XV LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 218 di venerdì 5 ottobre 2007

[frontespizio]
[elenco e sigle dei gruppi parlamentari]
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[allegato A]
[allegato B]

[riferimenti normativi]
Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI

La seduta comincia alle 9,35.

TEODORO BUONTEMPO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bosi, Giancarlo Giorgetti e Paroli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Informativa urgente del Governo sulla vicenda dell'arresto di Cristoforo Piancone, detenuto per reati di terrorismo in regime di semilibertà, e sulle eventuali iniziative in merito alla riforma della cosiddetta legge Gozzini (ore 9,38).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sulla vicenda dell'arresto di Cristoforo Piancone, detenuto per reati di terrorismo in regime di semilibertà, e sulle eventuali iniziative in merito alla riforma della cosiddetta legge Gozzini.
Avverto che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo misto.

(Intervento del sottosegretario di Stato per la giustizia)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per la giustizia, Luigi Li Gotti.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, nell'immediatezza dei gravissimi fatti accaduti a Siena, che hanno visto il diretto coinvolgimento dell'ex brigatista Cristoforo Piancone, detenuto in regime di semilibertà, il Ministro della giustizia ha avuto modo di rimarcare che tale beneficio penitenziario è un istituto previsto dalla legge e che può essere applicato in presenza di determinati presupposti dalla magistratura nell'esercizio dei poteri di sua competenza.
Proprio per tale ragione, ma soprattutto per la gravità dell'episodio criminoso in questione, il Ministro, nell'esercizio dei poteri di sua spettanza, ha inteso disporre il 3 ottobre ultimo scorso preliminari accertamenti a mezzo dell'ispettorato generale al fine di verificare se la decisione adottata l'11 febbraio 2004 di concedere la semilibertà all'ex brigatista Piancone sia stata assunta previa attenta e completa valutazione delle condizioni richieste.
La procedura che il Ministero ha inteso adottare è, quindi, un atto destinato ad accertare, ora per allora, se quel provvedimentoPag. 2del 2004 rispettasse i requisiti di legge e di valutare anche eventuali inerzie da parte degli organi deputati a controllare i provvedimenti abnormi della magistratura.
Peraltro, non risulta al Ministero che al momento dell'adozione del provvedimento del tribunale di sorveglianza di Torino dell'11 febbraio 2004 la vicenda sia stata materia di attenzione particolare da parte degli organi del Ministero né, peraltro, risultano altre iniziative in questa direzione.
La procedura attivata due giorni fa dal Ministero, quindi, cerca eventualmente di colmare una lacuna verificatasi nel febbraio 2004.
In linea generale, prima di prendere in considerazione l'eventualità di apportare modifiche alla normativa in vigore e prima di illustrare le principali ragioni che hanno indotto il tribunale di Torino ad assumere la decisione di concedere il beneficio penitenziario al Piancone, è utile ricordare che l'istituto della semilibertà è disciplinato dalla legge n. 354 del 1975 e successive modifiche e può essere considerato come una misura alternativa impropria, in quanto, rimanendo il soggetto in stato di detenzione, il suo reinserimento nella libera collettività è ovviamente parziale.
La semilibertà è, invero, regolata dall'articolo 48 dell'ordinamento penitenziario e consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dall'istituto di pena per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale, in base ad un programma di trattamento la cui responsabilità è affidata al direttore dell'istituto di pena.
Per la concessione del beneficio stabilito dall'articolo 48 dell'ordinamento penitenziario sono previsti determinati requisiti. Per i delitti più gravi - come quello che, nel caso specifico, ha attirato l'attenzione e sul quale sto attualmente riferendo - ossia quelli puniti con la pena dell'ergastolo, il beneficio può essere concesso dopo l'espiazione di almeno venti anni di pena.
Nel caso specifico, Cristoforo Piancone è stato ammesso al beneficio della semilibertà dopo venticinque anni di detenzione effettiva in carcere.
Per la concessione del beneficio sono previsti determinati requisiti soggettivi: aver dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale e aver compiuto dei progressi nel corso del trattamento.
Sono, altresì, previsti limiti precisi alla concessione di tale beneficio per quanto riguarda i detenuti e gli internati per i delitti di cui all'articolo 416-bis (associazione mafiosa) e 630 (sequestro di persona) del codice penale, nonché quelli di cui all'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (traffico internazionale di sostanze stupefacenti). I detenuti per questi particolari reati possono ottenere la semilibertà solo se collaborano con la giustizia, requisito non richiesto negli altri casi.
I detenuti e gli internati per i delitti di omicidio o di partecipazione a banda armata, per fatti commessi con finalità di terrorismo, possono essere ammessi alla semilibertà solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva.
Il decreto-legge n. 306 del 1992 aveva, altresì, introdotto altri limiti e divieti relativi alla concessione delle misure alternative, con l'aggiunta di nuovi commi all'articolo 4-bis e all'articolo 58-quater dell'ordinamento penitenziario, per i casi di commissione di un delitto doloso di una certa entità perpetrato durante un'evasione, un permesso premio, il lavoro all'esterno o durante una misura alternativa.
La platea dei soggetti nei confronti dei quali si prevedono delle limitazioni è individuata, quindi, da queste fattispecie con le modifiche intervenute nel tempo.
Il beneficio può essere concesso con ordinanza adottata dall'organo collegiale del tribunale di sorveglianza, e la semilibertà ha inizio con l'approvazione da parte del magistrato di sorveglianza del piano di trattamento provvisorio che il direttore dell'istituto di pena deve predisporrePag. 3entro 5 giorni dall'arrivo dell'ordinanza. Nel programma di reinserimento vengono indicate le prescrizioni che il soggetto dovrà sottoscrivere e rispettare in ordine alle attività cui dovrà dedicarsi fuori dal carcere.
Ai soggetti destinatari di questo beneficio - quello della semilibertà prevista dall'articolo 48 dell'ordinamento penitenziario - sono altresì concessi, essendo detenuti a tutti gli effetti, gli altri benefici previsti dalla normativa penitenziaria, ossia la liberazione anticipata in considerazione del comportamento tenuto, i benefici dei permessi premio per una durata non superiore, così come prescrive l'ordinamento penitenziario, a quarantacinque giorni l'anno.
L'ufficio di esecuzione penale esterna nel corso dell'applicazione della misura deve svolgere nei confronti dei soggetti in semilibertà una serie di interventi: vigilanza e assistenza del soggetto nell'ambiente libero, collaborazione con la direzione dell'istituto di pena che rimane titolare della responsabilità del trattamento, con obbligo di riferire periodicamente al direttore dell'istituto di pena sull'andamento della semilibertà e sulla situazione di vita del soggetto, nonché di fornire al direttore dell'istituto di pena ogni informazione rilevante ai fini di un'eventuale modifica del programma di trattamento.
Passando allo specifico caso del detenuto Cristoforo Piancone, si può comunicare che sono già pervenuti dal tribunale di Torino, e sono attualmente all'esame delle articolazioni ministeriali competenti, gli atti riguardanti la concessione della semilibertà.
È stata, in particolare, acquisita l'ordinanza dell'11 febbraio 2004, con la quale veniva disposta la concessione del beneficio, e la relativa istanza avanzata dallo stesso Piancone il 2 agosto del 2003, nonché le relazioni di sintesi sul conto del detenuto e aggiornamenti ad opera del gruppo di osservazione.
Questi atti verranno ovviamente anche esaminati nel corso del giudizio, che viene svolto ora per allora, al fine di verificarne eventuali sconfinamenti nel campo dell'abnormità.
Sulla base di un primo esame, comunque, si può evidenziare che il tribunale - nel provvedimento adottato l'11 febbraio 2004 - ha dato atto che detto beneficio non può concedersi sulla base di una generale presunzione di meritevolezza, ma solo nei casi in cui, alla luce di una penetrante ed approfondita istruttoria, si sia ragionevolmente accertato che il soggetto non è socialmente pericoloso o, comunque, è portatore di una pericolosità sociale adeguatamente contenibile attraverso le penetranti restrizioni inerenti il regime di semilibertà.
Nello stesso provvedimento, il tribunale ha altresì dato atto che il Piancone stava scontando la pena dell'ergastolo e che il suo certificato penale descriveva un passato di spessore criminale eccezionale: egli risultava infatti condannato, fra l'altro, a titolo di concorso, per sei omicidi consumati e per due tentati omicidi; risultavano, inoltre, sette condanne per detenzione di armi, banda armata e per rapina, cui si aggiungevano due condanne per sequestro di persona.
Il tribunale ha poi rilevato che, sul piano formale, avendo il Piancone espiato venticinque anni effettivi di pena, la domanda di semilibertà era ammissibile, e che costui, al momento dei fatti, era portatore di una pericolosità sociale elevatissima non solo nella forma dell'elaborazione dei fatti criminosi, ma anche in quella della loro materiale attuazione. Detti fatti, però, con una sola eccezione, erano accaduti non meno di venticinque anni prima e, al momento della concessione della semilibertà, il Piancone era stato ininterrottamente detenuto per tale durata di tempo, ossia cinque lustri. Nel dare atto che tutti i delitti commessi dal Piancone, con un'unica eccezione, erano maturati nel contesto della lotta armata, il tribunale osservava che tale circostanza, pur non diminuendone in alcun modo la gravità, ne contestualizzava la realizzazione, il movente e il significato criminologico.Pag. 4
Il collegio di Torino analizzava, quindi, il percorso del Piancone nei venticinque anni di detenzione. Tale analisi, per il tribunale, risultava rilevante sotto un duplice ordine di aspetti. Il primo specifico aspetto concerneva l'eventuale permanenza di collegamenti con la criminalità eversiva, proprio ai fini dell'applicazione delle limitazioni previste dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario. Il secondo, più generico, aspetto concerneva la valutazione della residua pericolosità sociale.
In questo senso, il tribunale osservava che, dalle informazioni acquisite con laboriosa ed accurata istruttoria, emergeva alternativamente solo uno dei due aspetti seguenti: alcune informazioni valorizzavano le condanne sopra citate per desumerne la generica affermazione della pericolosità del condannato; altre informazioni, posta la medesima premessa, negavano la conoscenza di elementi attuali che, saldandosi ai precedenti, facessero desumere l'attualità di collegamenti con la criminalità eversiva e l'attuale pericolosità del detenuto. In nessuno dei due corpi di relazioni venivano evidenziati collegamenti connotati da attualità, così come prevede la normativa ai fini della non concessione del beneficio.
Il tribunale, inoltre, motivava con ulteriore argomentazione, fondata sulla considerazione che il condannato avesse già usufruito di benefici penitenziari (i condannati all'ergastolo, dopo dieci anni di condanna espiata in carcere, sono ammessi al beneficio dei permessi premio), che presupponevano l'esclusione di tali collegamenti, cioè i collegamenti rivestiti di attualità con gruppi criminali eversivi o, comunque, con gruppi criminali organizzati.
Il tribunale specificava che non poteva assumersi valore di congrua motivazione il riferimento esclusivo alla capacità criminale manifestata nell'ambito del percorso criminale per il quale erano intervenute le condanne, se non incorrendosi in una violazione del principio costituzionale in tema di trattamento penitenziario.
Invero, i collegamenti di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario devono essere rivestiti da attualità e non può fondarsi, invece, una prognosi negativa sull'esclusivo riferimento al percorso criminale ormai datato nel tempo (come ha, del resto, statuito la nostra Corte costituzionale).
Pertanto, in detto provvedimento si osservava che, nonostante il passato criminale, il condannato aveva usufruito di permessi premio e lavoro all'esterno - l'ultimo risaliva al 1997 -, sicché, essendo già intercorsa una serie di processi valutativi e non essendo intervenuti elementi nuovi, non poteva negarsi l'accoglimento del beneficio richiesto in presenza dei presupposti imposti dalla legge.
Il collegio, peraltro, esaminava con molta attenzione un episodio distonico rispetto alla condotta oggetto di valutazione nel corso dei venticinque anni pregressi, ossia la commissione di una rapina avvenuta nel 1998 che, se valutata nella sua realtà comportamentale, avrebbe potuto portare all'evidenziazione di indici qualificanti ai fini del giudizio sull'attualità di collegamenti con soggetti criminali o di indici rivelatori di un percorso rieducativo non completato.
Senonché, il tribunale di Torino, proprio dall'esame della sentenza di condanna per tale ultimo episodio criminoso - la rapina del 1998 - riteneva di poter addivenire a una diversa soluzione.
È stato, infatti, messo in luce nel provvedimento che si trattava di una rapina impropria, consistita in uno spintonamento all'interno di un supermercato dopo l'impossessamento di valori, nella specie un capo di biancheria ed un piccolo attrezzo per l'igiene personale.
L'oggetto del furto, poi qualificato rapina impropria a seguito dello spintonamento, aveva un valore risibile (circa 27 mila lire), ed il Piancone non risultava armato.
Da tali elementi, uniti alla considerazione del tempo trascorso dalla rapina, datata 1998, senza ulteriori episodi di segno negativo, il tribunale traeva la conseguenza che tale episodio delittuoso non potesse costituire indice del ritorno delPag. 5condannato nell'area dell'eversione, proprio per la specificità dell'atto compiuto.
Sicché, tenendo conto dell'ulteriore periodo di carcerazione sofferto, dal 1998 al 2006, il tribunale metteva in evidenza il giudizio ottimo dato dagli esperti del trattamento che, univocamente, sino all'epoca della concessione, si erano pronunziati per la meritevolezza della semilibertà. Peraltro, il tribunale valorizzava un ulteriore elemento, ossia che non sussistesse il pericolo di fuga ed il fatto che il detenuto non si era mai sottratto al regime di detenzione durante la fruizione dei benefici di cui aveva goduto in precedenza, ossia i permessi premio.
Queste sono le ragioni poste a fondamento del provvedimento del tribunale di Torino che, peraltro, cogliendo esattamente il senso del beneficio della semilibertà, ossia l'espressione di una valutazione prognostica, contemplante - proprio in quanto prognosi - una percentuale di rischio, riteneva che il provvedimento adottando non superasse la quota ragionevole, fisiologica e propria di un istituto che è stato previsto dall'ordinamento anche per la messa alla prova del detenuto. L'interpretazione di tale passaggio è corretta secondo i canoni giurisprudenziali, ossia il giudizio prognostico, proprio perché finalizzato a una possibile messa alla prova, contiene nella sua portata interpretativa proprio il dato del possibile rischio, il cui livello però deve essere rapportato all'entità del beneficio. Il livello del rischio era ritenuto dal tribunale insito nella norma e nel beneficio; era considerato dal tribunale fisiologico, cioè attinente al tipo del provvedimento.
Per completezza di informazione sul caso specifico deve dirsi che il prossimo 16 ottobre il tribunale di Torino ha fissato l'udienza per la revoca del beneficio della semilibertà al detenuto Cristoforo Piancone.
Infine, per quanto attiene alla discussione che inevitabilmente è scaturita da questo episodio, deve riferirsi che l'istituto, che è stato applicato in Italia, attraverso le modifiche intervenute nel 1986, la cosiddetta legge Gozzini, ha prodotto dei risultati statisticamente molto importanti e significativi, se si considera che il picco di revoca del beneficio per comportamenti recidivanti, da parte dei fruitori del beneficio stesso, ha registrato, nel 2003, una percentuale di revoche dello 0,58 per cento.

TEODORO BUONTEMPO. È ovvio! Se uno come Piancone viene lasciato libero, è ovvio che la Gozzini ha una percentuale bassa!

PRESIDENTE. Onorevoli, cerchiamo di non interloquire con il Governo. In seguito avrete tempo per intervenire.

LUCA VOLONTÈ. Non interrompa, non interrompa!

TEODORO BUONTEMPO. È un'aula del Parlamento, mica siamo in carcere!

PRESIDENTE. Onorevole Buontempo, lei avrà la facoltà di intervenire. È iscritto a parlare, quindi potrà parlare; onorevole, nessuno la vuole chiudere in carcere.

TEODORO BUONTEMPO. Questo è il Parlamento, mettetevelo in testa!

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Negli anni successivi la percentuale di revoca del beneficio è andata gradualmente calando, attestandosi, nel 2006, alla percentuale dello 0,16 per cento.
Devo richiamare qualcosa che ho già detto, perché mi rendo conto della serietà delle osservazioni.

OLGA D'ANTONA. Sottosegretario, la pregherei di ripetere quest'ultima frase perché c'è un po' di confusione.

LUIGI LI GOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Sì, voglio dire che nel 2003 si è tenuto il picco delle revoche: lo 0,58 per cento, mentre negli anni a seguire questa percentuale è scemata e nel 2006 si è attestata allo 0,16 per cento.Pag. 6
Il beneficio si applica ai detenuti per qualunque reato, perché così prevede la legge, ritenendosi contraria al principio costituzionale l'esclusione del beneficio per talune categorie di reato, con l'unica eccezione imposta dall'articolo 416-bis (sequestro di persone e traffico internazionale di stupefacenti).
Per la nostra Costituzione la pena ha due contenuti: uno afflittivo - non bisogna dimenticarsene - nel senso che è prevista una sanzione per un comportamento tenuto, e l'altro, come la nostra Costituzione precisa, attiene al fatto che la pena deve tendere alla rieducazione. Pertanto, una pena considerata esclusivamente per il primo dei due aspetti, ossia per l'afflittività, sarebbe una pena contraria al principio costituzionale. Proprio in questo spirito deve rilevarsi che nel 2003 - anno in cui si raggiunse il massimo picco di revoca del beneficio - il Parlamento, cogliendo lo spirito presente in questa legge adottava un ulteriore provvedimento, con una convergenza penso totalizzante, approvando la legge n. 207 del 1o agosto 2003, con cui si concedeva la sospensione di due anni di pena (il cosiddetto indultino) per qualunque reato, anche se nella legge era stabilita l'esclusione per i reati previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
Successivamente è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale del 7 luglio 2005 (sentenza n. 278/2005) che ha dichiarato l'incostituzionalità dell'applicazione del beneficio introdotto nel 2003 dal Parlamento con l'indultino nella parte in cui escludeva l'applicabilità del beneficio a determinate categorie di soggetti. All'epoca noi vi furono dibattiti sul problema dei benefici concessi ai detenuti.
Oggi stiamo parlando di un provvedimento adottato nel 2004. Ricordo che, quando esso fu adottato e i giornali ne riferirono, non vi furono particolari reazioni. Oggi siamo chiamati, comunque, a valutare ciò che nel 2004 venne compiuto. Lo faremo con estrema attenzione e, qualora dovessimo ravvisare elementi di abnormità nel provvedimento o anche elementi diversi da parte ministeriale rispetto a quel provvedimento adottato nel febbraio del 2004, noi li saneremo oggi.

(Interventi)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Gambescia. Ne ha facoltà.

PAOLO GAMBESCIA. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario Li Gotti ed il Governo per l'esauriente illustrazione del caso, che è un caso e rimane tale, a cominciare ovviamente dalla solidarietà che bisogna esprimere ai parenti delle vittime di certi reati. Ci troviamo, infatti, dinnanzi ad un condannato per reati gravissimi contro la persona (omicidio). Detto questo, per il poco tempo che ho a disposizione, vorrei porre all'Assemblea il problema più generale. L'istituto funziona, ha affermato il sottosegretario e lo credo anch'io.
La legge cosiddetta Gozzini, infatti, non ha la finalità di applicare il principio della clemenza, per essere «buoni» con chi ha commesso delitti, ma rappresenta l'applicazione del dettato costituzionale. Il quesito che pongo all'Assemblea è di carattere generale, partendo dal caso specifico. Questa legge, che ormai è datata, a fronte delle mutate condizioni del Paese e dell'allarme che il Paese registra per i fenomeni di criminalità diffusa, funziona ancora così? È un interrogativo che pongo ed il legislatore si deve porre il problema. Le leggi non sono immutabili; con grande spirito laico bisogna discuterne, capire se quella citata funziona al di là dei numeri forniti dal sottosegretario, verificare se può essere migliorata e se la sua applicazione - questo è il secondo punto - risponde sempre ai criteri che la legge si proponeva, nonché alla capacità dell'organizzazione giudiziaria di fornire risposte certe al bisogno di sicurezza del Paese. Voglio dire che un conto è applicare la legge, un conto è motivarla - bene fa il Governo a verificare se la decisione del tribunale diPag. 7sorveglianza di Torino è stata corretta -, altra cosa è capire se quelle motivazioni poi rispondono praticamente alle esigenze ed agli obiettivi che la legge si pone.
In terzo luogo - e forse è il punto centrale, almeno a mio modo di vedere - occorre chiedersi come si applica questa legge e come si controlla la sua applicazione. Spesso discutiamo dei principi, ragioniamo intorno ai comportamenti dei giudici, ma non ci rendiamo conto che vi è una fase che poi sfugge. È vero che la legge Gozzini prevede una serie di controlli successivi, ma forse non bastano; probabilmente, il legislatore deve inventare un sistema di controllo che permetta in ogni momento di monitorare il comportamento di coloro i quali, in applicazione del principio costituzionale della rieducazione, godono di certi benefici. Infatti, è questo ciò che vuole il Paese. Non un atteggiamento di severità nel senso di aumentare le pene e di tenere tutti dentro indistintamente, anche se sono ormai avviati sulla strada del recupero, solo per il fatto che hanno commesso dei delitti. Non è così! Il carcere cambia le persone, può cambiare le persone, ma dobbiamo essere sicuri che ciò avvenga. L'unico modo per farlo non è guardare solo alla motivazione dell'organo giurisdizionale, ma ai comportamenti. Per esempio, questa storia della rapina impropria: un supermercato, uno spintone. Ma siamo sicuri che dovesse proprio essere valutato nel modo in cui è stato valutato? E, comunque, non doveva fare scattare un campanello? Ma abbiamo lo strumento per monitorare e controllare?
Credo che la Gozzini sia un'ottima legge. Gli effetti che ha prodotto sono sicuramente positivi: su circa tremila detenuti che ogni anno ne godono, nell'ultimo ne sono rientrati in carcere quattro per aver commesso un reato. Quindi, significa che funziona. Ma non basta per la percezione che la collettività ha di tali fenomeni. Un caso come quello di Piancone crea un allarme sociale che poi spinge il legislatore ad assumere decisioni non corrette.
Liberiamo il campo dalle suggestioni, e anche da un po' di propaganda, perché dobbiamo fornire delle risposte ai cittadini.

PRESIDENTE. Onorevole Gambescia, la invito a concludere.

PAOLO GAMBESCIA. Queste risposte, a mio giudizio - ho concluso, signor Presidente - vanno nel senso di una riflessione sull'applicazione della legge e sul comportamento dei magistrati, vale a dire se valutano o meno correttamente tutti gli elementi; soprattutto, dovremo capire se riusciamo ad organizzare un controllo su chi gode di questi benefici, che rassicuri i cittadini.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CONSOLO. Signora Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, le polemiche legate all'arresto dell'ex brigatista Cristoforo Piancone, al quale era stato concesso il regime di semilibertà, riaprono un problema che si chiama legge Gozzini. Si tratta di quella legge che il rappresentante dei DS che è appena intervenuto, l'onorevole Gambescia, ha definito un'ottima legge! Una legge che è stata approvata dal Parlamento originariamente nel 1975 e che poi prese il nome di legge Gozzini nel 1986. Secondo un'indicazione della Corte costituzionale, l'articolo 27 o meglio lo spirito dell'articolo 27 della nostra Carta costituzionale - ricordo che quell'articolo prevede che la pena adempia ad una funzione non solo afflittiva, come ha ricordato il sottosegretario Li Gotti, ma anche rieducativa - veniva, infatti, tradito dalla originaria formulazione della norma del 1975, perché contrastava, in caso di lunghe condanne, con il principio della funzione rieducativa della pena.
Per quanto riguarda la legge Gozzini, incidenter tantum, come diciamo noi che ci occupiamo un po' di diritto, ritengo sia veramente ora di finirla con le polemiche e con le semplici dichiarazioni di intenti.Pag. 8D'altro canto, sono polemiche e dichiarazioni che hanno consentito all'attuale maggioranza di Governo di svuotare le carceri per pochi mesi attraverso il varo del provvedimento dell'indulto, o che, a contrario, hanno velocemente, ma in maniera del tutto inutile, fatto approvare da questo ramo del Parlamento il disegno di legge sulle intercettazioni, un provvedimento ora sepolto al Senato della Repubblica sotto il peso di cento emendamenti. Cosa accadrà al suddetto provvedimento? Ricordo che dei cento emendamenti nessuno è stato presentato da Alleanza Nazionale.
Per dimostrare come il mio partito, Alleanza Nazionale, non si muova con discorsi futili, frutto dell'onda emotiva, ma proceda attraverso fatti concreti, posso annunciare a nome del mio gruppo, approfittando del tempo concessomi in questa Assemblea, che la prossima settimana Alleanza Nazionale presenterà un disegno di legge per rivedere la legge Gozzini, quella legge adesso giudicata ottima.
È troppo semplice limitarsi ad una sorta di scaricabarile, a prendersela ad esempio con i magistrati, affermando che, nel caso Piancone, hanno sbagliato, a prendersela cioè non con chi ha mal legiferato, ma con chi ha applicato la legge. Una legge che abbiamo voluto noi, ma è un «noi» che mi fa sorridere, signora Presidente, perché come lei ben sa - ma lei qui è al di sopra delle parti - nel 1986 il partito e il gruppo di Alleanza Nazionale non esistevano affatto.
Con il nuovo provvedimento di legge proporremo di escludere dai benefici della legge Gozzini i recidivi e i condannati per reati di particolare gravità.
Non si capisce perché il giudice delle leggi, in applicazione del principio di uguaglianza, debba vietare, in determinati casi, l'esclusione dai benefici, quando la stessa possibilità è consentita per reati particolarmente gravi come quello dell'associazione a delinquere di stampo mafioso di cui all'articolo 416-bis del codice penale!
Presenteremo tale proposta perché da troppi viene messo in discussione un principio che è assai vicino, anzi, è nel DNA di Alleanza Nazionale: il principio della certezza e dell'effettività della pena, voluto dalla stragrande maggioranza di cittadini e non soltanto sull'onda emotiva!
Chi vuole negare tale differenziazione ai fini dell'applicazione della legge Gozzini?

PRESIDENTE. Deve concludere.

GIUSEPPE CONSOLO. Mi appresto a concludere, signor Presidente. La certezza e l'effettività della pena ridarebbero coraggio ai parenti delle vittime di crimini efferati - per i cui colpevoli si è abolito l'ergastolo, tanto per capirci! - costretti da troppo tempo a subire, oltre al doloroso danno della perdita dei congiunti, la beffa di assistere inermi alla libera circolazione degli assassini.
Ministro Mastella, non basta discutere sull'ipotesi di cambiare la legge Gozzini, né si tratta, come ha osservato il Viceministro Minniti, di discutere il principio di rieducazione dei detenuti.

PRESIDENTE. Onorevole Consolo, dovrebbe concludere davvero!

GIUSEPPE CONSOLO. Concludo. Qui si tratta di restituire certezza ed effettività della pena.
Noi di Alleanza Nazionale daremo un contributo in questo senso attraverso un'azione concreta; lasciamo agli altri il compito di seguirci su questa strada.
La ringrazio, signora Presidente, per la sua tolleranza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Falomi. Ne ha facoltà.

ANTONELLO FALOMI. Signor Presidente, quando un detenuto che gode di misure alternative torna a delinquere è certamente una sconfitta e il valore costituzionale della rieducazione e del graduale reinserimento subisce un colpo. Ma ciò è sufficiente a condurci ad affermare chePag. 9quel principio costituzionale è sbagliato e che le leggi attuative di quel principio vanno riviste o stravolte?
Noi siamo convinti che questa non può essere la conclusione da trarre da vicende come quella di cui stiamo discutendo questa mattina e che una legge vada valutata per le sue sconfitte ma anche per i suoi successi. Certo, le sconfitte della legge Gozzini fanno più notizia dei suoi successi, ma un legislatore serio non agisce sulla base di ciò che fa o non fa notizia, ma agisce dopo un'attenta verifica dei successi e degli insuccessi di una legge.
Da questo punto di vista, mettendo sul piatto della bilancia sconfitte e vittorie, possiamo affermare che la legge Gozzini ha un tasso di successo difficilmente riscontrabile in altre leggi di questo Stato. Quando solo lo 0,3 o lo 0,4 per cento dei detenuti che godono delle misure alternative, torna a delinquere, vuol dire che in più del 99 per cento dei casi la legge ha funzionato.
Negli ultimi dieci anni, 500 mila persone hanno usufruito dei benefici previsti dalla legge Gozzini, si sono reinserite e non sono tornate a delinquere. Quando di 252 ex terroristi di sinistra e di destra che godono del beneficio della semilibertà, dell'affidamento in prova ai servizi sociali o della liberazione condizionale, soltanto uno - Piancone - torna a delinquere, vuol dire che la legge sta funzionando.
Per questo motivo, non vediamo alcuna necessità di rimettere mano ad una legislazione che ha avuto successo.
Semmai il problema che ci dobbiamo porre è come si possono rafforzare tutti gli strumenti che consentono alla legge di ridurre ulteriormente il già bassissimo margine di errore. Mi riferisco, ad esempio, all'aumento degli organici degli educatori, degli assistenti sociali e dei magistrati di sorveglianza. Il Governo Prodi, a nostro avviso, deve impegnarsi maggiormente su questo terreno, senza correre dietro a ciò che suscita clamore sui giornali, bensì guardando la realtà (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.

ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, sono abbastanza deluso dalla relazione del sottosegretario, in quanto credo che fosse necessario spendere qualche parola anche in ordine al merito della vicenda e non limitarsi alla sentenza.
Stiamo parlando di una persona riconosciuta rea e condannata ad ergastoli per sei omicidi e due tentati omicidi. Stiamo parlando di persone morte, di famiglie coinvolte e non di una semplice statistica, come fa il collega Falomi.
Per scrupolo, quindi, ho sentito pochi minuti fa il figlio dell'agente Berardi, ucciso con un colpo alla schiena e finito con un colpo alla nuca. La famiglia, che da anni sta lottando per ottenere un po' di giustizia, ha protestato davanti al Parlamento, cercando di sollevare le coscienze (quelle della maggioranza non si sono sollevate), a seguito dell'elezione a segretario di D'Elia, svolgendo un ragionamento giustissimo; così come si è dato uno schiaffo morale alle vittime del terrorismo quando la Ronconi fu nominata come consulente da parte del Ministro Ferrero.
Credo che, giustamente, entrando ancor più nel merito, come abbiamo letto, si sta indagando sul terrorismo, perché se Piancone dichiara di aver effettuato una rapina solo per motivi economici, visti i precedenti, non so perché dobbiamo credergli. È necessario valutare - come si sta facendo - anche una rapina di qualche anno fa, collegata al gruppo delle nuove Brigate rosse connessa all'omicidio di D'Antona e di Marco Biagi. Se qualcuno, infatti, ruba una pistola a un vigile urbano di Piacenza, un motorino a Marina di Massa e si reca con altre tre persone in una zona come Siena per assaltare una banca del Monte dei Paschi di Siena, credo che non sia un individuo che ha il portafoglio vuoto e che decide di entrare in banca per fare una rapina. Vi è qualcos'altro dietro.
Collega Falomi, credo che la legge Gozzini abbia fallito e non si può affermare il contrario. Piancone ha provato per trePag. 10volte a sparare ad un poliziotto (che aveva sparato per aria e gli aveva chiesto di fermarsi), ma gli si è inceppata la pistola, altrimenti, oggi non diremmo che si tratta di un rischio calcolato, come ha detto il sottosegretario, nell'ambito della decisione del magistrato di concedere la semilibertà. Non so come avremmo potuto spiegare alla famiglia che quell'episodio sarebbe stato un rischio calcolato, che ora si riduce semplicemente a un dato statistico per valutare se una legge funziona o meno.
Credo che un Parlamento serio, di fronte agli errori che la magistratura sta continuando a compiere, deve assumere delle scelte serie e chiare. Non dobbiamo lasciare assolutamente più ai magistrati la facoltà di giudicare un potenziale rischio che sia, comunque, calcolabile e affrontabile. Tutto ciò è sbagliato, in quanto la legge deve essere chiara. Ci sono alcuni reati, tra i quali questo, per cui credo non possiamo concedere la semilibertà, né correre rischi, né permettere che ci siano persone sottoposte a rischio.
Credo che, come gruppo della Lega nord, dovremmo occuparci di una proposta di legge per rivedere la legge Gozzini: ritengo che ciò sia indispensabile. Ritengo, inoltre, che l'Associazione nazionale magistrati non debba seguire le parole di Nello Rossi l'altro giorno, secondo il quale non è giusto che venga messa in dubbio la facoltà di un magistrato di decidere sulla semilibertà. Al contrario, la politica deve pretendere che in ordine alle semilibertà, in alcuni casi, ciò non debba più avvenire.
La certezza della pena rappresenta il senso di protezione che lo Stato deve assicurare ai cittadini: dopo l'indulto, abbiamo assistito all'errore «calcolabile» di chi non tiene in custodia cautelare un pazzo che ha accoltellato una ragazza (così può accoltellarne una seconda), o di chi rilascia il mostro del Circeo (perché sembra un detenuto modello), che uccide ancora una madre e figlia.
Come possiamo affermare che si tratta di errori calcolabili? Stiamo parlando di persone; stiamo parlando di errori che si riverberano sul territorio: uno Stato serio non può permettersi di dire che alcuni personaggi, avendo scontato la loro pena, sono semplicemente guariti! L'esempio lampante è costituito dall'arresto di chi, sin dall'inizio, si fa passare per prigioniero politico, mentre ha ucciso per almeno sei volte accertate!
Sabato prossimo la Lega Nord parteciperà ad una manifestazione davanti al carcere di Biella con le vittime del terrorismo: mi piacerebbe che fosse presente anche lo Stato, perché ritengo sia un segnale importante. Ho paura, purtroppo, che lo Stato non ci sarà: ancora una volta, sta dalla parte e, in qualche modo, legittima il terrorismo e non legittima, invece, chi ha subito il terrorismo stesso.
Aggiungo un'ultima osservazione: nel mese di agosto è stata approvata, sull'onda di una spinta proveniente un po' da tutti, una legge a favore delle vittime del terrorismo. Nella legge finanziaria - mi rivolgo al Governo - sarebbe forse opportuno, oltre che far passare un pezzo di carta, magari cominciare anche a finanziarlo. Questo è uno Stato che, a partire dall'approvazione delle legge sull'indulto, sta dando semplicemente risposte contrarie alla gente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Antona. Ne ha facoltà.

OLGA D'ANTONA. Signor Presidente, innanzitutto ringrazio il sottosegretario Li Gotti per la sua relazione, che ci ha aiutato ad avere una visione complessiva dei fatti accaduti e a non esprimere giudizi avventati su un caso che, certamente, addolora e indigna, ma che ha sfaccettature ed ambiguità che ci fanno riflettere e ci mettono in difficoltà nell'accusare, direttamente e con leggerezza, l'operato di un magistrato.
Con molta eleganza, lei ha affermato che il suddetto detenuto aveva compiuto una rapina (come viene chiamata dai giornali): in un supermercato, egli aveva rubato un paio di mutande ed uno spazzolino da denti e dato una spinta al commesso che tentava di fermarlo. È cosa ben diversa dai cinque omicidi compiuti vent'anni prima!Pag. 11
A volte, leggendo i giornali, ci chiediamo se sia opportuno concedere il regime di semilibertà a un pluriomicida o a un ex brigatista, che in semilibertà abbia compiuto un'ulteriore rapina. Non so rispondere a questo interrogativo. Certo, non vorrei essere un magistrato di sorveglianza, che ha un margine enorme di discrezionalità e si assume responsabilità elevatissime, perché opera entro i termini della legge con un margine di discrezionalità molto ampio.
Questo episodio ha sicuramente riaperto le ferite delle vittime, ma ritengo che richiami il legislatore, comunque, a non operare mai sull'onda dell'emotività e dell'indignazione - seppur legittime - del momento, ma ad agire con buonsenso e ragionevolezza nell'interesse collettivo della società.
Faccio molta fatica ad affermare ciò, vivendo il duplice ruolo di vittima e di legislatore. Posso comunque dire al collega della Lega Nord che non sarò a Biella tra le vittime, essendo io, in quella manifestazione, una vittima. Ritengo che in questo Paese - colgo l'occasione per affermarlo qui - troppo poco si adotta o quasi si ignora lo strumento della mediazione penale, che invece, in altri Paesi, è molto utilizzato e può portare benefici non soltanto per il reo, per la sua rieducazione e per una revisione critica dei suoi delitti, ma anche per chi ha subito l'atto delittuoso di quel reo.
Badate bene che l'indignazione, la rabbia e l'odio che la vittima vive sono il primo veleno e sono sentimenti che fanno veramente male a chi li prova e non riesce a liberarsene.
Pertanto, credo che riuscire a rompere quel nodo, a ritrovare la quiete anche dopo il lutto subìto, a comprendere le ragioni dell'altro e a sperare nel suo ravvedimento dovrebbe essere il senso della legge, che la saggezza dei padri fondatori della nostra Costituzione ha ben compreso, prevedendo, attraverso quelle norme, che il reo deve sì scontare la sua pena, deve sì essere punito, ma non deve essere negata, né a lui né a noi - noi società collettiva, noi vittime - la speranza di un ravvedimento e che quella persona possa veramente compiere una revisione critica del suo delitto, capire di avere sbagliato e riuscire a ritornare nella società e ad essere perciò utile.
La prego, signor Presidente, di concedermi qualche secondo in più: in genere non sono loquace, ma credo che il tema meriti qualche ulteriore parola.

PRESIDENTE. Dispone ancora di qualche secondo.

OLGA D'ANTONA. La ringrazio, signor Presidente.
Quindi, ritengo anche, rispetto alla legge Gozzini - che in questa sede è stata considerata ormai superata, negativa e sbagliata - che occorra prestare attenzione, perché quella legge ha portato, in molti casi, al reinserimento e alla rieducazione del reo; se si verificano alcuni episodi drammatici, anche a noi legislatori, non solo ai magistrati, spetta la responsabilità di riflettere. Nessuna legge è intoccabile, nessuna legge è eterna.
Se il margine di discrezionalità della norma è troppo ampio e mette in difficoltà il magistrato stesso che la deve applicare, allora rivediamola. Già è prevista dalla legge la fattispecie di reato di terrorismo: in quei casi, allora, possiamo prevedere che chi non ha manifestato né dissociazione né pentimento non possa fruire di benefici, né chi non ha collaborato affinché il terrorismo sparisse in questo Paese.
Badate bene: adesso come non mai è vero che dobbiamo rivedere tale normativa, perché si registra un riemergere di questo fenomeno carsico italiano, di un terrorismo che va in immersione e poi riemerge. In un momento in cui si manifesta platealmente solidarietà verso tali formazioni eversive, abbiamo il dovere di intervenire e di assumerci le nostre responsabilità, tenendo però ben fermo che l'impianto della legge Gozzini è valido e positivo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

Pag. 12

OLGA D'ANTONA. Se occorre compiere un'operazione chirurgica la effettueremo, ma quel testo va conservato, perché è utile alla società intera (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Volontè. Ne ha facoltà.

LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, mi devo scusare con lei, con il sottosegretario e con gli altri colleghi perché, purtroppo, mi sono assentato un attimo quando avrei dovuto prendere la parola.
Impiegherò pochissimi minuti e voglio partire da quest'ultima osservazione della collega che mi ha preceduto. Signor sottosegretario, spero che nel resoconto della seduta odierna venga riportato - e certamente sarà così - tutto ciò che lei ci ha esposto, perché voglio sfidare chiunque, in quest'aula e fuori, a comprendere totalmente ed esattamente tutte le parole che ci ha oggi riferito.
Ho avuto qualche problema e lo dico sinceramente: il suo appunto non è stato elaborato con una chiarezza tale per cui potesse essere compreso, quanto meno da me. Immagino e spero che lo comprendano, invece, coloro che stanno fuori da quest'aula, perché francamente l'elaborazione che le hanno fornito i suoi uffici è complicata.
Ciò che non è complicato, invece, è capire dalla sua relazione che, diversamente da quanto le era stato chiesto dall'Assemblea durante tutta la settimana, non si evince se si sia quietato lo scontro istituzionale tra il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia. Infatti, come lei certamente sa, qualche giorno fa il Ministro dell'interno ha avuto modo di affermare che i giudici di Torino non avevano applicato le leggi italiane, che avevano sbagliato nell'applicazione della legge Gozzini e che quella persona non sarebbe dovuta uscire dal carcere.
Non si capisce bene quale sia stata la posizione del Ministro della giustizia in questi giorni su tale tema. Non intendo fare polemiche, né con lei né con il Ministro Mastella, ma a fronte di una denuncia del Ministro dell'interno, il Ministero della giustizia non ha fornito alcuna risposta. Questo è il primo dato, che evidentemente non ci ha chiarito neppure lei.
Inoltre, prendendo spunto da quanto affermava l'onorevole D'Antona, sottolineo un secondo dato: il presidente del CSM, in maniera impropria, anche se tutti noi siamo pronti ad ascoltarlo, afferma che si avverte la necessità di rivedere la legge Gozzini.
Prendo spunto da tali parole e dalle motivazioni della collega D'Antona non per la pur drammatica circostanza che ha vissuto personalmente e che abbiamo vissuto con lei come Paese, ma piuttosto perché le circostanze italiane di questo ultimo anno sono drammatiche e non sono normali.
Nel nostro Paese, nel corso di quest'anno, ci sono state recriminazioni, manifestazioni, attentati, preparazione di attentati da parte delle Brigate rosse, che non si verificavano ad esempio tre anni fa. Sono comparse scritte sui muri che hanno riguardato esponenti della Chiesa (ma non solo) e che continuano a vedersi, come quelle di Napoli oggi riportate da alcuni giornali, che non sono state scritte dal signor Mario Rossi che passava per strada a Napoli e ha avuto l'idea di scrivere in rosso, disegnando la stella a cinque punte, e riportando la scritta: Brigate rosse!
Analoghe considerazioni valgono per l'episodio dei brigatisti arrestati a Padova, per gli ultimi arresti intervenuti in altre zone del Paese, per le manifestazioni fuori dal carcere de L'Aquila che il Ministero dell'interno non ha voluto impedire perché doveva filmare i volti. Siamo arrivati a questo punto di tolleranza nel nostro Paese: si filmano i volti di chi esclama: «fuori dal carcere» laddove sono detenuti esponenti delle Brigate rosse - che fanno bene a rimanervi - oppure dice che bisognerebbe assaltare il carcere per farli uscire.Pag. 13
Di fronte a tali episodi nessuno fa niente. Anzi si assiste all'esaltazione del movimento brigatista che non trova alcuna barriera da parte delle istituzioni. Allora come possiamo stupirci che un signore, vagabondando in forza di permessi più o meno legittimi rilasciati da parte del tribunale di Torino, vada a compiere una rapina, con due pistole e rischi quasi di sparare e di uccidere un agente di polizia?
Sono sconcertato dalla mancanza di contesto che emerge dalla relazione che le hanno preparato, concentrata esclusivamente sul lessico leguleio di alcune vicende che riguardano la legge, ma che non tiene conto di ciò che sta accadendo nel nostro Paese. Nessuno vuole stravolgere la legge Gozzini per un caso specifico.
Mi sembra che tutti vogliamo approfondire, attraverso l'analisi della circostanza inveratasi, che poteva essere ancora più drammatica, cosa fare rispetto ad un contesto che stiamo vivendo, dove ex brigatisti, di un colore e dell'altro, si stanno organizzando.
Non è una mia teoria personale ma si tratta di dati di fatto della realtà, mentre noi stiamo discutendo se sarebbe stato meglio, nel 1998, dopo uno spintone e una tentata rapina in un supermercato, riprendere Tizio per sostituirlo con Caio? Sono veramente esterrefatto. Non le avevamo chiesto di venire in Parlamento per esporre questo tipo di relazione, confidavamo che dopo quattro giorni di richieste argomentate il rappresentante del Ministero della giustizia venisse in questa sede per fornirci dati diversi. Probabilmente non è stato in grado di farlo per ragioni tecniche, non esclusivamente per ragioni politiche.
Spero che vorrà tornare a trovarci, cercando invece di spiegarci che cosa possiamo fare...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Volontè.

LUCA VOLONTÈ. ...qual è l'iniziativa del Ministero della giustizia riguardo a questa circostanza e, a partire da essa, se ci sia la necessità di un ripensamento radicale rispetto alla situazione degli ex terroristi nel nostro Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, potrei limitarmi a sottoscrivere l'intervento dell'onorevole Olga D'Antona e chetarmi. Però, avendo la possibilità di interloquire anche con chi mi ha preceduto, voglio subito dire che siamo tutti vicini alle vittime del terrorismo: non c'è qualcuno che lo sia di più e sia pertanto più autorizzato a recarsi a manifestare da una parte o dall'altra.
Circa la presenza dello Stato, non vorrei richiamare qui il Leviatano: forse anche noi facciamo parte immodestamente e immeritatamente di questo Stato che si deve interrogare sulle sue migliori azioni.
Per quanto riguarda l'intervento del collega Volontè - mi dispiace che sia appena uscito - il Governo oggi era stato chiamato in questa sede per un'informativa urgente sul caso e sulle eventuali iniziative in merito alla riforma della cosiddetta legge Gozzini, non per parlare delle polemiche tra il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia.
Lascio da parte questo rilievo, ringraziando senz'altro il rappresentante del Governo, per la sua esauriente, completa e competente illustrazione. Vorrei fare anche astrazione dal merito specifico. Certo mi interrogo, ho dei dubbi.
Un ex brigatista trovato a Siena con quattro pistole a bordo di uno scooter rubato quattro mesi prima a Massa Carrara, mi fa pensare che fosse qualcosa di diverso da un gesto di un disperato che, improvvisamente, decide di procurarsi dei soldi. Su questo invito ad alzare la guardia. Recupero, tuttavia, le considerazioni che avanzava l'onorevole D'Antona: oggi parliamo non tanto del caso specifico - o non soltanto di questo -, ma dei riflessi che nel dibattito politico vi sono stati per quanto riguarda la cosiddetta legge Gozzini.
Permettetemi di ricordare che uno dei più grandi freni dei delitti non è la crudeltàPag. 14delle pene, ma l'infallibilità di esse. «La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità; perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani (...)», così si esprimeva 250 anni fa Cesare Beccaria, redigendo il ben noto volume Dei delitti e delle pene. Ritengo, infatti, che il punto sia proprio questo: il principio della certezza della pena pare non essere più l'elemento condiviso e ben radicato nella cultura giuridica e filosofica italiana. È bene, dunque, essere oggi in questa sede e sono contento di avere sentito ribadire la necessità di tale certezza, perché i fatti sui quali siamo informati e sui quali dibattiamo sono avvenuti, fondamentalmente, per la sua reiterata assenza nel sistema giudiziario.
Stando ai fatti, risulterebbe relativamente facile ricondurre alla commutazione della pena una sorta di genesi dello scellerato atto perpetrato da Piancone. In altri termini, commettendo un chiaro errore riduzionistico, si potrebbe pensare che alla base di questa vicenda vi siano i principi ispiratori della cosiddetta legge Gozzini, giungendo addirittura a bollarli come prodotti di assurdo buonismo. Non è così. Sappiamo che non è così. Voglio, pertanto, ricordare che se è vero che non esistono ordinamenti o legislazioni che non possono essere modificati, adattati o stralciati in base agli avvenimenti, la cosiddetta legge Gozzini può essere, quindi, riconsiderata nelle sue prescrizioni nella forma e nella sostanza, prevedendo strumenti di valutazione più adeguati per i magistrati, rivedendone i criteri per la definizione della buona condotta e, perfino, ridiscutendone la validità generale. Ciò che non può - e a mio avviso non deve - essere in alcun modo intaccato sono proprio quei principi di rieducazione e socializzazione che, in linea con l'articolo 27 della Costituzione, sono alla base delle misure previste dalla cosiddetta legge Gozzini. Pertanto, il diritto su cui poggia la nostra società riconosce sì il principio punitivo della pena - come ha ricordato il sottosegretario Li Gotti - ma ad esso, nel corso degli anni, è stato aggiunto un principio ben più importante e significativo: quello rieducativo, teso, ove possibile, al reinserimento del detenuto nella società.
Quindi - concludo, signora Presidente - mantenere i principi ispiratori della cosiddetta legge Gozzini e sviluppare un adeguato sistema che garantisca la certezza delle pene è l'unica soluzione attuabile per evitare altri casi di questo tipo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Venier. Ne ha facoltà.

IACOPO VENIER. Signora Presidente, signor sottosegretario, ciò che mi preme subito chiarire in merito alla vicenda su cui oggi ha riferito il Governo è che ciò di cui dovremmo discutere non è la cosiddetta legge Gozzini, ma, semmai, un episodio criminale che si è concluso, grazie alla pronta reazione degli organi di polizia, con l'arresto immediato del responsabile. Cristoforo Piancone, infatti, non è altro un criminale che dovrà nuovamente pagare un conto alla giustizia italiana.
Ciò che desta preoccupazione, quindi, non è tanto questo episodio di cronaca nera, ma l'enorme polverone che è stato sollevato da più parti intorno a questo caso. Due sono le questioni poste dalla destra, ma, purtroppo, non solo da essa: da un lato si attacca una legge di civiltà - la cosiddetta legge Gozzini - e dall'altro si vuole far credere che vi sia stato qualche cedimento dello Stato nei confronti dei terroristi brigatisti. Sotto le argomentazioni, sovente speciose, che abbiamo sentito anche in questa Assemblea, emerge una pseudocultura reazionaria e priva di senso dello Stato, che pensa alla pena solo come vendetta e dimostra di non aver capito che le Brigate rosse sono state definitivamente sconfitte da almeno vent'anni.
Cosa vorrebbero i novelli soloni che oggi approfittano di un caso isolato, soffiando sul fuoco di una demagogia pericolosissima e immaginano di poter risolvere ogni problema solo con il carcere?Pag. 15Bisogna forse ricordare a costoro quale era la situazione delle carceri prima della legge Gozzini, quando le rivolte, i suicidi e le violenze erano all'ordine del giorno?
Se questo è il tema posto, allora il problema da affrontare non è la legge Gozzini, sempre migliorabile, ma è quello della modifica della nostra Costituzione che ci impone di pensare alla pena come ad un percorso di reinserimento e non solo come una giusta punizione per i reati commessi.
La normativa posta dalla legge Gozzini ha funzionato, come dimostrano i dati - si è votato anche in questa Assemblea - perché indica un percorso di speranza che consente ad un detenuto di stringere un patto con lo Stato per ottenere uno sconto di pena.
Se vi è un'emergenza, si tratta di quella delle attuali terribili condizioni del carcere, del continuo sovraffollamento, della detenzione in attesa di giudizio e della scarsità di risorse e di personale. Sono questi i problemi veri che impediscono agli operatori di rendere sempre possibile il percorso che deve portare il detenuto a farsi cittadino.
Per quanto riguarda il pericolo di un'eventuale nuova insorgenza del terrorismo rosso, vorrei spendere solo poche parole. A mio avviso, l'incapacità - che ancora oggi (e il dibattito in questa Assemblea lo conferma) lo Stato italiano dimostra - di dichiarare definitivamente conclusa quella terribile stagione è il segno di una debolezza entro la quale si annida qualche pericolo.
Il terrorismo rosso, in Italia, è stato sconfitto prima sul piano politico e poi su quello giudiziario, perché si è trovato di fronte e contro il più grande partito comunista di occidente, il sindacato, i lavoratori e l'intera sinistra. È stato sconfitto perché il mondo politico di allora si è unito intorno alle istituzioni e perché tanti uomini e donne delle forze dell'ordine hanno sacrificato la loro vita in nome della democrazia.
Noi Comunisti Italiani ci inchiniamo, ancora una volta, di fronte alle vittime, e non abbasseremo mai la guardia né cambieremo il nostro severo giudizio sugli assassini. Pensiamo, però, che invece di invocare ancora vendetta nei confronti dei naufraghi disperati di una tragica sconfitta, bisognerebbe avere il coraggio dei forti e chiudere anche con l'amnistia una volta per sempre questo tragico passato.
Lo Stato ha vinto, e ha vinto una volta per tutte; i rigurgiti pericolosi che sono emersi negli ultimi mesi non devono essere sopravvalutati ma stroncati.
Chiudere i conti definitivamente con quella stagione, è il solo modo di mandare definitivamente in soffitta quei fantasmi che invece qualcuno continua pericolosamente ad evocare per un misero calcolo di strumentalità politica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.

PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, vorrei ringraziare il sottosegretario Li Gotti per l'informativa precisa e puntuale. Con il mio intervento vorrei entrare subito nel vivo della questione relativa all'arresto dell'ex brigatista Piancone.
Si tratta di una vicenda molto dolorosa, che ha certamente riaperto ferite ancora non rimarginate. Per questo motivo, il mio pensiero si rivolge immediatamente alle famiglie di tutte le vittime del terrorismo alle quali va la mia piena solidarietà umana.
Ritengo però che l'attacco indiscriminato lanciato da alcuni settori politici alla magistratura di sorveglianza e al sistema delle garanzie non sia condivisibile. Da parte di molti si è invocata l'idea di una tolleranza zero e altri hanno evocato la prospettiva di una revisione della legge Gozzini sui benefici carcerari.
A dimostrare l'efficacia delle misure alternative alla detenzione vi sono dati reali, i quali evidenziano come il tasso di recidiva dei soggetti beneficiari delle misure come l'affidamento sia infinitamente più basso rispetto a quello che si rinviene tra quanti scontino interamente la pena in carcere.
Basterebbe forse questo per dimostrare l'erroneità di certe draconiane proposte,Pag. 16avanzate sull'onda emozionale di un episodio di indubbia, indubbia gravità, ma che non deve essere preso a pretesto per spingere il nostro sistema verso pericolose e demagogiche derive repressive. Pertanto, è bene ritornare ai principi costituzionali e ricordarli a quanti li hanno, forse, dimenticati o male interpretati.
I presupposti politici criminali del sistema sanzionatorio, sono indicati nella nostra Costituzione, dove la pena viene concepita come male necessario per difendere la società, ma in un'ottica che non è di mera prevenzione generale né di semplice retribuzione.
L'articolo 27 della Costituzione rimanda, infatti, alla risocializzazione del reo, cioè a quella funzione rieducativa della pena che il nostro sistema penale ha tardato ad applicare fino all'approvazione della legge Gozzini.
La mia difesa della legge Gozzini non muove dal presupposto di una sua mitizzazione, il che sarebbe quanto di più erroneo, ma trae origine da dati oggettivi.
Se andiamo a guardare le statistiche carcerarie, ci accorgiamo che il sistema generalmente funziona bene, tanto è vero che la percentuale di revoche che interessano le misure alternative è contenuta.
Pertanto, sarebbe irrazionale immaginare di cancellarle o solo di restringerne drammaticamente il raggio d'azione. Credo sarebbe fuorviante prendere in considerazione un solo gravissimo episodio per giustificare l'annichilimento delle legittime aspettative dei tanti carcerati che vedono, come unico spiraglio di un difficile tunnel, la speranza di una possibile restituzione al consorzio civile.
Come non riconoscere la funzione importantissima che rivestono nel sistema sanzionatorio vigente le misure alternative alla detenzione? Come sarebbe mai possibile gestire un sistema penitenziario senza dare concrete alternative ai condannati e senza indicare, a chi lo vuole e ne ha la forza morale, degli itinerari di concreto recupero?
L'abbandono delle misure alternative alla detenzione costituirebbe un errore imperdonabile, un'ingenuità che i fautori dei facili slogan si troverebbero a pagare fatalmente.
Gli effetti della tolleranza zero non potrebbero certo misurarsi in termini di maggiore sicurezza per i cittadini e di concreta riduzione della criminalità, mentre finirebbe per incrementarsi notevolmente il tasso di carcerazione, con i prevedibili problemi di sovraffollamento e conseguenti rischi.
Nessuno nega che per i reati più gravi occorra assicurare l'effettività e la certezza della pena, ma occorre altresì riconoscere l'ottusità di una linea meramente repressiva, di puro contenimento, cioè di semplice retribuzione. Cosa fare quindi?
Il rischio che bisogna evitare è una concessione troppo facile o, peggio, semiautomatica dei benefici penitenziari, rispetto ai quali occorre sempre pretendere una puntuale e rigorosa valutazione di tutti i presupposti applicativi.
Dobbiamo allora, e concludo, produrre uno sforzo, se occorre, per assicurare a monte una costante serietà di verifica nel processo di concessione delle misure alternative, correggendo tutte quelle distorsioni applicative che talvolta possono essersi verificate; d'altro canto, bisognerà - e al riguardo condivido quanto hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto - implementare i controlli sui soggetti beneficiari, in modo che siano in tutti i casi effettivi e continuativi.
Indicherei come soluzione l'aumento a tal fine degli organici e dei rieducatori.
Concludo: questo è un programma di lavoro sul quale ci si può e ci si deve confrontare in Parlamento senza steccati ideologici, avendo sempre ben presente quali sono i limiti e quale è la cornice costituzionale all'interno della quale siamo chiamati a muoverci.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Capotosti. Ne ha facoltà.

GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi: viviamo in tempi brutti - diceva un monaco irlandese dell'undicesimoPag. 17secolo - ma se vivremo bene cambieremo i tempi.
Sono alquanto sconcertato dalla straordinaria capacità di alcuni rappresentanti di questa Camera di rincorrere l'onda emotiva alla disperata caccia - direi - del classico titolo di giornale in quarta, quinta o sesta pagina, e quindi, in qualche modo, anche un poco infastidito da una forma di cinismo che in malafede voglio riconoscere a queste persone.
Sarà opportuno chiarire i termini della vicenda in base alla verità dei fatti. Dal 1975 ad oggi sono stati introdotti nel nostro ordinamento una serie di strumenti alternativi alla detenzione (così si chiamano), recependo l'indirizzo giuridico continentale, ma anche angloamericano, in materia (ci riferiamo alla libertà anticipata, all'affidamento in prova ai servizi sociali e agli arresti domiciliari), stabilendo però uno iato preciso - questa era l'intenzione del legislatore - tra i reati di maggiore allarme sociale, per i quali addirittura sono previste, ex articolo 41-bis, forme di soppressione dei diritti fondamentali, e i reati di minore allarme sociale, nei quali, secondo il sinallagma osservazione-trattamento, o, come diceva prima bene il sottosegretario per la giustizia, diagnosi-prognosi, si tenta di attuare il precetto costituzionale, che peraltro è stato nuovamente ribadito già nel 2003, come ricordava prima il Governo.
Tale precetto indica la necessità che le pene tendano alla rieducazione. Quindi la pena, va nuovamente ribadito, ha una funzione di prevenzione generale, rispetto ai consociati, ma anche di prevenzione speciale, rispetto al singolo.
Preso atto che il tasso di recidiva nel caso della legge Gozzini è pari allo 0,16 per cento (mi pare che sia questa la cifra fornita dal Governo), francamente ritengo, se questo è il dato effettivo, che siamo dinanzi a una delle leggi congegnate meglio nel nostro ordinamento: mi sembra, infatti, che si tratti di una percentuale minimale. Sarà opportuno fare ulteriore chiarezza, perché se è vero, come è vero, che la questione sicurezza è stata demandata al Ministero dell'interno, che ha annunciato in questi giorni la presentazione in Consiglio dei ministri di un piano sicurezza e di una serie proposte volte a fronteggiare fenomeni di allarme sociale diffuso che stanno emergendo, d'altra parte sta a noi, tenuto conto della bussola costituzionale, analizzare ancora una volta le leggi, ovvero prendere atto di ciò che viene chiesto dalla società, sottoporlo a serio vaglio, incrociandolo con i dati, e poi, possibilmente, legiferare su ciò che serve.
Necessariamente ci deve essere una disponibilità al confronto, che peraltro è una nostra caratteristica, dal momento che non siamo affetti da pregiudiziali ideologiche. Ho ascoltato le proposte di Alleanza Nazionale, valuteremo, anche in sede di Commissione, quali saranno gli orientamenti. Dobbiamo però essere disponibili al confronto, scevri da pregiudiziali ideologiche e, soprattutto, emotive. Renderemmo un cattivo servizio alla Nazione e tradiremmo lo spirito di questa Assemblea se legiferassimo sulla spinta dell'onda emotiva, dell'agitazione, della nevrosi. La legge è uguale per tutti, e questo assioma, che si può definire un enunciato ontologico, è la garanzia prima rispetto anche all'onda emotiva e all'onda ideologica. I giudici non devono forse applicare la legge nello stesso modo se dinanzi al palazzo di giustizia ci sono duemila persone invece che due? Si tratta di un interrogativo, credo, estremamente attuale.
Ben scriveva dunque Max Weber, distinguendo tra legalità e legittimità; e sosteneva: legale è ciò che la legge prescrive, legittimo è ciò che dalla generalità dei consociati viene ritenuto giusto. Il nostro «viver bene», per cambiare i tempi, deve essere ispirato a recepire ciò che viene domandato come giusto, per trasformarlo in regola legale e quindi in precetto operativo, effettivo per tutti. Abbiamo disegnato un sistema, dal 1975 ad oggi, che funziona, sulla base dei dati che ho citato. Siamo disponibili al confronto, ma credo che esso non debba essere finalizzato alla ricerca di un titoletto di giornale, magari di provincia, ma essere effettivamente funzionale ai bisogni della Nazione. Questo è il nostro spirito e il nostro intendimento;Pag. 18ringraziamo ancora le forze di polizia per il loro brillante lavoro, e credo che vada ad esse nuovamente rinnovata la nostra solidarietà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardi. Ne ha facoltà.

MASSIMO NARDI. Signor Presidente, credo che se volessimo ricorrere a parole come incredulità, stupore, rabbia per descrivere lo stato emozionale che sta coinvolgendo la stragrande maggioranza degli italiani, non commetteremmo un errore di cinismo, ma semmai prenderemmo atto di una situazione che si sta sviluppando all'interno del nostro Paese, per cui diventa difficile capire perché un pluriergastolano possa andare in giro liberamente ad uccidere un poliziotto che cerca di arrestarlo. Dunque, il problema non è che questi giudizi o queste emozioni siano ciniche o non giustificabili, ma occorre sapere che questo è ciò che viene scatenato nell'opinione pubblica quando si verificano fatti del genere.
Tale situazione ci deve forse portare a rivedere completamente il sistema della legge Gozzini? Ci deve portare a dire che la Gozzini va buttata, che va rivisitata completamente? Non è questo che vogliamo dire. Noi della Democrazia Cristiana per le Autonomie riteniamo che la legge Gozzini ha avuto ed ha i suoi meriti; riteniamo che la legge Gozzini ha creato all'interno delle carceri una situazione migliore di quella che si aveva prima che essa fosse introdotta. Sarebbe però un errore non tener conto di quanto male fanno avvenimenti come questo alla percezione da parte dell'opinione pubblica della logica della giustizia. È evidente che non vogliamo seguire l'emozione per immaginare di costruire una giustizia migliore; tutt'altro: crediamo che seguire l'emozione possa produrre risultati sbagliati. Ma fingere che questi avvenimenti non pongano problemi sarebbe terribilmente sbagliato.
A nostro giudizio, dunque, sono due gli aspetti che dovrebbero essere presi in considerazione. Da parte dell'opinione pubblica, vi è la percezione che i reati contro la persona sono sensibilmente aumentati; al contempo, da parte dell'opinione pubblica e delle forze politiche, vi è la percezione che il terrorismo sta rialzando la testa. In entrambi i casi, sarebbe un errore da parte nostra non tener conto di tali fenomeni.
Cosa bisogna dunque fare sul piano concreto? Manteniamo la legge Gozzini e i suoi effetti positivi, ma non attribuiamo agli errori della magistratura le eventuali storture che si determinano: sicuramente tali errori vi sono stati, probabilmente anche in altri casi essi determineranno storture, ma noi legislatori dobbiamo riuscire a fornire una risposta a questi problemi. Noi della Democrazia Cristiana riteniamo che occorra affrontare questo problema avendo la capacità di ammettere che alcuni reati debbono essere considerati diversamente da parte del magistrato e del legislatore: per i reati che creano allarme sociale e per quelli che ingenerano preoccupazione rispetto al fenomeno recrudescente del terrorismo deve essere introdotta una nuova formula di attenzione da parte del magistrato.
In sostanza, noi della Democrazia Cristiana per le Autonomie proponiamo un allungamento dei tempi di valutazione sul comportamento corretto di quei detenuti che si sono macchiati di questi crimini. In altri termini, se la legge Gozzini sarà in qualche misura rivista (e in tale direzione ci è sembrata esserci la disponibilità del Ministro della giustizia), è necessario tenere conto di questi aspetti, vale a dire dell'opportunità di un allungamento dei tempi nei quali il magistrato, e altri organi che potremmo individuare, verificano fino in fondo la correttezza del comportamento che il detenuto potrebbe avere una volta uscito dal carcere, e che non si comporti come ha fatto Piancone. A me stupisce il fatto che nel 1998 vi sia stata una tentata rapina e che questo non abbia rappresentato un elemento tale da impedire, o comunque ritardare, eventuali benefici previsti dalla legge Gozzini. Come si fa a pensare che un detenuto che si comporta in una certa maniera quando gli si offronoPag. 19determinate opportunità, mostrerà poi invece la coscienza di comportarsi correttamente?
Concludo, signor Presidente e signor sottosegretario, ribadendo che noi della Democrazia Cristiana siamo disponibili ad una rivisitazione della legge Gozzini per quanto riguarda i reati contro la persona. Crediamo che possano farlo l'attuale Governo e l'attuale Ministro; se così non fosse, però, siamo convinti che lo faremo noi, in un prossimo Governo e con un prossimo Ministro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buontempo. Ne ha facoltà.

TEODORO BUONTEMPO. Signor Presidente, il Governo avrebbe dovuto fornirci un'unica risposta: riferirci quali controlli erano stati effettuati nel periodo di semilibertà del detenuto Piancone, anche nello spostamento quotidiano da Vercelli a Torino (ove peraltro lavorava come bidello in una scuola: anche questa destinazione è inquietante).
Nei pochi minuti di cui dispongo, voglio dire in maniera molto chiara, a nome della Destra, che la legge Gozzini è figlia di una cultura di sinistra e di una cultura che protegge, moralmente e sostanzialmente, gli assassini comunisti. Non crediate che le mie parole siano fuori luogo o estremamente dure: Piancone era un comunista che ha ucciso sette volte (per quanto è stato possibile accertare), oltre a due tentati omicidi, ed avrebbe ucciso anche adesso nel corso della rapina. Anche negli interventi precedenti abbiamo sentito parole quasi amorevoli nei confronti di questo personaggio, mentre si dimenticano le parole del figlio del maresciallo ucciso da questo terrorista, che ha sparato al padre alla nuca e, non contento, ha continuato a sparare, per avere la certezza che venisse ucciso.
È chiaro che la legge Gozzini è inadeguata. Signor sottosegretario, lei ci ha fornito le percentuali dello 0,4 e dello 0,6 per cento, relative a chi ha beneficiato della legge e poi, in misura così bassa, è rientrata in carcere: se i controlli per gli altri detenuti sono uguali a quelli che l'amministrazione dello Stato ha esercitato nei confronti di Piancone, quelle percentuali non possono che essere basse! Stiamo parlando di un individuo che ha ucciso sei o sette volte, che oltretutto non si è mai pentito dei suoi delitti e che poi viene preso nel 1998 in quella vicenda che è stata definita irrisoria. Nella sua risposta, inoltre, non c'è alcun elemento circa eventuali possibili collegamenti tra Piancone e tutta l'area eversiva - comunista e brigatista - che ancora esiste, stando alle dichiarazioni sia del Ministro dell'interno, Amato, sia dell'ex Ministro dell'interno, Pisanu.
Credo, quindi, che la legge Gozzini si debba rivedere. Voi, oltre che con la Gozzini, avete rimesso in libertà con l'indulto oltre 20 mila delinquenti comuni: le vostre percentuali sono un'offesa alla nostra società, perché esse si basano su accertamenti di delitti senza tener conto del numero di delitti che restano impuniti e non entrano nelle percentuali, perché lo Stato non fa il suo dovere.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

TEODORO BUONTEMPO. Ho ascoltato da alcuni colleghi - concludo, signor Presidente - un linguaggio quasi protettivo nei confronti di persone che non si sono pentite, hanno ucciso ed hanno ottenuto la semilibertà senza alcun controllo.
Lei aveva il dovere, nel riferire al Parlamento, non di ripeterci una storia che è su tutti i giornali, ma di dirci cosa ha fatto l'amministrazione pubblica - e lei, come Governo, lo doveva accertare - per controllare che questo Piancone, comunista assassino, durante il periodo della semilibertà non avesse rapporti con altri brigatisti, terroristi o malviventi, in quanto sottoposto a controllo. Ma di questi controlli ho il timore che non se ne sia fatto nessuno.

PRESIDENTE. È così esaurita l'informativa urgente del Governo.

Pag. 20

Rinvio dello svolgimento di una interrogazione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'interrogazione.

(Rinvio dell'interrogazione Ronconi n. 3-01017)

PRESIDENTE. Avverto che, in base agli accordi intercorsi tra il presentatore e il Governo, lo svolgimento dell'interrogazione Ronconi n. 3-01017, concernente i lavori per il completamento dello svincolo di collegamento della strada di Maratta con la superstrada E45, è rinviato, al fine di consentirne la trasformazione in interrogazione a risposta scritta.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno della seduta di lunedì 8 ottobre 2007 sarà pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 8 ottobre 2007, alle 15,30:

Discussione dei disegni di legge:
S. 1134 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'India sulla cooperazione nel campo della difesa, fatto a New Delhi il 3 febbraio 2003 (Approvato dal Senato) (2267-A).
- Relatore: Mattarella.
S. 1465 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica democratica federale dell'Etiopia sulla mutua assistenza amministrativa per la prevenzione, l'accertamento e la repressione delle infrazioni doganali, con allegato, fatto a Roma il 26 settembre 2006 (Approvato dal Senato) (2927).
- Relatore: Zacchera.
S. 1466 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale al Trattato sullo statuto di EUROFOR, con allegata Dichiarazione, redatto a Lisbona il 12 luglio 2005 (Approvato dal Senato) (2928).
- Relatore: Carta.
S. 1538 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica greca per lo sviluppo dell'interconnessione tra Italia e Grecia - Progetto IGI, fatto a Lecce il 4 novembre 2005 (Approvato dal Senato) (2930).
- Relatore: Leoluca Orlando.
S. 1585 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Roma il 14 giugno 2002 (Approvato dal Senato) (2932).
- Relatore: Leoluca Orlando.

La seduta termina alle 11,10.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 4 ottobre 2007, a pagina 40, prima colonna, ventiduesima riga, le parole: «27 settembre», si intendono sostituite dalle seguenti: «17 settembre».

Pag. 21

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEI DISEGNI DI LEGGE DI RATIFICA NN. 2267, 2927, 2928, 2930, 2932

Tempo complessivo: 2 ore per ciascun disegno di legge di ratifica.

Relatore 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 11 minuti (con il limite massimo di 2 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 1 ora 29 minuti
L'Ulivo 12 minuti
Forza Italia 14 minuti
Alleanza Nazionale 9 minuti
Rifondazione Comunista-Sinistra Europea 5 minuti
UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro) 7 minuti
Lega Nord Padania 6 minuti
Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo 4 minuti
Italia dei Valori 4 minuti
La Rosa nel Pugno 4 minuti
Comunisti Italiani 4 minuti
Verdi 4 minuti
Popolari-Udeur 4 minuti
DCA - Democrazia Cristiana per le Autonomie - Partito Socialista - Nuovo PSI 4 minuti
Misto 8 minuti
(Minoranze linguistiche: 2 minuti;
Movimento per l'Autonomia: 2 minuti;
Repubblicani, Liberali, Riformatori: 2 minuti;
La Destra: 2 minuti)