 2008, i cui principi sono: organizzare l'immigrazione legale, tenendo conto delle priorità, dei bisogni e delle capacità di accoglienza stabilite da ciascun Stato membro e favorirne l'integrazione; combattere l'immigrazione clandestina assicurando il ritorno degli stranieri in posizione irregolare nel Paese di origine; rafforzare l'efficacia dei controlli alle frontiere dell'Unione europea; costruire un'Europa dell'asilo; creare un partenariato globale con i Paesi di origine e di transito degli immigrati che favorisca le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo.

Tra le questioni che l’Italia ritiene prioritarie il Ministro ha ricordato l'individuazione di meccanismi di garanzia del diritto d'asilo Unione europea-UNHCR al di fuori del territorio dell'Unione, in particolare nei Paesi del Nord-Africa e l’applicazione da parte comunitaria, in particolare per i richiedenti asilo, del principio del burden sharing, principio di solidarietà per l'accoglienza e la distribuzione dei richiedenti asilo su tutto il territorio dell'Unione europea.

Il Comitato parlamentare Schengen ha svolto una indagine conoscitiva (deliberata il 25 ottobre 2012) sul diritto di asilo, immigrazione ed integrazione in Europa. Il Ministro dell’interno Cancellieri, nell’audizione del 25 settembre 2012, sulla necessità di creare un sistema comune europeo di asilo, ha precisato che l’obiettivo che l’Unione Europea intende realizzare è la creazione di un’area comune di protezione e solidarietà, basata su una procedura standard di richiesta d’asilo e su uno status uniforme a favore di coloro cui è stata garantita la protezione internazionale.

Approfondimento: La politica di asilo dell'Unione europea

Gli obiettivi della politica europea in materia di immigrazione e asilo, elaborati sulla base delle disposizioni contenute negli articoli da 77 a 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono contenuti nel programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009. Si segnala, in particolare, l'articolo 80 TFUE che afferma il principio di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra Stati membri per le politiche di immigrazione e asilo, anche sul piano finanziario.

Nel quinquennio di riferimento l’Unione europea si è impegnata a sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo con gli obiettivi principali di istituire un sistema comune d'asiloche garantisca alle persone bisognose di protezione un accesso garantito a procedure di asilo giuridicamente sicure ed efficaci, e di controllare e contrastare l’immigrazione clandestina, anche in considerazione della crescente pressione esercitata sugli Stati membri alle frontiere esterne, tra cui quelle meridionali.

La realizzazione del Sistema europeo comune di asilo (CEAS-Common european Asylum System) si basa essenzialmente sulla modifica degli strumenti legislativi attualmente vigenti al fine di istituire una procedura comune e uno status uniforme per coloro che abbiano ottenuto  l'asilo o la protezione sussidiaria. L’attuazione completa è prevista nel corso del primo semestre 2013.

Elemento integrante del Sistema europeo sarà inoltre il pieno sviluppo degli strumenti di cooperazione pratica tra Stati membri e con le istituzioni UE competenti.



La modifica della normativa UE vigente

Nell’ambito dei lavori per la realizzazione del  Sistema europeo comune di asilo, il 13 dicembre 2011 è stata approvata la Direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

Permangono tuttora all’esame delle istituzioni UE le seguenti proposte legislative:

Si ricorda infine che l’11 maggio 2011 è stata approvata la direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio che estende ai beneficiari di protezione internazionale l’ambito applicazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

La realizzazione del Sistema comune europeo di asilo, costitusce l’ esito ultimo di un processo di progressivo avvicinamento delle legislazioni nazionali in materia le cui tappe sono state delineate nei programmi pluriennali per lo spazio di libertà sicurezza e giustizia, succedutisi a partire dal 1999. La prima fase del processo (1999-2004, con i programmi pluriennali di Tampere e dell’Aia) ha comportato l'adozione di un importante numero di strumenti giuridici che istituiscono norme minime comuni circa le condizioni di accoglienza per richiedenti asilo (direttiva 2003/9/CE), le procedure di asilo (direttiva 2005/85/CE) e i requisiti per l'attribuzione della qualifica di persona bisognosa di protezione internazionale (direttiva 2004/83/CE), ma anche norme per la determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo (il cosiddetto "sistema di Dublino"). Il cd sistema di Dublino, attualmente in vigore,  si basa essenzialmente sul Regolamento (CE) n. 343/2003 (regolamento Dublino II) volto a determinare quale Stato membero sia competente ad esaminare una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri dell’Unione europea. Attraverso il regolamento è stato integrato nel quadro giuridico dell’unione il contenuto della preesistente Convenzione di Dublino relativa alla competenza degli Stati membri nel trattamento delle domande.  

La seconda fase del processo, attualmente in corso e recante la definitiva realizzazione di un sistema comune europeo di asiloprevede, come già ricordato, la revisione della citata normativa vigente.

Le modifiche al Regolamento Dublino II

Ai sensi del Regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio (cd. regolamento Dublino II) un unico Stato membro è competente per l’esame di una domanda d'asilo. Se un cittadino di un paese terzo chiede asilo in uno Stato membro diverso da quello che risulta competente ai sensi del regolamento, quest’ultimo prevede una procedura di trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente, secondo i seguenti criteri: criteri relativi al principio dell'unità del nucleo familiare (Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato, è competente per l'esame della domanda di asilo lo Stato membro nel quale si trova legalmente un suo familiare); criteri relativi al rilascio di permessi di soggiorno o visti (Lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l’esame della domanda d'asilo); criteri relativi all'ingresso o al soggiorno illegali in uno Stato membro ( Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è competente per l’esame della sua domanda di asilo. Questa responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera).

La proposta di modifica del regolamento, presentata dalla Commissione europea e tuttora all’esame delle istituzioni UE, riformula alcune disposizioni allo scopo di garantire un'applicazione più uniforme del regolamento, introduce una nuova disposizione sullo scambio di informazioni utili prima del trasferimento, e, per quanto riguarda i casi di particolare pressione su alcuni Stati membri che presentano capacità limitate di accoglienza e assorbimento, prevede una nuova procedura (meccanismo di emergenza) per consentire la sospensione dei trasferimenti ai sensi della procedura Dublino verso lo Stato membro competente. Tale procedura sarebbe attivabile anche laddove sussista il rischio che, a seguito di un trasferimento secondo Dublino, il richiedente non benefici di norme di protezione adeguate nello Stato membro competente, in particolare in termini di condizioni di accoglienza e accesso alla procedura di asilo.

L’esame della proposta, che segue la procedura legislativa ordinaria, è risultato particolarmente impegnativo, soprattutto per la contrarietà manifestata dalla maggior parte degli Stati membri nei confronti l’introduzione del meccanismo di emergenza. Al fine di raggiungere un accordo, l’8 giugno 2012 il Consiglio ha formalmente presentato la proposta di introdurre, in alternativa o parallelamente al meccanismo di emergenza, un meccanismo di allarme rapido, di preparazione e di gestione delle crisi. Tale meccanismo sarebbe volto a valutare il funzionamento pratico dei regimi nazionali in materia di asilo, assistere gli Stati membri in stato di necessità ed evitare crisi in materia di asilo. e si concentrerebbe pertanto sull'adozione di misure intese a evitare lo sviluppo delle crisi in materia di asilo piuttosto che affrontarne le conseguenze a posteriori. L’Italia si sarebbe espressa favorevolmente sia sul meccanismo di allarme rapido che sul meccanismo di emergenza. Nel corso del mese di novembre 2012, nell’ambito di negoziati informali, il Consiglio e il Parlamento europeo hanno concordato un testo di compromesso che esclude la sospensione dei trasferimenti ma prevede il meccanismo di allarme rapido, di preparazione e di gestione delle crisi. Il testo prevede tuttavia che uno Stato membro, destinatario di una domanda di asilo ma non competente a trattarla, prosegua comunque l’esame della domanda qualora il trasferimento del richiedente verso lo Stato membro responsabile della procedura ai sensi del regolamento sia considerato impossibile a causa, ad esempio, di gravi inefficienze in materia di procedure e di condizioni di accoglienza riscontrate in tale Stato. Il Consiglio ha raggiunto l’accordo politico sul testo di compromesso nella riunione del 6 dicembre scorso. Il Parlamento europeo dovrebbe approvare formalmente il testo nella seduta del prossimo 16 aprile.



Strumenti della cooperazione pratica

Ufficio europeo di sostegno all’asilo (EASO)

Tra le misure di cooperazione pratica si segnala che dal giugno 2011 è operativo l’Ufficio europeo di sostegno all’asilo con sede a La Valletta. (direttore esecutivo: Robert Visser).

Istituito con il Regolamento (UE) n.439/2010 l’Ufficio ha le seguenti finalità:

Per quanto riguarda la dimensione esterna, in accordo con la Commissione, l'Ufficio di sostegno coordina gli scambi di informazioni e altre azioni relativamente al reinsediamento intraprese dagli Stati membri con l'obiettivo di far fronte alle esigenze di protezione internazionale dei rifugiati nei paesi terzi e di dar prova di solidarietà ai paesi di accoglienza. Nell'ambito del suo mandato, l'Ufficio di sostegno può inoltre cooperare con le autorità competenti dei paesi terzi su aspetti tecnici, in particolare nell'intento di promuovere ed assistere il rafforzamento delle capacità nell'ambito dei sistemi di asilo ed accoglienza di tali paesi terzi, nonché di attuare programmi di protezione regionale e altre azioni pertinenti in grado di fornire soluzioni durature.

Programma europeo di reinsediamento dei rifugiati

L’Unione europea si è inoltre dotata di un programma comune per favorire il reinsediamento dei rifugiati (Comunicazione della Commissione COM(2009)447). Il programma si riferisce esclusivamente ai reinsediamenti negli Stati membri UE, su base volontaria, di persone che già beneficiano di protezione internazionale in un Paese terzo e non riguarda pertanto la redistribuzione interna dei rifugiati tra Stati membri UE.

In questo quadro il 31 marzo 2012 è stata adottata la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce le priorità in materia di reinsediamento dei rifugiati per il 2013, come pure nuove norme sul sostegno finanziario agli Stati membri coinvolti.

In base alla nuova decisione, gli Stati membri che parteciperanno al programma di reinsediamento avranno il diritto di ricevere dal Fondo europeo per i rifugiati un importo fisso pari a:

-  6.000 euro per ciascun rifugiato reinsediato, se lo Stato richiede siffatta compensazione per la prima volta;

-  5.000 euro per rifugiato, se anteriormente lo Stato ha già richiesto una volta tale compensazione;

-  4.000 euro per tutti gli altri Stati.

La decisione introduce inoltre sei priorità dell'UE in materia di reinsediamento per il 2013, che comprendono i rifugiati e gli sfollati nelle seguenti regioni:

-  rifugiati congolesi della regione dei Grandi Laghi (Burundi, Malawi, Rwanda, Zambia);

-  rifugiati provenienti dall'Iraq in Turchia, Siria, Libano e Giordania;

-  rifugiati afghani in Turchia, Pakistan e Iran;

-  rifugiati somali in Etiopia;

-  rifugiati birmani in Bangladesh, Malaysia e Thailandia;

-  rifugiati eritrei nel Sudan orientale.

Verso un sistema europeo di ricollocazione

Si segnala infine che nel giugno 2009 la Commissione ha adottato il progetto pilotaEUREMA (EU Relocation Malta Project – Progetto UE di ricollocazione da Malta), cofinanziato dal Fondo europeo per i rifugiati per un importo di circa 2 milioni di euro, per la ricollocazione di 260 beneficiari di protezione internazionali dall’isola di Malta in altri Stati membri, su base volontaria.  Al progetto, la cui prima fase di è conclusa nell’estate 2011, hanno partecipato dieci Stati membri (Francia, Germania, Regno Unito, Portogallo, Lussemburgo, Ungheria, Polonia, Slovenia, Slovacchia e Romania). Per il periodo 2011-2012 otto Stati membri (Belgio, Ungheria, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania e Slovacchia), attraverso la seconda fase del progetto EUREMA, e cinque Stati membri, attraverso accordi bilaterali (Germania, Spagna. Olanda, Irlanda e Danimarca, accordi per la ricollocazione sono stati conclusi anche con Norvegia e Svizzera) si sono impegnati ad accogliere complessivamente 392 rifugiati.

 

Oltre che ad alleggerire la pressione sull’isola, il progetto pilota ha costituito l’occasione per verificare la possibilità di istituire un vero e proprio meccanismo permanente UE di ricollocazione interna, che, su base volontaria, permetta di ridistribuire in termini di maggiore equità tra i diversi Stati membri i beneficiari di protezione internazionale presenti in Stati membri particolarmente esposti al fenomeno, al fine ultimo di garantire standard di accoglienza costantemente adeguati in tutto il territorio dell’Unione europea. Una proposta relativa all’istituzione di tale meccanismo dovrebbe essere presentata dalla Commissione europea nel corso del 2012 (si veda, in particolare, la Comunicazione sul rafforzamento della solidarietà all’interno dell’UE in materia di asilo COM(2011)835 del 2 dicembre 2011).

A tale proposito si segnala che sia il Parlamento europeo, nella risoluzione sul programma di Stoccolma adottata il 25 novembre 2009, che il Governo italiano, in particolare nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del giugno 2009, hanno segnalato l’opportunità che i meccanismi di ricollocazione interna abbiano carattere obbligatorio.

Un’accurata valutazione di EUREMA da parte della Commissione, in collaborazione con Malta e gli altri Stati membri coinvolti, è stata espressamente richiesta dal Consiglio giustizia e affari interni dell’8 marzo 2012, nelle sue conclusioni relative ad un “Quadro comune per una per una reale e concreta solidarietà nei confronti degli Stati membri i cui sistemi di asilo subiscono particolari pressioni”. 



Relazioni con i Paesi terzi

Gli eventi verificatisi in Nord Africa nel corso del 2011 hanno indotto le istituzioni UE ad affrontare il tema del rafforzamento della cooperazione con i paesi della sponda sud del Mediterraneo in materia di immigrazione e sicurezza. Nella Comunicazione del 24 maggio 2011  â€śDialogo con i paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza” (COM(2011)292), la Commissione europea ha presentato proposte politiche e misure operative di lungo termine che investono gli ambiti della migrazione, della mobilità, dell’integrazione e della protezione internazionale.  In seguito alla piena approvazione di tali proposte da parte del Consiglio europeo del 23-24 giugno, l'Unione ha avviato a partire dal mese di ottobre 2011, dialoghi in materia di migrazione, mobilità e sicurezza con la Tunisia e il Marocco e iniziato i preparativi necessari per un dialogo con l'Egitto. Seguiranno dialoghi dello stesso tipo con altri paesi del Mediterraneo meridionale, in particolare con la Libia, non appena la situazione politica lo permetterà.

I dialoghi consentiranno all'UE e ai paesi partner di discutere tutti gli aspetti della loro possibile cooperazione per la gestione dei flussi migratori e della circolazione delle persone, al fine di concludere partenariati per la mobilità.

Il “Dialogo con i paesi del Sud del Mediterraneo per la migrazione, la mobilità e la sicurezza” rientra a pieno titolo tra gli strumenti dell’Approccio globale in materia di migrazione, che costituisce l’orientamento politico generale in materia, elaborato dall’Unione europea a partire dal 2005.

A tale proposito si ricorda che il documento “Approccio globale in materia di migrazione: azioni prioritarie incentrate sull'Africa e il Mediterraneo”, fu adottato nel 2005, in attuazione del programma dell’Aia per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2005-2009. E’ del 18 novembre 2011 la comunicazione “L’approccio globale in materia di migrazione e mobilità” (COM(2011)743), nella quale i principi già delineati nel 2005 vengono aggiornati alla luce dell’evoluzione normativa dell’Unione europea e dei recenti cambiamenti nel Mediterraneo del Sud. L’approccio globale mira a formulare politiche coerenti ed integrate che abbraccino tutte le fasi del fenomeno (cause di fondo, politiche in materia di ingresso e ammissione, politiche in materia di integrazione e rimpatrio) facendo convergere le attività di differenti settori (sviluppo, affari sociali e impiego, relazioni esterne, giustizia e affari interni) e promuovendo una stretta collaborazione con i paesi d’origine e di transito, ispirata ai principi di solidarietà e condivisione delle responsabilità.

Approfondimento: Spagna: nuova legge sul diritto d'asilo

Ley 12/2009, de 30 de octubre, reguladora del derecho de asilo y de la protección subsidiaria (BOE núm. 263)

La legge spagnola n. 12 del 2009 sostituisce la precedente legge del 1984 sul diritto di asilo. L’esigenza di una riscrittura della normativa in materia discende anche dall’obbligo di uniformare la legislazione spagnola alla normativa dell’Unione europea, in particolare per ciò che riguarda il sistema europeo comune di asilo.

La legge si compone di sei titoli e diciassette disposizioni aggiuntive, transitorie e finali.

Il Titolo preliminare (artt. 1-5) contiene le disposizioni generali. L’art. 2 contiene la definizione di diritto d’asilo come la protezione garantita ai cittadini non comunitari o apolidi a cui è riconosciuta la condizione di rifugiato ai sensi della legge e della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e del relativo Protocollo. L’art. 3 definisce la condizione di rifugiato come quella riconosciuta alla persona che, avendo giustificato timore di essere perseguitata per motivi di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche, appartenenza a un determinato gruppo sociale, di genere od orientamento sessuale, si trovi fuori dallo Stato di cui possiede la cittadinanza e non possa ovvero, in ragione di tale timore, non intenda chiedere la protezione di tale Stato, oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi per i motivi suddetti fuori dal Paese in cui risulta domiciliato, non possa o non voglia tornarvi. L’art. 4 reca la definizione di protezione sussidiaria come il diritto garantito al soggetto che, pur non avendo i requisiti per l’asilo o per la condizione di rifugiato, si trovi fuori dal Paese di origine e non possa ritornarvi in quanto teme rischi reali di danni gravi (ad esempio, pena di morte o tortura).

Il Titolo I (artt. 6-15) concerne la protezione internazionale ed è diviso in tre capitoli, dedicati rispettivamente alle condizioni per il riconoscimento del diritto d’asilo (artt. 6-9), alle condizioni per la concessione del diritto alla protezione sussidiaria (artt. 10-12) e alle disposizioni comuni (artt. 13-15). L’art. 6 disciplina gli atti di persecuzione, stabilendo che essi devono essere sufficientemente gravi per loro natura o carattere reiterato e costituire una violazione grave di diritti fondamentali, ovvero costituire un accumulo grave di misure diverse, inclusa la violazione di diritti umani; l’art. 7 definisce dettagliatamente i vari motivi di persecuzione; l’art. 8 prevede le cause di esclusione della condizione di rifugiato, tra cui l’essere ritenuti colpevoli di crimini di guerra, di crimini contro l’umanità o contro la pace, di atti contrari ai principi dell’ONU, o l’essere condannati per un delitto grave. L’art. 10 elenca i danni gravi per i quali è prevista la protezione sussidiaria e che comprendono la condanna alla pena di morte o l’esecuzione materiale, la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti, le minacce gravi contro la vita e l’integrità. L’art. 11 prevede le cause di esclusione dalla protezione sussidiaria, tra cui l’aver commesso un crimine di guerra oppure un delitto contro la pace o l’umanità. L’art. 13 definisce gli agenti della persecuzione, che sono identificati nello Stato, nei partiti - o nelle organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte - e in agenti non statali, incluse le organizzazioni internazionali. L’art. 14 identifica gli agenti di protezione: lo Stato, i partiti od organizzazioni, anche internazionali, che controllano lo Stato o una sua parte.

Il Titolo II è inerente alle regole procedimentali per il riconoscimento della protezione internazionale (artt. 16-38) ed è diviso in sei capitoli: presentazione della domanda (artt. 16-22), espletamento delle domande (artt. 23-29), condizioni di accoglimento delle domande (artt. 30-33), intervento dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (artt. 34-35), effetti della decisione (artt. 36-37), richieste di protezione internazionale in ambasciate e consolati (art. 38). L’art. 16 sancisce il diritto all’assistenza sanitaria e giuridica delle persone che chiedono la protezione internazionale. Per quanto concerne la domanda, essa deve essere fatta personalmente entro 1 mese dall’ingresso nel territorio spagnolo (art. 17). L’art. 18 sancisce i diritti e gli obblighi dei richiedenti, tra cui il diritto alla sospensione di qualsiasi procedimento di espulsione o estradizione. La domanda può essere presentata anche presso i posti di frontiera, nel caso in cui non si possa entrare in territorio spagnolo (art. 21), nonché presso ambasciate e consolati (art. 38). L’organo competente per le domande è l’Oficina de Asilo y Refugio presso il Ministero dell’Interno (art. 23). L’art. 30 sancisce i diritti sociali generali che spettano ai richiedenti la protezione, a cui può anche essere rilasciata un’autorizzazione al lavoro (art. 32). La concessione del diritto d’asilo o di protezione comporta il riconoscimento dei diritti previsti, oltre che dalla normativa nazionale, dalla citata Convenzione di Ginevra, nonché dalla normativa in materia dell’Unione europea.

Il Titolo III concerne l’unità familiare delle persone beneficiarie della protezione internazionale (artt. 39-41). È sancito il diritto al mantenimento della famiglia della persona beneficiaria (art. 39), è riconosciuta l’estensione del diritto d’asilo o di protezione anche agli ascendenti e discendenti di primo grado (art. 40), nonché il diritto al ricongiungimento familiare (art. 41).

Il Titolo IV tratta della cessazione e della revoca della protezione internazionale (artt. 42-45). L’art. 42 enumera i motivi per cui può cessare la condizione di rifugiato, tra cui la rinuncia volontaria, il rientro nel Paese originario o il trasferimento in altro Stato. L’art. 43 disciplina analoghi casi di cessazione della protezione sussidiaria.

Il Titolo V concerne i minori e le persone vulnerabili (artt. 46-48), intendendosi tra queste anche disabili, anziani, donne incinte (art. 46). L’art. 47 sancisce il diritto dei minori a richiedere la protezione internazionale, nel caso ne ricorrano le condizioni, ricevendo un’assistenza qualificata. L’art. 48 disciplina i minori non accompagnati.

Chiudono il testo le disposizioni aggiuntive e finali. Tra queste, la quinta disposizione aggiuntiva sancisce la cooperazione della Spagna all’interno dell’Unione europea, mentre la sesta stabilisce la collaborazione con le organizzazioni non governative. Il Governo è tenuto a presentare ogni anno un rapporto al Parlamento in materia (ottava disposizione aggiuntiva) ed è autorizzato ad adottare disposizioni regolamentari di applicazione della legge entro sei mesi (terza disposizione finale).

 

 

Cittadinanza

La Camera ha esaminato diverse proposte di riforma dell'acquisto della cittadinanza, senza pervenire alla loro approvazione. Alcune limitate modifiche alla vigente disciplina della cittadinanza sono state introdotte nell'ambito della normativa approvata in materia di sicurezza.

Nell’ambito del “pacchetto sicurezza”, la legge 94/2009, recante disposizioni in materia di sicurezza, è intervenuta, tra l'altro, anche sulla cittadinanza (art. 1, commi 11 e 12):

Come già nelle due precedenti, anche nella XVI legislatura è stata riproposta all’attenzione della Camera dei deputati la questione della riforma della legge sulla cittadinanza (L. 91/1992) per adeguarla al massiccio aumento dei flussi migratori degli ultimi anni.

Nella seduta del 16 dicembre 2008, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha avviato la discussione di una serie di proposte di legge di iniziativa parlamentare in materia (A.C. 103 ed abbinate).

Tra le modifiche discusse, la diminuzione da 10 a 5 anni del periodo di permanenza in Italia per l’acquisto della cittadinanza; l'accertamento della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero; la riduzione della discrezionalità del provvedimento di concessione della cittadinanza, che può essere negato solo per motivi di sicurezza; l'ampliamento dei casi di attribuzione della cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia o che, comunque, abbiano compiuto il percorso di studi in Italia (seconda generazione); l'introduzione della revoca della cittadinanza, in caso di condanna definitiva per gravi delitti; il riacquisto della cittadinanza da parte degli italiani residenti all’estero che l’abbiano perduta a seguito della naturalizzazione nei Paesi di accoglienza.

La Commissione ha conferito mandato alla relatrice di riferire favorevolmente all'Assemblea sul testo presentato, apportandovi modifiche di carattere meramente formale. E' stata altresì presentata una relazione di minoranza, con un testo di carattere alternativo.

Nella seduta del 22 dicembre 2009 ha avuto luogo la discussione sulle linee generali in Assemblea che nella seduta del 12 gennaio 2010, ha deliberato il rinvio in Commissione del testo.

La Commissione ha ripreso l’esame della proposta, svolgendo anche una indagine conoscitiva, interrompendolo nel luglio 2010 senza aver elaborato un nuovo testo.

Successivamente, la Commissione ha deciso di concentrare i lavori su un tema più specifico, ossia sulle modalità di acquisizione della cittadinanza da parte dei minori stranieri. A tal fine, il 14 giugno 2012, è iniziato l’esame di alcune proposte di legge, alcune delle quali già abbinate all’A.C. 103, riferite esclusivamente a tale questione ed in buona parte dirette ad individuare modalità di acquisto della cittadinanza per nascita sul territorio italiano (ius soli) o per frequenza di cicli scolastici o di formazione professionale (ius culturae) (A.C. 2431 e abbinate). Il 31 luglio 2012 si è concluso l’esame preliminare delle proposte di legge, ma la Commissione non è giunta alla definizione di un testo base e l’esame si è interrotto nella seduta dell’8 novembre 2012.

A livello dell'attività amministrativa, si segnala il trasferimento ai prefetti della competenza ad adottare provvedimenti in materia di concessione o diniego della cittadinanza nei confronti di cittadini stranieri coniugi di cittadini italiani (direttiva del Ministro dell'interno 7 marzo 2012).

La competenza sarà, invece, del capo del dipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all'estero, e del ministro dell’Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica. 

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: La cittadinanza: quadro normativo vigente



Acquisto della cittadinanza

La disciplina in materia di cittadinanza fa oggi capo principalmente alla L. 91/1992.

Ai sensi di tale legge, acquistano di diritto alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani (L. 91/1992, articolo 1, comma 1, lettera a)): si tratta della così detta modalità di acquisizione della cittadinanza jure sanguinis.

L’ordinamento italiano riconosce anche il criterio alternativo dello jus soli, pur prevedendolo soltanto in via residuale e per casi limitati a:

La cittadinanza italiana è acquisita anche per riconoscimento della filiazione (da parte del padre o della madre che siano cittadini italiani), oppure a seguito dell’accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione: l’acquisto della cittadinanza nelle due ipotesi illustrate è automatico per i figli minorenni (art. 2, co. 1); i figli maggiorenni invece conservano la propria cittadinanza, ma possono eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un’apposita dichiarazione da rendere entro un anno dal riconoscimento, o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione, o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero nel caso in cui l’accertamento della filiazione sia avvenuto all’estero (art. 2, co. 2).

Sono previste modalità agevolate di acquisto della cittadinanza per gli stranieri di origine italiana: la cittadinanza italiana può essere acquistata dagli stranieri o apolidi, discendenti (fino al secondo grado) da un cittadino italiano per nascita, a condizione che facciano un’espressa dichiarazione di volontà e che siano in possesso di almeno uno di questi requisiti:

Il regolamento di attuazione della L. 91/1992 chiarisce che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, si considera che abbia prestato effettivamente servizio militare chi abbia compiuto la ferma di leva nelle Forze armate italiane o la prestazione di un servizio equiparato a quello militare (ad es. il servizio civile), a condizione che queste siano interamente rese, salvo che il mancato completamento dipenda da sopravvenute cause di forza maggiore riconosciute dalle autorità competenti (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett.b)).

Per l’acquisto della cittadinanza italiana, viene considerato legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett.a)).

Lo straniero che sia nato in Italia può divenire cittadino italiano a condizione che vi abbia risieduto legalmente e ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e dichiari, entro un anno dal compimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana (art. 4, co. 2).

Disposizioni particolari sono dettate per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza da parte di stranieri o apolidi che hanno contratto matrimonio con cittadini italiani (artt. da 5 a 8). Gli stranieri coniugi di cittadini italiani ottengono la cittadinanza, dietro richiesta presentata al prefetto del luogo di residenza dell’interessato, oppure, se residenti all’estero, all’autorità consolare competente, se possono soddisfare, contemporaneamente, le seguenti condizioni:

I requisiti per l’acquisto della cittadinanza per matrimonio sono stati modificati, nell’ambito del “pacchetto sicurezza”, dalla legge 94/2009 (art. 1, comma 11). Quanto all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero o apolide residente in Italia, la disciplina introdotta è più rigorosa sotto due profili: la residenza nel territorio della Repubblica deve essere biennale, e non semestrale, come previsto nel testo previgente; viene specificato che detta residenza biennale deve essere successiva al matrimonio. Un elemento di novità è costituito anche dalla previsione di una riduzione della metà dei termini in presenza di figli nati dai coniugi.

Riepilogando, in base alla novella, la durata minima della residenza necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente in Italia è stata raddoppiata in caso di matrimonio con prole (da sei mesi ad un anno) e quadruplicata in caso di matrimonio senza prole (da sei mesi a due anni); mentre la durata minima del matrimonio necessaria all’acquisto della cittadinanza da parte del coniuge straniero residente all’estero rimane immutata in caso di matrimonio senza prole (3 anni) e subisce un dimezzamento in caso di matrimonio con prole (da 3 anni a 18 mesi).

Si segnala, inoltre, che la direttiva del Ministro dell'interno 7 marzo 2012 ha trasferito ai prefetti la competenza ad adottare provvedimenti in materia di concessione o diniego della cittadinanza nei confronti di cittadini stranieri coniugi di cittadini italiani. La competenza sarà, invece, del capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all'estero, e del ministro dell’Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.

 L’acquisto della cittadinanza può avvenire, infine, per concessione (L. 91/1992, art. 9): in questo caso, a differenza dei procedimenti finora illustrati, che riservano all’autorità margini di intervento molto ristretti, l’emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza è soggetto ad una valutazione discrezionale di opportunità da parte della pubblica amministrazione, pur attenuata dall’obbligo del parere preventivo del Consiglio di Stato.

Il periodo di residenza legale in Italia, graduato in funzione dello status degli stranieri richiedenti, che costituisce il requisito fondamentale per conseguire la cittadinanza secondo tale modalità, deve essere ininterrotto e attuale al momento della presentazione dell’istanza per la concessione della cittadinanza.

Può presentare domanda per ottenere la concessione della cittadinanza italiana il cittadino straniero che si trova in una delle seguenti condizioni:

Ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero va valutato il periodo di soggiorno in Italia assistito da regolare permesso, per cui va esclusa la rilevanza del periodo in cui lo straniero medesimo sia risultato anagraficamente residente nel paese (C. Stato, sez. IV, 07-05-1999, n. 799).

Salvi i casi previsti dall’art. 4 della legge, nel quale si richiede specificamente l’esistenza di un rapporto di pubblico impiego, si considera che abbia prestato servizio alle dipendenze dello Stato chi sia stato parte di un rapporto di lavoro dipendente con retribuzione a carico del bilancio dello Stato (D.P.R. 572/1993, art. 1, co. 2, lett.c)).

L’art. 10 subordina l’efficacia del decreto di concessione della cittadinanza alla prestazione da parte dell’interessato (entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo) del giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato.

La giurisprudenza amministrativa ha indicato alcuni ulteriori requisiti per l’ottenimento della cittadinanza e ha precisato i confini della discrezionalità della pubblica amministrazione con riferimento ai provvedimenti di concessione della cittadinanza, stabilendo inoltre quali siano gli obblighi di motivazione delle decisioni concernenti tali procedimenti.

 Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale; pertanto, ai fini della concessione del beneficio de quo ben possono avere rilievo considerazioni anche di carattere economico-patrimoniale relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (Consiglio di  Stato, sez. IV, 16-09-1999, n. 1474).

L’amministrazione chiamata a decidere sulla domanda di concessione di cittadinanza italiana è tenuta a verificare la serietà sia dell’intento ad ottenere la cittadinanza italiana, sia delle ragioni che inducono ad abbandonare la comunità di origine. È inoltre necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana, l’idoneità professionale, l’ottemperanza agli obblighi tributari e contributivi. Non può essere trascurata l’esigenza di ricomposizione di gruppi familiari, parte dei quali già residenti nel territorio italiano. L’amministrazione deve verificare eventuali cause ostative all’acquisto di cittadinanza, collegate a ragioni di sicurezza della Repubblica ed all’ordine pubblico (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 1423 del 26 ottobre 1988).

L’amministrazione, ai fini della concessione della cittadinanza italiana allo straniero legalmente residente in Italia da almeno dieci anni, può prendere in considerazione tutte le situazioni utili per valutare un’avvenuta integrazione dello straniero; pertanto, sono rilevanti eventuali sentenze penali intervenute a carico degli interessati, in relazione ai fatti a cui tali condanne si riferiscono sia al loro eventuale ripetersi (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 9374, del 20 ottobre 2004,).

Per quanto riguarda il diniego della concessione della cittadinanza italiana, l’amministrazione competente, anche laddove disponga di un’ampia discrezionalità, deve indicare sia pure sinteticamente le ragioni poste a base delle proprie determinazioni (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 366 del 24 maggio 1995).

La cittadinanza può essere concessa, in casi eccezionali, per merito allo straniero che abbia reso notevoli servigi all’Italia, per elevate necessità di ordine politico connesse all’interesse dello Stato (L. 91/1992, art. 9, co. 2).



Doppia (o plurima) cittadinanza

La legge ammette espressamente la possibilità di conservare la cittadinanza italiana pur essendo già in possesso di una cittadinanza straniera ovvero dopo averla acquistata o riacquistata. Chi risiede o stabilisce la residenza all’estero può tuttavia rinunciare alla cittadinanza italiana (L. 91/1992, art. 11).

La disposizione consente, in particolare, il mantenimento della cittadinanza italiana agli italiani emigrati all’estero che acquistano volontariamente la cittadinanza dello Stato in cui risiedono per potersi inserire pienamente nel contesto sociale ed economico del Paese e usufruire del trattamento favorevole riservato ai cittadini.

Non è consentito il possesso di una doppia (o plurima) cittadinanza se vi sono norme internazionali pattizie o norme statali straniere che lo vietino (v. paragrafo successivo).



Perdita della cittadinanza

I cittadini italiani possono rinunciare volontariamente alla cittadinanza italiana purché si trasferiscano, o abbiano trasferito, la propria residenza all’estero e siano titolari di un’altra o di altre cittadinanze (L. 91/1992, art. 11). La facoltà di rinuncia alla cittadinanza italiana in questo caso può essere esercitata soltanto dai cittadini maggiorenni.

Coloro che hanno ottenuto la cittadinanza italiana durante la minore età, in quanto figli conviventi con il genitore che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, hanno la facoltà di rinunciare ad essa (senza limiti di tempo), una volta divenuti maggiorenni, sempre che siano in possesso di un’altra cittadinanza (art. 14).

Può inoltre rinunciare alla cittadinanza italiana il soggetto maggiorenne in possesso di un’altra cittadinanza – anche se risiede in Italia – a seguito di revoca dell’adozione per fatti imputabili all’adottante. La rinuncia deve essere resa entro un anno dalla revoca (art. 3, co. 4).

La revoca dell’adozione per colpa dell’adottato ha come conseguenza la perdita automatica della cittadinanza acquistata da quest’ultimo in virtù dell’adozione, purché egli abbia un’altra cittadinanza o la riacquisti (art. 3, co. 3).

L’art. 12 della L. 91/1992 prevede due ulteriori ipotesi di perdita automatica della cittadinanza italiana:

Per quanto riguarda gli effetti delle norme internazionali pattizie sull’ordinamento italiano, l’art. 26, co. 3, della L. 91/1992 fa salve, in via generale, le disposizioni previste dagli accordi internazionali, affermandone pertanto la prevalenza sulla disciplina interna. In proposito, si ricorda che l’Italia ha sottoscritto e ratificato la Convenzione di Strasburgo del 6 maggio 1963 sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima.

Unitamente all’Austria, al Belgio, alla Danimarca, alla Francia, alla Germania, alla Gran Bretagna, al Lussemburgo, alla Norvegia, ai Paesi Bassi, alla Spagna, alla Svezia e all’Irlanda. La Convenzione è stata ratificata dalla L. 4 ottobre 1966, n. 876.

Si ricorda peraltro che Regno Unito, Irlanda e Spagna hanno aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione (vedi nota successiva). La Germania ha denunciato la Convenzione di Strasburgo il 21 dicembre 2001: di conseguenza, dal dicembre 2002, l’art. 1 della Convenzione non ha effetto neanche nei confronti di tale Stato.

Per quanto riguarda l’assolvimento degli obblighi militari in caso di doppia (o plurima) cittadinanza, il secondo Capitolo della Convenzione (artt. 5 e 6) stabilisce che i cittadini che appartengono a due o più Stati contraenti prestano il servizio militare soltanto nello Stato in cui essi hanno la residenza abituale.

 La Convenzione stabilisce (art. 1, co. 1) che i cittadini, residenti all’estero, degli Stati contraenti perdono la loro precedente cittadinanza qualora acquistino o riacquistino volontariamente la cittadinanza di un altro dei Paesi che hanno sottoscritto e ratificato la Convenzione: essi non possono essere autorizzati a conservare la cittadinanza precedente.

Di conseguenza, il cittadino italiano residente all’estero che acquista volontariamente la cittadinanza di uno dei Paesi contraenti (con esclusione di Regno Unito, Irlanda e Spagna che hanno aderito soltanto al secondo Capitolo della Convenzione, relativo agli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima, e della Germania, che non aderisce più alla Convenzione), perde la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 1 della Convenzione.

La Convenzione di Strasburgo disciplina anche le vicende della cittadinanza dei minorenni, in dipendenza di quelle della cittadinanza dei genitori (art. 1, punto 3; art. 2).

L’Italia ha inoltre ratificato (legge 14 dicembre 1994, n. 703) il Secondo Protocollo di emendamento alla Convenzione di Strasburgo del 1963, sottoscritto, allo stato attuale, anche dalla Francia e dai Paesi Bassi.

In base a tale Accordo, quando un cittadino di una Parte contraente acquisisce la nazionalità di un’altra Parte contraente sul cui territorio è nato e risiede, oppure vi ha risieduto abitualmente a partire da una data anteriore al compimento del diciottesimo anno di età, ciascuna di queste Parti può disporre che conservi la sua nazionalità d’origine. In caso di matrimonio tra cittadini di Parti contraenti diverse, ciascuna di tale Parti può disporre che il cittadino che acquisisce di sua libera volontà la nazionalità del coniuge, conservi la sua nazionalità d’origine.



Riacquisto della cittadinanza

La legge disciplina le modalità per il riacquisto della cittadinanza a favore di coloro che l’hanno perduta e a prescindere dai motivi della perdita.

Il riacquisto avviene con condizioni di particolare favore rispetto a quelle stabilite dall’art. 9 della L. 91/1992 per l’acquisto della cittadinanza per naturalizzazione e, per alcuni aspetti, analoghe a quelle dettate dall’art. 4, co. 1, della L. 91/1992, le quali consentono allo straniero di origine italiana l’acquisto della cittadinanza per beneficio di legge.

Il riacquisto è subordinato, in via generale, alla sussistenza di un legame con l’Italia, che può concretizzarsi in un rapporto di servizio (civile o militare) con lo Stato o nello stabilire la residenza nel Paese.

Può riacquistare la cittadinanza italiana:

La legge permette il riacquisto della cittadinanza, su loro dichiarazione in tal senso, alle donne italiane che l’hanno perduta al momento del matrimonio con uno straniero, avvenuto prima del 1° gennaio 1948, o in conseguenza del cambiamento di cittadinanza del marito (art. 17, co. 2).

Le persone originarie dei territori italiani facenti parte del cessato impero austro-ungarico, che emigrarono all’estero prima del 16 luglio 1920, e i loro discendenti, possono ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana qualora rendano una dichiarazione in tal senso all’ufficiale dello stato civile del comune in cui risiedono o intendono stabilire la propria residenza, oppure davanti all’autorità diplomatica o consolare del luogo di residenza, se residenti all’estero (L. 379/2000, art. 1). La dichiarazione va resa entro un termine che, inizialmente fissato al 20 dicembre 2005, è stato differito di cinque anni dall’art. 28-bis del D.L. 273/2005 per gli emigrati dai territori, già astroungarici, oggi appartenenti allo Stato italiano e per i loro discendenti.

Si tratta dei:

  1. del trattato di pace fra l’Italia e le Potenze alleate ed associate, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947 e reso esecutivo in Italia con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430;
  2. del trattato tra la Repubblica italiana e la Repubblica socialista federativa di Jugoslavia firmato ad Osimo il 10 novembre 1975, ratificato e reso esecutivo in Italia ai sensi della legge 14 marzo 1977, n. 73.

La L. 124/2006 ha infine introdotto due articoli (17-bis e 17-ter) nella L. 91/1992, che consentono il riconoscimento della cittadinanza agli italiani (e ai loro discendenti) che abitavano nei territori dell’Istria, Fiume e Dalmazia, già facenti parti del Regno d’Italia e passati, dopo la seconda guerra mondiale, sotto la sovranità della Repubblica jugoslava e successivamente di Slovenia e Croazia.

 Il diritto alla cittadinanza italiana è riconosciuto ai soggetti che siano stati cittadini italiani e che abbiano risieduto nei territori facenti parte dello Stato italiano e successivamente ceduti alla Repubblica jugoslava in forza del Trattato di pace firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato dalla legge 25 novembre 1952, n. 3054, ovvero in forza del Trattato di Osimo del 10 novembre 1975, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73. Tale diritto è riconosciuto anche ai figli e ai discendenti in linea retta dei soggetti di cui sopra, purché di lingua e cultura italiana.

La cittadinanza non è acquistata ex lege dai soggetti summenzionati, ma solo a seguito della presentazione (e dell’accoglimento) di una apposita istanza. Ciò differenzia l’ottenimento della cittadinanza prefigurato dalla disposizione in esame da quello in passato disposto dall’art. 17 della L. 91/1992, che avveniva automaticamente con la presentazione della apposita dichiarazione.

L’opzione per la cittadinanza italiana prevista dall’art. 17 della L. 91/1992 avrebbe dovuto essere esercitata entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge. Questo termine fu prorogato una prima volta, sino al 15 agosto 1995, dall’art. 1 della L. 736/1994; un’ulteriore proroga al 31 dicembre 1997 intervenne ad opera dell’art. 2, co. 195, della L. 662/1996 (legge collegata alla manovra finanziaria per il 1997).



Contributo per gli atti relativi alla cittadinanza

La legge 94/2009 (art. 1, comma 12), nell’ambito del cd. “pacchetto sicurezza”, ha introdotto il pagamento di un contributo di 200 euro per le istanze o dichiarazioni di elezione, acquisto, riacquisto, rinuncia o concessione della cittadinanza (art. 9-bis, comma 2, L 91/1992).

Il gettito derivante dal contributo è destinato (art. 9-bis, comma 3, L 91/1992):

 E’ stato inoltre previsto che alle istanze o dichiarazioni relative alla cittadinanza deve essere comunque allegata la certificazione comprovante il possesso dei requisiti richiesti per legge (art. 9-bis, comma 1, L 91/1992).

Immigrazione

Gli interventi legislativi in materia di immigrazione sono stati in prevalenza finalizzati al contrasto dell'immigrazione clandestina e sono stati originati da iniziative governative, tra cui quelle del "pacchetto sicurezza". Le Camere hanno esaminato tali misure apportandovi diverse modifiche.

Nella XVI legislatura, soprattutto nella prima metà, le questioni relative all’immigrazione sono state oggetto di dibattito politico e di attività legislativa. In particolare, è stata intensa l’attività legislativa in relazione al contrasto dell’immigrazione clandestina e dei reati ad essa connessa. Si registrano, inoltre, alcuni interventi in materia di integrazione (per tale aspetto si veda il tema Integrazione).

Immigrazione e "pacchetto sicurezza"

I due provvedimenti principali del pacchetto sicurezza, il decreto-legge 92/2008 e la legge 94/2009 recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, dedicano ampio spazio alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione illegale e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.

Fanno parte del pacchetto anche:

Le numerose modifiche apportate da questi provvedimenti alla normativa vigente riguardano vari aspetti delle politiche migratorie, dal diritto dell’immigrazione (l’insieme delle regole e delle procedure relative alla gestione complessiva dei flussi migratori e le sanzioni alle violazioni di tali regole), al diritto all’integrazione (comprendente l’estensione, per quanto possibile, ai migranti dei diritti propri dei cittadini). Tuttavia, gran parte degli interventi nascono dall’urgenza di affrontare i problemi di sicurezza ricondotti al fenomeno migratorio.

Il Parlamento ha altresì dibattuto sulle questioni dell’immigrazione e dell’asilo in occasione di un’informativa del Ministro dell’interno (Senato, seduta del 25 maggio 2009) che ha fornito informazioni sui respingimenti di immigrati clandestini nel Mediterraneo avvenuti nei giorni precedenti.

Nella seduta dell’8 giugno 2011 la I Commissione della Camera ha respinto la risoluzione 7-00478 Zaccaria e ha approvato la risoluzione 7-00578 Bertolini che impegna il Governo a proseguire nell'azione finora intrapresa in materia di politiche per il controllo del fenomeno migratorio.

Sucessivamente, il Comitato parlamentare Schengen ha svolto una indagine conoscitiva sul diritto di asilo, immigrazione ed integrazione in Europa (deliberata il 25 ottobre 2011) nel corso del quale è intervenuto il Ministro dell’interno Cancellieri che ha ribadito la necessità di una politica europea, in materia di controllo delle frontiere esterne dell’Unione, che tenga conto delle peculiarità dei Paesi della sponda nord del Mediterraneo, maggiormente esposti al fenomeno migratorio (seduta del 25 settembre 2012).

Il permesso di soggiorno

Una prima serie di disposizioni del pacchetto sicurezza riguarda l’ingresso e il permesso di soggiorno dei cittadini non comunitari.

La legge sulla sicurezza (legge 94/2009) rende più restrittive le condizioni per l’ingresso in Italia, che è consentito solo in assenza di condanne penali, anche non definitive, per gravi reati.

Il medesimo provvedimento richiede:

È stata invece eliminata dal Parlamento l’abrogazione della disposizione (che pertanto rimane in vigore) secondo cui l’accesso alle strutture sanitarie dello straniero irregolare non può comportare la sua segnalazione all’autorità.

Alla richiesta del permesso di soggiorno, l’immigrato deve poi sottoscrivere un accordo di integrazione (in proposito si veda il tema Integrazione. Per i soggiornati di lungo periodo il rilascio del permesso è subordinato al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.

Le sanzioni penali

Varie disposizioni aggravano le sanzioni per infrazioni connesse con l’immigrazione, o creano nuove fattispecie criminose.

Di particolare rilievo il reato di ingresso e soggiorno illegale, introdotto dalla legge sulla sicurezza.

Inoltre, la legge 94/2009 introduceva una nuova circostanza aggravante comune, che comportava l’aumento della pena fino ad un terzo, se il reato fosse stato commesso da soggetto che si trovasse illegalmente sul territorio nazionale (mod. art. 61 c.p.); la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di tale disposizione in quanto il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica – secondo la Corte - l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato (sent. 249/2010).

In proposito si rinvia all'approfondimento Sicurezza pubblica: profili penali.

L'espulsione

Sono ridefinite anche le regole relative all’espulsione: la legge sulla sicurezza da un lato rende più stringente il rispetto del principio per cui l’espulsione deve essere eseguita di norma con l’accompagnamento forzato alla frontiera e solo in casi ben precisi con il foglio di via; dall’altro reca una complessiva riformulazione dei reati legati all’inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio dello Stato. Si è previsto anche un inasprimento della pena per lo straniero rintracciato nel territorio nazionale dopo essere già stato espulso per non aver ottemperato a una precedente intimazione di allontanamento, ma sulla relativa disposizione è intervenuta la Corte costituzionale dichiarandone la parziale incostituzionalità (sen. 359/2010).

È istituito un Fondo rimpatri per finanziare le spese di rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine o di provenienza.

Inoltre, il sindaco può segnalare alle competenti autorità, giudiziaria o di pubblica sicurezza, la condizione irregolare dello straniero, per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione.

Da ultimo si segnala il decreto-legge 89/2011, di recepimento della direttiva 2008/115/CE (direttiva rimpatri), che apporta modifiche ed integrazioni al testo unico in materia d’immigrazione (si veda in proposito il tema Recepimento della direttiva rimpatri).

L'accordo con la Libia

Il trattato Italia-Libia, ratificato dal Parlamento con la legge 7/2009, prevede il rafforzamento della collaborazione tra i due Paesi nella lotta al terrorismo, alla criminalità e alla immigrazione clandestina, attraverso la creazione di un sistema di controllo delle frontiere terresti libiche e il pattugliamento congiunto in mare con equipaggi misti e mezzi messi a disposizione dall’Italia.

I centri di identificazione ed espulsione

I centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), dove sono trattenuti gli stranieri in attesa di espulsione, sono stati ridenominati centri di identificazione ed espulsione (D.L. 92/2008); per rispondere al grande afflusso di immigrati clandestini sono stati stanziati fondi per l’ampliamento e il miglioramento dei centri (D.L. 151/2008).

Gli stanziamento sono finalizzati anche a far fronte al prolungamento del periodo di trattenimento degli stranieri nei centri, che passa da 60 a 180 giorni. L’aumento della permanenza dei centri anticipava una disposizione prevista dalla citata direttiva rimpatri

Le regolarizzazioni

Il decreto-legge "anti-crisi" ha previsto la possibilità di regolarizzare i lavoratori occupati irregolarmente nelle attività di assistenza personale o del lavoro domestico (decreto-legge 78/2009, convertito dalla legge 102/2009, art. 1-ter). L’intervento riguarda sia i lavoratori stranieri (con o senza permesso di soggiorno) che i lavoratori italiani.

Dal 1° al 30 settembre 2009 i datori di lavoro hanno potuto presentare una dichiarazione di emersione, previo pagamento di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Secondo i dati del Ministero dell'interno sono state presentate quasi 300.000 domande.

Una seconda regolazione è stata disposta dal D.Lgs. 109/2012 di attuazione della direttiva 2009/52/CE, relativa alle sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Il decreto prevede anche una disposizione transitoria volta a permettere ai datori di lavoro di dichiarare l’esistenza di rapporti di lavoro irregolari pregressi.

Le procedure di presentazione delle domande di emersione si sono concluse il 15 ottobre 2012 con l’invio di oltre 130.000 istanze.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: L'attività parlamentare e di governo in materia di immigrazione nella XVI legislativa

Le questioni relative all’immigrazione, ed in particolare il contrasto all’immigrazione clandestina e ai reati connessi, sono stati argomento di dibattito politico fin dall’inizio della XVI legislatura.

Nell’illustrare alle Camere il programma del suo Governo, il Presidente del Consiglio pro tempore ha sottolineato “le difficoltà e i rischi dell'immigrazione selvaggia e non regolata” ed ha indicato la necessità di “assorbire e integrare con ordine e saggezza le immigrazioni” interne ed esterne all’Unione europea (Camera dei deputati, seduta del 13 maggio 2008).



Il pacchetto sicurezza

Il 21 maggio 2008, nel primo Consiglio dei Ministri dopo il voto di fiducia, il Governo ha approvato una serie di misure legislative in materia di sicurezza (il cosiddetto pacchetto sicurezza) dove ampio spazio è dedicato alle disposizioni volte a contrastare l’immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio.

S tratta, in particolare, di:



Il decreto-legge 92/2008

Il decreto-legge 92/2008,Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica (convertito dalla L. 125/2008) contiene diverse misure in materia di immigrazione alcune delle quali riguardano anche gli stranieri comunitari.

Un primo gruppo di disposizioni modificano il codice penale, in particolare:

Inoltre, il decreto introduceva una nuova circostanza aggravante comune, che comportava l’aumento della pena fino ad un terzo, se il reato fosse stato commesso da soggetto che si trovasse illegalmente sul territorio nazionale (mod. art. 61 c.p.); la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità di tale disposizione in quanto il rigoroso rispetto dei diritti inviolabili implica – secondo la Corte - l’illegittimità di trattamenti penali più severi fondati su qualità personali dei soggetti che derivino dal precedente compimento di atti del tutto estranei al fatto-reato (Sen. 5 – 9 luglio 2010, n. 249).

Anche la procedura penale viene modificata dal decreto sicurezza: i procedimenti relativi ai delitti commessi in violazione delle norme in materia di immigrazione vengono inclusi tra quelli per i quali è assicurata priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza.

Un terzo gruppo di disposizioni interviene direttamente a modificare il testo unico del 1998:

Infine, viene conferito ai sindaci il compito di segnalare alle competenti autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza la condizione irregolare dello straniero o del cittadino comunitario per l’eventuale adozione di provvedimenti di espulsione o di allontanamento.



La legge 94/2009

Il decreto-legge 92/2008, sopra brevemente descritto, ha anticipato alcune delle disposizioni del pacchetto sicurezza ritenute dal Governo più urgenti. Un altro nutrito gruppo di interventi è contenuto nella legge n. 94, il cui disegno di legge è stato presentato insieme al decreto legge e poi approvato definitivamente nel luglio 2009.

Per quanto riguarda l’immigrazione, tra le novità principali si segnala l’introduzione di una disposizione volta a sanzionare l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Si tratta di una contravvenzione punibile con l’ammenda da 5 mila a 10 mila euro.

La disposizione originaria, modificata nel corso dell’esame in sede referente al Senato, prevedeva l’introduzione del reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e comportante l’arresto obbligatorio, il procedimento con rito direttissimo e, in caso di condanna, l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.

La legge 94 apporta numerose altre modifiche al testo unico sull’immigrazione tra le quali:

La misura del contributo è stata determinata dal D.M. 6 ottobre 2011in euro 80 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno; in euro 100 per quelli di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni; in euro 200 per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo. Si ricorda che la giurisprudenza comunitaria vieta il pagamento di contributi per il permesso di soggiorno dei cittadini dei Paesi associati, in misura superiore a quelli per i cittadini dei Paesi membri (Corte di giustizia delle comunità europee, sen. 17 settembre 2009, C-242-06 Sahin).

Tra le altre misure di interesse introdotte dalla legge sulla sicurezza (n. 94/2009), si ricordano anche:

La legge n. 94 (modificando l’articolo 14 del testo unico) prevedeva anche un inasprimento della pena per lo straniero rintracciato nel territorio nazionale dopo essere già stato espulso per non aver ottemperato a una precedente intimazione di allontanamento, su tale disposizione è intervenuta la Corte costituzionale dichiarandone la parziale incostituzionalità (sen. 13-17 dicembre 2010, n. 359).

L'art. 1, co. 22, lett. m), della legge 94/2009 (c.d. “legge sulla sicurezza”) ha modificato l’art. 14, co. 5-quater, del testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998). Nella formulazione antecedente, la disposizione prevedeva una sanzione penale per coloro che facevano reingresso nel territorio dello Stato dopo essere stati espulsi una prima volta tramite ingiunzione del questore a lasciare il territorio dello Stato (ai sensi del co. 5-bis) e, essendosi trattenuti “senza giustificato motivo”, essere stati espulsi una seconda volta attraverso l’accompagnamento coattivo alla frontiera (ai sensi del co. 5-ter). La legge sulla sicurezza ha modificato tale disposizione prevedendo che la seconda espulsione (quella ai sensi del co. 5-ter) possa avvenire anche con l’ordine del questore, qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera. Veniva, inoltre, modificato il co. 5-quater, sanzionando con la stessa pena della reclusione da 1 a 5 anni sia il reingresso dello straniero dopo l’espulsione coattiva, sia l’omissione all’ordine del questore di abbandonare lo Stato, senza tuttavia prevedere, come nel primo caso, la possibilità che la permanenza sia dovuta ad un giustificato motivo (ad esempio l’indisponibilità da parte dell’espulso dei mezzi per il rimpatrio). La Corte costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità di quest’ultima norma proprio nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto previsto dal co. 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo “senza giustificato motivo”.



Gli altri provvedimenti del pacchetto sicurezza

Il secondo disegno di legge del pacchetto sicurezza ha una portata più circoscritta, riguardando, come anticipato, la ratifica al Trattato di Prüm (legge 85/2009) relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera a fini di contrasto del terrorismo, alla criminalità transfrontaliera e alla migrazione illegale. Esso prevede tra l’altro l’istituzione di una banca dati del DNA volta a facilitare l'identificazione degli autori dei delitti.

Riferibili interamente alle questioni dell’immigrazione sono i tre schemi di decreto legislativo (due dei quali poi emanati) facenti parte integrante del pacchetto sicurezza.

In estrema sintesi i tre provvedimenti intervengono sulle seguenti questioni:

Gli schemi dei tre decreti legislativi sono stati presentati dal Governo alle Camere e le Commissioni parlamentarti competenti hanno reso i prescritti pareri. Il Consiglio dei ministri nella seduta del 1° agosto 2008, ha recepito in gran parte le proposte e le osservazioni delle Commissioni, ma non ha deliberato in via definitiva sugli schemi decidendo, con una formula definita “irrituale” di inviare i testi per un parere informale alla Commissione europea (Si veda il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008.

Proprio al fine di consentire il confronto con la Commissione europea, è stata disposta una proroga alle autorizzazioni di delega, ormai prossime alla scadenza, di cui i tre schemi costituiscono attuazione (la proroga è stata inserita nel disegno di legge di conversione del decreto-legge 112/2008 (legge 133/2008).

Il 23 settembre 2008 il Consiglio dei Ministri ha approvato due dei tre decreti (asilo e ricongiungimento) che “hanno superato positivamente la verifica di compatibilità con l’ordinamento comunitario” (Comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, 23 settembre 2008).

Riguardo al terzo decreto (quello relativo ai cittadini comunitari) la Commissione si è espressa in senso contrario in quanto è stata ritenuta eccessiva l'espulsione e sufficiente l'invito ad allontanarsi dal nostro paese (Comunicato del Ministero dell’interno, 15 ottobre 2008). Nel corso dell’audizione svolta il 15 ottobre 2008 dinanzi al Comitato parlamentare Schengen, il Ministro dell’interno Maroni ha segnalato che, a seguito di rilievi formulati dalla Commissione europea, il Governo ha ritenuto per il momento di accantonare l’adozione del provvedimento di modifica della disciplina relativa alla libertà di circolazione dei cittadini comunitari.

Disposizioni in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari sono state adottate successivamente con il decreto-legge 89/2011 (vedi oltre).

Completa il pacchetto la dichiarazione di stato di emergenza volta di fare fronte alla situazione di criticità in Campania, in Lombardia e nel Lazio per la presenza di numerosi cittadini extracomunitari irregolari e nomadi stabilmente insediati in talune aree (D.P.C.M. 21 maggio 2008). Lo stato di emergenza, la cui scadenza era inizialmente fissata al 31 maggio 2009, è stato poi prorogato fino al dicembre 2011 ed esteso anche a Piemonte e Veneto (D.P.C.M. 28 maggio 200).

Nel 2011 il Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza in mancanza dell’effettiva esistenza di una situazione straordinaria. Sono stati dichiarati illegittimi anche gli atti adottati in attuazione del predetto DPCM e in primo luogo le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008 di nomina dei Commissari delegati per l’emergenza (Consiglio di Stato, sez. IV, 16 novembre 2011, n. 6050). Le somme non ancora impegnate dai commissari sono state riassegnate al Ministero dell’interno per consentire il proseguimento degli interventi già programmati dai commissari stessi (decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, conv. L. n. 100/2012, art. 3, comma 3).



Il secondo pacchetto sicurezza

A due anni dall’approvazione del primo pacchetto sicurezza, il Governo è intervenuto nuovamente con altri interventi in materia.

Si tratta del D.L. 12 novembre 2010, n. 187, convertito dalla legge 17 dicembre 2010, n. 217, che non contiene disposizioni direttamente attribuibili al contrasto dell’immigrazione clandestina, e un disegno di legge, esaminato dal Senato e non approvato (A.S. 2494). Tale ultimo provvedimento recava diversi interventi in materia di immigrazione, tra cui una nuova disciplina relativa all’allontanamento di cittadini stranieri comunitari per motivi di ordine pubblico. Altre disposizioni del disegno di legge, avevano una portata più generale; tra questi si segnalano:



La direttiva rimpatri e la libertà di circolazione dei cittadini comunitari

Un ulteriore decreto-legge in materia di immigrazione è stato adottato nel giugno 2011. Si tratta del decreto-legge n. 89 del 2011 (convertito con la legge 129/2011) che contiene disposizioni in materia di libertà di circolazione dei cittadini comunitari e di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari. Le disposizioni sulla libertà di circolazione integrano quelle già vigenti che recepiscono la direttiva comunitaria 2004/38/CE, mentre le disposizioni sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari recepiscono la direttiva 2008/115/CE, il cui termine di attuazione era scaduto il 24 dicembre 2010.

Il decreto legge 89/2011 è stato emanato per evitare le procedure di infrazione comunitaria per l’incompleto o non corretto recepimento della direttiva comunitaria 2004/38/CE, che riguarda la libertà di circolazione dei cittadini comunitari, nonché per il mancato recepimento della direttiva comunitaria 2008/115/CE, che riguarda il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari. Infatti il termine di recepimento di quest’ultima direttiva è scaduto il 24 dicembre 2010.

Con il decreto del ministro dell’interno 27 ottobre 2011, sono state adottate le Linee guida per l’attuazione dei programmi di rimpatrio volontario e assistito, introdotte dal D.L. 89/2011.

Per la parte relativa alla materia della libertà di circolazione dei cittadini comunitari, il decreto legge introduce delle modifiche nel decreto legislativo 30/2007 che aveva recepito la direttiva 2004/38/CE. Queste modifiche corrispondono, come risulta dalla relazione illustrativa, a rilievi espressi dalla Commissione europea e riguardano:



Altri provvedimenti in materia di immigrazione clandestina

Al pacchetto sicurezza si sono affiancati nel corso della legislatura altri interventi in materia di immigrazione, alcuni dei quali in attuazione delle disposizioni del primo pacchetto sicurezza.

In primo luogo, la dichiarazione dello stato di emergenza sopra citata in Campania, in Lombardia e nel Lazio ha consentito di nominare i prefetti di Napoli, Milano e Roma (e poi anche di Torino e Venezia) commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza. Tra questi il monitoraggio dei campi autorizzati in cui sono presenti comunità nomadi; l’individuazione e sgombero degli insediamenti abusivi; l’identificazione e censimento delle persone, anche minori di età, e dei nuclei familiari presenti nei campi nomadi attraverso rilievi segnaletici (si ricorda che la citata pronuncia del Consiglio di Stato del 16 novembre 2011 ha dichiarato l’illegittimità di tutti gli atti adottati in attuazione della dichiarazione di emergenza).

Nella stessa ottica emergenziale si colloca la proroga del luglio 2008 dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2011 per fronteggiare il massiccio afflusso di cittadini extracomunitari.

Lo stato di emergenza era stato dichiarato con D.P.C.M. del 20 marzo 2002 più volte prorogato. Il D.P.C.M. 25 luglio 2008 ha esteso a tutto il territorio nazionale lo stato di emergenza disposto (limitatamente ai territori delle regioni Sicilia, Calabria e Puglia) con D.P.C.M. 14 febbraio 2008 prorogandolo al 31 dicembre 2008. Successivamente, lo stato di emergenza è stato ulteriormente prorogato dal D.P.C.M. 18 dicembre 2008 (fino al 31 dicembre 2009), dal D.P.C.M. 12 novembre 2009 (fino al 31 dicembre 2010) e dal D.P.C.M. 17 dicembre 2010 (fino al 31 dicembre 2011).

Una nuova dichiarazione di emergenza su tutto il territorio nazionale (sempre fino al 31 dicembre 2011, poi prorogata al 31 dicembre 2012) è stata dichiarata nel febbraio 2011 in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa (D.P.C.M. 12 febbraio 2011 e D.P.C.M. 8 ottobre 2011). La dichiarazione dello stato di emergenza ha consentito l’adozione di numerose ordinanze di protezione civile recanti disposizioni urgenti in materia.

Unitamente agli schemi dei tre decreti legislativi del primo pacchetto sicurezza, il Governo ha inviato alla Commissione europea anche un rapporto sulle modalità con cui si sono stati condotti i censimenti nei campi nomadi presenti in Lombardia, Lazio e Campania.

Il rapporto è corredato dai rapporti inviati dai prefetti nominati commissari straordinari per l'emergenza rom nelle tre Regioni, dalle linee guida diramate agli stessi prefetti, da una lettera della Croce Rossa e una nota dell'Unicef e dalla lettera con cui il Garante per la protezione dei dati personali approva le linee guida (Si veda ancora il comunicato del Ministero dell’interno del 1° agosto 2008).

La Commissione ha comunicato i risultati dell’analisi dei documenti inviati giudicando le misure adottate dall'Italia per fare fronte all'emergenza dei campi nomadi illegali non discriminatorie e quindi in linea con il diritto comunitario (Comunicato del Ministero dell’interno del 4 settembre 2008).

Il piano per il censimento dei campi nomadi avviato dal Governo nel 2008 ha portato all'individuazione di 361 campi abusivi abitati da 16.355 persone, per 2.657 delle quali, prive dei requisiti di permanenza in Italia, sono stati adottati provvedimenti di allontanamento (Camera dei deputati, Interrogazioni a risposta immediata (Risultati conseguiti dal Governo in ordine alla questione dei campi nomadi abusivi ed iniziative in ambito comunitario per la revisione della disciplina della libera circolazione - n. 3-01239), intervento del Ministro dell’interno, Seduta del 22 settembre 2010).

Nel settembre 2008 il Governo ha approvato un altro decreto legge in materia di sicurezza (decreto-legge 151/2008 conv. legge 186/2008, Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina) che, tra l’altro, reca gli stanziamenti necessari per la costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione (ex CPT ora CIE) e per l'ampliamento di quelli già esistenti.

Il provvedimento è motivato dall’eccezionale afflusso di immigrati: 14.200 tra gennaio e settembre del 2007, 23.600 nello stesso periodo del 2008, che ha posto il problema dell’ampliamento della ricettività dei centri (Comunicato del Ministero dell’interno del 23 settembre 2008).

Misure che riguardano l’immigrazione sono contenute anche in un disegno di legge (non approvato) presentato dal Governo in materia di prostituzione che stabilisce una procedura accelerata, da definirsi con un successivo regolamento, per il rimpatrio assistito dei minori stranieri non accompagnati che esercitano la prostituzione nel nostro Paese, al fine di consentire il ricongiungimento del minore con la famiglia di origine (art. 2, comma 2, dell’A.S. 1079 esaminato dalle Commissioni I e II del Senato).

 Nell’agosto del 2008 il Governo ha sottoscritto un trattato di amicizia e cooperazione con la Libia, che rappresenta la principale via di transito per i migranti africani che tentano di raggiungere clandestinamente l'Italia attraverso il Mediterraneo. L’accordo siglato nell’agosto 2008 e ratificato con la legge 7/2009, prevede anche forme di collaborazione in materia di contrasto all’immigrazione clandestina.

 In particolare, qui rileva l’articolo 19 del trattato che prevede il rafforzamento della collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità e alla immigrazione clandestina, attraverso la creazione di un sistema di controllo delle frontiere terresti libiche e l’attuazione del Protocollo di cooperazione del dicembre 2007 che prevede il pattugliamento congiunto in mare con equipaggi misti e mezzi messi a disposizione dall’Italia.

A seguito della crisi dell’area Nordafricana dei primi mesi del 2011 e il conseguente massiccio afflusso di immigrati e profughi in Italia, il 17 Giugno 2011 è stato stretto un accordo tra Italia e Comitato nazionale transitorio libico sul contrasto all’immigrazione clandestina. Le due parti procederanno allo scambio di informazioni sui flussi di immigrazione illegale, sulle organizzazioni illegali che li favoriscono, sui modus operandi e sugli itinerari seguiti e sulle organizzazioni specializzate nella falsificazione di documenti e passaporti, nonché alla reciproca assistenza e cooperazione nella lotta all'immigrazione illegale, incluso il rimpatrio di immigrati in posizione irregolare.

Da segnalare, infine, la ratifica della Convenzione di Varsavia del 2005 del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (L. 2 luglio 2010, n. 108).



Integrazione e cittadinanza

Per la prima volta, con il Governo Monti insediatosi nel novembre 2011, è stato nominato un Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l’integrazione (D.P.C.M. 13 dicembre 2011, Delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l’integrazione prof. Andrea Riccardi).

Il Ministro, illustrando le linee programmatiche nel corso dell'audizione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera l’11 gennaio 2012, ha sottolineato la necessità di passare da una considerazione emergenziale dell'immigrazione alla maturazione dell'idea di integrazione. Tra le questioni affrontate dal Ministro, la concessione della cittadinanza dei minorenni, figli di cittadini stranieri; l’insegnamento dell’italiano agli immigrati; la graduazione dei costi di permesso di soggiorno.

Tra i primi atti del nuovo Governo in materia di integrazione si ricorda la Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti presentato il 28 febbraio 2012. Il piano attua la comunicazione della Commissione europea del 5 aprile 2011 “Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020” nella quale sollecita gli Stati membri, in proporzione all'entità della popolazione Rom che vive sui rispettivi territori e tenendo conto dei loro diversi punti di partenza, ad adottare o sviluppare un'impostazione globale per l'integrazione dei Rom.

In generale, la strategia nazionale in materia di politiche per l’integrazione degli immigrati è riassunta nel Piano per l’integrazione nella sicurezza, promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali del precedente Governo e approvato dal Consiglio dei ministri il 10 giugno 2010. Il Piano, individua le principali linee di azione e gli strumenti da adottare al fine di promuovere un efficace percorso di integrazione, nel rispetto delle prerogative e delle competenze dei diversi attori istituzionali interessati, nonché delle procedure previste a legislazione vigente. Il Piano si accompagna all’accordo di integrazione, previsto dal primo Pacchetto sicurezza, da sottoscrivere al momento della richiesta del permesso di soggiorno. Il cosiddetto permesso di soggiorno a punti è diventato operativo dopo l’approvazione del relativo regolamento di attuazione (D.P.R. 14 settembre 2011, n. 179).

Tra i principali interventi normativi del precedente Governo si ricordano:

Per quanto riguarda l’attività parlamentare, si segnala la proposta di legge volta a mutare le competenze del Comitato bicamerale di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen che verrebbe trasformato in un comitato parlamentare in materia di immigrazione. La proposta è stata approvata dalla Camera (A.C. 1446) ed è passata al Senato (A.S. 1700) dove è stata approvata in sedere referente il 15 giugno 2010 senza essere poi esaminata dall’Assemblea.

Lo stesso Comitato Schengen ha svolto ben due indagini conoscitive in materia: la prima sulle nuove politiche europee in materia di immigrazione (deliberata il 26 novembre 2008) e la seconda  sul diritto di asilo, immigrazione ed integrazione in Europa (deliberata il 25 ottobre 2011).

Sempre di iniziativa parlamentare, la proposta di legge A.C. 1052 per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia, il cui iter non è andato oltre l’esame in sede referente alla Camera.

La Camera ha affrontato la questione dell’immigrazione anche sul versante dell’attività di indirizzo e controllo.

Si segnala a proposito la discussione su di una serie di mozioni sull’accesso alla scuola dell’obbligo degli studenti stranieri (Mozioni Cota ed altri n. 1-00033, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00049, De Torre ed altri n. 1-00050 e Evangelisti e Donadi n. 1-00051 concernenti iniziative in materia di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo, seduta del 14 ottobre 2008).

Il testo approvato impegna il Governo:

Anche la VII Commissione cultura della Camera è intervenuta approvando una risoluzione che, al fine di favorire il processo di integrazione dei bambini stranieri con quelli italiani, chiede l’introduzione di un tetto che preveda la presenza nelle classi di non più del 30 per cento di bambini stranieri (Risoluzione 7/140 approvata nella seduta del 6 maggio 2009). Il principio del limite massimo di studenti stranieri è stato recepito dal Governo con la circolare 8 gennaio 2010 dove si stabilisce che il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti.

Successivamente la VII Commissione ha svolto una indagine conoscitiva sulle problematiche connesse all'accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana nel sistema scolastico italiano che si è conclusa con l’approvazione di un documento finale pubblicato nel Bollettino delle Giunte e Commissioni parlamentari del 12 gennaio 2011.

Particolarmente attiva la Commissione bicamerale infanzia, che ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a adottare tutte le opportune iniziative per rafforzare gli strumenti di tutela dei minori stranieri non accompagnati (Doc. XXIV-bis, n. 1, approvato il 21 aprile 2009). Inoltre, la Commissione ha svolto una indagine conoscitiva volta ad approfondire la condizione dei minori stranieri presenti in Italia in assenza dei genitori (il 27 marzo 2012 è stato approvato il documento conclusivo).

Sempre sui minori stranieri non accompagnati, si segnala la discussione e approvazione di una mozione alla Camera che impegna il Governo a adoperarsi per una effettiva tutela dei minori stranieri rintracciati nel territorio nazionale (mozione 1-549, approvata il 20 ottobre 2010). Tra gli argomenti trattati: la situazione nei centri di accoglienza; l’accertamento dell’età del minore; il diritto di asilo; il rimpatrio; la tratta; la questione della concessione del permesso di soggiorno ai minori al compimento della maggiore età anche alla luce delle modifiche normative intervenute con l’approvazione della legge sulla sicurezza (L. 94/2009).

L’8 giugno 2011 la I Commissione della Camera ha respinto la risoluzione 7-00478 Zaccaria e ha approvato la risoluzione 7-00578 Bertolini che impegna il Governo a proseguire nell'azione finora intrapresa in materia di politiche per il controllo del fenomeno migratorio, attraverso il ricorso ad una programmazione dei flussi di accesso, basata sulle rilevazioni dei fabbisogni di manodopera nei mercati locali del lavoro e compatibile con le effettive capacità di assorbimento nel tessuto sociale e produttivo del Paese, attuando nel contempo adeguate politiche di integrazione degli stessi immigrati, nel rispetto del principio di accoglienza dello straniero e della sicurezza nazionale.



Lavoro degli immigrati

Di particolare rilievo in materia di lavoro l’emanazione di due decreti legislativi, entrambi di recepimento di normative comunitarie.

Il primo è finalizzato ad incentivare l’accesso al lavoro di immigrati altamente qualificati e istituisce la cosiddetta carta blu UE che conferisce a tali lavoratori uno status particolare (D.Lgs. 108/2012 che attua la direttiva 2009/50/CE).

Il secondo inasprisce le sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (D.Lgs. 109/2012 di attuazione della direttiva 2009/52/CE).

Il decreto 109/2012 ha previsto anche una disposizione transitoria volta a permettere ai datori di lavoro di dichiarare l’esistenza di rapporti di lavoro irregolari pregressi.

Le procedure di presentazione delle domande di emersione si sono concluse il 15 ottobre 2012 con l’invio di oltre 130.000 istanze.

Fino alla conclusione del procedimento di regolarizzazione sono stati sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti del datore di lavoro e del lavoratore per le specifiche violazioni. L’art. 5, comma 1, del provvedimento dispone infatti - entro 20 giorni dalla sua entrata in vigore – l’adozione di un decreto attuativo a firma del ministro dell’Interno, di concerto con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, con il ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione e con il ministro dell’Economia e delle Finanze, contenente le modalità di presentazione della domanda ed i limiti di reddito del datore di lavoro, richiesti per l’emersione del rapporto.

La dichiarazione di emersione poteva essere fatta dai datori di lavoro italiani, comunitari e stranieri lungo soggiornanti che, alla data del 9 agosto 2012 occupavano irregolarmente alle proprie dipendenze da almeno tre mesi, e continuavano ad occupare alla data di presentazione della dichiarazione di emersione, lavoratori stranieri che si trovavano in Italia ininterrottamente almeno dal 31 dicembre 2011 o precedentemente.

Sono stati esclusi dalla procedura i rapporti di lavoro a tempo parziale, fatto salvo quanto previsto, in materia di lavoro domestico e di sostegno al bisogno familiare.

Si tratta della seconda regolarizzazione di lavoratori irregoari della legislatura: la precedente regolarizzazione risale al 2009, quando per i lavoratori occupati irregolarmente nelle sole attività di assistenza personale o del lavoro domestico, è stata prevista la possibilità di regolarizzare la loro posizione lavorativa (decreto-legge 78/2009, art. 1-ter). L’intervento ha riguardato sia i lavoratori stranieri (con o senza permesso di soggiorno), sia i lavoratori italiani. Dal 1° al 30 settembre 2009 i datori di lavoro hanno potuto presentare una dichiarazione di emersione, previo pagamento di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Secondo i dati diffusi dal Ministero dell'interno sono state presentate quasi 300.000 domande.

Si ricorda, inoltre, che nell’ambito del cosiddetto decreto semplificazione e sviluppo (decreto-legge 5/2012) sono state adottate alcune disposizioni relative alla semplificazione delle procedure di assunzione di lavoratori extra UE e di documentazione amministrativa per gli immigrati (D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, conv. L. 4 aprile 2012, n. 35, Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo, art. 17).

Nel corso della fase di elaborazione della direttiva 2009/52 sul lavoro irregolare, le Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera avevano impegnato il Governo a sostenere, in sede di Consiglio dell'Unione europea alcune modifiche e integrazioni al testo della proposta (Seduta del 26 novembre 2008, esame della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. COM(2007)249 def).

Sempre alla Camera, nell’aprile 2010 erano state discusse alcune mozioni incentrate sulle politiche migratorie e di integrazione, e per il contrasto al lavoro irregolare. Tutte le mozioni sono accomunate dalla richiesta di moltiplicare gli sforzi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori stranieri (Camera dei deputati, seduta dell’8 aprile 2010. Sono state approvate le mozioni Pezzotta ed altri n. 1-00354, Pisicchio ed altri n. 1-00355 e Santelli, Caparini ed altri n. 1-00356, nei rispettivi testi riformulati, respinta la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00326 e votata per parti separate la mozione Donadi ed altri n. 1-00353).

La I Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato un’altra proposta di direttiva europea, questa volta in materia di disciplina del lavoro straniero stagionale. Nel documento finale, approvato nella seduta del 25 novembre 2010, la Commissione ha espresso la necessità di:

La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (COM(2010)379) è stata presentata dalla Commissione europea il 13 luglio 2010. Il termine per l’espressione del parere sulla conformità della proposta al principio di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali è scaduto il 15 ottobre 2010.

Scopo della proposta è introdurre una procedura speciale per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nell'UE per svolgervi un lavoro stagionale, nonché definire i diritti dei lavoratori stagionali. L’iniziativa era già stata annunciata nel "Piano d’azione sull’immigrazione legale" (COM(2005) 669), presentato dalla Commissione europea nel dicembre 2005, la cui validità è stata da ultimo ribadita nel Programma di Stoccolma, per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.

Riguardo all’attività amministrativa, si segnala che il Governo ha prorogato fino al 31 dicembre 2011 il regime transitorio, consentito in sede comunitaria, per l'accesso al mercato del lavoro dei cittadini rumeni e bulgari, confermando le disposizioni degli anni precedenti che pongono alcune limitazioni in materia di accesso al lavoro subordinato: in alcuni settori produttivi è richiesto il rilascio del nulla osta da parte dello sportello unico per il lavoro (Si veda Ministero dell’interno, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Circolare n. 702 del 31 gennaio 2011). Dal 1° gennaio 2012 tali restrizioni sono decadute.

Inoltre, il Governo ha proceduto alla definizione delle quote di ingresso dei lavoratori stranieri per il 2008 (il cosiddetto decreto flussi) nella misura di 150.000 persone, utilizzando le graduatorie delle domande eccedenti presentate nel 2007 (D.P.C.M. 3 dicembre 2008), mentre per il 2009 le quote autorizzate sono destinate esclusivamente ai lavoratori stagionali solitamente impiegati in agricoltura e nel settore turistico (80.000 persone, D.P.C.M. 20 marzo 2009).

Per il 2010, inizialmente, è stato autorizzato l’ingresso di 80.000 lavoratori stagionali con il DPCM 1° aprile 2010. Con il medesimo provvedimento è stata anticipata una quota di lavoratori non stagionali pari a 6.000 persone di cui 4.000 lavoratori autonomi, imprenditori, artisti ecc. e 2.000 cittadini stranieri che hanno completato programmi di formazione nel Paese di origine. La definizione dei flussi per il 2010 è stata completata nel novembre 2010 con l’autorizzazione all’ingresso di 98.080 lavoratori non stagionali (D.P.C.M. 30 novembre 2010).

Negli ultimi anni sono stati autorizzati esclusivamente gli ingressi dei lavoratori stagionali: 60.000 per il 2011 (D.P.C.M. 17 febbraio 2011) e 35.000 per il 2012 (D.P.C.M. 13 marzo 2012).

Approfondimento: La disciplina dell'immigrazione



Le fonti normative

Le linee generali delle politiche pubbliche in materia di immigrazione in Italia, fissate dalla legge 40/1998 (cosiddetta “legge Turco – Napolitano”), sono state successivamente consolidate nel decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero.

Successivamente, è intervenuta la legge 189/2002 (la cosiddetta “legge Bossi-Fini”) che ha modificato il testo unico del 1998, pur non alterandone l’impianto complessivo.

Nella XVI legislatura, ulteriori integrazioni al testo unico sono state apportate dalla legge n. 94 del 2009, nell'ambito del "pacchetto sicurezza".

Norme regolamentari, di attuazione del testo unico, sono contenute nel D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, come modificato dal D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334, emanato in attuazione della legge 189/2002.

Il testo unico interviene in entrambi gli ambiti principali del diritto dell’immigrazione: il diritto dell’immigrazione in senso stretto, concernente la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio: la definizione di regole di ingresso, di soggiorno, di controllo, di stabilizzazione dei migranti ed anche la repressione delle violazioni a tali regole; e il diritto dell’integrazione, che riguarda l’estensione, in misura più o meno ampia, ai migranti dei diritti propri dei cittadini (diritti civili, sociali, politici).

I princìpi fondamentali che sono alla base del testo unico sono essenzialmente tre: la programmazione dei flussi migratori e il contrasto all’immigrazione clandestina (per quanto riguarda il diritto dell’immigrazione); la concessione di una ampia serie di diritti volti all’integrazione degli stranieri regolari (diritto dell’integrazione).

Il testo unico non interviene in materia di diritto di asilo la cui disciplina, in passato contenuta nel decreto-legge 416/1989 (la cosiddetta “legge Martelli”), ha avuto di recente una regolamentazione dettagliata ad opera del decreto legislativo 251/2007 e successivamente del decreto legislativo 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva “qualifiche”), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva “procedure”).

Anche la condizione giuridica degli stranieri cittadini di stati membri dell’Unione europea è stata ridisciplinata con il decreto legislativo 30/2007 sempre di derivazione comunitaria (dir. 2004/38/CE).



La programmazione dei flussi migratori

In Italia l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata secondo il principio della programmazione dei flussi. Ogni anno il Governo, sulla base della necessità di manodopera interna, stabilisce il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro.

In particolare, la gestione dei flussi di immigrazione è realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale, il decreto annuale sui flussi, il decreto sull’ingresso degli studenti universitari.

Il documento programmatico sulla politica dell’immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un’analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d’ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l’integrazione degli stranieri regolari.

Il decreto sui flussi è lo strumento attuativo del documento programmatico, con cui il Governo stabilisce ogni anno, sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico triennale e dei dati sull’effettiva richiesta di lavoro da parte delle realtà locali, elaborati da un’anagrafe informatizzata tenuta dal Ministero del lavoro, le quote massime di stranieri da ammettere in Italia per motivi di lavoro. In esso sono previste quote riservate per i cittadini provenienti da Paesi a forte pressione migratoria con i quali l’Italia ha sottoscritto accordi specifici di cooperazione in materia di immigrazione. Il decreto è adottato entro il 30 novembre di ciascun anno, previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto (per esempio in assenza del documento programmatico triennale) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio con una procedura più veloce e senza il parere delle Camere. Tale decreto, però, non può superare le quote stabilite nell’ultimo decreto (ordinario o transitorio) emanato (art. 3 del testo unico del 1998).



Il contrasto all'immigrazione clandestina

Il secondo principio su cui si fonda la disciplina dell’immigrazione è quello del contrasto all’immigrazione clandestina.

Gli stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso sono considerati “clandestini”, mentre sono ritenuti “irregolari” gli stranieri che hanno perduto i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale. Secondo le norme vigenti, tali immigrati devono essere respinti alla frontiera o espulsi.

L’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale è considerato un reato punibile con una ammenda o con l’espulsione.

Gli strumenti che l’ordinamento predispone per il contrasto all’immigrazione clandestina sono numerosi e vanno dalla repressione del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, al respingimento alla frontiera, dall’espulsione come misura di sicurezza per stranieri condannati per gravi reati, all’espulsione come sanzione sostitutiva.

Il principale di essi può tuttavia considerarsi l’espulsione amministrativa. Dopo la legge Bossi-Fini essa deve essere eseguita in via ordinaria con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto; solamente in determinati casi si concreta in una intimazione a lasciare entro 15 giorni il territorio dello Stato. Il provvedimento di espulsione è valido per 10 anni e il mancato rispetto di quanto in esso disposto dà luogo a sanzione penale.

Particolarmente severe sono le disposizioni volte a reprimere il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, punito con la reclusione fino a a quindici anni. Le pene sono poi aumentate in presenza di circostanze aggravanti, quali l’avviamento alla prostituzione. Va inoltre ricordata, in proposito, la ridefinizione dei reati di riduzione in schiavitù e di tratta di persone operata dalla legge 228/2003.

Una menzione spetta anche al permesso di soggiorno a fini investigativi, rilasciato in favore degli stranieri che prestino la loro collaborazione all’autorità giudiziaria o agli organi di polizia in relazione a delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico. Si tratta di un nuovo strumento introdotto dal decreto-legge 144/2005, e che si inserisce nel solco della legislazione premiale in materia di immigrazione inaugurata dal permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, che può essere rilasciato a immigrati clandestini che siano vittime di situazioni di violenza o di grave sfruttamento.

Quando l’espulsione non può essere immediata, gli stranieri devono essere trattenuti presso appositi centri di identificazione ed espulsione (CIE), nuova denominazione dei centri di permanenza temporanea ed assistenza – CPTA, per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.

I CIE, ex CPTA, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione (i motivi di possibile trattenimento sono i seguenti: perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero a giudizio di convalida, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo). In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità (art. 14, co. 2, D.Lgs. 286/1998). Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni, prorogabile fino ad un massimo di 180 giorni.

Il decreto-legge 151/2008 autorizza uno stanziamento pluriennale per l’ammodernamento e l’ampliamento dei CIE e per la costruzione di nuovi. Attualmente i centri operativi sono 13.

Esistono, inoltre, altre due tipologie di strutture che accolgono e assistono gli immigrati irregolari:

Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione (l’ultimo con la Libia).

Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal testo unico sull’immigrazione, volti ad ottenere la collaborazione delle autorità del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.

Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, sono stati perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non soltanto accordi di riammissione, ma anche intese di cooperazione di polizia, nonché accordi in materia di lavoro. Nei decreti annuali sui flussi di ingresso del lavoratori extracomunitari sono previste quote riservate per gli stranieri provenienti da Paesi che hanno stretto tali accordi globali di cooperazione.



L'integrazione degli stranieri regolari

Per quanto riguarda il terzo dei tre princìpi ispiratori della legislazione vigente, l’integrazione degli stranieri regolari, il nostro ordinamento garantisce una ampia tutela dei diritti degli stranieri e promuove l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

Innanzitutto, agli stranieri sono garantiti, alla stregua dei cittadini italiani, i diritti fondamentali di libertà ed eguaglianza fissati dalla prima parte della nostra Costituzione. Tra questi, espressamente destinato agli stranieri, il diritto di asilo (art. 10 della Cost.).

Inoltre, una serie di disposizioni contenute in leggi ordinarie provvedono a fissare contenuti e limiti della possibilità degli stranieri di godere dei diritti propri dei cittadini e dall’altro a promuovere l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati.

In primo luogo, la legge prevede, in presenza di determinate condizioni, la concessione agli stranieri della cittadinanza (per naturalizzazione, per nascita o per matrimonio), quale massimo strumento di integrazione e di possibilità di godimento dei diritti garantiti dall’ordinamento. L’acquisizione della cittadinanza per naturalizzazione presuppone la permanenza regolare e continuativa nel territorio nazionali per dieci anni ed è subordinata alla decisione, in larga parte discrezionale, dell’amministrazione pubblica.

Per quanto riguarda i diritti civili, agli stranieri è garantito il diritto alla difesa in giudizio (art. 17 testo unico).

Inoltre, è prevista una serie di strumenti volti al contrasto della discriminazione razziale: a partire dalla legge 654/1975 di ratifica della Convenzione di New York del 1966 contro il razzismo, fino al testo unico che da una definizione puntuale degli atti di discriminazione (art. 43) e disciplina l’azione di sede civile contro tali atti (art. 44).

In questo settore alcuni importanti interventi sono stati realizzati principalmente in attuazione della disciplina comunitaria: il D.Lgs. 215/2003 e il D.Lgs. 216/2003 contengono disposizioni per garantire la non discriminazione a causa delle proprie origini, il primo in generale, il secondo in materia di lavoro.

Sono previste, inoltre, alcune disposizioni relative alla tutela dei diritti sociali.

Specifiche disposizioni del testo unico (artt. 28-33) prendono in esame le forme di garanzia del diritto all’unità familiare e al ricongiungimento familiare, riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti, e di tutela dei minori, il cui prioritario interesse deve sorreggere tutti i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali in materia di diritto all’unità familiare.

Per quanto riguarda il diritto alla salute, viene garantita una ampia assistenza sanitaria a tutti gli stranieri, compresi coloro che non sono in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno (artt. 34-36).

Anche il diritto allo studio è garantito dal testo unico (art. 38, 39 e 39-bis).

Le disposizioni del testo unico in materia di servizi abitativi e di assistenza sociale per stranieri (artt. 40-41) prevedono che le regioni, in collaborazione con gli enti locali e con le associazioni di volontariato, predispongano centri di accoglienza destinati ad ospitare stranieri regolarmente soggiornanti e impossibilitati, temporaneamente, a provvedere autonomamente alle proprie esigenze abitative e di sussistenza.

L’art. 41 del testo unico estende a favore degli stranieri in possesso del permesso di soggiorno (di durata non inferiore a un anno) o del permesso di soggiorno di lungo periodo anche l’accesso ai servizi socio-assistenziali organizzati sul territorio.

Quanto ai diritti politici, va segnalata la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d’Europa (ratificata dall’Italia con legge 203/1994) con la quale vengono garantiti agli stranieri residenti nei Paesi aderenti una serie di diritti. In particolare il capitolo A della Convenzione prevede il riconoscimento agli stranieri, alle stesse condizioni previste per i cittadini, delle libertà di espressione, di riunione e di associazione, ivi compresa quella di costituire sindacati e affiliarsi ad essi, ferme restando le eventuali limitazioni per ragioni attinenti alla sicurezza dello Stato, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Con il capitolo B si riconosce il diritto alle collettività locali che hanno nei loro rispettivi territori un numero significativo di residenti stranieri, di creare organi consultivi volti a rappresentare i residenti stranieri a livello locale, ai quali deve essere data la possibilità di discutere sui problemi di loro interesse per il tramite di rappresentanti eletti o nominati da gruppi associati.

Non si è data, invece, applicazione al capitolo C della Convenzione che impegna le parti a concedere agli stranieri residenti il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni locali che, pertanto, non è attribuibile agli stranieri non comunitari.

Approfondimento: La gestione delle frontiere esterne dell'Unione europea

E’ in corso di esame da parte delle istituzioni UE la proposta di regolamento del 12 dicembre 2011 che stabilisce un sistema di controllo alle frontiere, denominato EUROSUR (COM(2011)873). Il sistema è volto ad aumentare il coordinamento all'interno degli Stati membri e tra uno Stato membro e l'altro, per prevenire e affrontare forme gravi di criminalità quali il traffico di immigrati clandestini, la tratta degli esseri umani, e il traffico di droga, e per diminuire il tasso di decesso dei migranti in mare. Il meccanismo EUROSUR dovrebbe permettere alle autorità degli Stati membri responsabili della sorveglianza di frontiera (guardie di frontiera, guardie costiere, polizia, dogane e marina militare) di scambiare informazioni operative e cooperare tra loro, con l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (FRONTEX) e con i paesi vicini.

Attiva dal 2005 (Regolamento (CE) n. 2007/2004) con sede a Varsavia, FRONTEX ha il compito di:

Per quanto riguarda gli strumenti impiegabili, FRONTEX gestisce il registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE) che censisce le attrezzature tecniche che gli Stati membri forniscono ad uno Stato membro che ne faccia richiesta per operazioni di controllo e sorveglianza delle frontiere. Nel 2007 è stato inoltre introdotto nel regolamento istitutivo di FRONTEX un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido (RABIT).

Sempre nell’ottica di un miglioramento della gestione delle frontiere esterne, si segnala che il 25 ottobre è stato definitivamente adottato il Regolamento (UE) n. 1168/2011, volto al rafforzamento di FRONTEX, attraverso, in particolare la possibilità conferita all’Agenzia di coordinare operazioni congiunte e l’obbligo posto in capo agli Stati membri di fornire personale per la costituzione di squadre europee di frontiera e mettere a disposizione attrezzature tramite il Registro centralizzato delle attrezzature tecniche disponibili (CRATE). Si ricorda che la necessità di un rafforzamento di FRONTEX era stata sostenuta nel documento congiunto sul tema dell’immigrazione clandestina nel Mediterraneo, sottoscritto il 13 gennaio 2009 dai Ministri dell’Interno di Cipro, Grecia, Italia e Malta e successivamente presentato al Consiglio UE.

Attualmente l’area Schengen garantisce la libera circolazione senza controlli alle frontiere tra 26 Stati, 22 Stati membri UE (sono ancora esclusi Cipro, Romania e Bulgaria, la cui adesione non è ancora completa; Regno Unito e Irlanda non partecipano all’area Schengen e pertanto non aderiscono alla cooperazione in materia di visti e non hanno abolito i controlli alle loro frontiere interne) e 4 paesi associati (Norvegia, Islanda, Svizzera e, a partire dal 19 dicembre 2011, Liechtenstein), interessando più di 400 milioni di cittadini. 

Originariamente prevista per il Consiglio giustizia e affari interni di fine febbraio 2011, l’adozione della decisione del Consiglio relativa alla completa adesione a Schengen di Bulgaria e Romania, implicante l’abolizione di controlli alle frontiere interne,è stata ripetutamente rinviata in considerazione delle riserve avanzate da alcuni Stati membri. All’iniziale opposizione, poi superata, di Francia e Germania, che avrebbero giudicato prematura l’adesione, ritenendo opportuno attendere progressi definitivi nel settore della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata, avrebbero fatto seguito le riserva avanzate, in particolare, dai Paesi Bassi, che nel corso riunione del Consiglio europeo del 9 dicembre 2011 avrebbero espresso la loro ferma opposizione all’adozione della decisione prima della presentazione, da parte della Commissione europea, delle nuove relazioni sui progressi compiuti dai due paesi nel settore della lotta alla corruzione e della riforma del sistema giudiziario (Il Consiglio giustizia e affari interni del 13-14 dicembre 2011 ha pertanto preso atto dell’impossibilità di raggiungere l’unanimità sulla proposta di decisione che stabiliva l’abolizione dei controlli alle frontiere interne dei due paesi a partire dal 25 marzo 2012 per le frontiere interne aeree e marittime e a partire dal 31 luglio per le frontiere interne terrestri). Si ricorda che il processo di valutazione della Romania da parte del gruppo "Valutazioni di Schengen" ai fini dell’abolizione dei controlli alle frontiere interne, si è concluso nel gennaio 2011. Secondo quanto annunciato già nel corso del Consiglio giustizia e affari interni del 24-25 febbraio 2011, la Romania risulta aver ultimato i preparativi tecnici richiesti per tutti i capitoli dell'acquis di Schengen oggetto di valutazione e si è impegnata a dare attuazione, informandone regolarmente il Consiglio, alle raccomandazioni enunciate nelle relazioni di valutazione.

Le valutazioni, iniziate nel 2009, hanno avuto lo scopo di verificare il soddisfacimento dei requisiti necessari per l’applicazione di tutte le parti dell’acquis e la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere interne (in particolare i requisiti tecnici sul controllo delle frontiere in materia di: protezione dei dati, adesione al Sistema informativo Schengen, frontiere aeree, frontiere terrestri, frontiere marittime, cooperazione di polizia e visti). 

Il Consiglio europeo del 1°-2 marzo 2012, ribadendo che tutte le condizioni giuridiche per l'adozione di una decisione sull'adesione della Bulgaria e della Romania allo spazio Schengen sono state soddisfatte e esprimendo riconoscimento per l’impegno dimostrato dei due paesi, ha chiesto al Consiglio di tornare sulla questione al fine di adottare la decisione relativa all’adesione nella sessione del Consiglio Giustizia e affari interni nel settembre 2012. Tale riunione del Consiglio è stata tuttavia rinviata per iniziativa della Presidenza Cipriota dell’UE, al fine di un ulteriore approfondimento dei temi previsti in agenda e relativi non solo all’adesione di Bulgaria e Romania, ma anche alla complessa questione del rafforzamento della governance del sistema Schengen

L’adesione di Bulgaria e Romania è stata da ultimo discussa nella riunione del Consiglio giustizia e affari interni del 25-26 ottobre 2012. Il Consiglio ha preso nuovamente atto della mancanza dell’unanimità necessaria all’adozione della decisione e dichiarato la sua volontà di continuare ad operare per la realizzazione di un accordo. Il Consiglio ha sottolineato che la proposta di adesione attualmente all’esame si basa su un approccio in due fasi: in una prima fase sarebbero aboliti i controlli sulle persone alle frontiere marittime e aeree interne con e tra la Bulgaria e la Romania; al tempo stesso, i due paesi entrerebbero pienamente a far parte del Sistema di informazione Schengen (SIS). In una seconda fase sarebbero soppressi i controlli sulle persone alle frontiere terrestri interne. La questione dovrebbe essere posta nuovamente all’ordine del giorno del Consiglio giustizia e affari interni di marzo 2013.

Per quanto riguarda il Parlamento europeo, in una risoluzione adottata l’8 giugno 2011, l’Assemblea plenaria ha ritenuto che, sebbene alcune questioni siano ancora aperte e richiedano di essere seguite da vicino con regolarità, esse non costituiscono un ostacolo alla piena adesione a Schengen di Bulgaria e Romania. Il Parlamento europeo ha inoltre chiesto di essere informato sulle misure che verranno adottate dagli Stati membri interessati, relativamente all'area Bulgaria-Turchia-Grecia, per poter rispondere al possibile forte incremento della pressione migratoria.

Merita inoltre segnalare che, come riferito nel documento del Consiglio 6740/1/11, relativo allo stato di avanzamento del processo di adesione della Bulgaria e della Romania allo spazio Schengen, in una dichiarazione comune - sottoscritta il 16 febbraio 2011 dalle Commissioni affari esteri della Camera dei deputati rumena e dell’Assemblea nazionale bulgara e trasmessa alle istituzioni UE - Romania e Bulgaria hanno confermato l’intenzione di aderire allo spazio Schengen insieme e alla stessa data.

La stampa bulgara e rumena si sarebbe recentemente interrogata sulla possibilità di una adesione separata dei due paesi, soprattutto in considerazione della recente crisi politica in Romania. Tale eventualità non è tuttavia ipotizzata da alcuna fonte ufficiale, né a livello nazionale né a livello dell’Unione. 

In attesa del pieno ingresso nell’area Schengen, la Romania e la Bulgaria, ai sensi dell’articolo 4 dell’Atto di adesione, allegato al Trattato di adesione, risultano comunque vincolati all’acquis di Schengen e sono tenuti ad applicarne tutte le disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria e di polizia che non siano intrinsecamente collegate all’abolizione dei controlli alle frontiere interne.

A questo proposito, contestualmente all'adesione di Romania e Bulgaria all'UE il 1° gennaio 2007, l’Unione europea ha istituito un Meccanismo di cooperazione e verifica(MCV)per aiutare i due paesi a ovviare a determinate carenze a livello di riforma giudiziaria e di lotta contro la corruzione e monitorare i progressi in questi settori mediante relazioni periodiche.

Al fine di rendere più efficace la gestione delle frontiere esterne mantenendo al contempo inalterato il principio della libera circolazione all’interno dell’Unione europea, è attualmente all’esame delle istituzioni UE un pacchetto di proposte comprendente:

La proposta prefigura il passaggio dall'attuale sistema di valutazione sull'attuazione dell’acquis di Schengen, prettamente intergovernativo, a un sistema che affida la responsabilità primaria in materia alla Commissione europea, sia pure con il coinvolgimento di esperti degli Stati membri e di Frontex. La Commissione dovrà definire un programma di valutazione pluriennale, per un periodo di cinque anni, nell'ambito del quale ogni Stato membro dovrebbe essere oggetto di valutazione almeno una volta. Si stabilisce, inoltre, lo svolgimento di visite sul posto senza preavviso. Gli Stati membri saranno tenuti a presentare alla Commissione un piano d'azione volto a correggere i punti deboli che siano stati eventualmente riscontrati.

La proposta si propone di ribaltare l'attuale impostazione relativamente al ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere interne, di cui agli articoli dal 23 al 31 del codice Schengen. Tale disciplina consente attualmente agli Stati membri di ripristinare, per un periodo massimo di 30 giorni prorogabili per ulteriori 30 giorni, i controlli in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. In base alle modifiche prospettate, il soggetto titolare del potere di ripristinare i controlli non sarebbe più lo Stato membro ma le istituzioni europee. La competenza resterebbe in capo agli Stati membri solo in via eccezionale qualora si richieda un'azione immediata e, in tal caso,  la durata del ripristino dei controlli alle frontiere interne non potrebbe superare i 5 giorni. La proposta prevede inoltre una procedura specifica di ripristino di controlli alle frontiere interne per decisione della Commissione europea qualora le valutazioni Schengen evidenzino carenze gravi e persistenti nei controlli alle frontiere esterne da parte di uno Stato membro, nella misura in cui esse costituiscono una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna a livello dell’Unione o nazionale. 

Il pacchetto è stato esaminato, ex articolo 127 del Regolamento della Camera dei deputati, dalla I Commissioni affari costituzionali, che ha adottato un documento finale favorevole con alcune osservazioni il 21 dicembre 2011.

Accanto agli aspetti più propriamente giuridici, il Consiglio giustizia e affari interni dell’8 marzo 2012 ha adottato conclusioni relative agli orientamenti per il rafforzamento della governance politica nell'ambito della cooperazione Schengen.

Il Consiglio ha, in particolare, stabilito che  il Comitato misto, composto dagli Stati membri UE e dagli Stati associati Schengen, fornirà, a livello ministeriale, gli orientamenti politici necessari per lo spazio Schengen. L'ordine del giorno e l'organizzazione delle riunioni dovrebbero consentire discussioni di natura politica incentrate su argomenti chiave connessi al corretto funzionamento dello spazio Schengen, inclusi orientamenti in merito al sostegno che dovrebbe essere fornito dalle agenzie dell'UE. Le discussioni politiche in sede di comitato misto dovrebbero inoltre concentrarsi su situazioni nelle quali le relazioni di valutazione hanno indicato gravi carenze, comprese le misure speciali da attuare, senza pregiudizio delle procedure applicabili per le agenzie dell'UE e delle competenze di ciascuno Stato membro.

Integrazione

L'integrazione degli stranieri regolari è uno dei princìpi base delle politiche sull'immigrazione. Nella XVI legislatura sono intervenuti in questa materia il "pacchetto sicurezza" ed altri provvedimenti di iniziativa governativa, introducendo tra l'altro l'accordo di integrazione che lo straniero deve sottoscrivere per ottenere il permesso di soggiorno. A livello dell'organizzazione istituzionale, il principio ha portato, nel novembre 2011, alla nomina, finora senza precedenti, di un Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l'integrazione.

L'accordo di integrazione

La legge sulla sicurezza (L. 94/2009) introduce il concetto di “integrazione”, quale processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri (art. 1, comma 25). Per ottenere il rilascio del permesso di soggiorno lo straniero deve stipulare un accordo di integrazione (il cosiddetto permessodi soggiorno “a punti”), articolato per crediti, con l'impegno a conseguire specifici obiettivi di integrazione. La perdita integrale dei crediti comporta la revoca del titolo di soggiorno e l’espulsione amministrativa dello straniero. L’accordo di integrazione è diventato operativo con l’adozione del regolamento di attuazione (DPR 14 settembre 2011, n. 179).

Inoltre, il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, riservato agli stranieri residenti da lungo tempo nel nostro Paese, viene ora subordinato al superamento da parte del richiedente di un test di conoscenza della lingua italiana (art. 1, comma 22, lett. i). Le modalità di svolgimento del test sono state definite con il decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2010.

Le politiche di integrazione dell'Unione europea

Il Trattato di Lisbona ha fornito una base giuridica esplicita per agevolare le politiche di integrazione. L’articolo 79, paragrafo 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, pur escludendo qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, attribuisce al Parlamento europeo e il Consiglio la facoltà di stabilire misure volte ad incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel territorio.

La strategia Europa 2020 e il programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, richiamandosi al Patto europeo per l’immigrazione e l’asilo, riconoscono tutte le potenzialità dell'immigrazione ai fini di un'economia sostenibile e competitiva e individuano come obiettivo politico la reale integrazione degli immigrati regolari, sostenuta dal rispetto e dalla promozione dei diritti umani.

In tale quadro, la Commissione europea ha presentato la comunicazione Agenda europea per l'integrazione nella quale formula raccomandazioni agli Stati membri affinché adottino iniziative volte, tra le altre cose, a perfezionare i metodi per il riconoscimento delle qualifiche e delle competenze dei migranti; favorire la partecipazione degli immigrati con politiche attive del mercato del lavoro; predisporre programmi introduttivi per i nuovi arrivati, come corsi di lingua e di educazione civica; assicurare il rispetto del principio della parità di trattamento.

Ricongiungimento familiare e minori stranieri

La legge sulla sicurezza (art. 1, commi 19 e 22, lett. s e t) incide anche sul ricongiungimento familiare, rendendone più restrittivo l’esercizio, secondo l’indirizzo inaugurato all’inizio della legislatura dal decreto legislativo 160/2008. Questo provvedimento, anch’esso parte del pacchetto sicurezza, prevede, tra l’altro, la possibilità di ricorrere all’esame del DNA per accertare il rapporto di parentela, quando manchi la documentazione o ne sia dubbia l’autenticità.

Quanto ai diritti dei minori, il 14 ottobre 2008 la Camera ha discusso una serie di mozioni sull’accesso degli studenti stranieri alla scuola dell’obbligo . Il testo approvato impegna il Governo, tra l’altro, a rivedere il sistema di accesso, autorizzando l’ingresso previo superamento di test e prove di valutazione, e a istituire “classi di inserimento”.

Anche la VII Commissione cultura della Camera è intervenuta approvando una risoluzione che , al fine di favorire il processo di integrazione dei bambini stranieri con quelli italiani, chiede l’introduzione di un tetto che preveda la presenza nelle classi di non più del 30 per cento di bambini stranieri (Risoluzione 7/140 approvata nella seduta del 6 maggio 2009). Il principio del limite massimo di studenti stranieri è stato recepito dal Governo con la circolare 8 gennaio 2010 dove si stabilisce che il numero degli alunni con cittadinanza non italiana presenti in ciascuna classe non potrà superare di norma il 30 per cento del totale degli iscritti.

La Commissione bicamerale sull’infanzia ha svolto una indagine conoscitiva sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati e il 21 aprile 2009 ha approvato una risoluzione (Doc. XXIV-bis, n. 1) che impegna il Governo a rafforzare gli strumenti di tutela.

La legge sulla sicurezza (art. 1, comma 22, lett. v) è intervenuta anche in questa materia con una norma sul rilascio del permesso di soggiorno ai minori non accompagnati, al compimento della maggiore età, prevedendo che questi debbano risultare affidati ad una famiglia o sottoposti a tutela e abbiano intrapreso un percorso di integrazione.

Infine, si segnala la discussione e approvazione alla Camera di una mozione che impegna il Governo a adoperarsi per una effettiva tutela dei minori stranieri senza genitori rintracciati nel territorio nazionale (seduta del 20 ottobre 2010).

La necessità di una maggiore protezione dei minori che entrano nell’Unione europeasenza essere accompagnati da una persona adulta responsabile o che siano lasciati soli una volta nel territorio UE, ha richiesto, da parte delle istituzioni europee, l’adozione di uno specifico Piano d’azione per il periodo 2010-2014. Il Piano d’azione prevede misure volte a: prevenire la tratta dei minori attraverso una più stretta cooperazione con i paesi di transito e di origine; istituire programmi di protezione in prossimità dei paesi di origine per i minori bisognosi di protezione internazionale; elaborare misure di accoglienza e garanzie procedurali specifiche dal momento in cui il minore non accompagnato è individuato alla frontiera esterna UE.

Diritti sociali degli immigrati

Il decreto-legge 112/2008, collegato alla manovra economica, ha inserito gli immigrati a basso reddito tra i soggetti destinatari delle abitazioni del Piano casa, purché risiedano da almeno 10 anni nel territorio nazionale o da 5 anni nella stessa regione e prevede che l’assegno sociale possa essere corrisposto agli stranieri che soggiornino legalmente in Italia da almeno 10 anni.

Il decreto-legge 93/2008 ha ridotto alcune autorizzazioni di spesa, tra cui gli stanziamenti per il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati (peraltro la disposizione che ha istituito tale fondo è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza 50/2008 della Corte costituzionale in quanto lesiva delle competenze regionali).

Di particolare rilievo in materia di lavoro l’emanazione di due decreti legislativi, entrambi di recepimento di normative comunitarie. Il primo è finalizzato ad incentivare l’accesso al lavoro di immigrati altamente qualificati e istituisce la cosiddetta carta blu UE che conferisce a tali lavoratori uno status particolare (D.Lgs. 108/2012 che attua la direttiva 2009/50/CE). Il secondo inasprisce le sanzioni nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (D.Lgs. 109/2012 di attuazione della direttiva 2009/52/CE). Il decreto 109/12 prevede anche una disposizione transitoria volta a permettere ai datori di lavoro di regolarizzare rapporti di lavoro irregolari pregressi.

Già in precedenza la Camera aveva affrontato in diverse occasioni la questione dello sfruttamento dei lavoratori immigrati: prima in sede di esame della proposta di direttiva comunitaria, poi approvata e recepita dal citato D.Lgs. 109/2012 (Commissioni riunite I e II seduta del 26 novembre 2008), successivamente l’Assemblea della Camera, nell'aprile 2010, ha discusso e votato alcune mozioni incentrate sulle politiche migratorie e di integrazione e per il contrasto al lavoro irregolare. Tutte le mozioni sono accomunate dalla richiesta di moltiplicare gli sforzi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori stranieri.

Nell’ambito delle iniziative dell’Unione europea a sostegno dell’immigrazione legale, il 13 dicembre 2011 è stata definitivamente approvata la direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e lavoro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro, che dovrà essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 25 dicembre 2013. Prosegue invece l’esame di due proposte di direttiva rispettivamente dedicate alle condizioni di ingresso e soggiorno dei lavoratori stagionali (COM(2010)379) e alle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell’ambito di trasferimenti intrasocietari (COM(2010)379. Nel marzo  2012 la Commissione europea ha inoltre presentato una comunicazione relativa alla dimensione esterna del coordinamento in materia di sicurezza sociale nell'Unione europea (COM(2012)153), al fine di sviluppare un approccio comune che garantisca la tutela dei diritti dei lavoratori provenienti da paesi terzi, con particolare riferimento all'assistenza sociale, sanitaria e ai regimi pensionistici.

Si ricorda che, nel corso della XVI legislatura, la citata proposta di direttiva sul lavoro stagionale (COM(2010)379) è stata esaminata dalla Camera dei deputati. In particolare, il 6 ottobre 2010 la Commissione Politiche dell’UE ha adottato un documento di conformità della proposta al principio di sussidiarietà. L’esame di merito presso la Commissione Affari costituzionali si è concluso il 25 novembre 2010 con l’adozione di un documento finale. Il documento finale sottolinea la necessità che la disciplina europea sia dotata di una flessibilità adeguata alle caratteristiche peculiari di ciascun sistema produttivo nazionale, soprattutto in riferimento alla durata minima e massima del permesso di lavoro in particolare nel settore agricolo.

Il Ministro per la cooperazione e l'integrazione

Nel novembre 2011, per la prima volta, con il Governo Monti, è stato nominato un Ministro senza portafoglio per la cooperazione internazionale e l’integrazione nella persona di Andrea Riccardi.

Il Ministro, illustrando le linee programmatiche nel corso dell'audizione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera l’11 gennaio 2012, ha sottolineato la necessità di passare da una considerazione emergenziale dell'immigrazione alla maturazione dell'idea di integrazione. Tra le questioni affrontate dal Ministro, la concessione della cittadinanza dei minorenni, figli di cittadini stranieri; l’insegnamento dell’italiano agli immigrati; la graduazione dei costi di permesso di soggiorno.

Tra gli atti del nuovo Governo in materia di integrazione si ricorda la Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti presentata il 28 febbraio 2012. Il piano attua la comunicazione della Commissione europea del 5 aprile 2011 “Quadro dell'UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020”.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: L'integrazione dei cittadini di paesi terzi soggiornanti legalmente nel territorio dell'UE



L'Agenda europea per l'integrazione

In base alle statistiche demografiche relative al 2010 (dati Eurostat), gli stranieri residenti nei 27 Stati membri dell'UE sarebbero 32,4 milioni (6,5% della popolazione totale), 12,3 milioni dei quali cittadini UE-27 residenti in un altro Stato membro e 20,1 milioni cittadini di paesi non UE-27 (4% della popolazione totale).

Il Trattato di Lisbona ha fornito una base giuridica esplicita per agevolare le politiche di integrazione. L’articolo 79, par 4 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, pur escludendo qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, riconosce al Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura ordinaria, la facoltà di stabilire misure volte ad incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri al fine di favorire l’integrazione dei cittadini di paesi terziregolarmente soggiornanti nel territorio.

Per cittadini di paesi terzi si intendono i migranti provenienti da paesi esterni all'Unione e che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro. Fanno parte di questo gruppo sia i nati in un paese non dell'Unione, sia i nati nell'Unione che però non hanno la cittadinanza di uno Stato membro.

La strategia Europa 2020 e il programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, riconoscono tutte le potenzialità dell'immigrazione ai fini di un'economia sostenibile e competitiva e individuano come chiaro obiettivo politico la reale integrazione degli immigrati regolari, sostenuta dal rispetto e dalla promozione dei diritti umani. L'Analisi annuale della crescita 2011 (COM(2011)11, allegato 2, relazione macroeconomica) passa in rassegna gli interventi necessari affinché l'Unione possa progredire verso il raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020, sottolinea la necessità di riforme urgenti per migliorare le competenze di cittadini nazionali e immigrati e creare incentivi al lavoro.

In tale quadro il 20 settembre 2011 la Commissione europea ha presentato la comunicazione “Agenda europea per l'integrazione” (COM(2011)455) nella quale, tenendo conto delle esperienza già acquisita a livello di Unione e Stati membri, individua le sfide che l'integrazione pone all'Europa e propone raccomandazioni e ambiti di intervento.

La Commissione sottolinea la sussistenza dei seguenti ostacoli ad una efficace integrazione: i livelli occupazionali tuttora bassi della forza lavoro immigrata, soprattutto femminile;  la crescente disoccupazione e gli alti tassi di forza lavoro immigrata sovra qualificata; il rischio crescente di esclusione sociale;  le disparità in termini di rendimento scolastico; l'apprensione pubblica per la scarsa integrazione.

Per far fronte a tali sfide irrisolte, la Commissione raccomanda azioni in tre settori chiave: l'integrazione tramite la partecipazione; più azione a livello locale; coinvolgimento dei paesi di origine.

In particolare la Commissione europea raccomanda agli Stati membri di:

La Commissione si impegnerà a sua volta a favorire lo scambio delle pratiche e il coordinamento delle politiche del lavoro, dell'istruzione e sociali e a provvedere a un uso migliore degli strumenti finanziari di cui dispone l'Unione per sostenere la partecipazione degli immigrati.



Ricongiungimento familiare

Un'altra componente correlata è quella del ricongiungimento familiare. In tale contesto, nel novembre 2011 è stata lanciata una discussione pubblica sul ricongiungimento familiare (Libro verde sul diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi che vivono nell'Unione europea, riguardante i modi per sviluppare questo tipo di migrazione senza perdere di vista l'obiettivo della direttiva 2003/86/CE e in particolare tutelando il diritto fondamentale alla vita familiare. Sulla base dei contributi ricevuti, la Commissione deciderà le prossime iniziative.

Anche la Rete europea sulle migrazioni - REM ha intrapreso uno studio sull'abuso del diritto al ricongiungimento familiare tramite matrimoni fittizi e false dichiarazioni di paternità o maternità.



Coinvolgimento dei paesi di origine

Per quanto riguarda il coinvolgimento dei paesi di origine, la Commissione europea ritiene che essi dovrebbero impegnarsi in tre ambiti specifici:

Prima della partenza, i paesi d'origine possono venire incontro ai migranti informandoli, ad esempio, sui visti necessari o sui permessi di soggiorno e offrendo loro corsi di lingua o formazioni professionali che ne sviluppino le competenze. Nei prossimi mesi la Commissione lancerà un portale europeo dell’immigrazione dove chi intende immigrare nell'Unione troverà informazioni su come presentare la domanda.

Le rimesse e il trasferimento di competenze, innovazione e conoscenze possono incentivare investimenti sostenibili nei paesi d'origine favorendone lo sviluppo. Promuovendo una strategia più dinamica a favore dell'imprenditoria transnazionale si otterrà di agevolare gli imprenditori attivi tanto negli Stati membri che nei paesi partner..

E’ necessario definire un quadro di diritti per incentivare la migrazione temporanea e circolare, che garantisca uno status giuridico chiaro e faciliti la mobilità. I partenariati per la mobilità con i paesi terzi potrebbero diventare l'ambito in cui promuovere iniziative di integrazione negli Stati membri intese a beneficio anche dei paesi d'origine.

Libera circolazione dei cittadini europei

I cittadini comunitari possono circolare liberamente nel territorio dei Paesi membri nel rispetto di una serie di regole comuni fissate dall'Unione e adottate dall'Italia nel 2007. Nella XVI legislatura sono state apportate alcune modifiche a tale disciplina per evitare una procedura di infrazione comunitaria. Inoltre, l'accesso al mercato del lavoro dei cittadini di Romania e Bulgaria, Paesi di nuova adesione, già sottoposto ad alcune limitazioni, è stato completamente liberalizzato dal 2012.

La disciplina della libertà di circolazione dei cittadini comunitari

La libertà di circolazione è uno dei principi fondamentali per la creazione di uno spazio comune interno alla Unione europea.

La disciplina comunitaria in materia si è costruita nel corso degli anni con l’adozione di diversi provvedimenti che hanno regolato separatamente la libertà di circolazione di diverse categorie di cittadini comunitari, quali, ad esempio, i lavoratori, gli studenti. Nel 2004, per superare il carattere settoriale e frammentario della normativa, la Commissione europea ha adottato la direttiva 2004/38/CE, che ha sostituito le disposizioni precedenti.

Nella XV legislatura l’Italia ha adeguato il proprio diritto interno alla nuova disciplina con il decreto legislativo 30/2007 che regola le modalità di esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato dei cittadini dell’Unione europea e dei familiari che li accompagnano o li raggiungono, i presupposti del diritto di soggiorno permanente, e le limitazioni a tali diritti per motivi di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.

I lavoratori romeni e bulgari

Come altri Stati membri dell’Unione, l’Italia ha deciso di esercitare la facoltà, prevista dei trattati, di mantenere alcune limitazioni all’accesso al lavoro dei cittadini provenienti dai Paesi di nuova adesione, Romania e Bulgaria. La decisione è stata presa dal Governo nel dicembre 2006, alla vigilia dell’ingresso nell’Unione dei due Paesi. Il provvedimento che stabilisce la limitazione è stato prorogato più volte, l’ultima volta, fino al 31 dicembre 2011. Dal 1° gennaio 2012 tali restrizioni sono decadute.

Il pacchetto sicurezza

Nell'ambito del “pacchetto sicurezza”, il Governo ha approvato in via preliminare anche uno schema di decreto legislativo che modifica la disciplina del decreto legislativo 30/2007, prevedendo alcune limitazioni al diritto di circolazione dei cittadini comunitari. Successivamente lo schema è stato accantonato a seguito di alcuni rilievi da parte della Commissione europea. Come illustrato dal Ministro dell'interno nel corso dell'audizione del 15 ottobre 2008 presso il Comitato parlamentare Schengen, la Commissione europea ha espresso parere contrario sul testo, ritenendo eccessiva la sanzione dell'allontanamento e chiedendo di sostituirla con un semplice invito ad abbandonare il territorio nazionale; il Governo italiano ha accolto la richiesta, pur non condividendola, con la conseguenza che il testo così emendato dello schema di decreto non comporterebbe modifiche significative alla disicplina vigente, tali da giustificarne l'approvazione definitiva.

 

 

 

Il decreto-legge 89/2011

Tuttavia, l’attuazione della normativa comunitaria in materia non è stata considerata soddisfacente e per evitare la procedura di infrazione comunitaria per l’incompleto o non corretto recepimento della citata direttiva 2004/38/CE, il Governo ha emanato il decreto legge 89/ 2011, che interviene anche sul mancato recepimento della direttiva comunitaria 2008/115/CE, la c.d. direttiva rimpatri (vedi tema Recepimento della direttiva rimpatri)

Per la parte relativa alla materia della libertà di circolazione dei cittadini comunitari, il decreto legge introduce delle modifiche nel decreto legislativo 30/2007 di recepimento della direttiva 2004/38/CE. Queste modifiche riguardano:

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Recepimento della direttiva rimpatri

Il decreto-legge n. 89 del 2011, approvato nella XVI legislatura, contiene disposizioni in materia di libertà di circolazione dei cittadini comunitari e di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari. Le disposizioni sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari recepiscono la direttiva 2008/115/CE, il cui termine di attuazione era scaduto il 24 dicembre 2010.

Il decreto legge 89/2011 è stato emanato per evitare le procedure di infrazione comunitaria per l’incompleto o non corretto recepimento della direttiva 2004/38/CE, che riguarda la libertà di circolazione dei cittadini comunitari, nonché per il mancato recepimento della direttiva 2008/115/CE, che riguarda il rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari. Infatti il termine di recepimento di quest’ultima direttiva è scaduto il 24 dicembre 2010.

 Per la parte relativa alla disciplina dei rimpatri, il decreto legge recepisce la direttiva 2008/115/CE apportando modifiche ed integrazioni al testo unico in materia d’immigrazione D.Lgs. 267/1998. In particolare, sono disciplinati:

Nel corso dell'esame parlamentare sono state approvate le seguenti modifiche:

  • la previsione che nella procedura di verifica della sussistenza del requisito della disponibilità delle risorse economiche sufficienti a garantire il soggiorno del cittadino comunitario oltre i tre mesi si tenga conto delle spese afferenti l'alloggio sia esso in locazione, in comodato, di proprietà o detenuto in base a un altro diritto soggettivo;
  • l'inserimento della parola "necessaria" con riferimento alla condizione, in relazione al fatto che il possesso del documento di attestazione di iscrizione anagrafica o del documento di soggiorno del cittadino comunitario non costituisce condizione per l'esercizio di un diritto;
  • una integrazione dell’art. 32 del t.u. immigrazione, in base alla quale il permesso di soggiorno può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro o di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri extracomunitari non accompagnati, affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela, previo parere positivo del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33 ovvero ai minori stranieri non accompagnati.
  • Con il decreto del ministro dell’interno 27 ottobre 2011, sono state adottate le Linee guida per l’attuazione dei programmi di rimpatrio volontario e assistito, introdotte dal D.L. 89/2011.

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