Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento agricoltura
Titolo: L'attività delle Commissioni nella XVI legislatura- XIII Commissione Agricoltura
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 1    Progressivo: 13
Data: 22/03/2013
Organi della Camera: VI-Finanze

La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.

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Indice

Agricoltura, caccia e pesca 1
Etichettatura d'origine 4
Iter del regolamento UE 1169/2011 sulle informazioni alimentari per i consumatori 10
Le quote latte 14
Il quantitativo globale assegnato all'Italia 20
La sospensione dei pagamenti 22
Modalità di riscossione coattiva 23
Verso l'abolizione delle quote: i nuovi rapporti contrattuali 25
Ricerca in agricoltura 27
Caccia 31
Il regime della caccia in deroga 36
Indagine sui danni causati dalla fauna selvatica 41
Proposte di aggiornamento della legge 42
I prezzi agroalimentari 45
Controllo e monitoraggio dei prezzi 53
Indagine conoscitiva della XIII Commissione sui prezzi agroalimentari 57
Trasporto, smaltimento e riutilizzo dei rifiuti 59
Le agroenergie 61
Pesca: il sostegno del comparto 66
Fenomeni di illegalità in agricoltura 72
Salvaguardia della biodiversità in agricoltura 75
Unione europea e biodiversità 77
Il codice dell'attività agricola 81
Pacchetto UE pesca 83
Pacchetto UE qualità dei prodotti agricoli 85
Riforma della PAC 2014 - 2020 87

XIII Agricoltura

Agricoltura, caccia e pesca

La politica agricola perseguita nel corso della XVI Legislatura si è caratterizzata per un'attenzione particolare ad alcune tematiche, quali la riforma della politica agricola comune, la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari italiane, anche attraverso la discussione di proposte per la conservazione della biodiversità agricola e la tutela dei prodotti locali, l'aumento della competitività del settore, tramite l'introduzione di nuovi strumenti a maggiore tutela dell'agricoltore nelle transazioni commerciali, la riforma di alcuni enti del settore in un processo di revisione della spesa che ha visto coinvolta complessivamente l'amministrazione pubblica nonché la previsione di alcune novità dal punto di vista fiscale, tra le quali, l'introduzione dell'IMU in agricoltura.

La Commissione europea il 12 ottobre 2011 ha presentato un pacchetto di proposte relative alla riforma della politica agricola comune (PAC ) per il periodo 2014-2020. Il 31 luglio 2012 la Commissione agricoltura della Camera dei deputati, nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, ha approvato un documento finale sul pacchetto di proposte.

Con riguardo alla politica comune della pesca (PCP ), la Commissione europea nel mese di luglio 2011 ha presentato un pacchetto di proposte, tuttora in corso di discussione presso le istituzioni UE, volto a gestire il settore della pesca con un approccio globale, garantendo la sopravvivenza sia degli stock ittici che dei mezzi di sussistenza dei pescatori, frenando l’eccessivo sfruttamento e il depauperamento degli stock, utilizzando il più possibile le conoscenze scientifiche, assicurando il decentramento a livello delle regioni e dei bacini marittimi, definendo migliori norme di governance nell’Unione e a livello internazionale tramite accordi di pesca sostenibile.La XIII Commissione agricoltura, nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, il 31 luglio 2012 ha approvato un documento finale sul pacchetto di proposte.

Particolarmente rilevante per l’Italia è stato il confronto con l’Unione europea in merito alle politiche di tutela della qualita' delle produzioni agroalimentari.

La politica europea della qualità dei prodotti agricoli è associata a tre regimi prevalenti: le denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette, l’agricoltura biologica e le specialità tradizionali garantite. Al di fuori di tale ambito, l’Europa considera l'indicazione di origine come elemento distorsivo della libera concorrenza, non ritenendo che la stessa configuri un valore aggiuntivo rispetto alla materia agricola commercializzata, in quanto non inerente le caratteristiche organolettiche del prodotto.

Questa impostazione è stata da sempre contrastata dall’Italia che, oltre ad avere il primato delle produzioni di origine, considera l’informazione sull’origine del prodotto fornita al consumatore nell’etichetta una garanzia per tutelare la qualità delle sue produzioni, anche in contrasto con i numerosi tentativi di falsificazione e contraffazione perpetrati a danno del prodotto italiano.

Ultimamente l’Unione europea ha assunto sempre maggiore consapevolezza del fatto che la qualità e la varietà della produzione agricola rappresentano un punto di forza ed un vantaggio competitivo per i produttori dell’Unione europea.

A tal fine il 10 dicembre 2010 la Commissione europea ha presentato un insieme di proposte di riforma, note come pacchetto qualita' , che per la prima volta definiscono in maniera complessiva i sistemi di certificazione, di indicazione delle proprietà dei prodotti agricoli e di commercializzazione. Dopo una lunga trattativa in sede europea, la riforma in esame è stata approvata con il regolamento CE 21 novembre 2012, n. 1151 . La XIII Commissione agricoltura della Camera ha dedicato numerose sedute all’esame delle proposte di modifica e, dopo aver ascoltato numerosi soggetti competenti sulla tematica, ha approvato 16 marzo 2011 una risoluzione in merito

Data, comunque, l’importanza ed il ruolo strategico delle produzioni di qualità per il settore primario italiano, nel corso della Legislatura sono state approvate numerose disposizioni volte a rafforzarne la tutela contro ogni tentativo di contraffazione e a valorizzarne la produzione.

In primo luogo è stata approvata la legge n. 4 del 2011, che, al fine di assicurare una completa informazione ai consumatori, ha disposto l’obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza . La definizione delle modalità applicative è stata rinviata all’adozione di decreti interministeriali, non ancora emanati proprio in ragione dei possibili contrasti con la normativa europea. Infatti, le disposizioni nazionali devono essere definite anche alla luce della normativa approvata dall'Europa che, prima con la direttiva 2000/13/CE, poi con il regolamento (CE) n. 1169/2011, ha regolato la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare.

E' stato, inoltre, introdotto un regime facoltativo di etichettatura dei prodotti della pesca che consente di indicare la provenienza del prodotto nella fase di vendita al dettaglio e somministrazione: la dicitura può essere "prodotto italiano", o altra che indichi l'origine nazionale o con precisione la zona di cattura.

Nel corso del 2012 la Commissione Agricoltura ha avviato inoltre l'esame di talune proposte volte ad aumentare il contenuto di frutta fresca nelle bevande di frutta o a base di frutta, con la previsione dell’obbligo di indicare in etichetta l’origine o la provenienza del prodotto (ovvero il luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale), l’origine o provenienza della frutta utilizzata (luogo di coltivazione), nonché la percentuale del frutto naturale contenuto. Il contenuto della proposte, che non hanno completato l’iter parlamentare, è stato in parte trasposto nel decreto legge n. 158/12, cosiddetto "decreto salute", che ha elevato il contenuto di frutta delle bevande analcoliche con il nome di uno o più frutti dai precedenti 12 gr. per 100 ad una presenza minima del 20%.

E' stato infine approvato il 18 dicembre 2012, proprio allo spirare della legislatura, il disegno di legge con il quale sono state definite le norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. La legge contiene un articolato complesso di disposizioni tese a tutelare e valorizzare la produzione nazionale di maggior pregio.

In merito alle politiche di riforma del comparto, oltre ad una riduzione delle spese di funzionamento del Dicastero agricolo, si è, in parte riorganizzato il sistema degli enti pubblici collegati al comparto , riformando alcune competenze dell’Agea, sopprimendo l’INRAN e la società Buonitalia, le cui funzioni sono state trasferite, rispettivamente al CRA e all’Agenzia per la promozione all’estero- ICE. Anche il settore dell’ippica è stato profondamente riformato, dapprima istituendo l’ASSI, Agenzia per lo sviluppo del settore ippico, poi sopprimendola ed attribuendo le relative funzioni al Ministero delle politiche agricole e all’Agenzia delle dogane.

In termini di competitività del settore, sono state approvate nuove disposizioni in materia di disciplina delle relazioni commerciali per la cessione dei prodotti agricoli ed agroalimentari; è stato previsto che i contratti abbiano la forma scritta e debbano indicare la durata, le quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo e le modalità di consegna e di pagamento.

Nel campo fiscale , il comparto primario è stato interessato da una profonda riforma che ha visto l’introduzione dell’IMU sui fabbricati rurali, con una distinzione di aliquota tra quelli ad uso abitativo e quelli ad uso strumentale; per questi ultimi si prevede un’aliquota ridotta allo 0,2 per cento, con facoltà dei comuni di diminuirla ulteriormente fino allo 0,1 per cento. Ulteriore importante intervento è stato inserito nella legge di stabilità 2012, con l’abrogazione, a decorrere dal 2015, delle disposizioni che consentono alle società agricole di optare per l'applicazione di un regime fiscale più favorevole e che attribuiscono carattere agricolo a quelle società che esercitano esclusivamente le attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci.

L'assegnazione di nuove quote di produzione lattiera all'Italia ha indotto il Governo a definire nel 2009 nuovi criteri per il riparto del contingente tra i produttori del settore, concedendo nel contempo una nuova possibilità di rateizzare il prelievo non versato. Negli anni successivi sono state approvate ulteriori norme che hanno dilazionato i tempi di versamento delle rate, hanno delineato una nuova ipotesi di rateizzazione ed hanno più volte modificato il sistema di riscossione.

Nell'ambito del processo di semplificazione della normativa vigente, il Governo ha presentato alle Camere per il parere una proposta di riforma complessiva della normativa sull'attività agricola (c.d. codice dell'attività agricola) . Tale provvedimento non ha completato l'iter previsto ed è, quindi, rimasto allo stato di proposta.

In ordine alle problematiche relative alla disciplina della caccia , mentre al Senato sono state discusse talune proposte di riforma complessiva del settore, alla Camera, presso la XIII Commissione Agricoltura, si è svolta un'indagine conoscitiva sui danni provocati agli agricoltori dalla fauna selvatica; dalle conclusioni contenute nel documento è stato avviato l'esame in sede referente di talune proposte volte proprio ad introdurre nell'ordinamento quelle modifiche necessarie a risarcire gli agricoltori e a monitorare con maggiore consapevolezza la pressione faunistica nelle diverse zone a vocazione agricola. Nella legge comunitaria 2009 sono state, poi, approvate talune disposizioni di modifica della legge quadro in materia di caccia (legge n. 157 del 1992), anche nel tentativo di fornire una risposta alle contestazioni che la Commissione Europea ha avanzato all’Italia con numerose procedure di infrazione per incompleto o cattivo recepimento della normativa comunitaria.

Per la prima volta è stato affrontato il tema riguardante l'agricoltura sociale, l'attività, cioè, svolta dall'agricoltore e consistente nella fornitura di servizi di assistenza sociale a persone in condizioni di disagio fisico e psichico; tale assistenza può trovare la sua esplicazione sia nella stessa attività di coltivazione dei campi sia nel fornire alloggio e cura in un contesto agricolo. La XIII Commissione ha svolto al riguardo un'indagine conoscitiva ed ha avviato l'esame di talune proposte di legge, arrivando all'approvazione, nella seduta del 17 ottobre 2012, di un testo base.

Etichettatura d'origine

Approvata all'unanimità la legge n. 4 del 2011 che individua nell'indicazione in etichetta del luogo di origine del prodotto lo strumento idoneo ad informare correttamente il consumatore. Nella stessa direzione vanno le norme del decreto legge n. 83/2012, che consentono di indicare anche l'origine dei prodotti della pesca. Al termine della Legislatura approvata l'attesa legge per la trasparenza del mercato dell'olio d'oliva vergine, che include severe indicazioni sull'etichettatura. Previsto anche l'aumento del contenuto di frutta nelle bevande analcoliche alla frutta.

Il processo di costituzione e consolidamento dell’unificazione europea si è accompagnato a una giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha ritenuto incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine (Dop) e alle indicazioni di provenienza (Igp). Per i restanti prodotti alimentari è stato sinora fissato il principio che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza possa essere resa obbligatoria solo nella ipotesi che l'omissione dell'indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (art. 3 della direttiva 2000/13/CE, recepito dall’art. 3 del D.Lgs. n. 109/1992). Il principio è stato confermato anche con il regolamento (CE) n. 1169/2011, che in sostituzione della precedente direttiva ha tuttavia esteso a talune carni l'obbligo di indicarne l'origine (art. 26, par. 2).

Il legislatore nazionale ha tradizionalmente attribuito invece grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare, anche ponendosi potenzialmente in contrasto con la politica adottata dalla Comunità. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze, e pertanto il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio - quindi degno di segnalazione al consumatore - anche per le produzioni non "a denominazione protetta". 

Con l'approvazione nel 2004 dell’articolo 1-bis del decreto legge n. 157/04 è così stato introdotto l’obbligo generalizzato di indicare il luogo di origine della componente agricola incorporata in qualsiasi “prodotto alimentare”, trasformato e non trasformato. Alla luce tuttavia della legislazione comunitaria la circolare 1° dicembre 2004 del Ministero delle politiche agricole ha rilevato che il decreto legge “contiene molteplici principi e disposizioni che richiedono una corretta interpretazione”, e dovevano ritenersi non immediatamente operative le disposizioni sull’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine dei prodotti. La norma è tuttora in vigore, e dovrà ritenersi abrogata al momento dell'entrata in vigore dei decreti attuativi dell'art. 4 della legge n. 4/11, sull'etichettatura.

I più recenti orientamenti sembrano infine aver preso una diversa direzione. La proposta di regolamento COM(2010)738def, di modifica delle norme di commercializzazione scritte al reg. (CE) n. 1234/2007, prevede che sarà introdotta nel diritto comunitario "una base giuridica che imporrà l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione". "Dopo avere svolto un'adeguata valutazione d'impatto, in funzione delle esigenze specifiche la Commissione potrà così adottare atti delegati che dispongano l'obbligo di indicare in etichetta il luogo di produzione al livello geografico appropriato per rispondere alle aspettative dei consumatori in fatto di trasparenza e informazione".

 


 

Etichettature dei prodotti alimentari

La XIII Commissione (Agricoltura) della Camera, in sede legislativa, ha definitivamente approvato all'unanimità l'AC 2260-bis-B, divenuto la legge n. 4 del 3 febbraio 2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari.

Il testo approvato è il frutto di un iter parlamentare piuttosto complesso, poiché proviene dallo stralcio da un più ampio disegno di legge di iniziativa governativa (C.2260), volto al rilancio competitivo del sistema agroalimentare. Nel corso dell’esame alla Camera la Commissione Agricoltura, posto il ristretto margine di disponibilità in ordine alla copertura finanziaria, ha deciso di concentrare l’esame del provvedimento sulla tematica della promozione del valore delle produzioni (C.2260-BIS), disponendo lo stralcio delle altre disposizioni che avevano ad oggetto questioni quali: le agevolazioni previdenziali per le aree montane e svantaggiate, il sostegno per il settore bieticolo-saccarifero nonché il riordino delle agroenergie. Tali ultime norme (C.2260-Ter) non hanno poi completato l'esame parlamentare.

Il testo del disegno di legge, divenuto poi legge, risulta pertanto incentrato sull'esigenza di promuovere il sistema produttivo nazionale nel quale la qualità dei prodotti è frutto del legame con i territori di origine, e sulla pari necessità di trasmettere al consumatore le informazioni sull'origine territoriale del prodotto, alla base delle dette qualità. Il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori è infatti alla base delle norme (artt. 4 e 5) che dispongono l’obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza, in accordo con i più recenti orientamenti che stanno maturando in ambito comunitario (per i quali si veda il tema "Pacchetto qualità dei prodotti agricoli"). Per i prodotti alimentari non trasformati, il luogo di origine o di provenienza è il Paese di produzione dei prodotti; per i prodotti trasformati la provenienza è da intendersi come il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione. L’etichetta deve altresì segnalare l’eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale. Le norme, che demandano sostanzialmente alle regioni l'attività di controllo, sono peraltro rafforzate da dispozioni sanzionatorie (così il comma 10 dell'articolo 4), che prevedono l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria compresa fra 1.600 euro e 9.500 euro per i prodotti non etichettati correttamente.

Le modalità applicative dell'indicazione obbligatoria d'origine sono state demandate a decreti interministeriali che debbono anche definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggetti all'etichettatura d'origine. Le disposizioni nazionali non potranno che essere coerenti con la normativa approvata dall'Europa che, prima con la direttiva 2000/13/CE, poi con il regolamento (CE) n. 1169/2011, ha disciplinato le modalità e i contenuti informativi da trasmettere ai consumatori, e si applica agli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare. Lo specifico articolo 26 stabilisce condizioni e modalità dell'indicazione del Paese d'origine o luogo di provenienza degli alimenti, e l'articolo 45 regola la procedura con la quale le norme nazionali debbono essere notificate alla Commissione ed agli altri Stati membri.

I decreti attuativi non sono stati a tutt'oggi emanati da parte dei dicasteri agricolo e dello sviluppo economico, anche a causa della difficile applicazione della asserita “obbligatorietà” della indicazione di provenienza, laddove le norme comunitarie prevedono solo regimi “facoltativi”. In assenza di tali disposizioni, per l'attuazione dell'articolo 4 della legge n. 4/2011 al Senato è stato presentato un ddl (S.3337) che, approvato il 30 ottobre del 2012, è stato trasmesso alla Camera (C.5559) dove la Commissione XIII (Agricoltura) lo ha esaminato nel corso di tre sedute, da ultimo il 5 dicembre, senza che l'iter potesse concludersi. Il provvedimento stabiliva che i decreti attuativi dovessero essere adottati entro due mesi dall'approvazione della legge.

La difficile ricomposizione delle esigenze del mercato interno con l'adesione all'area comunitaria ha trovato da ultimo una risposta significativa da parte dell Ministro dell'agricoltura nella seduta del 20/9/12, in Aula al Senato. Rispondendo alle interrogazioni sull'attuazione delle norme sull'etichettatura d'origine dei prodotti, il Ministro ha affermato che "Occorre tener presente che la legge n. 4 del 2011 sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari si inserisce in un quadro normativo regolato a livello sovrastante dall’Unione europea e che quindi la redazione dei decreti attuativi pone problemi di compatibilità con la normativa comunitaria vigente". Il Ministro ha poi assicurato di aver predisposto il decreto attuativo per il settore lattiero-caseario (sul latte a lunga conservazione, UHT, pastorizzato microfiltrato e latte pastorizzato ad elevata temperatura), il più importante segmento di mercato tra quelli nei quali non è già in vigore un obbligo di indicazione dell'origine; è invece di prossima definizione un altro decreto per le carni lavorate.

Perseguono le medesime finalità di tutela del Made in Italy le disposizioni approvate con l'art. 43 del decreto legge n. 83/2012 per la crescita del Paese. Lo specifico comma 1-quater, ha novellato l'articolo 4, comma 49-bis della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) che, introdotto unitamente al comma 49-ter dal precedente decreto legge n. 135/09, sanziona la condotta del produttore e del licenziatario che maliziosamente omettano di indicare l’origine estera dei prodotti pur utilizzando marchi naturalmente riconducibili a prodotti italiani. Il comma 49-bis definisce le condizioni alle quali l’uso di un marchio costituisce fallace indicazione circa l’origine italiana di un prodotto di origine o provenienza estera: la novella introdotta dal decreto n. 83 reca la definizione di "effettiva origine" per i prodotti alimentari, che è il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima, e il luogo della trasformazione sostanziale.

Etichettatura del pescato

Ancora il decreto legge n. 83/2012, con l'art. 59, commi 14-19, ha introdotto un regime facoltativo di etichettatura dei prodotti della pesca che consente di indicare la provenienza del prodotto nella fase di vendita al dettaglio e somministrazione: la dicitura può essere "prodotto italiano", o altra che indichi l'origine nazionale o con precisione la zona di cattura. Le norme si applicano esclusivamente ai prodotti acquistati direttamente da imprese di pesca - anche cooperative, organizzazioni dei produttori o imprese di acquacoltura, che devono essere in grado di dimostrare l'esattezza delle informazioni sull’origine. Anche per la pesca i dettagli applicativi saranno definiti con un decreto del dicastero agricolo, che dovrà tener conto del regolamento comunitario in materia, reg. n. 2065/01/CE.

In merito all’indicazione della provenienza del pescato, va rammentato che l’etichettatura dei prodotti della pesca è disciplinata dal reg. (CE) n. 104/2000 (che regola l'OCM pesca), che con l’articolo 4 stabilisce che nella vendita al dettaglio al consumatore finale i prodotti debbano indicare in etichetta anche la “zona di cattura”, con la sola esclusione dei piccoli quantitativi di prodotti venduti direttamente dai pescatori ai consumatori. Il reg. (CE) n. 2065/2001, con il quale sono state definite le modalità d’applicazione, ha delimitato le zone di cattura che vengono ora individuate con un codice FAO - il pescato nazionale rientra nella cosiddette “zona FAO 37” che comprende l’intero Mediterraneo, ed ha altresì aggiunto (articolo 5) che gli operatori “possono menzionare una zona di cattura più precisa”.

Tale impianto non poteva che essere confermato dalla disposizioni nazionali di attuazione: decreto ministeriale 27/3/02, sull’etichettatura dei prodotti ittici e sul sistema di controllo, e circolare n. 1329/2002 di approfondimento esplicativo. Va peraltro rammentato che, limitatamente ai prodotti non destinati all'esportazione, l'art. 18 della legge n. 99/09 (per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese) ha stabilito quali siano le informazioni minime che debbono esere fornite per tutte le partite di prodotti della pesca e dell’acquacoltura italiani, proprio per garantire la qualità e una migliore valorizzazione commerciale dei prodotti.

Etichettature delle bevande a base di frutta

Nel corso del 2012 la Commissione Agricoltura ha avviato l'esame di tre proposte (C. 4108, C.4114 e C.5090), per innovare la legislazione sulle bevande di frutta o a base di frutta, modificandone la composizione, la presentazione ed etichettatura, il sistema sanzionatorio di tutela, l'identificazione della produzione con un logo nazionale. L'iniziativa parlamentare era collegata per un verso alla volontà di avviare una produzione con un maggiore valore salutistico, per l'altro ad indurre ad un maggior consumo di frutta, in particolare agrumi, da parte dell'industria di trasformazione, sostenendo così indirettamente la produzione agricola.

Oggetto principale delle modifiche era la produzione e vendita: delle “bevande analcoliche con denominazioni di fantasia”, il cui gusto fondamentale derivi dal contenuto di essenze - o paste aromatizzanti - di agrumi (a titolo di esempio i prodotti commercializzati col nome Lemonsoda, Sanguinella, Sprite…); e delle bevande vendute “con il nome di un frutto” (ad esempio aranciata, limonata…). Le proposte variamente innalzavano il contenuto minimo di succo di frutta, o di agrumi, che avrebbe dovuto essere presente in tali prodotti, non disciplinati da specifiche disposizioni europee. In conseguenza del maggior pregio acquisito dalla produzione nazionale, era introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine o la provenienza del prodotto (ovvero il luogo dove è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale), l’origine o provenienza della frutta utilizzata (luogo di coltivazione), la percentuale del frutto naturale contenuto. L'obbligo dell'indicazione d'origine era peraltro esteso anche ai succhi di frutta (integralmente ottenuti dalla frutta) ed ai nettari (che devono avere un tenore minimo di succo o purea compreso tra il 25% ed il 50%).

Le proposte non hanno ottenuto l'approvazione parlamentare prima dello scadere della legislatura, ma l'art. 8, co. 16 del decreto legge n. 158/12, cosiddetto "decreto salute", ha parzialmente recepito le novità, elevando il contenuto di frutta delle bevande analcoliche con il nome di uno o più frutti dai precedenti 12 gr. per 100 ad una presenza minima del 20%.

Etichettatura degli oli di oliva vergini

E' stato infine approvato il 18 dicembre, proprio allo spirare della legislatura e rinunciando ad introdurre modifiche al testo trasmesso dal Senato, il disegno di legge C.5565 con il quale sono definite le norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. Il provvedimento, tradotto nella legge n. 9/13, è stato approvato all'unanimità, dalla Commissione convocata in sede legislativa.

La legge - fortemente voluta dal comparto, costretto a fronteggiare la concorrenza di produzioni qualitativamente inferiori che si avvalgono di una presentazione ingannevole - contiene in verità un articolato complesso di disposizioni tese a tutelare e valorizzare la produzione nazionale di maggior pregio.

La tutela del settore viene posta in atto introducendo nuove norme relative, fra gli altri, ai seguenti profili: una minuziosa regolazione delle modalità di verifica della presenza delle qualità organolettiche; la dettagliata individuazione delle pratiche commerciali ingannevoli; la disciplina dell'uso dei marchi d'impresa; l'introduzione di termine e modalità di conservazione delle specifiche qualità organolettiche; la regolazione della vendita sottocosto; il rafforzamento degli istituti processuali e investigativi; infine, le disposizioni direttamente volte ad imporre una corretta etichettatura degli oli di oliva vergini, che vanno rintracciate:

L'indicazione dell'origine nell'etichetta degli oli d'oliva vergini è ormai ammessa dalle disposizioni comunitarie, che l'avevano un primo tempo prevista con il reg. (CE) n. 1019/2002 esclusivamente come "regime facoltativo". Il regime obbligatorio è stato introdotto solo nel 2009 con l'approvazione del reg. (CE) n. 29/2012. Ai sensi dell'art. 4 del provvedimento la designazione dell'origine deve riferirsi alla zona geografica nella quale l'olio è stato ottenuto, che di norma corrisponde alla zona nella quale è stato estratto dalle olive. Tuttavia, se il luogo di raccolta delle olive è diverso da quello di estrazione dell'olio, tale informazione deve essere indicata sugli imballaggi o sulle relative etichette per non indurre in errore il consumatore e non perturbare il mercato dell'olio d'oliva.

E’ prossimo alla definitiva redazione lo schema di decreto del ministro delle politiche agricole (del 12 dicembre), istitutivo del sistema di qualità alimentare nazionale per l'olio extravergine di oliva SQN OLIO. L’adesione al sistema è volontaria, comporta il rispetto del disciplinare associato e la sottoposizione al sistema di controllo, ma autorizzerà l’operatore ad identificare il prodotto con la dicitura “Olio Extra Vergine Alta Qualità”, che potrà essere apposta in etichetta, anche in associazione al marchio nazionale identificativo dei “sistemi di qualità alimentare nazionale”.

Le disposizioni comunitarie che defiscono sistemi di qualità alimentare, prevendone anche il sostegno da parte dell'UE, fanno capo al reg. (CE) n. 1698/2005 sul sostegno allo sviluppo rurale. L'articolo 32 prefigura un incentivo, sotto forma di erogazione annuale, per prodotti agricoli destinati al consumo umano che rientrino nei sistemi di qualità alimentare comunitari o riconosciuti dagli Stati membri. L'articolo 22 del reg. (CE) n. 1974/2006, di applicazione del menzionato reg. n. 1698, detta i criteri cui debbono rispondere i sistemi, fra i quali: una qualità del prodotto finale significativamente superiore alle norme commerciali correnti in termini di sanità pubblica, salute delle piante e degli animali, benessere degli animali o tutela ambientale.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Approfondimento: Iter del regolamento UE 1169/2011 sulle informazioni alimentari per i consumatori



Il Regolamento UE 1169/2011

 

Nella Gazzetta Ufficiale dell’UE del 22 novembre 2011 è stato pubblicato il Regolamento UE n.1169 del 25 ottobre 2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Anche se gli obiettivi originari e i principali componenti dell’attuale legislazione sull’etichettatura continuano ad essere validi, il regolamento è volto a razionalizzarla al fine di agevolarne il rispetto ed accrescere la chiarezza per le parti interessate. Il campo di applicazione, salvo requisiti di etichettatura stabiliti da specifiche disposizioni dell’Unione per particolari alimenti, riguarda: gli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena alimentare quando le loro attività riguardano le informazioni sugli alimenti ai consumatori; tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, compresi quelli forniti dalle collettività e a quelli destinati alla fornitura delle collettività; i servizi di ristorazione forniti da imprese di trasporto quando il luogo di partenza si trovi nel territorio di Stati membri cui si applica il Trattato.

Tra le altre disposizioni il regolamento prevede l'obbligatorietà delle indicazioni per: la denominazione dell'alimento; l'elenco degli ingredienti; la sua quantità netta; la data di scadenza; le eventuali condizioni particolari di conservazione; il nome e l'indirizzo dell'operatore del settore; il paese d'origine o luogo di provenienza nel caso in cui l'omissione possa indurre in errore il consumatore e secondo le disposizioni di cui all'art. 26 del regolamento stesso; per le bevande con più di 1,2% di alcol in volume, il titolo alcolometrico volumico effettivo; le informazioni nutrizionali per i prodotti pre-confezionati.

Il regolamento si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014, al fine di consentire agli Stati membri di adeguarsi alle nuove disposizioni.



L'iter del regolamento presso le istituzioni UE

L'iter di approvazione del regolamento è stato particolarmente lungo e complesso.
La Commissione europea aveva presentato la proposta di regolamento il 30 gennaio 2008 (COM(2008)40).



Contenuto della proposta

In particolare il provvedimento fondeva e modificava:

In materia di etichettatura dei prodotti alimentari:

L’articolo 42 della proposta disponeva l’obbligo per gli Stati membri che ritenessero necessario adottare una nuova legislazione concernente l'informazione sui prodotti alimentari di notificare previamente alla Commissione e agli altri Stati membri le misure previste, precisandone i motivi. Ogni qualvolta si fosse dovuto applicare la suesposta procedura di notifica non si sarebbe applicata la procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche prevista dalla direttiva CE 34 del 1998.



Iter della proposta

La proposta è stata esaminata secondo la procedura legislativa ordinaria.
Il Consiglio Agricoltura del 14 dicembre 2009 ha preso atto della proposta.

La Commissione ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare del Parlamento europeo il 19 aprile 2010 ha approvato con emendamenti una proposta di risoluzione e il 16 giugno dello stesso anno il Parlamento europeo in sessione plenaria, secondo la procedura legislativa ordinaria in prima lettura, ha approvato una risoluzione.

Dopo la riunione del 7 e 8 giugno 2010, Il Consiglio Occupazione, politiche sociali, sanità e consumatori del 7 dicembre 2010 ha raggiunto un accordo politico in prima lettura. Diventava obbligatoria l’indicazione degli indicatori nutrizionali, dei valori energetici e delle quantità di certi elementi (grassi, acidi grassi saturi, proteine, zucchero e sale) mentre l’indicazione del paese d’origine era obbligatoria solo nel caso in cui la sua assenza avrebbe indotto in errore il consumatore.

La proposta prevedeva poi: la possibilità per i singoli paesi di introdurre in etichetta informazioni aggiuntive nonché schemi di informazione nutrizionale ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa vigente; l'indicazione obbligatoria dell'origine per diversi tipi di carne (suina, ovina e avicola), la presentazione da parte della Commissione entro tre anni dall'entrata in vigore del nuovo regolamento di un rapporto sulla possibile estensione dell'indicazione obbligatoria di origine ad ulteriori prodotti (latte, latte usato come ingrediente, carne usata come ingrediente, alimenti non trasformati, prodotti a singolo ingrediente, ingredienti che rappresentano piu' del 50 per cento di un alimento). Erano esentate dagli obblighi sull'etichettatura nutrizionale oltre che sull'indicazione della lista di ingredienti alcune bevande alcoliche (come vini, prodotti derivati da vini aromatizzati, vino di miele, birra ecc.).

Il Consiglio agricoltura del 21 febbraio 2011 ha approvato, in prima lettura, con il voto contrario dell’Italia, una posizione sulla proposta di regolamento che sarebbe stata inviata al Parlamento europeo per la seconda lettura. La posizione del Consiglio, tra l’altro rendeva obbligatoria:

Erano obbligatorie, tra l’altro, le indicazioni relative a:

- denominazione dell'alimento;

- elenco degli ingredienti;

- quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;

- termine minimo di conservazione o data di scadenza;

- condizioni particolari di conservazione;

- nome o ragione sociale e indirizzo dell'operatore del settore;

- paese d'origine o luogo di provenienza (ove previsto);

- dichiarazione nutrizionale

Il 22 febbraio2011 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla citata posizione del Consiglio in cui, dopo avere ricordato di avere accolto 113 dei 247 emendamenti adottati dal PE in prima lettura, ha affermato che, pur non volendosi opporre a un voto espresso a maggioranza qualificata, il testo approvato dal Consiglio conteneva elementi che si discostavano dalla proposta della Commissione e non teneva conto del parere in prima lettura del PE e, di conseguenza, degli emendamenti del PE che la Commissione aveva indicato di poter accettare.

Il 19 aprile 2011 la Commissione ambiente del PE ha approvato in seconda lettura la proposta.

Il testo approvato prevedeva, tra l’altro, l’obbligo di assicurare una maggiore leggibilità dei caratteri; di indicare, anche per gli alimenti venduti nei ristoranti, nelle bancarelle e nelle mense, la lista completa degli allergeni, al momento presente solo sui prodotti preconfezionati; di specificare la data di congelamento di carne non lavorata, pollame e pesce, nonché l’origine di tutti i singoli ingredienti del prodotto (carne, pollame, latticini, frutta e verdura) e di alcuni cibi trattati. Erano esclusi i prodotti non imballati.

Le quote latte

L'assegnazione di nuove quote di produzione lattiera all'Italia ha indotto il Governo a definire nel 2009 nuovi criteri per il riparto del contingente tra i produttori del settore, concedendo nel contempo una nuova possibilità di rateizzare il prelievo non versato.  Negli anni successivi, rallentando l'attività di riscossione e rischiando un nuovo contenzioso con l'Unione europea, ulteriori norme hanno dilazionato i tempi di versamento delle rate, hanno delineato una nuova ipotesi di rateizzazione, hanno più volte modificato il sistema di riscossione.

Il sistema del contingentamento

Il sistema di contingentamento produttivo definito con il regime delle quote latte è stato introdotto a decorrere dal 1984 - con il reg. (CEE) n. 856/84, che ha inserito l'art. 5-quater nel reg. 804/68 sulla Organizzazione Comune di Mercato del settore lattiero caseario - per ridurre lo squilibrio tra offerta e domanda in Europa e risanare il settore. La normativa comunitaria richiede un complesso sistema organizzativo capace di ripartire il quantitativo globale garantito, attribuito dalla UE ad ogni Stato membro, in quote individuali da assegnare ai produttori, per poi procedere alla riscossione delle multe (il cosiddetto “prelievo supplementare”) dovute dai produttori con eccesso di produzione. Va peraltro precisato che il prelievo è impropriamente definito "multa", perché il suo versamento serve invece "a coprire i costi di smaltimento del latte che supera il quantitativo di riferimento" (così il reg. (CEE) n. 857/84 sull'applicazione del prelievo).
Il meccanismo comunitario peraltro prevede - a decorrere dalla campagna 2003/2004 - la obiettiva responsabilità degli Stati nazionali nei confronti dell'Unione europea nella corretta gestione del sistema, e li rende anche direttamente debitori del prelievo dovuto dalle aziende che viene trattenuto dalla Comunità annualmente decurtandolo dagli aiuti dovuti agli agricoltori per la PAC (art. 3 del reg. 1788/2003 che ha dettato le regole sul prelievo per la fase in atto, e fino al 2014).

 L’applicazione (tardiva) del sistema - ormai prossimo alla scadenza dopo una trentennale gestione del comparto - è stata segnata da continui “splafonamenti” della quota produttiva assegnata al nostro Paese e da un vasto contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie. D’altra parte, l’assegnazione effettuata dalla Comunità non è mai stata ritenuta dall'Italia adeguata alle sue necessità né corrispondente al dato reale di produzione.

Il regime di contingentamento non trova applicazione interna fino al 1991: in tale anno l'articolo unico della legge n. 201/91 stabilisce che le norme comunitarie sul prelievo si applicano a partire dal periodo 1991/92, ponendo a carico dell'AIMA i saldi contabili con la Comunità economica dovuti per i periodi dal 1987/88 al 1990/91; subito dopo la legge 468/92 - prima legge di regolazione organica della materia - procrastina l'applicazione del sistema alla successiva campagna 1992/93. Va chiarito in merito che l'annata di produzione lattiera non coincide con l'anno solare ma inizia il 1° aprile e termina il 31 marzo dell'anno successivo.
Le radici della scelta politica adottata e traslata nelle citate norme si trovano nella stessa legge 468, per la quale "la differita attuazione della normativa comunitaria costituisce atto d'indirizzo di politica economica in agricoltura", e troverebbe la propria ragione nell'esigenza di "tutelare l'utilità sociale, la sicurezza e la libertà dei traffici, la dignità dei lavoratori e di assicurare la tutela dell'ordine pubblico economico" (così il primo comma dell'art. 12 della legge 468 citata).
La mancata adesione al regime comunitario viene in ogni caso sanzionata dalla Comunità e si risolve con l'accordo Ecofin del 21/10/1994, con il quale l'Italia accetta di pagare 3.620 md di lire (pari a 1.870 milioni di euro) addossando allo Stato l'onere conseguente alla mancata riscossione del prelievo per tutto il periodo in cui sono state disattese le norme comunitarie (periodi dal 1988/89 al 1992/93).

L'applicazione del regime resterà in ogni caso travagliata, e porterà il debito complessivo nazionale nei confronti dell'Unione europea, accumulato fino alla campagna 2008/09, a poco meno di 4,4 miliardi di euro così costituiti: 1.870 md per il periodo di mancata applicazione del regime, definitivamente a carico dello Stato; per gli anni successivi sono 300 milioni i debiti non recuperabili e 175 ml. quelli ormai inesigibili; il prelievo ancora da riscuotere e non rateizzato è di 1.586 milioni, cui vanno sommati 478 ml per interessi.
Non sono restati a carico della collettività, perché riscossi dagli allevatori, i seguenti prelievi imputati per eccesso di produzione: 246 milioni versati dai produttori senza rateizzazione; 345,5 ml. versati aderendo al piano di rateizzo previsto dalla legge del 2003; 86 ml. rateizzati con il provvedimento del 2009 (Corte dei conti, relazione approvata con del. n. 20/2012 sulle Quote latte: la gestione degli interventi di recupero delle somme pagate dallo Stato in luogo degli allevatori per eccesso di produzione, p. 33 ss.).

Primo rateizzo e proroghe dei termini di adesione

Il quadro giuridico definito con la legge n. 468 non si rivela sufficiente ed assicurare la piena applicazione del regime delle quote e, per procedere al recupero del debito formatosi presso gli allevatori morosi, nel 2003 il D.L n. 49/03, profondamente modificato dal Parlamento, viene convertito nella legge n. 119/03, tuttora in vigore. Il provvedimento ridefinisce i ruoli e le responsabilità degli operatori della filiera (produttori e acquirenti) e dei soggetti istituzionalmente competenti (dicastero, regioni, Agea che diviene organismo di coordinamento e referente unico per la Comunità europea), e per favorire il riequilibrio tra le quote assegnate e il quantitativo realmente prodotto  liberalizza le vendite di quote produttive, riconosce la possibilità di affitto temporaneo delle quote, vara un programma di abbandono della produzione nelle regioni meno vocate (art. 10).
In ragione delle nuove e più restrittive regole, e nel tentativo di definire la questione delle multe pregresse, l'articolo 10 del decreto consente ai produttori di latte (commi 34-40) di versare l'importo complessivamente dovuto - per le campagne lattiere dal 1995/96 al 2001/02 - in forma rateale, in un periodo non superiore a trenta anni, e senza interessi.

Le disposizioni sono state sostanzialmente accolte in sede comunitaria con l'Accordo Ecofin del 3 giugno 2003, “trasfuso” nella decisione 2003/530/CE. Con tale atto il Consiglio, prendendo atto che l’immediato recupero globale degli importi dovuti avrebbe causato ai singoli produttori “insostenibili problemi finanziari”, valutando positivamente il nuovo quadro normativo disposto con la legge n. 119 ritenuto idoneo alla corretta applicazione del regime delle quote latte, ha riconosciuto l’esistenza di circostanze eccezionali ed ha approvato l'aiuto che la Repubblica italiana intendeva concedere ai produttori di latte, così derogando all’articolo 87 del trattato. Sulle modalità di concessione tuttavia il Consiglio impone con l'accordo: che il periodo di rimborso non superi i 14 anni, che il versamento del dovuto avvenga con rate annuali di pari importo, e che il primo versamento sia effettuato entro il 2004.
Anticipando la disciplina che entrerà in vigore nel 2004, con la menzionata decisione n. 530 l’Italia si sostituisce al produttore inadempiente concedendo alla Comunità di trattenere gli importi delle multe non versati "entro il termine di scadenza", invece che (nell'ipotesi di contenziosi anmministrativi con ordinanze sospensive dei pagamenti) alla "pronuncia definitiva dell'autorità giurisdizionale". Consegentemente l'Italia riconosce un debito pari a 1.386,5 milioni di euro, corrispondente al totale del prelievo oggetto del piano di rateizzo; il debito, suddiviso in tre annualità di pari consistenza, è stato poi assolto con la decurtazione per tre anni degli aiuti comunitari assegnati all'Italia. Dell’importo anticipato dallo Stato italiano, per gli splafonamenti fino alla campagna 2001/02, restano da riscuotere 659 milioni di euro per prelievi non rateizzati cui vanno sommati altri 271 per interessi.  

Va anche rammentato che il termine per l'adesione al piano di rateizzo - che si deve accompagnare con la rinuncia ad ogni contenzioso in essere - è stato oggetto di revisione con successivi provvedimenti misteriali, fino a quando - ottenuto il parere favorevole comunitario con Nota della Commissione n. 002570 del 29 gennaio 2007 - il D.M. 6 luglio 2007 ha approvato uno schema aperto di adesione da parte degli allevatori, in base al quale i produttori di latte possono in qualunque momento, alle condizioni previste con il primo provvedimento del 30 luglio 2003, ottenere di versare il prelievo in 14 rate alle seguenti ulteriori condizioni:
- restando fermo l'obbligo del versamento della prima rata al 2004, le rate già scadute debbono essere versate in un’unica soluzione all’atto del primo versamento e con la maggiorazione degli interessi maturati;
- i prelievi supplementari dovuti per le campagne successive (dal periodo 2002-2003) e già scaduti debbono ugualmente essere versati e con la maggiorazione degli interessi;
- deve essere espresso l’impegno a versare anche in futuro il prelievo dovuto per le campagne successive all’adesione al piano.

Ulteriori piani di rateizzo e sospensione dei pagamenti

Il settore della zootecnia da latte è nuovamente tornato alla ribalta a seguito della decisione delle istituzioni europee di disporre un incremento delle quote produttive attribuite agli Stati membri, in vista dell’abbandono entro il 2015 del sistema di contingentamento. Un primo incremento è stato approvato sulla base di una relazione commissionata dal Consiglio alla Commissione, che concludeva che la situazione del mercato comunitario e del mercato mondiale e l’evoluzione prevista fino al 2014 consentivano un aumento del 2% delle quote, per soddisfare la domanda di prodotti lattiero-caseari emergente dal mercato.
L’incremento, disposto con il regolamento (CE) 248/2008, ha portato ai produttori di latte nazionali 210.601 tonnellate aggiuntive. A tale quantitativo si sono peraltro sommate le 547.881 tonnellate successivamente assegnate dal regolamento (CE) n. 72/2009. In sede di revisione della PAC (con il c.d. HealthCheck), dopo una lunga trattativa condotta dalle autorità nazionali, in considerazione della lamentata inadeguatezza della quota assegnataci, la maggiorazione del 5% spettante all'Italia è stata concessa in unica soluzione nel 2009.

Per la ripartizione tra i produttori della complessiva maggiore quota nazionale di 758.482 tonnellate il Governo ha adottato alcune norme (scritte con il D.L. n. 4/09, non convertito) confluite negli articoli 8-bis-8-septies del D.L. n. 5/09 (legge 433/09), che recava misure per il sostegno dei settori industriali in crisi.
Per agevolare ancora una volta l'adesione al sistema del prelievo supplementare da parte dei produttori eccedentari, l’articolo 8-quater del decreto definisce un nuovo piano di rateizzazione, per somme non inferiori a 25.000 euro, delle multe relative a qualunque campagna lattiera precedente a quella allora in corso del 2008-2009. La dilazione del pagamento, in funzione della sua entità e con l’applicazione di un tasso di interesse crescente, doveva avvenire nei seguenti termini:
- entro tredici anni per i debiti inferiori a 100.000 euro;
- entro ventidue anni per i debiti compresi fra 100.000 e 300.000 euro;
- ed entro trenta anni per i debiti superiori a 300.000 euro.
Le modalità applicative sono state definite con il decreto 10 marzo 2010 del Commissario straordinario per le quote latte (GU n. 70/2010) che, relativamente ai termini di pagamento ha stabilito che:
- per le richieste di rateizzazione presentate dal mese di settembre al mese di febbraio, la rata va versata entro il successivo 30 giugno, e prosegue con la medesima scadenza per tutti i successivi anni di durata del rateizzo;
- per le richieste presentate dal mese di marzo al mese di agosto, la rata va versata entro il successivo 31 dicembre, e così per tutti gli anni di versamento delle rate (salvo l’ultima rata).
Fondamentale è la previsione della revoca delle quote aggiuntive assegnate nei seguenti casi (art. 8-quinquies, co. 7 e 9):
- mancato pagamento del prelievo latte;
- omessa presentazione della richiesta di rateizzazione nel termine stabilito;
- rigetto della richiesta di rateizzazione;
- rinuncia o mancata accettazione da parte del richiedente delle determinazioni del Commissario straordinario;
- mancata effettuazione del versamento, anche per una sola rata.
Altrettanto rilevante è la definizione di una procedura di compensazione – limitata alla prima rata -  tra il debito del produttore richiedente il rateizzo e gli aiuti allo stesso spettanti a titolo della PAC (comma 8).
In ogni caso i termini per il versamento delle rate stabiliti dal Commissario non verranno mantenuti e saranno posticipati per due volte nel 2010.
Per quanto attiene alla sospensione dei pagamenti, interviene per primo il D.L. n. 78/2010 (manovra economica) che introduce (in sede di conversione) l’articolo 40-bis che proroga al 31 dicembre del 2010 il pagamento delle rate in scadenza al 30 giugno 2010, restando, invece, invariato il termine per il versamento delle rate già previste in scadenza al 31 dicembre.
Ma tutti i pagamenti vengono ulteriormente dilazionati al 30 giugno 2011 in sede di conversione del D.L. 225/2010, con l'introduzione nell'articolo 2 del comma 12-duodecies. Per i connessi oneri finanziari quantificati in 5 milioni di euro si attinge alla quota del Fondo esigenze urgenti ed indifferibili destinata: al finanziamento di interventi urgenti di riequilibrio socio-economico, sviluppo dei territori, attività di ricerca, assistenza dei malati oncologici e promozione di attività sportive, culturali e sociali (di cui all’articolo 1, co.40, quarto periodo della legge n. 220/10 di stabilità 2011).

Per il periodo che va dal 2002/2003 al 2008/2009, per le multe dovute dai produttori di latte, la Comunità ha nel frattempo ridotto annualmente i trasferimenti all’Italia a titolo di aiuti all’agricoltura: per l’intero periodo il prelievo nazionale dovuto, e trattenuto, è stato pari a 1.151 milioni di euro. Di questi gli importi non rateizzati sono stati pari a 926 milioni, su cui gravano ulteriori 206 ml per interessi.

Nuove forme di rateizzo delle multe sono individuate con il D.L. n. 16/2012 (legge 44) , che con l'articolo 1 reca disposizioni volte, complessivamente, a rendere più accessibile il ricorso allo strumento della rateazione dei debiti tributari. Il comma 4 (introdotto ancora una volta durante l'esame parlamentare del provvedimento di conversione) estende la possibilità del rateizzo ai "debiti di natura patrimoniale" nei confronti degli "enti pubblici dello Stato". Secondo la norma, lo Stato può accordare, su istanza di debitori che versino in condizioni di obiettiva difficoltà, forme di rimborso dei debiti - a rate costanti o variabili - anche in presenza di contenzioso, o di una rateizzazione di cui lo stesso soggetto già usufruisce. In tal modo la disciplina si applicherebbe anche ai produttori di latte tuttora debitori, ma che abbiano fatto ricorso alla magistratura amministrativa; e si applicherebbe altresì ai soggetti che avendo già aderito a qualche piano di rateizzazione trovino più convenienente una rinegoziazione.

 

 

Modalità di riscossione

A decorrere dal 2003 la riscossione delle "multe" sulle quote latte deve essere fatta con iscrizione a ruolo e ne è incaricata la società Equitalia. Nel 2009 tale modalità è abbandonata, e nel 2011 il rinnovo si completa con la sostituzione anche del soggetto incaricato della riscossione: la riscossione torna ad AGEA, agenzia per le erogazioni in agricoltura che gestisce gli aiuti comunitari per il comparto primario. Con la legge di stabilità 2013 l'affidamento dell'attività resta assegnato ad AGEA, che però può nuovamente procedere mediante ruolo.

Il D.L. n. 49/03 (legge 119) - con il primo articolo, comma 9 - ha incaricato le regioni di effettuare la riscossione in caso di mancato versamento del prelievo supplementare, stabilendo che questa debba avvenire mediante iscrizione a ruolo, previa intimazione nei confronti di acquirenti e produttori. Tale procedura è regolate dall’articolo 49, comma 1 del DPR n. 602/1973, che stabilisce in primo luogo che l’iscrizione a ruolo delle somme dovute per legge abbia valore di titolo esecutivo.

Diversamente ha stabilito il D.L. n. 5/09, che (art. 8-quinquies, co. 10) affida all’AGEA di provvedere alla riscossione coattiva delle "multe" secondo la procedura prevista nel R.D. n. 639/1910, testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato. Le ipotesi che attivano il recupero del credito sono: la mancata presentazione nei termini della richiesta di rateizzazione; la decadenza dal beneficio della dilazione; l'interruzione del pagamento anche di una sola rata. Questa procedura si attiva con la notifica dell'ingiunzione, emessa dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni.

La riscossione coattiva di cui al T.U. del 1910 viene adottata in linea generale con il D.L. n. 98/2011 (legge 111) che con norma di carattere generale ha stabilito che entro il 31 dicembre 2011, un decreto del Ministro dell’economia avrebbe dovuto stabilite le modalità per il trasferimento, anche graduale, delle attività di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea o coattiva, di entrate erariali, diverse da quelle tributarie e per contributi previdenziali e assistenziali obbligatori, da Equitalia (e società partecipate) ad enti e organismi pubblici muniti di idonee risorse umane e strumentali che (così l'art. 39, comma 13) potranno essere autorizzati a svolgere l’attività di riscossione attraverso la procedura di coazione di cui al regio decreto del 1910.
Il provvedimento attuativo - per il trasferimento della riscossione delle multe perl le quote latte - è stato adottato il 12 novembre 2012 e, pur trasferendo l'attività di riscossione da Equitalia ad AGEA, ha conservato ad Equitalia le procedure di riscossione mediante ruolo dalla stessa società già avviate, sospese, e non concluse al 29 novembre 2012 (data di pubblicazione del provvedimento). L'affidamento della riscossione ai nuovi soggetti dovrà poi avvenire (entro 180 giorni) con gara ad evidenza pubblica. Quanto al procedimento per le nuove riscossioni, il decreto conferma che l'esecutività dell'ingiunzione è quella attribuita al titolo dalla legge 639/10, ma aggiunge anche che si applicano "in quanto compatibili" le disposizioni del titolo II della legge 602/73 sulla riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo: tale richiamo tuttavia non chiarisce se il soggetto abilitato alla riscossione potrà anche agire con i poteri dell'agente della riscossione tributaria.

L'applicazione della disciplina di cui D.L. n. 98 è stata sterilizzata con la legge di stabilità 2013 - legge n. 288/2012 - che ha interamente sostituito la procedura delineata nel D.L. n. 5/09: il comma 525 ha affidato all’AGEA, nei casi di mancata adesione del debitore alla rateizzazione e di decadenza dello stesso dal beneficio della dilazione, il potere di procedere alla riscossione a mezzo ruolo delle somme dovute, con le "modalità e secondo la disciplina" previste per la riscossione coattiva delle imposte dirette. Le norme defiscono anche le modalità di partecipazione al procedimento di riscossione da parte delle società del Gruppo Equitalia e della Guardia di finanza.

Con la stessa legge di stabilità (comma 392) si dispone una ulteriore proroga di sei mesi dei poteri del Commissario straordinario per le quote-latte che, nominato sulla base all’art.8-quinquies, co. 6, del D.L. n. 5/2009, sarebbe dovuto infine decadere dall’incarico il 31/12/12. L'attività demandata al Commissario non è limitata all'assegazione delle maggiori quote, ma si estende all'applicazione della nuova rateizzazione dei debiti, provvedendo anche all'accettazione delle domande di rateizzazione, ed alla revoca delle quote aggiuntive assegnate a produttori oggetto di intimazione di pagamento in conseguenza della mancata adesione ai piani di rateizzazione.

Approfondimenti

Dossier pubblicati

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il quantitativo globale assegnato all'Italia

I quantitativi di produzione lattiera assegnati ai produttori nazionali provengono dal riparto del “Quantitativo Globale Garantito” attribuito all’Italia dalla Comunità, e più volte oggetto di revisione.

Nonostante la Comunità europea avesse stabilito che, per l'assegnazione dei quantitativi globali garantiti nazionali, occorreva far riferimento alla produzione lattiera del 1981, l'Italia si vide riconosciuta la possibilità di prendere come parametro la produzione realizzata nel 1983, dal momento che quella del 1981 si era attestata su livelli particolarmente bassi. Non disponendo di alcuna rilevazione diretta peraltro, la quota assegnata all'Italia si basò sul dato fornito dall'Istat e si attestò su 9 milioni di tonnellate; tale assegnazione non è mai stata ritenuta dall'Italia adeguata al consumo interno né corrispondente al dato reale di produzione del 1983.

A seguito di un negoziato in ambito europeo, l'Italia riuscì ad ottenere un incremento della quota di 900 mila tonnellate, corrispondente ad un aumento del 10% del quantitativo precedentemente assegnato, la cui effettiva assegnazione veniva concessa, però, solo nel 1994, una volta pubblicati la legge n. 468/1992 ed il regolamento di attuazione, D.P.R. n. 569/93.

Nell’assegnare le quota individuale ai produttori, la legge 468 scelse di distinguere il quantitativo produttivo in due quote: una quota A determinata sulla base della produzione dichiarata nell'anno di riferimento 1988-1989, ed una quota B pari all'eventuale incremento produttivo realizzato dall’azienda nella campagna 1991-1992. Tale criterio rispondeva alla necessità di soddisfare le due esigenze, in parte contrapposte, di assegnare le quote in modo da non superare il quantitativo di latte attribuito complessivamente all'Italia, nel contempo rispettare la struttura produttiva esistente al momento dell'entrata in vigore della legge, sensibilmente variata. Eventuali eccedenze produttive annuali sarebbero state sanate attraverso la riduzione della quota B o attraverso la promozione di piani di abbandono volontari.

Il D.L. n. 727/94 ha effettivamente disposto la riduzione della quota B del 74%, consentendo il recupero di un milione di tonnellate di prodotto, ma conservando la produzione lattiera nelle aree montane e svantaggiate, come richiesto dalla stessa legge n. 468 (art. 2 co. 8).

Nel 1998, a seguito di numerosi accertamenti effettuati, alcune quote produttive erano state annullate o revocate e fatte affluire nella riserva nazionale; con il D.L. n. 43/99, art. 1 co. 21, tali quote furono assegnate alle regioni in misura proporzionale ai quantitativi individuali di riferimento allocati presso ciascuna di esse, e non, come proposto inizialmente dal Governo, sulla base dell'effettiva produzione realizzata in ciascun ambito territoriale.

Infine, la conclusione del negoziato di Agenda 2000 nel marzo del 1999 (con il reg. n. 1256/99), ha portato all'Italia un aumento della quota nazionale per un importo pari a 600.000 tonnellate, all’apparenza creando così le premesse per la definitiva risoluzione dell'annosa questione dell'esubero della produzione lattiera nel nostro Paese, che si era attestato nelle ultime campagne su un valore pari a circa 500.000 tonnellate. Con il D.L. n. 8/2000 si è proceduto quindi ad una ripartizione tra le regioni della prima tranche del nuovo quantitativo assegnato, stabilendo che almeno il 20 per cento della quota addizionale venisse riservato ai giovani agricoltori.

Una revisione del quantitativo nazionale si verifica nel 2008 in conseguenza di un incremento generale della produzione lattiera dell’area comunitaria deciso in sede europea; l'ncremento produttivo verrà ripartito tra le aziende della zootecnia da latte secondo i nuovi criteri stabiliti con il D.L. n. 5/09 (che ha introdotto l’art. 10-bis nel D.L. n. 49/2003).
La quota acquisita dall’Italia è conseguente:
-      al Regolamento (CE) n. 248/2008, che ha attribuito a tutti gli Stati membri un incremento del 2% della quota nazionale;
-      al regolamento (CE) n. 72/2009 che - recependo l’accordo politico definito il 20 novembre 2008 in sede di Consiglio dei Ministri dell’U.E. sulla cd. verifica dello stato di salute (health check) della Politica agricola comune - ha accordato all'Italia una maggiorazione del 5% del quantitativo in unica soluzione nel 2009-2010, anziché – come per gli altri stati membri – spalmato su cinque campagne lattiere.
La maggiore quota da ripartire è stata pari complessivamente a 758.482 tonnellate, delle quali 210.601 derivanti dal Regolamento n. 248/2008 e 547.881 conseguenti all’accordo del 20 novembre 2008.

Le quote produttive oggi possedute dai produttori vanno considerate in modo unitario, costituite definitivamente dalla somma delle precedenti quote A e B (art. 2 del D.L. n. 49/03); resta invece ferma la distinzione tra consegne e vendite dirette.
Per le prime si intende la produzione che viene conferita ad un acquirente (dedito al semplice trattamento o alla trasformazione lattiera in prodotti derivati), mentre le seconde fanno riferimento alla produzione che viene venduta direttamente al consumatore. Il regolamento (CE) n. 1234/2007 regola con l'art. 80 il prelievo sulle eccedenze nei quantitativi consegnati da ciascun produttore, mentre il prelievo sulle eccedenze per le vendite dirette è disciplinato dall'art. 83 che stabilisce che non si tenga conto in tal caso delle correzioni connesse al tenore di grassi presenti nel latte.

Approfondimento: La sospensione dei pagamenti

La sospensione del versamento delle rate prossime alla scadenza, e conseguenti all'adesione al piano di rateizzo del prelievo supplementare dovuto per lo splafonamento della quota posseduta, viene disposto con due decreti legge del 2010 (decreto n. 78 e n. 225) che hanno prodotto l’avvio di un contenzioso fra Italia e Unione europea, con l'apertura di una procedure di infrazione del diritto comunitario sugli aiuti di Stato.

In sede di conversione del decreto legge n. 225/10 è stato evidenziato che il piano di rientro previsto dal D.L. n. 5/2009 è stato oggetto esclusivamente di negoziati verbali con la Commissione europea, concludendosi con un gentlemen’s agreemennt. In merito peraltro, il Commissario europeo Ciolos (nella propria lettera indirizzata al Ministro dell’agricoltura, protocollo DC/abv D(2010) 1175) ha sottolineato che il piano del 2009 “non si fonda direttamente sul diritto UE [ma] mira ad agevolare la gestione finanziaria dell’onere, per i produttori, di pagare tutte le somme dovute a titolo del prelievo suddetto. Perciò, se sospendesse l’applicazione di tale piano l’Italia sarebbe ancora più distante dall’adempimento dei suoi obblighi di riscossione ai sensi del diritto UE.”. Il Commissario europeo, dopo aver ricordato la preoccupante lentezza con la quale l’Italia opera l’esazione dei prelievi, ha aggiunto che “se l’emendamento dovesse essere adottato la Commissione sarebbe costretta ad avviare la procedura appropriata ai sensi del Trattato”.

A seguito dell’approvazione della sospensione, con lettera dell'11 gennaio 2012 (pubblicata in G.U.U.E. del 10/2/12) la Commissione europea ha comunicato all'Italia la propria decisione di avviare un procedimento per aiuto di Stato in relazione alla proroga disposta con il D.L. n. 225/2010, approvato con modifiche dalla legge n. 10/2011, per il pagamento dei prelievi per i periodi 1995/96 e 2001/02. Tale proroga è in contrasto con l’articolo 1, primo trattino, della decisione 2003/530/CE del Consiglio, ai sensi del quale le rate devono essere versate con cadenza annuale, e configura pertanto un aiuto di Stato nuovo e illegittimo ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, TFUE

La procedura d'infrazione non ha avuto seguiti al momento, mentre la sospensione disposta con il D.L. 225 è stata poi tradotta dal dicastero dell'agricoltura in un aiuto de minimis: la natura dell'aiuto - che non sarebbe diretto ad aggirare le norme - avrebbe trovato conferma nell'esiguità del numero dei produttori che hanno beneficiato delle norme, pari al 11,45% degli allevatori aderenti al programma di rateizzazione.

Approfondimento: Modalità di riscossione coattiva



Recupero crediti mediante ingiunzione

In estrema sintesi, ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, il procedimento di coazione comincia con l’ingiunzione, che consiste nell'ordine, emesso dal competente ufficio dell'ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta. L’ingiunzione è notificata, nella forma delle citazioni, da un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o da un messo addetto all'Ufficio di conciliazione.
Entro trenta giorni dalla notificazione, il debitore può produrre ricorso od opposizione avanti il conciliatore o il pretore, o il tribunale del luogo, in cui ha sede l'ufficio emittente, secondo la rispettiva competenza, a norma del Codice di procedura civile. L'autorità adita ha facoltà di sospendere il procedimento coattivo. Respinto il ricorso, il procedimento coattivo non potrà, per qualsiasi motivo, ed anche quando sia pendente giudizio di appello, essere sospeso se non in seguito a pagamento della somma dovuta, salvo il caso di provvedimento di sospensione che fosse dato dalla autorità adita per l'appello.

Trascorso inutilmente il termine di trenta giorni, l'ente creditore procede, per mezzo di un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o di un messo dell'ufficio di conciliazione, al pignoramento dei beni mobili del debitore. Decorsi dieci giorni dal pignoramento senza che sia soddisfatto il debito, l'ente creditore procede alla vendita degli oggetti pignorati al pubblico incanto, che si apre sul prezzo di stima.

Quanto alla esecuzione sugli immobili, notificato al debitore il precetto di pagamento, il presidente del tribunale competente nel giudizio di espropriazione procede, su istanza dell'ente creditore e mediante ordinanza, alla nomina del sequestratario. L'ordinanza di immissione in possesso del sequestratario si esegue con la notificazione di un unico atto contenente il precetto per il rilascio in un termine di tre giorni e l'avviso per l’immissione nei due giorni successivi, fissando il giorno e l'ora in cui l'ufficiale giudiziario si recherà sul luogo per la esecuzione. L'ente creditore può domandare l'incanto, attribuendo agli immobili come prezzo venale il valore risultante dalla estimazione dei beni, sulla base dell'art. 663 del Codice di procedura civile.



Riscossione con iscrizione a ruolo

Viceversa le procedure esedutive esperibili dagli agenti della riscossione (articolo 49 del DPR 602/1973) prevedono innanzitutto l'iscrizione a ruolo delle somme dovute dal contribuente (a titolo di imposta ed eventualmente di interessi e sanzioni) per legge ha valore di titolo esecutivo.

Il contribuente che ha ricevuto la cartella di pagamento emessa in base al ruolo deve versare le somme entro sessanta giorni dalla notifica, cui si aggiunge metà dell’aggio, ovvero della remunerazione spettante all’agente della riscossione. Decorso inutilmente tale termine, sulle somme iscritte a ruolo si applicano gli interessi di mora e l’aggio è dovuto integralmente. Secondo le regole generali, il concessionario procede ad espropriazione forzata quando è inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento.

Inoltre, la normativa speciale delle procedure di esecuzione forzata fiscale, contenuta nel citato D.P.R. 602/1973, stabilisce che, rispetto alle ordinarie forme civilistiche, il concessionario:
- può rivalersi sui beni del debitore vendendoli al pubblico incanto o nelle altre forme previste dal D.P.R. 602/1973 senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria;
- non può chiedere l'assegnazione dei beni pignorati, né rendersi acquirente dei medesimi negli incanti, neppure per interposta persona;
- ha cura che gli atti del procedimento di espropriazione siano depositati nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione, nel termine di dieci giorni dalla vendita dei beni; nello stesso termine la somma ricavata dalla vendita è consegnata al cancelliere per essere depositata nella forma dei depositi giudiziari.

Il processo esecutivo non può essere sospeso dal giudice dell’esecuzione, salvo che ricorrano gravi motivi e vi sia fondato pericolo di grave e irreparabile danno. Le attribuzioni svolte dagli ufficiali giudiziari ordinari sono svolte dagli agenti della riscossione. Agenti e concessionari possono dunque procedere:
- all’espropriazione di beni mobili non registrati del soggetto inadempiente;
- all’espropriazione di beni mobili registrati del soggetto inadempiente;
- all’espropriazione di beni immobili del soggetto inadempiente.



Efficienza nel recupero crediti

La modifica delle norme sulla riscossione coattiva del prelievo supplementare ha avuto ripercussioni sulla capacità di recupero delle somme,  rallentando significativamente i procedimenti già avviati. Il passaggio da un regime all'altro comporta infatti anche la necessità di riattivare ex novo le procedure  in sede giurisdizionale, comportando anche costi aggiuntivi per l'amministarzione.

La diversa efficacia delle illustrate procedure è ben chiara alla Corte dei conti, che in merito agli ultimi interventi normativi rileva che "In tale situazione, appare incomprensibile la disposizione introdotta dalla legge 32/2009, secondo cui l'attività di riscossione non viene più attribuita a Equitalia, con una contestuale sospensione generalizzata dei procedimenti in atto e l'individuazione di una modalità diversa dal ruolo. Ciò comporta, inevitabilmente, inefficienza nell'attivitàdi recupero dei crediti, ingenerando incertezze nelle procedure da adottare e nell'attribuzione delle competenze di ciascun ente. In particolare, la riesumata disciplina del regio decreto n. 639/1910 - con modalità datate, né celeri né sicure nello svolgimento degli adempimenti - ha prodotto, anche a giudizio dell'AGEA, difficoltà, soprattutto in riferimento alla capacità di garantire concretamente l'attuazione della riscossione coattiva. A tale incongruenza ha cercato di porre rimedio la legge di stabilità per il 2013" ( Relazione approvata con del. n. 20/2012).

La stessa Corte poi segnala che, il mancato recupero dei prelievi ed il connesso meccanismo della detrazione delle somme dovute dagli allevatori dall'importo degli aiuti anticipati mensilmente all'Italia per l'applicazione della PAC "ha inciso sulla capacità di AGEA di far fronte ai pagamenti degli aiuti dell'Unione europa in favore degli agricoltori, originando corrispondenti anticipazioni da parte della Tesoseria statale per mettere a disposizione degli aventi diritto le risorse dovute.". Questo modo di procedere peraltro, conclude la Corte "consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio dello Stato.".

Approfondimento: Verso l'abolizione delle quote: i nuovi rapporti contrattuali

Il settore lattiero caseario si avvia verso l'abolizione del regime delle quote latte, stabilita entro il 2015, rivelando tutta la propria vulnerabilità alle oscillazioni dei prezzi, che si verificano in connessione sia delle modifiche dal lato dell'offerta, che delle fluttuazioni da parte della domanda. Le conseguenze di tali andamenti sono la sensibile volatilità dei prezzi all'origine (per i produttori), associata alla rigidità degli stessi a valle della filiera (presso le latterie) che in presenza di un andamento al ribasso di prezzi praticati dalle aziende produttrici non consente la ripresa della domanda, e si traduce esclusivamente in un incremento del margine lordo delle latterie e dei negozi al dettaglio.

Questa è la difficile situazione emersa all'interno della Comunità, che aveva istituito nel 2009 un gruppo di esperti di alto livello sul latte ("GAL"), che le consentisse di adottare misure per la stabilizzazione del mercato e dei redditi dei produttori di latte, e rafforzare la trasparenza nel settore. Dalla relazione consegnata dal GAL (15/6/2010) è emerso che le questioni del settore si concentrano nelle seguenti tematiche: le relazioni contrattuali, il potere contrattuale dei produttori, le organizzazioni interprofessionali/intersettoriali, la trasparenza (compresa l’ulteriore elaborazione dello strumento europeo di monitoraggio dei prezzi), le misure di mercato e i futures, le norme di commercializzazione e l’etichettatura di origine nonché l’innovazione e la ricerca.

Il reg. (UE) n. 261/2012 , che si applica per intero dal 3 ottobre 2012, ha disciplinato i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari affrontando le prime quattro di queste tematiche, nel tentativo di aumentare la forza contrattuale degli agricoltori e innalzare la concentrazione da parte dell'offerta.

La Commissione ha proposto che tali misure restino in vigore fino al 2020, con due revisioni intermedie.

Ricerca in agricoltura

Le strutture della ricerca nel settore dell'agricoltura hanno subito una profonda e continua opera di revisione, accorpamento e soppressione al fine di raggiungere una più efficiente organizzazione e realizzare gli obiettivi di risparmio stabiliti a livello nazionale.

La riorganizzazione del settore

Gli enti operanti nel settore della ricerca in agricoltura sono stati profondamente riformati nell'ambito della complessiva riforma amministrativa avviata con le leggi Bassanini. Nel settore era fortemente sentita l'esigenza di un riordino complessivo, stante l'esistenza di una pluralità di organismi operanti e la concomitante mancanza di un organo di coordinamento che potesse indirizzare in maniera unitaria la ricerca e la sperimentazione agraria.

La frammentazione del sistema era stata infine oggetto di rilievi da parte della Corte dei Conti che aveva stigmatizzato lo spreco di risorse conseguente all'inefficienza del sistema organizzativo.

Il riordino del settore è poi avvenuto con il D.lgs. n. 454/99 che ha:


La riorganizzazione del settore ha dovuto anche tener conto del D.L. 112/08 che (art. 74) ha richiesto una riduzione degli assetti organizzativi anche da parte degli enti di ricerca pubblici, secondo principi di efficienza, razionalità ed economicità.
Peraltro lo stesso decreto 112 (art. 28) ha operato una riduzione degli esistenti enti: con l'istituzione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), al posto della soppressa Agenzia, ha disposto che nel nuovo istituto confluissero anche due enti in precedenza vigilati dal Dicastero agricolo: l'Istituto Nazionale per la fauna selvatica (INFS) - che aveva compiti di ricerca e consulenza statale e regionale in tema di conservazione e gestione del patrimonio faunistico nazionale - e l'Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM) - cui spettava lo studio della vita biologica del mare. La fusione è stata regolata con il D.M. n. 123/2010 del Ministero dell'Ambiente.

Successivamente il D.L. n. 78/2010 per la stabilizzazione, con l’art. 7, co. 20, ha soppresso:

Con il D.L. n. 95/12, secondo  sulla spending review, anche l'INRAN è stato soppresso a decorrere dal 7 luglio 2012 e le funzioni acquisite in materia di certificazione ufficiale dei prodotti sementieri sono state trasferite all'Ente risi, mentre tutte le altre sono state attribuite al CRA (art. 12, commi 1-6). Il sofferto quadro di revisione delle competenze si è concluso con la legge di stabilità 2013, L. n. 288/12, che per evitare che l'ente di commercializzazione del riso si trovi ad avere anche un ruolo nella certificazuione del prodotto, ha trasferito al CRA anche le funzioni nella materia sementiera.

Nel sistema dei soggetti pubbblici vigilati dal Dicastero agricolo va anche menzionato l'"Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare" (ISMEA), ente pubblico economico che proviene dall'accorpamento del precedente "Istituto per Studi, Ricerche e Informazioni sul Mercato Agricolo" (già ISMEA) e della Cassa per la Formazione della Proprietà Contadina (D.Lgs. n. 419/99). Da soggetto nato per lo studio dei mercati agricoli, l'attuale Istituto si è trasformato in soggetto che fornisce fondamentalmente servizi: informativi, ma soprattutto assicurativi e finanziari, concedendo alle imprese agricole forme di garanzia creditizia e finanziaria anche dirette al riordino fondiario.

Al Senato la 9° Commissione Agricoltura ha svolto, tra il 2011 e il 2012, una Indagine conoscitiva sulle funzioni espletate dagli Enti vigilati dal Mipaf, procedendo anche all'audizione degli enti di ricerca rientranti nella categoria, che hanno informato l'altro ramo parlamentre sull'attività svolta, anche alla luce della generale revisione dei soggetti incaricati e dei compiti attribuiti.

Il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura

Il Consiglio, posto sotto la vigilanza del Dicastero agricolo, è dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, con autonomia scientifica, statutaria, amministrativa e finanziaria, e si configura quale ente di programmazione generale della ricerca del comparto agroindustriale.
L'attività del settore si deve quindi svoltgere sulla base un piano triennale di attività (che può annualmente essere rivisto) che, approvato dal Dicastero agricolo, è predisposto dal Consiglio in modo da essere coerente con la programmazione scientifica nazionale definita nel Piano nazionale delle Ricerche (PNR) del MIUR, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

L’attività attribuita al Consiglio, e svolta dagli istituti diffusi sul territorio, deve essere diretta a:

Le fonti di finanziamento del CRA sono costituite dalle seguenti entrate:

Dall'ultima relazionedella Corte di Conti, trasmessa nel gennaio 2012, risulta che il Consiglio è riuscito ad accrescere e differenziare le proprie fonti di finanziamento partecipando a bandi sia nazionali che europei di ricerca che hanno assicurato un adeguato livello di entrate. Sono nel complesso aumentate le fonti di finanziamento di progetti diverse da quelle del Mipaaf, che nel 2010 hanno superato la soglia del 40% dei contributi finanziari ricevuti.
Anche l'attività brevettuale produce importanti risorse attraverso lo sfuttamento del proprio portafoglio costituito da 200 titoli: 25 per invenzioni industriali e 175 per costituzione di nuove varietà vegetali. Sono stati 19 i nuovi brevetti depositati nel biennio 2009-2010.

Va aggiunto che la riorganizzazione del settore da parte del CRA, resa operativa nel 2007 (D.M. n. 943/2006), ha consentito la razionalizzazione dell’intera rete degli istituti e la riduzione delle strutture periferiche, che sono passate da 82 a 47: 15 Centri di ricerca e 32 Unità di ricerca.
Tutte le strutture fanno capo a quattro Dipartimenti: sulla produzione vegetale; per le produzioni animali; per i prodotti agroindustriali; e il Dipartimento agronomia, foreste e territorio.

Altri soggetti nella ricerca agricola

Il sistema della ricerca agricola non si limita alle strutture vigilate dal Mipaaf - che contano grosso modo 1.600 dipendenti, più di 500 dei quali ricercatori - ma vede la partecipazione anche di altri soggetti pubblici, o privati, ma anche di strutture no profit, oggetto ormai di una specifica indagine ISTAT, sulla base della quale INEA ha elaborato propri dati sul sistema della conoscenza in agricoltura.

Tra le strutture pubbliche della ricerca vanno incluse le Università finanziate dal MIUR, che contano 4 facoltà di medicina veterinaria e 24 facoltà di agraria; e ancora, vigilato e finanziato dal MIUR, non va dimenticato il CNR, che partecipa all'attività con il Dipartimento agroalimentare che gestisce 20 istituti.
Tra i soggetti pubblici è poi aumentato il ruolo delle regioni che in conseguenza della riforma del tit. V della Costituzione intervengono con proprie disposizioni, mentre molto limitata è la ricerca privata: se le aziende agricole sono quasi escluse, contenuta risulta anche la partecipazione delle industrie agroalimentari.

Quanto al governo della ricerca, fondamentale è il ruolo del MIUR, soggetto cui spetta la programmazione della ricerca scientifica in Italia, attraverso la definizione del PNR, sul quale viene anche sentito il Ministero dell'agricoltura. Il Programma nazionale della ricerca (PNR) 2011-2013ha individuato le aree tematiche prioritarie, tra le quali ha inserito il Sistema agroalimentare, che corrisponde - a causa della reciproca forte interconnessione - "all’insieme delle produzioni primarie, vegetali e animali, trasformate in alimenti, energia e prodotti non-alimentari" (p. 164 ss.).

Proprio la stretta collaborazione del Mipaaf con l'Ufficio Ricerca Internazionale del MIUR ha consentito di aderire all’iniziativa europea - valida fino al 2020 – denominata "Programmi congiunti" (JPI, Joint Programming Initiative), che prevede la collaborazione delle strutture di ricerca di 21 paesi UE (tra Stati Membri ed associati). L'attività coordinata dei due organismi ministeriali ha portato infine all'approvazione (dicembre 2009) delle proposte di iniziative sui seguenti temi: "Agriculture, Food Security, and Climate Change" e "A Healthy Diet for a Healthy Life”, che condizioneranno nei prossimi anni le attività di ricerca nel settore agro-alimentare nazionale.

Caccia

La legge Comunitaria 2009, legge n. 96/2010, con l'articolo 42 ha apportato significative modifiche alla legge sulla caccia, anche allo scopo di porre termine al contenzioso con l'UE. La normativa introdotta si differenzia da quella originariamente inserita nel disegno di legge presentato al Senato, avendo la Camera, in seconda lettura (AC 2449-B), integralmente sostituito il testo iniziale.

Dopo un lungo iter parlamentare, che ha portato allo stralcio di numerose norme da parte di entrambi i rami parlamentari, è stata infine approvata la legge n. 96/2010, legge Comunitaria 2009, che con l'articolo 42 ha profondamente inciso sulla legge per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, nota come legge sulla caccia.

Le disposizioni di modifica della legge quadro in materia di caccia (legge n. 157 del 1992) sono state introdotte anche nel tentativo di fornire una risposta alle contestazioni che la Commissione Europea ha avanzato all’Italia con numerose procedure di infrazione per incompleto o cattivo recepimento della Direttiva 79/409/CEE sulla protezione degli uccelli selvatici (ora codificata e sostituita dalla direttiva 2009/147/CE).

La revisione della legge

Alla Camera, in seguito ad un dibattito piuttosto vivace sul provvedimento in seconda lettura (C.2449-B), la Commissione Agricoltura ha approvato un emendamento integralmente sostitutivo dell'articolo licenziato dal Senato.

 Le principali innovazioni alla attuale disciplina del prelievo venatorio, introdotte dunque dall'articolo 42, attengono:

Le modifiche al calendario venatorio

Il punto sul quale si è maggiormente concentrato il dibattito attiene alla disciplina dei periodi di attività venatoria (articolo 18 della legge n.157 del 1992 modificato dal comma 2 dell'articolo 42).

La disciplina previgente stabiliva - con il primo comma dell'art. 18 - il “periodo” entro il quale ogni specie tutelata poteva essere oggetto di prelievo venatorio, intendendosi con ciò il giorno d’inizio e di fine caccia. Modifiche del calendario venatorio da parte delle Regioni erano consentite dal comma 2, ma le date dovevano cadere in ogni caso tra il 1° settembre ed il 31 gennaio, e inoltre il numero complessivo delle giornate riservate alla caccia di ogni singola specie doveva restare quello stabilito dalla legge. Le modifiche erano inoltre ammesse "per determinate specie in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali". La legge infine poneva talune ulteriori condizioni: di acquisire preventivamente il parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA); che fossero predisposti "preventivamente" adeguati piani faunistico-venatori.

Il testo introdotto dal Senato ampliava significativamente la facoltà delle Regioni di apportare modifiche ai termini di inizio e fine caccia stabiliti dalla legge, prevedendo, per i soli mammiferi, il rispetto dell'arco temporale compreso tra il 1° settembre ed il 31 gennaio, senza peraltro alcun riferimento al limite del numero delle giornate riservate alla caccia. Per le modiche al calendario venatorio degli uccelli la disciplina introdotta al Senato non sembrava inoltre far riferimento ad alcuno specifico limite temporale, se non quello di un generico rispetto della Direttiva 79/409.

Il testo licenziato dalla Camera e diventato legge, ha in primo luogo introdotto un comma aggiuntivo nell'art. 18 (comma 1-bis), che impone che sia vietata comunque la caccia, per ogni singola specie, nelle seguenti ipotesi:
a) durante il ritorno al luogo di nidificazione;
b) durante il periodo della nidificazione e le fasi della riproduzione e della dipendenza degli uccelli.

In aggiunta poi alla variazioni del calendario già enunciate, le modifiche apportate al comma 2 hanno consentito alle Regioni anche di posticipare i termini del calendario, che non possono tuttavia andare oltre la prima decade di febbraio e debbono applicarsi al determinate specie. Anche l’esercizio di tale facoltà è stato peraltro subordinato alla previa obbligatoria acquisizione del parere espresso dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che deve essere reso entro 30 giorni e al quale le Regioni devono uniformarsi.

Sono infine rimaste invariate le disposizioni del comma 4 che impone alle regioni, sempre dopo aver sentito l'ISPRA, di pubblicare, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, che deve anche includere l'indicazione del numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività venatoria.
Lo stesso dicasi per i successivi: comma 5, che stabilisce le restrizioni al numero delle giornate di caccia settimanali, obbligando al silenzio venatorio nelle giornate di martedì e venerdì; il comma 6, che consente alle regioni di regolamentare diversamente l'esercizio venatorio da appostamento alla fauna selvatica migratoria nei periodi intercorrenti fra il 1° ottobre e il 30 novembre; il comma 7 che delimita l'arco diurno entro il quale la caccia è consentita; il comma 8 che vieta talune modalità di caccia a beccaccia e beccaccino.

Contenzioso Stato-regioni

Il complesso quadro derogatorio, diretto ad evitare che fosse aggirata la legislazione di tutela della fauna selvatica, non ha invero impedito che proseguisse un contenzioso fra lo Stato e le regioni, in merito al quale la Corte costituzionale ha continuato ad essere adita.

Limitando la rassegna ai fatti più recenti, può essere menzionata la seguente giurisprudenza costituzionale:

- sentenza n. 310/2011, con la quale la Corte ha accolto in sostanza la difesa statale che, pur riconoscendo che i termini del calendario venatorio possono essere modificati, lamentava che la regione non avesse acquisito il preventivo parere dell'ISPRA. Il mancato parere, a detta della Corte, ha comportato "la violazione delle norme statali interposte, che stabiliscono standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale".
La regione peraltro, proseguendo lungo una direttrice già tracciata da altre regioni, aveva eccepito la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso, poichè la norma in questione aveva ormai cessato di produrre effetti (in data 31 gennaio 2011) e non era dimostrato che avesse avuto effettiva applicazione: tali eccezioni non sono state ritenute fondate dalla Corte che ha riaffermato - quanto alla prima - "che il venir meno degli effetti della norma non esclude il sindacato di costituzionalità della stessa, che trova una specifica ragion d'essere nell'esigenza di ristabilire il corretto riparto di competenze tra Stato e Regioni", e - quanto alla seconda - "dalla formulazione della norma impugnata si deve ritenere che la stessa abbia trovato applicazione nella stagione venatoria 2010/2011.";

- sentenza n. 20/2012, nella quale per la prima volta è stata sottoposta all'esame della Corte la legittimità costituzionale della scelta regionale dello strumento legislativo, per la modifica del calendario, in luogo dell'atto amministrativo, fenomeno peraltro diffuso a livello regionale.
Precisato che si tratterebbe di "tipiche  leggi-provvedimento", - in  quanto  le disposizioni che esse contengono sono prive di astrattezza  e generalità, e sono destinate ad esaurire  i  propri  effetti contingenti con lo spirare della stagione di caccia - alla Corte "appare evidente che il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente  del  "regolamento"  sull'attività venatoria e imponendo l'acquisizione  obbligatoria  del  parere dell'ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con il divieto di impiegare, invece, la legge-provvedimento.".
I motivi addotti possono così essere sintetizzati:
- nel caso di specie, è pacifico che la selezione, sia delle specie cacciabili, sia dei periodi aperti all'attività venatoria, implichi l'incisione di profili propri della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 191 del 2011, n. 226 del 2003 e n. 536 del 2002): il legislatore nazionale ha perciò titolo per imporre alle Regioni di provvedere nella forma dell'atto amministrativo, anziché in quella della legge;
- nei casi in cui la legislazione statale, nelle materie di competenza esclusiva, conformi l'attività amministrativa all'osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie verso una fonte primaria  regionale  fa  emergere  un  sospetto  di illegittimità;
- la scelta dell'atto amministrativo, si riconnette altresì ad un regime di flessibilità certamente più marcato che nell'ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia cristallizzato nella forma della legge. Ove si tratti di proteggere la fauna, un tale assetto è infatti il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in base alle quali il calendario venatorio è stato approvato;
- le deroghe non possono venire introdotte dalla Regione con legge-provvedimento, poichè verrebbe vanificato il potere di annullamento assegnato dall'art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 al Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del 2008);
- l'irrigidimento con la legge sarebbe anche in contrasto con l'art. 9, comma 1, lettera a), della direttiva n. 2009/147/CE. La norma consente l'allargamento dei limiti entro cui ordinariamente è consentita la caccia se è per un verso tollerato dalla direttiva comunitaria, per altro verso si impone, allo scopo di preservare significativi interessi ambientali di segno contrario, ovvero di altra natura - (l’art. 9 della direttiva menziona l'interesse della salute e della sicurezza pubblica o della sicurezza aerea): in tali casi angusto, e potenzialmente insufficiente, sarebbe lo spazio temporale concesso dalla legge-provvedimento;
- infine il ricorso alla legge implica un mutamento del regime di tutela giurisdizionale, tutela che dal giudice comune passa alla giustizia costituzionale;

- sentenza n. 105/2012, con la quale la Corte ha confermato l'inappropriato ricorso alla legge provvedimento, per la modifica del calendario venatorio. Il legislatore ligure (legge n. 1/11), non solo avrebbe illegittimamente attratto a sé la competenza provvedimentale, ma si sarebbe spinto fino a irrigidire nella forma della legge il calendario per tre stagioni, indebolendone ulteriormente il "regime di flessibilità. Peraltro il vizio di legittimità costituzionale - così la Corte - colpisce l'intero testo dell'art. 1 sul calendario, con l'eccezione del comma 1, lettera D), numero 2): infatti, quest'ultima previsione, nel rimettere alle Province l'approvazione dei piani annuali di abbattimento in forma selettiva degli ungulati, non attiene al calendario venatorio;

- con la sentenza n. 116/2012 è stata dichiarata la incostituzionalità della legge regionale delle Marche n. 15/11, nella parte in cui disponeva che il calendario venatorio regionale avesse validità minima annuale e massima triennale, anziché prevedere unicamente la validità annuale, in contrasto, quindi, con il comma 4 dell'articolo 18 che richiede la cadenza annuale del calendario.
La Corte ha ribadito in tale occasione che l'annualità risponderebbe all'esigenza che la rilevazione delle situazioni ambientali locali, che si pone alla base delle deroghe alla generale disciplina statale in tema di specie cacciabili e di periodi di esercizio venatorio, abbia luogo - anche tramite il prescritto parere dell'ISPRA - a cadenze non eccessivamente diluite nel tempo, così da garantire un costante adeguamento del calendario al mutare di tali situazioni;

- la sentenza n. 278/2012 ha dichiarato la incostituzionalità delle norme delle legge della provincia di Bolzano (n. 14/119) che per talune specie prevedevano un calendario regionale più ampio e il conseguente superamento dei limiti di prelievo venatorio stabiliti dall'art. 18; sono state, altresì, censurate le norme che consentivano la caccia di talune specie in tutti i giorni della settimana. Le disposizioni statali interposte (art. 18 comma 6) prevedono invece l'assoluta inderogabilità del silenzio venatorio e la possibilità di una disciplina speciale soltanto nell'arco temporale intercorrente tra il 1° ottobre ed il 30 novembre.

La giurisprudenza avviata dalla Corte ha trovato conferma da ultimo con la sentenza n. 310/2012 che ha ancora una volta ribadito il divieto di modificare il calendario con legge, essendo consentito il solo ricorso all'atto amministrativo (sentenza n. 20 del 2012), ed ha altresì confermato che il rilevato vizio di legittimità colpisce non solo le parti impugnate, ma si estende all'intero testo di tale disposizione (sentenza n. 105 del 2012).

Approfondimenti

Documenti e risorse web

Approfondimento: Il regime della caccia in deroga



Il regime della caccia in deroga

Con la legge 11 febbraio 1992, n.157 è stata data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 (ora direttiva 2009/147/CE),  sulla conservazione degli uccelli selvatici.

L’articolo 5 della direttiva  vieta, in linea di principio, di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri a cui si applica il Trattato. L'articolo 7 prevede, tuttavia, che le specie elencate nell'Allegato II possano essere oggetto di atti di caccia, nel quadro della legislazione nazionale. 

A tale regime limitativo è comunque consentito derogare da parte degli Stati membri, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti,  in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli.

Più specificamente, l'articolo 9 prevede che i singoli Stati dell'area comunitaria possano derogare ai divieti scritti negli artt. 5, 6, 7 e 8 della direttiva per le seguenti ragioni:
a) nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica (ossia nell'interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle coltura, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque, nonché per la protezione della flora e della fauna) (lettera a));
b) ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni (lettera b));
c) per consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità (lettera c)).

Le deroghe devono in ogni caso riportare:
- l'indicazione delle specie alle quali si applicano;
- l'individuazione dei mezzi, degli impianti e dei metodi di cattura o di uccisione autorizzata;
- le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere fatte;
- l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate, e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti, e da quali persone;
- i controlli che saranno effettuati.

Il quadro delle deroghe definito con la direttiva europea, che delinea anche un complesso sistema di tutela dell'avifauna, non ha trovato un'applicazione sufficientemente dettagliata con la legge n.157 del 1992 sulla caccia, dando così vita ad un lungo contenzioso con l'Unione europea per la mancata applicazione della normativa europea, accompagnato ad una serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe, definitivamente risolto dalla Corte costituzionale (sentenza n.169 del 1999): detta sentenza ha sancito che la direttiva richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo.

A colmare il vuoto legislativo è intervenuta per prima la legge n. 221 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis nella legge n. 157, e successivamente la legge n.96/10  (legge comunitaria 2009) che ha apportato con l'articolo 42 modifiche all'articolo 19-bis, allo scopo di rispondere alle ulteriori contestazioni mosse all'Italia per l'attuazione data al regime europeo della caccia in deroga.

Attualmente la legge, nel rimettere alle regioni il potere derogatorio previsto dall’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE, richiede che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, debbano menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d'intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica (confluito ormai in ISPRA), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.
Con le modifiche apportate dalla legge comunitaria 2009, è stato introdotto il termine di due mesi, entro il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge n.157 e della direttiva n.79; è stato anche previsto che i provvedimenti regionali di deroga, ferma la loro temporaneità, debbano rispettare le linee guida emanate con decreto del Presidente della Repubblica. 
Infine, resta confermato che entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione debba trasmettere al Presidente del Consiglio, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, all'Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e alle competenti Commissioni parlamentari, una relazione sull'attuazione delle deroghe, sulla base della quale il Ministro dell'ambiente redigerà la relazione che lo Stato è tenuto a trasmettere annualmente alla Commissione europea sull’attuazione delle deroghe.



Recenti condanne della Corte di Giustizia UE

Talune procedure di contenzioso avviate presso la Corte di giustizia europea sono recentemente giunte a sentenza, rilevando ancora numerose infrazioni della direttiva 79/409/CEE, che per la gran parte sembrano poter essere superate dalle novelle approvate con la Comunitaria 2009, legge n. 96/2010. Per quanto attiene ai rilievi sull'applicazione dell'art. 9 della direttiva, sarà invece la concreta applicazione delle nuove disposizioni nazionali sulla cosiddetta caccia in deroga a rivelare la corretta applicazione della direttiva nella nuova stagione venatoria.

Con sentenza del 15 luglio 2010 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia per essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2-7, 9-11, 13 e 18 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
Secondo la Corte la normativa di trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva 79/409 (codificata con la direttiva 2009/147/CE) non è completamente conforme a tale direttiva e il sistema di recepimento dell’art. 9 di quest’ultima non garantisce che le deroghe adottate dalle autorità italiane competenti rispettino le condizioni e i requisiti previsti da tale articolo.

Il 22 dicembre 2008 la Commissione europea aveva presentato un ricorso  alla Corte di giustizia dell’Unione europea (procedura n. 2006/2131, causa C-573/08), che seguiva la lettera di messa in mora del 10 aprile 2006 e il parere motivato del 28 giugno 2006. L’Italia era invitata a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi al parere motivato nel termine di due mesi dal ricevimento di quest’ultimo. Mediante varie comunicazioni (del 31 agosto e 24 novembre 2006, 31 luglio, 27 settembre, 24 ottobre e 26 novembre 2007, 21 marzo 2008), nonché in occasione di vari contatti con la Commissione, l’Italia aveva annunciato modifiche legislative e regolamentari dirette a porre rimedio agli addebiti formulati dalla Commissione ma quest’ultima, ritenendo che l’Italia non avesse rispettato gli impegni assunti al fine di modificare la normativa contestata nel termine prescritto nel parere motivato, ha deciso il ricorso alla Corte.

Con ordinanza 10 dicembre 2009 il presidente della Corte ha ingiunto alla Repubblica italiana di sospendere l’applicazione dell’art. 4, n. 1, della legge regionale della Regione Lombardia 30 luglio 2008, n. 24, recante disciplina del regime di deroga previsto dall’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221, come modificata per la stagione venatoria 2009/2010 dalla legge regionale della Regione Lombardia 16 settembre 2009, n. 21.

Confermando le valutazioni della Commissione, secondo il giudizio della Corte risulterebbero non recepiti, o trasposti in modo non conforme, i seguenti articoli della direttiva: 

Con sentenza 11 novembre 2010 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia in quanto la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all'art. 9 della direttiva 79/409/CEE, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 9 di tale direttiva.

Il 29 giugno 2006 la Commissione europea aveva deferito l’Italia (procedura 2004/4926, causa C-164/09) alla Corte di giustizia per violazione della direttiva 79/409/CEE da parte della legislazione regionale di Veneto. La normativa regionale del Veneto, infatti, non prevedrebbe alcun meccanismo di controllo nei casi in cui la cattura o l'uccisione di uccelli tutelati dalla direttiva sia autorizzata per motivi eccezionali. La Commissione ha ritenuto che la mancanza di tale meccanismo porti alla cattura e all'uccisione di un numero troppo elevato di uccelli.

In particolare, secondo la Commissione, la legge n. 13 del 2005 non rispetterebbe i requisiti sopraesposti in quanto:
- identifica in maniera generale ed astratta e senza limiti temporali le specie e le quantità oggetto della deroga;
- la deroga per specifiche specie di uccelli è indifferentemente prevista in base a un generico riferimento a tutti i casi elencati nelle lettere a) e c) dell’articolo 9 e senza motivazione adeguata circa le ragioni concrete;
- non prevede né la condizione relativa alla verifica della mancanza di altre soluzioni soddisfacenti né che i singoli provvedimenti di deroga debbano obbligatoriamente menzionare le condizioni di rischio, le circostanze di luogo e i soggetti autorizzati ad applicare le deroghe.
La Commissione ha ritenuto inoltre che gli atti adottati dopo lo spirare del termine impartito nel parere motivato del 10 aprile 2006 non solo non sanano i vizi già identificati, ma addirittura li riproducono nella sostanza. Si tratta in particolare del Decreto del Presidente della giunta regionale n. 140 del 20 giugno 2006, del Decreto del Presidente della giunta regionale n. 230 del 18 ottobre 2006, nonché della legge regionale n. 13 del 14 agosto 2008.

Con le due lettere la Commissione europea ha invitato l’Italia a trasmettere osservazioni entro due mesi, riservandosi il diritto di adire la Corte di giustizia, al fine di chiedere la condanna al pagamento di ammende e/o indennità di mora per il mancato adempimento delle sentenze sopra richiamate.
Il 24 novembre 2011 la Commissione europea ha inviato all’Italia due lettere di costituzione in mora, ai sensi dell’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) non avendo quest’ultima dato esecuzione alla citate sentenze del 15 luglio 2010 e dell’11 novembre 2010.

Analoga motivazione è alla base della sentenza 3 marzo 2011 della Corte di giustizia (causa C-508/09) con riferimento alla regione Sardegna.
Nel ricorso presentato alla Corte, la Commissione, che aveva inviato all’Italia un parere motivato il 10 aprile 2006 (procedura d’infrazione 2004/4242), sosteneva che la legge regionale n. 2 del 13 febbraio 2004 della regione Sardegna, che disciplina il prelievo venatorio in deroga, e i decreti 3/V del 2004 e 8/IV del 2006 adottati in base alla medesima legge regionale, non rispondono ai requisiti dell'articolo 9 della direttiva, in quanto, tra l’altro:
-     il parere dell'organo scientifico viene richiesto solo alcune volte, e, se negativo, non viene rispettato;
-     non vi è motivazione sufficiente e non vi è un sistema di controllo adeguato;

La legge n. 2 del 13 febbraio 2004, nonostante le successive modifiche, nonché il decreto n. 2225/DecA/3 del 30 gennaio 2009 non rispondono alle esigenze dell'articolo 9 della direttiva in quanto, tra l’altro, l'introduzione della consultazione dell'organo scientifico non impedisce l'adozione di atti di deroga carenti dal punto di vista della motivazione e della giustificazione, nonché l'adozione di atti di deroga addirittura senza il parere dell'organo scientifico.

Approfondimento: Indagine sui danni causati dalla fauna selvatica

La Commissione agricoltura della Camera ha svolto una indagine conoscitiva sui danni causati dalla fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche, anche in ragione della presentazione di tre proposte di legge in materia (A.C. 781, A.C. 2117, A.C. 2354).

L’indagine, le cui audizioni si sono concluse il 18 novembre 2010, è stata rivolta ad acquisire una completa informazione sul fenomeno, con particolare riguardo alla sua localizzazione geografica, alla quantificazione economica dei danni denunciati, alla tipologia di colture danneggiate e di specie animali interessate, nonché all’attività svolta dalle amministrazioni competenti in merito agli strumenti di cui si sono avvalse per la erogazione degli indennizzi.

L’attività conoscitiva ha fatto emergere la dimensione allarmante dei danni provocati all’agricoltura dalla fauna selvatica evidenziandone l’impatto sull’attività economica delle imprese agricole.

Le questioni emerse nel corso dell’indagine, riportate nel documento conclusivo, possono essere così sintetizzate:
- è emersa una carenza in ordine alla disponibilità di dati certi ed affidabili del fenomeno e la conseguente necessità che la raccolta e l'organizzazione di tali dati avvenga secondo protocolli condivisi ed uniformi;
- sono stati analizzati i danni prodotti da specie oggetto di attività venatoria, con particolare riferimento al cinghiale, rilevandosi l'opportunità di introdurre divieti, eventualmente temporanei, di nuove immissioni nel territorio e di adottare un piano di gestione complessiva a livello nazionale. Si è ritenuto, poi, importante coinvolgere nell'attività di prevenzione dei danni gli agricoltori attraverso la stipula di convenzioni con gli enti pubblici competenti. Rilevante è stata considerata l'individuazione delle aree vocate alla presenza faunistica rispetto a quelle destinate all'attività agricola, con una particolare attenzione al concreto funzionamento delle aree contigue in modo che le stesse possano svolgere la funzione di "zona cuscinetto";
- diversi ed ulteriori danni agli agricoltori sono arrecati da alcune specie protette quali il lupo, l'orso, l'aquila reale e lo sturnus vulgaris; in tal caso è stata prospettata l'opportunità di intervenire nelle modalità di allevamento di tali specie, che non può più svolgersi allo stato brado, valutando, nelle situazioni più allarmanti, la possibilità di azioni di contenimento e di cattura, secondo quanto previsto dall'art. 9 della Convenzione di Berna;
- è risultato di fondamentale importanza il ruolo della prevenzione , soprattutto attraverso l'installazione di recenzioni metalliche ed elettriche;
- quanto al problema delle risorse finanziarie necessarie per assicurare i dovuti indennizzi agli agricoltori, si è ritenuto che, da un lato, occorrerebbe considerare vincolati a tal fine i proventi della tassa di concessione governativa pagata dai cacciatori ed attribuita per il 50% alle regioni, dall'altro, sarebbe auspicabile istituire un sistema per la copertura dei danni da fauna selvatica, tramite l'istituzione di un'apposita sezione del Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali.

La XIII Commissione Agricoltura della Camera ha approvato il documento conclusivo nella seduta del 20 luglio 2011.

Approfondimento: Proposte di aggiornamento della legge



Proposta di revisione generale

Presso il Senato sono state presentate numerose proposte di legge (S.276 ed abb.) volte a modificare la legge quadro sulla caccia, legge n.157/1992. La 13 Commissione permanente (territorio, ambiente e beni ambientali) ne ha iniziato l'esame all'inizio della Legislatura, giungendo l'11 marzo 2009 all'adozione di un testo unificato. L'ultima seduta dedicata all'esame dei provvedimenti, in merito ai quali è stata presentata la petizione n. 808 per la reiezione del disegno di legge ai fini della tutela del patrimonio faunistico, si è tenuta il 24 febbraio 2010. Peraltro il provvedimento all'esame ha per alcuni profili sollevato un acceso dibattito all'interno della società civile, che ha avanzato dubbi sia di opportunità che di legittimità: assai discussa è stata la revisione dell'età minima per l'esercizio della caccia e dei divieti, la cui individuazione è attribuita ai singoli Stati membri che debbono valutarne la congruità al fine di conservare il patrimonio faunistico comunitario.

Le innovazioni di maggior rilievo contenute nel testo unificato riguardavano i seguenti profili:



Proposte di parziale revisione

All'attenzione del legislatore è stata più volte sottoposta la necessità di affrontare concretamente le problematiche legate ai danni causati all'attività agricola dalla fauna selvatica, la proprietà della quale non è riconosciuta all'imprenditore conduttore del fondo, restando viceversa attribuita allo Stato. Sono state conseguentemente sollecitate iniziative dirette alla prevenzione ed al contenimento dei danni provocati al settore primario dalla fauna - comprese talune specie protette - ed al totale risarcimento dei danni subiti.

La diffusione di specie ritenute dannose non solo per l'agricoltura, ma anche per una buona gestione del territorio - basti fare riferimento alle nutrie ed ai danni dalle stesse provocati agli argini ed alla rete di canalizzazioni presenti nella pianura padana - ha indotto alla presentazione di talune proposte(non tradotte in legge) di modifica delle legge n. 157/94 allo scopo di consentire il controllo delle specie selvatiche dannose, e non più meritevoli di tutela anche in ragione della ormai larga diffusione.

Le proposte C.781 e abbinate hanno iniziato il proprio iter parlamentare il 23/4/2009, iter che si è interrotto con la seduta del 18/12/12 della Commissione Agricoltura. Le modifiche apportate alle norme erano - seppure in modo vario - dirette a permettere il contenimento delle popolazioni degli storni, delle nutrie e dei cinghiali, consentendone l'abbattimento, talvolta anche nelle aree protette e nei parchi; venivano contemporaneamente riviste le linee d'intervento regionale per la messa in atto delle misure di contenimento.

Con la seduta del 4 dicembre 2012 la Commissione è giunta ad adottare un testo unificato piuttosto articolato, elaborato anche sulla base delle informazioni acquisite dai diverso soggetti sentiti nel corso della indagine conoscitiva sui danni causati dalla fauna selvatica.

Il testo unificato disciplina i seguenti aspetti:

I prezzi agroalimentari

Il forte aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari che ha raggiunto il culmine nel primo semestre 2008 ha destato allarme nell'opinione pubblica. Il tema è stato oggetto di attenzione sia a livello comunitario che a livello del Parlamento nazionale: la Commissione U.E. prevede con la riforma della PAC l'introduzione di uno strumento di stabilizzazione del reddito, e la Commissione agricoltura della Camera, che ha avviato l'attività di inizio della XVI Legislatura con una indagine conoscitiva, ha approvato norme sia per l'attenuazione dei rischi che per l'alleggerimento del carico dei costi sulla componente agricola della filiera. 

I prezzi di molti prodotti alimentari sono andati progressivamente aumentando a partire dal 2006, raggiungendo per la prima volta dei livelli particolarmente elevati nei primi mesi del 2008, quando, secondo i dati ISTAT, il ritmo di crescita dei prezzi del comparto (+4,9% nel primo trimestre; + 5,8% nel secondo trimestre) si sono collocati di circa due punti al di sopra del tasso medio di inflazione.

Il fenomeno ha destato un forte allarme nell’opinione pubblica ed è stato ricondotto dagli osservatori sia a fattori di ordine internazionale (forte crescita della domanda proveniente dai paesi emergenti e tendenziale riduzione dei raccolti, dipendente sia da negativi andamenti climatici, sia dalla maggiore utilizzazione di aree agricole per produzioni bio-energetiche), sia a fattori di ordine interno, legati soprattutto ai meccanismi di formazione dei prezzi lungo la catena di trasmissione dal produttore al consumatore finale.

La tendenza al rialzo è proseguita, e se  nel del 2011 l'aumento è arrivato a +14%, il 2012 si è comunque chiuso in Italia con un incremento medio dei prezzi agricoli del 2,1%, determinato da una crescita del 2,9% nel comparto delle coltivazioni vegetali e dell'1,1% nell'aggregato zootecnico. Il dato è rilevato da ISMEA secondo il quale l'indice dei prezzi all'origine dei prodotti agricoli è arrivato nel 2012 a 132,5 (l'indice è calcolato assumendo come base l'anno 2000=100). Va peraltro precisato che le difficoltà che incontra il settore sono soprattutto evidenziate dall'andamento a forbice della crescita dei prezzi, aumentati sì per i prodotti, ma cresciuti in modo molto più marcato per i beni acquistati dagli agricoltori come mezzi tecnici (così l'INEA, La dinamica dei prezzi e il rapporto di scambio in agricoltura, nell'annuario dell'agricoltura italiana 2012, parte I,cap. II).

Sui mercati internazionali, la nuova manifestazione di un rialzo mondiale dei prezzi, ed il timore per il riaffacciarsi di una crisi alimentare mondiale simile a quella degli anni 2007-2008, hanno da ultimo prodotto un comunicato congiunto FAO, IFAD e WFP.
Il Direttore generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), il Presidente del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) e il Direttore esecutivo del Programma Alimentare Mondiale (WFP) hanno diramato nel mese di settembre del 2012 un appello per un'azione internazionale rapida e coordinata che eviti una nuova crisi. Tra i fattori che hanno determinato il rialzo dei prezzi e una loro forte volatilità, il comunicato ricorda: le crescenti destinazioni di stock alimentari per usi non alimentari, e una più forte speculazione finanziaria.

L'indagine sui prezzi

La Commissione Agricoltura della Camera, tra le prime iniziative assunte all’avvio della XVI Legislatura, ha pertanto deliberato, approvandone il programma nella seduta del 26 giugno 2008, lo svolgimento di una indagine conoscitiva sull’andamento dei prezzi nel settore agroalimentare, al fine di acquisire un quadro informativo qualificato sulla situazione e sui suoi sviluppi, nonché sull’ampio ventaglio di analisi e proposte avanzate nel corso del dibattito sviluppatosi sull’argomento.

Nella seduta del 26 maggio 2009, come detto, la Commissione ha approvato il documento conclusivo dell’indagine, nel quale si sottolinea come l’incremento dei prezzi di vendita dei prodotti agroalimentari abbia “creato una ricchezza che si è dissipata nella filiera produttiva senza arrivare al primo anello della catena, ovvero al produttore; al contempo, a causa dell’aumento dei prezzi-acquisto sopportato dalle aziende agricole, la redditività delle stesse si è ridotta drasticamente. Gli attori che hanno subito maggiormente gli effetti del rialzo dei prezzi sono stati quindi gli estremi della filiera produttiva”.

I fattori di ordine interno che determinano nel nostro paese l’aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari sono quindi così individuati:

In questo quadro mancano efficaci meccanismi di monitoraggio e controllo dei prezzi ed appare fragile l’apparato ispettivo e sanzionatorio, mentre in alcune aree caratterizzate da elevata densità mafiosa le organizzazioni criminali hanno assunto un ruolo centrale nel controllo dei mercati, con la possibilità di incidere nella fissazione dei prezzi dei prodotti e promuovere condotte monopolistiche.

Il documento enuncia quindi un ampio quadro di proposte di intervento, finalizzate a correggere le attuali distorsioni a vantaggio soprattutto degli agricoltori, cui deve essere assicurata una redditività a fronte di un adeguato investimento, e dei consumatori, ai quali occorre garantire una trasparente informazione ed un prezzo equo.

Gli interventi proposti si articolano nelle seguenti direzioni:

Nello stesso 2008, il tema è stato affrontato anche a livello comunitario: nella sua Comunicazione sui prezzi dei prodotti alimentari in Europa del 9 dicembre 2008, la Commissione UE ha compiuto una ricognizione delle dinamiche e delle prospettive dei prezzi agricoli, ed ha affrontato in particolare le questioni relative al funzionamento della catena di approvvigionamento alimentare, esaminando una serie di ipotesi di intervento. In merito, tre le possibili direttrici individuate: interventi volti ad affrontare e mitigare gli effetti dello shock dei prezzi agricoli nel breve e medio termine; interventi volti ad aumentare l’offerta e la sicurezza alimentari a lungo termine; interventi intesi a contribuire allo sforzo globale per ridurre gli effetti dei rincari sulle popolazioni povere.

Volatilità e assicurazione contro i rischi

La revisione della PAC per il periodo 2014-2020 - avviata nel corso del 2011 da parte dell'Unione europea con la presentazione di un pacchetto di provedimenti - include anche l'approvazione di un nuovo regolamento sul sostegno allo svilippo rurale, proposto nel mese di ottobre 2011(Com(2011) 627 def).
Secondo le previsioni, riferite nella proposta della Commissione, la pressione sui redditi agricoli proseguirà: gli agricoltori affrontano infatti rischi maggiori, la produttività rallenta e il margine si riduce a causa dell'aumento dei prezzi dei mezzi di produzione. Ne consegue che non solo il sostegno al reddito dovrà essere mantenuto, ma che sarà anche "necessario rafforzare gli strumenti che permettono una migliore gestione dei rischi e una reazione più adeguata in situazioni di emergenza.". Gli strumenti individuati per la gestione di tali rischi comprendono - così il considerando (37) - sia il tradizionale sostegno a fronte dei premi che gli agricoltori pagano per assicurare il raccolto, gli animali e le colture, che la più nuova costituzione di fondi di mutualizzazione che risarciscano gli agricoltori delle perdite causate da epizoozie, avversità fitosanitarie o emergenze ambientali: tali misure dovrebbero estendersi anche agli agricoltori che subiscano un drastico calo di reddito. La stabilizzazione dovrebbe comportare il versamento di contributi ai fondi di mutualizzazione per il pagamento delle compensazioni dovute agli agricoltori, alle seguenti condizioni: che la perdita di reddito sia superiore al 30% rispetto ai parametri di riferimento; che l'integrazione erogata dal fondo non superi il 70% della perdita di reddito; che l'aliquota massima dell'aiuto sia pari al 65% delle spese ammissibili.

Per quanto riguarda i rischi connessi alle calamità, le norme di riferimento nazionali sono scritte nel D.Lgs. n. 102/2004, che ha rivisto la normativa sul fondo di solidarietà nazionale in agricoltura (FSN). Tale Fondo consente di sostenere il comparto primario, quando deve far fronte ai danni alle produzioni agricole e zootecniche causati da calamità naturali o eventi eccezionali, con le seguenti misure: stipula di polizze assicurative agevolate; interventi di compensazione dei danni, solo per i rischi non assicurabili.
Il D.M. 31 luglio 2002, sulle “Modalità operative e gestionali dei fondi di mutualità e solidarietà per la copertura dei rischi climatici in agricoltura”, ha consentito ai consorzi di difesa, ed alle cooperative (e loro consorzi), previo adeguamento degli statuti e su autorizzazione della regione, di istituire fondi rischi che possono intervenire sia per il risarcimento dei danni sulle produzioni agricole degli associati, sia facendo ricorso alla copertura assicurativa.
L'adesione al fondo è volontaria ed aperta a tutti i soci dell'organismo associativo, che possono sempre ricorrere singolarmente alla copertura assicurativa.
Nel regolamento dell'organismo associativo, approvato dalla regione territorialmente competente, debbono essere definiti modalità e limiti di copertura dei rischi con le risorse finanziarie del fondo, che può porre a proprio carico tutti i rischi assunti in garanzia, oppure cedere parte di essi a una o più imprese di assicurazione, o partecipare a fondi rischi regionali, interregionali o nazionali, che concorrono al pagamento dei risarcimenti. La contabilità del fondo deve essere tenuta separata dalle altre attività.

Relativamente invece alle situazioni di crisi di mercato determinate dal crollo dei prezzi, i tentativi di introdurre una disciplina di sostegno del reddito si sono scontrati finora con la totale preclusione comunitaria, che ha ritenuto sufficienti gli interventi delineati nelle singole organizzazioni di mercato (OCM).
Per primo il D.L. n. 22/05, con l'art. 1-bis introduceva "lo stato di crisi di mercato" in caso di riduzione del reddito medio annuale del 30 per cento rispetto al reddito medio del triennio precedente: le norme erano subordinate all'autorizzazione da parte della Commissione europea, che infatti le censurava con la Comunicazione Com(2005) 74 def escludendo la possibilità di erogare aiuti di Stato miranti a lenire crisi di mercato conseguenti alla riduzione dei prezzi.

Allo scopo di superare i rilievi formulati dalla Commissione, il Governo è nuovamente intervenuto sulla materia con il decreto-legge n. 182/2005, che ha stabilito che i descritti aiuti potessero essere concessi come aiuti de minimis in base al reg. (CE) 1860/2004.

La legge n. 296/06 finanziaria 2007 (art. 1, comma 1072) aveva poi previsto l'istituzione di un apposito Fondo destinato al finanziamento di misure volte a “favorire la ripresa economica e produttiva delle imprese agricole colpite da gravi crisi di mercato”: la norma non ha tuttavia avuto applicazione, anche a causa delle obiezioni avanzate dalla Commissione europea, e lo stanziamento del Fondo è stato via via destinato ad altre finalità con diversi provvedimenti legislativi, a cominciare dalla finanziaria per il 2008 (L. n. 244/07, comma 123 dell'art. 2, e comma 111 dell'art. 3).

Pare corretta la strada da ultimo intrapresa con il D.L. n. 179/12, con ulteriori misure di crescita. Le disposizioni dell’articolo 36, commi 2-bis e 2-ter, sono dirette a consentire la nascita di fondi mutualistici che siano destinati alla stabilizzazione dei redditi, ed alla stabilizzazione delle relazioni contrattuali tra gli imprenditori che sottoscrivano contratti di rete.
Per una gestione condivisa del rischio e per la stabilizzazione dei redditi, il comma 2-bis ha disposto che presso ISMEA venga istituito un fondo mutualistico nazionale, alimentato con i contributi volontari degli agricoltori. Le entrate del Fondo potranno essere costituite anche da contributi dello Stato, purché compatibili con le disposizioni comunitarie. Il comma 3-bis ha disposto che un fondo di mutualità possa anche essere previsto con i contratti di rete sottoscritti da imprenditori del comparto agricolo con l’assistenza delle organizzazioni professionali di categoria, allo scopo di stabilizzare le relazioni contrattuali tra i contraenti: in tal caso si applicano le disposizioni definite per l’istituzione - con i contratti di rete - di fondi patrimoniali comuni, scritte all’art. 3, comma 4-ter del D.L. n. 5/09. La sottoscrizione dei contratti di rete può essere fatta da imprenditori che perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.

Da ultimo sono state anche reperite le risorse che andranno ad interventi di sostegno del comparto agricolo, nelle fasi di crisi di mercato. La ricognizione delle somme residuate dagli stanziamenti statali disposti nel corso degli anni in favore del comparto bieticolo-saccarifero - che ormai non può beneficiare di alcun aiuto - ha consentito di intercettare 19,7 milioni di euro tuttora presenti nel bilancio di AGEA: un decreto del Mipaaf, di concerto con il dicastero dell’economia, definirà le modalità applicative delle nuove disposizioni, e quantificherà le risorse da destinare ad ogni singola misura.

La cessione di prodotti agricoli

Dal 24 ottobre 2012 sono diventate obbligatorie le condizioni poste dall’articolo 62 del D.L. n. 1/12, decreto per le liberalizzazioni, che richiede per la cessioni di prodotti agricoli e alimentari contratti scritti e termini di pagamento a 30 o 60 giorni. Le nuove regole possono anche essere correlate alla crisi economica in corso, con conseguente calo dei consumi, che ha prodotto la segnalazione di pratiche commerciali sleali. L’intervento ha pertanto l’obiettivo di aumentare la trasparenza e l’efficienza nei rapporti di filiera, eliminare i comportamenti scorretti e speculativi, migliorare la gestione finanziaria dei rapporti.

La nuova disciplina - una delle più significative per il comparto, fra quelle introdotte nel corso delle legislatura - regola i contratti di cessione di prodotti agricoli e alimentari, esclusi quelli conclusi con un consumatore finale: a pena di nullità le norme impongono la forma contrattuale scritta ed indicano il contenuto obbligatorio. Lo scopo che ha mosso il legislatore è quello di garantire maggiore trasparenza nei rapporti tra i diversi operatori della filiera agroalimentare, e di assicurare una maggiore tutela al contraente più debole, rappresentato in genere dal produttore agricolo, in posizione di soggezione nei confronti dell'industria alimentare o della grande distribuzione. Basti pensare che nell'area comunitaria il peso dell'agricoltura nella filiera alimentare sarebbe passato dal 29% nel 2000 al 24% nel 2005, mentre nello stesso periodo quella dell'industria alimentare, del settore all'ingrosso e della distribuzione avrebbe registrato un incremento (così la Commissione UE nella propriaComunicazionedel 18/11/2010 sul futuro della PAC).

L'articolo 62 ha sancito quanto segue:

La nullità peraltro non era solo conseguente al mancato rispetto della forma, ma anche della mancata indicazione di uno dei seguenti elementi richiesti dal legislatore: durata, quantità, caratteristiche del prodotto, prezzo, modalità di consegna, modalità di pagamento. Il D.L. n. 179/12, con le ulteriori misure per la crescita del Paese approvate allo spirare della legislatura (legge di conversione n. 221, del 17 dicembre), ha:

- escluso dagli obblighi di cui all'articolo 62 i contratti conclusi fra imprenditori agricoli (con il comma 6-bis dell'art. 36);

- abrogato le disposizioni che sanzionano con la “nullità” la mancanza nel contratto degli elementi che il medesimo primo comma rende obbligatori (art. 36-bis);

 

Le attese modalità applicative delle disposizioni sono state infine adottate con il D.M. n. 199/12, che precisa che sono esclusi dall'applicazione dell'art. 62 i conferimenti effettuate dagli imprenditori alle cooperative o alle organizzazioni di produttori, ed i conferimenti tra imprenditori ittici (compresi gli acquacoltori). Il provvedimento reca anche un elenco delle pratiche commerciali sleali, tratto dai “Principi di buone prassi” frutto di un dialogo multilaterale, avviato dalla Commissione europea.

L'entità delle innovazioni introdotte ha suscitato una intensa attività di sindacato ispettivo, nell'ambito del quale merita menzionare la risoluzione conclusiva 8/00182approvata con il più largo consenso da parte della XIII Commissione Agricoltura. Il documento, proposto prima che venisse definito il decreto interministeriale n. 199, invitava il Governo ad adottare le disposizioni attuative "nel più breve tempo possibile", nel contempo fornendo una davvero lunga serie di indirizzi per la redazione del provvedimento, che avrebbe dovuto essere "il più funzionale possibile alle esigenze del comparto, privo di eccessi di burocrazia e di aggravi per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese agricole".

Vendita diretta e alimenti da filiera corta

La vendita diretta rappresenta per l’agricoltore un modo per incrementare i margini di guadagno derivanti dalla sua attività, perché elimina i numerosi passaggi che si verificano lungo la filiera prima che il prodotto giunga al consumatore finale. La lunghezza della filiera è la prima causa del forte incremento dei prezzi, senza che che ne derivi alcun beneficio al produttore iniziale.
Le numerose iniziative collettive di vendita gestite direttamente dai produttori agricoli - sorte per ridurre il divario fra la crescita dei prezzi al consumo a fronte della riduzione dei prezzi alla produzione - hanno trovato un riconoscimento ed una regolazione con l'approvazione del D.Lgs. n. 228/2001, cosiddetta legge di orientamento agricolo, in deroga alla disciplina generale del commercio stabilita con il D.lgs. n. 114/98. L'articolo 4 del provvedimento, diretto alla modernizzazione del settore, ha consentito agli imprenditori agricoli di vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti, ma non solo i propri dal momento che la norma menziona "i prodotti provenienti in misura prevalente" dall'azienda. La possibilità di vendita peraltro si estende ai prodotti derivati, ottenuti con la manipolazione o trasformazione dei prodotti sia agricoli che zootecnici. Le norme infine pongono un tetto alle entrate derivanti dalla vendita diretta - aggiornato con la finanziaria 2007 - oltre il quale la vendita dei prodotti rientra nella normale attività commerciale regolata dal citato decreto n. 114, e non gode più dei benefici previsti per i prodotti agricoli (ad esempio della ridotta aliquota IVA).
L'articolo 4 ha poi definito (commi 2-4) le modalità di esercizio dell’attività di vendita diretta nella forma itinerante: in tal caso - così la norma prima di essere modificata - l'attività deve essere preceduta da una comunicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda, e la vendita può essere esercitata solo trascorsi 30 giorni dalla ricezione della comunicazione. L'art. 27 del D.L. n. 5/12 sulle semplificazioni, ha conservato l'obbligo di comunicazione, ma ha anticipato l'inizio dell'attività dalla data di invio della comunicazione.
La disciplina dell'intero articolo 4 è stata poi estesa anche agli enti e associazioni con l'art. 4 del D.lgs. n. 99/2004.

Invero una forma di vendita diretta era stata consentita fin dal 1999, per consentire la vendita di prodotti non conformi alle norme sull'igiene delle produzioni alimentari stabilite dall'UE perché prodotti secondo metodiche particolari e locali, senza le quali perderebbero le loro caratteristiche organolettiche. Di questi prodotti è permessa la sola vendita diretta, anche per via telematica, limitata al consumatore finale (inclusi gli esercizi di somministrazione e ristorazione), e circoscritta territorialmente alla provincia della zona tipica di produzione (così l'art. 10 della legge n. 526/99).

Per la realizzazione dei mercati agricoli a vendita diretta, la Finanziaria 2007 (legge n. 296/2006, comma 1065) aveva disposto che entro 3 mesi fosse adottato un decreto del Ministro delle politiche agricole per la definizione degli standard dei mercati e le modalità di vendita, per assicurare la trasparenza dei prezzi. L'attuazione data con il D.M. 20 novembre 2007, che ha così consentito la nascita anche in Italia dei mercati degli agricoltori - i cosiddetti "farmers markets", fissa le linee guida per tutto il territorio nazionale e fornisce indicazioni chiare ed uniformi alle amministrazioni comunali.

Con lo scopo di valorizzare e promuovere i prodotti alimentari provenienti da filiera corta -  la cui area di produzione sia situata a breve distanza dal luogo di consumo finale - nonché dei prodotti di particolare pregio qualitativo - ossia quelli provenienti da coltivazioni biologiche, a denominazione tutelata, tipici o tradizionali - la Commissione Agricoltura ha avviato nel mese di novembre del 2009 l'esame di talune proposte parlamentari (C.1481 e abbinate), alle quali nel tempo se ne sono aggiunte altre. La Commissione ha proseguito i lavori, a decorrere dalla seduta del 28/2/12, in comitato ristretto senza tuttavia arrivare all'approvazione di un testo definitivo entro la legislatura.

I prodotti di provenienza locale sono rimasti pertanto privi di una disciplina, anche perché non è mai stato presentato in Parlamento lo schema di un disegno di legge che il Governo aveva preannunciato nel marzo del 2010, provvedimento che avrebbe definito i principi fondamentali in materia di mercati agricoli riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli, e avrebbe dovuto promuovere la domanda e l'offerta dei prodotti agricoli a chilometro zero, provenienti da filiera corta.

Ciò malgrado, la necessità di salvaguardare l'ambiente riducendo l'inquinamento correlato al trasporto delle merci, e la pari necessità di ricorrere a prodotti più salubri perché consumati in prossimità della produzione, hanno prodotto intese che hanno privilegiato il consumo delle produzioni da filiera corta. La Conferenza Unificata ha approvato Provv. 29-4-2010 n. 2/C.U.una Intesa sulle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica, che per la defizione del capitolato, suggerisce di dare priorità agli alimenti a filiera corta, cioè all'impiego " di prodotti che abbiano viaggiato poco e abbiano subito pochi passaggi commerciali prima di arrivare alla cucina o alla tavola. Per favorire l'utilizzo di tali alimenti, possono essere attribuiti punteggi diversi per le diverse provenienze premiando i prodotti locali". La Conferenza Stato-regioni ha poi approvato l'Intesa 16-12-2010 n. 246/CSRsulle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione ospedaliera e assistenziale. Tra le modalità di approvvigionamento, viene definito interessante - perché coniuga aspetti di sostenibilità ambientale, legame con il territorio e sostegno all'economia locale - "l'utilizzo di prodotti locali attraverso convenzioni con fornitori di zona, in un processo definito filiera corta o chilometri zero che, accorciando le distanze tra luogo di produzione e consumo, determina un minor utilizzo di sistemi di trasporto, imballaggio, energia, minor numero di passaggi, con evidenti effetti sull'ambiente.". 

L'intervento legislativo regionale nella materia non è in ogni caso precluso, ma non può esimersi dal rispetto del quadro legislativo comunitario. Così, la legge della regione Puglia del13 dicembre 2012, n. 43 che prevede "Norme per il sostegno dei Gruppi acquisto solidale (GAS) e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità", ha prodotto l'impugnativa dinnanzi alla Corte Costituzionale da parte del Governo "perché contiene disposizioni in contrasto con la normativa comunitaria in materia di libera circolazione delle merci e, pertanto, viola l'art. 117, primo comma e l'art. 120 della costituzione" (CdMsedutadell'8 febbario 2013).

Vale segnalare che anche le istituzioni europee mostrano interesse per l'agricoltura di piccola scala e la filiera corta. Su questi temi il 20 aprile 2012 si è svolta a Bruxelles, alla presenza del Commissario europeo per l'Agricoltura e lo Sviluppo Rurale, e del Commissario sulla Salute e le politiche a tutela dei consumatori, una Conferenzache si è focalizzata, tra l'altro, sul sostegno ai piccoli agricoltori tramite la PAC e sulle strategie da usare per stimolare l'interesse dei consumatori nei confronti delle produzioni locali. 


Approfondimenti

Dossier pubblicati

Approfondimento: Controllo e monitoraggio dei prezzi

Negli ultimi anni l’andamento dei prezzi al consumo dei prodotti agroalimentari ha suscitato notevoli preoccupazioni, per la concomitanza di fattori negativi di ordine interno ed internazionale.
Sul piano internazionale, l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è connesso alla forte crescita della domanda proveniente dai paesi emergenti ed alla tendenziale riduzione dei raccolti, dipendente sia da negativi andamenti climatici, sia dalla maggiore utilizzazione di aree agricole per produzioni bio-energetiche.
Sul piano interno incidono negativamente sia la struttura estremamente allungata della catena di trasmissione dal produttore al consumatore finale, sia la crescente pressione dei prezzi dell’energia, anche per quanto riguarda il costo dei trasporti.

Il problema della formazione dei prezzi lungo le filiere agroalimentari, e della necessità di rendere pubblici eventuali fenomeni speculativi in modo da consentire al consumatore di orientarsi verso acquisti che premino comportamenti virtuosi, è stato quindi ben presente all’attenzione del legislatore.



Andamento dei prezzi e trasparenza

Già nella XIV legislatura, con l’articolo 2 del D.L. n. 182/2005  è stato attribuito alla Guardia di finanza e all’Agenzia delle entrate il compito di realizzare, sulla base delle direttive impartite dal Ministro dell’economia, un più stretto controllo dei prezzi lungo le filiere produttive agroalimentari nelle quali gli stessi abbiano manifestato un andamento anomalo.
La norma prevede la messa in atto di controlli mirati, per rilevare i prezzi di cessione dei prodotti lungo la filiera agroalimentare, ovvero nei passaggi tra le varie fasi di trattamento dei prodotti agroalimentari, dalla raccolta alla vendita al consumatore finale. I controlli vanno peraltro limitati alle filiere agroalimentari nelle quali si siano verificate, o siano in corso, anomalie nell’andamento dei prezzi.
Per lo svolgimento dei controlli la Guardia di finanza e l’Agenzia delle entrate si possono avvalere anche dei dati e degli elementi  in possesso degli Osservatori dei prezzi istituiti presso il Ministero delle politiche agricole e il Ministero delle attività produttive.

Il primo è l’Osservatorio prezzi ortofrutticoli istituito presso l’ISMEA, istituito per garantire la trasparenza del mercato, evidenziare eventuali comportamenti anomali nella filiera e assicurare al consumatore una corretta informazione e conoscenza circa livelli e dinamiche dei prezzi e provenienza dei prodotti.
Esso è strutturato in modo da:

I prodotti ortofrutticoli oggetto di monitoraggio sono 29, di cui 14 appartenenti al segmento degli Ortaggi freschi, e 15 rientranti nel comparto della Frutta fresca. La scelta dei prodotti oggetto di monitoraggio è effettuata sulla base della rilevanza che gli stessi hanno sul piano produttivo e in termini di incidenza sulla spesa delle famiglie italiane, in modo tale da essere rappresentativi della tendenza dei mercati.
Per ciascuno dei prodotti, le rilevazioni riguardano le diverse fasi di scambio:
    all’origine, l’Osservatorio si avvale della Rete di rilevazione ISMEA;
    all’ingrosso, i dati mensili provengono direttamente dall'Osservatorio prezzi all'ingrosso realizzato da Ismea con il supporto tecnico di Fedagromercati;
    al dettaglio, i dati si fondano sull'indagine condotta da ISMEA sugli acquisti domestici delle famiglie italiane.
Va aggiunto che ISMEA è impegnato nella promozione di un Network europeo per il monitoraggio dei mercati agricoli a livello continentale, attraverso la standardizzazione dei metodi di raccolta ed elaborazione dei dati.

L’Osservatorio dei prezzi istituito presso il Ministero delle attività produttive (con D.M. del 16/9/92) tra l’altro, "verifica la coerenza del processo di formazione dei prezzi nelle varie fasi, all’uopo avvalendosi di specifici ispettori dei costi" e, in presenza di fattori distorsivi, può promuovere l’intervento del CIPE. Nel sito infine, è resa nota l'attività del Garante per la sorveglianza dei prezzi, e sono "tempestivamente" pubblicati ed aggiornati quadri di confronto dei prezzi dei principali beni di consumo e durevoli, con particolare riguardo ai prodotti alimentari ed energetici (così l'art. 5, del D.L. n. 112/08). 

All’inizio della XV legislatura, il D.L. n. 223/2006 con l’articolo 9 comma 1 ha disposto ulteriori misure per il sistema informativo sui prezzi dei prodotti agro-alimentari, prevedendo che entrambi i Ministeri dell’agricoltura e dello sviluppo consentano alle regioni ed agli enti locali di collegarsi con i sistemi informativi ad essi afferenti. Poiché lo scopo è sempre quello di promuovere una più diffusa informazione del consumatore sui prezzi all’ingrosso e al dettaglio dei prodotti agro-alimentari, le disposizioni richiedono anche che i dati aggregati siano resi pubblici anche mediante la pubblicazione su internet, su testate giornalistiche (con stipula di convenzioni gratuite), con emittenti radio-televisive e con gestori del servizio di telefonia.
Con decreto interministeriale in data 22 dicembre 2006 i Ministri dello sviluppo economico e delle politiche agricole hanno approvato le direttive per l’attuazione sperimentale delle disposizioni di cui sopra.

Un ulteriore pacchetto di interventi per promuovere la trasparenza dei prezzi dei prodotti alimentari è stato poi adottato con l'art. 2, commi da 127 a 132, della legge n. 244/07, finanziaria 2008.
Tale intervento si colloca peraltro in un più vasto ambito di attenzione al controllo dei prezzi: l’art. 2, commi 196-203, della medesima legge finanziaria ha istituito infatti l”Autorità garante per la sorveglianza dei prezzi”, che deve sovrintende alla tenuta e all’elaborazione delle informazioni che provengono dagli “uffici prezzi” delle camere di commercio, dall'ISTAT, dalla Presidenza del Consiglio, nonché dai competenti uffici del MIPAAF. Il supporto operativo è assicurato dalla Guardia di finanza. In un progetto di semplificazione e snellimento procedurale, le funzioni del Garante sono state ridefinite con l’art. 5 del D.L. n. 112/08, che gli ha attribuito specifici poteri conoscitivi ed ha previsto un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria e delle amministrazioni pubbliche. Infine - art. 23, della legge n. 99/09 - è stato consentito alla CGF l’esercizio dei poteri di indagine ad essa attribuiti in sede di accertamento dell’IVA e delle imposte dirette anche in seno alle indagini conoscitive avviate dal Garante per la sorveglianza dei prezzi.

Le facoltà e i poteri attribuiti ai fini dell’accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, sono regolati dagli articoli 51 e 52 del DPR 633/72, nonché 32 e 33 del DPR n. 600/73. I citati articoli contengono un ampio ventaglio di poteri, tra i principali: il potere di procedere all'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche; il potere di invitare i soggetti che esercitano imprese, arti o professioni a comparire di persona o a mezzo di rappresentanti per esibire documenti e scritture o per fornire dati, notizie e chiarimenti rilevanti ai fini degli accertamenti nei loro confronti; il potere di inviare questionari ai soggetti che esercitano imprese, arti e professioni, con invito a restituirli compilati e firmati, relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento, anche nei confronti di loro clienti e fornitori; il potere di invitare qualsiasi soggetto ad esibire o trasmettere, anche in copia fotostatica, documenti e fatture relativi a determinate cessioni di beni o prestazioni di servizi ricevute ed a fornire ogni informazione relativa alle operazioni stesse; il potere di chiedere ad una vasta pletora di soggetti pubblici e privati la trasmissione di informazioni, dati e notizie.

Per quanto riguarda specificamente i prodotti alimentari, la legge n. 244/07 prevede (comma 127 citato) che l'Osservatorio del dicastero agricolo, ovvero l'ISMEA, verifichi la trasparenza dei prezzi dei prodotti alimentari, con particolare riferimento a quelli al dettaglio, integrando le rilevazioni che debbono essere effettuate ai sensi dell'articolo 127, comma 3 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Oltre ad assicurare la trasparenza del mercato, le verifiche debbono perseguire il fine di contrastare l'andamento anomalo dei prezzi delle filiere agroalimentari, allo scopo di assicurare una tutela del consumatore, la leale concorrenza tra gli operatori e la difesa del made in Italy. I dati aggregati rilevati dall’Osservatorio del MIPAAF dovranno essere resi pubblici, almeno con cadenza settimanale, mediante la pubblicazione sul sito internet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e con la stipula di convenzioni gratuite con testate giornalistiche ed emittenti radio televisive e gestori del servizio di telefonia (comma 128). All'Ispettorato centrale contollo frodi, ora ICQRF - Dipartimento del MIPAAF, è attribuito (comma 129) il compito di svolgere i controlli nelle filiere agroalimentari in cui l’ISMEA abbia rilevato ai sensi del comma 1 un andamento anomalo dei prezzi. L’operato dell’ICQ si inserisce nell’ambito dei programmi di controllo ad esso affidati dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 9 settembre 2005, n. 182, e si affianca così all’attività di controllo svolta dalla Guardia di finanza e dell’Agenzia per le entrate ai sensi della lettera a) della norma citata del D.L. n. 182/2005. Il Ministro delle politiche agricole riferisce al Presidente del Consiglio dei ministri sugli esiti delle attività di controllo svolte dall’ICQ, formulando le proposte per l’adozione da parte del Governo di adeguate misure correttive dei fenomeni di andamento anomalo nelle filiere agroalimentari (comma 130), ed è altresì incaricato (comma 131) di promuovere, d’intesa con gli enti locali, l’organizzazione di panieri di prodotti alimentari di generale e largo consumo; il ministero deve anche promuovere l’attivazione di forme di comunicazione al pubblico, anche attraverso strumenti telematici, degli elenchi degli esercizi commerciali presso i quali gli individuati panieri sono disponibili, nonché degli esercizi meritevoli in ragione dei prezzi praticati.

Si ricorda infine che il Senato, approvando il 7 ottobre 2008 la mozione 1.00025, Bricolo ed altri, ha istituito una Commissione straordinariaper la verifica dell'andamento generale dei prezzi al consumo e per il controllo della trasparenza dei mercati, costituita da 25 componenti in ragione della consistenza dei Gruppi parlamentari. La Commissione ha avuto compiti di studio, osservazione e iniziativa, per lo svolgimento dei quali le è stato consentito di prendere contatto con istituzioni di altri Paesi e con organismi internazionali; a tal fine la Commissione ha potuto effettuare missioni in Italia o all'estero. Per il raggiungimento di queste finalità essa può svolgere procedure informative ai sensi degli articoli 46, 47 e 48 del Regolamento; formulare proposte e relazioni all'Assemblea - tra cui una relazione annuale - ai sensi dell'articolo 50, comma 1, del Regolamento; votare risoluzioni alla conclusione dell'esame di affari ad essa assegnati, ai sensi dell'articolo 50, comma 2, del Regolamento; formulare pareri su disegni di legge e affari deferiti ad altre Commissioni, anche chiedendone la stampa in allegato al documento prodotto dalla Commissione competente, ai sensi dell'articolo 39, comma 4, del Regolamento. La Commissione ha durata triennale e può essere rinnovata
L'ultima seduta della Commissione, che ha acquisito una ricca documentazione posta in rete,  si è tenuta il 24 Ottobre 2012.

 



L'indagine conoscitiva dell'Autorità antitrust sulla distribuzione agroalimentare

L’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha concluso il 7 giugno 2007 unaindagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentareavviata il 1° giugno 2005. L'indagine ha avuto una particolare attenzione per il settore dei prodotti ortofrutticoli.

L’indagine, come si legge nella premessa del documento approvato dall’Autorità "ha preso spunto anche dalla diffusa percezione di un incremento dei prezzi dei prodotti ortofrutticoli avvenuto in concomitanza con il processo di conversione della lira nell’Euro", e si è prefissa pertanto di analizzare il funzionamento della filiera distributiva del comparto ortofrutticolo per verificare se le sue caratteristiche strutturali ed organizzative siano tali da ostacolare, tramite specifiche inefficienze e/o deficit concorrenziali, una corretta trasmissione dei prezzi lungo la catena distributiva, con conseguente creazione di effetti moltiplicativi sui prezzi degli ortaggi e della frutta.

Nelle osservazioni conclusive il documento auspica una ulteriore crescita del ruolo della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), che nel settore dell’ortofrutta ha ancora una quota di mercato (circa il 50%) largamente inferiore a quella media per gli altri settori, che è circa del 70%; tale crescita dovrebbe andare in sostituzione soprattutto dei tradizionali negozi di frutta e verdura, ed essere però realizzata in condizioni di reale tensione competitiva tra le diverse catene.

Una presenza più significativa della GDO promuoverebbe infatti un assetto più efficiente dell’intera filiera distributiva, ad esempio attraverso la concentrazione dei servizi logistici in capo a piattaforme realizzate presso i mercati all’ingrosso ovvero attraverso una spinta all’aggregazione dell’offerta.

Ciò in quanto, come sottolinea il documento, le modalità di approvvigionamento della GDO, "richiedono a tale tipologia distributiva di confrontarsi necessariamente con interlocutori grandi ed organizzati, non sempre presenti per tutti i prodotti del comparto, soprattutto con riferimento a quelli orticoli. In particolare, le necessità della GDO (in termini di completezza dell’assortimento, continuità e standardizzazione degli assortimenti, centralizzazione dei servizi logistici e di controllo), a fronte di un’offerta agricola caratterizzata da un’estrema frammentazione dei produttori, nonché da un’erraticità intrinseca nelle disponibilità, nei prezzi e negli standard qualitativi, fanno si che tale tipologia distributiva possa sfruttare appieno le proprie potenzialità competitive soltanto nella misura in cui riesce, per una percentuale consistente dei propri approvvigionamenti, ad accorciare la catena distributiva, rivolgendosi a produttori, o a organizzazioni di produttori, di dimensioni sufficienti a soddisfare almeno buona parte della domanda della catena e a stabilizzare conseguentemente il rapporto di fornitura e i prezzi".

Approfondimento: Indagine conoscitiva della XIII Commissione sui prezzi agroalimentari

La Commissione Agricoltura della Camera, tra le prime iniziative assunte all’avvio della legislatura, ha deliberato, nella seduta del 26 giugno 2008, lo svolgimento di una indagine conoscitiva sull’andamento dei prezzi nel settore agroalimentare, al fine di acquisire un quadro informativo qualificato sulla situazione e sui suoi sviluppi, nonché sull’ampio ventaglio di analisi e proposte avanzate nel corso del dibattito sviluppatosi sull’argomento.

Nella seduta del 26 maggio 2009 la Commissione ha approvato il documento conclusivo dell’indagine.

Il documento sottolinea come l’incremento dei prezzi di vendita dei prodotti agroalimentari abbia “creato una ricchezza che si è dissipata nella filiera produttiva senza arrivare al primo anello della catena, ovvero al produttore; al contempo, a causa dell’aumento dei prezzi-acquisto sopportato dalle aziende agricole, la redditività delle stesse si è ridotta drasticamente. Gli attori che hanno subito maggiormente gli effetti del rialzo dei prezzi sono stati quindi gli estremi della filiera produttiva”.

I fattori di ordine interno che determinano nel nostro paese l’aumento dei prezzi dei prodotti agroalimentari sono quindi così individuati:

In questo quadro mancano efficaci meccanismi di monitoraggio e controllo dei prezzi ed appare fragile l’apparato ispettivo e sanzionatorio, mentre in alcune aree caratterizzate da elevata densità mafiosa le organizzazioni criminali hanno assunto un ruolo centrale nel controllo dei mercati, con la possibilità di incidere nella fissazione dei prezzi dei prodotti e promuovere condotte monopolistiche.

Il documento enuncia quindi un ampio quadro di proposte di intervento, finalizzate a correggere le attuali distorsioni a vantaggio soprattutto degli agricoltori, cui deve essere assicurata una redditività a fronte di un adeguato investimento, e dei consumatori, ai quali occorre garantire una trasparente informazione ed un prezzo equo:

Il potenziamento della rete infrastrutturale, logistica ed energetica è fondamentale per il settore agroalimentare come per l’intera economia nazionale, e porterebbe ad una riduzione dei costi di trasporto ed energetici; la promozione della ricerca potrebbe creare le condizioni per lo sviluppo di prodotti o processi in grado di permettere consistenti risparmi.

L’azione politica dovrebbe tendere a ristabilire le condizioni nodali dell’efficienza del mercato, cioè l’informazione e la concorrenza, e quindi promuovere:

  1. l’introduzione di nuovi strumenti aggregativi tra i produttori, che dovrebbero porsi come interlocutori diretti della grande distribuzione, anche integrando la parte strettamente agricola con quella che opera nei servizi mediati dal prodotto;
  2. la nascita di forme di vendita diretta (i c.d. farmers market);
  3. la diffusione a livello locale di accordi tra enti locali, associazioni dei commercianti, grande distribuzione e associazioni dei consumatori, per difendere il potere di acquisto delle famiglie e tutelare i consumi alimentari delle fasce a basso reddito;
  4. una adeguata informazione del consumatore, che consenta scelte consapevoli, avendo come strumento fondamentale la tracciabilità del prodotto in tutte le fasi che vanno dalla produzione sino al consumo.

Per migliorare il sistema dei controlli e del monitoraggio sui prezzi il documento propone interventi sia a livello centrale che periferico:
“A livello centrale, occorre rafforzare e rendere più incisivo il ruolo del Garante per la sorveglianza dei prezzi, attribuendogli la possibilità di attuare, in stretto coordinamento con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, misure amministrative sanzionatorie, immediatamente cogenti, qualora si verifichino, nel mercato dei prodotti agricoli e agroalimentari, episodi di grave lesione dei meccanismi della concorrenza o si accertino comportamenti speculativi da parte degli operatori della distribuzione commerciale. A livello periferico, diventa indispensabile imprimere uno speciale impulso ai controlli di polizia annonaria a livello comunale e promuovere efficaci azioni di monitoraggio dei comuni attraverso una propria rete di rilevazione dei prezzi”.

La promozione di una cultura attenta alla qualità, al rispetto dell’ambiente e delle reali necessità di acquisto porterebbe una riduzione complessiva della domanda ed un conseguente calo dei prezzi di vendita. E’ da valutare positivamente una politica di favore per la diffusione e la vendita di prodotti sfusi e per la promozione della produzione locale e di qualità (c.d. “chilometro zero”); particolare rilevanza assume la promozione dei gruppi di acquisto solidale (GAS), associazioni senza scopo di lucro costituite da persone o nuclei familiari, che acquistano beni all’ingrosso per ridistribuirli all’interno del gruppo.

 

 

 

 

Approfondimento: Trasporto, smaltimento e riutilizzo dei rifiuti

Per le aziende agricole costituisce sicuramente un aggravio, sia burocratico sia in termini di maggiori costi, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti prodotti. Una prima semplificazione è stata disposta all'inizio della legislatura con l'art. 4-quinquies del D.L. n. 171/08 per la competitività. La norma - ora scritta al comma 5 dell'articolo 193 del codice ambientale (D.lgs. n. 152/06) - esonera anche dalla procedura semplificata, prevista dal comma 8 dell’art. 212, coloro che trasportano i propri rifiuti (sia non pericolosi che pericolosi) purché: non superino i trenta chili o i trenta litri; il trasporto costituisca parte integrante ed accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti; il trasporto sia esclusivamente finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale è stata stipulata una convenzione.

Più recentemente l’art. 28 del D.L. n. 5/12, sulle semplificazioni e lo sviluppo, ha modificato ancora una volta l’art. 193 del codice dell’ambiente per consentire di semplificare le operazioni di movimentazione dei rifiuti agricoli tra fondi non contigui appartenenti alla medesima azienda, o verso il fondo di cooperativa della quale si è soci.
Con l’aggiunta del comma 9-bis è stato specificato che non devono essere considerati operazioni di “trasporto” dei rifiuti - e ad esse pertanto non si applica la disciplina contenuta nella parte quarta del Testo Unico – le seguenti operazioni di trasferimento:
- movimentazione di rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola distanti non più di 10 km, ancorché effettuata percorrendo la pubblica via, qualora risulti comprovato da elementi oggettivi ed univoci che sia finalizzata unicamente al raggiungimento del deposito temporaneo;
- movimentazione di rifiuti effettuata dall'imprenditore agricolo (definito all'art. 2135 c.c.) dai propri fondi al sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui è socio, qualora sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo. Le disposizioni sono state estese ai consorzi agrari con l'art. 52 del D.L. n. 83/12 (comma 2-ter)

Sono invece andate deluse le aspettative del settore a causa della cancellazione - da parte della Camera in seconda lettura, per estraneità della materia - delle disposizioni introdotte dal Senato in sede di conversione del D.L. n. 2/12 in materia ambientale. Soppressi, fra gli altri, l'art. 1-bis sul compostaggio e sul trasporto dei rifiuti agricoli nell'ambito di aziende consorziate e l'art. 1-ter e 3-bis in materia di semplificazione delle procedure per il compostaggio dei rifiuti provenienti da mense e parchi. Nella sostanza le norme semplificavano gli adempimenti amministrativi e tecnici nella gestione dei rifiuti agricoli migliorandone la raccolta e rendendola meno onerosa per gli imprenditori agricoli. Le norme peraltro semplificavano le possibilità di utilizzare a fini agronomici ed energetici biomasse importanti, come i residui delle potature del verde pubblico e gli effluenti zootecnici destinati agli impianti di produzione di biogas, chiarendone lo status di "sottoprodotto" invece che "rifiuto" - oggi regolato dall'art. 184 del codice dell'ambiente.

Un’ultima modifica al codice ambientale è stata introdotta con l’art. 52 del D.L. n. 83/12, per la crescita, che ha trasformato gli effluenti degli allevamento e i residui di origine vegetale da rifiuti a sottoprodotti, consentendone il reimpiego come concimi. Pertanto l’art. 184-bis del D.Lgs. 152/2006, che reca la definizione di sottoprodotto, si applica ora al digestato ottenuto dalla digestione anaerobica, eventualmente associata anche ad altri trattamenti di tipo fisico-meccanico, di effluenti di allevamento, o residui di origine vegetale, o residui delle trasformazioni o delle valorizzazioni delle produzioni vegetali effettuate dall’agro-industria (anche se miscelati fra di loro), che sia utilizzato ai fini agronomici.
Un decreto interministeriale dovrà definire:
- caratteristiche e modalità di impiego del digestato equiparabile, per quanto attiene agli effetti fertilizzanti e all’efficienza di uso, ai concimi di origine chimica;
- modalità di classificazione delle operazioni di disidratazione, sedimentazione, chiarificazione, centrifugazione ed essiccatura.

Sono invece diventati sottoprodotti, dei quali è consentita la combustione, le vinacce ed il biogas ottenuto dalle borlande della distillazione, nonché la pollina ottenuta dalle deiezioni degli allevamenti avicoli, alle condizioni stabilite dall’art. 2-bis del D.L. n. 171/08.

Le agroenergie

Come per tutto il settore della produzione di energie rinnovabili anche per le agroenergie il sistema degli incentivi è stato ridefinito nel 2011 e si applicherà per i nuovi impianti a decorrere dal 2013. La facoltà di optare per il nuovo sistema è attribuita ai soli impianti di produzione di energia elettrica, alimentati da bioliquidi sostenibili ed entrati in esercizio prima del 2013. Carattere di novità hanno gli incentivi diretti al settore del biometano.

Disposizioni comunitarie (dir. 2009/28/CE) hanno stabilito che nel 2020 la quota di energie da fonti rinnovabili - energia elettrica, calorica, per i trasporti - non possa essere in Italia inferiore al 17% di quella complessivamente consumata; il contributo delle FER nel settore dei trasporti è stato limitato al 10%.

I documenti nazionali di attuazione della politica comunitaria-(PAN)Piano di Azione Nazionale (PAN) per le energie rinnovabili dell’Italia, e D.lgs. n. 28/2011 - prevedono che le biomasse di origine agricola e forestale possano soddisfare il 58% della produzione di energia calorica, ed il 20% di quella elettrica; per l'autotrazione saranno fondamentali i carburanti di seconda generazione, che potranno coprire il 62% del fabbisogno energetico con la produzione di biodisel, ed il 20% con il bioetanolo (così INEA Annuario dell'agricoltura italiana, ed. 2011).

In merito va precisato che le biomasse - se non diversamente specificato - oltre che avere origine agricola (comprendente sostanze vegetali e animali), silvicola, e provenire dalle industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura, includono gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, ed includono anche la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani (art. 2 del decreto legislativo n. 28).
Dalla biomassa si possono peraltro estrarre bioliquidi, ovvero combustibili liquidi destinati a scopi energetici diversi dal trasporto ma compresa la produzione di elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, nonché i biocarburanti (liquidi o gassosi) per autotrazione, che includono: il biodiesel, prodotto analogo al gasolio ma ottenuto da oli vegetali e grassi animali, e il bioetanolo, prodotto attraverso un processo di fermentazione di biomasse ricche di zucchero (cereali, le colture zuccherine, gli amidacei e le vinacce). L'etanolo così estratto può essere usato puro, come componente delle benzine, o per la preparazione dell'ETBE (etere etilbutilico), un derivato ad alto numero di ottano (maggiore è il numero di ottano, più è alto il potere antidetonante del carburante, più elevato il rapporto di compressione che si può adottare). Il biogas (che ha trovato una definizione nel D.M. del 6/7/12) è il gas prodotto dal processo biochimico di fermentazione anaerobica di biomassa e contiene - in misura variabile - metano. Con il termine biometano si intende il gas che - attraverso un processo di raffinazione che eleva la concentrazione di metano - presenta caratteristiche e utilizzo corrispondenti al gas metano; è prodotto con la fermentazione dei residui organici provenienti da vegetali in decomposizione, carcasse e liquami zootecnici, fanghi di depurazione, scarti dell'agro-industria, colture dedicate. Oltre all'utilizzo nel trasporto, il gas può anche essere impiegato per produrre calore o elettricità.

Incentivi per l'utilizzo dei prodotti agricoli nella produzione di energia elettrica

Il sistema degli incentivi delineato nel 2011, mentre non cambia sostanzialmente per gli impianti entrati in esercizio entro il 2012, viene completamente rinnovato per gli impianti che entreranno in esercizio a decorrere dal 2013. Ad essere sensibilmente modificato è soprattutto il sistema dei cosiddetti certificati verdi dei quali usufruiscono principalmente gli impianti generatori di energia calorica che utilizzano biomasse agricole e forestali.

Alla produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili entrati in esercizio entro il 2012 si continua pertanto ad applicare il precedente sistema, con i correttivi di cui all'art. 25 del decreto legislativo 28/2011. Va aggiunto in merito che la legge di stabilità 2013 (comma 364, L. 228/12) ha integrato tale articolo 25 attribuendo ai titolari di impianti di produzione di energia elettrica, alimentati da bioliquidi sostenibili ed entrati in esercizio prima del 2013, la facoltà di modificare il sistema di incentivazione vigente, con effetto a decorrere dal 1º gennaio 2013.

Per i nuovi impianti si applicheranno i nuovi meccanismi di incentivazione previsti dall’articolo 24 dello stesso decreto che detta (comma 2, lettere g) edh)) criteri specifici per l'adozione degli incentivi riservati agli impianti alimentati da biomasse, biogas e bioloquidi.

Tali fonti energetiche debbono rispondere ai requisiti di sostenibilità stabiliti con il D.lgs. n. 55/2011, al quale ha fatto seguito il decreto ministeriale del 23/1/12 sul "Sistema nazionale di certificazione" per biocarburanti e bioliquidi, che attesterà la sostenibilità delle materie sottoposte alle verifiche del sistema.

Per la definizione degli incentivi, le norme (lett. g) ) stabiliscono in primo luogo che si debba tener conto della provenienza e della tracciabilità della materia prima: entrambi i requisiti sono stati disciplinati con il D.M. 2 marzo 2010 seguito dalla circolare del Mipaaf del 31 marco 2010, esplicativa del sistema di tracciabilità delle biomasse da filiera.

La misura dell'incentivo deve inoltre essere quantificata in modo da privilegiare:

 Gli incentivi debbono inoltre essere idonei a promuovere (lett. h)) un uso efficiente: di biomasse rifiuto e sottoprodotto; di biogas da reflui zootecnici o da sottoprodotti delle attività agricole, agro-alimentari, agro-industriali, di allevamento e forestali; di prodotti di coltivazioni dedicate non alimentari; lo stesso trattamento incentivante devono ricevere biomasse, bioliquidi e biogas provenienti da filiere corte, contratti quadro e da intese di filiera.

Per l'utilizzo delle menzionate fonti rinnovabili, ancora il comma 2 (lett. h)), deve essere promossa anche la realizzazione di impianti - operanti in cogenerazione, nonché impianti di micro e minicogenerazione - di proprietà di aziende agricole, e asserviti alle attivà aziendali, alimentati da biomasse o biogas.
Sulla base dell’articolo 2 del D.lgs. n. 20/07, di attuazione della direttiva 2004/8/CE sulla promozione della cogenerazione, si intende: per cogenerazione la generazione simultanea in un unico processo di energia termica ed elettrica o di energia termica e meccanica o di energia termica, elettrica e meccanica; per unità di piccola cogenerazione un'unità di cogenerazione con una capacità di generazione installata inferiore a 1 Mwe (lettera d), e per unità di microcogenerazione quella con capacità di generazione massima inferiore a 50 kWe (lettera e)).

Lo stesso articolo 24, con il comma 3 detta criteri diversi per l'incentivazione degli impianti di potenza non inferiore a 5MW elettrici e - a prescindere dalle dimensioni - per gli impianti previsti dai progetti di riconversione del settore bieticolo-saccarifero, approvati sulla base dell'art. 2 del D.L. n. 2/06 che ha inteso affrontare la grave crisi nella quale all'epoca versava il settore. Va detto che gli incentivi di cui al comma 3 sono gli unici per i quali è ammessa la cumulabilità, altrimenti esclusa dall'articolo 26, che detta le modalità applicative. La cumulabilità con altri incentivi pubblici è ammessa fino al 40% del costo dell'investimento per: i soli impianti - di potenza elettrica fino a 1 MW - di proprietà di aziende agricole o gestiti in connessione con aziende agricole, agro-alimentari, di allevamento e forestali, alimentati da biogas, biomasse e bioliquidi sostenibili (lett. c)); ed è anche ammessa  per gli impianti alimentati da biomasse e biogas che derivino da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ottenuti nell'ambito di intese di filiera o contratti quadro, oppure di filiere corte, cioè ottenuti entro un raggio di 70 chilometri dall'impianto (lett. e)).
Le intese di filiera, ovvero accordi pattizzi che legano più soggetti della stessa filiera agroalimentare, sono disciplinati dall’art. 9 del D.lgs. 102/05; i contratti quadro, contratti sottoscritti dalle associazioni di produttori per regolare la commercializzazione della propria produzione secondo le linee definite dalle intese di filiera, sono regolati dall’art. 10 dello stesso D.L. n. 102/05. Le norme sono state completate dal D.M. 12 maggio 2010 che, per consentire il decollo della filiera, ha consentito alle imprese del settore della trasformazione agroenergetica di stipulare contratti quadro anche in assenza di intese di filiera.

Per la definizione delle modalità attuative dell'articolo 24 è stato adottato (come richiesto dal comma 5) il decreto interministerialeD.M. 6 luglio 2012del Ministro dello sviluppo economico, con il concerto del Ministro dell’ambiente e di quello delle Politiche agricole, sentita l’AEEG.
 Disposizioni specifiche per gli impianti alimentati da biomassa, biogas, e bioliquidi sostenibili sono scritte all'articolo 8, mentre l'articolo 26 prevede l'innalzamento del premio per gli gli impianti alimentati da biogas - operanti in regime di cogenerazione ad alto rendimento - che prevedano il recupero dell’azoto dalle sostanze trattate allo scopo di produrre fertilizzanti (l'incremento è di di 30 euro/MWh).

Incentivazione dell'uso di biometano

Completamente nuove sono le norme volte ad incentivare la produzione e l’uso di biometano contenute negli articoli 20 e 21 del D.lgs. n. 28/2011.
Le norme  demandano all’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) la definizione delle condizioni alle quali gli impianti di produzione di biometano potranno allacciarsi alla rete del gas, ma definiscono il contenuto che le direttive dell'Autorità dovranno avere per rispondere alle esigenze di sicurezza fisica e di funzionamento del sistema.

Gli incentivi per il prodotto immesso nella rete del gas naturale, concessi su domanda del produttore, sono così determinati sulla base dell'energia prodotta:
a) il biometano destinato alla produzione di energia elettrica può beneficiare degli incentivi previsti per l’utilizzo delle fonti rinnovabili, determinati con gli articoli 24 e 25 dello stesso provvedimento, a condizione di essere impiegato in impianti di cogenerazione ad alto rendimento;
b) il biometano usato per i trasporti può beneficiare del rilascio di certificati verdi validi per assolvere all’obbligo previsto dal comma 1 dell’art. 2-quater del D.L. 2/06, ovvero di immettere in consumo nel territorio nazionale una quota minima di biocarburanti e degli altri carburanti rinnovabili;
c) il biometano immesso nella rete del gas naturale potrà in alternativa beneficiare dell’erogazione di un incentivo che deve essere definito nella durata e nel valore con il decreto interministerale, tuttora in attesa di essere adottato, previsto per consentire l'attuazione dell'intero articolo 21.

Completa il nuovo regime d’incentivazione l’articolo 8   che demanda alle regioni la semplificazione del procedimento di autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti di distribuzione di metano e di adeguamento di quelli esistenti (comma 1), e dichiara di pubblica utilità con carattere di indifferibilità e di urgenza la realizzazione di impianti di distribuzione di metano e le condotte di allacciamento che li collegano alla rete esistente dei metanodotti (comma 2).

Norme dirette al settore agricolo

Benefici fiscali in favore delle produzioni agroenergetiche, sia sul versante delle imposte dirette che quello delle imposte indirette, sono stati concessi in ragione del soggetto produttore, individuato nell'azienda agricola.

Per quanto riguarda l’imposizione diretta, già la legge finanziaria 2006 (art. 1, comma 423 della L. n. 266/05)  aveva ricondotto nell’ambito del reddito agrario, con il conseguente trattamento fiscale agevolato effettuato su base catastale, l’attività svolta dalle aziende agricole diretta alla produzione e alla cessione di energia elettrica mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili agroforestali, qualificandola come "attività connessa" all’attività agricola (ai sensi dell'art. 2135, terzo comma, del codice civile).

Le norme sono state novellate con la successiva Finanziaria 2007 (art. 1, comma 369 L. 296/06) che ha esteso i benefici in precedenza disposti anche alla produzione e cessione di energia calorica. La riscrittura della norma ha anche ampliato il campo delle fonti rinnovabili che possono beneficiare del regime di favore, ammettendo anche l'energia di origine fotovoltaica, nonché proveniente dall’utilizzo di carburanti vegetali o di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo coltivato. Tali attività si considerano tutte produttive di reddito agrario.

Per quanto riguarda l’imposizione indiretta, ed in particolare le accise, sono terminati nel 2010 i programmi che hanno previsto agevolazioni impositive per biodiesel e bioetanolo, per i quali resta come unico incentivo quello della quota obbligatoria di prodotto da miscelare con il combustibile fossile.
Le norme – scritte nell’articolo 22-bis del D.lgs. n. 504/95, ma introdotte nel 2006 e nell’anno successivo modificate – avevano disposto che fosse applicata al biodisel destinato ad essere impiegato in miscela con il gasolio un’aliquota di accisa corrispondente al 20% di quella ordinaria applicata al gasolio come carburante. L’agevolazione, disposta per il quinquennio 2007/2010, era limitata ad un contingente prestabilito.
Le medesime norme avevano anche introdotto – per il periodo 2008/2010 - un’accisa agevolata per il bioetanolo di origine agricola, l’etere etilterbutilico (ETBE), e gli additivi e riformulanti prodotti da biomasse.

Restrizioni invece sulla concessione di incentivi alla istallazione di impianti fotovoltaici nelle aree agricole sono state previste già con il D.lgs. n. 28/11 allo scopo di contenerne la rapida diffusione con conseguente snaturamento del territorio a vocazione agricola. Non ritenute sufficienti le restrizioni disposte con il comma 4 dell'articolo 10 del decreto n. 28, è intervenuto il D.L. n. 1/12, sulle liberalizzazioni, negando qualunque diritto agli incentivi per gli impianti collocati a terra, che oltre a sottrarre rilevanti aree alla coltivazione ha determinato un rilevante impatto sul mercato degli affitti. La norma assicura inoltre la priorità di connessione alla rete elettrica per un solo impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, di potenza non superiore ai 200 kw, per ciascuna azienda agricola.
Le norme salvaguardano gli impianti realizzati e da realizzare sul demanio militare, nonché quelli, alle condizioni stabilite, che siano in procinto di essere realizzati o prosimi ad entrare in funzione.

Produzione di energia nelle aziende agricole

Dal 6°censimentodell'agricoltura, condotto dall'ISTAT nel 2010, si possono trarre anche dati sulla produzione di energia rinnovabile nelle aziende agricole. Quelle censite sull'intero territorio nazionale sono state poco meno di 1.621.900; di queste, 21.573 aziende dichiarano di avere 22.974 impianti di produzione di energia rinnovabile nel 2010. La diffusione territoriale rivela una forte presenza di tali aziende nell'Italia settentrionale: quasi 8.800 si collocano nelle aree del Nord-est, ed altre 4.560 nel Nord-ovest. Nella sola provincia di Bolzano 3.400 aziende hanno istallato 3.675 impianti che non solo consentono una notevole autonomia nell'approvvigionamento, ma avviano anche le aziende verso quella diversificazione del reddito auspicata per il settore primario: infatti, sono 3.485 le aziende presenti sull'intero territorio nazionale che riescono a ottenere una qualche remunerazione dalla produzione di energia, e 954 di queste sono nella provinca autonoma di Bolzano.

Nel panorama meridionale, escluse le Isole, la sola Puglia mostra una presenza significativa di impianti (1.118) per la maggior parte costituiti da pannelli fotovoltaici; importante la presenza degli impianti eolici - quasi un quarto di tutti quelli sull'intero territorio nazionale - da porre in correlazione con le scelte amministrative locali.

La preferenza delle aziende agricole si è diretta principalmente verso l'istallazione di pannelli fotovoltaici (il 75% di tutti gli impianti) favoriti dal contenuto investimento necessario, e dalle sensibili agevolazioni previste fino al 2010.
Seguono gli mpianti che producono energia , sia elettrica che calorica, da biomassa (poco più di 2 mila) la metà dei quali si concentra nelle regioni più vocate del Nord-est: 580 nella sola provincia di Bolzano.

L'idroenergia è prodotta in gran parte nella provincia di Bolzano dove sono ubicati 250 dei 480 impianti nazionali. Interessante è anche la distribuzione dei 332 impianti di produzione di biogas: 142 si trovano in Lombardia ed altri 120 sono più o meno equamente distribuiti tra Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna. Si tratta evidentemente di impianti connessi con grosse aziende zootecniche per le quali non solo rappresentano un valido smaltimento dei reflui, ma anche una importante fonte di reddito. E' questo il settore infatti dove è più alto il numero degli impianti con redditività: dei 332 totali, 195 produce una remunerazione.

Infine, se in linea generale non risulta una particolare correlazione fra impianti e dimensioni aziendali; fanno eccezione la produzione di idronergia e quella di biogas, per le quali si conferma la necessità di aziende di grandi dimensioni. In entrambi i casi la maggior concentrazione degli impianti è situata in aziende con una superficie agricola utilizzata non inferiore ai 100 ettari; in particolare sono 93 gli impianti del primo tipo e 156 quelli per la produzione di biogas.

Pesca: il sostegno del comparto

L'emergenza determinata per le imprese di pesca dal rialzo dei prezzi dei prodotti petroliferi ha dato luogo all'adozione di specifici provvedimenti in sede europea e nazionale, nel quadro delle azioni da tempo intraprese per la riduzione dello sforzo di pesca. L'attività di sostegno, anche programmata, si è anche accompagnata ad alcuni interventi di semplificazione amministrativa per le imprese del settore. 

Le difficoltà economiche causate alle imprese di pesca dell’intera area europea dal rialzo dei prezzi dei prodotti petroliferi, particolarmente ragguardevoli a decorrere dal 2008, e la conseguente sensibile riduzione dei margini di redditività dell’attività, hanno determinato l’adozione di misure di sostegno del settore sia da parte delle autorità europee che nazionali.

E' peraltro vicina all'approvazione la riforma della politica comune della pesca (PCP), che entrerà in vigore al più tardi nel 2014, e include il settennato di programmazione degli interventi strutturali sostenuti dal Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) per il periodo 2014-2020. La riforma è incentrata sulla necessità di garantire la sopravvivenza nel futuro degli stock ittici, ponendo fine al sovrasfruttamento delle risorse, e nel contempo assicurare una redditività alle comunità di pescatori. Per tutti i tipi di pesca lo strumento è individuato nei piani di gestione a lungo termine, mentre le risorse del FEAMP saranno riservato alle iniziative destinate a ridurre l'impatto delle attività sugli ecosistemi marini.

Il forte impegno dell'Italia, che ritiene che i piani di disarmo siano tuttora strategici, si è in parte tradotto nell'accordo in Consiglio europeo del mese di ottobre 2012, che consentirà di proseguire con i programmi di smantellamento, inizialmente esclusi in quanto le riduzioni conseguite nel passato con la demolizione dei pescherecci sono state controbilanciate dall'ammodernamento tecnologico delle navi rimaste in attività, conservando alla flotta dell'UE un eccesso di capacità.
Oltre al fermo temporaneo dell’attività di pesca, che potrà proseguire fino al 2020, l’accordo prevede pertanto il finanziamento, fino al 2017, anche del fermo definitivo, compreso l’aiuto per la demolizione delle imbarcazioni. L'erogazione delle spese di smantellamento potrà peraltro proseguire sino alla fine dei due anni successivi. Alle varie misure di arresto i Paesi membri potranno destinare fino al 15% della propria dotazione.

Misure di emergenza e caro-gasolio

Le misure di emergenza presentate dalla Commissione europea, confluite nel Reg. (CE) n. 744/2008, sono state dirette ad accellerare la ristrutturazione delle flotte pescherecce europee, ma a causa del carattere eccezionale della crisi economica che esse intendevano affrontare, il sostegno al comparto con la partecipazione del fondo comunitario per la pesca è stato temporalmente limitato, consentendone l'applicazione solo fino al 31 dicembre 2010.

Sul piano interno il regolamento comunitario ha consentito l'adozione di un primo intervento, definito con l'art. 4-ter del D.L. n.97/2008, che ha introdotto le seguenti misure nazionali contro il caro-gasolio e per agevolare il processo di ristrutturazione della flotta peschereccia:
- un fermo di emergenza temporaneo facoltativo per il 2008 delle attività di pesca, svolte dalle imbarcazioni a strascico o volante, con concessione di un premio alle imprese e di una indennità giornaliera (minimo monetario) ai marittimi imbarcati (commi 1-3 e 5). Con il DM 18/7/2008 di attuazione è stato quantificata l'entità del premio dovuto alle imprese, ed il decreto 23/12/2008 del Ministero del lavoro, n. 44768 ha poi concesso il trattamento straordinario di integrazione salariale in deroga (Cigs) in favore del personale imbarcato, compresi i soci lavoratori di cooperative;
- l’attivazione immediata della misura di arresto definitivo dell’attività, definita nell’ambito dei Piani di disarmo previsti dal Fondo europeo per la pesca - FEP (commi 4 e 6). Sulle modalità d'arresto è stato adottato il DM 8/8/2008.

Nello stesso anno, sulla base del successivo decreto-legge n. 185/2008 (articolo 19, co. 1 e co. 1-bis), completato dal decreto del Ministro del lavoro n. 46441 del 15/5/2009 (GU 168/09), la CIGS è stata estesa  al comparto della pesca anche per il 2009, consentendo così di imporre un fermo pesca obbligatorio e non retribuito. Pertanto (DM 30/7/2009 nella GU n. 191/2009) nulla è stato versato agli armatori, mentre i marittimi hanno potuto beneficiare della CIG straordinaria, che viene erogata dall'INPS solo per il periodo di interruzione non dipendente dalla volontà dell'armatore. L'ammortizzatore agisce nella misura dell'80% del minimo monetario garantito dal contratto di lavoro, ma con la esclusione dei soci lavoratori di cooperative della piccola pesca (a tale iniquità ha sopperito - per il solo 2010 - la "manovra d'estate", con l'art. 54-bis del DL 78/2010).

Il fermo pesca obbligatorio per il 2010, regolato con il DM del 23/6/2010 (pubblicato nella GU n. 174) e DM del 19 luglio 2010 di attuazione (nella GU n. 175), ha assicurato aiuti anche agli armatori. Per la concessione dell'integrazione salariale in deroga è stato assunto come base giuridica il comma 138 dell'art. 2 della legge n. 191/09 (finanziaria 2010).

Per l'anno 2011 è infine intervenuta la manovra per la stabilizzazione finanziaria (D.L. n. 98/2011), che con i commi 1-3 dell'art. 35 ha disposto l'arresto temporaneo dell'attività per un periodo massimo di 45 giorni. Le modalità di attuazione e l'entità del premio sono state definite con il il DM 14 luglio 2011 (GU 176/11), cui sono seguiti il DM 15 luglio ed il decreto direttoriale 4 agosto (entrambi nella GU n. 185/11).

Terminata la fase nella quale era operativo il menzionato regolamento comunitario n. 744, per non perdere la contribuzione europea si è dovututo fare riferimento al regolamento FEP - reg. (CE) n. 1198/2006 - che autorizza la concessione di aiuti sia per l'arresto definitivo che per l'arresto temporaneo delle attività di pesca (articolo 23 e articolo 24, par. 1, lett. v), a condizione che lo Stato richiedente abbia elaborato degli strumenti di pianificazione (Piani di adeguamento dello sforzo di pesca e Piani di gestione).
Con il biennio 2010-2011 si è quindi conclusa la fase di elaborazione degli strumenti nazionali di pianificazione, ed è stato adottato un Piano di adeguamento dello sforzo pesca (decreto del 19 maggio 2011 - nella GU 154/11 - che ha sostituito il precedente per accogliere le osservazioni formulate dalla Commissione), che si articola in 18 piani nazionali di disarmo  definiti per aree di pesca (GSA) e sistemi utilizzati, e sono stati altresì definiti i seguenti Piani nazionali di gestione diretti ad adeguare lo sfruttamento degli stock alla necessità di una loro conservazione:
- decreto 27 dicembre 2010, piano di gestione per la pesca con il sistema a draghe idrauliche e rastrelli;
- decreto 27 dicembre 2010, piano di gestione per la pesca con la sciabica da natante. Peraltro i rilievi mossi dalla Commissione al Piano, non più adeguato a seguito dell'approvazione del nuovo reg. 1967/06 sulla pesca nel Mediterraneo, hanno condotto all'annullamento del provvedimento (D.M. 2/5/12);
- decreto 21 luglion 2011 per la pesca del rossetto;
- decreto 20 maggio 2011 per la pesca a strascico.

Ormai in regola con i Piani di gestione richiesti dal Reg. (CE) n. 1967/2006, l'arresto temporaneo obbligatorio per il 2012 - ancora una volta per il segmento della pesca con il sistema a strascico e/o volante - è stato imposto con il D.M. 28/6/12, allo scopo di garantire un idoneo equilibrio tra le risorse biologiche e l'attività di pesca. Il sostegno al comparto è stato assicurato sia con l'erogazione di un aiuto alle imprese che con il ricorso alla CIGS in deroga per i marittimi.
Va infine aggiunto che il comma 229 della legge n. 228/12 di stabilità 2013 ha riservato 30 milioni di euro del Fondo sociale per l'occupazione e formazione, destinato al finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga (previsti dall’articolo 2, commi 64-66, della L. 92/2012, di riforma del mercato del lavoro), per il riconoscimento nel 2013 della CIGS per il settore della pesca.

L'attuazione delle misure di arresto, temporaneo o definito, rientrano fra le misure per l'Adeguamento della flotta da pesca comunitaria (Asse prioritario I del Reg. (CE) n. 1198/2006 sul FEP) che, come detto, prevedono aiuti finanziari per i pescatori e per i proprietari di pescherecci, con la partecipazione anche del Fondo europeo per la pesca. Nell'Asse I, oltre che per il ritiro temporaneo o permanente di pescherecci, rientrano anche gli aiuti per l'ammodernamento della flotta (miglioramento delle condizioni di sicurezza, lavoro, igiene e qualità prodotti, o la conservazione a bordo delle catture), o per misure socioeconomiche (diversificazione dell’attività, aggiornamento o riconversione professionale, prepensionamento.
Per l'arresto definitivo il totale degli impegni pubblici (nazionali e UE) assunti nel corso del 2011 (al 31 dicembre 2011) sono stati pari a c.a. 118,5 milioni di euro; l'incidenza delle somme impegnate (poco meno di 74 mil.) è stata del 62,4%. Per l'arresto temporaneo sono stati impegnati, ed interamente pagati, 33,8 milioni. Per la corresponsione dei premi invece si è attinto dalle risorse attribuite al Piano triennale per la pesca, dal quale sono stati prelevati 1,8 milioni nel 2011.

Altre misure di sostegno e rilancio

Nel corso del 2008, un ulteriore sostegno al comparto in difficoltà per il caro-gasolio è stato assicurato con lo stanziamento di 30 milioni di euro (art. 2 del D.L. n. 162/08) riservati al Dicastero agricolo. I provvedimenti attuativi (DM n. 1032 del 9 aprile 2009 - GU 153, e DM del 10 giugno 2010 - GU 170) hanno destinato tali i fondi:
a) al sostegno del credito mediante il rafforzamento del Fondo di garanzia dei consorzi fidi e delle strutture finanziarie di settore;
b) all'erogazione di un contributo forfettario per l'istallazione del sistema satellitare di controllo della localizzazione delle imbarcazioni;
c) al rimborso per le spese sostenute dal 1 giugno 2008 per l’acquisto di strumentazione ed equipaggiamento di bordo.

Con il 2011 veniva a scadere lo strumento di programmazione della spesa pubblica per il comparto della pesca e acquacoltura: il Programma nazionale triennale, inizialmente adottato per il periodo 2007-2009 (D.M. del 3 agosto 2007), peraltro già prorogato sia per il 2010 che per il 2011 (con la L. n. 191/09 e il D.L. 225/10). Il Programma, inizialmente previsto dalla legge per la modernizzazione del settore pesca e dell'acquacoltura (D.Lgs. n. 154/04), è ora disciplinato dal decreto-legge 225/2010 (art. 2, commi da 5-novies a 5-duodecies), che ne ha riformato anche contenuto e procedure d’adozione. Per consentire quindi una tempestiva programmazione degli interventi, non raggiungibile con il ricorso alle ordinarie procedure di approvazione, l'art. 9 del decreto-legge n. 216/2011 ha prorogato di un ulteriore anno (fino al 31/12/12) il programma 2007-2009.
Per il completamento di talune iniziative, la norma ha anche assegnato 6 milioni di euro per il 2012 , che si sono aggiunti ai 6 milioni previsti per il medesimo anno dalla legge di stabilità 2012. Beneficiano della nuova autorizzazione di spesa il settore della cooperazione e delle associazioni nazionali di categoria riconosciute, e le organizzazioni sindacalil che favoriscono le opportunità occupazionali dei lavoratori (artt. 16-18 del D.lgs. n. 154/04).
In merito alle risorse associate alla programmazione, va aggiunto che le somme impegnate per l'attuazione del Programma triennale nell'anno 2011 (ultimi dati disponibili) sono state pari a 25 milioni, mentre quelle pagate hanno raggiunto l'importo di 34 milioni; tra le voci di spesa, oltre al pagamento dei premi per l'arresto temporaneo, figurano: la ricerca scientifica, le associazioni di categoria, i contributi alle imprese ed il sostegno dell'attività, nonché i versamenti nel Fondo centrale per il credito peschereccio e nel Fondo di solidarietà per fronteggiare i danni causati da calamità o avversità atmosferiche.

Va anche rammentato che per altri versi i benefici concessi al settore sono stati erosi da una politica che, con le ultime leggi di stabilità, ha operato una generale revisione delle agevolazioni o degli esonetri esistenti.
Gli sgravi fiscali e contributivi sono divenuti strutturali per il settore della pesca con il D.L. n. 457/97 che con l’art. 6-bis ha esteso alla "pesca oltre gli stretti" ed a quella "mediterranea" (nel limite del 70%) i benefici di cui agli art. 4 (sgravi fiscali) e 6 (sgravi contributivi) dello stesso decreto. A decorrere dal 2009 (legge finanziaria 203/2008, art. 2, co. 2), ai benefici è stata ammesso anche, nel limite dell'80%, il segmento della "pesca costiera".
La riduzione dei contributi previdenziali ed assistenziali è stata tuttavia nel tempo corretta riducendo il beneficio: la legge di stabilità 2012 (legge n. 183/11, art. 4, co. 55) ha decretato che l’entità dell’esonero fosse per l'anno 2012 pari al 60% del dovuto, e del 70% a decorrere dall'anno 2013; e la legge di stabilità successiva (legge n. 228/12, comma 74) ha infine stabilito il limite del 63,2% per gli anni 2013 e 2014, del 57,5% per l’anno 2015 e del 50,3% a decorrere dall’anno 2016.

Alla luce delle ristrettezze di spesa ormai costanti, assumono maggior rilievo gli interventi strutturali, come quelli di modifica delle definizioni dei soggetti imprenditoriali, in conseguenza delle quali è consentito un più ampio accesso ai benefeci e aiuti, compresi quelli erogati dalla UE.
Vanno in tal senso le novelle normative introdotte con l’articolo 59-quater del D.L. n. 83/12 per la crescita, che ridefinisce le attività che rientrano nella pesca professionale esercitata dall’imprenditore ittico, e quelle che possono essere considerate "attività connesse" alle prime: le attività precedentemente qualificate connesse – di imbarco per la pesca turismo, e di ospitalità di tipo alberghiero per l’esercizio dell’ittiturismo – vanno ora considerate attività rientranti interamente nella pesca professionale.
Conseguentemente, a dette attività non andranno più applicate le seguenti condizioni, richieste dal legislatore per il riconoscimento della connessione:
- non essere prevalenti (in termini di ore dedicate e reddito ricavato) rispetto alle attività principali,
- utilizzare prodotti provenienti in prevalenza dalla propria attività di pesca,
- ovvero attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'impresa ittica.
Rimane invece confermato che sono attività connesse: la trasformazione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti della pesca e le azioni di promozione e valorizzazione degli stessi, e i cosiddetti interventi di gestione attiva (ovvero finalizzati alla valorizzazione produttiva, all'uso sostenibile degli ecosistemi acquatici e alla tutela dell'ambiente costiero), presenti nel D.lgs. n. 226/01.

Le ridotte possibilità di accedere al credito da parte delle imprese del comparto, caratterizzate da dimensioni spesso molto contenute, è uno degli elementi aggiuntivi di sofferenza, per ridurre la quale sono intervenuti i seguenti provvedimenti:
- il D.L. n. 83/12 (art. 59, co. 13), per la crescita, ha esteso l’operatività dei consorzi di garanzia collettiva fidi , il cui campo d’azione è quello di attenuare i rischi derivanti dall'attività di impresa delle cooperative di pescatori e delle imprese di pesca socie, anche alle Associazioni nazionali di rappresentanza del settore. Va rammentatao che i consorzi nascono dalla necessità di agevolare l’accesso al credito da parte delle micro, piccole e medie imprese, per le quali risulta difficile - quando non impossibile - offrire idonee garanzie, incorrendo nel conseguente rifiuto del finanziamento richiesto. Tali associazioni si propongono di favorire le operazioni di credito, offrendo agli associati garanzie dirette, fideiussioni e avalli, che consentano anche condizioni creditizie più vantaggiose ed a tassi più contenuti;
- il D.L. n. 179/12 (art. 36, co. 10-quinquies), con ulteriori misure per la crescita, che consentirà la mobilizzazione di risorse importanti per il comparto destinate ad agevolare l'accesso al credito da parte delle imprese di pesca. Le norme che hanno attribuito una nuova destinazione ali fondi, a suo tempo assegnati alle cooperative esercenti attività di garanzia collettiva fidi, ne hanno consentito la conservazione nel patrimonio dei beneficiari. Tra questi, la cooperativa di maggior rilievo – se non l’unica nel periodo di assegnazione delle risorse – era la società Fidipesca Italia, nata su iniziativa delle associazioni nazionali di categoria con l’obiettivo di agevolare il ricorso al credito bancario da parte delle imprese della filiera ittica. La società cooperativa dispone di un fondo di oltre 20 milioni di euro, destinato alla costituzione di “fondi di garanzia” presso Banche e Istituti di credito, riservati ad esclusivo beneficio delle imprese socie. L’attività di rilascio garanzie è rivolta sia ai progetti di a medio-lungo termine che alle operazioni di finanziamento bancario a breve.

Semplificazioni e liberalizzazioni

La lunghezza delle procedure amministrative e la pletora degli adempimenti richiesti costituisce un ulteriore aggravio per tutti i settori produttivi, dei quali riduce l'efficienza e la redditività. L’aiuto al comparto della pesca è stato pertanto anche assicurato dagli interventi di semplificazione amministrativa, che sono stati inizialmente disposti con il Decreto-legge n. 171/2008. Il provvedimento, emendato in sede di conversione e destinato al rilancio competitivo di tutto il settore agroalimentare, ha riservato al settore della pesca le seguenti disposizioni:
- l’articolo 4-ter che ha demandato ad un decreto del dicastero agricolo - in attesa di adozione - il compito di semplificare le procedure per il rilascio ed il rinnovo delle concessioni di acqua pubblica ad uso acquacoltura. Con l'approvazione del D.L. n. 83/12, per la crescita del paese, è stata in ogni caso semplificata la procedura per ottenere l'autorizzazione all'esercizio in mare di nuovi impianti di acquacoltura: per quelli situati ad una distanza superiore ad un km dalla costa, l'autorizzazione è rilasciata dal Mipaaf, in attesa della definizione di proprie norme da parte delle singole regioni. Anche in questo caso si è in attesa di un regolamento del dicastero agricolo;
- l’articolo 4-sexies ha ridotto, per agevolare l'accesso alla professione, il novero dei requisiti necessari per l’iscrizione nel registro dei pescatori marittimi, cui è subordinata la possibilità di esercitare la pesca marittima professionale; e relativamente poi agli accertamenti sanitari ha disposto che per il personale di bordo dei pescherecci la visita del medico competente prevista dalla normativa in materia di sicurezza sul lavoro sostituisca la visita medica biennale;
- l’articolo 4-septies ha esentato le navi ed i galleggianti adibiti alla pesca marittima che non toccano parti o territori di altri Stati dall’obbligo di munirsi di certificazione di derattizzazione;
- l’articolo 4-octies ha esteso anche al settore ittico i “contratti di filiera” e i “contratti di distretto”, come già previsto dalla legge n. 289/2002 per il settore agroalimentare. L'articolo 66 di tale legge ha introdotto le nuove figure contrattuali - in qualche modo assimilabili ai contratti di programma - con lo copo di favorire l’integrazione dei diversi soggetti partecipanti ad una medesima filiera, agevolando investimenti o favorendo la capitalizzazione delle imprese del comparto.

Ad agevolare i rapporti con la P.A. dovrebbe contribuire l'informatizzazione del registro dei pescatori marittimi che dovrà sostituire l’attuale versione cartacea. Il nuovo registro elettronico , previsto dall'art. 59-ter del D.L. n. 83/12 sulla crescita, nel quale continueranno ad esser iscritti coloro che esercitano la pesca professionale, si pone in rapporto di successione col vecchio registro senza che possano pertanto essere introdotti ulteriori vincoli.

Sempre volto alla semplificazione è l'art. 67-ter, del D.L. n. 1/2012, sulle liberalizzazioni, che ha attribuito alle cooperative di pesca, e ai loro consorzi, la possibilità di svolgere taluni adempimenti in materia di lavoro per conto delle imprese associate, attribuendo loro di fatto funzioni di consulente del lavoro.
Con il medesimo obiettivo - semplificare - è stato approvato l’articolo 67 dello stesso decreto n. 1, che ha integralmente sostituito le norme che disciplinano la stipula di convenzioni tra il Dicastero Agricolo e le associazioni di categoria della pesca (art. 5 del D.lgs. n.226/01, cosiddetta legge di orientamento per il settore della pesca e dell’acquacoltura). La norma ha anche ampliato le materie oggetto delle convenzioni, estense alle agevolazioni per l’accesso al credito da parte delle imprese del comparto, e l'assistenza tecnica alle imprese impegnate nell'attuazione della Politica Comune della Pesca (PCP).
Peraltro, la legge n. 228/12 di stabilità per il 2013, con il comma 227 ha disposto un’autorizzazione di spesa, pari a 400 mila euro per il solo anno 2013, destinata a finanziare la stipula delle descritte convenzioni. 

Ancora per agevolare l’attività economica del comparto va interpretata la delega attribuita al Governo con l’art. 28 della legge n. 96/2010 (Comunitaria 2009), per la compilazione di un testo unico di riorganizzazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura. In attuazione il Governo ha emanato il D.lgs. n. 4 del 2012 che non si è limitato ad una mera ricognizione della legislazione in vigore, ma ha rivisto talune definizioni relative alla pesca professionale, all'acquacoltura, all'imprenditore ittico, al giovane imprenditore ittico ed alla pesca non professionale, e ha adeguato e reso coerente il sistema sanzionatorio, introducendo anche - in attuazione delle norme europee - il sistema a punti per le infrazioni gravi.

La Commissione Agricoltura ha infine avviato, il 31 gennaio 2012, l'esame di numerose proposte di legge (C.2236 e abbinate) recanti interventi per la semplificazione ed il sostegno del settore ittico. Le proposte, che prefiguravano ampi interventi di modifica delle norme in essere, per agevolare il comparto sia attraverso l’estensione dell’ambito operativo di taluni strumenti, sia con la ulteriore semplificazione di taluni oneri burocratici gravanti sul settore, hanno concluso il proprio iter parlamentare con la seduta del 18 dicembre 2012, senza arrivare all'approvazione di una legge a causa della conclusione della legislatura.

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Fenomeni di illegalità in agricoltura

La Commissione Agricoltura ha svolto un'indagine conoscitiva sui fenomeni di illegalità che caratterizzano il sistema agroalimentare, approfondendo sia gli aspetti inerenti il mondo del lavoro, interessato da un'elevata irregolarità e dalla incisiva presenza di forme di intermediazione illecita e di sfruttamento del lavoro, sia le questioni legate all'organizzazione della filiera dove si riscontrano nuovi fenomeni di infiltrazione della criminalità. Particolare attenzione è stata, poi, dedicata inoltre al fenomeno delle truffe e delle frodi commerciali.

La XIII Commissione Agricoltura della Camera, soprattutto dopo i gravi fatti accaduti a Castel Volturno e a Rosarno, ha voluto avviare un’indagine conoscitiva sui fenomeni di illegalità che riguardano il comparto agricolo, approvando, nella seduta del 10 luglio 2012, il documento conclusivo.

L’indagine ha evidenziato che il settore primario, anche in ragione della crisi economica e finanziaria che ha interessato il Paese, risulta particolarmente esposto al diffondersi di situazioni illegali per le peculiarità che caratterizzano il sistema produttivo e la catena di distribuzione dei prodotti alimentari.

In primis, il mondo del lavoro agricolo risulta caratterizzato da taluni elementi quali:


Su alcuni aspetti del mercato del lavoro, quali il lavoro nero, il caporalato e lo sfruttamento di manodopera straniera, la XI Commissione (Lavoro) ha svolto un’apposita indagine conoscitiva, approvando, il 26 maggio 2010, il documento conclusivo.

Quanto, invece, alle misure normative approvate, si ricorda che con l'art. 12 del d.l. n.138/2011 sono stato introdotti nel codice penale gli articoli 603-bis e 603-ter.

L'art. 603-bis c.p. introduce nell'ordinamento il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. caporalato) la cui fattispecie è rappresentata dallo svolgimento di un'attività organizzata di intermediazione, esercitata «mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori». L'attività può consistere nel reclutamento della manodopera o nell'organizzazione di attività lavorativa contraddistinta da sfruttamento. Per il delitto in esame si prevede la reclusione da 5 a 8 anni, nonché la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato. La stessa norma penale individua alcune circostanze che costituiscono "indice di sfruttamento"   ed identifica alcune circostanze aggravanti, che comportano un aumento della pena da un terzo alla metà, consistenti nell’aver reclutato più di tre lavoratori o minori in età non lavorativa e nell’aver commesso il fatto «esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro».

L'art. 603-ter c.p. reca le pene accessorie prevedendo: l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese; il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti; l'esclusione per 2 anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell'Unione europea. Tale ultima esclusione opera per 5 anni quando il fatto sia commesso da soggetto recidivo.

Sempre in tema di lavoro agricolo con l'art. 22 del d.l. n.112 del 2008 è stata modificata la disciplina riguardante la possibilità di avvalersi di lavori occasionali di tipo accessorio attraverso il pagamento di buoni lavoro (c.d voucher), prevedendo che per prestazioni di lavoro accessorio si intendono le attività lavorative di natura occasionale rese, tra gli altri, nell'ambito di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado e dai produttori agricoli che nell’anno solare precedente hanno realizzato o, in caso di inizio di attività, prevedono di realizzare un volume d’affari non superiore a 7.000 euro, costituito per almeno due terzi da cessioni di prodotti.

Un'altra questione che incide particolarmente sul diffondersi dei fenomeni di illegalità in agricoltura, secondo quanto emerso nell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione Agricoltura della Camera, è l'elevato costo che l’azienda agricola sostiene per il lavoro rispetto alla reddittività complessiva dell'azienda; ciò anche a causa di questioni strutturali che da sempre caratterizzano il comparto primario italiano quali: la scarsa competitività sui mercati internazionali, l’eccessivo frazionamento delle realtà produttive nonché la necessità di riconversione di talune produzioni di scarsa qualità.

 A ciò si deve aggiungere che il ricavato dell'attività agricola risulta penalizzato rispetto al prezzo finale richiesto al consumatore. Da un'istruttoria svolta nel 2007 dall'Antitrust (Autorità garante della concorrenza e del mercato) sul funzionamento della filiera distributiva del comparto ortofrutticolo, richiamata nel corso dell'indagine conoscitiva, è risultato che il ricarico medio sul prezzo finale delle 267 filiere osservate è pari al 200 per cento, valore ottenuto come media tra i ricarichi del 77 per cento nel caso della filiera cortissima e di poco meno del 300 per cento delle filiere più lunghe (indicazioni fornite dalla Guardia di finanza nel corso dell'audizione).

 La criminalità, secondo i dati acquisiti dalla Commissione Agricoltura, sta inoltre assumendo un ruolo sempre più marcato all'interno dei mercati all'ingrosso dei prodotti ortofrutticoli nonché nel riciclaggio dei capitali attraverso l'acquisizione di terreni agricoli.

 L'illegalità si è quindi diffusa in un sistema dove l'agricoltore è stretto tra gli elevati costi di produzione e l'impossibilità di ottenere il ricavo sufficiente per la copertura dei costi medesimi.

 L’indagine conoscitiva ha inoltre posto in evidenza come numerose siano le frodi commerciali di prodotti alimentari, con la falsa indicazione del made in Italy e di produzioni certificate. Al riguardo il Parlamento si è fortemente impegnato approvando la legge n. 4 del 2011 per la tutela delle produzioni di qualità e per l'indicazione obbligatoria in etichetta della provenienza del prodotto agricolo.

In materia di lotta alla contraffazione è, inoltre, intervenuto il collegato per lo sviluppo, legge n. 99 del 23 luglio 2009, che con l'art. 15 ha introdotto nel codice penale l'art. 517-quater, che punisce con la reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000 euro chi contraffà o altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari ovvero introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o pone in vendita tali prodotti al fine di trarne profitto.

Importante è, inoltre, il ruolo di coordinamento tra i diversi organismi chiamati ad un opera di vigilanza e contrasto della contraffazione dei prodotti alimentari. Al riguardo la Commissione Agricoltura nel corso della Legislatura ha avviato l’esame di alcune proposte di legge in materia di salvaguardia e valorizzazione dei prodotti italiani di qualità nonché contro le frodi e la contraffazione di prodotti agroalimentari (A.C. 3422 Nastri, C. 3537 Catanoso, C. 4209 Rainieri). Tali proposte erano finalizzate al riordino delle strutture competenti in materia e, nel caso della proposta di legge C. 4209, all'istituzione presso la Presidenza del Consiglio del nuovo "Ufficio nazionale per il coordinamento delle attività di tutela dei prodotti agricoli e agroalimentari".

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Salvaguardia della biodiversità in agricoltura

La tutela della biodiversità nel settore agricolo risponde all'esigenza, fortemente sentita negli ultimi anni, di conciliare un'agricoltura produttiva con la tutela degli ecosistemi, mantenendo la complessità e la ricchezza genetica delle specie agricole, sia quelle coltivate che quelle selvatiche.

Secondo quanto riportato nel Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo, approvato dalla Conferenza Stato Regioni il 14 febbraio 2008, "la riduzione della varietà delle forme viventi e degli ambienti e la semplificazione dei paesaggi, ossia la perdita di biodiversità, dovuta all’attività umana, sia in termini di sovrasfruttamento delle risorse naturali, sia di alterazioni dell’ambiente, è oggi uno dei problemi di maggiore importanza su scala mondiale e coinvolge sia il campo strettamente scientifico che l’iniziativa privata e gli organi di governo. Gli agricoltori delle diverse zone hanno operato una continua selezione sulle specie di interesse agricolo, che ha portato alla costituzione di numerosissime varietà idonee a valorizzare le risorse naturali delle più svariate aree e successivamente all’affermazione delle sementi selezionate che hanno sostituito gli ecotipi locali. Al di là degli innegabili benefici conseguenti all'adozione di questi nuovi fattori produttivi, si è registrato un impoverimento della base genetica, evidenziatosi specialmente con il manifestarsi di diffusi attacchi di agenti fitopatogeni e con la mancanza di resistenza delle nuove sementi, selezionate o ibride, ai vari stress ambientali. Ulteriore effetto dell’alterazione dell’equilibrio ecologico è una rapida riduzione delle razze/cultivar allevate per ogni singola specie, con un forte calo della variabilità genetica entro le popolazioni allevate".

In materia sono stati approvati numerosi strumenti: dalla Convenzione sulla biodiversità, firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 e resa esecutiva in Italia con legge 14 febbraio 1994, n. 124, al Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura, adottato a Roma il 3 novembre 2001 e reso esecutivo con legge 6 aprile 2004, n.101. In ambito europeo è stata adottata la direttiva 92/43/CE nonché la Strategia europea 2008-2014 per la conservazione delle piante.

In Italia risulta carente una legge organica che regoli il settore.

Proprio per supplire a tale carenza, la XIII Commissione Agricoltura ha dedicato nel corso della XVI Legislatura particolare attenzione al tema, esaminando in Comitato ristretto le proposte di legge presentate (C. 2744, C.4309 e C.3780) ed arrivando all'approvazione di tre testi unificati (elaborati in successione per superare problematiche di carattere finanziaio emerse in sede di esame da parte della V Commissione bilancio ed evidenziate nella relazione tecnica richiesta al Governo).

L'ultimo testo unificato, approvato dalla Commissione Agricoltura nella seduta del 16 maggio 2012, prevedeva, tra le novità più rilevanti:

  1. l'Anagrafe unica della biodiversità agraria, istituita presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con lo scopo di rappresentare una banca dati unica a livello nazionale e monitorare lo stato di conservazione della biodiversità agraria;
  2. la rete di conservazione e sicurezza, costituita dai centri di conservazione ex situ e dagli agricoltori custodi. Ai soggetti inseriti nella rete venivaconsentito cedere una modica quantità delle sementi da loro prodotte, stabilita per ogni singola entità, al momento dell'iscrizione nel repertorio regionale;
  3. i repertori regionali delle varietà e delle razze locali;
  4. i registri regionali delle specie vegetali spontanee ed autoctone.
  1. individuazione delle varietà o razze locali, ad opera delle regioni o province autonome di Trento e Bolzano, anche su proposta di enti dalle stesse dipendenti, delle associazioni di agricoltori, dei singoli cittadini, delle università e dei centri di ricerca pubblici o privati;
  2. caratterizzazione per un profilo genetico o fenotipico specifico (ulteriori forme di caratterizzazione era previsto potessero far riferimento alla cultura rurale locale e alla tradizione agraria del territorio)
  3. iscrizione nei repertori regionali, subordinata al fatto che la varietà o razza locale sia conservata in situ, nell'azienda agricola o presso specifici centri di conservazione, quali le banche dati del germoplasma, denominati ex situ;
  4. conservazione;
  5. valorizzazione.

     

    In data 6 giugno 2012, su richiesta della Commissione bilancio, il Ministero delle politiche agricole e forestali ha trasmesso una nuova relazione tecnica, verificata negativamente dalla Ragioneria generale dello Stato. Con lettera idel 12 giugno 2012, il Presidente della V Commissione ha quindi rappresentato alla Commissione Agricoltura, a nome della stessa Commissione Bilancio, l'opportunità di una verifica del provvedimento, al fine di affrontare i nodi fondamentali, sotto il profilo economico-finanziario, irrisolti. Il provvedimento non ha alla fine completato l'iter previsto prima della fine della Legislatura.

    Approfondimenti

    Approfondimento: Unione europea e biodiversità



    La strategia UE sulla biodiversità

    Quale parte integrante dell’iniziativa faro sull’uso efficiente delle risorse, il 3 maggio 2011 la Commissione ha presentato una comunicazione (COM(2011)244), relativa a una strategia UE sulla biodiversità fino al 2020 intesa ad aggiornare gli obiettivi UE stabiliti nel 2010 per porre fine, entro il 2020, alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi ecosistemici.

    Citando dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, la Commissione rileva come nell’Unione europea solo il 17% degli habitat sottoposti a valutazione gode di uno stato di conservazione soddisfacente e fino al 25% delle specie animali dell’UE è a rischio di estinzione, nonostante le misure di protezione finora adottate.

    La Commissione sottolinea come i servizi forniti dagli ecosistemi siano vitali per il funzionamento di molte attività economiche  come, ad esempio, l’impollinazione delle colture, aria e acqua pulite, il controllo delle inondazioni o dell’erosione. La Commissione ritiene inoltre che in Europa un posto di lavoro su sei sia, direttamente o indirettamente, legato all’ambiente e alla biodiversità e, dunque, la perdita di biodiversità avrebbe ricadute negative anche sull’occupazione. La biodiversità risente anche pesantemente degli effetti causati da fattori indiretti, come la scarsa conoscenza delle problematiche ad essa inerenti e la scarsa presa in considerazione del suo valore economico nei processi decisionali.



    Obiettivi

    Obiettivo generale della strategia è porre fine alla perdita di biodiversità e al degrado dei servizi eco-sistemici nell’UE entro il 2020 e ripristinarli nei limiti del possibile, intensificando al tempo stesso il contributo dell’UE per scongiurare la perdita di biodiversità a livello mondiale.

    La strategia, infatti, tiene conto dei risultati definitivi della X riunione della conferenza delle parti (CoP10) della convenzione sulla diversità biologica (CBD) svoltasi a Nagoya, in Giappone, nell’ottobre 2010, in particolare, del Piano di azione globale che stabilisce 20 obiettivi strategici ed estende la percentuale delle aree protette in tutto il mondo fino al 17% delle terreferme e al 10% degli oceani.

    L’obiettivo chiave per il 2020 è visto anche come una tappa intermedia per realizzare la visione per il 2050, data entro la quale i capitali naturali dell’UE saranno protetti, valutati e debitamente ripristinati per il loro valore intrinseco e per il loro fondamentale contributo al benessere umano e alla prosperità economica, onde evitare mutamenti catastrofici legati alla perdita di biodiversità.

    Al fine di ridurre le minacce incombenti sulla biodiversità entro il 2020 la strategia prevede sei obiettivi prioritari e venti azioni:



    Biodiversità e agricoltura

    La strategia UE cerca di migliorare l’integrazione nei vari settori chiave, tra i quali l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca anche mediante il potenziamento del contributo dato da tali comparti alla conservazione e all’uso sostenibile della biodiversità.

    Tale potenziamento potrà essere conseguito connettendo tra loro i diversi strumenti previsti nella nuova PAC, nel futuro pacchetto della pesca e nel nuovo quadro finanziario pluriennale, rendendo massima la coerenza tra gli obiettivi della biodiversità e quelli delle citate politiche.



    Agricoltura e foreste



    Obiettivi

    Per i settori dell’agricoltura e delle foreste, la comunicazione segnala iseguenti obiettivi da conseguire entro il 2020 garantendo lo stato di conservazione delle specie e degli habitat che dipendono dall’agricoltura o ne subiscono gli effetti:



    Azioni

    Tra le azioni da intraprendere la comunicazione indica l’incremento dei pagamenti diretti per i beni pubblici ambientali nella politica agricola comune dell’UE, a tal fine premiando la creazione di beni pubblici ambientali che vadano al di là dei requisiti condizionali: pascoli permanenti, coperture vegetali, rotazione delle colture, messa a riposo ecologica, Natura 2000.

    Per migliorare e semplificare le norme di condizionalità nonché allo scopo di migliorare lo stato degli ecosistemi acquatici nelle zone rurali, la Commissione proporrà di includervi eventualmente la direttiva quadro sulle acque.

    Per orientare lo sviluppo rurale verso i principi della conservazione della biodiversità, la Commissione e gli Stati membri inseriranno obiettivi in tema di biodiversità nelle strategie e nei programmi di sviluppo rurale e istituiranno meccanismi per agevolare la collaborazione fra agricoltori e silvicoltori a beneficio della continuità paesaggistica, della protezione delle risorse genetiche e di altri meccanismi per la tutela della biodiversità.

    La Commissione e gli Stati membri inoltre:



    Pesca



    Obiettivi

    Nel settore della pesca la Commissione ritiene di primaria importanza il conseguimento entro il 2015 di una distribuzione della popolazione ittica per età e dimensione indicativa di uno stock in buone condizioni, mediante una gestione della pesca che non abbia effetti negativi di rilievo su altri stock, specie ed ecosistemi, nell’intento di ottenere uno stato ambientale soddisfacente entro il 2020, come previsto dalla direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino.

    Uno dei problemi da risolvere riguarderà le specie esotiche invasive, una seria e crescente minaccia per la biodiversità UE. Attualmente non esiste una normativa specifica in materia, ad eccezione della legislazione relativa all’impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti.



    Azioni

    Per migliorare la gestione degli stock catturati la Commissione e gli Stati membri manterranno e ripristineranno gli stock ittici a livelli atti a produrre un rendimento massimo sostenibile in tutte le zone in cui operano flotte di pesca dell’UE, comprese le zone regolamentate dalle organizzazioni regionali di gestione della pesca e le acque di paesi terzi con i quali l’UE ha concluso accordi di partenariato nel settore della pesca.

    Per eliminare gli effetti negativi sugli stock ittici, le specie, gli habitat e gli ecosistemi saranno elaborate misure volte a eliminare gradualmente i rigetti in mare, a evitare le catture accessorie e a preservare gli ecosistemi marini. Sarà sostenuta l’attuazione della direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino mediante l’istituzione di incentivi finanziari per le zone marine protette, compresi i siti Natura 2000 e quelli istituiti dagli accordi internazionali o regionali, ripristinando gli ecosistemi marini, l’adattamento delle attività di pesca e la promozione dell’impegno settoriale in attività alternative, quali l’ecoturismo, il monitoraggio e la gestione della biodiversità marina, nonché le azioni di contrasto ai rifiuti marini.

    Per quanto riguarda le specie esotiche invasive, entro il 2020 occorrerà individuarle e classificarle in ordine di priorità istituendo uno strumento legislativo specifico.



    Iter presso le istituzioni UE

    Il Consiglio del 19 dicembre 2011 ha adottato conclusioni sulla comunicazione e il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato una risoluzione il 20 aprile 2012.

    Il codice dell'attività agricola

    Nell'ambito del processo di semplificazione della normativa vigente, il Governo ha presentato alle Camere per il parere uno schema di decreto legislativo ed uno schema di regolamento, volti al riordino della normativa sull'attività agricola (c.d. codice dell'attività agricola).

    Lo schema di decreto legislativo (n. 164) – cosiddetto codice dell’attività agricola - e lo schema di regolamento (n.167), che costituisce una sorta di testo unico delle norme regolamentari vigenti in materia, intendevano riordinare la normativa di competenza statale in materia di attività agricola. Tali provvedimenti non sono poi stati emanati e sono rimasti allo stato di proposte.

    Il Governo ha inizialmente adottato tali provvedimenti sulla base della delega conferita, con il comma 14 dell'art. 14 della legge n.246 del 2005, per l'emanazione di decreti legislativi contenenti le disposizioni legislative statali pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 e delle quali si riteneva indispensabile la permanenza in vigore. Il 15 dicembre 2009 sono stati assegnati, con riserva di acquisire i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata, alla Commissione parlamentare per la semplificazione. Le Commissioni Agricoltura di Camera e Senato hanno chiesto di esprimere i propri rilievi. La prima si è pronunciata il 27 gennaio 2010, segnalando la mancanza delle condizioni necessarie per un'adeguata pronuncia in merito ed invitando la Commissione competente a considerare l'opportunità di un complessivo riesame dei testi. La seconda ha espresso le sue osservazioni il 26 gennaio 2010. La Commissione parlamentare per la semplificazione non ha espresso alcun parere, non avendo acquisito in tempo utile i prescritti pareri della Conferenza Unificata e del Consiglio di Stato. Nel frattempo la delega non è stata esercitata nel termine del 15 marzo 2010. Successivamente il Governo ha trasmesso alle Camere i pareri acquisiti e, conformemente all'interpretazione data dal Consiglio di Stato di poter esercitare tale delega sulla base di quanto previsto dal comma 18 della legge 246/2005 (emanazione di decreti legislativi integrativi, di riassetto o correttivi della legislazione vigente), e quindi, entro il 16 dicembre 2011, ha comunicato l'intenzione di proseguire l'iter dei provvedimenti. Alla Commissione per la semplificazione è stato, quindi, assegnato, il nuovo termine del 20 ottobre 2010; la Commissione Agricoltura della Camera ha ribadito l'orientamento precedentemente espresso e la Commissione di merito non ha espresso parere nel termine previsto. Infine, nel luglio 2011, il Governo ha trasmesso informalmente alla Commissione per la semplificazione due nuovi testi redattii a scopo collaborativo per tener conto delle osservazioni e dei pareri pervenuti. E', quindi, ripreso l'esame parlamentare dei provvedimenti che però non si è concluso entro dicembre 2011, termine di scadenza della delega.

     Tra le priorità del riordino della normativa in materia di attività agricola, vi era innanzitutto la razionalizzazione dei provvedimenti che, a partire dai primi provvedimenti di riforma del 2001, hanno ridisegnato le figure professionali, dando spazio alle società, e ampliato il campo d'azione delle attività agricole.

    Tra gli oggetti più rilevanti del riassetto era, quindi, prevista la definizione di coltivatore diretto; il riordino della disciplina delle qualifiche soggettive dell’imprenditore agricolo; la figura dell’imprenditore agricolo giovane; l’attenzione per la disciplina delle attività connesse con quella agricola, con l'aggiunta di quelle relative alla produzione e cessione di energia da fonti agricole rinnovabili. Apposite sezioni erano dedicate all'attività agrituristica e alla vendita al dettaglio. Autonomo spazio era dedicato all’impresa ittica e alle attività selvicolturali.

    Il riordino degli istituti a carattere civilistico non poteva escludere inoltre la disciplina dei contratti agrari che hanno trovato ampio spazio all’interno della struttura del codice.

    Particolarmente significativa è stato la ricognizione delle norme a carattere pubblicistico riguardanti la disciplina del territorio. Nello specifico, il codice conteneva disposizioni sulla gestione e sullo sviluppo delle varie aree rurali e delle loro produzioni e sulle attività nelle zone agricole a vocazione turistica e integrative dell’attività imprenditoriale agricola. Erano altresì richiamate le discipline relative alla contrattazione programmata in agricoltura e quella relativa ai distretti rurali e ai distretti agroalimentari.

    Talune disposizioni erano riferite alla disciplina della biodiversità, dell’agricoltura transgenica, al principio della coesistenza e alla relativa responsabilità in caso di danno alle coltivazioni vicine.

    Un ulteriore settore preso in considerazione riguardava la disciplina della proprietà rurale, con particolare riguardo al compendio unico e alla ricognizione delle strutture agrarie sotto il profilo sia della formazione e della conservazione delle unità produttive in relazione alla divisione ereditaria sia della proprietà coltivatrice.

    Infine, lo schema del codice agricolo conteneva l'elenco delle 61 fonti normative che si intendev abrogaRE (leggi intere o singole disposizioni), comprese alcune leggi non espressamente richiamate nel codice stesso in quanto l'oggetto della loro disciplina non era esplicitamente trattato dallo schema di decreto legislativo.

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    Pacchetto UE pesca

    La Commissione europea il 13 luglio 2011 ha approvato il c.d. "pacchetto pesca" le cui finalità principali sono la sostenibilità e le soluzioni a lungo termine. La riforma nel suo complesso entrerà in vigore nel corso del 2013.

     Il pacchetto è così articolato:

    Il 2 dicembre 2011 la Commissione europea ha poi presentato una proposta di regolamento  che prevede un nuovo meccanismo di finanziamento per la pesca e la politica marittima, in linea con il nuovo quadro finanziario pluriennale. La XIII Commissione agricoltura, nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, il 31 luglio 2012 ha approvato un documento finale sul pacchetto di proposte. 

    Riforma della politica comune della pesca

    La Commissione propone che entro il 2015 gli stock debbano essere sfruttati a livelli sostenibili producendo il “rendimento massimo sostenibile” e che entro il 2016 sia eliminata la pratica del rigetto in mare delle catture indesiderate, che costituisce uno spreco di risorse.

    Con riguardo alla sovraccapacità della flotta, che attualmente costituisce una delle cause principali del sovrasfruttamento, la proposta di regolamento prevede la graduale introduzione di concessioni di pesca trasferibili all’interno di uno Stato membro.

    Organizzazione dei mercati

    Proposte per la riforma dell’organizzazione dei mercati:

    Strumenti

    Dimensione esterna della PCP

    La relazione, prendendo atto della forte presenza dell’UE in tutti gli oceani del mondo, dei numerosi accordi bilaterali con paesi terzi e della partecipazione dell’UE alle principali organizzazioni regionali di gestione della pesca (ORGP), sottolinea la necessità dell'UE di impegnarsi ulteriormente a favore della conservazione e della gestione sostenibile degli stock ittici internazionali.

    Il documento esamina i vari aspetti problematici e i possibili interventi per contribuire alla sostenibilità a lungo termine a livello mondiale, trasformare i dialoghi in partenariati di lavoro, porre fine alla pesca illegale, contribuire a un funzionamento più efficace delle ORGP, rafforzare la governance degli accordi di pesca bilaterali.

    Stato dell'iter presso le istituzioni UE

    Il Consiglio agricoltura del 12 giugno 2012 ha raggiunto un orientamento generale sul regolamento relativo alla riforma della politica della pesca mentre rimangono aperte le questioni relative all'obbligo di sbarco, ai doveri degli Stati membri previsti dalla normativa ambientale dell'UE, alla scelta della procedura di attuazione nonché alle competenze del Consiglio e del Parlamento nei piani di gestione pluriennali.

    La Commissione per la pesca del Parlamento europeo ha approvato emendamenti sulla proposta nel dicembre 2012; il 6 febbraio 2013 il PE in sessione plenaria ha approvato in prima lettura una risoluzione nonchè una risoluzione sulla comunicazione relativa alla conservazione delle risorse della pesca.

    Riguardo alla proposta di regolamento relativa all'organizzazione comune dei mercati, il Consiglio ha raggiunto un orientamento generale ed il Parlamento europeo ha approvato in prima lettura la proposta.

    Nel mese di ottobre 2012 il Consiglio ha inoltre approvato un orientamento generale parziale sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca. La votazione della Commissione per la pesca del PE è prevista tra i mesi di marzo e aprile.

     

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    Pacchetto UE qualità dei prodotti agricoli

    La Commissione europea il 10 dicembre 2010 ha adottato il c.d. "pacchetto qualità" dei prodotti agricoli le cui misure sono volte a garantire la qualità dei prodotti agricoli e alimentari ai consumatori e un prezzo equo agli agricoltori. Per la prima volta in maniera complessiva sono definiti i sistemi di certificazione, di indicazione delle proprietà dei prodotti agricoli e di commercializzazione.

    Il pacchetto qualità è costituito:
    - da una proposta di regolamento sui regimi di qualità dei prodotti agricoli (approvata definitivamente il 21 novembre 2012, regolamentoCE 2012 n.1151);
    - da una proposta di regolamento recante modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 relativo alle norme di commercializzazione;
    - orientamenti sulle buone pratiche applicabili ai sistemi di certificazione volontaria e all'etichettatura dei prodotti DOP e IGP.

    La XIII Commissione agricoltura, nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, il 20 luglio 2011 ha approvato il documento finale e la XIV Commissione politiche dell'UE ha espresso il parere nella seduta del 15 giugno 2011.

    Qualità dei prodotti agricoli

    Il regolamento sulla qualità dei prodotti agricoli si propone, in particolare, di adottare una procedura di registrazione comune, semplificata e abbreviata, per le indicazioni geografiche e le specialità tradizionali, nonché disposizioni più chiare sulle relazioni fra i marchi commerciali e le indicazioni geografiche, sul ruolo delle associazioni richiedenti, sulla definizione di "specialità tradizionale garantita"(STG) e sulle sempre più richieste informazioni ai consumatori relative alle “indicazioni facoltative di qualità”.

    Le nuove disposizioni definiscono il regime dei prodotti agricoli e alimentari, ma escludono dal proprio  ambito di applicazione le discipline, peraltro recenti, sulle indicazioni geografiche relative ai vini, alle bevande spiritose e ai vini aromatizzati.

     Il regolamento si ricollega alla comunicazione la “Politica agricola comune (PAC) verso il 2020", alle priorità stabilite dalla comunicazione "Europa 2020", nonché ai principi ispiratori della politica di informazione ai consumatori.

    Norme di commercializzazione

    La proposta di regolamento sulle norme di commercializzazione è volta a semplificarne l'assetto normativo e ad estendere l'obbligo dell'indicazione in etichetta del luogo di produzione, in funzione delle specificità di ciascun settore agricolo.

    Le norme di commercializzazione vigenti continueranno ad esistere e si potranno razionalizzare mediante un meccanismo uniforme che prevede una delega di poteri alla Commissione, conformemente al Trattato di Lisbona ("atti delegati"), adeguando le specifiche tecniche alle concrete realtà locali.

    Ai prodotti per i quali non esiste una norma di commercializzazione specifica verranno applicati i requisiti di base. La Commissione propone inoltre di estendere le disposizioni settoriali (sempre con "atti delegati") relative all'indicazione del luogo di produzione, tenendo conto delle specificità di ciascun settore e delle esigenze dei consumatori in materia di trasparenza. Uno dei primi settori presi in esame sarà il settore lattiero-caseario.

    La proposta, in base alla procedura legislativa ordinaria, è stata esaminata dal Consiglio ed è in attesa di essere esaminata dal Parlamento europeo.

    Regimi facoltativi di certificazione

    Nella Gazzetta ufficiale UE del 16 dicembre 2010, serie L, n. 341 sono stati pubblicati gli orientamenti UE sulle migliori pratiche riguardo ai regimi facoltativi di certificazione per i prodotti agricoli e alimentari volti ad evidenziare i migliori metodi, nell’ambito delle centinaia di sistemi di certificazione volontari sviluppatisi nel corso dell'ultimo decennio.

    Gli orientamenti si applicano ai regimi facoltativi di certificazione che riguardano:

    — prodotti agricoli, destinati o meno al consumo umano (compresa l'alimentazione animale),

    — prodotti alimentari di cui all'articolo 2 del regolamento (CE) n. 178/2002 (prodotti trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, destinato ad essere ingerito da esseri umani, bevande, gomme da masticare, acqua incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento);

    — processi e sistemi di gestione connessi alla produzione e alla trasformazione di prodotti agricoli e alimentari.

    Etichettatura dei prodottti DOP e IGP

    Nella Gazzetta ufficiale UE del 16 dicembre 2010, serie L, n. 341 sono stati pubblicati gli Orientamenti UE sull'etichettatura dei prodotti alimentari che utilizzano come ingredienti prodotti a denominazione di origine protetta (DOP) o a indicazione geografica protetta (IGP), la cui applicazione è volontaria.
    La Commissione focalizza la propria attenzione su due aspetti:

    — le condizioni per l'impiego di denominazioni registrate come DOP o IGP nell'etichettatura, nella presentazione e nella pubblicità dei prodotti alimentari che contengono come ingredienti prodotti protetti da queste denominazioni;

    — le buone pratiche atte a garantire che le denominazioni registrate di prodotti DOP o IGP utilizzati come ingredienti di prodotti alimentari, non siano usate in modo improprio, tale da compromettere la reputazione del prodotto che beneficia di queste denominazioni, o da indurre il consumatore in errore circa la composizione del prodotto.

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    Riforma della PAC 2014 - 2020

    La Commissione europea il 12 ottobre 2011 ha presentato un pacchetto di proposte relative alla riforma della politica agricola comune (PAC) per il periodo 2014 - 2020 allo scopo di rafforzare la competitività, la sostenibilità e il consolidamento dell'agricoltura su tutto il territorio dell'UE, di tutelare l'ambiente e di favorire lo sviluppo delle zone rurali.

     Il pacchetto è così costituito:

    Il 31 luglio 2012 la Commissione agricoltura, nell'ambito della procedura che consente alla Camera di partecipare alla formazione delle politiche europee, ha approvato un documento finale sul pacchetto di proposte.

    La riforma, in particolare, prevede:

     La Commissione prevede poi interventi di sostegno in favore:

     La riforma, in corso di esame secondo la procedura legislativa ordinaria, ha iniziato il suo iter il 20 e 21 ottobre 2011 presso il Consiglio agricoltura e il 24 ottobre 2011 presso la Commissione agricoltura del Parlamento europeo che ne ha concluso l'esame il 23 e 24 gennaio 2013.
    L'accordo raggiunto dal Consiglio europeo del 7 e 8 marzo 2013, con riguardo al quadro finanziario 2014-2020, determinante per l'approvazione del pacchetto sulla PAC, prevede uno stanziamento di 277,85 mld. di euro destinati alle spese connesse al mercato e ai pagamenti diretti e di 84,96 mld. per quanto riguarda lo sviluppo rurale.
    Il Parlamento europeo in sessione plenaria dovrebbe concludere l'esame della PAC nel mese di marzo.

     

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