Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento istituzioni | ||
Titolo: | I temi dell'attività parlamentare nella XVI Legislatura - Diritti e libertà fondamentali | ||
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 1 Progressivo: 13 | ||
Data: | 15/03/2013 | ||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni |
La documentazione di inizio legislatura - accessibile dalla home page della Camera dei deputati - dà conto delle principali politiche pubbliche e delle attività svolte dalle Commissioni parlamentari nella XVI legislatura, suddivise in Aree tematiche, a loro volta articolate per Temi e Approfondimenti. L'accesso è disponibile per Commissione ovvero per Area tematica.
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La tematica dei diritti e delle libertà fondamentali affrontata in questa area si riferisce alla materia strettamente istituzionale, che, a livello di ordinamento nazionale, trova la tutela di base nella Costituzione.
A livello sopranazionale costituiscono prioritari strumenti di riferimento due Carte fondamentali: la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea , che dal 2009, con il Trattato di Lisbona, ha assunto la stessa efficacia dei Trattati, e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) , nell'ambito dell'ordinamento del Consiglio d'Europa.
La garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali si trova quindi inserita in un sistema multilivello di tutele, normative e giudiziali, rispetto al quale il percorso di adesione dell'Unione europea alla CEDU, delineato dall'articolo 218 del Trattato sul funzionamento dellâUnione europea, si pone come un elemento di rafforzamento.
A questa area è riconducibile l'attività parlamentare in materia di tutela dei diritti umani, anche con l'approvazione di progetti di legge tesi attuare specifici impegni internazionali, nonché l'esame dei progetti riguardanti la tutela di minoranze, la libertà religiosa e le pari opportunità.
Quanto alla tutela dei diritti umani , sono stati ratificati il protocollo aggiuntivo alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sull'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza, la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani (cd. Convenzione di Varsavia) e la Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, (cd. Convenzione di Lanzarote).
In ambito ONU, sono state approvate le leggi di ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, volto a prevenire tali pratiche nei luoghi di detenzione e la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
Non si è invece concluso l'esame parlamentare dei progetti di legge per lâistituzione di una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani, in attuazione della risoluzione n. 48/134, adottata dallâAssemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993.
In materia di tutela delle minoranze , non è giunto a compimento lâiter di approvazione di alcuni progetti di legge volti alla tutela delle minoranze linguistiche, attraverso la ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie o l'individuazione di garanzia per minoranza linguistica ladina della regione Veneto.
Allo stesso modo non è stata approvata una proposta di legge per lâistituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom presenti in Italia.
Sul tema della libertà religiosa , lâattività parlamentare ha portato allâapprovazione di diverse leggi basate su intese tra Governo e confessioni religiose, quali la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, la Chiesa apostolica in Italia, la Sacra arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale, l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, l'Unione Buddhista Italiana, l'Unione Induista italiana; sono state inoltre modificate le leggi, già vigenti, recanti intese con lâUnione italiana delle chiese cristiane avventiste del 7° giorno e la Tavola Valdese.
Alla materia dei diritti e della libertà fondamentali è riconducibile la politica delle Pari opportunità , con riferimento alla quale spicca lâattività parlamentare che ha portato allâapprovazione della legge 120/2011, sulla parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in borsa e delle società pubbliche e della legge 215/2012 recante disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte delle regioni e degli enti locali.
Sono trattati nellâarea Cittadinanza e immigrazione i relativi temi nonché quelli sullâasilo e lâintegrazione degli stranieri.
Il programma pluriennale per lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia per il periodo 2010-2014 (programma di Stoccolma), che segue il programma dell'Aia (2004-2009), è stato adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009.
Il testo del programma si basa sulla comunicazione âUno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al servizio dei cittadiniâ (COM(2009)262), presentata dalla Commissione europea il 10 giugno 2009 ed esaminata dal Parlamento europeo (risoluzione 25 novembre 2009) e dal Consiglio Giustizia e affari interni, da ultimo il 30 novembre 2009.
Il programma Stoccolma si articola attorno alle seguenti priorità politiche:
Si ricorda che la comunicazione relativa al programma, ai sensi dellâarticolo 127 del Regolamento della Camera dei deputati, è stata esaminata dalle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia (documento finale adottato il 1° dicembre 2009), con il parere della XIV Commissione Politiche dellâUnione europea (parere approvato il 25 novembre 2009).
L'attenzione alla tutela dei diritti umani come tema specifico di attività della I Commissione si è evidenziata nel corso della XVI legislatura attraverso l'esame di un progetto di legge volto all'istituzione di una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani in attuazione della risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite n. 48/134, adottata il 20 dicembre 1993, diretta ad unire tutti gli Stati in un impegno comune di tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali
Il provvedimento (A.C. 4534), il cui esame è iniziato presso il Senato ed è poi proseguito, senza pervenire ad approvazione, presso la Camera, si pone come attuazione alla risoluzione n. 48/134, adottata dallâAssemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993, che impegna tutti gli Stati firmatari ad istituire organismi nazionali, autorevoli ed indipendenti, per la promozione e la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Questa risoluzione detta una serie di criteri che gli organismi nazionali per la tutela dei diritti umani devono soddisfare, i cd. Princìpi di Parigi: indipendenza ed autonomia dal Governo (operativa e finanziaria), pluralismo, ampio mandato basato sugli standard universali sui diritti umani, adeguato potere di indagine e risorse adeguate.
Obiettivo della disciplina esaminata dalle Camere è l'istituzione in Italia di un organismo di tutela dei diritti umani, nel rispetto dei predetti principi delle Nazioni Unite quanto ad autonomia e indipendenza, denominato «Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani»; a tale organismo è attribuito il compito di promuovere e vigilare sul rispetto, in Italia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali così come individuate dalle convenzioni delle Nazioni Unite, dal Consiglio dâEuropa, dallâUnione europea e tutelate dalla Costituzione italiana.
Più specificamente, il testo, nellâaffermare i principi generali che ispirano la proposta, riconosce un ruolo specifico, in materia di tutela dei diritti umani, alle amministrazioni dello Stato e, in tema di rapporti internazionali al Ministero degli affari esteri, presso il quale opera il Comitato interministeriale dei diritti umani e istituisce una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani, costituita da tre componenti: un presidente, nominato con determinazione congiunta dal Presidente del Senato e dal Presidente della Camera dei deputati, e due membri eletti dal Parlamento a maggioranza di due terzi. I componenti della commissione durano in carica cinque anni e possono essere riconfermati una sola volta; la carica non è compatibile con altri incarichi pubblici o presso enti privati.
Tra le competenze della Commissione, anche con riferimento alle principali convenzioni internazionali ratificate dallâItalia nel campo dei diritti umani e in funzione di altri organismi che dovessero essere istituiti per lâattuazione di adempimenti internazionali, vi sono quattro grandi aree di attività â sensibilizzazione, vigilanza, proposta e rapporti istituzionali â che comprendono: la promozione della cultura dei diritti umani; il monitoraggio del rispetto dei diritti umani in Italia nonché attuazione delle convenzioni e degli accordi internazionali ratificati dallâItalia in materia; la formulazione di pareri, raccomandazioni e proposte al Governo su tutte le questioni concernenti i diritti umani; la collaborazione per lo scambio di esperienze e la migliore diffusione di buone prassi con gli organismi internazionali preposti alla tutela dei diritti umani; l'analisi delle segnalazioni in materia di violazioni o limitazioni di diritti umani, provenienti dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano, ai fini del successivo inoltro agli uffici competenti della pubblica amministrazione, qualora non sia già stata adita lâautorità giudiziaria; la promozione degli opportuni contatti con le autorità, le istituzioni e gli organismi pubblici cui la legge attribuisce, a livello centrale o locale, specifiche competenze in relazione alla tutela dei diritti umani; la promozione presso le singole pubbliche amministrazioni, presso le istituzioni scolastiche e le università di programmi di formazione, didattici e di ricerca in materia di tutela dei diritti umani.
Per le questioni relative alle discriminazioni fondate sulla razza o sullâorigine etnica la Commissione si avvale, con funzioni consultive, dellâUfficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sullâorigine etnica (UNAR) istituito con D.Lgs n. 215/2003 in attuazione della direttiva 2000/43/CE.
Il Comitato interministeriale per i diritti umani CIDU è un organismo interministeriale di coordinamento presieduto da un funzionario di carriera diplomatica nominato dal Ministro degli affari esteri.
Il Comitato fornisce supporto tecnico per l'indirizzo e la guida strategica in materia di tutela dei diritti umani; esamina le misure attuative di impegni assunti dallâItalia in virtù di convenzioni internazionali in materia di diritti umani; promuove lâadozione dei provvedimenti necessari ad assicurare il pieno adempimento degli obblighi internazionali; segue lâattuazione delle convenzioni internazionali e cura la preparazione dei rapporti periodici che lâItalia è tenuta a presentare; collabora nelle attività di organizzazione di iniziative internazionali sui diritti umani e mantiene e implementa i rapporti con le ONG attive nel settore.
Inoltre, il Comitato predispone per il Parlamento una relazione annuale sulla propria attività e, più in generale, sulla tutela e il rispetto dei diritti umani in Italia. L'esame della relazione riferita all'anno 2010 (Doc. CXXI, n. 4) è stato intrapreso dal Comitato permanente per i diritti umani nelle sedute del 14 febbraio 2012 e 21 febbraio 2012. Per un supplemento di esame istruttorio il Comitato sui diritti umani ha invitato in audizione il presidente del Comitato interministeriale, Diego Brasioli, nella seduta del 3 aprile 2012.
La relazione sull'attività svolta nell'anno 2011 dal Comitato interministeriale dei diritti dell'uomo, nonché sulla tutela e il rispetto dei diritti umani in Italia (doc. CXXI, n. 5) è stata trasmessa alla Camera il 27 agosto 2012.
La tutela dei diritti dellâuomo è uno dei fini delle Nazioni Unite; lâorganismo politico incaricato di supervisionarne lâosservanza è il Consiglio per i diritti umani, istituito con la risoluzione 60/251 dellâAssemblea Generale ONU del 15 marzo 2006, in sostituzione della Commissione dei diritti dellâuomo.
Il Consiglio per i diritti umani (Human Rights Council, HRC) che ha sede a Ginevra, è composto da stati ed è organo sussidiario dellâAssemblea Generale dellâOnu. Il Consiglio promuove la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, si occupa delle situazioni di violazione dei diritti umani e formula allâAssemblea generale raccomandazioni orientate allo sviluppo della legislazione internazionale sul tema.
Con la Universal Periodic Review-UPR il Consiglio sottopone tutti i membri dellâOnu ad un esame periodico per valutare la situazione dei diritti umani.
La composizione del Consiglio tiene conto della rappresentanza geografica e i suoi 47 membri - eletti con voto segreto dalla maggioranza assoluta dei membri dellâAssemblea Generale - occupano seggi assegnati in ragione di 13 ai Paesi africani, 13 ai Paesi asiatici, 6 ai Paesi dellâEuropa orientale, 8 allâAmerica Latina e Caraibi e 7 allâEuropa occidentale e altri Stati.
La durata del mandato è di tre anni per massimo due mandati consecutivi.
Il Consiglio si riunisce per almeno tre sessioni lâanno oltre, se necessario, per sessioni speciali.
Alla carica di Presidente del Consiglio dei diritti umani, che ha durata annuale, sono eletti alternativamente esponenti dei gruppi regionali. Dal 10 dicembre 2012 il presidente è il diplomatico polacco Remigiusz A. Henczel.
LâItalia, già membro del Consiglio per i diritti umani per il triennio 2007-2010, è stata nuovamente eletta per il triennio 2011-2014.
Lâart. 6, par.1 del Trattato sullâUnione europea (TUE), in particolare, riconosce alla Carta dei diritti fondamentali dellâUE, adattata il 12 dicembre 2007, lo stesso valore giuridico dei trattati. Lâart. 6, par. 2 del TUE stabilisce che lâUnione aderisca alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellâuomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e che tale adesione non modifichi le competenze dellâUnione definite dati Trattati.
Il protocollo n. 8 relativo allâarticolo 6, paragrafo 2 allegato al trattato del TUE prevede che l'accordo relativo all'adesione dell'Unione alla CEDU deve garantire che siano preservate le caratteristiche specifiche dell'Unione e del diritto dell'Unione per quanto riguarda: a) le modalità specifiche dell'eventuale partecipazione dell'Unione agli organi di controllo della convenzione europea; b) i meccanismi necessari per garantire che i procedimenti avviati da Stati non membri e le singole domande siano indirizzate correttamente, a seconda dei casi, agli Stati membri e/o all'Unione.
A partire dal luglio 2010, i negoziatori della Commissione ed esperti del Comitato direttivo per i Diritti dellâUomo del Consiglio dâEuropa si sono riuniti regolarmente per elaborare lâaccordo di adesione. Al termine del processo, lâaccordo di adesione sarà concluso dal Comitato dei Ministri del Consiglio dâEuropa e, allâunanimità, dal Consiglio dellâUE. Anche il Parlamento europeo, che deve essere pienamente informato di ciascuna delle fasi dei negoziati, deve dare il proprio consenso. Una volta concluso, lâaccordo dovrà essere ratificato da tutte le 47 parti contraenti della CEDU, conformemente alle rispettive disposizioni costituzionali.
Lâadesione alla CEDU comporterà un controllo giurisdizionale aggiuntivo nel settore della tutela dei diritti fondamentali nellâUnione. Sarà in effetti competenza della Corte europea dei diritti dellâuomo di Strasburgo controllare, ai fini del rispetto della Convenzione, gli atti delle istituzioni, degli organi e organismi dellâUE, e anche le sentenze della Corte di giustizia. I cittadini disporranno poi di un nuovo mezzo di ricorso; potranno infatti adire la Corte dei diritti dellâuomo in caso di violazione dei diritti fondamentali imputabile allâUnione, a condizione però che abbiano già esaurito tutte le vie di ricorso interne.
Lâadesione dellâUnione europea alla CEDU richiederà altresì la convergenza su una serie di questioni giuridiche rilevanti:
Lâarticolo 6 del Trattato sullâUnione europea, come modificato dal Trattato di Lisbona stabilisce:
Lâarticolo 218 del Trattato sul funzionamento dellâUnione europea prevede che lâaccordo sullâadesione alla CEDU dovrà essere concluso dal Consiglio allâunanimità, previa approvazione del Parlamento europeo e con ratifica da parte degli Stati membri, conformemente alle rispettive norme costituzionali.
Alla luce del nuovo impulso fornito dal Trattato di Lisbona, la tutela dei diritti fondamentali con particolare riguardo alla lotta al razzismo e alla xenofobia, alla protezione dei minori e dei gruppi più vulnerabili costituisce una priorità nel programma 2010-2014 per lo spazio di libertà sicurezza e giustizia (programma di Stoccolma), adottato dal Consiglio europeo il 10-11 dicembre 2009.
Nel giugno 1999 il Consiglio europeo di Colonia ha convenuto che fosse opportuno riunire in una Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello dellâUnione europea (UE), per dare loro maggiore visibilità.
In particolare, il Consiglio europeo aveva indicato che occorreva includere nella Carta i principi generali sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dellâuomo del 1950 e quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni dei paesi dellâUE. Inoltre, la Carta doveva includere i diritti fondamentali attribuiti ai cittadini dell'UE, nonché i diritti economici e sociali enunciati nella Carta sociale del Consiglio dâEuropa e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, come pure i principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La Carta è stata elaborata da una Convenzione composta da un rappresentante di ogni paese dellâUE e da un rappresentante della Commissione europea, nonché da 16 membri del Parlamento europeo e 30 dei Parlamenti nazionali (2 per ogni Parlamento nazionale) ed è stata inizialmente proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza.
La Carta, con le modifiche apportate in vista del suo inserimento nel Trattato costituzionale (Trattato mai entrato in vigore), è stata nuovamente proclamata solennemente in occasione della seduta plenaria del Parlamento europeo del 12 dicembre 2007 dai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione europea.
Infine, nel dicembre 2009, con lâentrata in vigore del Trattato di Lisbona, è stato conferito alla Carta lo stesso effetto giuridico vincolante dei trattati (A differenza di quanto originariamente previsto dal Trattato costituzionale, mai entrato in vigore, il Trattato di Lisbona non prevede lâinclusione del testo della Carta nei Trattati).
Merita sottolineare che la Carta non conferisce all'UE una facoltà generale di intervento in tutti i casi di violazione dei diritti fondamentali da parte di autorità nazionali: essa si applica agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Gli Stati membri possiedono una regolamentazione nazionale molto ampia sui diritti fondamentali, il cui rispetto è garantito dalle giurisdizioni nazionali.
Lâart. 6 del Trattato sul lâUnione europea stabilisce, infatti, che l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
Il protocollo n. 30, allegato ai Trattati introduce misure specifiche per il Regno Unito e la Polonia, in particolare: apportando limitazioni alla giurisdizione della Corte di giustizia europea e dei tribunali nazionali in materia di conformità della normativa nazionale dei due Stati membri rispetto ai diritti, libertà e princìpi sanciti dalla Carta e prevedendo che ove una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, essa si applicherà a Regno Unito e Polonia solo nella misura in cui i princìpi e i diritti in essa contenuti siano riconosciuti nelle leggi e nelle pratiche di Regno Unito e Polonia.
Una dichiarazione n. 61 unilaterale della Polonia, allegata allâatto finale del Trattato di Lisbona, afferma che la Carta lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di legiferare nel settore della moralità pubblica, del diritto di famiglia nonché della protezione della dignità umana e del rispetto dell'integrità fisica e morale dell'uomo.
Il 9 ottobre 2012 la Commissioni affari costituzionali del Parlamento europeo ha espresso un parere contrario alla richiesta avanzata dalla Repubblica ceca di aderire al protocollo derogatorio relativo al Regno unito e alla Polonia. La questione è allâattenzione del Consiglio europeo.
La Carta dei diritti fondamentali comprende un preambolo introduttivo e 54 articoli, suddivisi in sette capi:
Nell'ottobre 2010 la Commissione ha adottato una strategia per garantire l'effettivo rispetto della Carta (COM(2010)573) e ha elaborato una "check-list dei diritti fondamentali " per agevolare la valutazione del loro impatto su tutte le proposte legislative. La Commissione si è inoltre impegnata a pubblicare una relazione annuale sull'applicazione della Carta al fine di monitorare i progressi realizzati.
In tale quadro, il 16 aprile 2012 è stata presentata la relazione sullâapplicazione della Carta relativa allâanno 2011 (COM(2012)169). Partendo dalla considerazione che , nellâattuale periodo di crisi economica, un contesto giuridicamente stabile basato sullo Stato di diritto e sul rispetto dei diritti fondamentali costituisce la migliore garanzia per instaurare un clima di fiducia da parte dei cittadini e di sicurezza dei partner e degli investitori, la Commissione ricorda le iniziative assunte dalle istituzioni europee nel corso del 2011 in applicazione dei principi della Carta, incluse le azioni relative allâattuazione della Strategia per la parità tra donne e uomini (2010-2015),
In particolare la relazione rammenta che nel corso del 2011 la Commissione ha rafforzato la valutazione dell'impatto sui diritti fondamentali a cui procede prima di adottare le proposte, attraverso lâadozione di nuove linee guida in materia (SEC(2011)567) e lâistituzione di un gruppo interservizi sull'attuazione della Carta.
Eâ dato inoltre rilievo alla dimensione dei diritti fondamentali nellâattività del Parlamento europeo e del Consiglio in qualità di colegislatori. In particolare il Consiglio si è impegnato a garantire che, nel proporre modifiche a iniziative legislative della Commissione o nel presentare iniziative proprie, gli Stati membri valutino l'impatto dei loro interventi sui diritti fondamentali (conclusioni del 5 febbraio 2011), e ha fissato orientamenti per individuare e affrontare le questioni attinenti ai diritti fondamentali nelle discussioni sulle proposte dinanzi ai suoi organi preparatori.
Per quanto riguarda lâattività giurisdizionale, la relazione osserva che la Corte di giustizia dell'Unione europea rinvia sempre più spesso alla Carta: il numero di sentenze che la citano nella motivazione sarebbe aumentato di più del 50% rispetto al 2010, passando da 27 a 42. Conterrebbero sempre più spesso riferimenti alla Carta anche le questioni poste alla Corte di giustizia dalle giurisdizioni nazionali (domande di pronunzia pregiudiziale): fra il 2010 e il 2011 tali riferimenti sono aumentati del 50%, da 18 a 27.
Relativamente alla tutela dei diritti fondamentali nelle differenti politiche dellâUnione, il documento attribuisce particolare rilevanza alle recenti iniziative delle istituzioni UE in materia di:
La Comunicazione della Commissione europea è stata favorevolmente accolta dal Consiglio Affari generali che, nelle conclusioni adottate in materia adottate il 26 giugno 2012, ha sottolineato, tra lâaltro, che l'adesione dell'Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come previsto all'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, rafforzerà la coerenza nella protezione dei diritti umani in Europa.
Nelle già citate conclusioni del 26 giugno 2012, sullâapplicazione della Carta, il Consiglio sottolinea che i dati raccolti dall'Agenzia UE per i diritti fondamentali su argomenti tematici specifici e i pareri forniti conformemente al suo mandato restano uno strumento importante per le istituzioni dell'UE e i suoi Stati membri in molte questioni collegate all'attuazione della normativa UE. In questo quadro il Consiglio esorta tutte le istituzioni dell'UE e gli Stati membri ad avvalersi appieno delle competenze specialistiche dell'Agenzia e, ove opportuno e conformemente al suo mandato, a tenere con essa consultazioni sull'evoluzione della legislazione e delle politiche avente implicazioni per i diritti fondamentali.
LâAgenzia dellâUnione europea per i diritti fondamentali, con sede a Vienna, è stata istituita con il regolamento (CE) 168/2007 ed è entrata in funzione il 1° marzo 2007, in sostituzione dellâOsservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia.
LâAgenzia ha lo scopo di fornire alle istituzioni dellâUE e agli Stati membri, nellâattuazione del diritto comunitario, assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali, in modo da aiutarli a rispettare pienamente tali diritti nellâadozione di misure o nella definizione di iniziative nei loro rispettivi settori di competenza. Il regolamento istitutivo attribuisce allâAgenzia i seguenti compiti:
Lâagenzia non può invece esaminare ricorsi di singole persone fisiche o giuridiche.
Lâambito di attività dellâAgenzia è circoscritto allâUE e ai suoi 27 Stati membri. Essa può consentire la partecipazione, come osservatori, dei paesi candidati.
Secondo il regolamento istitutivo, lâAgenzia coordina le sue attività con il Consiglio dâEuropa, al fine di sviluppare relazioni in tutti i settori d'interesse comune, in particolare nel campo della promozione e della tutela della democrazia pluralista, del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dello Stato di diritto, della cooperazione politica e giuridica, della coesione sociale e degli scambi culturali.
A questo scopo, il 31 maggio 2007 il Consiglio ha approvato un memorandum d'intesa tra il Consiglio d'Europa e l'Unione europea, in vista dello sviluppo di relazioni in tutti i settori d'interesse comune, Il 28 febbraio 2008 è stato concluso un accordo (decisione del Consiglio 2008/578/CE) che ha stabilito i metodi della cooperazione e le modalità di scambio di informazioni e dati tra lâAgenzia e il Consiglio dâEuropa.
Nello svolgimento delle sue funzioni, lâAgenzia coopera inoltre con gli organi dellâOSCE e dellâONU competenti nel settore umanitario, gli Stati membri (tramite funzionari nazionali di collegamento), le istituzioni nazionali di difesa dei diritti dellâuomo negli Stati membri, lâIstituto europeo per la parità di genere e la società civile (attraverso una rete flessibile, la piattaforma dei diritti fondamentali, meccanismo di scambio e condivisione di conoscenze).
Come previsto dal regolamento istitutivo, con decisione del Consiglio 2008/203/CE del 28 febbraio 2008 è stato adottato il quadro pluriennale per lâAgenzia per il periodo 2007-2012, volto a definire precisamente i settori tematici di attività.
I settori tematici individuati sono i seguenti:
a) razzismo, xenofobia e intolleranza ad essi associata;
b) discriminazione fondata su sesso, origine razziale o etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale o appartenenza a una minoranza e qualsiasi combinazione di tali motivi (discriminazione multipla);
c) risarcimento delle vittime;
d) diritti del bambino, compresa la tutela dei minori;
e) asilo, immigrazione e integrazione dei migranti;
f) visti e controllo delle frontiere;
g) partecipazione dei cittadini dellâUnione al funzionamento democratico della stessa;
h) società dellâinformazione, in particolare rispetto della vita privata e protezione dei dati personali;
i) accesso a una giustizia efficiente e indipendente.
Eâ attualmente in corso di esame la proposta di decisione del Consiglio che istituisce un quadro pluriennale per l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali per il periodo 2013-2017 (COM(2011)880), nella quale vengono riconfermati i settori tematici già individuati per il periodo precedente.
LâAgenzia ha quattro organi:
La XVI Legislatura è stata caratterizzata dall'approvazione di diverse leggi di recepimento di nuove intese tra lo Stato e confessioni religiosi e di modifica di leggi già vigenti. Vanno inoltre ricordati numerosi atti di sindacato ispettivo, riferiti a progetti di costruzione di moschee o all'attività di Centri di cultura islamici.
La Costituzione sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni religiose e il loro diritto ad organizzarsi secondo i propri statuti. I rapporti delle confessioni non cattoliche con lo Stato italiano sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. A partire dal 1984, lo Stato italiano ha proceduto a stipulare intese, recepite con legge, con la Tavola valdese, con lâUnione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, con lâAssemblee di Dio in Italia, con lâUnione delle Comunità ebraiche italiane, con lâUnione cristiana evangelica battista dâItalia e con la Chiesa evangelica luterana in Italia.
Le intese finora intervenute danno atto dellâautonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico. Ciascuna intesa reca disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e la confessione religiosa che ha stipulato lâintesa.
Nella legislatura in corso, sono state approvate due leggi di iniziativa governativa per lâapprovazione di modifiche alle intese già stipulate con:
Per quanto riguarda le Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno, la modifica dellâintesa ha lâobiettivo di consentire il riconoscimento delle lauree in teologia conferite dallâIstituto avventista di cultura biblica in aggiunta al già previsto riconoscimento dei diplomi in teologia e in cultura biblica.
La modifica apportata allâintesa con la Tavola Valdese prevede invece che la Chiesa evangelica valdese, che già gode del beneficio della destinazione dellâ8 per mille dellâimposta sui redditi limitatamente alle scelte precisate in suo favore dai contribuenti, possa anche partecipare allâulteriore suddivisione delle somme derivanti da quei contribuenti che non hanno espresso alcuna preferenza.
Il 23 febbraio 2012 si è, altresì, concluso l'iter di approvazione del disegno di legge recante "Modifica della legge 12 aprile 1995, n. 116, recante approvazione dell'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e l'Unione cristiana evangelica battista d'Italia, in attuazione dell'articolo 8, terzo comma, della Costituzione (A.C. 4569). Il testo approvato in via definitiva non è ancora stato pubblicato.
Sono state, inoltre, approvate altre cinque leggi volte a regolare i rapporti tra lo Stato e le seguenti confessioni religiose:
Non si è, invece, concluso l'esame, presso la I Commissione Affari Costituzionali della Camera, del disegno di legge di recepimento dell'intesa con la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova in Italia (A.C. 5473).
Fin dagli anni â90 alcune comunità islamiche hanno avanzato istanze per arrivare a stipulare intese con lo Stato italiano. Le proposte avanzate non hanno però mai rivestito carattere omogeneo, dal momento che le organizzazioni non avevano raggiunto un accordo preventivo.
Nel 2000, le organizzazioni islamiche più rappresentative sono pervenute alla costituzione dellâassociazione del Consiglio islamico dâItalia, quale organismo di rappresentanza dellâIslam. Il Consiglio però non è mai divenuto operativo e lâincapacità di raggiungere una posizione comune rappresentativa dellâuniverso islamico in Italia, ha sin qui determinato lâimpossibilità di stipulare unâintesa con lo Stato italiano.
A livello amministrativo, si ricorda che nel settembre 2005 è stata istituita, presso il Ministero dellâinterno, la Consulta per lâislam italiano, organo consultivo dove siedono membri delle più rappresentative istituzioni islamiche presenti nel nostro Paese, che si pone lâobiettivo di avviare un dialogo istituzionale con le componenti musulmane presenti in Italia e di agevolare la costruzione di un Islam italiano, fondato sui propri valori religiosi e culturali, ma anche sulla piena accettazione degli ordinamenti politici e delle leggi italiane.
La Camera si è interessata a più riprese della questione. In materia vanno certamente ricordati gli atti di sindacato ispettivo presentati nel corso dellâattuale legislatura e riferiti ai progetti di costruzione di moschee o allâattività di Centri di cultura islamici.
Nella seduta del 16 settembre 2008 dellâAssemblea della Camera, il Sottosegretario per lâInterno, on. Mantovano, rispondendo allâinterpellanza sulle problematiche inerenti al finanziamento e al progetto di realizzazione della moschea di Bologna, ha ricordato come la vicenda sia riferibile al più ampio problema di controllo e monitoraggio delle realtà associative islamiche presenti in Italia.
Un dibattito e una deliberazione in Assemblea, contenente una specifica direttiva al Governo, sono stati sollecitati dalle mozioni Cota ed altri 1-00076 concernente una moratoria per la costruzione di nuove moschee e centri culturali islamici, che invita il Governo a bloccare la costruzione di nuove moschee fino a quando non verrà approvata una legge che regolamenti l'edificazione di luoghi di culto delle confessioni che non abbiano stipulato intese con lo Stato italiano. Alla mozione Cota è stato congiunto lâesame della mozione Evangelisti ed altri 1-00169 che, al contrario sottolinea la necessità di una specifica normativa sulla libertà religiosa.
Si ricorda infine che la Camera ha esaminato alcune proposte di legge volte ad introdurre il divieto di indossare indumenti che coprono il volto, anche se per motivi di carattere religioso (A.C. 627 e abb.).
I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose non cattoliche sono regolati dallâarticolo 8 della Costituzione, che, tutelando lâaspetto istituzionale della libertà religiosa, sancisce il principio di eguale libertà di tutte le confessioni (comma 1).
La disposizione riconosce alle confessioni diverse dalla cattoliche lâautonomia organizzativa sulla base di propri statuti, a condizione che questi non contrastino con lâordinamento giuridico italiano (comma 2).
Viene sancito, altresì, il principio secondo il quale i rapporti con lo Stato delle confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze (comma 3); si tratta quindi di una riserva di legge rinforzata, caratterizzata da aggravamenti procedurali che non consentono la modifica, abrogazione o deroga di tali leggi se non mediante leggi ordinarie che abbiano seguito la stessa procedura bilaterale di formazione.
Per quanto riguarda lâautonomia organizzativa delle confessioni diverse dalla cattolica, la Corte costituzionale, con la sentenza 43/1988, ha chiarito che âal riconoscimento da parte dellâart. 8, secondo comma, Cost., della capacità delle confessioni religiose, diverse dalla cattolica, di dotarsi di propri statuti, corrisponde lâabbandono da parte dello Stato della pretesa di fissarne direttamente per legge i contenutiâ. Questa autonomia istituzionale esclude ogni possibilità di ingerenza dello Stato nellâemanazione delle disposizioni statutarie delle confessioni religiose che non sia riconducibile ai limiti espressamente previsti dalla Costituzione.
Una ulteriore specifica garanzia valida per tutte le confessioni religiose (abbiano o meno stipulato unâintesa) e le forme associative che ne sono espressione è prevista dallâart. 20 della Costituzione, ai sensi del quale âIl carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attivitàâ.
Infine, lâaspetto individuale della libertà religiosa, è comunque garantito a tutti (indipendentemente dalla cittadinanza e dallâappartenenza a una confessione religosa) dallâart. 19 della Costituzione, con riguardo alla professione di fede in ogni forma, individuale o associata, alla propaganda ed allâesercizio del culto in privato o in pubblico, con il solo limite dei âriti contrari al buon costumeâ.
Come anticipato, lâart. 8 della Costituzione stabilisce che i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla cattolica sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
In via preliminare occorre precisare che per le confessioni prive di intesa trovano tuttora applicazione la cd. âlegge sui culti ammessiâ (L. 1159/1929) e il relativo regolamento di attuazione (R.D. 289/1930).
La legge del 1929 si fonda sul principio dellâammissione dei culti diversi dalla religione cattolica âpurché non professino princìpi e non seguano riti contrari allâordine pubblico o al buon costumeâ. Entro questi limiti, viene affermata la libertà di culto in tutte le sue forme, anche pubbliche, e lâeguaglianza dei cittadini, qualunque sia la religione da essi professata. Lo Stato italiano può riconoscere la personalità giuridica degli enti, associazioni o fondazioni di confessioni religiose non cattoliche, purchè si tratti di religioni i cui princìpi e le cui manifestazioni esteriori (riti) non siano in contrasto con lâordinamento giuridico dello Stato. Il riconoscimento comporta una serie di vantaggi tra cui la possibilità dellâente di culto di acquistare e possedere beni in nome proprio e di avvalersi di agevolazioni tributarie.
Dâaltra parte, lo Stato, attraverso il Ministero dellâinterno, esercita penetranti poteri di controllo nei confronti degli enti riconosciuti. In particolare, la normativa prevede lâapprovazione governativa delle nomine dei ministri di culto; lâautorizzazione dellâufficiale dello stato civile alla celebrazione del matrimonio con effetti civili davanti ad un ministro di culto non cattolico; la vigilanza sullâattività dellâente, al fine di accertare che tale attività non sia contraria allâordinamento giuridico e alle finalità dellâente medesimo.
Si segnala che la Corte costituzionale, con la sentenza 346/2002, ha giudicato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge della Regione Lombardia che prevedeva benefici per la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi, nella parte in cui introduceva come elemento di discriminazione fra le confessioni religiose che aspirano ad usufruire dei benefici, avendone gli altri requisiti, lâesistenza di unâintesa per la regolazione dei rapporti della confessione con lo Stato.
La Corte ha affermato che le intese previste dallâart. 8, terzo comma, Cost. non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione loro garantita dal primo e dal secondo comma dello stesso art. 8 né per usufruire di benefici a loro riservati, quali, nella specie, lâerogazione di contributi; risultano altrimenti violati il divieto di discriminazione (art. 3 e art. 8, primo comma, Cost.), nonché lâeguaglianza dei singoli nel godimento effettivo della libertà di culto (art. 19, Cost.), di cui lâeguale libertà delle confessioni di organizzarsi e di operare rappresenta la proiezione necessaria sul piano comunitario e sulla quale esercita una evidente, ancorché indiretta influenza, la possibilità per le medesime di accedere a benefici economici come quelli previsti dalla legge oggetto del giudizio di costituzionalità.
Per quanto concerne, invece, le confessioni che hanno stipulato unâintesa con lo Stato italiano, in prima battuta cessano di avere efficacia le norme sopra illustrate, che sono sostituite dalle disposizioni contenute nelle singole intese (tutte le leggi volte a dare attuazione alle intese prevedono tale decadenza con uno specifico articolo recante la cessazione di efficacia delle suddette disposizione a far data dallâentrata in vigolre delle stesse).
Le intese finora intervenute danno, pertanto, atto della autonomia e della indipendenza degli ordinamenti religiosi diversi da quello cattolico.
Ciascuna intesa reca, quindi, disposizioni dirette a disciplinare i rapporti tra lo Stato e quella confessione religiosa che ha stipulato lâintesa.
Si tratta, pertanto, di norme specifiche, spesso finalizzate a tutelare aspetti particolari, peculiari della confessione interessata. Si possono tuttavia individuare alcuni elementi ricorrenti: quasi tutte le intese recano disposizioni per lâassistenza individuale nelle caserme, negli ospedali, nelle case di cura e di riposo e nei penitenziari, per lâinsegnamento della religione nelle scuole, per il matrimonio, per il riconoscimento di enti con fini di culto, istruzione e beneficenza, per il regime degli edifici di culto e per i rapporti finanziari con lo Stato nella ripartizione dellâ8 per mille del gettito IRPEF e, infine, per le festività. In generale, tali disposizioni concorrono a definire un regime più indipendente rispetto a quello valido per le confessioni prive di intesa.
In questo senso particolarmente significative sono le disposizioni relative ai ministri del culto: per le confessioni che hanno stipulato le intese cessano di avere efficacia le norme sui âculti ammessiâ, che prevedono lâapprovazione governativa delle nomine dei ministri; le confessioni nominano pertanto i propri ministri senza condizioni, salvo lâobbligo di registrazione in appositi elenchi.
Inoltre, diversa è la procedura relativa al riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto: per quelli afferenti alle confessioni religiose che per prime hanno stipulato lâintesa, il procedimento ricalca quella per i âculti ammessiâ, mentre per gli istituti di culto delle Chiese battista e luterana è prevista una procedura semplificata di emanazione con decreto ministeriale e non con decreto del Presidente della Repubblica.
Si ricorda che le confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha un rapporto conforme al dettato costituzionale sub art. 8 sono:
Larga parte delle leggi sopra riportate sono state oggetto di successiva modifica al fine di consentire alle confessioni religiose, che già avevano stipulato una intesa con lo Stato italiano, la partecipazione alla ripartizione della quota dell'otto per mille del gettito IRPEF laddove tale previsone non era stata inserita nel testo originario.
Nella XVI legislatura, la I Commissione Affari Costituzionali della Camera ha esaminato il disegno di legge di recepimento dell'intesa con la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova in Italia, senza pervenire alla sua approvaizone (A.C. 5473) .
Con particolare riferimento alle singole fasi della procedura di approvazione delle leggi di attuazione delle intese con le confessioni acatotliche, si ricorda che su tale materia, in assenza di una legge generale che ne disciplini i signoli aspetti, si è formata una prassi consolidata a partire dal 1984 (data della prima attuazione del dettato costituzionale in tale materia).
Il procedimento ha inizio con la richiesta di intesa che deve essere preventivamente sottoposta al parere del Ministero dell'Interno, Direzione Generale Affari dei Culti.
Successivamente hanno inizio le trattative per la stipula di unâintesa e la competenza ad avviarle spetta al Governo; le confessioni interessate si devono rivolgere quindi, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l'incarico di condurre le trattative con le relative rappresentanze al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri. Si ricorda che le trattative vengono avviate soltanto con le confessioni che abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica ex lege 1159/1929.
Lâesame di compatibilità dellâintesa viene, così, condotto sia dal Ministero dellâinterno, sia dal Consiglio di Stato, il quale è chiamato ad esprimere il proprio parere (non obbligatorio) in merito.
Nel corso delle trattative, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita presso la stessa Presidenza; tale organo predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Sulle bozze si esprime, poi, la Commissione consultiva per la libertà religiosa, operante presso la Presidenza del Consiglio.
Concluse le trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, sono sottoposte allâesame del Consiglio dei ministri e, una volta firmate dal Presidente del Consiglio e dal Presidente della confessione religiosa, vengono trasmesse al Parlamento per lâapprovazione con legge.
Avuto riguardo, poi, alla procedura parlamentare si segnala che lâart. 8 della Costituzione non specifica se lâiniziativa legislativa relativa alle intese sia attribuita in via esclusiva al Governo, in quanto titolare del potere di condurre le trattative e stipularle. La Giunta del Regolamento della Camera dei deputati, affrontando la questione della titolarità dellâiniziativa legislativa per la presentazione di progetti di legge volti ad autorizzare la ratifica di trattati internazionali, nella seduta del 5 maggio 1999 si è pronunciata per lâammissibilità dellâiniziativa parlamentare in tale materia, ove ricorrano i necessari presupposti di fatto. Pertanto non sembrerebbero sussistere elementi ostativi allâammissibilità di proposte di legge di iniziativa parlamentare per lâapprovazione delle intese.
Infine, con riferimento alla questione della modificabilità o meno del testo si ricorda che si è affermata una prassi che, pur non escludendo in assoluto la emendabilità, restringe lâambito di intervento del Parlamento a modifiche di carattere non sostanziale, quali quelle dirette ad integrare o chiarire il disegno di legge, o ad emendarne le parti che non rispecchiano fedelmente lâintesa.
Ai fini della piena attuazione del principio della parità di genere, che trova il suo fondamento negli articoli 3 e 51 della Costituzione, nel corso della XVI legislatura sono state approvate due importanti leggi: la legge n. 120/2011, che riserva al genere meno rappresentato almeno un terzo dei componenti dei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa e delle società pubbliche, e la legge n. 215/2012, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali, che modifica, fra l'altro,. Il sistema elettorale dei comuni, introducendo la cd. doppia preferenza di genere. E' inoltre proseguito il recepimento della normativa europea sulla parità di trattamento tra uomini e donne e sono state adottate specifiche misure per il sostegno alla genitorialità.
La legge 23 novembre 2012, n. 215, ha introdotto disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nelle amministrazioni locali.
Viene in primo luogo modificata la normativa per lâelezione dei consigli comunali. Per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura:
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi.
In secondo luogo, il sindaco ed il presidente della provincia sono tenuti a nominare la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi e gli statuti comunali e provinciali devo stabilire norme per âgarantireâ, e non più semplicemente âpromuovereâ, la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Nella legge sulla par condicio, viene infine sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nellâambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione
Una ulteriore misura volta a favorire la parità di genere nella politica è stata introdotta dalla legge di riforma del finanziamento della politica che prevede la decurtazione del 5% dei contributi per i partiti che presentano un numero di candidati del medesimo sesso superiore ai due terzi del totale. La disposizione si applica alle elezioni politiche, europee e regionali (art. 1, comma 7, L. 96/2012).
Per quanto riguarda la disciplina dei partiti, lâAssemblea della Camera, nellâambito della proposta di legge approvata definitivamente il 5 luglio 2012 (legge n. 96 del 2012), in materia di finanziamento dei partiti e movimenti politici ha introdotto un emendamento (em. 1.212, Amici ed altri), in base al quale i contributi pubblici spettanti a ciascun partito o movimento politico sono diminuiti del 5 per cento qualora il partito o il movimento politico abbia presentato nel complesso dei candidati ad esso riconducibili per l'elezione dell'assemblea di riferimento un numero di candidati del medesimo genere superiore ai due terzi del totale, con arrotondamento all'unità superiore.
Parallelamente, la Commissione affari costituzionali della Camera ha esaminato alcune proposte di legge finalizzate ad introdurre una disciplina organica dei partiti politici, in attuazione dellâarticolo 49 della Costituzione. Alcune di queste prevedono misure di riequilibrio della rappresentanza di genere negli organi dirigenti del partito; di particolare rilievo la previsione del limite della rappresentanza di ciascun genere fissato a due terzi (A.C. 244 e A.C. 506) o al 55% (A.C. 4194). Una proposta (A.C. 1722) reca anche lâobbligo di formare le liste di candidati per qualsiasi elezione in misura eguale di uomini e donne.
Infine, si segnala che diverse delle proposte di legge di riforma del sistema elettorale nazionale presentate in Parlamento nel corso della legislatura prevedono misure volte a promuovere le pari opportunità nellâaccesso alle cariche elettive. Alcune proposte hanno questo unico obiettivo e non intervengono a modificare altre parti della legge elettorale (A.C. 687 e A.C. 1410 alla Camera e A.S. 2, A.S. 17, A.S. 93, A.S. 104, A.S. 257 e A.S. 708 al Senato). Altre proposte prevedono misure di riequilibrio della rappresentanza nellâambito di interventi complessivi sul sistema elettorale.
Nel complesso, le proposte di legge in materia di riequilibrio di genere presentano soluzioni diverse in ordine allâambito di applicazione, al rapporto numerico tra i due sessi, allâordine di successione delle candidature e, infine, alle modalità sanzionatorie. Tali soluzioni possono essere così sintetizzate:
§ è previsto lâobbligo di rispettare una proporzione tra i due sessi nelle candidature: le liste devono presentare lo stesso numero di candidati uomini e di candidati donne; ovvero nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 o al 60% del totale dei candidati;
§ si interviene sullâordine di successione delle candidature, per rendere effettiva la parità di genere nellâofferta elettorale: le proposte che introducono la rappresentanza paritaria dei due sessi nelle candidature prevedono lâobbligo dellâalternanza dei due generi (un uomo, una donna, un uomo ecc.), mentre le proposte che scelgono una proporzione diversa (2/3, 60%) vietano la successione immediata di più di due candidati dello stesso sesso;
§ si prevedono sanzioni nel caso di mancata applicazione delle disposizioni in materia di parità: nella maggior parte dei casi, lâinammissibilità delle liste, oppure la nullità delle candidature, o la riduzione dei rimborsi elettorali.
Il testo unificato approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato nella seduta dell'11 ottobre 2012 prevede:
§ per le cc.dd. âliste bloccateâ lâobbligo di presentare i candidati successivi al primo in ordine alternato di genere, a pena di inammissibilità della lista;
§ per le liste di candidati da eleggere con il voto di preferenza, una quota di lista pari ad almeno un terzo per i candidati del sesso meno rappresentato, a pena di inammissibilità, e lâespressione del voto attraverso la cd. doppia preferenza di genere.
Un emendamento approvato successivamente ha peraltro sostituito alla doppia preferenza la cd. tripla preferenza di genere, riconoscendo allâelettore la possibilità di esprimere fino a tre preferenze; nel caso di espressione di più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza.
Il Parlamento ha approvato la legge n. 120/2011, che reca disposizioni in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati. La nuova legge è volta a superare il problema della scarsa presenza di donne negli organi di vertice delle società commerciali e, in particolare, nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. A tal fine è previsto un âdoppio binarioâ normativo: per le società non controllate da pubbliche amministrazioni, la disciplina in materia di equilibrio di genere è recata puntualmente dalle disposizioni di rango primario. Tali disposizioni si intendono applicabili anche alle società a controllo pubblico. In particolare, si dispone che lo statuto societario deve prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi, dovendo il genere meno rappresentato ottenere almeno un terzo degli amministratori eletti. Per un approfondimento, si rinvia al temaParità di accesso agli organi delle società quotate.
Lâattuazione del principio delle pari opportunità e delle parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione ed impiego è il tema del D.Lgs. 25 gennaio 2010, n. 5. Il decreto recepisce la direttiva 2006/54/CE che riunifica e sostituisce una serie di precedenti atti in materia di pari opportunità. Il provvedimento interviene innanzitutto con alcuni correttivi al codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs. 198/2006, precisando che esso è finalizzato allâadozione delle misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso che comprometta o impedisca il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo. Inoltre, la parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione, come anche in quello della formulazione e attuazione di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività.
In secondo luogo, viene ampliata la definizione di discriminazione, che riguarda anche ogni trattamento meno favorevole subito in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o di paternità, nonché in conseguenza del rifiuto di atti di molestie o di molestie sessuali, mentre il divieto di ogni forma di discriminazione viene esteso alle promozioni professionali. Ulteriori novelle al Codice riguardano il divieto di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari collettive, il concetto di vittimizzazione, la possibilità per i contratti collettivi di lavoro prevedere misure specifiche - ivi compresi codici di condotta, linee guida e buone prassi - per la prevenzione delle forme di discriminazione come le molestie e le molestie sessuali.
Il D.Lgs. 5/2010 interviene inoltre (articolo 2) sulle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 151/2001, nel senso di vietare qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole per lo stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dellâesercizio dei relativi diritti. Inoltre, le norme sul divieto di licenziamento delle lavoratrici nel periodo di gravidanza si applicano anche in caso di adozione e di affidamento.
Da ultimo, viene modificata la disciplina dei vari organi impegnati sul fronte delle pari opportunità. In particolare, è aumentato il numero dei componenti designati da alcune parti sociali e sono ampliati i compiti del Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, mentre si mantiene il mandato quadriennale con un rinnovo limitato a due volte delle consigliere e dei consiglieri di parità.
Infine, viene modificata la composizione della Commissione per le pari opportunità di cui al D.P.R. 115/2007 e quella del Comitato per l'imprenditoria femminile. Le funzioni di questi due organi, alla scadenza dei medesimi saranno peraltro defintivamente trasferite al Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio a seguito del riordino degli organi collegiali disposto dal decreto-legge sulla 'spending review' (articolo 12, comma 20, del D.L. 95/2012).
Per quanto riguarda il sostegno alla genitorialità, la legge di riforma del mercato del lavoro (L. 92/2012, art. 4, commi 24-26).
- ha introdotto per i padri lavoratori dipendenti un giorno di congedo di paternità obbligatorio e due giorni di congedo facoltativo, questi ultimi peraltro alternativi al congedo obbligatorio di maternità. Il congedo deve essere fruito entro i primi 5 mesi di vita del figlio o della figlia e dà diritto ad unâindennità pari al 100% della retribuzione;
- ha riconosciuto alla madre lavoratrice, per gli undici mesi successivi al congedo di maternità, la possibilità di fruire di voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting o di servizi per l'infanzia. Tale possibilità è peraltro riconosciuta nei limiti delle risorse stanziate ed in alternativa al congedo parentale.
Alla nuova disciplina è stata data attuazione con il D.M. 22 dicembre 2012.
In materia di congedi di maternità e congedi parentali è inoltre intervenuto alla fine del 2012 il cd. decreto âsalva-infrazioniâ (art. 3 D.L. n. 216/2012), il cui contenuto è successivamente confluito nella legge di stabilità 2013 (L. 228/2012, art. 1, commi 336-339).
Le nuove disposizioni:
- estendono alle pescatrici autonome della piccola pesca gli istituti dellâindennità di maternità e del congedo parentale previsti per le lavoratrici autonome;
- rimettono allacontrattazione collettiva la determinazione delle modalità di fruizione delcongedo parentale su base oraria;
- prevedono che il lavoratore e il datore di lavoro concordano, ove necessario, adeguate misure di ripresa dell'attività lavorativa al termine del periodo di congedo parentale.
Agli organismi di parità è infine attribuito il compito di scambiare le informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti.
In tema di conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, lâarticolo 38 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha modificato l'articolo 9 della legge 53/2000, che introduce la sperimentazione di azioni positive per la conciliazione. La norma, a carattere sperimentale, ha subìto nel tempo alcune modifiche per meglio rispondere ai bisogni di conciliazione emersi nel corso dell'attuazione. La modifica, da ultimo contenuta nel citato art. 38 ha ampliato la platea dei potenziali beneficiari ed aggiornato il novero degli interventi finanziabili, rendendo necessaria la stesura di un nuovo regolamento di attuazione, adottato con D.P.C.M. 23 dicembre 2010, n. 277.
Allâinizio del XVI legislatura, è stata abrogata, a pochi mesi dallâentrata in vigore, la legge n. 188/2007, volta a contrastare il fenomeno delle cd. âdimissioni in biancoâ, che prescriveva per le dimissioni la forma scritta, attraverso lâutilizzo di moduli prestampati o disponibili on line di data certa (art. 34, comma 10, lettera l), D.L. n. 112/2008).
Sul tema è nuovamente intervenuta la legge di riforma del mercato del lavoro, che ha introdotto una diversa disciplina. La nuova normativa subordina lâefficacia delle dimissioni ad una convalida in sede amministrativa o sindacale o, in alternativa, alla sottoscrizione di apposita dichiarazione del lavoratore o della lavoratrice in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (art. 4, commi 17-23, L. n. 92/2012).
La legge di riforma del mercato del lavoro inoltre ha esteso da 1 a 3 anni di vita del bambino (o di ingresso in famiglia del minore) il periodo di convalida obbligatoria, da parte del servizio ispettivo del ministero del lavoro, delle dimissioni della lavoratrice madre (art. 4, comma 16, L. n. 92/2012).
La legge 23 novembre 2012, n. 215, reca disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali
La novità più significativa è la modifica della legge per lâelezione dei consigli comunali con lâintroduzione di misure volte a rafforzare la presenza delle donne, ma di notevole rilievo sono anche gli interventi volti a consolidare la parità di genere nelle giunte e, più in generale, in tutti gli organi collegiali non elettivi di comuni e province.
Per lâelezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti la legge, riprendendo un modello già sperimentato dalla legge elettorale regionale della Campania, prevede una duplice misura volta ad assicurare il riequilibrio di genere:
In caso di violazione delle disposizioni sulla quota di lista, è peraltro previsto un meccanismo sanzionatorio differenziato, a seconda che la popolazione superi o meno i 15.000 abitanti, che di fatto rende la quota effettivamente vincolante solo nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
In particolare, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, riduce la lista, cancellando i candidati del genere più rappresentato, partendo dallâultimo, fino ad assicurare il rispetto della quota; la lista che, dopo le cancellazioni, contiene un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge è ricusata e, dunque, decade.
Nei comuni con popolazione compresa fra 5.000 e 15.000 abitanti, la Commissione elettorale, in caso di mancato rispetto della quota, procede anche in tal caso alla cancellazione dei candidati del genere sovrarappresentato partendo dallâultimo; la riduzione della lista non può però determinare un numero di candidati inferiore al minimo prescritto dalla legge. Lâimpossibilità di rispettare la quota non comporta dunque in questo caso la decadenza della lista.
Per tutti i comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti è comunque previsto che nelle liste dei candidati è assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi. Tale norma ha particolare rilievo per i comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti (ai quali, come visto, non si applica la quota di lista). Essa risulta però priva di sanzione esplicita: tra le verifiche che è chiamata a compiere la Commissione elettorale non viene infatti inserito alcun controllo sul rispetto di questa disposizione.
Le disposizioni esaminate per lâelezione dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 15.000 si applicano anche ai consigli circoscrizionali. La disciplina delle modalità di elezione dei consigli circoscrizionali è peraltro rimessa agli statuti comunali; saranno pertanto questi ultimi a dover intervenire, introducendo le necessarie modifiche.
Nel caso in cui lo statuto rinvii, ai fini dellâelezione del consiglio circoscrizionale, alle disposizioni per lâelezione del consiglio comunale, come ad esempio accade a Roma, la nuova normativa appare comunque immediatamente applicabile, senza necessità di modifiche.
La legge nulla dispone in ordine ai consigli provinciali, in quanto il sistema elettorale per questi organi, oramai divenuti di secondo grado (eletti dai consiglieri comunali), è ancora in via di definizione.
Per una valutazione circa lâefficacia delle nuove misure ai fini dellâaumento della rappresentanza femminile, qualche elemento può trarsi dalla situazione dei consigli regionali, in quanto diverse leggi elettorali regionali già prevedono quote di lista analoghe a quelle della nuova legge; la Campania inoltre ha già introdotto anche la doppia preferenza di genere.
Per elezioni regionali, le quote di lista contribuiscono notevolmente allâaumento del numero di donne candidate, ma hanno un impatto molto minore sul numero di donne elette.
Ben più rilevante è invece il meccanismo della doppia preferenza di genere: non è un caso che la Campania sia la regione con la maggior percentuale di donne elette (23%).
La nuova legge prevede inoltre che il sindaco nomina la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi. Uguale disposizione è inserita nellâordinamento di Roma capitale, per quanto riguarda la nomina della Giunta capitolina.
La disposizione si riferisce formalmente anche alla nomina della giunta provinciale, ma si ricorda che questâorgano risulta in via di soppressione.
La norma si inserisce in un nutrito filone di giurisprudenza amministrativa che ha più volte annullato le delibere di nomina delle giunte che non rispettavano i principi in materia di parità di genere previsti dai rispettivi statuti.
I giudici amministrativi hanno inoltre riconosciuto il carattere vincolante e non meramente programmatico dei principi di parità di accesso agli uffici pubblici e di pari opportunità sanciti dallâart. 51, primo comma, Cost. e riconosciuti a livello legislativo, dichiarando lâillegittimità delle giunte composte da soli uomini anche in assenza di una specifica disposizione statutaria al riguardo (cfr., fra le altre Tar Sicilia, Palermo, sentenza 15 dicembre 2010, n. 14310; Tar Calabria, Reggio di Calabria, sentenza 27 settembre 2012, n. 589).
Un sentenza del TAR Lazio, fra le prime ad applicare la nuova legge, si è spinta oltre e, dopo aver ribadito il carattere vincolante ed immediatamente precettivo dei principi costituzionali di uguaglianza e di parità di accesso agli uffici pubblici, ha rilevato che âlâeffettività della parità non può che essere individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla pari rappresentanza dei generi, da indicarsi dunque nel 40 per cento di persone del sesso sotto-rappresentato.â La sentenza ha dunque annullato la delibera di nomina di una giunta comunale, che vedeva la presenza, oltre al sindaco, di una sola donna su sette assessori, pur in assenza di norme dello statuto sulle pari opportunità nella composizione degli organi politici (Tar Lazio, sentenza 21 gennaio 2013, n. 633).
La legge modifica inoltre la norma del testo unico degli enti locali (TUEL) che disciplina il contenuto degli statuti comunali e provinciali con riferimento alle pari opportunità.
In particolare, è previsto che gli statuti stabiliscono norme per âgarantireâ, e non più semplicemente âpromuovereâ (come nel testo previgente), la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri statuti e regolamenti alle nuove disposizioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Per le elezioni regionali è introdotto il principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.
In realtà il principio già esiste a livello costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost.), ma, trattandosi di una materia rimessa alle regioni, alla legge statale è consentito intervenire solo per le determinazione dei principi fondamentali.
Nella legge sulla parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica (cd. legge sulla par condicio), viene inoltre sancito il principio secondo cui i mezzi di informazione, nellâambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di pari opportunità tra donne e uomini sanciti dalla Costituzione.
La nuova legge introduce infine una disposizione volta a consentire, in caso di violazione della norma del codice delle pari opportunità che riserva alla donne un terzo dei posti nelle commissioni di concorso, lâintervento delle consigliere di parità, anche con ricorso in via dâurgenza al giudice.
Nella XVI legislatura, le iniziative legislative volte alla tutela delle minoranze linguistiche, attraverso la ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, e all'istituzione di una Commissione di inchiesta sulla condizione delle donne e dei minori rom non sono riuscite a completare l'iter parlamentare.
Come già accaduto nelle precedenti due legislature, nella XVI legislatura non è giunto a compimento lâiter di approvazione dei progetti di legge di ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, redatta in seno al Consiglio d'Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992. La Carta è volta alla protezione e alla promozione delle lingue regionali e minoritarie storicamente radicate: essa riflette, da un lato, la preoccupazione di mantenere e sviluppare le tradizioni e il patrimonio culturale dell'Europa, dall'altro, di assicurare il rispetto del diritto universalmente riconosciuto e irrinunciabile di utilizzare una lingua regionale o minoritaria tanto nella vita privata che in quella pubblica.
La Commissione esteri della Camera ha in proposito iniziato, il 20 dicembre 2011, lâesame di due proposte di legge di iniziativa parlamentare (A.C. 38 e A.C. 265), cui è stato successivamente abbinato un disegno di legge governativo (A.C. 5118), adottato come testo base. Lâiter in sede referente non si è tuttavia concluso prima della fine della legislatura.
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha altresì avviato lâesame di un proposta di legge volta ad assicurare una tutela alla minoranza linguistica ladina della provincia di Belluno, riprendendo le tutele di cui godono i ladini delle province autonome di Trento e Bolzano (A.C. 24). Anche in tal caso lâiter in sede referente non si è concluso prima della fine della legislatura.
La Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato, nel dicembre 2008, una proposta di legge recate lâistituzione di una Commissione parlamentare dâinchiesta sulla condizione delle donne e dei minori nelle comunità rom (A.C. 1052). Lâiter in sede referente non si è concluso.
La proposta di legge attribuiva alla Commissione il compito di svolgere indagini sul rispetto dei diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e dalla legislazione vigente allâinterno delle comunità nomadi presenti in Italia e sulle loro violazioni.