Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Le proposte legislative della Commissione europea per la riforma della governance economica dell'UE |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE Numero: 25 |
Data: | 30/06/2023 |
Organi della Camera: | V Bilancio, XIV Unione Europea |
XIX LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
Esame di atti e documenti dell’UE
Le proposte legislative della Commissione europea per la riforma della governance economica dell’UE
Senato della Repubblica Servizio degli affari internazionali UFFICIO DEI RAPPORTI CON LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA Servizio studi Ufficio per le ricerche nei settori economico e finanziario
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Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea Servizio Studi Osservatorio sulla finanza pubblica e sulle politiche di bilancio e per i rapporti con gli enti, nazionali e internazionali, competenti in materia |
n. 40 |
n. 25 |
Servizio degli Affari internazionali
Ufficio dei rapporti con le istituzioni dell’Unione Europea
TEL. 06-6706-4561 – affeuropei@senato.it
Servizio Studi
Ufficio per le ricerche nei settori economico e finanziario
TEL. 06-6706-2451 - studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier n. 40
Ufficio rapporti con l’Unione europea
TEL. 06-6760-2145 - cdrue@camera.it - @CD_europa
Servizio Studi
TEL. 06-6760-3410 – st_segreteria@camera.it
Osservatorio sulla finanza pubblica e sulle politiche di bilancio e per i rapporti con gli enti, nazionali e internazionali, competenti in materia
TEL. 06-6760-5501 – osservatorio.fp@camera.it
Dossier n. 25
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I N D I C E
Il dibattito sulla riforma (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’UE della Camera)
Stato e prospettive negoziali (a cura dell’Ufficio Rapporti con l’UE della Camera)
II Parte - Il contenuto delle proposte
Tipo e numero atto |
Proposte di regolamento COM(2023)240 e 241; proposta di direttiva COM(2023)242 |
Data di adozione |
26 aprile 2023 |
Settori di intervento |
Governance economica; politica fiscale; investimenti; macroeconomia; pianificazione nazionale; debito pubblico; diseguaglianza economica; riforma economica; adeguamento strutturale; zona euro |
Assegnazione |
Camera: 12 giugno 2023 - V Commissione Bilancio Senato: 13 e 19 giugno 2023 – 5a Commissione Bilancio |
Segnalazione da parte del Governo |
Sì |
Relazione del Governo ex art. 6 della legge 234 |
No |
Il 26 aprile 2023 la Commissione europea ha presentato tre proposte legislative per riformare il quadro di regole della governance economica dell’UE, costituito essenzialmente dal quadro della politica di bilancio (Patto di stabilità e crescita e requisiti per i quadri di bilancio nazionali) e dalla procedura per gli squilibri macroeconomici, nonché dal quadro per i programmi di assistenza finanziaria macroeconomica. Si tratta in particolare:
1) della proposta di regolamento (COM(2023)240), avente come base giuridica l’art. 121, paragrafo 6, del TFUE, che sostituisce e abroga il regolamento (CE) n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (si tratta del regolamento che istituisce il Semestre europeo e il cd. "braccio preventivo" del Patto di stabilità e crescita);
2) della proposta di regolamento del Consiglio (COM(2023)241), avente come base giuridica l’art. 126, paragrafo 14, comma 2, del TFUE, che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (nota come "braccio correttivo" del Patto di stabilità e crescita);
3) della proposta di direttiva (COM(2023)242), avente come base giuridica l’art. 126, paragrafo 14, comma 3, del TFUE, che modifica la direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri nazionali di bilancio.
Per effetto delle differenti basi giuridiche la proposta che sostituisce il regolamento (CE) n. 1466/97 segue la procedura legislativa ordinaria (approvazione in identico testo al Parlamento europeo in Consiglio a maggioranza qualificata); le altre due proposte seguono una procedura legislativa speciale, secondo la quale il Parlamento europeo ha un mero ruolo consultivo. In Consiglio, la proposta che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 deve essere approvata all’unanimità, mentre quella che modifica la direttiva 2011/85/UE a maggioranza qualificata.
La prima parte del presente dossier ricapitola sinteticamente le tappe principali della discussione sulla riforma della governance, illustra gli elementi fondamentali delle proposte e sullo stato e le prospettive del negoziato in corso sulle medesime, con particolare riferimento alla posizione del Governo italiano, anche alla luce delle osservazioni e dei rilievi formulati dalle Commissioni V Camera e 5a Senato.
La seconda parte espone il dettaglio i contenuti delle singole proposte, operando un confronto con la disciplina vigente ed evidenziando ove appropriato aspetti da approfondire.
La terza ed ultima parte, infine, contiene un’analisi approfondita dei profili di finanza pubblica delle proposte, volta anche a chiarire la portata e le implicazioni di criteri, valori di riferimento e indicatori introdotti o modificati dalle proposte in esame.
Ove appropriato, sono operati, per ridurre duplicazioni e per una illustrazione o analisi più approfondita di specifici profili, rinvii espliciti da una parte all’altra del dossier.
Le proposte in esame sono il risultato di un’ampia e articolata discussione sull’opportunità di riformare le regole economiche e di bilancio dell’Unione europea allo scopo di migliorarne la comprensibilità e la trasparenza, adattarle al contesto macroeconomico e alle nuove priorità politiche perseguite dall’UE, come le transizioni verde e digitale, nonché dotarle di maggiore efficacia. A tutte le fasi del dibattito, avviato più di tre anni fa ha partecipato attivamente anche il Parlamento italiano (v. infra).
In estrema sintesi, la riflessione è stata avviata dalla Commissione europea nel febbraio 2020 e sospesa poco dopo per la necessità di concentrarsi sulle sfide poste dalla pandemia di COVID-19[1]. È stata rilanciata dalla Commissione ad ottobre 2021[2], anche al fine di tenere conto del mutato contesto macroeconomico risultante dalla crisi pandemica (in particolare del significativo aumento dei livelli di indebitamento determinato dalla grave recessione e dalla necessaria risposta di bilancio), nonché dei nuovi strumenti che l’UE ha varato per fronteggiarla, su tutti Next Generation EU, finanziato con l’emissione di debito comune, e il suo principale programma, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, nel cui ambito si collocano i Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR).
A novembre 2022, vagliati i contributi presentati da una pluralità di soggetti, tra cui istituzioni dell’UE, governi e parlamenti nazionali, cittadini, parti sociali, istituzioni non governative e mondo accademico e considerate le posizioni degli Stati membri la Commissione ha pubblicato orientamenti di riforma[3], volti anche a favorire una convergenza tra le diverse posizioni emerse. Sugli orientamenti sono proseguiti i negoziati e il dibattito anche in seno alle Camere.
Il Consiglio Ecofin del 14 marzo 2023 ha fissato nelle proprie conclusioni alcune linee di convergenza per la riforma[4], segnalando al tempo stesso le questioni che necessitavano di ulteriori approfondimenti. Le conclusioni sono state avallate dal Consiglio europeo del 23 marzo.
Il contenuto delle proposte in esame si colloca in buona parte nel solco degli orientamenti della Commissione e delle conclusioni del Consiglio, ma se ne discosta per alcuni aspetti, poiché tiene conto anche dei successivi confronti e sviluppi negoziali intercorsi tra la Commissione europea e gli Stati membri (v. infra).
Le tre proposte in esame mirano a coniugare sostenibilità del debito e crescita, attraverso riforme e investimenti, differenziando gli Stati membri in considerazione delle loro sfide di debito pubblico e consentendo traiettorie di bilancio specifiche per Paese.
Il rafforzamento della titolarità nazionale, la semplificazione e la trasparenza delle regole, la maggiore attenzione al medio termine, insieme a un’applicazione più efficace, sono gli altri obiettivi delineati dalle proposte.
Le proposte sono presentate a trattati vigenti: restano, pertanto, invariati i parametri di riferimento del 3% per il rapporto tra il disavanzo pubblico e il PIL e del 60% per il rapporto tra il debito pubblico e il PIL.
Nel quadro della riforma, come già ampiamente preannunciato, non viene proposta alcuna golden rule per escludere determinati investimenti, in modo particolare quelli per sostenere le transizioni verde e digitale o per aumentare le capacità di difesa, dalle norme di bilancio dell’UE, così come non si prevede una forma di capacità fiscale centrale comune, elementi sui quali l’Italia ha sempre espresso il proprio favore.
Nel quadro del nuovo braccio preventivo, tutti gli Stati membri dovranno presentare un piano strutturale nazionale di bilancio a medio termine (durata 4-7 anni) con cui stabilire la politica di bilancio, le riforme e gli investimenti nonché un percorso di bilancio nazionale definito in termini di spesa primaria netta, che sarà l’unico indicatore operativo anche per la successiva sorveglianza. Analogamente a quanto previsto per i PNRR, i piani di bilancio saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio. Il monitoraggio sull’attuazione dei piani nel contesto del Semestre europeo sarà effettuato sulla base di una relazione annuale presentata da ciascuno Stato.
Di seguito un grafico della Commissione europea (tradotto a cura degli uffici di Camera e Senato), che riassume il nuovo processo di sorveglianza fiscale proposto
All’inizio del processo di definizione dei piani, per gli Stati con un rapporto debito/PIL superiore al 60% o un disavanzo superiore al 3% del PIL, la Commissione pubblicherà una “traiettoria tecnica” della spesa netta su un orizzonte temporale di 4 o 7 anni, ancorata a un’analisi di sostenibilità del debito (debt sustainability analysis, DSA), volta ad assicurare che:
1) il rapporto debito/PIL sia avviato o mantenuto su un percorso di riduzione plausibile o rimanga a livelli prudenti e il disavanzo pubblico sia portato o mantenuto al di sotto della soglia del 3% del PIL;
2) lo sforzo di aggiustamento di bilancio durante il periodo del piano sia almeno proporzionale allo sforzo complessivo compiuto nell’arco dell’intero periodo di aggiustamento (per evitare che lo sforzo di aggiustamento sia concentrato negli anni finali del periodo di aggiustamento);
3) il rapporto debito pubblico/PIL al termine dell’orizzonte di programmazione sia inferiore rispetto a quello registrato nell’anno precedente l’inizio della traiettoria tecnica;
4) nel periodo coperto dal piano, la crescita della spesa netta nazionale resti, di norma, mediamente inferiore alla crescita del PIL a medio termine;
5) per gli anni in cui si prevede che il disavanzo pubblico superi il 3%, il percorso correttivo di spesa netta sia coerente con un aggiustamento annuo minimo pari almeno allo 0,5% del PIL (a prescindere dall’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo).
Le ultime quattro di tali condizioni costituiscono clausole di salvaguardia aggiunte dalla Commissione europea per venire parzialmente incontro alle richieste dei Paesi frugali (v. infra).
Invece, per gli Stati con disavanzo pubblico inferiore al 3% e debito pubblico inferiore al 60% del PIL la Commissione fornirà soltanto informazioni tecniche volte a garantire che il disavanzo resti al di sotto del valore di riferimento del 3% anche nel medio periodo ossia senza alcun ulteriore intervento per un periodo di 10 anni dopo la chiusura del piano.
Le traiettorie tecniche e le informazioni tecniche guideranno gli Stati membri nella definizione dei loro piani. Gli Stati m dovranno spiegare la presenza di traiettorie di spesa netta più elevate rispetto alla traiettoria tecnica della Commissione.
Per approfondimenti sulla portata, le implicazioni e le criticità della DSA e delle traiettorie tecniche si rinvia alla terza sezione del presente dossier.
Di seguito un grafico della Commissione europea (tradotto a cura degli uffici di Camera e Senato), che riassume il percorso di aggiustamento fiscale proposto:
Deviazioni dal percorso di consolidamento saranno contemplate in caso di grave contrazione dell’attività economica nell’Eurozona o nell’Unione nel suo complesso o per il sopraggiungere di cause eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato interessato.
Il maggiore controllo conferito agli Stati membri sull’elaborazione dei propri piani a medio termine è controbilanciato dall’introduzione di un regime di applicazione più rigoroso, volto a garantire che gli Stati rispettino gli impegni assunti. Nel quadro del nuovo braccio correttivo del Patto, infatti, la procedura basata sulla violazione del criterio del disavanzo rimane invariata, mentre quella basata sulla violazione del criterio del debito viene rafforzata, nel senso che il mancato rispetto del percorso di bilancio concordato comporterà automaticamente l’apertura della procedura per i Paesi con un debito superiore al 60%.
Viene, quindi, abbandonata la cd. “regola dell’1/20”, ritenuta eccessivamente onerosa, stante gli attuali livelli di debito. La sorveglianza si concentrerà solamente sul rispetto della linea di spesa netta fissata nel piano nazionale e approvata dal Consiglio.
La nuova direttiva rafforza la titolarità nazionale, con un ruolo più importante e nuovi compiti per gli enti di bilancio indipendenti (in Italia, l’Ufficio parlamentare di bilancio) e promuove un orientamento a medio termine della programmazione di bilancio.
La Commissione ritiene che il quadro proposto incorpori nel quadro giuridico dell’UE la sostanza delle disposizioni fiscali del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance, il cd. Fiscal compact.
La Commissione non propone invece modifiche legislative alla procedura per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, ma dichiara che intende perseguire una sua migliore applicazione nell’ambito del quadro giuridico esistente.
In particolare, il Consiglio potrà adottare una raccomandazione che stabilisca l’esistenza di uno squilibrio eccessivo qualora lo Stato membro non rispetti gli impegni di riforma e di investimento inclusi nel piano strutturale di bilancio a medio termine, volti a dare seguito alle raccomandazioni specifiche per Paese pertinenti nel quadro della procedura per gli squilibri macroeconomici. Inoltre, se uno Stato membro è oggetto di una procedura per gli squilibri eccessivi, dovrà presentare un piano strutturale di bilancio a medio termine riveduto che fungerà da piano d’azione correttivo ai sensi del regolamento (UE) n. 1176/2011.
La Commissione, in coerenza con l’impostazione da essa seguita negli orientamenti dello scorso novembre, non sembra dare pieno seguito alla istanza, da più parti avanzata, Italia compresa, di promuovere con riguardo agli squilibri macroeconomici un approccio maggiormente rigoroso e simmetrico a quello seguito per in disavanzi eccessivi. Ciò con particolare riferimento alla imposizione effettiva di misure correttive ai Paesi che presentano elevati surplus di partite correnti nell’area euro.
Anche per la sorveglianza post-programma la Commissione propone un nuovo approccio che non richiede alcuna modifica legislativa.
In particolare, il nuovo quadro esenta gli Stati della zona euro soggetti a un programma di aggiustamento macroeconomico a norma del regolamento (UE) n. 472/2013 dalla presentazione di piani strutturali nazionali di bilancio a medio termine e di relazioni annuali sui progressi compiuti per la durata del programma. Inoltre, gli Stati membri della zona euro sottoposti a sorveglianza rafforzata a norma del regolamento (UE) n. 472/2013 dovranno tenere conto delle raccomandazioni formulate dal Consiglio in conformità dell’articolo 121, paragrafo 4, TFUE in caso di deviazione dal percorso della spesa netta.
Per quanto riguarda, innanzitutto, le tempistiche, si ricorda che qualora le nuove proposte legislative non fossero approvate e pubblicate entro la fine del 2023, tornerebbe ad applicarsi pienamente la normativa attuale, considerato che all’inizio del prossimo anno verrà disattivata la clausola di salvaguardia generale del Patto, azionata da marzo 2020.
Peraltro, come era stato preannunciato[5] lo scorso 25 maggio, nel contesto del cd. pacchetto di primavera del Semestre europeo, la Commissione europea, anticipando alcuni elementi della riforma, ha presentato raccomandazioni specifiche per Paese in materia di bilancio già quantificate e differenziate in base ai problemi di debito pubblico degli Stati membri e già formulate sulla base della spesa primaria netta.
Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione europea ha, tra l’altro, raccomandato di assicurare una politica di bilancio prudente, in particolare limitando a non più dell’1,3% l’aumento nominale della spesa primaria netta finanziata a livello nazionale nel 2024.
È presumibile, pertanto, che il 2024 sarà un anno di transizione. Il poco tempo a disposizione e la complessità del negoziato rendono difficile terminare i lavori legislativi nel 2023, come auspicato dalla Commissione europea. Più probabile, invece, che essi possano concludersi all’inizio del prossimo anno, prima della fine della attuale legislatura europea.
Per quanto riguarda il merito del confronto negoziale, le nuove proposte contengono, come accennato, novità rispetto agli orientamenti presentati a novembre e alle conclusioni dell’Ecofin di marzo.
Tra queste le già citate clausole comuni di salvaguardia per assicurare la sostenibilità del debito, inserite dalla Commissione per venire parzialmente incontro alle richieste della Germania e di alcuni Stati cd. Frugali che hanno evocato il rischio di un approccio eccessivamente bilaterale e specifico per Paese delle nuove regole, a scapito della trasparenza e della parità di trattamento.
Su tutte, rileva la disposizione che impone una riduzione annua del deficit dello 0,5% del PIL se si supera il parametro di riferimento del 3% (le norme vigenti prevedono già tale requisito, ma solo per i Paesi soggetti a una procedura formale per disavanzo eccessivo). Occorre sottolineare che la Germania ha chiesto e continua a chiedere anche l’inserimento di una regola automatica per la riduzione del debito pubblico pari all’1% del PIL all’anno per i Paesi fortemente indebitati.
In seguito al confronto con gli Stati, la Commissione europea ha anche deciso di abbandonare la classificazione ex ante dei Paesi in tre gruppi sulla base dell’analisi di sostenibilità del debito pubblico (Paesi con debito sostanziale, se superiore al 90% del PIL; Paesi con debito moderato, se tra il 60% e il 90% del PIL; Paesi con debito modesto, se inferiore al 60% del PIL) e di sostituirla con una classificazione per livelli di debito coerente con i trattati, che suddivide, sempre ex ante e sulla base dell’analisi di sostenibilità del debito pubblico, i Paesi in ragione della rispettiva collocazione al di sotto o al di sopra della soglia del 60% del rapporto debito/PIL.
In occasione del Consiglio Ecofin del 16 giugno 2023 (qui la sessione pubblica) si è svolto un importante confronto sui temi citati.
La Germania - sulla scia di un intervento pubblicato sui giornali dell’alleanza paneuropea Lena con altri dieci Paesi (Repubblica Ceca, Austria, Bulgaria, Danimarca, Croazia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia e Lussemburgo) - ha ribadito la necessità di introdurre criteri quantitativi prestabiliti e uguali per tutti gli Stati membri e rilanciato la proposta di una regola automatica per la riduzione del debito dell’1% all’anno per i Paesi fortemente indebitati. Anche i Paesi Bassi hanno condiviso gli obiettivi della Germania.
Al contrario, la Francia ha espresso la sua contrarietà all’introduzione di regole automatiche ed uniformi per la riduzione del deficit e del debito. Ha, in sostanza, ribadito l’importanza del principio della “differenziazione”, secondo il quale le nuove regole devono tener conto delle diverse situazioni fiscali nazionali, in particolare in termini di debito.
Per quanto riguarda la posizione dell’Italia, il comunicato del MEF adottato a margine del Consiglio Ecofin afferma che “l’Italia e il Governo italiano accolgono con favore il lavoro fatto dalla Commissione europea sulla riforma del Patto di stabilità e crescita”, ma “che ci sono ancora degli aspetti da migliorare”. Il Governo italiano sostiene altresì di essere aperto alla discussione con la Commissione e con tutti gli Stati membri, “tenendo in considerazione che ognuno ha le sue specificità” e che “l’Italia condivide chiaramente che la progressiva riduzione del debito sia condizione essenziale per la stabilità, la sostenibilità e la crescita”. Come sottolineato dal Ministro Giorgetti, l’Italia chiede in particolare che:
Ø “la sovranità nazionale sia coniugata e concertata a livello europeo sin dall’inizio, anche negli aspetti metodologici e tecnici, che non devono prevalere rispetto alle considerazioni politiche”.
In sostanza, l’Italia (si veda anche l’intervista del Ministro Giorgetti a “Il Sole 24 Ore” del 29 aprile) continua ad esprimere preoccupazione sull’analisi di sostenibilità del debito e sul suo impiego per definire i percorsi di aggiustamento del debito degli Stati. Il Governo ribadisce la presenza di un problema di trasparenza sui dati di fondo per l’analisi e chiede che essa così come la traiettoria tecnica non depotenzino la titolarità dei singoli Paesi sulla propria politica economica;
Ø siano dedicati una “considerazione e un trattamento particolari” agli “investimenti, in particolare a quelli considerati prioritari dal Next Generation EU per la transizione ambientale ed energetica e la digitalizzazione”, che sono investimenti “di durata limitata e di quantificazione già accertata”.
Il Governo italiano (si vedano sul punto anche il comunicato del MEF in occasione del Consiglio Ecofin del 29 aprile e le dichiarazioni del Presidente Meloni in occasione dell’incontro con il Cancelliere austriaco Nehammer il 2 maggio) continua pertanto a chiedere un quadro di regole in grado di sostenere adeguatamente gli investimenti per la transizione energetica, la transizione verde, la transizione digitale, ma anche per la difesa, per rispettare gli impegni assunti a livello internazionale.
Altri Paesi hanno chiesto un trattamento speciale per le spese per la difesa, in considerazione dello scenario geopolitico attuale, tra cui Estonia, Polonia, Lettonia e Grecia; altri, infine, hanno espresso preoccupazione per la metodologia e i dati usati per l’analisi di sostenibilità del debito pubblico, tra cui Croazia e Ungheria.
I negoziati in corso tengono conto anche dei più recenti dati/stime della Commissione europea (a cui si rimanda per approfondimenti) su disavanzo e debito. Essi mostrano una diminuzione graduale dei livelli medi di tali indicatori nell’Unione e nell’Eurozona, con traiettorie tuttavia molto eterogenee tra gli Stati membri. Nonostante ciò, si registrano comunque ancora livelli medi di indebitamento superiori rispetto a quelli pre-pandemia e lo stesso dovrebbe avvenire anche nel biennio 2023-2024.
Più nello specifico, secondo le stime, a politiche fiscali invariate:
Ø gli Stati membri con disavanzo superiore al 3% del PIL saranno 14 nel 2023 e 10 nel 2024. Per quest’ultimo anno, Bulgaria e Slovacchia (-4,8% del PIL), Belgio (-4,7%), Malta (-4,5%), Romania e Ungheria (-4,4%), Francia (-4,3%), Polonia e Italia (-3,7%) e Spagna (-3,3%);
Ø gli Stati membri con debito pubblico superiore al 60% saranno 13 sia nel 2023 che nel 2024, con significative differenze. I Paesi più indebitati nel 2023 saranno Grecia (160,2%), Italia (140,4%), Spagna (110,6%), Francia (109,6%), Portogallo (106,2%) e Belgio (106%). Al contrario, il rapporto debito pubblico/PIL sarà più basso in Estonia (19,5%), Bulgaria (25%), Lussemburgo (25,9%), Danimarca (30,1%), Svezia (31,4%), Lituania (37,1%) e Romania (45,6%).
Le tabelle seguenti riportano i livelli di indebitamento dell’Unione, dell’Eurozona e delle principali economie europee per gli anni 2019-2024 (per il 2023 e il 2024 si tratta di stime).
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DISAVANZO PUBBLICO (in % del PIL) |
|||||
ANNO |
2019 |
2020 |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
UE |
-0,5 |
-6,7 |
-4,8 |
-3,4 |
-3,1 |
-2,4 |
EUROZONA |
-0,6 |
-7,1 |
-5,3 |
-3,6 |
-3,2 |
-2,4 |
GERMANIA |
1,5 |
-4,3 |
-3,7 |
-2,6 |
-2,3 |
-1,2 |
FRANCIA |
-3,1 |
-9 |
-6,5 |
-4,7 |
-4,7 |
-4,3 |
ITALIA |
-1,5 |
-9,7 |
-9 |
-8 |
-4,5 |
-3,7 |
SPAGNA |
-3,1 |
-10,1 |
-6,9 |
-4,8 |
-4,1 |
-3,3 |
|
DEBITO PUBBLICO (in % del PIL) |
|||||
ANNO |
2019 |
2020 |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
UE |
79,3 |
91,7 |
89,5 |
85,3 |
83,4 |
82,6 |
EUROZONA |
86 |
99,2 |
97,3 |
93,2 |
90,8 |
89,9 |
GERMANIA |
59,6 |
68,7 |
69,3 |
6,3 |
65,2 |
64,1 |
FRANCIA |
97,4 |
114,6 |
112,9 |
111,6 |
109,6 |
109,5 |
ITALIA |
134,1 |
154,9 |
149,9 |
144,4 |
140,4 |
140,3 |
SPAGNA |
98,2 |
120,4 |
118,3 |
113,2 |
110,6 |
109,1 |
Gli orientamenti per la riforma della governance economica, più volte citati, sono stati esaminati sia dalla Camera dei deputati sia dal Senato della Repubblica tra febbraio e marzo 2023.
L’esame si ricollega a quello svolto nell’ultima fase della XVIII legislatura sulla precedente Comunicazione della Commissione del 19 ottobre 2021, concernente l’economia dell’UE dopo la Covid-19: implicazioni per la governance economica, nel corso del quale erano stati auditi numerosi soggetti, ma che si era interrotto per la conclusione anticipata della legislatura a luglio 2022.
Alla Camera, la Comunicazione recante gli orientamenti è stata assegnata, ai sensi dell’articolo 127 del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), nonché alla XIV Commissione (Politiche dell’UE), per l’espressione del parere.
Analogamente, al Senato la comunicazione è stata assegnata alla 5a Commissione (Bilancio), nonché alla 4a Commissione (Politiche dell’UE) per il relativo parere, ai sensi dell’articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento.
La V Commissione della Camera ha quindi svolto un ciclo di audizioni, congiuntamente alla XIV Commissione e, per alcune audizioni, anche alla 4a e alla 5a Commissione del Senato. Di seguito sono elencati gli auditi:
Soggetti auditi |
Data audizione |
Commissioni |
Rappresentanti della Corte dei Conti |
Martedì 14 febbraio 2023 |
V e XIV Camera |
Rappresentanti della Banca d’Italia |
Martedì 14 febbraio 2023 |
V e XIV Camera |
Scienza delle finanze – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano |
Martedì 14 febbraio 2023 |
V e XIV Camera |
Diritto dell’Unione europea – Università Luiss Guido Carli di Roma |
Martedì 14 febbraio 2023 |
V e XIV Camera |
Diritto dell’Unione europea – Università Luiss Guido Carli di Roma |
Martedì 14 febbraio 2023 |
V e XIV Camera |
Componenti italiani della Commissione per i problemi economici e monetari (ECON) del Parlamento europeo |
Martedì 28 febbraio 2023 |
V e XIV Camera 4a e 5a Senato |
Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari |
Mercoledì 1° marzo 2023 |
V e XIV Camera 4a e 5a Senato |
Giovedì 2 marzo 2023 |
V e XIV Camera 4a e 5a Senato |
Al termine del ciclo di audizioni, la V Commissione della Camera, preso atto del parere favorevole con condizioni della XIV Commissione, ha adottato, in data 8 marzo 2023, un documento finale, mentre la 5a Commissione del Senato ha adottato, in data 9 marzo 2023, una risoluzione. I due atti contengono indirizzi pressoché analoghi e coordinati rivolti al Governo ai fini del prosieguo dei negoziati in sede europea.
Di seguito si riportano, in forma sintetica, gli indirizzi comuni al documento finale e alla risoluzione, così come gli elementi di differenziazione.
Impegni al Governo |
Doc. finale V Comm. Camera |
Risoluzione 5a Comm. Senato |
Precisare natura e contenuti della comunicazione con cui la Commissione europea individua il piano per gli Stati membri indicante il percorso di crescita dell’aggregato di spesa e la diminuzione del rapporto debito/PIL |
SI |
SI |
Approccio favorevole del piano formulato dalla Commissione europea alla crescita economica, in modo da incentivare la riduzione del rapporto debito/PIL attraverso politiche volte ad aumentare il denominatore |
NO |
SI |
Coinvolgimento degli Stati membri anche nella fase ex ante di determinazione dei sentieri di crescita dell’aggregato di spesa, al fine di aumentare il grado di titolarità nazionale |
SI |
SI |
Mantenimento di un adeguato coordinamento dell’intonazione delle politiche fiscali nell’ambito dell’area dell’euro |
SI |
SI |
Attenzione nella scelta dei parametri dell’analisi di sostenibilità del debito, concordandoli tra la Commissione europea e i singoli Paesi sulla base di evidenza empirica e argomenti tecnici, per tenere conto anche degli effetti delle riforme strutturali sul potenziale di crescita |
SI |
SI |
Chiarire il perimetro dell’aggregato di spesa di riferimento, al fine di tenere conto di andamenti non previsti e non soggetti al controllo dei singoli Stati, valutando la previsione di trattamenti differenziati per alcune tipologie di spesa (transizione ecologica e digitale, assistenza finanziaria, difesa comune europea) e chiarendo il trattamento delle spese sociali escluse |
SI |
SI |
Attivazione della clausola per eventi eccezionali per singolo Paese anche nei casi di andamenti delle variabili macroeconomiche significativamente diversi da quelli originariamente ipotizzati per eventi imprevisti e non soggetti al controllo dei singoli Stati, con riflessi sul bilancio |
SI |
NO |
Ponderare adeguatamente, nelle sedi istituzionali europee, gli effetti della classificazione ex ante degli Stati in tre gruppi, in modo da evitare un effetto stigma su alcuni di essi |
NO |
SI |
Prevedere la possibilità di una revisione dei piani strutturali nazionali di bilancio a medio termine in occasione di un cambio di governo o dell’insediamento di un nuovo Parlamento, al fine di assicurare una maggiore flessibilità e legittimazione democratica delle politiche nazionali |
SI |
SI |
Prevedere la previsione del piano concordato con la Commissione in caso di significativi mutamenti delle previsioni macroeconomiche iniziali |
NO |
SI |
Valutare attentamente o escludere il ricorso a sanzioni reputazionali o di condizionalità macroeconomica, per non pregiudicare gli obiettivi di investimento e di finanza pubblica |
SI |
SI |
Esplorare meccanismi premianti di incentivo da accompagnarsi alle sanzioni |
NO |
SI |
Migliorare la procedura di sorveglianza sugli squilibri macroeconomici, rafforzando le interazioni tra la sorveglianza macroeconomica e quella di bilancio e stabilendo un maggiore coordinamento delle politiche economiche |
SI |
SI |
Verificare la disponibilità degli altri Stati membri a sviluppare uno strumento comune per affrontare in modo più efficiente, con risorse europee anziché nazionali, eventuali nuovi shock e per supportare adeguatamente e paritariamente le imprese europee |
SI |
SI |
Procedere nei negoziati sulla revisione del quadro della governance economica tenendo conto delle discussioni in corso sul piano industriale Green deal e sulla riforma delle regole sugli aiuti di Stato, al fine di rafforzare la competitività industriale dell’Unione, di non frammentare il mercato interno e di non aumentare le divergenze socio-economiche tra gli Stati membri |
SI |
SI |
Affiancare al negoziato sulla riforma della governance economica il dibattito sulle garanzie che gli Stati possono porre in essere per promuovere la crescita degli investimenti e rappresentare l’esigenza di prevedere meccanismi di sostegno a tali garanzie con risorse europee |
SI |
SI |
Avviare una riflessione con le istituzioni europee sulla necessità di superare un quadro imperniato sui parametri del 3 per cento del deficit e del 60 per cento del debito che limitano l’autonomia di bilancio degli Stati membri |
NO |
SI |
La valutazione degli auditi sugli orientamenti per la riforma della governance economica è stata complessivamente positiva. Sono stati evidenziati, nondimeno, alcuni aspetti problematici che richiederebbero, a loro avviso, un supplemento di riflessione in sede di esame delle proposte legislative presentate dalla Commissione europea. Su diversi di questi aspetti le proposte legislative sembrano prevedere un apprezzabile avanzamento, superando almeno in parte le criticità nella direzione emersa dalle audizioni.
In particolare, i rappresentanti della Corte dei conti hanno sottolineato come, nell’attuale contingenza, segnata da sfide derivanti dal cambiamento climatico, crisi energetica, pressioni demografiche e conflitti geopolitici, sia opportuno configurare, a livello europeo, un’adeguata architettura regolatoria che assicuri:
· appropriate politiche economiche anticicliche;
· maggiore stabilità monetaria e finanziaria;
· un più deciso orientamento della spesa pubblica verso obiettivi meritevoli, in particolare gli investimenti nei settori innovativi.
È stato rilevato come la proposta della Commissione si informi agli stessi principi ispiratori del Trattato di Maastricht – stabilità finanziaria e crescita economica inclusiva, aspetti complementari di un indirizzo di politica economica europea – pur dandone una lettura aggiornata alla luce degli obiettivi di crescita “buona” e sostenibile e delle transizioni verso un’economia più verde e digitale.
Secondo la Banca d’Italia, l’approccio della Commissione rappresenta un passo in avanti, concentrandosi sulla sostenibilità dei conti pubblici piuttosto che sulla calibrazione precisa (fine tuning) della politica di bilancio. Mira, inoltre, a ridurre la complessità del quadro di regole, ad aumentare la titolarità nazionale, a trovare un migliore equilibrio fra prudenza e realismo (e quindi credibilità) dei percorsi di aggiustamento di ciascun Paese. Si apprezza, in particolare, che il cardine dell’intero sistema di regole sia individuato nel rapporto fra il debito e il PIL sul medio periodo. Inoltre, al fine di ridurre il rapporto debito/PIL si punta più che in passato alla crescita del denominatore e degli investimenti, piuttosto che alla riduzione del numeratore. Per la sorveglianza, infine, la Commissione semplifica molto il quadro procedurale esistente, con l’individuazione di un solo obiettivo e un solo indicatore, la spesa netta, migliore rispetto al deficit strutturale.
Nel corso delle altre audizioni è stato inoltre rilevato che l’approccio di medio-termine risulta più ragionevole per la programmazione di bilancio (Bordignon) e che negli orientamenti della Commissione è posta enfasi sulla sostenibilità del debito pubblico, anziché sul suo ammontare in termini assoluti o in percentuale al PIL. Ciò porta a stimare ancora più decisiva la crescita dell’economia e pertanto gli investimenti e le riforme che riescono a stimolarla, permettendo a uno Stato di far fronte al proprio debito pubblico anche se elevato (Moavero Milanesi).
Il Ministro dell’economia e delle finanze Giorgetti ha evidenziato come la proposta della Commissione europea, pur caratterizzata da un impianto più favorevole rispetto a quello stabilito dalle regole previgenti, rappresenti il punto di partenza della discussione sulla riforma del quadro di governance economica. La proposta della Commissione consenta di affrontare alcuni limiti strutturali e funzionali delle regole della governance economica europea vigenti, mettendo da parte alcuni automatismi e parametri che hanno finora orientato le politiche di bilancio degli Stati membri verso la ricerca di soluzioni di breve periodo.
Le regole attuali, a giudizio sostanzialmente unanime dei soggetti auditi, contengono un eccesso di complessità e di variabili non osservabili ed hanno, inoltre, il difetto di essere concentrate solo su indicatori annuali per il bilancio.
I rappresentanti della Corte dei conti hanno ricordato che il Patto di stabilità e crescita è stato oggetto di forti critiche sin dal suo concepimento, ulteriormente acuitesi con il tempo e in conseguenza delle riforme apportate, tra il 2011 e il 2013, dal Fiscal Compact e dagli atti legislativi del Six Pack e del Two Pack. Hanno inoltre annoverato, tra le cause che hanno finora ostacolato la soluzione ottimale dei problemi strutturali e operativi della governance economica europea, un deficit di fiducia tra gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione. Sotto questo profilo, la pandemia da Covid-19 e la conseguente attivazione della clausola di salvaguardia del PSC, sospendendo l’efficacia di una parte consistente dei vincoli di bilancio europei e dei connessi meccanismi di sorveglianza macroeconomica degli Stati, ha spostato il baricentro del dibattito dal se modificare le regole della governance economica al come modificarle, essendosi da subito rivelata irrealistica la prospettiva di un ritorno alle regole precedenti la fase pandemica.
La Banca d’Italia ha evidenziato che è cresciuto notevolmente il dettaglio delle norme e, con esso, il numero di eccezioni e lo spazio di discrezionalità per le istituzioni europee, il che ha finito col rendere spesso controverso l’esito delle valutazioni sulle politiche dei Paesi membri.
È stato infine osservato (Bordignon) che le regole vigenti hanno contribuito ad un maggior controllo delle finanze pubbliche nell’area euro, ma la politica fiscale è rimasta pro-ciclica e il controllo della spesa è avvenuto riducendo soprattutto gli investimenti, così compromettendo la crescita futura.
1.5. Titolarità nazionale dei piani di bilancio e valorizzazione della situazione specifica di ogni Paese
Gli auditi hanno considerato l’accresciuto livello di titolarità nazionale delle regole della governance economica da parte degli Stati un elemento particolarmente rilevante ed apprezzabile. Tuttavia, è stata evidenziata l’opportunità che l’esame della dimensione dei rischi di ciascuno Stato e della loro natura, in sede di classificazione della relativa posizione debitoria, nonché del connesso percorso di aggiustamento, sia condotto a livello europeo in un quadro di collegialità e trasparenza metodologica. La definizione di tale percorso dovrebbe essere frutto, in particolare, di uno stretto dialogo tra Commissione e singolo Paese che tenga in debito conto il percorso scelto a livello nazionale, al fine di consentire a ciascuno Stato di esercitare la propria sovranità. Ne deriverebbero effetti positivi anche in termini di credibilità sui mercati finanziari e sui tassi di interesse.
È stata evidenziata anche a questo scopo l’opportunità di garantire il pieno coinvolgimento dei parlamenti nazionali nella fase di definizione del nuovo quadro di governance.
In questo contesto, si è posta la questione della necessità di una proposta iniziale da parte della Commissione che si limiti a indicare gli obiettivi, valutando successivamente se il piano proposto dallo Stato membro sia in grado di raggiungerli (Bordignon).
Il Ministro Giorgetti, condiviso l’indirizzo volto a garantire una maggiore titolarità nazionale, ha evidenziato, tuttavia, una certa insufficienza delle soluzioni contenute negli orientamenti al pieno raggiungimento di tale obiettivo. In particolare, ha sottolineato l’importanza di migliorare il quadro normativo che regolerà la definizione del percorso di aggiustamento di riferimento del singolo Stato, al fine soprattutto di attenuare i poteri unilaterali della Commissione europea e rafforzare il dialogo bilaterale tra quest’ultima e gli Stati membri.
I soggetti auditi hanno pertanto condiviso la necessità di una maggiore considerazione della situazione specifica di ogni Paese nella definizione dei rispettivi percorsi di aggiustamento, che implicherebbe il superamento dello schema normativo e operativo attuale, costituito da regole unitarie valide per tutti gli Stati, applicate secondo un grado di flessibilità variabile in base a ciascun contesto nazionale.
Gran parte degli auditi ha espresso valutazioni critiche sui criteri per la predisposizione dell’analisi della sostenibilità del debito (DSA) dei singoli Paesi e soprattutto sul ricorso alla stessa al fine di classificare questi in tre diversi gruppi e definire, così, il percorso di aggiustamento pluriennale di ciascuno. Tale classificazione, prospettata dagli orientamenti della Commissione stessa, non è stata ripresa dalle proposte legislative.
Si è in particolare rilevato che la DSA, pur costituendo uno strumento utile, sia altamente sensibile alle ipotesi di crescita del PIL, nonché di ulteriori variabili (tassi di interesse, inflazione). Pertanto i parametri sui quali sviluppare le DSA devono essere scelti con estrema cautela e, soprattutto, siano concordati tra la Commissione europea e gli Stati membri, sulla base di una evidenza empirica e di elementi tecnici.
L’obiettivo perseguito, pur nella fisiologica elaborazione di percorsi di aggiustamento più impegnativi per gli Stati caratterizzati da un più elevato rapporto debito/PIL, dovrebbe essere quello di mantenere un adeguato coordinamento delle politiche fiscali statali nell’Area euro, scongiurando, in particolare, un ampliamento dei divari economici tra gli Stati.
È stato evidenziato, inoltre, (sempre con riguardo alla impostazione poi superata dalle proposte legislative) come la pubblicazione delle DSA dei singoli Paesi sia suscettibile di generare un effetto reputazionale avverso nei confronti degli Stati collocati nella fascia di rischio alta (rapporto debito/PIL > 90 per cento), dando segnali controproducenti ai mercati finanziari e influenzando la valutazione del rischio del debito di tali Stati. Una simile eventualità si tradurrebbe, inoltre, in un’ulteriore instabilità nell’Area euro, dove la segmentazione del mercato dei titoli di Stato sarebbe ancora più accentuata.
La Banca d’Italia ha suggerito di rafforzare il ruolo delle istituzioni di bilancio indipendenti nazionali, coadiuvate dallo European fiscal board, affidando loro la validazione delle previsioni tendenziali dei conti pubblici e della quantificazione delle misure discrezionali. Il board potrebbe favorire tale rafforzamento, ad esempio sviluppando metodologie comuni e diffondendo le migliori pratiche nonché svolgendo una valutazione periodica del grado di omogeneità nell’applicazione delle regole, destinata a essere resa pubblica.
È stata evidenziata, infine, l’opportunità di precisare in termini espliciti che la DSA non ha efficacia vincolante, ma contenga solo linee guida di carattere generale (tempistica, obiettivi, strumenti di controllo), astenendosi dal dettare programmi specifici per i singoli Stati o, se lo fa, coinvolga fin dall’origine questi ultimi nella definizione dei rispettivi programmi (Tosato).
Gli auditi, come già accennato, hanno espresso apprezzamento per il passaggio ad un orizzonte pluriennale di medio termine.
La Corte dei conti ha condiviso, in particolare, la scelta di concentrare direttamente la sorveglianza sulla dinamica “di fondo” del rapporto debito/Pil e lo sforzo richiesto a ciascun Paese di integrare obiettivi macroeconomici e di bilancio, di riforma e di investimento e, quindi, congiunturali e strutturali, in un unico piano a medio termine. Il passaggio da un’ottica di breve periodo a una quadriennale o settennale, unita all’eliminazione del riferimento a variabili non osservabili – quale, ad esempio, il saldo strutturale di bilancio, dunque l’output gap e il PIL potenziale – danno luogo a una semplificazione e, al contempo, a una maggiore flessibilità dello schema di governance economica, che consente scostamenti nel corso del periodo di programmazione.
Il Ministro Giorgetti ha osservato che il nuovo orizzonte pluriennale di medio periodo determinerebbe il superamento dell’approccio annuale finora adottato, consentendo di porre maggiore attenzione alla crescita economica e ai relativi effetti sull’evoluzione del rapporto debito/PIL.
Si è osservato, tuttavia, come l’allungamento dell’orizzonte temporale del piano (da 4 a 7 anni) non sia affatto sicuro, ma dipenda sia dalla solidità delle ragioni addotte dallo Stato richiedente, sia dal positivo responso da parte delle istituzioni dell’Unione. Tali valutazioni rischiano di determinare ulteriori maggiori pressioni su uno Stato e su chi lo governa (Moavero Milanesi).
L’adozione di un percorso pluriennale per il rientro dal debito e per la programmazione di bilancio è più ragionevole di regole rigide annuali. Risulta, infatti, più difficile fare politiche economiche di respiro rimanendo vincolati all’anno (Bordignon).
È stato osservato, tuttavia, che andrebbe assicurata una maggiore flessibilità ai piani nazionali, che in principio dovrebbero rimanere fermi per i previsti quattro/sette anni: un difetto di flessibilità può rendere le regole incapaci di adattarsi a contesti economico-finanziari rapidamente mutevoli (Tosato). Si potrebbero introdurre, ad esempio, procedure che consentano una revisione di tali piani qualora, nel corso del periodo di programmazione, si verificassero cambiamenti rilevanti delle condizioni economiche di fondo oppure un cambio di governo. Al riguardo, l’UPB ha ritenuto auspicabile che la clausola per eventi eccezionali per singolo Paese possa essere attivata non solo per le calamità naturali ma anche nei casi di andamenti nelle variabili macroeconomiche significativamente diversi da quelli originariamente ipotizzati a causa di shock inattesi. Anche per l’UPB occorrerebbe chiarire se gli Stati membri avranno la possibilità di modificare il piano di aggiustamento nel caso si insedi un nuovo Parlamento.
È stato posto l’accento, infine, sull’esigenza che i Piani nazionali siano disegnati in modo da mantenere una coerenza complessiva con le priorità dell’UE, in una logica di rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche.
Quanto alla proposta di individuare nella spesa interna primaria netta l’unico indicatore per la sorveglianza fiscale, da parte degli auditi si è evidenziato come l’efficienza di tale criterio dipenda anche dal modo in cui sarà definito e adottato. Il parametro di crescita dell’aggregato di spesa dipenderà, ad esempio, dalla stima del tasso di crescita del prodotto potenziale, a sua volta soggetto a una molteplicità di variabili.
È stato altresì evidenziato come dovrà essere chiarito, in sede europea, quali spese potranno essere escluse dall’aggregato di riferimento, avendo particolare riguardo a quelle finanziate da risorse europee e al ruolo della spesa per investimenti, quale componente della spesa primaria complessiva.
A questo proposito, la Corte dei conti ha sottolineato come il nuovo indicatore sia caratterizzato da una non immediata percezione e rilevazione del suo perimetro, il quale è anch’esso funzione del PIL potenziale come lo è, nel quadro di governance economica attualmente vigente, il parametro del saldo strutturale di bilancio. Non si tratta, peraltro, di espungere del tutto variabili come l’output gap o il PIL potenziale dalla “cassetta degli attrezzi” del policy maker, bensì, piuttosto, di migliorarne la qualità dei metodi di stima in tempo reale. Sotto questo profilo, è stato posto in luce come i profili metodologici più opachi della proposta della Commissione europea siano confinati, sostanzialmente, nella fase iniziale della procedura, volta alla profilazione dei gradi di onerosità e di rischio delle posizioni debitorie di ciascun Paese. La Corte ha anche sostenuto l’opportunità di porre in comune, a livello europeo, spese come quelle volte al finanziamento della ricerca in alcuni comparti – farmaci innovativi, clima, infrastrutture, energia, digitalizzazione – affinché esse gravino in misura minore sui bilanci nazionali.
Ad avviso dell’UPB, la scelta di concentrarsi su un unico obiettivo annuale fa venire meno profili di incertezza derivanti dai precedenti molteplici indicatori. Inoltre dovrebbe evitare la prociclicità della politica di bilancio che caratterizza l’attuale regola numerica di riduzione del debito in rapporto al PIL e la regola del limite del 3% non intaccata dalle proposte legislative della Commissione in esame. In presenza di una crescita del PIL più favorevole o meno favorevole di quanto inizialmente previsto, il livello della spesa primaria netta dovrà restare coerente con quanto concordato nel piano di aggiustamento. L’UPB ha anche evidenziato che l’indicatore proposto sarà calcolato al netto della componente ciclica delle spese per disoccupazione e che queste variano notevolmente tra Paesi; in caso di ciclo sfavorevole, nel nuovo quadro di regole ciò può favorire i Paesi in cui il sistema degli ammortizzatori sociali sia particolarmente sviluppato.
La scelta della spesa netta come unico indicatore è stata giudicata favorevolmente poiché, come il deficit strutturale, è un aggregato poco influenzato dal ciclo, ma per il modo in cui è costruito l’indicatore è meno dipendente dalla forte variabilità delle stime annuali dell’output gap che servono per calcolare il deficit strutturale. È poi direttamente sotto controllo di governi e parlamenti e più facilmente osservabile e comprensibile (Bordignon).
È stata ritenuta invece singolare la mancata previsione della cd. golden-rule che permetta di non computare o computare differentemente la spesa pubblica destinata a investimenti produttivi o almeno quella dovuta a cause di forza maggiore, vista l’enfasi posta dagli orientamenti della Commissione sugli investimenti e sulla spesa primaria netta (Moavero Milanesi).
Il Ministro Giorgetti ha proposto di recuperare e rafforzare alcune misure già previste nell’ambito del quadro della governance economica vigente (investment clause), al fine di riservare un trattamento preferenziale per alcune tipologie di spesa che possono fornire un contributo positivo alla crescita e stimolare gli investimenti, in particolare quelli legati alle due transizioni, verde e digitale. Per quanto concerne il perimetro dell’aggregato di spesa, il Ministro ha ritenuto necessaria una riflessione sulla esclusione di alcune spese sociali e delle spese concordate a livello europeo quali, ad esempio, quella relativa all’assistenza finanziaria fornita in caso di crisi o quella relativa alla costituzione di una difesa comune europea. Tali proposte si inseriscono nella più ampia riflessione sull’opportunità di un accentramento a livello dell’Unione del finanziamento di investimenti strategici, dell’introduzione di una fiscal capacity centralizzata e della previsione di uno strumento comune di finanziamento dei beni pubblici europei.
Su questo tema, la Corte dei conti ha ritenuto gli orientamenti della Commissione non soddisfacenti, con riguardo soprattutto alla presenza di incentivi specifici alla spesa di investimento: il tema della promozione degli investimenti pubblici, nonché di alcune tipologie di spese correnti considerabili particolarmente growth friendly – es. spese per l’istruzione e la promozione del capitale umano, talune tipologie di spese per la ricerca – dovrebbe essere riproposto in ambito europeo.
L’UPB ha evidenziato che l’accento posto dagli orientamenti della Commissione sulla sostenibilità delle finanze pubbliche nel medio termine dovrebbe fornire un incentivo a rafforzare la qualità della politica di bilancio, in particolare preservando o innalzando la quantità di investimenti pubblici.
Gli auditi concordano nel giudizio negativo sulla mancata previsione di una capacità di bilancio europea per gestire in modo più efficiente sia shock che colpiscono singoli Paesi, sia eventi avversi comuni a tutti, quali ad esempio la pandemia o la crisi energetica. Essa potrebbe inoltre finanziare specifici programmi di investimento, al fine di garantire che alcuni “beni pubblici” europei siano forniti in modo efficiente e in quantità adeguata, ad es. nell’ambito del digitale, dell’energia, dell’ambiente e della difesa.
Nell’attesa che l’UE si doti di una capacità fiscale permanente, con compiti sia anticiclici che strutturali (il che richiederebbe una modifica dei Trattati), si potrebbe valutare l’istituzione di uno strumento di bilancio che, seguendo l’esempio di Next Generation EU, sia attivabile in caso di necessità (Banca d’Italia).
In generale, ad avviso di alcuni degli auditi, il grado di cogenza delle regole non può essere disgiunta dall’esistenza o meno di una capacità fiscale centrale e/o di un più ampio budget dell’Unione (Bordignon). La creazione di un’adeguata capacità fiscale dell’Unione deve rimanere all’ordine del giorno, perché riveste un’importanza centrale per il processo di integrazione europea (Tosato).
Il Ministro Giorgetti ha posto l’attenzione sulla necessità di definire in modo chiaro ed equilibrato i meccanismi che consentiranno di tenere conto di un andamento non previsto e non controllabile da parte dei singoli Stati, in quanto dovuto a fattori esogeni (es. andamento dell’inflazione). Per quanto concerne la previsione esplicita di una clausola di salvaguardia country-specific per il caso in cui si verifichino shock asimmetrici, ha sottolineato la necessità di definirne in maniera più puntuale i criteri di attivazione, al fine di evitare che quest’ultima sia eccessivamente meccanica, ma consenta, al contrario, di valutare le condizioni eccezionali presentatesi. L’inserimento di tale clausola, inoltre, non dovrebbe far venire meno l’applicazione, nei confronti di tutti i Paesi, di una flessibilità di fondo per fattori rilevanti.
Su questo tema, il Ministro Giorgetti, pur registrando miglioramenti rispetto al quadro normativo vigente, ha affermato la necessità di effettuare ulteriori approfondimenti sul tema delle interazioni e sovrapposizioni tra sorveglianza fiscale e macroeconomica, nonché avviare una riflessione sulla necessità di trattare in modo maggiormente simmetrico, ad esempio, gli squilibri relativi alle partite correnti della bilancia dei pagamenti.
La disciplina di bilancio come pure quella relativa agli squilibri macroeconomici sono parametrate su obiettivi riferiti ai singoli Stati isolatamente considerati. Si omette in tal modo di tenere conto della interdipendenza tra le politiche economiche nazionali; manca inoltre una visione di obiettivi di stabilità economica e finanziaria per l’Unione nel suo complesso. A questa duplice lacuna dovrebbe potersi sopperire con una valutazione congiunta di problemi di bilancio e squilibri macroeconomici, che tenga conto della loro interconnessione e li proietti a livello di UE o almeno di Eurozona (Tosato).
Rimane incerto se sia implicita una gerarchia fra i vari tipi di squilibri ovvero se saranno sottoposti a identici meccanismi deterrenti e sanzionatori e comporteranno le stesse conseguenze per lo Stato che ne risulta affetto. Continua a restare opaca la visione d’insieme dell’interazione e dell’incidenza complessiva dei vari squilibri sul corretto funzionamento dell’UEM (Moavero Milanesi).
La maggior parte dei contributi concorda sul fatto che le sanzioni finanziarie previste dal Patto si sono rivelate inefficaci, in quanto soggette alla discrezionalità politica del Consiglio (di fatto le sanzioni non sono mai state applicate).
La Banca d’Italia, nel corso dell’audizione, ha suggerito l’introduzione di meccanismi premianti di incentivo, da accompagnarsi alle sanzioni, come ad esempio la partecipazione a forme di capacità di bilancio comune.
Il tema dell’impatto della riforma del quadro della governance economica europea sull’ordinamento contabile nazionale e sulle procedure di bilancio è stato affrontato, in particolare, dalla Corte dei conti.
I rappresentanti della Corte hanno evidenziato, infatti, come la scomparsa, dalla nuova architettura europea, della nozione di equilibrio del saldo strutturale di bilancio – architrave del quadro delineato nel 2012 dal Trattato sul Fiscal Compact – apra prospettive di riforma anche nell’ordinamento interno. Ciò anche ai fini di un ripensamento delle modalità di assolvimento dell’obbligo di copertura finanziaria delle leggi sancito dall’art. 81, comma 3, Costituzione, nonché delle procedure parlamentari di esame della legge di bilancio e dei ddl con implicazioni finanziarie.
I giudici contabili si sono posti, in particolare, il problema della conciliazione del quadro normativo nazionale esistente con la nuova regola della spesa, chiedendosi se, ai fini dell’obbligo di copertura, sia sufficiente l’equivalenza tra onere e compensazione o non occorra, invece, porre attenzione anche alla modalità della singola compensazione, a seconda che questa consista in minori spese o in nuove o maggiori entrate.
Su questo tema, il Ministro Giorgetti ha sottolineato come la nuova impostazione economica e normativa europea richiederà non soltanto un cambio di approccio alle politiche di bilancio nazionali e alle modalità di programmazione e realizzazione di riforme e investimenti – in particolare, proseguendo l’approccio adottato nell’ambito del PNRR anche dopo la fine del periodo di attuazione di quest’ultimo –, ma anche una revisione delle procedure e delle normative nazionali che presiedono alla programmazione e attuazione della politica di bilancio. Queste, infatti, sono attualmente incentrate soprattutto sui saldi di finanza pubblica.
I Paesi dell’UE - e in particolar modo quelli che hanno adottato l’euro come moneta unica - si sono impegnati a perseguire una politica di bilancio sana e a coordinare le proprie politiche economiche e di bilancio per garantire che esse siano compatibili con gli obiettivi e le responsabilità comuni[6].
Tale processo è stato perfezionato e codificato nell’ambito del cd. “semestre europeo”[7], procedura volta ad assicurare il coordinamento e la sorveglianza delle politiche economiche e di bilancio dei Paesi membri della zona euro e dell’UE. Si veda oltre per il calendario dettagliato delle scadenze del semestre europeo.
La disciplina di riferimento è contenuta nel Patto di stabilità e crescita (PSC), approvato dal Consiglio europeo di Amsterdam del 16 e 17 giugno 1997, successivamente integrato e contestualizzato da:
1) fonti di diritto primario dell’Unione (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, TFUE: articoli 3, 119-144, 136, 219 e 282-284 assieme ai Protocolli n. 12, sulla procedura per i disavanzi eccessivi, e n. 13, sui criteri di convergenza);
2) norme di diritto secondario. Due successive riforme del 2011 (cosiddetto “six pack”) e del 2013 (cosiddetto “two pack”) hanno introdotto norme finalizzate a rafforzare il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali attraverso misure correttive o preventive, nonché ad aumentare la trasparenza, soprattutto nei Paesi della zona euro[8].
Il sistema che ne risulta si articola in un braccio preventivo ed un braccio correttivo, destinati a intervenire rispettivamente ex ante (nella fase di elaborazione delle politiche di bilancio degli Stati membri) ed ex post (a fronte di disavanzo o debito nazionale che ecceda i valori di riferimento assunti a livello unionale).
Prima di entrare nel merito del contenuto del nuovo braccio preventivo del Patto, si ricorda che la sorveglianza multilaterale trova il proprio fondamento giuridico nell’articolo 121 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ai sensi del quale “gli Stati membri considerano le loro politiche economiche una questione di interesse comune e le coordinano nell’ambito del Consiglio” (par. 1).
In particolare (par. 2), il Consiglio - su raccomandazione della Commissione - elabora un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione e riferisce al Consiglio europeo, il quale dibatte conclusioni in merito. Sulla base di queste, il Consiglio “adotta una raccomandazione”. Il Parlamento europeo (PE) è informato.
Il Consiglio viene altresì incaricato (par. 3), per garantire un più stretto coordinamento delle politiche economiche e una convergenza duratura dei risultati economici degli Stati membri, di sorvegliare - sulla base di relazioni presentate dalla Commissione - l’evoluzione economica in ciascuno Stato e nell’UE nonché la coerenza delle politiche economiche con gli indirizzi di massima deliberati ai sensi del par. 2. In esito a tale attività “procede regolarmente a una valutazione globale”.
Per realizzare la sorveglianza multilaterale ? secondo modalità contenute in regolamenti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria (par. 6) ? è previsto che gli Stati membri trasmettano alla Commissione “informazioni concernenti le misure di rilievo da essi adottate nell’ambito della loro politica economica” (par. 3, c. 2). Sui risultati della sorveglianza il Presidente del Consiglio e la Commissione riferiscono al PE (par. 5).
Il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri è attualmente disciplinato dal regolamento (CE) n. 1466/97 del Consiglio, del 7 luglio 1997, già oggetto di riforma nel 2011 nell’ambito del citato “six pack”, che viene abrogato dall’articolo 37 della proposta di regolamento in oggetto (si veda oltre).
Il par. 4 dell’articolo 121 del TFUE contempla infine l’ipotesi che le politiche economiche di uno Stato membro non siano coerenti con gli indirizzi di massima deliberati dal Consiglio o rischino “di compromettere il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria”. In questo caso la Commissione può rivolgere allo Stato membro interessato un avvertimento ed il Consiglio può rivolgergli le necessarie raccomandazioni, che possono essere rese pubbliche.
La proposta di regolamento sul coordinamento efficace delle politiche economiche e la sorveglianza multilaterale di bilancio, come già detto, persegue, insieme alle altre due proposte legislative, l’obiettivo di una riduzione credibile e sostanziale degli elevati livelli di debito pubblico e della promozione di una crescita sostenibile e inclusiva, ponendo l’accento su una prospettiva di medio termine e sulla titolarità nazionale. La Commissione intende altresì “integrare le lezioni apprese dalle risposte di politica economica alle recenti crisi”, ivi inclusa l’interazione tra riforme e investimenti promossa dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza di cui al regolamento (UE) 2021/241[9].
Ai sensi dell’articolo 1, la proposta di regolamento è intesa ad assicurare il coordinamento efficace delle politiche economiche degli Stati membri, a sostegno degli obiettivi di crescita e di occupazione dell’Unione.
A questo fine, nel contesto della sorveglianza multilaterale di bilancio, “stabilisce norme dettagliate riguardanti il contenuto, la presentazione, la valutazione e il monitoraggio dei piani strutturali di bilancio nazionale di medio termine”. La prospettiva adottata non si limita dunque al singolo esercizio di bilancio, ma si allarga al medio termine. Ciò dovrebbe consentire, a giudizio della Commissione (si veda anche il considerando 8 del preambolo), di promuovere la sostenibilità del debito e una crescita inclusiva e sostenibile, evitando il ricorrere di disavanzi[10] nazionali eccessivi.
La proposta abbandona inoltre un approccio unitario per tutti gli Stati membri, prospettando un quadro di sorveglianza maggiormente basato sul rischio di ciascuno[11]. Negli auspici della Commissione, tale nuovo approccio dovrebbe contribuire a garantire una maggiore titolarità nazionale del sistema. In questa prospettiva va interpretato il disposto dell’articolo 34, che vincola la Commissione a assicurare un dialogo permanente con gli Stati membri.
La proposta in esame, come del resto anche le altre due del pacchetto, non è corredata di valutazione d’impatto, sulla base delle seguenti considerazioni riportate nella relazione illustrativa:
1) la mancanza di soluzioni alternative, posto che il quadro di bilancio dell’Unione delimita i confini della riforma;
2) le modifiche ipotizzate consistono in cambiamenti mirati, che non comportano un aumento degli obblighi di comunicazione per gli Stati membri;
3) la proposta è basata su attività di accertamento intraprese dalla Commissione europea nel recente passato, pubblicate tra il 2020 e il 2022 (documenti di lavoro dei servizi della Commissione e Comunicazioni). Si configura quindi un rinvio per relationem a tali documenti quali valutazione d’impatto per la proposta in esame.
La mancata predisposizione della valutazione appare in contrasto con il contenuto dell’Accordo interistituzionale “Legiferare meglio” che, all’articolo 13 demanda alla Commissione di effettuare “valutazioni d’impatto delle proprie iniziative legislative e non legislative, degli atti delegati e delle misure d’esecuzione suscettibili di avere un impatto economico, ambientale o sociale significativo”. La valutazione è vieppiù richiesta, ai sensi dell’articolo 13, secondo periodo, per “le iniziative incluse nel programma di lavoro della Commissione o nella dichiarazione comune”.
Il riesame della governance è contenuto sia nel programma di lavoro della Commissione per il 2023 (COM(2022) 548) sia nella dichiarazione comune sulle priorità legislative per l’anno 2023, concordata tra PE, Consiglio e Commissione.
L’articolo 12 dell’Accordo specifica che “le valutazioni d’impatto sono uno strumento inteso a fornire alle tre istituzioni un ausilio per prendere decisioni ben fondate”. Ne dettaglia come segue il contenuto: “dovrebbero riguardare l’esistenza, la portata e le conseguenze di un problema e determinare se sia necessaria o meno l’azione dell’Unione. Dovrebbero individuare soluzioni alternative nonché, laddove possibile, costi e benefici potenziali a breve e a lungo termine, valutando gli impatti sotto il profilo economico, ambientale e sociale in modo integrato e equilibrato e fondandosi su analisi qualitative e quantitative. È opportuno che siano rispettati rigorosamente i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, nonché i diritti fondamentali (…). Le valutazioni d’impatto dovrebbero basarsi su informazioni accurate, oggettive e complete ed essere proporzionate quanto alla loro portata e alle tematiche su cui si concentrano”.
Da un esame dei principali documenti (Comunicazioni e documenti di lavoro della Commissione) in cui si è articolata la genesi delle proposte in esame non sembra che il rispetto del principio di sussidiarietà sia stato oggetto di specifico approfondimento[12].
La base giuridica della proposta regolamento è il già citato articolo 121, par. 6, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Si tratta della medesima base giuridica alla base dell’adozione del regolamento (CE) n. 1466/97, che il testo in esame andrebbe a sostituire (si veda anche il regolamento (UE) n. 1175/2011).
La Commissione europea afferma la conformità della proposta al principio di sussidiarietà in termini di:
1) necessità dell’intervento delle istituzioni dell’UE: l’obiettivo perseguito (assicurare il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e la sorveglianza multilaterale di bilancio) non può essere adeguatamente realizzato dagli Stati membri uti singuli. Le istituzioni dell’UE sono, inoltre, le sole in grado di abrogare il vigente regolamento del 1997 sostituendolo con una nuova normativa;
2) valore aggiunto per l’Unione in conseguenza dell’introduzione di un processo definito “coerente e semplificato”, articolato nei Piani nazionali di medio termine, unici e interdisciplinari, a loro volta incardinati in un quadro unico di riferimento nel contesto del semestre europeo.
Infine, con riferimento al rispetto del principio di proporzionalità, la Commissione si limita ad affermare, nella relazione illustrativa della proposta in esame, che essa “non va oltre a quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti”. Rileva comunque la circostanza che gli Stati membri godano di libertà d’azione nello stabilire le proprie traiettorie di spesa netta, pur se nell’ambito del quadro unionale.
In assenza di una valutazione d’impatto, l’analisi del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità risulta limitata a questi cenni contenuti nella relazione illustrativa della proposta. Non sembra argomentato o approfondito il rispetto del principio di sussidiarietà per gli specifici aspetti di novità della proposta rispetto alla disciplina previgente.
Il considerando 3 specifica che il quadro di governance costituisce parte integrante del semestre europeo, che - si legge nella relazione illustrativa - la proposta in esame intende rendere “più forte ed efficace” per aiutare a realizzare l’economia europea verde, digitale e resiliente del futuro.
La configurazione attuale del semestre europeo si articola sulla base del seguente calendario:
- nel mese di novembre dell’anno precedente a quello di riferimento la Commissione europea pubblica il “pacchetto d’autunno”, che contiene: l’analisi annuale della crescita, che propone le priorità politiche (economiche ma anche sociali) dell’UE per l’anno di riferimento. Gli Stati membri sono invitati a tenerne conto nell’elaborazione delle rispettive politiche economiche; la relazione sul meccanismo di allerta, che passa in rassegna gli sviluppi macroeconomici nei singoli Stati membri dell’UE. Sulla base di essa può essere condotto un esame approfondito della situazione di quei Paesi in cui si ritiene elevato il rischio di squilibri macroeconomici; il progetto di raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro, in base alla quale tali Stati sono invitati ad attuare politiche ad essi specifiche;
- tra gennaio e febbraio: il Consiglio dell’Ue discute l’analisi annuale della crescita; discute, eventualmente modifica e approva il progetto di raccomandazione sulla politica economica della zona euro; il Parlamento europeo può invitare il presidente del Consiglio, la Commissione, il presidente del Consiglio europeo o il presidente dell’Eurogruppo[13] a discutere questioni relative al Semestre. Può altresì promuovere uno scambio di opinioni con singoli Stati membri (cd. “dialogo economico”);
- a fine febbraio la Commissione europea pubblica, nel “pacchetto d’inverno”, una valutazione annuale della situazione economica e sociale negli Stati membri. Vengono pubblicate delle relazioni per Paese che includono, qualora sia ravvisato un rischio, esami approfonditi degli squilibri macroeconomici. Può formulare progetti di raccomandazioni;
- a marzo: il Consiglio europeo fornisce orientamenti politici sulla base dell’analisi annuale della crescita; il Consiglio dell’UE fornisce analisi e conclusioni;
- entro aprile gli Stati membri presentano i propri programmi nazionali di riforma (PNR) e i programmi nazionali di stabilità (per i Paesi della zona euro, PNS) o di convergenza (per gli altri Stati UE). Nei programmi di stabilità gli Stati membri delineano la strategia di bilancio volta a raggiungere e mantenere l’obiettivo di medio termine (OMT, sul quale si veda oltre) o attuare un percorso di avvicinamento a esso. I programmi nazionali di riforma, completi dei programmi di riforme strutturali, mettono invece l’accento su promozione della crescita e occupazione (si veda oltre);
- a maggio, con il “pacchetto di primavera”, la Commissione europea valuta i programmi nazionali e presenta dei progetti di raccomandazioni specifiche per Paese (si veda oltre);
- a giugno: il Consiglio dell’UE discute le proposte di raccomandazioni specifiche per Paese; il Consiglio europeo ne approva la versione definitiva;
- a luglio: il Consiglio dell’UE adotta le raccomandazioni specifiche; gli Stati membri sono invitati ad attuarle;
- entro il 15 ottobre gli Stati membri della zona euro presentano alla Commissione e all’Eurogruppo i documenti programmatici di bilancio dell’anno successivo;
- tra ottobre e novembre: la Commissione fornisce pareri sui documenti programmatici di bilancio; l’Eurogruppo esamina tali pareri e formula una dichiarazione;
- a fine autunno il Parlamento europeo esprime il proprio parere sul ciclo del Semestre europeo in corso.
L’articolo 3 della proposta fa confluire nell’alveo del semestre europeo il coordinamento e la sorveglianza della politica economica, intesi in senso ampio, e della politica di occupazione. In questa prospettiva, il par. 2 dell’articolo 3 ne individua le seguenti, ulteriori componenti:
1) la formulazione, e la sorveglianza dell’effettiva attuazione, degli indirizzi di massima di politica economica degli Stati membri e dell’Unione nel suo insieme (articolo 121, par. 2, del TFUE), delle raccomandazioni specifiche per Paese e della raccomandazione sulla politica economica dell’area euro (lettera a);
2) la formulazione, e la sorveglianza dell’effettiva attuazione, degli orientamenti sull’occupazione che gli Stati membri devono prendere in considerazione (articolo 148, par. 2, del TFUE), ivi incluso il pilastro europeo dei diritti sociali, e delle relative raccomandazioni per Paese (lettera b);
Il par. 2 dell’articolo 148 del TFUE incarica il Consiglio di elaborare annualmente orientamenti di cui gli Stati membri devono tenere conto nelle rispettive politiche in materia di occupazione. Detti orientamenti sono basati su conclusioni del Consiglio europeo sulla situazione dell’occupazione nell’UE, adottati a seguito di una relazione annuale comune di Consiglio e Commissione (articolo 148, par. 1). L’adozione degli orientamenti ha luogo su proposta della Commissione e previa consultazione del PE, del Comitato economico e sociale, del Comitato per le regioni e del Comitato per l’occupazione (articolo 150 del TFUE) a carattere consultivo, composto da due componenti per ogni Stato membro e due della Commissione europea.
3) la presentazione, valutazione e approvazione dei piani di bilancio strutturali di medio termine, nonché il monitoraggio degli stessi attraverso i rapporti annuali;
4) la sorveglianza per evitare e correggere squilibri macroeconomici ai sensi del regolamento (UE) n. 1176/2011[14];
5) altre procedure di sorveglianza multilaterale stabilite da PE e Consiglio ai sensi dell’articolo 121, par. 6, del Consiglio;
6) le raccomandazioni che il Consiglio potrà, ove necessario, indirizzare agli Stati membri a seguito delle valutazioni effettuate, ai sensi della normativa in via di adozione, sui piani nazionali strutturali di bilancio di medio termine, le relazioni annuali di attuazione e, in generale, la situazione socio-economica degli Stati interessati (articolo 4, par. 1).
Le raccomandazioni specifiche per Paese, adottate secondo l’iter già richiamato, forniscono un’analisi della situazione economica di ciascuno Stato e raccomandano misure che ogni Paese dovrebbe adottare nei successivi dodici mesi. Possono riguardare settori come lo stato delle finanze pubbliche, le riforme dei sistemi pensionistici, le sfide incontrate nell’istruzione e nell’innovazione, le misure volte a creare occupazione e di lotta alla disoccupazione.
La raccomandazione per la zona euro fornisce orientamenti specifici per gli Stati la cui moneta è l’euro, su questioni legate al funzionamento della zona euro nel suo complesso. Riguarda questioni che interessano l’intera unione monetaria, ad esempio le politiche per correggere gli squilibri macroeconomici, l’orientamento di bilancio della zona euro e il completamento dell’Unione economica e monetaria.
Ad alcuni degli strumenti giuridici sopra elencati (e segnatamente gli indirizzi di massima per la politica economica, le raccomandazioni specifiche per Paese e la raccomandazione sulla politica economica dell’area euro nonché gli orientamenti sull’occupazione) gli Stati membri dovranno attenersi nell’assumere le decisioni chiave relative allo sviluppo delle proprie politiche economiche, occupazionali e di bilancio (articolo 4, par. 2). Il mancato rispetto comporterà a carico dello Stato inadempiente (par. 3):
a) l’adozione di ulteriori raccomandazioni specifiche per Paese;
b) un avvertimento dalla Commissione europea ex articolo 121, par. 4, del TFUE;
c) l’adozione delle ulteriori, possibili misure previste dalla proposta di regolamento in esame o dai regolamenti (CE) n. 1467/97 o (UE) n. 1176/2011.
La previsione di conseguenze giuridiche a carico degli Stati membri in caso di inadempienza rispetto a indirizzi di massima, orientamenti o raccomandazioni merita una riflessione alla luce del sistema delle fonti dell’ordinamento unionale[15]. L’articolo 288, par. 5, del TFUE stabilisce infatti in maniera inequivoca la natura non vincolante delle raccomandazioni, le quali “consentono alle istituzioni europee di rendere note le loro posizioni e di suggerire linee di azione senza imporre obblighi giuridici a carico dei destinatari”[16]. Gli orientamenti e gli indirizzi di massima non sono compresi nella lista degli atti giuridici dell’UE. La loro stessa denominazione ne suggerisce peraltro la natura non vincolante.
La circostanza però che un regolamento - “obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri”, come recita l’articolo 288, par. 2, del TFUE - stabilisca conseguenze per il mancato rispetto di tali documenti è in grado di conferire loro una cogenza indiretta altrimenti sconosciuta ai documenti giuridici di analoga natura.
La definizione della traiettoria tecnica configura la fase di guida delle politiche di bilancio nazionali ad opera delle istituzioni dell’Unione.
L’articolo 5 conferma preliminarmente la necessità che gli Stati membri rispettino i valori massimi di riferimento del 3 e 60 per cento del PIL rispettivamente per il disavanzo e per il debito delle Pubbliche amministrazioni.
L’articolo 126, par. 2, del TFUE, nell’incaricare la Commissione europea di sorvegliare l’evoluzione della situazione di bilancio e dell’entità del debito pubblico degli Stati membri, fa riferimento al rispetto di due criteri, dettagliati nell’articolo 1 del Protocollo n. 12 sulla procedura per i disavanzi eccessivi:
1) il 3 per cento per il rapporto fra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il prodotto interno lordo ai prezzi di mercato;
2) il 60 per cento per il rapporto fra il debito pubblico e il prodotto interno lordo a prezzi di mercato.
Per gli Stati che superino tali valori la Commissione (articolo 5) elabora e pubblica, all’interno di una relazione indirizzata al Comitato economico e finanziario, una specifica “traiettoria tecnica” per la spesa netta, differenziata per ogni Stato membro (articolo 6, par. 2). Questa fornirà indicazioni per la redazione dei rispettivi Piani nazionali di bilancio strutturale a medio termine (articolo 2, n. 3) e a tal fine coprirà lo stesso periodo di validità dei Piani (quattro anni, prorogabili a sette).
La “spesa netta” è costituita - ai sensi dell’articolo 2, n. 2, e dell’Allegato II, lettera a) - dalla spesa pubblica al netto della spesa per interessi, delle misure discrezionali sulle entrate e delle altre variabili di bilancio al di fuori del controllo del Governo (spese relative ai programmi dell’Unione interamente coperte dalle entrate dei fondi UE e elementi ciclici di spesa per indennità di disoccupazione).
Per approfondimenti al riguardo si rinvia alla terza sezione del presente dossier.
Nel definire la traiettoria, dovranno essere rispettati specifici criteri e requisiti (articolo 6, Allegato I):
1) che in assenza di ulteriori misure di bilancio, e al più tardi entro la fine del periodo di assestamento, la traiettoria decennale del rapporto debito/PIL sia posto (o rimanga) su un percorso plausibilmente discendente, o rimanga a livelli prudenti (articolo 6, lettera a e Allegato I, lettera a). Ai sensi dell’articolo 8, la relativa valutazione della Commissione, basata sulla metodologia illustrata nell’Allegato V, deve essere resa pubblica;
2) che in assenza di ulteriori misure di bilancio il disavanzo sia portato e mantenuto al di sotto del 3 per cento del valore di riferimento del PIL su un periodo decennale (articolo 6, lettera b; Allegato I, lettera b);
3) che lo sforzo di bilancio per il consolidamento nell’arco temporale di riferimento del Piano (quattro anni) sia almeno proporzionale allo sforzo complessivamente richiesto nell’intero periodo di consolidamento (fino a sette anni, articolo 2, n. 7). Si vuole così evitare che gli Stati con debito pubblico maggiore rimandino la parte più significativa degli aggiustamenti all’ultimo triennio di operatività del Piano (articolo 6, lettera c e Allegato I, lettera d);
4) che il rapporto debito pubblico/PIL alla fine dell’orizzonte di programmazione risulti inferiore rispetto all’anno precedente all’avvio del piano (articolo 6, lettera d, e Allegato I, lettera e);
5) che la crescita della spesa netta rimanga in media inferiore a quella del PIL di medio periodo durante l’orizzonte temporale del piano (articolo 6, lettera e, e Allegato I, lettera f);
6) che, per gli anni in cui si prevede che lo Stato membro in questione abbia un disavanzo superiore alla soglia del 3 per cento, la traiettoria sia coerente con un aggiustamento annuo minimo pari ad almeno 0,5 punti percentuali del PIL (lettera c) dell’Allegato I e articolo 3, par. 4, del regolamento (CE) n. 1467/1997 quale modificato dalla proposta COM(2023) 241, sulla quale si veda oltre).
Come osservato in premessa, i requisiti elencati nei punti da 3) a 6) rappresentano clausole di salvaguardia introdotte dalla Commissione europea al fine di rispondere alle richieste specifiche dei cd. “Paesi frugali”.
In termini di scadenze temporali, l’articolo 7 specifica che entro il 1° marzo dell’anno in cui gli Stati membri devono presentare ex novo il piano di bilancio strutturale, ovvero entro tre settimane dalla richiesta allo Stato membro di presentare un nuovo piano, la Commissione pubblica (par. 1):
1) la traiettoria e il corrispondente saldo primario strutturale;
2) il quadro di proiezione del debito pubblico a medio termine e i relativi risultati;
3) le proprie ipotesi e previsioni macroeconomiche.
Le traiettorie saranno soggette a aggiornamento almeno ogni quattro anni, in tempo utile per la presentazione del successivo ciclo di piani di bilancio strutturali di medio termine (par. 3).
Gli Stati membri con disavanzo e debito inferiori alle soglie di riferimento saranno destinatari non di una traiettoria bensì di informazioni tecniche, tali da garantire che il disavanzo pubblico sia mantenuto al di sotto del valore di riferimento anche nel medio termine (articolo 7, par. 2).
Al di là del generico obbligo per la Commissione di “assicurare un dialogo permanente” (articolo 34), non sembrano prefigurarsi modalità di coinvolgimento degli Stati membri nella definizione della traiettoria tecnica.
Il Capitolo IV della proposta è dedicato ai piani di bilancio strutturali di medio termine con i quali gli Stati membri delineeranno in relativa autonomia - all’interno del quadro unionale - il proprio percorso di risanamento di bilancio.
Come già accennato, il modello proposto è ispirato all’esperienza maturata, all’interno di Next generation EU, con il regolamento sul Dispositivo di ripresa e resilienza e dei relativi piani nazionali: redazione di un piano da parte degli Stati membri; valutazione ad opera della Commissione; approvazione del Consiglio; attuazione nazionale supervisionata dalle istituzioni dell’Unione.
Ai sensi dell’articolo 9 ogni Stato membro dovrà presentare al Consiglio e alla Commissione - entro fine aprile, salvo proroghe concordate e previo dialogo tecnico con la Commissione per assicurarne la congruità (articolo 10) - un proprio “piano strutturale di bilancio nazionale di medio termine”. Il testo dovrà essere reso pubblico.
Il piano strutturale di bilancio è ipotizzato come obbligo unico, comprensivo ed integrato di comunicazione a carico degli Stati membri. Andrà quindi a sostituire i citati programmi di stabilità (e di convergenza per gli Stati membri che non fanno parte dell’area euro) ed i programmi nazionali di riforma, che secondo la normativa vigente gli Stati devono presentare entro il mese di aprile. In tali documenti si devono delineare politiche di bilancio e di promozione della crescita e della competitività, tenendo conto degli orientamenti e dei risultati delle relazioni per Paese predisposti dalla Commissione.
Più in dettaglio, nei programmi di stabilità (PNS) gli Stati delineano la strategia di bilancio volta a raggiungere e mantenere l’obiettivo di medio termine (OMT) o attuare un percorso di avvicinamento a esso. Vi si delineano anche i probabili scenari macroeconomici e di bilancio derivanti dalle modifiche delle principali ipotesi economiche di base e delle politiche di bilancio che si intende adottare. Il Consiglio può chiederne l’adeguamento all’interno del parere che approva nel contesto delle raccomandazioni specifiche per Paese adottate alla fine del ciclo del semestre europeo. In caso di deviazione dal processo di avvicinamento all’OMT, la Commissione rivolge un avvertimento allo Stato interessato, nella forma di una raccomandazione del Consiglio che richiede i necessari aggiustamenti (articolo 121, par. 4, del TFUE, cosiddetto “allarme rapido”).
I programmi nazionali di riforma (PNR), completi dei programmi di riforme strutturali, mettono invece l’accento su promozione della crescita e occupazione. Gli Stati membri sono infatti chiamati a illustrare le politiche specifiche che attueranno per stimolare l’occupazione e la crescita e prevenire o correggere gli squilibri. I programmi comprendono anche i piani concreti per conformarsi alle raccomandazioni specifiche per Paese dell’UE.
Per l’Italia, il PNR ed il PNS sono incorporati all’interno del Documento di economia e finanza, la cui struttura ed i cui contenuti sono definiti dalla legge di contabilità e finanza pubblica (legge n. 196 del 2009).
Ciascun piano definirà il percorso di aggiustamento di bilancio dello Stato membro che lo ha presentato, formulato in termini di obiettivi di spesa pluriennali, che costituiranno l’unico indicatore operativo per la sorveglianza di bilancio.
Risulterà quindi superato l’obiettivo di medio termine (OMT) specifico per Paese, che ai sensi dell’articolo 2-bis del regolamento (CE) n. 1466/97 ogni Stato membro è chiamato a perseguire a livello nazionale. Definito sulla base di una serie di parametri economici, tra cui il potenziale di crescita dell’economia[17], l’OMT consiste in un livello di saldo di bilancio netto strutturale (corretto, cioè, per tener conto dell’influenza del ciclo economico e al netto delle misure di bilancio temporanee e una tantum) che può divergere dal pareggio, ma deve essere tale da garantire, in presenza di normali fluttuazioni cicliche, un adeguato margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento del disavanzo e il mantenimento di una situazione di sostenibilità delle finanze pubbliche. Va rivisto ogni tre anni o in occasione dell’attuazione di riforme strutturali di rilievo che incidono sul saldo di bilancio. Nell’ambito del semestre europeo viene valutato come gli Stati membri raggiungono l’OMT o intraprendono il percorso di aggiustamento verso di esso.
Il contenuto necessario dei Piani è elencato in dettaglio nell’Allegato II. Esso dovrà presentare una traiettoria di spesa netta che copra un periodo di almeno quattro anni, nonché le ipotesi macroeconomiche sottostanti e le misure strutturali di bilancio pianificate (articolo 11, par. 1), tali da soddisfare i seguenti criteri:
1) assicurare l’aggiustamento di bilancio necessario per portare o mantenere il debito pubblico su un percorso plausibilmente discendente al più tardi entro la fine del periodo di aggiustamento, o mantenerlo a livelli prudenti, e per portare e mantenere nel medio termine il disavanzo pubblico al di sotto del valore di riferimento del 3 per cento del PIL (articolo 12, lettera a);
2) illustrare come il Piano garantisca la realizzazione di investimenti e riforme identificate nel Semestre europeo, nelle raccomandazioni specifiche per Paese, come eventualmente corregga gli squilibri macroeconomici identificati e come affronti le priorità comuni dell’Unione elencate nell’Allegato VI (tra cui European green deal, pilastro dei diritti sociali, decennio digitale, bussola strategica per la difesa e la sicurezza, articolo 12, lettera b);
3) illustrare, se necessario, come si intenda realizzare le riforme e gli investimenti alla base dell’eventuale estensione del percorso di aggiustamento a sette anni (articolo 12, lettera c);
4) illustrare infine come si intenda garantire la coerenza con il PNRR nazionale (articolo 12, lettera d).
Il considerando 16 sottolinea inoltre l’importanza che ogni Piano nazionale dia conto delle relative procedure nazionali di approvazione, con specifico riferimento all’eventuale presentazione ed approvazione ad opera del Parlamento nazionale. Analogo rilievo dovrebbe essere dato alla discussione, in sede parlamentare, delle raccomandazioni o decisioni del Consiglio o degli avvertimenti della Commissione.
Nel Piano dovrà essere altresì dettagliato come lo Stato membro intenda dare seguito alle raccomandazioni specifiche, comprese quelle rilevanti ai fini della procedura per gli squilibri eccessivi, a avvertimenti della Commissione e a raccomandazioni del Consiglio (articolo 11, par. 1, comma 2). Qualora la traiettoria di spesa netta inclusa nel Piano sia più alta rispetto a quella fornita dalla Commissione europea, lo Stato membro interessato dovrà fornire argomentazioni economiche valide e verificabili a giustificazione della differenza (articolo 11, par. 3).
Come già accennato, la durata del periodo di aggiustamento di bilancio può essere prorogata fino ad un massimo di sette anni (articolo 13, par. 1) qualora lo Stato membro si impegni a realizzare riforme e investimenti commisurati al grado di sfide del debito pubblico e alla crescita a medio termine (par. 2). Possono essere considerati rilevanti, a questo fine, anche gli impegni inclusi nei PNRR nazionali (par. 4).
In particolare, le riforme e gli investimenti dovranno, nel loro insieme, soddisfare i criteri elencati nel par. 2, comma 2, dell’articolo 13: potenziare la crescita, sostenere la sostenibilità di bilancio, affrontare le priorità comuni dell’UE; affrontare le raccomandazioni specifiche per Paese, incluse eventuali raccomandazioni approvate nel contesto della procedura per gli squilibri eccessivi; assicurare che il livello globale di investimento pubblico finanziato al livello nazionale durante la durata del Piano sia superiore al livello di medio termine anteriore al piano medesimo. È specificamente richiesto che ognuna delle riforme e degli investimenti sia “sufficientemente dettagliata, anticipata, limitata nel tempo e verificabile” (par. 3).
L’Allegato VII contiene il quadro di valutazione in base al quale stabilire la congruità di riforme e investimenti. Per approfondimenti al riguardo si rinvia alla terza sezione del presente dossier.
Dopo la presentazione i Piani nazionali saranno sottoposti alla valutazione della Commissione europea sulla base di criteri comuni a tutta l’UE (“al fine di assicurare un processo equo e trasparente”, par. 23 delle Premesse). Entro due mesi (salvo proroga di un “periodo ragionevole”, da concordare con lo Stato membro interessato, articolo 15, par. 1), la Commissione dovrà valutare se (par. 2):
1) il Piano fa sì che il debito sia posto, o mantenuto, su un percorso plausibilmente discendente al più tardi entro il termine del periodo di aggiustamento, o rimanga a livelli prudenti (lettera a);
2) il disavanzo sia mantenuto al di sotto del livello di riferimento per gli Stati che lo avevano superato al momento della presentazione del Piano (lettera b) e se esso vi rimanga, in assenza di ulteriori misure di bilancio, per un periodo di 10 anni (lettera c);
3) lo sforzo di aggiustamento di bilancio nel periodo iniziale del Piano sia almeno proporzionale allo sforzo totale nell’intero periodo di aggiustamento (lettera d);
4) l’aggiustamento di bilancio sia pari almeno allo 0,5 per cento annuo per gli anni in cui si prevede che lo Stato membro interessato presenti un disavanzo superiore al valore di riferimento del 3 per cento del PIL (lettera e);
5) il rapporto debito pubblico/PIL alla fine dell’orizzonte di pianificazione sia inferiore a quello dell’anno precedente all’elaborazione della traiettoria tecnica (par. 2, lettera f);
6) le riforme e gli investimenti rispondano ai requisiti richiesti per l’estensione del periodo di assestamento e siano coerenti con le sfide identificate nel contesto del semestre europeo (par. 3).
Alla valutazione positiva del Piano da parte della Commissione è subordinata l’approvazione da parte del Consiglio. Così prevede, esplicitamente, l’articolo 27 della proposta, rubricato “regola del rispettare o spiegare”: di norma il Consiglio dovrebbe seguire le raccomandazioni e le proposte della Commissione. Qualora ritenga di discostarvisi, dovrà spiegare pubblicamente la propria posizione.
Lo stesso articolo specifica infatti che, “su raccomandazione della Commissione”, il Consiglio di regola adotterà entro quattro settimane una raccomandazione che fissa il percorso di spesa netta dello Stato membro interessato. Se del caso, approverà altresì l’insieme degli impegni di riforma e investimenti alla base dell’estensione della durata del Piano o della correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi (articolo 16, par. 2 e 3).
Se invece la valutazione del Piano nazionale dovesse essere negativa, il Consiglio – sempre su raccomandazione della Commissione – raccomanderà allo Stato membro di presentare un Piano rivisto (articolo 17). Trascorso infruttuosamente un mese da tale richiesta, il Consiglio raccomanderà che la traiettoria tecnica pubblicata dalla Commissione venga considerata quale percorso di spesa netta dello Stato interessato. Analoga conseguenza è ipotizzata nel caso in cui il piano rivisto non soddisfi i requisiti di cui al citato articolo 15 o se, alla scadenza del periodo coperto da un Piano, non ne venga presentato uno aggiornato (articolo 18).
L’articolo 19 disciplina l’ipotesi in cui lo Stato membro cui sia stata concessa l’estensione del periodo di aggiustamento non riesca a rispettare in modo soddisfacente gli impegni e le riforme concordati. In tal caso il Consiglio potrà, sempre sulla base di una raccomandazione della Commissione, raccomandare un nuovo percorso di spesa netta, con un periodo di aggiustamento di durata inferiore.
La revisione del piano di bilancio dopo la sua approvazione e prima della fine del periodo di aggiustamento è consentita in due ipotesi (art. 14, par. 1):
1) l’insorgere di “circostanze oggettive” che impediscano l’attuazione del Piano originario;
2) la richiesta di revisione avanzata a seguito dell’insediamento di un nuovo Governo nazionale.
In tal caso, prima della presentazione della richiesta di revisione la Commissione elaborerà, in una relazione al Comitato economico e finanziario, una nuova traiettoria tecnica (par. 2), la quale non consentirà il rinvio dello sforzo di risanamento di bilancio né potrà comportare uno sforzo di risanamento inferiore (par. 3). Sarà oggetto di valutazione specifica (par. 5) se possa continuare ad applicarsi l’eventuale proroga del periodo di aggiustamento approvata in precedenza. A tal fine si terrà conto dell’attuazione della serie di impegni di riforma e investimento alla base della proroga del piano originario e le modifiche, in termini di sfide del debito pubblico, previste dal nuovo Piano. In ogni caso, il nuovo piano sarà soggetto ai medesimi requisiti e alla stessa procedura di valutazione e approvazione di quello originario (par. 4)
Il capitolo V della proposta è dedicato all’attuazione dei piani nazionali di bilancio di medio termine, che si articolerà in:
1) una relazione annuale sullo stato di avanzamento presentata dagli Stati membri al più tardi entro il 15 aprile di ogni anno e resa disponibile al pubblico (articolo 20). Dovrà contenere informazioni sui progressi nell’attuazione del percorso di spesa netta, su impegni più ampi di riforme e investimento e le informazioni dettagliate nell’Allegato III. Tra queste si segnalano il confronto tra la situazione economica ex ante e ex post (lettere a e b), gli intendimenti dello Stato membro nell’affrontare le raccomandazioni specifiche per Paese relative all’anno precedente (lettera e) e la valutazione di istituzioni di bilancio indipendenti (lettera o);
2) il costante monitoraggio da parte della Commissione, focalizzato in particolare sul percorso della spesa netta. È prevista in particolare l’istituzione di un conto di controllo per tenere traccia delle deviazioni cumulative della spesa netta effettiva di ciascuno Stato membro rispetto al percorso assegnato, sia verso l’alto che verso il basso. In termini pratici, le deviazioni osservate rispetto al percorso di spesa netta in un determinato Stato membro verrebbero sommate nel tempo per tenere traccia dell’andamento annuale (par. 26 delle Premesse). L’Allegato IV regola il funzionamento di tale conto (articolo 21);
3) una valutazione di conformità, redatta da istituzioni di bilancio indipendenti[18] da individuare a livello nazionale ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2011/85/UE sui requisiti di bilancio degli Stati membri, quale rivisto dalla proposta COM(2023) 242. Tale valutazione avrà luogo sulla base dei dati riportati nella menzionata relazione annuale (articolo 22). Qualora si sia verificata una deviazione dal percorso di spesa netta, tali autorità sono incaricate di analizzare i fattori soggiacenti.
L’articolo 23 disciplina l’ipotesi in cui emerga un rischio significativo di deviazione dal percorso di spesa netta o che il disavanzo pubblico possa eccedere il 3 per cento del PIL. In tal caso, coerentemente con il disposto dell’articolo 121, par. 4, del TFUE:
1) la Commissione potrà indirizzare allo Stato interessato un avvertimento (“sistema di allerta precoce” o early warning system, par. 1);
2) sulla base di una raccomandazione della Commissione, il Consiglio entro un mese potrà adottare una raccomandazione per l’adozione delle misure necessarie.
Ai sensi dell’articolo 35, gli Stati destinatari di tale raccomandazione possono essere destinatari di missioni di sorveglianza approfondita della Commissione ai fini di un monitoraggio in loco (par. 1). Possono essere invitati a partecipare esponenti della Banca Centrale Europea se lo Stato interessato fa parte dell’area euro o se abbia aderito a ERM 2.
Il meccanismo di cambio per la terza fase dell’Unione economica e monetaria (ERM 2) è stato istituito il 1° gennaio 1999 per garantire che le fluttuazioni dei tassi di cambio tra l’euro e le altre valute dell’UE non perturbino la stabilità economica all’interno del mercato unico e per aiutare i Paesi non appartenenti all’area dell’euro ad accedervi.
Tale possibilità si affianca a quella, generica, della Commissione, di effettuare missioni negli Stati membri per valutarne la situazione socio-economica e identificare rischi o difficoltà (articolo 34, periodo 2).
Ai sensi dell’articolo 2 del regolamento (UE) n. 472/2013, applicabile agli Stati la cui moneta è l’euro, “La Commissione può decidere di sottoporre a sorveglianza rafforzata uno Stato membro che si trovi o rischi di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità finanziaria, con probabili ripercussioni negative su altri Stati membri nella zona euro” (par. 1, periodo 1). Allo Stato interessato è data l’opportunità di pronunciarsi prima che la Commissione adotti la relativa decisione, eventualmente prorogata ogni sei mesi (par. 1, periodo 3). Nello Stato soggetto a sorveglianza rafforzata la Commissione può effettuare missioni di verifica periodiche per verificare i progressi realizzati (articolo 3, par. 5).
La possibilità che la Commissione effettui “missioni allo scopo di valutare la situazione economica reale nello Stato membro e individuare i rischi o le difficoltà nel rispettare gli obiettivi del presente regolamento” è prevista anche dall’articolo 10-bis del regolamento (CE) n. 1467/97. Il par. 2 specifica ulteriormente che una sorveglianza rafforzata può essere attuata, “a fini di controllo in loco”, per gli Stati oggetto di raccomandazioni e intimazioni formulate a seguito di una decisione relativa all’avvio di una procedura per disavanzi pubblici eccessivi (articolo 126 del TFUE). “Gli Stati interessati forniscono tutte le informazioni necessarie per la preparazione e lo svolgimento della missione”. Il par. 5 specifica che “la Commissione trasmette le sue conclusioni provvisorie agli Stati interessati affinché formulino osservazioni in merito”.
Le fattispecie di missioni di verifica e di missioni di sorveglianza approfondita previste dall’ordinamento unionale vigente sembrano maggiormente circostanziate rispetto alle disposizioni contenute nella proposta in oggetto.
In caso di circostanze eccezionali la proposta prevede una duplice possibilità di ricorso a clausole di salvaguardia che consentano scostamenti dagli obiettivi di spesa, entrambe attivabili tramite raccomandazione del Consiglio sulla base di una previa raccomandazione della Commissione:
1) a livello di Unione (articolo 24) in caso di grave recessione economica nell’area dell’euro o nell’UE nel suo insieme;
2) al livello nazionale al verificarsi di circostanze eccezionali, al di fuori del controllo dello Stato membro, con un forte impatto sulle finanze pubbliche (articolo 25).
Il carattere di eccezionalità - si specifica nel considerando 31 - dovrebbe derivare da circostanze del tutto extra ordinem. Ad esempio, i costi delle catastrofi naturali dovrebbero, entro determinati limiti, essere presi in considerazione nella normale pianificazione di bilancio.
In entrambi i casi non può venirne compromessa la sostenibilità di bilancio di medio periodo e dovrà essere specificata la durata temporale della deviazione. Eventuali proroghe possono essere accordate anche in più occasioni ma sempre per un periodo massimo di un anno per volta.
Una clausola di salvaguardia è prevista negli articoli 5, par. 1, 6, par. 3, 9, par. 1 e 10, par. 3 del regolamento (CE) 1466/97 per facilitare il coordinamento delle politiche di bilancio in caso di grave recessione economica per “un evento inconsueto al di fuori del controllo dello Stato membro interessato che abbia rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale di detto Stato o in caso di grave recessione economica della zona euro o dell’intera dell’Unione”, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa. Si vedano anche gli articoli 3, par. 5, e 5, par. 2, del regolamento (CE) 1467/1997.
Tale clausola di salvaguardia generale è stata attivata per la prima volta in occasione della pandemia da Covid-19, su proposta presentata dalla Commissione europea il 20 marzo 2020 (COM(2020) 123)[19]. La Commissione – senza precisare i termini temporali della misura – specificava espressamente che le procedure previste nel Patto non sarebbero state sospese, ma che Consiglio e Commissione avrebbero attivato le necessarie misure di coordinamento pur disapplicando i requisiti di bilancio normalmente applicabili.
I Ministri dell’economia e delle finanze, riuniti in videoconferenza il 23 marzo 2020, hanno convenuto con la Commissione e approvato la dichiarazione congiunta sul patto di stabilità e crescita in luce della crisi COVID-19.
Dopo una serie di proroghe, la riattivazione del PSC è prevista per gennaio 2024. Come già ricordato, la mancata conclusione in tempo utile dell’iter legislativo della proposta in oggetto comporterebbe, alla disattivazione della clausola di salvaguardia generale, il ritorno alla normativa attuale sulla governance economica.
Il Capitolo VI contiene norme finalizzate a incrementare il livello di trasparenza e democraticità della normativa sulla governance, rivolte:
1) al Consiglio, chiamato “di regola” a spiegare pubblicamente la propria posizione qualora desideri discostarsi dalle raccomandazioni rivoltegli dalla Commissione (articolo 27).
Norma analoga è contenuta nell’articolo 2-bis, par. 1, c. 2, del regolamento (CE) n. 1467/97;
2) al Parlamento europeo, che ai sensi dell’articolo 29 dovrà essere informato regolarmente da Consiglio e Commissione sull’applicazione del regolamento in via di approvazione (par. 1), ivi compresi dettagli sui risultati della sorveglianza multilaterale (par. 2)
L’articolo 2-bis, par. 2, del regolamento (CE) n. 1467/97 contiene una disposizione analoga, priva però della specificazione relativa ai risultati della sorveglianza multilaterale;
3) agli Stati membri, che possono essere invitati dal PE a “partecipare ad uno scambio di vedute” se destinatari di una raccomandazione del Consiglio in caso di rischio significativo di deviazione dal percorso di spesa (articolo 28).
L’articolo 2-bis, par. 1, c. 3, del regolamento (CE) n. 1467/97 prevede che la medesima possibilità possa essere offerta agli Stati membri dalla “Commissione competente” del PE;
L’articolo 26 è infine dedicato al dialogo in seno al semestre europeo, finalizzato a aumentare la trasparenza e la titolarità, ma anche la responsabilità delle decisioni assunte. Il dialogo si svolgerà tramite:
1) consultazione con il Comitato economico e finanziario, il Comitato di politica economica, il Comitato occupazione e il Comitato protezione sociale (par. 1, periodo 1);
2) il coinvolgimento dei rilevanti portatori d’interesse (par. 1, periodo 2), con particolare riferimento alle parti sociali, a garanzia di un processo decisionale trasparente e inclusivo (par. 4 delle Premesse);
3) possibili audizioni presso il PE del Presidente del Consiglio dell’Unione, della Commissione e - ove appropriato - del Presidente del Consiglio europeo o dell’Eurogruppo per discutere gli orientamenti forniti agli Stati dalla Commissione, le conclusioni del Consiglio europeo e i risultati della sorveglianza macroeconomica (par. 2).
L’articolo 2-bis, par. 1, c. 1, del regolamento (CE) n. 1467/97 prevede la possibilità che audizioni possano avere luogo presso la “Commissione competente” del Parlamento europeo;
4) un’informativa annuale sui risultati della sorveglianza multilaterale davanti al PE e al Consiglio europeo ad opera dei Presidenti del Consiglio, della Commissione e – ove appropriato – dell’Eurogruppo (par. 3).
Gli articoli 30 e 31 recano norme di coordinamento, rispettivamente, con:
1) il regolamento (UE) n. 1176/2011 sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici. Il Consiglio può adottare una raccomandazione che stabilisce l’esistenza di squilibri eccessivi qualora uno Stato membro non attui gli impegni di riforma e di investimento inclusi nel proprio piano strutturale di bilancio per affrontare le raccomandazioni specifiche per Paese rilevanti per la procedura di squilibri eccessivi.
In tal caso lo Stato membro interessato dovrà presentare un Piano riveduto, che il Consiglio valuterà entro due mesi sulla base di una raccomandazione della Commissione. Questo fungerà da piano d’azione correttivo ai sensi del regolamento (UE) n. 1176/2011 definendo le azioni politiche specifiche attuate o che si intende attuare, con un calendario per tali azioni;
2) il regolamento (UE) n. 472/2013. La norma è rivolta agli Stati dell’area euro sottoposti a sorveglianza rafforzata in quanto si trovino - o rischino di trovarsi - in gravi difficoltà in termini di stabilità finanziaria, con probabili ripercussioni negative su altri Stati membri nella zona euro. Questi, nell’adottare misure finalizzate a affrontare le fonti – anche potenziali – di difficoltà, dovranno tenere conto di tutte le raccomandazioni rivolte loro ai sensi dell’articolo 23 della proposta in commento (articolo 31). Il par. 2 specifica che gli Stati i quali, avendo richiesto assistenza finanziaria da uno o più altri Stati membri o Paesi terzi o da enti quali il MES o l’FMI, siano soggetti a un programma di aggiustamento macroeconomico, sono esentati dall’obbligo di presentazione di Piano di bilancio strutturale di medio termine e della relativa relazione annuale di attuazione.
L’articolo 32 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati per un periodo di tempo indeterminato (articolo 33, par. 2), a partire dalla data di entrata in vigore della proposta di regolamento.
Ai sensi dell’articolo 290 del TFUE “un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo. Gli atti legislativi delimitano esplicitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere. Gli elementi essenziali di un settore sono riservati all’atto legislativo e non possono pertanto essere oggetto di delega di potere”.
Il controllo sugli atti delegati spetta al legislatore dell’Unione (Parlamento europeo e Consiglio), in considerazione del fatto che con la delega il legislatore medesimo ha conferito alla Commissione il potere di elaborare atti che avrebbe potuto adottare egli stesso.
La delega è conferita per adattare gli Allegati dal II al VII “agli ulteriori sviluppi o bisogni” relativi al contenuto di ciascuno di essi, vale a dire:
1) informazioni da fornire nei piani nazionali di bilancio strutturale di medio termine (Allegato II);
2) informazioni da fornire nelle relazioni annuali di attuazione (Allegato III);
3) il funzionamento del conto di controllo (Allegato IV);
4) la metodologia sulla base della quale valutare se il rapporto debito/PIL sia posto (o rimanga) su un percorso plausibilmente discendente ai sensi dell’articolo 8 della proposta (Allegato V);
5) le priorità comuni dell’Unione europea che i Piani nazionali devono affrontare ai sensi dell’articolo 12, lettera b) (Allegato VI);
6) il quadro di valutazione per l’insieme di impegni di riforma e investimento a sostegno di un’estensione della durata del periodo di aggiustamento (Allegato VII).
La previsione in esame presenta alcuni aspetti di potenziale criticità sui quali sarebbe opportuno acquisire l’avviso del Governo. Il primo attiene al fatto che il potere di adottare, per le materie sopra indicate, atti delegati è conferito per un periodo di tempo indeterminato.
Appare opportuno ricordare che a seguito dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona le Commissioni permanenti del Senato e, più recentemente, della Camera hanno criticato, nelle proprie risoluzioni o documenti, l’indeterminatezza temporale delle deleghe. Malgrado il richiamato articolo 290 preveda che l’atto legislativo fissi la durata della delega, negli atti legislativi dell’Ue sono non di rado previste clausole di delega indeterminate. È prevalsa infatti una interpretazione del richiamato articolo secondo cui il Legislatore europeo può decidere se stabilire o meno un termine per la delega.
Un secondo profilo di criticità – anch’esso denunciato in diverse pronunce delle commissioni di Senato e Camera su specifiche proposte legislative dell’UE - attiene alla potenziale incidenza della delega su elementi essenziali del documento legislativo in via di approvazione (indeterminatezza della portata). L’art. 290 del TFUE vieta, come si è riportato, esplicitamente di incidere, tramite delega legislativa, su elementi essenziali del documento legislativo.
Nell’ottica di questo divieto è apprezzabile che sia stato sottratto al meccanismo di modifica tramite delega il contenuto dell’Allegato I, che elenca i criteri per delineare la traiettoria tecnica.
Non altrettanto lineare è invece la possibilità di consentire la modifica tramite atti delegati degli Allegati V e VII. Il primo contiene infatti dettagli sulla metodologia in base alla quale valutare se il rapporto debito/PIL di ogni Stato membro sia destinato a rimanere su un percorso plausibilmente discendente, o a livelli prudenti, ai fini dell’elaborazione della traiettoria tecnica. Il secondo illustra il quadro di valutazione in base al quale stabilire la congruità di riforme e investimenti ai fini dell’eventuale estensione della durata del Piano a sette anni.
Si tratta, in entrambi i casi, di elementi e decisioni di non poco momento e con conseguenze importanti in relazione al percorso di aggiustamento di bilancio ed alla disponibilità di risorse in uno Stato membro per un periodo compreso tra i quattro e i sette anni.
L’articolo 36 reca una clausola di revisione, che incarica la Commissione di pubblicare ogni cinque anni una relazione pubblica al PE e al Consiglio per fornire ai co-legislatori una valutazione sull’applicazione della normativa in corso di adozione, se necessario corredata da proposte di modifica (par. 1).
Saranno, in particolare, oggetto di valutazione (par. 2):
1) l’efficacia della normativa, con particolare riferimento alla circostanza se il processo decisionale si sia dimostrato adeguatamente efficiente nell’assicurare un percorso discendente per il rapporto tra debito pubblico e PIL o nel mantenerlo a livelli prudenti, sulla base delle rilevanti raccomandazioni del Consiglio;
2) il progresso realizzato nell’assicurare un coordinamento più stretto delle politiche economiche e la convergenza duratura della prestazione economica degli Stati membri.
La proposta modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 che disciplina la procedura per i disavanzi eccessivi (PDE) - il cd. braccio correttivo del Patto di stabilità e crescita - stabilita dall’articolo 126 del TFUE e dal protocollo n. 12 allegato ai Trattati. Si tratta di un meccanismo che può essere attivato nei confronti di uno Stato in caso di superamento dei valori di riferimento per il disavanzo e il debito.
Come riferito in premessa, la base giuridica della proposta è l’articolo 126, paragrafo 14, secondo comma, TFUE. La Commissione europea reputa la proposta conforme al principio di sussidiarietà in quanto il suo obiettivo, l’uniforme rispetto della disciplina di bilancio imposto dal TFUE, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri e può essere conseguito meglio a livello di Unione; la ritiene altresì rispettosa del principio di proporzionalità in quanto essa si limita a quanto è necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti dallo strumento.
In estrema sintesi, le principali modifiche proposte - di cui si dà conto nei paragrafi successivi - intendono assicurare un’applicazione più rigorosa ex post delle regole per controbilanciare la maggiore titolarità nazionale ex ante nella progettazione delle traiettorie di bilancio. Se la PDE basata sul disavanzo resta sostanzialmente invariata, l’apertura di una PDE basata sul debito viene resa automatica per i Paesi con livelli di debito superiori al 60% del PIL che si discostano dal percorso di aggiustamento concordato. Altre modifiche riguardano il ruolo degli enti di bilancio indipendenti e l’apparato sanzionatorio.
Le definizioni contenute nell’articolo 1 sono allineate a quelle del nuovo regolamento sul braccio preventivo.
Il nuovo articolo 2, paragrafi 1, 1-bis e 2, del regolamento contiene novità importanti con riferimento ai due criteri per attivare la procedura (per approfondimenti sui quali si rinvia alla terza sezione del presente dossier):
1) disavanzo pubblico. La modifica principale riguarda le condizioni che permettono di superare la soglia del 3% senza rischiare di incorrere in una procedura. Il nuovo articolo 2 sostituisce il concetto di “evento inconsueto” con quello di “circostanze eccezionali” e aggiunge riferimenti incrociati alla proposta di regolamento che sostituisce il braccio preventivo del Patto.
In base alle nuove regole, pertanto, il superamento del valore di riferimento per il disavanzo pubblico è considerato eccezionale se il Consiglio accerta l’esistenza di una grave recessione economica nella zona euro o nell’Unione nel suo insieme o di circostanze eccezionali (e non più di un evento inconsueto) al di fuori del controllo del governo con un impatto rilevante sulle finanze pubbliche dello Stato membro interessato. Allo stesso modo, il superamento è considerato temporaneo se le proiezioni di bilancio elaborate dalla Commissione indicano che il disavanzo diminuirà al di sotto del valore di riferimento dopo la fine della grave recessione economica o delle circostanze eccezionali. Inoltre, in base al nuovo articolo 2, la Commissione e il Consiglio, nel valutare e decidere sull’esistenza di un disavanzo eccessivo, a norma dei paragrafi da 3 a 6 dell’articolo 126 TFUE, possono considerare eccezionale un superamento del valore di riferimento determinato da una grave recessione economica “qualora il Consiglio stabilisca l’esistenza di circostanze eccezionali ai sensi del nuovo regolamento sul braccio preventivo” e non più, come nel testo vigente, “se tale superamento è dovuto a un tasso di crescita negativo del volume annuo del PIL o a una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa del volume annuo del PIL rispetto alla crescita potenziale”;
2) debito pubblico. La novità più rilevante riguarda le condizioni che permettono di superare la soglia del 60% senza rischiare di incorrere in una procedura. Viene abbandonata la cd. “regola dell’1/20” in considerazione del fatto che la sua applicazione “implicherebbe assai probabilmente - nell’attuale situazione post-COVID di elevati rapporti debito/PIL e disavanzo/PIL - uno sforzo di bilancio concentrato nel periodo iniziale troppo impegnativo, che avrebbe un impatto molto negativo sulla crescita e quindi sulla sostenibilità stessa del debito”.
In base a tale regola, è stabilito che, per la quota del rapporto debito/PIL in eccesso rispetto al livello del 60%, il tasso di riduzione debba essere pari a 1/20 all’anno nella media dei tre precedenti esercizi (versione backward-looking della regola). La regola è considerata soddisfatta, altresì, se la riduzione del differenziale di debito rispetto al 60% si verificherà, in base alle previsioni della Commissione europea, nel periodo di tre anni successivi all’ultimo anno per il quale si hanno dati disponibili (versione forward-looking della regola). Va anche verificato se lo scostamento dal benchmark di riferimento può essere attribuito agli effetti del ciclo economico.
Con le nuove regole, se il debito supera il valore di riferimento, viene considerato in diminuzione sufficiente e in avvicinamento al valore di riferimento a un ritmo soddisfacente se lo Stato membro interessato rispetta il suo percorso della spesa netta (fissata dal Consiglio ai sensi del nuovo braccio preventivo del Patto).
Al momento della pubblicazione delle proposte, fonti di stampa hanno fatto riferimento a una proiezione, elaborata dai servizi della Commissione, secondo la quale l’Italia, in base alle nuove regole, dovrebbe effettuare una correzione annua dello 0,85% del PIL (circa 14-15 miliardi di euro), in caso di piano di quattro anni, e una correzione annua dello 0,45% del PIL (circa 6-8,5 miliardi di euro) in caso di piano di sette anni. L’attuale regola del debito, invece, richiederebbe all’Italia uno sforzo del 4,5% del PIL l’anno.
Se uno Stato non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i suddetti criteri, la Commissione europea prepara una relazione (art. 126, par. 3, TFUE). Può prepararla anche se ritiene che in un determinato Stato, malgrado i criteri siano rispettati, sussista il rischio di un disavanzo eccessivo.
Il nuovo articolo 2, par.3, introduce modifiche importanti al contenuto della relazione, o meglio all’elenco dei fattori significativi di cui la Commissione deve tenere conto nel preparare la relazione.
Innanzitutto, il livello dei problemi di debito dello Stato interessato diventa un fattore significativo fondamentale da considerare. In particolare, il fatto che lo Stato membro debba affrontare gravi problemi di debito pubblico secondo il più recente Debt Sustainability Monitor è considerato di norma un fattore fondamentale per l’avvio di una procedura.
Per quanto concerne gli altri fattori significativi da tenere in considerazione, le nuove regole elencano i seguenti:
a) l’evoluzione della posizione economica a medio termine, “in particolare l’andamento dell’inflazione e l’evoluzione congiunturale rispetto alle ipotesi sottese al percorso della spesa netta” (e non più, come nelle regole vigenti, “la crescita potenziale, compresi i diversi contributi del lavoro, dell’accumulo dei capitali e della produttività totale dei fattori, l’evoluzione congiunturale e la posizione in termini di risparmi netti del settore privato”);
b) l’evoluzione delle posizioni di bilancio a medio termine, tra cui, “in particolare, l’entità della deviazione effettiva dal percorso della spesa netta, in termini annuali e cumulativi misurati dal conto di controllo, e la misura in cui la deviazione è dovuta a una grave recessione economica dell’Eurozona o dell’intera Unione o a circostanze eccezionali al di fuori del controllo del governo con rilevanti ripercussioni sulle finanze pubbliche dello Stato membro interessato ai sensi dei nuovi articoli 24 e 25 del regolamento sul braccio preventivo” (e non più, come nelle regole vigenti, “lo stato di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine, il livello del saldo primario e l’evoluzione della spesa primaria corrente e in conto capitale, l’attuazione di politiche nel contesto della prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi, l’attuazione di politiche nel contesto di una strategia di crescita comune dell’Unione e la qualità complessiva delle finanze pubbliche, in particolar modo l’efficacia dei quadri di bilancio nazionali”). Se del caso, al momento di considerare l’entità della deviazione, si deve tenere conto anche della deviazione rispetto alla traiettoria tecnica;
c) “gli sviluppi riguardanti la posizione del debito pubblico e il suo finanziamento, nonché i relativi fattori di rischio, in particolare la struttura delle scadenze del debito, le valute in cui è denominato e le passività potenziali” (e non più, come nelle regole vigenti, “gli sviluppi nella posizione del debito pubblico a medio termine, la sua dinamica e sostenibilità, compresi in particolare i fattori di rischio, incluse la struttura delle scadenze del debito e le valute in cui è denominato, l’aggiustamento stock-flussi e la relativa composizione, le riserve accantonate e gli altri attivi finanziari, le garanzie, in particolare collegate al settore finanziario, e le eventuali passività implicite legate all’invecchiamento della popolazione e al debito privato, nella misura in cui possono rappresentare potenziali passività implicite per le amministrazioni pubbliche”);
d) “l’attuazione di riforme e investimenti, tra cui, in particolare, politiche per prevenire e correggere gli squilibri macroeconomici eccessivi, politiche per attuare la strategia comune dell’Unione per la crescita e l’occupazione, tra cui quelle promosse da NextGenerationEU, e la qualità complessiva delle finanze pubbliche, in particolar modo l’efficacia dei quadri di bilancio nazionale”.
La relazione deve tenere in debita ed esplicita considerazione anche tutti gli altri fattori che, secondo lo Stato interessato, sono significativi per valutare complessivamente l’osservanza dei criteri relativi al disavanzo e al debito e che tale Stato ha sottoposto (con un parere) al Consiglio e alla Commissione. In base al nuovo articolo 2, par. 3, esso deve contenere il parere sui fattori significativi del proprio ente di bilancio nazionale indipendente.
Sono invece rimosse le disposizioni vigenti secondo cui, nella valutazione dell’osservanza del criterio del disavanzo e del debito e nelle fasi successive della procedura, Consiglio e Commissione devono tenere nella debita considerazione l’attuazione di riforme delle pensioni che introducono un sistema multipilastro.
In caso di grave recessione economica, Commissione e Consiglio possono decidere, nella loro valutazione, di non dichiarare l’esistenza di un disavanzo eccessivo, in linea con l’approccio seguito per l’attivazione della clausola di salvaguardia generale durante la crisi della COVID-19 (nuovo articolo 2, par. 5).
Sulla relazione della Commissione europea è chiamato ad esprimersi, entro due settimane, con parere, il Comitato economico e finanziario (art. 126, par. 4, TFUE) che, in base al nuovo articolo 3, par. 1, deve essere pubblicato. Acquisito il parere, la Commissione europea, se ritiene che in uno Stato membro esista o possa determinarsi in futuro un disavanzo eccessivo, trasmette un parere almedesimo Stato interessato e ne informa il Consiglio (art.126, par.5, TFUE).
Il Consiglio, su proposta della Commissione e considerate le osservazioni che lo Stato interessato ritenga di formulare, decide, dopo una valutazione globale, se esiste un disavanzo eccessivo (articolo 126, par. 6, TFUE). In tal caso, il Consiglio adotta, su raccomandazione della Commissione, le raccomandazioni allo Stato membro al fine di far cessare tale situazione entro un determinato periodo (art. 126, par. 7, TFUE). Il nuovo articolo 3, par. 3, stabilisce che le suddette decisioni e raccomandazioni del Consiglio devono essere pubblicate.
In base al nuovo articolo 3, paragrafo 4, inoltre la raccomandazione del Consiglio deve anche chiedere allo Stato membro interessato di attuare un percorso correttivo di spesa netta che assicuri che il disavanzo resti o sia portato e mantenuto al di sotto del valore di riferimento entro il termine stabilito. Per gli anni in cui si prevede che il disavanzo superi il valore di riferimento, il percorso correttivo di spesa netta deve essere coerente con un aggiustamento annuo minimo pari almeno allo 0,5% del PIL come parametro di riferimento.
Il percorso correttivo della spesa netta deve altresì mettere il debito su un percorso di riduzione plausibile o mantenerlo a un livello prudente alla luce dei criteri stabiliti nell’allegato I del nuovo regolamento sul braccio preventivo. Deve infine garantire che lo sforzo medio di aggiustamento di bilancio annuo, nei primi tre anni, sia almeno altrettanto elevato dello sforzo medio di bilancio annuo dell’intero periodo di aggiustamento.
Il testo vigente dell’articolo 3(4) stabilisce invece che, nella sua raccomandazione, il Consiglio chiede allo Stato membro di realizzare ogni anno obiettivi di bilancio coerenti con un miglioramento annuo minimo pari ad almeno lo 0,5% del PIL come parametro di riferimento, del suo saldo di bilancio corretto per il ciclo, al netto delle misure temporanee e una tantum.
Entro il termine fissato, lo Stato interessato presenta e pubblica una relazione al Consiglio e alla Commissione circa il seguito dato alla raccomandazione. Il nuovo articolo 3, par. 5, aggiunge l’obbligo di includere nella relazione il parere del proprio ente di bilancio nazionale indipendente sull’adeguatezza delle misure adottate e previste rispetto agli obiettivi.
Il nuovo articolo 3, par. 6, prevede che siano le circostanze eccezionali fuori dal controllo di un governo (e non più gli eventi economici sfavorevoli imprevisti) e una grave recessione economica a consentire al Consiglio, mediante una raccomandazione rivista a norma dell’articolo 126, par. 7, TFUE, di prorogare il termine per la correzione del disavanzo eccessivo.
Qualora uno Stato persista nel disattendere le raccomandazioni del Consiglio, quest’ultimo può decidere di intimargli di prendere, entro un termine stabilito, le misure volte alla riduzione del disavanzo che il Consiglio ritiene necessarie per correggere la situazione (articolo 126, paragrafo 9, TFUE), chiedendogli, altresì, di presentare relazioni. Il nuovo articolo 5, par.1, stabilisce che nell’intimazione il Consiglio chiede allo Stato membro di attuare un percorso correttivo di spesa netta con gli stessi requisiti di cui alla suddetta raccomandazione del nuovo articolo 3, par. 4. Allo stesso modo, vi può essere un’intimazione rivista (nuovo articolo 5, par. 2) in presenza di circostanze eccezionali fuori dal controllo di un governo (e non più eventi economici sfavorevoli imprevisti) e grave recessione economica nell’Eurozona o nell’Unione nel suo insieme.
Il nuovo articolo 6, paragrafo 1, invece, stabilisce che i provvedimenti del Governo dello Stato membro interessato, che il Consiglio valuta per determinare se sia stato dato seguito effettivo alla sua intimazione, non devono soltanto essere pubblicamente annunciati (come nelle regole vigenti), ma anche sufficientemente dettagliati.
Nel nuovo articolo 8 sono aggiunte le condizioni in base alle quali il Consiglio può abrogare la PDE a norma dell’articolo 126, paragrafo 12, TFUE. Ai sensi del quadro vigente, tali condizioni sono fissate esclusivamente in un codice di condotta.
Nello specifico il nuovo articolo 8, par. 3, stabilisce che il Consiglio adotti una decisione ai sensi dell’articolo 126, paragrafo 12, TFUE “soltanto qualora le proiezioni di bilancio fornite dalla Commissione indichino che il disavanzo è stato portato stabilmente al di sotto del valore di riferimento e, se la procedura per i disavanzi eccessivi è stata avviata sulla base del criterio del debito, qualora lo Stato membro interessato abbia rispettato il percorso correttivo di spesa netta stabilito dal Consiglio ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, o dell’articolo 5, paragrafo 1, del presente regolamento nel corso dei due anni precedenti e, sulla base delle proiezioni della Commissione, si preveda che continui a fare altrettanto nell’anno in corso".
Il Consiglio abroga alcune o tutte le decisioni o raccomandazioni nella misura in cui ritiene che il disavanzo eccessivo nello Stato membro in questione sia stato corretto (articolo 9).
I nuovi articoli 10 e 10-bis prevedono che le missioni intraprese dalla Commissione negli Stati membri consentano uno scambio anche con i portatori di interessi diversi dalle autorità nazionali, tra cui gli enti di bilancio indipendenti. Impongono altresì alla Commissione di effettuare missioni di sorveglianza dedicate negli Stati membri che hanno ricevuto un’intimazione dal Consiglio ai sensi dell’articolo 126, paragrafo 9, TFUE; dispongono, inoltre, che, in tale contesto e su invito del Parlamento dello Stato membro interessato, la Commissione possa presentare la propria valutazione della situazione economica e di bilancio dello Stato membro.
Nel caso in cui il Paese interessato non si conformi alle decisioni del Consiglio (e quindi il disavanzo non venga ridotto), quest’ultimo può decidere, ai sensi dell’articolo 126(11) TFUE, di imporre delle sanzioni, tra le quali infliggere ammende di entità adeguata.
Al maggiore automatismo della procedura per debito, le nuove regole affiancano una riduzione delle sanzioni pecuniarie ad essa conseguenti.
Nello specifico, il nuovo articolo 12 sopprime l’importo minimo delle ammende previsto dalle disposizioni vigenti (pari allo 0,2% del PIL)[20] ma stabilisce che gli Stati membri dovranno versare multe semestrali del valore dello 0,05% del PIL, cumulabili fino allo 0,5% del PIL.
Anche le regole vigenti prevedono un importo dell’ammenda, tra elemento fisso ed elemento variabile, non superiore allo 0,5% del PIL, ma prevedono altresì la possibilità per il Consiglio di decidere, nel corso di ogni anno successivo all’imposizione di un’ammenda, di intensificare le sanzioni, per un ulteriore importo massimo dello 0,5% del PIL. Viene inoltre soppresso il vigente articolo 16 che assegna le entrate delle ammende al Fondo europeo di stabilità finanziaria. Le entrate derivanti dalle ammende saranno versate nel bilancio dell’UE a titolo di altre entrate (a tale scopo, sarà anche necessaria una modifica dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento finanziario). Sono infine rimosse le disposizioni relative al Regno Unito.
La proposta modifica la direttiva 2011/85/UE che stabilisce regole dettagliate riguardanti le caratteristiche dei quadri di bilancio degli Stati membri, necessarie perché sia garantita l’osservanza dell’obbligo di evitare disavanzi pubblici eccessivi.
Come riferito in premessa, la base giuridica della proposta è l’articolo 126, paragrafo 14, terzo comma, TFUE. La Commissione europea reputa la proposta conforme ai principi di sussidiarietà e proporzionalità in quanto il suo obiettivo, ossia il rispetto uniforme della disciplina di bilancio come richiesto dal TFUE, non può essere conseguito in modo soddisfacente dagli Stati membri e può essere conseguito meglio a livello di Unione. Inoltre, dato che le modifiche proposte mirano principalmente ad affrontare alcune carenze della direttiva, o a chiarirne (oppure aggiornarne) le disposizioni, esse possono essere realizzate nel modo migliore a livello di Unione europea anziché da iniziative nazionali differenti.
Oltre ad alcune disposizioni riguardanti la qualità dei dati macroeconomici e di bilancio utilizzati, la proposta intende rafforzare la titolarità nazionale, con un ruolo più importante e nuovi compiti per gli enti di bilancio indipendenti, e promuovere un orientamento a medio termine della programmazione di bilancio. Inoltre, allo scopo di garantire un monitoraggio più adeguato delle sfide di finanza pubblica attuali e future, le disposizioni della proposta rafforzano l’attenzione posta sulle passività potenziali e sulla gestione dei disastri naturali. Infine, alcune disposizioni sono volte a semplificare o chiarire il quadro vigente.
Pertanto, sulla base di quanto evidenziato dalla Commissione, le principali modifiche alla direttiva mirano in particolare a:
1) semplificare la normativa vigente: con riferimento ai sistemi nazionali di contabilità pubblica, il nuovo articolo 3 elimina la presentazione dei dati mensili sulla contabilità di cassa, non ritenuti utili per rafforzare i quadri di bilancio nazionali. Gli Stati membri e la Commissione (Eurostat), secondo il nuovo articolo 3, dovranno pubblicare dati trimestrali sulla contabilità di cassa e sul disavanzo e sul debito.
Inoltre, sono eliminate dalla direttiva le disposizioni concernenti il Regno Unito in quanto non più necessarie. Infine, le disposizioni di cui all’articolo 4, paragrafi 4 e 5, non saranno più necessarie se tali prescrizioni saranno contenute nel nuovo regolamento sul braccio preventivo;
2) introdurre disposizioni di chiarimento: il nuovo articolo 4, par. 6, fa ora specifico riferimento a organismi indipendenti responsabili della valutazione periodica, obiettiva e completa, compresa ex post, delle previsioni macroeconomiche e di bilancio, al fine di migliorarne la qualità.
Il nuovo articolo 14, paragrafi 1, 2 e 3, invece, definisce in maniera più precisa gli obblighi di comunicazione concernenti gli organismi e i fondi dell’amministrazione pubblica che non rientrano nei bilanci ordinari nazionali nonché i requisiti riguardanti le spese fiscali e le passività potenziali.
Secondo la Commissione, “gli Stati membri hanno interpretato tali obblighi e requisiti in modi assai diversi, e alcune di tali interpretazioni non rispecchiano completamente la logica iniziale della direttiva”;
3) rafforzare la titolarità nazionale: il nuovo articolo 8 aggiunge e/o chiarisce i requisiti in materia di enti di bilancio indipendenti incaricati di monitorare le finanze pubbliche negli Stati membri.
In alcuni casi, si estendono a tutti gli Stati membri alcune disposizioni che già si applicano agli Stati dell’Eurozona nonché a Danimarca, Bulgaria e Romania, quali parti del Fiscal compact, come l’obbligo di dotarsi di istituzioni fiscali indipendenti incaricate dell’approvazione o della produzione di previsioni macroeconomiche nonché la presenza di garanzie specifiche riguardo alla loro indipendenza e capacità tecnica.
Altre disposizioni assegnano nuovi compiti che consentirebbero agli enti di bilancio indipendenti di assolvere una funzione nella sorveglianza del quadro di bilancio dell’UE, a livello nazionale, in linea con i nuovi regolamenti sul braccio preventivo e sul braccio correttivo del Patto. Tali disposizioni comprendono la preparazione o l’approvazione delle previsioni di bilancio degli Stati membri (nuovo articolo 4), il controllo effettivo e tempestivo dell’osservanza delle regole (nuovo articolo 6), nonché la valutazione delle analisi di sostenibilità e dell’impatto delle politiche.
Infine alcune disposizioni assicurano l’indipendenza e la responsabilità degli enti di bilancio indipendenti per rispecchiare le norme individuate dalle organizzazioni internazionali.
In particolare, in base al nuovo articolo 8, gli enti di bilancio indipendenti:
- sono composti da membri designati e nominati sulla base della loro esperienza e competenza in materia di finanze pubbliche, macroeconomia o gestione di bilancio, e tramite procedure trasparenti;
- non seguono le istruzioni delle autorità di bilancio dello Stato membro interessato o di qualsiasi altro organismo pubblico o privato;
- hanno la capacità di comunicare pubblicamente in maniera tempestiva in merito alle proprie valutazioni e ai propri pareri;
- sono dotati di risorse proprie stabili e adeguate ai fini dello svolgimento del loro mandato in maniera efficace, ivi compreso qualsiasi tipo di analisi che rientri nel loro mandato;
- hanno ampio e tempestivo accesso alle informazioni necessarie per adempiere il proprio mandato;
- sono soggetti a periodiche valutazioni esterne da parte di valutatori indipendenti.
Essi svolgono le mansioni seguenti:
a) elaborazione delle previsioni macroeconomiche e di bilancio annuali e pluriennali sottese alla programmazione a medio termine dell’amministrazione pubblica o approvazione di quelle formulate dalle autorità di bilancio;
b) elaborazione delle valutazioni della sostenibilità del debito sottese alla programmazione a medio termine dell’amministrazione pubblica o approvazione di quelle fornite dalle autorità di bilancio nonché delle valutazioni dell’impatto delle politiche sulla sostenibilità di bilancio e sulla crescita sostenibile e inclusiva o approvazione di quelle fornite dalle autorità di bilancio;
d) controllo dell’osservanza delle regole di bilancio numeriche specifiche per Paese; e) controllo dell’osservanza del quadro di bilancio dell’Unione ai sensi dei nuovi regolamenti sul braccio preventivo e sul braccio correttivo del Patto;
f) svolgimento periodico di riesami del quadro di bilancio nazionale, per valutarne omogeneità, coerenza ed efficacia, compresi i meccanismi e le norme che disciplinano i rapporti di bilancio tra le autorità pubbliche nei vari sottosettori dell’amministrazione pubblica;
g) partecipazione a discussioni e audizioni periodiche in seno al parlamento nazionale.
Se le autorità di bilancio dello Stato interessato non si conformano alle valutazioni o ai pareri formulati dagli enti nel contesto delle suddette mansioni, tali autorità di bilancio giustificano pubblicamente la decisione di non conformarsi entro un mese dalla formulazione di tali valutazioni o pareri.
4) promuovere un orientamento a medio termine: si propone di precisare la dimensione del bilancio pluriennale in maniera più sistematica nelle previsioni (articolo 4), così come il nesso tra bilancio annuale e programmazione a medio termine (articolo 10);
5) migliorare la qualità delle finanze pubbliche: si propongono alcune disposizioni volte a promuovere la responsabilità dei bilanci pubblici e ad accrescere la trasparenza dei rischi di bilancio rispetto ai cambiamenti climatici. In particolare, l’articolo 9, paragrafo 2, lettera d), prevede ora una valutazione dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici e delle implicazioni delle politiche climatiche per le finanze pubbliche.
Analogamente, l’articolo 14, paragrafo 3, impone agli Stati membri di pubblicare, nella misura del possibile, dati riguardanti le passività potenziali legate alle calamità e al clima, nonché le perdite economiche subite a causa di calamità naturali e shock connessi al clima. Per quanto riguarda questi ultimi, sarebbero oggetto di comunicazione anche i costi di bilancio sostenuti dal settore pubblico e gli strumenti impiegati per attenuare o gestire gli shock.
Come già esposto in precedenza, le proposte legislative in esame sono complessivamente orientate a garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche nel medio e lungo termine ed a rafforzare le prospettive di crescita economica dei Paesi europei e dell’Europa nel suo insieme, salvaguardando la trasparenza e l’efficacia delle regole di bilancio.
Tale approccio, volto tra l’altro ad evitare il costante slittamento temporale nel percorso di convergenza delle finanze pubbliche nazionali verso obiettivi di stabilità e sostenibilità fiscale, presuppone un adeguato raccordo tra politica di bilancio e riforme strutturali ed un più accentuato orientamento da parte degli Stati membri verso una programmazione di medio termine.
I programmi nazionali sono rapportati alle specifiche sfide individuate per ciascun Paese, quali emergono dalle analisi di sostenibilità del debito, dagli indirizzi formulati nel quadro del semestre europeo e dalle procedure per la correzione degli squilibri macroeconomici. Tali strumenti sono specificamente finalizzati a:
· una riduzione graduale e sostenuta del debito
· una crescita inclusiva,
· evitare effetti di pro-ciclicità della politica di bilancio.
Per una disamina puntuale dei testi normativi presentati dalla Commissione si rinvia alle precedenti sezioni del dossier, contenenti le relative schede di lettura.
Si esaminano di seguito alcuni aspetti del disegno di riforma che rivestono particolare rilievo per la finanza pubblica e che richiedono talvolta approfondimenti, sul piano metodologico e applicativo, ai fini di una esaustiva e corretta comprensione del nuovo tessuto normativo e del relativo impatto sui bilanci pubblici. Tali profili sono oggetto di analisi con riferimento a tre principali filoni tematici:
o il nuovo braccio preventivo del patto di stabilità e crescita: traiettorie tecniche specifiche per Paese ed i piani strutturali di bilancio di medio termine;
o la costruzione del percorso di spesa di medio termine: differenze rispetto all’attuale regola della spesa e componenti dell’aggregato soggetto a sorveglianza;
o le procedure di avvertimento e sanzionatorie (braccio preventivo e braccio correttivo del patto di stabilità e crescita).
Si prescinde in questa fase dalla segnalazione delle esigenze di coordinamento normativo con la disciplina nazionale in materia di contabilità e finanza pubblica, considerato che tali profili potranno più correttamente essere approfonditi alla luce dei testi definitivi relativi alla riforma della normativa europea.
La proposta di riforma del regolamento 1466/97, relativo al cd. “braccio preventivo” del Patto, prevede, come già illustrato, che la Commissione fornisca indicazioni differenziate per i Paesi a seconda che essi rispettino o meno le soglie del 3 e del 60 per cento, previste dal TFUE, rispettivamente, per i valori del deficit/PIL e del debito/PIL. Appare opportuno ricordare, in estrema sintesi, che:
Ø per i Paesi che non rispettano una o entrambe tali soglie, la Commissione dovrà definire una traiettoria tecnica quadriennale (o settennale, se richiesto dal Paese) per la spesa primaria netta che assicuri: una crescita di tale aggregato inferiore a quella del “PIL di medio termine”; il mantenimento del deficit al di sotto della soglia del 3 per cento del PIL e, in caso di superamento di tale valore, una correzione annua minima in linea con quella prevista dal braccio correttivo (0,5 punti di PIL all’anno); il raggiungimento al termine della traiettoria di un livello del debito inferiore a quello di partenza; la proporzionalità dello sforzo richiesto lungo l’arco di tempo coperto dalla traiettoria; il raggiungimento, al termine del periodo di correzione, di un saldo strutturale di bilancio che assicuri, nei 10 anni successivi, un andamento decrescente del rapporto debito/PIL a politiche invariate (oppure il mantenimento di tale rapporto su un livello prudente), oltre al mantenimento del deficit al di sotto del 3 per cento;
Ø per i Paesi che rispettano le citate soglie, è previsto che la Commissione fornisca indicazioni sul saldo primario strutturale necessario a mantenere il deficit al di sotto della citata soglia del 3 per cento nei 10 anni successivi al termine del periodo di 4 anni, durante il quale i Paesi saranno liberi di modulare i propri piani strutturali senza altri vincoli fiscali (ferme restando le indicazioni risultanti da altre procedure, quali la correzione degli squilibri macroeconomici o le raccomandazioni specifiche per Paese).
La Commissione valuterà le proiezioni sull’andamento del debito sulla base della metodologia della DSA citata dall’articolo 8 e descritta nell’annesso V. Più specificamente:
· l’andamento decrescente o prudente della traiettoria del debito sarà valutato secondo gli scenari deterministici pubblicati dalla Commissione (da ultimo il Debt Sustainability Monitor 2022[21]), che includono prove di stress connesse a shock sui tassi di interesse, sulla crescita reale e nominale del PIL, sul saldo primario e sui tassi di cambio;
· il rischio del manifestarsi di un andamento non decrescente del debito nei 5 anni successivi al termine del periodo di aggiustamento sarà valutato con i metodi dell’analisi stocastica.
Tenendo conto delle norme richiamate, appare utile riepilogare, di seguito, in modo schematico, il processo logico alla base della definizione di una traiettoria di spesa per i Paesi con parametri di debito non in linea con quelli previsti dal TFUE, i cui passaggi saranno esaminati in seguito con maggiore dettaglio. Si evidenzia preliminarmente che, dal punto di vista metodologico, la definizione da parte della Commissione della traiettoria della spesa costituisce non il punto di partenza, bensì il punto di arrivo di un processo logico il cui presupposto è la definizione ex ante di un obiettivo inerente all’andamento del debito.
1. Per ciascun Paese con valori del debito superiori al 60% del PIL, verrà infatti preliminarmente definito dalla Commissione, sulla base della metodologia del Debt Sustainability Monitor 2022, un profilo discendente del debito, il cui mantenimento nel decennio successivo alla durata del piano strutturale di medio termine sia considerato plausibile e sostenibile.
2. Conseguentemente verrà definito il valore del saldo (avanzo) primario strutturale, ritenuto necessario per orientare l’andamento del debito rispetto al PIL lungo il sentiero di riduzione considerato auspicabile. Tale saldo costituirà infatti l’obiettivo da raggiungere al termine del periodo di aggiustamento quadriennale (estensibile a sette anni su richiesta del Paese), in quanto corrispondente a quel valore che – mantenuto a politiche invariate - consente un profilo discendente del debito nel decennio successivo (salvo che al termine del percorso di aggiustamento subentri un nuovo piano strutturale).
3. Fissato tale obiettivo in termini di saldo primario strutturale, sarà possibile ricavare implicitamente l’andamento (traiettoria tecnica) dell’aggregato di spesa soggetto a sorveglianza, ritenuto coerente con il raggiungimento, al termine del periodo quadriennale (o settennale) di aggiustamento, del saldo obiettivo individuato.
Date le previsioni di crescita di medio periodo del PIL elaborate dalla Commissione e definito un obiettivo di saldo primario strutturale per la fine del periodo di aggiustamento, sarà infatti possibile ricavare il profilo della spesa coerente con l’obiettivo di saldo[22].
L’aggregato di spesa di riferimento considera il complesso della spesa, sia corrente che in conto capitale, ridotta della componente interessi (in quanto esogena) e della componente ciclica della spesa per indennità di disoccupazione (in quanto connessa all’andamento del ciclo economico). Tale aggregato è inoltre decurtato o incrementato per tenere conto degli effetti, rispettivamente positivi o negativi, delle misure discrezionali di entrata. Non viene infine considerata la quota di spesa nazionale interamente finanziata da sovvenzioni europee.
Il controllo della dinamica dell’aggregato di spesa soggetto a sorveglianza costituirà quindi l’operatore unico che i Paesi soggetti alla traiettoria tecnica saranno chiamati a sorvegliare, al fine di conseguire, al termine del periodo di aggiustamento, un obiettivo predefinito di saldo primario strutturale, a cui è associata una prospettiva decennale di riduzione del debito.
4. La costruzione dell’aggregato di spesa dovrà tener conto delle misure discrezionali di entrata, sia per gli effetti negativi (in caso di riduzioni discrezionali delle entrate) sia per gli effetti positivi (nel caso opposto). Pertanto gli Stati potranno comunque:
o finanziare con maggiori entrate discrezionali una crescita della spesa maggiore rispetto all’andamento programmato;
o finanziare con una riduzione della spesa più incisiva di quella programmata un eventuale intervento discrezionale di riduzione delle entrate.
5. Il percorso di correzione della spesa delineato dalla traiettoria tecnica dovrà situarsi al di sotto della crescita del PIL di medio periodo e dovrà assicurare che il debito alla fine del periodo quadriennale o settennale di aggiustamento sia inferiore a quello dell’anno precedente l’inizio del piano e che il relativo sforzo fiscale non sia rinviato agli anni finali, ma sia distribuito in modo proporzionale nel tempo.
6. A fronte della traiettoria definita dalla Commissione, i Paesi potranno controproporre, nell’ambito di una procedura di dialogo tecnico, un proprio piano di aggiustamento strutturale di medio termine; quest’ultimo dovrà assicurare il rispetto dei requisiti previsti, primo fra tutti porre (o mantenere) il debito su un sentiero decennale plausibilmente decrescente al termine del periodo di aggiustamento. Ove il piano strutturale proposto dal Paese sia approvato dalla Commissione e fatto proprio dal Consiglio, esso diverrà vincolante. In caso contrario, il Paese sarà tenuto a rispettare la traiettoria tecnica definita dalla Commissione.
Di seguito si segnalano alcuni aspetti della proposta legislativa suscettibili di presentare profili di incertezza interpretativa o che necessitino di approfondimento, con specifico riferimento ai profili di rilievo per la finanza pubblica.
Si osserva che la proposta di modifica del Regolamento non indica espressamente il criterio metodologico che verrà posto alla base della quantificazione del saldo primario strutturale da raggiungere alla conclusione del percorso di aggiustamento per i Paesi che non rispettano i parametri di deficit e debito previsti dal TFUE. Non risultano infatti esplicitati i criteri ed i parametri quantitativi in base a quali andrà determinata l’entità della riduzione del debito richiesta nel decennio successivo alla conclusione del periodo di aggiustamento e, quindi, il connesso valore del saldo primario strutturale da conseguire. Come già evidenziato, da tale obiettivo di saldo risulta condizionato il percorso di evoluzione dell’aggregato di spesa rilevante ai fini delle nuove regole europee.
La proposta legislativa in esame si limita infatti ad indicare obiettivi minimali comuni – come il raggiungimento, o il mantenimento, di un deficit inferiore al 3 per cento e l’ottenimento al termine del percorso di aggiustamento di un rapporto debito/PIL inferiore al rispetto al punto di partenza, con una successiva previsione decennale in riduzione o in mantenimento su livelli prudenti - senza esplicitare in modo puntuale il criterio (o i criteri) per l’individuazione degli obiettivi assegnati ai diversi Paesi e gli ulteriori criteri che la Commissione potrà eventualmente, adottare per definire la traiettoria di spesa.
Si segnala in proposito che l’attuale proposta della Commissione, a differenza degli indirizzi diffusi nel novembre scorso, non prevede più la divisione preventiva dei Paesi in 3 classi di rischio. Tuttavia, la proposta di revisione del regolamento 1466 richiama espressamente la metodologia del Debt sustainability monitor - che classifica l’andamento del debito di ciascun Paese, nel breve, medio e lungo periodo, sulla base di tre classi di rischio (low, medium, high) - ai fini della valutazione di plausibilità che la Commissione deve effettuare per verificare che il rapporto debito/Pil dello Stato membro interessato “sia su un percorso di riduzione o rimanga a livelli prudenti”.
Inoltre, secondo quanto si evince dal preambolo della proposta di regolamento, la serie di riforme e di investimenti che giustifica, ai sensi dell’art. 13, una proroga del percorso di aggiustamento di bilancio (da 4 a 7 anni) dovrebbe essere commisurata al livello dei problemi di debito pubblico rilevati nell’aggiornamento più recente del Debt Sustainability Monitor nonché alle sfide in materia di crescita a medio termine che lo Stato membro.
Dal testo della proposta sembra desumersi implicitamente che anche le traiettorie da assegnare ai diversi Paesi debbano essere individuate sulla base di criteri metodologici che tengano conto dei diversi fattori o categorie di rischio attribuiti a ciascuno Stato nel quadro della predetta valutazione di sostenibilità. Non è del tutto chiaro tuttavia se anche la determinazione quantitativa dello specifico obiettivo di riduzione del debito da assegnare a ciascuno Stato (con il quale le predette traiettorie devono risultare coerenti) sia affidata a criteri di riduzione del rischio fiscale, omogenei per i diversi Stati e riconducibili essenzialmente alla classificazione di rischio, quale si desume dall’analisi di sostenibilità contenuta nel Debt Sustainability Monitor.
Ad esempio, un criterio di carattere omogeneo potrebbe basarsi sull’assegnazione ai diversi Stati di un obiettivo di avanzo primario strutturale necessario a consentire il transito dei Paesi in una categoria di rischio più bassa al termine del periodo decennale successivo al percorso di aggiustamento. Nell’ipotesi di adozione di tale criterio, premessa l’esigenza di una conferma riguardo all’effettiva possibilità di uniforme applicazione dello stesso ai diversi Stati interessati, occorrerebbe valutare se lo sforzo fiscale richiesto dalla traiettoria tecnica possa rivelarsi particolarmente sfidante per i Paesi con un rapporto debito/PIL di partenza molto elevato.
Sarebbe quindi opportuno acquisire indicazioni circa i parametri oggettivi che presiederanno all’individuazione dell’obiettivo di riduzione del debito e della conseguente traiettoria di aggiustamento per ciascun Paese, chiarendo altresì in quale misura e secondo quali modalità gli stessi parametri potranno riflettere i risultati dell’analisi di sostenibilità contenuta nel Debt Sustainability Monitor e la relativa classificazione dei Paesi per classi di rischio, con riferimento al medio e lungo termine.
L’assenza nel nuovo testo legislativo - a differenza di quanto riportato in quello previgente[23] - di un’indicazione metodologica di carattere quantitativo riguardo alla definizione degli obiettivi di saldo e di conseguente riduzione del debito, sembra comportare maggiori spazi di discrezionalità a disposizione della Commissione. Tale discrezionalità dovrebbe trovare equivalente bilanciamento in una maggiore ampiezza dei margini di negoziabilità a disposizione degli Stati membri, per la definizione del percorso di correzione da adottare a fronte della traiettoria tecnica proposta dalla Commissione. Appare quindi opportuno acquisire elementi di maggior dettaglio al fine di verificare entro quali limiti i Paesi interessati possano effettivamente negoziare variazioni del proprio percorso di aggiustamento, discostandosi, previa acquisizione del consenso della Commissione e del Consiglio, dall’obiettivo di avanzo primario strutturale e dalla corrispondente traiettoria tecnica di spesa, definita dalla Commissione.
La traiettoria costruita dalla Commissione costituisce un indirizzo di carattere preventivo ai fini della costruzione, da parte di ciascuno Stato, del proprio “piano di bilancio strutturale di medio termine”. L’effettiva possibilità per ciascun Paese di discostarsi dalla traiettoria della Commissione per adeguarla alle proprie esigenze programmatiche costituisce il fondamento essenziale della cosiddetta “titolarità” (ownership) del piano di bilancio strutturale di medio termine che ciascun Paese sceglie di adottare e rispettare. È pertanto essenziale esaminare l’ampiezza dei margini di flessibilità previsti nella proposta al fine di valutare se essi consentano effettivamente l’auspicata maggiore “ownership” dei piani di bilancio di medio termine.
Sul piano testuale, i margini di negoziabilità per uno scostamento del piano di bilancio strutturale di medio termine dalla traiettoria tecnica definita dalla Commissione, espressamente affermati nel testo della proposta legislativa, riguardano:
o la possibilità di ipotesi macroeconomiche di base differenti da quelle adottate dalla Commissione, previa relativa motivazione e giustificazione;
o la possibilità di deviazioni del profilo annuale della spesa rispetto alla traiettoria tecnica, basate su argomenti economici solidi e rilevanti;
o la possibilità di estendere il periodo di aggiustamento fino a sette anni, nel presupposto della presentazione di un insieme di riforme e investimenti in linea con quelli considerati prioritari dall’Unione europea, ad invarianza degli obiettivi di deficit e debito al termine del più lungo percorso di aggiustamento.
Non risulta invece del tutto chiaro se, nel costruire il proprio piano nazionale, ciascun Paese con debito superiore al 60 per cento del Pil possa prefiggersi un obiettivo di avanzo primario strutturale, da conseguire al termine del percorso di aggiustamento (sia esso quadriennale o settennale), inferiore rispetto a quello individuato dalla Commissione, discostandosi conseguentemente anche dal sentiero di riduzione decennale del debito previsto al termine del periodo di vigenza del piano, fermo restando il profilo decrescente del debito stesso.
Sarebbero quindi utili elementi di valutazione ai fini di una corretta interpretazione dei testi normativi in esame. Si osserva peraltro che, nell’eventualità di una non negoziabilità dell’obiettivo di saldo primario (e del connesso obiettivo di riduzione del debito), cui risulta ancorato il piano strutturale di medio termine, risulterebbe parimenti ridimensionato l’aumento di titolarità rispetto al previgente sistema di regole fiscali, che figura tra i principali elementi ispiratori della riforma.
Si ricorda che a tale requisito viene associata in linea di principio la probabilità di un maggiore impegno politico e reputazionale dei Paesi al rispetto degli obiettivi di aggiustamento fiscale indicati nei piani strutturali di medio termine: ciò in ragione degli attesi effetti di maggiore adesione da parte degli Stati alle nuove regole, qualora non percepite come imposte, ma frutto in parte di un accordo con gli organismi europei per la corretta ed efficace conduzione delle finanze pubbliche nazionali.
Peraltro, qualora si acceda all’interpretazione secondo la quale l’obiettivo di saldo fissato dalla Commissione con la traiettoria tecnica debba considerarsi vincolante, i margini di modifica nella disponibilità degli Stati potrebbero riguardare esclusivamente profili attinenti ad una diversa valutazione delle variabili macroeconomiche che influenzano il percorso delineato dai Piani, con le connesse previsioni di impatto macroeconomico delle riforme e degli investimenti in essi inclusi, e/o una diversa distribuzione dello sforzo fiscale su base annua, fermo restando l’obiettivo finale da conseguire in termini di avanzo primario strutturale.
In proposito, non appare del tutto chiaro come debba essere interpretata la disposizione che prevede che “lo sforzo di risanamento fiscale nel periodo del piano strutturale di bilancio nazionale a medio termine debba essere almeno proporzionale allo sforzo totale nell’intero periodo di aggiustamento”[24]. Andrebbe quindi chiarito se tale criterio si riferisca unicamente ai casi di prolungamento della traiettoria oltre i 4 anni, al fine di evitare che la parte preponderante della correzione, inizialmente prevista per un quadriennio, sia rinviata al periodo di prolungamento (divieto di backloading della correzione).
Alternativamente, la disposizione potrebbe riferirsi anche alle traiettorie quadriennali ed implicare quindi un criterio di linearità della traiettoria, con distribuzione uniforme della correzione necessaria al raggiungimento, al termine del percorso di aggiustamento, dell’obiettivo di saldo primario strutturale. In questo caso, andrebbe verificato entro quali margini i Paesi, nel definire i piani nazionali, potranno negoziare un diverso criterio di proporzionalità dell’aggiustamento.
Si osserva che la proposta di riforma della Commissione non sembra escludere del tutto alcune delle criticità emerse con riferimento alla metodologia di determinazione di variabili finora utilizzate dalle regole del patto di stabilità e crescita.
Alcune variabili, come il PIL potenziale, l’output gap o il saldo primario strutturale, già oggetto di rilievi per il carattere non osservabile delle stesse e per i margini di incertezza insiti nella relativa metodologia di calcolo, assumono un ruolo essenziale anche nel nuovo quadro di regole.
Infatti, l’output gap rientra nella determinazione del saldo primario strutturale, che verrà in ogni caso incluso nel quadro di riferimento, come obiettivo da raggiungere al termine del percorso pluriennale di aggiustamento, determinando conseguentemente la traiettoria dell’aggregato di spesa di riferimento. Inoltre, la variabile del PIL potenziale rileva nelle metodologie adottate per l’analisi di sostenibilità del debito (DSA); infine, non è del tutto chiaro se per il calcolo della “crescita del prodotto a medio termine” - parametro rilevante per la determinazione del percorso di spesa oggetto di sorveglianza – debba trovare applicazione la stessa metodologia utilizzata per il calcolo del PIL potenziale (vedi infra).
Andrebbe quindi verificato se l’utilizzo delle predette variabili nell’ambito del nuovo sistema di sorveglianza fiscale possa dar luogo ad incertezze, sul piano metodologico ed applicativo, analoghe a quelle riscontrate nell’esperienza dell’attuazione del precedente assetto normativo.
In particolare, per quanto attiene all’utilizzo della crescita del prodotto di medio termine come parametro al quale rapportare il percorso di crescita della spesa primaria netta nazionale, andrebbe esplicitata la metodologia di calcolo di tale parametro, evidenziando per quali aspetti essa differisca eventualmente da quella prevista, nel precedente assetto normativo, per la determinazione del parametro della crescita del Pil potenziale.
Si ricorda che il tasso di riferimento a medio termine del potenziale di crescita del PIL, nel precedente assetto di governance, è determinato in base a proiezioni future, aggiornate a intervalli regolari, e a stime retrospettive che coprono complessivamente un arco di dieci anni. La relativa metodologia di calcolo è resa pubblica dalla Commissione. La stima del potenziale di crescita ha rappresentato un elemento essenziale per il computo della componente ciclica del saldo di bilancio, ossia di quella parte del saldo imputabile alle fluttuazioni cicliche dell’economia: tale componente, a decorrere dal 2005, non è stata considerata rilevante ai fini del rispetto dell’obiettivo di medio termine, che è stato quindi computato esclusivamente in termini strutturali al fine di evitare effetti di prociclicità connessi al rispetto del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita.
Premessa quindi la necessità di un chiarimento riguardo alla specifica metodologia di calcolo del parametro di riferimento della crescita di medio termine - al di sotto della quale dovrebbe essere contenuta la crescita dell’aggregato di spesa – è logico attendersi che detto parametro di crescita sia soggetto a revisioni nel periodo di vigenza dei Piani, in grado di riflettersi sui livelli nominali della spesa che è consentito effettuare pur rispettando il percorso delineato nel piano e la regola fiscale sottostante.
Occorrerebbe quindi verificare entro quali limiti e in corrispondenza di quali scadenze tali aggiornamenti potranno essere effettuati e in quale misura potranno riflettersi sul percorso di spesa predefinito. Infatti, un ritmo sostenuto di revisione della variabile potrebbe dar luogo ad effetti di prociclicità ovvero tradursi in fattori di instabilità nella programmazione della spesa. Su tali aspetti si rinvia ai successivi punti 1.e) e 1.g).
Viceversa, un’eccessiva rigidità nell’individuazione dei parametri sottostanti il percorso di spesa, con riduzione delle possibilità di aggiornamento dello stesso, potrebbe comportare difficoltà nella realizzazione dei piani di medio termine in fasi caratterizzate da dinamiche impreviste afferenti a talune variabili macroeconomiche (quali ad esempio l’inflazione); ciò allorquando non si versi nell’ipotesi delle “circostanze eccezionali” (che consentono di derogare al percorso di aggiustamento ) e non sussistano “circostanze oggettive”, come quelle definite dall’art. 14 della proposta di modifica del regolamento, in presenza delle quali lo Stato membro interessato può sempre richiedere di presentare un piano strutturale di medio termine riveduto.
Uno dei principi ispiratori della proposta di riforma è l’esigenza di evitare il rischio che l’applicazione delle regole fiscali europee si traduca in un fattore di prociclicità, come a volte accaduto in applicazione del previgente sistema di regole.
Effettivamente, nel nuovo assetto normativo proposto, la costruzione dell’aggregato di spesa netta soggetto a sorveglianza, per i Paesi con parametri di deficit o debito non in linea con le soglie del 3 e del 60 per cento, tutela la funzione di stabilizzazione automatica del ciclo economico, dal momento che, sul lato delle spese, sono esclusi dal computo dell’aggregato rilevante la componente ciclica dei sussidi di disoccupazione, mentre, sul lato delle entrate, non si tiene conto delle variazioni di gettito dovute al ciclo economico.
Infatti, nella costruzione dell’aggregato di spesa soggetto a sorveglianza rientrano soltanto gli effetti di gettito di misure di carattere discrezionali (discretionary revenue measures “DRM”), il cui incremento può giustificare un innalzamento del livello di spesa (e la cui riduzione impone, invece, un corrispondente risparmio di spesa); resta altresì escluso qualsiasi utilizzo in funzione anticongiunturale di maggiori entrate impreviste dovute al ciclo economico (cd. “windfall revenues”, vedi capitolo 2 ).
La proposta della Commissione non prevede invece che interventi discrezionali di stabilizzazione del ciclo economico possano giustificare scostamenti dal percorso di spesa precedentemente programmato. Eventuali azioni di stabilizzazione anticiclica di carattere discrezionale, assunte sul lato delle entrate e/o sul lato delle spese, avrebbero infatti sempre un riflesso sull’aggregato di spesa soggetto a sorveglianza, che potrebbe non presentare spazi fiscali sufficienti per l’adozione delle predette misure.
Si ricorda invece che le regole di governance finora applicate hanno previsto, oltre all’operatività degli stabilizzatori automatici, una possibilità di modulazione dell’aggiustamento di bilancio sulla base delle condizioni cicliche anche per i Paesi a debito elevato: questi ultimi, infatti, secondo la “matrice” introdotta con la Comunicazione della Commissione del gennaio 2015, potevano modulare la correzione richiesta su base annua ed escluderla del tutto nelle fasi marcatamente negative.
Le predette limitazioni sembrano incidere esclusivamente sui Paesi che presentano un debito superiore alla soglia del 60 per cento, per i quali viene predisposta una traiettoria tecnica da parte della Commissione.
Ciò potrebbe determinare un’asimmetria nel trattamento fiscale dei diversi Stati riguardo all’effettiva possibilità di porre in essere misure discrezionali di stabilizzazione in funzione anti-ciclica. Tale funzione resterebbe infatti affidata, almeno per gli Stati più indebitati, esclusivamente agli stabilizzatori di carattere automatico, fatto salvo il ricorso alla clausola derogatoria nazionale in presenza di circostanze eccezionali, che consentono deviazioni temporanee dal percorso di medio termine.
Andrebbe verificato peraltro se, ed eventualmente sulla base di quali presupposti, la clausola delle “circostanze eccezionali”, definita all’art. 25 della proposta sostitutiva del regolamento 1466, possa essere utilizzata anche per far fronte ad andamenti ciclici imprevisti che richiedano interventi di stabilizzazione di carattere discrezionale.
Si segnala in proposito che nella premessa alla proposta di regolamento le circostanze eccezionali vengono definiti come “eventi esogeni imprevedibili e inevitabili” che non sono soggetti al controllo dello Stato membro, hanno rilevanti ripercussioni sulle sue finanze pubbliche e “richiedono misure di bilancio anticicliche”.
Si ricorda ancora che, in sede di definizione del piano di medio termine e del relativo percorso di aggiustamento, adottato dai singoli Paesi in base ad un dialogo tecnico con la Commissione, gli Stati possono prevedere scostamenti dalla traiettoria tecnica della spesa da questa proposta, giustificati sulla base di solide motivazioni economiche.
Sarebbe quindi utile chiarire se tali motivazioni possano anche afferire all’esigenza di contrastare specifici fattori ciclici, fermo restando l’obiettivo di correzione da raggiungere al termine del percorso di aggiustamento. Inoltre, al fine di valutare se nel nuovo quadro normativo permangano fattori che possano indurre un rischio di pro-ciclicità, andrebbero acquisiti elementi di chiarimento e di valutazione in ordine agli ulteriori aspetti, di seguito evidenziati.
Uno di tali profili riguarda l’utilizzo della variabile del PIL di medio periodo, preso a riferimento per il calcolo della regola della spesa[25]. Come già evidenziato, la proposta della Commissione non chiarisce le modalità di determinazione di tale fondamentale parametro, cui andrà commisurato il percorso di aggiustamento dell’aggregato di spesa netta. L’esplicitazione della relativa metodologia di calcolo appare peraltro essenziale anche al fine di valutare l’effettiva portata anti-ciclica delle nuove regole di bilancio. Infatti, nell’ipotesi in cui tale parametro fosse calcolato in relazione ad un arco temporale di riferimento più breve di quello assunto nelle stime del Pil potenziale, esso potrebbe essere maggiormente influenzato da fattori ciclici, che si rifletterebbero sul profilo di crescita dell’aggregato di spesa soggetto a sorveglianza.
Con riferimento ad effetti di aggiustamento che potrebbero provenire, attraverso meccanismi di reciproco condizionamento (cross-country spillovers), dall’intonazione delle politiche di bilancio di altri Stati e dell’intera area europea, considerata in una dimensione aggregata, si osserva che la costruzione normativa della nuova governance appare indicare, per tutti gli Stati il cui debito superi il 60 per cento del Pil, l’esigenza di una contestuale implementazione – almeno per un periodo iniziale quadriennale di vigenza dei piani nazionali - di politiche volte alla realizzazione di miglioramenti del saldo primario strutturale per indirizzare il debito su un sentiero discendente.
Si segnala in proposito che, in base alle previsioni di primavera della Commissione UE, 13 Stati membri avranno un debito rispetto al Pil superiore al 60% alla fine del 2024; in 6 di questi – Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Italia e Portogallo- sarà superata la soglia del 100%.
Il sincronismo nella realizzazione dei programmi di contenimento della spesa da parte di un numero non esiguo di Stati europei potrebbe determinare effetti ulteriori di pro-ciclicità. Inoltre, le considerazioni già svolte, attinenti alla limitazione all’assunzione di misure discrezionali a carattere anticiclico per i Paesi con debito elevato, appaiono rilevanti anche in considerazione della mancata previsione, nel quadro delle nuove proposte normative, di meccanismi permanenti di stabilizzazione, da porre in essere mediante una capacità fiscale centrale a livello europeo.
La proposta normativa si limita infatti a prevedere l’esclusione dall’aggregato di spesa oggetto del percorso delineato dai piani nazionali dei programmi di spesa interamente finanziati da risorse europee.
Tuttavia, anche per contrastare possibili rischi di pro-ciclicità, il testo prefigura la possibilità di allungare da 4 a 7 anni il periodo di correzione, previo impegno a non ridurre gli investimenti, e a realizzare in particolare quelli conformi alle priorità comunitarie.
Resta quindi da verificare se tali previsioni siano sufficienti a contrastare i possibili effetti di pro-ciclicità, prima evidenziati.
La proposta di riforma del braccio preventivo (Regolamento UE 1466/97) mira principalmente a correggere l’andamento del rapporto debito/PIL per i Paesi che non rispettano la soglia del 60 per cento, superando le criticità che hanno reso di fatto inapplicabile la previgente regola di riduzione annua di un ventesimo dell’eccedenza rispetto alla predetta soglia. La variabile di controllo utilizzata per conseguire tale obiettivo non è tuttavia individuata nelle variazioni del debito stesso, bensì in un aggregato di spesa netta, suscettibile di influenzare in modo solo indiretto, e comunque parziale, la variazione annua del debito.
Va in proposito ricordato che il percorso di aggiustamento della spesa è anche corredato da un obiettivo minimale sul debito - il cui rapporto sul PIL al termine del percorso di aggiustamento deve risultare inferiore rispetto al livello di partenza - ma tale obiettivo minimale non sembra corredato di sanzioni nel caso in cui esso non venga raggiunto pur avendo rispettato il sentiero di aggiustamento della spesa. Su tale aspetto si rinvia al successivo punto 3.a.
La scelta di basare le nuove regole di governance su una singola variabile operativa basata sulla spesa netta, oggettivamente misurabile, facilmente comunicabile al pubblico e soggetta al diretto controllo dell’operatore pubblico, si fonda sull’esigenza di migliorare la capacità di programmazione dei governi, aumentandone al tempo stesso la responsabilità politica, sia verso l’opinione pubblica che verso le autorità sovranazionali. Pur tenendo presenti tali obiettivi, è comunque opportuno ricordare che, dato il carattere solo indiretto del legame tra la variabile di controllo basata sulla spesa e il debito, sussistono fattori di rischio che potrebbero incidere negativamente sul controllo effettivo della dinamica del debito, anche in caso di rispetto del percorso di aggiustamento dell’indicatore unico di spesa.
Si ricorda, in primo luogo, che – come sopra evidenziato - la variabile di controllo basata sulla spesa è definita in termini di competenza economica, mentre il debito è una variabile di cassa. Inoltre, l’aggregato di spesa è al netto di alcune voci suscettibili di incidere sull’andamento del debito, quale la componente ciclica[26] e la componente per interessi.
Rinviando per la componente ciclica a quanto altrove illustrato (vedi punto 1.e), si richiamano di seguito brevemente alcuni profili connessi ai riflessi sul debito della spesa per interessi (snow ball effect) e alle differenze tra competenza e cassa (stock-flow adjustment).
o Snow ball effect. Come è noto, l’andamento della spesa per interessi (r) influisce sull’andamento del rapporto debito/PIL nella misura in cui essa differisce dalla crescita nominale (g): la spesa per interessi, peggiorando il deficit, incrementa infatti il numeratore di tale rapporto, mentre la crescita nominale, aumentando il PIL, migliora il denominatore dello stesso rapporto. Quindi, un valore della crescita che dovesse risultare inferiore rispetto al tasso di interesse (g<r) determinerebbe un peggioramento del rapporto debito/PIL[27]. Nel corso del periodo di aggiustamento, tale eventuale peggioramento non sarebbe intercettato dal controllo della variabile di spesa soggetta a monitoraggio, calcolata al netto della spesa per interessi.
Nell’attuale fase di elevata inflazione e di incertezza nelle previsioni dei tassi di interesse, che spesso si rivelano più elevati delle previsioni, l’esclusione della spesa per interessi dall’aggregato soggetto a controllo appare agevolare il rispetto della nuova regola di governance, evitando che i governi, in condizioni di incertezza su voci non soggette a diretto controllo, siano costretti a comprimere eccessivamente la propria capacità di spesa con riferimento ad altre componenti.
Occorre tuttavia ricordare che, in passato, in condizioni di inflazione contenuta e stabile, l’adozione di stime prudenziali sulla spesa per interessi ha spesso dato origine, in sede di aggiornamento dei tendenziali, all’emersione di risparmi, consentendo di utilizzare tali spazi per il finanziamento di misure di policy.
Il ricorso a tali possibili margini di copertura della spesa complessiva – resi disponibili da previsioni prudenziali riferite alla spesa per interessi - resterebbe precluso nel nuovo quadro di governance.
Le considerazioni sopra svolte valgono in particolare per il medio periodo coperto dal percorso di aggiustamento. Nel lungo periodo va infatti ricordato che l’esigenza di controllo della spesa per interessi è indirettamente considerata nell’utilizzo della metodologia della DSA ai fini della valutazione della plausibilità del profilo discendente del debito: tra gli stress test a cui è sottoposta tale valutazione rientrano infatti ipotesi di scenari pessimistisci sullo snow-ball effect.
o Stock-flow adjustment (SFA). Come è noto, concorrono alla dinamica del rapporto debito/PIL, oltre alle determinanti principali del conto economico (costituite dal saldo primario e dalla spesa per interessi) e alla crescita nominale, anche una serie di ulteriori elementi sinteticamente rappresentati nella variabile denominata “aggiustamento stock-flussi”.
Contribuiscono a determinare tale variabile molteplici fattori, tra cui l’accumulazione netta di attività finanziarie (ad esempio i flussi di cassa derivanti dai derivati o dall’acquisizione netta di partecipazioni) e gli scarti tra le valutazioni in termini di competenza economica e di cassa.
Tutte le predette componenti sono escluse dall’aggregato di spesa netta sul cui controllo è basato l’operatore unico di governance previsto dalle nuove regole. Pertanto, non può escludersi che, anche nel caso di rispetto della traiettoria tecnica definita dalla Commissione, l’evoluzione delle componenti dello “stock–flow adjustment” possa incidere negativamente nel medio termine[28], sull’obiettivo di contenimento del debito, riducendo l’efficacia o vanificando lo sforzo di aggiustamento affidato al controllo dell’aggregato di spesa primaria netta.
In particolare, nell’orizzonte di previsione considerato nel DEF 2023, lo stock-flow adjustment (SFA) concorre a peggiorare il debito in ciascun anno dell’orizzonte di previsione tra il 2023 e il 2026, per importi significativi, compresi tra 1,1 e 1,4 punti di PIL. Circa la metà dell’incremento del debito imputabile allo SFA discende dalle discrepanze tra competenza e cassa, dovute in larga misura alla riclassificazione di alcuni crediti d’imposta come esigibili (Superbonus, bonus facciate e industria 4.0[29]). Gli effetti di competenza economica di tali crediti d’imposta sull’indebitamento netto sono stati retrodatati al triennio 2020-2022, mentre i relativi effetti sul debito si registreranno nel periodo 2023-2026 e oltre. Ai fini della regola sul percorso di spesa, tale discrasia tra competenza e cassa genera spazi per il finanziamento di nuove spese per il periodo di previsione: il profilo programmatico del deficit per gli anni dal 2023 in poi è infatti rimasto invariato, e non ha pertanto registrato un miglioramento nonostante l’imputazione retrodata dei crediti d’imposta al triennio 2020-2022.
L’esempio descritto mostra un caso in cui, a seguito di una riclassificazione contabile che ha retrodatato la spesa, generando una discrasia competenza-cassa, si è determinato un peggioramento del deficit del triennio 2020-2022 e un corrispondente miglioramento del deficit tendenziale per il triennio 2023-2025, senza corrispondenti riflessi sull’evoluzione del debito nei periodi indicati; ciò in ragione della discrasia tra competenza e cassa, generata anche dalla riclassificazione.
Come già evidenziato, non risulta chiaro se, nei periodi di vigenza dei piani nazionali, incrementi della previsione di crescita di medio termine – indotti anche da riforme strutturali e/o programmi di investimento – siano suscettibili in via automatica di incrementare il livello di spesa nominale (e viceversa, in caso di revisione in senso peggiorativo della dinamica di crescita di medio periodo).
Più specificamente, come in precedenza segnalato, andrebbe chiarito con quale frequenza possano essere via via aggiornati la previsione di crescita di medio termine ed i connessi livelli di spesa effettivamente realizzabili in termini nominali. Ove dovesse risultare possibile un aggiornamento automatico del percorso di spesa ad ogni aggiornamento della stima della crescita di medio termine, occorrerebbe verificare l’impatto di simili variazioni rispetto alle esigenze di programmazione della spesa.
Tale aspetto rileva in primo luogo con riguardo alle esigenze di prevedibilità e stabilità che presiedono alla corretta impostazione dei programmi di spesa.
Il rispetto delle nuove regole di bilancio comporta la programmazione della dinamica di spesa – in termini percentuali rispetto alla crescita di medio termine - nel periodo coperto dal piano nazionale e la determinazione dei corrispondenti livelli annui di spesa realizzabili in termini nominali.
Appare quindi essenziale definire i criteri per il raccordo tra programmazione di medio periodo e i valori di spesa iscritti nei bilanci annuali.
Ulteriori elementi di riflessione riguardano profili di coerenza ed esigenze di adeguamento della normativa nazionale rispetto al nuovo assetto delle regole europee, con particolare riguardo agli strumenti di programmazione ed efficientamento della spesa.
Sul piano dell’impostazione e della gestione dei bilanci pubblici, andrebbe verificato se le procedure e gli spazi di flessibilità assicurati dalla vigente normativa - ai fini dell’eventuale riallocazione (tra diverse finalità) e rimodulazione (nel tempo) degli impegni di spesa - siano idonei a garantire l’utilizzo ottimale degli spazi fiscali disponibili sulla base del piano di medio termine, soprattutto in presenza di difficoltà nella realizzazione di specifici programmi e della necessità quindi di indirizzare verso differenti finalità i relativi margini di spesa disponibili.
Un ruolo importante nel processo di valutazione degli strumenti disponibili per un’ottimizzazione della programmazione di spesa, potrà essere svolto anche dalle procedure di revisione della spesa, da incorporare nei processi di implementazione dei piani nazionali.
Infine, i nuovi criteri di sorveglianza e di programmazione della spesa pongono la necessità di valutare le conseguenze di tale impianto nei rapporti tra bilanci nazionali e bilanci degli enti dotati di autonomia finanziaria.
Una volta approvato il nuovo quadro delle regole europee, si porrà infatti la necessità di coordinare con esso i profili di governo della finanza locale. Si tratta di un aspetto non secondario, dato che una quota non marginale della spesa pubblica è erogata dai livelli subnazionali di governo: si tratta, da un lato, delle prestazioni inerenti al godimento di diritti civili e sociali, i cui standard non possono scendere al di sotto di un livello essenziale, e, dall’altro, della spesa per investimenti pubblici, rilevante in relazione ai profili qualitativi della complessiva spesa pubblica, la cui quota maggioritaria è tradizionalmente erogata dai comuni e dalla cui realizzazione dipende il sostegno alla crescita strutturale del Paese.
Acclarata, anche sulla base di sentenze della Corte costituzionale, l’impossibilità di limitare la dinamica della spesa locale mediante l’obbligo di esposizione di avanzi di bilancio – strada seguita in passato con il patto di stabilità interno – occorrerà presumibilmente perseguire indirizzi diversi che risultino compatibili con l’autonomia di bilancio degli enti. Tale profilo assume particolare rilievo anche in ragione dell’esame parlamentare in corso del disegno di riforma, volto a prevedere un’estensione delle forme di autonomia regionale differenziata.
Per quanto attiene alla costruzione del percorso di riduzione della spesa primaria netta (ossia la spesa al netto degli interessi e delle componenti legate direttamente al ciclo economico), gli articoli da 9 a 19 non richiamano un criterio specifico: il percorso definito nei piani nazionali dovrebbe quindi ricalcare – per gli Stati con debito superiore al 60 per cento in termini di Pil, o con deficit superiore al 3% sul Pil - i criteri prescritti dall’art. 6 della proposta di modifica del regolamento 1466 ai fini della predisposizione della traiettoria e degli indirizzi preventivi della Commissione.
Questi ultimi prescrivono, tra l’altro, che al termine dell’orizzonte temporale del piano il debito sia inferiore a quello registrato nell’anno che precede l’avvio dello stesso.
Si ricorda che nell’attuale assetto normativo, la cd. “regola della spesa”, introdotta nel 2011 (six pack) costituisce, insieme alla regola del saldo, uno dei due pilastri dell’impianto prescrittivo e di sorveglianza per il rispetto del cd. “braccio preventivo” del patto di stabilità e crescita.
Nelle proposte in esame la regola della spesa trova applicazione approssimativamente per le stesse voci interessate dalla regola attuale (con l’eccezione delle spese temporanee ed una tantum escluse dal benchmark di riferimento in base alla precedente normativa, ma non in base a quella in esame).
Nel contesto normativo già vigente, inoltre, il rispetto della regola della spesa risulta direttamente funzionale al conseguimento dell’obiettivo di medio termine (OMT) indicato dalle norme vigenti in un valore del saldo strutturale prossimo al pareggio. Pertanto, i Paesi che non abbiano ancora conseguito tale obiettivo sono tenuti ad osservare un ritmo di crescita dell’aggregato netto di spesa che si collochi al di sotto del tasso di crescita del Pil potenziale.
La differenza tra i due tassi è stabilita dal Codice di condotta sull’applicazione del Patto di stabilità e crescita e corrisponde a quel margine di riduzione (cd. “margine di convergenza”) volto ad assicurare una correzione equivalente a quella richiesta dal percorso di convergenza verso l’OMT, assicurando quindi la chiusura nel periodo di programmazione del gap tra saldo strutturale effettivo e saldo strutturale programmato.
A differenza dell’attuale assetto normativo, la proposta in esame non definisce in termini quantitativi l’obiettivo di saldo primario e la connessa riduzione del debito da conseguire nel medio termine, valori questi in base ai quali è definito il percorso di spesa.
Tali valori sono individuati, per ciascuno Stato con debito eccedente il 60 per cento del Pil o con deficit superiore al 3 per cento, mediante la traiettoria tecnica predisposta dalla Commissione (eventualmente con le modifiche, ove consentite, proposte dallo stesso Stato interessato in sede di definizione del piano di medio termine – vedi punto 1.b).
Pertanto, in base alla proposta normativa in esame, il percorso di evoluzione della spesa definito dai piani nazionali dovrà tener conto di una serie di variabili, tra cui l’andamento previsto della crescita di medio termine, i connessi trend di entrata e di spesa a legislazione vigente e, più specificamente, la dinamica riferita all’aggregato di spesa rilevante ai fini del rispetto della regola (spesa primaria strutturale), che andrà in ogni caso “nettizzato” delle entrate derivanti da misure discrezionali. Una volta definito tale aggregato, dovrà collocarsi, in media, al di sotto della crescita di medio termine del Pil.
La differenza tra tasso di crescita dell’aggregato di spesa e tasso di crescita di medio termine dovrà quindi corrispondere a quel “margine di convergenza” che garantisce la chiusura, nell’arco temporale di programmazione (4 o 7 anni), della differenza (gap) tra il predetto obiettivo di saldo primario strutturale e il saldo primario strutturale tendenziale.
Rispetto alla regola della spesa prevista nella precedente versione della governance europea, si riscontrano inoltre le seguenti differenze:
· come già accennato, l’aggregato di spesa rilevante è costruito in modo analogo, essendo depurato dalle componenti cicliche e da quelle (gli interessi) influenzate da dinamiche che non sono nel piano controllo dei Governi. Non vengono tuttavia espressamente escluse le spese straordinarie ed una tantum, che non entravano nel benchmark di riferimento in base alla precedente versione del patto[30];
· il tasso di riferimento al di sotto del quale deve collocarsi la crescita dell’aggregato di spesa è individuato nella crescita del Pil di medio periodo, mentre nell’attuale versione del regolamento 1466 la crescita annua della spesa non deve superare il tasso di riferimento a medio termine del potenziale di crescita del PIL.
Per quanto attiene all’utilizzo del parametro relativo alla “crescita del prodotto a medio termine” in luogo del tasso di riferimento a medio termine del potenziale di crescita del Pil, si rinvia alle considerazioni già svolte al punto 1.d.
Con specifico riferimento alle esigenze di contenimento della spesa, l’inclusione di molte spese di carattere temporaneo – tra cui voci che potrebbero ancora risentire, in alcuni Stati, dell’emergenza sanitaria del 2020-2022 ovvero delle misure di sostegno contro il caro energia – nell’aggregato soggetto al vincolo sulla crescita, potrebbe creare disparità tra i diversi Paesi nel livello di spesa iniziale rispetto al quale definire la successiva dinamica di spesa nel periodo di operatività dei piani.
Si svolgono di seguito alcune considerazioni di carattere più specifico, riferite ai seguenti profili del nuovo assetto di governance:
o trattamento della spesa per investimenti;
o individuazione delle entrate di carattere discrezionale (il cui importo va detratto dall’aggregato di spesa rilevante);
o impossibilità di utilizzo di entrate impreviste (windfall) ad incremento della spesa.
La proposta della Commissione, analogamente ai testi normativi vigenti, non prevede una golden rule, in quanto la spesa per investimenti non viene esclusa dall’aggregato di spesa primaria netta, la cui crescita deve essere contenuta al di sotto della crescita del Pil di medio termine.
Non risultano peraltro ancora definite le modalità secondo le quali tali spese verranno considerate ai fini del rispetto del criterio di evoluzione della spesa primaria strutturale. Andrebbe in particolare chiarito se tali modalità debbano ricalcare quelle adottate per il calcolo del benchmark di riferimento ai fini del rispetto della regola della spesa prevista dai regolamenti del 2011 (cd. “six pack”), che prevedevano che le spese di investimento finanziate con fondi nazionali fossero distribuite su un arco di 4 anni per non tener conto dei picchi di spesa.
Si osserva inoltre che la mancata esclusione degli investimenti dall’ammontare di spesa soggetto a correzione potrebbe, in linea di principio:
· creare un disincentivo alla realizzazione di tali spese, le cui caratteristiche le rendono più facilmente comprimibili nel quadro di un programma complessivo di correzione fiscale, rispetto a voci caratterizzate da maggiore rigidità, sia nel quantum che nella proiezione temporale;
· determinare effetti in contrasto con le raccomandazioni formulate negli ultimi anni nel quadro del semestre europeo che, per gli Stati ad alto debito, come l’Italia, indicano di frequente la necessità di concentrare lo sforzo di correzione sulla spesa corrente primaria. Si vedano, da ultimo, le raccomandazioni specifiche per l’Italia per il 2023.
Peraltro, la proposta normativa della Commissione definisce alcuni criteri che pongono l’accento sull’importanza della spesa di investimento nell’ambito della complessiva architettura della nuova governance economica europea: infatti gli impegni di riforma e di investimento consentono un percorso di aggiustamento più graduale, definito su un arco di 7 anziché 4 anni.
Anche gli impegni collegati ai Piani di Ripresa e Resilienza possono essere presi in considerazione per la verifica della richiesta di estensione del periodo di vigenza dei piani, qualora sussistano i relativi presupposti.
Sempre in caso di estensione della durata dell’aggiustamento, si applica il vincolo in base al quale il livello complessivo degli investimenti pubblici finanziati con risorse nazionali durante l’orizzonte temporale del Piano nazionale deve essere più elevato del livello di medio-termine riferito al periodo precedente il piano.
Tuttavia, la facoltà di estensione temporale riguarda i soli Paesi a rischio alto, mentre per i Paesi classificati a rischio modesto, che sono quelli che, godendo di più ampi margini di bilancio, potrebbero attuare i piani di investimento di maggiore portata, nessuno strumento è previsto affinché siano assicurati soddisfacenti impegni di investimento.
Andrebbe quindi valutato se, in assenza di ulteriori incentivi nel quadro delle nuove regole europee di bilancio e in mancanza altresì di una capacità fiscale propria della UE volta a finanziare programmi di investimento di interesse europeo – siano essi decisi a livello centrale e/o demandati alle autorità nazionali – possano determinarsi impedimenti al celere ed efficace conseguimento di beni pubblici e obiettivi comuni europei, legati ad esempio alle transizioni verde e digitale, all’inclusione e alla resilienza economica e sociale, a progetti per la difesa e la sicurezza energetica.
Tali finalità e priorità comuni sono peraltro menzionate dalla proposta sostitutiva del regolamento 1466, (allegato VII) con riferimento ai requisiti dei piani nazionali strutturali di medio termine).
Come sopra ricordato, l’aggregato di spesa netta primaria soggetto a sorveglianza è nettizzato delle entrate di carattere discrezionale (discretionary revenue measures – DRM).
Dalla costruzione dell’aggregato rilevante per la definizione del percorso di spesa, si deduce infatti che le variazioni annue delle entrate di carattere discrezionale, se di segno positivo, potranno fornire spazi fiscali per la realizzazione di maggiori spese e, se di segno negativo – per effetto ad esempio di manovre di riduzione della pressione fiscale - andranno compensate con risparmi di misura equivalente sul lato della spesa.
Pertanto, per ragioni di chiarezza sul piano metodologico e per fini di trasparenza, occorrerebbe enucleare distintamente, all’interno dei quadri di bilancio, le quote di gettito imputabili a misure discrezionali sul lato delle entrate e le proiezioni delle stesse in grado di riflettersi su più esercizi; ciò al fine di differenziare tali componenti dall’andamento complessivo delle entrate indotto dallo scenario macroeconomico e da eventuali incrementi imprevisti del gettito (windfall), non conseguenti a determinazioni di tipo discrezionale.
In particolare, all’inizio del periodo di programmazione, nel definire l’aggregato di spesa rilevante per il rispetto della regola fiscale e il suo andamento tendenziale nel periodo coperto dai piani nazionali, andrebbero esplicitati i criteri di calcolo applicati per nettizzare gli importi di spesa annua dalle quote di entrata derivanti da misure discrezionali adottate anche prima dell’avvio della pianificazione, indicando la misura in cui i relativi effetti sono registrati - con variazioni annue crescenti o decrescenti nel tempo - negli esercizi inclusi nelle previsioni di finanza pubblica.
Nel periodo di vigenza dei piani, inoltre, nel dar conto delle variazioni registrate in ciascun esercizio del periodo di riferimento rispetto alle precedenti previsioni, occorrerebbe fornire distinta evidenziazione agli incrementi o decrementi di entrate imputabili a quote di carattere discrezionale, derivanti da nuove misure discrezionali intervenute o da aggiornamenti annuali della stima dell’impatto di misure già incluse nelle previsioni di finanza pubblica.
Risulterà quindi opportuna una dettagliata indicazione delle voci che compongono l’aggregato delle DRM e dei fattori riscontrati alla base di eventuali scostamenti tra le relative previsioni ex ante e i corrispondenti risultati registrati a consuntivo. Al riguardo, sarebbe utile, tra l’altro, chiarire a quali condizioni eventuali modifiche (in aumento o in ribasso) dell’impatto di bilancio di tali componenti - registrate ex post rispetto all’impatto inizialmente stimato - possano egualmente essere ascritte alla quota discrezionale di entrata, da utilizzare, in caso di incrementi di gettito, a compensazione di maggiori spese e, in caso di riduzioni del prelievo, a diminuzione degli importi di spesa già programmati.
Più in generale, data la centralità del ruolo delle DRM nella futura regola di governance, basata sull’indicatore unico della spesa, risulterà essenziale una maggiore diffusione, rispetto a quanto finora avvenuto, delle informazioni connesse alla misurazione delle DRM stesse. Tale esigenza si pone sia in sede della valutazione ex ante dell’impatto di tali misure (anche ai fini dell’applicazione delle regole di copertura finanziaria delle nuove spese e di costruzione delle manovre di finanza pubblica), sia con riguardo alla loro misurazione ex post, che dovrebbe essere aggiornata con frequenza adeguata, per tutta la durata pluriennale del piano di medio termine.
Trattandosi di una variabile già utilizzata nella vigente regola della spesa, le entrate discrezionali (DRM) sono da tempo oggetto di monitoraggio da parte dell’amministrazione finanziaria, ma l’informazione al riguardo diffusa nei documenti di finanza pubblica è stata finora limitata all’ammontare complessivo della relativa variazione, espressa in livello per l’anno di consuntivo e in percentuale del PIL per l’arco di previsione. Tale informazione necessiterà quindi di opportuna integrazione in futuro, in un contesto in cui l’indicatore della spesa - depurato delle DRM - sarà l’unico strumento di controllo degli andamenti di finanza pubblica, sia in sede previsionale che di consuntivo.
Ulteriori approfondimenti appaiono opportuni riguardo all’effettiva possibilità di ascrivere al novero delle misure discrezionali componenti di gettito di più incerta classificazione, quali gli incrementi di entrata previsti obbligatoriamente da norme di legge al verificarsi di specifici eventi o condizioni (ad esempio le addizionali IRPEF per le regioni soggette a piani di rientro dai deficit sanitari).
Allo stesso modo, non è chiaro se incrementi di entrate, aventi carattere strutturale, ma derivanti da un miglioramento dell’adempimento fiscale (cd. “compliance”) riconducibile a misure di policy non assunte in via legislativa – ma frutto ad esempio di un potenziamento dell’attività di accertamento o di altre attività ed iniziative di carattere prevalentemente amministrativo – possano egualmente configurarsi come entrate discrezionali.
Costituisce un esempio di questa tipologia il maggior gettito aggiuntivo di carattere permanente derivante da una migliore compliance, accertato annualmente dalla NADEF sulla base dei risultati della Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, ed iscritto con legge di bilancio in un apposito Fondo istituito dall’art. 1, comma 2, della legge di bilancio 2021 con la finalità di “dare attuazione a interventi in materia di riforma del sistema fiscale”. Da ultimo, la legge di bilancio 2023 ha utilizzato tale gettito quale fonte di copertura della manovra finanziaria per un importo di circa 1,4 miliardi, individuato dalla Nadef 2022 e assegnato al Fondo di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 178 del 2020.
Il nuovo assetto di governance, sopra illustrato, è basato essenzialmente sul controllo della dinamica di spesa. Sul lato delle entrate, il nuovo sistema prefigurato dalle proposte in esame non impone vincoli specifici, lasciando quindi liberamente operare gli stabilizzatori automatici. Pertanto:
o riduzioni del gettito legate alle fasi sfavorevoli del ciclo economico non incidono sul rispetto delle regole, non essendo previsto alcun vincolo riferito al saldo complessivo di bilancio, sempre che le riduzioni di entrata non determinino un incremento del deficit nominale al di sopra della soglia del 3%;
o parallelamente, per quanto riguarda le fasi di espansione dell’economia, le maggiori entrate legate a tali andamenti non rilevano ai fini del rispetto del percorso di spesa primaria netta;
o ne consegue che anche eventuali maggiori entrate che dovessero eccedere le previsioni (windfall revenues) non potrebbero essere utilizzate per compensare spese aggiuntive rispetto a quelle programmate.
Infatti, eccedenze rispetto al percorso e ai livelli nominali di spesa indicati nei piani potrebbero essere ammesse soltanto qualora compensate da misure, sul lato delle entrate, di carattere discrezionale (DRM). Tale principio, che si compendia nel divieto - in situazioni ordinarie, non caratterizzate quindi da “circostanze eccezionali” - di utilizzare i cosiddetti “tesoretti” per finalità di spesa, non differisce sostanzialmente da quella ricavabile dall’attuale quadro normativo.
Tuttavia la prassi seguita a questo riguardo è stata finora oscillante: prima dell’applicazione della clausola generale derogatoria del patto di stabilità e crescita (marzo 2020), in numerose occasioni miglioramenti del saldo tendenziale – registrati sia al di fuori sia nel corso della sessione di bilancio e giustificati in buona parte da incrementi del gettito rispetto alle previsioni - hanno dato luogo al finanziamento di corrispondenti misure di spesa, senza ricorrere alla specifica procedura autorizzatoria prevista per i casi di maggior indebitamento dovuti a “circostanze eccezionali”, qualora non risultassero comunque modificati i valori programmatici di deficit.
Più di recente, in particolare dal 2022, pur in presenza di una conferma degli obiettivi programmatici di deficit, il ricorso all’utilizzo di maggiori spazi fiscali per effetto di miglioramenti degli andamenti tendenziali è avvenuto soltanto previo espletamento della procedura derogatoria per “eventi eccezionali”, con relativa richiesta al Parlamento di autorizzazione ad un maggior indebitamento (ai sensi dell’art. 6 della legge 243 del 2012).
Anche nel nuovo assetto delle regole di bilancio, incentrato sul monitoraggio e sul contenimento del ritmo di crescita del benchmark di spesa, l’utilizzo delle maggiori entrate non previste dovrebbe quindi essere ritenuto possibile soltanto alle condizioni e nei limiti stabiliti per l’applicazione della clausola nazionale riguardante le cosiddette “circostanze eccezionali”, che giustificano deviazioni temporanee dal percorso di spesa. Resterebbe invece escluso comunque il computo in via ordinaria di eventuali incrementi o riduzioni imprevisti di entrata (windfall/shortfall revenues), rispettivamente, a compensazione di incrementi o a riduzione della spesa primaria strutturale realizzabile in base al piano di medio termine.
Un ulteriore profilo di analisi riguarda le differenze, sul piano metodologico, tra entrate impreviste (windfall/shortfall revenues), riconducibili ad andamenti imprevisti dell’economia, ed errori di previsioni (forecast errors), derivanti dalle assunzioni errate sottostanti i modelli previsionali o, più semplicemente, da una connotazione eccessivamente prudenziale nella costruzione delle previsioni sottostanti la programmazione di bilancio.
In ogni caso, escludendo gli errori di previsione riferiti alle entrate di carattere discrezionale (rispetto ai quali si rinvia al punto 2.b), nei casi in cui entrate inattese (windfall) dovessero derivare dai predetti fattori relativi alla stima dell’andamento della crescita e della conseguente previsione di entrata, le relative componenti di gettito non sarebbero comunque suscettibili di influenzare direttamente il percorso fiscale delineato nei piani nazionali di medio termine.
Ricadute di carattere indiretto sul percorso di aggiustamento potrebbero invece derivare dalle dinamiche di crescita sottostanti i trend imprevisti, nella misura in cui questi siano suscettibili di determinare un aggiornamento del parametro di crescita del prodotto di medio termine e nell’ipotesi in cui sia consentito modificare, conseguentemente, il percorso di spesa realizzabile in termini nominali. Tale effetto si produrrebbe in ogni caso esclusivamente in via indiretta e, verosimilmente, in forma attenuata considerata la necessità di ricondurre l’andamento imprevisto alla media del periodo interessato.
Si esaminano di seguito alcuni profili inerenti le procedure di avvertimento e sanzionatorie rispetto ai quali appare opportuno acquisire ulteriori elementi di valutazione.
Per un’illustrazione esaustiva di tali procedure si rinvia alle precedenti sezioni del dossier.
In base all’art. 23 della nuova versione del regolamento 1466 proposta dalla Commissione, in “presenza di un rischio significativo di deviazione dal percorso della spesa netta” o di un rischio che il disavanzo pubblico possa superare il valore di riferimento del 3% del PIL, la Commissione può rivolgere un avvertimento (early warning) allo Stato membro interessato conformemente all’articolo 121, paragrafo 4, TFUE. Sulla base di una raccomandazione della Commissione, il Consiglio, entro un mese dall’avvertimento di cui al paragrafo 1, adotta una raccomandazione rivolta allo Stato membro interessato sugli interventi da adottare, a norma dell’articolo 121, paragrafo 4, TFUE.
La disciplina corrisponde grossomodo a quella attualmente contenuta all’art. 6 della vigente versione del Reg. 1466. Tale norma peraltro individua come presupposto, per l’avvio della procedura di early warning, la constatazione di una “deviazione significativa dal percorso di avvicinamento all’obiettivo di bilancio a medio termine”, al fine di impedire il verificarsi di un disavanzo eccessivo. Il paragrafo 3 dello stesso art. 6 del regolamento 1466, nel testo vigente, stabilisce quindi i criteri per valutare la significatività della deviazione dall’obiettivo di medio termine del braccio preventivo (consistente nel saldo prossimo al pareggio o nel rispetto del percorso di avvicinamento a tale obiettivo).
Tale valutazione, in base al testo vigente, è effettuata globalmente, facendo riferimento al saldo strutturale e analizzando la spesa al netto delle misure discrezionali in materia di entrate. In particolare, in base alla vigente disciplina, la valutazione si basa in particolare sui seguenti criteri:
a) per uno Stato membro che non ha raggiunto l’obiettivo di bilancio a medio termine, nel valutare la modifica del saldo strutturale si accerta se la deviazione corrisponde almeno allo 0,5% del PIL in un singolo anno o almeno allo 0,25% del PIL in media annua per due anni consecutivi;
b) nel valutare l’andamento della spesa al netto di misure discrezionali sul lato delle entrate si accerta se ha un impatto complessivo sul saldo pubblico pari ad almeno lo 0,5% del PIL in un singolo anno o cumulativamente in due anni consecutivi.
L’art. 23 della nuova versione proposta del Reg. 1466 richiama la nozione di “rischio significativo” di deviazione dal percorso di spesa netta, senza peraltro precisare, in via normativa, i criteri in base ai quali valutare la significatività del rischio da segnalare mediante la procedura di early warning e se il presupposto della stessa debba comunque consistere nell’effettiva constatazione di uno scostamento.
Ciò appare, da un lato, in linea con la nuova configurazione delle indicazioni del braccio preventivo, che non conformano una vera e propria “regola della spesa” quanto piuttosto un percorso funzionale al raggiungimento di un obiettivo di riduzione del debito, modellato sulle specifiche sfide di ciascun Paese riguardo alle condizioni di sostenibilità del debito. Per altro verso, tuttavia, la mancanza di parametri normativi ai quali riferire la condizione di “rischio significativo” potrebbe aprire margini di indeterminatezza e di conseguente discrezionalità sul piano applicativo.
L’art. 4 del Regolamento UE 1173 del 2011, che trova il suo fondamento nell’art. 136 del TFUE, prevede, per i soli Paesi la cui moneta è l’euro, l’applicazione di sanzioni sotto forma di deposito fruttifero nei casi in cui uno Stato membro non dia effettivo seguito alla raccomandazione adottata dal Consiglio ai sensi dell’art. 6, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1466, relativo al braccio preventivo del patto di stabilità e crescita (corrispondente, con alcune modifiche, all’art. 23 del medesimo regolamento, nella versione aggiornata proposta dalla Commissione europea).
Premessa la necessità di un approfondimento riguardo al coordinamento normativo delle proposte in esame con il Reg. 1173 del 2011, che prevede forme rafforzate di sorveglianza di bilancio per i Paesi della zona euro, non appare chiaro se l’ipotesi sanzionatoria prevista dall’art. 4 del medesimo regolamento - con applicazione di una sanzione di tipo pecuniario in caso di mancato rispetto delle raccomandazioni del Consiglio riferite alla parte preventiva del Patto di stabilità e crescita - possa considerarsi applicabile anche nel disegno normativo che emerge dalle nuove proposte in discussione. Queste ultime infatti non sembrerebbero, in linea di principio, configurare un’ipotesi di autonoma sanzionabilità della mancata osservanza del percorso di spesa individuato nei piani nazionali di medio termine (parte preventiva del patto).
Viceversa, la conformità a tale percorso sembra costituire essenzialmente il parametro alla stregua del quale valutare la sussistenza delle condizioni per l’avvio della procedura di disavanzo eccessivo (contemplata dal cd. braccio correttivo del patto), per i Paesi il cui debito superi i valori massimi consentiti (sul punto si veda il successivo punto 3.c).
Per ragioni di chiarezza espositiva, si riepilogano di seguito brevemente i presupposti per l’avvio della procedura per disavanzo eccessivo – con particolare riguardo al mancato rispetto del livello massimo del debito rispetto al Pil - sulla base delle modifiche proposte dalla Commissione.
Si rinvia comunque alla prima parte del presente dossier per una più approfondita illustrazione delle predette modifiche.
1. Nella nuova versione proposta dalla Commissione, il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo, anche nei casi in cui ecceda il valore di riferimento, viene comunque ritenuto ridursi in misura sufficiente ed avvicinarsi al valore di riferimento con un ritmo adeguato qualora lo Stato interessato rispetti il percorso di spesa primaria netta indicato nel proprio piano di medio termine: tale presunzione è volta quindi ad escludere in via automatica l’avvio di una procedura per deficit eccessivo, pur in presenza di valori del debito che superino la soglia del 60 per cento in ragione del Pil (art. 126 TFUE e protocollo 12 sui disavanzi eccessivi) per tutti gli Stati che rispettino la parte preventiva del patto di stabilità e crescita.
2. In caso invece di mancato rispetto del percorso indicato nel piano nazionale, una volta escluso che il superamento sia determinato da circostanze eccezionali [ai sensi dell’articolo 24 e dell’articolo 25 del regolamento (UE) sul braccio preventivo], la Commissione dovrà predisporre la relazione prevista dall’articolo 126, paragrafo 2, lettera b), TFUE, prendendo in considerazione, come fattore significativo fondamentale, il livello dei problemi di debito nello Stato membro interessato.
3. In particolare, il fatto che lo Stato membro debba affrontare gravi problemi di debito pubblico (substantial public debt challenges) secondo il più recente Debt Sustainability Monitor è considerato di norma un fattore fondamentale per l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo.
4. La Commissione prende quindi in considerazione anche tutti gli altri fattori significativi ai sensi dell’articolo 126, paragrafo 3, TFUE nella misura in cui essi influenzano in modo significativo la valutazione dell’osservanza dei criteri relativi al disavanzo e al debito da parte dello Stato membro interessato. Tra tali fattori figura, come prima accennato, anche l’evoluzione delle posizioni di bilancio a medio termine, tra cui in particolare l’entità della deviazione effettiva dal percorso della spesa netta, “nei termini annuali e cumulativi misurati dal conto di controllo”. Se del caso, al momento di considerare l’entità della deviazione, si tiene conto anche della deviazione rispetto alla traiettoria tecnica definita inizialmente dalla Commissione.
5. Sono considerati, tra gli altri fattori significativi, anche l’attuazione di riforme e investimenti, tra cui le politiche per attuare la strategia comune dell’Unione per la crescita e l’occupazione. Infine, la Commissione tiene in debita ed esplicita considerazione tutti gli altri fattori che, secondo lo Stato membro interessato, sono significativi per valutare complessivamente l’osservanza dei criteri relativi al disavanzo e al debito e che tale Stato membro ha sottoposto al Consiglio e alla Commissione.
Pertanto, in presenza di uno scostamento dal percorso di spesa primaria netta viene meno la presunzione di conformità al criterio della riduzione del debito ad un ritmo sufficiente, determinandosi quindi i presupposti per l’avvio della procedura di disavanzo eccessivo che dovrà peraltro tener conto di una serie di fattori rilevanti. Dal disegno di riforma emerge quindi un automatismo che opera nel senso di escludere l’avvio della procedura di disavanzo eccessivo (EDP) in presenza di una condotta conforme al percorso di spesa primaria netta.
Viceversa, qualora si evidenzi una difformità da tale percorso, l’avvio della procedura non viene configurato come automatico, ma deve tener conto di una serie di “fattori significativi”, come peraltro previsto nel vigente quadro normativo.
La proposta di riforma della PDE (regolamento 1467) attribuisce rilievo prevalente ai problemi di debito degli Stati interessati. Infatti, ai sensi dell’art. 2, nella nuova versione, “il fatto che lo Stato membro debba affrontare gravi problemi di debito pubblico secondo il più recente Debt Sustainability Monitor è considerato di norma un fattore fondamentale per l’avvio di una procedura per i disavanzi eccessivi.”
Nella versione in lingua originale della proposta di regolamento, tale fattore fondamentale viene indicato con l’espressione “substantial public debt challenges”, analoga a quella (“substantial fiscal sustainability challenge”) utilizzata con riferimento al debito pubblico nelle raccomandazioni adottate per l’Italia a chiusura dell’ultimo semestre europeo.
Le espressioni utilizzate per definire il “fattore significativo fondamentale” per l’avvio di una procedura EDP con riferimento al parametro del debito appaiono quindi sostanzialmente equivalenti a quelle utilizzate nei documenti europei per identificare la condizione dei Paesi - tra cui l’Italia – che, in base al Debt Sustainability Monitor, sono collocati nella classe più elevata di rischio, almeno con riferimento al medio termine.
Premessa l’opportunità di acquisire in proposito una conferma, si evidenzia che tale equivalenza comporterebbe - pur in mancanza, nel testo attuale, di una classificazione dei Paesi per classi di rischio (a differenza di quanto riportato negli indirizzi del novembre scorso) - un’elevata probabilità per i Paesi collocati nella classe di rischio più elevata rispetto all’analisi di sostenibilità del debito, di avvio della procedura di disavanzo, nell’ipotesi di mancato rispetto del percorso di crescita individuato nell’ambito del braccio preventivo del patto.
Anche la relazione che accompagna la proposta di regolamento pone l’accento su tali profili, evidenziando come il testo proponga “di passare ad un quadro di sorveglianza maggiormente basato sul rischio, che metta al centro la sostenibilità del debito e che faccia maggiori distinzioni tra gli Stati membri tenendo conto dei relativi problemi di debito pubblico”.
Per quanto attiene agli “ulteriori fattori significativi” che la Commissione dovrà valutare, con specifico riferimento ai Paesi che superino il valore massimo del rapporto debito/Pil e non rispettino il percorso di spesa primaria netta, andrebbe chiarito quale ruolo possano avere le valutazioni inerenti l’entità degli scostamenti annui da tale percorso e le effettive possibilità di recupero nell’orizzonte di vigenza del piano. Infatti, pur essendo la procedura del braccio correttivo basata su valutazioni afferenti i risultati annui di bilancio, la logica di carattere pluriennale che governa il nuovo disegno di governance dovrebbe essere orientata a valutare lo sforzo di aggiustamento in un’ottica essenzialmente pluriennale, anche ai fini dell’assunzione delle decisioni riferite alla procedura EDP, almeno per quanto attiene alla conformità al parametro del debito.
Tale impostazione sembra confermata dall’assunzione della dimensione dello scostamento dal percorso di spesa a fattore rilevante ai fini della relazione della Commissione e dalla registrazione degli scostamenti annui in un apposito conto di controllo.
Nell’ottica pluriennale di medio termine sopra descritta assumono un rilievo peculiare i risultati registrati a conclusione del periodo (di 4 o 7 anni) di vigenza del piano strutturale di medio termine.
Al riguardo, non viene espressamente indicato quali siano le conseguenze procedurali nell’ipotesi in cui, pur nel rispetto del percorso di spesa delineato dal piano di medio termine, dovessero risultare non conseguiti o non pienamente conseguiti gli obiettivi di riduzione del debito ad esso associati.
Tale ipotesi potrebbe, in linea del tutto teorica, verificarsi per fattori inerenti ad esempio alla dinamica degli interessi o all’andamento delle componenti di adeguamento dei dati di competenza a quelli di cassa (vedi sopra paragrafo 1.f) ovvero ancora per errori di previsione riguardanti l’andamento delle entrate non discrezionali, che non rientrano nel benchmark di spesa sottoposto a controllo, ma condizionano in ogni caso il risultato finale di saldo e il connesso livello di debito.
In particolare, andrebbe confermato se, come sembra plausibile dal disegno complessivo di riforma, nei predetti casi trovi comunque applicazione la condizione automatica di esclusione dell’avvio di una procedura EDP dato il rispetto del percorso di spesa e si imponga quindi esclusivamente l’avvio di un nuovo programma di medio termine, per una più efficace definizione del sentiero di spesa funzionale all’aggiustamento desiderato. Sempre con riferimento alle suddette ipotesi si richiamano le considerazioni già svolte in precedenza riguardo alla possibilità di una verifica medio tempore dell’efficacia dei percorsi delineati nei piani e di aggiornamento degli stessi anche al di fuori delle ipotesi (“circostanze oggettive” e cambio di governo) espressamente previste dall’art. 14 della proposta di revisione del regolamento 1466, per tener conto dell’esigenza di ovviare ad eventuali errori di previsione legati all’andamento di specifiche variabili macroeconomiche e finanziarie.
[1] Per approfondimenti, si veda il dossier pubblicato dagli uffici di Camera e Senato in occasione della Conferenza interparlamentare sulla stabilità, il coordinamento economico e la governance nell’UE del 12 ottobre 2020.
[3] Per approfondimenti, si rinvia al dossier n. 5/1 dei Servizi affari internazionali e Studi del Senato e al dossier “Gli orientamenti della Commissione europea per la riforma della governance economica dell’UE” dell’Ufficio Rapporti con l’UE della Camera dei deputati.
[4] Per approfondimenti, si veda il dossier n. 20 del 6 aprile 2023 “La riforma della governance economica dell’UE” a cura dell’Ufficio RUE della Camera dei deputati.
[5] L’8 marzo 2023 negli orientamenti sulle politiche di bilancio per il 2024 della Commissione europea.
[6] Si vedano, per maggiori dettagli, il sito Internet della Commissione europea, il sito Internet del Consiglio dell’Unione e la documentazione, predisposta dal Servizio studi del Parlamento europeo, "Il quadro UE per le politiche fiscali", settembre 2022.
[7] Per maggiori dettagli sul ciclo del semestre europeo, sui documenti ed adempimenti di cui si compone e sul calendario in cui si articola, si rinvia al Dossier, predisposto dal Servizio studi del Senato della Repubblica, “Il Semestre europeo in Senato: procedure e prassi fino alla XVIII legislatura (anni 2011-2022)”, Dossier n. 1/DE, ottobre 2022.
[8] Si vedano, per maggiori dettagli, le Note sintetiche del Parlamento europeo del settembre 2022 “Governance economica” e “Sorveglianza macroeconomica”.
[9] Per informazioni più dettagliate sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021. Sul quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e i vari atti di cui è composto, si veda il Dossier del Servizio studi del Senato “L’approvazione del nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027” (106/DE), dicembre 2020. Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano si rinvia al Dossier dei Servizi di documentazione del Senato e della Camera (settembre 2022) e al sito Internet Italia domani. Una ricostruzione delle principali vicende relative al PNRR italiano è contenuta anche nel documento di briefing curato dal Parlamento europeo "Italy’s national recovery and resilience plan: latest state of play", novembre 2022. I servizi di documentazione della Camera e del Senato hanno peraltro seguito le tappe di attuazione del PNRR in maniera costante durante la XVIII e la XIX Legislatura: si veda, da ultimo, il Dossier sulla Terza Relazione sullo stato di attuazione del PNRR.
[10] Nel presente Dossier “disavanzo” è da intendersi quale sinonimo di “indebitamento netto”.
[11] Il considerando 6 del preambolo alla proposta spiega che l’opportunità di differenziare tra gli Stati membri tenendo in considerazione le rispettive sfide di bilancio pubblico – e consentendo traiettorie di bilancio specifiche ad ognuno di essi – deriva dalla necessità di mettere al centro la sostenibilità del debito e una crescita sostenibile ed inclusiva.
[12] Tale conclusione è basata sull’analisi dei seguenti documenti della Commissione europea: le Comunicazioni "Riesame della governance economica”, COM(2020) 55; "L’economia dell’Unione europea dopo il Covid 19: implicazioni per la governance economica", COM(2021) 662; "Orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell’Unione europea", COM(2022) 583 e i documenti di lavoro “Online public consultation on the review of the EU economic governance framework. Summary of responses. Final Report”, SWD(2022) 104; Report on the application of Regulations (EU) No 1173/2011, 1174/2011, 1175/2011, 1176/2011, 1177/2011, 472/2013 and 473/2013 and Council Directive 2011/85/EU, SWD(2020) 210 ; Review of the suitability of the Council Directive 2011/85/EU on requirements for budgetary frameworks of the Member States, SWD(2020) 211.
[13] L’Eurogruppo è un organo, previsto da un apposito Protocollo allegato ai trattati, in cui i ministri degli Stati della zona euro discutono di questioni relative alle responsabilità condivise riguardo alla moneta unica. Si riunisce abitualmente una volta al mese alla vigilia della sessione del Consiglio “Economia e finanza”.
[14] Regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2011, sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici
[15] Si veda, per maggiori dettagli, “Fonti e campo di applicazione del diritto dell’Unione europea”, Parlamento europeo, giugno 2022.
[16] In questo senso si esprime il sito Internet della Commissione europea.
[17] Per l’Italia, il valore minimo dell’OMT è stato fissato dalla Commissione europea per il triennio 2023-2025 a 0,25 per cento del PIL.
[18] Il considerando 27 fa riferimento all’importanza di espandere il ruolo delle istituzioni indipendenti di bilancio, le quali tra l’altro hanno provato la propria capacità di incoraggiare la disciplina di bilancio e di rafforzare la credibilità delle finanze pubbliche degli Stati membri.
[19] Comunicazione della Commissione al Consiglio sull’attivazione della clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità e crescita (COM(2020) 123).
[20] La sanzione è costituita da un elemento fisso, pari allo 0,2% del PIL, e da un elemento variabile pari a un decimo del valore assoluto della differenza tra il saldo espresso in percentuale del PIL dell’anno precedente e il valore di riferimento per il saldo delle amministrazioni pubbliche oppure, nel caso in cui la non conformità alla disciplina di bilancio riguardi il criterio del debito, il saldo delle amministrazioni pubbliche espresso in percentuale del PIL che avrebbe dovuto essere raggiunto lo stesso anno a fronte dell’intimazione di cui all’articolo 126, paragrafo 9, TFUE.
[21] Il riferimento a tale specifica pubblicazione contenuto nell’annesso V deve presumibilmente intendersi come riferibile alla collana “Debt sustainability monitor”, di cui, attualmente, l’annualità 2022 – pubblicata nell’aprile 2023 - costituisce il più recente aggiornamento.
[22] La crescita dell’aggregato di spesa di riferimento dovrà infatti essere pari o inferiore alla crescita di medio periodo del PIL potenziale ridotta di un fattore di correzione. Tale fattore di correzione sarà commisurato all’aggiustamento del saldo primario strutturale necessario al fine di raggiungere, alla fine del periodo di aggiustamento, l’obiettivo prefissato su tale saldo.
[23] Nel quadro normativo previgente l’“obiettivo di medio termine” è definito dal regolamento UE 1466 come un saldo, variabile da Stato a Stato, ma compreso in una fascia di variazione che va da -1 per cento del Pil al pareggio o all’attivo di bilancio.
[24] Cfr. l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c) della proposta legislativa COM(2023)240, relativa alla riforma del braccio preventivo.
[25] La spesa deve infatti mantenersi al di sotto della crescita del PIL di un margine sufficiente a garantire, a fine periodo, un avanzo primario strutturale, da mantenere nel successivo decennio, di entità adeguata all’esigenza di contenimento del debito specifica del Paese.
[26] Tale componente ciclica rileva sia con riferimento alle spese connesse alla disoccupazione, sia con riferimento alle variazioni cicliche delle entrate: entrambi tali componenti sono infatti escluse dalla variabile di spesa netta soggetta a controllo, ma suscettibili di incidere sull’andamento del debito.
[27] Più precisamente, l’effetto sull’andamento del debito della differenza tra la crescita e il PIL è descritto dalla seguente formula:
[28] Nel lungo periodo, le valutazioni di sostenibilità della DSA (debt sustainability analysis) assumono per ipotesi uno SFA pari a zero. Peraltro, ipotesi diverse sono possibili, dal momento che statisticamente la frequenza di SFA non nullo risulta prevalente. Ad esempio, le valutazioni di sostenibilità del debito di lungo periodo recentemente effettuate dall’Ufficio parlamentare di bilancio (cfr. l’audizione del 1° marzo 2023 sulla nuova Governance europea) assumono un valore dello SFA pari a 0,3 punti di PIL in ciascun anno dell’orizzonte di previsione, in conformità con il valore mediano di tale variabile riscontrato nel periodo 1999-2021.
[29] Tale credito d’imposta è stato classificato fin dall’origine come esigibile, mentre gli altri due sono stati oggetto di una riclassificazione da parte di Istat, in ottemperanza alle nuove regole contabili definite dall’ultima edizione del Manuale sul deficit e il debito da Eurostat.
[30] Ciò comporta che, anche sul lato delle entrate discrezionali (DRM), le misure di carattere one off potranno accrescere il livello di spesa consentito, non essendo escluse dal complesso delle DRM.