XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 651 di lunedì 11 luglio 2016

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PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 12,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta dell'8 luglio 2016.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castelli, Castiglione, Censore, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marantelli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Palmizio, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Tabacci, Tancredi, Valeria Valente, Velo, Zampa e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Approvazione in Commissione (ore 12,06).

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta di giovedì 7 luglio 2016, la IX Commissione (Trasporti) ha approvato, in sede legislativa, la seguente proposta di legge: Quintarelli ed altri: «Disposizioni in materia di fornitura dei servizi della rete Internet per la tutela della concorrenza e della libertà di accesso degli utenti» (2520).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98, recante disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA (A.C. 3886-A) (ore 12,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3886-A: Conversione in legge del decreto-legge Pag. 29 giugno 2016, n. 98, recante disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo Ilva.
Ricordo che, nella seduta del 21 giugno, sono state respinte le questioni pregiudiziali Duranti ed altri n. 1, Vallascas ed altri n. 2, Allasia ed altri n. 3 e Sisto ed altri n. 4.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3886-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la VIII Commissione, deputato Alessandro Bratti.

ALESSANDRO BRATTI, Relatore per la maggioranza per la VIII Commissione. Signora Presidente, io inizierò svolgendo questa relazione e poi la collega e correlatrice Bargero concluderà la parte introduttiva, che così consentirà poi, successivamente, di affrontare in maniera compiuta – io credo – la discussione alla Camera.
Le Commissioni riunite VIII e X propongono oggi all'Assemblea, come veniva ricordato, la conversione in legge di un decreto-legge che, anche a seguito di un proficuo e costruttivo confronto con il Governo, che ringraziamo alla presenza qui del Viceministro Bellanova, e con i diversi gruppi parlamentari, pur nella profonda diversità anche di veduta, risulta notevolmente migliorato rispetto al testo originario.
Siamo in presenza di un ulteriore decreto-legge e noi, come più volte è stato detto anche nel corso delle precedenti discussioni, riteniamo che questo sia inevitabile per garantire il proseguo dell'attività economica di questo importante stabilimento e, nel contempo, provvedere a un risanamento ambientale serio e realisticamente possibile, che le procedure esistenti non avrebbero potuto consentire.
Troppo complesse erano e rimangono le problematiche lasciate in eredità dal gruppo Riva. Da questa considerazione si sono sviluppate le numerose deroghe alle norme ordinarie in campo ambientale e giuridico, che troviamo in diversi di questi decreti; tutto questo, in una situazione – lo ricordo – di crisi economica, che ha investito la siderurgia mondiale, in una situazione di competitività molto accesa. Si poteva scegliere una strada diversa ? Difficile a dirsi. Sicuramente una cosa, credo, non si poteva fare: chiudere, o meglio far chiudere, gli stabilimenti Ilva. Questo, si badi, non solo per una questione occupazionale, sicuramente molto importante, ma anche per una questione soprattutto ambientale.
Il nostro Paese è, purtroppo, pieno di situazioni che hanno prodotto siti cosiddetti «orfani»: si pensi, solo per citarne uno, alla vicenda della Caffaro, che ha riguardato Torviscosa, la Valle del Sacco, Brescia, che ci ha lasciato in eredità centinaia di ettari e vaste aree di falde contaminate, che richiedono centinaia di milioni di euro per essere bonificate, che ricadono inevitabilmente sulle spalle del pubblico e che continuano a costituire un serio pericolo ambientale. Un percorso, quindi, quello scelto, coraggioso, a volte originale, che presenta sicuramente delle situazioni discutibili, ma a nostro giudizio, in questa fase, assolutamente inevitabile.
Ricordo, preliminarmente, che il decreto-legge al nostro esame, che consta ora di 4 articoli, interviene sulle norme riguardanti la procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo Ilva, tuttora in corso, modificando alcune disposizioni per lo più contenute nei più recenti decreti-legge riguardanti la modifica del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale Pag. 3e sanitaria e i diritti e gli obblighi degli acquirenti o affittuari del complesso aziendale.
La disciplina previgente prevedeva che, qualora la realizzazione del piano industriale e finanziario proposto dall'aggiudicatario relativamente allo stabilimento Ilva richiedesse modifiche e integrazioni al Piano ambientale, le modifiche e le integrazioni di questo Piano fossero autorizzate su specifica istanza con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito l'Ispra, e del Ministro della salute, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
Nel nuovo testo si propone una procedura diversa: nell'ambito della prima fase, concernente la definizione delle offerte vincolanti definitive, si prevede in primo luogo che, qualora le offerte presentate nel termine del 30 giugno 2016, comportino modifiche o integrazioni al Piano approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 14 marzo 2014, o altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio degli impianti, i relativi progetti di modifica e le proposte di nuovi interventi siano valutati da un comitato di esperti, che può avanzare a ciascun offerente una richiesta di integrazione della documentazione prodotta in sede di offerta, affinché fornisca gli ulteriori documenti necessari, compresi: i documenti progettuali, i cronoprogrammi, comprensivi della richiesta motivata di eventuale differimento non oltre 18 mesi del termine ultimo per l'attuazione del Piano stesso, l'analisi degli effetti ambientali e le analisi dell'applicazione delle cosiddette BAT Conclusions, con espresso riferimento alle prestazioni ambientali dei singoli impianti come individuate dall'offerta presentata. Quindi, insomma, un procedimento molto diverso rispetto a quello che avevamo approvato nei decreti precedenti. Viene, comunque, ad essere centrale, e non potrebbe essere stato diversamente, l'attuazione del Piano ambientale.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato, poi, inserito un periodo, volto a disporre che tale facoltà, da parte appunto del Comitato, deve essere esercitata, in primo luogo, nel rispetto della parità dei diritti dei partecipanti e, in secondo luogo, bisogna ricordare che l'offerente deve accettare tutte le risultanze determinate dagli esperti.
La fase finale della procedura si svolge dopo l'adozione del decreto del Ministero dello sviluppo economico, che individua il soggetto aggiudicatario, il quale, in qualità di gestore dello stabilimento, può presentare una domanda di autorizzazione di nuovi interventi e appunto di modifica del Piano del 14 marzo 2014, o, come detto in precedenza, di altro titolo autorizzativo.
Vi è una fase, poi, di consultazioni pubbliche, che dura 30 giorni. Sulla base di una modifica approvata nel corso dell'esame in sede referente, si prevede che della disponibilità della domanda sul sito, ai fini della consultazione da parte del pubblico sia dato tempestivo avviso mediante anche l'applicazione su due quotidiani a diffusione nazionale e almeno due quotidiani a diffusione regionale.
Viene poi svolta un'istruttoria da parte del Comitato di esperti, che deve tener conto non solo dei valori limiti imposti dalla normativa europea, ma deve essere anche congruente al vecchio Piano, se mai modificato.
A nostro giudizio, poiché poi l'eventuale nuovo Piano costituirà la nuova autorizzazione integrata ambientale, questa, dal punto di vista strettamente ambientale, non potrà che essere nel suo complesso più tutelante rispetto al Piano del marzo 2014.
Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha l'onere di nominare i tre esperti che devono essere scelti con criteri che tengano conto della specializzazione in campo ambientale e siderurgico. La norma prevede, inoltre, sulla base di una modifica approvata, appunto, nella discussione in Commissione, nelle due Commissioni congiunte, che il Comitato di questi esperti si avvalga, oltre che della struttura commissariale di Ilva, del sistema nazionale delle agenzie ambientali e possa poi avvalersi di altre amministrazioni. Questo allargamento alle Pag. 4agenzie ambientali consente agli esperti di utilizzare professionalità importanti, anche di natura sanitaria, che si trovano all'interno delle diverse agenzie regionali. Ricordo, infatti, che numerosi sono gli epidemiologi che, ad oggi, sono in organico al sistema agenziale. Un'ulteriore modifica approvata dalle Commissioni riunite prevede che i curricula dei componenti del Comitato siano resi pubblici e, anche in questo caso, si è cercato di migliorare le condizioni di trasparenza e conoscenza con particolare riguardo allo stato dell'arte della gestione dei rifiuti pericolosi, con particolare attenzione al materiale contenente amianto. Rimane irrisolta una questione che riguarda le cosiddette scorie di acciaieria che noi confidiamo si possa risolvere nella discussione in Aula.
Nel corso dell'esame in sede referente è stata, altresì, inserita l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un coordinamento tra la regione Puglia, i ministeri competenti e i comuni interessati, accogliendo una richiesta che veniva fatta direttamente dal sindaco di Taranto in fase di audizione, con lo scopo, appunto, di facilitare lo scambio di informazioni tra dette amministrazioni, in relazione all'attuazione del piano. Si è approvata, poi, una serie di emendamenti che prevedono l'autorizzazione per l'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia ad assumere personale a tempo indeterminato, per assicurare le necessarie attività di vigilanza, controllo, monitoraggio e gli eventuali accertamenti tecnici riguardanti l'attuazione del Piano ambientale. Credo, signor Presidente, che sia stato un segnale determinante che, come Parlamento, in accordo col Governo, si sia voluto dare riguardo alla necessità di avere un sistema di controlli ambientali il più efficiente ed efficace possibile. Ciò, non solo riteniamo sia tutelante per i cittadini che vedono un netto segnale di inversione di tendenza rispetto al passato, ma riteniamo questo fatto estremamente utile anche per l'impresa che potrà così avere un'interlocuzione con un sistema pubblico di controllo più efficace e, probabilmente, anche, efficiente. Viene prevista una possibilità di deroga dell'attuazione delle prescrizioni del Piano di diciotto mesi; di questo si è discusso molto anche alla luce delle tempistiche necessarie, voglio ricordarlo, dovute ai chiarimenti che sarà necessario dare in sede comunitaria in merito alle varie questioni sollevate dalla Commissione europea.
Altra questione affrontata e, credo, definitivamente chiarita, riguarda l'estensione all'affittuario o all'acquirente nonché ai soggetti da questi delegati dell'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa a fronte di condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale. Tale esclusione era prevista dal decreto-legge del 2015 solo in relazione al commissario straordinario e ai suoi delegati; in conseguenza delle modifiche apportate dalla norma esistente si prevede che le condotte poste in essere in attuazione del Piano non possano dar luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale e di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro. Le Commissioni, appunto, in sede referente, in linea anche con la condizione che ci è stata posta dalla Commissione giustizia, hanno specificato che questa esclusione – l'esclusione della responsabilità penale e amministrativa per l'affittuario, l'acquirente e i soggetti da questi delegati – opera soltanto in relazione alle condotte poste in essere fino al 30 giugno 2017, ovvero fino all'ulteriore termine di diciotto mesi che venga eventualmente concesso. Va, infatti, sottolineato che questa sorta di scudo giudiziario che, sicuramente, rappresenta un'eccezionalità nel nostro ordinamento giuridico, cessa definitivamente con la messa a regime del Piano e non per la sua gestione ordinaria.
Queste sono le questioni più importanti che noi abbiamo voluto mettere in evidenza e che riguardano soprattutto le questioni di natura ambientale, mentre, per tutte le parti, che hanno più interesse, ovviamente, dal punto di vista della gestione Pag. 5economica, che il decreto pone, chiederei, signor Presidente, ovviamente, se lei è d'accordo, che la collega Bargero continuasse la relazione.

PRESIDENTE. No, no, la passo io la parola, onorevole Bratti, siete un po’ troppo autorganizzati da queste parti...
Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la X Commissione (Attività produttive), deputata Bargero.

CRISTINA BARGERO, Relatrice per la maggioranza per la X Commissione. Presidente, come già anticipato dal collega relatore Bratti, io interverrò sugli aspetti legati alle obbligazioni finanziarie e contrattuali del decreto, soprattutto in merito all'articolo 1, comma 1, lettera a), dove si interviene relativamente alla restituzione del prestito di 300 milioni da parte dell'amministrazione straordinaria. Il prestito di 300 milioni era stato previsto dal precedente decreto n. 191 del 2015 per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del gruppo Ilva, ossia per permettere alla gestione straordinaria di continuare l'attività produttiva, vale a dire il pagamento degli stipendi, delle manutenzioni e dei fornitori.
Tuttavia, all'indomani dell'adozione del decreto n. 191, la Commissione ha avviato un'indagine approfondita per stabilire se il sostegno dello Stato italiano alle acciaierie Ilva rispetti o meno la normativa UE sugli aiuti di Stato; un'indagine estesa anche al prestito di 300 milioni.
La normativa europea sugli aiuti di Stato nel settore siderurgico non permette l'erogazione di sostegno pubblico per soccorrere e ristrutturare le imprese in difficoltà. Infatti, la siderurgia è stata esclusa, a metà degli anni Novanta, di comune accordo tra gli Stati membri dell'UE e della Commissione.
Tuttavia, la normativa UE sugli aiuti di Stato consente agli Stati membri di erogare aiuti volti a migliorare la competitività delle acciaierie europee su scala mondiale, ad esempio, ai fini di ricerca e sviluppo, formazione e sostegno alle attività ad alta intensità energetica.
Negli ultimi anni i vari Stati membri hanno adottato misure tese a compensare le industrie che svolgono attività ad alta intensità energetica tra cui le acciaierie, per gli elevati costi che si trovano a sostenere. Sebbene influiscano sulla concorrenza nel settore siderurgico queste misure promuovono importanti obiettivi di interesse comune.
Il Governo italiano ha chiesto più volte di rivedere l'intero regime degli aiuti di Stato per il settore dell'acciaio. La modifica che intercorre nel decreto-legge in esame va proprio a intervenire relativamente a quanto ci è stato chiesto dalla Commissione europea. Nel testo precedente, infatti, si disponeva che fosse l'aggiudicatario della procedura a provvedere alla restituzione allo Stato dell'importo di 300 milioni maggiorato con gli interessi; con le modifiche oggi introdotte, invece, l'obbligo di restituzione dei 300 milioni erogati dallo Stato è posto a carico dell'amministrazione straordinaria del gruppo Ilva, a cui tali somme sono state effettivamente corrisposte, entro sessanta giorni dall'adozione del decreto di cessazione dell'impresa, anteponendolo ad altri crediti.
Tale modifica assicura la discontinuità anche economica della gestione da parte dei soggetti aggiudicatari ed è in linea con le indicazioni della Commissione europea che, anche con la comfort letter relativa alla procedura di vendita in corso, ha ribadito che la restituzione in capo all'aggiudicatario pregiudicherebbe il conseguimento della discontinuità economica tra cedente e cessionario.
Sulle modifiche alla procedura di aggiudicazione ha già detto il collega Bratti, voglio solo aggiungere che tali modifiche legano strettamente il piano industriale al piano ambientale e, quindi, costituiscono una maggiore tutela nei confronti degli standard di rispetto ambientale.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato previsto, poi, che per gli aggiudicatari ci sia l'obbligo di inviare ogni sei mesi una relazione sull'attività posta in essere riguardo al piano ambientale e rispetto alle obbligazioni contrattuali. Questo al fine di Pag. 6garantire una maggiore trasparenza da parte dell'aggiudicatario nella gestione sia del piano di risanamento ambientale sia del piano industriale.
Sempre in sede referente, è stato introdotto il comma 1-bis a tutela delle imprese fornitrici, che punta a dare priorità al pagamento dei debiti Ilva nei confronti delle imprese dell'indotto, con una modifica alla disposizione che disciplina la prededucibilità dei crediti. Per dare certezza alla prosecuzione dell'attività produttiva per affittuari e acquirenti, l'articolo 1, al comma 3, novella l'articolo 3 del decreto-legge n. 207 del 2012, al fine di estendere all'affittuario e all'acquirente dei complessi aziendali dell'Ilva l'immissione nel possesso dei beni dell'impresa e l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva nei relativi stabilimenti e la commercializzazione dei prodotti.
Si ricorda in proposito che l'innovazione introdotta dal decreto-legge n. 207 del 2012 è stata quella di consentire, a seguito dei provvedimenti di sequestro disposti nei confronti di Ilva dall'autorità giudiziaria, la prosecuzione dell'attività produttiva per un tempo determinato in sede di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale, vincolandola a taluni presupposti: l'accertamento dell'assoluta necessità di salvaguardare l'occupazione e la produzione, essendo l'attività esercitata in uno stabilimento di interesse strategico-nazionale, nonché la tutela dell'ambiente e della salute.
L'articolo 2, al quale non sono state apportate modifiche nel corso dell'esame in sede referente, reca disposizioni in merito ai finanziamenti ad imprese strategiche. In particolare, si posticipa al 2018 o successivamente il termine previsto per il rimborso degli importi finanziati da parte dello Stato in favore del gruppo Ilva, gli 800 milioni – fino a 600 milioni nel 2016 e fino a 200 milioni di euro nel 2017 – per l'attuazione e la realizzazione del Piano di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in amministrazione straordinaria e nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia.
I crediti maturati dallo Stato per capitale e interesse sono soddisfatti nell'ambito della procedura di ripartizione dell'attivo della società in prededuzione, ma subordinatamente al pagamento, nell'ordine, dei crediti prededucibili di tutti gli altri creditori della procedura dell'amministrazione straordinaria, nonché dei creditori privilegiati. Tali finanziamenti statali sono stati concessi per assicurare la tempestiva disponibilità delle somme necessarie agli interventi di bonifica per i quali la Commissione europea, nel parere motivato del 16 ottobre 2014, ha ritenuto che l'Italia fosse direttamente obbligata e responsabile anche prima della definizione giudiziaria della responsabilità di Ilva.
Il comma 2 dell'articolo 2 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal mancato rimborso degli importi finanziati nel 2016, pari a 400 milioni di euro in termini di solo fabbisogno e nell'esercizio 2016 a compensazione del quale si prevede un versamento di pari importo delle somme gestite presso il sistema bancario dalla cassa per i servizi energetici e ambientali su un apposito conto corrente di tesoreria centrale fruttifero.
Per concludere, signor Presidente, il lavoro svolto in sede referente ha portato una serie di modifiche migliorative al testo, nella convinzione che l'industria siderurgica nel nostro Paese possa ancora svolgere un ruolo fondamentale, se praticata nel rispetto degli standard ambientali e del principio costituzionalmente garantito della salute, nella convinzione che industria e ambiente in Italia non vengano più considerati in modo antitetico, ma possano sviluppare circoli virtuosi di sviluppo.
Ringrazio le forze di maggioranza e opposizione per il lavoro svolto insieme nelle Commissioni, seppure anche su posizioni divergenti, e ringrazio, soprattutto, il Governo, nella figura del Viceministro Bellanova, per il prezioso contributo che ci è stato dato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Chiedo l'autorizzazione a consegnare il testo integrale della relazione.

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PRESIDENTE. Va bene, deputata.
Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Zaratti. Prego, onorevole.

FILIBERTO ZARATTI, Relatore di minoranza per la VIII Commissione. Grazie, signora Presidente. Il decreto-legge n. 98 del 2016, il cui disegno di legge di conversione è ora all'esame dell'Aula della Camera, è l'undicesimo provvedimento d'urgenza riguardante l'emergenza nell'area di Taranto e l'attività dello stabilimento Ilva, il polo siderurgico più grande d'Europa. Undici decreti in quattro anni, quasi tre decreti l'anno; su 48 mesi, 22 sono stati impegnati dalla vigenza di detti decreti-legge. Una media impressionante, unica in Europa e, forse, al mondo, che colpisce ancora di più alla luce del completo ed evidente fallimento nella loro capacità di dare una qualunque, seppur minima, soluzione all'estrema criticità dell'area. Un fallimento sotto l'aspetto industriale, della tutela della salute pubblica, delle bonifiche e del risanamento delle matrici ambientali, e a pagare le conseguenze di questo fallimento sono soprattutto i lavoratori dell'Ilva e la loro sicurezza, i cittadini dell'area di Taranto per la crisi sanitaria e ambientale irrisolta, l'ambiente circostante.
Sono ancora al palo le opere di ambientalizzazione e di risanamento del territorio, così come le misure di sorveglianza e tutela sanitaria. Nessun risultato significativo sotto l'aspetto della riduzione dell'esposizione a inquinanti di origine industriale e dell'abbattimento dell'inquinamento. Qualche lieve e saltuario segnale di miglioramento è dovuto solamente alla riduzione della produzione, il che significa che, in totale assenza di interventi ambientali strutturali, l'inquinamento atmosferico tornerà a salire: tutto ciò è inaccettabile per la salute dei cittadini di Taranto. Insomma, una perdurante gravissima emergenza industriale, sanitaria e ambientale, che ci si ostina ad affrontare con provvedimenti d'urgenza che, emanati praticamente senza soluzione di continuità, non hanno prodotto alcun miglioramento e non modificano l'attuale pesantissima situazione di quei territori.
All'urgenza di interventi volti a ripristinare la qualità dell'ambiente e a dare soluzione alla drammatica situazione epidemiologica, confermata in più occasioni, nell'area di Taranto, il decreto-legge in esame non trova di meglio che rispondere, come vedremo in seguito, con la previsione di una nuova ennesima proroga: fino a un ulteriore anno e mezzo per l'attuazione del Piano ambientale e sanitario, e con la possibilità, inoltre, di poterlo modificare secondo le esigenze e le convenienze dei futuri soggetti acquirenti lo stabilimento siderurgico. In pratica, la riscrittura e la cancellazione delle prescrizioni, magari a cominciare dalla copertura dei parchi minerali, sarà proposta dai privati come condizione senza la quale l'acquisto non potrà avvenire.
Se, da una parte, questo decreto è molto attento a favorire nuovi acquirenti e ad agevolare la vendita dell'Ilva, prevedendo, tra l'altro, che non debbano essere loro a rimborsare i 300 milioni di euro erogati ai sensi del decreto legge n. 191 del 2015 per esigenze finanziarie del gruppo, ma dovrà essere l'amministrazione straordinaria, dall'altra, il decreto mette di fatto in discussione lo stesso processo di ambientalizzazione dell'Ilva, così come previsto dall'AIA vigente, che è presupposto per salvare lo stabilimento, e, con ciò facendo, accresce le preoccupazioni di chi in quei territori ci vive e vive sulla propria pelle il disastro ambientale e sanitario di quel territorio.
Al pari dei precedenti, anche questo decreto rischia di essere non solo inefficace sotto l'aspetto del risanamento ambientale e della salvaguardia della salute pubblica, ma addirittura peggiorativo rispetto alla normativa ambientale attualmente vigente.
Si prevede che i futuri acquirenti o affittuari possano presentare proposte di modifica del Piano ambientale e che tali proposte saranno valutate da un comitato di esperti, scelti, senza introdurre alcuna norma che eviti possibili conflitti di interesse, tra soggetti di comprovata esperienza Pag. 8in materia di tutela dell'ambiente e di impianti siderurgici. Si dà, quindi, attenzione agli aspetti ambientali e industriali, ma si tralascia la tutela della sanità pubblica, una vera annosa emergenza di quei territori. Non c’è, infatti, alcuna previsione che tra gli esperti vi siano professionisti in materia di epidemiologia e di tutela sanitaria.
Andava data priorità a quelle offerte di acquisto in grado di garantire una prospettiva di sviluppo centrata sull'innovazione tecnologica e ambientale e sulla conferma degli attuali livelli occupazionali, ma di tutto questo non c’è traccia in questo provvedimento, così come non ve ne era traccia nei precedenti provvedimenti d'urgenza.
L'articolo 1, comma 1, lettera b) interviene sulla procedura riguardante le modifiche o le integrazioni del Piano ambientale, definendo una nuova procedura secondo la quale il soggetto che presenterà un'offerta vincolante potrà non solo richiedere modifiche ed integrazioni all'attuale Piano ambientale e sanitario, ma anche ottenere il differimento fino a diciotto mesi del termine ultimo dell'attuazione delle prescrizioni previste.
Il termine ultimo, già oggetto di precedenti proroghe per l'attuazione del Piano, e che era stato fissato da ultimo al 30 giugno 2017, diventa ora, per l'ennesima volta, prorogabile di un anno e mezzo. Insomma, l'ennesima inaccettabile proroga di un termine già più volte differito. Una previsione gravissima che si tradurrà in un ulteriore spostamento in avanti delle misure di risanamento ambientale previste dall'autorizzazione integrata ambientale, e quindi delle opere di ambientalizzazione e di risanamento del territorio, senza imporre un preciso, vincolante cronoprogramma degli interventi di risanamento ambientale e sanitario, con precise sanzioni in caso di inadempienze e ritardi. Una previsione, questa, insostenibile, anche perché l'attuazione dell'AIA rimane il presupposto essenziale per garantire la soluzione della gravissima emergenza sanitaria e ambientale che coinvolge lo stabilimento dell'Ilva e tutto il territorio circostanze.
Peraltro, nonostante che l'eventuale modifica del Piano ambientale equivalga di fatto a una modifica dell'AIA, non solo non c’è alcuna previsione di un coinvolgimento dell'ARPA Puglia, ma soprattutto della commissione istruttoria per l'IPPC che svolge l'attività di supporto scientifico per il Ministero dell'ambiente proprio con specifico riguardo alle procedure AIA. Tutto questo nel momento in cui le vigenti prescrizioni AIA più importanti e decisive per il risanamento del territorio sono ancora in attesa di essere realizzate.
Si aggiunga che il nuovo decreto elimina qualsiasi ruolo svolto dal Ministero della salute, sia al momento dell'istruttoria propedeutica alle offerte vincolanti e definitive, sia al momento della modifica del Piano ambientale e sanitario o di altro titolo autorizzativo necessario per l'utilizzo dell'impianto che viene modificato con DPCM nei quindici giorni successivi alla conclusione dell'istruttoria. Sotto questo aspetto il decreto è peggiorativo del precedente.
Riguardo allo stato di attuazione delle prescrizioni AIA, giova ricordare che la normativa prevedeva che il Piano ambientale si intendeva attuato se entro 31 luglio 2015 fosse stato realizzato, almeno nella misura dell'80 per cento, il numero delle prescrizioni in scadenza a quella data. Noi avevamo, fin da subito, denunciato e criticato l'inadeguatezza di prevedere una mera percentuale di prescrizioni da attuare senza valutare il peso e l'importanza, in termini ambientali e sanitari, delle diverse prescrizioni. È stato, quindi, finora sufficiente realizzare quelle prescrizioni meno importanti e di più facile e rapida attuazione, per arrivare alla soglia dell'80 per cento, in modo particolare quelle di natura normativa, rimandando quelle più impegnative, importanti e costose che avrebbero, però consentito un miglioramento sensibile della drammatica situazione ambientale e sanitaria del territorio di Taranto.Pag. 9
Sta di fatto che, a dimostrazione dell'inutilità di una previsione normativa meramente aritmetica delle prescrizioni da realizzare, ad oggi, risultano ancora non attuate prescrizioni e interventi decisivi per dare una risposta efficace all'emergenza ambientale e capace di ridurre realmente le emissioni inquinanti dello stabilimento. E tutto questo mentre la valutazione di danno sanitario elaborata dall'ARPA Puglia nel 2013 ha mostrato come neanche l'applicazione di tutte le prescrizioni AIA garantirebbe ai residenti nell'area di Taranto un'adeguata salubrità del territorio e un livello di sicurezza sanitaria almeno simili a quelli di altre zone d'Italia considerate non a rischio.
Peraltro, la prevista possibilità di proroga di ulteriori 18 mesi per la realizzazione del Piano ambientale, e quindi delle prescrizioni AIA, porta con sé due altri gravissimi e incostituzionali vulnus presenti nel testo del provvedimento in esame.
Primo, la proroga fino ad altri diciotto mesi riguarda anche la norma che garantisce uno scudo giudiziario finora previsto per i commissari e i loro delegati.
Secondo, l'ampliamento di questa totale impunità anche per gli acquirenti. L'articolo 1, comma 4, lettera b), in evidente sfregio della nostra Carta costituzionale, reitera, infatti, allargando i soggetti beneficiari, le norme vergognose introdotte nei precedenti decreti-legge sull'Ilva che garantiscono una totale impunità per le condotte poste in essere in attuazione dell'AIA e delle misure previste nel Piano ambientale e sanitario. La norma introdotta nel provvedimento in esame modifica, infatti, in modo grave e palesemente incostituzionale, l'articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, estendendo l'immunità penale e amministrativa, già prevista per il commissario straordinario e i soggetti da lui delegati, anche alle condotte poste in essere dall'affittuario o dagli acquirenti, ampliando e rafforzando in maniera inaccettabile disposizioni già evidentemente incostituzionali e avulse da qualsiasi rispetto del principio dello Stato di diritto.
Sono, quindi, evidenti le forti criticità di questo undicesimo «decreto-legge Ilva e sull'area di Taranto», un decreto che rappresenta sicuramente una regressione netta rispetto alla normativa vigente. Abbiamo elaborato molte proposte e a questo proposito rimando alla lettura della nostra relazione scritta e al contributo che gli altri esponenti del nostro gruppo vorranno dare.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, il deputato Crippa. Prego, onorevole.

DAVIDE CRIPPA, Relatore di minoranza per la X Commissione. Grazie Presidente. Al peggio, ormai ci siamo abituati, non c’è mai fine dal punto di vista legislativo. A sei mesi di distanza, ci ritroviamo con un'ennesima questione legata al problematiche dell'Ilva. È una storia ormai ripercorsa da 11 decreti, sulla quale potrei anche riproporre tutte le relazioni fatte ai tempi, perché sostanzialmente stiamo parlando dei soliti problemi e della solita modalità di gestione e di trattamento della problematica: fretta, poca chiarezza e assoluta assenza di previsione e di programmaticità da parte del Governo.
Il Servizio Studi della Camera ha fatto un lavoro molto importante, una cronistoria dei finanziamenti statali erogati all'Ilva sino adesso: 300 milioni per esigenze finanziarie, come prestito statale, un prestito che l'Italia ha confermato non coperto da alcuna garanzia reale; 800 milioni di prestito statale, di cui 600 a valere sul 2016 e 200 a valere sul 2017, per l'attuazione del Piano ambientale (non sappiamo ancora cosa abbiano attuato o meno perché il Governo non ha preteso la presenza dei commissari all'interno del ciclo di audizioni della Camera e ricordo che i commissari sono di nomina governativa e quindi il potere di controllo sul loro operato è totalmente a carico del Governo); 400 milioni di garanzia statale che è stata suddivisa tra Cassa depositi e prestiti, Intesa San Paolo e Banco Popolare e 156 milioni di euro di Fintecna per una liquidazione diciamo un po’ sorprendente, Pag. 10tanto che anche l'Unione europea ha deciso di accendere un faro su quei 156 milioni di euro. Il totale, arrotondiamo, ammonta a circa a 1,6 miliardi di euro, oltre ovviamente tutte le casse integrazioni straordinarie, oltre ovviamente tutte le prededucibilità, che comunque sono state coperte.
Noi crediamo che arrivati a questo punto un legislatore un po’ più attento forse cercherebbe di tirare una somma di quanto fatto finora e invece qui si continua, tra l'altro continuando a cambiare gli attori in campo. Noi parliamo oggi con il Viceministro Bellanova, precedentemente abbiamo parlato con il Viceministro De Vincenti, e poi vi è stato un lasso temporale anche con il sottosegretario Vicari; questo per dimostrare anche la sensibilità del Governo che non ha una attenzione particolare nell'attribuire a una persona sola, dall'inizio alla fine, la necessità di seguire questa problematica. Stavo cercando di puntualizzare come, a questo punto, con un 1,6 miliardi è evidente che si continua a sovvenzionare una attività produttiva ormai decotta, un'attività produttiva che, dati alla mano, perde 2,5 milioni al giorno. Sono dati che si rifanno sostanzialmente ad una media di 918 milioni di perdite nel 2015, 641 del 2014, 911 nel 2013, 620 nel 2012. La media di tutto questo ci porta a 2,5 milioni di perdita al giorno. È ovvio che qualcuno all'interno della maggioranza considera l'Ilva un soggetto in grado di restituire tutti i prestiti statali che ho elencato prima. Noi ovviamente non ci crediamo ma credo nemmeno loro. Insomma siamo davanti a un soggetto che non ha la capacità di restituire le somme tant’è che non siamo gli unici a dirlo ma, sempre all'interno del fascicolo del Servizio Studi, viene segnalato che per una prima rata di un prestito che scadeva a febbraio 2015 non è stato dato mandato di pagamento e quindi siamo in ritardo anche sulla restituzione.
All'interno di questa visione miope, siamo di fronte all'ennesimo decreto-legge, che però fa anche qualcosa di peggio, cioè modifica procedure di attribuzione e di vendita in corso. La procedura è iniziata a gennaio, oggi interveniamo stabilendo che i 300 milioni, che teoricamente dovevano essere in capo all'acquirente o all'affittuario, vengono messi in capo all'amministrazione straordinaria. Questo ovviamente pone una condizione diversa tra i partecipanti a una gara: quindi un soggetto magari ai tempi non si era ritenuto interessato a partecipare alla gara perché quanto meno non riteneva ammissibile dover pagare 300 milioni di euro. Oggi cambiamo la procedura in corso, in attesa che qualcuno faccia ricorso perché sostanzialmente ci si deve solo aspettare quello. Ma siamo sempre un po’ sordi nel comprendere anche oggi che diciamo sono molto semplici le gare d'appalto. Attenzione che siamo a questo punto: inventarci addirittura una nuova procedura molto dettagliata con tre esperti di siderurgia e ambiente che però non hanno all'interno ovviamente una competenza sanitaria. Abbiamo provato a inserirla ma c’è stata negata e quindi tutto ciò rimarrà alla valutazione di alcuni esperti che prioritariamente potrebbero essere prelevati da alcune competenze già esistenti nelle istituzioni ma tendenzialmente questo non è assolutamente dato per scontato; e quello che mi lascia ancora più perplesso è l'assenza della regione Puglia e del Ministero della salute. Infatti cambia la procedura e siamo davanti al fatto che oggi l'attuazione del piano viene valutata da questa commissione di esperti, poi c’è un vaglio successivo del Ministero dell'ambiente e uno ancora successivo del Ministero dello sviluppo economico. Quindi una procedura nuova per cercare di velocizzare questi iter, però, alla fine della fiera, tutto sembra non più per semplificare ma assolutamente per cercare di sminuire i controlli e le attività che gli enti di controllo fino adesso hanno eseguito nei confronti dell'Ilva. Oggi siamo davanti a una proroga di diciotto mesi nell'attuazione del piano. Basta andare qualche mese indietro per vedere le dichiarazioni dei colleghi della maggioranza che erano entusiasti per i limiti introdotti all'interno del piano ambientale che addirittura anticipavano limiti europei. Ecco oggi, con Pag. 11tutte queste proroghe, stiamo posticipando i limiti europei. Arriviamo poi a una delle note più dolenti che è costituita dal fatto che tutte queste operazioni ovviamente non vengono coperte dalla fiscalità generale: no, addirittura no, cerchiamo di andare a gravare sulle bollette dei cittadini perché è giusto far così, perché siamo ancora oggi nel cercare di coprire 400 milioni di euro con soldi provenienti dalla Cassa per i servizi energetici. Su questa però, che in poche parole ha il compito di pagare tutti i soggetti della filiera energetica e quindi tutti i soggetti produttori, distributori e i soggetti di trasmissione dell'energia elettrica o gas e ha anche compiti di remunerazione degli incentivi (la componente A3 e la componente A2 che dovrebbe essere quella decommissioning nucleare), proprio venerdì l'Autorità per l'energia elettrica e il gas è uscita con una nota.
In tale nota l'Autorità diceva: guardate che state creando la stessa situazione che qualche anno fa il Governo Berlusconi creò con l'IMU, caricando sulla Cassa per i servizi energetici quelli che oggi, nella componente A2, sono 135 milioni di euro all'anno. Evidentemente questo sistema non vi era chiaro – forse ai tempi magari vi lamentavate anche – ma oggi vi piace andare a mettere le mani nelle tasche dei consumatori, perché quelli sono consumatori: non lo diciamo noi ma lo dicono l'Autorità e la Cassa per i servizi energetici definendo questa modalità operativa «prelievo forzoso». Noi ve lo abbiamo detto in tutte le salse: questo tipo di modalità di gestione della problematica è sbagliato. Ci deve essere un confronto diverso, serrato per capire cosa fare di una realtà come questa. Presidente, mi permetta di chiudere, citando soltanto due pareri: uno, quello della Commissione Affari costituzionali, l'altro, quello della Commissione Bilancio. Partiamo dal parere della Commissione Bilancio perché riguarda la Cassa per i servizi energetici. Non si può permettere che, all'interno di questo ramo del Parlamento, vengano scritte nel parere che le risultanze depositate presso il sistema bancario non sono considerate, allo stato attuale, consolidati di cassa. Sembrerebbe cioè, secondo quello che c’è scritto qui, che sono soldi dormienti e sono soldi che potenzialmente potevano già essere tolti dalla bolletta dei cittadini. Questo fatto significa cercare di riportare il falso all'interno di un atto deliberato dalla Camera dei deputati e, Presidente, aggiungo il parere della Commissione Affari costituzionali...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DAVIDE CRIPPA, Relatore di minoranza per la X Commissione. Mi permetta di chiudere con questo. Il parere della Commissione Affari costituzionali è parere favorevole con un'osservazione. Tale osservazione però ci riporta, Presidente, alla questione pregiudiziale. L'osservazione è la seguente: «all'articolo 1, comma 4, lettera b), valutino le Commissioni di merito la previsione relativa all'esclusione, limitatamente al caso di specie, della responsabilità penale e amministrativa dell'affittuario o dell'acquirente per le condotte attuative del Piano ambientale, alla luce dei principi di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione». Se andiamo a vedere le questioni pregiudiziali presentate tale condizione era contenuta in una delle quattro pregiudiziali proprio come scritto adesso.

PRESIDENTE. Ora concluda, onorevole Crippa.

DAVIDE CRIPPA, Relatore di minoranza per la X Commissione. Avete votato contro le pregiudiziali e avete votato, invece, a favore in Commissione Affari costituzionali: ipocrisia 2.0.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
È iscritto a parlare il deputato Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Presidente. Nel recente esame delle questioni pregiudiziali di costituzionalità sul decreto-legge, Pag. 12il nostro gruppo ha avuto occasione di evidenziare, da una parte, la drammaticità della vicenda dell'Ilva e, dall'altra, la criticità delle risposte legislative: una storia infinita di ben dieci decreti-legge che hanno impegnato le Aule parlamentari durante i tre ultimi Governi Monti, Letta e Renzi, senza evidentemente risolvere con la dovuta concretezza i problemi. La mancanza di chiarezza sui ruoli e sulle competenze degli organi istituzionali, interessati al risanamento ambientale e alla riqualificazione del territorio di Taranto, ha alimentato negli ultimi quattro anni una serie di procedimenti penali e amministrativi con controbattute del Governo che hanno creato incertezze e che non riguardano soltanto l'Ilva di Taranto ma tutto il nostro sistema industriale e l'indotto mettendo in crisi l'affidabilità e la credibilità del Paese nei confronti degli investitori esteri. Qualsiasi amministratore o politico che guarda responsabilmente al futuro economico del Paese e al destino del nostro sistema industriale si rende conto che lo stabilimento dell'Ilva di Taranto, il più grande impianto siderurgico in Europa, non può chiudere. Lo stabilimento di Taranto è l'unico punto dove si lavora l'acciaio a caldo che fornisce tutti gli altri stabilimenti Ilva sul territorio nazionale come Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. La chiusura di Taranto avrebbe pertanto conseguenze disastrose per il nostro sistema industriale socio-economico, con gravissime conseguenze anche per l'indotto, peraltro in un periodo di estrema criticità per la nostra economia. Senza dubbio, in un conflitto tra problemi ambientali e occupazione, i cittadini di Taranto pagano oggi l'irresponsabilità della classe imprenditoriale e industriale del passato e le responsabilità della classe amministrativa locale che, fino a quattro anni fa, ha chiuso completamente gli occhi sul problema sanitario e ambientale. D'altra parte occorre tener conto che l'unico modo per far fronte alle esigenze di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini è quello della continuità dell'attività di impresa perché altrimenti Taranto potrebbe diventare una seconda Bagnoli, in quanto la chiusura dell'impianto comporterebbe non solo la perdita di posti di lavoro ma anche il blocco totale dell'attuazione delle prescrizioni dell'AIA. In questo modo il sito inquinato resterebbe tale, ancora da bonificare, come già accaduto a tutti i siti inquinati da bonificare laddove sia fallita la reindustrializzazione e ove i pochi finanziamenti pubblici a disposizione non sono ora in grado di risolvere i problemi ambientali e sanitari. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali correlati, in sede di approfondimento del tema delle bonifiche e dopo una serie di sopralluoghi e audizioni, è arrivata difatti alle stesse conclusioni. Ma c’è anche da dire che la situazione di Taranto, menomale, anche se è tardi, è comunque portata alla ribalta. L'opinione pubblica è attenta alle mosse del Governo, si cercano soluzioni. In analoga situazione di emergenza ambientale e sanitaria vi sono invece altri 57 siti di interesse nazionale, i cosiddetti SIN, da bonificare, per la maggior parte situati al nord del Paese, che ancora attendono interventi e risposte concrete da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal Governo a tutela della salute dei cittadini. Le relazioni della Commissione d'inchiesta sopra richiamata dimostrano, infatti, questa situazione preoccupante.
Il decreto-legge in esame ha lo scopo di assicurare il mantenimento in attività dell'Ilva, al fine di tutelare il tessuto socio-economico ed occupazionale del territorio di Taranto e di tutto l'indotto ad esso correlato, garantendo allo stesso tempo la tutela ambientale. Il tutto, passando inevitabilmente per un'interruzione di continuità della vecchia gestione che il Governo ritiene di semplificare e abbreviare attraverso delle agevolazioni alla procedura di cessione dell'azienda previste dal presente decreto. Nell'ambito delle agevolazioni si dispone che, qualora le offerte presentate al termine del 30 giugno di quest'anno prevedano modifiche o integrazioni al piano ambientale o ad altro titolo autorizzativo Pag. 13necessario per l'esercizio degli impianti, i relativi progetti di modifica e le proposte di nuovi interventi dovranno essere valutati da un comitato di tre esperti nominato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che può richiedere a ciascun offerente di integrare la documentazione prodotta in sede di offerta. Dopo l'adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico, con il quale dovrà essere individuato l'aggiudicatario, quest'ultimo, in qualità di individuato gestore, potrà presentare domande di autorizzazione dei nuovi interventi di modifica del piano ambientale sulla base dello schema di piano accluso alla propria offerta vincolante e definitiva, con una proroga dell'attuazione delle prescrizioni di ulteriori 18 mesi rispetto alla data del 30 giugno dell'anno prossimo.
Sia con la pregiudiziale in Aula, che con i nostri emendamenti nelle Commissioni abbiamo contestato la scelta del Governo di affidare a tre esperti la valutazione delle modifiche del piano ambientale in un tempo di 120 giorni nonostante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponga di una commissione AIA al suo interno o di istituzioni come l'ISPRA che potrebbero valutare le proposte. Quindi, una soluzione di valutazione pubblica. Abbiamo evidenziato il conflitto di interesse che ne deriva dalla scelta del Governo di porre i compensi degli esperti a carico dell'amministrazione straordinaria dell'Ilva, ossia del soggetto che è il principale interessato al proseguimento dell'attività e successiva cessione del gruppo aziendale, nonostante tutti gli esperti in materia ambientale a disposizione dell'amministrazione pubblica. Tuttavia, nelle Commissioni non sono state approvate modifiche su tali questioni. Sostanzialmente, il controllato paga il controllante. Inoltre, si prospetta un allungamento dei tempi che mette in allarme i lavoratori in quanto l'azienda continuerà ad essere gestita dagli attuali commissari in presenza di soggetti che dovrebbero acquisire l'azienda, ma che ancora non lo fanno. L'incertezza che ne deriva rischia di far perdere commesse al complesso industriale.
Ma la questione che maggiormente ci sta a cuore è la restituzione dei crediti alle aziende dell'indotto, fornitori e autotrasportatori, per i quali già con emendamenti e precedenti decreti-legge è stato previsto l'accesso ai crediti prededucibili nell'ambito della liquidazione della società. L'obbligo della restituzione del prestito ponte di 300 milioni di euro da parte dell'amministrazione straordinaria e non più parte dell'aggiudicatario della procedura di gara, anteponendolo agli altri debiti della procedura, rende ancora più incerto il diritto dei creditori del gruppo Ilva al pagamento dei servizi svolti. In sede referente è stato approvato un emendamento che prevede che la distribuzione di acconti parziali ai creditori prededucibili sia effettuata dal commissario straordinario dando preferenza al pagamento dei crediti alle imprese fornitrici. È tuttavia rimasto il vincolo di anteporre la restituzione del prestito ponte agli altri debiti della procedura nonostante l'ampio dibattito svolto sull'argomento nelle Commissioni ambiente e attività produttive. Il nostro gruppo ripresenterà in Aula i propri emendamenti su tale argomento. Peraltro, anche il prestito ponte concesso all'Ilva risulta sotto esame da parte della Commissione europea in ordine al rispetto o meno delle norme sugli aiuti di Stato, attraverso un'estensione dell'inchiesta già aperta sul pacchetto di misure pubbliche concesse all'Ilva. Ricordo che si tratta di 400 milioni di euro di garanzie pubbliche sui prestiti che risalgono a maggio 2015; altri 250 milioni di euro di prestiti concessi a settembre 2014; 156 milioni di euro da Fintecna a marzo 2015; oltre al trasferimento dei fondi congelati in Svizzera nel quadro del procedimento contro i Riva per 1,2 miliardi di euro. Dunque, la situazione è alquanto fluida e non crediamo che questo decreto-legge potrà anche questa volta risolvere concretamente i problemi ancora in essere.
L'esame nelle Commissioni ha potuto porre un paletto alla norma che estendeva Pag. 14all'affittuario acquirente l'immunità penale e amministrativa già prevista per i commissari straordinari o loro delegati. Con tale correzione, l'immunità è stata ridimensionata e riferita solo alle condotte poste in essere fino all'attuazione del piano ambientale, alleviando l'acquirente dalle proprie responsabilità fino a tale data. Un nostro emendamento prevedeva l'immunità per l'acquirente e per i soggetti da questi funzionalmente delegati limitatamente per gli illeciti scaturiti da condotte adottate prima dell'ingresso dei medesimi affittuari o acquirenti del gruppo Ilva. Riteniamo che si tratti in realtà di una disposizione dal risultato analogo in quanto le prescrizioni del piano ambientale intendono correggere mancanze o condotte poste in essere in passato, ossia prima dell'ingresso dell'affittuario acquirente, che hanno permesso l'inquinamento dell'area. Tuttavia, non crediamo che le restanti norme introdotte con gli emendamenti approvati dalle Commissioni di merito possano incidere sulle questioni importanti come quelle precedentemente evidenziate. Mi riferisco ad alcuni emendamenti approvati relativi all'obbligo di assicurare standard di tutela ambientale coerenti con le previsioni del piano ambientale o all'obbligo di pubblicare i curricula degli esperti o a quello di presentare una relazione semestrale al Parlamento sulle attività poste in essere. Si tratta di emendamenti che hanno potuto evidenziare buoni propositi per la tutela dall'ambiente, la trasparenza e l'informazione, ma che non hanno modificato l'impianto originario del decreto-legge. Altrettanti dubbi crea la disposizione che permette assunzioni per l'ARPA Puglia con la scusa del controllo dell'attuazione del piano ambientale, dal momento che la situazione disastrosa in cui si trova Taranto e in particolare i 17 mila abitanti del quartiere Tamburi sussiste anche grazie all'inerzia dell'ARPA di Taranto che per anni non ha effettuato nessun controllo o perlomeno i dovuti controlli. Riteniamo che questo decreto-legge continui sulla strada dell'incertezza e che soprattutto riconfermi l'intervento dello Stato nella gestione dell'impresa del gruppo Ilva, continuando ad invadere la sfera del privato e a prorogare ulteriormente l'amministrazione straordinaria. Riteniamo questo decreto-legge un altro dei provvedimenti inefficaci del Governo che purtroppo non riguardano soltanto l'Ilva di Taranto, ma tutto il nostro sistema industriale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Elvira Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Grazie, signor Presidente. Colleghi, voglio innanzitutto rimarcare che ancora una volta siamo chiamati in quest'Aula ad approvare la conversione di un decreto-legge che riguarda l'Ilva di Taranto; una gravissima e perdurante emergenza industriale, sanitaria e ambientale che continua ad essere affrontata con provvedimenti d'urgenza che fino ad oggi hanno dimostrato purtroppo tutti i loro limiti. Il metodo e la filosofia degli interventi del Governo sul drammatico caso dell'Ilva non hanno infatti ancora prodotto risultati concreti per la salvezza dell'azienda, né per il futuro delle sue famiglie e delle imprese dell'indotto e dei lavoratori. L'adozione di questo ennesimo decreto-legge – siamo a quota dieci, con ben cinque interventi del Governo Renzi – non si giustifica alla luce del fatto che l'intervento statale è idoneo solo se temporaneo e transitorio. L'Ilva è sottoposta alla gestione statale dal 2013, prima attraverso il commissariamento per ragioni ambientali, poi attraverso l'amministrazione straordinaria con la nomina dei commissari straordinari. In pratica, parliamo di un'impresa che è stata sostanzialmente espropriata, ma in tutti gli interventi non c’è mai stato alcun riferimento al lungo periodo, né si è intravisto un orizzonte temporale al di là di qualche mese, con pochissime risorse disponibili per predisporre un piano concreto di strategia ad uso industriale e un serio progetto di risanamento ambientale che purtroppo ancora non si vede. In particolare, quello della necessità di un piano industriale è un aspetto fondamentale per non trasformare ogni provvedimento in una beffa per il Pag. 15territorio, per le famiglie e per i lavoratori già stremati da un'attività che non può più conoscere ulteriori rinvii. Le tristi e drammatiche vicende del caso Ilva impongono soluzioni serie, credibili, concrete e durature, ma negoziati, accordi e normativa a supporto non si sono dimostrati sinora all'altezza della situazione. Questo Governo non si è dimostrato capace di gestire una vicenda che riguarda, non una semplice impresa, ma l'impresa siderurgica che gestisce il più importante polo produttivo d'Europa, rappresentando una componente fondamentale di tutta la siderurgia del nostro Paese. Taranto ha pagato un prezzo altissimo, ma non si tratta di un tema di carattere meramente territoriale; è un problema che riguarda l'intero Paese, anzi, per i profili di natura economica e considerando l'attività del sito siderurgico di Taranto, acquista anche una dimensione sovranazionale.
È inutile dire che i nostri competitor esteri, in particolare i tedeschi, vedono nella chiusura dell'Ilva la soluzione per l'eccesso produttivo di acciaio di cui oggi soffre l'Europa nella frenata dei mercati. Peccato che a rimetterci, come al solito, sarebbe il nostro Paese, la nostra produzione, i nostri lavoratori, le nostre imprese e le nostre famiglie. Basti pensare che, senza la crisi dell'Ilva, avremmo avuto 10 miliardi in più di PIL nel triennio 2012-2015, una cifra che rende l'idea della drammaticità della situazione, che non è più sostenibile, ma anche dell'incapacità di un Governo che ancora, decreto dopo decreto, continua a brancolare nel buio senza riuscire a mettere a fuoco una soluzione compiuta ed efficace.
Il testo al nostro esame, come il nostro gruppo ha argomentato attraverso la presentazione di una pregiudiziale di costituzionalità che è stata respinta dall'Assemblea, è contrario alla tutela del paesaggio e dell'ambiente naturale, disposto dall'articolo 9 della Costituzione, nonché del diritto alla salute, sancito dall'articolo 32 della Costituzione stessa, in particolare nella misura in cui differisce, fino a 18 mesi, il termine per l'attuazione del Piano ambientale e di risanamento dell'Ilva rispetto alla precedente scadenza. Il termine era fissato al 30 giugno 2017, un termine che era già stato precedentemente prorogato per l'attuazione, appunto, del Piano ambientale e sanitario, e grazie a questo nuovo decreto-legge potrà essere prorogato, su istanza dell'aggiudicatario della procedura, per un periodo, come dice il testo, non superiore ai 18 mesi, quindi si arriva al 2019. Tale termine si applicherebbe, altresì, ad ogni altro adempimento, prescrizione, attività o intervento di gestione ambientale e di smaltimento e gestione dei rifiuti, inerente l'Ilva. Tra l'altro, il testo non specifica affatto quali siano questi ulteriori adempimenti e prescrizioni, generando una confusione che non va in alcun modo sottovalutata.
La stessa Commissione Affari costituzionali ha invitato le Commissioni di merito a riflettere su questo aspetto, chiedendo di specificare a quali norme di legge o provvedimenti amministrativi si intenda fare riferimento, relativamente agli altri adempimenti, prescrizioni o interventi ai quali dovrebbe applicarsi il termine ultimo per l'attuazione, appunto, del Piano ambientale. Le continue proroghe dei termini, poi, determinano una evidente confusione anche nei potenziali acquirenti, ben coscienti del rischio di incostituzionalità a cui sono sottoposte queste disposizioni, di cui stiamo discutendo, nonché di tutte quelle che sono intervenute in precedenza.
In ogni caso, lo slittamento del termine per l'attuazione del Piano di risanamento ambientale è da considerarsi una vera e propria follia, soprattutto se a questa disposizione si aggiunge l'incertezza sulle responsabilità penali e amministrative del risanamento stesso, nel caso in cui un gruppo industriale subentri nella gestione dell'azienda. Il testo, infatti, ha un ulteriore aspetto controverso, perché estende l'immunità penale e amministrativa, già prevista per il Commissario straordinario e i soggetti da lui delegati nell'esecuzione del Piano ambientale, anche all'affittuario o acquirente, ponendosi in evidente violazione del principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, nonché dei principi di riserva di giurisdizione e Pag. 16dell'obbligatorietà dell'azione penale, in quanto suscettibile, questa prescrizione, di vincolare il giudice a compiere una valutazione di merito, con esclusione della responsabilità penale o amministrativa di alcuni soggetti, che, invece, potrebbero essere coinvolti, determinando una evidente disparità di trattamento sul piano sia penale che amministrativo.
Nonostante le Commissioni di merito, nel corso dei lavori in sede referente, abbiano specificato che l'esclusione della responsabilità penale e amministrativa per l'affittuario, acquirente, o soggetti a lui delegati, opera soltanto in relazione alle condotte poste in essere fino al 30 giugno 2017, ovvero fino a quell'ulteriore termine di 18 mesi qualora questo decreto fosse convertito, si tratta comunque di una prescrizione di assai dubbia correttezza sul piano costituzionale, come ha rilevato la stessa Commissione affari costituzionali.
Ma la nostra contrarietà, manifestata innanzitutto per il metodo con cui il Governo continua a gestire questa vicenda dell'Ilva, non ci ha impedito di lavorare comunque a questo testo presso le Commissioni, attraverso la presentazione di una serie di emendamenti di merito, costruttivi, che si sono posti appunto l'obiettivo di entrare nel merito delle questioni, per cercare di apportare qualche miglioramento a questo testo. Grazie ai nostri emendamenti, le Commissioni hanno avuto modo di riflettere maggiormente su alcuni temi, come quello della tutela dei creditori e delle imprese fornitrici, che, però, non hanno ancora trovato una soluzione pienamente soddisfacente.
Ci auguriamo, quindi, che questa Assemblea porti avanti, per quanto possibile e nei limiti dell'assenza da parte del Governo di un Piano concreto e strategico per il futuro dell'ILVA, una discussione che sia proficua e non sempre chiusa a ogni confronto, che segni almeno qualche piccolo passo verso una soluzione di quella che resta, ancora oggi, una crisi da risolvere per arrivare alla conclusione positiva di una vicenda che si rivela, ancora oggi ed ogni giorno, in tutta la sua drammatica realtà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Ferrara. Ne ha facoltà.

FRANCESCO detto CICCIO FERRARA. Grazie, signora Presidente. Ci troviamo ancora una volta a discutere un decreto-legge che riguarda l'Ilva e l'area di Taranto. È l'undicesimo provvedimento di urgenza in quattro anni, questo vuol dire che i precedenti dieci decreti hanno prodotto poco o nulla e hanno fallito quello che doveva essere l'obiettivo principale per il Governo, il Parlamento e i commissari, e cioè la contemporanea salvaguardia dell'ambiente, della salute e del lavoro. Se siamo arrivati a dieci decreti e non si è risolto nulla, forse la strada non è stata quella giusta. A pagare le conseguenze di questo percorso sono soprattutto i lavoratori dell'Ilva, i cittadini tarantini e la stessa città di Taranto, ancora alle prese con le crisi sanitaria e ambientale, e con i danni prodotti alla città dai livelli di inquinamento dello stabilimento e dall'incertezza occupazionale per le lavoratrici e i lavoratori diretti e dell'indotto.
Più passa il tempo, più si produce indeterminatezza, rischiando così di far perdere ulteriori commesse allo stabilimento, rendendo necessaria la ricerca di ulteriore liquidità in attesa della vendita. Manca la manutenzione ordinaria e ciò compromette le condizioni di sicurezza dei lavoratori. Piuttosto che riparare i mezzi, si preferisce affidare a terzi le attività. È come mettere il cartello «vendesi» ad una casa, senza neanche aver fatto quegli interventi minimi di ristrutturazione per renderla più appetibile e poi meravigliarsi se quella casa rimane invenduta, ma più passano i giorni, i mesi e gli anni, e più quello stesso cartello con la scritta «vendesi» rimane appeso fuori la porta di casa, più quella casa perderà valore e interesse agli occhi dei potenziali compratori. Ecco, con l'Ilva si è tenuto lo stesso comportamento. Sono passati gli anni e non sono Pag. 17stati fatti quegli interventi necessari a rilanciare nel mercato lo stabilimento e a bonificare, dal punto di vista dell'ambiente e della salute, un'area fortemente compromessa. Siamo preoccupati dei ritardi che si stanno accumulando sull'Ilva e non per essere pessimisti, ma crediamo vi sia il rischio di non chiudere questa vicenda prima di un anno.
I tre esperti, che dovranno valutare il Piano ambientale proposto dai privati in gara, devono ancora essere nominati dal Ministero dell'ambiente e i 120 giorni, che sono il periodo della valutazione del Piano ambientale, si incrociano con le ferie estive. Una volta, poi, che il Piano ambientale sarà valutato, occorrerà esaminare l'offerta economica dei privati, confrontandosi anche sull'implementazione e sul rilancio dell'offerta, come previsto dal bando di gara. Tutto ciò ci fa dire che la cessione dell'Ilva non è affatto imminente.
A questo punto è lecito chiedersi come l'azienda affronterà i prossimi mesi, senza considerare che i privati hanno avanzato un'offerta sulla base di ciò che è l'Ilva oggi, con una produzione stimata, per il 2016, di 6 milioni di tonnellate di acciaio. Ma se il mercato dovesse peggiorare o l'Ilva si dovesse collocare al di sotto di quella produzione, c’è la possibilità che i privati vogliano rivedere al ribasso la loro offerta, che era valida in un contesto diverso ma che, nel frattempo, potrebbe essersi deteriorato e modificato in peggio.
In questi anni siamo passati da un decreto all'altro e non si è fatto altro che allungare i tempi, fino ad arrivare ad oggi alla volontà di rimettere in discussione il processo di ambientalizzazione dell'Ilva, così come previsto dall'AIA approvata, che era il presupposto per salvare lo stabilimento.
Secondo quanto previsto dal decreto, quindi, le prescrizioni potranno essere riscritte ad hoc dall'acquirente e ogni acquirente potrà scegliere la riscrittura e la rimozione di un dato numero di prescrizioni. Tra parentesi, questo va contro le norme europee che vincolano il funzionamento dell'Ilva al rigoroso rispetto di tutte le prescrizioni del cronoprogramma AIA. Il controllo finale di un Comitato di esperti creato apposta rischia di essere puramente formale, Comitato di esperti che poi sarà composto da non meglio definiti tre componenti scelti tra soggetti di comprovata esperienza in tutela dell'ambiente e degli impianti siderurgici, che entro quattro mesi avrà il compito di valutare i Piani ambientali presentati dai privati, prefigurando addirittura una privatizzazione di una funzione tipica svolta dal Ministero dell'ambiente.
Sappiamo bene che si tratta di una tra le vicende più complesse del nostro apparato industriale e la soluzione da trovare non è facile, ma questo non può essere un alibi per continuare a rinviare e a ritardare. Dobbiamo dare delle risposte ai lavoratori dell'Ilva e ai cittadini di Taranto che sono stati, fin qui, sin troppo pazienti. Occorre, davvero, un punto di svolta che consenta alle opere di ambientalizzazione e di rilancio dello stabilimento di partire davvero. Purtroppo, questo punto di svolta non è arrivato neanche con questo decreto, nonostante il testo sia stato in parte migliorato durante l'esame in Commissione, anche grazie agli interventi del nostro gruppo; per noi questo decreto rimane ancora indigeribile e pensiamo sia addirittura peggiorato sotto diversi aspetti, rispetto alla normativa vigente, a partire da quelli ambientali e industriali.
L'impressione che abbiamo è che questo decreto nasca dall'esigenza di favorire quanto più possibile i nuovi acquirenti, agevolando la vendita dell'Ilva e riducendo le speranze di un rapido risanamento ambientale e sanitario che, invece, non può attendere oltre. Nel testo, infatti, sono presenti, in particolare, quattro punti che contestiamo fortemente e che proverò qui a riassumere. Primo: non saranno gli acquirenti a rimborsare i 300 milioni di euro del prestito ponte per esigenze finanziarie del gruppo, ma sarà l'amministrazione straordinaria a doverlo fare e cioè la collettività, una regalia nei confronti del privato con oneri a carico della finanza pubblica. Secondo: i futuri acquirenti o affittuari del siderurgico potranno modificare il Piano ambientale e, di fatto, la Pag. 18stessa AIA, secondo le loro esigenze e convenienze; in pratica la riscrittura e la cancellazione delle prescrizione AIA potranno essere utilizzate dai privati come arma di ricatto per giungere all'acquisto o all'affitto. Terzo: si concede il termine ultimo per l'attuazione del Piano già prorogato fino al giugno 2017 e potrà essere ancora una volta prorogabile di un ulteriore anno e mezzo. Ciò vuol dire spostare ancora in avanti le misure di risanamento ambientale previste dall'AIA e quindi delle opere di ambientalizzazione e di risanamento del territorio. Tutto questo mentre le prescrizioni AIA più importanti e decisive sono ancora lontane dall'essere realizzate. Nei fatti, si sposta di un anno e mezzo la vendita. Quarto: si estende clamorosamente a favore dell'affittuario o dell'acquirente lo scudo giudiziario, a nostro avviso del tutto incostituzionale, già previsto per i commissari straordinari e i soggetti da loro delegati; con questo decreto anche l'affittuario o l'acquirente verranno esclusi dalla responsabilità penale o amministrativa a fronte di condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale. Se il Governo pensa ingenuamente di facilitare la vendita dello stabilimento ai privati concedendo loro l'immunità dal diritto penale e amministrativo è fuoristrada e vedrà tutta la nostra opposizione. Tutto ciò avviene mentre la valutazione del danno sanitario elaborata dall'ARPA Puglia nel 2013 ha mostrato come neanche l'applicazione di tutte le prescrizioni AIA garantirebbero ai residenti nell'area di Taranto un'adeguata salubrità del territorio e un livello di sicurezza sanitario almeno simile a quello di altre zone d'Italia considerate non a rischio.
Poco o nulla, inoltre, sappiamo delle due cordate principali che hanno presentato un'offerta per l'Ilva. Una è AcciaiItalia e l'altra Am Investco Italy e quel poco che sappiamo non è incoraggiante. ArcelorMittal ha, ad esempio, dichiarato che l'Ilva di Taranto dovrà produrre unicamente per il mercato nazionale, senza ipotesi di sviluppo in Europa; se così fosse sarebbe inevitabile un forte ridimensionamento dello stabilimento. Se queste saranno le linee guida per i nuovi piani industriali sarà un disastro sia dal punto di vista occupazionale che, oltretutto, da quello ambientale. Ci auguriamo che in Aula ci siano le condizioni e la volontà politica, da parte del Governo, di ragionare su modifiche, perché questo decreto, in particolare, deve intervenire sui molti aspetti che noi qui proviamo a sollevare: sopprimere la possibile proroga fino a diciotto mesi del termine fissato al 30 giugno 2017 per l'attuazione del Piano ambientale e sanitario e delle prescrizioni AIA; chiedere che l'eventuale revisione del Piano ambientale sia coerente con la valutazione del danno sanitario redatto dalla regione Puglia; prevedere che qualsiasi modifica al Piano ambientale e sanitario sia sottoposta alla valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario e debba vedere coinvolta l'ARPA Puglia; chiedere che tutti gli atti e la documentazione sui progetti di modifica al Piano ambientale siano pubblicati sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al fine di garantire la massima conoscenza e trasparenza; prevedere che il parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alle proposte di modifica del Piano ambientale da parte degli acquirenti sia integrato anche dal parere del Ministero della salute; chiedere che la modifica del Piano ambientale e sanitario venga adottata previo parere obbligatorio dell'ISPRA; sopprimere la prevista nomina di un comitato di esperti incaricati dello svolgimento dell'istruttoria sulle modifiche al Piano ambientale e sanitario, prevedendo che le valutazioni e la suddetta istruttoria siano in capo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero della salute e previo parere dell'ARPA; garantire che la vendita o l'affitto dei complessi aziendali non abbia ricadute negative sul mantenimento degli attuali livelli occupazionali, le garanzie contrattuali e la protezione sociale dei lavoratori di tutto il gruppo Ilva; consentire all'ASL di Taranto di poter effettuare assunzioni indispensabili alla sua attività di sorveglianza sanitaria; stanziare risorse finanziarie adeguate Pag. 19per proseguire con il piano di sorveglianza della salute della popolazione residente nei comuni di Taranto e di Statte, già previste dal decreto del 2013.
Senza queste modifiche al decreto, il giudizio di Sinistra Italiana resterà negativo. Negativo perché contiene importanti profili di incostituzionalità e lesioni gravi al diritto alla salute, all'ambiente e all'occupazione. Le proroghe concesse avranno ricadute pesantissime dal punto di vista sanitario e ambientale sulla città di Taranto e sui lavoratori della fabbrica. Sulla tenuta dei livelli occupazionali non ci sono garanzie, una volta che i complessi aziendali dell'Ilva saranno venduti o affittati. Non si può rendere più competitiva l'Ilva sacrificando il lavoro, la salute, la sicurezza di chi lavora e di chi vive in quella città che ne ospita gli impianti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Zolezzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO ZOLEZZI. Grazie, Presidente. È il decimo decreto sull'Ilva e l'ennesima conferma dell'abdicazione di questo Governo al suo ruolo di depositario del potere esecutivo. Prima, è stato dichiarato strategico uno stabilimento che ora è in amministrazione controllata e, poi, si decide che questo stabilimento si trasformi in un paradiso fiscale, ma contemporaneamente in un inferno ambientale; si decide che sia totalmente fuori controllo uno stabilimento strategico dove non è lo Stato che guida la produzione, i controlli e le bonifiche, ma ci sono, invece, dei commissari che, anziché rispettare questi principi, possono chiedere deroghe a norme fondamentali per la politica ambientale nazionale. Queste norme, poi, rischiano di stravolgere tutta la tutela ambientale della nazione anche in altre realtà.
In pratica, la gestione dell'Ilva sta diventando un virus che rischia di danneggiare l'ambiente e la produzione nazionale. Ilva, insieme alla mala politica, diventa poi un'attività parassita che danneggia la Puglia, non è la Xylella che danneggia la Puglia. Un Piano ambientale e sanitario del 2014, scritto nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, che doveva essere rendicontato semestralmente dai commissari, è, in realtà, di attuazione ignota, addirittura con questo decreto può essere modificato su richiesta dell'acquirente. Sarà un comitato di esperti scelti in maniera piuttosto aleatoria a valutare le proposte di modifica, non sarà direttamente l'ISPRA o altri enti titolati per farlo; da un lato, non si ha neppure contezza dell'attuazione del Piano ambientale e sanitario, ma si può chiedere che venga modificato questo testo base. Prosegue, insomma, lo «ius primae mortis» per i commissari dell'Ilva che adesso viene esteso anche agli acquirenti. Al nuovo acquirente viene concessa la stessa immunità penale, civile e amministrativa riconosciuta ai commissari straordinari per le condotte poste in essere in attuazione di questo Piano ambientale, solo fino a che non venga adempiuto alle prescrizioni del Piano. Beh, forse, a questo punto, conviene non adempiere neppure; si parlava del 2016, ora siamo a deroghe di diciotto mesi che portano il termine ultimo fino al 31 dicembre del 2019. Con gli emendamenti abbiamo chiesto, appunto, di rendere nota l'attuazione del piano previsto da questo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2014. La formulazione non è stata accettata: è stato solo concesso di avere i dati su mappatura di amianto e rifiuti radioattivi presenti all'interno dello stabilimento, che dovrebbe essere terminata alla fine del mese di giugno, ma i dati, con questo emendamento, saranno resi noti solamente a fine del 2016. Continuiamo a ripetere che manca un piano nazionale ed europeo per l'acciaio e per la siderurgia, per cui non si capisce, anche qui, come si possa definire strategico questo stabilimento dell'Ilva di Taranto, e non riesce a capire, quindi, se abbia senso e che senso possa avere esporre i cittadini di Taranto a emissioni così importanti. Lo stesso vale per i cittadini di Trieste in merito alla Ferriera di Servola: anch'essa garantisce diossine a filiera corta, così come l'Ilva.Pag. 20
Dopo quarant'anni dall'incidente di Seveso, siamo ancora qui a discutere. I monitoraggi sono annuali: potrebbero anche bastare, in entrambi i casi, per definire esagerata da decenni la produzione dell'Ilva, la produzione di diossina e la produzione di acciaio. È uno stabilimento che ha una produzione doppia rispetto alle più grandi acciaierie europee. I cittadini sono stati già abbastanza inquinati. È incompatibile questo livello di produzione, è incompatibile continuare a produrre nell'area a caldo di Taranto così come nell'area a caldo di Servola, a Trieste, è incompatibile con la salute dei cittadini. La concentrazione di diossine emesse, anche se è bassa, con alcune nuove tecnologie, se valutata in valore assoluto, cioè con i flussi prodotti, corrisponde alle diossine sopportabili da una popolazione di 100 volte superiore, sia per Taranto che per Trieste.
Nell'ispezione all'Ilva con la Commissione ecomafie abbiamo potuto notare in bella vista un poster che mostra la concentrazione di diossine emesse. Purtroppo, non basta: bisogna informare sulle diossine emesse in valore assoluto da tutto lo stabilimento, magari anche da quelle presunte durante le emissioni fuggitive che persistono. Oggi, per ricordare Seveso, a Taranto potrebbero almeno, all'Ilva, stracciare quel poster, senza poi metterlo nell'altoforno, però. Per quanto concerne i rifiuti dell'Ilva, proseguono le deroghe: oltre a quelle già ottenute, la possibilità di non svolgere test di cessione, ora si prospettano nuove deroghe a richiesta dell'acquirente.
Teniamo conto che in Ilva ci sono altiforni. Un forno, un inferno fa sempre comodo: ci si può sciogliere di tutto. Nei giorni in cui abbiamo sempre nuovi incendi nella Terra dei fuochi, si vuole concedere altre deroghe all'Ilva. Ricordo che dentro all'Ilva c’è circa mezzo milione di tonnellate di materiale contenente amianto, e in questi giorni stanno procedendo i processi per la morte di almeno 30 persone per tumori correlate all'amianto che lavoravano allo stabilimento Ilva di Taranto. Oltre l'amianto, c’è una quota importante delle traversine ferroviarie imbevute di creosoto, un cancerogeno, che sono state anche impiegate in passato per fare arredi. Ci sono discariche enormi. Dall'alto, la visione di Mater Gratiae è simile a quella del Grand Canyon del Colorado. Avere deroghe nella gestione dei rifiuti sarà una manna: l'Ilva potrà diventare la discarica più grande d'Europa, con annessi quattro inceneritori, per liberarsi delle schifezze peggiori. In caso si decida, poi, di chiudere, almeno si fanno le grandi pulizie con la strada più breve, il fuoco.
Il fuoco che piace, piace alla criminalità organizzata. Le minacce con incendi nel campo dei rifiuti sono all'ordine del giorno: ho perso il conto degli incendi nella guerra dei rifiuti che da oltre un anno colpisce gli impianti più sostenibili nella gestione dei rifiuti nazionale. E poi, in sostanza, con questa guerra dei rifiuti si combatte perché si vuole limitare il foraggiamento delle attività obsolete a favore del recupero di materia, e quindi qualcuno si arrabbia perché la criminalità organizzata vuol dire soprattutto pigrizia e arretratezza culturale. Ma, anche nel settore dell'acciaio, l'arretratezza culturale si traduce in una produzione non pianificata: si finanziano sempre gli stessi soggetti, senza valutare l'esigenza nazionale ed europea del mercato.
E, d'altronde, i rifiuti viaggiano, i prodotti per la produzione dell'acciaio viaggiano, abbiamo visto che alcune navi sono ancora di proprietà dei Riva, che, se non gestiscono più lo stabilimento, acquisiscono vantaggi economici per questo mercato, per questo viaggio. I rifiuti viaggiano, emigrano senza passaporto e, a volte, con passaporti buffi. Perché un rifiuto non pericoloso dovrebbe fare mille chilometri per essere poi compostato, come, per esempio, i fanghi derivati dai fumi ? Ora pare che la stazione ferroviaria d'arrivo sia cambiata, prima Segrate, ora Piacenza, ma le destinazioni finali non cambiano: Mantova, Milano, dove questi rifiuti finiscono al suolo. A Mantova, forse, avremo i tortelli di fango a breve.
Se davvero fosse così semplice gestire questi rifiuti, non si potrebbe farlo in loco, Pag. 21se davvero fossero non pericolosi ? Ma sì, le aziende di trasporto devono lavorare, i vagoni ferroviari che arrivano a Piacenza continuano a corrodersi: sarà forse per il caldo o sarà che i codici CER sono assegnati a caso ? Potreste scriverlo nel prossimo decreto, dotando gli stabilimenti dell'Ilva di slot machine che assegnano i codici CER a caso; magari qualcuna avanza da quelle che hanno fatto salire a 110 miliardi il fatturato annuo del gioco d'azzardo legale e illegale nel 2015. È interessante il trasporto dei rifiuti, perché, in alcuni casi, è una filiera che ha un fatturato più ampio rispetto a quella produttiva, lo abbiamo visto nella relazione del Veneto; quindi, su questo punto, anche se non è facile, sarebbe da ragionare che magari ci sia qualche forza patologica che tiene appunto in attività questo stabilimento solo per il fatturato del trasporto dei rifiuti.
È interessante che la Lega Nord presenti sempre emendamenti per difendere le aziende di trasporto rifiuti dall'Ilva: il nuovo corso. Forse, per Padania intendevano una discarica diffusa. Il provvedimento, poi, ha degli aspetti economici già ampiamente discussi: 300 milioni non più restituiti dall'aggiudicatario del complesso aziendale, ma dall'amministrazione straordinaria. Quindi, lo Stato che paga a se stesso, che quindi spende dei soldi che non rientreranno. La Commissione europea vedremo come si esprimerà; per adesso, nessuno sa con precisione cosa dirà sulla voce aiuti di Stato per il ricorso presentato dall'associazione delle imprese siderurgiche. Vedremo quale sarà il parere definitivo.
Nel frattempo, il nostro parere è che lo Stato, tramite il Governo, dovrebbe rispettare i cittadini e se stesso. Questo decreto spinge nella direzione dell'inquinamento, della deroga, delle scelte non meritocratiche; un po’ come le riforme costituzionali proposte, a cui si spera che i cittadini italiani diano un forte segnale di rigetto. Un Governo non eletto è chiaro che spinga per esperti nell'Ilva scelti a caso, per un Senato non elettivo, con incremento dei fondi per ciascun senatore e un aumento dei costi totali. Sono circa un milione le persone che vivono di politica in Italia; forse sarebbero qualcuna in più con le riforme proposte, che, a mio parere, non sono riforme, ma sono rifiuti costituzionali, con un codice di grave pericolosità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Stella Bianchi. Ne ha facoltà.

STELLA BIANCHI. Grazie, Presidente. Vorrei ripartire da un punto che credo fondamentale, che, invece, a volte tendiamo a dimenticare o a dire en passant, come se fosse un elemento di non particolare rilievo, e cioè il fatto che il gruppo Ilva, l'Ilva di Taranto, è stato oggetto del primo commissariamento disposto per finalità ambientali, e credo che faremmo molto bene, Presidente, a ricordarci l'enormità di una decisione del genere e l'assunzione di responsabilità che in quel momento il Governo, allora presieduto da Enrico Letta, con il Ministro dell'ambiente Andrea Orlando, ha preso sulle sue spalle e ha consegnato a tutti noi, e cioè quello di disporre, dicevo, il primo commissariamento per finalità ambientali; ciò è stato disposto perché la famiglia Riva non eseguiva le azioni di risanamento ambientale e di adeguamento alle prestazioni ambientali necessarie in quello stabilimento, e però, allo stesso tempo, necessario perché la continuità produttiva doveva essere assicurata per l'importanza strategica del settore dell'acciaio, per l'importanza dello stabilimento nella situazione di Taranto, per i legami che la produzione di quello stabilimento ha con molti altri stabilimenti in tutta Italia e per l'importanza anche che un settore del genere ha per il nostro Paese, anche nella competizione con altri Paesi europei.
E non a caso è stato ricordato come forse proprio altri Paesi europei potrebbero beneficiare del fatto che l'Ilva cessasse le sue attività. Ho iniziato così, Presidente, perché forse, piuttosto che guardare con disappunto al fatto che si susseguono decreti-legge su questa materia... Pag. 22Siamo all'undicesimo decreto-legge, è vero, siamo all'undicesimo decreto legge, e ricordo perfettamente, se consentite un piccolo ricordo personale, che io svolgo l'intervento in discussione sulle linee generali come l'ho fatto a gennaio. Quindi, abbiamo ben presente, il Viceministro Bellanova, che ora segue con grande attenzione e grande competenza la questione, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio De Vincenti, che era prima nell'incarico della Viceministro Bellanova e che ora continua a seguire la questione da Palazzo Chigi, tutto il Governo; abbiamo ben presente che avere undici decreti-legge che si susseguono su una materia è segno di complessità estrema della materia stessa e di un avvicendarsi di un percorso, anche logico, che viene seguito dai decreti. Per guardare a questo aspetto, Presidente, basta vedere l'articolo 1 del decreto-legge di cui oggi abbiamo all'esame la legge di conversione, che recita «completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo Ilva». Quindi, Presidente, ci sono stati prima gli interventi di commissariamento, poi l'affidamento in amministrazione straordinaria, poi l'avvio di una procedura di cessione aziendale, e quindi di ritorno alla normalità di un'attività produttiva, ora un completamento di questa cessione. Quando dico «ritorno ad una normalità dell'attività produttiva» non dimentico neanche per un attimo la straordinarietà della situazione dell'Ilva che è qualcosa che purtroppo il nostro Paese non ha conosciuto soltanto a Taranto, anche se Taranto possiamo dire che ha conosciuto, di questa bruttissima abitudine della nostra industrializzazione, forse l'esperienza più terribile. Si tratta proprio di questa idea che si possa fare industria senza considerare i danni che si producono all'ambiente, i danni che si producono alla salute di chi lavora nei grandi complessi industriali e di chi vive lì vicino. Dicevo, Presidente, che non è purtroppo un caso che riguarda solo l'Ilva; basta guardare Porto Marghera dove, ad esempio, le coste hanno aumentato la loro superficie per i versamenti di materiale di risulta delle imprese che lì lavorano, o basta pensare a Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, una splendida costa che però naturalmente non sarebbe stato proprio il posto migliore dove mettere delle raffinerie che però tuttora ancora lavorano lì. Quindi si tratta di una miopia molto pericolosa che si è protratta per decenni e che ha avuto nell'Ilva il suo elemento di particolare criticità, vista la situazione delle drammatiche emergenze ambientali e di impatto sanitario di cui purtroppo sono vittime sia i lavoratori, sia le persone che vivono intorno allo stabilimento.
E proprio il rendersi conto di questa drammatica situazione ha portato finalmente ad affermare un principio basilare che è quello di non accettare nessuno scambio possibile tra la salute e il lavoro, nessuno scambio possibile tra la tutela dell'ambiente e il lavoro. E un conto è affermare questo principio basilare quando lo si dice in un convegno, lo si dice in un'iniziativa pubblica o lo si fa in un'intervista alla quale poi non vengono associate delle particolari conseguenze, un conto è affermarlo come provvedimenti di legge, con dei decreti e con l'azione che a questi deve seguire. Venendo, Presidente, ad alcuni elementi di questo decreto-legge, naturalmente mi rifaccio per l'esposizione più puntuale alle relazioni che i due relatori, i colleghi Bratti e Bargero, hanno già svolto, perché appunto hanno già molto bene tracciato quelli che sono gli elementi fondamentali di questo decreto. Faccio solo alcune considerazioni sulla necessità che i soggetti che presentano le offerte, ai quali può essere affidata, spero a conclusione della procedura di cessione, il compito di gestire l'attività produttiva, abbiano un piano ambientale che vada di pari passo con il piano industriale. Dicevo che il piano ambientale e il piano industriale dovranno andare di pari passo (e poi farò una considerazione sull'importanza di questo legame), ma è una necessità assoluta però che il piano ambientale, che pure può essere oggetto di modifica o di integrazione con un percorso che viene definito nel decreto, veda però delle modifiche e delle integrazioni che portino a Pag. 23dei miglioramenti. Io sono preoccupata così come i colleghi, così come naturalmente tutti noi italiani, i cittadini di Taranto in particolare, per il fatto che le prestazioni ambientali richieste dall'AIA non siano state ancora del tutto eseguite, nella percentuale prevista dai decreti che via via abbiamo convertito durante questa legislatura, ma so perfettamente che questo percorso è molto difficile e che richiede ancora uno sforzo in termini di accettazione e in termini di pericolosità; non nascondiamoci dietro alle parole, di pericolosità, per chi lavora all'Ilva e per chi vive a Taranto. Vi è il bisogno che i due percorsi vadano di pari passo e cioè che il piano industriale stia insieme ad un piano ambientale e che la continuità produttiva dell'azienda si possa svolgere nel rispetto dei migliori standard ambientali. Su questo, Presidente, va sottolineato che nel decreto, nel lavoro che abbiamo fatto con le Commissioni congiunte, abbiamo affidato un maggior ruolo alle agenzie ambientali.
Alcuni colleghi hanno rimproverato la mancanza di controlli adeguati alle difficoltà, ai gravissimi impatti ambientali e sanitari prodotti dal gruppo Ilva. Io su questo vorrei spendere una parola, sia per dire che è molto importante che ci sia un rafforzamento del lavoro del sistema delle agenzie ambientali, sia però per dire che deve esserci un rafforzamento della effettiva capacità delle agenzie ambientali di svolgere il loro lavoro. Non possiamo avere agenzie ambientali che sono sottofinanziate, con un organico scarso, e poi sorprenderci del fatto che non vengano svolti controlli che sono necessari. Quindi, su questo, ci vuole davvero l'impegno della maggioranza e del Governo a fare in modo che il sistema delle agenzie ambientali sia messo nella condizione di fare al meglio il proprio lavoro.
Due considerazioni vorrei fare, Presidente, riguardo a una possibile modifica che potrebbe esserci nell'attività industriale dello stabilimento Ilva di Taranto che, non dimentichiamo mai, è la più grande acciaieria d'Europa, un colosso che ha un'area a caldo immensa, un'area industriale che è più grande dell'intero comune di Taranto, decine e decine di chilometri di strade, letteralmente strade, di binari, nastri trasportatori, una estensione enorme. Quello stabilimento in questo momento è alimentato a carbone. Allora, come sempre, è una fonte di energia poco costosa, nel senso che economicamente, nel momento in cui lo si acquista, è poco costosa. Ma definire il carbone poco costoso è un po’ come dire che si può fare industria come si faceva con l'Ilva di Taranto, come si faceva a Porto Marghera. Quarant'anni fa consideravamo che si poteva fare industria così e forse qualche decennio fa potevamo considerare il carbone poco costoso. Adesso non possiamo più permettercelo, perché adesso sappiamo quali sono i danni che il carbone produce. Sappiamo per esempio che se noi volessimo dare un grande contributo alla risoluzione delle polveri sottili dell'area di Taranto, togliere il carbone aiuterebbe molto. Se noi volessimo risolvere, diciamo dare un grande contributo, al problema delle emissioni di gas serra che l'area di Taranto produce, togliere il carbone aiuterebbe moltissimo. Se noi volessimo ridurre la superficie dello stabilimento di quell'area industriale o se volessimo realizzare le prestazioni ambientali previste dall'AIA, in particolare quelle più complesse, quelle più costose e quelle che però sono più necessarie alla salute dei cittadini di Taranto, anche lì togliere il carbone aiuterebbe moltissimo. Non ci dimentichiamo che la copertura dei parchi minerali, che la copertura dei nastri trasportatori, costituiscono gli interventi di maggiore complessità all'interno dell'AIA, quelli più costosi e non a caso sono messi in fondo quando consideriamo di aver assolto al nostro compito, quando l'80 per cento del numero delle prestazioni richieste viene realizzato; del numero, non del volume o non del finanziamento. Allora, io qui mi permetto di segnalare di nuovo a lei, Presidente, che nella prima proposta che venne fatta dai commissari nominati all'inizio, il dottore Enrico Bondi e (forse lo dovrei chiamare onorevole) il dottore Edo Ronchi, era previsto proprio questo, Pag. 24cioè una trasformazione dell'attività produttiva che vedesse una progressiva sostituzione del carbone. Su questo mi permetto di nuovo di segnalare l'attenzione sua Presidente, e l'attenzione del Governo: sull'opportunità che, senza condizionare e influenzare i piani che vengono fatti dai soggetti che si candidano a rilevare la gestione dell'attività dell'Ilva, nell'analisi dei benefici ambientali, nel parere che il Ministro dell'ambiente deve dare verificando i benefici ambientali, questo elemento possa avere la giusta considerazione perché è davvero di enorme, enorme importanza.
Ancora, Presidente, faccio un'ultima considerazione. Se qualcuno pensa che chiudere l'attività produttiva dello stabilimento Ilva possa risolvere il problema della salute degli abitanti di Taranto o dell'ambiente di Taranto, questo qualcuno, se è in buona fede, è davvero poco, poco attento, e, se è in malafede, è davvero un peccato che racconti delle storie a persone che hanno degli enormi problemi di salute e di mantenimento del proprio posto di lavoro. Anche su questo non bisogna andare troppo lontano ce l'abbiamo davanti agli occhi o se vuole dietro al Golfo. Non a caso a Napoli, per chi l'ha visto, lo stabilimento di Bagnoli, è proprio dietro la collina di Posillipo, cioè tutta la «Napoli bene» può stare senza vederla mai Bagnoli, però poi si gira la curva e si vede Bagnoli. Si vede l'acciaieria che è ancora lì con un terreno che non è stato ancora bonificato, con dei progetti di riconversione che non sono stati realizzati e quell'esempio ci dice a grande voce che le bonifiche, tanto necessarie a Taranto, si realizzano solo se viene mantenuta anche l'attività produttiva, perché deve esserci un soggetto che è responsabile della realizzazione delle bonifiche, che ha l'obbligo di realizzarle perché deve rispettare le norme, le prescrizioni ambientali che sono imposte dalla legge e che ha, però, anche gli strumenti finanziari per realizzarle e che, quindi, comprende, nella sua attività, la realizzazione di queste bonifiche insieme alla produzione, insieme agli investimenti, insieme ai progetti di vendita dell'acciaio che lì viene prodotto.
Concludo, Presidente, con una semplicissima e complessa considerazione che è quella che facevo all'inizio. Noi siamo oggi all'undicesimo decreto-legge; nessuno di noi è in grado di escludere che questo sarà – meglio, è in grado di affermare con certezza – (diciamo così), che questo sarà l'ultimo intervento del Governo sulla questione, l'ultima volta che le Camere saranno chiamate ad esaminare progetti di legge sulla questione Ilva e nessuno può farlo esattamente per la considerazione che facevo all'inizio: cioè l'enorme grandissima complessità della più grande acciaieria d'Europa, che ha lavorato per decenni in totale dispregio delle regole ambientali, della salvaguardia della salute dei cittadini e dei lavoratori e che finalmente un Governo si è preso la responsabilità di rimettere sulla carreggiata giusta, affermando non a parole ma con atti normativi che non è accettabile nessuno scambio tra la salute e il lavoro, tra la tutela dell'ambiente e il lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pili. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, spero che questo decreto-legge non debba essere derubricato, come in alcuni passaggi di questo primo dibattito è emerso, in un numero, un decreto-legge, l'ennesimo, un passaggio meramente burocratico perché voi tutti, colleghi, sapete che se facessimo questo errore di derubricare questo decreto-legge a un numero, ad un passaggio burocratico, faremmo un errore straordinario. Con questo decreto-legge il Governo fa l'ennesimo passo falso, riuscendosi anche a superare rispetto a quello che abbiamo più volte ripetuto in quest'Aula, cioè di un Governo incapace di guardare la strategia, di tracciare orizzonti e di assumere determinazioni che possano in qualche modo dare risposte compiute a un'emergenza come Pag. 25quella dell'Ilva. Non esiste, a memoria parlamentare, un provvedimento che per ben undici volte viene sottoposto all'esame del Parlamento: non vi è precedente. Non esistono più parole per poter descrivere questo ennesimo passaggio, eppur sforzandosi non si riescono a trovare nemmeno ulteriori parole rispetto a quelle già utilizzate in quest'Aula. Siamo giunti qui dopo il decimo decreto-legge, che mi vide qui definire il Governo degli azzeccagarbugli; fui criticato perché mi si disse che era una parola troppo forte rispetto all'Esecutivo che pure aveva mandato parlamentare. Ebbene, nemmeno un azzeccagarbugli sarebbe riuscito in cotanta protervia e confusione quanto invece è riuscito questo Governo, che è andato oltre il decimo e quindi è andato oltre il traguardo posto dagli azzeccagarbugli nell'affrontare un tema così rilevante e delicato come, appunto, quello dell'Ilva. Anche il più rinomato azzeccagarbugli aveva motivo di dolersi di tanto irriverente confronto con questo Governo, con il Governo di De Vincenti, con il Governo di Renzi ed ora di Calenda: un irriverente confronto rispetto alle soluzioni che non vengono affrontate e che vengono rimandate con sotterfugi e sottobanchi che sostanzialmente vengono messi in campo ulteriormente in questo decreto-legge per facilitare ancora di più, se ce ne fosse bisogno rispetto a quanto già avvenuto, gli interessi privati su un'attività industriale come questa. Ebbene, in quale Stato moderno, in quale democrazia, in quale Repubblica si possono proporre di seguito undici decreti per affrontare un singolo problema ? Da nessuna parte al mondo! Non esiste un precedente, anche andando a cercarlo con lanternino.
Cosa c'entrano le riforme costituzionali – apro una parentesi – per far finta di snellire il Paese se poi voi, proponendo un decreto-legge, non ne azzeccate uno e siete costretti a farne undici ? Anche cancellando non solo il Senato ma anche la Camera non sarebbe cambiata la sostanza perché, di fronte a chi non ne azzecca una, il problema non è lo strumento con il quale si adottano i provvedimenti ma è di chi li propone e, come in questo caso, non li sa proporre. Siete voi, il vostro Governo, che per ben undici volte ci ha riproposto un decreto sull'Ilva. Non c'entra niente l'efficienza quando abbiamo a che fare con la deficienza nella proposizione di atti che sono fallimentari, perché non c’è argomentazione che possa far reggere gli undici decreti che proponete rispetto ad un tema così delicato come l'ambiente, la ripresa e il mantenimento produttivo di uno stabilimento.
Mi permetterò, Presidente, di ripercorrere velocemente la filosofia fantozziana che ha caratterizzato questo tipo di decreti e che ha animato questo vostro agire ma, nel contempo, bisognerà cercare sommessamente di individuare il modo, gretto e becero, che avete messo in campo per affrontare questioni serie e delicate, magari proponendo anche a voi di fare un salto di qualità, passando dal contingente artificioso a strategie che possono essere davvero, queste sì, utili al sistema economico del Paese. Ci sono almeno cinque questioni che meritano di essere affrontate, di essere, in modo puntuale, richiamate. Il primo è l'abuso nell'uso del sistema dei decreti, il quale il Capo dello Stato e questo Parlamento continuano ad avallare: un uso spregiudicato, privo di qualsiasi consistenza costituzionale, che poi cercherò brevemente di richiamare. La politica industriale: mancanza di totale strategia industriale perché, da ormai quattro anni, in questo Palazzo non si parla più di politica, di strategia industriale, ma si parla, solo ed esclusivamente, di Ilva e non si affronta, nello scacchiere della politica industriale, in alcun modo la questione fondamentale delle precondizioni che sono credito, che sono efficienza amministrativa, che sono efficacia amministrativa, che sono l'energia. Tali temi sono la base fondamentale, le precondizioni per qualsiasi politica di sviluppo. Terzo: equità e trasparenza. Il rapporto sempre più equivoco tra ciò che è pubblico e diventa privato e ciò che è privato e diventa pubblico, con decreti dove il denaro pubblico viene messo a servizio delle operazioni spregiudicate dei privati. Il Pag. 26quarto: le discriminazioni territoriali e settoriali perché è sempre Taranto, perché è sempre quello stabilimento e mai, per esempio, un occhio di riguardo o uno sguardo che venga rivolto ad altri settori – cito per tutti l'alluminio, il piombo e lo zinco –, ad altri settori sul piano industriale importanti e strategici quanto se non più dell'acciaio stesso. Il quinto punto che mi permetterò di affrontare è quello dei proclami e degli annunci che questo Governo ha messo in campo in questi anni. Li elencherò uno per uno: promesse, annunci, tweet e quant'altro che alla prova dei fatti si sono dimostrati soltanto delle falsità a buon mercato. Siamo dinanzi a un decreto, come dicevo prima, l'ennesimo decreto urgente, contingente e straordinario. Da quattro anni c’è urgenza, ma soltanto la ratio normativa costituzionale dei decreti farebbe capire a tutti che non vi è alcuna possibilità di dichiarare urgente un decreto-legge che viene reiterato per undici volte in quattro anni. Dove sta l'urgenza se per quattro anni non si è riusciti ad affrontare la questione e non si è riusciti a mettere, invece, in campo un provvedimento organico e puntuale che sapesse, in ogni singolo dettaglio, mettere davvero la soluzione davanti a sé? Avete un concetto di urgenza infinita e soprattutto indefinita e la usate ad uso e consumo degli interessi privati che andate a perseguire.
Cosa c’è di straordinario in questo decreto-legge ? È chiaro che si sta intervenendo in una gara d'appalto. Vorrei che fosse chiaro e vorrei lasciarlo agli atti e vorrei che queste mie sommesse parole restassero agli atti di quest'Aula, perché si sta intervenendo in una gara d'appalto con una palese turbativa d'asta, perché si stanno modificando radicalmente le condizioni messe alla base della gara d'appalto stessa. La straordinarietà è proprio questa: intervenite con un decreto che è dei primi di giugno, ma che viene varato in quest'Aula e verrà varato nelle Aule parlamentari a gara già chiusa e sostanzialmente con gli interlocutori privati già in campo. E a questi gli vengono modificati, quindi, a gara postuma, due elementi cardine: il rispetto delle condizioni ambientali, e soprattutto, le condizioni del credito, del denaro che gli viene dato, e le modalità di restituzione. Quindi, due elementi fondanti della gara d'appalto. Si interviene in maniera subdola, assolutamente privatistica in una gara d'appalto che non poteva essere certamente modificata in corso d'opera. In qualsiasi pubblica amministrazione sarebbero scattate le manette. Se un sindaco avesse modificato le condizioni di gara e i capitolati d'appalto dopo l'avvenuta consegna delle buste della gara, sarebbe finito in galera. Basterebbe questo per comprendere superficialità, inadeguatezza e spregiudicatezza di questo Governo.
Vi è una questione, però, che emerge in tutta la sua evidenza: l'assoluta mancanza di strategia industriale. Una politica da tappabuchi, di mancanza di visione totale. Non si guarda all'industria 4.0, non si guarda alla flessibilità, al ruolo digitale, alla capacità di dare all'industria un ruolo strategico, ma si punta, ancora una volta, a traguardare problemi che devono essere affrontati in termini oggettivi e non soggettivi, che devono essere traguardati e affrontati in termini univoci, senza, appunto, fare provvedimenti ad personam o, come in questo caso, funzionali a un'attività economica privata. Incapacità di individuare procedure, tempi, condizioni, finanziamenti. Ma perché le condizioni che sono state messe in campo per l'Ilva non diventano uno strumento per tutte le attività industriali produttive del sistema Paese ? Per quale motivo si sceglie di derogare e di creare condizioni di presunta facilitazione soltanto per questo soggetto ? Perché le condizioni creditizie o bancarie che vengono riservate all'Ilva non vengono estese a tutte le altre aziende – poi vedrò nel dettaglio questo passaggio – diventando strumenti per tutti e non, invece, solo per l'Ilva ? C’è un'incapacità di traguardare orizzonti di crescita e di modernità. Si dimenticano materie prime, come l'alluminio: si dimentica l'ex stabilimento pubblico dell'Alumix e, quindi, dell'EFIM, diventato privato e oggi da ormai quasi tre anni, anzi forse quasi quattro, Pag. 27chiuso con un'assoluta, totale incapacità del Governo di affrontare e di risolvere quel tema. Per il piombo e lo zinco: ex industria pubblica dell'ENI; ancora l'ENI soggetto totalmente pubblico. Stabilimento a rischio per quelle precondizioni dello sviluppo che sono appunto legate all'energia. Così dicasi per lo zinco. Potrei enucleare ed enunciare ancora tanti settori, ma mi domando: cosa c’è di diverso tra l'acciaio e, per esempio, l'alluminio ? Il Ministro Calenda una settimana fa ha detto: «stiamo affrontando due questioni, quella dell'alluminio e quella dell'acciaio». Per la prima volta, di fronte all'incapacità del suo predecessore Viceministro De Vincenti, assurto a ruolo ben più rilevante di vice carpentiere a Palazzo Chigi, sostanzialmente oggi si parla dell'esigenza di equiparare, sul piano della strategicità, l'alluminio e l'acciaio. E mi domando: ma perché per l'Ilva si fanno undici decreti e per l'Alcoa di Portovesme non se n’è fatto solo uno, considerato che le condizioni ambientali dei due siti sono uguali sul piano giuridico, sul piano normativo, sul piano del decreto ? Sono due aree ad elevata crisi ambientale e sono a condizioni pari: pubblica era l'Ilva, pubblica era l'Alcoa; privata è l'Ilva, privata è diventata, appunto, l'Alcoa. Per quale motivo due pesi e due misure ? Perché figli e figliastri ? Perché undici decreti per uno e zero per l'altro ? Per un semplice motivo: perché c’è l'interesse privato. Si ha la determinazione di questo Governo di favorire ciò che è sotto controllo con i nomi che circolano.
Beh, non sfuggirà a nessuno che il gruppo Marcegaglia è interessato alla gestione dell'Ilva; e non sfuggirà a nessuno che il gruppo Marcegaglia con il suo presidente è a capo, per esempio, dell'ENI e, quindi, vi è una direttissima correlazione tra ciò che è il governo politico di società come l'ENI e appunto la possibilità di gestire l'Ilva nel futuro.
Ci sono relazioni private, politiche di soci che vengono chiamati a finanziare le fondazioni del Premier – cito per tutti Mossi e Ghisolfi – che sostanzialmente sono stati inseriti con questa logica privatistica, per esempio, nel Piano Juncker per 800 milioni di euro di finanziamento per il biofuel solo ed esclusivamente perché erano i finanziatori del sistema renziano.
Tutto questo capita quando si sta affrontando il tema dell'industria 4.0, della fabbrica digitale, di quella flessibile, di quella che fa il salto di categoria. Ebbene, noi pensiamo ancora a favorire gli amici e gli amichetti creando, però, per tutti e due, così com’è successo per Mossi e Ghisolfi e così come sta succedendo per l'Ilva, il doppio canale penale e ambientale. Non è un caso che per Mossi e Ghisolfi sia stato fatto un decreto ad hoc che ha sollevato le percentuali di inquinamento nel territorio piemontese. Forse è sfuggito ai più.
Così come oggi si stanno mettendo in campo azioni che sono davvero scandalose sul piano della strategia per l'Ilva. Un Governo incapace di affrontare questioni come quella dell'energia, che sono funzionali alle industrie energivore come l'Ilva, ma così come per tante altre industrie del Paese, appunto energivore, che, in attesa della riconversione industriale del Paese, hanno bisogno di affrontare e di mettere nero su bianco azioni che possano vedere l'elemento della precondizione dello sviluppo – e, cioè, l'energia – a un pari livello, a pari condizioni rispetto agli altri smelter italiani ed europei.
Avete proposto come Governo di tutto, dall’interconnector all'interrompibilità, alla super interrompibilità. Insomma, di tutto e di più. In realtà, per quattro anni avete imbrogliato i lavoratori del Sulcis, di quel settore per esempio dell'alluminio, che posto, come dice il Ministro Calenda, sullo stesso piano dell'Ilva, ha ottenuto niente, anzi la chiusura e l'esaurimento di tutti i fondi finanziari necessari anche per gli ammortizzatori sociali.
C’è il tema poi dell'equità e della trasparenza. A cosa serve questo decreto ? Lo enuncio. Innanzitutto, ci sono 300 milioni di euro che vengono erogati e, al primo articolo, si stabilisce che non sono più a carico dell'acquirente o dell'affittuario, ma sono a carico dell'amministrazione straordinaria. Perché c’è questa modifica sostanziale nel primo articolo ? Perché non si Pag. 28vuole gravare chi vuole gestire, cioè chi vuole guadagnare dall'Ilva, di nessun tipo di onere, che viene scaricato, appunto, con l'articolo 1, sull'amministrazione straordinaria.
Quindi, il primo obiettivo è quello di non far pagare chi compra, ma di far pagare sempre in qualche modo, con i mille rivoli di questo decreto, alla fine i cittadini.
Il secondo tema: c’è la proroga ambientale. Ulteriori 18 mesi che vengono consentiti e concessi a coloro che dovessero aggiudicarsi la gestione di questi impianti. Perché questa proroga ambientale ? Forse non c'era una valutazione ex ante, preventiva, quando avete fatto i precedenti dieci decreti per stabilire qual era il tempo ? No, c’è stato un uccellino che ha sottoposto al Ministero dello sviluppo economico e, conseguentemente, a quello dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'esigenza di poter concorrere alla gara non facendo tutto quello che doveva essere fatto nei tempi dati dai precedenti decreti, affermando che servivano altri 18 mesi, che sono una valutazione ad personam del comitato a tre e, quindi, sostanzialmente una precondizione della gara d'appalto che è assolutamente inaccettabile e irricevibile. Questi elementi, i 18 mesi per fare o non fare le bonifiche ambientali e la proroga dell'attuazione del piano, sono assolutamente dei fatti deprecabili e non certamente accettabili.
Il terzo punto: estende all'affittuario e acquirente e delegati l'esclusione dalle responsabilità penali. In altre parole, chiunque va a gestire quella fabbrica potrà fare di tutto e di più, perché penalmente non risponde di niente. Mentre tutti gli imprenditori italiani sono sottoposti a regole vincolistiche e vanno in galera se accumulano batterie esauste nel loro piazzale, qui si può fare di tutto e di più, perché la deroga viene fatta per i commissari governativi, viene fatta per quei soggetti che andranno, delegati o meno, a gestire quella fabbrica: ebbene, penalmente non risponderanno di niente.
Il quarto punto di questo decreto: restituzione dei fondi non nell'anno di gestione dell'affidamento bancario, ma nel 2018, e stiamo parlando non di pochi euro, stiamo parlando di 600 milioni di euro, quelli del 2016, che, erogati, dovevano essere restituiti nell'anno in corso ! In realtà, con questo decreto si va al 2018, quindi cambiando una delle condizioni essenziali del decreto stesso.
E poi, per ultimo, la copertura finanziaria: 400 milioni prelevati dal sistema dalla Cassa servizi energetici, la banca delle tasche degli italiani, dei cittadini; aggiungo molto di più, dei cittadini sardi – che hanno perso quella che era una soluzione di riequilibrio energetico per le centrali essenziali della Sardegna –, oggi costretti a pagare molto di più per la mancanza del metano, per le condizioni di approvvigionamento elettrico e della sua trasmissione e, soprattutto, per quella condizione insulare che non si vuole affrontare.
E c’è da chiedersi, allora: perché queste deroghe ? Perché questi regali in un decreto-legge ? Chi sono i complici ? Chi sono i responsabili ? Chi ha deciso tutto questo ? Ebbene, viene da domandarsi: ma perché tutto questo non viene fatto come un sistema di efficienza ? Vi risulta che le imprese italiane siano tutte annegate nel credito o morte a seguito del credito ? Sì ! La stragrande parte delle imprese e delle industrie italiane hanno difficoltà nel credito ! Ma perché si affronta soltanto il tema del credito dell'Ilva e, invece, non si fa un provvedimento strategico, unitario, univoco, indifferenziato rispetto ai soggetti benefattori ? Vi risulta che tutte le industrie e le attività economiche in Italia abbiano procedure snelle ed efficienti ? No ! Ma perché le procedure snelle ed efficienti, le deroghe, vengono consentite soltanto per l'Ilva di Taranto e, invece, per tutte le altre industrie, per tutte le altre attività economiche, dall'agricoltura passando al manifatturiero, non c’è una soluzione che venga proposta ?
E infine, sul piano morale, sul piano della correttezza, della sostenibilità di queste procedure: come è possibile che, Pag. 29ancora una volta, emergano situazioni discrepanti che lasciano soltanto spazio a determinate azioni ?
E vengo all'ultimo aspetto, quello degli annunci, dei facili annunci proposti in questi mesi, in questi anni, da questo Governo, partendo dal 29 maggio 2015, cioè non andando nemmeno a ritroso al 2012, 2013, anche se la continuità e la contiguità politica rappresentata dal vice carpentiere De Vincenti era tale per cui si poteva tranquillamente fare e proseguire dal 2005 in poi...

PRESIDENTE. Onorevole Pili, è la seconda volta che si rivolge al sottosegretario alla Presidenza con una espressione non propriamente corretta. La prima volta ho fatto finta di non sentire...

MAURO PILI. Beh, i carpentieri notoriamente sono quelli che usano l'acciaio...

PRESIDENTE. No, onorevole Pili, mantenga il linguaggio adeguato anche se l'Aula è vuota, perché la Presidenza ascolta sempre.

MAURO PILI. I carpentieri notoriamente sono delle persone che lavorano, e lavorano con l'acciaio...

PRESIDENTE. Assolutamente da rispettare, ma ogni ruolo ha il suo nome.

MAURO PILI. E, quindi, è evidente, ribadisco, che la continuità politica, dal Governo Monti passando attraverso il sottosegretario, oggi, alla Presidenza, è incapace di affrontare e di risolvere qualsiasi questione, fallimentare su ogni singolo passaggio, con un imbroglio dietro l'altro rispetto ai lavoratori che sono stati per quattro anni gabbati dal piano Sulcis in poi, senza dare alcun tipo di risposta coerente. E cito Il Sole 24 Ore, che, diciamo così, non è proprio un quotidiano schierato a sinistra o a destra, è un quotidiano che riprende i fatti economici e dice, rispetto a questa affermazione che titola Il Sole 24 Ore: il Governo «scende in campo» di ben ignara memoria per Alcoa; «scende in campo», dice il Premier Renzi, giungendo ad Olbia, e, a conclusione dell'incontro – riporta Il Sole 24 Ore – il sindacato risponde: il Premier ci ha detto che a settembre 2015 sarà a Portovesme per la riapertura dello stabilimento.
Settembre 2015 ! Il Premier Renzi sarà a Portovesme per riaprire lo stabilimento, e siamo a settembre del 2015 quando Renzi va a Porta a Porta e dice: la misura che serve al Mezzogiorno è prendere impegni specifici e portarli a casa. E dice: stiamo ormai sbloccando tutte le vertenze della Sardegna, come Alcoa, come Meridiana, che si stanno totalmente sbloccando. Dice Renzi a Porta a Porta, e siamo a settembre 2015. Dopodiché, undici operai dell'Alcoa vengono chiamati a rispondere di disordini e proteste a Roma. Arriviamo al 1 giugno del 2016, dopo quattro anni in cui il tema dell'energia valeva per l'ILVA ma non valeva per tutti gli altri, il Governo, dopo aver detto e imbrogliato tutti coloro che attendevano risposte sul Piano energetico, ha chiesto all'Unione europea di poter tagliare di altri 3 euro il costo dell'energia per le aziende energivore, compresa appunto l'Alcoa e la Portovesme Srl.
Perché si è atteso il 1 di giugno ? Forse i precedenti Governi sono stati inadeguati, o siamo di fronte all'ennesima burla del Governo Renzi ? Mi permetto di dire che siamo dinanzi all'ennesima burla, perché poi Calenda, che ha preso il posto del famigerato Ministro petrolifero, si è accorto che dire questa cosa il 1 di giugno era un po’ rischioso, perché le vacanze estive erano ancora lontane, e quindi bisognava prendere altro tempo, e ha detto: ci sarà un incontro con Glencore il 20 giugno, incontro del cui esito non risulta alcuna comunicazione ufficiale, e dopo qualche giorno ha detto: faremo nei primi di luglio una conference call, cioè una telefonata con i vertici di Glencore.
Concludo, Presidente. Siamo di fronte a un Governo che, non solo non ha saputo affrontare vertenze come quelle dell'ILVA, ma non ha saputo trattare il tema dello sviluppo industriale, del rilancio delle politiche di sviluppo in termini coerenti, Pag. 30corretti e univoci, un Governo che ha preferito il rapporto con i privati, che ha messo nero su bianco interventi funzionali soltanto agli affari di pochi, dimenticandosi che il settore pubblico si occupa del pubblico e si occupa di una qualità, anche normativa, capace di legiferare e dare risposte compiute al sistema del Paese. Questo non è avvenuto e avete, ancora una volta, con questo undicesimo decreto, imbrogliato i sardi, imbrogliato quelli che volevano risposte compiute su settori importanti come l'alluminio, tracciando davvero una linea, un solco netto tra chi ha avuto, per interessi privati, e avete negato, invece, risposte coerenti, necessarie e che ancora sono venute meno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato De Lorenzis. Ne ha facoltà.

DIEGO DE LORENZIS. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, oggi siamo chiamati a discutere il decreto per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo ILVA, l'ennesimo decreto in cui il Parlamento viene trattato semplicemente come organismo ratificatore, dato che la maggioranza e il Governo hanno praticamente bocciato tutti gli emendamenti proposti nelle Commissioni per cercare di migliorare o, quantomeno, tamponare le conseguenze di questo provvedimento. L'undicesimo decreto «salva ILVA» e «ammazza Tarantini» – diciamo noi – in tre anni e mezzo, è l'ennesimo schiaffo alla città di Taranto. Ma come mai un nuovo decreto, Presidente ? E mi rivolgo anche al Viceministro Teresa Bellanova, che è qui in rappresentanza del Governo. Solitamente il decreto serve per questioni di necessità e urgenza, e cos’è un'urgenza ? Qualcosa di inatteso, di imprevisto. Dopo undici decreti, mi sembra che non ci sia nulla di imprevedibile.
Ricordiamo bene le parole, pronunciate a marzo del 2015, dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in occasione del settimo decreto. Diceva: questa è la volta buona. Evidentemente quella non era la volta buona, come probabilmente non lo è neanche questa, e invece era una burla bella e buona, l'ennesima bugia di questo Governo. Verrebbe da ridere su quanto siano state ridicole tali dichiarazioni, se non fosse che quello stesso stabilimento siderurgico – che il PD, come anche SEL, ha sempre voluto fare andare avanti – blocca la rinascita di alternative economiche del territorio tarantino e dell'area ionica, deturpa le risorse di quel bellissimo territorio, ma soprattutto produce eventi di malattie e morte, come certificato da documenti ufficiali acquisiti dalla magistratura nel procedimento giudiziario che vede i Riva imputati e molti altri. Infatti, nel 2012 la magistratura, proprio a causa di eventi di malattia e morte, cioè persone che si ammalano e muoiono per la produzione industriale dello stabilimento, fa un provvedimento di sequestro e qui comincia la serie di provvedimenti che questo Governo e questa maggioranza hanno emanato per tutelare la continuità di quello stabilimento, prevedendo, appunto, con il primo decreto, lo sblocco del sequestro. Presidente, io faccio notare che la sentenza della Corte costituzionale che si trovò a dirimere la questione che venne sollevata proprio per il primo decreto, diceva che nessuno dei due diritti costituzionalmente garantiti, salute e lavoro, doveva prevalere sull'altro. Ora, dopo 11 decreti, dato che la situazione sanitaria e ambientale non è affatto migliorata, a Taranto, mi chiedo se quella sentenza della Corte costituzionale sia rispettata da questa interminabile sequenza di decreti. Un'altra premessa, Presidente, è da riservare alle diverse mancanze della gestione dei commissari. Noi abbiamo commissariato un'azienda privata proprio a causa delle gravissime conseguenze in termini ambientali e sanitari e, quindi, ci saremmo aspettati, come prevedeva la legge che voi stessi avete scritto, che questi commissari venissero a rendicontare il proprio lavoro, quindi a dare informazioni pubbliche circa, per esempio, i dati e le informazioni finanziarie relative alle opere eseguite durante questa amministrazione straordinaria Pag. 31e il piano finanziario relativo non soltanto agli interventi già effettuati ma anche relativamente a quelli futuri.
Ricordo ai cittadini a casa che ci stanno seguendo, ma soprattutto ai colleghi in quest'Aula, che nonostante l'avvicendarsi dei commissari nessuno, appunto, ha redatto quanto previsto per legge: un piano industriale, era questa la funzione dei commissari e dell'amministrazione straordinaria. Quindi, è palese, evidente la mancanza di visione strategica, di visione di politica industriale di questo Governo a livello italiano e ovviamente dell'Unione europea a livello europeo.
La politica che quelle nomine ha fatto e che ha nominato quei commissari ha taciuto su tali gravissime inadempienze e irregolarità, esattamente come farebbero i complici di un crimine. L'ennesimo decreto, Presidente, quello di oggi, ha solo la finalità, esattamente come gli altri, di far proseguire l'attività all'industria più inquinante d'Europa, ma come succede sempre quando il PD è al Governo, al peggio non c’è mai fine.
Entriamo nel dettaglio del provvedimento per commentare questa ennesima mostruosità. Nell'articolo 1 si concentrano i peggiori provvedimenti: il debito che avrebbe dovuto essere in capo al privato aggiudicatario dello stabilimento, cioè i debiti che quell'azienda continua a produrre, doveva essere, come accade quando un'azienda viene trasferita da una proprietà dall'altra, traghettato con la proprietà e, quindi, essere in capo ai nuovi subentranti. Ebbene, con questo provvedimento, questo debito viene spostato a carico dell'amministrazione straordinaria, cioè in capo alla gestione commissariale, cioè in capo allo Stato, ergo, in capo ai cittadini italiani che dovranno, quindi, sobbarcarsi la gestione fallimentare del Governo nella vicenda e, nello specifico, della gestione commissariale. Mi riferisco a questi 300 milioni di prestito che erano stati erogati, precedentemente, perché si diceva che dovevano essere pagati gli stipendi ai lavoratori; ebbene, non si riesce a capire perché per questa azienda continuano a valere delle misure assolutamente straordinarie che non valgono per qualunque altro complesso industriale o qualunque altra attività economica nel resto del Paese. La restituzione di questo importo deve avvenire entro 60 giorni dalla cessazione, appunto, dell'esercizio commissariale dell'azienda. Bisogna ricordare che l'erogazione di questi 300 milioni, però, è avvenuta in contrasto con la decisione del gennaio 2016 – sono passati più di sei mesi – della Commissione europea, nel merito di un'indagine formale sugli aiuti di Stato che, invece, ne imponeva la sospensione: cioè, la Commissione europea ha detto formalmente che quel debito di 300 milioni, evidentemente altera la concorrenza di un'attività e di un settore economico e, quindi, questi 300 milioni, questa misura a sostegno di questa azienda, dovevano essere sospesi e, oggi, noi, non soltanto non li mettiamo in carico a chi sta subentrando nell'azienda, ma li spalmiamo sui cittadini italiani.
Sempre in relazione ai futuri debiti di Ilva, si prevede la restituzione di 800 milioni, 600 nel 2016 e 200 nel 2017, per l'attuazione del Piano ambientale, quindi, per quella serie di misure che dovrebbero, in qualche modo, mitigare l'impatto di questa azienda, e questa restituzione viene rinviata al 2018. La mancata restituzione per gli anni 2016 e 2017 viene coperta dalla Cassa per i servizi energetici ambientali, mentre gli interessi sono coperti dal Fondo riserve speciali del Ministero dell'economia e delle finanze. In sostanza, è sempre lo Stato, cioè saranno i cittadini italiani che, pagando le tasse, copriranno questi ulteriori 800 milioni. E, infatti, una nota, non nostra, ma dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas fa notare che per far fronte a tali risorse mancanti si aumenteranno le bollette degli italiani e, quindi, alla faccia dei vari slogan e dei vari interventi del Primo Ministro, Matteo Renzi, e di quello dello sviluppo economico che dice che noi paghiamo delle bollette energetiche troppo salate per via degli incentivi alle rinnovabili.
Inoltre, Presidente, una lettera del maggio 2016, quindi di pochi mesi fa, è giunta dalla Commissione europea anche su questi Pag. 32800 milioni di euro, perché, probabilmente, tale erogazione dovrebbe essere sospesa e sappiamo che il Governo italiano, evidentemente, non ha alcuna intenzione di rispettare queste ammonizioni che poi, in realtà, si riverberano, con delle conseguenze importanti, sulle tasche degli italiani. Nella valutazione delle modifiche dell'autorizzazione integrata ambientale e del Piano ambientale è stato coinvolto un comitato di esperti, di tre esperti; io dico: tre sedicenti esperti, dato che non c’è alcun vincolo sulle loro reali competenze. Come dicevo, Presidente, questi tre esperti non hanno alcun vincolo, non soltanto in merito alle proprie competenze, ma neanche sul conflitto di interessi; non è detto che questi esperti abbiano lavorato in società del gruppo o lavoreranno in società del gruppo, o siano consulenti o dipendenti di altri gruppi che magari sono in concorrenza con il gruppo Ilva. Quindi, da questo punto di vista è veramente uno scandalo giuridico.
Ancora, Presidente, è stato introdotto l'obbligo di rendere pubblica la domanda di autorizzazione per i nuovi interventi di modifica del Piano ambientale. Abbiamo ottenuto che questo documento pubblico sia, in qualche modo, visibile e sottoponibile alle osservazioni pubbliche; queste osservazioni verranno raccolte in un documento sintetico. Peccato che, ovviamente, queste siano operazioni di facciata, nel senso che queste osservazioni che verranno fatte dall'opinione pubblica, poi, in realtà, non sono vincolanti e, quindi, il comitato di sedicenti esperti può assolutamente ignorare queste osservazioni. L'autorizzazione integrata ambientale, cioè quelle norme di tutela sanitaria e ambientale, nel corso dei passati dieci decreti ha avuto continue modifiche, continue proroghe e rinvii nel tempo per la sua attuazione e anche con questo decreto, ovviamente, non si fa una cosa diversa: si rimanda fino al 2020 praticamente il rispetto di quelle norme di tutela ambientale e sanitaria e, poiché questo Governo non ha alcun senso della vergogna, nel decreto si dà anche la possibilità al nuovo acquirente, quindi, a un soggetto privato, di modificare praticamente a proprio piacimento queste norme, alla faccia del rispetto dell'emergenza sanitaria e ambientale. Quindi, è ovvio che ci saranno ulteriori decreti per provare a dare una parvenza di normalità a quello che verrà fatto da questi soggetti privati.
Ancora, Presidente, la scandalosa immunità prevista in questo decreto che era già stata concessa ai commissari per la realizzazione dell'autorizzazione integrata ambientale, cioè, praticamente, la licenza di uccidere e farla franca, senza conseguenze penali, civili e amministrative, adesso viene estesa anche al nuovo soggetto privato, appunto, che subentra nella gestione o nell'acquisto dello stabilimento. Ecco, questa è un'altra caratteristica assolutamente indecente di questo decreto. A nessun altro stabilimento, a nessun'altra attività economica è permesso, nella realizzazione anche delle misure straordinarie per l'autorizzazione integrata ambientale, di avere delle deroghe e delle proroghe, ma, soprattutto, di avere l'immunità sulle attività poste in essere per questa attuazione.
Ecco, quindi, la domanda che viene facile è quella che il Governo, evidentemente, fa di tutto per favorire le lobby degli industriali e dei soliti amici degli amici, esattamente come faceva il Governo pochi mesi fa, quando il fidanzato dell'ex Ministro Guidi, sul petrolio estratto da ENI e Total in Basilicata e trasportato proprio a Taranto, con il progetto Tempa Rossa faceva evidentemente affari privati. E per questo, evidentemente, immaginiamo che Confindustria faccia terrorismo psicologico, diffondendo dati assolutamente fuori dalla realtà sulle conseguenze che un'eventuale bocciatura della riforma costituzionale avrebbe per gli italiani. Tanto, alla fine, dicevamo, sono sempre gli italiani a pagare: pagheranno questi soldi che sono stati prestati durante la gestione commissariale e oggi vengono appunto abbuonati alla gestione privata che subentra. Ricordo che sono già cinque gli interventi della Commissione europea, che ha contestato, di fronte all'Italia, gli aiuti di Stato sul trasferimento dei fondi oggetto Pag. 33di sequestro, sulla legge sui prestiti prededucibili, sulla garanzia statale dei debiti dell'Ilva, sul pagamento di Fintecna e, appunto, sul prestito statale di 300 milioni.
E, probabilmente, la sesta misura arriverà all'erogazione degli 800 milioni. Il conto non solo economico, ma anche in termini di malattia e morte, Presidente, non lo paga certo il Primo Ministro Renzi, tanto meno i deputati che in quest'Aula e al Senato voteranno a favore di questo decreto, ma esclusivamente i cittadini della provincia di Taranto. È necessario distinguere, tra l'altro, gli interventi di decontaminazione ambientale dagli interventi di ristrutturazione degli impianti. Il Governo, in questi anni, ha molto e sempre giocato su questa confusione, facendo passare come bonifiche ambientali del territorio intorno allo stabilimento ciò che in realtà non lo era, e cioè l'ammodernamento degli impianti dello stabilimento.
La Commissione europea non si opporrebbe all'eventuale sovvenzionamento pubblico delle spese per gli interventi di decontaminazione del sito dell'Ilva e delle aree circostanti, nella misura in cui tali interventi siano urgenti e necessari per porre rimedio all'inquinamento esistente e per garantire la salute pubblica nella città di Taranto. Quindi, perché non utilizzare il denaro pubblico per decontaminare il sito, vista la grande emergenza, sanitaria e ambientale, della città di Taranto, da cui, appunto, ha origine poi questa serie di provvedimenti che ci vedono discutere ogni due mesi un decreto in Aula ?
Con i 2 miliardi praticamente già spesi si sarebbe potuto, almeno in parte, decontaminare il sito di Taranto, impiegando i lavoratori dell'Ilva adeguatamente formati, e quindi dando finalmente un'alternativa a quel territorio bellissimo che ogni giorno paga il prezzo delle decisioni che vengono prese qui a Roma. Molti, tra cui il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, e ho sentito anche l'onorevole Stella Bianchi, stanno fantasticando sul futuro dell'Ilva, e quindi propongono, addirittura, di usare il gas del gasdotto transadriatico TAP per riconvertire lo stabilimento. Il Governo è evidente che è a corto di idee e, dopo questa ennesima nefandezza, perché così possiamo definire questo decreto, dovrebbe nascondersi, e infatti a Taranto il Primo Ministro Renzi ha annullato una visita prevista.
Il Presidente, evidentemente, ha una grande paura dei fischi e del disappunto che la popolazione vuole urlare a gran voce, e, Presidente, non basterà certo andare a tagliare un nastro per inaugurare il secondo piano del museo Marta per risolvere il problema delle alternative economiche a Taranto. Perché queste bugie, questi decreti, non vengono discussi pubblicamente dal Primo Ministro, dal Ministro dell'economia, dal Ministro del lavoro, dal Ministro della tutela ambientale e da quello della salute pubblica, direttamente in piazza con i cittadini di Taranto ? Perché non si confrontano con la cittadinanza, quando prendono decisioni che incidono concretamente sulla pelle dei tarantini e su quella dei loro figli ? Presidente, Viceministro, lo sapete che i pediatri di Taranto stanno ancora aspettando una famosa telefonata che Renzi aveva promesso ormai mesi fa, cioè il suo interessamento personale alla vicenda che riguarda i bambini di Taranto ?
Presidente, Viceministro, lo sapete che a Taranto alcune mamme del quartiere Tamburi non possono allattare i figli perché hanno diossina nel latte materno ? Lo sapete che alcuni bambini del quartiere Tamburi, che il Primo Ministro Renzi ha malvagiamente strumentalizzato per difendere questi decreti «salva Ilva», hanno il piombo nel sangue ?
Presidente, tre settimane fa sono stato in piazza a Taranto con altri colleghi, e nessuno ci fischiava, nessuno, dico, ci fischiava. Ci confrontiamo sempre con la cittadinanza, tanto che molte delle nostre proposte, dei nostri emendamenti, sono il frutto di questo dialogo continuo con la cittadinanza, e per questo voglio pubblicamente ringraziarli. Presidente, vorrei capire cosa intende Renzi quando dice «la volta buona», o meglio, per chi è la volta buona. Renzi ha parlato di «progetto serio», tanto per citare, appunto, un'altra dichiarazione di Matteo Renzi in un altro Pag. 34decreto «salva Ilva». Presidente, Viceministro, per voi è un progetto serio dare l'immunità a un privato per ridurre in schiavitù, fare ammalare e uccidere degli italiani, perché questo sta avvenendo ?
Ormai tutta l'Italia, Presidente, comincia a capire le enormi menzogne di Renzi, tutta l'Italia, ormai, impara a conoscere il Partito Democratico, e, mi permetterà, come io lo appello, il «partito delinquenziale» (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico). Non solo...

PRESIDENTE. Onorevole De Lorenzis, la prego.

DIEGO DE LORENZIS. È un giudizio politico !

PRESIDENTE. No, ascolti, anche i giudizi politici si possono esprimere in maniera corretta, anche i più duri giudizi politici si possono esprimere con un linguaggio consono a quest'Aula. La prego.

DIEGO DE LORENZIS. Presidente, ero indeciso se usare delinquenziale o dittatoriale, e le spiego perché esprimo questo giudizio politico.

PRESIDENTE. Concluda il suo intervento.

DIEGO DE LORENZIS. Presidente, non è una questione di quante persone del Partito Democratico rappresentate nelle istituzioni vengano arrestate o condannate, ma semplicemente un giudizio politico, perché questa maggioranza continua ad approvare questi decreti, che noi riteniamo politicamente criminali. L'ipocrisia di questo Governo non conosce limiti, non guarda in faccia a territori avvelenati, a bambini ammalati, a tumori e a morte. Continuare a insistere nell'attività obsoleta in un mercato ormai saturo come quello dell'acciaio, con impianti totalmente decotti, praticamente da buttar via, è pura cecità industriale, ma, soprattutto, è completa miopia politica.
Il resto del mondo si muove a una velocità impressionante. Con le stampanti 3D, Presidente, c’è chi produce protesi sanitarie, parti di aerei, intere automobili o autobus, addirittura case. Il mondo va avanti e non guarda a produzioni ottocentesche, come fa il Governo Renzi. Sempre più materiali via via si sostituiranno a quelli attualmente utilizzati, e questa è una rivoluzione che sta già avvenendo. Pianificare questa sostituzione dovrebbe essere il compito primario di questo Governo, e invece il trio Renzi-Alfano-Verdini continua ad ancorarci al passato. Ho sentito in quest'Aula molti colleghi richiamare il rischio di una seconda Bagnoli: è il solito refrain che ci ripetono dal primo dei decreti «salva Ilva».
Eppure, come Bagnoli è dietro l'angolo ed è visibile a tutti lo scempio che la politica non ha saputo in qualche modo prevenire o su cui intervenire a posteriori, sono altresì alla portata di tutti, oggi, gli esempi di una riconversione fruttuosa di questi vecchi impianti industriali. Abbiamo citato Bilbao negli scorsi decreti, le idee le abbiamo date dal primo decreto, abbiamo sempre dato un contributo di idee, una visione diversa, alternativa, che poteva quanto meno essere sposata o essere condivisa all'interno di quest'Aula, ma ci avete sempre detto di no. C’è una targa esposta al quartiere Tamburi, Presidente. I cittadini di via De Vincentis, di via Lisippo, di via Troilo e di via Savino hanno affisso questa targa ormai da anni, e sulla targa c’è scritto: «Nei giorni di vento di nord nord-ovest veniamo sepolti da polveri di minerali e soffocati da esalazioni di gas provenienti dalla zona industriale Ilva. Per tutto questo gli stessi cittadini maledicono coloro che possono fare e non fanno nulla per riparare». Credo che questo messaggio sia proprio diretto alla maggioranza in quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ludovico Vico. Ne ha facoltà.

LUDOVICO VICO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Viceministro, penso che anche in questa discussione avremmo bisogno di superare filosofie antiche come il Pag. 35manicheismo, tutto bianco o tutto nero. Oppure come recentemente il professor Ginsborg dice in un libro che suggerisco, Passioni e politica, per molti in questa fase della politica è come se si stesse vivendo la stagione del romanticismo neoliberista dove vale solo l'io, per cui lo slogan sarebbe «non avrai altro io all'infuori di me».
Allora su questo decreto, onorevole Presidente, onorevole Viceministro, io penso che dovremmo anche provare a ricostruire una lettura di questi quattro anni, di quattro lunghi, ma brevi anni, sulla vicenda Ilva, perché io penso che nella storia italiana contemporanea è difficile trovare qualcosa che abbia la stessa forza paradigmatica del caso Ilva. In questo caso si sono concentrate, si concentrano e si sintetizzano le ragioni dell'ambiente e della salute, dell'industria strategica nazionale e del lavoro, nonché la vicenda giudiziaria in ordine alle responsabilità. Questa sintesi di questo caso io penso che sia molto originale. Dicevo «quattro anni», da Bondi fino ai commissari della «legge Marzano», un susseguirsi di decreti, che forse vanno letti, dal punto di vista storico del legislatore operativo come siamo noi, come sentieri di un obiettivo verso la compatibilità. Se non si leggessero in questa maniera anche questi percorsi sul versante della decretazione e della conversione in legge, tutto ciò farebbe smarrire qual è l'obiettivo. Allora, io mi permetto di dire che noi siamo dentro un esperimento ardito, dal punto di vista della proposta, per attivare e rendere esigibile un processo di ambientalizzazione lì, in quell'area del gruppo Ilva che è a Taranto, in un'area dove quello stabilimento è operativo dal 1961 con il primo laminatoio e poi con il raddoppio, in un'area dove insiste una raffineria, dove insiste una cementeria e l'Arsenale della Marina militare. Lì si sperimenta, attraverso la decretazione che si sta susseguendo, uno degli obiettivi più complicati, ma più interessanti dal punto di vista del modello della compatibilità.
Vedete, onorevoli colleghi, già nel precedente decreto il punto qual era ? In fondo il punto era: come e quando uscire dal commissariamento, rimettendo sul mercato il gruppo siderurgico di Taranto, di Genova e di Novi Ligure nel quadro di una congiuntura, tra l'altro, di sovraccapacità produttiva di acciaio in Europa e capacità sovraproduttiva, tra l'altro, a rischio di invasione di acciaio asiatico e russo. Invece, noi arriviamo al decimo decreto, o l'undicesimo come lo si vuol chiamare, dentro un quadro di lettura che pone una semplificazione degli eventi dal gennaio 2016 ad oggi. E qual è il superamento di questa semplificazione ? Primo, l'AIA del 2014 è in via di esaurimento, benché prorogata a giugno 2017. Sono state eseguite 112 prescrizioni, sono in corso 58 prescrizioni, compresi i revamping. Il punto è che il processo di ambientalizzazione in quell'area non è più, non lo era già da un anno, riconducibile, alla esigibilità dell'AIA 2014. Questo è un punto, perché la coniugazione tra AIA e piano ambientale è una coniugazione evocata, impostata, ma che per essere esigibile, alla vigilia del trasferimento dello stabilimento alla proprietà privata e alla sua cordata subentrante, esige una serie di garanzie che non sono più le ragioni originarie, benché positive, dei provvedimenti del 2012 che la magistratura in quell'epoca assunse.
Cosa voglio dire ? Che dell'AIA che noi conosciamo ci resta un punto che è delicato, che è fuori discussione, che è esigibile, e che io mi permetto di dire dovrà essere esigibile, che è in funzione non solo dei Wind days, ma soprattutto in funzione anche della percezione comunitaria: la copertura dei parchi minerali o la modulazione della copertura dei parchi minerali deve essere un obiettivo dell'AIA in esaurimento, lo ripeto esigibile. Rimane invece un punto aperto che completa l'AIA. Il piano ambientale interno ed esterno ha bisogno di decise missioni, di decisi obiettivi che chiamiamo in gergo la «nuova AIA», ma deve essere anche accompagnato da un sistema di coordinamento reale fra i diversi soggetti che operano in ordine alle ragioni della rilevazione, del controllo della rilevazione e della sicurezza Pag. 36che il cittadino deve avere rispetto alla convivenza con impianti industriali che si ambientalizzano. Cosa voglio dire ? Voglio dire che noi abbiamo bisogno di un sistema di rete di rilevazione più avanzato di quello operativo. Guardate, onorevoli colleghi, Presidente, Viceministro, noi attualmente a Taranto abbiamo quello che chiamiamo le cosiddette «centraline AIA», a cui corrisponde il sistema esterno delle centrali ARPA, poi abbiamo le centraline Ilva, che sono on line con il sistema esterno delle centrali ARPA, poi abbiamo le centraline ENI, che non sono neanche on line, con il sistema esterno delle centrali ARPA. Penso, come mi dicono autorevoli colleghi, che siamo sul filo del contra legem. Allora la domanda non solo del legislatore, ma, come si dice oggi, del cittadino e della cittadina è: qual è lo stato dell'aria ? A questa domanda i diversi soggetti preposti, ARPA, ISPRA, per taluni aspetti non diretti anche ASL, non è che non sono in grado di rispondere, ma non sono nelle condizioni di poter dare una risposta di monitoraggio assicurato in relazione ai fattori comparativi degli anni precedenti ovvero degli ultimi quattro anni e in relazione alla normativa vigente, ma io dico anche in relazione alla necessità della modifica della normativa vigente su talune questioni. Questo è un problema. Faccio due citazioni materiali: nei laboratori ARPA, dopo il giusto emendamento di ripotenziare questa parte importante della rilevazione del controllo, la strumentazione è obsoleta, e in attesa di essere cambiata da dieci anni, se il sistema esterno non viene coordinato ancora meglio con i riferimenti di cui ho già parlato e se il sistema non lavora perché in rete mette anche il controllo delle bonifiche, non solo nelle funzioni commissariali, ma nella gestione delle stesse. Cito un risultato importante di Cemerad, che qui il collega Bratti ha riportato in più circostanze, ma stiamo parlando di Mar Piccolo cioè stiamo passando dal controllo dell'aria al controllo della terra e dell'acqua e, poiché la mia lettura vuol continuare ad essere che l'esperimento ardito è il processo di ambientalizzazione e non solo riferito al caso Ilva ma partendo dal caso Ilva, allora abbiamo bisogno che il contributo della costruzione dell'esperimento e delle sue reti diventino sempre più fondamentali come impegno delle regioni, come impegno anche del Governo. Immagino che nelle prossime settimane, dato che si riapre il Progetto sentieri per le 44 aree SIN, dentro questo quadro vi sia un'altra parte del contributo alla costruzione di cosa ? Sì, di quell'esperimento ardito che è la certezza dell'informazione, il bisogno del sapere, la tranquillità delle persone che vivono lì e che vivono altrove. E, se questa è la prima delle questioni, ce n’è una seconda che chiamo quella sanitaria che è di tutt'altro tipo perché, nonostante l'emergenza che si riconosce, non gli corrisponde il concorso legislativo benché materia concorrente, come è noto a tutti, nel Titolo V della Costituzione, che auspico sia superato nelle parti così come richieste dagli stessi quesiti referendari. Bene noi siamo ai dati del registro tumori del 2011, noi siamo ai dati del registro della mortalità del 2013: gli eventi che ci portano a quell'esperimento ardito sono tutti successivi al 2013 e gli elementi ovviamente dinamici e statistici hanno bisogno di avere una concentrazione elaborativa e, accanto a questo, hanno bisogno che gli aspetti della cura e sanitaria siano un fattore attivo non solo di fronte ai grandi pericoli della vita ma nella sua ordinarietà. Ma questo, ad esempio, non fa il paio con il piano di riordino ospedaliero che è in corso, non fa il paio con l'evocazione che lì è presente: il Progetto sentieri, Taranto, c’è il decimo decreto per cui giustamente la relazione non è solo il futuro industriale dell'interesse strategico nazionale ma il benessere delle comunità che lì vivono. Tutte queste evocazioni meritano che ci siano delle conseguenze perché questo è il rapporto tra il Parlamento e le comunità, tra il Governo e le comunità o, come si dice oggi, tra la politica e le persone. E su questo gli sforzi non sono riconducibili solo ai provvedimenti legislativi ma ad un agire che diventi sempre più puntuale, coerente, in relazione, senza manicheismi e senza culture Pag. 37che esasperino anche le legittime preoccupazioni delle persone. Io penso che in questo quadro anche la serenità interistituzionale sia una questione. In un'area come quella di Taranto affrontare, come io penso che sia giusto, una deroga al decreto ministeriale n. 70 non potrà essere solo una iniziativa parlamentare e del legislatore ma un rapporto interistituzionale che non c’è e che va ricostruito o, se non si ricostruisce, il bene da assumere è quello delle comunità e delle popolazioni stesse.
Ultima considerazione: l'altro termine di questo esperimento ardito non sono le ragioni industriali che sono state già viste e si affronteranno con un emendamento molto interessante che è stato approvato nelle due Commissioni e che riguarda anche questo luogo, questo tavolo e il monitoraggio di ordine industriale con le istituzioni e la capacità di partecipare anche alle dinamiche stesse del piano ambientale che precederà l'eventuale accesso del subentrante. Infatti i processi democratici si costruiscono così, non attraverso l'evocazione. Mi insegnarono, quand'ero ragazzo, che sapere significa potere e che potere significa democrazia. Se ti manca quel sapere e quel potere, la democrazia è dei pochi e i greci la chiamavano oligarchia. Dunque c’è un problema dei lavoratori. I lavoratori diretti sono fiduciosi nei provvedimenti che il Governo nella sede opportuna dovrà assumere, probabilmente in sede di legge di stabilità, per una gestione degli ammortizzatori. Ci sono i lavoratori dell'indotto che sono un po’ più preoccupati ma gli stessi lavoratori, i primi quanto i secondi, hanno rappresentato le loro preoccupazioni anche in questi giorni attraverso le loro rappresentanze più significative della confederazione ai nostri due presidenti di Commissione, al presidente Epifani e al presidente Realacci oltre alle relazioni che hanno inviato alle due Commissioni stesse. Inoltre c’è il problema della salute dei lavoratori. Non è possibile che quando si parla dello stabilimento Ilva, dell'indotto Ilva, dell'area Taranto il lavoratore venga solo catalogato nella dimensione del numero degli infortuni: non è possibile. Lì occorre, come detto persino in sede di prescrizioni AIA e in sede di prescrizioni GIP, che per i lavoratori, attraverso lo Spesal, bisogna adottare tutte le rilevazioni di ordine sanitario come una delle prime figure umane che è dentro un processo che è di ambientalizzazione. Penso sia giusto che vada in discussione rapidamente la mappa delle bonifiche amianto realizzate e no, come i sindacati metalmeccanici hanno avuto e ricevuto, così come accanto a quella mappa c’è anche una mappa delle limitate aree ad esposizione cancerogena. Ma, sapete, questa è la sfida e il sentiero: perché se quel cultore del romanticismo neoliberista pensa di risolvere il problema, che l'acciaio lo si fa in India o in Bangladesh o altrove, o che i rifiuti, invece di accumularli in una regione, li si manda a Ferrara, se il problema fosse questo, io non faccio parte di quel mondo. Faccio parte di un altro mondo che con tutti i limiti che può avere prova ancora dare un contributo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3886-A)

PRESIDENTE. I relatori Zaratti e Crippa hanno esaurito il loro tempo.
Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la Commissione ambiente, onorevole Bratti. Ha sette minuti, onorevole Bratti.

ALESSANDRO BRATTI, Relatore per la maggioranza per la VIII Commissione. Sarò molto più breve. Replicare a chi non c’è è sempre molto faticoso però ad una cosa ci tenevamo, sia la relatrice Bargero che io stesso e anche altri colleghi, a sottolineare che, avendo lavorato per diverse ore su questo provvedimento, non possono accettare che si dica che il Parlamento Pag. 38ha ratificato di fatto un provvedimento senza modificare nulla. Questa è una bugia, non corrisponde al vero: basta fare un normale testo a fronte e ci si accorgerà che in realtà sono state fatte modifiche anche molto, molto importanti e con una discussione anche molto seria e approfondita. Per il resto un'ampia discussione l'abbiamo fatta in Commissione, oggi sono state dette, da un lato, cose importanti e, dall'altro, da parte di alcuni colleghi, veramente fuorvianti e a nostro parere che non corrispondono assolutamente al vero. Vediamo se si potrà fare una discussione in Aula e, quindi, per il resto rimandiamo all'Aula la discussione.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bratti. Intendo che questa sia anche la replica della deputata Bargero che aveva comunque anche lei del tempo.
Ha facoltà di replicare, se ritiene, il rappresentante del Governo, che non ritiene.
Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.
Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15,30 per lo svolgimento delle ulteriori discussioni sulle linee generali all'ordine del giorno.

La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 15,35.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, la deputata Zampa è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Verini ed altri: Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (A.C. 1460-B).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalla Camera e modificata dal Senato, n. 1460-B: Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 luglio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1460-B)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice per la II Commissione, presidente Donatella Ferranti.

DONATELLA FERRANTI, Relatrice per la II Commissione. Grazie, Presidente. Pag. 39Credo che relazionerò anche per la Commissione Affari esteri, anche perché, in realtà, il testo che è stato modificato dal Senato è stato modificato solo quasi esclusivamente nelle parti di più stretta attinenza alla competenza della Commissione giustizia.
Ovviamente, chiedo già fin d'ora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti). Cercherò di dare, quindi, soltanto delle linee sintetiche del provvedimento.
La proposta di legge n. 1460 ed abbinati si propone di raggiungere due distinti obiettivi di pari importanza per il contrasto multilaterale alla delinquenza transnazionale: da un lato, finalmente, l'attuazione della Convenzione di Bruxelles all'assistenza giudiziaria in materia penale siglata, tra gli Stati membri dell'Unione, nell'ottobre del 2000; dall'altro, la modifica del libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Ad esclusione delle previsioni dell'articolo 5 della proposta di legge, che, come si vedrà, intervengono direttamente sul tessuto del codice di rito per colmare alcune lacune segnalate più volte dalla giurisprudenza di legittimità in materia di consegna alle autorità straniere dell'estradando, lo strumento normativo prescelto per dare attuazione alla Convenzione e per innovare il libro XI è quello della delega, che pone principi e criteri direttivi, e che necessita di una specifica attuazione attraverso l'emanazione di decreti legislativi.
Nel caso in esame, anche sulla base di un disegno governativo che poi è stato abbinato, si è scelta la linea dell'ampliamento del contenuto della proposta di legge di ratifica, rispondendo ad un'esigenza di coerenza, in quanto la materia dell'assistenza giudiziaria, che è oggetto della Convenzione da ratificare, è attualmente disciplinata dal Codice di procedura penale in materia e non è adeguata rispetto alla criminalità, quella soprattutto organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo Stato e sa ben sfruttare tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell'informazione. Ratifica e attuazione sono, peraltro, in notevole ritardo, purtroppo, avvenendo a quattordici anni, anzi a sedici anni, dalla sottoscrizione della Convenzione, e questo ritardo è stato è stato più volte stigmatizzato dalle istituzioni europee.
In base a questi principi di fondo, dunque, l'intervento è strutturato in due segmenti: dall'articolo 1 al 3 sono disposizioni che riguardano le previsioni per la ratifica ed esecuzione della Convenzione, dall'articolo 4 al 7 vi è la riforma del libro XI del Codice di procedura penale. In particolare, secondo le lettere a) e b) del comma 1, il Governo dovrà prevedere norme volte a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale con gli altri membri dell'UE ed assicurare che l'assistenza giudiziaria dell'Italia sia attuata in maniera rapida ed efficace, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.
I decreti legislativi, poi, dovranno: garantire l'assistenza giudiziaria anche nei procedimenti per l'applicazione di sanzioni amministrative, in attuazione proprio dell'articolo 3 della Convenzione; disciplinare la restituzione delle cose pertinenti del reato, in attuazione dell'articolo 8; disciplinare la procedura per il trasferimento a fini investigativi delle audizioni compiute mediante videoconferenza; prevedere la possibilità, per pubblici ministeri e polizia giudiziaria, di ritardare i provvedimenti di competenza, laddove vi siano delitti per i quali è consentita l'estradizione, al fine di poter procedere alla cattura dei responsabili; prevedere l'applicazione del principio di reciprocità nei confronti di Regno Unito ed Irlanda, che si sono riservati la facoltà di coinvolgere l'autorità centrale nelle richieste di assistenza giudiziaria provenienti da altro Stato membro dell'Unione europea, benché lo spirito della Convenzione favorisca il dialogo diretto tra omologhe autorità giudiziarie, e così disciplinare le intercettazioni, Pag. 40in attuazione proprio degli articoli dal 17 al 22 della Convenzione e prevedere la responsabilità civile e penale di funzionari esteri in servizio in Italia nelle squadre di consegna che operano nel contesto di gruppi investigativi.
Così enunciati i principi di delega per l'attuazione della Convenzione di Bruxelles, con l'articolo 4 sono stati fissati i criteri di delega al Governo per la riforma del libro XI del Codice di procedura penale. Come dicevo in apertura, la modifica di questo settore del codice di rito costituisce una priorità di azione, anche nella prospettiva della ratifica di altre Convenzioni internazionali, che in anni recenti hanno dato il segno di una sempre maggiore volontà di cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali. Tuttavia, come principio consolidato del codice di rito, le norme dell'XI libro si applicano in quanto le relative materie non sono disciplinate da Convenzioni multilaterali o bilaterali. Le regole codicistiche, quindi, hanno un valore sussidiario e residuale.
Benché i princìpi di delega si propongano di normare prevalentemente i rapporti con le autorità giudiziarie extra Unione europea che non abbiano raggiunto intese con l'Italia in materia di assistenza giudiziaria in ambito penale, taluni princìpi generali sono affermati anche in relazione alla cooperazione tra gli Stati membri, pur disciplinati in via principale, come dicevo, dai testi comunitari convenzionali.
La ricognizione del quadro normativo vigente delle prassi applicative ha fatto ritenere che il sistema italiano di disciplina delle rogatorie cosiddette passive, e cioè dell'esecuzione della richiesta di altri Stati di raccolta di prove, siano troppo pesanti. Nell'intervento legislativo in esame, invece, si valorizzano i rapporti tra Stati membri dell'Unione europea e il meccanismo della trasmissione diretta all'autorità giudiziaria competente all'esecuzione della rogatoria, assicurando la trattazione immediata delle rogatorie urgenti, e si elimina il preventivo vaglio della Corte di cassazione sulla competenza, che ha provocato e provoca un ulteriore appesantimento del procedimento.
Inoltre, va privilegiato un modello di soluzione differenziata, in grado di garantire la sostanziale depoliticizzazione del sistema dell'assistenza giudiziaria nell'area circoscritta dell'efficacia degli accordi internazionali stipulati tra gli Stati europei, pur conservando in capo al Ministro una funzione di filtro.
Si è poi posta mano alla riforma dell'estradizione, che verrà in dettaglio descritta nella relazione, nell'appunto scritto, e nel quadro di una più generale manovra di semplificazione e di accelerazione della relativa procedura, ma anche di rafforzamento delle garanzie difensive; si è modificata la sequenza procedimentale dell'estradizione per l'estero, potenziando i meccanismi di interlocuzione diretta dell'autorità giudiziaria con le competenti autorità dello Stato richiedente, al fine di acquisire informative nel rigoroso rispetto delle garanzie giurisdizionali e del principio del contraddittorio.
Vi è, poi, la necessità che il codice di rito appresti un nucleo comune di fondamentali regole procedurali, in sé coerenti con le regole accolte nel sistema della cooperazione tra gli Stati dell'Unione europea, nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e destinate ad applicarsi salvo il caso di espressa e successiva deroga legislativa.
Come dicevo prima, poi, vi sono state delle modifiche specifiche agli articoli 708 e 714 del Codice di procedura penale, rispondendo all'esigenza di colmare una lacuna normativa che in più occasioni era stata segnalata anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Il Senato ha introdotto dei principi di delega all'articolo 4, che cerca di fissare norme più specifiche all'Autorità, al Governo che dovrà esercitare la delega, mutuandole poi dal regime vigente, ma anche dai principi generali delle Convenzioni, e poi c’è la materia dell'estradizione.
In relazione alla materia dell'estradizione, la proposta di legge mira a differenziare Pag. 41le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell'autorità politica e dell'autorità giudiziaria, in maniera da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri. Ecco, anche qui è stato affidato il vaglio del complesso delle circostanze fattuali riconducibili alla sfera delle valutazioni tipicamente politiche, riferite all'incidenza dell'estradizione sulla sorte degli interessi essenziali dello Stato, in primis di quello sulla sicurezza della Repubblica, al Ministro.
Per il resto, appunto, in materia di estradizione vi è la conferma della competenza giurisdizionale della corte d'appello, che decide sulla richiesta della procura generale della Repubblica.
Ho capito dal segnale della Presidente che il tempo è esaurito, ma comunque il dettaglio di questo importante provvedimento, che è stato lavorato in congiunta delle due Commissioni, è descritto analiticamente nella relazione scritta.
Io credo, come relatrice, di poter stigmatizzare un passo sicuramente fondamentale, in un momento anche critico che riguarda appunto l'Europa ed anche e soprattutto l'evolversi della criminalità, che supera i confini nazionali: questo è uno degli strumenti che ci consentirà di essere più efficaci nella lotta contro la criminalità internazionale.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo non intende intervenire.
È iscritta a parlare la deputata Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Grazie, Presidente. Come è stato ricordato anche nella relazione, ci confrontiamo oggi sulla ratifica di una convenzione che ha un rilievo specifico peculiare, dato il momento storico che l'Unione attraversa.
La questione che discutiamo, infatti, tratta di provvedimenti relativi all'assistenza giuridica in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione; come veniva correttamente ricordato, la Camera aveva già espresso il proprio consenso ad una precedente versione di questa ratifica; questo ramo del Parlamento aveva dunque già approvato le norme in oggetto.
Ciò su cui oggi più specificamente ci confrontiamo sono le modifiche introdotte dall'altro ramo del Parlamento, le correzioni che ha apportato il Senato, nelle quali vengono precisati in maniera più stringente alcuni aspetti contenuti appunto nelle deleghe al Governo.
Io non mi dilungherò nella spiegazione puntuale dell'articolato (è già stato fatto in maniera più che esaustiva dalla relatrice), mi limito invece a sottolineare che l'obiettivo della norma è fondamentalmente quello di semplificare e rendere più efficaci le formalità e le procedure inerenti alle richieste di assistenza giudiziaria, attraverso l'introduzione di forme tecniche specifiche di collaborazione rafforzata con le autorità giudiziarie di altri Paesi europei.
Per esempio, veniva ricordato: la possibilità di svolgere audizioni mediante videoconferenza e teleconferenza, creare squadre investigative comuni, effettuare intercettazioni, operazioni di infiltrazione, consegne sorvegliate ed altro.
L'obiettivo è dunque rispondere ad una sempre più accentuata esigenza di collaborazione internazionale sul piano delle indagini e su quello processuale, con la finalità di garantire un'efficace azione di contrasto alla criminalità.
Sappiamo che da tempo l'Unione europea già lavora alla realizzazione di un coordinamento internazionale dell'azione investigativa, tuttavia questa Convenzione va oltre, individuando uno specifico ambito dell'azione comune, che consenta di operare in tempi reali, favorendo per quanto possibile lo scambio diretto di richieste tra le diverse autorità giudiziarie.
Vorrei soffermarmi però su alcune questioni più squisitamente politiche, che proprio il contesto europeo oggi ci sollecita: in primis occorre ricordare il fattore temporale, che veniva appunto già evocato prima anche in sede di relazione, il fatto che sono trascorsi sedici anni – sedici anni – Pag. 42dall'avvio del percorso della Convenzione, siglato dalla firma sull'accordo raggiunto a Bruxelles dagli Stati membri.
In questo lungo arco di tempo, la Convenzione è stata già ratificata da 24 Stati membri, compresa la Gran Bretagna, che come sappiamo non è più parte dell'Unione europea o almeno ha avviato un processo che avrà questo esito, mentre il nostro Paese, insieme alla Grecia, alla Croazia – che ha raggiunto l'Unione europea solo nel 2005 – ed all'Irlanda, è rimasto fermo.
Come veniva ricordato nella prima approvazione della ratifica, questo ritardo ha avuto conseguenze rilevanti.
La questione della mancata ratifica della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale è tornata alla ribalta a seguito di una serie di iniziative intraprese in sede di Unione europea, al fine di sollecitare la collaborazione tra Stati membri, in merito alla possibilità di acquisire documenti ed informazioni inerenti alla nota vicenda di Ustica.
In una lettera del 2012, infatti, alcuni deputati europei richiamarono l'attenzione dell'allora Presidente del Consiglio dei ministri sulla mancata ratifica della Convenzione, già vincolante appunto per 24 Stati dell'Unione, sollecitando il Presidente del Consiglio dei ministri ad individuare i motivi che avevano ostacolato la ratifica.
Sempre nel settembre 2012, la Commissione petizioni del Parlamento europeo, a seguito di un'istanza con cui i legali dei familiari delle vittime della strage di Ustica avevano chiesto di sollecitare gli Stati membri direttamente coinvolti nell'abbattimento del Dc9 Itavia a collaborare con le autorità italiana alla ricerca della verità, aveva fatto sapere che, pur essendo a conoscenza del caso Ustica e del fatto che, a più di trent'anni dal disastro, i parenti delle vittime di quella tragedia erano ancora in attesa di giustizia e che l'Unione europea si rammaricava che l'Italia ed altri due Stati membri non avessero ancora ratificato la Convenzione, faceva presente appunto questo vulnus.
Nel 2012, lo stesso Presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in una lettera all'Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, dopo aver ribadito la sua convinzione che i rapporti tra le autorità giudiziarie dei Paesi membri debbano essere improntati alla massima collaborazione e cooperazione, ha dovuto segnalare che l'Italia non aveva ancora ratificato la Convenzione e non poteva invocarne l'applicazione.
Ora ho ricordato queste considerazioni perché mi portano ad illustrare il secondo ordine di riflessioni che, a mio avviso, rendono questo provvedimento particolarmente rilevante ed urgente proprio oggi: appunto, la necessità di proseguire fattivamente, attraverso passaggi sostanziali, sul terreno dell'integrazione europea, anche in materia di giustizia.
Se consideriamo l'evoluzione dello scenario politico nel quale oggi ci muoviamo, fatto di spinte esterne – mi riferisco al terrorismo, all'instabilità geopolitica dei Paesi limitrofi, ai flussi migratori – ed interne – la vicenda Brexit e l'avanzata di forze antieuropeiste all'interno dell'Unione – comprendiamo bene come questa norma in discussione vada a colmare un vuoto carico di insidie.
Con questo passaggio, infatti, si delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla Convenzione su temi decisivi, finalizzati a rendere più agevole la cooperazione giudiziaria in materia penale con gli Stati parte della Convenzione.
Sono passaggi concreti nella direzione di una maggiore integrazione politica necessaria a rafforzare la strategia europea sul terreno del contrasto alle organizzazioni criminali che operano sul terreno europeo e più che ogni altro sfruttano i vantaggi derivanti dalle quattro libertà fondamentali del mercato unico (libera circolazione di persone, merci servizi e capitali), ma anche per dare un ulteriore segnale in un periodo in cui appunto queste forze euroscettiche e nazionalistiche minacciano seriamente di distruggere il cammino unitario che l'Europa ha costruito con grande fatica dal dopoguerra Pag. 43ad oggi, facendo spesso leva proprio sulle inefficienze, le insufficienze e sulla mancanza di strutture.
Sappiamo invece che solo da un rafforzamento del processo di integrazione può venire una risposta efficace ai problemi ed alle emergenze dell'oggi. Solo da una maggiore integrazione politica, istituzionale, economica, finanziaria e sociale dell'Unione europea può venire l'unica risposta credibile ed auspicabile alle enormi sfide che l'Italia e l'Europa hanno davanti, dalla lotta al terrorismo alla gestione dei flussi migratori, dal contrasto alle grandi organizzazioni criminali all'attuazione di misure efficaci nel settore economico e finanziario.
Oggi ed oggi più di ieri è quanto mai necessario far proseguire il cammino dell'integrazione anche nel delicato campo della giustizia, proseguendo in un'ottica integrata e comune e non più in un'ottica di semplice cooperazione.
Solo l'integrazione ci consente di essere efficaci sul terreno del contrasto alle mafie, al traffico della droga e a quella che è oggi la vera e propria emergenza, ossia il traffico di esseri umani. Solo l'integrazione ci consente di essere concreti nella sfida che hanno oggi le grandi democrazie e i valori fondatori dell'Europa. Non è sufficiente procedere attraverso un'armonizzazione delle legislazioni, occorre lavorare per un coordinamento europeo ed uno spazio giuridico comune per raggiungere l'obiettivo di una comune procura europea. Questi sono sempre stati, del resto, gli obiettivi del Governo, come più volte hanno ricordato i ministri competenti e, oggi, davanti all'incertezza e alla fragilità che attraversano lo spazio comune, occorre perseguirli con sempre maggior decisione.
Il voto favorevole a questo provvedimento, a nostro avviso, è un passo concreto in questa direzione che tiene conto – è stato ricordato prima – del complesso lavoro d'insieme fatto a livello parlamentare sulle direttive europee, per far sì che l'Europa abbia finalmente uno spazio giuridico antiterrorismo, antimafia, antidroga e antitratta comune e che, soprattutto, il nostro Paese possa essere protagonista negli spazi europei e internazionali nella richiesta ad altri Paesi di muoversi in analoga direzione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 1460-B)

PRESIDENTE. La relatrice per la II Commissione, presidente Ferranti, e la rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di stabilità 2016) (A.C. 3594-A) (ore 15,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, collegato alla legge di stabilità 2016, n. 3594-A: Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 luglio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3594-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento Pag. 44senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni XI (Lavoro) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la XI Commissione, deputata Anna Giacobbe.

ANNA GIACOBBE, Relatrice per la maggioranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. La questione povertà è da sempre un tema rilevante e mai trattato davvero in modo sistematico dalle politiche pubbliche nazionali, sino ad ora. Oggi, facciamo i conti anche con fatti nuovi, l'area della povertà è cresciuta negli anni della crisi – una crescita rilevante per la misura e per la qualità, passando dal 3,1 della popolazione totale nel 2007 al 6,8 nel 2014 – e, come ha sottolineato l'Alleanza contro la povertà, non solo ha confermato il suo radicamento tra i segmenti della popolazione nei quali già in passato era più presente, ma è anche cresciuta particolarmente in altri, prima ritenuti poco vulnerabili. E se la ripresa economica potrà ridurre prossimamente la diffusione dell'indigenza, una sua presenza maggiore che in passato costituirà un elemento strutturale dell'Italia nel prossimo futuro. Dunque, la crisi ha aggravato vecchie situazioni di deprivazione ed esclusione sociale e ne ha generate di nuove; oltre alla crescita della povertà assoluta abbiamo assistito ed assistiamo a fenomeni molto diffusi di impoverimento di fasce della popolazione che non avevano conosciuto in precedenza una riduzione di reddito e di status di queste dimensioni. Non è solo un fatto economico, ma relativo alla percezione di sé e del proprio mondo da parte delle persone e delle comunità. Il fatto che una così rilevante quota dalla popolazione versi in condizione di povertà assoluta costituisce un costo sociale ed economico per la comunità, sottrae risorse umane alla creazione della ricchezza, fa ricadere sui servizi, sulle istituzioni locali e sulla società organizzata una forte pressione sociale. Le risorse destinate al contrasto alla povertà assoluta e all'emarginazione sociale rappresentano, quindi, un investimento, soprattutto se impiegate, non solo per erogare contributi economici, ma anche per accompagnare quei contributi con percorsi di inclusione lavorativa e sociale, di attivazione e di assunzione di responsabilità da parte dei soggetti coinvolti. Con il provvedimento che arriva oggi in Aula, dunque, si avvia davvero e su basi più solide che in passato la creazione di uno strumento di contrasto alla povertà assoluta, non più solo sperimentarle o provvisorio, ma una misura fondata sia su trattamenti economici sia sull'azione della rete dei servizi sociali; non una visione economicistica, quindi, né tanto meno assistenzialistica, ma un approccio che ha come obiettivo la dignità delle persone, così come è richiamato al primo comma del disegno di legge, facendo riferimento anche all'articolo 3 della Costituzione e al rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Il provvedimento può contare sullo stanziamento previsto nella legge di stabilità di un miliardo di euro, a regime, che si aggiunge alle risorse già impiegate negli interventi sperimentali e solo parziali già avviati negli anni scorsi. La dotazione economica del Fondo per il contrasto alla povertà non consente ancora di intervenire su tutte le situazioni di povertà assoluta, ma si tratta comunque di un passo rilevante nella giusta direzione che assicura un intervento immediato e già significativo per i nuclei familiari con minori.
Si tratta della prima forma strutturale di reddito minimo per la popolazione in età lavorativa che non abbia mezzi per condurre un livello di vita dignitoso, non sperimentale o limitata a qualche zona – si diceva – con carattere universale ed, ovviamente, sottoposta alla prova dei mezzi. Nel testo è stata inserita, con un emendamento approvato dalle Commissioni, la previsione che il Fondo sarà alimentato, oltre che dal riordino delle prestazioni già destinate al contrasto alla povertà, anche con successivi provvedimenti legislativi, cioè con risorse il cui reperimento dovrà essere assicurato da Pag. 45provvedimenti ulteriori che dovranno consentire di raggiungere, nella misura definita in questo disegno di legge, progressivamente, le persone in condizione di povertà assoluta. Si rende così più chiara la direzione di marcia e cioè la scelta di realizzare la graduale estensione della platea delle persone interessate e l'incremento del valore del contributo economico nei limiti delle risorse, appunto, di cui potrà disporre il Fondo. Si parte dalle famiglie con minori o con gravi disabilità o con donne in stato di gravidanza, mettendo al centro il contrasto alla povertà infantile come dramma nel dramma e dai nuclei in cui ci siano disoccupati con oltre 55 anni di età, la cui attivazione e ricollocazione lavorativa è, obiettivamente, più difficile.
Come si diceva, il disegno di legge è stato discusso ed emendato dalle Commissioni XI e XII, con un confronto costante con il Governo e con un clima di collaborazione tra i gruppi sia di maggioranza che di opposizione, pur con diverse opzioni di fondo e differenze su singole questioni. È stato confermato l'impianto del disegno di legge, ma migliorandolo e rendendolo più efficace e chiarendo alcune questioni controverse. Mi soffermo soltanto su alcune delle modifiche, oltre a quelle già citate, frutto del lavoro delle Commissioni, senza ripercorrere l'insieme dei contenuti e tralasciandone altri sui quali la collega Piazzoni si soffermerà in modo più puntuale. Una prima questione: è stato chiarito che l'ambito a cui ci si rivolge è la povertà assoluta, intesa come impossibilità di disporre dell'insieme dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso. Esiste, più in generale, ne siamo consapevoli, la necessità di intervenire per evitare l'impoverimento di rilevanti fasce di popolazione, soprattutto per la perdita del lavoro, ma questo attiene ad altri ambiti, quello dell'efficacia degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro o dell'avvicinamento alla pensione per i lavoratori anziani senza lavoro o le politiche abitative e così via. Sono terreni su cui dovremo intervenire, sono i contenuti di quel cantiere sociale di cui ha parlato anche recentemente il Presidente del Consiglio al quale dedicare attenzione, carattere di priorità, risorse. La seconda questione è a proposito di uno dei temi su cui si è accesa la discussione all'indomani dell'approvazione del disegno di legge in Consiglio dei ministri distogliendo l'attenzione, va anche detto, tra l'altro, rispetto al cuore del provvedimento, a proposito dunque del riordino delle prestazioni in essere. Con gli emendamenti approvati nelle Commissioni è stato definito l'ambito in cui avverrà il riordino e cioè quelle di natura assistenziale, finalizzata al contrasto della povertà, realizzando, innanzitutto, un importante chiarimento sulla distinzione tra previdenza e assistenza. Si è posto da subito il problema di rendere chiaro che le prestazioni previdenziali saranno escluse da quel riordino e lo ha fatto anche il Governo con un proprio emendamento oltre che diversi gruppi in Commissione. Le prestazioni previdenziali e quelle assistenziali appartengono ad ambiti diversi; la separazione tra previdenza e assistenza è uno dei cardini di un sistema sostenibile. La separazione chiara tra l'ambito della previdenza e quello dell'assistenza è necessaria non perché siano intangibili le prestazioni previdenziali ma perché le esigenze di intervento sulla previdenza, soprattutto per prefigurare un sistema sostenibile per i più giovani, richiedono che l'eventuale frutto dei riordini rimanga all'interno del suo perimetro, dal quale sono state tratte ingenti risorse negli anni scorsi per affrontare le condizioni drammatiche del debito pubblico, per cassa e non per equità, se posso così dire. La solidarietà tra generazioni ci dovrà spingere a valutare come sia possibile intervenire con meccanismi di solidarietà interna al sistema e anche della fiscalità generale per evitare che il futuro di chi ora è giovane sia per definizione un futuro da pensionato povero. Nel definire il perimetro del riordino delle prestazioni assistenziali, oltre a confermare l'esclusione di quelle relative alla disabilità, è stato precisato che esso non riguarderà le prestazioni a sostegno della genitorialità e della famiglia. Pag. 46Anche il riordino di questa materia è utile e anche urgente, ma è giusto tenerlo fuori da questo provvedimento, avendo, tra l'altro, anche rilevanti implicazioni di natura fiscale. Inoltre, l'impostazione di tutto il provvedimento che fa perno sull'attivazione delle persone motiva l'esclusione della popolazione anziana per cui esiste già e va valorizzata una misura di contrasto alla povertà, l'assegno sociale, che ha regole rigorose, il cui utilizzo è davvero limitato a fasce di reddito molto basse e che comunque attribuisce già alla lotta alla povertà oltre 4 miliardi e mezzo di euro.
La terza questione che voglio mettere in evidenza è che con il lavoro delle Commissioni è stato precisato che la misura individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale è costituita sia da un contributo economico sia dal lavoro dei servizi per la presa in carico delle persone e dei nuclei familiari.
Per quanto riguarda l'assistenza, abbiamo vissuto una stagione lunga nella quale lo Stato ha esercitato la propria funzione prevalentemente attraverso trasferimenti monetari destinati a categorie definite di persone e l'intervento del volontariato e del privato sociale ha spesso sostituito lo Stato nel rapporto con la presa in carico delle persone, nonostante molte esperienze positive in diverse regioni e comuni, che vanno comunque sempre tenute presenti e valorizzate.
Rispetto a questo quadro, negli anni si sono prodotte delle evoluzioni, e in questo cammino, che ha dimostrato tante contraddizioni e anche cambiamenti, si inserisce come una vera novità l'iniziativa legislativa sul contrasto alla povertà di cui ci stiamo occupando. Una vera novità, però, solo se saremo in grado di rendere efficace il lavoro del sistema dei servizi. Le risorse del Fondo sono destinate interamente al sostegno economico alle persone. Il rafforzamento dei servizi è indicato come un fatto necessario, cui indirizzare le risorse dei fondi strutturali comunitari, ma l'innovazione del sistema non ci sarà se tutto sarà caricato sui servizi sociali tradizionalmente intesi, diciamo così, e non si darà sostanza ed efficacia alle politiche attive per il lavoro e ai servizi per il lavoro in particolare.
Gli interventi di riforma delle politiche per l'impiego attendono ancora che sia realizzato quell'investimento finanziario e politico di cui c’è urgenza. Infine, mi preme sottolineare che con il lavoro delle Commissioni sul testo sono stati rafforzati anche gli strumenti di monitoraggio, controllo, promozione dell'efficienza del sistema informativo delle prestazioni sociali e dello scambio tra le diverse amministrazioni, e anche della fruibilità dei dati a disposizione; non sono dettagli o elementi di contorno. Il Parlamento, con la scelta della procedura rafforzata per l'espressione dei pareri sui decreti legislativi che daranno attuazione alla legge delega, intende assumersi una responsabilità forte nel cammino che stiamo intraprendendo, in uno spirito di piena collaborazione con il Governo, ma di coinvolgimento del Parlamento, e con una relazione costante e proficua, come lo è stata in questa fase, con le rappresentanze sociali del mondo che lavorano per sostenere le persone nel loro cammino per uscire dalla povertà e dalla deprivazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la Commissione affari sociali, deputata Ileana Piazzoni. Prego, onorevole Piazzoni.

ILEANA CATHIA PIAZZONI, Relatrice per la maggioranza per la XII Commissione. Grazie, Presidente. La collega Giacobbe ha descritto perfettamente il contenuto del disegno di legge. Io vorrei soffermarmi sul quadro generale in cui si inserisce quanto andiamo a discutere in Aula, confidando che anche le opposizioni vogliano soffermarsi su quegli elementi che caratterizzano il dibattito sul welfare europeo e italiano da moltissimi anni, senza scadere nella propaganda disgiunta dal merito. Il disegno di legge disegna una misura universale di contrasto alla povertà, a cui arrivare con il graduale aumento Pag. 47del Fondo istituito con la legge di stabilità del 2016. Abbiamo fatto la scelta di disgiungere il dibattito sulla prima misura universale di contrasto alla povertà da quello sulla riforma della spesa per l'assistenza, proprio per evitare che l'importanza della creazione di un intervento così determinante potesse essere offuscata dalle polemiche che inevitabilmente qualsiasi intervento di bilancio suscita.
Quella delle risorse necessarie è una discussione che dovrà essere affrontata, naturalmente, ma non dobbiamo cadere nell'errore di ridurre la discussione a una mera questione economica. Proverei, dunque, a partire da ciò che accomuna tutti i Paesi europei e anche le proposte di legge sul tema del contrasto alla povertà depositate in questa legislatura dai vari gruppi politici: la condizionalità alla prova dei mezzi, calcolata sulla base del nucleo familiare, e all'accettazione di progetti di reinserimento lavorativo e sociale. Un reddito minimo di inserimento, con queste caratteristiche, declinato in forme molto diverse tra loro, è presente in tutti i Paesi europei, e esistono varie raccomandazioni e risoluzioni dell'Unione Europea che spingono nella direzione dell'introduzione obbligatoria di una misura di reddito minimo in tutti i Paesi.
In nessun Paese, invece, né in Europa né nel mondo, esistono esperienze di reddito di cittadinanza, che è un reddito di base elargito dalla comunità a tutti i suoi membri su base individuale, senza prova dei mezzi o richiesta di impegno al lavoro. Vale a dire che verrebbe assegnato allo stesso modo a poveri e ricchi, che non sarebbe condizionato a nessun impegno e che l'importo sarebbe uguale per tutti, a prescindere dall'ammontare del reddito del destinatario. La stessa unica esperienza dell'Alaska, in cui si suddivide in parti uguali una parte dei proventi della vendita del petrolio, è piuttosto ascrivibile a un esperimento di dividendo sociale piuttosto che di reddito di cittadinanza.
Senza nulla togliere alla legittimità dell'ipotesi di una misura siffatta, dobbiamo dirci che ci troveremmo in un campo mai esplorato e che pone, al di là dei problemi relativi alle enormi risorse necessarie alla copertura e al conseguente cambiamento strutturale di tutto il sistema fiscale e di quello di welfare, seri problemi etici e di compatibilità costituzionale, perché dovremmo ipotizzare una società divisa in due gruppi, uno che lavora e l'altro che potrebbe scegliere di non farlo, e dovremmo considerare attentamente le ricadute sul sistema produttivo, una volta modificato profondamente il valore che la società attribuisce al lavoro.
Questioni enormi, serie, che, però, non sono all'ordine del giorno, perché anche chi si dice favorevole al reddito di cittadinanza, come il MoVimento 5 Stelle, ammette che, per poter attuare il modello ideale di un reddito universale, individuale e incondizionato, occorre una radicale riforma dell'ordinamento tributario e del sistema sociale, e pertanto propone un reddito minimo condizionato alla prova dei mezzi e all'obbligo di attivazione, teso a combattere la povertà e l'esclusione sociale. Credo che definire una proposta di reddito minimo con l'appellativo di reddito di cittadinanza serva solo a creare confusione, sia una forzatura che non aiuta a confrontare le posizioni in campo.
Quello su cui si deve ragionare e su cui ci si può dividere è come realizzare una misura di contrasto alla povertà in un Paese, l'Italia, che ha visto molti tentativi, per ragioni diverse, fallire. Noi siamo convinti che occorra affrontare il tema facendo tesoro dell'importante lavoro messo a punto da tanti esperti del settore e tenendo conto delle esperienze, peraltro, come detto, molto diverse tra loro, degli altri Paesi europei, a cominciare dalla scelta della soglia, che, come ha detto Anna Giacobbe, riteniamo giusto individuare nella povertà assoluta, definita nel provvedimento come la condizione in cui non si dispone di sufficienti beni e servizi tali da garantire una vita dignitosa, e non in quella relativa, che è indicata, secondo la definizione Eurostat, come il 60 per cento del reddito mediano.
La maggior parte dei Paesi europei ha misure di contrasto alla povertà che coprono una quota di reddito che si attesta Pag. 48mediamente attorno al 50 per cento, e non al 100 per cento della soglia di povertà relativa. Naturalmente, si può essere in disaccordo con questa impostazione, purché si tenga conto della realtà. Nulla può impedire di proporre soluzioni più impegnative di quella dei Paesi europei che gestiscono misure di reddito minimo da decenni. Noi, però, preferiamo attestarci su ciò che riteniamo possibile e praticare una via che tenga conto dell'esperienza degli altri Paesi e della situazione specifica italiana, perché non è che in Italia non sia mai esistita una politica di contrasto alla povertà.
A livello nazionale ha avuto, tuttavia, un approccio categoriale e, oltre agli interventi per disabili e anziani, ha visto nascere molti provvedimenti particolari, rivolti a piccoli segmenti di popolazione. La politica del minimo vitale, cioè rivolta a tutti, invece, è stata delegata agli enti locali, che hanno fatto fronte al compito nei modi più diversi, creando una situazione di inaccettabile disparità tra un territorio e l'altro. Abbiamo, così, una selva di direttive o leggi regionali e di regolamentazioni dei comuni tutte basate su criteri diversi per l'accesso, l'importo, la durata e così via. Se vogliamo davvero arrivare al traguardo di una misura unica, che garantisca gli stessi diritti a tutti coloro che si trovano nella medesima situazione di difficoltà, non si può prescindere dall'interazione con questo quadro.
È, quindi, fondamentale la scelta di puntare, per la gestione della misura, su una forte collaborazione tra i vari livelli istituzionali – Stato, regioni e comuni – e a una forte integrazione tra soggetti diversi – comuni, centri per l'impiego, ASL, terzo settore, eccetera – a livello degli ambiti territoriali, così come individuati dalle leggi regionali in recepimento delle indicazioni della legge n. 328 del 2000. È in questi ambiti territoriali che si sono sviluppate le migliori competenze per gestire un nuovo modello di welfare, incentrato sull'attivazione dei destinatari e sulla partecipazione alla progettazione di tutti coloro che operano concretamente nel settore. Certo, c’è molta strada da fare e, anche qui, non è solo questione di risorse. Si parla spesso dei 21 diversi sistemi di welfare che caratterizzano ormai il nostro Paese, mettendo in luce le grandi differenze che si sono create sul territorio nazionale a discapito della garanzia dei diritti sociali di tutti i cittadini.
Dato che i trasferimenti statali alle regioni dei fondi per le politiche sociali sono proporzionalmente gli stessi, occorre andare più a fondo nell'analisi dei motivi di questa disparità. Di sicuro si tende a sottovalutare il ruolo che la modalità di gestione svolge nell'efficacia del sistema di welfare locale. Le regioni che hanno agito nel senso di sostenere forme di gestione associata e stabile tra i comuni sono quelle in cui i risultati delle politiche sociali e sociosanitarie risultano migliori, ma in questi anni non sono state poche le norme dettate dal legislatore nazionale che hanno contribuito a complicare il quadro normativo e posto rilevanti difficoltà per alcuni modelli di gestione associata operanti in diversi territori con ottimi risultati. Per questo, nel disegno di legge abbiamo inserito norme finalizzate a mettere regioni e comuni nelle condizioni di poter scegliere le forme di gestione più efficaci che sole possono garantire la stabilità del personale specializzato, capace di mettere in atto una governance dei servizi basata su programmazione, gestione, monitoraggio e valutazione, inserendola nella stretta collaborazione con gli altri servizi e soggetti territoriali, così per rendere effettiva la presa in carico delle persone in stato di bisogno.
Sappiamo che anche la lotta alla povertà, e ancor prima il rischio di impoverimento, non si esaurisce in una misura universale di reddito minimo; dagli ammortizzatori sociali alle politiche attive, dalle politiche abitative a quelle sanitarie, dagli interventi per la non autosufficienza al sostegno alla famiglia, sono solo le questioni più importanti che interagiscono profondamente con le possibilità di successo della nostra misura. Sono tanti i provvedimenti già assunti, e che dovremo assumere, per raggiungere i risultati che ci Pag. 49proponiamo. È molto importante non riversare sulla misura di contrasto alla povertà aspettative che devono essere assicurate da vari strumenti di welfare e va anche evitato di scegliere indicatori sbagliati per valutarne l'efficacia. L'obiettivo è la diminuzione della povertà e ottenere l'inclusione sociale, il tasso di reinserimento lavorativo non è l'unico fattore da tenere in considerazione. Peraltro, la scelta di dare priorità ai nuclei familiari con minori deriva proprio dalla scelta di puntare innanzitutto sulla possibilità di cambiare le opportunità di vita di quest'ultimi. Vorrei essere chiara: agire nell'aspettativa di ottenere, da subito, risultati paragonabili a quelli raggiunti da Paesi come Danimarca e Olanda, per fare solo alcuni esempi, che non hanno problemi di alta disoccupazione e di arretratezza strutturale di intere parti del territorio, significa non darci nessuna chance di cambiamento, che può avvenire solo con pazienza, misura, conoscenza della realtà e anche un po’ di buonsenso. Sempre per la chiarezza, lo dico con estrema tranquillità: stiamo compiendo un primo passo, non siamo al traguardo. Ma dopo tanti anni in cui il grande progetto riformatore degli interventi e dei servizi sociali, dettato dalla legge n. 328 del 2000, è stato disperso dalla noncuranza di Governi che hanno portato i fondi destinati alle politiche sociali quasi all'azzeramento, riducendo il concetto welfare a una visione caritatevole dell'assistenza, oggi finalmente oltre a rimettere un consistente segno più davanti agli stanziamenti, intraprendiamo una strada da cui confidiamo sarà impossibile tornare indietro.
A tutti coloro che credono nel valore fondamentale del welfare al punto di dedicarvi tempo e fatica, ben oltre gli obblighi di lavoro, chiediamo di aiutarci in questo cammino che non sarà semplice, ma potrà ricostruire il senso delle nostre comunità verso quella visione solidale e fondativa del modello sociale europeo di cui dobbiamo andare fieri (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Cominardi.

CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza per la XI Commissione. Grazie Presidente. Siamo in una situazione emergenziale in Italia per quanto riguarda i dati sulla povertà, basta tenere conto che, dal 2008 ad oggi, il numero di bambini sotto la soglia di povertà è triplicato, siamo a oltre un milione. Quindi cosa ci aspettavamo e cosa ci aspettiamo ? Una terapia d'urto, una terapia d'urto in un Paese come il nostro che ha sempre investito male e troppo poco per l'inclusione sociale e per il contrasto alla povertà. Da questa legge delega ci aspettavamo un qualche cosa di più importante, tenuto conto che, insieme alla Grecia, siamo l'unico Paese che non ha adottato un vero reddito di cittadinanza, che tra l'altro è la nostra prima proposta, il nostro primo punto nella nostra agenda politica. Qui vediamo invece uno stanziamento di 600 milioni di euro nel primo anno, e di un miliardo di euro per il 2017, che comunque ha dei caratteri sicuramente non universalistici, e questo è un problema, e che non è individuale, non è legato alla persona, e questo è un altro problema. Abbiamo cercato di portare in sede di Commissione una discussione in modo tale da migliorare il testo e dei risultati siamo riusciti anche ad ottenerli. Di fatto, quando parlavamo della cosiddetta «prova dei mezzi» per quanto riguarda sia le prestazioni di natura assistenziale, che previdenziale, ad un certo punto, si è riusciti ad avere questo emendamento che ha modificato il testo. Quindi effettivamente quando facevamo notare le prime criticità e il Governo ci tranquillizzava, dicendo che il testo così com'era non era da chiarire ulteriormente, probabilmente abbiamo avuto anche ragione.
Quindi c’è anche il discorso dell'universalismo selettivo che seppure eliminato formalmente nel testo, secondo noi, rimane nella sostanza. È così per quanto riguarda la riformulazione di quella parte del testo in cui si parlava appunto delle Pag. 50prestazioni di natura assistenziale e previdenziale: nel momento in cui si modifica il sistema delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, con la definizione di «riordino», noi qualche preoccupazione di fondo ce l'abbiamo ancora. È evidente come dal riordino si intendono trovare ulteriori risorse, però queste ulteriori risorse vogliamo capire se vengono realizzate a fronte magari delle riduzioni sempre di queste prestazioni. Questo è un dubbio che rimane finché non vedremo nero su bianco l'evidenza di ciò di cui vi sto parlando, nel senso che qua effettivamente abbiamo delle indicazioni di tipo generico, con termini del tipo «eventualmente», che lasciano un eccesso di delega al Governo. Come emerge dalla nostra relazione, l'inciso «l'ISEE ed eventualmente le sue componenti» dimostra che il Governo è consapevole che l'esclusivo utilizzo dell'ISEE, anche a seguito di una sua definitiva definizione, non è adeguato a fotografare fedelmente la condizione di povertà del Paese e lasciare in una delega indicazioni così generiche, ovvero «eventualmente» e «componenti», sembra quasi voler dire che non si sia in grado e non si voglia definire quali altri parametri impiegare.
Quindi, dalla nostra analisi critica, come detto a cappello dell'intervento, emerge come sia poco il coraggio da parte del Governo nell'investire delle risorse per l'inclusione sociale, per il contrasto alla povertà. Nella proposta del reddito di cittadinanza sono previsti 17 miliardi di euro, di cui circa un miliardo e mezzo investito nei centri per l'impiego; si va ad intervenire su una riorganizzazione dei centri per l'impiego con degli investimenti importanti, si lavora appunto sull'incrocio della domanda e dell'offerta di lavoro. Noi abbiamo un decimo dei dipendenti che ha la Germania nei centri per l'impiego. Ovviamente il lavoro è uno dei primi strumenti per l'inclusione sociale. Invece con le politiche che sono state fatte ad oggi, come con il Jobs Act, ci siamo ritrovati con una parcellizzazione ulteriore del mercato del lavoro, una frammentazione dei contratti, con il risultato nel 2015 di 115 milioni di voucher prodotti. Questo non ci può far altro che preoccupare perché i dati sono inquietanti: l'ISTAT parla di 3 milioni di disoccupati, di 3 milioni di persone che non cercano impiego, ma sono disponibili a lavorare e in ambito pensionistico, perché poveri sono anche i pensionati, ricordiamocelo, abbiamo 7,2 milioni di pensionati, il 17 per cento, che può contare su un reddito sotto i 500 euro. Di questi ne vogliamo parlare ?
Il MoVimento 5 Stelle ha fatto comunque degli interventi propositivi con degli emendamenti nei quali l'obiettivo era sicuramente sostituire questa delega con quelli che sono i principi ispiratori della nostra proposta madre, legata al reddito di cittadinanza. Inoltre, abbiamo chiesto, ad esempio, di diminuire le aliquote IRPEF, abbiamo chiesto di rivedere i parametri ISEE, e abbiamo chiesto quello che aveva proposto Renzi, che si è fatto campagna elettorale con il bonus di 80 euro e a un certo punto ha promesso che questi 80 euro li avrebbe destinati anche ai pensionati; lo abbiamo messo anche alla prova però questo emendamento è stato bocciato. Ovviamente noi sappiamo che questo provvedimento è un collegato alla legge di stabilità e sappiamo che con legge di stabilità si muove quello che è il bilancio del nostro Paese e che spesso determinate risorse potrebbero essere utilizzate meglio. Posso sapere quanto tempo ancora ho a disposizione, per cortesia ?

PRESIDENTE. Quasi tre minuti.

CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza per la XI Commissione. Quando noi parliamo di reddito di cittadinanza parliamo di una proposta di buonsenso. Ce lo dicono raccomandazioni europee datate 1992; ce l'hanno tutti i Paesi europei tranne noi e la Grecia; riattiverebbe i moltiplicatori keynesiani cioè farebbe bene anche alle nostre imprese perché chi vive sotto la soglia di povertà relativa, se ha due soldi in più, li spende e li rimette nel mercato. Quindi non si chiede nulla di straordinario, si chiede solo una volta tanto di dare retta all'Europa quando non Pag. 51ci chieda solo politiche dell’austerity ma ci chiede di far fronte ad un'emergenza che stiamo evitando, il contrasto alla povertà.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la XI Commissione, deputata Martelli.

GIOVANNA MARTELLI, Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Grazie, signora Presidente. Oggi con la discussione sulle linee generali iniziamo il confronto e il lavoro sul disegno di legge relativo al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali. È un atto legislativo importante che interviene e incide sulla vita di milioni di donne e di uomini che vivono lo stato di impoverimento nel nostro Paese. L'Istat ha rilevato che in Italia vivono in condizioni di povertà 4.102.000 donne e uomini. Il fenomeno è più diffuso e persistente nel sud dove vivono 1.900.000 donne e uomini poveri. Livelli elevati di povertà assoluta in particolare sono segnalati per le famiglie con cinque o più componenti, soprattutto se coppie con tre o più figli. L'incidenza di povertà assoluta diminuisce con l'aumento della scolarità della persona: se questa è almeno diplomata, l'incidenza è quasi un terzo di quella rilevata tra chi ha la licenza elementare. La povertà minorile: sono più di un milione le bambine e i bambini poveri, il doppio rispetto a quanto stimato nel 2011, quasi il doppio, e il triplo rispetto a quello del 2008. Nonostante l'assegno per il nucleo familiare venga erogato a oltre 230.000 famiglie con tre o più figli minori, il 18,6 per cento delle famiglie di questa tipologia continua a essere in povertà assoluta. È in questo quadro che si colloca la delega al Governo per il contrasto alla povertà che nel suo testo originario aveva come obiettivo quello di ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo più adeguato ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell'accesso alle prestazioni, introducendo il principio dell'universalismo selettivo che di per sé è già discriminante. Diamo atto alle relatrici che, nel corso dell'esame del provvedimento, hanno compreso come il principio dell'universalismo selettivo, inserito nel contesto di una delega come contrasto alla povertà, rappresentava un vulnus che il gruppo di Sinistra italiana, insieme ad altri gruppi, ha stigmatizzato sia con interventi in Commissione sia con proposte emendative tanto che, nel testo approvato dalle Commissioni, è stato modificato. Le finalità della delega, alle quali è destinato un miliardo di euro stanziato a partire dal 2017, si possono riassumere in sintesi nell'introduzione di una misura unica di contrasto alla povertà, nella razionalizzazione degli strumenti e dei trattamenti esistenti, nel riordino della normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali. Il miliardo di euro, formalmente stanziato a partire dal 2017, è soltanto una piccolissima parte dei 7 miliardi che sarebbero necessari per sostenere realmente le donne e gli uomini in povertà assoluta. L'insufficienza delle risorse stanziate, se rapportate a 1.470.000 famiglie in povertà assoluta rilevata dall'Istat, ci restituiscono un intervento di 680 euro all'anno per ogni beneficiario, circa 56 euro al mese, per persone in povertà assoluta. Di fatto le scarse risorse destinate al contrasto alla povertà diventano di per sé un fattore di selezione. Anche la graduale estensione dei beneficiari e di un graduale incremento del beneficio rischia di essere una previsione vuota quando, come in questo caso, non si indicano obiettivi di stanziamenti ulteriori che incrementano il Fondo.
Del resto si prevede che gli unici incrementi di risorse per il Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale possano derivare solo e per effetto degli interventi di riordino delle prestazioni e pertanto di un ulteriore ridimensionamento dell'infrastruttura sociale. Diamo atto del miglioramento operato nel corso dei lavori delle Commissioni rispetto al testo del disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri. In particolare, anche grazie alle proposte del gruppo di Sinistra Italiana, sono intervenute modifiche che contribuiscono nella sostanza ad arricchire il testo: la cancellazione dal Pag. 52testo della razionalizzazione delle prestazioni previdenziali; la sostituzione della razionalizzazione delle prestazioni con il riordino; l'omogeneità della misura, introducendo il richiamo ai principi disciplinati dalla legge n. 328 del 2000; un sistema di controllo di competenza dell'INPS. Nonostante i miglioramenti, per l'insufficienza delle risorse e la mancanza di chiarezza sul riordino delle prestazioni questa misura non ha la caratteristica di un intervento strutturale e strategico a contrasto della povertà. Da questo deriva la nostra opposizione al provvedimento in esame perché il gruppo di Sinistra Italiana non considera la lotta alla povertà e all'inclusione sociale lavorativa un intervento condizionato alle risorse disponibili. Per i motivi esposti, in alternativa alla inadeguata e insufficiente misura unica di contrasto alla povertà, il nostro gruppo ha proposto l'istituzione del reddito minimo garantito attraverso un'adeguata e congrua copertura che, non a caso, è passata al vaglio dell'ammissibilità. La nostra è una proposta strutturale, universale e con una copertura che consentirebbe l'istituzione fin dal 2017: il reddito minimo garantito, da noi proposto con risorse adeguate, è una misura capace di arginare concretamente la condizione di povertà di milioni di persone, una misura strutturale contro la crisi in chiave anticiclica e antirecessiva, un meccanismo a garanzia del diritto al reddito di tutte le persone che vivono in uno stato di povertà. La sussistenza di milioni di persone è messa a repentaglio dalle crisi e dalle politiche economiche di austerità. Si tratta di una proposta, quella del reddito minimo garantito, presente nella maggior parte dei Paesi europei e in linea con le indicazioni in materia del Parlamento europeo. Il reddito minimo garantito, come proposta di sostegno economico ai soggetti disoccupati o precariamente occupati o in cerca di prima occupazione, integrato da beni e servizi a carico degli enti locali. Del resto, proprio in questi giorni, si è avviata la discussione nelle Commissioni riunite Lavoro e Affari sociali sulla consultazione relativa al pilastro sociale europeo dei diritti sociali, finalizzato alla prima stesura del pilastro dei diritti sociali. La creazione di un pilastro sociale europeo sui diritti sociali si è inserita nella discussione sulla creazione di standard minimi europei per i diritti sociali: una consultazione a livello europeo che sta coinvolgendo istituzioni parlamentari, amministrazioni pubbliche, sindacati, associazioni e singoli cittadini dell'Unione europea. Nel testo del pilastro sociale è citato proprio un reddito minimo garantito: una discussione quindi di attualità su un punto strutturale di contrasto alla povertà, il reddito minimo da erogare alle posizioni in condizione di povertà o a rischio di povertà. Il reddito minimo è oggi la modalità attraverso la quale la maggior parte dei Paesi aderenti all'Unione Europea affronta i percorsi di affrancamento dalla povertà e la stessa Unione europea lo pone come uno dei punti centrali del pilastro sociale. Al contrario si preferisce ottenere una delega dal Parlamento per una misura insufficiente che si rivolge solo a una parte di coloro che sono in povertà assoluta destinando a risorse inadeguate. Una delega che non realizza alcun investimento sul capitale umano e non interviene, nell'impostazione politica del provvedimento, su tre pilastri fondamentali che fanno emancipare le comunità dall'impoverimento: investimento economico, culturale e sociale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la XI Commissione, deputato Simonetti.

ROBERTO SIMONETTI, Relatore di minoranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Noi non abbiamo aderito a questa relazione di maggioranza su questa delega al Governo su queste materie che sono la misura nazionale di contrasto alla povertà, il riordino delle prestazioni di natura assistenziale e il riordino della normativa in materia di sistemi, interventi e servizi sociali, per una serie di motivazioni che sarò qui ad elencare. Innanzitutto fortunatamente abbiamo risolto il problema della razionalizzazione delle prestazioni pensionistiche in modo tale Pag. 53che questa di natura previdenziale è stata rimossa dopo una serie di contrasti che, sia in Parlamento che all'esterno del Parlamento, sono arrivati alle orecchie del Ministro e del Ministero, tanto che c’è stato anche un emendamento da parte del Governo, che tra l'altro era anche extra delega, diciamo così, già all'inizio perché nel testo della legge di stabilità si parlava di una razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e non già allora previdenziali. Quindi c’è stata una forzatura voluta, nel trasporto del comma, se non sbaglio 388 dell'articolo 1 della legge di stabilità, alla stesura della legge delega; il Governo volle inserire quella parte legata alla previdenza che fortunatamente poi è stata espunta, visto il grande contrasto sia parlamentare, delle minoranze e di parte della maggioranza, che esterno a questo Parlamento su questa iniziativa. Per quanto riguarda le quantificazioni è già stato ricordato che sono 600 milioni per quest'anno, di cui però già 220 non legati a questo Fondo per la lotta al contrasto alla povertà, ma destinati al rifinanziamento dell'assegno di disoccupazione, mentre per l'anno prossimo è previsto 1 miliardo, a decorrere dal 2017. Il discorso è che però, se facciamo delle divisioni rispetto ai dati che l'Istat purtroppo ci fornisce, ossia nel 2014 sono 1 milione e mezzo le famiglie residenti, il 5, quasi 6 per cento, del totale che vivono in condizione di povertà assoluta, quindi si sono moltiplicate quasi per 4,4 milioni le persone che vivono in una situazione di povertà assoluta, se noi dividiamo queste cifre per 1 miliardo, vediamo che sono 680 euro all'anno per famiglia e, se dividiamo invece per 4 milioni 1 miliardo, fa 250 euro all'anno che, diviso per 365, sono 0,69 centesimi, che sono decisamente meno dei 35 euro che al giorno, si spende per l'accoglienza dei clandestini. Quindi voglio dire che la vita e il valore sociale di un cittadino indigente probabilmente vale 0,70 euro al giorno, contro i 35 di chi scappa forse da una guerra. Tra l'altro, per quanto riguarda le risorse per implementare questo Fondo di 1 miliardo che, a detta della Conferenza unificata delle regioni, dovrebbe essere almeno di 7 miliardi per riuscire ad avere i LEP così come si dovrebbe prevedere, così come le quantificazioni che vengono dai servizi studi delle regioni dicono che non sono sufficienti 7 miliardi aggiuntivi rispetto alla spesa attuale, aggiungerne solo uno è ovviamente un passo in avanti ma non è un passo risolutivo. È chiaro che non è attraverso la razionalizzazione, che poi si è trasformata in un riordino, delle prestazioni assistenziali che si riuscirà ad implementare questo Fondo di un miliardo quindi sarebbe interessante che la maggioranza ci dica dove andrà a prendere ulteriori risorse aggiuntive perché dal riordino non arriverà nulla. Io spero che ne arrivi il meno possibile perché razionalizzare prestazioni assistenziali significava fare una guerra fra poveri, andare a togliere a chi già riceveva qualcosa ma che comunque doveva essere sempre in una situazione di indigenza. Per l'accesso ai benefici, un'altra delle problematiche che evidenziamo è sui controlli. Innanzitutto la delega partiva dal concetto di universalismo selettivo alla prova dei mezzi, poi si è arrivati solamente all'universalismo, alla prova dei mezzi e poi vediamo che prova dei mezzi. Io sono contrario a togliere il selettivo, io sono contrario perché io non condivido che si debba fare un provvedimento a pioggia anche perché altrimenti si potrebbero avvantaggiare anche chi non si posiziona nei decili inferiori della distribuzione, quindi un'erogazione del beneficio universale comporterebbe anche benefici per le classi medio-alte di questa purtroppo classifica sempre più numerosa.
Noi non consideriamo quindi l'universalismo una bontà, non lo consideriamo anche perché questo può portare a una sorta di reddito di cittadinanza anche per chi non fa nulla per vivere e noi siamo completamente contrari a questo modello di società in cui il pubblico deve tutto, anche a chi non si prodiga a trovarsi un lavoro, a uscire da questa situazione di indigenza. Se non scatta il desiderio di essere imprenditore di sé stesso, significa che lo Stato ha fallito. È chiaro che fra Pag. 54una visione come quella del MoVimento 5 Stelle, in cui lo Stato deve dare tutto, e una visione del laissez-faire, della mano libera del mercato e dei liberisti c’è una via di mezzo che è quella di cercare di sviluppare il senso sia civico che imprenditoriale dei cittadini in modo tale da dare la possibilità, attraverso strumenti adeguati, di poter essere anche loro partecipi alla vita produttiva del Paese, perché non esiste il diritto universale e il diritto individuale soprattutto nel reddito minimo di cittadinanza. L'articolo 36 della Costituzione dice che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, non che deve restare a casa ed essere retribuito perché sta a casa. E quando il comma della Costituzione termina con «in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa» fa riferimento alla retribuzione, non a una prebenda così che gli piove addosso senza nessuna contropartita. Quindi non si risolve con il reddito minimo il problema della povertà, ma con l'implementazione dei posti di lavoro, del PIL, della ricchezza, della crescita. Quindi probabilmente bisognerebbe puntare molti più fondi anche sulla partita della crescita dell'economia di questo Paese. Quando poi avete toccato la parte della prova dei mezzi, avete indicato l'ISEE e c’è stato un po’ di dibattito in Commissione; io ho evidenziato che sarebbe stato importante prendere solo una parte dell'indicatore della situazione economica equivalente, quella legata al reddito e non quella legata al patrimonio. La risposta che ho ricevuto è stata quella di aggiungere nel testo «ed eventualmente le sue componenti». Io avrei aggiunto una parte in più, «alle sue singole componenti», in modo tale da dare la possibilità al Governo di scegliere solo la parte reddituale non patrimoniale, perché ricordo all'Aula ma soprattutto a me stesso che con i mattoni, se non sono investiti e se non danno reddito, non ci si può cibare. Quindi, se uno ha una casa di proprietà...lei mi sorride, relatrice, però il problema di fondo è che con i mattoni non si mangia, si può mangiare se sono affittati e se danno reddito, ma se è solo patrimonio, mangiarsi la calce non dà sussistenza alimentare. Noi siamo contrari alla delegazione perché è un metodo al quale questa maggioranza purtroppo ci ha abituati – non siete i primi, probabilmente non sarete neanche gli ultimi – però io credo si debba sottolineare il ruolo centrale del Parlamento su questi argomenti; avremmo potuto benissimo fare una legge direttamente noi senza delegare, in maniera così ampia e indistinta al Governo, di decidere per quello che avremmo potuto già decidere noi, perché noi abbiamo di fatto dato mandato al Governo di definire la misura del contrasto alla povertà, i beneficiari, il beneficio economico, i servizi alla persona, le verifiche, i controlli, praticamente tutto è stato dato alla volontà e alle specificità del Governo. Tra l'altro questa delega dura sei mesi; bisogna mettere d'accordo quattro Ministeri – lavoro, economia, pubblica amministrazione e salute – c’è l'estate, poi nei sei mesi ci saranno le feste di Natale, mancano tre-quattro mesi, io credo che il Governo avrà difficoltà ad attuare. Allo stesso modo anche il caos applicativo sull'organizzazione dei servizi sociali: voi parlate di un’équipe multidisciplinare in cui negli ambiti territoriali si vada a intervenire sui progetti personalizzati, però, a livello territoriale, non si capisce più chi gestisce, a valle della legge Delrio e della costituzione dell'ANPA, i servizi per l'impiego, la formazione e le politiche abitative, ci sono tutte le ATC in fallimento su tutto il territorio, l'istruzione; non si capisce più se sono le province, i comuni, le regioni cioè c’è una sostanziale confusione, che ovviamente farà rallentare tutto questo percorso.
C’è la volontà di centralizzare, un'altra delle differenze che ci sono nella nostra visione rispetto alla vostra: noi avremmo voluto fare più misure, avevamo presentato anche emendamenti per le misure regionalizzate e non volte ad una centralizzazione: più ci si allontana dai problemi e meno si risolvono i problemi; voi allontanate tutto dai territori sia dal punto di vista...

Pag. 55

PRESIDENTE. Dovrebbe concludere onorevole.

ROBERTO SIMONETTI, Relatore di minoranza per la XI Commissione. Sì, un secondo e concludo, grazie Presidente. Anche con la riforma costituzionale togliete deleghe alle regioni per darle allo Stato, con l'ANPAL togliete potere ai territori per centralizzare al Ministero; la cabina di regia: tutto sui servizi sociali e tutto al Ministero.
È chiaro che noi avremmo anche voluto che questa misura fosse fatta esclusivamente per i cittadini italiani o comunitari o extracomunitari residenti in maniera stabile e continuativa sul territorio nazionale da almeno 5 anni, così come ha stabilito anche la Corte di giustizia europea in riferimento alla limitazione che in Gran Bretagna è stata fatta per l'accesso alle prestazioni sociali ed agli assegni familiari, affinché là potessero essere solo dati per i cittadini europei, in modo tale da poter proteggere le proprie finanze.
Fatta così, chiaramente, questa è una legge delega che non risolve il problema, che impoverisce ulteriormente il Paese e che toglie chiaramente la possibilità di risolvere il problema, perché centralizza tutto a scapito dei territori.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la XII Commissione, deputata Di Vita.

GIULIA DI VITA, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. Grazie Presidente. Allora, io farei intanto un passo indietro per contestualizzare meglio questa legge delega ed in particolare lo strumento principale, che sarebbe appunto il sostegno all'inclusione attiva.
Allora, tanto per cominciare questa non è un'idea di questo Governo né tanto meno di questo Parlamento, perché risale ad una sperimentazione che era stata introdotta con un decreto del 2012, sotto sollecitazione dell'Unione europea. Comincia questa sperimentazione, per cui sono stati stanziati 50 milioni, rivolta alle 12 maggiori città italiane con più di 250.000 abitanti; comincia nel 2013, dopodiché si cominciano a raccogliere i primi risultati.
Dato che si tratta di una sperimentazione, chiunque chiaramente, prima di pensare di estenderla o di portarla avanti, vorrebbe conoscere i risultati e la valutazione di questa sperimentazione.
Esce un report sul sito del Ministero del lavoro nel 2014 e si tratta comunque di un report prettamente statistico-quantitativo, quindi vengono descritte le cifre che sono state utilizzate, il numero di beneficiari di quasi tutte le città tranne Roma, perché Roma ha avuto dei problemi per l'attuazione della misura.
Dal punto di vista qualitativo invece non si sa nulla, perché come detto precedentemente dalle relatrici di maggioranza, la differenza che c’è tra questo sostegno all'inclusione attiva e la tipica carta acquisti è che il beneficio economico viene dato corredato da un progetto sociale di reinserimento nel mondo del lavoro, nel tessuto sociale e soprattutto nella sperimentazione ed era rivolto ai minori.
Quindi abbiamo cominciato, come MoVimento 5 Stelle autonomamente, a contattare i singoli dodici comuni per sapere appunto l'andamento di questi progetti sociali, in modo da sapere se questa sperimentazione alla fine è consistita semplicemente nell'erogazione di nuovo sostegno economico o se invece è sfociata in maniera positiva in buoni progetti di reinserimento sociale.
I comuni ci hanno risposto dicendo che avevano accumulato diversi ritardi e quindi i progetti erano ancora in fase di realizzazione, mentre il sostegno economico già era stato erogato ed in molte città, per esempio Palermo e Catania, è stato del tutto esaurito; dopodiché, da parte del Governo non abbiamo ricevuto niente.
Io ho sollecitato diverse volte il sottosegretario Biondelli, però purtroppo ancora non ho ricevuto nulla. Dal dossier della Camera, l'ultimo, datato 8 luglio, viene proprio detto che i dati di questo monitoraggio non sono stati ancora resi noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali però la relazione al disegno Pag. 56di legge delega senza riportare i dati del monitoraggio, sottolinea tutta una serie di aspetti positivi.
Io posso solamente dire che ci fa piacere che i risultati siano stati positivi, però non ci basta sapere che sono stati valutati semplicemente dal Governo e dal Ministero; questi dati positivi li vorremmo anche leggere e le uniche cose, gli unici dati che abbiamo potuto leggere sono stati quelli di 3 comuni che, in sede di audizione, hanno presentato una loro relazione, ovvero Milano, Bari e Bologna; ciascuno di questi comuni ha presentato i punti di forza e di debolezza di questa sperimentazione.
Si tratta chiaramente solamente di appena 3 comuni su 12, quindi anche questa valutazione è abbastanza restrittiva, ma hanno esposto delle criticità che comunque questa legge delega alla fine non ha preso neanche in considerazione. Ad esempio, una delle cose principali che hanno detto è l'accavallamento di diversi sussidi e diversi tipi di sostegno economico alle stesse persone, che ha ridotto la platea di beneficiari.
Quindi alla fine gli idonei erano molto più numerosi di quelli che sono stati i reali beneficiari.
Finita questa considerazione, nel maggio 2006, quindi 2 mesetti fa, è stato adottato un decreto, sempre dal Ministero, di estensione a livello nazionale di questa misura, quindi lo stesso problema che si è presentato e che ho descritto precedentemente: viene deciso di estendere; quindi il ragionamento logico vuole che si fa una sperimentazione, si fa il monitoraggio, si analizzano e si elaborano i dati – non so, forse la mia sarà una deformazione professionale: io, in qualità di ingegnere, ragiono in questo modo – e sui dati di quella sperimentazione decido se estenderlo, come estenderlo e che modifiche fare. Invece, a maggio – quindi sulla base di alcuna valutazione, a parte quella quantitativa che ho citato precedentemente e che risale al 2014 – viene estesa questa misura a tutto il Paese, seppur con qualche aggiustamento, e però nemmeno la relazione tecnica giustifica sulla base di cosa sono stati fatti questi aggiustamenti.
Dopodiché, arriva un disegno di legge delega del Governo, che praticamente fa esattamente la stessa cosa di quest'altro decreto, che invece ha già esteso la misura a tutto il livello nazionale; cioè, io mi sto ritrovando a non capire più quale metodo è stato utilizzato, a prescindere dal metodo della legge delega e che già altri relatori hanno considerato (c’è sempre il fatto di esautorare il Parlamento e di imporre dall'alto delle misure che decide il Governo), ma questo andamento non ha proprio seguito nessun elemento razionale.
Noi siamo ora a parlare di una legge delega, di una misura che già è estesa e semplicemente andrà, diciamo, implementata con gli stanziamenti che in legge di stabilità sono stati ovviamente già definiti.
Chiaramente questo decreto del maggio 2016 ha previsto lo stanziamento di ulteriori 380 milioni, ma perché erano già destinati in legge di stabilità, quindi siete stati praticamente costretti a farlo. Quindi già in legge di stabilità sono state stanziate le risorse economiche per questo piano di lotta alla povertà, ma sempre senza considerare gli esiti di questa sperimentazione.
Quindi, a dispetto di tutti gli annunci del Governo, tutte le misure che sono state varate contro la povertà a noi sembrano largamente insufficienti a coprire tutti quelli che oggi vivono in una condizione di povertà assoluta e tra l'altro non si pongono l'obiettivo di trovare degli strumenti strutturali ed universali di lotta alla povertà nel medio e lungo periodo.
Già altri relatori l'hanno fatto notare: il principe dell'universalismo nell'accesso al beneficio selettivo diciamo che è stato apprezzabilmente soppresso dal testo, di fatto però permane nella sostanza, come tra l'altro dichiarano pubblicamente le relatrici. Infatti, è intenzione delle relatrici prevedere che la misura unica di contrasto alla povertà sia sottoposta alla prova dei mezzi.
Ora, noi semplicemente ci teniamo a sottolineare che nessuna misura può essere universale se è selettiva: una misura Pag. 57di contrasto alla povertà è universale se si rivolge a tutti, almeno a tutti i cittadini poveri; tra l'altro, il testo non definisce la povertà né in termini di povertà assoluta né relativa.
L'intenzione quindi di formare delle categorie tra poveri e selezionare chi abbia la precedenza rispetto ad altri è una forma inaccettabile di discriminazione.
È giusto dare la priorità a chi sta peggio, ma questo non può essere fatto suddividendo la popolazione in mere e asettiche categorie, bensì utilizzando dei parametri appositamente precostituiti per misurare il grado di povertà partendo dai gradi di povertà più alti e via via a scendere.
Ormai il Governo, come accade, abbiamo già visto, nel settore sanitario, ha imboccato la strada praticamente dell'abolizione di fatto dell'universalismo sancito dalla nostra Costituzione, spingendo verso una privatizzazione sempre più massiccia dei servizi socio-sanitari, accessibili quindi solo a chi può permetterselo e negando di fatto i diritti agli altri, checché ne dica la maggioranza.
Se la misura dovrà riguardare tutte le famiglie ed i cittadini in difficoltà, sarebbe stato necessario individuare con chiarezza la soglia del bisogno, quindi i beneficiari della misura, destinare alle misure che si intendono introdurre un'adeguata copertura finanziaria e prevedere soprattutto questo benedetto sistema di verifica del bisogno ed erogazione del sostegno, capace di raggiungere la popolazione senza dover escludere qualcuno o senza dovere imporre delle categorie slegate dal grado di povertà. A tal proposito, non si comprende nemmeno a quale livello di vita dignitoso si fa riferimento ed è per questo che, nella nostra proposta di reddito di cittadinanza, utilizziamo dei parametri ben determinati.
Anche in tal caso, è evidente l'eccesso di delega, perché il Governo potrà poi liberamente stabilire chi è povero e chi non lo è senza dover tenere conto delle soglie indicate, ad esempio – ci limitiamo a fare delle proposte a mo’ di esempio – dall'ISTAT o dall'Eurostat, che comporterebbero, però, giustamente l'impiego di maggiori risorse. Ci si domanda se questo sia voluto.
Suscita, poi, perplessità la previsione di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b), in quanto la capienza del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale risulta assolutamente inadeguata alle esigenze della popolazione. Sarebbe stato opportuno, quindi, il contrario: stimare la platea dei beneficiari e, quindi, poi destinare la copertura finanziaria maggiormente adeguata alle finalità di questo disegno di legge.
Mi accingo a concludere. Chiaramente, durante la valutazione degli emendamenti, entreremo...

PRESIDENTE. Se vuole, può consegnare un testo scritto, comunque.

GIULIA DI VITA, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. Sì, sì. Concludo semplicemente dicendo che noi valutiamo positivo il fatto che finalmente è entrato nel dibattito, chiamiamolo parlamentare, anche se alla fine è governativo, il problema, l'emergenza che ormai oggi è diventata la povertà in Italia. Non sposiamo questa misura, questa soluzione. Però, potrebbe essere un primo passo. Siamo a un bivio: potrebbe essere il primo passo per introdurre, invece, una misura molto più efficace, come quella che proponiamo noi, del reddito di cittadinanza, oppure potrebbe essere il solito strumento di propaganda elettorale da parte di questo Governo, come purtroppo abbiamo visto negli ultimi tempi. Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia relazione (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo. Prego, sottosegretaria Biondelli.

FRANCA BIONDELLI, Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Signora Presidente, Pag. 58onorevoli deputati e deputate, oggi, con questo provvedimento, discutiamo dell'istituzione di una misura nazionale per il contrasto alla povertà basata sul principio dell'inclusione attiva. È un passo importante: per la prima volta nel nostro Paese la povertà è posta al centro di un provvedimento che si pone l'esplicita finalità di contrastarla in maniera strutturale, seppure con gradualità. È anche l'occasione per un riordino delle prestazioni esistenti, che, seppure di portata più limitata rispetto al disegno originario, porterà una maggiore razionalità ed equità complessiva nel sistema del welfare. Inoltre, potranno rafforzarsi meccanismi di coordinamento a livello nazionale, che permetteranno una più efficiente ed efficace gestione dei servizi e ridurranno l'eccessiva frammentazione dell'attuale sistema.
Oggi, per la prima volta, abbiamo predisposto una misura di contrasto alla povertà, una nuova misura che interviene in ambito legislativo su un doppio binario: sostegno al reddito e la presa in carico per far sì che la persona in difficoltà possa uscire da quella condizione.
Il provvedimento prevede la predisposizione, per i beneficiari, di un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa, sostenuto dall'offerta di servizi alla persona. È una misura volta a superare finalmente quella logica di pura assistenza passiva, introducendo una logica basata sul principio dell'attivazione finalizzata all'inclusione sia sociale che lavorativa.
Come ben sapete, il nostro sistema delle politiche sociali da molti anni necessitava di un intervento riformatore. Il nostro Paese è uno dei pochi in ambito europeo a non aver provveduto ad adottare una misura di contrasto alla povertà. Questo Governo ha tentato di farlo. Ha predisposto questa legge delega per la riforma degli strumenti contro la povertà e, per la prima volta, finalmente abbiamo introdotto una misura esplicitamente mirata ad integrare il reddito delle famiglie più povere.
Vorrei precisare che alla base del provvedimento c’è la volontà di garantire livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale e anche per questo si tratta della prima volta nel contesto delle politiche socio-assistenziali, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. L'impianto è, pertanto, pienamente coerente con la Costituzione vigente, nel rispetto dell'autonomia garantita alla regione, ma che guarda oltre, a possibili cambiamenti.
Vorrei ribadire che questo Governo non ha puntato solo sulla logica di interventi settoriali, ma ha favorito un approccio di carattere universale.
Si tratta di una delega che amplia le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali, si adegua maggiormente ai bisogni emergenti, permette una maggiore equità, attraverso una misura unica nazionale, condizionata alla prova dei mezzi.
In Commissione il provvedimento in esame ha subito alcune modifiche migliorative: un lavoro di affinamento del testo, con riferimento tanto all'impianto generale del disegno di legge delega quanto a questioni più specifiche. L'obiettivo è sempre stato quello di allargare, non di restringere la protezione offerta dal sistema di welfare del nostro Paese. Nella formulazione attuale, si sgombra il campo da qualunque equivoco; si rafforza il concetto di un riordino limitato alle prestazioni di natura assistenziale, finalizzate a contrastare la povertà; si chiarisce anche cosa intendiamo per povertà, al di là delle definizioni statistiche, che ovviamente necessiteranno di una traduzione in strumenti amministrativi per l'individuazione dei beneficiari delle prestazioni. Ci riferiamo a quella povertà che colpisce chi non riesce ad acquistare un paniere di beni e servizi ritenuto essenziale per condurre una vita dignitosa.
L'obiettivo, a regime, è quello – come ho già detto – di una misura universale, individuando, però, alcune priorità da cui partire in questo percorso. Resta l'obiettivo principale di una misura di contrasto alla povertà minorile, pur con gli allargamenti che già la legge di stabilità aveva Pag. 59portato, come i nuclei familiari in difficoltà con figli, con disabile grave, con donne in stato di gravidanza oppure con persone con più di 55 anni in stato di disoccupazione.
Mi posso anche rendere conto che, magari, qualcuno di voi vede il bicchiere ancora mezzo vuoto, ma non è così. Vorrei di nuovo sottolineare la portata storica per questo Paese, che non ha mai affrontato in modo organico il tema della lotta alla povertà. Questo Governo ha provato, attraverso la creazione di un Fondo nazionale dedicato alla lotta alla povertà.
Torno a sottolineare la centralità dei servizi personalizzati per le famiglie, in modo da fornire loro gli strumenti per superare le condizioni di difficoltà – è una mentalità nuova –, prevedendo che l'erogazione del sussidio economico sia subordinata all'adesione, da parte di chi ne beneficia, ad un progetto personalizzato d'intervento a più dimensioni, la cui regia viene comunque affidata ai soggetti vicini al cittadino, i comuni e i servizi sociali. Occorrono naturalmente infrastrutture adatte. Occorre naturalmente collaborare con le regioni, che sicuramente assicureranno la loro collaborazione per costruire e rafforzare un'infrastruttura territoriale capace di lavorare in modo integrato, in sinergia, in particolare con i servizi territoriali, che ancora oggi non lavorano proprio in rete. E, allora, noi vogliamo fare rete.
Ringrazio, naturalmente, i presidenti delle Commissioni XI e XII, le relatrici e, naturalmente, tutti i parlamentari. È stato fatto un grande passo avanti. Credo che con l'approvazione di questo provvedimento, con il successivo esame al Senato, finalmente riusciremo a restituire un po’ di ossigeno, dignità, a sostegno di chi vive in condizioni di fragilità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Beni. Ne ha facoltà.

PAOLO BENI. La ringrazio, Presidente. Con il disegno di legge che oggi discutiamo, il nostro Paese si dota, per la prima volta, di una misura universale per il contrasto della povertà. Fino a ieri eravamo, con la Grecia, gli unici in Europa a non averla. Finalmente colmiamo questa lacuna. È un fatto importante, tanto più in considerazione dei dati preoccupanti sulla povertà in Italia. In un contesto da sempre condizionato da squilibri sociali e anche territoriali, la crisi di questi anni ha ulteriormente allargato la forbice del divario, spingendo consistenti fette di ceto medio verso la povertà relativa, cronicizzando i casi di povertà assoluta.
L'ultimo rapporto ISTAT conferma il problema. Anche nel 2015, nonostante si siano registrati, dopo anni di recessione, i primi fragili segnali di ripresa, sono cresciute le disuguaglianze nella distribuzione del reddito ed è cresciuta la povertà. I fattori che maggiormente incidono su questo squilibrio e che favoriscono lo scivolamento di tanta parte del Paese verso la soglia di povertà sono il basso livello di istruzione, spesso, e di qualifica lavorativa, ma anche l'appartenenza a famiglie numerose, specie se con figli piccoli o persone non autosufficienti, e poi anche il luogo di residenza, con forti differenze fra le varie aree del Paese, e ancora la condizione sociale della famiglia di provenienza, a riprova del fatto che l'ascensore sociale, purtroppo, si è fermato da tempo. Il risultato è che oggi quasi il 6 per cento delle famiglie, quattro milioni di persone, sono in povertà assoluta. Non solo, ma quelli che rischiano di scendere sotto la soglia di povertà sono il 28 per cento della popolazione, più di un quarto del Paese. Particolarmente a rischio sono gli ultracinquantenni che perdono il lavoro e non riescono a ricollocarsi, ma anche le coppie giovani con figli piccoli, magari spesso con situazione lavorativa precaria. Allarmante è il fenomeno della povertà minorile. La frequente coincidenza di povertà educativa e povertà economica è un segnale preoccupante per il futuro della società italiana. Allora bisogna intervenire con decisione prima che il contesto si deteriori ulteriormente. Le misure introdotte negli ultimi anni (bonus, carte acquisto di varia foggia) sono risultate perlopiù insufficienti e inefficaci nella loro episodicità. Servono più Pag. 60risorse, ma soprattutto misure strutturali e continuative di presa in carico e sostegno ai casi di fragilità. Una svolta è arrivata indubbiamente con la stabilità 2016 che ha destinato alla lotta alla povertà 600 milioni di euro per quest'anno e un miliardo di euro dal prossimo anno; risorse di un'entità che finora non c'era mai stata, che saranno impiegate per il primo anno con gli strumenti esistenti e poi con un intervento più organico, quello che, appunto, definiamo con questo disegno di legge. L'obiettivo è istituire un'unica misura di contrasto alla povertà definita come livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, a carattere universalistico e sottoposta alla prova dei mezzi attraverso l'indicatore ISEE. Vorrei dire al collega della Lega: sottoposta alla prova dei mezzi, vuol dire che è selettiva, altrimenti a cosa serve la prova dei mezzi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) ? Nella nuova misura saranno riunite e riordinate le attuali prestazioni assistenziali, a eccezione di quelle per la non autosufficienza o per gli anziani oltre i 65 anni di età, dal momento che questo provvedimento è specificamente mirato al contrasto della povertà nella popolazione in età di attivazione lavorativa. Non a caso la norma rifugge da un approccio meramente assistenziale e mira a superare la condizione di povertà attraverso l'inclusione sociale e lavorativa dei beneficiari i quali avranno sì un sussidio economico, ma questo sussidio sarà vincolato all'adesione ad un percorso di attivazione, presa in carico e accompagnamento da parte dei servizi sociali del territorio. Accanto all'erogazione monetaria quindi assume un ruolo decisivo la dimensione dei servizi garantiti dagli enti locali con le risorse dei fondi europei per l'inclusione. Per questo la legge prevede un organismo di coordinamento sull'attuazione delle prestazioni, proprio per superare e scongiurare eventuali disparità e garantire in tutto il Paese l'accesso ai livelli essenziali. In considerazione dell'entità delle risorse a disposizione, nella prima fase l'intervento sarà limitato ai nuclei familiari più esposti a rischio di povertà, quelli con figli minori, con donne in gravidanza o con disabili o con persone disoccupate oltre i 55 anni di età, come si è detto. Raggiungeremo così comunque una fetta consistente della popolazione in povertà assoluta, ma deve essere chiaro che la prospettiva di questo provvedimento resta la piena attuazione del carattere universale della misura, superando definitivamente l'approccio per categorie, con la graduale estensione del beneficio e della platea dei beneficiari anche grazie a nuove risorse che affluiranno nel fondo.
Io ritengo anche che di pari passo all'attuazione delle nuove misure di lotta alla povertà vada avviato un ripensamento dell'intero sistema delle prestazioni sociali che, giustamente, è un percorso separato da quello che oggi stiamo discutendo. Da questo punto di vista il problema italiano non è solo e non è tanto l'insufficiente entità complessiva della spesa assistenziale, quanto la sua eccessiva frammentazione in misure categoriali che rischiano di inficiarne l'efficacia.
L'infinità di provvedimenti in cui si articola la spesa pubblica per l'assistenza sociale (nazionali, regionali, locali, erogazioni monetarie e servizi, detrazioni fiscali e deduzioni) non giova alla qualità e neppure all'equità di un sistema che, bisogna dirlo, non sempre funziona in modo che a beneficiarne siano davvero i più bisognosi.
Concludo, Presidente, dicendo appunto che un riordino delle prestazioni sociali è necessario se noi vogliamo un sistema più equo, inclusivo, efficace, adeguato all'evoluzione dei soggetti sociali e dei bisogni. Si tratta di affrontare, ad esempio, le sovrapposizioni del piano assistenziale con quello previdenziale, di correggere un approccio tutto sbilanciato sulle categorie e le erogazioni monetarie, spostandone il fulcro sulla centralità delle persone e della rete dei servizi. Le misure per la lotta alla povertà proposte in questa legge si inseriscono coerentemente in tale orizzonte. Si dirà che non basta, come è stato detto. È vero, servono più risorse e serve anche più tempo per completare il disegno riformatore, ma non c’è dubbio che dopo anni di Pag. 61spesa sociale praticamente azzerata dai Governi del centrodestra oggi operiamo un deciso cambio di marcia nella giusta direzione. Io voglio ricordare ai colleghi relatori di minoranza che noi con questo provvedimento non facciamo propaganda con facili proposte demagogiche e non facciamo neppure il libro dei sogni, perché sarebbe facile scriverlo, ma noi facciamo una proposta realistica, concreta, attuabile da subito, che ha una chiara direzione di marcia nell'orizzonte della sostenibilità e dell'equità sociale. E questo pensiamo sia, non soltanto un primo passo importante, ma una svolta netta nella direzione giusta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tripiedi. Ne ha facoltà.

DAVIDE TRIPIEDI. Grazie Presidente. C’è stata una bella discussione in Commissione lavoro su questo provvedimento. Come gruppo parlamentare ci siamo subito opposti a questa forma di sostegno alla povertà perché secondo noi non è inclusiva e ci sono pochi soldi per garantire a tutte queste persone un pochino di dignità. Dobbiamo fare dei passi indietro, però, sottosegretario, perché il Governo secondo noi sta facendo degli errori che sono già stati fatti. Ricordo la SIA, sostegno al reddito per le persone in difficoltà, o la social card, tutte cose che oggettivamente non sono servite a risolvere il problema della povertà, anzi paradossalmente la povertà in questi anni è cresciuta e, quindi, c’è stato proprio un netto fallimento di questo sostegno al reddito. Non a caso il MoVimento 5 Stelle nel primo punto del programma ha il reddito di cittadinanza, che non è assistenzialismo come diceva il collega della Lega, ma il reddito di cittadinanza è un attivatore sociale perché, d'altra parte, se il lavoro in questo periodo è calato, da qualche parte ai lavoratori e alle persone in difficoltà un po’ di dignità bisogna dargliela. Oggi dobbiamo anche capire che non si sta andando nella direzione giusta perché investire un miliardo di euro l'anno prossimo e 600 milioni di euro quest'anno è un insulto ai poveri, tenendo conto che abbiamo un milione di bambini sotto la soglia di povertà, quattro milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà, quindi in povertà assoluta. Dobbiamo cercare anche di far capire alle persone che il Governo preferisce spendere 7 miliardi e mezzo di euro per aiutare le banche invece di aiutare le persone che oggettivamente soffrono la povertà causata sempre dai Governi e causata da questa Europa che non è per niente solidale. E ci ritroviamo così, con 7 miliardi e mezzo di euro per le banche e un miliardo e mezzo di euro per le famiglie povere. Tra l'altro, bisogna fare anche un passo indietro: come mai sono cresciuti questi poveri ? Sono cresciuti questi poveri, perché ? Perché abbiamo cambiato il sistema di contratti nel mondo del lavoro. Voi pensate che nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di voucher, sottosegretario. Oggi non ci sono più le persone che non lavorano e sono povere, oggi ci sono i lavoratori sfruttati che vivono sotto la soglia di povertà; purtroppo è questa la realtà. È inutile anche che il Governo stia mettendo un freno ai voucher, perché l'unica soluzione, secondo noi, per eliminare questo sfruttamento generale è proprio limitare i voucher solo all'occorrenza. Faccio un esempio: nel settore agricolo dobbiamo per forza usare i voucher per cercare di tenere sotto controllo il mondo del lavoro agricolo, però, dall'altra parte, non possiamo neanche permetterci di avere un lavoratore in fabbrica che prende i voucher. È follia secondo noi, è follia. E poi ci facciamo una domanda: come mai i giovani scappano dall'Italia ? I giovani scappano dall'Italia perché non riescono a garantirsi un futuro. E poi penso al Jobs Act: investite 10 miliardi di euro per la decontribuzione e poi abbiamo i nuovi poveri che continuano a crescere, allora oggettivamente il lavoro non è cresciuto, quindi abbiamo veramente un problema sotto il punto di vista della povertà. Un altro dato è inquietante, sottosegretario: 7,2 milioni di pensionati vivono con una pensione che è sotto i 520 euro, quindi ci Pag. 62sono pensionati poveri, lavoratori poveri, persone che non lavorano e sono poveri e il Governo, innanzi a questa devastazione sociale, che cosa fa ? Investe un miliardo e mezzo in due anni. Questo secondo noi è particolarmente ridicolo. Dobbiamo cercare, innanzitutto, di fare investimenti che possano garantire un lavoro di qualità e un lavoro continuativo, perché io voglio fare questo esempio che coinvolge molte parti dell'Italia. In Lombardia, per quanto riguarda le autostrade, si spendono soldi per autostrade inutili, penso a Pedemontana lombarda, 5 miliardi di euro per fare un'autostrada inutile, penso a tutti i soldi che il Governo investe per opere inutili. Quindi, la priorità di questo Governo qual è ? Aiutare le persone in difficoltà, aiutare i lavoratori ? Qual è lo scopo ? Lo scopo è cercare di fare qualcosa, ma senza risolvere il problema. Il problema va risolto a fondo e, secondo noi, il punto fondamentale per risolvere il problema della povertà in Italia si chiama «reddito di cittadinanza», che – ripeto – è un attivatore sociale perché non si danno i soldi così. C’è un percorso da fare, quel percorso che abbiamo anche cercato di inserire negli emendamenti tutti bocciati logicamente dalla maggioranza che potevano dare veramente una soluzione. Non voglio fare il gufo – sicuramente sarò nominato da qualcuno il gufo della situazione – ma secondo me questo sarà il solito fallimento, il fallimento di un Governo che non si rende conto qual è la priorità del Paese. Secondo noi, la priorità del Paese è risolvere il problema della povertà e soprattutto anche cercare di investire i soldi per un lavoro duraturo e soprattutto ecosostenibile. Qui si fa il contrario. Cercheremo anche in Aula di portare degli emendamenti che possano dare una visione, quella visione del MoVimento 5 Stelle che darà sicuramente la garanzia a molte persone dell'impegno che tutti i ragazzi del MoVimento 5 Stelle stanno mettendo durante il dibattito in Aula e nelle Commissioni. Quindi, Presidente, per concludere, vorrei ringraziare tutti i miei colleghi della Commissione lavoro e anche tutta la Commissione perché siamo riusciti comunque a estrapolare dal testo di legge una cosa che secondo noi era molto pericolosa, cioè la riorganizzazione delle pensioni di reversibilità. Siamo riusciti, grazie a un lavoro di tutta la Commissione, a far capire al Governo che stava andando nella direzione sbagliata. Siamo riusciti per un pezzo a risolverlo, ma siamo ancora preoccupati. Quindi, io ringrazio i miei colleghi e anche tutta la Commissione. Speriamo che questo sia un passo che possa dare il via a un progetto lungimirante che possa risolvere il problema – io credo di no, però lo spero sinceramente – e spero che tutti i soldi che verranno risparmiati, magari da questo provvedimento legge, possano essere veramente utilizzati per lo stesso fine, quindi restituire veramente a chi soffre e a chi è povero, quanto meno, un pochino di dignità.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lenzi. Ne ha facoltà.

DONATA LENZI. Grazie, Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Lenzi, mi scusi. Avevo saltato la deputata Polverini perché era iscritta a parlare prima di lei, ma siccome non l'avevo vista e stava di sopra a un convegno. Prego, onorevole Polverini. Avevo evitato di chiamarla per non farla decadere.

RENATA POLVERINI. Presidente, ringrazio veramente lei e la collega, ma chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti) proprio perché sono impegnata nella Sala della Regina. Grazie.

PRESIDENTE. Onorevole Polverini, autorizzazione accordata.
Ora la parola alla deputata Lenzi. È stata un falsa partenza. Prego, onorevole.

DONATA LENZI. Allora, per presentare questo provvedimento, io vorrei dire Pag. 63che cos’è il reddito minimo di inclusione attiva che qui è previsto e che cosa invece non è. Allora, questa è una misura contro la povertà assoluta, quindi rivolta a chi è molto povero, a chi non è in grado di comprare e di far fronte a esigenze primarie, come il sottosegretario Biondelli ha ricordato nel suo intervento. Non è un reddito di cittadinanza, cioè non è una misura rivolta a tutti i cittadini, ricchi o poveri che siano, per garantire uno zoccolo di base, almeno così viene definita da chi studia questi fenomeni. Misura, il reddito di cittadinanza, che in Europa non c’è. Quello che c’è in Europa sono altri strumenti di reddito minimo che vanno incontro ai problemi della povertà assoluta e, per chi ha maggiori possibilità finanziarie, anche della povertà relativa, o misure di risposta ai problemi della disoccupazione. È una misura attiva, cioè una misura che richiede, da parte del nucleo familiare che riceve il sostegno finanziario, un impegno, che può essere quello semplicemente di mandare i figli a scuola, se non è possibile trovare un posto di lavoro, ma che comunque richiede anche un impegno a cercare il posto del lavoro. Perché questo impegno ci sia è necessario che ci siano dei servizi, servizi sociali, servizi di inserimento lavorativo, servizi collegati al sistema sanitario per chi ha problemi di disabilità, servizi che tra di loro si integrano, collaborano e lavorano insieme. Questa parte della nostra proposta, della proposta del Governo noi la consideriamo fondamentale perché la vera differenza che c’è nel nostro Paese non sta solo nei numeri della povertà, ma sta nell'assenza di una rete efficace di servizi sociali in molte parti del nostro territorio nazionale, in molte regioni del nostro territorio nazionale. Quindi, non è un semplice trasferimento monetario, è un insieme di trasferimento e servizi. È una misura rivolta alle famiglie; nella necessità di individuare prioritariamente a chi rivolgersi, si è detto in primo luogo alle famiglie. La discussione parlamentare, con la piena consapevolezza e appoggio anche dei gruppi di minoranza ha allargato, dalle famiglie con minori, anche alle famiglie che hanno al proprio interno persone in condizioni di disabilità. Che poi ci sia oggi chi annuncia ulteriori emendamenti per chiarire che ci si rivolge alle famiglie con minori, noi non possiamo che esserne lieti, però è già scritto così, quindi forse manca una fondamentale e basica lettura della proposta che è stata fatta ed è una proposta che ha al suo centro il tema della povertà minorile perché i dati dell'Istat ci dicono che questa crisi ha pesato di più sulle famiglie di età media e che hanno bambini piccoli. È una scelta, una scelta che viene compiuta nella consapevolezza che abbiamo di fronte solo un miliardo. Ma è solo un miliardo ? È la prima volta, dal 1948, che c’è un miliardo di euro, più quello che si recupererà dalle misure di riordino e possiamo immaginare si riesca ad arrivare a un miliardo e 400 milioni, messo a disposizione delle famiglie in condizioni di povertà. Non è mai successo, mai. Non basta ? Dovremmo fare di più: dovremmo arrivare a 2, a 3, a 4, a 5 e a 7. Sicuramente c’è da fare di più ma denigrare questo passaggio vuol dire non tener conto di tutte le storie che abbiamo alle spalle, che hanno visto veramente pochissime risorse dedicate alla povertà. Sono misure che nascono dalla sperimentazione in atto: è un bene che si sia fatta prima una sperimentazione. Anche per scrivere progetti di legge prima bisognerebbe andare a misurarsi con la sperimentazione e sono lieta che ci siano colleghi che, senza ricorrere al banale strumento delle interrogazioni, tuttavia si sforzano di conoscere l'andamento, cioè come è andata nei territori dove è stato sperimentato. Noi abbiamo cercato di apprendere da quelle esperienze e quello che abbiamo appreso – ci è stato detto – è che i servizi hanno bisogno di sostegno, che, senza i servizi, non si riesce ad andare avanti: lo abbiamo appreso dagli esiti di questa sperimentazione e dal grande contributo che è venuto dal basso, dalla proposta dell'Alleanza contro la povertà, una grande aggregazione di associazioni di vario genere e tipo, religiose e non religiose, laiche, sindacali, enti pubblici che da anni si dedica mettendosi in rete a offrire proposte che Pag. 64permettono di affrontare il grande tema della povertà. Credo che a loro, a questo movimento dal basso vada dato riconoscimento e che il ruolo della politica non sia sempre quello di pensare di avere inventato chissà cosa ma la capacità di dialogare e di mantenersi in contatto con quello che si muove nella società. C’è un rischio vero sempre quando si fanno misure per la povertà di cadere in un mero assistenzialismo che, alla fine, scoraggi la ricerca di lavoro oppure, peggio ancora, favorisca il lavoro nero: ho un'entrata di 400 euro che arriva dallo Stato, per il resto vado a lavorare in nero e mi arrangio in questo modo. Nel nostro Paese questo rischio c’è. Tenete presente – ma lo sapete tutti e i colleghi della Commissione lavoro meglio di me – che gli stipendi medi in questo Paese viaggiano intorno ai 1000 euro per molti ragazzi giovani: pertanto alla fine, lavorando molto, non si prende molto di più. Questo è un rischio e qui noi abbiamo stabilito controlli e tempi nell'assegnazione di questa misura per cui è annuale e rinnovabile sì, ma previa verifica proprio per evitare quella che viene chiamata come trappola per la povertà. Non è un disegno del tutto compiuto: ne siamo consapevoli ma l'aver scritto che è un livello essenziale di assistenza ci fa fare un grande passo avanti a chi, come noi, si occupa di politiche sociali perché è la prima volta che possiamo scriverlo e dire che finalmente almeno su un tema abbiamo un livello essenziale anche nel campo sociale e non solo in quello sanitario. Sappiamo che non si risolvono tutti i problemi della povertà con un trasferimento. Io qualche volta temo l'illusione di dire diamo a tutti 1000 euro e poi del resto chi se ne importa: c’è il problema della casa, c’è il problema del lavoro, c’è il problema di un servizio sanitario che non regge le nuove questioni della non autosufficienza. Allora, dove il sistema di welfare nel suo complesso funziona, abbiamo meno necessità di ricorrere a misure estreme come quella a cui facciamo attenzione oggi. Guardate che per le persone che hanno una propria dignità e che vorrebbero un lavoro anche una proposta come questa certo dà sollievo rispetto alle necessità anche solo di poter mangiare ma vorrebbero assai di più la dignità di un posto di lavoro, non si accontentano certo di una misura per la povertà. Questo è il punto di partenza, sul resto è necessario impegnarsi ancora (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gregori. Ne ha facoltà.

MONICA GREGORI. Grazie, Presidente. I dati recenti sulla povertà mostrano un notevole aumento di persone che si trovano sotto la soglia della povertà assoluta. La stima è di 1.470.000 famiglie che vivono in questa condizione. Gli stessi dati mostrano altresì un consistente aumento del rischio di scivolamento delle famiglie italiane nella fascia di povertà relativa. Infatti nel nostro Paese il numero di persone a rischio di povertà si attesta su una percentuale del 28,3 per cento, in aumento costante dal 2008.
Il presidente dell'INPS ha dichiarato che, tra il 2008 il 2014, il numero di italiani con reddito inferiore alla soglia di povertà è cresciuto di un terzo passando da 11 a 15 milioni di persone. A detta delle relatrici di maggioranza sulla situazione descritta inciderebbe l'assenza di uno strumento organico di contrasto alla povertà e secondo la quale l'area delle politiche socioassistenziali necessita da molti anni di un intervento riformatore orientato a garantire maggiore efficacia ed efficienza, nonché maggiore rispondenza ai bisogni delle fasce più deboli della società, così come necessita di una misura universale e selettiva capace di coprire i bisogni delle persone più vulnerabili: misura che già la fondamentale legge n. 328 del 2000 reputa pilastro essenziale del sistema integrato e del welfare.
La questione su cui porre attenzione è quella dell'universalismo selettivo, previsto nel testo proposto dal disegno di legge del Governo: questo era infatti uno dei punti che determinavano un vulnus nell'approccio della legge delega in esame. L'utilizzo disinvolto di termini come rispondenza ai Pag. 65bisogni delle fasce più deboli della società e necessità di una misura selettiva capace di coprire i bisogni delle persone più vulnerabili rappresentano meglio di ogni altro approfondimento la volontà del Governo e della maggioranza di procedere a un intervento che, piegato alle scarse risorse disponibili, potrebbe ridurre, con un taglio, gli aventi diritto alle prestazioni sociali e una cernita all'interno della stessa fascia di popolazione in povertà assoluta. In questo ambito l'utilizzo dell'ISEE non rappresenta l'elemento chiarificatore tra gli aventi diritto alle prestazioni sociali gratuite e coloro che devono compartecipare alla spesa su una base progressiva legata al reddito. Il sistema di sostegno al reddito paventato dalla legge delega appare privo di un efficace percorso di politiche attive sul lavoro, fondamentale per sostenere i soggetti interessati e affrancarli dalla povertà. Tale percorso, del resto, ha avuto una rappresentazione con la legge di stabilità 2016 che indica una serie di interventi contro la povertà e l'esclusione sociale prevedendo per il 2016 risorse definite di priorità ossia 380 milioni di euro destinati al rafforzamento ed estensione della carta acquisti sperimentale, definita programma di sostegno per l'inclusione attiva, e 220 milioni di euro per l'incremento della spesa e per l'assegno di disoccupazione. Ora il comma 3 del testo indica le finalità alle quali destinare un miliardo di euro stanziato per gli anni a partire dal 2017: risorse che sarebbero da destinare al finanziamento di interventi normativi per l'introduzione di una misura unica di contrasto alla povertà correlata alla differenza tra il reddito familiare e la soglia di povertà assoluta. Tuttavia però il miliardo formalmente stanziato dal Governo a partire dal 2017 è solo una piccola parte dei 7 miliardi circa che sarebbero necessari per sostenere realmente le famiglie e le persone in povertà assoluta e non è previsto alcun incremento reale di risorse. Pertanto, considerata la totale inadeguatezza delle risorse stanziate, il tutto potrebbe tradursi in un'aberrante lotta tra gli ultimi dove a beneficiare saranno forse e in numero ridotto i più poveri tra i poveri e questi ultimi continueranno a rimanere tali, nonostante lo sbandierato carattere universalistico della misura. Peraltro si segnala come i comuni italiani, a cui di fatto spetta l'attuazione di progetti personalizzati per l'inclusione, potranno contare sostanzialmente sulle risorse provenienti dai fondi europei che scadono nel 2020: meno di 200 milioni l'anno in tutto, praticamente nulla. Per fare un esempio, il miliardo stanziato dal 2017, se rapportato al 1.470.000 famiglie in povertà assoluta rilevate dall'Istat, fornisce una cifra iperbolica di 680 euro l'anno che al mese si declina in 56 euro per famiglie in povertà assoluta.
Allora io vorrei capire se 56 euro sono una somma che può aiutare le famiglie a far fronte alle esigenze primarie, se sono una somma che può aiutare le persone veramente all'inclusione. Noi non pensiamo che sia così, anzi è sotto gli occhi di tutti, è un fatto reale che 56 euro non possono permettere assolutamente l'inclusione sociale. Solo questo basta a far capire come non è possibile affrontare strutturalmente la povertà con queste risorse. Di fatto, pur avendo espunto dal testo l'universalismo selettivo, è l'ammontare delle risorse destinate al contrasto alla povertà a diventare di per sé un fattore di selezione. La delega in esame prevede una graduale estensione dei beneficiari e un graduale incremento del beneficio, che rischia di essere una previsione vuota quando, come in questo caso, non si indicano obiettivi di stanziamenti ulteriori che incrementino la possibilità di estendere i beneficiari e il beneficio. Del resto, si prevede che gli unici incrementi di risorse per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale possano derivare solo per effetto degli interventi di riordino delle prestazioni assistenziali ovvero probabilmente dai tagli. Diamo ulteriormente atto alle relatrici delle Commissioni competenti, XI e XII, comunque di aver svolto un lavoro attento, che ha prodotto delle modifiche al testo che sicuramente lo hanno migliorato in termini di riduzione del danno rispetto al testo uscito dal Consiglio dei Ministri, tuttavia, come già detto, resta Pag. 66una delega per il contrasto alla povertà che mantiene un carattere e un obiettivo molto lontani dal titolo e dalle necessità derivanti da una povertà dilagante, che marcia di pari passo con la precarizzazione del mondo del lavoro, con la privatizzazione delle prestazioni sociali e della salute. Da questo deriva la nostra opposizione al provvedimento in esame, perché il gruppo di Sinistra Italiana non considera la lotta alla povertà e all'inclusione sociale e lavorativa un intervento che si possa piegare o che possa essere subalterno alle risorse disponibili, noi non denigriamo. Per questi motivi Sinistra Italiana, in alternativa all'inadeguata e insufficiente misura unica di contrasto alla povertà proposta dal Governo, ha proposto l'istituzione del reddito minimo garantito attraverso un'adeguata e congrua copertura che, non a caso, è passata al vaglio dell'ammissibilità, una proposta strutturale universale con una copertura che ne consentirebbe l'istituzione sin dal 2017. Il reddito minimo garantito da noi proposto con risorse adeguate è una misura capace di arginare concretamente la condizione di povertà di milioni di persone, una misura strutturale contro la crisi in chiave anticiclica e anti recessiva, un meccanismo a garanzia del diritto al reddito di tutte le persone in povertà. Si tratta di una proposta presente nella maggior parte dei Paesi europei e in linea con le indicazioni in materia del Parlamento europeo. Il reddito minimo garantito è una proposta di sostegno economico ai soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione, ai quali si devono offerte di impiego compatibili con la carriera lavorativa pregressa del soggetto e con le competenze formali o informali in suo possesso, perché l'occupazione è l'unico elemento efficace per efficace per l'uscita dalla povertà. Il reddito minimo oggi è la modalità attraverso la quale la maggior parte dei Paesi aderenti all'Unione europea affronta i percorsi di affrancamento della povertà e la stessa Unione europea lo pone come uno dei punti del pilastro sociale; al contrario, il Governo preferisce ottenere una delega dal Parlamento per una misura insufficiente, che si rivolge solo a una parte di coloro in povertà assoluta, peraltro con risorse inadeguate, una delega che non ha alcuna corrispondenza con le modifiche apportate al comma 1 dell'articolo 1, laddove si è modificato il testo inserendo finalità forti e impegnative ma che restano pure enunciazioni senza conseguenze effettive nel testo in esame. In sostanza siamo davanti a un testo che non prevede un intervento strutturale ed effettivo di contrasto della povertà verso attività di inclusione lavorativa e sociale. Inoltre il riordino delle prestazioni assistenziali, pur necessario, deve essere vincolato ad una vera riforma del welfare, con l'obiettivo di ampliare e rendere più efficace il sistema di protezione sociale.
Tuttavia, poiché il complesso della spesa assistenziale coinvolge ben più persone e interessi rispetto alla povertà, se le due problematiche non vengono scisse, la gran parte del dibattito sulla delega non riguarderebbe i poveri bensì la revisione di spesa. Per cui occorre, come suggeriscono le organizzazioni dell'alleanza contro la povertà, separare gli atti sulla lotta alla povertà da quelli sulla revisione dell'assistenza. In ultimo ma non in ultimo la delega enfatizza la natura di inclusione attiva e non assistenziale delle nuove prestazioni, si tratta di elaborare nei territori progetti personalizzati di inserimento sociale e di mettere in campo gli interventi necessari alla loro attuazione. Le politiche sociali italiane, d'altra parte, sono disseminate di norme con finalità apprezzabili ma non accompagnate dagli strumenti per realizzarle. Il punto decisivo dunque è fornire ai soggetti del welfare locale, a partire dai comuni, gli strumenti per poter concretamente lavorare per l'inclusione degli utenti. L'attuale testo della delega desta molta preoccupazione in proposito, perché per i servizi territoriali chiamati in causa si prevedono solo finanziamenti europei temporanei, che scompariranno all'inizio del prossimo decennio. Peraltro, le risorse disponibili per queste prime annualità sono senza dubbio inadeguate. Quindi il carattere di provvisorietà dello Pag. 67stanziamento per i percorsi di inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini. Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative d'accompagnamento e formazione e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall'esperienza. Complessivamente dunque si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l'inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo. Per tali questioni la lotta alla povertà e l'inclusione sociale rischiano di rimanere un semplice e vuoto obiettivo dichiarato ma di fatto non perseguito (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rondini. Ne ha facoltà.

MARCO RONDINI. Signora Presidente, come ricordavano anche i colleghi che mi hanno preceduto intervenendo in discussione generale, in Italia il rischio di povertà riguarda circa un terzo della popolazione, per le famiglie con tre o più figli supera il 30 per cento mentre nel caso di due figli minori è di poco inferiore al 20 per cento. Durante l'audizione in Commissione affari sociali lo scorso 19 maggio il presidente dell'INPS ha dichiarato che tra il 2008 e il 2014 la quota di italiani con un reddito al di sotto della soglia di povertà è cresciuto di circa un terzo, passando da 11 milioni a 15 milioni di individui, registrando l'incremento percentuale più alto nella fascia di età tra i 55 e i 65 anni. Secondo l'ultimo report dell'Istat, La povertà in Italia, sono in condizioni di povertà assoluta 1.470.000 famiglie, il 5,7 di quelle residenti per un totale di 4.102.000 persone. La povertà relativa interessa invece 2 milioni 654 mila famiglie, il 10,3 di quelle residenti, per un totale di 7.815.000 persone, pari al 12,9 delle persone residenti. Per l'Istat i livelli di povertà assoluta si registrano per le famiglie con cinque o più componenti, molto più se coppie con tre o più figli minori rispetto alle famiglie con almeno due anziani. A questi dati vanno aggiunti anche i dati relativi al tasso di disoccupazione, che ci dice che nel 2015 erano 3 milioni 33 mila le persone in stato di disoccupazione nel nostro Paese. È di tutta evidenza per noi che le misure adottate nel corso degli ultimi anni non hanno risolto la situazione e che anzi questa è precipitata, facendo registrare quel dato confermato nel corso dell'audizione del presidente dell'INPS in Commissione XII che prima citavo. Un dato allarmante, che dovrebbe indurre un Governo che ha veramente a cuore il benessere e la tutela della propria comunità o meglio – nel vostro caso il condizionale è d'obbligo – che dovrebbe rappresentare, a varare misure strutturali per il contrasto alla povertà e l'inclusione sociale; ed invece questo Governo, come sempre, procede all'inverso, intervenendo a valle invece che a monte, partendo dalla razionalizzazione delle misure a sostegno dei più poveri, invece che intervenire sulle cause che rendono il nostro Paese povero, come la disoccupazione cronica e strutturale, pensioni minime troppo basse, una tassazione su famiglie e imprese ancora totalmente insostenibile. Le uniche misure da adottare – considerato che i dati ci dicono, torno a dire, che quelle sin qui adottate non sono state assolutamente sufficienti – sono delle misure strutturali per garantire il rilancio dell'occupazione. Le misure contenute anche in questa delega sono pannicelli caldi, incapaci di produrre quell'effetto di inclusione sociale che vi prefiggete. Torno a dire: il lavoro è l'unico elemento che dona o restituisce dignità, è il presupposto imprescindibile per contrastare la povertà e l'emarginazione. Purtroppo – e ce lo dicono i dati relativi al tasso di disoccupazione che prima ho citato – il lavoro in Italia manca, una scarsità che porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di perderlo, a condividere l'idea che nulla sia più come prima e così dignità, diritti e salute finiscono in secondo piano. Ce lo dicono i dati: circa 11 milioni di italiani hanno Pag. 68rinunciato alle cure o hanno posticipato delle visite mediche, perché non sono in grado o pensano di non essere in grado di poterne sostenere le spese. Si tratta di una deriva preoccupante, messa in moto dal perdurare di una crisi economica che nel Belpaese è diventata strutturale, anche a causa delle scelte scellerate degli ultimi tre Esecutivi.
La crisi economica è un bulldozer che non siete stati capaci o non avete voluto fermare, che ha prodotto una disoccupazione che porta con sé quella disperazione che nasce dall'indigenza indotta dallo stato di disoccupazione, che produce frustrazione, insofferenza per una vita che non si riesce a cambiare, nonostante gli sforzi e la buona volontà, uno stato di disperazione che cancella progetti, sogni e futuro. A questa maggioranza ed al suo Governo vale la pena in questa sede ricordare che il Jobs Act è stato praticamente un fallimento: nel mese di gennaio del 2016, stando ai dati INPS, sono in fortissimo calo le assunzioni (meno 39 per cento a tempo indeterminato) rispetto a gennaio 2015; un dato esemplificativo, se si tiene conto che gran parte delle assunzioni a tempo indeterminato sono semplici trasformazioni. Se si osserva la percentuale dei nuovi rapporti a tempo indeterminato sul totale dei rapporti di lavoro attivati, si nota come gli effetti della decontribuzione abbiano influito soltanto temporaneamente; questo perché siete incapaci di adottare delle misure strutturali. Adottate delle misure che si risolvono in uno spot, degni magari di qualche tweet, ma che non affrontano seriamente la questione. Infatti, mentre a dicembre del 2015, quando la decontribuzione piena – si parlava di 8 mila e 60 euro annui a lavoratore – era in vigore, per l'ultimo mese le assunzioni a tempo indeterminato salgono al 66,4 per cento del totale e a gennaio di quest'anno, invece, con la decontribuzione scesa al 40 per cento, pari a 3.250 euro all'anno per lavoratore, i contratti sono scesi al 34 per cento; siamo in sostanza al punto in cui ci si ritrova in quest'Aula, come dicevo prima, a discutere l'ennesimo provvedimento spot, dove ciò che conta sembra essere la cornice e soprattutto il titolo («delega recante norme relative al contrasto alla povertà»), tradito il titolo anche magari dagli interventi dei colleghi, che ci dicono che il provvedimento serve in particolare ad andare incontro a chi si ritrova in uno stato di povertà assoluta. Perlomeno avreste dovuto avere il coraggio di sottolinearlo nel titolo del provvedimento che andiamo ad adottare. Le misure che volete introdurre sono a nostro parere viziate comunque dal solito approccio errato al problema, estendendo ad esempio la platea dei beneficiari anche ai cittadini extracomunitari.
Bisognava vincolare l'accesso alla misura unica che volete introdurre al possesso della cittadinanza italiana, per meglio finalizzare le limitate risorse che avete rintracciato, tenuto conto che un miliardo di euro annui, che stanziate a partire dal 2017, si tradurranno in circa 56 euro mensili per le famiglie in condizioni di povertà assoluta.
Bisognava appunto, torno a dire, riservare questa misura a chi era cittadino italiano, perché prima dovrebbero venire coloro i quali compongono la nostra comunità.
L'accesso alle prestazioni sociali per i cittadini, al contrario, la vostra misura si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista, che non produrrà nessuno degli effetti che voi vi siete prefissi, perché, come ha sottolineato anche qualche collega che mi ha preceduto, 56 euro mensili per una famiglia che si trova in uno stato di povertà assoluta non sono sufficienti neanche lontanamente a garantire l'inclusione sociale.
Queste brevi considerazioni poi, che svilupperemo anche nel corso del dibattito in Aula, fanno ed hanno fatto da premessa alla nostra pregiudiziale di costituzionalità, strumento questo che per noi rimane uno strumento politico, l'unico forse o uno dei pochi strumenti politici che ci rimane a disposizione per esercitare il nostro sacrosanto diritto di opposizione a quello straripante ricorso, da parte di questo Governo, alla delega per affrontare qualsiasi questione.Pag. 69
Mi avvio alla conclusione, sottolineando un altro particolare: alla misura unica potrà accedere in sostanza solo chi versa, come dicevo prima, in stato di povertà assoluta.
È curioso che, per rispondere a questa, che è una vera e propria emergenza, considerati i numeri, considerato il numero elevato, i milioni di persone che sono coinvolte dallo Stato che vi induce a far finta di occuparvi di questa questione, è curioso che, per rispondere a questa emergenza, selezionate la platea degli aventi diritto, in quanto le risorse stanziate non vi permettono di fare altro, nonostante il carattere universalistico tanto sbandierato; e mentre dal 2017 magari trovate, per il contrasto alla povertà, un miliardo di euro, vale la pena di ricordare anche ai colleghi che nell'anno 2014 – il dato ci è stato fornito dal sottosegretario Morando, venendo in audizione presso la Commissione d'inchiesta sul sistema di accoglienza – l'Italia ha speso 2 miliardi e 205 milioni per quella sorta di invasione assistita alla quale avete dato il via con le varie operazioni di accoglienza nel nostro Paese, accoglienza indiscriminata di chiunque nel nostro Paese; 2 miliardi e 205 milioni nel 2014, 2 miliardi e 735 milioni per il 2016 e avete in previsione, per il 2016, di spendere fra i 3 miliardi e 431 milioni e i 4 miliardi e 227 milioni.
Ecco, è incredibile, questa è la cifra che voi riservate per affrontare quell'emergenza che avete di fatto agevolato con la vostra scriteriata politica in tema di immigrazione. E poi ? E poi non trovate, invece, assolutamente qualcosa di altro oltre quel miliardo per affrontare questa sì un'emergenza nazionale, questa sì un'emergenza che riguarda le fasce più deboli della nostra comunità; non trovate altri fondi.
Vede, non siamo noi a cavalcare la guerra o a fomentare lo scontro fra poveri, ma siete voi, attraverso i vostri provvedimenti, a generare, soprattutto nelle fasce più deboli della popolazione, quel malcontento e quella rabbia che vede le persone che compongono le fasce più deboli della nostra popolazione assolutamente discriminate rispetto agli ultimi che arrivano sul nostro territorio. Nell'80-90 per cento dei casi, si tratta di migranti economici, quindi clandestini, che non avrebbero alcun diritto di essere raccolti e di essere mantenuti a spese dei contribuenti e dei cittadini italiani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Burtone. Ne ha facoltà.

GIOVANNI MARIO SALVINO BURTONE. Signora Presidente, arriva alla Camera un provvedimento che è anche una risposta ad una propaganda becera, condotta da alcuni movimenti, secondo la quale qui si opera guardando alle banche, alle assicurazioni e alle lobby. Arriva la legge per la povertà. La nostra comunità è stata pesantemente toccata da questi anni di crisi. È bastata una crisi aziendale, una malattia, una non autosufficienza per vedere cambiare la condizione economica e sociale di alcune famiglie. Non c’è dubbio, però – noi lo vogliamo dire con sobrietà, senza enfasi – che dal 2014 questa crescita di povertà relativa e assoluta si è bloccata, si è fermata in tutto il Paese, anche nelle aree del Mezzogiorno.
Arriviamo, tra l'altro, a questo provvedimento sapendo che nella finanziaria 2016 si è fatto uno sforzo: i commi che vanno dal 386 al 390 predispongono risorse per questo obiettivo. E, pur sapendo che la nostra comunità nazionale ha un momento di ripresa, il Governo ha capito che c’è il problema di affrontare le emergenze di povertà presenti nella nostra comunità. Per fare questo, ha messo mano ad un provvedimento per allargare la sfera della protezione sociale, per trovare una modalità per affrontare l'emergenza, avendo come obiettivo, come filo conduttore, l'universalismo, ma anche la necessità di non fare mero assistenzialismo.
La legge delega, quindi, provvede a definire un fondo e un piano triennale che deve avere le caratteristiche di livello essenziale per tutta la nostra comunità. L'obiettivo è quello, però, di indicare una strada che porti anche ad un'integrazione di tipo lavorativo e, quindi, superare logiche Pag. 70– come dicevo prima – di tipo assistenziale. Si stanzia una cifra importante: un miliardo e 400 milioni di euro. Accanto a questo ci sono anche i fondi europei previsti dall'obiettivo 9 per affrontare la povertà, che hanno la funzione di porre anche delle iniziative per affrontare, dal punto di vista anche infrastrutturale, questo tema delicato della protezione sociale. Nelle aree dove queste figure sono carenti sarà possibile mettere in moto anche contratti a tempo determinato per assistenti sociali, per mediatori culturali, professionali, mediatori familiari. Sappiamo che queste sono le figure importanti per permettere alle istituzioni di avviare un processo di prossimità.
Per fare questo il Governo dovrà varare dei decreti legislativi. Sono i decreti che dovranno definire questo fondo, questo piano triennale, seguendo gli indirizzi dell'articolo 117 della Costituzione. Quindi, avendo l'obiettivo di determinare un'omogeneità di livelli essenziali, i decreti legislativi dovranno anche prevedere un riordino della materia assistenziale e previdenziale.
E qui vogliamo dire, ancora una volta, ad esempio, al collega relatore di minoranza del MoVimento 5 Stelle, che i provvedimenti vanno letti soprattutto quando arrivano alla Camera, perché questo tema della reversibilità, che era stato attaccato, non c’è, non esiste. È stata mera propaganda da parte di alcuni, che hanno cercato di far passare come verità una menzogna, che era stata utilizzata per inserire nel dibattito una strumentalità. Noi sappiamo che non possiamo seguire i pifferai di turno, che parlano di iniziative che non sono, poi, realizzabili.
Noi abbiamo voluto portare avanti, con il Governo, un approccio diverso. È stato l'approccio di chi guarda alle famiglie con difficoltà, alle famiglie con bambini. Sì, i bambini per noi sono una priorità, perché sappiamo che non si possono non curare i bambini complessivamente, dal punto di vista pediatrico, in modo particolare relativamente alle cure dei denti. Un'alimentazione limitata e non equilibrata per i bambini significa pagare un prezzo oggi, ma anche pagare un prezzo per la prospettiva.
Vogliamo aggiungere, nella consapevolezza che sono importanti anche altri interventi che c’è un problema che riguarda l'ISEE. Noi abbiamo detto più volte, nella nostra Commissione, la Commissione affari sociali, che è uno strumento che ha dato alcuni risultati; però non c’è dubbio che è uno strumento che va rivisto. In questo senso, bene la Commissione, che viene prevista al Ministero, con le regioni, con l'INPS. Infatti, non ci possono essere delle distonie per cui ricevere in eredità una piccola casa faccia saltare un approccio assistenziale per famiglie che continuano ad essere bisognose, pur avendo ereditato questo bene. Così come un piccolo libretto postale non può espellere realtà familiari che continuano ad essere nel bisogno. Quindi, va rivista la materia come un tema importante.
Io più volte ho richiamato il Governo su questa materia: il tema dei lavoratori in mobilità in deroga, quelli che sono oggi nella terra di nessuno, che non hanno protezione sociale. È lì che si annida la rabbia. Lì c’è bisogno, lì bisogna tentare di dare delle risposte. Io credo che il Governo debba operare in tal senso. Sappiamo che questo provvedimento – lo hanno detto i colleghi – è un primo tassello. Però, è un tassello importante, che si lega alla legge per il terzo settore che abbiamo approvato, che si lega alla legge contro gli sprechi alimentari, per tentare di dare una risposta ai bisogni che sono presenti nella nostra comunità.
Parlare di povertà è cosa ben diversa rispetto a vivere la povertà. Quindi, dovremmo avere tutti più sobrietà. Dovremmo guardare a questo tema con una modalità eticamente sensibile e, quindi, parlare con le parole della verità, rifuggendo dalla demagogia, ma cercando di dare delle risposte vere, subito, alle comunità in difficoltà che sono presenti nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maestri. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MAESTRI. Grazie, Presidente. Nella pesante e lunga crisi economica e sociale che ha colpito il nostro Paese e che ancora segna in modo negativo le condizioni di vita di tanti italiani, a fronte del nascere di maggiori disuguaglianze, di nuovi bisogni, che si aggiungono a quelli vecchi e a quelli noti, soprattutto a carico di quelle fasce sociali che non rientravano nelle categorie tradizionali di povertà, il nostro sistema assistenziale è apparso spesso insufficiente per quanto riguarda le risorse stanziate e per la frammentazione delle misure di sostegno.
Il disegno di legge che oggi stiamo discutendo si muove, invece, nella giusta direzione per l'entità delle risorse investite – è la prima volta che ci sono simili risorse – e per la ricerca di allargare la protezione offerta dal sistema complessivo di welfare del Paese. La legge delega si inserisce all'interno di una logica propria dell'Unione europea, logica per la quale, al sostegno assistenziale, si accompagnano interventi di politica attiva del lavoro di formazione, in sostanza di inclusione, che si basano sul coinvolgimento del soggetto preso in carico dalla rete dei servizi del welfare locale e naturalmente con priorità per quei soggetti, come le famiglie con minori, che nel sistema attuale hanno forse ricevuto meno.
Ma, nell'analisi dei dati forniti soprattutto da Alleanza contro la povertà, si coglie in modo evidente il rischio concreto di uno scivolamento nella povertà di quella parte di popolazione che, anche temporaneamente, vive difficoltà legate alle condizioni di lavoro. È un lavoro povero, è un lavoro che manca, è un lavoro precario, non solo subordinato, ma anche autonomo e ne soffrono maggiormente i nuclei familiari con minori dove esistono ultracinquantacinquenni disoccupati che non riescono a ricollocarsi in un mercato del lavoro che si muove, sì certo, a fronte degli sgravi contributivi, ma forse non in maniera sufficiente per una ripresa economica ancora molto fragile. Quindi, affrontare il tema dell'impoverimento legato alle difficoltà del lavoro significa anche avere aperto una riflessione su uno strumento concreto, l'ASDI, che è uno strumento previsto dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, in attuazione della legge n.183 del 2014, la cui decorrenza prevista dal 1 maggio 2015 è stata poi prorogata fino al 2019, entrando in vigore il 3 febbraio 2016 e che andrà a regime non prima del giugno 2017 con l'esaurirsi del primo periodo della NASPI. Un assegno di disoccupazione che viene rivolto a coloro che già beneficiano di ammortizzatori sociali e che possono accedere a determinate condizioni a questa ulteriore misura di sostegno al reddito per massimo sei mesi. E sono disoccupati che hanno nel proprio nucleo familiare almeno un minore; sono ultracinquantacinquenni senza requisiti per la pensione di vecchiaia e di anzianità. Una misura assistenziale, ma non strutturale, mentre la legge delega che oggi discutiamo ha l'obiettivo di tendere a costruire interventi di contrasto alla povertà non più provvisori o sperimentali, ma basati su trasferimenti economici e sull'azione delle reti di welfare locali per la presa in carico. Interventi quindi strutturali, che proteggono una platea più ampia. Ma la povertà creata dalla mancanza di lavoro va affrontata anche concludendo al più presto la fase attuativa del decreto legislativo n. 150 del 2015 in materia di politiche attive del lavoro. Le politiche attive rappresentano uno strumento fondamentale per ridurre la disoccupazione strutturale e condizionare gli interventi a sostegno del reddito ad una ricerca attiva del lavoro. Provvedere quindi a un piano di rafforzamento dei centri per l'impiego proprio allo scopo di attuare progetti personalizzati di attuazione e inclusione lavorativa. Ma avremo bisogno, nei prossimi provvedimenti del Governo, non in questo, di interventi in favore degli ammortizzatori sociali perché, a fronte di una crescita economica modesta, occorre garantire sostegno al reddito a quei lavoratori che si trovano senza posto di lavoro a causa di crisi aziendali.Pag. 72
Infine, con la consapevolezza di quanto è accaduto a seguito dell'applicazione della manovra Fornero e con la conoscenza della drammaticità che si è creata per tanti lavoratori e tante lavoratrici che si sono ritrovati in un tempo brevissimo in una condizione di precarietà, di povertà, quindi senza reddito e senza pensione, a causa della modifica dei requisiti per l'accesso alla pensione, io auspico che nelle azioni prossime del Governo possa rientrare la possibilità della flessibilità in uscita per l'età pensionabile. Servirebbe e sarebbe utile per consentire ai tanti disoccupati, giovani e meno giovani, di entrare nel mondo del lavoro. Ed è il lavoro che contrasta la povertà; è il lavoro che rende le persone libere e che dà dignità alla propria vita (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Incerti. Ne ha facoltà.

ANTONELLA INCERTI. Grazie Presidente e sottosegretario Biondelli. Credo di essere l'ultima e, quindi, molte cose sono state già affrontate dai colleghi che mi hanno preceduto e mi soffermerò su pochi elementi. Io credo che innanzitutto, per capire la reale portata di un cammino nuovo che si è intrapreso, bisogna avere una consapevolezza precisa di ciò che abbiamo alle spalle. E lo dico perché siamo di fronte a un provvedimento e a un passaggio di grande significato che è espressione vera di una volontà di mettere in atto uno sforzo reale e soprattutto realistico in quanto ho sentito molti sogni qui. Una misura strutturale valida, per la prima volta, sul territorio nazionale, di contrasto alla povertà e la conseguente riforma di un sistema di politiche sociali di cui ha grande bisogno questo Paese. Un provvedimento che segna anche un passaggio nel dibattito perché estrapola questo tema dal territorio di marginalità in cui è sempre stato confinato. Spesso sono stati addotti altri provvedimenti per sanare questo. Qui oggi lo affrontiamo per quello che è, parliamo di povertà.
Già in realtà è un vero primo passo. Ci provò Prodi poi a dire la verità nel 1998. Costruzione di un sostegno di reddito progressivo per coloro che si trovano nella povertà assoluta. La povertà non è un dato nuovo in questo nostro Paese, ma dura da almeno quarant'anni ed è un dato strutturale, che si è accompagnato ad un'altra vera mancanza di questo Paese, vale a dire la mancanza di una rete di servizi, vero fulcro di attuazione di certe politiche, su tutto il territorio nazionale, che si è sempre mostrato fragile, inefficace e inoperoso. Tuttavia, credo che qualcosa è cambiato, come hanno sottolineato molti colleghi e le relatrici per la maggioranza in modo particolare. Certo, la crisi finanziaria ha cambiato per qualità e quantità questi dati. Sono raddoppiati, forse di più coloro che vivono in questa situazione rispetto al dato storico; si sono modificate le caratteristiche, si è modificata la platea, non più i residenti nel meridione, spesso genitori disoccupati con tre o più figli o anziani. La povertà oggi vuol dire nord del Paese, vuol dire nuclei familiari giovani con almeno due figli, vuol dire generalmente un solo genitore che lavora. Questo l'hanno sottolineato e vuol dire minori in grande sofferenza di povertà che spesso si traduce in povertà, non solo materiale, ma anche educativa.
Va inoltre ricordato che – lo dico a certi colleghi – le politiche nazionali sono state disastrose, insufficienti. Lo dico perché da amministratore ho vissuto gli anni del centrodestra a partire dai tagli dei fondi fondamentali nazionali, quelli per gli affitti e la non autosufficienza. A ciò voglio aggiungere un dato che nessuno ha ricordato: i vincoli incredibili, sempre più stringenti, negli anni maggiori della crisi, in cui bisognava affrontare diversamente la situazione, agli enti locali che sono i veri titolari di queste operazioni di sostegno a chi scivola via via nella povertà. Fondi che spesso i comuni hanno messo con la loro fiscalità locale e questo ha prodotto una disomogeneità straordinaria nel nostro Paese – questa è la causa –, oltretutto con risorse sempre molto basse. Ciò ha dovuto affrontare questo provvedimento: l'assenza di una misura nazionale da sempre, la frammentazione delle categorie e degli Pag. 73interventi che sono stati fatti, la prevalenza di contributi solo economici, peraltro mai di fatto verificati puntualmente, una progressiva sussidiarietà sostitutiva dell'intervento pubblico. È questo il quadro realistico, vero da cui muove questo provvedimento, con gli obiettivi che sono stati ricordati e che ricordo anch'io: impostare una misura nazionale su tutto il territorio partendo dai nuclei familiari con minori e disabilità, partendo da coloro che oltre i 55 anni di età sono stati espulsi dal mercato del lavoro, perciò non più ricollocabili. Va configurato questo intervento con l'attivazione e l'inclusione sociale, prevedendo quindi un percorso e un progetto personalizzato di attivazione, sostenuto dal sistema dei servizi. In una parola vuol dire di fatto partire dal principio di responsabilità individuale, che vuol dire anche riconsegnare dignità vera a coloro che sono in questa situazione. Risorse certe, mai avute con certezza fino ad oggi. Lo dice la legge di stabilità del 2016, lo fa per il 2017 e per gli anni successivi: un miliardo di euro, come è stato ricordato, nel 2017. Ulteriori risorse stanziate sugli ammortizzatori sociali – e non cito i dati, ma ci sono – con l'impegno, anche grazie al lavoro di tutti nelle Commissioni, per un processo di riordino. Dico riordino, cosa che si è fatta sempre puntualmente nelle amministrazioni pubbliche, perché spesso voleva dire una migliore qualità dei servizi. Coinvolgimento delle amministrazioni locali: questo è quello che differenzia il presente intervento da altri. Non so perché si continui a parlare di reddito di cittadinanza, ma mi pare che le proposte in realtà siano altre. Il reddito di cittadinanza vuol dire a tutti indistintamente per sempre, mi sembra che altri siano i temi, sono i comuni, sono le amministrazioni. Coloro che prenderanno a carico, nel costruire dei percorsi e dei nuclei, a partire dalle valutazioni multidisciplinari – perché il vero lavoro si farà lì – dovranno creare delle situazioni in cui tutti potranno accedere a questa misura con il coinvolgimento di tutti i servizi, non solo dei centri per l'impiego, di fatto. Questa è una nostra peculiarità che credo vada mantenuta; vuol dire anche coinvolgere i centri per l'impiego e il terzo settore, ma saranno le amministrazioni locali le depositarie e i veri titolari di questa misura. Da ultimo, un solido sistema di monitoraggio, come non era mai stato previsto, in grado di comprendere realmente ciò che avviene nelle comunità locali, trarne delle indicazioni operative utili al miglioramento di un provvedimento, che naturalmente andrà migliorato. Lo hanno ribadito tutti: questo è un primo passo, ma un primo passo strutturale. A fronte, ripeto, di molte proposte di cui non si capisce la realizzabilità, siamo di fronte a un tema, per la prima volta affrontato fuori dall'episodicità, in un orizzonte realistico di gradualità, certo, ma nello stesso tempo di stabilità e in un progressivo orizzonte universalistico. Credo che questo sia un buon inizio per procedere in questo cammino (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3594-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore Cominardi, che avrebbe due minuti e mezzo per replicare. Se può andare al banco dei nove. La relatrice Martelli avrebbe un minuto – non so se intende utilizzarlo – ma credo di no. Prego, onorevole Cominardi.

CLAUDIO COMINARDI, Relatore di minoranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Semplicemente, per ribadire un concetto: questo provvedimento secondo noi è insufficiente. Serviva un qualcosa di forte impatto per contrastare i dati allarmanti rispetto alla povertà. Il Jobs Act è stato fallimentare e lo si sta vedendo giorno dopo giorno, il tasso di disoccupazione non è in aumento. Cosa è aumentato ? È aumentata la parcellizzazione, è aumentata la frammentazione dei contratti, Pag. 74quindi, se una persona fa un'ora di lavoro con un voucher è lavoro ? Non è lavoro, è working poor class, quindi anche i lavoratori sono poveri. Siamo di fronte a un cambiamento epocale della nostra società. Il lavoro sta sempre per venire meno e, nel contempo, le disuguaglianze aumentano. Aveva ragione Renzi quando diceva che il risparmio privato delle famiglie è aumentato, ma non ha spiegato di quali famiglie, perché la disuguaglianza in questo Paese – lo dice l'indicatore di Gini – continua ad aumentare, quindi un tema sulla disuguaglianza bisogna farlo e bisogna farlo in maniera veloce. La proposta del MoVimento 5 Stelle ha fatto il giro di tutta Europa e di reddito, non di cittadinanza, ma di esistenza si comincia a parlarne, ma non ne parla solo il MoVimento 5 Stelle, non ne parla Cominardi, ma ne parlano in due sessioni del World Economic Forum di Davos di quest'anno, ne parlano alla Silicon Valley e ne parlano addirittura quei grandi magnati della finanza, come un certo Bill Gross, che è detentore del Fondo di investimento Pinko, quindi se, a livello globale, ci si sta interrogando sotto questo punto di vista forse è meglio che i Governi non rincorrano quelli che sono i mutamenti sociali, ma siano un attimino lungimiranti. Se, fino a due anni fa, le 85 persone più ricche al mondo detenevano la ricchezza equivalente a 3 miliardi e mezzo di persone che abitano su questo globo, la parte più povera, oggi non sono più 85, sono 62 (vuol dire che la disuguaglianza sta aumentando) e la classe media sta scomparendo e, se viene meno la classe media – lo dicono i principi economici base, come i moltiplicatori keynesiani – tutto si ferma. Incomincia a dirlo anche la grande imprenditoria, quindi vi chiedo di dare uno sguardo un po’ più in là, verso il futuro, perché un futuro lo vogliamo.

PRESIDENTE. La relatrice Martelli non c’è, il relatore Simonetti ha finito il tempo, come la relatrice Di Vita. Ha cinque minuti di tempo la relatrice Piazzoni.

ILEANA CATHIA PIAZZONI, Relatrice per la maggioranza per la XII Commissione. Grazie, Presidente. Io chiederei – sono state dette tante cose e molti colleghi hanno detto cose molto precise e non ci ritorno – veramente di fare uno sforzo per evitare la confusione. È chiaro che l'attuale stanziamento prevede delle priorità che sono state ricordate puntualmente dalla collega Lenzi e non può esaurire l'attuale stanziamento la platea della povertà assoluta, c’è scritto e lo diciamo e l'abbiamo detto. D'altro canto, non è nemmeno vero che l'incremento del Fondo possa avvenire solo attraverso il riordino, ma è vero il contrario: le risorse derivanti dal riordino possono essere finalizzate solo al Fondo, quindi non al risparmio o ad altre destinazioni. Sarebbe assurdo del resto vietare un incremento di un fondo strutturale. Quindi, bisogna evitare anche di ripetere questa cosa dei 56 euro a famiglia, perché veramente non è giusto nei confronti di coloro che dovranno essere i destinatari. La sperimentazione che c’è stata e l'implemento che ci sarà a livello nazionale del SIA prevede un minimo di 160 euro per un nucleo familiare di due persone, per arrivare anche a 400 euro per nuclei con cinque persone. Ovviamente sono cifre che anche noi riteniamo insufficienti e che speriamo possano ricevere subito un incremento, proprio per quello che abbiamo detto. Teniamo comunque conto che l'estensione del SIA disporrà di circa la metà delle risorse di cui invece disporremo con l'avvio del fondo a regime. Ricordo che il miliardo è strutturale, non è uno stanziamento una tantum, e che l'assorbimento delle altre misure, quelle che abbiamo detto, sempre di contrasto alla povertà che sono parziali e categoriali, non è ancora del tutto quantificabile proprio perché abbiamo inserito nel DDL la tutela di chi oggi le riceve completamente, nessun taglio quindi. Peraltro io vorrei anche ricordare che la proposta di legge di Sinistra Italiana sul reddito minimo di inserimento prevede un'amplissima delega al Governo per il riordino di tutte le prestazioni assistenziali, comprese quelle per la disabilità (c’è Pag. 75un elenco allegato) e persino di tutti gli ammortizzatori sociali, quindi un impianto completamente diverso del nostro welfare. Allo stesso modo, ribadisco che tutte le proposte di legge prevedono di individuare i destinatari attraverso l'universalismo selettivo e non potrebbe essere diversamente. Ha ragione Cominardi quando dice che è stata tolta la parola universalismo selettivo ma il concetto è rimasto. L'abbiamo detto, l'abbiamo spiegato, lo rispieghiamo ora e invito peraltro, se non convince la nostra spiegazione, a leggere un articolo della professoressa Elena Granaglia, che specifica chiaramente come, per il contrasto alla povertà, non ci può essere, nella misura di visione europea, altro che questo, cioè l'universalismo, la platea generale senza categorie e chiaramente la selezione sulla prova dei mezzi. Un'ultima cosa: volevo segnalare che Cominardi ha ragione quando dice che sul reddito di cittadinanza si discute – si discute, non c’è ancora, ma si discute – mi viene solo da sottolineare che tutte le platee che ha citato, in cui questa discussione viene fatta, forse non sono esattamente delle «amiche storiche» dello stato sociale, che forse hanno sempre interpretato come un po’ paternalistico; la metto lì soltanto come riflessione. In ultimo, penso invece che quanto detto dalla collega Di Vita abbia proprio un fondamento sul fatto che ovviamente non condivido alcune delle critiche, però credo che sia vero che questo è un punto di svolta e, da qui in avanti, questa strada può veramente dividersi, quindi andare avanti in una progressione utile, oppure chiaramente fermarsi. Penso che tutti coloro che hanno a cuore il contrasto alla povertà – e penso che siano quasi tutti – dovrebbero riflettere veramente su come agire insieme proprio per evitare che ci sia un termine e che invece la strada vada avanti. Ci sarebbe un ultimo punto, ma credo che la collega Giacobbe possa affrontarlo meglio di me.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la maggioranza per la XI Commissione, Anna Giacobbe.

ANNA GIACOBBE, Relatrice per la maggioranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Noi abbiamo identificato esplicitamente la povertà assoluta, come oggetto del provvedimento, d'intesa peraltro con l'Alleanza contro la povertà. Non c’è nessuna sottovalutazione dei processi di impoverimento che hanno riguardato vaste fasce di popolazione della classe media ed è un processo, diciamo, di polarizzazione della ricchezza che riguarda il nostro mondo. C’è molto da fare di più, c’è molto da fare: far ripartire un'economia, ma utilizzare però strumenti e sedi che non possono essere questa. C’è da intervenire sulle politiche del lavoro, sugli ammortizzatori sociali – io richiamo il Governo anche a questi elementi sui quali tornare – e poi c’è un punto che riguarda il fatto che una parte di queste risorse, di questi interventi sarà destinata alle persone che vengono da altri Paesi, come se questo fosse un problema. Allora, noi intanto vogliamo essere una comunità accogliente, ma in questo momento siamo accoglienti coi soldi loro. Tra quello che versano le persone che vengono da altri Paesi alle casse dello Stato (6 miliardi e 800 milioni al fisco) e alla previdenza e quello che ricevono dalla nostra comunità il saldo è sicuramente a svantaggio di queste persone, se vogliamo. Allora c’è un problema di principio ma c’è un problema di inclusione: includere queste persone vuol dire anche fare queste cose (Applausi della deputata Piazzoni).

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo rinunzia alla replica.

(Annunzio di questioni pregiudiziali – A.C. 3594-A)

PRESIDENTE. Avverto che a norma dell'articolo 40, comma 1, primo periodo, del Regolamento sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Simonetti ed altri n. 1 e Scotto ed altri n. 2 che saranno esaminate e poste in votazione prima di passare all'esame degli articoli.Pag. 76
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 luglio 2016, alle 10:

1. – Svolgimento di interrogazioni.

(ore 12)

2. – Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico (C. 3954).

3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 9 giugno 2016, n. 98, recante disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA (C. 3886-A).
Relatori: Bratti (per la VIII Commissione) e Bargero (per la X Commissione), per la maggioranza; Zaratti (per l'VIII Commissione) e Crippa (per la X Commissione), di minoranza.

4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
VERINI ed altri: Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, e delega al Governo per la sua attuazione. Delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l'estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 1460-B).
Relatori: Ferranti, per la II Commissione; Nicoletti, per la III Commissione.

5. – Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):
Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali (collegato alla legge di stabilità 2016) (C. 3594-A).
Relatori: Giacobbe (per la XI Commissione) e Piazzoni (per la XII Commissione), per la maggioranza; Cominardi, Martelli e Simonetti (per la XI Commissione) e Di Vita (per la XII Commissione), di minoranza.

6. – Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni nei confronti del deputato Luigi Cesaro (Doc. IV, n. 16-A).
Relatore: Di Lello.

7. – Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati telefonici nei confronti del deputato Chaouki (Doc. IV, n. 17-A).
Relatore: Marchi.

La seduta termina alle 18,25.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA CRISTINA BARGERO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE (A.C. 3886-A)

CRISTINA BARGERO, Relatrice per la maggioranza per la X Commissione. Onorevoli colleghi, le Commissioni riunite VIII Pag. 77e X propongono oggi all'Assemblea la conversione in legge di un decreto-legge che, anche a seguito di un proficuo e costruttivo confronto con il Governo e con i diversi gruppi parlamentari, risulta notevolmente migliorato rispetto al testo originario.
Ricordo, preliminarmente, che il decreto-legge al nostro esame, che consta ora di quattro articoli, interviene sulle norme riguardanti la procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA, tuttora in corso, modificando alcune disposizioni per lo più contenute nei più recenti decreti-legge riguardanti la modifica del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria e i diritti e gli obblighi degli acquirenti (o affittuari) del complesso aziendale.
L'articolo 1, comma 1, lettera a), che non ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente, reca disposizioni in merito alla restituzione del prestito di 300 milioni di euro da parte dell'amministrazione straordinaria. Si prevede che l'obbligo di restituzione degli importi erogati dallo Stato sia posto a carico dell'amministrazione straordinaria del Gruppo ILVA (cui tali somme sono state effettivamente versate), anziché in capo al soggetto aggiudicatario della procedura di cessione, modificando così il comma 3 del decreto-legge n. 191 del 2015. La disposizione prevede che la restituzione dell'importo erogato abbia luogo entro 60 giorni dall'adozione del decreto di cessazione dell'esercizio dell'impresa di cui all'articolo 73 del decreto legislativo n. 270 del 1999, anteponendolo agli altri debiti della procedura.
Ricordo che il decreto-legge n. 191 del 2015 ha fissato al 30 giugno 2016 il termine entro il quale i commissari del Gruppo ILVA debbono espletare le procedure per il trasferimento dei complessi aziendali, assicurando la discontinuità, anche economica, della gestione da parte del o dei soggetti aggiudicatari. Le procedure di trasferimento debbono svolgersi in osservanza delle modalità previste dal decreto-legge n. 347 del 2003 («Misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza»), in base al quale i commissari straordinari individuano l'affittuario o l'acquirente, a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono, a seconda dei casi, la continuità nel medio periodo del relativo servizio pubblico essenziale ovvero la continuità produttiva dello stabilimento industriale di interesse strategico nazionale anche con riferimento alla garanzia di adeguati livelli occupazionali, nonché la rapidità ed efficienza dell'intervento, anche con riferimento ai profili di tutela ambientale e al rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione nazionale e dai Trattati sottoscritti dall'Italia. La lettera b) del comma 1, oggetto di modifica nel corso dell'esame in sede referente, innova sostanzialmente la disciplina procedurale, prevista dal comma 8 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 191 del 2015, applicabile nel caso in cui la realizzazione del piano industriale e finanziario, proposto dall'aggiudicatario, relativamente allo stabilimento siderurgico ILVA S.p.A. di Taranto, richiedesse modifiche o integrazioni al Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria o ad altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto. Viene definita così – attraverso il novellato comma 8 e i nuovi commi 8.1, 8.2 e 8.3 – una nuova e più articolata procedura, che ha l'effetto di ridefinire i tempi per il completamento del trasferimento attraverso la definizione delle offerte definitive vincolanti, l'anticipazione della loro valutazione relativamente ai profili di carattere ambientale nella fase di selezione delle offerte medesime, nonché l'autorizzazione delle modifiche del Piano. La disciplina previgente prevedeva infatti che, qualora la realizzazione del piano industriale e finanziario, proposto dall'aggiudicatario, relativamente allo stabilimento siderurgico ILVA S.p.A. di Taranto, richiedesse modifiche o integrazioni al Piano ambientale, le modifiche o le integrazioni al Piano fossero autorizzate, su specifica istanza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito l'Istituto Pag. 78superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), e del Ministro della salute, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I nuovi commi 8 e 8.1 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 191 del 2015 disciplinano le tre fasi della nuova procedura, due delle quali si svolgono prima dell'aggiudicazione. Nell'ambito della prima fase, concernente la definizione delle offerte vincolanti definitive, si prevede, in primo luogo, che, qualora le offerte presentate nel termine del 30 giugno 2016 prevedano modifiche o integrazioni al Piano approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014 o ad altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio degli impianti, i relativi progetti di modifica e le proposte di nuovi interventi siano valutati dal comitato di esperti – istituito dal nuovo comma 8.2 – che può avanzare, a ciascun offerente, una richiesta di integrazione della documentazione prodotta in sede di offerta, affinché fornisca gli ulteriori documenti necessari, compresi i documenti progettuali, i cronoprogrammi di realizzazione, comprensivi della richiesta motivata di eventuale differimento, non oltre 18 mesi, del termine ultimo per l'attuazione del Piano, l'analisi degli effetti ambientali e l'analisi dell'applicazione delle BAT Conclusions, con espresso riferimento alle prestazioni ambientali dei singoli impianti come individuate dall'offerta presentata.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato inserito un periodo volto a disporre che «tale facoltà» (e quindi la facoltà del comitato di chiedere, a ciascun offerente, l'integrazione documentale di cui sopra) deve essere esercitata nel rispetto della parità dei diritti dei partecipanti. Sulla base dell'istruttoria svolta dal comitato, il Ministro dell'ambiente (sentito il Ministro dello sviluppo economico) esprime il proprio parere entro il termine di 120 giorni dalla presentazione dell'istanza dei commissari straordinari. Nel parere il Ministro può proporre eventuali integrazioni o modifiche alle proposte dei soggetti offerenti. Nei successivi quindici giorni, decorrenti dal ricevimento del parere succitato, gli offerenti presentano le offerte vincolanti definitive, conformando i relativi piani al predetto parere del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Nel caso in cui l'offerente non accetti le risultanze del parere (a seguito di un emendamento approvato dalle Commissioni è stato chiarito che deve farsi riferimento a tutte le risultanze del parere) ovvero non confermi o aggiorni di conseguenza l'offerta presentata, si prevede l'esclusione dalla procedura di aggiudicazione. Nella seconda fase, l'esperto indipendente nominato ai sensi dell'articolo 4, comma 4-quater, del decreto-legge n. 347 del 2003 (che prevede che il canone di affitto o il prezzo di cessione non sono inferiori a quelli di mercato come risultanti da perizia effettuata da primaria istituzione finanziaria o di consulenza aziendale con funzione di esperto indipendente) redige, nei successivi 30 giorni, una relazione finalizzata a valutare la compatibilità delle offerte vincolanti definitive con i criteri di mercato, tenuto conto delle previsioni economiche, patrimoniali e finanziarie contenute nei rispettivi piani, e la sostenibilità finanziaria, con particolare riferimento al periodo di affitto e nella prospettiva della definitiva cessione. La relazione dell'esperto indipendente è acquisita dai commissari straordinari in sede di valutazione delle offerte ai fini dell'aggiudicazione. La terza fase – disciplinata dal comma 8.1, come modificato nel corso dell'esame in sede referente – si svolge dopo l'adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico, che individua il soggetto aggiudicatario: l'aggiudicatario, in qualità di gestore dello stabilimento, può presentare una domanda di autorizzazione dei nuovi interventi e di modifica del Piano, approvato con decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, o di altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto, sulla base dello schema di Piano accluso alla propria offerta vincolante definitiva. La domanda, completa dei relativi allegati, è sottoposta ad una fase di consultazione pubblica sul sito del Ministero dell'ambiente per un periodo di 30 giorni, ai fini dell'acquisizione di eventuali osservazioni. Sulla base di una modifica Pag. 79approvata nel corso dell'esame in sede referente, si prevede che della disponibilità della domanda sul sito, ai fini della consultazione da parte del pubblico, è dato tempestivo avviso mediante pubblicazione su due quotidiani a diffusione nazionale e almeno due quotidiani a diffusione regionale. L'istruttoria sugli esiti della consultazione è svolta dal comitato di esperti, istituito dal comma 8.2, nel termine di 60 giorni dalla data di presentazione della domanda, predisponendo, sulla base di una modifica approvata nel corso dell'esame in sede referente, una relazione di sintesi delle osservazioni ricevute, nonché garantendo il pieno rispetto dei valori limite di emissione stabiliti dalla normativa europea, garantendo il pieno rispetto dei valori limite di emissione stabiliti dalla normativa europea. Le modifiche o le integrazioni – preciso, a tale proposito, che il riferimento alle «integrazioni» è stato inserito nel corso dell'esame in sede referente – del Piano o di altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto sono disposte, nei quindici giorni successivi alla conclusione dell'istruttoria, con un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta dei Ministri dell'ambiente e dello sviluppo economico. Nel corso dell'esame in sede referente è stato chiarito che le citate modifiche o integrazioni devono in ogni caso assicurare standard di tutela ambientale coerenti con le previsioni del Piano approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, in quanto compatibili. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione delle modifiche o integrazioni tiene luogo, ove necessario, della VIA (valutazione di impatto ambientale). Viene inoltre stabilito che il medesimo decreto ha valore di AIA (autorizzazione integrata ambientale) e conclude tutti i procedimenti di AIA in corso presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il nuovo comma 8.2, come modificato nel corso dell'esame in sede referente, prevede la nomina, da parte del Ministro dell'ambiente, entro 5 giorni dall'istanza dei commissari straordinari di cui al comma 8, primo periodo, di un comitato di esperti, composto da tre componenti scelti tra soggetti di comprovata esperienza in materia di tutela dell'ambiente e di impianti siderurgici. La norma disciplina altresì la retribuzione dei componenti, con oneri a carico di ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria, prevedendo che a ciascuno di essi sia corrisposto il rimborso delle spese di missione, nonché un compenso temporalmente parametrato (il testo iniziale prevedeva che fosse «in misura pari») al compenso annuale spettante ai componenti della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, maggiorato del 20 per cento. La norma prevede inoltre, sulla base di una modifica approvata nel corso dell'esame in sede referente, che il comitato si avvalga della struttura commissariale di ILVA e del Sistema nazionale delle agenzie ambientali e possa avvalersi delle altre amministrazioni interessate. Un'ulteriore modifica approvata dalle Commissioni riunite prevede che i curricula dei componenti del Comitato siano resi pubblici nel sito web del Ministero dell'ambiente, nonché mediante link nei siti web della regione e degli enti locali interessati.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato altresì inserito il comma 8.2-bis, che prevede l'istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un coordinamento tra la regione Puglia, i ministeri competenti e i comuni interessati con lo scopo di facilitare lo scambio di informazioni tra dette amministrazioni in relazione all'attuazione del Piano ambientale approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014, ivi comprese le eventuali modifiche o integrazioni. Il coordinamento si riunisce almeno due volte l'anno su richiesta motivata di uno dei componenti.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato inoltre introdotto il comma 8.2-ter, che prevede l'autorizzazione per l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Puglia ad assumere personale a tempo indeterminato, per assicurare le necessarie attività di vigilanza, controllo, Pag. 80monitoraggio e gli eventuali accertamenti tecnici riguardanti l'attuazione del Piano ambientale, fermo restando il rispetto degli obiettivi del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate e le spese finali, ed in deroga alla normativa vigente in materia di limitazioni alle assunzioni. Il richiamato personale è assunto a seguito di procedure di selezione pubblica disciplinate con provvedimento della regione Puglia, per un contingente strettamente necessario ad assicurare le attività sopra richiamate da inquadrare nel rispetto della vigente normativa regionale, nel limite massimo di spesa pari a 2,5 milioni di euro per il 2016 e a 5 milioni di euro a decorrere dal 2017, a valere sulle risorse stanziate all'uopo nel bilancio della regione Puglia. In ogni caso, le assunzioni possono essere effettuate previo espletamento delle procedure sulla mobilità del personale delle province, di cui all'articolo 1, commi 423 e seguenti, della legge n. 190 del 2014.
Il nuovo comma 8.3, che non ha subito modifiche nel corso dell'esame in sede referente, è finalizzato a limitare l'applicazione della disciplina riguardante gli oneri reali e i privilegi speciali immobiliari, prevista per i siti contaminati oggetto di bonifica dall'articolo 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto «Codice dell'ambiente»), ai beni, alle aziende, ai rami d'azienda individuati dal programma commissariale a seguito dell'approvazione delle modifiche o delle integrazioni del piano ambientale e di bonifica relativi a tali beni o ad altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto, ivi incluse quelle richieste dall'aggiudicatario. Si prevede, infatti, che tali beni, aziende e rami d'azienda siano oggetto delle previsioni di cui all'articolo 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 limitatamente alla inottemperanza alle prescrizioni di bonifica previste dai predetti piani o dagli eventuali ulteriori titoli autorizzativi necessari per l'esercizio dell'impianto, che lo stesso aggiudicatario si sia impegnato ad attuare, cioè – secondo quanto precisato dalla relazione illustrativa – per importi limitati al solo valore delle prescrizioni di bonifica effettivamente non ottemperate.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato introdotto all'articolo 1 il comma 1-bis, che modifica il comma 1-ter dell'articolo 3 del decreto-legge n. 347 del 2003. Quest'ultima disposizione disciplina la prededucibilità dei crediti relativi a prestazioni necessarie al risanamento ambientale, alla sicurezza e alla continuità dell'attività degli impianti produttivi essenziali nonché i crediti anteriori relativi al risanamento ambientale, alla sicurezza e all'attuazione degli interventi in materia di tutela dell'ambiente e della salute previsti dal piano di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, vantati da piccole e medie imprese. Viene precisato che «le distribuzioni di acconti parziali» sono effettuate dal commissario straordinario dando preferenza al pagamento dei crediti delle imprese fornitrici, conformemente a quanto previsto dall'articolo 212 della legge fallimentare, senza pertanto incidere sulla graduazione dei crediti prededucibili. Si precisa, inoltre, che l'autorità che vigila sulla liquidazione è sostituita dal giudice delegato alla procedura.
Il comma 2 dell'articolo 1 dispone che i commi terzo e quinto dell'articolo 104-bis della legge fallimentare – richiamati nella disciplina della procedura di cessione dei complessi aziendali delineata dall'articolo 4, comma 4-quater, del decreto-legge n. 347 del 2003, cosiddetto «decreto-legge Marzano» – non trovano applicazione se il contratto di affitto prevede l'obbligo, anche sottoposto a condizione o a termine, di acquisto del ramo d'azienda o dell'azienda da parte dell'affittuario e, dunque, non è prevista l'ispezione dell'azienda, né il diritto di recesso dell'amministrazione straordinaria, né il diritto di prelazione dell'affittuario. Restano invece fermi gli obblighi dell'affittuario di prestare idonee garanzie in relazione a tutte le obbligazioni che assume con il contratto di affitto o che derivano dalla legge. Nel corso dell'esame in sede referente è stato previsto che resta fermo l'obbligo di inviare Pag. 81alle Camere, ogni 6 mesi, una relazione sull'attività posta in essere con riguardo al piano ambientale e al rispetto delle obbligazioni contrattuali assunte dall'aggiudicatario.
Con riferimento all'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva per affittuari o acquirenti, l'articolo 1, al comma 3, novella l'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 207 del 2012, al fine di estendere all'affittuario o all'acquirente dei complessi aziendali dell'ILVA l'immissione nel possesso dei beni dell'impresa e l'autorizzazione alla prosecuzione dell'attività produttiva nei relativi stabilimenti e la commercializzazione dei relativi prodotti.
L'articolo 1, comma 4, alla lettera a) integra il comma 5 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 1 del 2015, attraverso l'inserimento di due periodi, al fine di consentire la proroga di ulteriori 18 mesi del termine ultimo, già fissato al 30 giugno 2017, previsto per l'attuazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, adottato con il citato decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 14 marzo 2014. Tale proroga, che deve essere avanzata su istanza dell'aggiudicatario – selezionato nell'ambito della procedura avente ad oggetto il trasferimento dei complessi aziendali facenti capo ad ILVA S.p.A. – attraverso la domanda di autorizzazione dei nuovi interventi e di modifica del Piano medesimo, o di altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto, deve essere contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui si dispongono le modifiche del Piano o di altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dell'impianto, conformemente alle risultanze dell'istruttoria del Comitato degli esperti. Si prevede, inoltre, che il citato termine ultimo per l'attuazione del Piano si applichi ad ogni altro adempimento, prescrizione, attività o intervento di gestione ambientale e di smaltimento e gestione dei rifiuti riguardante ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria e alle altre società da essa partecipate anch'esse in amministrazione straordinaria e che il medesimo termine ultimo sostituisca ogni altro diverso termine intermedio o finale che non sia ancora scaduto alla data di entrata in vigore del decreto legge in esame, previsto da norme di legge o da provvedimenti amministrativi comunque denominati.
La lettera b) del comma 4 modifica l'articolo 2, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2015, al fine di estendere anche all'affittuario o all'acquirente, nonché ai soggetti da questi delegati, l'esclusione dalla responsabilità penale o amministrativa a fronte di condotte poste in essere in attuazione del piano ambientale. Tale esclusione era prevista dal decreto-legge del 2015 solo in relazione al commissario straordinario ed ai suoi delegati. In conseguenza delle modifiche apportate dalla norma in esame, il nuovo disposto del predetto comma 6 prevede che le condotte poste in essere in attuazione del Piano non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell'affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell'incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro. Le Commissioni in sede referente, in linea anche con la condizione posta dalla Commissione Giustizia, hanno specificato che l'esclusione dalla responsabilità penale e amministrativa per l'affittuario, l'acquirente o i soggetti da questi delegati, opera soltanto in relazione alle condotte poste in essere fino al 30 giugno 2017, ovvero fino all'ulteriore termine di 18 mesi che venga eventualmente concesso.
Il comma 5 dell'articolo 1 stabilisce che le modifiche apportate dalle disposizioni dell'articolo 1 del decreto-legge n. 191 del 2015 hanno efficacia anche rispetto a procedure di amministrazione straordinaria già avviate. Preciso, al riguardo, che le modifiche introdotte dall'articolo 1 riguardano pressoché integralmente procedure relative all'amministrazione straordinaria di ILVA s.p.a. che è iniziata anteriormente all'entrata in vigore del decreto-legge in commento.Pag. 82
L'articolo 1-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, dispone la trasmissione al Ministero dell'ambiente – da parte dei commissari straordinari – della mappatura, aggiornata alla data del 30 giugno 2016, dei rifiuti pericolosi o radioattivi e del materiale contenente amianto presenti all'interno degli stabilimenti della società ILVA S.p.A.
L'articolo 2, al quale non sono state apportate modifiche nel corso dell'esame in sede referente, reca disposizioni in merito ai finanziamenti ad imprese strategiche. Il comma 1 posticipa al 2018. ovvero successivamente, il termine previsto per il rimborso degli importi finanziati da parte dello Stato in favore del Gruppo ILVA – ai sensi del comma 6-bis dell'articolo 1 del decreto-legge n. 191 del 2015 – che avrebbero dovuto essere rimborsati nel medesimo esercizio finanziario in cui sono state erogate, nell'ambito della procedura di ripartizione dell'attivo della società ivi prevista. A tal fine è modificato il comma 6-bis dell'articolo 1 del citato decreto-legge n. 191 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2016, che autorizza i Commissari del Gruppo ILVA a contrarre finanziamenti statali per un ammontare complessivo fino a 800 milioni di euro (fino a 600 milioni di euro nel 2016 e fino a 200 milioni di euro nel 2017), al fine esclusivo dell'attuazione e della realizzazione del Piano di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa in amministrazione straordinaria e nel rispetto della normativa dell'Unione europea in materia. I finanziamenti statali, erogati secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico ed iscritti in apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero medesimo, maturano interessi al tasso percentuale Euribor a 6 mesi maggiorato di uno spread pari al 3 per cento. La norma prevede che i finanziamenti statali siano rimborsati nel medesimo esercizio finanziario in cui sono stati erogati, ovvero in altro esercizio qualora si provveda in tal senso con apposita disposizione legislativa. I crediti maturati dallo Stato per capitale e interessi sono soddisfatti, nell'ambito della procedura di ripartizione dell'attivo della società, in prededuzione, ma subordinatamente al pagamento, nell'ordine, dei crediti prededucibili di tutti gli altri creditori della procedura di amministrazione straordinaria, nonché dei creditori privilegiati (vale a dire, sui fondi definitivamente acquisiti in esito ai procedimenti penali pendenti). I suddetti finanziamenti statali sono stati concessi per assicurare la tempestiva disponibilità delle somme necessarie agli interventi di messa in sicurezza e bonifica, per i quali la Commissione europea, nel parere motivato del 16 ottobre 2014 concernente la procedura di infrazione n. 2013 del 2177, ha ritenuto che l'Italia fosse direttamente obbligata e responsabile anche prima della definizione giudiziaria delle responsabilità di ILVA.
Il comma 2 dell'articolo 2 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal mancato rimborso degli importi finanziati nel 2016 disposto dal comma 1, pari a 400 milioni di euro, in termini di solo fabbisogno, nell'esercizio 2016, a compensazione del quale si prevede un versamento di pari importo delle somme gestite presso il sistema bancario dalla Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA) su un apposito conto corrente di tesoreria centrale fruttifero, appositamente aperto e remunerato secondo il tasso riconosciuto sulle sezioni fruttifere dei conti di tesoreria unica. In relazione alle somme rimborsate, la giacenza da detenere a fine anno su tale conto corrente di tesoreria da parte della CSEA viene corrispondentemente estinta o ridotta.
Il comma 3 riguarda la copertura degli oneri che si vengono a determinare in termini di maggiori interessi passivi, quantificati in 200.000 euro annui a decorrere dal 2017, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze.
L'articolo 3, infine, disciplina l'entrata in vigore del decreto-legge nel giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 9 giugno 2016.

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TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA PROPOSTA DI LEGGE DI RATIFICA (A.C. 1460-B)

DONATELLA FERRANTI, Relatrice per la II Commissione. La proposta di legge in esame, approvata dalla Camera e modificata dal Senato, si propone di raggiungere due distinti obiettivi di pari importanza per il contrasto multilaterale alla delinquenza transnazionale: da un lato, la attuazione della Convenzione di Bruxelles relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, siglata tra gli Stati membri dell'Unione nell'ottobre del 2000; dall'altro la modifica del libro XI del codice di procedura penale, in materia di Rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Ad esclusione delle previsioni di cui all'articolo 5, che intervengono direttamente nel tessuto del codice del rito penale per colmare talune lacune segnalate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di consegna alle autorità straniere dell'estradando, lo strumento normativo prescelto per dare attuazione alla Convenzione e per innovare il libro XI del codice di procedura penale è quello delle deleghe che pongono principi e criteri direttivi che necessitano di una successiva attuazione, attraverso l'emanazione di decreti legislativi. Questa scelta è stata dettata dalla complessità ed estensione dell'intervento legislativo da fare. In questi casi, infatti, può essere più opportuno ricorrere a deleghe estremamente dettagliate, piuttosto che a disposizioni legislative che vanno a modificare direttamente il codice di procedura penale, con il rischio di formulare una nuova disciplina legislativa che potrebbe presentare delle disarmonie che con i tempi e le modalità dei lavori parlamentari potrebbero non essere immediatamente evidenti.
Si precisa immediatamente che da un punto di vista strettamente costituzionale nulla osta a che una legge di ratifica ed attuazione di un atto internazionale preveda qualcosa in più specialmente quanto questo qualcosa è connesso con la materia oggetto dell'atto internale. Nel caso in esame questo ampliamento del contenuto della proposta di legge di ratifica risponde ad una esigenza di coerenza, in quanto la materia dell'assistenza giudiziaria, che è oggetto della Convenzione da ratificare, è attualmente disciplinata dal codice di procedura penale in maniera non adeguata rispetto una criminalità, specie quella organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo Stato, e sa ben sfruttare tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell'informazione.
Sarebbe stato riduttivo ed improprio mettere mano alla materia dell'assistenza giudiziaria in maniera volutamente parziale, come sarebbe avvenuto qualora ci si fosse limitati alla sola attuazione della Convenzione. Ratifica ed attuazione peraltro in notevole ritardo, avvenendo a quattordici anni dalla sottoscrizione della Convenzione: questo ritardo è stato a più riprese stigmatizzato dalle Istituzione europee.
In base a questi principi di fondo, dunque, l'intervento è strutturato in due segmenti: dall'articolo 1 all'articolo 3 sono contenute le previsioni per la ratifica, esecuzione ed attuazione della Convenzione; dall'articolo 4 all'articolo 7 vi sono le disposizioni di riforma del libro XI del codice di procedura penale.
Quanto alla Convenzione di Bruxelles, con l'articolo 1 si autorizza il Presidente della Repubblica alla ratifica e con l'articolo 2 si esplicita che, in conformità a quanto previsto dall'articolo 27 della Convenzione, questa sarà esecutiva nel territorio statale a decorrere dall'entrata in vigore.
L'articolo 3 delega il Governo ad emanare – entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge – uno o più decreti legislativi per dare attuazione alla Convenzione, individuando alcuni principi e criteri direttivi.
In particolare, in base alle lettere a) e b) del comma 1, il Governo dovrà prevedere norme volte a migliorare la cooperazione Pag. 84giudiziaria in materia penale con gli Stati membri dell'Unione europea e ad assicurare che l'assistenza giudiziaria dell'Italia sia attuata in maniera rapida ed efficace, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (Convenzione EDU).
I decreti legislativi dovranno inoltre: garantire l'assistenza giudiziaria anche nei procedimenti per l'applicazione di sanzioni amministrative, in attuazione dell'articolo 3 della Convenzione; disciplinare la restituzione delle cose pertinenti il reato, in attuazione dell'articolo 8 della Convenzione (lettera c)); disciplinare la procedura per il trasferimento, a fini investigativi, di persone detenute, in attuazione dell'articolo 9 della Convenzione; disciplinare gli effetti processuali delle audizioni compiute mediante video conferenza in attuazione degli articoli 10 e 11 della Convenzione; prevedere la possibilità per PM e polizia giudiziaria di ritardare provvedimenti di competenza, in indagini relative a delitti per i quali è consentita l'estradizione, al fine di poter procedere alla cattura dei responsabili (lettera d)); prevedere l'applicazione del principio di reciprocità nei confronti di Regno Unito ed Irlanda, che si sono riservate la facoltà di coinvolgere l'autorità centrale nelle richieste di assistenza giudiziaria provenienti da altro Stato Membro, benché lo spirito della Convenzione favorisca il dialogo diretto tra omologhe Autorità Giudiziarie (lettera e)); disciplinare le intercettazioni in attuazione degli articoli da 17 a 22 della Convenzione (lettera f)); prevedere la responsabilità civile e penale dei funzionari esteri in servizio in Italia nelle squadre di consegna che operano nel contesto dei gruppi investigativi comuni (lettera g)).
Il secondo comma delinea la procedura per l'emanazione dei decreti legislativi, che prevede l'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari.
Così enunciati i principi di delega per l'attuazione della Convenzione di Bruxelles, con l'articolo 4 sono fissati i criteri di delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale.
La modifica di questo settore del codice di rito penale costituisce una priorità di azione anche nella prospettiva della ratifica di altre convenzioni internazionali, che in anni recenti hanno dato il segno di una sempre maggiore volontà di cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali.
Tuttavia, come principio consolidato del codice di rito, le norme dell'undicesimo libro si applicano in quanto le relative materie non siano disciplinate da convenzioni multilaterali ovvero bilaterali: le regole codicistiche mantengono quindi il loro carattere applicativo residuale.
Benché i principi di delega si propongano di normare prevalentemente i rapporti con l'autorità giudiziaria di Paesi non aderenti all'Unione europea, che non abbiano raggiunto intese con l'Italia in materia di Assistenza Giudiziaria in ambito penale, taluni principi generali sono affermati anche in relazione alla cooperazione con gli Stati membri, pur disciplinati in via principale dai testi comunitari e convenzionali.
La ricognizione del quadro normativo vigente e delle prassi applicative ha fatto ritenere che il sistema italiano di disciplina delle rogatorie cosiddette passive, e cioè dell'esecuzione delle richieste di altri Stati di raccolta di prove, sia «troppo pesante».
Nell'intervento legislativo in esame si valorizza, nei rapporti tra Stati membri dell'Unione europea, il meccanismo della trasmissione diretta all'autorità giudiziaria competente all'esecuzione della rogatoria, assicurando la trattazione immediata delle rogatorie urgenti. Altresì si elimina il preventivo vaglio della Corte di cassazione sulla competenza, che ha provocato un ulteriore, pesante quanto non necessario, rallentamento delle relative procedure.
Altra criticità è la difficoltà per un giudice come la corte d'appello di governare materie ed esigenze investigative affidate ordinariamente alle competenze di organi diversi.
Va, dunque, privilegiato un modello di soluzioni differenziate, in grado di garantire la sostanziale depoliticizzazione del sistema dell'assistenza giudiziaria nell'area Pag. 85circoscritta dall'efficacia degli accordi internazionali stipulati tra Stati dell'Unione europea, pur conservando in capo al Ministro della giustizia una funzione di filtro.
Inoltre si è voluto porre mano alla riforma dell'estradizione.
Sul presupposto della conservazione della tradizionale regola di esclusione della possibilità di estradizione di un imputato o di un condannato all'estero senza garanzia giurisdizionale (salvo a considerare l'esigenza di disciplinare procedure semplificate in caso di consenso dell'avente diritto), la proposta di riforma muove dalla riconosciuta esigenza di differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell'autorità politica e dell'autorità giudiziaria, sì da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri.
Nel quadro di una più generale manovra di semplificazione e di accelerazione della relativa procedura, ma anche di rafforzamento delle garanzie difensive, va modificata la sequenza procedimentale dell'estradizione per l'estero, potenziando i meccanismi di interlocuzione diretta dell'autorità giudiziaria con le competenti autorità dello Stato richiedente, a fini di acquisizione informativa nel rigoroso rispetto delle garanzie giurisdizionali e del principio del contraddittorio.
V’è poi necessità che il codice di rito appresti un nucleo comune di fondamentali regole procedurali, in sé coerenti con le regole accolte nel sistema di cooperazione fra Stati dell'Unione europea nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e destinate ad applicarsi salvo il caso di espressa e successiva deroga legislativa.
Le modifiche agli articoli 708 e 714 del codice di procedura penale rispondono invece all'esigenza di colmare una lacuna normativa, in più occasioni segnalata anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione.
Ciò detto in via generale, si illustrano brevemente gli articoli 4 e seguenti della proposta di legge.
L'articolo 4, n. 1, lettera a) riafferma, sulla scorta dell'attuale articolo 696 del codice di procedura penale, la applicabilità solo extraconvenzionale delle norme del Libro XI; la lettera b) afferma il principio di delega secondo il quale, in ogni caso, il Ministro della giustizia non dà corso alle richieste di assistenza provenienti da Paesi che non garantiscano il principio di reciprocità. Le due previsioni sono state introdotte dal Senato della Repubblica.
Poste tali premesse, le deleghe contenute nell'alt 4 si muovono su quattro fronti: la disciplina processuale dell'assistenza giudiziaria (lettera e)); le estradizioni (lettera d)); il riconoscimento di sentenze straniere e l'esecuzione all'estero di sentenze italiane (lettera e)); mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri (lettera f)).
Lettera c): l'assistenza giudiziaria.
Nell'articolo 4, comma 1, lettera c), n. 1) vengono esplicitati gli ambiti del potere d'intervento del Ministro della giustizia, che, per motivi di tutela della sovranità, della sicurezza e di altri interessi essenziali dello Stato, può decidere di non dare corso all'esecuzione della domanda di assistenza giudiziaria. Nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea, si prevede che tale potere possa essere esercitato nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni in vigore tra gli Stati ovvero dagli atti adottati dal Consiglio dell'Unione europea.
Più in generale, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera a), numeri 2), 3) e 4), si prevede che, se la richiesta ha per oggetto acquisizioni probatorie da compiersi davanti al giudice ovvero attività che secondo la legge dello Stato non possono svolgersi senza l'autorizzazione del giudice, il procuratore della Repubblica presenti senza ritardo le proprie richieste al giudice per le indagini preliminari del tribunale del capoluogo del distretto e che negli altri casi il procuratore della Repubblica dia senza ritardo esecuzione alla richiesta di assistenza giudiziaria con decreto motivato.Pag. 86
Si è, in particolare, previsto, sul versante passivo della cooperazione a fini di acquisizione probatoria e del sequestro a fini di confisca, l'intervento del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto e del giudice per le indagini preliminari del medesimo ufficio, in luogo di quello del procuratore generale presso la corte d'appello e di questa medesima corte.
Nella prospettiva appena delineata, si elimina l'appesantimento costituito dall'ulteriore fase processuale, finalizzata all'individuazione dell'organo competente, in capo alla Corte di cassazione, in caso di atti da compiersi in diversi distretti giudiziari. Si è dunque previsto che dovranno essere individuati criteri predeterminati per la concentrazione delle procedure di esecuzione di atti che devono compiersi in distretti diversi e procedure semplificate per la definizione di eventuali contrasti e conflitti. Il Senato della Repubblica ha arricchito la delega del n. 4) definendo i poteri attribuiti in materia alla Corte di cassazione.
Il Senato ha anche introdotto i principi di delega di cui all'articolo 4, comma 1, lettera e) n. 5), con i quali si fissano i criteri sulla base dei quali l'autorità giudiziaria non dovrà dar corso alle richieste di assistenza giudiziaria, mutuandoli dal vigente articolo 724, commi 5 e 5-bis del codice di procedura penale.
Ulteriori previsioni dovranno riguardare la possibilità di autorizzare la presenza alle attività da compiersi di rappresentanti ed esperti dell'autorità richiedente, dandone comunicazione al Ministro della giustizia se la richiesta proviene da autorità diverse da quelle di Stati membri dell'Unione europea (n. 6), e la possibilità di compiere attività supplementari, non indicate nella richiesta di assistenza (n. 7).
Altro ambito di intervento viene individuato nell'articolo 4, comma 1, lettera e), n. 8), che estende l'applicazione delle regole sull'esecuzione di domande di assistenza giudiziaria, in quanto compatibili, alle richieste presentate da uno Stato membro ad altri Stati membri dell'Unione europea nei procedimenti per l'applicazione di sanzioni amministrative.
Al n. 9) vi è la delega per la disciplina della partecipazione a distanza dell'imputato, del testimone e del perito impossibilitati a comparire in Italia, operante nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione ovvero con Paesi terzi con i quali si sia raggiunta un'intesa convenzionale sul punto. La delega dispone che il Governo elabori le concrete modalità di assunzione della prova, nonché il regime di utilizzabilità.
Le previsioni di cui ai numeri 10), 11) e 12) riguardano la possibilità di costituire squadre investigative comuni, mentre quella indicata al n. 13) concerne l'acquisizione e l'utilizzazione delle informazioni trasmesse spontaneamente dall'autorità straniera.
Nell'articolo 4, comma 1, lettera a), n. 14) vi è la delega a prevedere, da un lato, che nei casi di assistenza giudiziaria concernente la partecipazione in un processo estero di un testimone, perito o imputato il Ministro non dia corso alla richiesta in assenza di una idonea garanzia di immunità, dall'altro una forma specifica di assistenza giudiziaria, che riguarda le procedure e l'autorità competente a consentire il trasferimento temporaneo di persone detenute a fini investigativi.
Lettera d): estradizione.
In relazione alla materia dell'estradizione, la proposta di legge mira a differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell'autorità politica e dell'autorità giudiziaria, sì da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri.
Alla prima, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera d), n. 1), è affidato il vaglio del complesso delle circostanze fattuali riconducibili alla sfera delle valutazioni tipicamente politiche riferite all'incidenza dell'estradizione sulla sorte degli interessi essenziali dello Stato, in primis di quello della sicurezza della Repubblica.
In materia di estradizione dall'estero, vi è l'esplicita attribuzione al Ministro della Pag. 87giustizia di un potere di blocco, definitivo o temporaneo, delle procedure di estradizione avviate su richiesta dell'autorità giudiziaria, finalizzato alla tutela di interessi supremi della Repubblica. Nella stessa ottica, è consentito al Ministro il potere di subordinare la consegna a condizioni (n. 2).
In materia di estradizione per l'estero, il n. 3) conferma la competenza giurisdizionale della Corte d'Appello, che decide su richiesta del Procuratore Generale della Repubblica.
Al n. 4) si prevede che quando il P.G. provvede all'identificazione dell'estradando, ne disponga altresì l'interrogatorio: un intervento che colma una lacuna legislativa, già superata nella prassi applicativa nel silenzio della legge. Si prevede inoltre la facoltà per il PG di interloquire direttamente con l'Autorità richiedente su documentazione ed informazioni necessarie, dandone comunicazione all'autorità ministeriale.
Quanto alla garanzia della specialità dell'estradizione – principio di diritto internazionale che non consente allo stato richiedente di processare e punire per fatti diversi da quelli indicati nella domanda di estradizione – all'articolo 4, comma 1, lettera d), n. 5) si prevede l'irrevocabilità del potere di rinunzia, salvo che intervengano fatti nuovi che modificano la situazione di fatto esistente al momento della rinuncia, in conformità al principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 11971 del 29 novembre 2007.
In secondo luogo, si introduce una regolazione degli effetti processuali del principio di specialità, in grado di coniugare la massima portata espansiva di quella fondamentale garanzia di civiltà giuridica, con l'esigenza di pienezza dell'esercizio della funzione giurisdizionale compatibile con l'attuazione del medesimo principio.
In particolare, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera d), n. 12), si prevede che, sul versante passivo, il principio di specialità operi come causa di sospensione del procedimento e dell'esecuzione della pena, così aprendosi la strada non soltanto all'assunzione di prove urgenti e comunque non rinviabili, ma anche di quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato.
L'idea della specialità come causa di sospensione assicura, inoltre, il vantaggio di potersi applicare coerentemente sia al processo che all'esecuzione della pena, nonché quello di determinare la sospensione della prescrizione senza bisogno di adottare misure per interromperne il decorso.
Il Senato ha introdotto ulteriori principi di delega, statuendo che in caso di estradizione extraconvenzionale la Corte d'Appello disponga la consegna solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'estradando e se nei confronti di questi non sia pendente ovvero definito un procedimento penale italiano sugli stessi fatti (articolo 4, comma 1, lettera d) n. 6). Si è previsto inoltre che l'A.G. pronunci sentenza contraria alla consegna nei casi in cui per il fatto per cui si procede è prevista la pena di morte; se il procedimento esaurito ovvero da celebrare nei confronti dell'estradando non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; se il provvedimento di cui si chiede l'esecuzione contiene disposizione contrarie ai principi fondamentali dell'ordinamento; se vi è motivo di ritenere sussistente un rischio di persecuzione ovvero di tortura (n. 7).
Permane la possibilità per l'autorità ministeriale di non procedere alla consegna se l'iniziativa possa pregiudicare la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato. Il Ministro potrà inoltre all'accettazione delle condizioni poste dallo Stato estero per la concessione dell'estradizione (nn. 8 e 9).
Obiettive istanze di equità impongono, infine, di prevedere il computo ad ogni effetto processuale della custodia cautelare sofferta all'estero ai fini dell'estradizione e la riparazione per l'ingiusta detenzione sofferta all'estero a fini estradizionali (articolo 4, comma 1, lettera d), numeri 10 e 13).
Infine si è previsto che, in caso di estensione della richiesta di estradizione, Pag. 88possa essere disposta un'ulteriore misura cautelare carceraria nei confronti dell'estradando (n. 11).
Lettera e): riconoscimento di sentenze penali di altri Stati ed esecuzione di sentenze penali italiane all'estero.
La delega sulla materia del riconoscimento di sentenze penali di altri Stati ed esecuzione di sentenze penali italiane all'estero, prevista dall'articolo 4, comma 1, lettera e), numeri 1) e 2) non comporta rilevanti modificazioni, poiché considera, da un lato, gli effetti dell'attrazione nella sfera di disciplina dell'assistenza giudiziaria delle attività prodromiche all'esecuzione all'estero ovvero nel territorio dello Stato di provvedimenti di confisca e dell'erosione applicativa delle tradizionali regole codicistiche che può prefigurarsi nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti tra Stati membri dell'Unione europea; dall'altro lato, le obiettive istanze di semplificazione del procedimento di esecuzione all'estero delle sentenze italiane, rivelate dalle ancora limitate esperienze applicative sin qui formatesi in forza di specifici accordi bilaterali.
Mantenendo lo spirito di semplificazione, la delega individua la competenza a decidere della Corte d'Appello e dispone che la sentenza non possa essere riconosciuta in presenza di condizioni elencate dai numeri 2.1 e seguenti, mutuate dall'attuale articolo 733 del codice di procedura penale.
L'articolo 4, comma 1 lettera e) n. 3 fissa i criteri di delega per la determinazione della pena traendoli dall'articolo 735 commi, 2, 3 e 4 del codice di procedura penale.
Infine, anche in relazione alle materie disciplinate dalle lettera e) è riconosciuto al Ministro il potere di garantire l'osservanza delle condizioni eventualmente poste per il riconoscimento o per l'esecuzione dei provvedimenti.
Lettera f): mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell'Unione europea.
Il nucleo fondamentale della disciplina del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei rapporti con gli altri Stati membri dell'Unione europea è individuato dallo scopo di assicurare unitarietà e coerenza di indirizzo alla produzione normativa finalizzata all'adeguamento del sistema processuale agli obblighi già assunti (in tema di esecuzione di ordini di blocco di beni e di sequestro probatorio, di ordini di confisca di beni, strumenti e proventi del reato, di provvedimenti di imposizione di sanzioni pecuniarie) e a quelli relativi all'ordine di indagine europeo, previsto dalla direttiva n. 2014/41/UE.
La disciplina codicistica, con riferimento all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea, è stata completata dal decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, che ha recepito la decisione quadro 2008/909/GAI.
Si è, in altri termini, accolta l'idea che la sede di specifica regolamentazione dei singoli apparati di adattamento normativa interno non può che continuare a ritrovarsi in leggi speciali, mentre il codice deve apprestare un nucleo comune di fondamentali regole procedurali, in sé coerenti con le regole accolte nel sistema di cooperazione fra Stati dell'Unione europea, nella prospettiva della progressiva attuazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie e destinate ad applicarsi, salvo il caso di espressa, successiva deroga legislativa.
Nell'articolo 4, comma 1, lettera f), numeri 1) e 2), si prevede che le decisioni giudiziarie emesse dalle competenti autorità degli Stati dell'Unione europea possano essere eseguite nel territorio dello Stato e che l'autorità giudiziaria italiana possa richiedere alle competenti autorità degli altri Stati dell'Unione europea l'esecuzione di proprie decisioni in conformità al principio del mutuo riconoscimento. Viene dunque meno la preventiva valutazione del Ministro della giustizia sulla richiesta di riconoscimento, al fine di verificare l'eseguibilità in Italia della decisione Pag. 89straniera, atteso che il controllo sul rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento è preventivamente effettuato in relazione ai paesi comunitari, salva la sussistenza del potere del ministro della giustizia di garantire, nei casi e nei modi previsti dalla legge, l'osservanza delle condizioni eventualmente richieste in casi particolari per l'esecuzione all'estero o nel territorio dello Stato della decisione della quale è stato chiesto il riconoscimento (n. 3).
Si prevede inoltre che il riconoscimento possa essere richiesto ai fini dell'esecuzione, in Italia ovvero all'estero, di decisioni rese nei confronti di persone giuridiche (n. 4). Le decisioni sul riconoscimento devono intervenire in tempi contenuti, comunque idonei a non frustrare le finalità esecutive sottese; dovrà inoltre prevedersi una disciplina amar più rapida per il caso in cui l'interessato abbia prestato il consenso al riconoscimento (n. 5).
Sulla base del medesimo principio di mutuo riconoscimento delle decisioni degli Stati appartenenti all'Unione europea, il n. 6) stabilisce che lo Stato dia esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri Stati dell'Unione europea senza sindacarne il merito, salva l'osservanza delle disposizioni necessarie ad assicurare l'osservanza in ogni caso dei principi fondamentali del Trattato e dell'ordinamento giuridico.
Infine, ragioni di equità e di sistema impongono la previsione di mezzi di impugnazione del provvedimento che dispone l'esecuzione del riconoscimento (n. 7), nonché di idonei rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede, eventualmente pregiudicati dall'esecuzione della decisione (n. 8).
L'articolo 5 introduce modifiche agli articoli 708 e 714 del codice di procedura penale, in materia di estradizione per l'estero.
La modifica dell'articolo 708 codice di procedura penale, prevista al primo comma, muove dalla necessità di predisporre un intervento correttivo alla disciplina dei termini previsti dall'articolo 708, comma 5, codice di procedura penale, per la consegna del soggetto estradando allo Stato estero richiedente, all'esito delle decisione positiva del Ministro della giustizia.
In particolare, in considerazione del disposto contenuto nell'articolo 708, comma 6, in base al quale l'estradando deve essere rimesso in libertà qualora la consegna non avvenga entro il termine previsto, a legislazione vigente la liberazione medesima deve ritenersi vincolata anche quando la mancata consegna sia dipesa non dall'inerzia dell'autorità politica, ma dalla sospensione dell'efficacia del decreto ministeriale, adottata da parte della giurisdizione amministrativa.
Sul punto, la Suprema Corte ha rilevato che la sospensione adottata in sede giurisdizionale determina il dovere, in capo all'autorità giudiziaria, di porre in libertà l'estradando che sia stato sottoposto a misure coercitive, anche se non si determina – antecedentemente alla pronuncia definitoria da parte del giudice amministrativo – alcun effetto caducatorio del decreto ministeriale (con la conseguenza, in caso di rigetto del ricorso, che lo stesso può essere posto nuovamente in esecuzione); d'altra parte, la Corte ha chiarito che tali effetti si determinano anche in presenza delle cause di sospensione della consegna specificamente indicate dall'articolo 709 del codice di procedura penale, non essendo ipotizzabile una proroga del provvedimento coercitivo in assenza di espressa disposizione che la consenta.
L'intervento normativo è dunque volto a risolvere la lacuna normativa, espressamente segnalata dalla Suprema Corte, mediante la modifica del comma 5 dell'articolo 708, codice di procedura penale, prevedendo un'ipotesi di sospensione del termine per la consegna, in caso di sospensione dell'efficacia della decisione del ministro da parte del competente giudice amministrativo.
Coerentemente, l'articolo 34-ter, al secondo comma, interviene sull'articolo 714 del codice di procedura penale, inserendo il comma 4-bis e prevedendo uno specifico termine massimo di durata delle misure coercitive per la fase successiva all'emissione Pag. 90del decreto ministeriale (tematica pure evidenziata dalla citata giurisprudenza richiamata).
L'articolo 6 si limita a prevedere la clausola di invarianza finanziaria e le disposizioni correttive in caso i decreti legislativi adottati determinino nuovi o maggiori oneri.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DELLA DEPUTATA GIULIA DI VITA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE (A.C. 3594-A)

GIULIA DI VITA, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. A dispetto degli annunci del Governo, le misure contro la povertà varate con l'ultima Legge di Stabilità appaiono largamente insufficienti a coprire tutti quelli che oggi vivono in una condizione di povertà assoluta e non si pongono l'obiettivo di trovare strumenti strutturali e universali di lotta alla povertà nel medio e lungo periodo. L'impressione è che queste costituiscano solo una rimodulazione di strumenti già esistenti, non un welfare più inclusivo ma solo uno spostamento di risorse da una platea all'altra.
In particolare il comma 1 indica la finalità generale del provvedimento, modificata durante l'esame in commissione, ossia quella di, contrastare la povertà e l'esclusione sociale, ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali per renderlo più adeguato rispetto ai bisogni emergenti e più equo e omogeneo nell'accesso alle prestazioni. Sebbene il principio dell'universalismo nell'accesso al beneficio selettivo sia apprezzabilmente stato soppresso dal testo, di fatto esso permane nella sostanza, come ha dichiarato pubblicamente la relatrice del provvedimento, dicendo che esso è solo stato espunto, ma «è intenzione delle relatrici prevedere che la misura unica di contrasto alla povertà sia sottoposta alla prova dei mezzi», così come puntualmente riportato nell'articolo 1, comma 1, lettera a).
Invero, nessuna misura può essere universale se è selettiva, una misura di contrasto alla povertà è universale se si rivolge a tutti i poveri, tra l'altro il testo non definisce la povertà, né in termini di povertà assoluta né relativa. L'intenzione di formare delle categorie tra poveri e selezionare chi abbia la precedenza rispetto ad altri è una forma di inaccettabile discriminazione. È giusto dare la priorità a chi sta peggio, ma ciò non può essere fatto suddividendo la popolazione in mere e asettiche categorie, bensì utilizzando dei parametri appositamente precostituiti per misurare il grado di povertà, partendo dai gradi di povertà più alti e via via a scendere. Ormai il Governo, come accade nel settore sanitario, ha imboccato la strada dell'abolizione, di fatto, dell'universalismo sancito dalla nostra Costituzione, all'articolo 32, spingendo verso una privatizzazione sempre più massiccia dei servizi socio sanitari, accessibili, quindi solo a chi può permetterselo e negando i diritti agli altri.
Se la misura dovrà riguardare tutte le famiglie e i cittadini in difficoltà, sarebbe stato necessario individuare con chiarezza la «soglia del bisogno», quindi i beneficiari della misura, destinare alle misure che si intendono introdurre un'adeguata copertura finanziaria e prevedere un sistema di verifica del bisogno/erogazione del sostegno capace di raggiungere la popolazione senza dover escludere alcuno. A tal proposito non si comprende a quale «livello di vita dignitoso», si intenda far riferimento nel testo e a cui deve parametrarsi la misura. Anche in tal caso è evidente l'eccesso di delega poiché il Governo potrà liberamente stabilire chi è povero e chi non lo è, senza dover necessariamente tener conto delle soglie indicate, ad esempio, dall'Istat o dall'Eurostat, che comporterebbero l'impiego di maggiori risorse. Ci si domanda se questo sia voluto.
Suscita in generale perplessità la previsione di cui all'articolo 1, comma 2, lettera b) in quanto la capienza del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale risulta assolutamente inadeguata alle esigenze della popolazione. Sarebbe stato opportuno quindi destinare una copertura Pag. 91finanziaria maggiormente adeguata alle finalità del disegno di legge all'esame.
Durante l'esame in Commissione è stata modificata la disposizione che prevedeva la razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale e quelle di natura previdenziale sottoposte alla prova dei mezzi del soggetto beneficiario facendo dunque un passo indietro rispetto ai timori e alle preoccupazioni sollevate dai più a seguito della forte contestazione che il MoVimento 5 Stelle ha dovuto mettere in atto sia dentro il palazzo sia fuori insieme ad associazioni e l'opinione pubblica tutta.
Il riordino auspicato da M5S, sia nell'ambito dei servizi per l'impiego e sia nell'ambito dell'assistenza integrata sociale e sanitaria, prevede senz'altro una riforma complessiva delle strutture esistenti ma nell'ottica precipua di valorizzare e ampliare il soggetto pubblico e le sue strutture. Il «nessuno deve rimanere indietro» non è uno slogan ma un progetto preciso e soprattutto un'idea di Stato che deve farsi carico dei cittadini e dei loro problemi garantendo a tutti coloro che vivono sotto la soglia di povertà relativa anche un reddito minimo che garantisca «un livello socialmente decoroso di esistenza, possibilità di scelta e autodeterminazione dei soggetti sociali».
È apprezzabile quindi l'intento di riordinare le diverse misure di sostegno sociale che si sono susseguite e stratificate nel corso degli anni. A condizione tuttavia che il riordino non si traduca in una contrazione delle risorse destinate a tali finalità e che per poter beneficiare delle misure di sostegno siano introdotti requisiti più stringenti, in particolare tramite un utilizzo distorto «dell'ISEE ed eventualmente delle sue componenti», che potrebbero escludere molte famiglie dall'averne diritto.
Ci troviamo poi di fronte all'ennesima istituzione di un organismo, come già avvenuto ad esempio nel provvedimento relativo alla riforma del terzo settore, privo di una sufficiente dotazione di risorse per funzionare adeguatamente e privo di autonomi poteri di monitoraggio e controllo, che permangono in capo al ministero del Lavoro.
Il provvedimento svela peraltro la ormai palese e dichiarata volontà di privatizzare il sociale laddove, nell'ambito dei criteri direttivi per il riordino della normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali, si fa riferimento alla promozione di accordi territoriali tra i servizi sociali e gli altri enti od organismi competenti per l'inserimento lavorativo, l'istruzione e la formazione e la salute, nonché l'attivazione delle risorse della comunità e, in particolare, delle organizzazioni del terzo settore e del privato sociale impegnate nell'ambito delle politiche sociali, al fine di realizzare un'offerta integrata di interventi e di servizi che costituisce livello essenziale delle prestazioni.
Si ricorda che nell'articolo 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328, è già contemplato il ruolo del terzo settore, sia nel rispetto del principio di sussidiarietà e sia nel rispetto delle consuete forme di aggiudicazione o negoziali che consentono ai soggetti del terzo settore di cooperare con gli enti territorialmente competenti. Il termine «attivazione delle risorse» nell'accezione di empowerment culturale, sociale, educativo e territoriale è certamente condivisibile in linea di principio, tenuto conto che è particolarmente connaturato proprio al settore del sociale dove le esperienze territoriali, senza ombra di dubbio, vanno valorizzate e «attivate». Ciò nonostante si rileva che è proprio l'impostazione delle politiche di questo Governo a non convincere o a non far ritenere «affidabile» il riferimento «all'attivazione delle risorse del terzo settore o del privato sociale», impostazione che, come desumibile anche dai diversi provvedimenti di recente approvazione (v. Terzo settore oppure Dopo di noi), svela il vero intento o il reale percorso verso un sistema privatizzato e finanziarizzato dei diritti fondamentali cui lo Stato, orientato dalla Costituzione ed in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione medesima, dovrebbe in primis garantire con propri Pag. 92mezzi e risorse, usufruendo di soggetti terzi (o terzo settore) solo in un'ottica di collaborazione e di sussidiarietà.
Con altrettanta fermezza sollecitiamo Parlamento e Governo a valutare attentamente l'utilizzo dell'ISEE quale parametro di riferimento per l'accertamento delle condizioni d'accesso al beneficio previsto dal disegno di legge in discussione: abbiamo a più riprese segnalato nel corso dell'attuale legislatura la parziale inadeguatezza del nuovo ISEE a certificare la reale situazione economica delle famiglie. All'esito della prima applicazione, da più parti si è segnalato che il nuovo ISEE ha di fatto escluso dall'accesso a prestazioni agevolate milioni di famiglie che invece ne avrebbero bisogno, famiglie che ora appaiono come «ricche» mentre non lo sono, famiglie con situazioni di disagio che l'ISEE non è in grado di valutare adeguatamente, famiglie con tanti figli che l'attuale scala di equivalenza dell'ISEE non è in grado di tenere in opportuna considerazione.
In sostanza il Governo, nel mettere in campo una delega su un tema così importante, ricorre a uno strumento cui peraltro dovrà metter necessariamente mano a seguito delle recenti sentenze del Consiglio di Stato, operando così una scelta inopportuna, temporanea e inevitabilmente destinata a rivelarsi fallimentare.
Ulteriore preoccupazione desta la grossa mole di lavoro che l'applicazione della misura implica a carico delle amministrazioni comunali e delle relative risorse per farvi fronte. I Comuni, infatti con le poche risorse che hanno dovranno prendere in carico queste situazioni disagiate, creare dei progetti sociali, monitorarli, coordinarli, a fronte dei continui e ingenti tagli di risorse registrati negli ultimi anni. Lo «sforzo» dello stato centrale sembra molto meno oneroso dato che il suo ruolo sembra invece essere solo quello di concedere risorse, tra l'altro non a regime, perché non si tratta di una misura strutturale, quindi ogni anno l'efficacia e la reale portata della misura resteranno un'incognita. In tal senso il Movimento 5 Stelle attraverso la proposta di introduzione del reddito di cittadinanza, propone anche una seria riforma dei centri per l'impiego nell'ottica di rendere pienamente operativi tali organi statali, già esistenti, ma scarsamente efficienti, e renderli quindi finalmente produttivi, anche al fine di coadiuvare e sollevare le amministrazioni comunali nei molti compiti loro spettanti.
Auspichiamo inoltre che la sommatoria degli interventi e delle somme erogate ai soggetti in stato di bisogno non comporti l'affievolimento della volontà di «darsi da fare» o non diventi una scusa per non impegnarsi nel lavoro. In altre parole che la misura si riduca, malgrado le dichiarazioni di intenti, ad un mera estensione monetaria della misura del SIA già sperimentata negli scorsi anni con esiti alquanto discutibili.
Al riguardo riteniamo opportuno e necessario che venga ipotizzato – come peraltro previsto nella nostra proposta di reddito di cittadinanza – di condizionare in maniera precisa e dettagliata il riconoscimento del beneficio in modo tale che nella fase di non occupazione dei soggetti presi in carico sia assicurato il loro impiego – per il tramite degli enti locali o dei centri territoriali per l'impiego – ad esempio in servizi a favore della collettività.
L'unico elemento positivo di questo provvedimento è che con esso finalmente si affronta un dibattito istituzionale sull'emergenza povertà, ma ci chiediamo se siamo dinanzi ad un piccolo passo in avanti nella lotta alla povertà oppure se si tratta dell'ennesimo provvedimento di propaganda elettorale, come purtroppo il Governo ci ha abituato sino ad ora.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA RENATA POLVERINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE (A.C. 3594-A)

RENATA POLVERINI. Signor Presidente, Onorevoli Colleghi !
Come noto, la legge di stabilità 2016 ha disegnato una serie di interventi per Pag. 93il contrasto alla povertà, prevedendo al comma 388 uno o più provvedimenti legislativi di riordino della normativa in materia di strumenti e trattamenti, indennità, integrazioni di reddito e assegni di natura assistenziale finalizzati all'introduzione di un'unica misura nazionale di contrasto alla povertà correlata alla differenza tra il reddito familiare del beneficiario e la soglia di povertà assoluta.
In Italia la sperimentazione più importante di una misura unitaria di carattere nazionale contro la povertà è stata attuata con il Reddito Minimo di Inserimento (RMI), previsto dalla legge finanziaria 1998 (legge 449/1997).
Successivamente, ne è stato autorizzato il prolungamento della sperimentazione, con una estensione territoriale, fino ad arrivare alla legge quadro 328/2000 che ha incluso il reddito minimo di inserimento nella riforma delle politiche e dei servizi sociali.
Nel 2008, la Commissione europea con una raccomandazione ha ribadito che la definizione dei livelli essenziali di assistenza in campo economico è uno strumento centrale per attivare cittadinanza, diritti civili e sociali, per promuovere l'uguaglianza di genere e le pari opportunità, per soddisfare le esigenze specifiche dei vari gruppi vulnerabili, per affrontare la natura multidimensionale e la complessità della povertà e dell'esclusione sociale e per migliorare la coesione territoriale, riducendo le disparità regionali.
Successivamente, il Consiglio dell'Unione europea, nella raccomandazione del 9 luglio 2013 sul Programma di riforma, ha chiesto all'Italia di rendere più efficaci i trasferimenti sociali, in particolare mirando meglio la prestazione, specie per le famiglie a basso reddito con figli.
L'Esecutivo si è quindi attivato, introducendo la sperimentazione di una misura unitaria di carattere nazionale contro la povertà, denominato Sostegno inclusione attiva – Sia.
È fuor di dubbio che il sistema delle politiche sociali necessita infatti di un intervento riformatore.
Il percorso avviato negli ultimi anni in diversi ambiti non ha mai, se non raramente, toccato l'area delle politiche socio-assistenziali.
Eppure si tratta di un campo che necessita di profondi cambiamenti anche perché il nostro Paese è uno dei pochi a livello europeo a non essere dotato di una misura di contrasto della povertà.
Esistono alcuni sostegni alle famiglie di portata però limitata, mancando una misura organica che copra le necessità delle famiglie in condizioni economiche di bisogno.
Sono oltre un milione le famiglie italiane in condizione di povertà assoluta. La crisi ha prodotto delle povertà diverse rispetto al passato: oggi ci troviamo di fronte a famiglie che hanno solo un reddito, spesso precario o addirittura non ne hanno. Purtroppo è un fenomeno in crescita.
Sono 4 milioni e 102 mila le persone, pari al 7 per cento della popolazione, che si trovano in condizione di povertà assoluta e quasi 8 milioni, pari al 13 per cento, in povertà relativa.
Tuttavia le stime dell'Istat e dell'Inps danno un dato più allarmante rispetto alla povertà relativa perché è in crescita da 11 a 15 milioni, quindi di un terzo in più dal 2008 al 2014.
Oltre 50 mila persone nell'arco del 2014 sono ricorse, a vario titolo, alle prestazioni offerte dalle varie comunità, enti pubblici o privati, messi a disposizione dei senza fissa dimora. E una persona che perde la propria collocazione in termini abitativi rischia di incorrere in manifestazioni psicologiche che vanno dalla perdita di identità fino alla depressione.
La povertà si insedia in maniera pesante nel Mezzogiorno, ma neanche più le aree del centro e del nord ne sono completamente escluse.
A fronte di ciò, la Banca d'Italia stima che per portare le famiglie sotto la soglia di povertà relativa servirebbero 10 miliardi.
Il nodo fondamentale è, quindi, quello delle risorse.Pag. 94
Di qui la scelta di come andare ad intervenire e con quali elementi. In passato, iniziative come la social card sono state destinate ai cosiddetti incapienti. In un Paese che continua ad incassare dei dati, come più volte abbiamo ribadito, così forti e preoccupanti in termini di povertà, di incapienti e di pensioni minime, i 10 miliardi destinati al bonus di 80 euro ad una fascia di persone con un lavoro, molti dei quali dovranno restituirli, potevano essere utilizzati per dare risposte ad esigenze più forti rispetto a chi aveva comunque una retribuzione dignitosa.
Ancora una volta, ci siamo ritrovati davanti un disegno di legge del Governo che, oltre al grande limite derivante dalla carenza di risorse, presentava notevoli elementi critici.
La nostra convinzione si è mano a mano rafforzata, nel momento in cui abbiamo audito le organizzazioni sindacali e tutti i soggetti del terzo settore che a vario titolo si occupano di povertà e di famiglia; in questo senso, il Governo dovrebbe aver capito ormai dagli organismi di rappresentanza e dalla società civile possono arrivare le necessarie indicazioni per meglio legiferare nell'interesse dei cittadini.
Nel provvedimento presentato dal Governo, molti passaggi non erano chiari o addirittura pericolosi nelle loro conseguenze pratiche; si pensi, ad esempio, al concetto di universalismo selettivo e alle conseguenze che può avere per il cittadino. Come Forza Italia ci siamo impegnati per eliminare ogni riferimento pericoloso alla cancellazione dei diritti. Nessuna formula ambigua potrà essere tradotta nei decreti attuativi in penalizzazioni per i cittadini. Ci auguriamo, quindi, che quanto è uscito dalla porta, come il concetto di universalismo selettivo, non potrà rientrare dalla finestra, magari sotto mentite spoglie.
Inoltre, il disegno di legge non andava nella direzione delle famiglie che rappresentano il nucleo centrale della società, mentre da parte dell'Anci abbiamo raccolto il timore di non avere certezza delle risorse da impiegare anche laddove si volessero mettere a sistema i fondi della Comunità europea.
Insomma, erano tante le questioni aperte. Ma grazie al lavoro delle Commissioni Lavoro e Affari sociali sono stati apportati dei correttivi importanti e il testo finale è molto cambiato rispetto a quello originale.
Le migliorie sono evidenti: da razionalizzazione dell'assistenza si è passati a riordino e soprattutto siamo riusciti a far cancellare dall'articolato ogni riferimento alle prestazioni di natura previdenziale, incluse le pensioni di reversibilità scongiurando così un eventuale ed ennesimo scippo ai danni dei pensionati.
Inoltre, Forza Italia ha fatto in modo che venisse riconosciuta l'importanza delle parti sociali e degli organismi rappresentativi del Terzo settore per dar modo anche a questi soggetti di valutare l'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge e quindi costituire gruppi di lavoro finalizzati alla predisposizione di analisi e di proposte in materia di contrasto della povertà.
Nostro obiettivo deve essere quello di restituire un minimo di speranza e di fiducia alle troppe persone colpite dalla crisi, riuscire a cambiare una realtà così drammatica, come quella che abbiamo davanti, con politiche che contrastino questo forte impoverimento perché il nostro Paese ha tutto il diritto di risollevarsi da questa agonizzante recessione.

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