PROGETTO DI LEGGE - N. 4015
Onorevoli Deputati! - I centri storici rappresentano la
caratteristica peculiare del nostro Paese, la sua identità
culturale e immagine caratterizzante. Nello stesso tempo essi
sono una delle maggiori ricchezze, in quanto peculiare
attrattiva del turismo nazionale ed internazionale e
costituiscono, pertanto, un prezioso ed immenso patrimonio
storico-artistico.
La valenza culturale delle città storiche, con le loro
aree centrali e i sistemi urbani di interesse
storico-artistico (centri, quartieri e siti), non è tenuta in
giusta considerazione dalla normativa vigente che si occupa
soprattutto degli aspetti urbanistici e si muove in un
contesto di mera conservazione passiva.
Da ciò l'esigenza di una specifica legge che, fermo
restando la disciplina urbanistica in vigore, regoli la
conservazione delle città storiche, ma, soprattutto, le
attività di recupero e di valorizzazione che in esse è
opportuno abbiano luogo.
Il presente disegno di legge opera una scelta di
fondamentale importanza dal punto di vista culturale:
attribuisce al patrimonio storico urbano il riconoscimento di
bene culturale e appronta un agile strumento operativo
per assicurare, nell'immediato, una efficace tutela per la
conservazione dei suoi valori, capace anche di coniugarsi con
una adeguata valorizzazione.
Si potrà in tal modo operare un cambiamento radicale nella
gestione del patrimonio culturale nelle città storiche,
abbandonando definitivamente la rigidità selettiva o pervasiva
di una tutela passiva spesso connessa con la prassi
dell'emergenza e dell'intervento straordinario; una prassi
divenuta negli ultimi decenni costante dell'attività
amministrativa e legislativa. Si intende così passare ad una
politica di prevenzione e di progettualità, con il duplice
vantaggio di evitare che i beni soggetti a vincolo e,
pertanto, resi indisponibili alle dinamiche vive della
fruizione e del mercato, versino in condizioni di abbandono,
incorrendo in un degrado che può anche raggiungere carattere
di irreversibilità, aumentando la necessità di finanziamenti
pubblici per il restauro destinati a risultare sempre
inferiori alle enormi necessità.
Se le norme esistenti si muovono, nel loro complesso, in
un'ottica urbanistica e vincolistica, con le disposizioni
proposte si vogliono affrontare i nodi di una tutela capace di
integrarsi con la valorizzazione del patrimonio storico
urbano, inteso quale bene culturale, esaltandone il valore
storico-artistico e ambientale. L'avvio di una politica di
sviluppo urbano e territoriale che non si inceppi di fronte ai
delicati problemi di intervento conservativo, connessi con la
qualità storico-ambientale, presuppone anzitutto una più
stretta ed organica collaborazione tra gli organi pubblici
preposti alla tutela del patrimonio culturale e i responsabili
degli aspetti urbanistici.
Da un punto di vista normativo, non esiste una definizione
di "centro storico": categoria, del resto, revocata in dubbio
anche dalla elaborazione scientifica del settore. D'altra
parte una delimitazione statica del patrimonio storico urbano
non sarebbe adeguata all'evoluzione del tessuto edilizio e
sociale della città. In generale, si possono ricomprendere
nelle aree storiche non soltanto le zone centrali consolidate
di interesse storico-artistico, ma anche suoi nuclei edilizi e
sistemi urbani che sono caratterizzati architettonicamente e
di particolare pregio ambientale.
E' utile ricordare come già la Commissione Franceschini
(di indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio
storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita
con legge 26 aprile 1964, n. 310) nella XL dichiarazione della
relazione finale - che si occupa dei centri storici urbani,
grandi e piccoli, interi o frammentari, completamente o
parzialmente conservati nella loro originaria struttura - ha
formulato la seguente definizione: "Sono da considerare centri
storici urbani quelle strutture insediative urbane che
costituiscono unità culturale o la parte originaria e
autentica di insediamenti e testimoniano i caratteri di una
viva cultura urbana". Oggi, un più maturo approccio, capace di
assumere con maggiore consapevolezza le dinamiche dei processi
trasformativi urbani, tende ad abbandonare una visione statica
del centro storico, inteso come area delimitabile ed isolabile
nel contesto urbano, per riconoscere nella città storica una
dislocazione più articolata dei valori culturali e ambientali,
i quali si addensano, per lo più, nelle aree centrali ma si
sviluppano anche verso la periferia secondo concatenazioni
sistematiche che ricalcano, generalmente, una struttura urbana
storica risalente al più lontano passato.
In Italia l'esigenza di assicurare una adeguata ed
efficace tutela delle città storiche fu particolarmente
avvertita nell'immediato dopoguerra, prima con gli interventi
di ricostruzione del tessuto edilizio distrutto dagli eventi
bellici e, successivamente, con l'attività edilizia alimentata
dalla ripresa economica.
Tale difesa del patrimonio storico urbano dal degrado,
dovuto all'azione sconsiderata dello sfruttamento fondiario ed
edilizio, ha avuto un pioniere e una guida ideologica, già
negli anni cinquanta, in Antonio Cederna.
Le istituzioni pubbliche non rimasero, per parte loro,
totalmente insensibili al problema e, nel 1956, venne nominata
una Commissione parlamentare mista per la tutela del
patrimonio artistico e culturale, che elaborò un piano di
lavoro nel quale si prevedeva il censimento del patrimonio e
l'individuazione di strumenti di tutela per fornire al
Parlamento una esauriente documentazione, onde predisporre i
provvedimenti necessari.
L'affermarsi di questa nuova coscienza per la tutela e la
conservazione del patrimonio artistico e culturale portò, in
occasione del Convegno sulla salvaguardia e il risanamento dei
centri storici, tenutosi a Gubbio il 19 settembre 1960, ad
affermare la coincidenza del concetto di monumento con
l'intera città storica.
In buona sostanza emerse, ormai con forza, come la cultura
moderna abbia esteso il concetto di tutela del singolo
monumento a tutto il patrimonio storico urbano ed abbia
imposto, quindi, di considerare di esso, come qualità
essenziale e determinante, proprio il carattere d'insieme, sia
nella sua unità complessiva che nella stratificazione delle
tracce e delle memorie storiche determinanti la continua e
composita configurazione edilizia e naturale.
Monumento da rispettare e salvaguardare è, quindi, non
solo il bene individuo, ma tutta la città storica, tutto
l'insieme della sua struttura urbana, quale si è venuta
lentamente componendo nei secoli.
In tale contesto, la Carta di Gubbio del 1960 formulò i
princìpi per la salvaguardia e il risanamento dei centri
storici.
Tra questi sono da evidenziare in modo particolare quelli
tesi ad esaltare la natura di bene culturale dell'intero
centro storico, quartiere o sito di interesse
storico-artistico e cioè:
la disposizione di un vincolo di salvaguardia, in attesa
dell'adozione dei relativi piani di risanamento
conservativo;
l'adozione da parte dei comuni dei piani
particolareggiati, soggetti ad un efficace controllo, con una
snella procedura di approvazione e attuazione;
le modalità e la gradualità degli interventi da attuare
per comparti, ciascuno dei quali rappresenti una entità di
insediamento e di intervento;
il rifiuto del criterio del ripristino e delle aggiunte
stilistiche, del rifacimento mimetico, della demolizione di
edifici, di ogni diradamento ed isolamento di edifici
monumentali.
Oggi riconosciamo il valore decisivo di quelle
formulazioni, non senza avere piena consapevolezza del limite
teorico insito nel concetto di un "centro storico" inteso in
termini di zonizzazione urbanistica, come comparto
topograficamente limitato ad un'area centrale e come contesto
urbano "diverso" dal resto della città, assoggettabile a
normative puramente difensive e vincolistiche.
La legislazione fondamentale in materia di tutela di
centri storici è costituita dai due complessi normativi del
1939. La legge 1^ giugno 1939, n. 1089, e successive
modificazioni, è diretta alla tutela delle cose di interesse
storico e artistico attraverso i vincoli per le destinazioni
d'uso e le autorizzazioni per realizzare modificazioni,
restauri, rimozioni, demolizioni. La legge 29 giugno 1939, n.
1497, pur riguardando la tutela delle bellezze naturali,
prevede vincoli paesaggistici che vengono estesi a complessi
di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto
avente valore estetico e tradizionale.
Se si prescinde da queste norme, il problema della
conservazione degli edifici esistenti - e quindi della
conservazione del patrimonio storico urbano - non ha trovato
una disciplina differenziata rispetto agli interventi
normativi in materia edilizia.
Nella legislazione che interessa il patrimonio storico
urbano e quindi le città storiche nel loro complesso, assume,
allora, particolare importanza la disposizione della legge 6
agosto 1967, n. 765, (così detta "legge ponte"), recante
modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150, che attribuisce al Ministro dei lavori pubblici
la possibilità di delimitare, con proprio decreto, le zone
territoriali omogenee all'interno del territorio comunale. In
applicazione di questa disposizione è stato emanato il decreto
2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97
del 16 aprile 1968, che, occupandosi di disciplinare gli
standard da rispettare al momento della formazione dei
nuovi strumenti urbanistici, prende esplicitamente in
considerazione, all'articolo 2, classificandole come zone
omogenee di tipo A, le parti di territorio interessate da
agglomerati urbani che rivestono carattere storico-artistico o
di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi
(comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte
integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati
stessi).
Per la prima volta viene, così, riconosciuta in sede
legislativa la possibilità di intervenire attivamente nei
centri storici, conferendo ai pubblici poteri la facoltà di
incidere sulla disponibilità e sulla utilizzazione degli
immobili in essi compresi.
Successivamente la legge 5 agosto 1978, n. 457, ha
disciplinato il recupero del patrimonio edilizio ed
urbanistico esistente. Lo strumento individuato (per il
recupero delle aree degradate) è il piano di recupero che, pur
avendo una impostazione squisitamente urbanistica, non ha
prodotto, per quanto concerne i centri storici, gli effetti
sperati. E', infatti, mancato il coinvolgimento dei soggetti
pubblici e privati destinatari del recupero e della
valorizzazione del valore culturale espresso dai centri
storici medesimi.
Alla richiamata normativa generale hanno fatto seguito
numerose leggi speciali, volte al recupero dei centri storici
di singole città e dettate dall'esigenza di intervenire di
volta in volta per risolvere particolari problemi. Soluzione,
questa, che ha costituito, fino ad oggi, il principale modello
di intervento in tema di patrimonio storico urbano.
Nelle passate legislature e in quella in corso sono state
presentate numerose proposte e disegni di legge di iniziativa
parlamentare; si tratta di atti che, nella quasi totalità,
riguardano interventi su singole città. Soltanto alcune
presentano una valenza generale intesa al recupero del
patrimonio storico urbano delle città denominate "d'arte".
Requisiti per la definizione e quindi per la
classificazione delle città d'arte sono: la presenza di beni e
attività culturali di rilevante importanza, la conservazione
delle caratteristiche storiche delle città, l'esistenza di
consistenti flussi turistici e una popolazione non inferiore a
50 mila abitanti.
Può essere utile, in questa sede, rimarcare come la
definizione del concetto di città d'arte non sia stata ancora
presa in considerazione dalla letteratura di settore (né è
stata definita dal legislatore), mentre nel linguaggio
corrente si tende ad identificare le città d'arte con i centri
storici ricchi di tesori artistici e, perciò, dotati di
rilevanti attrattive turistiche.
Una tale definizione, però, non può essere accolta perché
non appare utile ai fini della conservazione e valorizzazione
dei centri storici e, inoltre, rischierebbe di provocare una
discriminazione inaccettabile per quelle città, che, pur
essendo di grande interesse storico-artistico, non raggiungono
il numero di abitanti astrattamente determinato.
Tale classificazione, infatti, se da una parte verrebbe ad
includere alcune delle cosiddette "aree metropolitane",
dall'altra però escluderebbe centinaia, forse migliaia, di
piccoli centri storici di eccezionale valore storico-artistico
e ambientale. Si ritiene, quindi, più corretto parlare di
città storiche, la cui definizione trova, invece, riscontro
nella dottrina del settore.
La speciale Commissione per le città storiche del
Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali,
incaricata di approfondire i problemi connessi alla tutela
delle predette città e di indicare gli strumenti normativi e
tecnici più idonei per il recupero, la conservazione e la
valorizzazione delle medesime, ha elaborato la seguente
definizione, che può essere adottata come parametro di
riferimento: "Città storica è quella che, con la
stratificazione dei suoi monumenti e dell'intero tessuto
urbano, rispecchia esemplarmente il processo evolutivo
storico, antropologico, culturale e artistico di cui è stata
protagonista".
In questo panorama, il presente disegno di legge,
elaborato con il determinante apporto della predetta
Commissione speciale per le città storiche del Consiglio
nazionale per i beni culturali e ambientali, contiene norme
che tendono alla conservazione del patrimonio storico
urbano.
In particolare, l'articolo 1 prevede che le città storiche
comprendano i centri, quartieri e siti di interesse
storico-artistico. La tutela e la valorizzazione di questi
luoghi costituiscono obiettivo primario delle amministrazioni
statali e locali competenti.
A tal fine i comuni dovranno delimitare il perimetro dei
propri centri, quartieri e siti di interesse storico-artistico
e richiedere al competente soprintendente per i beni
ambientali e architettonici la conformità della perimetrazione
alla estensione del patrimonio storico urbano. Il
soprintendente, sentiti i competenti soprintendenti per i beni
archeologici e per i beni storici e artistici e, verificata la
conformità della perimetrazione alla estensione del centro o
del sito, provvede in tal senso entro tre mesi dal ricevimento
della richiesta.
E' questa la prima attività che viene richiesta all'ente
locale, che potrà agire nella sua più ampia autonomia nel
determinarsi ad effettuare o meno la perimetrazione.
L'autorità statale, individuata nel soprintendente per i beni
ambientali e architettonici competente per territorio,
interviene soltanto nella fase di accertamento, sia della
qualità storico artistica dei luoghi perimetrati, sia della
corrispondenza territoriale della perimetrazione stessa.
La norma prevede, inoltre, che i comuni adottino il
programma degli interventi a salvaguardia dei centri,
quartieri e siti di interesse storico-artistico presenti nel
territorio. Il programma dovrà assicurare l'integrità e la
valorizzazione dei monumenti, degli edifici pregevoli e di
quelli di valore ambientale, di ogni altro elemento
tradizionale e caratteristico del paesaggio urbano,
preservando l'immagine urbana definita dalla trama edilizia e
dal rapporto con il territorio. Il programma è approvato dal
comune, sentiti i competenti soprintendenti.
I comuni che hanno ottenuto l'accertamento della
conformità della perimetrazione al patrimonio storico urbano e
si sono dotati del programma degli interventi a salvaguardia,
dovranno predisporre ogni anno un programma, volto ad
assicurare la tutela e la valorizzazione del patrimonio
culturale esistente nei centri, quartieri e siti di interesse
storico-artistico di proprietà pubblica e privata.
Il programma annuale ha riguardo anche alla qualità e alle
caratteristiche architettoniche, cromatiche e dei materiali
dell'ambiente urbano nei suoi spazi pubblici e privati, nelle
finiture e arredi delle facciate e pavimentazioni, nelle
vetrine, insegne e arredi mobili, nelle sistemazioni degli
impianti e in ogni altro elemento incidente sull'immagine
urbana, nel rispetto dei caratteri originali e
tradizionali.
Tale programma è adottato in apposita conferenza di
servizio tra i rappresentanti del comune e delle competenti
soprintendenze.
Il contenuto del programma annuale e le modalità di
adozione qualificano lo stesso come strumento di
individuazione e di valorizzazione della qualità
architettonica e ambientale e dell'identità culturale dei
luoghi che si intende recuperare e valorizzare, quali
testimonianze del processo evolutivo storico, antropologico,
culturale e artistico di cui sono stati protagonisti.
Nel programma annuale il profilo urbanistico ed edilizio è
strumentale rispetto al recupero del valore culturale. La sua
realizzazione viene affidata al comune, quale ente
esponenziale della collettività locale.
A tale fine il comune promuove accordi di programma con le
amministrazioni pubbliche interessate e accordi con i privati
che, ai sensi dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n.
241, e successive modificazioni, sono sostitutivi delle
determinazioni amministrative. Sia il primo che il secondo
strumento sono, è noto, particolarmente idonei per regolare
attività che coinvolgono una pluralità di soggetti che restano
vincolati al raggiungimento del fine preventivamente
dichiarato ed accettato.
Viene, quindi, previsto che il Ministero per i beni
culturali e ambientali destini una quota complessiva non
inferiore al 30 per cento delle proprie spese di investimento
per interventi di restauro e di manutenzione dei beni
culturali, alla realizzazione dei programmi annuali, già
finanziati, per non meno del 50 per cento della spesa
complessiva. In altre parole, la norma impone al Ministero di
concentrare i propri interventi di restauro e conservazione
dei beni culturali nelle aree interessate dai programmi di
recupero.
Per agevolare ulteriormente il recupero e la
valorizzazione dei centri storici, il Ministero per i beni
culturali e ambientali può concedere contributi in conto
capitale, che concorrono alla formazione della riserva del 30
per cento, ai sensi della legge 21 dicembre 1961, n. 1552, per
interventi sugli immobili privati e pubblici compresi nelle
aree perimetrate. Il contributo può essere erogato anche in
acconto non superiore al 30 per cento del suo ammontare.
Questa forma di contribuzione potrà attivare, si ritiene, una
notevole massa di risorse private, soprattutto se l'importo
dello stanziamento complessivo statale destinato a ciascun
centro, quartiere o sito storico verrà preventivamente reso
noto con adeguate forme di comunicazione.
L'articolo 2 si occupa del riconoscimento dell'interesse
storico artistico dei beni immobili pubblici o privati
ricadenti nei perimetri dei centri, quartieri e siti di
interesse storico-artistico che vengono sottoposti alle
disposizioni della legge 1^ giugno 1939, n. 1089.
La notifica, che nella disciplina della citata legge n.
1089 del 1939, consiste nella comunicazione al proprietario,
possessore o detentore del bene dell'atto che dichiara
l'interesse storico artistico del bene medesimo, è sostituita
dalla pubblicazione della perimetrazione nella Gazzetta
Ufficiale che è affissa per sessanta giorni all'albo
pretorio del comune.
E' previsto che, agli immobili ricadenti nelle aree
perimetrate, non si applichino le disposizioni relative
all'obbligo della comunicazione delle alienazioni, nonché
quelle relative all'esercizio del diritto di prelazione sulle
cose alienate.
Il regime giuridico delineato è quindi quello previsto
dalla legge n. 1089 del 1939, ma con una notevole attenuazione
delle conseguenze per gli immobili ricadenti nel centro
storico o nel quartiere storico.
La norma prevede, comunque, che l'autorità preposta alla
tutela, qualora sussistano i requisiti, può procedere alla
dichiarazione di interesse artistico e storico di singoli
immobili mentre restano validi gli atti notificati prima della
data di entrata in vigore della nuova legge.
Viene previsto che le autorizzazioni e le approvazioni
degli interventi sugli immobili ricadenti nelle predette aree
siano rilasciate dal competente soprintendente nei termini
stabiliti dalla norma, trascorsi i quali l'autorizzazione o
l'approvazione richiesta si intende rilasciata.
L'articolo 3 del disegno di legge si occupa della
dichiarazione di interesse culturale di locali luogo di
tradizionali attività.
A tal fine è previsto che con provvedimento del
soprintendente per i beni ambientali e architettonici può
essere dichiarato l'interesse culturale di locali luogo di
tradizionali e significative attività culturali, artistiche,
artigianali, commerciali, produttive, ricadenti nelle aree
centrali caratterizzate e nei sistemi urbani e siti di
interesse storico-artistico.
La dichiarazione, che contiene le indicazioni sulla
conservazione dell'immobile e delle connotazioni relative
all'attività, è notificata in via amministrativa al
proprietario, detentore o possessore a qualsiasi titolo
dell'immobile ed è trascritta a cura della soprintendenza
presso la conservatoria dei registri immobiliari.
Il proprietario, possessore o detentore del locale
sottopone al soprintendente, per la preventiva approvazione,
ogni modifica o intervento che intende apportare all'immobile
o agli arredi caratterizzanti l'attività. Il soprintendente
entro sessanta giorni comunica le proprie determinazioni;
trascorso inutilmente tale termine l'autorizzazione si intende
rilasciata.
La nuova forma di tutela si differenzia notevolmente da
quella prevista dalla legge n. 1089 del 1939, sia per
l'oggetto della dichiarazione, che non riguarda l'immobile con
caratteristiche fisiche di interesse storico artistico, bensì
l'immobile (situato nei centri, nei quartieri e nei siti
storico-artistici) all'interno del quale si svolge una
attività significativa sotto l'aspetto tradizionale,
culturale, artistico, artigianale, commerciale o
produttivo.
Si tratta cioè di quelle attività che attribuiscono una
specifica connotazione ad una via o ad un luogo e che non è
possibile cristallizzare con il vincolo "tradizionale" della
legge n. 1089 del 1939.
Con la nuova disciplina si intende evitare, se non la
scomparsa delle attività commerciali, almeno la
dequalificazione dell'immobile e degli arredi che
caratterizzano le attività medesime.
L'articolo 4 si occupa degli eventi e delle manifestazioni
che si svolgono nelle vie, nelle piazze e nei luoghi pubblici
dei centri storici, dei quartieri storici o nei siti
storici.
Per consentire la più ampia e diretta collaborazione tra
gli organi statali preposti alla tutela dei beni culturali e
gli organi comunali interessati alla realizzazione delle
manifestazioni, viene istituita la conferenza comunale degli
eventi e delle manifestazioni, presieduta dal sindaco, della
quale fanno parte due rappresentanti del comune e i
rappresentanti delle competenti soprintendenze.
La conferenza stabilisce i criteri per utilizzare, in
occasione di eventi e di manifestazioni, le vie, le piazze e
gli altri luoghi pubblici in conformità alla natura e al
decoro degli spazi.
Il programma degli eventi e delle manifestazioni - e
comunque i relativi progetti che interessano le vie, le piazze
e gli altri luoghi pubblici dei centri, dei quartieri o dei
siti storico-artistici - sono sottoposti all'esame della
conferenza che delibera all'unanimità. I pareri dei
rappresentanti delle competenti soprintendenze sono
sostitutivi delle approvazioni previste dalla legge 1^ giugno
1939, n. 1089.
Lo strumento della conferenza comunale vuole evitare che
possano verificarsi contrasti tra soprintendenza e comune in
occasione di eventi e manifestazioni culturali. Sarà così
facilmente riscontrabile la compatibilità di tali eventi e
manifestazioni con la natura dei beni culturali che vengono
coinvolti e potranno essere più agevolmente concordate le
misure di prevenzione e di sicurezza dei beni medesimi.
L'articolo 5 si occupa di forme di agevolazione per i
comuni che si determinano a perimetrare i centri storici, i
quartieri storici, i siti storici e che adottano il piano di
salvaguardia e il programma di recupero di questi luoghi. A
questi fini, nei centri, quartieri e siti di interesse
storico-artistico lo Stato, le regioni e gli enti locali
possono concedere in uso beni immobili demaniali di interesse
storico-artistico da destinare anche ad impianti di
ricettività alberghiera e turistica.
La concessione, di durata trentennale, prevede l'obbligo
per il concessionario di provvedere al restauro e alla
conservazione del bene, nonché la possibilità di visita da
parte del pubblico secondo modalità fissate in una specifica
convenzione. Per il restauro e la conservazione dell'immobile
lo Stato può erogare al concessionario il contributo statale
di cui alla legge 21 dicembre 1961, n. 1552, fino al 50 per
cento del costo totale degli interventi.
Le agevolazioni previste da questa norma hanno il fine di
incentivare gli investimenti privati nel settore turistico e
di contribuire a creare la necessaria ricettività anche dei
centri minori, oggi, fuori dal circuito turistico
tradizionale.
L'articolo 6 detta particolari disposizioni attinenti alla
promozione e alla qualificazione dell'offerta turistica. La
norma affronta in modo razionale ed efficace, soprattutto ai
fini della conservazione del patrimonio culturale delle città
storiche, l'uso turistico del patrimonio medesimo. A questo
fine vengono individuati alcuni strumenti tecnici utilizzabili
dai comuni per evitare il degrado dei loro centri e
quartieri storici, nonché per i siti di interesse
storico-artistico.
Si prevede che per la razionale promozione e diffusione
dei flussi turistici sul territorio, anche ai fini della
valorizzazione equilibrata di tutto il patrimonio storico,
artistico e paesaggistico, i comuni, individuati i carichi
turistici, unitamente alla provincia, svolgano attività di
promozione e qualificazione dell'offerta turistica anche
mediante la individuazione di itinerari culturali di interesse
turistico.
Gli itinerari turistici, se implementati con intelligenza,
possono contribuire ad alleggerire la pressione turistica su
punti specifici del centro, quartiere o sito storico e a
razionalizzare i flussi sul territorio nazionale.
Per quanto riguarda i carichi turistici, è bene
evidenziare che il turismo non solo può essere fisicamente
incompatibile con il mantenimento (danni ai monumenti, degrado
ambientale, eccetera), ma che ci possano essere anche delle
incompatibilità economiche e sociali. Si tratta quindi di
riproporre le diverse dimensioni della capacità di carico, con
riferimento ad alcuni parametri tecnici.
Oltre agli itinerari, gli interventi integrativi possono
essere di vario tipo, come ad esempio i sistemi di
teleprenotazione, il potenziamento dei servizi di
informazione, nonché lo sviluppo della segnaletica.
A tal fine i competenti uffici periferici del Ministero
per i beni culturali e ambientali, sono legittimati a mettere
a disposizione dei comuni e delle province le schede di
catalogo dei beni culturali esistenti nel territorio
comunale.
L'articolo 7 si occupa della autorizzazione della spesa
per l'attuazione della legge e della relativa copertura
finanziaria.