Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari esteri
Titolo: La missione ISAF in Afghanistan - Approfondimenti sull'evoluzione della situazione in Afghanistan e Pakistan e sulle possibili opzioni politiche per la Comunità internazionale
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 187
Data: 17/01/2011
Descrittori:
AFGHANISTAN   DIFESA E SICUREZZA INTERNAZIONALE
MISSIONI INTERNAZIONALI DI PACE   ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI MILITARI
PAKISTAN     
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La missione ISAF in Afghanistan

 

Approfondimenti sull’evoluzione della situazione in Afghanistan e Pakistan e sulle possibili opzioni politiche per la Comunità internazionale

 

 

 

 

 

n. 187

 

 

 

17 gennaio2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Coordinamento per l’analisi di politica estera nell’ambito dell’Osservatorio di politica internazionale

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: es0621.doc

 

 

 


INDICE

 

Abstract1

Guida alla lettura

1.      Dati ed analisi5

2.      Interpretazioni e opzioni politiche  11

Documentazione ufficiale

Report of the Secretary-General on the situation in Afghanistan, 10 December 2010  21

Dati statistici

Afghanistan Index  41

Pakistan Index  55

Interpretazioni ed opinioni

3.      Independent Task Force Report No. 65 - Richard L. Armitage and Samuel R. Berger, Chairs, Daniel S. Markey, Project Director - U.S. Strategy for Pakistan and Afghanistan – novembre 2010  65

4.      International Institute for Strategic Studies Strategic Survey 2010 - The Annual Review of World Affairs’, (stralcio del Capitolo 10 ‘Prospetives’)65

5.      International Crisis Group ‘Afghanistan: Exit vs Engagement’, Asia Briefing n. 115, Kabul/Brussels, 28 novembre 2010  65

 


SIWEB

Abstract

Il presente dossier è predisposto in occasione dell’esame da parte della Camera del disegno di legge C. 3996 di conversione del decreto-legge n. 228 del 2010 recante proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali.

Il dossier intende fornire elementi di valutazione e di interpretazione sull’andamento della missione ISAF in Afghanistan e sulla situazione in Afghanistan e Pakistan. A tal fine, nella sezione “documentazione ufficiale”, è riprodotto il rapporto del Segretario generale dell’ONU del 10 dicembre 2010 sulla “situazione in Afghanistan e sulle sue implicazioni per la pace internazionale e la sicurezza”. Nella sezione dati statistici sono poi riportati due estratti degli ultimi due aggiornamenti dell’Afghanistan Index e del Pakistan Index della Brookings Institution, che raccolgono statistiche di diversa natura e diversa fonte sulla situazione afghana e su quella pakistana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico, sociale ed economico. Infine, nella sezione interpretazioni ed opinioni sono inserite valutazioni differenziate e di diverso orientamento sia con riferimento all’interpretazione dell’evoluzione della situazione in Afghanistan e Pakistan sia con riferimento alle possibili opzioni politiche da adottare al riguardo da parte della comunità internazionale. In particolare, si è ritenuto di interesse l’inserimento di un ampio estratto del rapporto della Task Force indipendente del Council on Foreign Relations su “U.S. Strategy for Pakistan and Afghanistan” del novembre 2010. A fianco di questo, si è ritenuto di inserire, per offrire due prospettive diverse, due contributi più brevi: il rapporto Afghanistan: Exit vs. Engagement, dell’International Crisis Group di Bruxelles, e un estratto delle conclusioni dello Strategic Survey dell’International Institute for Strategic Studies di Londra.

Le tre sezioni sono precedute dal capitolo “Guida alla lettura” che riporta una sintesi in italiano del contenuto del materiale riprodotto nelle stesse.

In linea generale, si può qui anticipare che tutti i dati e le analisi riportate nel dossier, concordano, pur con diversi accenti, in una valutazione di incertezza sull’andamento della strategia controinsurrezionale in Afghanistan. Rispetto ad una simile situazione, vengono delineate tre diverse possibili opzioni politiche:

-            la prosecuzione della strategia controinsurrezionale, integrata però con un insieme di misure per promuovere un processo di riforme politiche e la riconciliazione nazionale in Afghanistan, nonché un maggior coinvolgimento del Pakistan nel contrasto alle forze terroristiche e dell’insorgenza afghana;

-            l’abbandono della strategia controinsurrezionale a vantaggio di una “strategia antiterrorismo” fondata sul contenimento e la deterrenza, attraverso misure politiche e militari (quali i raid aerei mirati già posti in essere), delle attività terroristiche di Al Qa’ida sul confine afghano-pakistano;

-            un nuovo comprehensive approachche rinunci, in questa fase, alla predeterminazione di un calendario per il ritiro, a vantaggio di un più consistente impegno nelle attività di institution building in Afghanistan

Per la genesi e le caratteristiche generali della missione ISAF si rinvia al quaderno del Servizio studi Nuovi profili della partecipazione italiana alle missioni militari internazionali (24 giugno 2010). Si ricordano inoltre, sul medesimo argomento i seguenti recenti prodotti del Servizio studi e dell’Osservatorio di politica internazionale:

Servizio studi, La missione ISAF in Afghanistan, Estratto con aggiornamenti dal quaderno “Nuovi profili della partecipazione italiana alle missioni militari internazionali” (12 ottobre 2010);

Id., La missione ISAF in Afghanistan. Focus e approfondimenti (16 novembre 2010);

Id., Mappa dei conflitti e delle crisi internazionali, gennaio-novembre 2010 (23 novembre 2010);

Id., La Review sulla strategia USA in Afghanistan, (21 dicembre 2010);

Osservatorio di politica internazionale, Afghanistan tra surge e riconciliazione, a cura del CeSI (ottobre 2010).

 


Guida alla lettura

 


 

Dati ed analisi

 

L’andamento della operazioni ISAF in Afghanistan è stato da ultimo oggetto della Reviewoperata dall’amministrazione Obama, i cui risultati sono stati resi noti il 16 dicembre 2010. In particolare, l’amministrazione USA ha evidenziato il conseguimento di progressi nel contesto afghano-pakistano, che tuttavia risultano fragili e reversibili, invocando la necessità di un maggiore coinvolgimento del Pakistan nella vigilanza delle frontiere e di ulteriori sforzi del governo afghano nel contrasto alla corruzione e nel miglioramento delle capacità di governo. La Reviewha inoltre confermato l’avvio nel luglio 2011 di una riduzione delle truppe USA “responsabile e basata sulle condizioni” sul terreno, nell’ottica di un passaggio di consegne delle responsabilità della sicurezza alle forze afgane. Viene inoltre ricordata la strategia delineata dal vertice di Lisbona della NATO dello scorso novembre con riferimento al completamento della fase di transizione nel passaggio della responsabilità della sicurezza alle forze afgane nel 2014 (fermo restando l’impegno, anche per il periodo successivo, ad un sostegno USA e NATO allo sviluppo e alla sicurezza dell’Afghanistan).

 

Con riferimento a tale aspetto, si rinvia al dossier del Servizio studi La reviewsulla strategia USA in Afghanistan (Documentazione e Ricerche n. 182, 21 dicembre 2010).

 

Il Rapporto ONU

 
Rispetto alle considerazioni svolte dall’amministrazione USA, un’ulteriore ricognizione degli sviluppi della situazione in Afghanistan è contenuta nel nuovo rapporto del Segretario generale dell’ONU all’Assemblea generale e al Consiglio di sicurezza del 10 dicembre 2010.

 

Da ultimo, con la risoluzione 64/11 dell’Assemblea generale dell’ONU del 20 gennaio 2010, la periodicità dei rapporti del Segretario generale dell’ONU sulla situazione in Afghanistan è divenuta trimestrale. La risoluzione 1917(2010) del 22 marzo 2010, del Consiglio di sicurezza dell’ONU ha inoltre stabilito che trimestralmente il rapporto sia sottoposto anche al medesimo Consiglio.

 

Il rapporto immediatamente precedente del 14 settembre 2010 è riprodotto in Servizio Studi, La missione ISAF in Afghanistan. Focus e approfondimenti, (Documentazione e ricerche n. 173, 16 novembre 2010).

 

Tra gli altri, il rapporto evidenzia i seguenti aspetti della situazione in Afghanistan:

 

Sulla situazione politica:

 

-              l’ONU esprime apprezzamento per l’operato della Commissione elettorale indipendente che ha vigilato sulle elezioni parlamentari dello scorso 18 settembre: in particolare viene ricordato il lavoro compiuto per l’esame dei ricorsi successivi alle elezioni: sono stati esaminati 5.860 ricorsi, 2.724 dei quali di seria natura, vale a dire tali da porre in dubbio specifici risultati elettorali. A seguito dell’esame dei ricorsi, sono stati dichiarati ineleggibili 27 candidati; insieme ai candidati dichiarati ineleggibili precedentemente alle elezioni, le candidature dichiarate illegittime dalla Commissione ammontano complessivamente a 118. La Commissione ha anche invalidato il voto di 334 seggi in 22 province. Peraltro, dei 6835 seggi previsti, 938 sono stati dichiarati inagibili, per ragioni di sicurezza, già prima del voto, mentre 397 seggi non si sono comunque aperti o hanno chiuso prima del previsto sia per motivi di sicurezza sia per difficoltà nella consegna del materiale elettorale. Nel complesso i voti validi sono risultati quindi 4.271.908 (su un totale di aventi diritto di circa 12 milioni). Il rapporto rileva quindi che, come si evince anche da questi dati ed a dispetto degli sforzi della commissione elettorale indipendente, il voto è stato caratterizzato da diffuse frodi e irregolarità.

-              Il rapporto evidenzia come i risultati elettorali abbiano determinato un significativo cambiamento nella composizione etnica dell’Assemblea nazionale afghana (Wolesi Jirga). In particolare, il numero di seggi detenuto da Pashtun è diminuito di oltre 20 unità. Tale circostanza sarebbe attribuibile, secondo il rapporto, alla maggiore insicurezza delle regioni del Sud e dell’Est dell’Afghanistan (dove i pashtun sono concentrati) che ha determinato l’impossibilità di aprire molti seggi e un minore afflusso alle urne in quelle zone

 

Si ricorda che i Pashtun sono il gruppo etnico prevalente in Afghanistan, rappresentando circa il 42 per cento (12,5 milioni di persone) della popolazione totale, concentrato principalmente nel Sud e nell’Est del paese. La maggior parte dei pashtun risiede però in Pakistan, dove rappresentano il 15 per cento della popolazione. I Pashtun sono divisi al loro interno in circa 60 tribù, le più importanti delle quali, spesso in contrapposizione tra loro, sono la tribù Durrani e quella Ghilzai. A loro volta la tribù Durrani ha tre clan principali, Achalzai, Barakzai e Popalzai, mentre i Ghilzai hanno due clan, gli HOtak e Taraki.  I Pashtun Durrani, e in particolare il clan Popalzai, hanno rappresentato l’élite dominante in Afghanistan fino alla caduta della monarchia nel 1973 e all’invasione dell’URSS nel 1979; la stessa affermazione dei talebani, in grande maggioranza pashtun, negli anni Novanta è stata favorita dal risentimento dei pashtunrispetto agli altri gruppi etnici minoritari come Tagiki ed Uzbeki maturato negli anni successivi alla fine dell’occupazione sovietica. Anche a seguito del crollo del regime talebano, nel novembre 2001, il peso ritenuto eccessivo nei nuovi assetti afghani dell’Alleanza del Nord, composta da Tagiki ed Uzbeki ha favorito la diffusione dell’insorgenza talebana. Merita però ricordare che il presidente Hamid Karzai è anch’egli un esponente Pashtun. Egli è in particolare un Durrani, del clan Popalzai (mentre ad esempio il Mullah Omar, leader storico dei talebani è un Ghilzai)[1].

 

-              Il rapporto sottolinea l’importanza dell’avvio dei lavori, lo scorso 7 ottobre, dell’Alto consiglio per la pace, istituito dalla Jirga consultiva per la pace convocata dal presidente Karzai dal 2 al 4 giugno 2010. L’Alto consiglio per la pace è composto da 70 rappresentanti (10 dei quali donne) dei principali gruppi territoriali, etnici, religiosi e politici dell’Afghanistan; 12 componenti sono stati in passato esponenti del regime talebano. A presiedere il consiglio è stato chiamato Burhanuddin Rabbani, già presidente dell’Afghanistan negli anni Novanta; vicepresidenti sono stati eletti Abdul Hakim Mujahid, già esponente del regime talebano, Mawlavi Attaullah Lodin, esponente del movimento Hezb-e Islami di Gulbuddin Hekmatyar, ex-primo ministro e esponente dell’insorgenza contro la missione ISAF[2], e Asadullah Wafa, consigliere di Karzai. Il 20 ottobre il consiglio ha invitato tutte le parti in conflitto ad abbandonare la violenza e a partecipare a negoziati. Il rapporto sottolinea le risposte negative fin qui giunte dagli esponenti talebani alle offerte avanzate, pur riportando le notizie di stampa che, nel corso dell’autunno, hanno segnalato la verifica di incontri tra esponenti del governo e dell’opposizione armata.

 

Molteplici analisi svolte sull’avvio dei primi contatti tra insorgenza talebana e governo afghano hanno segnalato come risulti cruciale, al riguardo, l’atteggiamento che assumerà il Pakistan. Secondo questi interpreti (e come emerge chiaramente anche dalle valutazioni contenute nella documentazione riprodotta nel presente dossier), il Pakistan ha un tradizionale interesse strategico ad una propria zona di influenza in Afghanistan, per impedire che questi cada invece sotto l’influenza dello storico avversario del Pakistan, l’India. A questo riguardo, sono stati ripetutamente ipotizzati contatti tra i servizi segreti pakistani, l’ISI, e componenti significative dell’insorgenza in Afghanistan nell’ottica di un “utilizzo”, in una qualche misura, dell’insorgenza da parte del Pakistan al fine di tutelare i propri interessi in Afghanistan (secondo queste analisi, l’insorgenza afgana avrebbe, al pari di Al Qa’ida, “santuari” e rifugi significativi nelle aree tribali ad amministrazione federale e nella provincia nord-occidentale del Pakistan al confine con l’Afghanistan, oltre che nella città di Quetta, indicata come sede di una sorta di “governo in esilio” talebano, la Shura di Quetta). Ne consegue che qualsiasi trattativa tra governo afghano ed esponenti dell’insorgenza che prescinda dalla considerazione degli interessi strategici del Pakistan appare, allo stato, di esito incerto. Come evidenziato anche in precedenti dossier[3], emblematica, al riguardo, appare la vicenda che ha riguardato nel corso del 2010 l’alto esponente talebano Mullah Baradar, componente della Shura di Quetta, ritenuto favorevole al dialogo con il governo Karzai (peraltro Baradar è un Pashtun Durrani appartenente allo stesso clan del presidente, i Popalzai). Il suo arresto da parte delle forze armate pachistane ad inizio anno è stato interpretato come un segnale dell’orientamento pachistano ad ostacolare i tentativi di dialogo tra governo Karzai e insorgenza, mentre il suo rilascio, avvenuto in settembre, potrebbe indicare un mutamento di atteggiamento del Pakistan al riguardo (che, peraltro, potrebbe essere confermato anche dalle recenti positive relazioni diplomatiche tra Afghanistan e Pakistan registrate anche dal rapporto ONU cfr. infra)

 

-              Il rapporto indica poi come diversi gruppi armati abbiano accettato, negli ultimi mesi, il disarmo e la reintegrazione nella vita civile prospettata dal governo afghano e dalla comunità internazionale; quantificando le persone coinvolte in tale processo in oltre 800. Il processo avrebbe interessato in particolare le province di Badghis, Faryab, Herat e Kunduz;

 

In proposito, merita rilevare come le province richiamate siano però collocate nelle regioni occidentali e settentrionali dell’Afghanistan, tradizionalmente meno coinvolte nell’insorgenza (anche se, da ultimo, lo stesso rapporto ONU[4] e alcune fonti[5] indicano una penetrazione di insorti provenienti dal Sud, e quindi un deterioramento nelle condizioni della sicurezza, nelle regioni settentrionali e nord-orientali). Le province di Herat e Badghis appartengono al Regional Command occidentale[6] affidato alla responsabilità italiana (la provincia di Herat è sotto il diretto controllo italiano, quella di Badghis è sotto controllo spagnolo), mentre quelle di Kunduz e Faryab sono nel Regional Command settentrionale a responsabilità tedesca (la provincia di Kunduz è sotto il diretto controllo tedesco, quella di Faryab sotto il controllo norvegese).

 

-              Il rapporto sottolinea anche i recenti sviluppi nelle relazioni diplomatiche tra Afghanistan e Pakistan, richiamando la visita del presidente afghano Karzai in Pakistan del 15 e 16 settembre 2010 e la ratifica da parte del Pakistan del recente accordo commerciale tra i due paesi.

 

Per la centralità del Pakistan nell’evoluzione della situazione in Afghanistan si rinvia alle considerazioni sopra svolte, oltre che alle più ampie valutazioni riportate nella documentazione riprodotta.

 

-              Nelle sue osservazioni conclusive il rapporto evidenzia l’opportunità di proseguire ed incentivare ulteriormente il processo in corso di transizione verso una piena assunzione del controllo e della conduzione del Paese da parte del governo afghano; al tempo stesso si afferma che in tale processo di transizione, sia il governo afghano sia la comunità internazionale dovranno essere guidati dalla realtà degli sviluppi sul terreno piuttosto che dai calendari prefissati.

 

Sulla situazione della sicurezza:

 

-              Il rapporto indica come le operazioni militari ISAF si stiano attualmente concentrando nelle regioni meridionali, nella provincia di Helmand e intorno alla città di Kandahar.

 

In tali regioni, dopo l’operazione Moshtarak, che ha interessato il distretto di Marjah, nel febbraio-marzo 2010, l’operazione Dragon Strike, concentrata nei territori circostanti Kandahar, ha preso avvio nel settembre 2010.

 

-              Allo stesso tempo viene rilevato come gli elementi dell’insorgenza mantengano alti livelli di attività in particolare nelle zone settentrionali e nord-orientali del Paese, dove il loro grado di penetrazione è di recente notevolmente aumentato e dove, per contro, la presenza internazionale è minore.

-              Il rapporto registra un numero di scontri nei primi dieci mesi del 2010 aumentato di circa il 66 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009.

 

Con riferimento in particolare agli attacchi avvenuti in coincidenza con le elezioni legislative dello scorso settembre, il rapporto evidenzia come questi siano stati superiori ma meno intensi rispetto a quanto registrato in passato in simili occasioni.

 

-              Il numero di vittime civili (comprendenti sia morti che feriti) risulta aumentato del 20 per cento in confronto con lo stesso periodo del 2009: risultano documentate 6.215 vittime civili (2.412 morti e 3.803 feriti); gli elementi antigovernativi vengono indicati come responsabili di 4.738 vittime (il 76 per cento del totale), mentre le vittime riconducibili alle forze governative e della coalizione internazionale risultano 742 vittime (il 12 per cento del totale). Le vittime civili attribuibili alle forze antigovernative risultano aumentate del 25 per cento rispetto al 2009, mentre quelle attribuibili alle forze governative e della missione ISAF risultano diminuite del 18 per cento (la principale causa di vittime civili attribuibili alla coalizione internazionale e alle forze progovernative continuano a derivare da attacchi aerei)

 

L’Afghani-stan Index

e il Pakistan Index

 
Sugli aspetti della sicurezza in Afghanistan si sofferma anche l’Afghanistan Index della Brookings Institution.

In particolare, rispetto a dati anteriori del medesimo Afghanistan Index (e ripresi a loro volta da fonti ISAF) riportati anche in precedenti dossier (che, pur evidenziando una ripresa degli attacchi dell’insorgenza con la fine della stagione invernale, apparivano delineare un trend non superiore ai picchi dello scorso anno), si deve registrare, in coerenza con quanto rilevato dal segretario generale dell’ONU, un numero di attacchi, nell’estate 2010, decisamente superiore a quelli del 2009. Infatti, rispetto al picco di attacchi registrato nella terza settimana di agosto 2009 (oltre 900), dalla quarta settimana di giugno alla fine di agosto 2010 gli attacchi settimanali si sono mantenuti pressoché costantemente oltre i 1100, per poi registrare un picco di oltre 1600 nella seconda settimana di settembre.

 

Al riguardo, si deve ricordare che le statistiche ISAF riprese dall’Afghanistan Index prendono in esame una vasta tipologia di attacchi: ordigni improvvisati (IED), mine (in entrambi i casi vengono prese in considerazione sia le esplosioni effettive sia il rinvenimento di ordigni); gli attacchi di “fuoco diretto” (agguati di vario tipo, granate, attacchi con piccole armi), quelli di “fuoco indiretto” (lanci di mortaio e di artiglieria) e le risposte da terra agli attacchi aerei. In questo contesto, merita rilevare che, come già avvenuto lo scorso anno in occasione delle elezioni presidenziali, il picco degli attacchi registrato nel mese di settembre appare coincidere con lo svolgimento delle elezioni legislative. In proposito, merita riprendere le considerazioni svolte nel rapporto ONU, già sopra richiamate, che evidenziano come gli attacchi, pur superiori a quanto avvenuto in passato, siano risultati di minore intensità. Questo dato appare coerente con le statistiche ISAF riprese dall’Afghanistan Index che evidenziano come la maggior parte degli attacchi appaiono quelli di “fuoco diretto”, tipologia all’interno della quale sono compresi anche gli attacchi con armi piccole. Alcune fonti collegano poi l’aumento degli attacchi registrato in estate all’espansione della presenza militare della coalizione sul terreno e al mantenimento di una forte pressione militare sull’insorgenza in conseguenza del surge[7]

 

La maggiore presenza della coalizione sul terreno può essere ritenuta anche all’origine dell’aumento registrato dall’Afghanistan Index (su fonte del Dipartimento della Difesa USA) delle vittime della coalizione internazionale: nel giugno 2010 queste appaiono aver superato le 100 unità; mentre nel mese di luglio sono state oltre 80; in entrambi i casi si tratterebbe di un dato mai raggiunto in passato (il picco precedente, nel luglio 2009 era stato di oltre 70 vittime).

 

Per le vittime civili, l’Afghanistan Index riprende i dati ONU (il cui ultimo aggiornamento fa però qui riferimento solo ai primi sei mesi del 2010 e non ai primi dieci mesi esaminati nel rapporto del Segretario generale ONU riprodotto nel presente dossier e già sopra esaminato). Utilizzando poi una fonte del Dipartimento della difesa USA, l’Afghanistan Index riporta una stima delle vittime civili su base mensile che evidenzia, per l’ultimo mese considerato, maggio 2010, un dato di circa 110 vittime civili, ben al di sotto del picco di circa 240 vittime civili registrato nell’ottobre 2009 (anche in quella occasione in vista del secondo turno delle elezioni presidenziali, previsto per il 7 novembre e poi non svoltosi per il ritiro dello sfidante di Karzai, Abdullah Abdullah), ma decisamente superiore a quello di 50 vittime registrato nel maggio 2009.

 

Con riferimento alla situazione pakistana che, come già sopra evidenziato, è strettamente collegata a quella afgana, elementi interessanti sono contenuti nel Pakistan Index, sempre redatto dalla Brookings Institution.

In particolare, risulta significativo (fonte: The Long War Journal), il notevole aumento, nel 2010, degli attacchi effettuati con droni dagli USA nelle regioni pachistane al confine con l’Afghanistan, che rafforza la tendenza degli ultimi anni: dai 5 attacchi del 2007 si è passati ai 35 attacchi del 2008, ai 53 del 2009 e ai 106 del 2010 (dato aggiornato al 28 dicembre 2010). Dei 106 attacchi quantificati nel 2010, la quasi totalità, 103, sono localizzati nella regione del Nord Waziristan.

 

In proposito si ricorda come, in base alle informazioni fin qui disponibili, il Pakistan non risulti aver svolto azioni di contrasto al terrorismo nell’area del Nord Waziristan, pure indicata dagli USA come “santuario” di Al Qa’ida e “retroterra” dell’insorgenza afghana[8].

 

Interpretazioni e opzioni politiche

 

Al fine di collocare i dati fin qui richiamati in un quadro interpretativo complessivo degli sviluppi della situazione in Afghanistan e Pakistan, nonché nell’ottica dell’illustrazione delle principali opzioni politiche attualmente disponibili per la Comunità internazionale, importanti elementi di valutazione sono contenuti nel rapporto della Task Force indipendente del Think Tank USA Council on Foreign Relations, U.S. Strategy for Pakistan and Afghanistan, del novembre 2010, del quale nel presente dossier sono riportati i capitoli An assessment of U.S. Strategy and Policy; Policy Options and Recommendations: Pakistan; Policy Options and Recommendations: Afghanistan.

 Per una diversa interpretazione della situazione il presente dossier riporta anche il più breve report dell’International Crisis Group di Bruxelles, Afghanistan: Exit vs. Engagement, del 28 novembre 2010, nonché un breve estratto delle conclusioni dello Strategic Survey 2010 dell’International Institute for Strategic Studies di Londra, del giugno 2010).

 

Il Council on Foreign Relationsè un centro di ricerca indipendente USA fondato nel 1921 per approfondire la conoscenza nell’opinione pubblica e nei decisori politici statunitensi della politica estera; il Council organizza anche specifiche Task Force indipendenti e bipartisan per approfondire temi di attualità e di importanza per la politica estera USA. La Task Force che ha redatto il rapporto U.S. Strategy for Pakistan and Afghanistan è stata presieduta da Richard Armitage già vice segretario di Stato nell’amministrazione di G. W. Bush dal 2001 al 2005 e da Samuel Berger, già vice consigliere per la sicurezza nazionale nell’amministazione Clinton dal 1993 al 1997.

L’International Crisis Group è un’organizzazione non governativa indipendente ed internazionale fondata nel 1995 e specializzata nello studio della prevenzione e gestione dei conflitti. Essa è attualmente presieduta da Louise Arbour, già procuratore capo del Tribunale internazionale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia e nel Ruanda e Commissario ONU per i diritti umani; da Thomas Pickering, già ambasciatore USA all’ONU durante l’amministrazione di George Bush senior e vicesegretario di Stato durante la seconda amministrazione Clinton e da Chris Patten, esponente Tory britannicoe già commissario UE alle relazioni esterne dal 1999 al 2004.

L’International Institute for Strategic Studies è un centro di ricerca indipendente britannico fondato nel 1958 e specializzato nel fornire informazioni oggettive sugli sviluppi politici e militari dei conflitti aventi una rilevante dimensione militare.

 

Sia per quel che riguarda l’interpretazione delle tendenze in atto, sia per quel che concerne le possibili opzioni politiche, tutti i contributi qui riportati, in coerenza con gli orientamenti dell’amministrazione Obama e della Comunità internazionale, descrivono quello dell’Afghanistan e del Pakistan come un unico contesto di crisi.

 

Le interpre-tazioni

 
In questa ottica, in particolare, il rapportodel Council on Foreign Relations evidenzia che:

 

Il Rapporto del Council on Foreign Relations

 
Con riferimento all’Afghanistan:

 

-              Il surgeposto in essere dall’amministrazione Obama in Afghanistan (ed in particolare nelle regioni meridionali) ha dato fin qui risultati ambivalenti; il rapporto ricorda che l’operazione avviata nella zona di Marjah nel febbraio- marzo 2010 ha visto, dopo l’iniziale cacciata delle forze dell’insorgenza talebana, un ritorno ad un grado di violenze ad opera dell’insorgenza diffuso; diversa la situazione verificatasi nel vicino distretto di Nawa dove invece l’attività controinsurrezionale appare aver dato buoni frutti, riuscendo ad impedire il ritorno dell’insorgenza dopo la conclusione delle operazioni militari

-              Per quel che concerne l’operazione in corso nella regione di Kandahar, il rapporto ne evidenzia le molteplici difficoltà e segnala che la diffidenza della popolazione locale e gli assassini mirati posti in essere dai talebani per evitare lo sviluppo di forme di collaborazione tra forze ISAF e popolazione avrebbero fin qui spinto i comandi ISAF ad evitare attività all’interno della città per concentrarsi sui distretti circostanti.

-              L’ulteriore sviluppo di un’autonoma capacità di difesa da parte delle forze armate e delle forze di polizia afghane potrebbe risultare frenato dalla mancanza di addestratori specializzati; al riguardo il rapporto ritiene probabili per gli USA, difficoltà di finanziamento di simili attività da parte del Congresso (anche a seguito, evidentemente, dei risultati delle elezioni di Mid-Term dello scorso novembre).

 

In proposito si ricorda, con riferimento all’Italia, che, nel corso dell’audizione di fronte alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato dello scorso 17 novembre, il Ministro della difesa ha comunicato la richiesta NATO e USA di aumentare gli addestratori presenti nel contingente italiano e rilevato di aver dato parere positivo al Presidente del Consiglio per l’invio di ulteriori 200 addestratori in Afghanistan, ritenendo così possibile che “nel corso dell’anno [2010] il tetto dei 4 mila uomini schierati in Afghanistan possa salire a 4 mila 200 uomini” (la relazione tecnica all’ultimo decreto legge di proroga del finanziamento delle missioni, il DL n. 228 del 2010, indica un contingente complessivo per le missioni ISAF e Eupol Afghanistan di 4.350 unità[9]).

 

-              Dal punto di vista politico, il rapporto evidenzia come il sistema istituzionale afghano risulti debole in primo luogo per la debolezza del Parlamento e del sistema dei partiti e per lo squilibrio dei poteri a favore del presidente rispetto al Parlamento, nonché con riferimento al controllo dei governatori locali che sono di diretta nomina presidenziale;

-              il rapporto esprime anche scetticismo sul processo di riconciliazione nazionale per come è stato avviato dal presidente Karzai, che appare più volto a trovare nuove basi di consenso[10] per la sua presidenza, in particolare tra le componenti Pashtun attualmente coinvolte nell’insurrezione, che ad un effettivo coinvolgimento delle diverse forze afghane. In tal modo il processo è visto con sospetto da attori regionali come l’India, pure in passato sostenitrice di Karzai.

 

Con riferimento al Pakistan:

 

-              Il Pakistan, secondo il rapporto, appare mantenere legami con alcune organizzazioni coinvolte nell’insorgenza talebana e la sua attività controinsurrezionale, pure intensificatasi negli ultimi anni, è apparsa rivolgersi principalmente contro le organizzazioni terroristiche che promuovono l’instaurazione di un regime di tipo talebano in Pakistan, come Tehrik-e-Taliban. Al contrario non si registrerebbero attività contro gruppi coinvolti nell’insorgenza talebana come l’Haqqani Network e contro il movimento Lashkar-e-Tayyba, originariamente attivo nel Kashmir e ritenuto responsabile degli attacchi terroristici a Mumbai del novembre 2008. Il rapporto sottolinea in particolare la crescente pericolosità di Lashkar-e-Tayyba, che potrebbe in un prossimo futuro minacciare direttamente interessi occidentali e contendere ad Al Qa’ida il primato di organizzazione terroristica mondiale più pericolosa;

-              Il dialogo strategico avviato dagli USA con il Pakistan nel marzo 2010, ricorda il rapporto, ha fatto emergere un contenzioso legato allo status di potenza nucleare “non riconosciuta” del Pakistan. Il Pakistan ha infatti richiesto agli USA la stipula di un accordo sulla cooperazione nel nucleare civile simile a quello tra USA e India del 2005 (come è noto, l’India, rivale storico del Pakistan, è un’altra potenza nucleare “non riconosciuta”); al momento gli USA hanno rigettato la richiesta e proseguito in una limitata cooperazione nel mantenimento della sicurezza dell’arsenale nucleare pakistano, che risulta effettivamente negli ultimi anni migliorata, per evitare che questo possa cadere sotto il controllo di organizzazioni terroristiche. Gli USA hanno più recentemente espresso preoccupazione riguardo ai progetti cinesi di fornire maggiore assistenza al programma nucleare pakistano.

 

Come è noto, sia il Pakistan che l’India possiedono armi nucleari al di fuori del quadro previsto dal Trattato di non proliferazione nucleare del 1968. Nel 2005 gli USA hanno sottoscritto un accordo con l’India per aprire all’interscambio di materiale nucleare tra i due paesi, nonostante l’India continui a non sottoscrivere il Trattato di non proliferazione nucleare (e quindi a dispetto dell’impegno per gli Stati parti del Trattato di non avviare cooperazioni in materia nucleare con Stati esterni al Trattato).Al momento della firma dell’accordo, l’India ha comunque assunto alcuni impegni in materia di non proliferazione: la conferma della moratoria dei test nucleari, il sostegno alle azioni USA per la sottoscrizione di un Trattato che proibisca la produzione di materiale fissile per armi nucleari; la separazione tra programmi nucleari civili e programmi nucleari militari e la sottoposizione alla vigilanza dell’AIEA di una parte delle sue attrezzature per la produzione di armi nucleari (ma non il materiale fissile e le strutture per l’arricchimento dell’uranio).  Durante la visita in India dello scorso novembre, il presidente Obama ha dichiarato l’intenzione degli USA di facilitare le esportazioni in India anche nel settore nucleare, impegnandosi, però, al tempo stesso, per l’ingresso dell’India nel Nuclear Suppliers Group, che impegna gli Stati membri a rispettare specifiche linee guida nelle esportazioni di materiale nucleare[11].

 

-              Il rapporto esprime apprezzamento per le attività di cooperazione poste in essere dagli USA nei confronti del Pakistan. Viene in particolare ricordato il Kerry-Lugar-Berman Act del 2009 che prevede l’investimento USA di 7,5 miliardi in assistenza non militare nei prossimi cinque anni. Insieme si evidenziano però le persistenti barriere commerciali che ostacolano l’interscambio tra USA e Pakistan e l’esigenza di un maggiore sostegno da parte degli USA alle attività di ricostruzione successive alle alluvioni della scorsa estate.

 

Il Rapporto  dell’Interna-tional Crisis Group

 
Rispetto a questo quadro, il rapporto dell’International Crisis Group esprime una visione ancora più pessimistica sull’andamento delle operazioni militari, rilevando come allo stato vi siano poche prove di una riduzione delle capacità di azione dell’insorgenza e come questa trovi ancora significative possibilità di rifugio oltre il confine pachistano. Eguale pessimismo viene espresso sulle capacità di combattimento delle forze armate afghane. Un giudizio di insoddisfazione (anche rispetto alle considerazioni del rapporto ONU qui riprodotto) viene espresso anche nei confronti delle recenti elezioni parlamentari, che avrebbero confermato le inefficienze del processo elettorale afghano, mentre vengono riproposte con maggiore enfasi le critiche pure contenute nel rapporto del Council on Foreign Relations sui limiti del sistema politico-istituzionale afghano, ed in particolare, sull’eccessiva concentrazione di poteri nelle mani del presidente. A questo, il rapporto dell’International Crisis Group aggiunge un giudizio critico anche sulla gestione da parte dell’Amministrazione USA della crisi, non esente da difficoltà di coordinamento nel processo decisionale in particolare nei rapporti tra civili e militari.

Le opzioni politiche

 
 


Per quel che concerne le possibili opzioni politiche a disposizione della Comunità internazionale dai documenti consultati emerge quanto segue:

 

 

Il Council on Foreign Relations e la strategia “controinsur-rezionale integrata”

 
Con riferimento all’Afghanistan:

 

-              il rapporto del Council on Foreign Relations, pur esprimendo il suo appoggio alla strategia controinsurrezionale in atto, delinea anche una possibile strategia alternativa: tale strategia alternativa sarebbe fondata sulla limitazione sostanziale dell’impegno internazionale in Afghanistan alle attività antiterroristiche, principalmente attraverso attacchi aerei mirati e operazioni delle forze speciali. Tale diverso approccio potrebbe condurre, secondo il rapporto, ad una maggiore responsabilizzazione della controparte afghana e delle potenze regionali come Cina, Iran e Russia ed anche aprire nuovi spazi di dialogo con componenti dell’insorgenza talebana; tuttavia il rapporto esprime un sostanziale scetticismo sulle possibilità di successo di una simile strategia, in quanto, in questo quadro, si teme che forze terroristiche come Al Qa’ida potrebbero conquistare nuovi spazi di azione e gli USA potrebbero risultare più direttamente esposti. Inoltre, forte risulterebbe il rischio dello scoppio di una nuova guerra civile in Afghanistan, nella quale si riverserebbero anche i diversi interessi di potenza degli attori regionali (in primo luogo Pakistan e India).

-              Il rapporto appare quindi preferire una prosecuzione della strategia controinsurrezionale in atto da integrare però con tre nuovi elementi:

1)      un rafforzamento dell’iniziativa politica attraverso una serie di riforme istituzionali che riducano il potere del presidente Karzai (riforma elettorale per potenziare il sistema dei partiti; rafforzamento dei poteri parlamentari; superamento della nomina presidenziale dei governatori regionali); un parallelo processo di riconciliazione nazionale in grado di coinvolgere effettivamente tutte le parti in conflitto (e proprio le riforme istituzionali potrebbero costituire un incentivo in tal senso, posto che l’insorgenza non si riconosce nell’attuale costituzione afgana; il rapporto osserva anche come un processo del genere potrebbe essere ostacolato dal presidente Karzai, rilevando al tempo stesso come la comunità internazionale sia in grado di esercitare però le pressioni necessarie per superare una simile ostilità);uno sforzo di coinvolgimento delle potenze regionali (Pakistan, India, Cina, Iran, Stati del Golfo, Russia, le repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale) e di conciliazione dei loro diversi interessi anche attraverso il potenziamento di un apposito gruppo di contatto;

2)      la promozione dell’autonoma capacità di difesa da parte delle forze armate e di polizia afghane;

3)      la promozione della crescita e dello sviluppo economico dell’Afghanistan

 

Con riferimento al Pakistan:

 

-              anche con riferimento al Pakistan, il rapporto del Council on Foreign Relations, pur esprimendo il suo appoggio alla strategia di promozione del dialogo intrapresa dall’amministrazione USA, delinea una possibile strategia alternativa: tale strategia alternativa prenderebbe le mosse dalla constatata impossibilità di coinvolgere costruttivamente il Pakistan nel contrasto alle forze terroristiche e dell’insorgenza afghana e prefigurerebbe quindi una politica di contenimento del Paese, attraverso sanzioni ed incentivi (una sorta di strategia “del bastone e la carota”) per spingere il Paese a contrastare le forze ostili agli USA e alle potenze occidentali (insieme proseguirebbero la politica degli attacchi mirati contro le basi terroristiche). Il rapporto sottolinea però i molteplici rischi di una simile strategia alternativa, in particolare la riduzione della capacità USA e occidentale di influenzare la condotta del Pakistan e il rischio di promuovere e incentivare i sentimenti antioccidentali nel Paese.

-              La prosecuzione del dialogo strategico con il Pakistan dovrebbe essere quindi incentivata, secondo il rapporto, attraverso:

1)      una migliore cooperazione con il Pakistan nell’assistenza post-alluvione;

2)      una promozione dell’interscambio commerciale con il Pakistan:  l’emergenza post-alluvione potrebbe rappresentare, secondo il rapporto, l’occasione per ridurre i dazi all’ingresso negli USA delle merci pakistane, in particolare nel settore tessile; in proposito, si sottolinea come le importazioni dal Pakistan rappresenti una quota minimale (il 3 per cento) del totale delle importazioni USA e pertanto una riduzione dei dazi non appare suscettibile di determinare un danneggiamento degli operatori economici statunitensi;

 

Al riguardo, si ricorda che anche la Commissione dell’Unione europea, il 7 ottobre 2010, ha elaborato una proposta di regolamento che concede preferenze commerciali di emergenza al Pakistan, a seguito della crisi umanitaria successiva alle alluvioni. La proposta prevede, tra le altre cose, l’esenzione dai dazi doganali all’importazione nell’Unione per tre anni, per 74 prodotti, 71 dei quali tessili o di abbigliamento. La proposta, sottoposta alla procedura legislativa ordinaria (codecisione) è all’esame della Commissione per il commercio internazionale del Parlamento europeo. La XIV Commissione Politiche per l’Unione europea della Camera ha avviato l’esame della proposta, ai sensi dell’art. 127 del Regolamento, nella seduta del 9 novembre 2010.

 

3)      la prosecuzione della cooperazione nel potenziamento in atto delle capacità antiterrorismo del Pakistan;

4)      l’esercizio delle pressioni idonee a spingere il Pakistan a perseguire i propri interessi nell’area, ed in particolare nei confronti dell’Afghanistan e dell’India, attraverso logiche politiche e non mediante una politica di contatti o ospitalità con gruppi terroristici: in questo quadro carattere prioritario dovrebbe essere attribuito al contrasto del movimento Lashkar-e-Tayyba(le cui origini, a differenza di Al Qa’ida, sono interamente pakistane) e dell’Haqqani Network (da inserire, quest’ultimo, nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali): una politica di rigide sanzioni nei confronti di questi gruppi e dei loro sostenitori potrebbe, secondo il rapporto, convincere il Pakistan ad un cambiamento della propria politica nel senso sopra richiamato;

5)      promozione di un dialogo USA-Pakistan in materia nucleare, al fine di affrontare in modo più strutturale di quanto fatto finora il tema del crescente arsenale atomico pakistano e della sua sicurezza;

6)      promozione del dialogo tra India e Pakistan sulla questione del Kashmir, non attraverso l’imposizione di soluzioni diplomatiche, bensì attraverso mezzi indiretti quali il miglioramento dell’interscambio commerciale tra India e Pakistan e il finanziamento di un programmi di investimenti infrastrutturali in Kashmir.

 

L’Internatio-nal Institute for Strategic Studies e la stragegia “antiterrori-smo”

 
Un sostegno alla possibile strategia alternativa delineata anche nel rapporto della Task Force del Council on Foreign Relations è invece contenuto nelle conclusioni dello Strategic Survey 2010 dell’International Institute for Strategic Studies (aggiornato al giugno 2010). Queste, infatti, considerano ancora troppo ambiziosi e difficilmente sostenibili di fronte alle opinioni pubbliche occidentali gli obiettivi che l’amministrazione Obama si è posta in Afghanistan, attraverso l’associazione del contrasto ad Al Qa’ida (obiettivo prioritario dell’amministrazione) al contenimento dell’insorgenza afgana. Si ritiene poi che le prospettive di negoziati tra componenti dell’insorgenza afghana e il governo di Kabul, dalla debole legittimità, risultino quanto mai fragili, mentre la stessa presenza di consistenti truppe occidentali nel paese potrebbe rappresentare di per sé una costante alimentazione dell’insorgenza. In questo quadro, si invita quindi a distinguere tra il contrasto ad Al Qa’ida e quello all’insorgenza afghana, rilevando come il primo obiettivo, da privilegiare nell’interesse degli Stati occidentali, potrebbe essere perseguito anche in caso di consistente riduzione della presenza militare occidentale in Afghanistan attraverso una strategia di contenimento e deterrenza con elementi diplomatici, economici (previsione di sanzioni per i sostenitori di forze terroristiche ovvero di incentivi per i sostenitori delle potenze occidentali) e militari (prosecuzione degli attacchi mirati) per limitare le attività di Al Qa’ida nel confine afghano-pakistano e prevenirne il rientro in Afghanistan. Una simile strategia, conclude l’International Institute for Strategic Studies, presenterebbe il vantaggio di scindere il suo successo dagli esiti del processo politico afghano e del dialogo tra governo e componenti dell’insorgenza.

 

L’International Crisis Group e il nuovo “compre-hensive approach

 
Infine, le raccomandazioni formulate dall’International Crisis Groupappaiono di orientamento ancora diverso, prefigurando un impegno di più lunga durata in Afghanistan, e, conseguentemente, la sospensione del previsto ritiro delle forze ISAF. Si sostiene infatti che qualsiasi predeterminazione di un calendario per il ritiro delle truppe comporterà inevitabilmente l’impossibilità di un contenimento efficace dell’insorgenza afghana o l’avvio di negoziati costruttivi con questa, dato che l’insorgenza si sentirà comunque ad un passo dalla vittoria e quindi poco incline a compromessi. Conseguentemente, successivamente al ritiro, alto risulterebbe il rischio dello scoppio di una nuova guerra civile afghana (rischio peraltro prospettato anche dal rapporto del Council on Foreign Relations) In questo quadro, il rapporto dell’International Crisis Group raccomanda quindi:

-              una riconsiderazione da parte della NATO del previsto ritiro a favore di un nuovo comprehensive approach che concentri i suoi sforzi nel miglioramento della qualità della rappresentanza politica, del sistema giudiziario, e, più in generale dello Stato di diritto, ponendo questi obiettivi (insieme a quello sotto indicato della promozione dell’autogoverno locale) come prioritari anche rispetto all’avvio di negoziati con componenti dell’insorgenza afghana;

-              un migliore coordinamento delle diverse attività USA, civili e militari, in Afghanistan e Pakistan;

-              un atteggiamento più rigoroso da parte dei governi della missione ISAF nei confronti del governo afghano, volto a favorire il contrasto alla corruzione e la promozione dello Stato di diritto;

-              una maggiore enfasi sulla promozione dell’autogoverno locale in Afghanistan (in tal senso l’International Crisis Group riprende quanto rilevato anche dal Council on Foreign Relations in ordine all’opportunità di superare l’attuale nomina presidenziale dei governatori regionali, a favore della loro elezione popolare).

 


SIWEB

Dati statistici

 


 

    Afghanistan Index

 

Di seguito si riporta un estratto dell’Afghanistan Index redatto dalla Brookings Institution del 31 dicembre 2010. Nell’Afghanistan index sono riportate statistiche di diversa natura e diversa fonte sulla situazione afgana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico sociale ed economico. La stessa Brookings Institution precisa che la maggior parte delle informazioni proviene dal Governo USA anche se le stesse vengono spesso rielaborate in modo da mostrare i trend complessivi a partire dal 2001. Le informazioni provengono anche da fonti ONU, da organizzazioni non governative e da giornalisti stranieri sul campo. Ad ogni modo per ogni grafico di seguito fornito viene indicata con un’apposita nota la fonte di provenienza. In particolare nell’estratto vengono di seguito indicati (dove non altrimenti specificato le figure forniscono la serie storica dei relativi dati a partire dal 2001):

 

§               Figura 1.1 Truppe statunitensi impiegate in Afghanistan (aggiornato al 30 novembre 2010;

§               Figura 1.2; Contingenti non USA della missione ISAF(aggiornato al 30 novembre 2010);

§               Figura 1.3: ripartizione per paese delle truppe NATO impiegate in Afghanistan (aggiornato al 15 novembre 2010);

§               Figura 1.4 Ripartizione delle truppe NATO nei diversi comandi regionali da ottobre 2006;

§               Figura 1.5 Dimensione delle forze di sicurezza afgane (aggiornato al 10 dicembre 2010);

§               Figura 1.6 Crescita annua, per effettivi, dell’esercito nazionale afgano dal 2003 ad oggi (aggiornato al 10 dicembre 2010);

§               Figura 1.7 Reclutamento annuale dell’esercito nazionale afgano con indicazione delle reclute, del tasso di arruolamento definitivo e del tasso di assenze senza permesso;

§               Figura 1.16 Numero e tipo di attacchi dell’insorgenza per settimana, dal gennaio 2004 al 16 dicembre 2010;

§               Figura 1.19 Operazioni speciali statunitensi contro i talebani, estate 2010 (fino all’inizio di settembre 2010);

§               Figura 1.20 Vittime statunitensi e delle forze alleate da ottobre 2001 (aggiornato al 31 dicembre 2010);

§               Figura 1.21 Cause di morte nell’esercito americano dal 2001 al 2010 (aggiornato al 31 dicembre 2010);

§               Figura 1.22 Vittime militari dei paesi della coalizione (esclusi gli USA) (aggiornato al 31 dicembre 2010);

§               Figura 1.23 Percentuale delle diverse cause di morte  tra le truppe ISAF (aggiornato al 31 dicembre 2010);

§               Figura 1.24 militari americani feriti impegnati in azioni militari dal 30 ottobre 2001 al 31 dicembre 2010.

§               Figura 1.25 Contractors uccisi in Afghanistan dal 2001 al 2010;

§               Figura 1.26 Vittime nell’esercito nazionale e nella polizia afgana, gennaio 2007-2010;

§               Figura 1.27 Vittime civili di morte violenta stimate dal 2007 ad oggi;

§               Figura 1.28 Percentuale stimata di vittime civili afgane raggruppate per tipologia di responsabili della morte 2006- giugno 2010;

§               Figura 2.12 Posizione dell’Afghanistan nella classifica sulla libertà di stampa di Réporters sans frontières, 2002-2010;

§               Figura 2.13 Posizione dell’Afghanistan nella classifica sulla percezione della corruzione di Transparency International, 2002-2010;

§               Figura 3.2 Evoluzione del PIL nominale dell’Afghanistan dal 2002/2003 al 2010/2011;

§               Figura 3.3. Tasso di crescita del PIL con il contributo dei singoli settori (2003-2007).

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


    Pakistan Index

 

Di seguito si riporta un estratto del Pakistan index redatto dalla Brookings Institution del 28 dicembre 2010. Nel Pakistan index sono riportate statistiche di diversa natura e diversa fonte sulla situazione pakistana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico sociale ed economico. Per ogni grafico di seguito fornito viene indicata con un’apposita nota la fonte di provenienza. In particolare nell’estratto vengono di seguito indicati:

 

§               Numero di attacchi mensili dall’ottobre 2008 all’8 dicembre 2010;

§               Vittime mensili a seguito di attacchi terroristici dall’ottobre 2008 all’8 dicembre 2010;

§               Vittime mensili per provincia dal gennaio 2006 all’8 dicembre 2010;

§               Numero annuo degli attacchi di Droni in Pakistan 2004- 28 dicembre 2010;

§               Numero mensile di attacchi di Droni in Pakistan 2004-28 dicembre 2010;

§               Localizzazione per area geografica degli attacchi di Droni in Pakistan 2004-28 dicembre 2010;

§               Stima delle vittime di attacchi con Droni in Pakistan dal 2006 al 20 dicembre 2010;

§               Operazioni condotte dall’esercito pakistano dal 2001 al febbraio 2010;

§               Perdite dell’esercito pakistano 2001- novembre 2010;

§               Giornalisti uccisi in Pakistan dal 1992;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




[1]     Osservatorio di politica internazionale, Dinamiche etniche, tribali e politiche in Afghanistan, a cura del CeSI), gennaio 2010; Tribal Analysis Center, Pashtun Tribalism and Ethnic Nationalism in www.tribalanalysiscenter.com (marzo 2010).

[2]    Il 22 marzo 2010 si è svolto un incontro tra il presidente Karzai e Hekmatyar che ha aperto la strada  ad una trattativa tra il governo afghano e il movimento.

[3]    Cfr., ad esempio, Servizio studi, La missione ISAF in Afghanistan. Focus e approfondimenti (16 novembre 2010); Id., Mappa dei conflitti e delle crisi internazionali, gennaio-novembre 2010 (23 novembre 2010); Id., La Review sulla strategia USA in Afghanistan cit.; e Osservatorio di politica internazionale, Afghanistan tra surge e riconciliazione, a cura del CeSI (ottobre 2010)

 .

[4]    Cfr. infra.

[5]    Osservatorio di politica internazionale, Afghanistan tra Surge e riconciliazione, cit.; Stiftung Wissenschaft und Politik, Escalation in the Kunduz Region, (dicembre 2010) in: www.swp-berlin.org

[6]    La missione ISAF ha ripartito la presenza internazionale in Afghanistan sulla base di cinque comandi regionali.

[7]    Osservatorio di politica internazionale, Afghanistan tra surgee riconciliazione, cit.

[8]    Cfr. in proposito Servizio studi, Mappa dei conflitti e delle crisi internazionali, gennaio-novembre 2010 (23 novembre 2010).

[9]    Crf. Dossier Servizio Studi - Camera dei deputati Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali – DL 228/2010 – A.C. 3996 – Schede di lettura, Progetti di legge n. 419, 10 gennaio 2010.

[10]   Così anche nel capitolo The Threat del rapporto (p. 27), non riprodotto nel presente dossier, ma disponibile sul sito www.cfr.org.

[11]   Cfr. al riguardo, S. Squassoni, The U.S. Indian Deal ant Its Impact, in “Arms Control Today”, July/August 2010; E. Auner, Obama Easing Exports Controls on India, in “Arms Control Today”, December 2010 (disponibili anche sul sito www.armscontrol.org ).