Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento finanze | ||
Titolo: | I temi dell'attività parlamentare nella XVI Legislatura - Banche e credito - Area n. 6 | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 6 | ||
Data: | 15/03/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VI-Finanze |
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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Nel quadro di riferimento della normativa dell’UE volta a migliorare le politiche di regolazione e vigilanza, sono state introdotte norme dirette al rafforzamento patrimoniale degli istituti finanziari, alla revisione delle politiche remunerative e di governance, fino alle disposizioni per il processo di unificazione della vigilanza bancaria nell’area euro.
Con successivi decreti-legge sono state innanzitutto adottate misure tendenti a favorire un rafforzamento patrimoniale delle banche e a prevedere la possibilità di garanzia dello Stato sui depositi bancari; sono state emanate norme relative, fra l’altro, alla possibilità di rifinanziamento delle banche con meccanismi di scambio di titoli, all’amministrazione straordinaria e alla gestione provvisoria delle banche. E’ stata, in particolare, prevista una modalità di finanziamento dell'economia mediante un adeguato livello di patrimonializzazione del sistema bancario attraverso la sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie speciali (D.L. n. 185 del 2008).
Più di recente, il D.L. 95 del 2012 ha autorizzato la sottoscrizione, da parte del Ministero dell’economia e delle finanze, di nuovi strumenti finanziari emessi dalla Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (MPS) e computabili nel patrimonio di vigilanza, fino all’importo di euro 3,9 miliardi di euro. L’intervento è finalizzato a rispettare l’impegno preso dall’Italia in occasione del Consiglio europeo del 26 ottobre 2011, a seguito dell’impossibilità di MPS di ricorrere, per una parte dell’importo richiesto dall’Autorità di vigilanza europea, a soluzioni private volte al rafforzamento del patrimonio, a causa delle attuali condizioni di mercato altamente volatili.
Nel luglio 2011 la Commissione europea ha presentato proposte legislative volte a dare attuazione nell’Ue all’accordo di Basilea 3 , definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, che fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche. In particolare, l’accordo impone alle banche di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività.
Le proposte originarie della Commissione prospettavano l’introduzione graduale in misura del 20% all’anno dal 2014 per raggiungere il 100% nel 2018. Si rammenta in proposito che nel corso del mese di gennaio 2013 l’organo direttivo del Comitato di Basilea ha modificato la decorrenza dei requisiti di capitale richiesti agli istituti di credito (in particolare, il cd. “requisito minimo dell’indicatore di breve termine”, Liquidity Coverage Ratio - LCR), la cui piena operatività è stata posticipata dal 2015 al 2019.
Una parziale anticipazione dell’assetto prospettato dalle proposte della Commissione europea è stata peraltro determinata dalla raccomandazione adottata dall'Autorità bancaria europea (EBA) il 9 dicembre 2011, che imponeva - in via eccezionale e temporanea ed entro la fine di giugno 2012 – alle banche europee di creare una riserva supplementare di fondi propri, in particolare al fine di compensare la svalutazione dei titoli di debito sovrano di alcuni Stati membri dell’UE da esse detenuti.
La Commissione Finanze, nel documento finale adottato in esito all’esame delle proposte della Commissione europea sopra richiamate, approvato il 29 febbraio 2012, ha espresso il timore che i forti incrementi richiesti nella capitalizzazione delle banche possano tradursi in una riduzione delle risorse disponibili per il sistema produttivo italiano, costituito soprattutto da piccole e medie imprese, la cui principale fonte di finanziamento è costituita dal canale bancario. La Commissione ha quindi auspicato l’approvazione di alcuni emendamenti per ridurre i potenziali “effetti collaterali” sull'erogazione del credito, tra i quali, in particolare, l’applicazione dell'aumento dei requisiti patrimoniali - laddove i crediti siano concessi alle PMI, con una eventuale estensione anche alle ONLUS e alle cooperative sociali - mediante l'introduzione di uno specifico “fattore correttivo” dei parametri richiesti da Basilea 3.
Nell’ambito del processo di rafforzamento dell'integrazione economica e fiscale dell'eurozona, dopo la creazione, nel corso del 2010, del sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF ), nel settembre 2012 la Commissione europea ha presentato proposte legislative volte alla creazione di un sistema di vigilanza bancaria unificata . Dopo un complesso negoziato è stato raggiunto un accordo in seno al Consiglio ECOFIN del 13 dicembre 2012 in base al quale dal 1° marzo 2014 la BCE assumerà i poteri di vigilanza diretta sulle banche che hanno attivi per almeno 30 miliardi di euro o un patrimonio almeno pari al 20% del Pil del Paese (circa 200 su oltre 6.000 banche presenti nell'eurozona). Le banche sotto quella soglia resteranno sotto la vigilanza delle autorità nazionali, ferma restando la responsabilità ultima (e relativo il potere di avocazione) della BCE.
La creazione del sistema di vigilanza unificato costituisce, tra l’altro, la precondizione affinché il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) possa ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito in difficoltà, evitando in tal modo che il supporto finanziario al sistema bancario vada a gravare sui bilanci pubblici dei Paesi membri.
La Commissione Finanze della Camera ha approvato, in esito all’esame delle proposte sopra indicate, un documento finale (dicembre 2012) con cui ha sollecitato la rapida realizzazione di un'unione bancaria, che viene considerata il primo e più urgente passo per spezzare il legame tra debito sovrano e debito bancario e porre rimedio alla frammentazione del mercato europeo dei servizi finanziari.
Sul medesimo argomento la Commissione Finanze e tesoro del Senato ha svolto un ciclo di audizioni, conclusesi il 12 dicembre 2012 con l'approvazione di una risoluzione Doc. XVIII, n. 179 .
Con la legge comunitaria 2010 sono state introdotte disposizioni volte complessivamente ad attuare la direttiva 2010/76/CE sul portafoglio di negoziazione e sulla revisione delle politiche remunerative da parte delle autorità di vigilanza, nonché ad ampliare i poteri della Banca d'Italia; in particolare, all’Autorità è stato conferito il potere di emanare norme generali aventi a oggetto il governo societario, l'organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni, i sistemi di remunerazione e incentivazione.
La Banca d'Italia può anche adottare provvedimenti interdittivi specifici nei confronti di singoli istituti e impartire alle società a capo dei gruppi bancari istruzioni anche in tema di governance societaria, controlli interni e sistemi di remunerazione dei pagamenti e di utilizzo della fatturazione elettronica.
Al fine di favorire la trasparenza e la liberalizzazione del mercato bancario-finanziario, il D.L. n. 78 del 2010 ha ripristinato il divieto per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso le fondazioni bancarie di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate (divieto di interlocking). Al riguardo il decreto legge n. 1 del 2012 (c.d. liberalizzazioni) ha esteso l’incompatibilità all’esercizio di cariche nelle società concorrenti della banca conferitaria o di società del suo gruppo. Una norma di analogo tenore è stata prevista dal decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) per i titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e per i funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari. Gli statuti delle fondazioni, inoltre, devono prevedere, tra l’altro, modalità di designazione e di nomina dell'organo di indirizzo ispirate a criteri oggettivi e trasparenti, improntati alla valorizzazione dei principi di onorabilità e professionalità.
L'esigenza di rivedere la disciplina del credito al consumo nasce a seguito delle indicazioni fornite in sede europea, ma anche dall'esame in sede parlamentare delle più rilevanti problematiche legate all'istituto, in relazione al protrarsi della crisi economica e finanziaria.
Il recepimento della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori ha rappresentato l’occasione per un processo di rivisitazione complessiva del Testo Unico Bancario e del Codice del Consumo: sono state quindi ricondotte all’interno del TUB disposizioni in materia di trasparenza dei contratti bancari e di spese addebitabili al cliente, e si è provveduto ad una revisione della disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, con particolare riguardo alla disciplina delle incompatibilità, dei requisiti d’accesso (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) e dell’organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
Anche a seguito delle risultanze dell'indagine conoscitiva sul credito al consumo svolta dalla Commissione Finanze, sono stati rafforzati i poteri, anche sanzionatori, attribuiti alle autorità di vigilanza, soprattutto per quanto riguarda la trasparenza nei rapporti tra operatori del credito e consumatori ed il contrasto alle pratiche commerciali scorrette, stimolando le autorità stesse ad orientare maggiormente la loro attività verso i profili di tutela dei consumatori. E’ stato istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità.
Tra gli interventi realizzati, si ricorda la legge 3/2012 con la quale è stata disciplinata una nuova tipologia di concordato per comporre le crisi di liquidità del singolo debitore, al quale non si possono applicare le ordinarie procedure concorsuali. Su tale disciplina è poi intervenuto il D.L. 179/2012 che ha modificato alcuni aspetti della procedura e ne ha esteso l'applicazione al sovraindebitamento del consumatore.
Le politiche adottate in questo settore, in sintonia con le decisioni assunte in ambito europeo, sono state finalizzate a contrastare la crisi finanziaria attraverso la garanzia di un sufficiente livello di liquidità alle istituzioni creditizie e dei depositi. Sono state quindi adottate una serie di misure agevolative sui contratti di mutuo immobiliare: tra queste, si ricorda il “Piano famiglie” firmato il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo fino a marzo 2013) che ha previsto la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni. Diversi interventi hanno consentito di rinegoziare i mutui a tasso variabile; sono state migliorate le condizioni di estinzione anticipata e portabilità dei mutui e semplificate le procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia nonché per garantire il diritto di recesso dai contratti bancari; si è inoltre introdotta una più dettagliata disciplina della remunerazione spettante a banche e intermediari in rapporto agli affidamenti e agli sconfinamenti, con particolare riferimento alle commissioni bancarie per le linee di credito. Oltre all’istituzione dell'Osservatorio sull'erogazione del credito, è stato previsto un conto corrente di base che le banche sono tenute ad offrire senza costi di gestione. E’ stato infine rifinanziato il Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa.
Sul versante delle imprese, è stata introdotta la possibilità di finanziamenti da parte della Cassa depositi e prestiti alle piccole e medie imprese tramite banche e intermediari finanziari ed è stata stipulata una convenzione tra il MEF e l'ABI avente ad oggetto una moratoria dei crediti delle piccole e medie imprese, più volte prorogata. E’ stata incrementata la dotazione del Fondo di garanzia per le PMI e sono stati modificati i parametri per la concessione della garanzia e della controgaranzia a valere sul Fondo, aumentando la percentuale di copertura e azzerando la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Sono state previste misure a favore delle società non quotate che emettono cambiali finanziarie e obbligazioni e agevolazioni fiscali e finanziarie in favore delle cd. start-up innovative, con particolare riguardo alla raccolta di capitale di rischio attraverso portali online (c.d. crowdfunding), introducendo una modalità innovativa di raccolta di capitale, volta ad agevolare l'investimento in tali società.
Il problema dei ritardi di pagamento da parte dello Stato e degli enti locali nelle transazioni commerciali è stato affrontato nel corso della legislatura con una serie di interventi normativi finalizzati a dare attuazione alle direttive comunitarie sulla materia. Pur in presenza di tali interventi, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione costituisce, nell'attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese, per le quali la disponibilità di credito è uno dei driver necessari per allontanare il credit crunch ed acquisire competitività. La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della P.A. è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti del settore sanitario.
La problematica del ritardo dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni nelle transazioni commerciali relative a contratti di fornitura di beni e servizi è stata affrontata in vario modo dal legislatore nel corso della XVI legislatura, attraverso una serie di interventi legislativi finalizzati a dare concreta attuazione alla Direttiva 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 giugno 2000 e alla successiva Direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, sostitutiva della prima.
Il nuovo provvedimento comunitario, il cui termine di recepimento nel diritto interno degli Stati membri era fissato al 16 marzo 2013, è stato recepito in anticipo nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192. Il provvedimento dispone, per i contratti conclusi a decorrere dal 1° gennaio 2013:
Nonostante le misure adottate nel corso della legislatura, l'ammontare dei crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione si mantiene elevato. L'Eurostat, in una apposita Nota pubblicata ad ottobre 2012, ha indicato l'ammontare complessivo dei debiti commerciali nell’ordine di oltre 67 miliardi di euro nel 2011.
Tale elevato ammontare continua a costituire, nell’attuale fase di crisi economico-finanziaria, un elemento di debolezza della struttura finanziaria delle imprese che sono più esposte alla variazione dei flussi di cassa e ai maggiori costi da sostenere per il recupero dei crediti.
La problematica dei debiti commerciali assume rilievo particolare per gli enti locali e per le regioni, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della pubblica amministrazione è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti commerciali del settore sanitario.
Con riferimento specifico ai crediti vantati dalle imprese nei confronti delle amministrazioni regionali e locali per somministrazioni, forniture e appalti, il legislatore è intervenuto, all’inizio della legislatura, con l’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, il quale ha introdotto una disciplina specifica che prevede la certificazione, da parte degli enti territoriali debitori, dei crediti in questione nei confronti dei soggetti interessati anche ai fini della cessione pro-soluto dei medesimi crediti nei confronti di banche o intermediari finanziari.
La procedura prevede che, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, le regioni e gli enti locali certificano, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentirne la cessione a favore di banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente.
Il termine per la certificazione è stato originariamente fissato in 60 giorni dalla data di ricezione dell'istanza.
La legge di stabilità per il 2012 (articolo 13, legge n. 183/2011) ha modificato la normativa in questione introducendo la previsione secondo la quale, scaduto il termine di sessanta giorni, su nuova istanza del creditore, provvede alla certificazione la Ragioneria territoriale dello Stato competente per territorio, la quale, ove necessario nomina un commissario ad acta con oneri a carico dell’ente territoriale.
Successivamente, il termine per la certificazione dei crediti da parte degli enti territoriali è stato ridotto da sessanta a trenta giorni dall’articolo 13-bis del D.L. 7 maggio 2012, n. 52 il quale ha inoltre reso obbligatoria – e non più eventuale - la nomina di un Commissario ad acta, su nuova istanza del creditore, qualora, allo scadere del termine previsto, l’amministrazione non abbia provveduto alla certificazione.
Il meccanismo della certificazione dei crediti per somministrazioni, forniture e appalti è stato esteso anche agli enti del Servizio sanitario nazionale dal D.L. n. 52/2012, e alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali, dall’articolo 12 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16. Tale ultimo decreto ha in particolare stabilito che la certificazione possa essere finalizzata a consentire al creditore la cessione del credito a favore di banche o intermediari finanziari, oltre che pro soluto - che esonera il cedente dal rispondere dell'eventuale solvibilità del debitore - anche pro solvendo, che implica invece per il cedente l’obbligo di rispondere dell'eventuale inadempienza del debitore.
La certificazione dei crediti non può essere rilasciata, a pena di nullità, dagli enti locali commissariati né dagli enti del servizio sanitario nazionale delle regioni sottoposte a piano di rientro ovvero a programmi operativi di prosecuzione degli stessi.
Le regole per procedere alla certificazione dei crediti sono contenute in due decreti emanati dal Ministro dell’economia e delle finanze: il Decreto 22 maggio 2012, come modificato dal D.M. economia 24 settembre 2012, concernente la certificazione dei crediti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali, e il Decreto 25 giugno 2012 relativamente alla certificazione da parte delle Regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio Sanitario Nazionale, integrato dal successivo D.M. economia 19 ottobre 2012.
Nonostante che il quadro regolamentare risulti ormai completato, ed il procedimento di certificazione sia disponibile anche su piattaforma elettronica, realizzata dalla Ragioneria Generale dello Stato e gestita da Consip Spa, la certificazione medesima sembra procedere con lentezza, sulla base di primi dati osservabili all’inizio del 2013.
Secondo le indicazioni fornite dal ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, nel corso di un Convegno organizzato da Assolombarda l'11 febbraio 2013, risultavano al momento rilasciate soltanto 71 certificazioni, per un importo di 3 milioni di euro, con solo 1.227 amministrazioni pubbliche abilitate all'utilizzo della piattaforma (di cui oltre 900 comuni del Centro Nord, e con solo 70 sono enti del servizio sanitario) e 289 imprese.
Ai fini dell’accelerazione dello smaltimento dei debiti da parte degli enti territoriali, l’articolo 31 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 ha introdotto una ulteriore misura, che consente la compensazione dei crediti, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili e certificati secondo la procedura sopra esposta, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo.
L’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 ha esteso l’istituto della compensazione con le somme dovute iscritte a ruolo anche ai crediti vantati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali.
La possibilità di utilizzare eventuali crediti per compensare, da parte del medesimo soggetto, i propri debiti con l’amministrazione, è disciplinata dal Decreto 25 giugno 2012, come integrato dal D.M. economia 19 ottobre 2012, emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze, nei termini seguenti:
Per ciò che specificamente concerne l’intervento di Cassa depositi finalizzato a fronteggiare la problematica dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione, in data 6 marzo 2012, CDP e ABI hanno stipulato una Convenzione che fissa termini e modalità con le quali Cassa mette a disposizione delle banche la cifra massima di 10 miliardi di euro, dei quali 8 miliardi sono destinati al finanziamento di spese di investimento e di esigenze di incremento del capitale circolante del comparto imprenditoriale (Plafond Investimenti) e 2 miliardi di euro destinati alle banche per le operazioni di acquisto ovvero per le altre operazioni consentite sui crediti certificati vantati dalle PMI nei confronti della pubblica amministrazione per somministrazioni, forniture e appalti, (Plafond Crediti vs. PA).
L’accordo del 6 marzo 2012 tra Cassa depositi e prestiti e di ABI si inserisce nel più generale quadro delle recenti iniziative di sostegno all’economia e, in particolare, al tessuto imprenditoriale nazionale, che vedono una stretta collaborazione tra Governo, banche e imprese, anche alla luce di quanto disposto dall’articolo 16 del D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 149, che disciplina interventi del settore creditizio a favore del pagamento delle imprese creditrici degli enti territoriali.
Tale collaborazione si è concretizzata in un Accordo per il credito alle PMI, firmato il 28 febbraio 2012 dal Ministro dello Sviluppo Economico, Infrastrutture e Trasporti, dal Vice Ministro dell’Economia e delle Finanze, dai rappresentanti dell’ABI e delle Associazioni d’impresa il nuovo Accordo per il credito alle PMI. In tale accordo, le parti si sono impegnate ad agevolare un rapido smobilizzo dei crediti vantati dalle imprese verso la pubblica amministrazione rendendone operativi i meccanismi di certificazione, in modo da qualificare i medesimi certi ed esigibili, ovvero attraverso altre forme di anticipazione dei crediti da parte del settore bancario.
Un successivo Accordo sottoscritto il 22 maggio 2012 tra l’ABI e le Associazioni delle imprese ha definito le modalità operative per lo smobilizzo, presso il settore bancario, dei crediti certificati vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
In tale Accordo, ABI si impegna a mettere a disposizione delle imprese uno specifico plafond per lo smobilizzo dei crediti PA (cd. Plafond “Crediti P.A.”) di ammontare minimo pari a 10 miliardi di euro. Tale ammontare è la risultante di plafond individuali, attivati dalle singole banche aderenti all’iniziativa, utilizzando la provvista acquisita dalla Cassa depositi e prestiti, la provvista acquisita dalla BCE, ovvero acquisita attraverso altri canali di finanziamento particolarmente competitivi che consentano di praticare all’impresa condizioni di accesso al credito vantaggiose. Le modalità per l’utilizzo del plafond sono:
L’anticipazione non potrà essere inferiore al 70 per cento dell’ammontare del credito che l’impresa vanta nei confronti della pubblica amministrazione, e la durata verrà rapportata alla data di pagamento prevista nel credito. Le banche aderenti all’operazione dovranno deliberare l’operazione entro 30 giorni dalla presentazione delle richieste, da presentarsi entro la data del 31 dicembre 2012.
L’articolo 9 del D.L. n. 185/2008 ha previsto l'intervento delle imprese di assicurazione e della SACE s.p.a. - i cui ambiti operativi sono stati pertanto estesi - nella prestazione di garanzie finalizzate ad agevolare la riscossione dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi nei confronti delle amministrazioni pubbliche, con priorità per le ipotesi nelle quali sia contestualmente offerta una riduzione dell'ammontare del credito originario.
Si tratta, specificamente, della concessione di garanzie a banche o intermediari finanziari finalizzate a coprire il rischio del mancato rimborso dei finanziamenti dalle stesse accordati ad imprese fornitrici di beni e servizi che vantano crediti verso la P.A., utilizzati a garanzia dei medesimi finanziamenti.
Secondo l’Accordo SACE – ABI del 30 giugno 2009, la garanzia prestata da SACE copre il 50% dell’importo (in linea di capitale ed interessi) finanziato alle imprese.
Con la finalità di agevolare, da parte dei soggetti interessati, l’utilizzo dei crediti che gli stessi vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche - ma anche, più in generale, per favorire le operazioni finanziarie destinate all’attività d’impresa - l’articolo 13-bis del D.L. n. 52/2012 prevede che le certificazioni dei crediti possono essere utilizzate anche ai fini dell’ammissione al Fondo di Garanzia per le piccole e medie imprese.
Si ricorda che l’intervento del Fondo di garanzia a favore delle piccole e medie imprese è stato previsto dall’articolo 39 del D.L. 201/2011 (cd. Salva Italia). Per ciò che specificamente concerne l’intervento del Fondo a sostegno delle imprese creditrici delle pubbliche amministrazioni, l’articolo 4 del D.M. sviluppo economico 26 giugno 2012, attuativo della misura in questione, stabilisce che:
Con riferimento specifico alla liquidazione dei debiti delle amministrazioni centrali, si ricorda che l’articolo 9 del D.L. n. 78/2009, oltre ad aver introdotto misure volte a prevenire la formazione di nuove situazioni debitorie – anche attraverso la previsione di una specifica responsabilità disciplinare e amministrativa dei funzionari pubblici chiamati ad adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa – ha previsto per i Ministeri l’obbligo di procedere alla liquidazione dei debiti in essere alla data di entrata del 1° luglio 2009 per somministrazioni, forniture ed appalti. Con la direttiva emanata dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2009 le amministrazioni centrali sono state autorizzate ad emettere titoli di pagamento per crediti esigibili vantati dalle imprese private riferibili a somme dovute per somministrazioni, forniture ed appalti, per 7 miliardi di euro.
L’articolo 35 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 ha poi introdotto nuove misure per l’estinzione dei debiti pregressi dei Ministeri esistenti alla data del 24 gennaio 2012, connessi a transazioni commerciali per acquisto di servizi e forniture, corrispondenti a residui passivi del bilancio dello Stato, disponendo, da un lato, un incremento dei fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti per complessivi 2,7 miliardi di euro per il 2012 e, dall’altro, introducendo una modalità alternativa di estinzione dei crediti commerciali maturati alla data del 31 dicembre 2011 - in luogo del pagamento attraverso le risorse iscritte sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti - consistente nell'estinzione degli stessi mediante assegnazione di titoli di Stato, su richiesta dei soggetti creditori, nel limite massimo di 2 miliardi di euro.
Tale misura alternativa ha trovato attuazione con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 22 maggio 2012 il quale stabilisce che i titolari dei crediti commerciali di ammontare (al netto degli interessi) non inferiore a 1.000 euro, possono chiederne all’Amministrazione statale l’estinzione mediante assegnazione di titoli di Stato.
A tal fine l’Amministrazione debitrice, verificato che i crediti in questione risultano iscritti nel conto dei residui passivi al 31 dicembre 2011, ovvero costituiscono residui passivi perenti iscritti sul conto del patrimonio, trasmettono la documentazione agli uffici finanziari competenti; su tale base il Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento del tesoro procede all’assegnazione ai creditori di speciali Certificati di credito del Tesoro, con decorrenza 1° novembre 2012 e scadenza 1° novembre 2016, con taglio minimo di mille euro e tasso d’interessa fisso pagabile in rate semestrali posticipate.
In base a quanto sopra illustrato, la massa finanziaria messa a disposizione delle imprese per lo smobilizzo dei crediti verso la P.A. – non considerando i 2,7 miliardi iscritti sui fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti dei Ministeri per il 2012 - ammonterebbe complessivamente a 14 miliardi, di cui:
Rispetto alle risorse indicate, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche risulta di gran lunga superiore.
In occasione dell’audizione tenuta presso la V Commissione bilancio della Camera in sede di indagine conoscitiva sulla Relazione annuale sulla crescita 2012, il 13 marzo 2012, la Corte dei conti ha espresso alcune valutazioni in merito alle oggettive difficoltà di poter pervenire ad una stima di tali importi.
Secondo la Corte, infatti, se una ricostruzione dei debiti commerciali pregressi dello Stato può essere effettuata a partire dai bilanci pubblici, nell’ambito della categoria economica dei consumi intermedi della spesa corrente (stimati nell’ordine di circa 7 miliardi di euro nel 2010), valutazioni affidabili sulla stima dei debiti commerciali delle amministrazioni locali richiedono istruttorie molto più complesse, in quanto nella massa complessiva dei debiti degli enti locali, individuati nei residui passivi del bilancio, sono inglobate fattispecie molto diversificate, che richiedono prudenza nell’interpretazione. Oltre a ciò, la Corte mette in evidenza il problema delle passività nel settore sanitario, che costituiscono una parte rilevante dell’intera massa debitoria delle amministrazioni locali per l’acquisizione di servizi e forniture.
Da ultimo, l’ammontare complessivo dei debiti commerciali dell'intero comparto delle pubbliche amministrazioni è stato contabilizzato da Eurostat, in una Nota, Note on stock of liabilities of trade credits and advances dell’ottobre 2012, con riferimento a tutti gli Stati membri dell’Unione europea: per l’Italia, lo stock di debiti commerciali è indicato, sebbene in via ancora provvisoria, in 62,5 miliardi di euro nel 2010, che salgono a 67,3 miliardi di euro nel 2011.
Il 20 luglio 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento ed una proposta di direttiva volti a sostituire le vigenti direttive allo scopo di recepire a livello UE l'accordo di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche.
L’accordo, definito nel dicembre 2010 dal Comitato di Basilea della Banca dei regolamenti internazionali, fissa livelli più elevati per i coefficienti patrimoniali delle banche ed introduce un nuovo schema internazionale per la liquidità. I membri del Comitato avevano inizialmente concordato di attuare l’accordo a partire dal 1° gennaio 2013, secondo una tabella di marcia graduale corredata di disposizioni transitorie. Il 6 gennaio 2013 il Gruppo dei Governatori delle banche centrali e delle Autorità di vigilanza - organo di governo del Comitato di Basilea – ha tuttavia stabilito che le nuove norme in materia di requisiti patrimoniali entreranno in vigore, come previsto, il 1 ° gennaio 2015, ma con applicazione progressiva, che si completerà il 1° gennaio 2019 (si partirà nel 2015 con il 60% del valore del requisito minimo, con un incremento annuo del 10%, fino ad arrivare al 100% nel 2019). Tale decisione è stata accolta con soddisfazione dal Commissario europeo per i servizi finanziari, Michel Barnier.
Le due proposte in esame (COM(2011)452 e COM(2011)453 volte a sostituire le vigenti direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE ) – oltre a dare attuazione all’accordo di Basilea 3, tenendo conto tuttavia di alcune peculiarità ed esigenze del sistema bancario dell’UE – intendono procedere ad un più generale riassetto, in un corpus normativo organico, della legislazione europea in materia.
In particolare, la proposta di regolamento prevede l’obbligo per le banche e le imprese di investimento di detenere un livello di capitale quantitativamente e qualitativamente più elevato che consenta di assorbire autonomamente eventuali perdite, senza ricorrere a ricapitalizzazioni a carico di fondi pubblici, e di assicurare la continuità nell’operatività. A questo scopo, si tiene fermo l’attuale requisito per cui le banche devono detenere un patrimonio di vigilanza totale dell'8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio ma, al tempo stesso, ne viene modificata la composizione stabilendo:
Come ulteriore tutela contro le perdite, oltre ai requisiti patrimoniali minimi, si prevede l’introduzione di due riserve di capitale (c.d. buffer o cuscinetti):
La proposta mira altresì:
Le proposte seguono la procedura legislativa ordinaria (già procedura di codecisione). Il 28 febbraio 2013 Consiglio dell'UE, Parlamento europeo e Commissione hanno raggiunto, in sede di trilogo, un accordo su un testo comune, che dovrebbe essere approvato dal PE nella sessione del 15-18 aprile 2013, e successivamente, in via definitiva, in una delle prossime sessioni del Consiglio.
L’accordo prevede, tra le altre cose, quanto segue:
L’ Autorità bancaria europea (European banking authority, EBA) in data 8 dicembre 2011 ha adottato una raccomandazione che prevedeva, entro la fine di giugno 2012, la creazione, in via eccezionale e temporanea, di una riserva supplementare di fondi propri da parte delle banche per raggiungere un livello pari al 9% del capitale di classe 1 (Core Tier 1).
La costituzione di tale riserva supplementare era stata motivata dall’EBA richiamando l’esigenza di creare un cuscinetto di capitale, a fronte delle esposizioni delle banche interessate verso gli emittenti sovrani. La quantificazione delle necessità di ricapitalizzazione delle singole istituzioni finanziarie è stata operata in base ai prezzi di mercato rilevati a settembre 2011 (criterio market to market).
Secondo le indicazioni della Banca d’Italia, la raccomandazione imponeva a quattro gruppi bancari italiani (Unicredit, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Unione di Banche Italiane) una ricapitalizzazione di ammontare pari complessivamente a 15,366 miliardi (ai fronte dei circa 30 miliardi di euro chiesti alle banche greche, 26 miliardi di euro per quelle spagnole, 13 per le tedesche e 7 miliardi per le francesi).
Il 4 ottobre 2012 l’Autorità bancaria europea (ABE) ha pubblicato un rapporto in cui rileva che la ricapitalizzazione complessiva ha superato i 200 miliardi di euro, e che le 27 banche a cui era stato richiesto un aumento di capitale, hanno immesso 116 miliardi di euro, riportando il Core Tier al livello medio del 9,7%. Tra le banche italiane esaminate, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ubi e Banco popolare sono risultate in linea con l’obiettivo del 9%, mentre il Monte dei Paschi ha registrato un deficit patrimoniale (shortfall) al 30 giugno scorso di 1,72 miliardi di euro. In un comunicato stampa successivo alla pubblicazione del rapporto, Monte dei Paschi ha precisato che “la cessione di Biver Banca e l’operazione di riacquisto di titoli subordinati” ridurrebbero il dato a 1,44 miliardi.
La Commissione Finanze della Camera ha esaminato le proposte legislative relative all’attuazione dell’accordo di Basilea 3 approvando, il 29 febbraio 2012, un documento finale.
Il documento – che è stato trasmesso, oltre che al Governo al quale rivolge indirizzi, anche alle Istituzioni dell’UE nell’ambito del dialogo politico informale –esprime condivisione in linea generale per le proposte della Commissione, considerando al tempo stesso necessari:
La Commissione Finanze e tesoro del Senato ha approvato il 15 maggio 2012 una risoluzione Doc. XVIII n. 160 con la quale sono state condivise in linea generale le proposte presentate in ambito comunitario.
Secondo la Commissione l’azione dell’EBA, pienamente giustificata in quanto a controllo e monitoraggio degli effetti della situazione, ha tuttavia comportato conseguenze non positive sul settore creditizio italiano; i tempi e le modalità di calcolo del cuscinetto straordinario di capitale e la sua stessa elevatezza, hanno gravemente appesantito i corsi azionari delle banche italiane, esponendole a rischi di scalate. La Commissione ha rilevato peraltro che la proposta di regolamento non reca uno specifico riferimento alla definizione dei titoli pubblici, con qualunque durata e scadenza, ai fini del calcolo dei fondi propri o del capitale di vigilanza, ed ha sollecitato un approfondimento in tal senso. Rispetto alla raccomandazione dell’EBA, viene sollecitato il Governo nazionale affinché nelle sedi negoziali appropriate proponga di ampliare i termini temporali entro cui le banche dovranno procedere all’attuazione dei piani di ricapitalizzazione. La Commissione ha inoltre confidato nell’adozione da parte della Banca d’Italia di misure attuative in grado di considerare adeguatamente le esigenze e le specificità del sistema creditizio italiano. La Commissione ha infine richiamato le specificità degli intermediari finanziari, e segnatamente di quelli operanti del settore del leasing, osservando che poiché i nuovi parametri appaiono riferibili più correttamente solo agli intermediari che raccolgono depositi andrebbe esclusa l’applicazione dei requisiti di liquidità ai soggetti non bancari.
L'esigenza di rivedere la disciplina del credito al consumo nasce a seguito delle indicazioni fornite in sede europea (direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008), ma anche dall'esame in sede parlamentare delle più rilevanti problematiche legate all'istituto, in relazione alla disciplina degli operatori finanziari.
La direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008 è stata emanata al fine di armonizzare il quadro normativo, regolamentare ed amministrativo degli Stati membri in tema di contratti di credito ai consumatori; le autorità europee hanno infatti osservato che lo stato di fatto e di diritto risultante da tali disparità nazionali in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all'interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE. Tali distorsioni e restrizioni possono a loro volta avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi. La delega ad operare tali interventi di riordino è contenuta nell’articolo 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (legge comunitaria 2008), come modificato dalla legge comunitaria 2009 (articolo 13 della legge n. 96 del 2010).
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha recepito nell’ordinamento italiano in primo luogo le norme in materia di contratti di credito ai consumatori (al Titolo I), recando le modifiche al Testo Unico Bancario – TUB ed al Codice del Consumo. Accanto a tale intervento, il provvedimento ha ricondotto all’interno del TUB altre disposizioni, contenute in leggi speciali, intervenute nel tempo in materia di trasparenza dei contratti bancari (Titolo II). Il Titolo III del D.Lgs. n. 141/2010 ha operato una revisione della disciplina degli operatori finanziari. Il Titolo IV è intervenuto in materia di agenti in attività finanziaria e di attività di mediazione creditizia. Accanto alle modifiche al TUB, sono state inoltre emanate disposizioni in materia di incompatibilità e di requisiti (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) richiesti ai predetti soggetti. E’ stato compiutamente disciplinato l’organismo competente per la gestione degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi; infine, è stata introdotta la fattispecie criminosa di esercizio abusivo dell’attività di mediazione creditizia e di agenzia in attività finanziaria.
In materia di credito al consumo, la Commissione VI (Finanze) ha approvato il 23 febbraio 2010 il documento conclusivo della relativa indagine conoscitiva. L’indagine ha esaminato le principali problematiche che presenta tale forma di finanziamento, anche in relazione all'impatto della normativa comunitaria sulla legislazione interna e ai dati statistici concernenti la diffusione del fenomeno, allo scopo di elaborare linee-guida di revisione.
La medesima Commissione il 27 maggio 2010 ha approvato la risoluzione 7-00340 (Pagano) con la quale ha impegnato il Governo a introdurre norme specifiche relative all'operatività dei sistemi di informazione creditizia, prevedendosi nel dettaglio che il consumatore debba essere informato esplicitamente delle conseguenze, rispetto all'accesso al credito, di eventuali segnalazioni negative a suo carico inserite nei predetti sistemi, e che tali segnalazioni negative, prima di essere inserite nei predetti sistemi, siano previamente comunicate al consumatore interessato, consentendo a quest'ultimo di avanzare, entro un determinato termine, eccezioni rispetto alle segnalazioni effettuate, al fine di evitarne l'inserimento nei sistemi di informazione creditizia.
Il D.Lgs. n. 218 del 2010 ha recato integrazioni e correzioni al predetto D.Lgs. 141 /2010, al fine di riallineare e a chiarire i tempi di entrata in vigore della disciplina da esso dettata, nonché per ricondurre alla fonte legislativa la relativa disciplina di attuazione. Il D.Lgs. n. 64 del 2011, in ottemperanza alle disposizioni della citata legge comunitaria 2008, ha istituito un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d’identità. Da ultimo, il decreto legislativo n. 169 del 2012 ha apportato ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 141 del 2010. Tra le novità più rilevanti si ricorda l'ampliamento dell'ambito operativo delle norme poste a tutela dei consumatori, in particolare di quelle relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali.
L’articolo 33 della legge 7 luglio 2009, n. 88 ha delegato il Governo a rimodulare la disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario, nonché a dettare nuove regole sull'attività di mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria. In ordine a questi ultimi soggetti, è stato previsto che l'attuazione della delega assicuri trasparenza dell’operato e professionalità tramite l’innalzamento dei requisiti professionali, con la creazione di un organismo rappresentativo di tali professionisti, avente il compito di gestire gli elenchi dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria e sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia.
In attuazione della delega, il Titolo IV del D. Lgs. n. 141 del 2010 ha ridisegnato l'assetto delle predette professioni. Accanto alle modifiche al Testo Unico Bancario, sono state emanate anche disposizioni in materia di incompatibilità e di requisiti (tecnico-informatici, patrimoniali, di professionalità ed onorabilità) richiesti a mediatori ed agenti; è stato disciplinato l’organismo competente alla gestione degli elenchi.
Da ultimo, il decreto legislativo n. 169 del 2012 ha apportato ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 141 del 2010. Tra le novità più rilevanti si ricordano le norme volte ad accelerare l'avvio del nuovo assetto dei soggetti operanti nel settore finanziario, ivi compresi quelli che esercitano l'attività di microcredito; è recata una disciplina compiuta dei cambiavalute, nei confronti dei quali è modificata la disciplina sull'uso del contante e quella antiriciclaggio.
I confidi - consorzi e cooperative di garanzia collettiva fidi – sono i soggetti che, ai sensi della cosiddetta legge sui confidi (art. 13 del D.L. 269/2003), svolgono l'attività di rilascio di garanzie collettive dei fidi e i servizi connessi o strumentali, a favore delle piccole e medie imprese associate, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge. La garanzia dei confidi è rappresentata da un fondo al quale contribuiscono tutti i soci del consorzio.
Nel corso della XVI legislatura si è manifestata una rinnovata considerazione per l’operato dei confidi, testimoniata anche dal sostegno finanziario dell’operatore pubblico a favore dei consorzi. L’utilizzo dei confidi per veicolare i fondi verso le micro-aziende beneficiarie rappresenta una peculiarità rilevante dell’intervento pubblico per favorire l’accesso al credito delle piccole e medie imprese in Italia.
I principali interventi legislativi sul tema hanno inteso riformare il sistema di vigilanza sui confidi (D.Lgs. n. 141 del 2010 e successivi interventi correttivi, in particolare il D.Lgs. n. 169 del 2012) e rafforzare la patrimonializzazione degli stessi (D.L. n. 201 del 2011 e D.L. n. 179 del 2012).
Il D.Lgs. n. 141/2010, attuativo della direttiva n. 48/2008 in tema di credito al consumo, ha riformato la disciplina relativa ai confidi, confermando la previsione di due distinte tipologie di confidi sottoposti a regimi di controllo differenziati, ma nel complesso più rigorosi e potenzialmente più efficaci rispetto al passato. Attraverso modifiche al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, TUB) si prevede l'istituzione di un nuovo elenco dei confidi, anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi, tenuto da un apposito Organismo. I confidi maggiori sono invece autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina.
I confidi iscritti ai sensi dell'art. 155, comma 4, del TUB nell'apposita sezione dell'elenco generale, possono svolgere esclusivamente l'attività di garanzia collettiva dei fidi, che consiste nella "prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie" volta a favorire l'accesso delle piccole e medie imprese associate al credito di banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario (art. 13, comma 1, del D.L. 269/2003). A tali operatori è pertanto precluso l'esercizio di prestazioni di garanzie diverse da quelle indicate e, in particolare, nei confronti del pubblico nonché l'esercizio delle altre attività riservate agli intermediari finanziari ex art. 106.
I confidi devono avere una compagine sociale costituita da piccole e medie imprese industriali, commerciali, turistiche e di servizi, da imprese artigiane e agricole, come definite dalla disciplina comunitaria.
In relazione ai descritti limiti operativi e alla finalità di sostegno delle PMI, tali confidi sono espressamente sottratti all'applicazione delle disposizioni del Titolo V del TUB relative agli intermediari finanziari e la loro operatività non è sottoposta al regime di vigilanza prudenziale della Banca d'Italia, che viene invece esercitato nei confronti dei confidi “maggiori”. Più specificatamente nei confronti dei confidi iscritti ex art. 155, comma 4, i poteri e gli interventi di controllo della Banca d'Italia sono finalizzati a verificare l'osservanza delle norme sulla trasparenza delle operazioni loro consentite.
Il D.Lgs. n. 141/2010 ha modificato la disciplina dei confidi (articolo 112 del TUB) e ha introdotto una nuova forma di vigilanza sui confidi “minori”. I confidi, anche di secondo grado, sono iscritti in un elenco tenuto da un Organismo (dotato di autonomia organizzativa, statutaria e finanziaria competente per la gestione dell'elenco dei confidi) ed esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell'economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla legge. L'iscrizione nell’elenco è subordinata al ricorrere delle condizioni di legge (articolo 13 del D.L. 269/2003) nonché al possesso da parte degli amministratori di requisiti di onorabilità.
I confidi iscritti nell'albo esercitano in via prevalente l'attività di garanzia collettiva dei fidi e possono svolgere, prevalentemente nei confronti delle imprese consorziate o socie, attività connesse (prestazione di garanzie a favore dell'amministrazione finanziaria dello Stato, al fine dell'esecuzione dei rimborsi di imposte alle imprese consorziate o socie; gestione di fondi pubblici di agevolazione; stipula di contratti con le banche assegnatarie di fondi pubblici di garanzia per disciplinare i rapporti con le imprese consorziate o socie, al fine di facilitarne la fruizione). I confidi iscritti nell'albo possono, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell'articolo 106, comma 1, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d'Italia.
Il nuovo articolo 112-bis del TUB disciplina l’Organismo per la tenuta dell'elenco dei confidi. L'Organismo svolge ogni attività necessaria per la gestione dell'elenco e vigila sul rispetto, da parte degli iscritti, della disciplina cui sono sottoposti. Nell'esercizio di tali attività può avvalersi delle Federazioni di rappresentanza dei Confidi espressione delle Organizzazioni nazionali di impresa. Resta fermo il coinvolgimento della Banca d’Italia nel comparto, chiamata a sua volta a vigilare, secondo criteri di proporzionalità ed economicità, sull’Organismo al fine di verificare l’adeguatezza delle procedure adottate per lo svolgimento dell’attività.
Il D.Lgs. 169/2012 ha eliminato l’obbligo per tale soggetto di costituirsi in forma di associazione e ha affidato al MEF, sentita la Banca d’Italia, sia l’approvazione del relativo statuto, sia la nomina di un proprio rappresentante nell’organo di controllo. L’Organismo dei confidi si intende costituito, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, nel momento in cui l’Organismo, fornito di tutte le risorse – umane e materiali – necessarie, è in grado di avviare la gestione dell’elenco secondo le nuove norme.
In caso di violazioni legislative o amministrative da parte degli iscritti all’elenco tenuto dall’Organismo, il medesimo (e non più la Banca d’Italia, previa istruttoria dell’Organismo) può irrogare sanzioni, nella forma del divieto di intraprendere nuove operazioni o dell’obbligo di ridurre le attività.
Al Ministro dell’economia e delle finanze – su proposta della Banca d’Italia – è assegnato il potere di scioglimento degli organi di gestione e di controllo dell’Organismo, qualora risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività dello stesso.
I confidi che hanno un volume di attività finanziaria pari o superiore a 75 milioni di euro, erano tenuti, ai sensi dell'art. 15 del D.M. 17 febbraio 2009, n. 29, ad iscriversi nell'elenco speciale (previgente articolo 107 del TUB). Il D.Lgs. n. 141/2010 (riforma del Titolo V del TUB) ha sostituito il precedente sistema, caratterizzato da un doppio elenco (uno generale e uno speciale), con l’obbligo di iscrizione in un albo unico per gli intermediari finanziari autorizzati (nuovo articolo 106 del TUB), i quali esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Tali soggetti sono sottoposti all’attività di vigilanza della Banca d’Italia (art. 108). I confidi tenuti ad iscriversi nell'albo di cui all'articolo 106 sono esclusi dall'obbligo di iscrizione nell'elenco tenuto dall'Organismo previsto all'articolo 112-bis.
Il nuovo articolo 112, comma 3, prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, determini i criteri oggettivi, riferibili al volume di attività finanziaria in base ai quali sono individuati i confidi che sono tenuti a chiedere l'autorizzazione per l'iscrizione nell'albo previsto dall'articolo 106. La Banca d'Italia stabilisce, con proprio provvedimento, gli elementi da prendere in considerazione per il calcolo del volume di attività finanziaria. In deroga all'articolo 106, per l'iscrizione nell'albo i confidi possono adottare la forma di società consortile a responsabilità limitata.
Nel disegno del D.Lgs. 141/2010, i confidi maggiori sono autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina. Rispetto all’attuale assetto di vigilanza, che è confermato nel suo impianto, la supervisione sugli intermediari finanziari e, quindi, anche sui confidi maggiori, risulta in via generale rafforzata attraverso:
- la previsione di un formale provvedimento di autorizzazione all’esercizio dell’attività;
- l’introduzione ex novo di poteri di controllo sugli assetti proprietari, subordinando ad autorizzazione della Banca d’Italia l’acquisizione di partecipazioni rilevanti nel capitale;
- l’incremento dei poteri di intervento (ad es. restrizione della struttura territoriale, divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria);
- l’introduzione della disciplina di vigilanza consolidata, con la definizione della nozione di gruppo finanziario;
- l’applicazione di procedimenti di gestione delle crisi (gestione provvisoria, revoca dell’autorizzazione e liquidazione coatta amministrativa).
Il ricorso al Fondo di garanzia per le PMI (di cui all'art. 2, comma 100, lettera a), della legge 23 dicembre 1996, n. 662) gestito dal Mediocredito Centrale è aumentato soprattutto in relazione al riconoscimento della garanzia dello Stato di ultima istanza, avvenuto con i provvedimenti anti-crisi del 2008, che consente di applicare la ponderazione zero alla quota parte di finanziamento coperta dalla garanzia del Fondo.
L'articolo 8, comma 5, lettera b), del D.L. n. 70 del 2011 ha demandato ad un decreto ministeriale la modifica dei criteri e delle modalità per la concessione della garanzia e per la gestione del Fondo, anche introducendo differenziazioni in termini di percentuali di finanziamento garantito e di onere della garanzia e che a tali fini, il Fondo può anche sostenere con garanzia concessa a titolo oneroso il capitale di rischio investito da fondi comuni d'investimento mobiliari chiusi.
Con Dm del 26 giugno 2012 (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto 2012) il ministro dello Sviluppo economico e quello dell'Economia e delle finanze hanno aumentato la percentuale di copertura e azzerato la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Secondo quanto emerge nella Relazione annuale della Banca d'Italia per il 2011, il comparto dei confidi iscritti all'elenco speciale ha evidenziato un marcato deterioramento delle garanzie rilasciate. Le cause di questo indebolimento sono imputabili: alla crescita dei fallimenti delle imprese e la conseguente insolvenza dei confidi; al fatto di rientrare nella categoria dei confidi vigilati dalla Banca d'Italia che comporta costi crescenti; ai requisiti di Basilea in base ai quali, non tutti i contributi dati ai confidi vengono attribuiti al patrimonio ma sono considerati debito, il che comporta l’obbligo di una maggiore patrimonializzazione per la società (dato che il capitale deve essere proporzionato al credito garantito).
Da più parti si sollecita pertanto un processo di razionalizzazione dei confidi: questi, infatti, hanno un assetto frammentato a fronte di una grande concentrazione del mercato delle garanzie.
Alla luce del deterioramento del patrimonio dei confidi, che riduce la possibilità di concedere garanzie alle imprese, le associazioni di categoria hanno chiesto di poter computare strumenti ibridi di patrimonio derivanti dalla contribuzione pubblica, a patrimonio di primo pilastro dei confidi; in più chiedono la possibilità di aprire i confidi a sinergie con Cassa Depositi e Prestiti.
Tra le misure volte a rafforzare i confidi, si ricorda l’articolo 39, comma 7, del D.L. 201 del 2011, il quale ha consentito alle imprese non finanziarie di grandi dimensioni e agli enti pubblici e privati l’ingresso nel capitale sociale dei confidi e delle banche cooperative di garanzia collettiva dei fidi, anche in deroga alle disposizioni di legge che prevedono divieti o limiti di partecipazione. Tale ingresso, tuttavia, deve essere minoritario: le piccole e medie imprese socie devono disporre di almeno la metà più uno dei voti esercitabili nell’assemblea; inoltre la nomina dei componenti degli organi che esercitano funzioni di gestione e di supervisione strategica deve essere riservata all’assemblea.
Successivamente, l’articolo 10 del D.L. n. 1 del 2012 ha esteso tale facoltà anche ai confidi costituiti tra liberi professionisti, la cui costituzione era stata precedentemente prevista dal decreto-legge 70/2011.
L'articolo 36, commi 1 e 2, del D.L. 179 del 2012 ha poi introdotto norme volte a rafforzare patrimonialmente i confidi, senza porre oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, consentendo di imputare al fondo consortile, al capitale sociale o ad apposita riserva, i fondi rischi alimentati da contributi pubblici oggetto di vincoli di destinazione, mediante una delibera dell’assemblea ordinaria. E’ possibile altresì accantonare i predetti contributi per la copertura dei rischi. In tal modo i fondi perdono i vincoli preesistenti, acquisendo la possibilità di essere computati nel patrimonio di vigilanza.
In realtà, le risorse interessate dalla disposizione in esame farebbero già parte dei mezzi propri dei confidi ma su di esse potrebbero gravare dei vincoli di destinazione (per esempio territoriali) che non consentono il loro utilizzo a presidio dei rischi complessivamente assunti. Attraverso la destinazione di tali contributi al fondo consortile o al capitale sociale tali vincoli verrebbero pertanto fatti cadere ope legis.
Le risorse vengono attribuite unitariamente al patrimonio, anche a fini di vigilanza, dei relativi confidi, senza vincoli di destinazione, nel caso siano destinati ad incrementare il patrimonio; la relativa delibera è di competenza dell’assemblea ordinaria.
Viene poi precisato che le eventuali azioni o quote corrispondenti, costituiscono azioni o quote proprie dei confidi e non attribuiscono alcun diritto patrimoniale o amministrativo, né sono computate nel capitale sociale o nel fondo consortile ai fini del calcolo delle quote richieste per la costituzione e per le deliberazioni dell’assemblea.
La disposizione si applica:
La legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012, comma 481 dell’articolo 1) ha prorogato per il 2013 le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro. Ove la disciplina di attuazione non sia emanata entro il 15 gennaio 2013, il Governo – previa comunicazione alle Camere – dovrà promuovere un'apposita iniziativa legislativa per finalizzare le risorse stanziate:
Il D.Lgs. 169 del 2012, mediante modifiche all’articolo 25 del D.Lgs. 231 del 2007 (antiriciclaggio) ha incluso i confidi tra i soggetti che possono avvalersi del regime semplificato di adeguata verifica della clientela. E’ stato inoltre allineato l’impianto sanzionatorio previsto dagli articoli 55, 56, 58 e 60 del D.Lgs. 231 del 2007 alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 141/2010. In particolare:
Nel corso della XVI legislatura la disciplina degli operatori finanziari è stata modificata in maniera molto incisiva da due interventi di riforma, sulla scia del recepimento nell’ordinamento interno di direttive comunitarie: si tratta del D.Lgs. n. 141 del 2010 sui contratti di credito ai consumatori e del D.Lgs. n. 11 del 2010 sui servizi di pagamento, e dei successivi interventi correttivi (si citano in particolare: il D.Lgs. n. 218 del 2010; il D.Lgs. 230 del 2011, il D.Lgs. 169 del 2012, il D.Lgs. n. 45 del 2012). Entrambi i decreti sono intervenuti sul Testo Unico Bancario - T.U.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993) modificando e introducendo nuovi Titoli, riguardanti rispettivamente: i Soggetti operanti nel settore finanziario (Titolo V), la moneta elettronica e gli Istituti di moneta elettronica (Titolo V-bis) e gli Istituti di pagamento (Titolo V-ter). Successivamente sono stati adottati diversi decreti legislativi correttivi.
La concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico è riservata a intermediari soggetti a una regolamentazione sostanzialmente equivalente – per gli aspetti disciplinati e per incisività – a quella degli altri intermediari regolamentati (banche, SIM, istituti di pagamento). Sono previsti controlli più incisivi al momento dell’accesso al mercato, nel corso dell’operatività, in caso di crisi.
Alcune tipologie di attività (microcredito, confidi), caratterizzate dal rilievo sociale e solidaristico, godono di un alleggerimento degli oneri regolamentari. La loro vigilanza è affidata a organismi di autoregolamentazione, sottoposti a forme di controllo della Banca d'Italia; per il microcredito, in via transitoria tale compito spetterà alla Banca d’Italia sino a quando non verrà raggiunto un numero di iscritti congruo per consentire la costituzione e il funzionamento dell’organismo ad hoc.
Il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 ha operato numerose innovazioni all’interno del Testo Unico Bancario (TUB), al fine di recepire nell’ordinamento italiano la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori. In particolare il D.Lgs. 141 del 2010 ha unificato la disciplina degli intermediari finanziari, ovvero di quei soggetti che esercitano nei confronti del pubblico l'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma. Si è passati in sostanza da un sistema in cui la vigilanza in capo a tali soggetti era graduata in base alle dimensioni operative degli stessi - con iscrizione in due elenchi separati, ex articoli 106 e 107 del TUB - alla riconduzione ad unum della disciplina di tutti gli intermediari, assoggettati complessivamente ad autorizzazione preventiva da parte di Banca d'Italia, con forme di vigilanza equivalente e con iscrizione in un unico albo.
Oltre all’attività di concessione di finanziamenti gli intermediari finanziari possono altresì: prestare servizi di pagamento ed emettere moneta elettronica, a condizione che siano a ciò autorizzati (articoli 114-novies e 114-quinquies del TUB); prestare servizi di investimento, ove autorizzati ai sensi dell’articolo 18, D.Lgs. n. 58/1998 (TUF); esercitare altre attività eventualmente consentite dalla legge nonché connesse o strumentali.
Non sono più considerate attività riservate l’assunzione di partecipazioni né quella di intermediazione in cambi: la riserva di attività a favore degli intermediari finanziari è circoscritta alla sola erogazione del credito. Inoltre, non assume più rilevanza la distinzione tra l’attività esercitata nei confronti del pubblico e quella non esercitata nei confronti del pubblico.
E' prevista pertanto l’istituzione dell’albo unico degli intermediari finanziari che esercitano nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamento sotto qualsiasi forma, la cui tenuta è affidata alla Banca d’Italia (articolo 106 del TUB). Nell’albo unico si devono iscrivere anche i confidi di maggiori dimensioni e le agenzie di prestito su pegno, mentre è prevista l’iscrizione in una sezione separata del medesimo albo delle società fiduciarie controllate da una banca o aventi un capitale versato non inferiore al doppio di quello previsto dal codice civile per le società per azioni (art. 199 del TUF).
Le forme giuridiche richieste ai fini dell’iscrizione nell’albo degli intermediari finanziari sono quelle di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa per azioni a responsabilità limitata. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di intermediazione finanziaria anche gli esponenti aziendali del richiedente debbano possedere specifici requisiti di professionalità, indipendenza e onorabilità. È, infine, introdotto un regime di vigilanza consolidata sui gruppi finanziari.
La completa attuazione della riforma richiede l’emanazione della normativa secondaria da parte del Ministero dell’economia e delle finanze e della Banca d’Italia, la quale nel gennaio 2012 ha pubblicato come documento per la consultazione le “Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari”.
La disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi è stata modificata dal D.Lgs. 141/2010, con l’obiettivo di assicurare operatori finanziari professionalmente idonei, patrimonialmente solidi, adeguati dal punto di vista organizzativo; canali distributivi diversificati, competenti, affidabili, anche a beneficio della concorrenza; regole adeguate di tutela della clientela; un sistema di enforcement efficace. Il decreto ha previsto l’istituzione di un organismo responsabile della tenuta degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (in precedenza la vigilanza sugli agenti in attività finanziaria era esercitata dalla Banca d’Italia).
Agente in attività finanziaria è il soggetto che promuove e conclude contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma o alla prestazione di servizi di pagamento, su mandato diretto di intermediari finanziari, istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica, banche o Poste Italiane. Gli agenti in attività finanziaria possono svolgere esclusivamente le attività indicate, nonché attività connesse o strumentali. Per gli agenti che svolgono esclusivamente servizi di pagamento è prevista l’istituzione di un’apposita sezione del citato elenco (articolo 128-quater del TUB; D.M. 28 dicembre 2012, n. 256).
Mediatore creditizio è il soggetto (non persona fisica) che mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari con la potenziale clientela per la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma (articolo 128-sexies del TUB). I collaboratori dei mediatori creditizi e degli agenti in attività finanziaria non possono essere persone giuridiche, ma soltanto persone fisiche.
Il D.Lgs. 141 del 2010 ha riformato la disciplina relativa ai confidi, confermando la previsione di due distinte tipologie di confidi sottoposti a regimi di controllo differenziati, ma nel complesso più rigorosi e potenzialmente più efficaci rispetto al passato. Attraverso modifiche al TUB si prevede l'istituzione di un nuovo elenco dei confidi, anche di secondo grado, che esercitano in via esclusiva l'attività di garanzia collettiva dei fidi, tenuto da un apposito organismo. I confidi maggiori sono invece autorizzati all’iscrizione nel nuovo albo unico degli intermediari finanziari, previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla nuova disciplina. Per una completa disamina dei confidi si rinvia al relativo approfondimento.
I soggetti operanti nel microcredito sono stati sottoposti ad un regime meno severo di vigilanza (analogamente a quanto avviene per gli agenti e i mediatori creditizi): si tratta dei soggetti che soddisfano il bisogno di credito di una fascia di operatori economici non in grado di ottenere finanziamenti dai canali bancari tradizionali. Per effetto del D.Lgs. 141/2010 i soggetti che vorranno esercitare l'attività di microcredito dovranno iscriversi in un apposito elenco tenuto da un organismo di diritto privato, istituito in forma di associazione e vigilato da Banca d'Italia. L’organismo per i microcredito sarà istituito in un secondo momento. Ai fini dell’iscrizione nell’albo degli intermediari e nell’elenco degli operatori del microcredito, le forme giuridiche richieste agli enti sono quelle di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa per azioni a responsabilità limitata.
I finanziamenti concessi per l'avvio o l'esercizio di attività di lavoro autonomo o di microimpresa hanno le seguenti caratteristiche: sono di ammontare non superiore a euro 25.000, non assistiti da garanzie reali; sono finalizzati all'avvio o allo sviluppo di iniziative imprenditoriali o all'inserimento nel mercato del lavoro; sono accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati. Possono essere erogati in via non prevalente finanziamenti anche a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale, per un importo massimo di euro 10.000, non assistiti da garanzie reali, accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, allo scopo di consentire l'inclusione sociale e finanziaria del beneficiario, a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato
E' eliminato l’obbligo di iscrizione ad apposita sezione dell’elenco degli esercenti il microcredito per i soggetti diversi dalle banche che, costituiti prima della vigenza del D.Lgs. 141/2010, senza fine di lucro raccolgono tradizionalmente in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti (cd. “casse peota”). Tali soggetti possono dunque continuare a svolgere la propria attività, in considerazione del carattere marginale della stessa, nel rispetto delle modalità operative e dei limiti quantitativi determinati dal CICR. La stessa impostazione si applica agli organismi costituiti tra i dipendenti di una medesima P.A. (articolo 112, comma 7, TUB).
Cambiavalute sono i soggetti che esercitano professionalmente l'attività consistente nella negoziazione (acquisto e vendita) a pronti di mezzi di pagamento in valuta (articolo 155, comma 5, del TUB). I cambiavalute possono altresì esercitare attività strumentali e connesse, attività connesse al turismo o alla prestazione di servizi di trasporto di persone e attività numismatica, in conformità al regime proprio di ciascuna di esse (art. 14 del D.M. 29/2009).
L’agenzia in attività finanziaria è compatibile con l’attività di cambiavalute soltanto nel caso di agenzia limitata alla prestazione di servizi di pagamento (inclusi i money transfer). Il cambiavalute non può essere però mediatore; la normativa sui cambiavalute non consente agli stessi l'esercizio di altre attività se non quelle connesse al turismo o alla prestazione di servizi di trasporto di persone e attività numismatica.
L’attività di cambiavalute è riservata ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto presso l’Organismo relativo ad agenti e mediatori (art. 128-undecies T.U.B.); sono previste sanzioni amministrative per l’esercizio abusivo dell’attività. Fino all'emanazione del provvedimento ministeriale che illustra l'obbligo e le specifiche di segnalazione, l'attività di cambiavalute continua a essere regolata dalla disciplina previgente (articolo 155 TUB). Per svolgere l’attività di cambiavalute è necessario ottenere una licenza da parte della Questura.
L’attività di money transfer è definita come il servizio di pagamento dove, senza l’apertura di conti di pagamento a nome del pagatore o del beneficiario, il prestatore di servizi di pagamento riceve i fondi dal pagatore con l’unico scopo di trasferire un ammontare corrispondente al beneficiario o a un altro prestatore di servizi di pagamento che agisce per conto del beneficiario, e/o dove tali fondi sono ricevuti per conto del beneficiario e messi a sua disposizione (articolo 1, comma 1, lettera n), del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della Direttiva sui servizi di pagamento, Payment Services Directive - PSD).
L’attività di money transfer può essere svolta da istituti di pagamento (disciplinati dal Titolo V-ter del TUB, inserito dal citato D.Lgs. n. 11 del 2010) ovvero per il tramite di agenti in attività finanziaria (disciplinati dal Titolo VI-bis del TUB, inserito dal D.Lgs. n. 141 del 2010 e successive modificazioni).
Si segnala che la circolare del MEF del 15 novembre 2011, in materia di attività di prestazione di servizi di pagamento per conto di istituti comunitari, ha chiarito che gli agenti money transfer che svolgono la propria attività per conto di istituti di pagamento comunitari sono sottoposti alla disciplina di settore del paese in cui l’intermediario ha ottenuto l’autorizzazione (home country control) e pertanto, per il combinato disposto degli articoli 144-decies e 128-quater, comma 7, del TUB, tali soggetti pur operanti in Italia, non sono tenuti ad iscriversi nella citata sezione speciale dell’albo degli agenti in attività finanziaria, ma devono essere iscritti nel registro pubblico tenuto dalle autorità del paese di origine in cui viene data evidenza degli istituti di pagamento autorizzati, dei relativi agenti e delle succursali.
Gli agenti in attività finanziaria che svolgono l’attività di money transfer devono conservare per dieci anni i dati del titolo di soggiorno (in luogo della copia del documento) di chi dispone il trasferimento, ove l’ordinante sia un cittadino extracomunitario; sono adeguate a tale nuovo obbligo sia le modalità di conservazione dei suddetti dati, sia la loro mancata trasmissione alle autorità preposte.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi.
Gli istituti di pagamento sono le imprese, diverse dalla banche e dagli IMEL (istituti di moneta elettronica), autorizzati a prestare i servizi di pagamento. Sono iscritti, previa autorizzazione, in un Albo tenuto dalla Banca d’Italia. Possono esercitare attività accessorie alla prestazione di servizi di pagamento, quali la concessione di crediti e la prestazione di garanzie connesse al servizio di pagamento.
In particolare gli istituti di pagamento operano direttamente nei confronti del pubblico e possono, ove autorizzati alla prestazione dello specifico servizio: emettere strumenti di pagamento, incluse le carte di credito; detenere conti intestati ai cliente (“conti di pagamento”) sui quali possono essere disposte operazioni quali depositi e prelievi, bonifici o addebiti diretti; erogare credito con durata non superiore ai 12 mesi, a condizione che sia strumentale all’erogazione di servizi di pagamento; effettuare servizi di trasferimento fondi e di rimesse di denaro (money transfer).
Con il D.Lgs. n. 230 del 2011 sono state apportate disposizioni correttive al D.Lgs. n. 11/2010, al fine di allineare la disciplina degli Istituti di pagamento a quella vigente per gli Istituti di moneta elettronica sotto il profilo contabile.
Si segnala che la Banca d'Italia il 20 giugno 2012 ha pubblicato il Provvedimento recante "Disposizioni di Vigilanza per gli istituti di pagamento e di moneta elettronica".
Gli istituti di moneta elettronica sono soggetti diversi dalle banche che svolgono in via esclusiva l'attività di emissione di moneta elettronica. Possono anche svolgere attività connesse e strumentali all'emissione di moneta elettronica e offrire servizi di pagamento. Non possono svolgere l'attività di concessione di crediti, in alcuna forma, né possono concedere interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica. Sono iscritti in un apposito Albo tenuto dalla Banca d’Italia (si veda il Titoli V-bis del T.U.B.).
Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"); quanto poi al capitale sociale, l'ammontare minimo è diminuito da 1 milione di euro a 350.000 euro; è stata altresì introdotta la figura del c.d. "IMEL a operatività limitata", ovvero un IMEL cui si applicano specifiche limitazioni operative (limitato ammontare di moneta elettronica in circolazione) a fronte dell'esenzione da talune disposizioni previste nella normativa di vigilanza.
Si ricorda che la Banca d'Italia il 20 giugno 2012 ha pubblicato il Provvedimento recante "Disposizioni di Vigilanza per gli istituti di pagamento e di moneta elettronica".
Il promotore finanziario è la persona fisica che, in qualità di agente collegato ai sensi della direttiva 2004/39/CE (MiFID), esercita professionalmente l'offerta fuori sede - come dipendente, agente o mandatario - esclusivamente nell'interesse di un solo soggetto: egli è abilitato alla promozione e al collocamento di prodotti finanziari e servizi di investimento in luogo diverso dalla sede e dalle dipendenze del soggetto abilitato per cui opera (SIM, SGR, banche). La relativa attività è disciplinata dall’articolo 31 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.).
I promotori finanziari devono iscriversi all'Albo unico dei promotori finanziari (APF), tenuto dall'organismo appositamente costituito. La nuova regolamentazione prevede la compatibilità tra l'attività di promotore finanziario e agente in attività finanziaria e dispone l'incompatibilità tra l'attività di promotore finanziario e quella di mediatore creditizio. L'attività di promozione e collocamento di contratti relativi alla concessione di finanziamenti o alla prestazione di servizi di pagamento, effettuate per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l'incarico di promotore finanziario, non richiede per essere svolta l'iscrizione all'elenco degli agenti in attività finanziaria tenuto dall'OAM, non costituendo esercizio di agenzia in attività finanziaria.
E' previsto un regime transitorio per l'iscrizione, qualora necessaria, entro il 31 dicembre 2012 al nuovo elenco degli agenti in attività finanziaria, per i promotori finanziari che abbiano svolto l'attività di agenzia in attività finanziaria per uno o più periodi di tempo complessivamente pari a tre anni nel quinquennio precedente la data di istanza di iscrizione. I promotori già iscritti nell’elenco degli agenti in attività finanziaria ovvero nell’albo dei mediatori creditizi presso Banca d’Italia alla data del 30 giugno 2011 possono chiedere l’iscrizione nei nuovi elenchi in regime di esonero dalla specifica prova valutativa, in seguito alla presentazione della documentazione attestante il possesso dei requisiti previsti per l’iscrizione nei nuovi elenchi.
I soggetti che svolgono l’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa sul territorio italiano, residenti o con sede legale in Italia, devono iscriversi nel Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI), istituito dal D.Lgs. n. 209 del 2005 (Codice delle Assicurazioni), in attuazione della Direttiva 2002/92/CE sull’intermediazione assicurativa, e disciplinato dal Regolamento ISVAP n. 5 del 16 ottobre 2006. In base a tale normativa, l’esercizio dell’attività di intermediazione è riservato ai soli iscritti nel Registro. Il Registro è suddiviso in 5 sezioni:
Non è consentita la contemporanea iscrizione dello stesso intermediario in più sezioni del Registro, con l’eccezione degli intermediari iscritti nelle sezioni A ed E per i soli incarichi di distribuzione relativi al ramo r.c.auto.
L'attività di agente di assicurazione è compatibile con quella di agente in attività finanziaria, mentre quella di broker lo è con quella di mediatore creditizio, sempreché siano rispettati i rispettivi requisiti e obblighi d'iscrizione. L'obbligo d'iscrizione negli elenchi OAM per agenti e broker assicurativi entrerà comunque in vigore decorsi 30 giorni dall'emanazione del regolamento per gli agenti che prestano in via esclusiva servizi di pagamento (decreto 28 dicembre 2012, n. 256, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 35 dell’11 febbraio 2013). Inoltre, sulla base delle nuove disposizioni, l’iscrizione nell’apposito elenco costituisce presupposto necessario per lo svolgimento della cosiddetta attività di "segnalazione", che risulta pertanto esclusa ai soggetti non iscritti, come, ad esempio, nel caso degli agenti immobiliari.
Si segnala che il D.L. n. 179 del 2012 consente agli intermediari assicurativi di poter collaborare tra loro, anche mediante l’utilizzo dei rispettivi mandati, garantendo piena informativa e trasparenza nei confronti dei consumatori. Ogni patto contrario tra compagnia assicurativa e intermediario mandatario è nullo. L’intento dichiarato della norma è quello di favorire il superamento dell'attuale segmentazione del mercato assicurativo ed accrescere il grado di libertà dei diversi operatori. Lo stesso provvedimento ha stabilito che non costituiscono esercizio di agenzia in attività finanziaria la promozione e il collocamento, su mandato diretto di banche e intermediari finanziari, di contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma da parte degli agenti di assicurazione regolarmente iscritti nel Registro unico degli intermediari. La norma ricalca la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 169 del 2012 per i promotori finanziari, i quali nel proporre contratti di finanziamento o di servizi di pagamento per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l’incarico non sono qualificati come agenti in attività finanziaria.
Si prevede, inoltre, che il soggetto mandante debba curare l'aggiornamento professionale degli agenti assicurativi mandatari e assicurare il rispetto da parte loro della disciplina in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti; il soggetto mandante, infine, risponde per i danni cagionati dagli agenti assicurativi mandatari nell'esercizio dell'attività prevista dal presente comma, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale.
In merito alle operazioni relative alla cessione del quinto, resta la possibilità, per i soggetti eroganti i finanziamenti, di fare ricorso, in fase di distribuzione del servizio, a soggetti terzi rispetto alla propria organizzazione. In tali ipotesi, tuttavia, viene chiarito che i terzi devono essere in possesso di specifici requisiti soggettivi: deve infatti trattarsi di banche, intermediari finanziari, Poste italiane S.p.A., ivi comprese le rispettive strutture distributive, agenti in attività finanziaria o mediatori creditizi iscritti negli appositi elenchi, nei limiti delle riserve di attività previste dalla legislazione vigente.
La stipulazione di prestiti estinguibili mediante la cessione del quinto della retribuzione è disciplinata dal testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180. A norma dell’articolo 15, sono ammessi a concedere prestiti, verso cessione di quote di stipendio o salario, soltanto:
L’estensione ai dipendenti delle aziende private è stata disposta dall’articolo 1, comma 137, della legge 30 dicembre 2004, n. 311. L’articolo 13-bis, comma 1, lettera a), numero 2), del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, ha previsto che i pensionati pubblici e privati possono contrarre con banche e intermediari finanziari, prestiti da estinguersi con cessione di quote della pensione fino al quinto della stessa, valutato al netto delle ritenute fiscali e per periodi non superiori a dieci anni.
Le fondazioni di origine bancaria, nate nell'ambito del processo di privatizzazione delle banche pubbliche (c.d. legge Amato, n. 218 del 1990), sono soggetti non profit, privati e autonomi, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico. Attualmente le fondazioni sono 88 e dispongono di ingenti patrimoni che devono investire in attività diversificate, prudenti e fruttifere; dagli utili derivanti dalla buona gestione di questi investimenti traggono le risorse per sostenere attività d'interesse collettivo sulla base della legge (D.Lgs. n. 153 del 1999) e del loro statuto.
In origine le fondazioni bancarie furono pensate prevalentemente come depositarie dei patrimoni delle Casse da privatizzare. Con la cosiddetta legge Ciampi, la n. 461 del 1998 e il successivo decreto legislativo n. 153 del 1999, fu invece imposto loro l’obbligo di rinunciare al controllo delle relative banche. Un obbligo tuttora vigente, salvo per le fondazioni con patrimonio contabile netto inferiore a 200 milioni di euro nel 2002 o con sede in regioni a statuto speciale.
Il ruolo delle fondazioni bancarie e la natura giuridica di soggetti privati non profit sono stati definitivamente chiariti dalla sentenza n. 300 del 2003 della Corte Costituzionale che le ha confermate come "persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale" il cui scopo è quello di contribuire alla realizzazione di interessi di carattere generale in determinati settori.
Le fondazioni bancarie non hanno un ruolo gestionale nelle banche di cui sono azioniste. Esse sono, infatti, investitori istituzionali che dall'investimento dei loro patrimoni traggono gli utili necessari per svolgere l'attività filantropica, che si concretizza in oltre un miliardo di donazioni all'anno, rivolte a vari settori di interesse collettivo, fra i quali i principali sono: arte, attività e beni culturali; ricerca; educazione, istruzione e formazione; volontariato, filantropia e beneficenza; sviluppo locale; assistenza sociale; salute pubblica; protezione e qualità ambientale; sport e ricreazione. In questi settori le Fondazioni intervengono sia direttamente sia tramite progetti realizzati da soggetti terzi, privati e pubblici, purché non profit; non possono, infatti, fare donazioni a soggetti profit o a singoli cittadini.
L'articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010, con una norma interpretativa, ha chiarito che la vigilanza di legittimità sulle fondazioni di origine bancaria, di cui all'articolo 10 del D.Lgs. n. 153 del 1999, è attribuita al Ministero dell'Economia e delle Finanze fino a quando, nell'ambito di una riforma organica delle persone giuridiche private di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, non verrà istituita una nuova Autorità sulle medesime. Le fondazioni che manterranno direttamente o indirettamente il controllo sulle società bancarie rimarranno sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'Economia e delle Finanze anche successivamente all'istituzione della nuova Autorità.
Lo stesso articolo 52, come modificato dalla legge di conversione, prevede inoltre che il Ministero dell'Economia e delle Finanze, come tutte le Authority, relazioni ogni anno al Parlamento, entro il 30 giugno, circa l'attività svolta dalle fondazioni nell'anno precedente con riferimento, tra l'altro, agli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo economico-sociale nei territori locali in cui operano le medesime fondazioni. La prima Relazione sull’attività delle fondazioni bancarie (relativa agli esercizi 2009 e 2010) è stata trasmessa alla Camera dei deputati il 16 settembre 2011.
L’articolo 23, comma 16 del decreto legge n. 98 del 2011 ha previsto la disapplicazione delle sanzioni irrogate alle fondazioni bancarie per le indebite detrazioni agevolative (aliquota Irpeg ridotta a metà, esonero dalla ritenuta sui dividendi) indicate nelle proprie dichiarazioni dei redditi. In questo modo, le fondazioni bancarie possono chiudere i loro contenziosi con l’Agenzia delle Entrate, subentrata al Ministero delle finanze nella gestione dei contenziosi riferiti al periodo antecedente alla disciplina fiscale delle fondazioni bancarie.
In tema di incompatibilità il citato articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010 ha ripristinato il divieto per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la fondazione di ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria o sue controllate o partecipate. I soggetti che svolgono funzioni di indirizzo presso la fondazione non possono ricoprire funzioni di amministrazione, direzione o controllo presso la società bancaria conferitaria (articolo 4, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 153 del 1999). Al riguardo l'articolo 27-quater del decreto legge n. 1 del 2012 (c.d. liberalizzazioni) ha esteso l’incompatibilità all’esercizio di cariche nelle società concorrenti della banca conferitaria o di società del suo gruppo. Una norma di analogo tenore è stata prevista dall’articolo 36 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) per i titolari di cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo e per i funzionari di vertice di imprese o gruppi di imprese operanti nei mercati del credito, assicurativi e finanziari. Gli statuti delle fondazioni, inoltre, devono prevedere, tra l’altro, modalità di designazione e di nomina dell'organo di indirizzo ispirate a criteri oggettivi e trasparenti, improntati alla valorizzazione dei principi di onorabilità e professionalità.
Le misure di contrasto al cosiddetto interlocking directorates, cioè la co-presenza di un individuo in due o più Consigli di Amministrazione, sono volte ad evitare fenomeni di incroci personali tra gruppi bancari concorrenti e ad impedire a chi svolge funzioni di indirizzo, gestione e controllo nelle fondazioni di sedere allo stesso tempo negli organi di gestione e di controllo di società bancarie concorrenti della banca conferitaria. Si intende in tal modo favorire la concorrenza, la trasparenza nonché la liberalizzazione del mercato bancario-finanziario, nell’ottica di introdurre benefici per i consumatori.
Il decreto-legge n. 63 del 2012, per effetto delle modifiche apportate durante l'esame parlamentare, annovera tra gli enti sovvenzionabili o finanziabili dalle fondazioni bancarie, accanto alle imprese strumentali, alle imprese sociali e alle cooperative sociali, anche le cooperative che operano nel settore dell’informazione – tra le quali, dunque, rientrano le cooperative giornalistiche – e quelle che operano nei settori dello spettacolo e del tempo libero.
Il D.L. n. 174 del 2012 (articolo 9, comma 6-quinquies) ha sottratto gli immobili delle fondazioni bancarie dall’esenzione IMU disposta, in favore degli enti non commerciali, dall’articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo n. 504 del 1992, in relazione allo svolgimento di determinate attività. Di conseguenza anche per gli immobili delle fondazioni bancarie su cui insistono attività non qualificabili come “commerciali” (ai sensi delle norme di legge e delle relative disposizioni attuative) sarà dovuta l’imposta municipale, in deroga alle citate disposizioni generali.
L'articolo 36 (ai commi da 3-bis a 3-decies) del D.L. n. 179 del 2012 ha disciplinato il futuro assetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. In particolare, le norme individuano i meccanismi per la conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in circolazione, attualmente in possesso delle Fondazioni bancarie e disciplinano, in alternativa, le modalità di esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti privati.
Il decreto-legge n. 179 del 2012 (articolo 36, commi da 3-bis a 3-decies) ha recato disposizioni concernenti l’assetto azionario di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A.
In particolare, le norme hanno individuato i meccanismi per la conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in circolazione, attualmente in possesso delle Fondazioni bancarie: hanno disciplinato, in alternativa, le modalità di esercizio del diritto di recesso da parte degli azionisti privati.
L’assetto azionario di CDP e la conversione delle azioni privilegiate in possesso dell’azionista privato
Si ricorda che Cassa depositi e prestiti (CDP) S.p.A. è una società per azioni non quotata, costituita in tale forma giuridica ai sensi dell’articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269. Essa è controllata dallo Stato, che possiede il 70per cento del capitale, mentre il restante 30per cento è posseduto da 66 Fondazioni di origine bancaria., Tale assetto azionario è frutto dell’operazione di dismissione effettuata nel dicembre 2003, all’atto della trasformazione della Cassa in società per azioni. Il citato articolo 5 del D.L. n. 269 del 2003, oltre alla trasformazione di CDP in società per azioni, ha infatti disposto l’attribuzione delle relative quote azionarie allo Stato, con esercizio dei diritti dell’azionista da parte del MEF, consentendo a fondazioni bancarie ed altri soggetti pubblici o privati di detenere quote complessivamente di minoranza del capitale della società.
In attuazione della legge citata, il capitale sociale è stato determinato (D.M. del 5 dicembre 2003) in 3,5 miliardi di euro, suddiviso in 350.000.000 di azioni del valore nominale di 10 euro, di cui 245.000.000 di azioni ordinarie (70per cento del capitale sociale) e 105.000.000 di azioni privilegiate (30per cento del capitale sociale).
In data 5 dicembre 2003 sono stati poi emanati due D.P.C.M. che, rispettivamente, hanno disposto: a) l’approvazione dello Statuto di CDP contenente, tra l’altro, la trasferibilità delle azioni a favore di fondazioni bancarie nonché di banche ed intermediari finanziari vigilati e le regole per la conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie a far data dal 1° gennaio 2010; b) la cessione e le modalità di alienazione delle azioni privilegiate ai sensi della disciplina di legge.
A tal fine il MEF ha perfezionato la dismissione del 30 per cento del capitale della società a 65 Fondazioni bancarie, cedendo 105.000.000 azioni privilegiate del valore nominale complessivo di euro 1,05 ad un prezzo di vendita corrispondente al valore nominale delle azioni.
I contratti di compravendita sono stati stipulati con le singole fondazioni con accettazione da parte delle stesse dell’information memorandum e dello Statuto di CDP. La fissazione del prezzo di vendita delle azioni privilegiate è stata effettuata, ai sensi della legge n. 474 del 1994, sulla base di valutazione delle stesse azioni privilegiate rilasciate dai consulenti finanziari del Ministero, JP Morgan e Deutsche Bank. Le analisi svolte dai valutatori costituivano un parere sulla congruità del prezzo delle azioni privilegiate, al loro valore nominale, tenuto conto anche delle norme statutarie che attribuivano particolari diritti alle stesse. Tali pareri, pertanto, non rappresentavano una perizia di stima del patrimonio effettivo di CDP.
Lo statuto di CDP, nel 2003, prevedeva alcune specifiche caratteristiche delle azioni privilegiate. Ad esse erano infatti attribuiti particolari diritti di governance (tra cui il potere di blocco per l’approvazione delle delibere da assumere in assemblea, la nomina di un terzo dei componenti degli Organi sociali e la designazione di tutti i componenti del Comitato di supporto degli azionisti privilegiati) Venivano altresì riconosciuti peculiari diritti economici, in particolare:
Nell’imminente scadenza del termini per la conversione automatica delle azioni privilegiate, le fondazioni hanno prospettato al Ministro dell’economia e delle finanze l’opportunità di posticipare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013, con la contestuale eliminazione del privilegio di rendimento per le fondazioni previsto dalla Statuto (pari al dividendo preferenziale del 3 per cento, maggiorato dell’inflazione del periodo). Pertanto, nel corso del 2009, l’assemblea di CDP – fermo restando il meccanismo di calcolo del valore delle azioni privilegiate in caso di conversione o di recesso – ha modificato lo statuto nel senso di rinviare di tre anni il termine di conversione delle azioni privilegiate, dal 1° gennaio 2010 al 1° gennaio 2013; di eliminare il diritto al dividendo preferenziale e diritto di recesso ad esso connesso ed attribuire la facoltà di recesso in caso di mancata percezione di utili per due esercizi consecutivi.
Con lettera del 14 settembre 2012, indirizzata al Ministero dell’economia e delle finanze, il Presidente di CDP annunciava l’affidamento, in relazione all’imminente avvio delle procedure per la conversione, da parte del CdA della società del mandato di redigere una valutazione del patrimonio netto effettivo di CDP a Deloitte & Touche, successivamente depositata presso CDP.
Rendeva inoltre noti i dubbi delle fondazioni bancarie sulla legittimità della clausola statutaria concernente la determinazione del valore delle azioni privilegiate da applicarsi in caso di conversione o recesso (articolo 9, comma 3), ritenendo che la valorizzazione delle quote dovesse effettuarsi non a termini di statuto (valore nominale decurtato dell’extradividendo) ma a valori patrimoniali, secondo quanto previsto dall’articolo 2437-ter del codice civile, norma modificata dalla riforma diritto societario entrata in vigore dal 2004 (legge sopravvenuta rispetto al quadro normativo vigente al momento della trasformazione di CDP in S.p.A. ed al momento di approvazione dello statuto di CDP).
Le opzioni riservate alle fondazioni, nel caso della conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie e considerando l’adesione di tutte le fondazioni alla medesima opzione per l’intera loro partecipazione, venivano ipotizzate nella relazione trasmessa il 27 settembre 2012 al Consiglio di Stato dal Ministro dell’economia e delle finanze, con la quale era richiesto un parere sulla legittimità delle clausole statutarie della Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. relative alla conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
In particolare, si contemplavano le seguenti possibilità:
La facoltà di conversione alla pari con conguaglio e la facoltà di recedere avrebbero potuto essere esercitate nel periodo dal 1° ottobre 2012 al 15 dicembre 2012.
Il Ministero chiedeva dunque l’avviso del Consiglio di Stato in relazione alla legittimità delle clausole statutarie e su una possibile soccombenza del Ministero/CDP in sede di eventuale contenzioso civile con le fondazioni bancarie.
Nel caso di dubbi di legittimità dello Statuto o sulla eventuale soccombenza, era dunque chiesto al Consiglio di Stato di individuare un percorso alternativo per la determinazione del corretto criterio di valorizzazione delle azioni privilegiate in sede di conversione o di recesso, anche mediante modifiche statutarie.
Con decreto del 4 ottobre 2012 veniva costituita una Commissione speciale, presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato, al fine di rendere tale parere.
In estrema sintesi, la Commissione rendeva noto che, al fine di scongiurare un eventuale contenzioso tra CdP e l’azionariato delle Fondazioni, potesse essere ritenuto equo e quindi meritevole di tutela l’interesse a conseguire quote del patrimonio nel caso di exit: l’interesse tutelabile sarebbe stato, in particolare, quello al conseguimento da parte delle fondazioni di una quota – corrispondente alla frazione detenuta del capitale sociale – degli incrementi patrimoniali (e solo di tali incrementi patrimoniali) conseguiti da CDP dal momento dell’ingresso delle fondazioni al momento dell’esercizio del diritto di recesso.
In ordine agli interventi coi quali si poteva prefigurare tale risultato, la Commissione non ravvisava utile la modifica statutaria, atteso che a fronte di modifiche statutarie di tale fatta, ove i soci di minoranza non fossero stati soddisfatti, avrebbero potuto invocare il diritto di recesso (di cui all’art. 2437 comma 1 lett. f) del codice civile).
Né il CdS valutava utile un intervento arbitrale, in quanto lo si reputava limitato alla mera (e non facilmente prevedibile) determinazione dei valori economici delle partecipazioni.
Il Consiglio di Stato ha dunque rinvenuto una possibile soluzione in un intervento normativo che determinasse il valore di concambio delle azioni privilegiate e di liquidazione, in modo da tener conto della necessità di circoscrivere la meritevolezza della partecipazione delle fondazioni agli incrementi patrimoniali conseguiti successivamente al loro ingresso nell’azionariato CdP.
Aderendo a quanto prospettato dal Consiglio di Stato, il legislatore è intervenuto con il richiamato decreto-legge n. 179 del 2012.
In particolare, è stato fissato il termine del 31 gennaio 2013 perché CDP provveda a determinare il rapporto di conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie.
Tale conversione è stata pianificata secondo i seguenti passaggi:
Si ricorda infatti che l’articolo 5, comma 7, lettera a) del decreto-legge n. 269 del 2003 consente a CDP S.p.A. di utilizzare i fondi derivanti dalla raccolta del risparmio postale (fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale e di buoni fruttiferi postali, assistiti dalla garanzia dello Stato e distribuiti attraverso Poste italiane S.p.A. o società da essa controllate) per finanziare, sotto qualsiasi forma, lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico. Il secondo periodo della lettera a) consente l’utilizzo delle suddette risorse anche per il compimento di ogni altra operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale di CDP S.p.A., nei confronti dei suindicati soggetti o dai medesimi promossa, tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione;
Nel caso in cui il rapporto di conversione non risulti pari, le norme consentono ai titolari delle azioni privilegiate di beneficiare di un rapporto di conversione alla pari (nel quale il valore nominale delle azioni privilegiate coinciderà col valore nominale delle azioni ordinarie) versando alla CDP un conguaglio di importo pari alla differenza tra il valore di una azione ordinaria e il valore di una azione privilegiata.
Ove i titolari delle azioni privilegiate non esercitano il diritto di recesso nella finestra temporale compresa tra il 15 febbraio 2013 e il 15 marzo 2013, essi devono versare al Ministero dell’economia e delle finanze, a titolo di compensazione, un importo forfetario pari al 50 per cento dei maggiori dividendi corrisposti da CDP dal 12 dicembre 2003 per le azioni privilegiate per cui avviene la conversione, rispetto a quelli che sarebbero spettati per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio delle azioni privilegiate in ordinarie (ovvero per una partecipazione azionaria corrispondente alla percentuale di concambio).
Tale importo può essere versato ratealmente: in una quota non inferiore al 20 per cento entro il 1° aprile 2013, e per la quota residua (l’80 per cento o una quota inferiore) in quattro rate uguali alla data del 1° aprile dei quattro anni successivi, con applicazione degli interessi legali.
Il periodo per l’esercizio del diritto di recesso decorre dal 15 febbraio 2013 e termina il 15 marzo 2013 e le azioni privilegiate sono automaticamente convertite in azioni ordinarie a far data dal 1° aprile 2013. Le condizioni economiche per la conversione sono riconosciute al fine di consolidare la permanenza di soci privati nell’azionariato di CDP. Esse opereranno dunque solo ove i soci privati (le Fondazioni bancarie) decidano di mantenere la propria partecipazione in CDP.
Di conseguenza, le norme precisano che i soggetti che esercitino il diritto di recesso vedranno applicate, quanto alla determinazione del valore di liquidazione delle azioni privilegiate, le vigenti disposizioni dello statuto della CDP.
Si rammenta che l’articolo 9, comma 3 dello Statuto prevede che, in tutti i casi di esercizio del diritto di recesso, il valore di liquidazione delle azioni privilegiate risulta pari alla differenza tra la quota del capitale sociale per cui è esercitato il recesso (ovvero il valore nominale della partecipazione) e - con riferimento agli utili degli esercizi sociali chiusi sino al 31 dicembre 2008 compreso - e “l’extradividendo” percepito dalle azioni privilegiate (la differenza fra il dividendo effettivamente percepito e il “dividendo preferenziale”, che in origine spettava per le azioni privilegiate in base al vecchio testo del'articolo 30, comma 2, dello Statuto, come già esposto supra).
Inoltre, dal 1° aprile 2013 e fino alla data di approvazione da parte dell’assemblea degli azionisti CDP del bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2012, a ciascuna fondazione bancaria azionista di CDP è concessa la facoltà di acquistare dal Ministero dell’economia e delle finanze, che è obbligato a vendere, un certo numero di azioni ordinarie di CDP; esso non può risultare superiore alla differenza tra il numero di azioni privilegiate già detenuto e il numero di azioni ordinarie ottenuto ad esito della conversione. Tale facoltà di acquisto è trasferibile a titolo gratuito tra le fondazioni bancarie azioniste di CDP.
La facoltà di acquisto di cui al comma precedente viene esercitata al prezzo corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012 (come calcolato ai sensi delle norme in commento).
Tale importo può essere corrisposto al Ministero dell’economia e delle finanze in più soluzioni: una quota non inferiore al 20 per cento è versata entro il 1° luglio 2013, mentre la quota residua è corrisposta in quattro rate uguali, alla data del 1° luglio dei quattro anni successivi, con applicazione dei relativi interessi legali.
Le dilazioni previste dalle norme sono accordate dal MEF su richiesta dell’azionista e a fronte della costituzione in pegno di azioni ordinarie a favore del Ministero, fino al completamento dei pagamenti dovuti. Il numero delle azioni da costituire in pegno è determinato sulla base degli importi dovuti per i pagamenti dilazionati comprensivi degli interessi, tenendo conto del valore delle azioni ordinarie corrispondente al valore di CDP al 31 dicembre 2012. Il pegno di azioni non implica la sospensione del diritto di voto e del diritto agli utili, che comunque spettano alla fondazione concedente garanzia. In caso di inadempimento delle obbligazioni assunte, il Ministero dell’economia e delle finanze acquisisce a titolo definitivo le azioni corrispondenti all’importo del mancato pagamento.
il Consiglio di Amministrazione di CDP del 29 gennaio 2013 ha determinato il rapporto di conversione delle azioni privilegiate in azioni ordinarie nella misura di 49 azioni ordinarie ogni 100 azioni privilegiate, corrispondente a un rapporto unitario di conversione di 0,49 azioni ordinarie per ciascuna azione privilegiata.
E’ stato calcolato, secondo le modalità previste dalla legge e dello Statuto CDP, sulla base delle risultanze delle perizie giurate di stima di Deloitte Financial Advisory Srl, nelle quali il valore di CDP alla data di trasformazione in società per azioni è stato stimato in 6.050.000.000 di euro, mentre il valore di CDP al 31 dicembre 2012 è stato stimato in 19.030.000.000 di euro.
Nel periodo compreso tra il 15 febbraio e il 15 marzo 2013 gli azionisti privilegiati possono esercitare la facoltà di beneficiare di un rapporto di conversione alla pari, al fine di conservare la propria quota partecipativa, versando a CDP, a titolo di conguaglio, circa 32,74 euro per ogni azione privilegiata da convertire in ordinaria.
Il Consiglio di Amministrazione ha inoltre determinato il valore di liquidazione delle azioni privilegiate. Per ciascuna azione privilegiata per la quale sia esercitato il diritto di recesso, il valore di liquidazione, determinato sulla base delle specifiche disposizioni dello statuto, è pari a 6,299 euro. La determinazione del valore di liquidazione sarà applicata alle richieste di recesso pervenute, nel periodo 1 ottobre – 15 dicembre 2012, da due soci di CDP, titolari complessivamente di n. 9.084.000 azioni privilegiate (pari al 2,60% del capitale sociale), e alle eventuali richieste che potranno pervenire nel prossimo periodo di recesso previsto dal vigente Statuto (15 febbraio - 15 marzo 2013).
Le Fondazioni bancarie sono i soggetti che hanno effettuato le operazioni di conferimento dell'azienda bancaria, ai sensi delle disposizioni della cd “legge Amato (legge 30 luglio 1990, n. 218), attuata con il D.Lgs. n. 356/90.
Per la trasformazione delle aziende bancarie in Spa, la legge Amato aveva individuato infatti una complessa procedura, tale da comportare il conferimento dell’azienda bancaria, da parte degli istituti di credito, in apposita società per azioni: in tal modo si è prevenuti alla costituzione di due distinti soggetti, l'ente conferente (comunemente noto come “fondazione bancaria”) e la società conferitaria, ovvero la banca vera e propria. Per incentivare la trasformazione in società per azioni delle banche pubbliche, la legge n. 218 aveva previsto uno speciale regime tributario volto ad agevolare le operazioni di fusione, scissione, trasformazione e conferimento.
Con l'approvazione della legge delega 23 dicembre 1998, n.461 (cd. “legge Ciampi”) ed il successivo decreto legislativo n. 153 del 1999 si è inteso mutare significativamente l’assetto delle fondazioni. In base ad esso, l’adeguamento degli statuti delle fondazioni alla disciplina individuata dal decreto medesimo avrebbe sancito la definitiva trasformazione delle fondazioni in enti di diritto privato con piena autonomia statutaria e gestionale, in coerenza con quanto previsto dalla citata legge Amato.
In particolare, il decreto legislativo prevedeva che le fondazioni fossero tenute a perseguire fini di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, operando nel rispetto del principio di economicità e gestendo il patrimonio in modo da ottenerne un’adeguata redditività. Venivano indicati alcuni settori rilevanti: ricerca scientifica, istruzione, arte, sanità, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, assistenza alle categorie sociali più deboli. Per quel che concerne gli organi di governo delle fondazioni, si individuavano tre organi necessari con funzioni, rispettivamente, d’indirizzo, di amministrazione e di controllo. Nell’organo d’indirizzo doveva essere assicurata un’adeguata e qualificata rappresentanza del territorio.
Inoltre, l'iniziale obbligo di detenere la maggioranza del capitale sociale delle banche conferitarie era sostituito da un obbligo di segno opposto: il decreto prevedeva infatti che, entro quattro anni dalla sua entrata in vigore (quindi entro il 15 giugno 2003), le fondazioni dovessero dismettere le partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. Era consentito alle fondazioni di mantenere le partecipazioni per ulteriori due anni oltre il termine; decorso tale ulteriore termine, il compito di provvedere alla dismissione veniva affidato all’autorità di vigilanza (individuata nel Ministero del tesoro e, quindi, nel Ministero dell’economia e delle finanze). Il termine per la dismissione è stato poi prorogato al 31 dicembre 2005 dal decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143.
A tale disposizione si accompagnava l’assimilazione del regime fiscale delle fondazioni a quello degli “enti non commerciali”, con l’applicazione dell’imposta sui redditi (ora IRES) con aliquota dimezzata rispetto a quella ordinaria. Tale agevolazione sarebbe venuta meno qualora entro il termine di quattro anni le fondazioni non avessero provveduto alla dismissione delle partecipazioni di controllo nelle aziende bancarie. In altre parole, le fondazioni che si fossero avvalse della facoltà di detenere, per ulteriori due anni rispetto al termine del 15 giugno 2003, le partecipazioni di controllo avrebbero perso l’agevolazione.
Alle disposizioni recate dal d.lgs. n. 153/99 hanno fatto seguito, ad opera del Ministero del Tesoro nelle vesti di Autorità di vigilanza pro-tempore sulle fondazioni, un atto di indirizzo a carattere generale in materia di adeguamento degli statuti (Provvedimento 5 agosto 1999) ed uno recante le indicazioni per la redazione, da parte delle fondazioni, del bilancio chiuso al 31 dicembre 2000 (Provvedimento 19 aprile 2001).
Una profonda riforma delle fondazioni bancarie è stata recata con la legge finanziaria 2002 (articolo 11 della legge 28 dicembre 2001, n. 448)
In particolare:
a) sono stati estesi gli ambiti d’intervento delle fondazioni bancarie, con riferimento a settori caratterizzati da rilevante valenza sociale;
b) sono state rafforzate le previsioni in ordine alla rappresentanza degli enti territoriali nell’organo di indirizzo della fondazione: tale partecipazione doveva essere non già “adeguata e qualificata”, come originariamente previsto dal decreto legislativo n. 153 del 1999, ma “prevalente e qualificata”; sono state altresì rafforzate le disposizioni in materia di incompatibilità, nel senso di prevedere che sia i soggetti ai quali è attribuito il potere di designare i componenti dell’organo di indirizzo, sia i componenti stessi degli organi delle fondazioni non debbono essere destinatari degli interventi delle fondazioni
c) è stato modificato il regime delle partecipazioni delle fondazioni nel capitale delle banche: il divieto di detenere interessenze di controllo è stato esteso dalle ipotesi di controllo individuale ai casi in cui esso sia esercitato congiuntamente da più fondazioni; al tempo stesso, per le fondazioni veniva differito di tre anni (fino al giugno 2006) il termine per la dismissione della partecipazione nelle banche conferitarie, a condizione che essa venisse affidata, prima del 15 giugno 2003, a una società di gestione del risparmio (SGR) che la gestisse in nome proprio. In tal caso la fondazione avrebbe conservato le descritte agevolazioni fiscali.
Sulla materia è poi intervenuta la Corte costituzionale, che con le sentenze n. 300 e 301 del 2003 si è pronunciata sulla legittimità costituzionale delle disposizioni introdotte nel 2001.
In sintesi:
d) è stata ribadita la natura privatistica delle fondazioni bancarie, affermando che l'evoluzione legislativa intervenuta dal 1990 ha spezzato quel "vincolo genetico e funzionale", "che in origine legava l'ente pubblico conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del primo in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro […] della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante" (sentenza n. 300);
e) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni del decreto legislativo n. 153 del 1999 e, in particolare, quelle che disponevano la prevalenza negli organi di indirizzo delle fondazioni di rappresentanti di Regioni, Province, Comuni, Città metropolitane, anziché “una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, pubblici e privati, espressivi delle realtà locali”; quelle che prevedevano forme d’indirizzo del Ministero del tesoro; la Corte ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizioni che attribuivano agli enti territoriali una rappresentanza prevalente negli organi d’indirizzo delle fondazioni bancarie.
Con il D.M. 18 maggio 2004, n. 150, il Ministro dell’economia e delle finanze ha emanato un nuovo regolamento, che ha recepito sostanzialmente gli indirizzi dettati dalle predette sentenze della Consulta.
Il regolamento ha infatti previsto che l’organo d’indirizzo della fondazione debba essere composto in via prevalente da rappresentanti di enti, pubblici e privati, espressione delle realtà locali; ha stabilito l’incompatibilità tra le funzioni di amministrazione, direzione, indirizzo e controllo presso la fondazione e gli incarichi presso la società bancaria conferitaria o le società da questa controllate o partecipate. La nozione di controllo congiunto su una banca viene circoscritta ai casi in cui più fondazioni, mediante accordi da provare in forma scritta, realizzino una delle situazioni rilevanti ai fini del controllo individuale.
La cd. “legge sul risparmio” (legge 28 dicembre 2005, n. 262), con decorrenza dal 1° gennaio 2006, ha introdotto il divieto per le fondazioni di esercitare il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie delle società bancarie conferitarie e delle altre società non strumentali da esse partecipate per le azioni eccedenti il 30 per cento del capitale rappresentato da azioni aventi diritto di voto nelle medesime assemblee. Sono escluse dall’applicazione di questa disposizione le fondazioni con patrimonio netto contabile risultante dall'ultimo bilancio approvato non superiore a 200 milioni di euro, nonché quelle con sedi operative prevalentemente in regioni a statuto speciale.
Da ultimo, l'articolo 52 del D.L. n. 78 del 2010 ha chiarito che la vigilanza di legittimità sulle fondazioni di origine bancaria è attribuita al Ministero dell'economia e delle finanze fino a quando, nell'ambito di una riforma organica delle persone giuridiche private di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, non verrà istituita una nuova Autorità sulle medesime.
Le fondazioni che manterranno direttamente o indirettamente il controllo sulle società bancarie rimarranno sottoposte alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze anche successivamente all'istituzione della nuova Autorità.
Lo stesso articolo 52 ha previsto che il MEF invii entro il 30 giugno di ogni anno una relazionare al Parlamento circa l'attività svolta dalle fondazioni nell'anno precedente, con riferimento, tra l’altro, agli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo economico-sociale nei territori locali in cui operano le medesime.
Anche a seguito della grave crisi dei mercati finanziari - che all'estero ha condotto al fallimento di banche e intermediari finanziari - sono stati adottati specifici provvedimenti volti a promuovere la stabilità del sistema creditizio e la tutela dei depositanti. La linea adottata dal Governo italiano, in sintonia con le decisioni assunte in ambito europeo, ha seguito una strategia finalizzata a contrastare la crisi finanziaria attraverso la garanzia di un sufficiente livello di liquidità alle istituzioni creditizie e ai depositi bancari.
Un primo gruppo di disposizioni relative al settore creditizio è stato inizialmente inserito nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 e nel decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157, accorpati nel corso dell’esame in sede referente del D.L. n. 155.
Tali provvedimenti hanno introdotto misure straordinarie per garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del risparmio, in linea con le conclusioni assunte già in sede europea. Si ricordano in questa sede i seguenti interventi:
Un secondo gruppo di interventi sul settore è stato poi previsto dal decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, provvedimento che ha introdotto altresì misure di sostegno dell’economia reale.
In particolare (articolo 12 del D.L. 185/2008) il Ministero dell'economia e delle finanze è stato autorizzato a sottoscrivere, su richiesta delle banche interessate, strumenti finanziari, privi dei diritti tipicamente incorporati nelle azioni, emessi da banche italiane quotate, aventi anche la forma di strumenti convertibili in azioni ordinarie, fino al 31 dicembre 2010. Finalità dell’intervento è di assicurare un adeguato flusso di finanziamenti all'economia e un adeguato livello di patrimonializzazione del sistema bancario.
La sottoscrizione di tali strumenti è stata subordinata a specifiche condizioni, quali l’economicità dell’operazione, l’obbligo di tener conto delle condizioni di mercato e di essere funzionale al perseguimento delle finalità indicate dalla legge e, soprattutto, l’obbligo per gli emittenti di assumere gli impegni definiti in un apposito protocollo con il Ministero dell'economia e delle finanze (relativi al livello e alle condizioni del credito da assicurare alle piccole e medie imprese e alle famiglie, al perseguimento di politiche dei dividendi coerenti con l'esigenza di mantenere adeguati livelli di patrimonializzazione, nonché all’impegno di garantire adeguati livelli di liquidità per i creditori delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, anche attraverso lo sconto di crediti e senza alcun onere a carico per la finanza pubblica). Agli emittenti è stato fatto obbligo di adottare un codice etico contenente, tra l'altro, previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali.
La sottoscrizione degli strumenti è stata subordinata ad una previa valutazione della Banca d'Italia delle condizioni economiche dell'operazione e della computabilità degli strumenti finanziari nel patrimonio di vigilanza. Le norme hanno poi previsto il monitoraggio parlamentare dell’attività svolta in relazione a tali strumenti finanziari.
In attuazione delle prescrizioni recate dall’articolo 12 è stato emanato il D.M.25 febbraio 2009 del Ministero dell’economia e delle finanze: esso reca criteri, modalità e condizioni della sottoscrizione degli strumenti finanziari speciali.
L’articolo 8 del decreto-legge n. 201 del 2011 ("salva-Italia") ha introdotto norme volte alla concessione della garanzia dello Stato sulle passività delle banche italiane. In particolare, fino al 30 giugno 2012 è stata riconosciuta al Ministero dell'economia e delle finanze la facoltà di rilasciare la garanzia statale su finanziamenti erogati dalla Banca d'Italia alle banche italiane e alle succursali di banche estere in Italia per fronteggiare gravi crisi di liquidità, richiamando in particolare i cosiddetti casi di emergency liquidity assistance (i.e. offerta di liquidità di ultima istanza).
La legge finanziaria 2010 (articolo 2, commi da 161 a 182 della legge 23 dicembre 2009, n. 191) ha recato un’articolata disciplina volta alla costituzione della Banca del Mezzogiorno.
La Banca del Mezzogiorno è stata concepitacomeistituzione finanziaria di secondo livello, partecipata dallo Stato (in qualità di socio fondatore) e da altri soggetti creditizi privati, invitati a parteciparvi da un Comitato promotore all’uopo istituito. Decorsi cinque anni dall’inizio dell’operatività della Banca, l’intera partecipazione posseduta dallo Stato, tranne un’azione, verrà ridistribuita tra i soci fondatori privati.
A tal fine, la Banca agisce attraverso la rete delle banche e delle istituzioni che aderiscono all’iniziativa con l’acquisto di azioni e può stipulare apposite convenzioni con la società Poste italiane Spa. Scopo della Banca è quello di sostenere i progetti di sviluppo delle PMI aumentando la disponibilità di credito a medio – lungo termine; l'offerta dell’istituto è riservata alle piccole, medie e microimprese con sede legale nel mezzogiorno. Nell’agosto 2011 Poste italiane (società integralmente partecipata dallo Stato, e in particolare dal MEF) ha acquisito il controllo di MedioCredito Centrale S.P.A., istituto specializzato nell’erogazione di credito industriale e agevolato nonché nella gestione di fondi agevolativi, al fine di costituire la Banca del Mezzogiorno coi suindicati scopi.
Per favorire il riequilibrio territoriale dei flussi di credito per gli investimenti a medio-lungo termine delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno e sostenere progetti etici, l'articolo 8, comma 4 del cd. "Decreto Sviluppo" (decreto-legge n. 70 del 2011) ha autorizzato l’emissione – fino ad un massimo di 3 miliardi di euro - di specifici Titoli di Risparmio per l’Economia Meridionale, fiscalmente agevolati e dedicati ai soli investitori privati, da parte di banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate ad operare in Italia. Si tratta di titoli obbligazionari che possono essere emessi da qualunque banca, ideati per favorire l’incremento dell’offerta di credito nel Mezzogiorno e ridurre lo squilibrio esistente tra Regioni meridionali e altre aree del Paese. L’obiettivo è attrarre risorse incrementali per sostenere lo sviluppo di lungo termine delle imprese del Mezzogiorno. Le risorse raccolte con l’emissione dei titoli sono impiegate per finanziare progetti di investimento di durata superiore a 18 mesi di PMI del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia). Tali titoli sono tassati con un’aliquota agevolata al 5 per cento.
Il Capo II del decreto legge n. 87 del 2012, confluito negli articoli 23-sexies e seguenti del D.L. 95 del 2012, reca misure finalizzate alla ripatrimonializzazione della Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (MPS). L’intervento normativo si inserisce nel solco delle indicazioni e delle direttive fornite in sede europea per il rafforzamento dei requisiti di capitale degli istituti di credito, stante le perduranti tensioni sui mercati finanziari con particolare riferimento ai titoli di debito sovrano. Le citate norme del D.L. 95 del 2012 hanno autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze a sottoscrivere nuovi strumenti finanziari, emessi da MPS, per l’importo massimo di 2 miliardi; a tale importo si aggiunge l’emissione di ulteriori 1,9 miliardi, destinata a sostituire le obbligazioni emesse dalla banca nel 2009 (ai sensi del citato D.L. n. 185 del 2008) e non ancora rimborsati. L’importo complessivo dell’emissione autorizzato è stato dunque pari ad un massimo di 3,9 miliardi.
Il 28 novembre 2012 il Consiglio di Amministrazione di MPS ha autorizzato la predetta emissione di strumenti finanziari governativi per l’importo complessivo massimo fissato ex lege, ovvero 3,9 miliardi di euro. Il 17 dicembre 2012 la Commissione europea ha approvato temporaneamente, in base alle norme UE sugli aiuti di Stato, la predetta operazione di ricapitalizzazione per ragioni di stabilità finanziaria.
Le caratteristiche degli strumenti finanziari sono recate dagli articoli 23-sexies e seguenti del citato D.L. n. 95 del 2012, come modificato dalla legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012). In particolare:
La Banca d’Italia ha trasmesso con nota del 26 gennaio 2013 il parere (previsto dall’articolo 23-novies del decreto-legge n. 95 del 2012) che subordina la sottoscrizione dei nuovi strumenti finanziari alla positiva valutazione della medesima Autorità.
Il peggioramento del ciclo economico e, soprattutto, l’insorgere delle tensioni sui titoli del debito sovrano dei paesi dell’Area Euro hanno indotto la Banca Centrale Europea a porre in essere un piano di rifinanziamento a lungo termine (long term refinancing operation - LTRO), consistente in una “asta di liquidità”: la Banca Centrale ha concesso prestiti alle banche richiedenti della durata di 3 anni, con un tasso di interesse pari alla media del tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale calcolata nel periodo dell'operazione stessa. In cambio la BCE riceve dalle banche una garanzia “collaterale” sul prestito così concesso, composta da obbligazioni governative (titoli degli stati membri dell'UE). La lista degli asset eligibili per essere usati come collaterale viene pubblicata sul sito della BCE ed è aggiornata più volte al mese. Le due tranche di operazioni sono avvenute il 21 dicembre 2011 ed il 29 febbraio 2012.
Loi n. 2010-1249 du 22 octobre 2010 de régulation bancaire et financière (Journal Officiel, 23 octobre 2010)
La Legge di regolamentazione bancaria e finanziaria, approvata il 22 ottobre 2010, dà attuazione a livello nazionale alle decisioni del G20 adottate per rafforzare la regolamentazione, la sorveglianza e il controllo degli attori e dei mercati finanziari. La Francia è il primo Paese ad aver riformato il dispositivo nazionale di supervisione del sistema finanziario.
La nuova legge istituisce un Consiglio per la regolamentazione finanziaria e per il rischio sistemico e regola la registrazione delle agenzie di rating e il controllodelle vendite allo scoperto e dei mercati derivati. I poteri di controllo e di sanzione della “Autorità di controllo dei mercati finanziari” (AMF) sono stati rafforzati e ad essa sono stati attribuiti poteri speciali per permetterne l’intervento in caso di urgenza.
Le nuove disposizioni recepiscono nell’ordinamento francese la Direttiva 2009/65/CE sugli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e la Direttiva 2009/44/CE relativa ai sistemi di pagamento e di regolamento titoli, nonché ai contratti di garanzia finanziaria; il dispositivo legislativo approvato completa anche la trasposizione delle norme fissate in sede di G20 per l’inquadramento giuridico delle remunerazioni degli operatori bancari che svolgono attività a rischio per gli istituti bancari di appartenenza (in parte già regolate dall’arrêté del 3 novembre 2009).
La Legge ratifica inoltre l’ordinanza relativa alla fusione delle autorità di autorizzazione e controllo “Banche e Assicurazioni” in un’unica Autorità, la nuova “Autorità di Controllo prudenziale” (ACP), che avrà il compito di tutelare i consumatori di prodotti finanziari.
Altre disposizioni della legge mirano al sostegno della ripresa economica. Al fine di modernizzare il regime dell’offerta pubblica, è previsto un rafforzamento dei meccanismi di finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI). In particolare la nuova legge detta regole per un finanziamento “garantito” da parte delle banche e per la fusione delle tre banche dell’OSEO, l’organismo pubblico dedicato a supportare il finanziamento delle PMI durante tutte le tappe della loro crescita, attraverso l’aiuto all’innovazione, la garanzia della partecipazione creditizia delle banche e degli investitori con fondi propri ovvero un finanziamento in partenariato.
La legge prevede inoltre la creazione di obbligazioni che dovrebbero favorire il rifinanziamento dei prestiti immobiliari.
Il provvedimento si collega, infine, alla Loi de finances 2011 (Loi n. 2010-1657, du 29 décembre 2010),che completa la regolamentazione dei mercati finanziari, rafforzandola ulteriormente con due disposizioni: l’istituzione di una tassa sistemica sulle attività più a rischio delle grandi banche e l’aumento delle risorse destinate all’AMF al fine di fornire all’Autorità dei mercati i mezzi per allargare il suo campo d’intervento.
Il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziarie (SEVIF) è stato creato nel corso del 2010 mediante l'istituzione, con appositi regolamenti di tre nuove autorità di vigilanza europee competenti, rispettivamente per le banche, i mercati finanziari e le assicurazioni, e di un Comitato europeo per il rischio sistemico incaricato della vigilanza macroprudenziale.
Si tratta in particolare dei regolamenti (UE) n. 1093/2010, che istituisce l'Autorità bancaria europea (EBA), n. 1094/2010 che istituisce l'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), n. 1095/2010 che istituisce l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), n. 1092/2010 relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS).
La creazione del SEVIF fa seguito alle proposte elaborate da un gruppo di esperti (cd. gruppo “de Larosière”) incaricato dalla Commissione europea, nel novembre 2008, di formulare delle raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi di vigilanza europei a fronte della crisi finanziaria.
In base ai regolamenti istitutivi nei settori di pertinenza le Autorità europee di vigilanza (AEV) possono:
1) elaborare progetti di norme tecniche da presentare alla Commissione per l'adozione mediante atti delegati o di esecuzione (decisioni o regolamenti).
La direttiva 2010/78/UE (cd. Omnibus) del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010 individua una prima serie di tali settori - senza ostare all'inclusione di altri settori in futuro - per creare un corpus normativo armonizzato che non complichi la regolamentazione vigente e faccia salve le competenze attribuite agli Stati membri. I progetti di norme tecniche così elaborati sono sottoposti alla Commissione entro tre anni dall'istituzione delle AEV. Entro il 10 gennaio 2014 la Commissione dovrà sottoporre al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sulla presentazione da parte delle AEV di progetti di norme tecniche previsti dalla direttiva e formulare proposte appropriate.
2) gestire un meccanismo di risoluzione delle controversie tra autorità nazionali competenti (cd. binding mediation) nei casi in cui esse non possano risolvere tra di loro problemi procedurali o di merito legati all'osservanza degli atti giuridici dell'Unione.
La direttiva 2010/78/UE individua i casi in cui è necessario risolvere una questione, procedurale o di merito, di conformità al diritto dell'Unione ove le autorità nazionali competenti non siano in grado di risolverla da sole: in tale ipotesi una delle autorità nazionali competenti interessate può sottoporre il problema alla propria Autorità europea di vigilanza. L'Autorità europea di vigilanza interessata può prescrivere alle autorità competenti interessate di adottare provvedimenti specifici, o astenersi dal farlo, per risolvere la questione e assicurare la conformità al diritto dell'Unione, con effetti vincolanti per le autorità coinvolte. Nei casi in cui il pertinente atto giuridico dell'Unione conferisca un potere discrezionale agli Stati membri, le decisioni adottate da un'Autorità europea dì vigilanza non si sostituiscono all'esercizio del potere discrezionale da parte delle autorità competenti, conformemente al diritto dell'Unione;
3) stabilire contatti con le autorità di vigilanza di paesi terzi volte all'elaborazione delle decisioni in materia di equivalenza dei regimi di vigilanza nei paesi terzi. A tal fine la direttiva modifica la direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari (direttiva MiFlD), e la direttiva 2006/48/CE relativa all'accesso e all'esercizio della funzione creditizia.
4) redigere, pubblicare e aggiornare regolarmente gli elenchi di tutti gli operatori finanziari dell'Unione.
In particolare tali elenchi riguardano:
Con l’articolo 15 della legge comunitaria 2010 (legge n. 217 del 2011) il legislatore ha delegato il Governo a recepire la suddetta direttiva 2010/78/UE.
Il richiamato articolo 15 enuncia i princìpi e criteri direttivi da rispettare nell’esercizio della delega, tra cui: l’obbligo di tener conto dell’integrazione del sistema di vigilanza nazionale nel nuovo assetto di vigilanza del settore finanziario dell’Unione; la previsione di sistemi di cooperazione tra le Autorità nazionali e quelle europee, nonché di metodi volti a consentire l’esercizio della delega di compiti tra Autorità nazionali competenti, e tra le stesse e le Autorità europee; la previsione di modalità attraverso le quali le autorità nazionali tengano conto, nell'esercizio delle loro funzioni, della convergenza in ambito europeo degli strumenti e delle prassi di vigilanza; la disciplina delle ipotesi in cui le Autorità europee possono chiedere informazioni direttamente ai soggetti vigilati dalle Autorità nazionali.
Inoltre, l’articolo 15 specifica che, nell’esercizio della delega, si tenga conto della natura direttamente vincolante delle norme tecniche di attuazione e delle norme tecniche di regolamentazione adottate dalla Commissione europea in conformità ai regolamenti istitutivi delle Autorità di vigilanza europee, nonché delle raccomandazioni formulate nelle conclusioni del Consiglio dell'Unione europea del 14 maggio 2008 affinché le autorità di vigilanza nazionali, nell'espletamento dei loro compiti, prendano in considerazione gli effetti della loro azione in relazione alle eventuali ricadute sulla stabilità finanziaria degli altri Stati membri, anche avvalendosi degli opportuni scambi di informazioni con le Autorità di vigilanza europee e degli altri Stati membri.
Il D.Lgs. 30 luglio 2012, n. 130 ha dato attuazione alla predetta direttiva.
Si ricorda che il ddl comunitaria 2012 (A.C. 4925) – che non ha concluso il proprio iter parlamentare prima della fine della legislatura - recava la delega per il recepimento della direttiva 2011/89/UE in materia di vigilanza supplementare sulle imprese finanziarie appartenenti a un conglomerato finanziario, da attuare entro il 10 giugno 2013. Lo scopo principale della direttiva è quello di garantire una portata appropriata alla vigilanza dei conglomerati finanziari, colmando le distanze che si sono venute a creare tra la disciplina della vigilanza supplementare dell’Unione e le direttive di settore relative ai servizi bancari e assicurativi.
In sede di relazione sul ddl, la Commissione Finanze della Camera ha rilevato come una maggiore coesione nelle scelte adottate a livello UE, un più marcato accentramento delle decisioni in capo alle autorità di settore, il ricorso ad una più chiara ripartizione di competenze tra le autorità stesse secondo il principio della vigilanza per finalità, dovrebbero favorire la prevenzione e la gestione delle crisi finanziarie, scongiurando il rischio che alcuni Paesi o soggetti possano avvantaggiarsi degli arbitraggi normativi e delle lacune esistenti, a danno della stabilità dei mercati, e, soprattutto, dei risparmiatori nel loro complesso.
La Commissione ha altresì evidenziato come la gravissima crisi economico - finanziaria mondiale, le cui vicende sono tuttora fonte di forte preoccupazione, dimostri come il rafforzamento della normativa prudenziale e della vigilanza sui principali attori del sistema finanziario internazionale, tra i quali sono certo da annoverarsi i conglomerati finanziari, rappresenti un obiettivo cui occorre puntare con determinazione, sia a livello nazionale sia a livello globale, al fine di evitare che le distorsioni ed i rischi eccessivi emersi nell'operatività di molti operatori finanziari determini conseguenze distruttive per gli stessi mercati, e per le prospettive dell'economia mondiale.
In occasione dell’incontro annuale con il mercato finanziario svoltosi il 14 maggio 2012, il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, nel proprio discorso al mercato finanziario ha evidenziato alcuni rilievi sul nuovo assetto delle AEV.
In particolare, il Presidente ha evidenziato la necessità, in ragione della dinamica congiunturale dei mercati, di ripensare alcuni aspetti strutturali della vigilanza in ambito europeo: ha rilevato in proposito che un primo livello di criticità è rappresentato dalla ripartizione dei ruoli in seno alla nuova architettura europea, entrata in vigore il 1° gennaio 2011. Le Autorità condividono i medesimi obiettivi di carattere generale (la protezione degli investitori, l’integrità dei mercati e la stabilità del mercato finanziario europeo), con possibili duplicazioni e sovrapposizioni di competenze, particolarmente perniciose in periodi di crisi. Inoltre, un secondo profilo problematico è stato individuato nelle modalità con cui ciascuna autorità europea dovrebbe favorire il coordinamento tra le autorità nazionali in caso di crisi, anche mediante l’elaborazione di piani di intervento comuni. La difficoltà di conciliare interessi e visioni, talvolta contrastanti, e la mancanza di un decalogo di misure di emergenza possono pregiudicare, tuttavia, il raggiungimento di questo obiettivo. Un più marcato accentramento delle decisioni in capo alle autorità europee di settore, secondo una puntuale divisione di competenze per finalità, potrebbe consentire una migliore prevenzione e gestione di eventuali crisi future e scongiurare il rischio di free riding da parte di alcuni paesi, a danno dei risparmiatori di altri.
Il Presidente Vegas ha auspicato dunque che la revisione del regolamento istitutivo delle Autorità europee, che dovrà essere avviata dalla Commissione Europea entro il 2 gennaio 2014, potrebbe costituire l’occasione per eliminare le attuali sovrapposizioni di competenze delle tre Autorità e modificare i poteri dell’Esma, per renderne più efficace ed efficiente l’operato, particolarmente in caso di crisi.
Nell'ambito del processo di rafforzamento dell'integrazione economica, finanziaria e fiscale dell'eurozona, nel settembre 2012 la Commissione europea ha presentato alcune proposte legislative volte alla creazione di un sistema di vigilanza bancaria unificata nell'area euro.
Nel quadro del Sistema europeo delle autorita' di vigilanza finanziarie, le proposte della Commissione europea danno seguito ad una richiesta del Consiglio europeo di giugno 2012. Il pacchetto si articola in due proposte di regolamento e in una comunicazione:
Le due proposte legislative prospettano in estrema sintesi:
Le proposte sono state oggetto di un complesso negoziato in esito al quale è stato raggiunto un accordo in seno al Consiglio ECOFIN che ha adottato, in data 12 dicembre 2012 un orientamento generale, avallato dal Consiglio europeo del 13-14 dicembre 2012. L’accordo prevede quanto segue:
L’orientamento generale dell’ECOFIN costituisce la base negoziale del Consiglio dell’UE nelle trattative con il Parlamento europeo, in vista dell’adozione definitiva delle proposte che, come raccomandato dal Consiglio europeo di dicembre, dovrebbe avvenire entro la fine del 2013.
Nel disegno della Commissione europea, avallato dal Consiglio europeo di dicembre 2012, la vigilanza centralizzata costituisce il primo pilastro della futura unione bancaria dell’eurozona, unitamente ad altri tre interventi legislativi:
Il 12 dicembre 2012 la Commissione Finanze ha approvato, in esito all’esame delle proposte sopra indicate, un documento finale. Il documento finale ha anzitutto evidenziato quale prioritaria la rapida adozione delle proposte di regolamento relative alla vigilanza bancaria unificata e, successivamente delle altre proposte relative alla creazione di un'unione bancaria, con particolare riferimento alla proposta di direttiva sul quadro comune per la risoluzione delle crisi e alla futura proposta relativa ad uno strumento unico di risoluzione delle crisi a livello europeo, contestualmente procedendo a definire le modalità con le quali il Meccanismo europeo di stabilità (MES) potrà erogare un sostegno diretto alle banche.
Il documento ha quindi sottolineato l'esigenza di:
Lo stesso 12 dicembre 2012 la Commissione Finanze e tesoro del Senato ha approvato una risoluzione Doc. XVIII, n. 179 formulando nel complesso un parere positivo sulle proposte presentate.
Secondo la Commissione la proposta per la creazione di un sistema europeo di vigilanza bancaria rappresenta un passo coraggioso che contiene, tuttavia, anche alcuni profili critici. La scelta di accentrare in capo alla BCE l’esercizio dei poteri di vigilanza sugli enti creditizi essenzialmente per gli Stati membri dell’area euro, lasciando fuori i soggetti vigilati residenti negli Stati la cui moneta non è l’euro, a meno di un’adesione volontaria, potrebbe creare a parere della Commissione rischi di frammentazione del mercato: da qui l'opportunità di valutare un’estensione dell’applicazione delle nuove regole comuni sulla vigilanza.
Per quanto riguarda l’impostazione dei rapporti tra le autorità nazionali di vigilanza e la BCE, la Commissione, apprezzato l’obiettivo di garantire l’esistenza di un solo sistema di regole, ha evidenziato l’opportunità di ricalibrare l’intervento diretto delle autorità europee, limitandolo, di norma, alle banche cross-border di dimensioni maggiori, assegnando così alle autorità nazionali la vigilanza sulle banche minori sotto la sorveglianza dell’autorità europea, che assicurerebbe la corretta applicazione degli standard comuni fissati dall’EBA.
In relazione al modello di governance del sistema, a parere della Commissione andrebbe assicurata una più efficace separazione tra le funzioni di politica monetaria e quelle di supervisione bancaria all’interno della BCE; riguardo invece al ruolo dell’Autorità bancaria europea, al fine di assicurare un maggiore coordinamento tra tale organismo e la BCE, andrebbe valutata l’opportunità di attribuire al presidente dell’EBA il diritto di voto nelle riunioni del consiglio di vigilanza (anziché assegnargli il ruolo di semplice osservatore).
Nella costruzione del sistema unico di supervisione bancaria europea, la Commissione ha altresì rimarcato l’esigenza di tenere conto – in relazione agli intermediari sottoposti a vigilanza – della dimensione, dei modelli di business e dei diversi profili di rischiosità all’interno del sistema bancario, evitando il rischio di un’omologazione delle regole e delle pratiche di vigilanza. Tale esigenza riguarda in particolare le specificità del modello societario delle banche cooperative italiane, tradizionalmente impegnate nel sostegno alle piccole comunità ed economie locali.
In linea con le risultanze dell'istruttoria parlamentare, il decreto legge n. 179 del 2012 ha modificato la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all'autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, ai fini dell'esercizio di specifici diritti azionari (relativi all'ordine del giorno in assemblea e all'elezione con voto di lista del CdA).
Le banche popolari, sono istituti di credito, di norma costituiti come società cooperative, che operano sostanzialmente nel mercato nazionale, lasciando agli Istituti di credito classici le opportunità di investimenti in mercati esteri. Si distinguono dagli enti aventi natura giuridica di S.p.A., per alcune peculiarità, tra cui: il limite di possesso di capitale sociale di ogni socio; la mutualità non prevalente, che prevede la detenzione della maggioranza delle quote da clienti dell'istituto; il voto capitario, con cui ogni socio è titolare di un singolo voto e la clausola di gradimento che prevede la subordinazione del trasferimento dei titoli al preventivo consenso del Cda.
Nel corso della XVI legislatura, l’attenzione del legislatore si è concentrata a lungo su progetti di riforma delle banche popolari (con i progetti di legge nn. 437, 709, 799, 926, 940 e 1084 esaminati dalla Commissione Finanze del Senato).
Le Autorità di vigilanza, Banca d’Italia e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, avevano più volte rilevato la necessità di una riforma relativamente alla disciplina delle banche popolari, in relazione alle caratteristiche di tali enti e al loro impatto sul territorio.
Tra le questioni emerse nel corso dell’esame parlamentare si ricorda, in particolare, che nel corso dell’Audizione tenutasi presso la Commissione 6° del Senato il 22 giugno 2011, il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia ha evidenziato alcuni punti rilevanti da tenere in considerazione nel realizzare una riforma, ovvero: l’opportunità di innalzare i limiti al possesso azionario, specialmente per le popolari quotate, con maggiori possibilità di possesso azionario in capo agli investitori istituzionali; il riconoscimento per questi ultimi di strumenti atti a proteggere il valore del capitale da essi apportato; infine la libera trasferibilità delle azioni e una semplificazione dell’iter procedurale di ammissione a socio.
E’ stata presa in considerazione la proposta che permette la trasformazione volontaria da banca popolare a società per azioni, soprattutto nel caso di banche popolari quotate e di grandi dimensioni.
Inoltre data la scarsa partecipazione dei soci in assemblea, è stata ventilata una estensione della possibilità per un socio di farsi rappresentare tramite delega, oppure l’introduzione di mezzi di telecomunicazione, in modo tale che si possa tenere l’assemblea contestualmente in luoghi diversi.
La Banca d’Italia ha inoltre rilevato che, in sede di recepimento della direttiva sui diritti degli azionisti, le banche popolari quotate sono state escluse dalle novità introdotte per le S.p.A., volte a rimuovere i vincoli alla partecipazione dei soci all’assemblea e ad accrescere il loro livello di tutela; tale scelta ha comportato l’inopportuna coesistenza di regole differenziate tra S.p.A. e cooperative quotate.
Analogamente, nella segnalazione inviata al Parlamento dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Marcato, l’Antitrust segnalava i profili problematici attinenti alla governance e alla struttura delle banche popolari, in particolare quelle quotate.
Da un lato, l’Antitrust rileva che le banche popolari quotate stanno diventando complessi gruppi societari, di dimensione nazionale, con al vertice la banca popolare/holding finanziaria, che controlla numerose società per azioni e beneficia degli utili delle controllate. Il perseguimento dello scopo degli utili, appare quindi, prevalente rispetto allo spirito mutualistico. Inoltre, la disciplina legale agevola assetti societari gestiti da un ristretto numero di soci, che controllano la holding popolare, senza però rappresentare la maggioranza del capitale sociale. Non c’è pertanto coincidenza tra potere di controllo di una società e rischio assunto mediante investimento del capitale.
L’Antitrust suggerisce quindi che il loro status giuridico sia funzionale ad assicurare lo scopo mutualistico, che la banca “rimanga in mano ai soci”, con un forte legame di appartenenza con il territorio di riferimento.
Per le banche popolari quotate, l’Antitrust ipotizza una riforma che le renda sempre più assimilabili alle S.p.A., attraverso l’eliminazione della clausola di gradimento, l’abolizione del limite all’uso delle deleghe e un ripensamento sul voto per testa e i limiti alla partecipazione azionaria.
In linea con le risultanze dell’istruttoria parlamentare, l’articolo 23-quater,del decreto legge n. 179 del 2012 ha modificato le disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, ai fini dell’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA).
Si modifica in più punti il Testo Unico Bancario, elevando in primo luogo il limite del possesso azionario, diretto o indiretto, nelle banche popolari dallo 0,5 all’1 per cento del capitale sociale. E’ fatta salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
In deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al 3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria, ciò a condizione che il superamento del limite sia dovuto ad operazioni di aggregazione.
E’ anche consentito allo statuto delle Banche Popolari di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta la decadenza dalle qualità assunte, ciò al fine di favorire la patrimonializzazione della società.
Si affida agli statuti delle Banche Popolari la determinazione del numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando il limite di 10 deleghe previsto dal codice civile.
In materia di integrazione dell'ordine del giorno dell'assemblea e di presentazione di nuove proposte di delibera delle società quotate, i soci che rappresentino almeno un quarantesimo del capitale sociale possono chiedere, entro dieci giorni dalla pubblicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea (ovvero entro cinque giorni nei casi specificamente previsti dalla legge), l'integrazione dell'elenco delle materie da trattare. Le domande, unitamente alla certificazione attestante la titolarità della partecipazione, sono presentate per iscritto, anche per corrispondenza, ovvero in via elettronica.
Per effetto della nuova disciplina, si dispone che, per le società cooperative quotate, la misura rilevante del capitale venga determinata dagli statuti, anche in deroga alle disposizioni (articolo 135 del TUF) che impongono che le percentuali di capitale siano rapportate al numero complessivo dei soci.
In tema di elezione e composizione del Cda, lo statuto dovrà prevedere sia che i componenti del consiglio di amministrazione vengano eletti sulla base di liste di candidati, sia la quota minima di partecipazione richiesta per la loro presentazione. Queste non devono superare un quarantesimo del capitale sociale o la diversa misura stabilita dalla Consob. Ove la società abbia forma di cooperativa, la misura è stabilita dagli statuti anche in deroga alle richiamate disposizioni del TUF.
Alla luce del contesto socio-economico dell'ultimo quinquennio, caratterizzato da una profonda crisi economico-finanziaria e dalla conseguente riduzione dell'offerta creditizia nei confronti, in particolare, delle famiglie e dei clienti retail, il legislatore è intervenuto allo scopo di garantire una maggiore trasparenza nei rapporti tra banche e clienti e, complessivamente, per potenziare gli strumenti di tutela dei consumatori.
Con un primo gruppo di misure legislative, Parlamento e Governo hanno introdotto una compiuta disciplina orientata al contenimento dei costi delle commissioni bancarie: in particolare, è stata predeterminata ex lege sia la misura, sia la modalità di computo della remunerazione spettante alle banche per il servizio di messa a disposizione di somme al cliente oltre l’effettiva disponibilità (cd. affidamenti e sconfinamenti). Tale compiuta disciplina è confluita nell’articolo 6-bis del D.L. 201 del 2011, il quale ha introdotto l'articolo 117-bis nel D.Lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario), successivamente modificato e integrato. Per ulteriori informazioni - e per una breve disamina dell’evoluzione della disciplina nel corso della legislatura - si rimanda al relativo approfondimento.
In materia di credito al consumo, il D.Lgs. 141/2010 (successivamente modificato e integrato nel tempo), oltre al recepire la direttiva 2008/48/CE, ha introdotto norme in materia di trasparenza dei contratti e, più in generale, in materia di tutela dei consumatori. Ha altresì recato una compiuta disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario. Si rinvia all’apposito tema web per ulteriori informazioni.
In considerazione della riduzione della soglia massima di utilizzo del contante a 1.000 euro, nonché dell’obbligo alle Pubbliche Amministrazioni di effettuare le operazioni di pagamento di importo superiore a tale ammontare mediante strumenti di pagamento elettronici, il legislatore ha avvertito l’esigenza di tutelare maggiormente i consumatori – e in particolare quelli appartenenti, per ragioni anagrafiche o sociali, alle fasce più deboli - imponendo agli istituti di credito di predisporre forme semplificate e non onerose di gestione dei risparmi.
In particolare, l'articolo 12 del D.L. 201 del 2011 (ai commi da 3 a 8) ha demandato ad una apposita convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, il compito di definire le caratteristiche di un conto corrente semplificato, detto “conto corrente di base” (o un conto di pagamento di base) che le banche sono tenute ad offrire senza costi di gestione.
La convenzione, che definisce modalità e caratteristiche del conto, firmata il 28 marzo 2012, è operativa dal 1° giugno 2012. Il conto di base è rivolto:
Il conto di base include, a fronte di un canone annuale onnicomprensivo, un certo numero di operazioni annue per determinati servizi (incluse le relative eventuali scritturazioni contabili). E’ prevista la gratuità del canone per i consumatori rientranti nelle fasce socialmente svantaggiate, nonché la gratuità di particolari servizi per i titolari di trattamenti pensionistici fino a 1.500 euro mensili.
La disciplina positiva dei contratti bancari è stata oggetto, nel corso dell’ultimo quinquennio, di una complessa e stratificata serie di novelle.
In primo luogo è stata modificata la disciplina del Testo Unico Bancario in materia di. “jus variandi”, e cioè la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali (D.Lgs. n. 141 del 2010, che ha novellato l’articolo 118 del D.Lgs. n. 385 del 1993; sulla materia è poi intervenuto il D.L. n. 70 del 2011). Nel dettaglio, sono state precisate le condizioni alle quali banca e cliente possono convenire la facoltà dell’istituto di modificare unilateralmente alcune condizioni contrattuali; è stato circoscritto l’ambito di tali modifiche; è stata compiutamente disciplinata anche l’informazione da fornire a cliente in rapporto a tali modifiche (anche in considerazione della tipologia di clienti, privati o imprese).
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha condotto nell’alveo del Testo Unico Bancario la disciplina del diritto di recesso e delle spese addebitabili al cliente. Si rinvia alla scheda di approfondimento per ulteriori informazioni.
Anche la materia della cd. “portabilità” dei mutui è stata trasfusa nel Testo Unico Bancario ad opera del D.Lgs. 141/2010; attualmente è contenuta nell’articolo 120-quater del predetto Testo Unico.
Il citato articolo 120-quater consente al debitore di avvalersi della portabilità senza penali o altri oneri di qualsiasi natura. Sono nulli i patti che impediscono o rendono oneroso l'esercizio della "portabilità”. In materia è da ultimo intervenuto il decreto-legge “liberalizzazioni” (articolo 27-quinquies del D.L. n. 1 del 2012) che ha abbreviato i termini utili per il tempestivo perfezionamento della procedura ed ha modificato l’importo del danno risarcibile in caso di ritardo.
Si rinvia alla scheda di approfondimento per una disamina più approfondita delle ultime novità in materia di contratti bancari.
Si veda inoltre il tema web in materia di [tema: disciplina_mutui|mutui e finanziamenti al settore produttivo]] per quanto riguarda le misure volte ad incentivare la concessione di credito a famiglie e imprese.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella segnalazione trasmessa il 2 ottobre 2012, ha segnalato al Parlamento l’esigenza di disporre la separazione societaria dell'attività di BancoPosta dalle attività postali tradizionali, con lo scopo di aumentare il grado di concorrenza nel settore bancario e di garantire maggior trasparenza nel settore postale tradizionale.
L’articolo 24-ter del D.L. 179 del 2012 ha modificato in più punti la disciplina dell’attività di bancoposta svolta da Poste italiane S.p.a.. Accanto al recepimento di alcune novità intervenute nel corso del tempo nella legislazione bancaria (tra l’altro in materia di servizi di pagamento e tutela dei consumatori), il suindicato provvedimento ha incluso tra le attività di bancoposta l’esercizio in via professionale del commercio di oro; ha consentito a Poste Italiane di stabilire succursali negli altri Stati comunitari ed extracomunitari per l’esercizio di attività di bancoposta; ha previsto che la comunicazione ai clienti delle variazioni contrattuali unilaterali sfavorevoli sia effettuata, in luogo della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o avviso inviato ai correntisti, con le medesime garanzie e tutele previste dal testo unico bancario in materia di contratti di durata e di servizi di pagamento; ha autorizzato Poste a svolgere nei confronti del pubblico il servizio di collocamento di strumenti finanziari (senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente).
La normativa in materia di contenimento dei costi delle commissioni bancarie ha lo scopo di disciplinare sistematicamente la remunerazione dovuta a banche e intermediari per i cd. “affidamenti” (ovvero per l’utilizzo di fidi bancari concordati con la banca) e gli “sconfinamenti” (nel caso di utilizzo di somme oltre la disponibilità effettiva, per conti correnti non affidati), per esigenze sia di certezza del diritto, sia di tutela del cliente bancario, in particolar modo se quest’ultimo è un consumatore.
Sino alla fine del 2008 vigeva, per gli affidamenti in conto corrente e per i conti non affidati (in caso di saldo negativo) un sistema di commissioni che si aggiungevano al tasso debitore, dette di “massimo scoperto”. Tale strumento consentiva di remunerare l’intermediario per il fatto di dover fronteggiare l’utilizzo di somme oltre il fido accordato (ovvero in assenza di fido) al cliente sul conto corrente. Le commissioni erano solitamente determinate applicando una percentuale, pattuita contrattualmente, al livello massimo di utilizzo del fido o di scoperto in conto raggiunto nel periodo di rendicontazione (normalmente trimestrale), indipendentemente dalla durata di tale utilizzo/scoperto.
Con una prima serie di interventi, il legislatore (secondo l’originario articolo 2-bis del D.L. n. 185 del 2008) aveva inizialmente disposto la nullità - a determinate condizioni - di alcune clausole bancarie particolarmente onerose per il cliente, tra cui:
Tale nullità non avrebbe operato ove il corrispettivo fosse stato predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, in forma scritta e con specifiche cautele per il consumatore, volte a garantirne l’effettiva consapevolezza.
L’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, nell’audizione del 21 aprile 2010 presso la Commissione Finanze del Senato (in materia di problematiche relative alle commissioni di massimo scoperto), rilevava come - a seguito dell’entrata in vigore di tale disposizione - la generalità delle banche avesse eliminato la commissione di massimo scoperto e tuttavia introdotto nuove commissioni, distinte per gli affidamenti e gli scoperti in conto.
Per gli affidamenti, tali commissioni erano volte a remunerare l’impegno della banca a mettere a disposizione del cliente una certa somma per un determinato periodo di tempo. Esse, pertanto, non erano più commisurate al livello massimo di utilizzo della linea di credito messa a disposizione, ma all’importo complessivo della medesima; le nuove spese erano applicate in modo fisso, poiché non proporzionali al maggior utilizzo del fido, costituendo esse delle “flat fee” per la disponibilità di quest’ultimo.
Nel caso degli scoperti, le commissioni erano mirate a compensare l’attività istruttoria della banca necessaria per valutare correttamente l’affidabilità del cliente in caso di richieste di credito improvvise.
La 6ª Commissione del Senato, nella risoluzione Doc. XXIV, n. 10 approvata il 29 giugno 2010 proprio in relazione alla segnalazione dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, per quanto concerne i costi degli affidamenti e degli extrafidi ha individuato come un presupposto errato quello di prevedere, in aggiunta al tasso di interesse, una commissione espressa in percentuale fissa o commisurata alle spese di istruttoria veloce. La Commissione si è pertanto espressa per un meccanismo di determinazione del costo dell’utilizzo di somme non a disposizione sul conto corrente ovvero eccedenti il fido in base al quale l’estratto del conto corrente, comunicato dalla banca al cliente, esponga univocamente il tasso effettivo di costo del rapporto.
Con un secondo intervento (articolo 2, comma 2 del D.L. n. 78 del 2009), per accelerare i benefici derivanti dal divieto della commissione di massimo scoperto, veniva successivamente posto un tetto al corrispettivo omnicomprensivo previsto per il servizio di messa a disposizione delle somme (per i rapporti affidati), nella misura massima dello 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento a pena di nullità della relativa clausola contrattuale.
Considerazioni di tenore analogo a quelle dell’AGCM erano formulate anche dalla Banca d’Italia in occasione dell’audizione presso la Commissione Finanze del Senato del 17 novembre 2010. In particolare, l’Istituto segnalava che la disciplina del 2008-2009, oltre a contemplare alcune ipotesi di legittimità della commissione di massimo scoperto, non chiariva il regime commissionale per gli utilizzi extra-fido e per gli sconfinamenti.
Con il D.L. 201 del 2011 (articolo 6-bis) è stata introdotta nel Testo Unico Bancario una complessiva disciplina delle remunerazioni per affidamenti e sconfinamenti, in relazione a determinate tipologie contrattuali (articolo 117-bis).
Ai sensi del comma 1 del richiamato articolo 117-bis, gli unici oneri a carico del cliente per i contratti di apertura di credito sono costituiti da:
Per quanto concerne l’onere a carico del cliente a fronte di sconfinamenti in assenza di affidamento, ovvero oltre il fido, nei contratti di apertura di credito e di conto corrente, è prevista l’applicazione
Sono nulle ex lege le clausole che prevedano oneri diversi o non conformi a quelli previsti dai precedenti commi: tale nullità non si estende al contratto. Si demanda (comma 4) al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio – CICR l’emanazione di norme di applicazione della disciplina in esame, con la possibilità che i suddetti provvedimenti estendano la disciplina su affidamenti e sconfinamenti anche ad altri contratti per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del cliente. Lo stesso CICR prevede i casi in cui, in relazione all’entità e alla durata dello sconfinamento, non è dovuta la commissione di istruttoria veloce.
Per effetto del D.L. “liberalizzazioni” e delle disposizioni integrative e modificative del medesimo(articolo 27-bis del D. L. n. 1 del 2012, come modificato dal D.L. n. 29 del 2012) è stato precisato che la nullità di tutte le clausole che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido, è limitata alle sole clausole stipulate in violazione delle disposizioni di attuazione adottate dal CICR ai sensi del richiamato articolo 117-bis del Testo Unico Bancario.
Il medesimo D.L. “liberalizzazioni” (articolo 27, comma 4) ha conseguentemente disposto l’abrogazione delle suesposte disposizioni del D.L. n. 185 del 2008.
L'articolo 1, comma 1, lettera b) del D.L. n. 29 del 2012 ha poi introdotto e disciplinato il nuovo "Osservatorio sull'erogazione del credito da parte delle banche alla clientela" con l'obiettivo di attivare interventi contro l'ingiustificata restrizione creditizia ai danni del sistema imprenditoriale. Il Prefetto può attivare l’Arbitro bancario finanziario – ABF attraverso una segnalazione per specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari, su istanza del cliente in forma riservata. Il Prefetto, dopo un’informativa sul merito dell’istanza, invita la banca a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito. In seguito, il Prefetto può effettuare la relativa segnalazione all’ABF il quale si pronuncia non oltre trenta giorni dalla segnalazione.
Per quanto concerne la facoltà di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali nei contratti bancari (cd. jus variandi) da parte degli enti creditizi, il D.Lgs. n. 141 del 2010 ha modificato l’articolo 118 del Testo Unico Bancario, su cui è successivamente intervenuto anche il D. L. n. 70 del 2011.
In particolare, le norme vigenti distinguono espressamente tra contratti di durata a tempo indeterminato, nei quali può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo, e contratti di durata a tempo determinato: per questi ultimi la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo e comunque, anche in questi casi, la facoltà di modifica unilaterale deve essere approvata specificamente dal cliente.
Per effetto delle modifiche operate dal citato D. L. n. 70 del 2011, se il cliente è particolarmente qualificato (ovvero non è un consumatore né una micro-impresa) nei contratti di durata a tempo determinato possono essere inserite clausole, purché espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare unilateralmente i tassi di interesse, purché al verificarsi di specifici eventi e condizioni predeterminati nel contratto.
Le modifiche unilaterali devono essere comunicate espressamente al cliente con preavviso minimo di due mesi (anziché di trenta giorni, come disposto in precedenza), con uno specifico schema denominato “Proposta di modifica unilaterale del contratto”. Le modifiche si intendono approvate ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In sostanza è garantito il termine minimo di due mesi di preavviso, in luogo del precedente termine fisso di sessanta giorni
Sono inefficaci le variazioni contrattuali per cui non siano state osservate le suddette prescrizioni.
Per quanto concerne il diritto di recesso, l’articolo 10, comma 2, del D. L. n. 223/2006 ha previsto la possibilità per il cliente bancario, nei contratti di durata, di recedere liberamente, ovvero senza penalità e senza spese di chiusura. Il D.Lgs. n. 141/2010 ha inserito nel Testo Unico Bancario l’articolo 120-bis, ove sono contenute le disposizioni in materia di diritto di recesso: in particolare, al cliente è consentito di recedere in ogni momento da un contratto a tempo indeterminato senza penalità e senza spese. Si demanda a una delibera del CICR l’individuazione dei casi in cui la banca o l'intermediario finanziario possono chiedere al cliente un rimborso delle spese sostenute in relazione a servizi aggiuntivi da questo richiesti in occasione del recesso.
La relazione al D.Lgs. n. 141 del 2010 ha precisato che il riferimento ai “contratti a tempo indeterminato”, anziché ai “contratti di durata” ha lo scopo di eliminare le incertezze interpretative sorte nel vigore della previgente disciplina. Dunque nei contratti a tempo indeterminato (quali, ad esempio, l’apertura di credito) al cliente spetta la facoltà di recesso a norma del predetto articolo 120-bis, mentre nei contratti di durata (ad es. mutui ed aperture di credito a tempo determinato) la facoltà di recesso spetta al cliente soltanto se pattuita contrattualmente a norma dell’art. 1373 c.c.
Nei contratti di mutuo, il diritto di recesso spetta nel caso di finanziamenti fondiari (ai sensi dell’articolo 40 del TUB) e nelle ipotesi – già illustrate - di mutui per l’acquisto dell'abitazione, di cui all’articolo 120-ter del TUB .
Il richiamato D.Lgs. 141 del 2010 ha introdotto una disciplina sistematica delle spese addebitabili al cliente, inserendola all’articolo 127-bis del TUB.
Nel dettaglio, si vieta a banche e intermediari di addebitare al cliente spese, comunque denominate, inerenti alle informazioni e alle comunicazioni previste ai sensi di legge trasmesse con strumenti di comunicazione telematica; le comunicazioni relative all’esercizio dello ius variandi unilaterale, ai sensi dell’articolo 118 TUB, sono gratuite indipendentemente dagli strumenti di comunicazione impiegati.
Il contratto può prevedere che, se il cliente richiede alla controparte informazioni o comunicazioni ulteriori o più frequenti rispetto a quelle previste dalla legge, ovvero la loro trasmissione con strumenti di comunicazione diversi da quelli previsti nel contratto, le relative spese sono a carico del cliente.
In ogni caso, le spese addebitate per informazioni o comunicazioni devono essere adeguate e proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca o dall'intermediario finanziario, fatto salvo il caso dei contratti di finanziamento, per i quali la consegna di documenti personalizzati può essere subordinata al pagamento delle spese di istruttoria, nei limiti e alle condizioni stabilite dal CICR.
Per “portabilità” dei mutui bancari si intende una serie di disposizioni, in prima battuta recate dell’articolo 8 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, con le quali si consentire al debitore di sostituire più facilmente l’istituto erogante con uno nuovo, eventualmente a condizioni più favorevoli, allo scopo di accrescere il grado di concorrenza nel mercato dei mutui bancari.
La c.d. portabilità è realizzata mediante l’istituto giuridico della surrogazione del creditore. In sostanza, si permette al debitore di sostituire la banca che ha erogato inizialmente il finanziamento con una nuova banca (perché, ad esempio, quest’ultima propone condizioni migliori), mantenendo viva l’ipoteca originariamente costituita. Nel caso in cui si decida di trasferire il mutuo ad altro intermediario non è quindi più necessaria la cancellazione della vecchia garanzia e l’attivazione di una nuova, con riduzione di formalità e soprattutto di costi notarili. La banca che subentra provvederà a pagare il debito che residua e si sostituirà a quella precedente. Il debitore rimborserà il mutuo alle nuove condizioni concordate.
Il pagamento con surrogazione è disciplinato dagli articoli da 1201 a 1205 del codice civile. In generale, con la surrogazione si consente al debitore di sostituire il creditore iniziale senza necessità di consenso di quest’ultimo, previo pagamento del debito (art. 1202 c.c.). Secondo l’articolo 1204 c.c., la surrogazione ha effetto anche contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore. Se il pagamento è parziale, ai sensi dell’articolo 1205 c.c., il terzo surrogato e il creditore concorrono nei confronti del debitore in proporzione di quanto è loro dovuto, salvo patto contrario.
Le disposizioni in materia di portabilità dei mutui sono state trasfuse nell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario (di cui al D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385) per effetto del D.Lgs. 141/2010, recependo sostanzialmente le disposizioni in materia di portabilità introdotte dal 2007 in poi.
Il D.Lgs. n. 141 del 2010 non ha abrogato, lasciandone intatta la vigenza, l’articolo 8, comma 4-bis del D. L. n. 7 del 2007, che dispone agevolazioni fiscali applicabili al caso in cui il mutuante surrogato subentri nelle garanzie accessorie, personali e reali, accessorie al credito surrogato. In particolare, non si applicano l’imposta di registro, di bollo, le imposte ipotecarie e catastali e le tasse sulle concessioni governative; né trova applicazione l'imposta sostitutiva delle predette forme di prelievo che ordinariamente grava - tra l’altro - sulle operazioni di finanziamento a medio e lungo termine concluse dagli intermediari.
Il vigente articolo 120-quater dispone, in primo luogo, il debitore può esercitare la facoltà di surrogazione anche se il credito non è esigibile del credito o se è stato pattuito un termine a favore del creditore.
Per effetto della surrogazione il mutuante surrogato subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce (ad es. ipoteca). La surrogazione comporta il trasferimento del contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l'intermediario subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura. L’annotazione della surrogazione presso i registri immobiliari può essere richiesta senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. L’articolo 8, comma 8 del D.L. 70/2011 ha introdotto la possibilità di presentare l’atto di surrogazione per via telematica.
Al cliente non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento, per l'istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l'esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di surrogazione. Resta salva la possibilità del finanziatore originario e del debitore di rinegoziare il finanziamento in essere, senza spese, mediante scrittura privata anche non autenticata.
Inoltre, è espressamente prevista la sanzione della nullità di ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l'esercizio della facoltà di surrogazione. Si tratta di una nullità relativa, che non si estende – per espressa previsione di legge – al contratto.
Il D. L. 78/2009 (articolo 2, comma 3; il relativo contenuto è stato trasfuso nel comma 7 dell’articolo 120-quater del Testo Unico Bancario) ha introdotto la possibilità di risarcimento del danno da ritardo per il caso di intempestivo perfezionamento della surrogazione. Su tale disciplina sono poi intervenuti il D.L. 70/2011 e il D.L. n. 1 del 2012.
Le norme vigenti prevedono che, ove la surrogazione non si perfezioni entro il termine di trenta giorni lavorativi dalla data della richiesta – formulata dalla banca surrogata al finanziatore originario - di avvio delle procedure di collaborazione, il finanziatore originario è tenuto a risarcire il cliente in misura pari all'uno per cento del debito residuo del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili. Infine, la surrogazione per volontà del debitore e l’eventuale rinegoziazione non comportano il venir meno dei benefici fiscali.
La surrogazione si applica (comma 8 dell’articolo 120-quater):
Essa non si applica ai contratti di locazione finanziaria.
In attuazione delle norme sulla portabilità, l’Associazione bancaria italiana (ABI) ha definito una procedura di collaborazione interbancaria volta a contribuire alla migliore realizzazione delle operazioni di portabilità del mutuo, improntata a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.
Si ricorda che l’articolo 8-bis del decreto-legge n. 7 del 2007 ha vietato, nell’ambito dei rapporti assicurativi e bancari, di addebitare al cliente le spese di predisposizione, produzione, spedizione, o altre spese comunque denominate, relative alle comunicazioni derivanti dall’applicazione, tra l’altro, delle norme sulla surrogazione.
L’articolo 4 del D.Lgs. n. 141 del 2010 ha inserito nel testo unico bancario l’articolo 120-ter, in cui sono state trasfuse le disposizioni in materia di estinzione anticipata dei mutui immobiliari recate dall’articolo 7 del D. L. n. 7/2007. In particolare, è nullo qualunque patto o clausola, anche posteriore alla conclusione del contratto, che vincola il mutuatario al pagamento di un compenso o penale o ad altra prestazione a favore del soggetto mutuante per l'estinzione anticipata o parziale dei mutui stipulati o accollati per l'acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche. Tale nullità è relativa e non comporta la nullità del contratto.
Da ultimo, l'articolo 27-ter del D. L. n. 1 del 2012 ha semplificato le procedure per estinguere le ipoteche iscritte a garanzia di mutui: in particolare, l’ipoteca si estingue automaticamente anche in caso di mancata rinnovazione entro il termine di vent’anni dall’iscrizione. Essa è cancellata d’ufficio al verificarsi di una delle cause di estinzione legale disciplinate dal codice civile.
Il 19 dicembre 2012 il Governo francese ha presentato al Parlamento un progetto di legge sulla separazione e regolamentazione delle attività bancarie (Assemblée Nationale, XIV legislatura, Projet del loi n. 566(NdR: per il seguito dell’iter si segnala il relativo Dossier legislatif).
Il testo punta a riformare l’attuale sistema bancario francese con l’obiettivo di separare le attività bancarie “utili al finanziamento dell’economia” dalle attività “speculative”, traendo insegnamento dalla recente crisi internazionale.
In particolare le nuove disposizioni proposte impongono agli istituti bancari l’obbligo di affidare ad una filiale creata ad hoc le operazioni sui mercati finanziari effettuate a puro fine speculativo “per conto proprio” e non collegate al servizio ai clienti. Gli istituti bancari potranno pertanto continuare ad effettuare operazioni “sul mercato” per investimenti chiesti e pagati dai clienti e dovrebbero essere ammesse attività finalizzate alla copertura dei rischi propri, ad assicurare un corretto funzionamento del mercato (azionario e obbligazionario) e alla gestione di cassa.
Il progetto di legge contiene anche disposizioni relative alla disciplina della risoluzione delle crisi degli istituti di credito e prevede misure di tutela dei consumatori in materia bancaria.
Il testo legislativo rafforza, infatti, la supervisione delle attività sui mercati, attribuendo maggiori poter all’attuale Autorité de contrôle prudentiel che diventerà l'Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (ACPR), al fine di prevenire e intervenire precocemente in caso di difficoltà delle banche. Ciascun istituto dovrà dotarsi di un “piano preventivo” di soluzione che indichi come l’Autorità di supervisione possa intervenire in caso di pericolo di defaut. Sulla base di tali piani l’Autorité potrà obbligare le banche ad adottare le opportune misure, comprese quelle strutturali se necessarie.
Sempre allo scopo di assicurare una più efficace vigilanza dei poteri pubblici volta ad anticipare e prevenire possibili crisi bancarie future, le nuove disposizioni attualmente all’esame del Parlamento prevedono la creazione di una nuova autorità, il Conseil de stabilité financière, che avrà il compito di individuare tempestivamente il profilarsi di un eventuale rischio sistemico all’interno del settore bancario. Il Conseil sarà dotato di poteri d’intervento per limitare tali rischi, imponendo riserve in fondi propri supplementari o dettando le regole per la concessione del credito attraverso le banche.
Il progetto di legge vieta inoltre le attività speculative su derivati legati alle materie prime agricole o effettuate attraverso operazioni di trading ad alta frequenza (è ancora in via di definizione la velocità di trading al secondo oltre la quale interverrà il divieto).
Il 6 febbraio 2013 la Commissione Finanze dell’Assemblea nazionale ha approvato, con alcuni emendamenti, il progetto legislativo ed il 12 febbraio è iniziata la discussione in Aula.
Tra gli emendamenti al progetto iniziale si segnalano la disposizione che attribuisce al Ministro dell’Economia il potere di fissare una soglia oltre la quale le operazioni sul mercato debbano essere ricondotte alla citata filiale ad hoc e la norma che inquadra giuridicamente le attività “sul mercato” fornendone una precisa definizione.
La Commissione Finanze ha, infine, adottato un emendamento che si inserisce nel quadro della lotta ai paradisi fiscali, obbligando gli istituti bancari a pubblicare, per ogni paese, la natura delle loro attività, i loro prodotti netti bancari e la loro consistenza.
La legge dovrebbe entrare in vigore nella primavera del 2015.
Nella riunione del 6 febbraio 2013 il Governo federale ha approvato il testo di un progetto di legge presentato dal Ministro federale delle finanze Schäuble, intitolato "Entwurf eines Gesetzes zur Abschirmung von Risiken und zur Planung der Sanierung und Abwicklung von Kreditinstituten und Finanzgruppen" (Disegno di legge per la protezione dai rischi, la pianificazione per il risanamento e la risoluzione delle crisi di istituti di credito e di gruppi finanziari). I punti chiave della nuova disciplina riguardano: la semplificazione delle procedure di risoluzione e di risanamento degli enti creditizi e dei gruppi finanziari (art. 1); la separazione delle attività bancarie di rischio da quelle di deposito (art. 2) ; l’introduzione di chiare regole sanzionatorie per i dirigenti di banche ed assicurazioni che abbiano trasgredito i propri obblighi (artt. 3 e 4).
Per quanto concerne il primo campo di applicazione, il progetto di legge governativo contiene disposizioni specifiche per la pianificazione del risanamento e della risoluzione delle crisi di enti creditizi e finanziari, finalizzate all’adozione di misure tempestive e preventive volte ad evitare l’aggravarsi dei problemi e a ridurre i rischi di dissesto bancario. A tal fine gli istituti finanziari interessati dovranno redigere piani di risanamento (Sanierungspläne) contenenti modalità e misure che consentano di intervenire in fase precoce per ripristinare la sostenibilità economica in caso di grave deterioramento della loro situazione finanziaria. Le autorità di vigilanza potranno quindi agire più rapidamente, evitando gli ostacoli che si frappongono alla risoluzione delle crisi di un ente o di un gruppo finanziario.
Il secondo fulcro del progetto governativo è costituito da norme volte a migliorare la protezione dai rischi derivanti da speculazioni finanziarie, a beneficio dei clienti delle banche stesse e, in ultima analisi, di tutti i contribuenti. Sulla base delle raccomandazioni contenute nel rapporto elaborato dal gruppo di esperti per la riforma della struttura del settore bancario dell’Unione Europea (presieduto da Erkki Liikanen, governatore della Banca centrale finlandese), anche il Governo federale ha deciso di introdurre, per le banche, la separazione legale tra l’attività di credito e quella di trading finanziario sopra una certa soglia: le attività di investimento devono ammontare a più del 20% del totale complessivo di bilancio (valore di soglia relativo) o superare i 100 miliardi di euro (valore di soglia assoluto). Inoltre il valore di soglia relativo è integrato da un semplice criterio, in base al quale rientrano nella disciplina solo le imprese con un totale di bilancio maggiore di 90 miliardi di euro, onde evitare che nell’applicazione del valore di soglia relativo vengano comprese troppe banche di piccole dimensioni.
Il disegno di legge affronta, infine, anche la questione della responsabilità individuale. La violazione dei fondamentali obblighi di gestione del rischio da parte di dirigenti di banche ed assicurazioni è punita con la detenzione fino a cinque anni oppure con una sanzione pecuniaria.
Come tutte le iniziative legislative governative, il disegno di legge è stato presentato anticipatamente al Bundesrat stampato BR 94/13 l’8 febbraio: il normale termine di sei settimane attribuito al Bundesrat per esprimere un proprio parere è stato ridotto a tre settimane, poiché il provvedimento è stato eccezionalmente designato come urgente dal Governo federale ai sensi dell’art. 76, comma 2 della Legge fondamentale. Entro tale termine abbreviato il progetto sarà quindi trasmesso al Bundestag per proseguire l’iter parlamentare. Stando al testo del disegno di legge, si tratta di una legge per la quale il successivo parere del Bundesrat non è vincolante.
Per quanto riguarda la previsione relativa all'entrata in vigore delle nuove disposizioni, l'art. 5 del disegno di legge stabilisce che alcune modifiche alla legge bancaria (Kreditwesengesetz – KWG) saranno applicabili a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della nuova legge sulla Gazzetta ufficiale federale, mentre altre modifiche entreranno in vigore dopo la legge di attuazione della direttiva Basilea III-CRD IV nel gennaio 2014; la separazione delle sfere di attività delle banche avverrà quindi entro luglio 2015.
Alla Camera dei Comuni è stato presentato, il 4 febbraio 2013, il Financial Services (Banking Reform) Bill, progetto di legge d’iniziativa del Governo in materia di riforma del sistema bancario e finanziario.
Il testo persegue obiettivi di stabilità finanziaria, di tutela della libertà nella scelta dei prodotti finanziari da parte dei consumatori e di competitività dell’intero settore, in conformità alle raccomandazioni formulate dalla Independent Commission on Banking (ICB, istituita nel 2010), che nel proprio “Libro bianco” pubblicato nel giugno 2012 (Banking reform: delivering stability and supporting a sustainable economy) aveva individuato nei suddetti obiettivi le condizioni necessarie ad una maggiore stabilità dell’intero sistema economico messo alla prova dall’attuale crisi finanziaria.
Le più ampie coordinate entro cui tali obiettivi sono stati indicati al legislatore si rinvengono in precedenti documenti della medesima Commissione, la quale, nella propria relazione per il 2011, aveva raccomandato la riforma strutturale del settore bancario, assieme a misure ritenute idonee ad incrementare la capacità delle banche di assorbire le perdite e a mantenere inalterati servizi di rilievo cruciale per la clientela e per la vitalità dell’economia. In particolare, l’elemento portante di una riforma in quest’ambito sarebbe costituito – secondo la Commissione – dalla separazione tra le banche al dettaglio e le banche commerciali, da introdurre con misure idonee ad isolare (“ring-fencing”) le attività del primo tipo nel quadro dell’operatività del gruppo bancario di riferimento.
Peraltro, il progetto di legge fa seguito alla recente modifica dell’assetto istituzionale degli organi di controllo introdotta dal Financial Services Act 2012. La legge, che ha ricevuto il Royal Assent il 19 dicembre dello scorso anno, segna il superamento del modello del single regulator che ispirò, nel 2000, l’istituzione della Financial Services Authority (FSA), evidentemente oggetto di revisione critica alla luce degli effetti della nota crisi finanziaria. Essa ha infatti conferito alla banca centrale (Bank of England) la competenza generale di vigilanza sulla stabilità del sistema finanziario, esercitata attraverso il Financial Policy Committee (FPC), istituito al’interno della banca centrale medesima, e la Prudential Regulation Authority (PRA), destinata ad operare dall’aprile 2013 come sua articolazione indipendente. I due organismi di nuova istituzione sono responsabili, rispettivamente, della regolazione macro e micro-prudenziale, avendo riguardo, nel primo caso, all’integrità del sistema nel suo insieme, e nell’altro alla vigilanza sui singoli istituti esposti a rischi significativi in ragione della loro attività nel mercato finanziario. La legge del 2012 ha altresì istituito la Financial Conduct Authority (FCA), autorità indipendente di regolazione i cui obiettivi sono individuati nel corretto funzionamento del mercato finanziario, nella sua competitività e nella tutela dei consumatori.
A queste innovazioni ordinamentali ha dunque fatto seguito il Financial Services (Banking Reform) Bill (preceduto da un draft bill sottoposto al previo esame della Parliamentary Commission on Banking Standards istituita ai Comuni nel luglio 2012), le cui disposizioni intendono attuare le indicazioni della Independent Commission on Banking in ordine alla riforma del sistema bancario. Esse delineano, in primo luogo, un sistema di protezione dei depositi posti a fronte della potenziale esposizione debitoria delle banche, siano esse commerciali o operanti nel settore retail. A tal fine viene inoltre modificata la legislazione fallimentare in modo da includere i depositi bancari nella categoria dei crediti privilegiati, purché eleggibili per il sistema di tutela (Financial Services Compensation Scheme, introdotto dal legislatore nel 2000).
Per altro verso, le disposizioni del progetto mirano ad introdurre la già richiamata separatezza tra i due principali ambiti dell’operatività bancaria, affinché le attività dirette ai privati e alle piccole e medie imprese (individuate nel progetto come “core business”) siano tenute distinte da quelle esposte a maggiore rischio e come tali suscettibili di un’incidenza globale sul sistema finanziario.
La riforma portata avanti dal progetto di legge si integra con il riordino di competenze tra gli organi di vigilanza e di controllo, la cui fisionomia operativa vi è delineata per quanto attiene alla separazione tra le attività finanziarie di diversa natura. La Prudential Regulation Authority, tenuta a vigilare sull’applicazione delle norme in materia di sana e prudente gestione delle banche di raccolta, delle società di assicurazione e delle banche di affari, è chiamata ad esercitare il controllo sul rispetto delle regole che precludono, all’interno dei gruppi bancari e al fine di ridurne la complessità strutturale, l’esercizio di determinate attività alle singole banche non abilitate (in quanto “ring-fenced”). D’altra parte, la Financial Conduct Authority, nel quadro delle sue competenze orientate alla tutela dell’integrità del mercato finanziario, è preposta alla vigilanza sui depositi bancari, sulle operazioni finanziarie e sulle infrastrutture che supportano le relative attività (anche nel ruolo di Listing Authority precedentemente ricoperto dalla FSA).
Nel corso della XVI Legislatura, Parlamento e Governo hanno emanato numerose misure volte a fronteggiare l'emergenza di liquidità (credit crunch) che ha colpito le banche e le istituzioni finanziarie, con la conseguente netta riduzione dei finanziamenti alle imprese ed ai consumatori. Il trend di riduzione dei prestiti bancari al settore privato non finanziario è stato registrato anche dall'ultimo Bollettino Economico della Banca d'Italia (gennaio 2013). In particolare, tra settembre e novembre 2012 tali prestiti sono diminuiti del 2,6 per cento (in ragione d'anno, al netto dei fattori stagionali e dell'effetto contabile delle cartolarizzazioni). Tale flessione ha riguardato soprattutto i prestiti alle imprese (-4,0 per cento, contro il -0,8 di quelli alle famiglie). Gli interventi in tal senso adottati hanno dunque inteso tutelare i piccoli risparmiatori dagli effetti della crisi e fornire adeguato sostegno finanziario al tessuto imprenditoriale italiano; tali scopi sono stati perseguiti sia mediante iniziative di tipo esclusivamente legislativo, sia mediante sinergie ed accordi con gli esponenti delle istituzioni creditizie.
Rimandando al tema web sulle liberalizzazioni nel sistema bancario per quanto attiene alla disciplina positiva dei mutui e, più in generale, sulle modifiche apportate in materia di contratti bancari nel corso del quinquennio, in questa sede preme ricordare gli interventi volti a garantire un adeguato livello di liquidità finanziaria nei confronti dei consumatori. Le misure recate hanno interessato soprattutto il comparto immobiliare, colpito duramente dalla crisi economico-finanziaria.
Il richiamato Bollettino economico della Banca d’Italia (gennaio 2013) evidenzia una recente, lieve flessione del costo del credito alle famiglie. Il tasso sui nuovi mutui si attesta al 3,5 per cento per le operazioni a tasso variabile (oltre i due terzi delle erogazioni complessive), rimanendo invece invariato nel breve periodo (al 4,8) per quelle a tasso fisso. Pur beneficiando dell’allentamento delle tensioni sui mercati finanziari, la riduzione dei tassi è frenata dalla percezione di un rischio di credito elevato da parte degli intermediari.
In una prima fase, il legislatore italiano è intervenuto al fine di consentire ai consumatori di rinegoziare i mutui a tasso variabile accesi per acquistare, costruire e ristrutturare l'abitazione principale (D.L. n. 93/2008 e 185/2008). Per i predetti mutui, in particolare, l'articolo 2 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 ha predeterminato ex lege la misura delle rate da corrispondere nel corso dell’anno 2009, applicando specifici parametri. Inoltre, la stessa norma ha disposto che la differenza tra gli importi a carico del mutuatario e quelli derivanti dall'applicazione delle condizioni originarie del contratto di mutuo fosse corrisposta dallo Stato. Sono stati introdotti ulteriori vantaggi a favore del mutuatario, soprattutto per quanto attiene all’abbattimento degli onorari notarili e al divieto di applicazione di costi per le formalità concernenti le operazioni di portabilità.
L'articolo 8, comma 6 del D.L. 70/2011 ha consentito di rinegoziare i mutui a tasso variabile, fino al termine del 31 dicembre 2012. Tale agevolazione riguarda i finanziamenti di importo non superiore a 200 mila euro, a condizione che l’ISEE del mutuatario non fosse superiore a 35 mila euro e, salvo accordo tra le parti, non avesse avuto ritardi nel pagamento delle rate.
Con la legge di riforma del mercato del lavoro (articolo 3, commi 48 e 49 della legge n. 92 del 2012) si è provveduto a novellare la disciplina del Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, istituito dalla legge finanziaria 2008 (articolo 2, ai commi da 475 a 480, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) e operativo dal 15 novembre 2010.
Scopo del Fondo è di consentire ai mutuatari, per i contratti di mutuo relativi all’acquisto di immobili da adibire a prima casa di abitazione, di chiedere in determinate ipotesi la sospensione del pagamento delle rate; il Fondo provvede altresì a sollevare il mutuatario da specifici costi (ad es. da quelli delle procedure bancarie). Per effetto della sospensione la durata del contratto di mutuo e quella delle garanzie per esso prestate è prorogata di un periodo eguale alla durata della sospensione stessa; al termine della sospensione, il pagamento delle rate riprende secondo gli importi e con la periodicità originariamente previsti dal contratto, salvo diverso patto eventualmente intervenuto fra le parti.
La dotazione iniziale del Fondo, ai sensi della citata legge finanziaria 2008, era di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente l’articolo 13, comma 20 del D.L. 201 del 2011 ha rifinanziato il Fondo con 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
La richiamata legge n. 92 del 2012 ha esteso le misure di sospensione a carico del Fondo anche a ulteriori tipologie di mutui; ha precisato le condizioni alle quali non può essere richiesta la sospensione delle rate; ha codificato in norma primaria le condizioni alle quali si accede ai benefici della sospensione e dell’intervento del Fondo, precedentemente recate dalle sole disposizioni di attuazione.
Accanto alle iniziative di natura legislativa, si rammenta in questa sede l'Accordo per una misura straordinaria di sostegno alle famiglie in difficoltàa seguito della crisi, firmato per la prima volta il 18 dicembre 2009 dall'ABI e dalle Associazioni dei consumatori e successivamente prorogato nel tempo (da ultimo, fino a marzo 2013), che dispone la sospensione del rimborso delle rate di mutuo per almeno 12 mesi a specifiche condizioni. La misura riguarda in particolare i mutui di importo fino a 150.000 euro accesi per l'acquisto, la costruzione o ristrutturazione dell'abitazione principale (anche cartolarizzati) e per i clienti con un reddito imponibile fino a 40.000 euro annui che hanno subito nel biennio 2009 e 2010 eventi particolarmente negativi (morte, perdita dell'occupazione, insorgenza di condizioni di non autosufficienza, ingresso in cassa integrazione). Le banche aderenti all'iniziativa possono migliorare tali condizioni. In merito all’iniziativa, l’ABI ha reso noto che (dati di dicembre 2012) le banche hanno sospeso 84.995 mutui, pari a circa 9,8 miliardi di debito residuo, garantendo alle famiglie interessate una liquidità complessiva di 606 milioni di euro (media annua per famiglia di 7.130 euro).
Il peculiare tessuto del sistema imprenditoriale italiano - costituito prevalentemente da piccole e medie imprese - ha legato a doppio filo il sistema bancario al sistema produttivo. Quest’ultimo si avvale infatti delle istituzioni creditizie sia per quanto riguarda il finanziamento degli investimenti, sia per il funzionamento ordinario delle proprie strutture. Rimane invece relativamente marginale il ruolo dei mercati dei capitali, come peraltro sottolineato all’esito dell’indagine conoscitiva sui mercati degli strumenti finanziari, svolta dalla VI Commissione (Finanze) della Camera nel corso della XVI Legislatura.
Sul tema si ricorda altresì l'indagine conoscitiva sui rapporti tra banche e imprese con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento, svolta dalla Commissione Finanze e tesoro del Senato.
La richiamata congiuntura economico-finanziaria, che ha condotto le istituzioni finanziarie e creditizie a diminuire l’offerta di credito alle imprese, ha posto il legislatore italiano innanzi alla necessità di intervenire – ancora una volta in via normativa e in via convenzionale – con lo scopo di approvvigionare di liquidità il tessuto produttivo del Paese.
Tra le misure legislative adottate a tal fine, si rammenta in questa sede il rifinanziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese ad opera del D.L. n. 201/2011, che ne ha incrementato la dotazione di 400 milioni annui per il biennio 2012-2014. Con decreto del MEF del 26 marzo 2012 (pubblicato sulla G.U. del 24 aprile) sono state definite le modalità per l'incremento della dotazione del Fondo, mediante versamento di contributi da parte delle banche, delle regioni e di altri enti ed organismi pubblici, ovvero con l'intervento della SACE S.p.A.. Il decreto del 26 giugno (pubblicato sulla G.U. del 20 agosto) del ministro dello Sviluppo economico e dell'Economia e delle Finanze è intervenuto in rettifica dei parametri per la concessione della garanzia e della controgaranzia, a valere sul Fondo, aumentando la percentuale di copertura e azzerando la commissione per realtà che si trovano in particolari condizioni di difficoltà.
Tra le principali misure di natura convenzionale, si ricorda che nel febbraio del 2012 è stata sottoscritta l’intesa tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’ABI e le altre Associazioni di rappresentanza delle imprese, denominata “Nuove misure per il credito alle PMI” volta alla sospensione dei pagamenti da parte di talune imprese e all’allungamento dei piani di finanziamento.
L’accesso alla misura è riservato alle imprese con adeguate prospettive economiche, prive di gravi anomalie nel rimborso dei debiti: rispetto al precedente intervento, i requisiti di ammissibilità appaiono più restrittivi, in particolare per le imprese che già presentino temporanee tensioni di liquidità. La predetta intesa ricalca quanto previsto dal cd. “Avviso comune”, varato sin dal 2009: esso prevedeva la sospensione per dodici mesi dei rimborsi della quota di capitale relativa ad alcune forme di debito delle piccole e medie imprese.
Nel solco dell’innesto di liquidità al sistema si collocano le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa depositi e prestiti (per effetto del combinato disposto dell’articolo 22 del D.L. 185 del 2008 e dell’articolo 3, comma 4-bis del D.L. 5 del 2009) che ha di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell’economia.
In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l’intermediazione di soggetti autorizzati all’esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa depositi e prestiti Spa.
Le convenzioni sottoscritte nel tempo tra l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) e la Cdp hanno consentito all’Istituto di strutturare, attraverso apposite convenzioni, specifici plafond di risorse, finalizzati a favorire l’accesso al credito delle PMI. Inoltre, l'ABI e la Cassa depositi e prestiti hanno sottoscritto, il 1° marzo 2012, una nuova convenzione che disciplina le modalità con cui le banche potranno utilizzare il nuovo plafond di 10 miliardi di euro per il finanziamento delle piccole e medie imprese, messo a disposizione dalla stessa Cdp a seguito del sostanziale esaurimento del plafond di 8 miliardi attivato a fine 2009.
Si rammenta che il 20 giugno 2012 la Camera ha approvato la risoluzione 6-00110 che, tra l’altro, impegna il Governo ad aiutare il sistema creditizio tramite il rafforzamento dei sistemi di garanzia, cambiando l'approccio troppo prudente verso le piccole e medie imprese. In particolare si chiede che la seconda tranche di prestiti che la Banca centrale europea (si veda in merito il tema web sulla stabilita' del sistema creditizio ha messo a disposizione delle banche vada a sostegno delle imprese e delle famiglie e che siano adottate iniziative che agevolino con tassi d'interesse favorevoli l'accesso al credito.
In questa sede è opportuno fare cenno alle ulteriori, seguenti misure che, sebbene non attuate mediante i canali creditizi, sono state finalizzate al rifinanziamento delle imprese ed a favorire la provvista di liquidità:
Il decreto-legge "sviluppo" (D.L. 83 del 2012) ed il decreto "sviluppo-bis” (D.L.n. 179 del 2012) hanno introdotto disposizioni volte a consentire anche alle società non quotate di accedere alla raccolta del capitale di debito, soprattutto a causa della crisi economica che ha ridotto la capacità di fornire prestiti da parte delle banche. Con la riforma delle disposizioni civilistiche e fiscali relative alle cambiali finanziarie e ai titoli obbligazionari, dunque, anche alle società italiane non quotate è ora permesso ricorre all’emissione di strumenti di debito destinati ai mercati domestici ed internazionali. E' stato inoltre disciplinato il regime fiscale applicabile alle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 emesse dalle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità (project bond). L'Agenzia delle entrate con la circolare n. 4/E del 6 marzo 2013 ha indicato il regime fiscale e le modalità applicative riguardo ai nuovi strumenti di finanziamento per le PMI: cambiali finanziarie, titoli obbligazionari e project bond.
Si ricordano, da ultimo, le modifiche normative intervenute in materia di partenariato pubblico-privato per le quali si rinvia al tema Il Codice dei contratti pubblici, che hanno inciso in modo particolare sulla disciplina delle infrastrutture strategiche.
Per quanto concerne la finanza di progetto (project financing), l'art. 41, comma 5-bis, del D.L. 201/2011 ha disciplinato una specifica procedura che si applica alla lista delle infrastrutture inserite nel Programma delle infrastrutture strategiche (PIS) qualora intendano ricorrervi i soggetti aggiudicatori. In relazione alla possibilità di presentare proposte, analogamente a quanto previsto per le procedure di finanza di progetto ordinarie, l’articolo 42 del decreto legge n. 1 del 2012 ha introdotto il diritto di prelazione per il proponente che apporta le eventuali modifiche intervenute in fase di approvazione del CIPE.
Nuove misure per agevolare il finanziamento delle opere da parte dei privati riguardano la cosiddetta defiscalizzazione introdotta dall'art. 18 della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012), modificata in più occasioni nel corso del 2012 e da ultimo dall'art. 33, comma 3, del D.L. 179/2012. In particolare, al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente, da realizzare con contratti di partenariato pubblico privato, possono essere previste, per le società di progetto nonché, a seconda delle diverse tipologie di contratto, per il soggetto interessato, ivi inclusi i soggetti concessionari, misure agevolative, che consistono nella possibilità di compensare l’ammontare dovuto a titolo di specifiche imposte, in via totale o parziale, con le somme da versare al concessionario a titolo di contributo pubblico a fondo perduto per la realizzazione dell’infrastruttura, mediante riduzione o azzeramento di quest’ultimo, in modo da assicurare la sostenibilità economica dell'operazione di partenariato pubblico privato tenuto conto delle condizioni di mercato.
L’art. 33, comma 1, del D.L. 179/2012, al fine di agevolare la realizzazione di nuove opere infrastrutturali, riconosce, in via sperimentale, ai soggetti titolari di contratti di PPP, ivi comprese le società di progetto, un credito di imposta a valere sull’IRES e sull’IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell’opera stessa. Tali opere devono essere di importo superiore a 500 milioni di euro e realizzate mediante l’utilizzazione dei contratti di PPP. Devono, inoltre, essere approvate – in relazione alla progettazione definitiva - entro il 31 dicembre 2015, non devono usufruire di contributi pubblici a fondo perduto; ne deve essere, infine, accertata, in esito a una specifica procedura che coinvolge il CIPE, la non sostenibilità del piano economico finanziario (PEF).
Da ultimo,si segnala che è stata introdotta la possibilità per le imprese di assicurazione di utilizzare, a copertura delle riserve tecniche, anche attivi costituiti da investimenti nel settore delle infrastrutture (art. 42, commi 6 e 7, del D.L. 201 del 2011) e l'emissione di obbligazioni "di scopo”, vale a dire finalizzate al finanziamento di specifiche opere pubbliche, da parte degli enti locali (art. 54 del D.L. 1/2012).
L'attività parlamentare in tema di strumenti di pagamento ha mirato ad adeguare le norme interne alle indicazioni europee - anche per realizzare l'Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) - e rafforzare gli organi preposti alla lotta al finanziamento del terrorismo. Diversi interventi hanno promosso l'utilizzo di pagamenti tracciabili, disincentivando l'uso del contante, anche in funzione del contrasto all'evasione fiscale.
Incidendo sull'articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 (contrasto al riciclaggio) l'articolo 12 del D. L. 201/2011 ha disposto il divieto di trasferire denaro contante o titoli al portatore per somme maggiori o uguali a 1.000 euro. La soglia precedente per l'utilizzo del danaro contante e dei titoli al portatore era di 2.500.
Successivamente sono stati disciplinati due casi in cui è possibile derogare al generale divieto di utilizzo del contante dai 1.000 euro: il D.L. 16/2012 ha previsto che gli operatori del settore del commercio al minuto e agenzie di viaggio e turismo possono vendere beni e servizi a cittadini stranieri non residenti in Italia, entro il limite di 15.000 euro, in deroga alle norme sulla limitazione all’uso del contante, utilizzando un'apposita procedura; il D.Lgs. 169/2012 ha elevato a 2.500 euro la soglia per le attività svolte dai cambiavalute con i clienti.
ll D.L 158/2012 ha disposto che i pagamenti relativi alle prestazioni libero professionali rese dai medici sia negli studi autorizzati in rete, sia intramoenia, dovranno essere effettuati unicamente mediante mezzi di pagamento che assicurino la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo.
In considerazione della riduzione della soglia massima di utilizzo del contante a 1.000 euro e del previsto obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di effettuare le operazioni di pagamento - ivi compresi l'erogazione di stipendi, pensioni e compensi - di importo superiore a mille euro mediante strumenti di pagamento elettronici e carte elettroniche istituzionali, l'articolo 12 del D.L. 201 del 2011 (ai commi da 3 a 8) ha previsto l'istituzione del conto di base (conto corrente o conto di pagamento) che le banche sono tenute ad offrire senza prevedere costi di gestione per determinate categorie. La Convenzione tra il Ministero dell’economia e delle finanze, la Banca d’Italia, l’Associazione bancaria italiana, Poste italiane SpA e le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento che definisce modalità e caratteristiche del conto, firmata il 28 marzo 2012, è operativa dal 1° giugno 2012. Il conto di base include, a fronte di un canone annuale onnicomprensivo, un certo numero di operazioni annue per determinati servizi. E’ prevista la gratuità del canone per i consumatori rientranti nelle fasce socialmente svantaggiate, nonché la gratuità di particolari servizi per i titolari di trattamenti pensionistici fino a 1.500 euro mensili.
Sul versante dei pagamenti verso la pubblica amministrazione l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che, a partire dal 1° giugno 2013, le PA e i gestori di pubblici servizi nei loro rapporti con l'utenza siano tenuti ad accettare pagamenti loro spettanti anche attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione: a tal fine devono comunicare sui propri siti istituzionali il codice IBAN per il pagamento tramite bonifico ovvero gli identificativi del conto corrente postale. Gli stessi soggetti si avvalgono, inoltre, di prestatori di servizi di pagamento per consentire ai privati di effettuare i pagamenti in loro favore attraverso l'utilizzo di carte di debito, di credito, prepagate ovvero di altri strumenti di pagamento elettronico disponibili, che consentano anche l'addebito in conto corrente, indicando sempre le condizioni, anche economiche, per il loro utilizzo.
Per quanto riguarda i pagamenti nei settori del commercio e dei servizi, l'articolo 15 del D.L. 179 del 2012 ha previsto che a decorrere dal 1° gennaio 2014 i soggetti che effettuano l'attivita' di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito ovvero attraverso carte di pagamento. Con D.M. saranno disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalita' e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati.
Il D.Lgs. n. 11 del 2010, emanato in attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (Payment Services Directive - PSD), ha introdotto nell’ordinamento italiano la figura degli istituti di pagamento, intermediari che insieme a banche e Istituti di moneta elettronica effettuano servizi di pagamento (nuovi Titoli V-bis e Titolo V-ter del T.U.B.). Il D.Lgs. n. 45 del 2012 ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2009/110/CE concernente gli istituti di moneta elettronica. Rispetto alla previgente regolamentazione sono state ampliate le possibilità operative degli IMEL: oltre a poter svolgere l'attività di emissione di moneta elettronica possono anche prestare i servizi di pagamento nonché ulteriori attività imprenditoriali (c.d. "IMEL ibridi"). Si ricorda che in ambito comunitario è stata istituita la SEPA ovvero la Single Euro Payments Area (Area Unica dei Pagamenti in Euro), l'area in cui i cittadini, le imprese, le pubbliche amministrazioni e gli altri operatori economici possono effettuare e ricevere pagamenti in euro con strumenti diversi dal contante, sia all'interno dei confini nazionali che fra i paesi che ne fanno parte, secondo condizioni di base, diritti ed obblighi uniformi. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al tema "La tutela del cliente bancario".
Il D. Lgs. 11 maggio 2009, n. 54 ha introdotto disposizioni sull’accesso agli atti del Comitato di sicurezza finanziaria, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze in ottemperanza agli obblighi internazionali dell’Italia nel contrasto al finanziamento del terrorismo e all'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale. Il Comitato ha il compito di operare le misure di congelamento di beni disposte dalle Nazioni unite e dall'Unione europea per i scopi antiterroristici. Le norme di attuazione (decreto ministeriale) cui è demandata la disciplina del funzionamento del Comitato devono prevedere quali categorie di documenti, formati o comunque rientranti nella disponibilità del Comitato, sono sottratti alla disciplina del normale diritto di accesso agli atti e ai documenti amministrativi. In attuazione della suddetta prescrizione è stato emanato il D.M. 20 2010 n. 203.
Si segnala che il D. Lgs. 25 settembre 2009, n. 151 ha recato alcune correzioni e integrazioni alle vigenti norme antiriciclaggio (contenute nel D. Lgs. 231/2007) .
L'articolo 3 del Piano straordinario contro le mafie (legge n. 136 del 2010, come modificata dal D.L. n. 187/2010) ha introdotto disposizioni volte a garantire la tracciabilità dei flussi finanziari nelle procedure relative a lavori, servizi e forniture pubbliche: è previsto in particolare che i contraenti debbano utilizzare – salvo eccezioni specificamente indicate – conti correnti dedicati alle pubbliche commesse, ove appoggiare i relativi movimenti finanziari, ed effettuare i pagamenti con modalità tracciabili. La tracciabilità dei flussi finanziari è altresì tutelata mediante l’obbligo di indicare il Codice unico di progetto – CUP, assegnato a ciascun investimento pubblico sottostante alle commesse pubbliche, al momento del pagamento relativo a ciascuna transazione effettuata in seno ai relativi interventi.