Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: I temi dell'attività parlamentare nella XVI Legislatura - Regioni, Autonomie e servizi pubblici locali
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 28
Data: 15/03/2013
Descrittori:
ENTI LOCALI   REGIONI
SERVIZI PUBBLICI     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.

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Indice

Regioni, autonomie e servizi pubblici locali 1
L'assetto degli enti locali: interventi su organi, apparati e funzioni 4
La Conferenza permanente dei livelli di governo 14
Ordinamento di Roma Capitale 16
Lo Statuto di Roma Capitale 19
Passaggio di comuni ad altra regione o ad altra provincia 20
Province e città metropolitane 23
Riduzione del numero dei consiglieri regionali 27
Riduzione di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali 31
Servizi pubblici locali 36
I servizi pubblici locali nella XVI legislatura 40

Regioni, autonomie e servizi pubblici locali

 

La riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta nel 2001, ha profondamente mutato il rapporto tra Stato ed autonomie territoriali. L'articolo 114 della Costituzione, che apre il nuovo titolo V, pone sullo stesso piano, come entità costitutive della Repubblica,  i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato.

Alle regioni in particolare è riconosciuta ampia autonomia statutaria, legislativa, organizzativa e finanziaria. Le funzioni amministrative sono attribuite in prima istanza ai comuni, in ossequio al principio di sussidiarietà, e, solo ove necessario per assicurarne l'esercizio unitario, possono essere assegnate agli enti territoriali di livello superiore, fino allo Stato.

Nel corso della legislatura sono stati adottati interventi legislativi di rilievo sul terreno delle autonomie, da un lato attuando la riforma del Titolo V sul versante delle risorse finanziarie del sistema delle autonomie, dall'altro delineando un sistema di controlli interni ed esterni per l'utilizzo delle risorse stesse.
  
Sul primo versante vi è la delega legislativa contenuta nella legge n. 42 del 2009, che ha autorizzato il Governo ad adottare, entro due anni, uno o più decreti legislativi di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione al fine di assicurare l’autonomia finanziaria di comuni, province, Città metropolitane e regioni, mediante la definizione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica e le modalità della perequazione tra regioni.
La medesima legge disciplina l’ordinamento di Roma, capitale della Repubblica, in attuazione dell’art. 114, terzo comma, della Costituzione e detta norme per l’effettiva istituzione delle città metropolitane. Tale istituzione è stata però oggetto di ulteriori specifiche disposizioni contenute in decreti-legge di seguito menzionati.

Sul secondo versante, nell'ambito dei decreti legislativi di attuazione delle disposizioni di delega della legge 42/2009 (su cui si veda, nell'area Finanza regionale e locale, il tema Il federalismo fiscale ), vi è il decreto legislativo 149/2011 che prevede meccanismi sanzionatori e premiali per regioni, province e comuni; a tali meccanismi ha apportato alcune modifiche il decreto-legge 174/2012, del quale va segnalata la disciplina specificamente introdotta in tema di controlli sulle regioni e sugli enti locali e sui costi della politica nelle stesse regioni .
Nell'ambito del d.lgs. 149/2009, assumono rilievo, tra le altre, le disposizioni che prevedono la responsabilità politica del presidente della regione, del sindaco e del presidente della provincia in caso di grave  dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario, caso che costituisce grave violazione di legge e quindi presupposto di scioglimento del consiglio regionale ai sensi dell'art. 126 Cost..

Ancora sul versante dell'attuazione del riformato Titolo V della Costituzione, in particolare dell'art. 117 Cost, comma secondo, lett. p), si pone la definizione delle funzioni fondamentali dei comuni, disposta dall'art. 19 del decreto-legge 95/2012. Lo stesso articolo ha disciplinato sia l'esercizio associato di funzioni e di servizi locali, su cui era già intervenuto il decreto legge 138/2011; sia l'istituto delle unioni di comuni, modificando le disposizioni in materia contenute nel Testo unico sugli enti locali di cui al d.lgs. 267/2000.
Questi interventi normativi, unitamente a quelli effettuati a partire dal 2008 sugli apparati istituzionali locali, hanno contribuito a delineare, all'esito della legislatura, un rinnovato assetto degli enti locali .

All'obiettivo di un nuovo assetto degli enti locali hanno concorso, durante la legislatura, anche alcune iniziative legislative il cui iter parlamentare non è poi giunto ad approvazione, quali il disegno di legge di iniziativa governativa volto a definire un “Codice delle autonomie” (A.C.3118), individuandone le funzioni fondamentali e le proposte di legge costituzionale – di iniziativa parlamentare dirette alla soppressione delle province (A.C. 1694 e abb.).

 La materia dell'ordinamento delle province ha però trovato una nuova definizione normativa nelle previsioni contenute in alcuni decreti-legge: D.L.201/2011, D.L. 95/2012 e D.L. 188/2012.
Il primo decreto-legge ha circoscritto le funzioni provinciali di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale e ha limitato gli organi di governo della Provincia al Consiglio provinciale e al Presidente della Provincia, rinviando la determinazione delle modalità di elezione di tali organi a legge dello Stato da adottare entro il 31 dicembre 2013. Per le funzioni diverse da quelle indicate è stato previsto il trasferimento ai comuni salve esigenze di carattere unitario che ne rendano necessaria l'acquisizione alle regioni. 
Il secondo decreto-legge ha disposto, con l’articolo 17, un generale riordino delle province all'esito di un procedimento condiviso con le comunità locali e una ridefinizione delle loro funzioni, con conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite dal D.L. 201/2011 . Il riordino delle province è strettamente collegato con l’istituzione delle città metropolitane prevista dall'articolo 18 del medesimo provvedimento che comporta la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio.
Il terzo decreto-legge, decaduto per mancanza di conversione nel termine, provvedeva al riordino delle province sulla base di requisiti minimi definiti dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012, individuando tutte le province delle regioni a statuto ordinario. Il testo disponeva anche in materia di istituzione e di organi di città metropolitane.
Con l'art. 1, comma 115, L.228/2012, legge di stabilità per il 2013, questa configurazione dell'assetto delle province è stata temporaneamente congelata prevedendo: la sospensione, fino al 31 dicembre 2013, del trasferimento ai Comuni delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, nonchè del trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali all’esercizio delle funzioni stesse; la sospensione fino al 31 dicembre 2013 dell’applicazione delle disposizioni in materia dicittà metropolitane; la proroga al 31 dicembre 2013 del termine entro il quale sono stabilite, con legge dello Stato, le modalità di elezione dei componenti del Consiglio provinciale con previsione di gestioni commissariali fino alla stessa data; l'attribuzione di carattere transitorio all’assegnazione delle funzioni di area vasta alle province, effettuata in via definitiva dal comma 10 dell’art. 17 del D.L. 95/2012.

Nel corso della legislatura sono state inoltre esaminate proposte di legge che, in applicazione dell’art. 132 della Costituzione, dispongono il distacco di comuni da una regione e la loro aggregazione a una regione confinante, pervenendo all'approvazione della legge 119/2009, nonchè proposte di legge per il passaggio di comuni da una provincia ad un'altra nella stessa regione pervenendo all'approvazione della legge 183/2009; un’ulteriore proposta di legge costituzionale, il cui esame presso la Camera non si è concluso, mirava a modificare la procedura in materia di distacco e aggregazione di comuni e province, di cui al ricordato art. 132 della Costituzione.

Un comparto di rilievo nel settore delle autonomie è costituito dai Servizi pubblici locali di rilevanza economica, la cui disciplina è stata oggetto di numerosi interventi nel corso della XVI legislatura. Si tratta di interventi non solo normativi, ma anche conseguenti ad esiti referendari e a pronunce della Corte costituzionale.
Il comparto è soggetto ai principi stabiliti in sede di Unione europea, ove l'esigenza di diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento, libera prestazione dei servizi degli operatori economici, garanzia del diritto degli utenti all'universalità, accessibilità dei servizi e ai livelli essenziali delle prestazioni è coniugata con la facoltà degli Stati membri di effettuare affidamenti in house purchè ricorrano specifiche condizioni.

L'assetto degli enti locali: interventi su organi, apparati e funzioni

Nella XVI legislatura gli interventi sugli enti locali hanno riguardato vari profili: dalla riduzione dei trasferimenti di risorse e dalla definizione di un nuovo assetto dei rapporti economico-finanziari tra lo Stato e le autonomie fino al contenimento dei costi degli apparati e all'aumento della funzionalità degli enti stessi. Sotto quest'ultimo profilo presenta particolare rilievo la definizione delle funzioni fondamentali dei comuni in quanto diretta attuazione di disposizioni costituzionali.

L'assetto degli enti locali è stato oggetto di costante attenzione nel corso della legislatura, attraverso numerosi interventi normativi tra i quali quelli diretti alla rideterminazione degli emolumenti e del numero dei componenti degli organi, nonchè alla razionalizzazione degli organismi facenti capo agli stessi enti. Si è proceduto altresì all'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali e a disciplinare l'esercizio associato delle attività degli stessi enti.
Di tali orientamenti normativi si da conto di seguito, rinviando invece per la disciplina dei controlli sull'attività di tali enti allo specifico tema Riduzione di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali.

Interventi normativi sugli emolumenti e sul cumulo degli incarichi degli amministratori locali

In questa materia gli orientamenti normativi si sono indirizzati verso il contenimento delle spese, dapprima stabilendo riduzioni di importi e impedendo l’attivazione di meccanismi di incremento, in seguito eliminando taluni emolumenti e introducendo divieti di cumulo di importi percepiti a vario titolo. 

La prima tappa di questo processo normativo inizia in modo organico nel 2008 con il decreto legge 112/2008 che, con effetto dal 1° gennaio 2009, ha novellato  l’art. 82 del testo unico sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000) disponendo:

 Nello stesso contesto temporale si colloca la previsione dell’art. 4-bis del D.L. 97/2008 che, nel disporre la diminuzione del numero dei componenti degli organi della comunità montane, ne ha previsto la riduzione delle indennità. 

Successivamente, con il decreto legge 78/2010, si è stabilito:

 Con l’art. 1, comma 120, della L.220/2010 legge finanziaria per il 2011, , per gli enti locali che nell’anno precedente non hanno rispettato il patto di stabilità interno sono stati ridotti del 30 per cento, rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 giugno 2008, gli importi di indennità di funzione e di gettoni di presenza di cui all’art. 82 TUEL.

Inoltre, il D.L. 225/2010 ha previsto nei comuni capoluogo di regione individuati come città metropolitane, gli oneri a carico dell’ente locale per i permessi retribuiti dei consiglieri circoscrizionali che siano dipendenti da privati o da enti pubblici economici non possono superare mensilmente, per ciascun consigliere, l’importo pari ad un quarto dell’indennità del presidente circoscrizionale (art. 2, comma 9-quater), nonchè un limite massimo agli oneri a carico di Roma Capitale per i permessi retribuiti dei consiglieri dell’Assemblea capitolina che siano anche dipendenti da privati o da enti pubblici economici. I predetti oneri non possono mensilmente superare, per ciascun consigliere, l'importo pari alla metà dell'indennità di rispettiva spettanza (art. 2, comma 9-bis).

 Nella seconda parte della legislatura la tendenza normativa in questa materia ha assunto un profilo di comparazione con la legislazione di carattere analogo adottata in altri paesi europei.

A questa tendenza vanno ascritte le disposizioni dell’art. 1 del D.L. 98/2011: che ha stabilito che il trattamento economico omnicomprensivo annualmente corrisposto ai titolari di cariche elettive ed incarichi di vertice o quali componenti, comunque denominati, degli organismi, enti e istituzioni elencati nell’allegato A (compresi Presidenti delle Regioni e delle Province; sindaci; consiglieri regionali, provinciali e comunali), non può superare la media degli analoghi trattamenti economici percepiti dai titolari di omologhe cariche e incarichi negli altri Stati dell’Area Euro, con disposizioni analoghe per i parlamentari. A questo scopo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, è stata istituita una Commissione con partecipazione a titolo gratuito, presieduta dal Presidente dell’ISTAT, con il compito di provvedere, entro il 1° luglio di ogni anno, alla ricognizione e all’individuazione della media dei trattamenti economici riferiti all’anno precedente. Tale organo, noto come Commissione Giovannini, dal nome del presidente, ha presentato la propria (relazione finale) il 31 marzo 2012. Nelle conclusioni della relazione, la Commissione perviene a rassegnare le dimissioni dal mandato, prendendo atto delle eterogeneità delle situazioni riscontrate negli altri paesi e segnalando la difficoltà di applicazione della normativa adottata. 

Nello stesso anno il D.L. 138/2011 ha stabilito numerose disposizioni per gli enti locali quali:

  Con l’art. 23, comma 22, del D.L. 201/2011, la titolarità di qualsiasi carica, ufficio o organo di natura elettiva di un ente territoriale non previsto dalla Costituzione diventa a titolo esclusivamente onorifico e non può dare luogo ad alcuna forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza.

Inoltre con l'art. 69, comma 3-bis, D.L. 82/2012 ha disposto che le province autonome di Trento e di Bolzano prevedono, nell’ambito della propria autonomia statutaria e nel quadro delle procedure di coordinamento previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, che gli incarichi conferiti all’interno delle comunità di valle siano svolti a titolo esclusivamente onorifico, senza la corresponsione di alcuna forma di remunerazione, indennità o gettone di presenza.

Tutti gli interventi normativi ricordati risultano inquadrati in una prospettiva di trasparenza, per gli enti locali con più di 10 mila abitanti, con l’istituzione di un’anagrafe patrimoniale degli amministratori degli stessi enti (art. 3, comma 1, lett. a), D.L. 174/2012).

Riduzione dei contributi ordinari e razionalizzazione dell'ordinamento degli enti locali

Nella XVI legislatura la legislazione è stata orientata anche verso la razionalizzazione degli apparati istituzionali locali, obiettivo perseguito parallelamente alla riduzione dei contributi ordinari agli enti locali.
Il filone normativo relativo alla diminuzione dei trasferimenti di risorse va esaminato tenendo presente anche l’attuazione delle deleghe stabilite dalla legge 42/2009, in materia di autonomia finanziaria degli enti territoriali, per la quale si rinvia allo specifico tema Il federalismo fiscale, nonchè la disciplina del patto di stabilità interno, per la quale si veda Patto di stabilità interno. Nell'ambito dell'attuazione della legge 42/2009 e in connessione con la disciplina del patto si pone la normativa in tema di premi e sanzioni per gli enti completata dal D.Lgs. 149/2011, per la quale si veda 10|Sanzioni e premi per regioni ed enti locali.

In particolare: gli interventi sulle comunità montane

Per le comunità montane, la riduzione di trasferimenti erariali si è inserita in un processo di riordino stabilito sin dalla precedente legislatura con la legge finanziaria per il 2008, art. 2, commi 16-22, L. 244/2007, affidato alla competenza residuale delle regioni alla quale la disciplina di tali enti appartiene.

In questo contesto normativo, il D.L. n. 112/2008 ha ridotto di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 i trasferimenti erariali in loro favore intervenendo prioritariamente sulle comunità che si trovano ad una altitudine media inferiore a 750 metri sopra il livello del mare (art. 76, comma 6-bis); poi il D.L. 154/2008; ha assegnato alle “nuove” comunità montane, istituite a seguito del processo di riordino disposto dall’articolo 2, commi, della legge finanziaria per il 2008, i trasferimenti erariali già erogati alle comunità montane disciolte, al netto delle riduzioni operate dalla stessa legge finanziaria per il 2008 e dal D.L. n. 112 del 2008 (art. 2-bis); quindi, il D.L. 97/2008, ha previsto, per le regioni che non hanno adottato proprie leggi di riordino della disciplina delle comunità montane, nel termine ivi stabilito, effetti di: soppressione automatica delle comunità montane che non corrispondono a precisi criteri altimetrici e di quelle costituite da meno di 5 comuni; decadenza dalla partecipazione alle comunità dei comuni capoluogo, di quelli costieri e di quelli con più di 20.000 abitanti; riduzione del numero dei consiglieri e dei membri dell’esecutivo delle comunità. Tali effetti sono stati accertati, per alcune regioni, con il DPCM 19 novembre 2008.

In merito va ricordata la sentenza 27/2010 della Corte costituzionale che, da un lato, in conformità a consolidata giurisprudenza, ha ribadito che la disciplina delle comunità montane rientra nella competenza residuale delle Regioni (conf. sentenze n. 237/2009, 456/2005 e e 244/2005 ) e che le Regioni “in base all’art. 119 Cost. devono provvedere al loro finanziamento insieme ai Comuni di cui costituiscono la «proiezione»â€ť. Dall’altro, la stessa sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 76, comma 6-bis, nella parte in cui prevede che «i destinatari della riduzione, prioritariamente, devono essere individuati tra le comunità che si trovano ad una altitudine media inferiore a settecentocinquanta metri sopra il livello del mare” la previsione di un criterio altimetrico rigido per ridurre i trasferimenti erariali alle comunità montane “esorbita dai limiti della competenza statale e viola l'art. 117 Cost.”. La stessa sentenza ha ritenuto illegittima la previsione della riduzione dei trasferimenti con decreto non regolamentare senza prescrivere anche l'intesa con la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

In particolare: le misure stabilite nel 2010

Già con la legge finanziaria per il 2010 (art. 2, commi 183-187 L. 191/2009), misure come la diminuzione del numero dei consiglieri comunali e degli assessori comunali e provinciali, nonché la soppressione del difensore civico, delle circoscrizioni comunali, del direttore generale, dei consorzi di funzioni tra enti locali e del finanziamento alle comunità montane sono state stabilite per consentire di far fronte alla riduzione di risorse.

In particolare, l'art. 2, comma 183, L. 191/2009 ha disposto la riduzione dei trasferimenti erariali spettanti alle province nell’importo di 1 milione di euro per il 2010, 5 milioni per il 2011 e 7 milioni per il 2012 e di quelli spettanti ai comuni nell’importo di 12 milioni di euro per il 2010, 86 milioni per il 2011 e 118 milioni per il 2012. Il comma 187 prevede inoltre la cessazione del concorso ordinario dello Stato al finanziamento delle comunità montane, pari a complessivi 50 milioni di euro. In attesa dell’attuazione della legge n. 42/2009 sul federalismo fiscale, la norma, inoltre, dispone l’assegnazione del 30 per cento di tale contributo (circa 15 milioni di euro) in favore dei comuni montani. Ai fini della ripartizione di tale contributo, sono considerati montani i comuni in cui almeno il 75% del territorio si trovi al di sopra di 600 metri dal livello del mare. 

All’indomani dell’entrata in vigore, queste disposizioni sono state modificate ed integrate con il decreto-legge n. 2 del 2010, nato dall’esigenza, da un lato, di assicurare la funzionalità degli enti locali e la riduzione delle spese, in tempo utile prima dell'avvio delle operazioni connesse allo svolgimento delle elezioni regionali e locali del 28 e 29 marzo 2010; dall’altro, di precisare tempestivamente ed in modo univoco la decorrenza dell'efficacia delle disposizioni della legge finanziaria relative alla riduzione di organi e apparati amministrativi degli enti locali.

Perciò il D.L. 2/2010 ha rimodulato l’applicazione temporale della riduzione dei contributi, prevedendo una scansione anno per anno fino al 2015, in corrispondenza del rinnovo degli enti interessati e ha disposto:

Per il contenimento delle spese, il decreto-legge ha poi rimodulato l’applicazione temporale della riduzione dei contributi, prevedendo una scansione anno per anno fino al 2015, in corrispondenza del rinnovo degli enti interessati. L’applicazione della riduzione del numero degli assessori (comunali e provinciali) viene anticipata al 2010 mentre resta fissata al 2011 quella dei consiglieri. 

In conseguenza della riduzione del numero dei consiglieri provinciali, il decreto-legge prevede la ridefinizione, entro il 30 novembre 2010, della tabella delle circoscrizioni dei collegi per le elezioni provinciali, disponendo che la riduzione è efficace anche in caso di mancata ridefinizione della tabella. Questa previsione risulta superata dalle disposizioni in tema di province adottate a decorrere dal decreto-legge 201/2011 cui si rinvia. 

Il decreto ha introdotto anche una disposizione volta al contenimento delle spese delle regioni, prevedendo un limite agli emolumenti dei consiglieri regionali che non dovranno superare l’indennità massima spettante ai membri del Parlamento (art. 3).

In particolare: le misure stabilite nel 2011

Dopo le misure varate con il D.L. 2/2010, il D.L.138/2011 ha previsto un’ulteriore riduzione dei membri di organi a livello provinciale e comunale.

Per le province ha ridotto - a decorrere dal primo rinnovo degli organi di governo delle province successivo alla data di entrata in vigore del decreto in esame - il numero dei consiglieri provinciali e degli assessori provinciali della metà, con arrotondamento all’unità superiore. La riduzione opera sul “numero previsto dalla legislazione vigente” (art. 15, co. 5).

Il D.L. 138/2011 aveva anche previsto, a decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale in corso alla data di entrata in vigore del decreto, la soppressione delle Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 fosse superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva fosse superiore a 3.000 chilometri quadrati, ma tale disposizione (art. 15, co. 1) non è stata convertita in legge. Tuttavia, partire dalla fine del 2011, con il D.L. 201/2011 e poi con i D.L. 95/2012 e D.L. 188/2012, la razionalizzazione delle province continua ad essere oggetto uno specifico filone normativo, del quale si da conto nel tema Province e città metropolitane.

Per i comuni è stata rimodulata la composizione dei consigli e delle giunte dei comuni fino a 10.000 abitanti (art. 16, comma 17) come segue:

a) per i comuni fino a 1.000 abitanti: il sindaco e sei consiglieri;

b) per i comuni tra 1.001 e 3.000 abitanti: il sindaco e sei consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di due;

c) per i comuni tra 3.001 e 5.000 abitanti: il sindaco e sette consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di tre;

d) per i comuni tra 5.001 e 10.000 abitanti: il sindaco e dieci consiglieri; il numero degli assessori è stabilito in non più di quattro. 

In particolare: le misure stabilite nel 2012

Il D.L. 95/2012, con disposizione di carattere generale, ha previsto le regioni, le province e i comuni sopprimono o accorpano, riducendone in ogni caso gli oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del decreto, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali o funzioni amministrative (art. 9 commi 1-7). 

La razionalizzazione dell’ordinamento degli enti locali ha riguardato, oltre gli organi, anche gli organismi facenti capo agli enti locali, con le seguenti previsioni contenute nel D.L. 95/12 di revisione della spesa pubblica:

Per le società degli enti locali numerose disposizioni compongono un complesso filone normativo del quale si evidenziano i seguenti interventi.

Per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti è stato previsto il divieto di costituzione di società e la conseguente liquidazione di quelle esistenti o cessione delle relative quote. E’ salva la disciplina posta dall’art. 3, co. 27 e ss. L. n. 244/2007, per cui le amministrazioni pubbliche non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È, in ogni caso, sempre ammessa la costituzione e l’assunzione di partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza.
Dalle stesse prescrizioni sono altresì escluse le società costituite da più comuni, la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti. Ancora, l’obbligo di liquidazione delle società non si applica nel caso in cui le società già costituite:

a) abbiano, al 30 settembre 2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;

b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;

c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell'obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.

Per i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è invece prevista la possibilità di detenere la partecipazione di una sola società.

Spetta al Prefetto accertare che gli enti locali interessati abbiano attuato, entro i termini stabiliti, il divieto di costituzione di società. Nel caso in cui, all’esito dell’accertamento, il Prefetto rilevi la mancata attuazione, assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, trova applicazione l’esercizio del potere sostitutivo del Governo. (D.L. 78/2010, articolo 14, co. 32, come mod. da L. 220/2010, art. 1, co. 117, da D.L. 225/2010, art. 2, co. 43, da D.L. 98/2011, art. 20, co. 13 e da D.L. 138/2011, art. 16, co. 27 e 28, D.L. 216/2011, art. 29, co. 11-bis).

Successivamente, l’art. 4 del D.L. 95/2012 ha posto l’obbligo di scioglimento o, in via alternativa, di alienazione delle società controllate direttamente o indirettamente, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento del totale. L’alienazione ha ad oggetto l’intera partecipazione della p.a. controllante e comporta la contestuale assegnazione alla società privatizzata del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014.

La norma non si applica ad una serie di società, tra le quali figurano le società a capitale pubblico in house providing per l’affidamento di servizi pubblici locali.

Ove l'amministrazione non proceda secondo quanto stabilito, dal 1° gennaio 2014 le società menzionate non possono ricevere ulteriori affidamenti diretti di servizi, né rinnovi degli affidamenti in corso. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 95/2012 - le p.a. possono predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle medesime società controllate, attivando a tal fine una specifica procedura.

Lo stesso art. 4 ha previsto la riduzione, rispettivamente, a tre del numero dei componenti dei consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1, e a tre o a cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte, il numero dei membri del CdA delle altre società a totale partecipazione pubblica diretta ed indiretta. 

Misure per la funzionalità degli enti locali

Il trend normativo di razionalizzazione dell’ordinamento degli enti locali si è incentrato anche sul profilo dell’attività degli enti.

Da questo punto di vista l’elemento saliente della legislazione è costituito da un lato dall’individuazione delle funzioni fondamentali degli stessi enti ai sensi dell’art. 117 Cost. e dall’altro dalla previsione del carattere obbligatorio dell’esercizio in forma associata delle funzioni dei comuni. 

 

 


Individuazione di funzioni fondamentali

Le funzioni fondamentali dei comuni sono state individuate dall’art. 19 comma 1, lett. a) del D.L. 95/2012, attuando così l’art. 117, comma secondo, lett. p), Cost., che attribuisce in via esclusiva allo Stato la competenza normativa in materia. Le funzioni fondamentali non sono oggetto di definizione nella Carta costituzionale, nella quale le funzioni dei comuni (delle province e delle città metropolitane) sono qualificate come fondamentali dall’art. 117; inoltre, l’art. 118, secondo comma, prevede che i comuni (le province e le città metropolitane) siano titolari di funzioni amministrative proprie e di funzioni conferite con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. La differente qualificazione costituzionale delle funzioni non ha impedito, in sede di dottrina, di identificare le funzioni proprie con quelle fondamentali (quindi da determinare con legge statale), con individuazione uniforme a livello nazionale delle funzioni di base.

Sulle funzioni degli enti locali il D.LGS. 267/2000, recante il testo unico su tali enti, ha posto una disciplina che non distingue tra le funzioni fondamentali e le altre.

Per l’attuazione del disposto costituzionale, tentata in passato, l’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 stabiliva una delega che non è stata poi esercitata. Inoltre, nella XVI legislatura, è stato presentato alla Camera dei deputati, il 13 gennaio 2010, un disegno di legge (A.C. 3138) dal titolo “Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali, razionalizzazione delle Province e degli Uffici territoriali del Governo. Riordino di enti ed organismi decentrati”. Tale provvedimento, c.d. Carta delle autonomie, è stato approvato in prima lettura alla Camera il 30 giugno 2010 e trasmesso al Senato (AS 2259) ove l’esame non si è concluso. 

L’individuazione è compiuta attraverso una modifica dell’art. 14, comma 27, del D.L. 78/2010 che pure aveva definito le funzioni fondamentali mediante rinvio all’art. 21, comma 3, della legge n. 42/2009, di delega in materia di federalismo fiscale. Si trattava di un’individuazione via provvisoria e limitata, finalizzata alla determinazione dei fabbisogni e delle spese degli enti locali, poi effettuata con il D.Lgs. 216/2010 che è intervenuto su costi e fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province.

Le funzioni così individuate comprendono sia quelle strumentali, relative alla gestione e organizzazione degli enti, sia quelle dirette alla comunità territoriale.

A tale individuazione è apposta una specifica clausola di salvezza delle funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni per le materie di legislazione concorrente e residuale e delle funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione. Quanto a queste ultime, l’effetto della clausola – peraltro dichiarativa di una garanzia già posta dalla fonte costituzionale - dovrebbe essere quello, da un lato, di mantenere fermi i conferimenti di funzioni amministrative a livelli diversi da quello comunale già effettuati e, dall’altro, di consentire la flessibilità nell’attribuzione assicurata dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

 

 

 

Obbligo di esercizio di funzioni in forma associata

Questa materia rientra in un corposo filone normativo costituito da varie fonti, novellate in successione (l’art. 14, comma 28, del D.L. 78/2010 sul cui testo erano già intervenute modifiche apportate sia dalla legge di conversione, 122/2010, sia dall’art. 16, comma 22, del D.L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. 148/2011, sia, a fini di proroga di nove mesi, dall’art. 29, comma 11-bis, del D.L. 216/2011, convertito con modificazioni dalla L. 14/2012) l’ultima delle quali è costituita dal D.L. 95/2012 di revisione della spesa pubblica.

Pertanto, i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d’Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali .

Gli strumenti attraverso i quali si provvede all’esercizio in forma associata restano la convenzione e l’unione, che costituiscono due degli strumenti previsti dal Capo V del Titolo II del D.lgs. 267/2001 (art. 30 e 32) in tema di forme associative.

I comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata. La medesima funzione non può essere svolta da più di una forma associativa. La regione, nelle materie di competenza esclusiva e residuale individua, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni delle funzioni fondamentali. Nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa. Il limite demografico minimo delle unioni è fissato in 10.000 abitanti, salvo diverso limite demografico individuato dalla regione.

I comuni che rientrano nell’ambito applicativo della nuova disciplina ne assicurano l'attuazione entro il 1° gennaio 2013 per almeno tre delle funzioni fondamentali ed entro il 1° gennaio 2014 per le restanti funzioni fondamentali.

La Conferenza permanente dei livelli di governo

La riforma del cosiddetto sistema delle conferenze, nel quale si realizza la collaborazione interistituzionale tra Stato, regioni ed autonomie locali, è stata affrontata dalla Camera dei deputati che ha esaminato un disegno di legge del Governo in materia, senza pervenire alla sua approvazione.

 

Il disegno di legge A.C. 4567, di iniziativa governativa, consta di un unico articolo che contiene una delega al Governo per l’istituzione e la disciplina della Conferenza permanente dei livelli di governo. Il nuovo organismo è destinato a sostituire la Conferenza Stato – regioni, la Conferenza Stato – città ed autonomie locali e la Conferenza unificata.

Alla base del testo della delega vi è il proposito, enunciato dalla relazione illustrativa, di “far fronte alle esigenze di negoziazione e di mediazione politiche fra Governo e autonomie territoriali così come scaturiscono dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione e dalla successiva giurisprudenza applicativa della Corte costituzionale”, tenendo conto del “complesso interagire dei soggetti costitutivi della Repubblica”. A tal fine, il disegno di legge si propone di razionalizzare il sistema delle conferenze prevedendo una sola sede di raccordo interistituzionale.

Il termine per l’esercizio della delega è fissato ad un anno dalla data di entrata in vigore della legge.

L’articolo 1, comma 3, reca una serie di principi e criteri direttivi che demandano al decreto delegato:

 Sul disegno di legge sono stati acquisiti il parere della Conferenza unificata e le osservazioni della Conferenza delle regioni e delle province autonome, dell’ANCI e dell’UPI (in allegato). I rilievi contenuti nel parere hanno trovato in gran parte recepimento nella formulazione dell’articolato presentato alla Camera.

Il disegno di legge è stato presentato alla Camera, dove l'esame in sede referente, iniziato il 20 settembre 2011, non è andato oltre la discussione generale, nel corso della quale la I Commissione ha svolto una indagine conoscitiva in materia (5 e 19 ottobre 2011).

Nel corso della XVI legislatura, la struttura della Conferenza unificata è stata integrata con l'istituzione, senza oneri ulteriori per la finanza pubblica, della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica fra comuni, province, città metropolitane, regioni e Stato (decreto legislativo 68/2011, artt. 33-37).

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Ordinamento di Roma Capitale

In attuazione della delega per la disciplina dell'ordinamento transitorio di Roma capitale, contenuta nella legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009, sono stati emanati due decreti legislativi: il D.Lgs. n. 156 del 2010 per la parte relativa agli organi di governo, cioè l'Assemblea capitolina, la Giunta capitolina e il Sindaco; il D.Lgs. n. 61 del 2012 per la disciplina del conferimento di funzioni amministrative a Roma capitale.

L'ordinamento transitorio di Roma capitale

Il decreto legislativo n. 156 del 2010 in materia di ordinamento provvisorio di Roma capitale, è stato il primo provvedimento ad essere emanto in attuazione della delega prevista dall’art. 24 della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale.  Tale delega, da attuare con uno o più decreti legislativi, riguarda l’ordinamento provvisorio, anche finanziario, di Roma capitale e configura, in luogo del comune di Roma, l'ente territoriale “Roma capitale”. Questo ente è dotato di una speciale autonomia; ad esso la legge n. 42 del 2009 attribuisce, oltre a quelle svolte attualmente, ulteriori funzioni amministrative, relative alla valorizzazione dei beni storici, artistici e ambientali, allo sviluppo del settore produttivo e del turismo, allo sviluppo urbano, all’edilizia pubblica e privata, ai servizi urbani, con particolare riferimento al trasporto pubblico ed alla mobilità, e alla protezione civile. La stessa legge, inoltre, prevede che siano assegnate risorse ulteriori, in considerazione del ruolo di capitale della Repubblica e delle nuove funzioni ad essa attribuite e la determinazione dei principi generali per l’attribuzione al nuovo ente territoriale di un nuovo patrimonio.

Le disposizioni recate dall’articolo 24 in materia di ordinamento di Roma capitale hanno carattere transitorio o, per meglio dire, costituiscono una “normativa-ponte” in vista dell’attuazione di una disciplina organica delle città metropolitane che, ex articolo 23 della stessa legge n. 42/2009, sarà determinata con apposito decreto legislativo. A decorrere da allora, le disposizioni recate dall’articolo 24 e dai relativi decreti delegati non dovrebbero perdere efficacia ma andare, per così dire, a regime, intendendosi riferite alla città metropolitana di Roma capitale. La suddetta disciplina organica non è poi stata emanata entro i termini di scadenza della delega, e la nuova disciplina sulle città metropolitane è stata dettata con una diversa fonte legislativa, costituita dall'articolo 18 del decreto-legge n.95 del 2012 (convertito dalla legge n.135 del 2012), che ha contestualmente abrogato sia l'articolo 23 sia le disposizioni (commi 9 e 10) dell'articolo 24 relativi all'applicazione a Roma capitale delle norme sulle città metropolitane. In assenza di espressi rinvii normativi tra le due fonti non risulta al momento chiaro il rapporto tra l'ordinamento di Roma capitale dettato dal presente decreto legislativo (nonché dal successivo secondo decreto sull'ente, il n.61 del 2012) e la disciplina generale sulle città metropolitane derivante dal decreto-legge 95/2012 predetto (la cui applicabilità è stata peraltro sospesa fino al 31 dicembre 2013 dalla legge di stabilità 2013, n.228/2012), benchè sembrerebbe comunque presumibile, ad una prima valutazione, che l'ordinamento risultante dai due decreti legislativi attuativi della delega sul federalismo fiscale dvrebbe comunque permanere, se necessario con gli opportuni coordinamenti normativi, nella disciplina generale derivante dal decreto-legge n.95.

Il decreto legislativo n. 156 attua la delega limitatamente alla disciplina degli organi di governo di Roma capitale, individuati nell’Assemblea capitolina, nella Giunta capitolina e nel Sindaco.

L’Assemblea capitolina, organo di indirizzo e di controllo politico amministrativo, è composta dal Sindaco e da 48 consiglieri e presieduta da un Presidente eletto tra i consiglieri nella prima seduta. Tra le competenze dell’Assemblea capitolina vi è la deliberazione dello statuto di Roma capitale, nonché l’adozione di regolamenti per la disciplina delle funzioni amministrative assegnate dalla legge sul federalismo fiscale a Roma capitale, che dovranno essere specificate in un successivo decreto legislativo.

Il Sindaco è il responsabile dell’amministrazione di Roma capitale e la Giunta, composta da assessori nominati dal Sindaco nella misura di un quarto dei consiglieri dell’Assemblea capitolina, collabora con il Sindaco per il governo di Roma capitale.

Il decreto n. 156/2010 conferisce e disciplina lo status di amministratori di Roma capitale ai consiglieri dell’Assemblea capitolina, agli assessori della Giunta capitolina e al Sindaco.

I confini di Roma capitale, secondo le previsione della legge sul federalismo fiscale, sono quelli del comune di Roma; secondo l’art. 24 della medesima legge, quando sarà attuata la disciplina delle città metropolitane, prevista dall’art. 23 della stessa legge, le disposizioni illustrate si intenderanno riferite alla città metropolitana di Roma capitale.

Il provvedimento prevede che, per quanto non espressamente stabilito, alla materia si applichino le vigenti disposizioni del decreto legislativo n. 267 del 2000 recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (TUEL), nonché ogni altra disposizione di legge.

Lo schema del decreto legislativo è stato esaminato dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che ha espresso il proprio parere il 16 settembre 2010, formulando una serie di condizioni, poi recepite nel testo definitivo del provvedimento, tra cui quella di subordinare l'applicabilità di alcune disposizioni all'entrata in vigore del decreto legislativo sulle nuove funzioni di Roma capitale.

A completare la disciplina del nuovo ente territoriale, è stato poi emanato il decreto legislativo n. 61 del 2012, che viene specificamente commentato anche nell'ulteriore approfondimento 11|Il secondo decreto su Roma Capitale. Il secondo decreto legislativo su Roma capitale disciplina il conferimento delle funzioni amministrative già attribuite al nuovo ente dall’articolo 24, comma 3, della legge delega n. 42/2009, prevedendo a tal fine l’istituzione della Conferenza delle Soprintendenze ai beni culturali del territorio di Roma capitale, che è chiamata a coordinare tutte le attività (anche di competenza del Ministero per i beni e le attività culturali, Mibac) di valorizzazione, decidendo il piano degli interventi di valorizzazione di particolare rilievo aventi ad oggetto i beni storici e artistici caratterizzanti l’immagine di Roma capitale. A Roma capitale sono poi conferite le funzioni amministrative concernenti il concorso alla valorizzazione dei beni presenti nel territorio della stessa ma appartenenti allo Stato. Ulteriori conferimenti concernono le funzioni in materia di turismo, nel cui ambito Roma capitale potrà avvalersi anche degli uffici statali per la promozione turistica all’estero, e di fiere, nonché di protezione civile, con l’attribuzione delle funzioni amministrative inerenti l’emanazione di specifiche ordinanze.

La necessità di una sede permanente di coordinamento dei nuovi assetti determinati dalla nuova disciplina trova riscontro nella previsione di una apposita sessione nell’ambito della Conferenza Unificata, il cui scopo è quello di assicurare il “raccordo istituzionale” tra Roma capitale, Stato, Regione Lazio e Provincia di Roma. In tutti i casi in cui la Conferenza debba occuparsi di materie di interesse per Roma capitale, il Sindaco della stessa partecipa alle relative sedute.


Approfondimenti

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Approfondimento: Lo Statuto di Roma Capitale

Il Consiglio comunale di Roma ha approvato 7 marzo 2013, con 47 voti favorevoli, 2 contrati e 1 astenuto, il nuovo Statuto di Roma Capitale, che recepisce quanto stabilito nel D.Lgs. n. 156 del 2010 sull’ordinamento di Roma Capitale.

Tra le nuove disposizioni statutarie si segnalano le seguenti:

Passaggio di comuni ad altra regione o ad altra provincia

In oltre 30 comuni, negli ultimi anni, si sono svolti referendum - in gran parte con esito favorevole - per il distacco dalla regione di appartenenza e l'aggregazione ad altra regione (il più delle volte a statuto speciale), ai sensi dell'art. 132, secondo comma, della Costituzione. La legge 117/2009 ha disposto per la prima volta il passaggio di comuni da una ad altra regione, mentre la legge 183/2009 ha stabilito il passaggio di alcuni comuni da una provincia ad un'altra nella stessa regione. Nel corso della XVI legislatura presso la Camera è iniziato, senza pervenire a conclusione, l'esame di una proposta di revisione della procedura costituzionale dell'art. 132 Cost..

I sette comuni della Valmarecchia

La legge 117/2009 (A.C. 63 e A.C. 177) dispone il distacco di sette comuni dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell’ambito della provincia di Rimini. Si tratta dei comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello, tutti in provincia di Pesaro e Urbino, ove compongono attualmente la Comunità montana dell’Alta Valmarecchia.

Il provvedimento si inserisce nella procedura prevista dall’art. 132, secondo comma, della Costituzione, il secondo comma del quale consente, con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali e previa approvazione con referendum della maggioranza delle popolazioni interessate, il distacco di province e comuni che ne facciano richiesta da una regione e la loro aggregazione ad un’altra.

La procedura ha dunque compreso, tra l’altro, lo svolgimento con esito positivo del referendum popolare presso le popolazioni interessate.

Il comune di Lamon

Il 28 ottobre 2008 la Commissione affari costituzionali della Camera ha concluso l’esame di due proposte di legge costituzionale (A.C. 455 e A.C. 1698) ove si dispone che il comune di Lamon sia distaccato dalla regione Veneto, nel territorio della quale è attualmente compreso, per essere aggregato alla regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nell’ambito della provincia autonoma di Trento.

Anche in questo caso, si tratta di un’applicazione della procedura di cui all’art. 132, secondo comma, della Costituzione: si è tuttavia ritenuto di adottare lo strumento della legge costituzionale poiché la variazione territoriale che interessa il comune di Lamon inciderebbe anche sul territorio di una regione ad autonomia speciale, qual è il Trentino-Alto Adige, il cui statuto è adottato con legge costituzionale.

La modifica della disciplina costituzionale sul passaggio di comuni e province ad altra regione

Parallelamente all’esame di tali proposte, la I Commissione ha avviato la discussione su una proposta di modifica della disciplina costituzionale in materia di distacco e di aggregazione di comuni e province da una regione a un’altra (A.C. 1221).

Nella seduta del 12 febbraio 2009 la Commissione ha adottato il testo base proposto dal relatore. Il testo, composto da un solo articolo, riformula il secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione prevedendo in particolare che:

Nella seduta del 24 giugno 2009, nel corso dell’indagine conoscitiva deliberata sulla materia, si è proceduto all’audizione di due presidenti emeriti della Corte costituzionale e di sei costituzionalisti.
L'esame parlamentare  del provvedimento non si è concluso. 

L'aggregazione di cinque comuni alla provincia di Monza e della Brianza

La legge 183/2009 (A.C. 2258) dispone il passaggio di cinque comuni della Lombardia (Busnago, Caponago, Cornate d’Adda, Lentate sul Seveso e Roncello) dalla provincia di Milano alla provincia di Monza e della Brianza.

Si ricorda, al riguardo, che il primo comma dell’art. 133 della Costituzione dispone che il mutamento delle circoscrizioni provinciali (e l’istituzione di nuove province) nell’ambito della stessa regione è stabilito con legge della Repubblica su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione.

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Province e città metropolitane

La riforma del sistema provinciale è stata una delle questioni centrali del dibattito politico e dell'attività parlamentare della XVI legislatura. Alla Camera è stata discussa prima la soppressione delle province e poi il trasferimento della competenza a disciplinarle dallo Stato alle regioni. I decreti-legge 201/2011 e 95/2012 hanno successivamente provveduto ad introdurre l'elezione indiretta dei consigli provinciali, a ridurre il numero delle province e a istituire le città metropolitane, stabilendo alcuni termini prorogati dalla legge finanziaria per il 2013.

La riduzione delle province come misura di revisione della spesa

Nell’ambito delle disposizioni per la revisione della spesa pubblica introdotte dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, il titolo IV interviene a ridurre la spesa degli enti territoriali. Tra le misure previste, la riduzione e la riorganizzazione delle province di cui gli articoli 17 e 18.

In sintesi, l’intervento normativo ha tre direttrici:

Completano il quadro dell’intervento:

Le nuove province sono state individuate dal D.L. 5 novembre 2012, n. 188, all'esito della procedura indicata dal D.L. 95/2012 e sulla base di requisiti minimi definiti dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012. Il relativo disegno di legge di conversione è stato presentato al Senato (A.S. 3558), ma il decreto-legge non è stato convertito nel termine di 60 giorni previsto dalla Costituzione e pertanto è decaduto. La legge di stabilità (L. 228/2012, art. 1, comma 115) ha provveduto a prorogare i termini per il riordino delle province recati dal D.L. 95/2012 e dal D.L. 201/2011.

Il riordino delle province da parte del D.L. 201/2011

Il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, recante disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici ha previsto, tra le diverse misure volte al contenimento delle spesa pubblica, una profonda riforma del sistema delle province (art. 23, co. 14-21). Ad esse sono affidate esclusivamente funzioni di indirizzo politico e di coordinamento. Inoltre si dispone la riduzione del numero dei consiglieri provinciali e la loro elezione da parte dei consigli comunali.

Sia il consiglio provinciale, sia il presidente della provincia sono configurati - a differenza degli altri enti indicati dall’art. 114 Cost. - come organi ad elezione indiretta, eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso tra i suoi componenti.

Tali organi durano in carica cinque anni e le modalità di elezione del consiglio provinciale, composto da non più di dieci membri, e del presidente della provincia sono stabilite con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2013.

Il relativo disegno di legge del Governo è stato presentato alla Camera il 12 maggio 2012 (A.C. 5210). L’esame in sede referente si è limitato alla fase della discussione generale (vedi il tema Il nuovo sistema elettorale per le province).

In attesa della definizione del nuovo sistema elettorale, gli organi provinciali in scadenza non vengono rinnovati e al loro posto è nominato un commissario di Governo.

Alcune province hanno presentato ricorso al TAR contro la mancata convocazione dei comizi elettorali, mentre diverse regioni hanno presentato ricorso presso la Corte costituzionale contro le disposizioni di cui all'articolo 23 del decreto-legge 201/2011.

La soppressione delle province

Il 19 maggio 2009 la Commissione affari costituzionali della Camera ha avviato l’esame di sei proposte di legge di modifica costituzionale (A.C. 1990 e abbinate) intese a sopprimere l’ente Provincia, espungendolo dall’ordinamento territoriale della Repubblica.

Le sei proposte, tutte di iniziativa parlamentare, modificano vari articoli della Costituzione sopprimendo in essi i riferimenti alla provincia. Due di esse (A.C. 2010 e A.C. 2264) apportano analoghe modifiche agli statuti speciali di tre regioni (Sicilia, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia). Nessuna, peraltro, modifica la condizione delle province autonome di Trento e di Bolzano (quanto alla Valle d'Aosta, in essa non esiste un’amministrazione provinciale e la regione svolge anche i compiti della provincia).

Tutte le proposte recano, in appositi articoli, disposizioni transitorie o di attuazione di diversa formulazione e ampiezza. Una di esse (A.C. 2264) destina le risorse finanziarie che si renderanno disponibili a seguito della soppressione delle province al finanziamento di iniziative per promuovere l’occupazione giovanile.

A seguito dell'iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea, la Commissione (8 ottobre 2009) ha conferito al relatore il mandato a riferire in senso contrario all'Assemblea (A.C. 1990-A, presentata dai deputati Donadi ed altri). Nella seduta del 13 ottobre 2009, l'Assemblea ha approvato una questione sospensiva : la discussione del provvedimento è stata conseguentemente rinviata fino alla presentazione e all'esame del disegno di legge del Governo sulla Carta delle autonomie locali.

Nella successiva seduta del 18 gennaio 2011, l'Assemblea, ha deliberato un nuovo rinvio in Commissione della proposta di legge costituzionale sulla base delle stesse richieste della Commissione di valutare meglio gli emendamenti presentati al fine di verificare la possibilità di addivenire a una riorganizzazione del sistema delle province che, senza sopprimerle, ne ridimensioni l'ambito e, al limite, ne riduca il numero.

I lavori della Commissione hanno consentito di abbinare un'ulteriore proposta (A.C. 2579) e di adottare come testo base per il seguito dell'esame la proposta di legge costituzionale A.C. 1990 (25 gennaio 2011); sugli emendamenti si è svolto un approfondimento preliminare in comitato ristretto, che non ha tuttavia concluso i propri lavori a seguito di una ulteriore iscrizione del provvedimento nel calendario dei lavori dell'Assemblea.

Dopo che il 25 maggio 2011 la Commissione aveva concluso l'esame conferendo al relatore il mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento, l'Assemblea della Camera lo ha respinto il 5 luglio 2011.

La "regionalizzazione" delle province

Pochi giorni dopo che l'Assemblea della Camera aveva respinto la proposta di legge di soppressione delle province, la I Commissione Affari costituzionali ha iniziato l'esame di alcune proposte di legge costituzionale (A.C. 1242, A.C. 4439, A.C. 4493, A.C. 4499, A.C. 4506, A.C. 4887, nonché A.C. 4682 di iniziativa popolare) la maggior parte delle quali finalizzate al trasferimento dallo Stato alle regioni la competenza in materia di istituzione di nuove province e di mutamento dei confini delle province esistenti.

A tal fine le proposte A.C. 1242, A.C. 4439, A.C. 4493 modificano il primo comma dell’art. 133 Cost. che prevede una riserva di legge statale in materia di istituzione di province, mentre l’A.C. 4499 dispone nella stessa materia la competenza regionale nel secondo comma dell’art. 114 Cost., e, conseguentemente, abroga il primo comma dell’art. 133 Cost..

L’ A.C. 4506 prevede la soppressione della provincia quale ente costitutivo dello Stato, dotato di una propria autonomia e stabilisce che le province possono essere istituite con legge regionale in territori con una popolazione superiore a 500.000 abitanti nei quali non è istituita la città metropolitana, sulla base di criteri fissati dalla legge dello Stato. Nelle regioni in cui non sono istituite province, si dispone che le relative funzioni siano esercitate dalla regione.

Anche l’ A.C. 4682, di iniziativa popolare, e l’ A.C. 4887 ripropongono la soppressione delle province come enti costitutivi dello Stato. In particolare l’ A.C. 4682 prevede che, entro un anno dalla sua entrata in vigore, termine entro il quale lo Stato e le regioni ad autonomia ordinaria e ad autonomia speciale, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire alle città metropolitane, ove costituite, ai comuni, alle altre articolazioni amministrative e organizzative dello Stato, agli enti pubblici e alle amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, le funzioni amministrative esercitate dalle province. L’ A.C. 4887, oltre a sopprimere anche le città metropolitane quali enti costitutivi dello Stato, prevede la facoltà per le regioni, con propria legge, sulla base dei criteri stabiliti dalla legge dello Stato, di istituire enti di «area vasta», vale a dire le province o le città metropolitane, stabilendo una soglia minima di 500.000 abitanti per le prime e di un milione di abitanti per le seconde.

Il 10 gennaio 2012 la I Commissione ha deliberato l’istituzione di un comitato ristretto per l’esame delle proposte di legge che però non è giunto ad elaborare un testo unificato, né a proporre un testo base, per il proseguio dell’esame.

I referendum in Sardegna

Il 6 maggio 2012 si sono svolti in Sardegna 10 referendum regionali (5 abrogativi e 5 consultivi) tra cui uno (consultivo) relativo alla abrogazione delle quattro province storiche della regione (Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano) e alcuni (abrogativi) volti a sopprimere le nuove province (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio) istituite con legge regionale: la maggioranza dei votanti sardi si è espressa a favore di tutti i referendum.

La regione ha prorogato fino al 28 febbraio 2013 le amministrazioni provinciali nelle more di una riforma delle autonomie locali (LR 25 maggio 2012, n. 11). Il termine del 28 febbraio è oggetto di una proroga da parte del disegno di legge regionale n. 481 di iniziativa della giunta che fissa l’abrogazione delle nuove province alla scadenza delle amministrazioni provinciali.

Mutamento della denominazione della provincia di Massa-Carrara

La I Commissione della Camera ha approvato una proposta di legge, di cui non è iniziato l’esame in Assemblea, che modifica la denominazione della provincia di «Massa-Carrara» in «Massa e Carrara», ripristinando così la denominazione che la provincia aveva al momento della sua istituzione nel 1859 (A.C. 2230).

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Riduzione del numero dei consiglieri regionali

Nell'ambito delle disposizioni volte a 'ridurre i costi della politica', adottate nell'ultima parte della legislatura, vi sono le norme concernenti la riduzione del numero dei componenti dei consigli regionali.

Una prima disposizione sulla riduzione del numero dei consiglieri regionali è contenuta nell'articolo 14 del decreto-legge 138/2011. La norma determina il numero massimo dei consiglieri regionali, ad esclusione del presidente della giunta regionale, in relazione alla popolazione della regione, nonché il numero massimo di assessori (pari ad un quinto del numero dei componenti del consiglio regionale). La norma impone inoltre altre misure volte ad una riduzione dei costi dell'apparato politico regionale (riduzione di tutti gli emolumenti percepiti da consiglieri ed assessori, commisurazione dell'indennità alla effettiva partecipazione alle sedute, nonché il passaggio ad un sistema previdenziale di tipo contributivo) e ad un miglioramento del controllo delle spese dello stesso (istituzione del Collegio dei revisori dei conti).

I parametri fissati dall'art. 14 del D.L. 138/2011 si configurano come “conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica” solo nei confronti delle regioni a statuto ordinario. Decide così la Corte costituzionale, con la sentenza 198/2012, sui ricorsi di molte regioni avverso la norma in questione. Sia per gli emolumenti che per il numero dei consiglieri la tecnica legislativa è quella di stabilire un limite complessivo che “lascia alle Regioni un autonomo margine di scelta”. Anche le disposizioni che prevedono che il trattamento economico dei consiglieri regionali debba essere commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio, e che il loro trattamento previdenziale debba essere di tipo contributivo, “pongono precetti di portata generale per il contenimento della spesa” e sono perciò indenni da censure di legittimità. Per quanto riguarda le regioni a statuto speciale, invece, la medesima sentenza sancisce che la disciplina degli organi e dei relativi componenti è stabilita dagli statuti, adottati con legge costituzionale, che ne garantiscono le particolari condizioni di autonomia, in conformità all’art. 116 Cost.. A tali fonti, la legge ordinaria - nella specie l’art. 14 citato - non può imporre limiti e condizioni.

Successivamente l'articolo 2 del decreto-legge 174/2012 finalizzato alla riduzione dei costi della politica nelle regioni, ripropone le medesime misure dell'art. 14 del D.L. 138/2011 insieme ad altre, tra cui, l’introduzione dell’anagrafe patrimoniale degli amministratori regionali e la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari. Le misure devono essere attuate entro il 23 dicembre 2012, ovvero, se necessitano di modifiche statutarie, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (8 giugno 2013). L’applicazione di gran parte delle disposizioni è condizione per l'attribuzione dell'80% dei rimanenti trasferimenti erariali alle regioni (al di fuori di quelli dovuti a titolo di finanziamento del trasporto pubblico locale e del servizio sanitario regionale) a decorrere dal 2013. E' inoltre previsto il commissariamento delle regioni in caso di mancata attuazione delle misure di risparmio (comma 5) e l’interruzione dell’erogazione delle quote dei rimborsi delle spese elettorali nel caso di elezioni anticipate (comma 7). Con riferimento alle regioni a statuto speciale, l'attuazione delle misure illustrate non può che avvenire compatibilmente con i propri statuti di autonomia e le relative norme di attuazione (comma 4).

Regioni a statuto ordinario

In relazione al numero di consiglieri (e assessori) regionali, l'adeguamento della normativa delle regioni a statuto ordinario, al limite fissato dall'articolo 14 del D.L. 138/2011, deve avvenire attraverso la modifica dello statuto regionale. Con lo statuto, infatti, sono determinati la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della regione, secondo quanto dispone l’art. 123 Cost. Tra le competenze riservate allo statuto la giurisprudenza costituzionale colloca esplicitamente la determinazione del numero dei membri del Consiglio, in quanto la composizione dell’organo legislativo regionale rappresenta una fondamentale “scelta politica sottesa alla determinazione della forma di governo della Regione” (sent. 3/2006).

Nelle regioni Basilicata e Molise, invece, che non hanno ancora adottato lo statuto, né la legge elettorale regionale, il numero dei componenti del consiglio regionale è quello fissato dalla legge 108/1968, la modifica può avvenire con legge regionale.

In due regioni, il numero di consiglieri fissato nello statuto era già conforme al parametro del D.L. 138/2011 al momento dell’emanazione del decreto-legge 174/2012: la regione Lombardia con 80 consiglieri, compreso il presidente della regione (articolo 12 dello statuto, LR statutaria 1/2008) e la regione Emilia-Romagna con 50 consiglieri, compreso il presidente della regione (articolo 29 dello statuto, L.R. 13/2005, come modificato dalla L.R. 12/2009).

La norma recata dall'articolo 2 del D.L. 174/2012 ha disposto che, in caso di mancato adeguamento alla data di indizione delle elezioni, le elezioni si svolgono considerando il numero massimo di consiglieri previsto dall’art. 14, del D.L. 138/2011. Sono tre le regioni in cui si sono svolte le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale e l'elezione del presidente il 24 e 25 febbraio 2013:

Secondo i parametri indicati nel decreto legge 138/2011, applicati alla popolazione risultante dal censimento della popolazione 2011 (D.P.R. 6 novembre 2012, G.U. n. 294 del 18 dicembre 2012), i numeri sono i seguenti:

La regione Basilicata ha di recente provveduto, con legge regionale (articolo 7, comma 9, LR 35/2012, legge finanziaria 2013) a ridurre il numero di consiglieri da 30 a 20, escluso il presidente.

Nella regione Veneto, invece, l’art. 34 del nuovo statuto (LR statutaria 1/2012) rinvia alla legge elettorale la determinazione del numero di consiglieri sulla base di un rapporto di uno a centomila abitanti, per un massimo di 60 consiglieri. La legge elettorale è stata quindi modificata in modo tale da porre i medesimi limiti dell'art. 2 del D.L. 174/2012; per i quali con una popolazione fino a 6 milioni di abitanti i consiglieri non possono essere più di 50 (art. 2, LR 5/2012, come modificato dall'art. 1, LR 47/2012).

In tutte le restanti regioni è stata avviata la necessaria modifica statutaria. Si ricorda a tale proposito che le modifiche statutarie (così come lo statuto) devono essere adottate con legge approvata con la maggioranza assoluta dei componenti del consiglio e con due deliberazioni adottate ad un intervallo non minore di due mesi. La legge di modifica può inoltre essere sottoposta a referendum entro 3 mesi dalla sua pubblicazione qualora ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori o un quinto dei componenti del consiglio. La proposta di modifica dello statuto per la riduzione del numero di consiglieri, è in discussione nella regione Campania, mentre è stata approvata in prima lettura nelle regioni Calabria (il 9 ottobre 2012) e Umbria (il 12 febbraio 2013). Sostanzialmente concluso l'iter nelle regioni Puglia, Abruzzo, Liguria, Toscana, Marche e Piemonte dove la proposta di modifica statutaria è stata approvata in seconda lettura e pubblicata nel Bollettino Ufficiale della regione, affinché decorrano i tre mesi per la eventuale richiesta di referendum. La regione Puglia riduce da 70 a 50 il numero dei consiglieri; le regioni Abruzzo, Liguria e Marche portano a 30 il numero di consiglieri, rispettivamente da 41, 50 e 40. La regione Toscana riduce da 50 a 40 i componenti del consiglio regionale, mentre i consiglieri della regione Piemonte passano da 60 a 50.

Regioni a statuto speciale

Quanto alle regioni a statuto speciale, la riduzione dei componenti del consiglio – che rientra comunque nella discrezione di ciascuna regione - comporta la modifica dello statuto adottato con legge costituzionale. In tal modo hanno provveduto le regioni autonome Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Le rispettive proposte di legge costituzionale hanno concluso l'iter il 22 gennaio 2013 con l'approvazione in seconda lettura alla Camera.

Per la regione Friuli-Venezia Giulia la legge costituzionale 1/2013 modifica l'art. 13 dello statuto (L.cost. 1/1963) in modo tale che il numero dei consiglieri regionali sia determinato in ragione di uno ogni 25.000 abitanti (anziché 20.000) e frazioni superiori a 10.000 abitanti sulla base della popolazione residente secondo l'ultima rilevazione ISTAT "Movimento e calcolo della popolazione residente" annuale (anziché sulla base dell'ultimo censimento). La norma, che si applica a decorrere dalla legislatura successiva all'entrata in vigore della legge, determina un numero di consiglieri pari a 50 (utilizzando come riferimento l'ultima rilevazione disponibile riferita all'anno 2010, pari a 1.235.808 residenti nella regione). Gli attuali consiglieri sono 59 e sulla base delle disposizioni del modificato art. 13, i consiglieri nella prossima legislatura sarebbero stati 61 (uno ogni 20.000 abitanti più frazioni superiori a 10.000 sulla base del censimento 2011, secondo cui la popolazione residente in regione è pari a 1.218.985). Si ricorda infine che nella primavera 2013 si svolgeranno le elezioni per il rinnovo degli organi della Regione (il periodo utile per lo svolgimento delle elezioni regionali 2013 è ricompreso tra domenica 17 marzo e domenica 21 aprile).

La Regione siciliana con la legge costituzionale 2/2013 modifica l'art. 3, primo comma, dello statuto (R.D.Lgs. 455/1946) e porta il numero dei componenti dell'assemblea legislativa dagli attuali 90 a 70. Le disposizioni si applicano a decorrere dal primo rinnovo dell'assemblea regionale successivo all'entrata in vigore della legge. Si ricorda che le elezioni per il rinnovo degli organi regionali si sono svolte il 28 ottobre 2012.

Per la regione Sardegna, infine, la legge costituzionale 3/2013 modifica l'art. 16 dello statuto (L.cost. 3/1948) al fine di ridurre il numero dei consiglieri dagli attuali 80 a 60.
Il 6 maggio 2012 si sono svolti 10 referendum regionali (5 abrogativi e 5 consultivi) tra cui uno (consultivo) relativo alla riduzione a 50 del numero dei componenti del Consiglio regionale: la maggioranza dei votanti (98,27 %) si è espressa a favore della riduzione.

Riduzione di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali

L'adozione di misure in tema di costi, controlli e trasparenza negli enti territoriali ha caratterizzato soprattutto la seconda parte della XVI legislatura che, nel periodo conclusivo, ha visto l'adozione del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174. Questo provvedimento, allo scopo di assicurare una gestione amministrativa e contabile efficiente e trasparente, ha riguardato sia le regioni che gli enti locali, tutti chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica.

Il contenuto del decreto

Il decreto-legge n. 174/2012 reca disposizioni volte a favorire la trasparenza e la riduzione dei costi degli apparati politici regionali, nonché a riequilibrare la situazione finanziaria di enti locali in difficoltà, nell’obiettivo di assicurare negli enti territoriali una gestione amministrativa e contabile efficiente e trasparente, in un quadro generale che vede le regioni e gli enti locali chiamati a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica, al consolidamento dei conti e al rispetto del principio del pareggio di bilancio. Il provvedimento reca inoltre alcune disposizioni concernenti la fiscalità locale, nonché in favore dei soggetti interessati dagli eventi sismici del maggio 2012.

Gli interventi sugli apparati regionali

Per quanto concerne le nuove regole in materia di finanza e funzionamento delle regioni, l'articolo 1 del D.L. n. 174/2012 reca disposizioni volte a rafforzare i poteri di controllo della Corte dei conti  ed i sistemi di controllo interno, nonché misure di contenimento della spesa degli organi politici degli enti territoriali e di riduzione dell’apparato politico.

La linea ispiratrice è quella di aumentare in modo sostanziale il controllo sulla gestione finanziaria delle regioni attraverso l’introduzione dell’obiettivo della garanzia del rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, oltre quella già prevista del rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica: si prevede pertanto un modello di controllo sui bilanci preventivi e sui rendiconti consuntivi, che comporta l’esame da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti del complesso dei documenti di bilancio regionali sotto il profilo del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno, dell'osservanza dei vincoli costituzionali, della sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti. A tal fine i relativi rendiconti dovranno tener conto anche degli effetti finanziari derivanti da partecipazioni societarie nei soggetti che gestiscono servizi pubblici regionali (o servizi strumentali alla regione) nonché dei risultati della gestione degli enti del settore sanitario. La relativa procedura prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte potranno emettere una pronuncia di accertamento qualora riscontrino squilibri economico-finanziari o altre rilevanti irregolarità: entro i successivi 60 giorni le regioni interessate dovranno adottare provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio e, in caso di inerzia o di inidoneità di tali provvedimenti, alle regioni medesime è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria. Inoltre ogni dodici mesi il presidente della regione dovrà trasmettere alla Corte una relazione sulla regolarità della gestione e sul sistema dei controlli interni. E’ inoltre introdotto il giudizio di parificazione, da parte delle sezioni regionali di controllo, dei rendiconti regionali ed una relazione semestrale della Corte dei conti sulla tipologie delle coperture finanziarie e sulle tecniche di quantificazione degli oneri adottate per i provvedimenti approvati dalle regioni in ciascun semestre.

Il nuovo sistema di controllo si estende anche ai rendiconti dei gruppi consiliari del Consiglio regionale, ciascuno dei quali deve approvare un rendiconto di esercizio annuale (redatto secondo idonee modalità stabilite con DPCM), trasmesso al presidente del Consiglio regionale e da questi al presidente della regione che, entro i successivi sessanta giorni, lo invia alla Corte dei conti. In presenza di irregolarità, quest’ultima (entro 30 giorni, decorsi i quali si determina il silenzio-assenso) può richiederne le opportune modifiche ed integrazioni, da effettuarsi ad opera del gruppo consiliare interessato che, qualora non provveda (o anche qualora non abbia provveduto alla trasmissione stessa del rendiconto) decade dal diritto all’erogazione di risorse da parte del consiglio regionale, con contestuale obbligo di restituzione delle risorse nel frattempo ricevute e non rendicontate.

Ai fini della riduzione dei costi della politica, l’articolo 2 introduce una serie di misure che incidono sulle spese per gli organi regionali, tra le quali si segnalano: a) la conferma della riduzione, già disposta dal precedente decreto legge n.138 del 2011, del numero dei consiglieri ed assessori regionali; b) la riduzione dell’indennità di consiglieri ed assessori; c) il divieto di cumulo di indennità e emolumenti; d) la riduzione dei contributi ai gruppi consiliari; e) l’introduzione di limiti ai vitalizi dei consiglieri e, comunque, l’esclusione dal vitalizio per coloro che hanno subito un condanna definitiva per delitti contro la pubblica amministrazione; e) la rideterminazione, per le legislature successive a quella corrente, delle spese per il personale dei gruppi consiliari, in relazione anche alla predetta riduzione del numero dei consiglieri; f) la riduzione dell’assegno di fine mandato per i consiglieri regionali, da determinare sulla base di quello previsto dalla regione “più virtuosa” da individuare secondo una specifica procedura. Tali misure devono essere attuate entro il 23 dicembre 2012, ovvero, se necessitano di modifiche statutarie, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. La mancata attuazione da parte delle regioni delle misure medesime comporta l’applicazione di sanzioni, consistenti nella mancata erogazione dell’80 per cento dei trasferimenti erariali alle regioni (al di fuori di quelli dovuti a titolo di finanziamento del trasporto pubblico locale e del servizio sanitario regionale) a decorrere dal 2013 e, con la medesima decorrenza, nella decurtazione della metà delle risorse trasferite per il trattamento economico dei componenti del Consiglio e della Giunta regionale. Inoltre, la mancata attuazione delle misure di risparmio può dar luogo allo scioglimento del Consiglio regionale

Viene poi novellata (articolo 1-bis) la disciplina sanzionatoria e premiale degli enti territoriali contenuta nel D.Lgs. n. 149/2011, con riguardo in particolare alla relazione di fine legislatura prevista dal medesimo decreto per le regioni e gli enti locali, prevedendo la trasmissione della stessa relazione anche alla Corte dei conti, estendendo anche alle autonomie speciali, in presenza di specifici presupposti, le verifiche di regolarità amministrativo-contabile previste nel medesimo decreto legislativo ed, infine, introducendo per gli enti locali la relazione di inizio mandato.

Le disposizioni relative agli enti locali

Il decreto reca poi numerose disposizioni concernenti gli enti locali, prevedendo l’obbligo di trasparenza dei redditi degli amministratori dei comuni con più di 15mila abitanti (il cui stato patrimoniale dovrà essere pubblicato annualmente, nonché all’inizio ed alla fine del mandato) e ridisegnando il sistema dei controlli interni degli enti locali: in proposito si dispone, oltre ai controlli di regolarità amministrativa contabile, di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, in particolare sulle società partecipate per gli enti locali con popolazione superiore, in prima applicazione della norma, a 100mila abitanti, limite dimensionale che poi scende a 50mila abitanti nel 2014 ed a 15mila abitanti a decorrere dal 2015.

Viene inoltre potenziata la funzione di controllo della Corte dei conti sugli enti locali, che viene a ricomprendere, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione e la verifica del funzionamento del sistema di controllo interno di ciascun ente, affidandosi altresì al giudice contabile, nei confronti degli amministratori degli enti, un potere sanzionatorio per un importo che può variare da cinque a venti volte la retribuzione del soggetto interessato; inoltre la Corte dovrà esaminare i bilanci preventivi e consuntivi dell’ente locale, comprensivi delle risultanze delle partecipazioni in società controllate. Gli effetti del controllo potranno condurre ad una pronuncia di accertamento dalla quale deriva l’obbligo per l’ente di adottare provvedimenti correttivi che, se ritenuti inidonei dalla Corte, comportano la preclusione, per l’ente, dei programmi di spesa per i quali è emersa la non sostenibilità finanziaria. Specifiche norme sono poi volte a rafforzare le sanzioni per gli amministratori che abbiano cagionato il dissesto finanziario degli enti locali: si sopprime il limite temporale dei cinque anni precedenti il dissesto accertato dalla magistratura contabile; si inserisce l’espresso richiamo alle condotte omissive rilevanti ai fini delle cause ostative a ricoprire determinati incarichi ivi previste; si introduce una sanzione pecuniaria da irrogare nei confronti degli amministratori giudicati responsabili; misure sanzionatorie sono anche introdotte per i componenti del collegio dei revisori degli enti locali di cui la Corte abbia accertato le responsabilità.

Per gli enti che presentino squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto viene introdotta una nuova procedura per favorirne il riequilibrio finanziario pluriennale ed istituito al contempo (articoli 4 e 5 del D.L. n. 174/2012) il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali, con una dotazione di 30 milioni di euro per il 2012 (cui si aggiungono 498 milioni per spese vincolate), 90 milioni per il 2013, 190 milioni per il 2014 e 200 milioni per ciascun anno successivo fino al 2020; il Fondo è finalizzato alla concessione di anticipazioni – pari al massimo a 300 euro per abitante, fermo restando il limite di 20 euro per abitante nelle province e città metropolitane - agli enti locali in situazione di squilibrio finanziario. Al fine di garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso si prevede poi, a favore di tali enti, qualora sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocare il dissesto, la facoltà, da parte della commissione straordinaria per la gestione dell'ente, di richiedere, entro sei mesi dal suo insediamento, una anticipazione nel limite massimo di 200 euro per abitante, nei limiti di 20 milioni di euro annui a valere sulle dotazioni del fondo di rotazione sopradetto; vengono stanziati 20 milioni di euro destinati a favorire il ripristino dell'ordinata gestione di cassa del bilancio corrente dei comuni che abbiano dichiarato lo stato di dissesto finanziario, attraverso l’anticipazione di somme da parte del Ministero dell’interno da destinare ai pagamenti in sofferenza di tali enti. Si dispone infine, a carico del medesimo fondo, alle regioni sottoposte al piano di stabilizzazione finanziaria (di fatto alla regione Campania) di chiedere una anticipazione di cassa, di importo non superiore a 50 milioni di euro nel 2012, per il pagamento delle spese correnti già impegnate, relative a spese di personale, alla produzione di servizi in economia e all'acquisizione di servizi e forniture.

Vengono inoltre rafforzati, all’articolo 6, gli strumenti utilizzabili per la funzione di analisi della spesa pubblica affidata al Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa pubblica per acquisti di beni e servizi, istituito dall’articolo 2 del D.L. 52/2012 in materia di spending review, e si affida alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali. Con riguardo al patto di stabilita' interno, per evitare il taglio delle risorse per i comuni assoggettati nel 2012 al patto di stabilità previsto dall’articolo 16 del D.L. n. 95/2012, si modifica tale articolo, allo scopo di consentire a tali enti di procedere all’estinzione anticipata del proprio debito attraverso l’utilizzo delle suddette risorse - “tornate” nella disponibilità dei comuni medesimi - che vengono, a tal fine, escluse dai vincoli del patto di stabilità medesimo (articolo 8). Da segnalare poi, all’articolo 10, la soppressione della Scuola Superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale stabilendosi, nel contempo, l’istituzione del Consiglio direttivo per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali presso il Ministero dell’interno. Con l’articolo 10-bis si autorizza la costituzione, da parte del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze entro il 28 febbraio 2013, di una apposita società per azioni, soggetta a certificazione di bilancio e sottoposta alla vigilanza degli stessi Ministeri, per la gestione della casa da gioco di Campione d'Italia, al cui capitale sociale partecipa esclusivamente il comune medesimo.

Modifiche alla fiscalità locale

Ulteriori norme (art. 9) concernono la fiscalità locale, con riguardo in particolare: alla previsione che il gettito dell’ imposta provinciale di trascrizione (IPT) sia destinato alla Provincia ove ha sede legale o residenza il soggetto avente causa o intestatario del veicolo, e non più alla Provincia presso il cui PRA siano state espletate le formalità di trascrizione dei veicoli; al posticipo al 31 ottobre 2012 del termine a disposizione dei comuni per l’approvazione o la modifica del regolamento e delle delibere in materia di aliquote e detrazione IMU ed alla proroga al 30 novembre 2012 dei termini per la presentazione della dichiarazione IMU relativa agli immobili posseduti al 1° gennaio 2012; alla proroga al 30 giugno 2013 del termine a partire dal quale cesseranno le attività di accertamento da parte di Equitalia e delle società partecipate; alla previsione che entro il mese di febbraio 2013 si provvederà alla verifica del gettito IMU 2012, con eventuale conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra Stato e comuni.

Sempre in tema di IMU si dispone che: -  entro febbraio 2013 si provveda alla verifica del gettito IMU dell’anno 2012 e che, in base alla suddetta verifica, si provveda all’eventuale conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e i comuni; - il D.M. 19 novembre 2012, n. 200 costituisca la fonte recante le disposizioni di attuazione delle norme sull'esenzione dell'imposta comunale sugli immobili degli enti non commerciali, come modificate dal decreto legge in esame; - agli immobili delle fondazioni bancarie non si applica l’esenzione IMU disposta dalla normativa vigente, in relazione allo svolgimento di determinate attività: di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” sarà dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.

Norme per i territori colpiti dagli eventi sismici del maggio 2012

Un ultimo gruppo di disposizioni (articolo 11) sono dirette ad agevolare i comuni e i soggetti residenti nei territori interessati dagli eventi sismici del maggio 2012. Si prevede, in particolare, l’esclusione dei comuni interessati dagli eventi sismici dall’applicazione delle sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilita' interno relativo all’anno 2011, nonché la possibilità, per i soggetti residenti in determinati territori interessati dal sisma, di richiedere un’anticipazione sulle loro posizioni individuali maturate ai fondi pensione cui sono iscritti, per l’acquisto della prima casa, per ristrutturazione edilizia o per ulteriori esigenze a prescindere dal requisito degli anni di iscrizione al fondo pensione. Inoltre: a) si consente per i sostituti d’imposta operanti nelle aree colpite dagli eventi sismici in questione la regolarizzazione degli omessi adempimenti e versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro entro il 20 dicembre 2012, senza applicazione di interessi e sanzioni, attraverso la trattenuta sui dipendenti nei limiti del quinto dello stipendio; b) si proroga, per i medesimi soggetti, dal 30 novembre al 20 dicembre 2012 il termine entro il quale effettuare, senza sanzioni e interessi, i pagamenti dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria; c) viene introdotta una speciale procedura per concedere ai titolari di reddito di impresa che hanno i requisiti per accedere ai contributi per la ricostruzione degli immobili danneggiati, in aggiunta ai predetti contributi, la possibilità di chiedere ai soggetti autorizzati all'esercizio del credito un finanziamento, assistito dalla garanzia dello Stato, della durata massima di due anni per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi, nonché di quelli da versare dal 1° dicembre 2012 al 30 giugno 2013. Il predetto finanziamento può essere richiesto, oltre che da tali soggetti, anche dagli esercenti attività commerciali o agricole, limitatamente ai danni subiti in relazione alle attività effettuate nell’esercizio di dette imprese, dai titolari di reddito di lavoro autonomo e, inoltre, dai titolari di reddito di lavoro dipendente proprietari di un immobile adibito ad abitazione principale. I soggetti finanziati dovranno restituire la sola quota capitale del finanziamento a partire dal 1° luglio 2013, secondo un piano di ammortamento, mentre le spese e gli interessi saranno accollati dallo Stato.

Sempre con riguardo ai territori in questione si prevede che: -  i contratti stipulati dai privati beneficiari dei contributi per l’esecuzione di lavori o l’acquisizione di beni o servizi connessi agli interventi di ricostruzione e riparazione delle abitazioni private e di immobili ad uso non abitativo sono esclusi dall’applicazione di talune disposizioni riguardanti i contratti pubblici; - sono escluse patto di stabilità interno per gli anni 2013 e 2014 le spese sostenute dai Comuni delle province interessate dal sisma finalizzate a fronteggiare gli eccezionali eventi sismici e la ricostruzione, qualora siano finanziate con risorse proprie dei comuni o provenienti da erogazioni liberali; la deroga è concessa per un importo massimo complessivo, per ciascun anno, di 10 milioni di euro..

Poiché le norme introdotte dall’articolo 11 recepiscono integralmente le disposizioni introdotte dal decreto-legge 16 novembre 2012, n. 194, recante norme in favore soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012, il cui iter di conversione conseguente non viene concluso, si dispone la salvezza degli atti e dei rapporti giuridici nel frattempo sorti sulla base del D.L. n.194 medesimo.

Dossier pubblicati

Servizi pubblici locali

La materia dei servizi pubblici locali è stata oggetto, nel corso della XVI legislatura, di diversi interventi normativi, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria sia una pronuncia di illegittimità costituzionale. Tali interventi si sono succeduti in un ristretto contesto temporale e sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza.

La riforma del 2008 e la delegificazione del 2010

L'art. 23 bis del D.L. 112/2008 ha disposto una riforma del comparto dei servizi pubblici locali (SPL), affermando l’obiettivo di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi. A tal fine il principio della gara è stato posto come regola generale degli affidamenti di servizi ed è stata stabilita una specifica normativa in deroga per le fattispecie che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato". Al contempo è stata prevista un'ampia delegificazione del settore.
Questa riforma ha inciso sulla normativa contenuta principalmente nell’articolo 113 D.Lgs. 267/2000  (TUEL) ed è stata poi modificata in vari punti dall’articolo 15 del D.L. 135/2009, e successivamente completata in via di delegificazione dal regolamento governativo adottato con D.P.R. 168/2010.

Il referendum del 12 e 13 giugno 2011

L’intera disciplina del comparto è stata poi abrogata con le consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011 e, per colmare il conseguente vuoto normativo, è quindi intervenuto sulla materia l’articolo 4 del D.L. 138/2011. Tale articolo ha previsto una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali le cui linee portanti in tema di affidamenti hanno ripreso quelle della disciplina varata nel 2008, come successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione.
Tali disposizioni sono state poi oggetto di ulteriori parziali modifiche per effetto dell’articolo 9, co. 2, della legge 183/2011, legge di stabilità 2012 e dell’art. 25, comma 1, del D.L. 1/2012 (c.d. D.L. Liberalizzazioni) che ha introdotto, l'art. 3-bis nel D.L. 138/2011, per disciplinare gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali allo scopo di economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza dei servizi stessi. Il D.L. liberalizzazioni ha anche novellato l’art. 4 del D.L. 138/2011 con l’obiettivo di limitare ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni dirette e di incentivare le gestioni concorrenziali nei diversi segmenti del comparto.
Ulteriori novelle, di entrambi gli articoli, 3-bis e 4, sono state disposte dall’art. 53 del D.L. 83/2012 (c.d. D.L. Crescita del Paese).
Le nuove regole hanno stabilito non solo disposizioni in tema di affidamenti, ma anche norme in tema di incompatibilità e divieti di incarichi nelle società e nelle commissioni di gara, di valutazione della tutela dell'occupazione nell’ambito delle offerte nelle gare, di virtuosità degli enti affidanti, di assoggettamento delle società in house al patto di stabilità interno, alla normativa in tema di acquisto di beni e servizi da parte di soggetti pubblici, ai principi che regolano criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nelle amministrazioni pubbliche.
Tale disciplina ha previsto una clausola di generale applicazione di tutte le norme ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili, escludendo dall’ambito applicativo, oltre al servizio idrico integrato, i seguenti servizi, disciplinati da normative di settore:

Le esclusioni dall’applicazione della nuova normativa, per alcuni settori, non hanno carattere assoluto

La sentenza 199/2012 della Corte costituzionale

Su tale disciplina è intervenuta la sentenza 199/2012della Corte costituzionale, depositata il 19 luglio 2012, che ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate, dopo il referendum del giugno 2011, con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e delle successive modificazioni, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare col suddetto referendum, quindi in contrasto con il divieto desumibile dall’art. 75 Cost..
La declaratoria di illegittimità ha riguardato non solo l’art. 4, ma anche le successive modificazioni dello stesso articolo disposte dalle seguenti fonti sopra richiamate:

Invece, non risulta incluso nel perimetro dell’illegittimità l’art. 3-bis, introdotto dall’art. 25 del D.L. 1/12.
La caducazione della normativa stabilita con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e con le successive modifiche ha lasciato il settore dei servizi pubblici locali parzialmente privo di una specifica disciplina nazionale di carattere generale, ma non per questo in una situazione di vuoto normativo.
Infatti, in primo luogo, per effetto dell’appartenenza all’Unione europea, in materia trova applicazione quanto stabilito in sede comunitaria, sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) sia dalla giurisprudenza comunitaria.
In questa sede la gestione diretta del SPL da parte dell’ente pubblico è ammessa se lo Stato membro ritiene che l’applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico restando riservato all’ordinamento comunitario il sindacato sull’eventuale “errore manifesto” alla base della decisione dello Stato. In particolare, secondo la giurisprudenza comunitaria, le regole sulla concorrenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la detiene.
In secondo luogo, la declaratoria di illegittimità non ha toccato l’art. 3-bis del D.L. 138/2011 e successive modificazioni, sopra illustrato, le cui disposizioni, pur non riguardando le modalità di affidamento del servizio, hanno una generale applicazione.
In terzo luogo, i settori c.d. esclusi, sopra ricordati, restano disciplinati dalle normative di settore.

Gli interventi normativi successivi alla pronuncia di incostituzionalità

Su tale situazione è poi intervenuto l’art. 34, commi 20-25, del D.L. 179/2012, convertito dalla L. 221/2012 con modificazioni, che ha previsto che l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sia basato su una relazione dell’ente affidante, da rendere pubblica sul sito internet dell’ente stesso. Nella relazione devono essere indicate le ragioni della forma di affidamento prescelta e deve essere attestata la sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo. Dalla relazione devono risultare  gli specifici obblighi di servizio pubblico e di servizio universale.
Specifiche disposizioni sono previste per gli affidamenti già effettuati e tuttora in corso, che prevedono obblighi di conformazione e scadenze.
Da tale disciplina sono espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.
E’ stato inoltre novellato l'articolo 3-bis del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 riservando esclusivamente agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, per tutti i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli del settore dei rifiuti urbani, le funzioni di organizzazione del servizio, di scelta della forma di gestione, di affidamento e controllo della gestione, di determinazione delle tariffe all'utenza.
Infine, è estesa alle società operanti nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica la normativa concernentel’emissione di obbligazioni e di titoli di debito da parte delle società di progetto di cui all’articolo 157 del D.Lgs. 163/2006, c.d. Codice degli appalti.
Ulteriore fonte intervenuta nella materia, a fini di contenimento e controllo della spesa pubblica, è costituita dal D.L. 174/2012: l’art. 3 ha previsto che “i contratti di servizio, stipulati dagli enti locali con le società controllate, con esclusione di quelle quotate in borsa, devono contenere apposite clausole volte a prevedere, ove si verifichino condizioni di deficitarietà strutturale, la riduzione delle spese di personale delle società medesime”; l’art. 1 ha stabilito che, in sede di controllo dei rendiconti delle regioni, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano che gli stessi rendiconti tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla regione.

Approfondimenti

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Approfondimento: I servizi pubblici locali nella XVI legislatura

 L'assetto della disciplina dei servizi pubblici locali (SPL) ha subito diversi interventi di modifica nel corso della XVI legislatura, per effetto non solo di disposizioni normative, ma anche di referendum abrogativo e di pronuncia della Corte costituzionale. La disciplina del comparto va inserita in un quadro di compatibilità con gli orientamenti consolidati in sede di Unione europea.



La riforma dei servizi pubblici locali nel D.L. 112/2008

La disciplina dei servizi pubblici locali (SPL), contenuta principalmente nell’articolo 113 D.Lgs. 267/2000, recante testo unico degli enti locali (TUEL), è stata profondamente modificata all’inizio della legislatura dall’articolo 23-bis del D.L. 112/2008, che, con il comma 11, ne ha disposto l’abrogazione.
Questo articolo ha previsto una disciplina di (parziale) liberalizzazione del settore, con incentivazione della gestione in concorrenza dei servizi, sostituendo la normativa precedente, anche settoriale. Infatti, le disposizioni in esso contenute si applicano a tutti i servizi pubblici locali prevalendo sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.
Quanto ai contenuti questa riforma ha posto, come regola generale, il principio della gara, prevedendo due modalità di affidamento: una, ordinaria, mediante gara pubblica, l’altra, in deroga, senza gara attraverso un conferimento diretto; sono state disciplinate le situazioni in deroga e il regime transitorio degli affidamenti non conformi, per le fattispecie che "non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato" sono state quindi specificamente disciplinate. Inoltre, è stata prevista (comma 10) un'ampia delegificazione del settore.
L’abrogazione delle disposizioni del TUEL è stata disposta (comma 11) con una formula di abrogazione esplicita innominata: “é abrogato nelle parti incompatibili con le disposizioni del presente articolo”, rinviando (comma 10, lettera m)) al regolamento di delegificazione l’individuazione puntuale delle norme abrogate. Quindi non necessariamente solo (ma presumibilmente anche) quelle dell’art. 113. Certamente va ritenuto abrogato il comma 5 dell'art. 113 TUEL, relativo alle forme di gestione dei servizi, in quanto la stessa Corte costituzionale, con sent. 325/2010, l’ha ritenuto palesemente incompatibile con i commi 2, 3 e 4 dell'art. 23-bis.

L’impianto della disciplina stabilita dall'art. 23-bis è passato indenne dallo scrutinio di legittimità effettuato dalla citata sent. 325/2010 della Corte costituzionale, che ha ritenuto che l'ordinamento comunitario, in tema di affidamento della gestione dei servizi pubblici, costituisce solo un minimo inderogabile per i legislatori degli Stati membri e, pertanto, non osta a che la legislazione interna disciplini piú rigorosamente, nel senso di favorire l'assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento.

Il D.L. 112/2008 ha previsto con l’art. 18 disposizioni di rilievo per la materia dei SPL, perché ha stabilito una disciplina per il reclutamento del personale delle società pubbliche, poi novellata dal D.L. 78/2009, che obbliga le società che gestiscono SPL a totale partecipazione pubblica:



Le novelle del 2009 e la delegificazione del 2010

La disciplina dell’art. 23-bis è stata poi novellata, in vari punti, dall’articolo 15 del D.L. 135/2009 e, successivamente completata, dal regolamento di delegificazione adottato con D.P.R. 168/2010 ai sensi del citato comma 10 dell’art. 23-bis. Le novelle hanno introdotto un’ulteriore forma di affidamento a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, aventi ad oggetto sia la qualità di socio sia l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. Inoltre, in caso di affido diretto le novelle hanno previsto obblighi di pubblicità e sottoposizione della relativa scelta al parere dell’Antitrust. Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato devono avvenire nel rispetto dei princìpi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche.



Il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011

L’intera disciplina prevista dall’art. 23-bis, come successivamente modificato, integrata dal regolamento di delegificazione, è stata travolta dall’esito delle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno 2011, aventi ad oggetto quattro quesiti, tra cui uno di abrogazione dell'art. 23-bis del D.L. 112/2008 sui servizi pubblici locali. La partecipazione al voto di quasi il 55% degli elettori ha consentito il raggiungimento del quorum necessario per la validità del referendum, e oltre il 95% dei votanti si è espresso in senso favorevole all'abrogazione.



L'articolo 4 del D.L. n. 138 del 2011

Per colmare il vuoto normativo lasciato dall’abrogazione dell’articolo 23-bis, è quindi intervenuto sulla materia l’articolo 4 del D.L. 138/2011, convertito con modificazioni dalla L. 148 del 2011, prevedendo una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali che, tuttavia, a differenza della precedente - per tenere conto dell'esito di uno dei quesiti della consultazione popolare - escludeva espressamente il settore idrico.

Quanto al campo di applicazione delle nuove regole si prevedeva una clausola di generale applicazione ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili. Accanto a ciò si stabiliva l’esclusione, oltre al servizio idrico integrato, dei seguenti servizi, disciplinati da normative di settore:

Le linee portanti del nuovo impianto normativo riprendevano quelle della disciplina varata nel 2008, successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione.



Gli interventi normativi del 2012

L'impianto descritto è stato oggetto di ulteriori parziali modifiche: oltre all'articolo 9, co. 2, L.legge 183/2011, legge di stabilità 2012, l'art. 25, comma 1, del D.L. 1/2012, (c.d. D.L. Liberalizzazioni) è intervenuto sulla materia dei servizi pubblici locali introducendo nel D.L. 138/2011 l'art. 3-bis, che disciplina gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali prevedendo:

Lo stesso art. 25 del D.L. 1/2012 ha anche novellato l’art. 4 del D.L. 138/2011 con l’obiettivo di limitare ulteriormente le possibilità di ricorrere alle gestioni dirette, incentivando le gestioni concorrenziali nei diversi segmenti del comparto.

Sull’assetto del comparto normativo dei servizi pubblici locali è poi intervenuto l’art. 53 del D.L. 83/2012 (c.d. D.L. Crescita del Paese) che ha ulteriormente novellato i citati articoli 3-bis e 4 del decreto legge 138/2011.



La sentenza 199/2012 della Corte costituzionale

 Il 19 luglio 2012, la Corte costituzionale , con sentenza 191/2012 ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni adottate, dopo il referendum del giugno 2011, con l’art. 4 del D.L. 138/2011, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare col suddetto referendum e così in contrasto con il divieto desumibile dall’art. 75 Cost..

Nonostante il titolo «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», la disciplina contenuta nell’art. 4  ha, ad avviso della Corte, la stessa ratio di quella abrogata: vale a dire una ratio di drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house al di là di quanto prescritto in sede comunitaria; inoltre secondo la Corte, essa riproduce alla lettera, in buona parte, svariate disposizioni dell’art. 23-bis del D.L. 112/2008 (e del relativo regolamento attuativo D.P.R. n. 168 del 2010) abrogate col suddetto referendum 11.13 giugno 2011.

Con tale referendum, pertanto, secondo tale sentenza, si è realizzato “l’intento referendario di «escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)» (sentenza n. 24 del 2011) e di consentire, conseguentemente, l’applicazione diretta della normativa comunitaria conferente”. La sentenza ribadisce il principio già affermato in precedenti pronunce per cui il legislatore “conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata.

La declaratoria di illegittimità ha riguardato non solo l’art. 4, ma anche le successive modificazioni dello stesso articolo disposte dalle seguenti fonti sopra illustrate:

Invece, non risulta incluso nel perimetro dell’illegittimità l’art. 3-bis, introdotto dall’art. 25 del D.L. 1/12.



Il quadro normativo dei SPL dopo la sentenza 199/2012

Caducata tutta la normativa adottata con l’art. 4 del D.L. 138/2011 e le successive modifiche, il settore dei servizi pubblici locali risulta disciplinato come segue.

In primo luogo trova applicazione quanto stabilito in sede comunitaria, sia nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) sia dalla giurisprudenza comunitaria.

Quanto alla prima fonte, l’articolo 14 TFUE (ex articolo 16 del TCE) sottolinea l’importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale. Da ciò discende un obbligo per gli Stati membri e l’Unione di garantirne lo svolgimento, prevedendone principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie. Perciò la disciplina comunitaria in tema di aiuti dichiara compatibili con i trattati gli aiuti richiesti dalle necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio (art. 93 TFUE), in tema di diritti speciali o esclusivi sottopone le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale alle norme dei Trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, solo nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata ((art. 106 TFUE).

Si può notare che l’art. 14 TFUE fa riferimento a servizi di interesse economico generale e non a servizi pubblici locali, ma, come rilevato dalla Corte costituzionale, sent. 325/2010, " in ambito comunitario non viene mai utilizzata l’espressione «servizio pubblico locale di rilevanza economica», ma solo quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Detti articoli non fissano le condizioni di uso di tale ultima espressione, ma, in base alle interpretazioni elaborate al riguardo dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis, Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia) e dalla Commissione europea (in specie, nelle Comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonché nel Libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge con chiarezza che la nozione comunitaria di SIEG, ove limitata all’àmbito locale, e quella interna di SPL di rilevanza economica hanno «contenuto omologo»â€ť (conf. sent. 272/2004).

La natura meramente terminologica della differenza tra la nozione comunitaria e quella nazionale dei servizi in questione è evidenziata dalla richiamata sentenza 325/2010 rilevando che entrambe le nozioni “fanno riferimento infatti ad un servizio che: a) è reso mediante un’attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa in senso ampio, come «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato» (come si esprimono sia la citata sentenza della Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, C-35/96, Commissione c. Italia, sia le sentenze della stessa Corte 10 gennaio 2006, C-222/04, Ministero dell’economia e delle finanze, e 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband, nonché il Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, al paragrafo 2.3, punto 44); b) fornisce prestazioni considerate necessarie (dirette, cioè, a realizzare anche “fini sociali”) nei confronti di una indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro particolari condizioni (Corte di giustizia UE, 21 settembre 1999, C-67/96, Albany International BV)”.

In particolare nella citata pronuncia la Consulta afferma che “le due nozioni, inoltre, assolvono l’identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica”.

Per effetto delle disposizioni comunitarie ricordate, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, la gestione diretta del SPL da parte dell’ente pubblico è ammessa se lo Stato membro ritiene che l’applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico restando riservato all’ordinamento comunitario il sindacato sull’eventuale “errore manifesto” alla base della decisione dello Stato.

In tal senso, e plurimis, può ricordarsi la sentenza della Corte di giustizia UE 11 gennaio 2005 (C-26/03, Stadt Halle, punti 48 e 49, e 10 settembre 2009, C-573/07, Sea s.r.l.), che ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche “autoprodurre” beni, servizi o lavori mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall'ente conferente, siano legati a quest'ultimo da una “relazione organica” (c.d. affidamento in house).

Il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house, deve, però, essere strutturato in modo da evitare che esso possa risolversi in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato e, dunque, in una violazione delle prescrizioni contenute nel Trattato a tutela della concorrenza. In altri termini, il modello operativo in esame non deve costituire il mezzo per consentire alle autorità pubbliche di svolgere, mediante la costituzione di apposite società, attività di impresa in violazione delle regole concorrenziali, che richiedono che venga garantito il principio del pari trattamento tra imprese pubbliche e private (art. 345 TFUE).

La giurisprudenza della Corte di giustizia – proprio al fine di assicurare il rispetto di tali regole e sul presupposto che il sistema dell'affidamento in house costituisca un'eccezione ai principi generali del diritto comunitario – ha imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti “interni” alla compagine organizzativa dell'autorità pubblica.

Con la sentenza Teckal 18 novembre 1999 (C-107/98) la V Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto applicabile la direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture, ad amministrazioni aggiudicatrici, quali gli enti locali, che stipulino con enti formalmente distinti con autonomia decisionale, contratti a titolo oneroso aventi ad oggetto la fornitura di prodotti, “indipendentemente dal fatto che tale ultimo ente sia a sua volta un'amministrazione aggiudicatrice o meno”.

Con la sentenza 6 aprile 2006 (C-410/04), la I Sezione della Corte di giustizia ha ritenuto che “gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE, nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione sulla base della nazionalità e di trasparenza non ostano a una disciplina nazionale che consente ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico direttamente ad una società della quale esso detiene l'intero capitale, a condizione che l'ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la detiene”.

In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie sulla concorrenza può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la persona giuridica realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alla procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate. Al contrario, ove non ricorra un siffatto controllo gestionale ed economico dell’ente pubblico sul soggetto gestore ma l’affidamento riguardi un servizio in cambio della gestione dello stesso come corrispettivo (e dunque configuri, secondo l’interpretazione della commissione, una concessione di servizi) l’aggiudicazione del servizio deve in ogni caso avvenire nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e di parità di trattamento che impongono la necessità di seguire procedure di evidenza pubblica”.

Secondo la citata sentenza Stadt Halle dell'11 gennaio 2005, il controllo analogo non sussiste quando la società sia partecipata da privati, perchè «qualunque investimento di capitale privato in un'impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati», rifuggendo da «considerazioni ed esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico» che devono caratterizzare «il rapporto tra un'autorità pubblica (…) ed i suoi servizi».

Occorre notare che la Commissione UE, con il Libro verde del 30 aprile 2004, aveva rilevato che la normativa comunitaria consente l’affidamento diretto del servizio, senza gara, alle società miste, cioè con capitale in parte pubblico ed in parte privato (PPP, partenariato pubblico e privato) costituite a seguito di gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato; tuttavia la medesima normativa richiede, ad avviso della Commissione, che tale socio sia un socio «industriale» e non meramente «finanziario» senza prescrivere un limite, minimo o massimo, alla sua partecipazione al capitale.

La giurisprudenza costituzionale ha ripreso tale orientamento giurisprudenziale comunitario in alcune pronunce quali la sent. 439/2008 e la sent. 325/2010.

Quest’ultima sentenza, con riferimento all’art. 23-bis del D.L. 112/2008, ha evidenziato che: “a) la normativa comunitaria consente, ma non impone, agli Stati membri di prevedere, in via di eccezione e per alcuni casi determinati, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell’ente locale; b) lo Stato italiano, facendo uso della sfera di discrezionalità attribuitagli dall’ordinamento comunitario al riguardo, ha effettuato la sua scelta nel senso di vietare di regola la gestione diretta dei SPL ed ha, perciò, emanato una normativa che pone tale divieto”; inoltre, per le società in house, ha rilevato che “secondo la normativa comunitaria, le condizioni integranti tale tipo di gestione ed alle quali è subordinata la possibilità del suo affidamento diretto (capitale totalmente pubblico; controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di ««contenuto analogo» a quello esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici; svolgimento della parte piú importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) debbono essere interpretate restrittivamente, costituendo l’in house providing un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica. Tale eccezione viene giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle suddette condizioni esclude che l’in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest’ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo. Nondimeno, la giurisprudenza comunitaria non pone ulteriori requisiti per procedere a tale tipo di affidamento diretto, ma si limita a chiarire via via la concreta portata delle suddette tre condizioni”.

La stessa sentenza ha rilevato che il legislatore nazionale, richiedendo espressamente, per l’affidamento diretto in house, non solo la sussistenza delle suddette tre condizioni poste dal diritto comunitario, ma anche ulteriori condizioni (di pubblicità e motivazione della scelta, con  analisi di mercato,  trasmissione di relazione dall’ente affidante all’ autorità di settore per il parere, sussistenza di situazioni peculiari di contesto, che non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato) che restringono la possibilità di derogare alla regola comunitaria concorrenziale dell’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica, ha fatto una precisa scelta che “ reca una disciplina pro concorrenziale piú rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario”, non in contrasto “con la normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri”. È infatti innegabile, ad avviso della Corte, “l’esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princípi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali – come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi pubblici – di applicazione piú ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario.”

In secondo, luogo trova applicazione quanto stabilito in via generale dall'art. 3-bis,  del D.L. 138/2011 e successive modificazioni, nonché dall’art. 18 del D.L. 112/2008 in tema di reclutamento di personale nelle società controllate, sopra illustrati.

Si applica inoltre la disposizione prevista in relazione alle società a partecipazione pubblica dall’art. 8 del D.L. 98/2011, convertito dalla L. 148/2011 che obbliga tutti gli enti e gli organismi pubblici ad inserire sul proprio sito istituzionale, curandone altresì il periodico aggiornamento, l'elenco delle società di cui detengono, direttamente o indirettamente, quote di partecipazione anche minoritaria indicandone l'entità, nonché una rappresentazione grafica che evidenzia i collegamenti tra l'ente o l'organismo e le società ovvero tra le società controllate e indicano se, nell'ultimo triennio dalla pubblicazione, le singole società hanno raggiunto il pareggio di bilancio.

Inoltre, i settori c.d. esclusi, sopra ricordati, restano disciplinati dalle normative di settore, ferma restando la portata generale del richiamato art. 3-bis.

Non risulta invece riferita ai servizi pubblici locali la disciplina dell’articolo 4, commi 1-5, D.L. 95/2012 che prevede per le società controllate direttamente o indirettamente da pubbliche amministrazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato:

Infatti, il comma 3 dello stesso articolo ne esclude l’applicazione alle società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica. Tale denominazione infatti è riferibile ai servizi pubblici locali come rilevato dalla Corte costituzionale con la sent. 325/2010 con riferimento all’analoga denominazione contenuta negli articoli  14 e 106 TFUE. Inoltre, sembra potersi ritenere che con la locuzione “società che prestano servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni” si intenda fare riferimento alle cd. “società strumentali” delle P.A., cioè a quelle società che producono beni e servizi strumentali alla pubblica amministrazione: infatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 12/6/2009 n. 3766) ha chiarito che possono definirsi strumentali tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l'ente pubblico di riferimento (nel caso di specie, la pronuncia del Consiglio faceva riferimento alle amministrazioni regionali e locali), e con i quali l'ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Le società strumentali – afferma il Consiglio di Stato - sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività.

 



Le disposizioni emanate dopo la sentenza 199/2012

Sul comparto SPL sono intervenute, sul finire della legislatura, ancora due fonti normative, l’art. 34 del D.L. 179/2012, commi 20-25, convertito dalla L. 221/2012 con modificazioni e l’art. 3 del D.L. 174/2012, la prima recante disposizioni di natura generale, l’altra ispirata ad esigenze di controllo della spesa regionale e locale.



 I commi 20-25 dell’art. 34 del D.L. 179/2012 convertito dalla L. 221/2012

Questa disciplina basa l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica su una relazione dell’ente affidante da rendere pubblica sul sito internet dell’ente stesso. Infatti, ai sensi del comma 20, costituisce contenuto necessario della relazione:

Costituisce invece contenuto eventuale della stessa relazione:

Obiettivi dell’obbligo di pubblicare la relazione sono:

Dalla disposizione risulta rimessa alla valutazione dell’ente affidante la scelta della modalità di affidamento, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei “paletti” comunitari sopra illustrati. Il vincolo della pubblicazione della relazione è esteso dal comma 21 anche agli affidamenti già effettuati e tuttora in corso, con prescrizione di renderli conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea a carico degli enti affidanti. Uno specifico adeguamento per gli affidamenti in essere è costituito dalla previsione di un termine di scadenza, in mancanza del quale, alla stessa data del 31 dicembre 2013, si determina, di diritto, la cessazione dell’affidamento.

La fissazione della scadenza non è rimessa interamente alla discrezionalità dell’affidante, perché il comma 22 limita la discrezionalità dell’affidante in caso di affidamenti “diretti”, cioè senza gara, se:

In tale caso, infatti - fermo restando che se la scadenza è in atti l’affidamento diretto cessa a quella data - in mancanza di scadenza, l’affidamento diretto cessa, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, il 31 dicembre 2020.

Tale limitazione dovrebbe riguardare il termine massimo dell’affidamento, restando impregiudicata la discrezionalità dell’affidante nello stabilire un termine diverso e più ristretto.

Il comma 23, introduce una nuova disposizione dopo il comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni. In particolare la disposizione riserva esclusivamente agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, per tutti i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli del settore dei rifiuti urbani, le funzioni seguenti:

Il comma 24 ha abrogato l’articolo 53, comma 1, lettera b) del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che aveva introdotto modifiche nell’art. 4 del D.L. 138/2011 che la richiamata sentenza 199/2012 ha dichiarato illegittimo. Poiché, come sopra evidenziato, la declaratoria di illegittimità ha compreso le successive modifiche dell’art. 4, anche le disposizioni dell’art. 53 cui si riferisce il comma 25 devono ritenersi investite dalla pronuncia di illegittimità. Alla luce dell’art. 136 Cost., secondo il quale la norma dichiarata incostituzionale “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” e dell’art. 30, terzo comma della L. 87/1953, “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, la Corte costituzionale ha evidenziato l'efficacia retroattiva delle declaratorie d'illegittimità costituzionale, con il limite “nei rapporti ormai esauriti, la cui definizione - nel rispetto del principio di uguaglianza e di ragionevolezza - spetta solo al legislatore di determinare” (sent. 3/1996). La sostanziale diversità delle situazioni, illegittimità e abrogazione, è stata già posta in luce dalla giurisprudenza della Corte in varie sentenze (nn. 1 del 1956, 43 del 1957, 4 del 1959, 11 e 12 del 1960, 1 del 1962, 77 del 1963 e 38 del 1965), che ha rilevato (sentenza n. 1 del 1956) che "i due istituti dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi con effetti diversi e con competenze diverse". Principi questi, secondo la sent. n. 127 del 1966 “che hanno indotto questa Corte ad ammettere il controllo di costituzionalità anche rispetto a norma già abrogata, quando ne permanessero gli effetti nel vigore della nuova Costituzione. Da ciò e dal carattere sostanzialmente invalidante della dichiarazione di illegittimità deriva la conseguenza (pure accolta dalla dottrina quasi unanime) che la dichiarazione stessa produce conseguenze assimilabili a quelle dell'annullamento. Con incidenza quindi, in coerenza con gli effetti di tale istituto, anche sulle situazioni pregresse, verificatesi nello svolgimento del giudizio nel quale è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, salvo il limite invalicabile del giudicato, con le eccezioni espressamente prevedute dalla legge, e salvo altresì il limite derivante da situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili.” Alla luce della giurisprudenza costituzionale non risulta quale sia il presupposto dell’abrogazione prevista dal comma 25, che riguarda disposizione modificativa di altra già dichiarata incostituzionale.

Ai sensi del comma 25, le disposizioni illustrate (commi 20-22) non si applicano a i seguenti servizi:

Restano inoltre ferme le disposizioni di cui all’articolo 37 del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 in tema di disciplina delle gare per la distribuzione di gas naturale e nel settore idroelettrico. Questo articolo, con il comma 1, lettera a), interviene sulle norme che disciplinano le gare per la distribuzione gas, contenute nel D.Lgs. n. 164/2000, prevedendo che alle gare per ambito territoriale siano ammessi tutti i soggetti, con la sola esclusione di quelli che, a livello di gruppo societario, gestiscono al momento della gara servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica; si specifica altresì che tale divieto non vale per le società quotate in mercati regolamentati e per le società da queste direttamente o indirettamente controllate, nonché al socio selezionato ed alle società a partecipazione mista, pubblica e privata. Con il comma 2 si chiarisce che la generale disciplina degli ambiti, individuati a livello provinciale dall’art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, non si applica agli ambiti già determinati per le gare per la distribuzione del gas. Il comma 3 prescrive che per le gare per la distribuzione del gas resta fermo l’obbligo di assumere una quota parte del personale del distributore uscente, in deroga alla nuova normativa recata dall’art. 25 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27. Al comma 4 si modificano la tempistica ed i criteri di aggiudicazione delle gare per le concessioni idroelettriche: si contempla la possibilità che la durata delle concessioni per grandi derivazioni idroelettriche salga dai 20 anni previsti dal testo originario a 30 anni, a seconda dell’entità degli investimenti ritenuti necessari. I commi 5 e 6 disciplinano il trasferimento del ramo d’azienda dal concessionario uscente al nuovo aggiudicatario per garantire la continuità gestionale della concessione: i rapporti giuridici contemplati sono decadenza, rinuncia o termine dell'utenza idroelettrica; il rientro degli investimenti effettuati, inoltre, avviene con riferimento al valore di mercato, per i beni materiali diversi da quelli pubblici identificati dall'articolo 25, comma 1, del Testo Unico e non ammortizzati alla scadenza della concessione. In relazione a tale nuova disciplina il comma 8 abroga i commi 489 e 490 dell’articolo 1 della legge 266/2005 (finanziaria 2006). Il comma 7 prevede un decreto ministeriale, d’intesa con la Conferenza permanente, per stabilire i criteri generali per la determinazione e l’aggiornamento da parte delle regioni di valori massimi dei canoni di concessione ad uso idroelettrico, secondo criteri di economicità e ragionevolezza: con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare sono fissate le modalità mediante le quali le regioni e le province autonome possono destinare una percentuale di valore non inferiore al 20 per cento del canone di concessione pattuito alla riduzione dei costi dell'energia elettrica a beneficio dei clienti finali.

La disciplina contenuta nei commi 20-25 dell’art. 34 è completata dal comma 3-bis dell’articolo 33, che estende alle società operanti nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica la normativa concernente l’emissione di obbligazioni e di titoli di debito da parte delle società di progetto di cui all’articolo 157 del decreto legislativo n. 163 del 2006, c.d. Codice degli appalti.



 Il D.L. 174/2012 convertito dalla legge 213/2012

L’art. 3 del D.L. 174/2012 ha modificato il TUEL in più punti, tra cui i seguenti che rilevano in tema di SPL:

L’attuazione di queste disposizioni è oggetto di altre due novelle, contenute negli articoli 148 e 148-bis Tuel che prevedono, rispettivamente, il controllo da parte della Corte dei conti e la verifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertano altresì che i rendiconti degli enti locali tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività locale e di servizi strumentali all'ente.

La disposizione è ispirata all’obiettivo di controllo della spesa pubblica che costituisce la base anche di un’altra disposizione contenuta nello stesso D.L. che riguarda le società controllate dalle regioni che gestiscono servizi pubblici locali o servizi strumentali.

Si tratta dell’art. 1, comma 4, che prevede che, in sede di controllo dei rendiconti delle regioni, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti verificano che gli stessi rendiconti tengano conto anche delle partecipazioni in società controllate e alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per la collettività regionale e di servizi strumentali alla regione.

Tale previsione, tendente a consolidare nei documenti di bilancio regionali gli effetti finanziari derivanti da partecipazioni societarie e dal settore sanitario, appare rispondente ad esigenze specifiche evidenziate dalla stessa Corte dei conti in propri documenti, come      delibera 241/2011 e la relazione allegata della Sezione regionale di controllo delle Marche, relative alla necessità di “ricognizione degli Enti ed organismi dipendenti e, in particolare, delle partecipazioni societarie, di cui andrebbe riconsiderata l’effettiva economicità ed utilità in coerenza con i fini istituzionali e le esigenze del territorio”, in particolare consentendo anche “uno stringente monitoraggio, anche in corso di esercizio, soprattutto per ciò che riguarda le società a partecipazione regionale totalitaria, in ordine all’evoluzione dell’indebitamento e della spesa per il personale”.

In tema di riduzione di spese per personale la Corte dei conti, sezioni riunite, con pareri 3 febbraio 2012, n. 3 e 4, ha ritenuto che se gli enti locali rinunciano a gestire SPL con società partecipate, non possono immettere nei loro ruoli il personale assunto dalle società.



Unione europea e affidamento in house

L’affidamento dei servizi in house è oggetto di specifiche previsioni nell’ambito di un pacchetto di misure presentato dalla Commissione europea il 20 dicembre 2011 che comprende: 1) una proposta di direttiva sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali”, vale a dire acqua, energia, trasporti e servizi postali COM(2011)895; 2) una proposta di direttiva sugli appalti pubblici COM(2011)896; 3) una proposta di direttiva sull'aggiudicazione dei contratti di concessione COM(2011)897.

Dal campo di applicazione delle proposte sono espressamente esclusi, tra gli altri, gli appalti e le concessioni aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice ad un’altra persona giuridica qualora:

Si stabilisce altresì che un accordo concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non dovrà essere considerato un appalto pubblico o una concessione nel caso in cui:

Il Consiglio competitività del 10 dicembre 2012 ha approvato un orientamento generale che prospetta una serie di modifiche ai testi iniziali della Commissione europea.

Per quanto riguarda gli appalti aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice ad un’altra persona giuridica, si propone che almeno l’80% (anziché il 90% come previsto dalla proposta iniziale) delle attività di tale organismo siano svolte nell’esecuzione di contratti che gli sono stati aggiudicati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altri organismi giuridici controllati dall’amministrazione aggiudicatrice in questione.

Sia per gli appalti che per le concessioni, al fine di calcolare la percentuale delle attività, si dovrà prendere in considerazione la media del fatturato complessivo dell’entità controllata in relazione ai servizi, alle forniture ed ai lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto o della concessione in questione. Qualora a causa della data in cui l’organismo è stato creato o ha avviato la propria attività o a causa della riorganizzazione della sua attività, il fatturato riferito ai tre anni precedenti non sia disponibile o non sia più rilevante, sarà sufficiente dimostrare che il fatturato è credibile in particolare mediante progetti finanziari. 

Inoltre, in relazione al controllo che un'amministrazione aggiudicatrice dovrà esercitare su una persona giuridica, analogamente a quello esercitato sui propri servizi, qualora essa eserciti un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata, nell’orientamento generale si propone di precisare che tale controllo potrà essere effettuato anche da un’altra entità a sua volta soggetta allo stesso tipo di controllo da parte dell’autorità aggiudicatrice. 

Infine, si propone che un accordo concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non sia considerato un appalto pubblico o una concessione qualora, tra l’altro, le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti non svolgano più del 20% delle attività interessate dalla cooperazione sul mercato (anziché più del 10% - in termini di fatturato - delle attività pertinenti all'accordo, come previsto dalle proposte iniziali). 

Il pacchetto è sottoposto all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. Il PE dovrebbe esaminare le due proposte sugli appalti in prima lettura in occasione della plenaria del 16 aprile prossimo, mentre per quella sulle concessioni l’esame è previsto per la plenaria del 22 maggio.