Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento difesa
Titolo: La missione ISAF in Afghanistan - Focus e Approfondimenti in occasione delle comunicazioni del Governo alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa di Camera e Senato, in vista del Vertice di Lisbona del 19 e 20 novembre 2010 (seduta del 17 novembre 2010)
Serie: Documentazione e ricerche    Numero: 173
Data: 16/11/2010
Descrittori:
AFGHANISTAN   FORZE ARMATE
FORZE DI POLIZIA   MISSIONI INTERNAZIONALI DI PACE
ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DELL' ATLANTICO DEL NORD ( NATO )   ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI MILITARI
Organi della Camera: III-Affari esteri e comunitari
IV-Difesa
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Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione e ricerche

La missione ISAF in Afghanistan

 

Focus e Approfondimenti in occasione delle comunicazioni del Governo alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa di Camera e Senato, in vista del Vertice di Lisbona del
 19 e 20 novembre 2010

(seduta del 17 novembre 2010)

 

 

 

 

 

n. 173

 

 

 

16 novembre 2010

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Affari esteri

( 066760-4939 / 066760-4172 – * st_affari_esteri@camera.it

Dipartimento Difesa

( 06 6760-4172 – * st_difesa@camera.it

 

 

 

 

Hanno partecipato alla redazione del dossier:

Dott. Iurie Caldarari

Dott. Paolo La Scola

 

tirocinanti presso il Servizio Studi della Camera dei deputati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dossier dei servizi e degli uffici della Camera sono destinati alle esigenze di documentazione interna per l'attività degli organi parlamentari e dei parlamentari. La Camera dei deputati declina ogni responsabilità per la loro eventuale utilizzazione o riproduzione per fini non consentiti dalla legge.

File: DI0290.doc

 

 

 


INDICE

 

 

Premessa  1

Guida alla lettura

La Missione ISAF  5

1.      I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari15

Sintesi della documentazione riprodotta  17

Documentazione ufficiale

US Senate, audizione per la conferma del Generale Petraeus, 29 giugno 2010  23

Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 64ma  sessione, La situazione in Afghanistan e le sue implicazioni per la pace e la sicurezza internazionale, 14 settembre 2010  23

Dati statistici

Afghanistan Index  99

Pakistan Index  119

Interpretazioni ed opinioni

2.      M. Waldman (Crisis Stage Research Centre-London School of Economics), The sun in the Sky: The relationship between Pakistan’s ISI and Afghan insurgents, giugno 2010  139

3.      International Institute for Strategic Studies, Pakistan: Facing Up to Insurgency, in Strategic Survey 2010: The Annual Review of World Affairs, giugno 2010  139

4.      International Institute for Strategic Studies, Afghanistan: Flawed Election, New Strategy, Doubtful Prospects, in Strategic Survey 2010: The Annual Review of World Affairs, giugno 2010  139

5.      Asia-Pacific: ISAF operations in Afghanistan, in: Strategic Survey 2010, n. XII139

6.      Africa: Al-Qaeda’s new world order, in: Strategic Survey 2010, n. VI139

7.      M. O’Hanlon (Brookings Institution), New Reasons for Hope in Afghanistan, in www.brookings.edu, 28 settembre 2010  139

8.      R. D. Blackwill, A De Facto Partition for Afghanistan, in Council on Foreign Relations, luglio 2010  139

9.      A. Rashid, L’Afghanistan non sia diviso, in Il Sole 24ore, 5 agosto 2010  139

 


SIWEB

Premessa

Il presente dossier è predisposto in occasione delle comunicazioni del Governo alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa di Camera e Senato, previste per il 17 novembre 2010, in vista del Vertice di Lisbona del 19 e 20 novembre 2010. In particolare il dossier si sofferma sulla situazione della missione ISAF in Afghanistan, fornendo una selezione di documentazione ufficiale, dati statistici ed analisi e interpretazioni sulle prospettive del conflitto. La documentazione è preceduta da una descrizione dei principali aspetti della missione e da una sintesi della documentazione riprodotta.

Per approfondire le problematiche connesse all’elaborazione del nuovo concetto strategico della NATO si rinvia al dossier “Il nuovo concetto strategico della NATO”.

 

 

 


Guida alla lettura

 


La Missione ISAF

Missione NATO di assistenza al Governo afghano per l’estensione della sua autorità ed influenza nel Paese

Partecipazione italiana dal 10 gennaio 2002

Operazioni condotte da Organizzazioni internazionali                                      NATO

Operazione di imposizione della pace (peace-enforcing)

 

L’11 settembre 2001

Dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che colpirono gli Stati Uniti, fu avviata l’operazione Enduring Freedom (Libertà duratura), in Afghanistan, con l'obiettivo di combattere il terrorismo internazionale ed i regimi nazionali che lo sostengono.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il giorno successivo agli eventi, adottò la risoluzione n. 1368, nel cui preambolo si riconosceva il diritto di legittima difesa individuale e collettiva degli Stati Uniti. Va aggiunto che il paragrafo 1 definiva gli attacchi terroristici “una minaccia alla pace” e nel paragrafo 5 si affermava che il Consiglio era “pronto ad adottare tutte le misure necessarie per rispondere agli attacchi terroristici”.

Lo stesso 12 settembre 2001, il Consiglio atlantico adottò una determinazione nella quale si affermava che, qualora fosse stato accertata l’origine esterna degli attacchi terroristici, avrebbe trovato applicazione l’articolo 5 del Trattato NATO, ai sensi del quale un attacco armato contro un membro dell’Alleanza deve essere considerato come un attacco contro tutti i membri dell’Alleanza stessa. Il Consiglio ha riconosciuto, il successivo 3 ottobre, per la prima volta nella storia dell'Alleanza, l’esistenza delle condizioni per l'applicazione dell’articolo 5 del Trattato.

Una coalizione di Stati a guida statunitense, di cui facevano parte sia Paesi dell'Alleanza Atlantica che Paesi non facenti parte della NATO, ha quindi autonomamente avviato l’operazione Enduring Freedom contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, con l’obiettivo, in particolare, di colpire le cellule dell’organizzazione terroristica Al Qaeda presenti nel Paese.

Le operazioni militari, iniziate il 7 ottobre con una serie di attacchi aerei contro obiettivi militari e basi terroristiche in territorio afgano, sono proseguite nei due mesi successivi provocando la caduta del regime talebano e la costituzione, a seguito della Conferenza di Bonn del 5 dicembre, svoltasi sotto il patrocinio dell'ONU, di un governo ad interim, con il compito di governare il paese per i primi sei mesi del 2002.

L’Italia ha partecipato all’operazione dal 18 novembre 2001 con compiti di sorveglianza, interdizione marittima, nonché di monitoraggio di eventuali traffici illeciti. La partecipazione italiana alla missione si è conclusa il 3 dicembre 2006.

L’operazione Enduring Freedom ha progressivamente sviluppato una diversa configurazione e si è proposta di realizzare la definitiva pacificazione e stabilizzazione del Paese, oltre che con lo svolgimento di attività militari di contrasto degli insorti e delle formazioni terroriste, anche attraverso un supporto alle operazioni umanitarie.

La missione ISAF

A tale fine è stata costituita la missione ISAF (International Security Assistance Force), a seguito della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1386 del 20 dicembre 2001 che, come previsto dall'Accordo di Bonn, ha autorizzato la predisposizione di una forza di intervento internazionale con il compito di garantire, nell'area di Kabul, un ambiente sicuro a tutela dell'Autorità provvisoria afghana, guidata da Hamid Karzai, che si è insediata il 22 dicembre 2001 e del personale delle Nazioni Unite presente nel Paese.

La missione è iniziata nel gennaio 2002 ed è stata inizialmente svolta dai contingenti di 19 Paesi sotto la guida inglese.

Il 13 giugno 2002 la Loya Jirga (l'Assemblea tradizionale) ha eletto il presidente Hamid Karzai alla guida del governo per un periodo di due anni, fino allo svolgimento delle elezioni generali, che si sono tenute il 9 ottobre 2004 e che hanno confermato presidente Karzai.

Successivamente il vertice NATO di Praga del novembre 2002, ha approvato un nuovo concetto militare che stabilisce un approccio globale per la difesa contro il terrorismo e consente alle forze dell’Alleanza di intervenire ovunque i suoi interessi lo richiedano (quindi anche fuori dall’area dei Paesi membri). Anche a seguito di tali determinazioni, il 16 aprile 2003 il Consiglio Nord Atlantico (NAC) ha deciso l'assunzione, da parte della NATO, del comando, del coordinamento e della pianificazione dell’operazione ISAF, senza modificarne nome, bandiera e compiti. La decisione è stata resa operativa l'11 agosto 2003, con l'assunzione della guida della prima missione militare extraeuropea dell'Alleanza Atlantica.

La risoluzione ONU n. 1510 del 13 ottobre 2003, oltre a prevedere l’ulteriore proroga del mandato di ISAF, ha, altresì, autorizzato l'espansione delle attività della missione anche al di fuori dell'area di Kabul.

La guida politica dell’operazione è esercitata dal NAC, in stretto coordinamento con i Paesi non NATO che contribuiscono all’operazione. Secondo il memorandum sottoscritto fra i Paesi partecipanti e l'Autorità provvisoria afghana il 4 gennaio 2002, mentre le “Coalition Forces, sono quegli elementi militari nazionali della Coalizione guidati dagli Stati Uniti che conducono la guerra al terrorismo in Afghanistan […] ISAF non è parte delle Forze della Coalizione" e rimane pertanto distinta da Enduring Freedom, mantenendo le due missioni differenti mandati e rispondendo a catene di Comando differenti, l'una facente capo al Comando Supremo Alleato della NATO ed al Consiglio Atlantico, l'altra al Central Command statunitense di Tampa (Florida). Le due missioni rimangono però in costante coordinamento operativo, attraverso il Deputy Chief of Staff Operations di ISAF, statunitense, responsabile del raccordo con le Forze di Enduring Freedom.

Lo svolgimento della missione ISAF è articolato in cinque fasi:

Ø                  la prima fase ha riguardato l’attività di analisi e preparazione;

Ø                  la seconda fase ha avuto l’obiettivo di realizzare l’espansione sull’intero territorio afgano, in 4 distinti stages che hanno riguardato in senso antiorario le aree Nord, Ovest, Sud e d Est;

Ø                  la terza fase è volta a realizzare la stabilizzazione del Paese;

Ø                  la quarta fase riguarda il periodo di transizione;

Ø                  la quinta fase prevede il rischieramento dei contingenti.

I quattro stages della seconda fase sono stati realizzati progressivamente con la sostituzione degli Stati Uniti, da parte della NATO, nella guida delle operazioni di stabilizzazione nelle diverse aree del Paese. La fase di espansione è stata completata nell’ottobre 2006 con l’assunzione del controllo ISAF anche sulla regione orientale del paese.

La fase dell’espansione è stata realizzata attraverso la costituzione in ogni area di una FSB (Forward Support Base), ovvero una installazione militare aeroportuale avanzata necessaria innanzitutto per fornire supporto operativo e logistico ai PRT (Provincial Reconstruction Team) presenti nella stessa regione. In alcune regioni (tra le quali Herat) i PRT erano già stati istituiti nell’ambito dell’operazione Enduring Freedom.

Il PRT è una struttura mista composta da unità militari e civili con il compito di assicurare il supporto alle attività di ricostruzione condotte dalle organizzazioni nazionali ed internazionali operanti nella regione. Ogni PRT é strutturato in base al rischio, alla posizione geografica ed alle condizioni socio economiche della regione in cui opera.

Fin dall’inizio della missione, ISAF, accanto alle attività militari, ha svolto il compito di assicurare la fornitura di beni di necessità alla popolazione e promuovere la ricostruzione delle principali infrastrutture economiche; a tal fine, la missione intrattiene relazioni con numerose organizzazioni internazionali e non-governative e collabora in modo stretto con l’Assistance Mission delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA).

La missione ISAF è stata da ultimo prorogata con la risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1943/2010 fino al 13 ottobre 2011.

 

L’operazione ISAF si configura quindi come operazione di peace enforcing.

La missione ISAF si trova attualmente nella sua terza fase: quella di stabilizzazione. L’attività di stabilizzazione ha incontrato crescenti difficoltà per l’insorgenza “talebana” contro la presenza internazionale che è andata col tempo notevolmente rafforzandosi.

Le origini dell’insorgenza possono essere fatte in realtà risalire già al 2002, pochi mesi dopo, quindi, la caduta del regime talebano in Afghanistan ad opera della coalizione internazionale guidata dagli USA e dell’Alleanza del Nord afghana, composta prevalentemente da elementi tagiki e uzbeki (merita ricordare che tuttavia Hamid Karzai, da subito individuato come leader del nuovo Afghanistan è invece un pashtun). Infatti, fin dall’aprile del 2002, si iniziarono a registrare attacchi, in particolare nelle zone di Kandahar, Khowst, Jalalabad, Kabul ad opera di talebani, di forze del movimento Hezb-I-Islami del signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar (già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah) e di elementi jihadisti stranieri riconducibili ad Al Qaeda. Dal 2004 le forze della coalizione hanno potuto registrare un aumento delle capacità della guerriglia in termini di penetrazione nel territorio, testimoniato anche dal passaggio all’impiego di unità di combattimento più piccole, di meno di dieci elementi, capaci di creare maggiori difficoltà alla coalizione[1]. Nello stesso periodo l’insorgenza ha potuto trovare sostegno oltre la frontiera con il Pakistan, nelle zone tribali delle province nord-occidentali di quel paese. L’insorgenza si è ulteriormente intensificata nel corso del 2008 e del 2009 in modo particolare nel Sud e nell’Est del paese.

 

Un indicatore rilevante del deterioramento della situazione è stato, in particolare nel 2008 e nel 2009, l’aumento delle vittime civili. Per indicazioni sui più recenti sviluppi al riguardo, che indicano, dalla seconda metà del 2009 e nel 2010 una diminuzione delle vittime civili, cfr. infra il paragrafo Sintesi della documentazione riprodotta, nonché i documenti qui citati e riprodotti nel presente dossier.

 

Esistono diverse interpretazioni del deterioramento della situazione afghana: secondo alcuni l’impegno internazionale in Afghanistan si è posto, dopo il crollo del regime talebano nel dicembre 2001, obiettivi troppo ambiziosi (rispetto a quello essenziale di combattere il terrorismo di Al Qaeda) di State Building e di democratizzazione del Paese per i quali non si era impostato una chiara strategia e non si erano approntati i mezzi necessari, anche a causa del concomitante impegno (in particolare degli USA e della Gran Bretagna) in Iraq[2]. Secondo altri, le forze della coalizione internazionale così come gli Stati confinanti con l’Afghanistan hanno in tutti questi anni privilegiato la ricerca di intese con i leader locali (spesso ex-signori della guerra del periodo successivo alla fine dell’occupazione sovietica), anziché impegnarsi effettivamente in un’opera maggiormente dispendiosa, in termini di uomini e mezzi impiegati, di State building, di promozione della rule of law e di rafforzamento del governo centrale[3].

Nell’insorgenza si devono poi distinguere diverse componenti:

Ø                  una componente ideologicamente talebana (Si ritiene infatti che parte consistente della leadership talebana afghana, già alla guida dell’Afghanistan dal 1996 al 2001, sia attiva nella città di Quetta nel Pakistan occidentale, la c.d. Quetta Shura; a fianco della Shura di Quetta diverse fonti prospettano poi la presenza di una “filiera talebano-pachistana”, vale a dire la presenza, a partire dal 2003, dell’afflusso di guerriglieri del Kashmir, appartenenti al movimento talebano Lashkar-e-Tayyba, che in molti casi avrebbero ricevuto sostegno dai servizi segreti pachistani per insediarsi nella zona di confine tra Pakistan e Afghanistan del Waziristan; in Pakistan è inoltre attivo il movimento talebano pakistano di Tehrik-e-Taliban con un programma di islamizzazione del Pakistan)

Secondo numerose fonti, le forze talebane avrebbero trovato sostegno e rifugio principalmente nelle zone tribali della provincia nord-occidentale del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, soprattutto a seguito degli accordi tra il governo Pakistano e i capi tribù locali nel sud del Waziristan tra 2004 e 2005 e nel nord del Waziristan nel 2006, che hanno posto fine ai tentativi dell’allora leader pakistano Musharraf di ottenere un effettivo controllo della regione e hanno condotto alla riduzione dei posti di blocco e della presenza dell’esercito pakistano in quelle zone. Nel febbraio 2009 anche il nuovo presidente pachistano Zardari ha raggiunto un accordo con i leader talebani locali per l’applicazione della Sharia nella zona di Malakand e nel distretto di Swat nella provincia nord-occidentale, in cambio dell’impegno al disarmo delle milizie (per dettagli cfr. infra paragrafo “Sintesi della documentazione riprodotta”). Nel corso del 2009 si sono però anche succedute offensive dell’esercito pachistano nella provincia nord-occidentale del paese per porre un argine alla crescente “talebanizzazione” della zona (rivolte in particolare contro il movimento dei talebani pakistani di Tehrik-e-Taliban). Tali attacchi si sono intensificati nelle prime settimane del 2010, interessando tuttavia solo marginalmente la zona del nord Waziristan, (indicata da molte fonti come “retroterra” dell’insorgenza afgana), dove sono stati colpiti unicamente gli elementi responsabili di azioni contro le forze di sicurezza pakistane[4].

 

Ø                  la cosiddetta “rete Haqqani” guidata da Jalaluddin Haqqani, ex-comandante Mujaheddin contro i sovietici, e dal figlio Sirajuddin, fortemente integrata con i talebani della zona di Kandahar e con i gruppi attivi nella provincia nord-occidentale del Pakistan

Ø                  il movimento Hizb I Islam del signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, ex-primo ministro, già protagonista delle vicende afghane negli anni Novanta del Novecento, successivamente alla caduta del regime filosovietico del presidente Najibullah. Merita segnalare che lo scorso 22 marzo è avvenuto un incontro tra il presidente Karzai e Hekmatyar; l’incontro potrebbe precludere ad un cessate il fuoco con questa componente dell’insorgenza, nel quadro della politica di riconciliazione avviata da Karzai.

Ø                  componenti, per così dire “nazionaliste pashtun” che temono la prevalenza in Afghanistan degli elementi dell’Alleanza del Nord prevalentemente tagika e uzbeka, ai danni dell’etnia maggioritaria pashtun,

Ø                  componenti tribali in rotta con il potere centrale[5].

 

Non deve essere sottovalutato inoltre il canale di finanziamento dell’insorgenza rappresentato dalla produzione di oppio che rappresenta il maggior settore dell’economia nazionale afghana (nel 2008 l’Afghanistan rappresentava il maggior produttore mondiale di oppio)[6]

 

L’evoluzione degli eventi ha quindi indotto ad una revisione della strategia della missione ISAF. In particolare la NATO, a partire dal 2008, ha promosso un “comprehensive approach” alla questione afghana (poi ribadito nel vertice di Strasburgo-Kehl del 3-4 aprile 2009) insistendo sul sostegno al rafforzamento delle istituzioni afghane ed inviando nuovo personale, non solo militare, ma anche civile. Da parte statunitense fin dal marzo 2009, l’amministrazione Obama ha delineato un comprehensive approach alla questione afghano-pakistana postulando la distruzione di Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan e la stabilizzazione dell’area mediante un incremento della presenza militare in Afghanistan accompagnata ad un maggior sostegno finanziario e organizzativo alla crescita civile dei due paesi. Dopo un lungo dibattito all’interno dell’Amministrazione, inoltre, nel dicembre 2010, gli USA hanno annunciato l’invio di 30.000 ulteriori soldati USA e, allo stesso tempo, ha indicato il luglio 2011 come data dell’inizio di un graduale ritiro delle truppe USA. Contestualmente la NATO ha annunciato un incremento della propria presenza complessiva di circa 7.000 unità.

Contestualmente, la Conferenza internazionale di Londra ha insistito nelle sue conclusioni del 28 gennaio 2010 sulla necessità di recuperare alla vita civile ai combattenti dell’insorgenza non riconducibili al nucleo più ideologicamente talebano e ad Al Qaeda che accettino la rinuncia alla violenza (a tale proposito è stato istituito anche un apposito trust fund per la “pace e la reintegrazione”); sull’opportunità di incrementare gli aiuti umanitari e sulla ricerca di un maggiore coinvolgimento di tutte le componenti afghane e dei paesi confinanti nella ricerca della pace.

Gli indirizzi della Conferenza di Londra hanno trovato una prima attuazione con la Loya Jirga di riconciliazione nazionale svoltasi a Kabul agli inizi di giugno 2010 che, tra le altre cose, ha avviato la costituzione di un Consiglio per la pace incaricato di avviare colloqui con esponenti talebani disposti al dialogo con le istituzioni afgane. Il Consiglio per pace, alla cui guida è stato designato l’ex presidente afghano Rabbani, ha iniziato la sua attività nel settembre 2010, dopo lo svolgimento delle elezioni parlamentari, alimentando anche indiscrezioni di stampa sull’avvio di colloqui per una fine negoziata del conflitto[7]: L’alto consiglio ha conferma-to la disponibilità ad offrire assistenza per i com-battenti talebani che accettino la smobilitazione, chiedendo al riguardo la mediazione dell’Arabia Saudita. Peraltro, come già sopra si è accennato, Nel corso del 2010 si sono registrati contatti anche con il movimento Hizb I Islam di Hekmatyar.

 

Tra gli ultimi sviluppi in Afghanistan e Pakistan, si segnala che l’8 ottobre, in un attacco suicida, è rimasto ucciso il governato-re della provincia settenarionale di Kunduz, Mo-hammad Omar, insieme ad altre 14 persone. Il 5 novembre, infine nella provincia di Khost, confi-nante con il Pakistan, in uno scontro con le forze ISAF, è risultato ucciso Faiz Mohammad, uno dei leader dell’Haqqani Network. Il 10 ottobre il Pakistan ha riaperto il confine con l’Afghanistan, consentendo l’afflusso nello Stato vicino dei convogli della NATO bloccati alla frontiera. Ciò è avvenuto a seguito delle scuse presentate da USA e NATO per il raid di fine settembre in cui sono rimasti uccisi due soldati pakistani. Prima della riapertura del confine i convogli bloccati in Pakistan erano stati oggetto di attacchi da parte di insorti. L’esercito pakistano continua poi a ri-fiutare la richiesta USA di condurre operazioni militari nel Nord Waziristan Estrema preoccupazione poi continuano a suscitare le conseguenze delle devastanti alluvioni in Pakistan dell’estate (1600 morti; 17 milioni di sfollati): forte il timore che le forze fon-damentaliste islamiche riescano a sfruttare l’accaduto per aumentare la loro influenza sulle popolazioni, anche a causa dei ritardi nell’arrivo degli aiuti internazionali.

 

 

Elemento fondamentale nell’ambito della nuova strategia NATO è lo sviluppo di una capacità autonoma di difesa afgana. Al riguardo si rinvia al box sotto.

 

La riorganizzazione delle forze armate e di sicurezza afghane

 

Il comunicato finale della Conferenza di Londra ha apprezzato i progressi compiuti nell’organizzazione delle Forze di sicurezza afghane e l’impegno del governo afghano di far assumere all’esercito nazionale afghano e alla polizia nazionale afghana la capacità di guidare e condurre la maggioranza delle operazioni nelle aree insicure dell’Afghanistan entro tre anni e di assumere la responsabilità per il mantenimento della sicurezza nel paese entro cinque anni. Gli Stati e le organizzazioni internazionali partecipanti si sono anche impegnate a garantire il necessario supporto al raggiungimento dell’obiettivo di incrementare, entro l’ottobre 2011, l’esercito nazionale afghano fino 171.600 unità e la polizia nazionale afghana a 134.000 unità.

Fonti NATO indicano, al 19 maggio 2010, la consistenza dell’esercito nazionale afghano in 119.388 unità. L’esercito dispone di truppe capaci di pianificare ed eseguire operazioni a livello di battaglione senza supporto esterno. In particolare, in simili operazioni possono essere impiegati 21 battaglioni, due quartier generali di corpi d’armata, 6 quartier generali di brigata, 6 unità di supporto alle guarnigioni, 2 quartier generali speciali di supporto alle brigate di sicurezza della città di Kabul.

Dal 2008 è attiva anche l’aviazione afghana che vede impiegate 2.876 uomini e donne, con una flotta di 46 aerei (l’obiettivo è di raggiungere entro il 2016 un personale di oltre 8000 unità con una flotta di 152 aerei).

A partire dall’agosto 2008 l’esercito nazionale afghano sta gradualmente assumendo la responsabilità per la sicurezza nella provincia di Kabul.

Sempre fonti NATO, indicano, al 19 maggio 2010, in 104.459 unità gli effettivi della polizia nazionale afghana (con 7.116 unità attualmente in addestramento). Degli effettivi 14.494 sono impegnati nella polizia di confine, 3.964 nelle forze di ordine pubblico interno (recentemente ridenominate “Gendarmeria”) e 2.695 nella polizia antinarcotici.

 

Nel febbraio del 2010 le truppe ISAF e quelle afghane sono state impiegate in un’importante operazione militare, l’operazione Moshtarak, nella regione di Marjah, i cui risultati sono ancora in corso di consolidamento e di incerta definizione.

 

Dopo la conclusione dell’operazione Moshtarak è stata annunciata l’intenzione di avviare operazioni militari e di intelligence nella provincia di Helmand e nella zona di Kandahar. Tali operazioni, inizialmente previste per il mese di giugno-luglio, hanno preso avvio con l’operazione Dragon Strike iniziata alla fine di settembre 2010.

 

ISAF comprende attualmente (dati del 15 novembre 2010) circa 130.930 militari appartenenti a contingenti di 48 Paesi. Il contributo maggiore è fornito dagli Stati Uniti (90.000 unità), seguiti dal Regno Unito (9.500), dalla Germania (4.341), dalla Francia (3.850), dal Canada (2.922), dall’Italia (3.688), dalla Polonia (2.519), dalla Romania (1.648), dalla Turchia (1.790) e dalla Spagna (1.576).

 

I dati sopra riportati sono ripresi dal sito della NATO (www.nato.int). La nota aggiuntiva al bilancio del Ministero della difesa del settembre 2010 indica invece una consistenza effettiva del contingente italiano di 3.970 unità al novembre 2010; la relazione tecnica all’ultimo provvedimento di proroga del finanziamento delle missioni internazionali (decreto-legge n. 102 del 2010) indicava comunque che, in coerenza con l’autorizzazione di spesa, veniva finanziato l’impiego complessivo nelle missioni ISAF ed EUPOL in Afghanistan, nel semestre luglio-dicembre 2010 di 3.941unità.

Di seguito è invece fornito un confronto nell’evoluzione della partecipazione dei principali contingenti nazionali alla missione ISAF. Le ultime due colonne riportano gli ultimi aggiornamenti in ordine temporale forniti dalla NATO, risalenti rispettivamente al 5 marzo 2010 e al 15 novembre 2010. Dal raffronto in particolare di tali dati si evidenzia la progressiva attuazione di incremento delle truppe presenti in Afghanistan posta in essere dalla NATO.


 

Contingente missione ISAF in Afghanistan

data

29/1/2007

6/2/2008

12/1/2009

5/3/2010

15/11/2010

Paesi

37

40

41

44

48

Totale militari

di cui

35.460

43.250

55.100

89.480

130.930

USA

14.000

15.000

23.220

50.590

90.000

Regno Unito

5.200

7.800

8.910

9.500

9.500

Germania

3.000

3.210

3.405

4.335

4.341

Francia

1.000

1.515

2.890

3.750

3.850

Italia

1.950

2.880

2.350

3.160

3.688

Canada

2.500

2.500

2.830

2.830

2.922

Polonia

160

1.100

1.590

2.140

2.519

Romania

544

535

900

970

1.648

Turchia

800

675

800

1.835

1.790

Spagna

550

740

780

1.075

1.576

Australia

500

1.070

1.090

1.550

1.550

Georgia

0

1

1

175

924

 

Il contributo italiano ad ISAF

La partecipazione italiana, iniziata il 10 gennaio 2002, è inizialmente consistita in un contingente di 450 unità, di cui 400 militari dell’Esercito a Kabul e 50 unità dell’Aeronautica, con compiti di supporto, di stanza ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi).

L’Italia ha assunto, dal giugno 2005, il compito di coordinare la FSB di Herat ed i PRT della regione ovest del Paese (che comprende le province di Farah, Badghis e Ghor, oltre a quella omonima di Herat). L’impegno italiano, accresciuto in questa fase da 600 a 2.000 unità, è stato ulteriormente rafforzato anche in vista dell'assunzione del comando ISAF, che è stato ricoperto dall’Italia dal 4 agosto 2005 al 4 maggio 2006.

Il 2 aprile 2007 il Consiglio supremo di difesa ha fornito concrete indicazioni per un rafforzamento in uomini e mezzi del contingente militare italiano in Afghanistan, quale attuazione dell’impegno assunto dall’Esecutivo in Parlamento, senza mutamenti nel carattere della missione, ma in previsione di una sua durata non breve e di maggiori pericoli potenziali. L’operazione è stata completata nel giugno successivo, con l’arrivo di due velivoli UAV Predator, di cinque elicotteri da combattimento A-129 Mangusta e due plotoni di bersaglieri con otto cingolati Dardo.

In seguito, la componente aerea del contingente è stata rafforzata con la dotazione dei velivoli senza pilota Predator (da giugno 2007), da ricognizione e sorveglianza e degli elicotteri A129 Mangusta (da giugno 2007), per il supporto aereo e successivamente, da dicembre 2008, dei velivoli Tornado (sostituiti dai caccia AMX nel dicembre 2009), per assicurare al contingente nazionale un maggior livello di sicurezza e protezione.

Come già sopra ricordato, la nota aggiuntiva al bilancio di previsione del Ministero della difesa del settembre 2010 indica l’impiego di un contingente effettivo di 3.970 unità a partire dal novembre 2010, mentre fonti NATO indicano, al 15 novembre 2010, una presenza effettiva di 3.688 unità. A seguito della nuova strategia per l’Afghanistan annunciata dall’Amministrazione Obama e delle conseguenti decisioni assunte in sede NATO, il Consiglio dei ministri, nella riunione del 3 dicembre 2009, ha deciso un incremento di 1.000 unità del contingente impegnato in Afghanistan, da attuare con gradualità nel corso del 2010 e con una maggiore incidenza nella seconda parte dell’anno (sul punto si vedano le comunicazioni dei ministri degli esteri e della difesa alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato del 10 dicembre 2009).

La missione italiana ha fin qui principalmente interessato le aree di Kabul e di Herat. Al riguardo si segnala che:

Ø                  nell’area di Kabul, il 30 ottobre 2009, la missione del contingente italiano a Kabul denominata “ITALFOR XX” è ufficialmente terminata, con il passaggio di consegne al contingente turco.

Ø                  nell’area di Herat, il contingente italiano ha la responsabilità del Regional Command West (RC-W), ampia regione dell'Afghanistan Occidentale (pari al Nord Italia) che si estende dal Capoluogo Herat fino a toccare la Provincia di Farah. L’ossatura principale di RC-W è costituita dal personale proveniente dalla Brigata meccanizzata "Sassari", anche se è presente un significativo contributo di uomini e mezzi della Marina Militare, dell’Aeronautica, dei Carabinieri e della guardia di Finanza[8]. All’interno del Regional Command West l’Italia ha, a partire dal 1° settembre 2010, il controllo dei distretti di Gulistan, Bakwa e Por Cham nella provincia di Farah, al confine con la provincia di Helmand, in precedenza sotto controllo delle forze USA. E’ in questa zona che si sono verificati gli ultimi attacchi dell’insorgenza.

 

Durante la missione ISAF hanno perso la vita trentaquattro militari italiani, di cui 22 in seguito ad attentati o conflitti armati.

Il 3 ottobre 2004 ha perso la vita in un incidente stradale il Caporal Maggiore Giovanni Bruno, mentre altri quattro militari sono rimasti feriti.

Il 3 febbraio 2005 è deceduto in un incidente aereo il Capitano di vascello Bruno Vianini.

L’11 ottobre 2005, a causa di un incidente mortale, ha perso la vita il Caporal Maggiore Capo Michele Sanfilippo.

II 5 maggio 2006 hanno perso la vita in un attentato ad una pattuglia del contingente, il Tenente Manuel Fiorito e il Maresciallo Luca Polsinelli.

Il 2 luglio 2006, è deceduto a causa di un malore il Tenente Colonnello Carlo Liguori (Capo del settore Cimic del Cdo RC-W).

Il 20 settembre 2006 ha perso la vita in un incidente stradale a Kabul il Caporal maggiore Giuseppe Orlando.

Il 26 settembre 2006, a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia, nel distretto di Chahar Asyab, a circa 10 km a sud di Kabul, ha perso la vita il Caporal Maggiore Capo Giorgio Langella e successivamente, il 30 settembre 2006, a seguito delle ferite riportate nell’attentato, è deceduto anche il Caporal Maggiore Vincenzo Cardella.

Il 24 novembre 2007 ha perso la vita, a causa di un attentato, il Maresciallo capo Daniele Paladini.

Il 13 febbraio 2008 è deceduto in uno scontro a fuoco con elementi ostili, il Maresciallo Giovanni Pezzullo.

Il 21 settembre 2008 il Caporal Maggiore Alessandro Caroppo perdeva la vita per cause naturali.

Il 15 gennaio 2009 perdeva la vita per cause naturali il Maresciallo di prima classe Arnaldo Forcucci.

Il 14 luglio 2009 è rimasto vittima di un attentato in un villaggio nei pressi di Farah il Primo Caporal Maggiore Alessandro Di Lisio.

Il 17 settembre 2009, hanno perso la vita a Kabul in un attentato esplosivo ad un convoglio di VTLM "Lince" sei militari dell'Esercito: il Capitano Antonio Fortunato; il Sergente Maggiore Capo Roberto Valente; il Caporal Maggiore Capo Massimiliano Randino; il Caporal Maggiore Scelto Matteo Mureddu; il Caporal Maggiore Scelto Giandomenico Pistonami; il Caporal Maggiore Scelto Davide Ricchiuto.

Il 15 ottobre 2009, è deceduto a causa di un incidente presso Herat il Primo Caporal Maggiore Rosario Ponziano.

Il 17 maggio 2010, a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio del Contingente, a sud di Bala Murghab, hanno perso la vita il Sergente Massimiliano Ramadù e il Caporal Maggiore Luigi Pascazio.

Il 23 giugno 2010 è rimasto vittima di un incidente il Caporal Maggiore Scelto Francesco Saverio Positano.

Il 25 luglio 2010 ha perso la vita il Capitano Marco Callegaro.

Il 28 luglio 2010 il Primo maresciallo della Brigata Taurinense Mauro Gigli e il Caporal Maggiore Pier Davide De Cillis sono deceduti nei pressi di Herat durante un’operazione di sminamento probabilmente vittima di un “ordigno-trappola”.

Il 17 settembre 2010, a seguito delle ferite riportate nel corso di un’operazione svoltasi nel distretto di Bakwa, ha perso la vita il Tenente Alessandro Romani.

Il 9 ottobre 2010 hanno perso la vita in un’imboscata nel distretto di Gulistan, nella provincia di Farah quattro militari in forza al 7° reggimento alpini di Belluno della brigata Julia: il caporalmaggiore Gianmarco Manca, il caporalmaggiore Marco Pedone, il caporalmaggiore Sebastiano Ville, il caporalmaggiore Francesco Vannozzi.

Hanno inoltre perso la vita durante la missione l’agente del SISMI Lorenzo D’Auria (24 settembre 2007) e il funzionario dell’AISE Pietro Colazzo (26 febbraio 2010).

 

I caveat per l’impiego del contingente italiano in operazioni militari

 

Durante le comunicazioni sugli sviluppi relativi alle missioni internazionali, che sono state svolte nella seduta delle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera e del Senato l’11 giugno 2008, i Ministri degli affari esteri e della difesa hanno riferito in merito alle modifiche dei cosiddetti caveat[9] per la missione ISAF in Afghanistan.

Il Ministro degli esteri Frattini ha richiamato il Vertice NATO di Bucarest (2-4 aprile 2008), che ha deciso di rafforzare il sostegno militare e politico all'ISAF, considerando la riflessione sui caveat come lo sviluppo di tale decisione.

Il Ministro della difesa La Russa ha precisato che le non esiste “alcuna limitazione all'utilizzo del nostro contingente nelle regioni ovest, nord e della capitale: lì il dispiegamento è già autorizzato. Nelle regioni est e sud, invece, a differenza di molte altre nazioni che operano nel contingente, il nostro contingente può essere dislocato solo per operazioni di eccezionale necessità e urgenza, senza bisogno di alcuna autorizzazione politica, per una scelta che può fare direttamente il comandante della missione. Si tratta di quelle che vengono definite in gergo in extremis operation”.

Qualora “in queste regioni, il comando ISAF, per specifiche e limitate operazioni in tempi ben definiti, chieda che il nostro contingente venga dispiegato” La Russa ricordava che, fino a quel momento, “il caveat prevede che si possa fare, purché ci sia l'ok delle autorità italiane. Il tempo che gli italiani si sono riservati per dare una risposta è di 72 ore” precisando che in “sostanza, non si è mai verificata, fino ad ora, una utilizzazione in questa direzione.”

Il Ministro sottolineava che, invece, “nell'ipotesi in cui ne avessimo bisogno, non avendo gli altri questi caveat, otterremmo in tempi immediati la disponibilità da parte di altri, sempre su richiesta del comando dell'ISAF” e che pertanto era necessario “che la risposta deve arrivare in tempi brevissimi: entro 6 ore anziché entro 72 ore.“

La Russa puntualizzava che “questa variante non deve portare a preoccupazioni in ordine ad un eventuale nuovo utilizzo del contingente (…)” e che “l'eventuale uso della forza da parte dei nostri militari avviene unicamente in funzione delle circostanze e in misura proporzionale alla situazione, nel rispetto del diritto internazionale, delle norme e degli usi sui conflitti armati, nonché delle leggi e dei regolamenti nazionali e in coerenza con quelli delle forze cooperanti. Non modificheremo assolutamente nulla della qualità di impiego dei nostri soldati.”

Il Ministro della difesa ammetteva “che da più parti, in via formale o informale, è pervenuta la richiesta di (…) poter già considerare disponibili all'impiego in altri quadranti i nostri soldati” ma che il Governo italiano aveva unicamente “modificato il termine temporale all'interno del caveat” e non “consentito che si aprisse una discussione su «caveat sì» o «caveat no».”

Il Ministro La Russa riconosceva infine che, con questa modifica, potrebbe “anche capitare che (…) avremo un effettivo maggiore impiego dei nostri soldati. D'altronde, non avremmo potuto evitarlo neanche con l'attuale previsione di 72 ore (…) perché da parte nostra sarebbe stato strano, a seguito di una richiesta urgente, aspettare 72 ore per rispondere.”

Da ultimo, a seguito dell’attacco del 9 ottobre 2010 nella provincia di Farah, che ha causato la morte di quattro militari italiani, il ministro della difesa La Russa ha avviato una riflessione, oggetto anche delle sue comunicazioni alla Camera del 13 ottobre, sull’opportunità di dotare gli aerei del contingente italiano di armamenti con scopi di difesa dei militari impegnati sul terreno.

 


Sintesi della documentazione riprodotta

Con riferimento agli sviluppi più recenti della missione ISAF, merita in primo luogo segnalare l’audizione di fronte alla Commissione Forze Armate del Senato del Generale Petraeus, per la conferma a Comandante delle forze USA ed ISAF in Afghanistan, del 29 giugno 2010 (come è noto il predecessore del generale Petraeus, il generale Mc Chrystal è stato rimosso dal presidente Obama a seguito delle critiche espresse nei confronti dell’Amministrazione nell’intervista al mensile “Rolling Stone”). Nell’audizione sono infatti confermate le linee guida principali della nuova strategia adottata in Afghanistan a partire dal dicembre 2009. In particolare:

§         Petraeus ricorda le finalità dell’intervento in Afghanistan, vale a dire la tutela della sicurezza degli USA a fronte del rischio che, con il ritorno al potere dei talebani, l’Afghanistan torni ad essere un rifugio per Al-Qaeda e quindi un centro di pianificazione di attacchi contro gli USA.

§         L’impegno, poi effettivamente realizzato (cfr. sezione Dati statistici), a raggiungere un totale di 100.000 militari USA in Afghanistan entro la fine di agosto.

§         La conferma di un approccio intergrato civile e militare alla crisi in Afghanistan, in cooperazione con gli altri Stati NATO e della coalizione, con le Nazioni Unite e con il governo afgano.

§         La conferma del luglio 2011 come inizio di un processo di trasferimento di compiti alle forze afgane e quindi del ritiro delle truppe USA.

 

In vista del vertice di Lisbona, un articolo apparso sul New York Times[10] riporta indiscrezioni in base alle quali il Generale Petraeus avrebbe sottoposto ai leader NATO un progetto di exit strategy in Afghanistan che, confermando per il luglio 2011 l’avvio della cessione di potere alle forze afgane, individua nel 2014 l’avvio del sostanziale ritiro americano.

 

§         La conferma dell’impegno a ridurre al minimo le perdite civili; al riguardo il Generale Petraeus ha annunciato l’intenzione di bilanciare tale esigenza con quella di tutela delle truppe, secondo alcuni compromessa dall’interpretazione data alle regole di ingaggio predisposte dal predecessore di Petraeus, il Generale Mc Chrystal, interpretazione che avrebbero limitato eccessivamente le possibilità di protezione delle truppe a terra, al fine di evitare vittime civili nei bombardamenti.

 

La revisione di alcuni aspetti delle regole di ingaggio (ferma restando la priorità di minimizzare le vittime civili) è stata effettivamente posta in essere dal Generale Petraeus nel mese di settembre; non si possiedono ancora elementi per valutarne le conseguenze, mentre i dati disponibili fino a giugno 2010 confermano la riduzione notevole delle vittime civili (al riguardo cfr. infra).

 

Successivamente all’audizione di Petraeus elementi di valutazione interessanti sulla situazione in Afghanistan sono contenuti nel rapporto del Segretario Generale dell’ONU all’Assemblea Generale del settembre 2010. In particolare il rapporto indica il numero di vittime civili (morti o feriti) collegati al conflitto dal primo gennaio al 30 giugno 2010 in 3268, con un aumento del 31% rispetto ai primi sei mesi del 2009; le forze dell’insorgenza e antigovernative sono responsabili di 2477 vittime con un aumento del 53% rispetto allo stesso periodo del 2009. Le vittime attribuibili alle forze governative e di ISAF ammontano a 386, con un decremento del 30 % rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente come risultato di un significativo declino di morti e feriti provocati dagli attacchi aerei.

 

I dati sulla riduzione delle vittime civili appaiono confermati, in particolare rispetto ai picchi raggiunti nel 2009, dai dati raccolti dall’Afghanistan index della Brookings Institution riportati sotto (cfr. in particolare le figure 1.28 e 1.30, fonti: Dipartimento della difesa USA e ONU). L’Afghanistan index conferma poi l’aumento, nella primavera-estate, degli attacchi dell’insorgenza, anche se il livello rimane significativamente più basso rispetto al picco raggiunto nell’estate 2009 (figura 1.16 fonte ISAF).

 

Nella sezione Dati statistici sono ripresi anche alcuni dati contenuti nel Pakistan index, sempre predisposto dalla Brookings Institution, che fornisce interessanti elementi di informazione sulla situazione di questo Stato. Tra questi si segnala qui il significativo aumento nei mesi estivi degli attacchi terroristici, anche se gli stessi rimangono inferiori, oltre che ai livelli raggiunti di fine 2008 e dell’estate 2009 anche a quelli di inizio 2010, fonte Pakistan Institute for Peace Studies. Altro elemento significativo è dato dal notevole aumento di attacchi di Droni USA e NATO in Pakistan dai 5 del 2007 si è passati ai 35 del 2008, ai 53 del 2009 e agli 88 del 2010 (dato aggiornato al 26 ottobre; fonte The Long War Journal), nonché la loro concentrazione nella regione del Nord Waziristan; merita segnalare anche il significativo aumento delle operazione anti-terroristiche condotte dall’esercito pakistano nel 2009 rispetto al 2008, mentre il dato relativo al 2010 non appare molto significativo in quanto aggiornato a metà febbraio (anche se forse si può ipotizzare una diminuzione nelle operazioni, fonte Servizi Segreti pakistani).

 

Nella sezione Interpretazioni ed opinioni è riprodotta una selezione delle molteplici analisi che negli ultimi mesi si stanno confrontando sull’andamento delle operazioni in Afghanistan e sulle prospettive di successo della nuova strategia USA.

In particolare un’ampia interpretazione è fornita dal Discussion Paper del Crisis State Research Centre della London School of Economics. Il rapporto sostiene l’esistenza di un forte legame, in termini di addestramento, finanziamento ed approvvigionamento dei Servizi Segreti pakistani nei confronti dei gruppi talebani e del Haqqani Network, i due principali raggruppamenti dell’insorgenza afgana. In tal senso l’interpretazione del conflitto fornita dal Paper sottolinea come sia necessario, ai fini del successo della strategia controinsurrezionale in atto e dei contatti con parti dell’insorgenza in svolgimento, il coinvolgimento del Pakistan, fornendo delle rassicurazioni allo stesso sulle sue cause di insicurezza, a partire dal conflitto latente con l’India.

Più specificamente dedicati alle prospettive di successo della strategia controinsurrezionale sono le due diverse (e per certi versi contrapposte) analisi dello Strategic Survey 2010 dell’International Institute for Strategic Studies e di Michael O’Hanlon della Brookings Institution.

Lo Strategic Survey sostiene, attraverso una ricostruzione degli eventi dal giugno 2009 al giugno 2010, il deterioramento della situazione della sicurezza in Afghanistan, senza peraltro esprimere una valutazione sul successo dell’operazione MOSHTARAK dello scorso febbraio (anche se una ricostruzione dettagliata dell’operazione e dei risultati  riportati dichiarati dalla NATO è contenuta in un’apposita mappa cfr. infra). Lo Strategic Survey sottolinea anche il deterioramento della situazione in Pakistan. In particolare si ricorda come dal luglio 2009 l’esercito pakistano abbia abbandonato la precedente politica di accordi con gli insorgenti locali, dopo il fallimento dell’accordo sull’introduzione della sharìa nella zona di Malakand (l’applicazione dell’interpretazione talebana della sharìa aveva peraltro suscitato la ribellione delle popolazioni locali); ancora nel 2010 continuano le operazioni dell’esercito pakistano nelle vicine regioni dello Swat e del sud Waziristan. Il Survey sottolinea la necessità di distinguere tra le forze talebane pakistane, impegnate nella destabilizzazione dello Stato e i talebani afgani che invece non coltivando obiettivi in Pakistan, fino a questo momento non hanno subito attacchi dall’esercito pakistano (ed in proposito si richiamano anche le considerazioni del Discussion paper del Crisis State Research Centre sopra ricordate). Al riguardo, lo Strategic Survey rileva che gli arresti degli esponenti della Shura di Quetta (organo di dirigenza dei talebani afgani presente in Pakistan) degli inizi del 2010, ed in particolare quello di un alto esponente come il Mullah Baradar, possono essere interpretati in modo ambivalente: da un lato questi potrebbero indicare l’intenzione del Pakistan di rivolgersi anche contro i talebani afgani (ed in tal senso, l’interpretazione del Discussion paper del Crisis State Research Centre potrebbe ritenersi non corretta o comunque superata); dall’altro si può anche ipotizzare che gli arresti nascessero dalla volontà di sabotare le trattative in atto tra esponenti talebani (tra cui lo stesso Baradar) e il governo afghano, per impedire accordi che non tutelassero gli interessi pakistani. Infine lo Strategic Survey con un’apposita mappa geografica ricostruisce le attività di Al Qaeda, rilevando come la rete terroristica stia diminuendo le proprie attività in Afghanistan e Pakistan (si citano fonti dell’intelligence USA che indicano una significativa diminuzione nell’afflusso di stranieri ai campi di addestramento della rete nei due Stati) per concentrarsi in altri territori come Somalia e Yemen. In tal senso, lo Strategic Survey sembra sposare una visione pessimistica dell’andamento delle operazioni, invitando anche (ad esempio nell’ambito delle conclusioni generali del volume, qui non riportate) a riconsiderare la strategia in Afghanistan alla luce delle effettive esigenze di sicurezza occidentali

L’intervento di Michael O’ Hanlon esprime invece un sostegno alla strategia controinsurrezionale attualmente in atto, da integrare però, nell’ottica di quanto sostenuto anche dal Discussion Paper del Crisis State Research Centre, da una forte intesa con il Pakistan. O’ Hanlon non nasconde la persistente forza dell’insorgenza afgana, le sue dimensioni ancora crescenti, la persistente eccessiva corruzione del governo afghano. Tuttavia, indica, tra i segnali positivi il numero relativamente ridotto di attacchi in occasione delle elezioni parlamentari afgane; i progressi nell’addestramento delle forze di sicurezza afgane (dove si sta cercando di incrementare gli arruolamenti provenienti dai Pashtun delle regioni meridionali, dove è più forte l’insorgenza, attualmente sottorappresentati rispetto ai Pashtun del centro e del Nord del paese); i progressi nello sviluppo di organi di autogoverno locali. I progressi fin qui raggiunti potrebbero essere molto rafforzati da un’intesa stabile con il Pakistan che, come rilevato anche dal Discussion Paper del Crisis States Research Centre, risolva le esigenze di sicurezza del Paese attraverso un’intesa sul nucleare e lo sviluppo di solide relazioni con gli USA (ed anche con la Cina, che, come altre analisi sottolineano, vede nel porto pakistano di Karachi un ottimo sbocco al mare per i propri minerali delle “terre rare”).

 

Se queste sono alcune delle possibili linee interpretative della situazione attuale, diverse risultano anche le opzioni possibili per le politiche da adottare nell’immediato futuro. Nel presente dossier si riportano le opposte opinioni di Robert Blackwill ed Ahmed Rashid

La posizione di Robert Blackwill (ex-ambasciatore USA in India ed inviato dell’amministrazione Bush in Iraq) per certi aspetti sembra portare alle estreme conseguenze quella che è vista come la principale alternativa alla strategia controinsurrezionale in atto, vale a dire l’adozione di un sostanziale disimpegno in Afghanistan, limitando l’intervento USA ad una strategia di attacchi contro le basi terroristiche sia in Afghanistan e Pakistan (posizione, questa, sostenuta nell’ambito dell’amministrazione USA dal vicepresidente Biden): infatti, in uno scenario di medio periodo, Blackwill prospetta l’opportunità (non come migliore soluzione in astratto, ma come miglior risultato raggiungibile nelle condizioni date) di giungere ad una partizione de facto dell’Afghanistan, lasciando il Sud, prevalentemente pashtun ai talebani (anch’essi pashtun) e concentrandosi nella protezione delle popolazioni non pashtun dell’Ovest e dell’Est, fermo restando l’utilizzo della deterrenza aerea contro le attività terroristiche di Al Qaeda.

Ahmed Rashid esprime una forte critica a tale approccio, sottolineando la necessità di evitare di stimolare l’odio interetnico in Afhganistan ed invitando a non sovrapporre, come tragicamente si è fatto in passato, pashtun e talebani. Unica via di uscita dal conflitto, secondo Rashid, è l’immediato avvio di colloqui con i talebani, creare un consenso regionale con gli Stati vicini al riguardo, assumere un impegno a lungo termine per la ricostruzione civile dell’Afghanistan.  

 


SIWEB

Dati statistici

 


 

    Afghanistan Index

 

Di seguito si riporta un estratto del Afghanistan index redatto dalla Brookings Institution del 19 ottobre 2010. Nell’Afghanistan index sono riportate statistiche di diversa natura e diversa fonte sulla situazione afgana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico sociale ed economico. La stessa Brookings Institution precisa che la maggior parte delle informazioni proviene dal Governo USA anche se le stesse vengono spesso rielaborate in modo da mostrare i trend complessivi a partire dal 2001. Le informazioni provengono anche da fonti ONU, da organizzazioni non governative e da giornalisti stranieri sul campo. Ad ogni modo per ogni grafico di seguito fornito viene indicata con un’apposita nota la fonte di provenienza. In particolare nell’estratto vengono di seguito indicati (dove non altrimenti specificato le figure forniscono la serie storica dei relativi dati a partire dal 2001):

 

§               Figura 1.1 Truppe statunitensi impiegate in Afghanistan;

§               Figura 1.2; Entità dei diversi contingenti nazionali

§               Figura 1.3 Truppe NATO impiegate in Afghanistan;

§               Figura 1.4 Ripartizione delle truppe NATO nei diversi comandi regionali da ottobre 2006;

§               Figura 1.5 Dimensione delle forze di sicurezza afgane;

§               Figura 1.6 Crescita annua, per effettivi, dell’esercito nazionale afgano dal 2003 ad oggi;

§               Figura 1.7 Reclutamento annuale dell’esercito nazionale afgano con indicazione delle reclute, del tasso di arruolamento definitivo e del tasso di assenze senza permesso;

§               Figura 1.13 Numero dei contractors privati del Ministero della difesa USA in Afghanistan, dal 2008 al 2010;

§               Figura 1.16 Numero e tipo di attacchi dell’insorgenza per settimana, dal gennaio 2004 ad oggi;

§               Figura 1.19 Operazioni speciali statunitensi contro i talebani, estate 2010;

§               Figura 1.21 Vittime statunitensi e delle forze alleate da ottobre 2001;

§               Figura 1.22 Cause di morte nell’esercito americano dal 2001 al 2010;

§               Figura 1.23 Vittime militari dei paesi della coalizione (esclusi gli USA);

§               Figura 1.24 Percentuale delle diverse cause di morte dei paesi della coalizione;

§               Figura 1.25 militari americani feriti impegnati in azioni militari dal 30 ottobre 2001.

§               Figura 1.26 Contractors uccisi in Afghanistan dal 2001 al 2010;

§               Figura 1.27 Vittime nell’esercito nazionale e nella polizia afgana, gennaio 2007-2010;

§               Figura 1.28 Vittime civili di morte violenta stimate dal 2007 ad oggi;

§               Figura 1.30 Percentuale stimata di vittime civili afgane raggruppate per tipologia di cause di morte 2006-2010;

§               Figura 1.38 Numero di combattenti e leader stimati in Afghanistan e Pakistan;

§               Figura 2.1 Percentuale delle diverse etnie della popolazione afgana;

§               Figura 2.2 Percentuale delle diverse componenti dei principali organi legislativi afgani;

§               Figura 2.9 Coltivazione annua di oppio in Afghanistan (per ettaro) e percentuale della produzione globale;

§               Figura 2.10 Produzione annua di oppio in Afghanistan (per  tonnellata) e percentuale della produzione globale;

§               Figura 2.11 Livelli di coltivazione di oppio in Afghanistan (con le regioni maggiori produttori), 2004-2010 (espressi in ettari);

§               Figura 2.12 Raffronto tra le regioni maggiori produttrici di oppio, sulla base della quantità di terreno riservata alla coltivazione, 2004 e 2009;

§               Figura 2.14 Posizione dell’Afghanistan nella classifica sulla libertà di stampa di Réporters sans frontières, 2002-2010;

§               Figura 2.15 Posizione dell’Afghanistan nella classifica sulla percezione della corruzione di Transparency International, 2002-2010;

§               Figura 3.1 Inflazione annua;

§               Figura 3.2 PIL nominale, 2002/2003-2009/2010;

§               Figura 3.3 Crescita del PIL e contributo alla crescita dei diversi settori;

§               Figura 3.10 Confronto delle capacità di approvvigionamento elettrico;

§               Figura 3.11 Stima delle utenze telefoniche in Afghanistan;

§               Figura 3.12 Percentuale della popolazione afgana con accesso ai servizi idrici;

 


 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


    Pakistan Index

 

Di seguito si riporta un estratto del Pakistan index redatto dalla Brookings Institution del 26 ottobre 2010. Nel Pakistan index sono riportate statistiche di diversa natura e diversa fonte sulla situazione pakistana, sia dal punto di vista militare sia dal punto di vista politico sociale ed economico. Per ogni grafico di seguito fornito viene indicata con un’apposita nota la fonte di provenienza. In particolare nell’estratto vengono di seguito indicati:

 

§               Numero di attacchi mensili dall’ottobre 2008 ad oggi;

§               Vittime mensili a seguito di attacchi terroristici dall’ottobre 2008 ad oggi;

§               Vittime mensili per provincia dal gennaio 2006 ad oggi;

§               Numero annuo di attacchi suicidi per provincia 2002-2009;
Stima dei leader e dei combattenti di Al-Qaeda in Afghanistan e Pakistan;

§               Forze pakistane impiegate al confine afgano 2001-2010;

§               Numero annuo degli attacchi di Droni in Pakistan 2004-2010;

§               Numero mensile di attacchi di Droni in Pakistan 2004-2010;

§               Localizzazione per distretto degli attacchi di Droni in Pakistan 2004-2010;

§               Stima delle vittime di attacchi con Droni in Pakistan dal 2006 al 2010;

§               Operazioni condotte dall’esercito pakistano dal 2001 al 2010;

§               Perdite dell’esercito pakistano 2001-2010;

§               Giornalisti uccisi in Pakistan dal 1992;

§               Informazioni demografiche sulla popolazione pakistana;

§               Ripartizione dei seggi nell’assemblea Nazionale pakistana;

§               Descrizione dei principali partiti politici pakistani;

§               Punteggio del Pakistan nell’Indice della libertà di stampa di Réporters sans frontières, 2002-2010;

§               Punteggio del Pakistan nell’Indice della corruzione percepita di Transparency International, 2001-2010;

§               Punteggio del Pakistan nell’Indice della competitività globale del World Economic Forum;

§               Tasso di crescita del PIL;

§               Tasso di crescita del PIL per settore;

§               Investimenti esteri in Pakistan, 2001-2010;

§               Investimenti esteri in Pakistan per settore, 2001-2010;

§               Tasso di alfabetizzazione;

§               Utenze telefoniche fisse e mobili 2002-2008;

§               Percentuale di utenti di Internet;

§               Aiuti USA diretti e alle Forze militari in Pakistan dall’anno fiscale 2002 all’anno fiscale 2011;

§               Sondaggio PEW sul grado di soddisfazione della popolazione pakistana nei confronti della situazione generale;

§               Sondaggio PEW sul grado di fiducia della popolazione pakistana nei confronti dei leader politici locali, delle organizzazioni di Al-Qaeda e dei talebani, degli USA e degli americani;

§               Sondaggio PEW sulla percezione della situazione economica in Pakistan;

§               Sondaggio PEW sulla percezione della compatibilità con l’Islam degli attacchi suicidi.

 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 

 


 

 

 


 

 


 

 

 

 


 


 


 

 

 

 


 

 

 

 

 


 

 


 

 


 

 




[1]    S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studieswww.iiss.org)

[2]    Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Silvestri, Che fare in Afghanistan, in www.affarinternazionali.it, 9 febbraio 2010

[3]    Per questa interpretazione cfr. ad esempio S. Jones, Averting Failure in Afghanistan, in “Survival”, Spring 2006, pp.111-128 (nel sito dell’International Institute for Strategic Studies www.iiss.org) e N. Grono – C. Rondeaux, Dealing with brutal Afghan warlords is a mistake, Boston Globe 17 gennaio 2010, (nel sito dell’International Crisis Group, www.crisisgroup.org)

[4]    Cfr. Osservatorio di politica internazionale, Mediterraneo e Medio Oriente, a cura del CeSI, n. 2 aprile/giugno 2010.

[5]  Su questi aspetti cfr. La situazione in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale”a cura del CeSPI, 16 dicembre 2008 e www.crisisgroup.org/Afghanistan

[6]    Su questi aspetti cfr. La produzione di oppio in Afghanistan, “Osservatorio di politica internazionale” a cura dell’ISPI, 9 febbraio 2009.

[7]    “Washington Post” 6 ottobre 2010

[8]    Fonte: Scheda notizie sulla partecipazione italiana alla missione NATO ISAF (aggiornata al 26 novembre 2009) in www.difesa.it

[9]    I caveat sono i limiti all'impiego delle forze nazionali nell’ambito di una missione militare internazionale. Le singole forze nazionali possono applicare tali limitazioni (caveat) alle regole generali dettate per tutti i contingenti della missione.

[10]   P. Baker, R. Nordland, U.S. Plan Envisions Path to Ending Afghan Combat, the New York Times, novembre 2010.