Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale
Riferimenti: AC N.1517/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 173/1
Data: 30/10/2023
Organi della Camera: I Affari costituzionali

 

Servizio Studi

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Dossier n. 155/1

 

 

 

Servizio Studi -

Dipartimento Istituzioni

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Progetti di legge n. 173/1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Schede di lettura. 5

Articolo 1, commi 1-3 (Interventi infrastrutturali urgenti in favore del Comune di Caivano)  6

Articolo 1, commi 4 e 5 (Interventi relativi al centro sportivo ex Delphinia del Comune di Caivano). 8

Articolo 1, commi 4-bis e 4-ter (Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali»)  10

Articolo 1, commi 6-7 (Progetti finanziati dal Ministero dell’università e della ricerca per l’area del Comune di Caivano). 12

Articolo 1, comma 7-bis (Videosorveglianza a Caivano). 13

Articolo 1, commi 8-10 quinquies (Assunzioni Comune di Caivano). 14

Articolo 1, comma 10-sexies  (Rete territoriale antiviolenza a Caivano). 18

Articolo 1-bis, commi 1, 2 e 5 (Programma di interventi per aumentare la capacità tecnica e amministrativa del Comune di Caivano). 19

Articolo 1-bis, commi 3 e 4 (Istituzione di un ufficio dirigenziale di livello generale presso il Dipartimento della funzione pubblica). 21

Articolo 1-ter (Intervento urgente in favore dei giovani di Caivano). 22

Articolo 2 (Misure in favore dell'orientamento universitario e del supporto agli studenti del Comune di Caivano). 25

Articolo 3 (Disposizioni in materia di misure di prevenzione a tutela della sicurezza pubblica e della sicurezza delle città). 27

Articolo 3-bis (Osservatorio sulle periferie). 36

Articolo 3-ter (Sicurezza pubblica, in materia di videosorveglianza) 37

Articolo 4 (Disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti). 39

Articolo 5 (Misure di prevenzione della violenza giovanile). 43

Articolo 6 (Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori). 50

Articolo 7 (Misure anticipate relative a minorenni coinvolti in reati di particolare allarme sociale). 58

Articolo 8 (Modifiche al processo minorile in materia di custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore). 61

Articolo 9 (Disposizioni in materia di sicurezza degli istituti penali per minorenni)  64

Articolo 10 (Interventi a supporto delle istituzioni scolastiche del Mezzogiorno - «Agenda Sud») 68

Articolo 10-bis (Abolizione del limite numerico minimo di alunni per classe nelle istituzioni scolastiche del Mezzogiorno - "Agenda Sud"). 76

Articolo 11 (Ulteriore piano per asili nido finalizzato all'incremento dei posti per la prima infanzia nella fascia di età 0-2 anni). 81

Articolo 12, comma 01 (Vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione). 86

Articolo 12, commi 1-3 (Modifiche al codice penale in materia di reato di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori). 92

Articolo 12, commi 4 e 4-bis (Assegno di inclusione). 97

Articolo 13, commi 1-8 e 8-ter (Applicazioni di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica). 100

Articolo 13, comma 8-bis (Classificazione delle opere cinematografiche). 103

Articolo 13-bis (Disposizione per la verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici) 104

Articolo 14 (Alfabetizzazione digitale e mediatica a tutela dei minori e campagne informative)  106

Articolo 15 (Designazione del coordinatore dei servizi digitali in attuazione del Regolamento (UE) 2022/2065 sui servizi digitali) 109

Articolo 15-bis (Disposizioni relative all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale)  119

Articolo 15-ter (Ulteriori disposizioni urgenti in materia di prerogative dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni). 121

Articolo 15-quater (Semplificazioni in materia di sperimentazione di nuove tecnologie televisive) 123

Articolo 16 (Entrata in vigore). 125

 


Schede di lettura


Articolo 1, commi 1-3
(
Interventi infrastrutturali urgenti in favore del Comune di Caivano)

 

 

L’articolo in esame introduce una serie di disposizioni volte a fronteggiare le situazioni di degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile presenti nel territorio del Comune di Caivano.

 

In particolare il comma 1 prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro quindici giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge in questione, sia nominato un Commissario straordinario con il compito di predisporre, d’intesa con il Comune di Caivano e con il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, un piano straordinario per la realizzazione di interventi infrastrutturali o di riqualificazione funzionali al risanamento del Comune di Caivano, nonché di interventi per la riqualificazione del centro sportivo ex Delphinia di Caivano sulla base dell’attività istruttoria del Genio militare. Inoltre, il presente comma presta particolare attenzione alle attività rientranti nel Terzo settore, prevedendo un’eventuale semplificazione delle procedure per la concessione di immobili pubblici per fini sociali, soprattutto nei campi artistico, culturale, socio-sanitario, sportivo, di contrasto alla povertà educativa e di integrazione. Il piano straordinario è approvato con delibera del Consiglio dei ministri, con assegnazione delle relative risorse nel limite complessivo di 30 milioni di euro, a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC).

 

Il comma 2 prevede che per la realizzazione dei predetti interventi si può provvedere in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione del predetto codice, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

Si prevede, inoltre, che per detti interventi il Commissario straordinario si avvalga del supporto tecnico-operativo dell’Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – INVITALIA S.p.A., che svolge altresì le funzioni di centrale di committenza, con oneri posti a carico dello stanziamento di cui al comma 1.

 

Al comma 3, infine, si prevede l’istituzione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di una struttura di supporto per lo svolgimento dei compiti del Commissario straordinario, la quale opera alle dirette dipendenze del Commissario stesso sino alla data di cessazione del suo incarico, pari a un anno, prorogabile di un ulteriore anno. In particolar modo, a seguito delle modifiche apportate al Senato, si prevede che al personale dovrà essere garantito il trattamento economico-giuridico di cui gode nell’amministrazione di appartenenza. Al personale non dirigenziale è riconosciuto, inoltre, un trattamento economico accessorio, ivi compresa l’indennità di amministrazione del personale non dirigenziale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Infine, con proprio provvedimento, il Commissario straordinario dispone di corrispondere gli emolumenti per il lavoro straordinario, computati per un massimo di trenta ore mensili effettivamente svolte, comunque sempre nel rispetto della normativa in materia.

Si prevede, da ultimo, che il DPCM istitutivo della struttura di supporto determini, nei limiti di quanto previsto dal comma 1, le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale, anche dirigenziale, necessarie al funzionamento della medesima struttura, nonché il compenso del Commissario.

Infine, il presente comma statuisce che il Commissario straordinario può, per le finalità di cui al comma 1 – supra – avvalersi di un massimo di tre esperti professionisti (nominati con proprio stesso decreto), a cui viene riconosciuto un emolumento di 50.000 euro annui al lordo dei contributi dovuti.


 

Articolo 1, commi 4 e 5
(Interventi relativi al centro sportivo ex Delphinia del Comune di Caivano)

 

 

I commi 4 e 5 dell’articolo 1 prevedono che, all’interno del piano straordinario predisposto e attuato dal Commissario, siano contemplati anche interventi urgenti per il risanamento, il ripristino, il completamento, l'adeguamento, la ricostruzione e la riqualificazione del centro sportivo ex Delphinia del Comune di Caivano.

 

Nel dettaglio, il comma 4 prevede, fra i contenuti del piano straordinario disciplinato dal comma 1 (alla cui scheda di lettura si rinvia), anche gli interventi urgenti per il risanamento, il ripristino, il completamento, l'adeguamento, la ricostruzione e la riqualificazione del centro sportivo polivalente ex Delphinia del Comune di Caivano e per la realizzazione degli ulteriori interventi strumentali e connessi che interessino il centro sportivo o le pertinenze attigue.

A tal fine, il medesimo comma 4 dispone che il Commissionario straordinario si avvalga del supporto tecnico-operativo della Società Sport e Salute, chiamata altresì a svolgere le funzioni di centrale di committenza ai sensi del Codice dei contratti pubblici. I connessi oneri sono posti a carico dello stanziamento previsto dal comma 1, come determinato nella delibera del Consiglio dei ministri, e comunque, nel limite massimo del 2% delle risorse destinate con la citata delibera alla realizzazione degli interventi di cui al primo periodo del presente comma.

 

Le funzioni di supporto tecnico-operativo richiamate, e qui riprese, sono quelle di cui all’art. 10, commi 1 e 2, del D.L. 77/2021, contemplate nell’ambito degli investimenti pubblici legati al PNRR e ai fondi europei, al fine di sostenere la definizione e l’avvio delle procedure di affidamento e di accelerarne l’attuazione. Tali funzioni sono svolte da società in house qualificate come centrali di committenza sulla base di apposite convenzioni stipulate fra esse e le amministrazioni interessate. Il supporto copre anche le fasi di definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli interventi e comprende azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, anche attraverso la messa a disposizione di esperti particolarmente qualificati. Per approfondimenti cfr. l’apposito dossier predisposto dal Servizio studi.

La funzione di centrale di committenza consiste invece nella fornitura, da parte di una stazione appaltante (in questo caso di Sport e Salute s.p.a.) di attività di centralizzazione delle committenze inerenti agli affidamenti di commesse in favore di altre stazioni appaltanti o enti concedenti e, se del caso, attività di supporto all'attività di committenza. La disposizione principale di riferimento è costituita dall’art. 63 del nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al D.LGS. 36/2023, che peraltro riconosce di diritto l’iscrizione di Sport e Salute s.p.a. all’elenco delle stazioni appaltanti qualificate tenuto dall’ANAC. 

 

Ai sensi del comma 5 dell’art. 1, il Commissario è chiamato a prevedere criteri e modalità per l'affidamento in uso degli impianti del centro sportivo ex Delphinia di Caivano, anche in deroga alle disposizioni vigenti, individuando come prioritari i progetti presentati dai Gruppi sportivi militari e Corpi civili dello Stato (qui l’elenco).

 

Si ricorda che la disciplina in materia di costruzione, ristrutturazione, gestione e sicurezza degli impianti sportivi, compresi quelli scolastici, è contenuta nel D.LGS. 38/2021, adottato sulla base della delega disposta dall’art. 7 della L. 86/2019, e recentemente novellato, nell’esercizio della relativa delega integrativa e correttiva, dall’art. 3 del D.LGS. 120/2023.

Quanto alle modalità di affidamento, che qui vengono specificamente in rilievo, l’art. 6, comma 2, dispone che là dove l'ente pubblico territoriale non intenda gestire direttamente gli impianti sportivi, la gestione è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e federazioni sportive nazionali, sulla base di convenzioni che ne stabiliscono i criteri d'uso e previa determinazione di criteri generali e obiettivi per l'individuazione dei soggetti affidatari. Il comma 3 precisa che tali affidamenti sono disposti nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici di cui al D.LGS. 36/2023 e della normativa euro-unitaria vigente. Anche alla luce della circostanza che, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., il diritto europeo rappresenta un vincolo alla potestà legislativa statale, la formula “anche in deroga alle disposizioni vigenti” dovrà interpretarsi come non riferibile a norme europee o di diretta derivazione europea, come del resto previsto dal comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge in commento. Si valuti l’opportunità di una precisazione in tal senso.

Per approfondimenti sugli impianti sportivi, cfr. i dossier predisposti dal Servizio studi sugli schemi del D.LGS. 38/2021 e del D.LGS. 120/2023.

Articolo 1, commi 4-bis e 4-ter
(
Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali»)

 

I commi 4-bis e 4-ter dell’articolo 1introdotti al Senato – prevedono un rifinanziamento di 12 milioni di euro, per il 2023, dell’autorizzazione di spesa relativa al Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali», per sostenere, nell’ambito del piano straordinario di cui al comma 1 del medesimo art. 1, interventi per la realizzazione ovvero riqualificazione di infrastrutture culturali.

 

 

Nel dettaglio, il nuovo comma 4-bis dell’art. 1 prevede che l’autorizzazione di spesa di cui all’art. 1, comma 337 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), relativa al Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali», sia incrementata di 12 milioni di euro per l’anno 2023. Ciò al fine di sostenere, nell’ambito del piano straordinario di cui al comma 1 del medesimo art. 1 (che prevede interventi infrastrutturali urgenti in favore del Comune di Caivano, alla cui scheda di lettura si rinvia), interventi per la realizzazione ovvero riqualificazione di infrastrutture culturali.

 

Si ricorda che il citato art. 1, comma 337 della legge n. 208 del 2015 ha previsto che, per la realizzazione del Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali» di cui all'art. 7 del decreto-legge n. 83 del 2014 (legge n. 106 del  2014), fosse autorizzata la spesa di 70 milioni di euro per l'anno 2017 e di 65 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018.

 

A sua volta, l’art. 7, comma 1, del citato decreto-legge n. 83 del 2014 ha disposto che, con decreto dell’allora Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (ora Ministro della cultura), sentiti il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici e la Conferenza unificata è adottato, entro il 31 dicembre di ogni anno, il Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali», ai fini della crescita della capacità attrattiva del Paese (si veda, da ultimo, il decreto ministeriale 14 febbraio 2022, n. 60, relativo alla programmazione di ulteriori risorse per le annualità 2021, 2022 e 2023).

Il Piano individua beni o siti di eccezionale interesse culturale e paesaggistico e di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare, anche mediante acquisizione, interventi organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici. Per l'attuazione degli interventi del Piano strategico «Grandi Progetti Beni culturali» era stata inizialmente autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per il 2014, 30 milioni di euro per il 2015 e 50 milioni di euro per il 2016, ed erano state previste ulteriori risorse.

 

Il successivo nuovo comma 4-ter del medesimo art. 1 reca la relativa copertura finanziaria degli oneri, pari appunto a 12 milioni di euro per il 2023. Essa consiste in una corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale di pertinenza del Ministero della cultura. Si prevede, inoltre, che il Ministro dell’economia e delle finanze sia autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

La relazione tecnica dell’emendamento governativo 1.200, che ha introdotto le predette disposizioni, dopo aver rilevato che esse hanno la finalità di fronteggiare le situazioni di degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile presenti nel comune di Caivano, precisa che le relative risorse sono allocate nel capitolo 8098 dello stato di previsione del Ministero della cultura, denominato “Spese per l’attuazione degli interventi del piano strategico Grandi progetti beni culturali”, piano di gestione 1 “Fondo progetti” e piano di gestione 2 “Fondo opere”. Essa, inoltre, rileva che tali risorse sono finalizzate alla ricostruzione dell’ex Teatro Caivano Arte, con rifunzionalizzazione degli spazi come polo della cultura ad uso teatrale, museale e bibliotecario.

Articolo 1, commi 6-7
(Progetti finanziati dal Ministero dell’università e della ricerca per l’area del Comune di Caivano)

 

 

Per fronteggiare le situazioni di degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile presenti nel territorio del Comune di Caivano, i commi 6 e 7 dell’articolo 1 prevedono che il MUR finanzi specifici progetti finalizzati alla costruzione o rigenerazione di edifici e spazi nell'area del Comune di Caivano da destinare ad attività educative e formative, realizzati dalle istituzioni universitarie che hanno sede in Campania. Gli interventi sono finanziati a valere sul Fondo integrativo speciale per la ricerca (FISR) per 5 milioni di euro nel 2024.

 

In dettaglio, il comma 6 (oggetto solo di modifiche inerenti alla formulazione in sede di conversione) prevede che per le medesime finalità individuate dal comma 1 (cioè, come anticipato: fronteggiare le situazioni di degrado, vulnerabilità sociale e disagio giovanile presenti nel territorio del Comune di Caivano), il MUR finanzi specifici progetti volti alla costruzione o rigenerazione di edifici e spazi nell'area del Comune di Caivano da destinare ad attività educative e formative, realizzati dalle istituzioni universitarie che hanno sede in Campania. Tali interventi, identificati dal Codice Unico di Progetto (CUP), vengono attuati in raccordo con il Commissario straordinario e beneficiando del regime di cui al comma 2, primo periodo, dell’art. 1 in commento, in virtù del quale a essi si provvede in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei principi generali dell'ordinamento, delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.

 

Si ricorda che il CUP, disciplinato dall’art. 11 della L. 3/2003, è il codice che identifica un progetto d’investimento pubblico ed è lo strumento cardine per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP), concorrendo anche al tracciamento delle risorse. Per approfondimenti, cfr. la pagina dedicata del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

 

Il comma 7 dispone che alla copertura degli oneri di cui al comma 6 si provvede a valere sulle risorse del Fondo integrativo speciale per la ricerca (FISR) per un importo pari a 5 milioni di euro per l'anno 2024.

 

Il FISR è previsto dall’art. 1, comma 3, del D.LGS. 204/1998 ed è volto a finanziare specifici interventi di particolare rilevanza strategica, indicati nel Programma Nazionale delle Ricerche (PNR) e nei suoi aggiornamenti per il raggiungimento degli obiettivi generali. Per approfondimenti, cfr. la pagina dedicata del MUR.


 

Articolo 1, comma 7-bis
(Videosorveglianza a Caivano)

 

 

Il comma 7-bis dell’articolo 1 destina un’autorizzazione di spesa non inferiore a 100.000 euro per l’anno 2024 al Comune di Caivano per l’installazione di sistemi di videosorveglianza.

 

Entro l’articolo 1, il comma 7-bis, introdotto al Senato, destina un’autorizzazione di spesa non inferiore a 100.000 euro per l’anno 2024 al Comune di Caivano per l’installazione di sistemi di videosorveglianza finalizzati ad assicurare la tutela della sicurezza dei cittadini.

Tale autorizzazione di spesa è intesa quale quota parte di quella recata dalla legge di bilancio 2023 (ossia la legge n. 197 del 2022). Per questo riguardo, per un maggiore approfondimento si rinvia alla scheda di lettura riferita all’articolo 3-bis del pari introdotto in sede di conversione, avente ad oggetto le risorse per la videosorveglianza presso i Comuni.

Quanto all’assegnazione di risorse alla videosorveglianza specificamente presso il Comune di Caivano, si prevede che essa possa avvenire anche mediante eventuali “rimodulazioni” delle risorse in via di assegnazione per progetti finanziati a valere sul Programma operativo complementare Legalità 2014-2020.

Tale Programma, si ricorda, è stato approvato con delibera CIPE n. 6 del 3 marzo 2017 (e successivamente rimodulato, con delibera n. 5 del 17 marzo 2020, indi con delibera CIPESS n. 41 del 9 giugno 2021). Si tratta di un piano di interventi volto a rafforzare il Programma Operativo Nazionale (cd. PON) Legalità, finanziato da risorse europee (Fondi strutturali e d’investimento europeo: SIE) e da risorse nazionali di cofinanziamento (a valere sul Fondo di rotazione di cui all’articolo 5 della legge n. 183 del 1987), volte al rafforzamento delle condizioni di legalità per cittadini e imprese in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

Ad esso fa seguito il Programma Nazionale Sicurezza per la Legalità 2021-2027, con una dotazione 235 milioni di euro (di cui 200 milioni di quota europea), rivolte, oltre che alle regioni ricordate, altresì alle regioni Molise e Sardegna.

 


 

Articolo 1, commi 8-10-quinquies
(Assunzioni Comune di Caivano)

 

 

L’articolo 1, commi 8, 9 e 10, autorizza il comune di Caivano ad assumere a tempo indeterminato, mediante procedure concorsuali semplificate o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni, 15 unità di personale non dirigenziale del corpo della polizia locale, in deroga ai vincoli assunzionali, al fine di garantire l’incremento della sicurezza urbana ed il controllo del territorio. Si quantificano, infine, gli oneri derivanti da tali assunzioni e si individua la relativa copertura finanziaria.

Al Senato, è stata apportata una modifica al comma 8 al fine di ampliare il carattere derogatorio delle procedure di reclutamento previste e sono stati inseriti nell’articolo 1 i commi 10-bis, 10-ter, 10-quater e 10-quinquies.

Il comma 10-bis autorizza il comune di Caivano ad assumere a tempo indeterminato tre unità di personale non dirigenziale della professionalità di servizio sociale, anche in questo caso mediante procedure concorsuali semplificate o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni.

Il comma 10-ter autorizza il comune di Caivano ad assumere sei unità di personale non dirigenziale della professionalità degli educatori scolastici anche in questo caso mediante procedure concorsuali semplificate o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni.

Il comma 10-quater prevede che le assunzioni di cui ai commi 10-bis e 10-ter siano anch’esse autorizzate in deroga ai vincoli assunzionali.

Il comma 10-quinquies dispone in merito alla copertura degli oneri assunzionali di cui ai commi 10-bis e 10-ter

 

In particolare, il comma 8 dell’articolo in commento, al fine di garantire l’incremento della sicurezza urbana ed il controllo del territorio, dispone che il Comune di Caivano è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato, mediante procedure concorsuali semplificate di cui all’articolo 35-quater, comma 3-bis[1], del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni, comunque in deroga al previo espletamento delle procedure di cui all’articolo 30[2] del medesimo decreto legislativo, 15 unità di personale non dirigenziale del corpo della polizia locale. Al Senato è stata inserita nel comma 8 in esame la previsione che le procedure di cui al comma medesimo possono essere svolte in deroga anche a quanto previsto dall’articolo 34-bis[3] del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Il successivo comma 9 prevede che le assunzioni di cui al comma 8 sono autorizzate in deroga ai vincoli assunzionali di cui all’articolo 1, comma 557[4], della legge 27 dicembre 2006, n. 296, nonché in deroga all’articolo 259, comma 6[5], del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e all’articolo 33, comma 2[6], del decreto-legge 30 aprile 2019 n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

Infine, il comma 10 stabilisce che agli oneri derivanti dai commi 8 e 9, pari a euro 138.900 per l’anno 2023 e pari ad euro 555.400 annui a decorrere dall’anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all’articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. La relazione tecnica precisa che gli oneri predetti sono stati quantificati sulla base dell’inquadramento contrattuale di tali unità nell’ambito del CCNL-Comparto Funzioni locali- Area degli Istruttori, per quanto attiene il trattamento tabellare, e della media pro capite da corrispondere quale trattamento economico accessorio, come risultante dai dati del Conto annuale.

 

Al Senato, nell’articolo in commento sono stati inseriti i commi 10-bis, 10-ter, 10-quater e 10-quinquies.

 

Il comma 10-bis prevede che il comune di Caivano è autorizzato ad assumere a tempo indeterminato, mediante procedure concorsuali semplificate di cui all'articolo 35-quater, comma 3-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, o mediante scorrimento di graduatorie vigenti di altre amministrazioni, comunque in deroga al previo espletamento delle procedure di cui agli articoli 30 e 34-bis del medesimo decreto legislativo, 3 unità di personale non dirigenziale della professionalità di servizio sociale.

Il comma 10-ter prevede che il comune di Caivano è, altresì, autorizzato ad assumere, con le medesime procedure e deroghe di cui al comma 8-bis, n. 6 unità di personale non dirigenziale della professionalità degli educatori scolastici.

Ai sensi del successivo comma 10-quater, le assunzioni di cui ai commi 10-bis e 10-ter sono autorizzate in deroga ai vincoli assunzionali di cui all'articolo 1, comma 557, della legge 27 dicembre 2006 n. 296, nonché in deroga all'articolo 259, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e all'articolo 33, comma 2, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58.

Ai concorsi per le assunzioni di cui ai predetti commi, nonché a quelli di cui al comma 8, provvede il Dipartimento della funzione pubblica attraverso la Commissione RIPAM.

Il comma 10-quinquies dispone infine che alla copertura degli oneri derivanti dai 10-bis e 10-ter, pari ad € 64.500 per l'anno 2023 e pari ad € 409.500 a decorrere dall’anno 2024, si provvede mediante:

a) quanto ad € 64.500 per l'anno 2023, ad € 409.500 per l'anno 2024 e ad € 273.000 a decorrere dall’anno 2025 mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;

b) quanto ad € 136.500, a decorrere dall'anno 2025, mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 607, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.

Articolo 1, comma 10-sexies
(Rete territoriale antiviolenza a Caivano)

 

 

L’articolo 1, comma 10-sexies prevede che il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità promuova il potenziamento della rete territoriale antiviolenza nel comune di Caivano.

 

Il comma 10-sexies dell’articolo 1, introdotto al Senato, dispone che – ferme restando le competenze della Regione Campania – il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità promuova il potenziamento della rete territoriale antiviolenza nel comune di Caivano, avvalendosi delle risorse previste a legislazione vigente. Tale promozione si dispiega entro le azioni attuative del “Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica”. La sua disciplina è recata dall'articolo 5 del decreto legge n. 93 del 2013 (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e commissariamento delle province”), il quale ha fatto seguito alla ratifica, con legge n. 77 del 2013, della Convenzione di Istanbul (la convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica).

La disciplina del Piano è stata indi rivisitata dall’articolo 1, comma 149, della legge di bilancio 2022 (legge n. 234 del 2021), che ne ha altresì mutato la denominazione da: Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, a: Piano strategico nazionale contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Talché il Piano ha deposto la qualifica di "straordinario" per diventare uno strumento strutturale e strategico nel contrasto alla violenza sulle donne. Nel frattempo era stata varata, in materia di tutela delle vittime di violenza di genere e domestica, la legge n. 69 del 2019 (cd. ‘codice rosso’).

Successivamente. l’articolo 1, comma 338 della legge di bilancio 2023 (legge n. 197 del 2022) ha incrementato – di 10 milioni annui – le risorse finanziarie destinate al Piano (che così ammontano a 15 milioni annui, dal 2023).

Dopo l'emanazione nel 2015 del primo Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere e del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020, è stato adottato, il 21 novembre 2021, il terzo Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il biennio 2021-2023.

Il Piano 2021-2023 ripropone la struttura del piano precedente, con un'articolazione in quattro assi tematici (prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire, assistenza e promozione) secondo le linee indicate dalla Convenzione di Istanbul, a ciascuna delle quali si ricollegano specifiche priorità. Per quanto riguarda le risorse finanziarie a sostegno degli interventi previsti dal Piano, occorre fare riferimento alle risorse del Fondo per le pari opportunità che sono appostate - unitamente agli altri eventuali ulteriori interventi a carico del Fondo - nel cap. 2108 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (MEF), per essere successivamente trasferite al bilancio della Presidenza del Consiglio, dove il cap. 496 contiene le somme da destinare al Piano contro la violenza alle donne.

Articolo 1-bis, commi 1, 2 e 5
(
Programma di interventi per aumentare la capacità tecnica e amministrativa del Comune di Caivano)

 

 

L’articolo 1-bis, introdotto al Senato, ai commi 1, 2 e 5, reca disposizioni concernenti l’adozione di un programma di interventi per incrementare la capacità tecnica e operativa dell’amministrazione comunale di Caivano.

 

Il comma 1 del presente articolo prevede che, entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell’Interno, il Commissario Straordinario di cui all’articolo 1 e il comune di Caivano adottino un programma per favorire l’implementazione e il miglioramento dell’amministrazione comunale.

In particolar modo, il presente comma fa riferimento ai seguenti settori:

1.      finanziario,

2.      delle politiche sociali e dei servizi alla persona e alle imprese,

3.      dei lavori pubblici e del territorio,

4.      della polizia locale,

5.      di anagrafe e affari generali.

La disposizione fa riferimento anche all’ulteriore finalità, di rafforzare i processi attuativi dei progetti finanziati con risorse dell’Unione europea, dello Stato italiano e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

 

Il comma 2 prevede che il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri provveda all’attuazione delle misure ad esso attribuite nel programma, servendosi di personale proprio, sia con qualifica dirigenziale che non dirigenziale, anche mediante l’utilizzo del portale “FormezPA”, nonché di personale delle amministrazioni ex art. 1, c. 2, D. lgs. 165/2001 (che individua le amministrazioni pubbliche) che si trovi in comando, distacco o nelle condizioni di analogo istituto giuridico.

 

Si tenga presente che il portale “FormezPA” riveste la forma di un’associazione riconosciuta dotata di personalità giuridica, in regime in-house al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il compito di rimodernare la struttura pragmatica delle pubbliche amministrazioni.

 

Il comma 5 dispone che, per le finalità di cui al comma 1 – cui si rinvia – il comune di Caivano può richiedere all’autorità prefettizia di Napoli, d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il commissario di cui all’articolo 1 del presente decreto-legge, anche in deroga alla legislazione vigente, di avvalersi temporaneamente e in regime di sovraordinazione, di personale iscritto in albi professionali, individuabile con la procedura selettiva semplificata di cui all’art. 35-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001. Al personale assegnato spetta il trattamento economico previsto dall’art. 145, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000.

 

L’art. 35-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001 disciplina analiticamente il procedimento di assunzione a tempo determinato e indeterminato presso le pubbliche amministrazioni; ciò avviene mediante la c.d. procedura selettiva semplificata, che si realizza mediante l’utilizzo di un Portale unico di reclutamento, di natura telematica.

L’art. 145, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000 reca disciplina inerente all'assegnazione, presso enti in gestione straordinaria, in via temporanea, in posizione di comando o distacco, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici, previa intesa con gli stessi, ove occorra anche in posizione di sovraordinazione. di lavoratori che si trovino in posizione di gestione di eventi straordinari. Il medesimo articolo prevede che al personale assegnato spetti un compenso mensile lordo proporzionato alle prestazioni da rendere, stabilito dal prefetto in misura non superiore al 50% del compenso spettante a ciascuno dei componenti della commissione straordinaria, nonché, ove dovuto, il trattamento economico di missione stabilito dalla legge per i dipendenti dello Stato in relazione alla qualifica funzionale posseduta nell'amministrazione di appartenenza.

Articolo 1-bis, commi 3 e 4
(Istituzione di un ufficio dirigenziale di livello generale presso il Dipartimento della funzione pubblica)

 

 

L’articolo 1-bis, comma 3 istituisce presso il Dipartimento della funzione pubblica un nuovo ufficio dirigenziale di livello generale (senza maggiori oneri, mediante riduzione corrispettiva di due uffici dirigenziali di livello non generale). Il comma 4 dispone che il Dipartimento conseguentemente provveda (entro trenta giorni) alla propria riorganizzazione.

 

Entro l’articolo 1-bis introdotto al Senato, i commi 3 e 4 concernono l’organizzazione del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.

In particolare, il comma 3 istituisce un ufficio dirigenziale di livello generale presso quel Dipartimento.

La sua attività è preposta al rafforzamento della “capacità amministrativa” delle amministrazioni locali nelle materie di competenza del Ministero per la pubblica amministrazione.

Il comma 4 prevede, correlativamente, che il Dipartimento provveda entro trenta giorni (dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge) alla propria riorganizzazione (con modificazione, parrebbe di intendere, del decreto ministeriale del 24 luglio 2020, recante l’organizzazione interna del Dipartimento).

La riorganizzazione deve essere senza maggiori oneri finanziari - ed a tal fine è disposta, a fronte della istituzione della nuova posizione dirigenziale a livello generale, la soppressione di due posizioni dirigenziali non generali del Dipartimento della funzione pubblica - con contestuale adeguamento della dotazione organica della Presidenza del Consiglio - equivalenti sotto il profilo finanziario. Così come è disposta la riduzione di un corrispondente ammontare di facoltà assunzionali disponibili a legislazione vigente.

Si legge nella disposizione che “in sede di prima applicazione” non si applicano, per la novella istituzione dell’incarico dirigenziale disposta, i limiti percentuali circa la conferibilità degli incarichi dettati dall’articolo 19 (“Incarichi di funzioni dirigenziali”), comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2021 (“Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”).

Si fa presente che la cessazione di efficacia dei limiti percentuali di cui all’articolo 19, comma 5-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, è stata già disposta dall’articolo 3, comma 3-bis, del decreto-legge 80 del 2021 (“Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”).


 

Articolo 1-ter
(Intervento urgente in favore dei giovani di Caivano)

 

 

L’articolo 1-ter, inserito al Senato, detta alcune disposizioni volte ad assicurare che l’Agenzia italiana per la gioventù destini almeno un progetto annuale a Caivano al fine di promuovere l'attività giovanile, l'inclusione sociale e lo sviluppo culturale dei giovani residenti in questa area.

 

Si ricorda in proposito che l’Agenzia nazionale per i giovani (ANG), era stata istituita ai sensi dell’art. 5 del D.L. n. 297/2006 (L. n. 15/2007) in attuazione della decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che aveva altresì previsto l’istituzione del programma “Gioventù in azione” (Youth in action successivamente assorbito da Erasmus+). L’Agenzia, come richiesto dalla stessa decisione era dotata di personalità giuridica pubblica e, in quanto agenzia di diritto pubblico ex art. 8 del d.lgs. n.300/1999, di autonomia regolamentare, gestionale, organizzativa, patrimoniale, finanziaria e contabile. Essa aveva preso il posto della precedente Agenzia italiana gioventù, dalla quale aveva ereditato la dotazione iniziale di risorse finanziarie, umane e strumentali.

Successivamente, l’articolo 55 del D.L. n. 13/2023 (L. n. 41/2023) ha istituito l’Agenzia italiana per la gioventù - come ente pubblico non economico, dotato di personalità giuridica e di autonomia regolamentare, organizzativa, gestionale, patrimoniale, finanziaria e contabile - e ha disposto la contestuale soppressione dell'Agenzia nazionale per i giovani. In conformità alla disciplina relativa all’Agenzia soppressa, le funzioni di indirizzo e vigilanza sulla nuova Agenzia sono esercitate dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili[7].

Più in particolare, i commi 1 e 2 dell’articolo 55 specificano che: la nuova Agenzia subentra nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi della precedente Agenzia; a decorrere dal 25 febbraio 2023 (data di entrata in vigore del D.L. n. 13/2023), alla nuova Agenzia sono trasferite anche le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale della precedente Agenzia; resta ferma l’attribuzione[8] alla Presidenza del Consiglio dei ministri - o all’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili - delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche giovanili; la nuova Agenzia coopera con le altre agenzie o autorità delegate competenti nei settori dell’istruzione e della formazione; la dotazione organica della nuova Agenzia è identica a quella dell'Agenzia soppressa (ai sensi del comma 2 del presente articolo 55, la dotazione organica della nuova Agenzia è costituita da complessive 45 unità, di cui 3 posizioni dirigenziali di livello non generale, 16 funzionari, 25 assistenti e 1 operatore); resta ferma l'applicazione al personale trasferito dei contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto - o, per i dirigenti, dell'Area - Funzioni centrali, sezione Ministeri.

Riguardo alle funzioni della nuova Agenzia, il comma 2 fa riferimento agli obiettivi individuati dai programmi dell’Unione europea nonché ai seguenti atti dell’Unione: decisione del Parlamento europeo e del Consiglio n.  1719/2006/CE, del 15 novembre 2006 ("che istituisce il programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013"), regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 2021/817/UE, del 20 maggio 2021 ("che istituisce Erasmus+: il programma dell'Unione per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport e che abroga il regolamento (UE) n. 1288/2013"), regolamento del Parlamento europeo  e del Consiglio 2021/888/UE, del 20 maggio 2021 ("che istituisce il programma «corpo europeo di solidarietà» e abroga i regolamenti (UE) 2018/1475 e (UE) n. 375/2014"). L’Agenzia svolge anche attività di cooperazione nei settori delle politiche della gioventù e dello sport, anche a livello internazionale e con le comunità degli italiani all'estero (d'intesa con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale), nonché di coordinamento, promozione e realizzazione di studi e ricerche sulla cittadinanza europea, sulla cittadinanza attiva e sulla partecipazione dei giovani, e attività di formazione di animatori socio-educativi.

Il comma 3 - oltre ad attribuire le funzioni di indirizzo e vigilanza anche sulla nuova Agenzia al Presidente del Consiglio dei ministri o all’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili - prevede che l’Agenzia possa fornire supporto tecnico-operativo al Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale della Presidenza del Consiglio dei ministri, mediante la stipula di apposite convenzioni o protocolli di intesa.

Ai sensi del comma 5, lo statuto della nuova Agenzia è adottato con DPR, su proposta dell’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili, entro 120 giorni dal 22 aprile 2023 (data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 13/2023). Il medesimo comma 5 specifica che lo statuto dell’Agenzia precedente continua ad applicarsi, in quanto compatibile, nelle more dell’adozione del nuovo statuto. Ai sensi del comma 4, entro trenta giorni dalla data di emanazione dello stesso, l’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili provvede: alla nomina del consiglio di amministrazione della nuova Agenzia, definito come organo di vertice politico-amministrativo e formato da tre componenti - di cui uno con funzioni di presidente, dotato di comprovata esperienza in materia di politiche giovanili -; alla nomina del collegio dei revisori dei conti, formato da tre membri, di cui uno designato dal Ministero dell’economia e delle finanze. Il collegio dei revisori dei conti della precedente Agenzia rimane in carica fino all’emanazione dello statuto della nuova Agenzia. Il medesimo comma 4 prevede che l'attività degli uffici amministrativi della nuova Agenzia sia coordinata da un dirigente di livello non generale, scelto dal consiglio di amministrazione, nell’ambito dei dirigenti della medesima Agenzia. Il dirigente rientra, in ogni caso, nel computo della suddetta dotazione organica (infatti il dirigente coordinatore in esame rientra nel computo delle tre posizioni dirigenziali di cui alla pianta organica). Fino all'insediamento del consiglio di amministrazione, la gestione corrente è assicurata da un commissario straordinario, nominato con decreto dell'Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili (comma 4)[9].

Ai sensi del comma 6, la nuova Agenzia si avvale del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

 

Come sopra anticipato, il comma 1 prevede che l'Agenzia italiana per la gioventù destina almeno un progetto annuale a Caivano al fine di promuovere l'attività giovanile, l'inclusione sociale e lo sviluppo culturale dei giovani residenti in questa area.

Il comma 2 dispone che il progetto finanziato per Caivano è selezionato in base a criteri di merito, con particolare attenzione alle esigenze specifiche dei giovani del comune, ed è finalizzato a migliorare l'accesso a opportunità educative, culturali e formative per i giovani locali.

Il comma 3 prevede che l'Agenzia italiana per la gioventù è responsabile dell'attuazione, della supervisione e della valutazione del progetto finanziato per Caivano, in conformità con le direttive stabilite dal Presidente del Consiglio dei ministri o dall'Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili.

Il comma 4 prevede che la regione Campania collabora con il Presidente del Consiglio dei ministri o l’Autorità politica delegata in materia di politiche giovanili e le autorità locali di Caivano per garantire l'efficace implementazione del progetto finanziato.

Il comma 5 contiene la clausola d’invarianza finanziaria.

Articolo 2
(Misure in favore dell'orientamento universitario e del supporto agli studenti del Comune di Caivano)

 

 

L’articolo 2, comma 1, impone al Ministero dell'università e della ricerca la sottoscrizione di un accordo di programma con una o più Università statali aventi sede in Campania anche in collaborazione con enti e altre istituzioni locali (tale inciso è stato inserito al Senato), volto alla predisposizione di specifici percorsi di orientamento universitario finalizzati al supporto sociale, culturale e psicologico degli studenti presso le scuole secondarie di secondo grado site nel territorio comunale di Caivano e nei comuni limitrofi. La finalità indicata è quella di promuovere e rafforzare i percorsi di sostegno agli studenti del Comune di Caivano. Il comma 2 dispone in relazione alla copertura degli oneri, pari a 1 milione di euro per il 2024, ai quali si provvede sui bilanci delle università interessate. Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto, pari a 1 milione di euro per il 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.

 

Come sopra anticipato, il comma 1 impone al Ministero dell'università e della ricerca la sottoscrizione di un accordo di programma con una o più Università statali aventi sede in Campania anche in collaborazione con enti e altre istituzioni locali (tale inciso è stato inserito al Senato, volto alla predisposizione di specifici percorsi di orientamento universitario finalizzati al supporto sociale, culturale e psicologico degli studenti presso le scuole secondarie di secondo grado site nel territorio comunale di Caivano e nei comuni limitrofi. La finalità indicata è quella di promuovere e rafforzare i percorsi di sostegno agli studenti del Comune di Caivano.

 

Le “Università statali aventi sede in Campania” sono l’Università degli Studi “Federico II” – Napoli, l’Università degli Studi “L'Orientale” – Napoli, l’Università degli Studi “Parthenope” – Napoli, l’Università degli Studi del Sannio – Benevento, l’Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli” – Caserta e l’Università degli Studi di Salerno.

 

La disposizione richiama espressamente l'articolo 5, comma 6, della L. n. 537/1993.

 

Tale disposizione prevede che le università possono stipulare con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica (ora Ministro dell'università e della ricerca), accordi di programma

·         per l'attribuzione delle risorse finanziarie comprese:

- nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università (articolo 5, comma 3, L. n. 537/1993);

- nel Fondo per l'edilizia universitaria e per le grandi attrezzature scientifiche (articolo 5, comma 4, L. n. 537/1993);

- nel fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema universitario (articolo 5, comma 5, L. n. 537/1993);

·         per la gestione del complesso delle attività ovvero di iniziative e attività specifiche.

 

Il comma 2 dispone in relazione alla copertura degli oneri, pari a 1 milione di euro per il 2024, ai quali si provvede sui bilanci delle università interessate. Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e indebitamento netto, pari a 1 milione di euro per il 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.

 

Il Fondo, istituito dall'articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154/2008 (L. n. 189/2008), è iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (cap. 7593/MEF) con una dotazione in termini di sola cassa, pari, nel bilancio 2024, a € 325.100.168, in base alle previsioni recate dalla legge recante l'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2023, AC 1344/II Tabella 2 (Ministero dell'economia e delle finanze), p. 125.

Articolo 3
(Disposizioni in materia di misure di prevenzione a tutela della sicurezza pubblica e della sicurezza delle città)

 

 

L’articolo 3, come modificato al Senato, interviene sulla disciplina di alcune delle misure di prevenzione, applicate dal questore (foglio di via obbligatorio; D.AC.U.R. e c.d. DASPO Willy), al fine di aumentare il livello di sicurezza pubblica e di rafforzare la tutela di alcuni “luoghi-chiave” del contesto urbano e della vita comunitaria, e reca inoltre alcune ulteriori disposizioni in materia di guardie particolari giurate e di comunicazioni a carico di chiunque, a qualsiasi tiolo, alloggi o ospiti uno straniero.

 

Più nel dettaglio il comma 1 apporta alcune modifiche al decreto- legge n. 14 del 2017 (conv. legge n. 48 del 2017), recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città.

 

Il decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 ha introdotto una serie di disposizioni in materia di sicurezza urbana affidando, in particolare, ai sindaci ed alle autorità di pubblica sicurezza nuovi strumenti operativi, volti a prevenire e contrastare l’insorgenza di condotte di diversa natura che – pur non costituendo violazioni di legge - sono da ritenersi, comunque, di ostacolo alla piena mobilità e fruibilità di specifiche aree pubbliche. In particolare, l’articolo 9 del suddetto decreto-legge n. 14 ha introdotto una serie di misure a tutela del decoro di particolari luoghi. È stata prevista in primo luogo una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro a carico di chi pone in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e fruizione delle aree interne di infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano e delle relative pertinenze in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti.

Ai sensi comma 3 dell’articolo 9, tali norme possono trovare applicazione anche con riguardo ad aree urbane individuate dai regolamenti di polizia urbana su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura, interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico.

 

La lett. a) del comma 1 – come modificata al Senato - riscrive il comma 4 dell’articolo 10 del decreto-legge n. 14, eliminando la procedura di convalida da parte dell’autorità giudiziaria per l’ipotesi “aggravata” di misura del divieto di accesso a determinati luoghi a tutela del decoro urbano e della sicurezza (D.A.C.U.R.) e chiarendo l’applicabilità della misura di prevenzione anche ai minorenni ultraquattordicenni. Nel caso di applicazione a soggetto minore di età il provvedimento deve essere notificato a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale e comunicato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni (il testo originario del decreto-legge faceva riferimento all’istituendo tribunale per le persone, i minorenni e le famiglie) del luogo di residenza del minore.

Sempre l’articolo 9 (vedi supra) del già citato decreto-legge n. 14 ha introdotto, accanto alla sanzione pecuniaria, anche l’istituto dell’ordine di allontanamento: contestualmente alla sanzione, infatti, la disposizione ha previsto che al trasgressore debba essere ordinato di allontanarsi dal luogo ove è stato commesso il fatto. Tale ordine opera, per specifica estensione normativa, anche a carico di chi svolge le attività vietate negli artt. 688 (manifesta ubriachezza) e 726 c.p. (atti contrari alla pubblica decenza, turpiloquio), 29 d.l. 114/1998 (esercizio del commercio senza le prescritte autorizzazioni o in violazione di divieti) e 7, comma 15?bis, del codice della strada (esercizio di attività di parcheggiatore abusivo e guardiamacchine), 1-sexies d.l. 28/2003 (bagarinaggio) nelle aree innanzi indicate nell’art. 9 del decreto-legge. I contenuti dell'ordine di allontanamento, rivolto per iscritto dall’organo accertatore della violazione sono indicati nell’articolo 10 del decreto legge. In particolare si tratta dei seguenti contenuti: le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato; la specificazione che ne cessa l'efficacia trascorse 48 ore dall'accertamento del fatto e che la sua violazione è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro, aumentata del doppio. Copia del provvedimento, sempre ai sensi dell’articolo 10, deve essere trasmessa con immediatezza al questore competente per territorio con contestuale segnalazione ai competenti servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni. Alla recidiva nelle condotte illecite consegue la possibilità per il questore, ove dalla condotta tenuta ritenga possa derivare pericolo per la sicurezza pubblica, di disporre con provvedimento motivato il divieto di accesso ad una o più delle aree espressamente individuate e per non più di 12 mesi; le modalità applicative del divieto devono comunque essere compatibili con le esigenze di mobilità, salute e lavoro del destinatario dell'atto. Il contravventore è punito con l’arresto da sei mesi a un anno. Se le condotte indicate all’art. 9 sono commesse da un condannato con sentenza definitiva (o confermata in appello), nel corso degli ultimi cinque anni per reati contro la persona o il patrimonio, la durata del Daspo urbano non può essere inferiore a sei mesi, né superiore a due anni. Nel caso in cui il responsabile sia minorenne, il questore ne dà notizia al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

 

Il comma 4 dell’art. 10, inoltre, nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, prevedeva l’applicazione, ove compatibile, della disciplina del DASPO di cui all’art. 6 della legge 401/1989 in materia di notifica del provvedimento (comma 2-bis), obbligo di presentazione agli uffici di polizia (comma 3) e ricorribilità in Cassazione (comma 4). Il comma 2-bis dell’art. 6 della legge 401/1989 prevede che la notifica deve contenere l'avviso che l'interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida del provvedimento. Il comma 3 dell’art. 6 della legge 401/1989 stabilisce che l’obbligo di presentazione alla polizia ha effetto a decorrere dalla prima manifestazione successiva alla notifica all'interessato ed è immediatamente comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale (o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, se l'interessato è persona minore di età), competenti con riferimento al luogo in cui ha sede l'ufficio di questura. Il pubblico ministero, se ritiene che sussistano i presupposti, entro quarantotto ore dalla notifica del provvedimento ne chiede la convalida al GIP. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il PM con decreto motivato non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantotto ore successive. Nel giudizio di convalida, il giudice per le indagini preliminari può modificare le prescrizioni inerenti l’obbligo di presentazione. Il comma 4 sempre dell’art. 6 della legge 401/1989 prevede che contro l'ordinanza di convalida del GIP è proponibile il ricorso per Cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza.

 

La lett. b)come modificata al Senato – interviene invece l’articolo 13, del decreto-legge n. 14 del 2017 recante ulteriori misure di contrasto dello spaccio di sostanze stupefacenti all'interno o in prossimità di locali pubblici o aperti al pubblico e di pubblici esercizi.

 

L’articolo 13 del decreto legge n. 14, nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in esame, attribuiva al questore il potere di disporre un'ulteriore misura di prevenzione con prescrizioni ancora più stringenti, nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per la vendita o la cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope, per fatti commessi in determinati luoghi o nelle loro immediate vicinanze (scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, pubblici esercizi di vendita e somministrazione di cibi e bevande): poteva essere disposto – per un durata non inferiore a un anno e non superiore a cinque anni - il divieto di accesso agli stessi locali o ad esercizi analoghi, specificamente indicati, ovvero anche solo di stazionamento nelle immediate vicinanze degli stessi. Nei confronti di coloro che erano già stati condannati negli ultimi tre anni con sentenza definitiva, potevano essere disposte, ai sensi del comma 3 dell’articolo 13, per la durata massima di due anni, ulteriori misure prescrittive accessorie al divieto di accesso (obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di stato o presso il comando dell'Arma dei carabinieri territorialmente competente; obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata; divieto di allontanarsi dal comune di residenza; obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici). Per espressa previsione del comma 5 dell’articolo 13 i divieti potevano essere disposti anche nei confronti di soggetti minori di età superiore ai 14 anni (con obbligo di notifica del provvedimento a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale). In caso di violazione del divieto di accesso o delle prescrizioni di cui all'articolo 13, il comma 6 dell’articolo 13 prevedeva la pena della reclusione da sei mesi a due anni e la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 8.000 a euro 20.000.

 

Il provvedimento d’urgenza in esame amplia l’ambito di applicazione della misura del divieto di accesso, estendendola a tutti i luoghi di spaccio individuati dal comma 1 dell’articolo 13 (scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico, pubblici esercizi), anziché ai soli “locali o esercizi analoghi” menzionati dall’attuale disposizione. Sul versante dei reati-presupposto, sono, inoltre, inclusi i delitti di cui all’articolo 73 del T.U. stupefacenti di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (n. 1).

Per quanto concerne le prescrizioni aggiuntive contemplate dal comma 3 dell’articolo 13, si prevede che le stesse siano applicabili quando ricorrano specifiche ragioni di pericolosità. Tale soluzione – come si precisa nella relazione illustrativa - consente di potenziare la misura in argomento e di armonizzarla con la disciplina del D.A.C.U.R. di cui all’articolo 13-bis, che prevede l’applicabilità delle prescrizioni senza presupposti ulteriori rispetto al divieto di accesso. Resta ferma, per entrambi i provvedimenti, la procedura di convalida da parte dell’Autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 8 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (n. 2).

Infine la sanzione penale prevista per la violazione della misura viene aumentata, con la previsione della reclusione da uno a tre anni e della multa da 10.000 euro a 24.000 euro (n. 3).

Si vuole in tal modo, come evidenzia la relazione illustrativa, garantire uniformità con le altre misure a carattere ordinativo/interdittivo volte a tutelare la sicurezza di determinati luoghi, in particolare con l’articolo 6, comma 6, della legge 13 dicembre 1989, n. 401, in materia di DASPO.

 

Al Senato è stata introdotto nella lettera b) del comma 1 dell’articolo in commento il numero 3-bis) volto a modificare il comma 7 del sopra richiamato articolo 13 del decreto legge n. 14 del 2017. Nel testo attualmente vigente il citato comma 7 prevede che, nei casi di condanna per i reati di cui al comma 1 del medesimo articolo 13 commessi all'interno o nelle immediate vicinanze di locali pubblici o aperti al pubblico, ovvero in uno dei pubblici esercizi di cui all'articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, la concessione della sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'imposizione del divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati. La modifica approvata stabilisce che la concessione della sospensione condizionale, nei casi predetti, sia sempre subordinata al divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati.

 

La lett. c) apporta una serie di modifiche all’articolo 13-bis del decreto-legge n. 14 del 2017, “al fine di rafforzare – come precisa la relazione illustrativa - le misure in materia di prevenzione di disordini e violenze negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento (c.d. “DASPO Willy”)”.

 

L’articolo 13-bis del decreto legge n. 14 del 2017, nella sua formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in conversione, consentiva al questore di applicare il divieto di accesso a locali pubblici, pubblici esercizi e locali di pubblico trattenimento nei confronti di persone denunciate nell’ultimo triennio ovvero condannate anche non in via definitiva:

ü  per reati commessi nel corso di gravi disordini in pubblici esercizi o in locali di pubblico intrattenimento ovvero nelle immediate vicinanze degli stessi;

ü  per reati contro la persona e il patrimonio (esclusi quelli colposi);

ü  per delitti aggravati ai sensi dell’art. 604-ter c.p., e dunque commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, qualora dalla condotta possa derivare un pericolo per la sicurezza.

Il decreto-legge in esame estende l’ambito della misura e inasprisce la repressione penale in caso di violazione dei divieti imposti dal questore.

 

In particolare, sostituendo il comma 1, il n. 1 della lett c.) del comma 1 dell’articolo 3 amplia l’ambito di applicazione del divieto di accesso ai pubblici esercizi ovvero ai locali di pubblico trattenimento, prevedendo:

che i delitti presupposto siano anche quelli di cui:

ü  all’articolo 4 della legge n. 110 del 1975 (Porto di armi od oggetti atti ad offendere);

ü  agli articoli 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) del codice penale

 

Il n. 2 della lett. c), modificando il comma 1-bis dell’articolo 13-bis del decreto legge n. 14 del 2017, aggiunge accanto alla condanna anche non definitiva, all’arresto e al fermo, la sottoposizione ad una delle misure cautelari coercitive di cui agli articoli 284 (arresti domiciliari) e 285 (custodia cautelare in carcere) c.p.p., quale presupposto per l’applicazione della fattispecie aggravata di D.A.C.U.R., che consente al Questore di inibire l’accesso ai pubblici esercizi o ai locali di pubblico trattenimento presenti nel territorio dell'intera provincia.

 

In base al comma 1-bis dell’articolo 13-bis, nella sua formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in conversione, il questore poteva disporre la misura del divieto di accesso rispetto a tutti i locali presenti nel territorio dell’intera provincia. L’applicazione del divieto era subordinata alla condizione che il soggetto interessato:

-          fosse stato condannato per uno dei reati previsti dal comma 1, ancorché con sentenza non definitiva;

-          fosse stato posto in arresto o fermato, con provvedimento convalidato dall’autorità giudiziaria.

 

Con riguardo alle modifiche al comma 1-bis dell’articolo 13-bis, la relazione illustrativa precisa come tale intervento sia motivato da ragioni di coerenza intrinseca e di funzionalità del sistema: sulla base dell’attuale assetto normativo, infatti, tra i destinatari della misura di prevenzione in esame potrebbero figurare, ad esempio, i soggetti arrestati in flagranza, che a seguito di convalida sono stati rimessi in libertà senza alcuna misura restrittiva, ma non i soggetti che sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dall’Autorità giudiziaria, in ragione dell’accertamento di gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari concrete ed attuali.

Il decreto-legge, poi, oltre a rideterminare (“da 6 mesi a 2 anni, si estende “da 1 a 3 anni”), modificando il comma 2 dell’articolo 13-bis,  la durata del divieto (n. 3), prevede (n. 4), intervenendo sul comma 4 dell’articolo 13-bis, una durata specifica per le prescrizioni da seguire nel corso della misura ovvero per l’obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia (fino a 2 anni, analogamente a quanto previsto per il provvedimento di cui all’articolo 13 dello stesso decreto legge).

 

L’articolo 13-bis, nella formulazione in vigore prima del decreto-legge in conversione, prevedeva, al comma 2, che, dal punto di vista temporale il divieto di accesso e stazionamento (ai sensi del comma 1-ter dell’articolo 13-bis al divieto di accesso si accompagna il divieto di stazionamento nei pressi dei locali oggetto di divieto di accesso):

-          potesse essere limitato a specifiche fasce orarie;

-          non potesse durare meno di 6 mesi e più di 2 anni.

È opportuno rammentare che oggetto del provvedimento inibitorio possono essere anche minorenni purché maggiori di 14 anni, previa notifica a chi esercita la responsabilità genitoriale (comma 3).

Ulteriore prescrizione da seguire nel corso della misura – anch’essa mutuata dalla disciplina del Daspo – poteva riguardare, ai sensi del comma 4 dell’articolo 13-bis, l’obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia, anche più volte e in orari specifici. In tali casi, in virtù del rinvio all’applicazione dell’art. 6, commi 3 e 4, della legge 401 del 1989, sul Daspo nelle manifestazioni sportive, tale misura – sempre di competenza del questore - dovrà essere comunicata al PM presso il tribunale competente che entro 48 ore, se ritiene che sussistano i presupposti, ne chiede la convalida al GIP che, a sua volta deve procedere entro le successive 48 ore, pena la perdita di efficacia della misura. Contro la convalida è proponibile il ricorso per Cassazione che, tuttavia, non sospende l'esecuzione dell'ordinanza.

 

 

Infine, il n. 5 della lett. c) del comma 1 modifica il comma 6 dell’articolo 13-bis per inasprire la pena in caso di violazione dei divieti. Per la violazione della misura imposta dal questore sono previste la reclusione da 1 a 3 anni (in luogo della precedente reclusione da 6 mesi a 2 anni) e la multa da 10.000 a 24.000 euro (in luogo della multa da 8.000 a 20.000 euro).

 

Il comma 2 modifica la struttura e la disciplina della misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio, di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 159 del 2011 (Codice antimafia e prevenzione).

 

Il foglio di via obbligatorio è una misura di prevenzione personale, attualmente prevista e disciplinata all’art. 2 del D. Lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia). Essa è adottata dal Questore in presenza di determinate condizioni.

In particolare, il provvedimento del foglio di via è adottato nei confronti di soggetti che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi, delle persone che  per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose ovvero nei confronti di coloro che  per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all'articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica (art. 1 del d.lgs. n. 159 del 2011)

Secondo l’articolo 2 del Codice antimafia, nella formulazione previgente, nel caso in cui tali individui, alla stregua di un giudizio prognostico, risultavano essere pericolosi per la sicurezza pubblica e si trovavano fuori dal luogo di residenza, il Questore poteva rimandarveli (ordine di rimpatrio) con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio. Ai destinatari del provvedimento questorile veniva quindi inibito di rientrare, senza preventiva autorizzazione ovvero non prima del termine stabilito (comunque non superiore a tre anni) nel comune dal quale erano stati allontanati.

 

Il decreto-legge riscrive il comma unico dell’articolo 2 del Codice antimafia. In primo luogo interviene sui presupposti per l’applicazione della misura prevedendo che il foglio di via possa essere adottato quando il soggetto in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale.

In secondo luogo il provvedimento introduce un termine (massimo entro 48 ore) entro il quale il destinatario della misura deve lasciare il territorio comunale. In terzo luogo ai destinatari della misura viene inibito di rientrare, senza preventiva autorizzazione, nel comune dal quale si è stati allontanati per un termine non inferiore a sei mesi e non superiore a 4 anni (precedentemente, era fino a 3 anni).  Rispetto alla formulazione previgente viene reso autonomamente operante il divieto di ritorno anche nei casi in cui, al momento della notifica, il soggetto ha già abbandonato il territorio comunale (comma 2, lett. a).

 

Con riguardo alle modifiche alla disciplina del foglio di via, la relazione illustrativa osserva infatti come “nell’attuale configurazione normativa, detta misura preventiva presenti alcune criticità che rischiano ormai di comprometterne la flessibilità d’impiego e l’efficacia rispetto alle attuali dinamiche sociali e alle manifestazioni e tendenze illegali. Ciò soprattutto con riferimento alla previsione dell’obbligo di rimpatriare il soggetto allontanato nel comune di residenza, che nella realtà odierna quasi sempre si allontana autonomamente prima dell’emissione o comunque della notifica del “foglio di via”, rischiando di pregiudicare la validità e l’efficacia del provvedimento questorile per mancanza di una delle sue due parti essenziali (rimpatrio nel comune di residenza e divieto di ritorno dal comune da cui sono state allontanate)”.

Sempre la relazione illustrativa segnala come su questo punto, si registri una diversità interpretativa tra la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa.

La prima ha più volte affermato (ex multis Cass. Sez. I, n. 40832/2019) che “le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell’ordine di allontanamento, costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la sua legittima emissione”, tanto che la mancanza di una delle due parti darebbe luogo ad illegittimità del provvedimento per difformità dal tipo legale. Nella prassi operativa, tale circostanza crea delle difficoltà soprattutto nei casi in cui, come anticipato, al momento della notifica della misura il soggetto destinatario abbia già lasciato il territorio del Comune per rientrare nel luogo di residenza, rendendo così l’eventuale “ordine di rimpatrio” un mero formalismo, tale da metterne in discussione la ragionevolezza.

La Giurisprudenza amministrativa, invece, ha affermato la legittimità di un provvedimento di foglio di via obbligatorio privo dell’“ordine di rimpatrio” a carico di un soggetto che aveva già fatto rientro nel luogo di residenza, ritenendo che l’Amministrazione – in tale occasione – avesse correttamente utilizzato il potere di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 159/2011, modulandone l’esercizio e gli effetti in modo da farli aderire alla situazione reale, con il minor sacrificio per il soggetto passivo: in altri termini, poiché il prevenuto non si trovava “fuori dei luoghi di residenza” (questo il tenore dell’art. 2 sopra citato) al momento dell’emissione del provvedimento, l’Amministrazione si è limitata alla sola inibizione del ritorno nel comune da quale il prevenuto è stato allontanato”.

In effetti - prosegue sempre la relazione - proprio la facilità e la rapidità di movimento dei possibili destinatari del “foglio di via”, unitamente alla disponibilità di numerosi mezzi di trasporto, sia convenzionali che non convenzionali, suggerisce di rimodulare l’istituto in parola nel senso di valorizzare la componente interdittiva del ritorno nel Comune da cui si viene allontanati, rispetto a quella del rimpatrio nel luogo di residenza, e di aggravare le conseguenze a carico di chi non ottempera all’ordine di allontanamento o rientra senza autorizzazione nel territorio inibito.

 

Sul piano sanzionatorio, la sanzione penale prevista dall’art. 76, comma 3, del citato d.lgs. n. 159/2011, per la violazione della misura de qua, che attualmente coincide con l’arresto da 1 a 6 mesi, viene tramutata in un delitto punito con la reclusione da sei a diciotto mesi e la multa fino a 10.000 euro (comma 2, lett. b).

 

Al Senato sono stati infine aggiunti all’articolo in commento i commi 2-bis e 2-ter.

 

Il comma 2-bis stabilisce che le guardie particolari giurate di cui all'articolo 133, primo comma, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, nell'ambito dei rapporti di lavoro dipendente di cui all'articolo 138, terzo comma[10], del predetto testo unico, comunicano senza ritardo ai servizi di emergenza sanitaria le segnalazioni ricevute, attraverso l'utilizzo di appositi strumenti digitali di sicurezza, relative a situazioni di pericolo per la salute di una persona all'interno o all'esterno della propria abitazione. Nella comunicazione di cui al precedente periodo è compresa la posizione e, ove disponibile, lo stato di salute della persona in pericolo. L'attività di comunicazione delle informazioni di cui al presente comma non comporta l'esercizio di pubbliche funzioni.

 

Il comma 2-ter è invece volto a modificare l’importo della sanzione prevista dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 286 del 1998, recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

Il citato articolo 7 prevede, in particolare, l’obbligo per chiunque, a qualsiasi titolo, dia alloggio ovvero ospiti uno straniero e apolide, anche se parente o affine, ovvero ceda allo stesso la proprietà o il godimento di beni immobili, rustici o urbani, posti nel territorio dello Stato, di darne comunicazione scritta, entro quarantotto ore, all'autorità locale di pubblica sicurezza.  La comunicazione comprende, oltre alle generalità del denunciante, quelle dello straniero o apolide, gli estremi del passaporto o del documento di identificazione che lo riguardano, l'esatta ubicazione dell'immobile ceduto o in cui la persona è alloggiata, ospitata o presta servizio ed il titolo per il quale la comunicazione è dovuta. Le violazioni di tali disposizioni sono attualmente soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 160 a 1.100 euro. La modifica approvata al Senato incrementa l’importo della sanzione amministrativa stabilendo che la stessa consista nel pagamento di una somma da 500 a 3500 euro.

Articolo 3-bis
(Osservatorio sulle periferie)

 

 

L’articolo 3-bis istituisce un Osservatorio sulle periferie, presso il Ministero dell’interno, nel limite delle risorse vigenti disponibili. Tra i suoi compiti figura quello di promuovere il monitoraggio delle condizioni di vivibilità e decoro delle città, rendendo noti annualmente, anche attraverso la pubblicazione in rete, i risultati della sua attività.

 

L’articolo 3-bis, introdotto in sede referente, istituisce un Osservatorio sulle periferie, presso il Ministero dell’interno, il cui obiettivo principale è quello di consentire il monitoraggio delle condizioni di vivibilità e decoro delle aree periferiche delle città.

A tal fine, l’Osservatorio promuove apposite iniziative, con considerazione dei profili di: riqualificazione (urbanistica, sociale, culturale); recupero delle aree e siti degradati; eliminazione dei fattori di marginalità ed esclusione sociale; prevenzione della criminalità (“in particolare di tipo predatorio”).

L’ambito di sua attività annovera altresì l’incentivazione di iniziative di formazione e promozione della cultura della legalità, la promozione di un raccordo e scambio informativo tra i soggetti impegnati, il monitoraggio e la valutazione delle azioni intraprese a livello nazionale.

L’Osservatorio rende noti annualmente i risultati delle sue ricognizioni, anche attraverso la pubblicazione in rete sul sito web del Ministero dell’interno.

La definizione delle linee operative e delle attività strumentali all’espletamento dei compiti assegnatigli, nonché dell’organizzazione e della composizione dell’Osservatorio è demandata a un decreto del Ministro dell’interno, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge.

Alle riunioni dell’Osservatorio possono essere invitati rappresentanti di soggetti pubblici e privati, in relazione a tematiche di specifico interesse.

L’istituzione e funzionamento dell’Osservatorio sono assicurati nei limiti delle risorse (umane, strumentali e finanziarie) disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri.

Non spettano compensi, rimborsi spesa o altri emolumenti ai componenti dell’Osservatorio ed ai partecipanti delle sue riunioni.


 

Articolo 3-ter
(Sicurezza pubblica, in materia di videosorveglianza)

 

 

L’articolo 3-ter trasferisce gli stanziamenti per il potenziamento delle iniziative dei Comuni per l’installazione e manutenzione di sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzata, ad altra vigente autorizzazione di spesa relativa all’installazione da parte dei Comuni di sistemi di videosorveglianza. Tali risorse ammontano a 4 milioni annui, per il triennio 2023-2025.

 

L’articolo 3-ter, introdotto al Senato, trasferisce gli stanziamenti per il potenziamento delle iniziative dei Comuni per l’installazione e manutenzione di sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzata – pari a 4 milioni annui, per il triennio 2023-2025 – ad altra vigente autorizzazione di spesa, relativa all’installazione da parte dei Comuni di sistemi di videosorveglianza.

L’antefatto normativo è costituito dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio 2023) in tema di sicurezza pubblica.

Essa, all’articolo 1, da un lato ha istituito (al comma 776) un Fondo, dotato di 4 milioni per ciascun anno del triennio 2023-2025 (nello stato di previsione del Ministero dell’interno), per il potenziamento delle iniziative in materia di sicurezza urbana da parte dei Comuni, volte all'installazione e alla manutenzione di sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzati, dotati di software di analisi video per il monitoraggio attivo con invio di allarmi automatici a centrali delle Forze di polizia o di istituti di vigilanza privata convenzionati, a fini di repressione dei fenomeni di criminalità e controllo del territorio.

Dall’altro lato, quel medesimo articolo della legge di bilancio 2023 ha destinato (al comma 676) aggiuntive risorse (pari a 15 milioni per ciascun anno del triennio 2023-2025) all'installazione, da parte dei Comuni, di sistemi di videosorveglianza. Siffatta autorizzazione di spesa rifinanzia quella originaria recata dal decreto-legge 14 del 2017, il quale ha normato, all’articolo 5, i patti di sicurezza urbana[11], annoverando tra i loro strumenti l’installazione da parte dei Comuni dei sistemi di videosorveglianza.

Ebbene, quel che si viene ora a disporre è la traslazione delle risorse previste, dal citato comma 776 relativo ai predetti sistemi di sorveglianza tecnologicamente avanzati, alla finalizzazione del citato comma 676, relativo ai sistemi di videosorveglianza.

La motivazione che pare sottendere è quella di convogliare entro un più ‘collaudato’ impianto normativo l’afflusso di risorse, rispetto all’adozione di sistemi di sorveglianza tecnologicamente variegati, talora configuranti criticità rispetto alla gestione degli allarmi collegati con le sale operative delle Forze di polizia nonché alla tutela dei dati personali.

Inoltre, viene disposta l’abrogazione dei commi 777 e 778 dell’articolo 1 della citata legge n. 197 del 2022.

Il comma 777 dispone circa il procedimento onde giungere all’assegnazione delle risorse (di cui al comma 776, dunque i 4 milioni annui per il triennio 2023-2025). Prevede che con decreto del Ministro dell'interno (di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze) sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, siano disciplinati le modalità di presentazione delle richieste da parte dei comuni interessati nonché i criteri per il riparto delle risorse, tenendo conto dei seguenti criteri: a) indice di delittuosità della provincia di appartenenza del Comune; b) indice di delittuosità del Comune; c) incidenza dei fenomeni di criminalità diffusa nell'area urbana da sottoporre a videosorveglianza.Ed il comma 778 stabilisce che il 60 per cento delle risorse (di cui al ricordato comma 776) siano assegnati alle regioni dell’Obiettivo “convergenza” Italia.

Tale riferimento, risulta non più attuale,  dal momento che il medesimo Obiettivo reca attualmente (si intende, con riferimento alla programmazione 2021-2027 dei Fondi europei per la politica di coesione) la diversa dicitura “regioni meno sviluppate” e si riferisce ad un ambito territoriale mutato (dal momento che alle regioni originarie – ossia Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, cui si era aggiunta la Basilicata – si sono aggiunte il Molise e la Sardegna).

Articolo 4
(Disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti)

 

 

L’articolo 4, come modificato al Senato, prevede inasprimenti delle pene per i reati di porto abusivo di armi o strumenti atti ad offendere e di porto abusivo di armi per le quali non è ammessa licenza, nonché per i reati di lieve entità relativi alla produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope.

 

Il comma 1 modifica l’articolo 4 della legge n. 110 del 1975 (“Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi”) al fine di aumentare le pene nei confronti di coloro che portano armi od oggetti atti ad offendere fuori della propria abitazione o delle relative pertinenze, senza le autorizzazioni prescritte o senza giustificato motivo. Tali armi e oggetti sono elencati nei primi due commi dell’articolo 4.

Per tali reati, la lettera a), modificando il terzo comma dell’art. 4 della citata legge n. 110, stabilisce la pena dell’arresto da uno a tre anni (nel testo vigente prima della modifica in esame si prevedeva l’arresto da sei mesi a due anni).

 

Non sono oggetto di modifica invece né la misura dell’ammenda (da 1.000 euro a 10.000 euro) né la previsione secondo cui nei casi di lieve entità, e solo con riferimento agli oggetti atti ad offendere, può essere irrogata la sola ammenda. La pena è aumentata se il fatto avviene nel corso o in occasione di manifestazioni sportive ossia, come stabilisce il decreto-legge n. 336 del 2001, art. 2-bis, comma 1, competizioni che si svolgono nell'ambito delle attività previste dalle federazioni sportive e dagli enti e organizzazioni riconosciuti dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).

 

La lettera b) modifica il quarto comma dell’art. 4 della citata legge n. 110, recante il divieto di portare armi nelle riunioni pubbliche, anche per i soggetti muniti di licenza. A seguito della novella in esame, il trasgressore è punito con l'arresto da due a quattro anni, in luogo dell’arresto da uno a tre anni previsto nel testo vigente prima della modifica in esame.

 

Non viene modificata la misura dell'ammenda, che rimane quindi fissata da un minimo di 3.000 euro al massimo di 20.000 euro. Non è, inoltre, modificata la disposizione che prevede la pena è dell'arresto da tre a sei anni e dell'ammenda da 5.000 euro a 20.000 euro quando il fatto è commesso da persona non munita di licenza.

 

La lettera c) modifica il quinto comma del medesimo art. 4 della legge n. 110. Tale norma, come modificata, punisce chi porta in una riunione pubblica uno strumento atto ad offendere con l'arresto da uno a tre anni (in luogo dell’arresto da sei a diciotto mesi previsti nel testo previgente) e con l'ammenda da 2.000 euro a 20.000 euro (anche in questo caso la misura dell’ammenda non viene modificata). La disposizione si applica fuori dai casi previsti nel comma quarto.

 

Il comma 1-bis, introdotto al Senato, inserisce un nuovo articolo, l’articolo 4-bis nella legge n. 110. Il nuovo articolo introduce e disciplina il delitto di “porto di armi per cui non è ammessa licenza”. La fattispecie punisce con la reclusione da uno a tre anni chiunque, fuori dalla propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza. La pena è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso da persone travisate o da più persone riunite; all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione (art. 61, comma 1, n. 11-ter, c.p.); nelle immediate vicinanze di istituti di credito, di uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto; in un luogo in cui vi sia concorso o adunanza di persone ovvero una riunione pubblica.

 

Il comma 2, come modificato al Senato, prevede in conseguenza dell’introduzione dell’articolo 4-bis nella legge n. 110 del 1975, l’abrogazione dell’articolo 699, secondo comma del codice penale. Il decreto-legge nella sua formulazione originaria apportava invece modifiche alla suddetta disposizione modificando, prevedendo un aumento da 3 a 4 anni, nel massimo, della pena dell’arresto per il reato di porto abusivo di armi per cui non è ammessa licenza e lasciando immutato il limite minimo edittale, fissato a diciotto mesi.

 

Sono stati inoltre inseriti, al Senato, cinque ulteriori commi dopo il comma 2.

 

Il comma 2-bis – aggiungendo un’ulteriore lettera al comma 2 dell’art. 381 c.p.p. – inserisce nel catalogo dei reati per i quali è possibile l’arresto in flagranza anche il delitto contemplato dal nuovo articolo 4-bis della legge n. 110 del 1975.

 

Il delitto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 110 del 1975 è inoltre stato inserito (comma 2-ter) tra quelli in relazione ai quali si applica anche la circostanza aggravante di cui all'art. 71, comma 1, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. 

 

L’art. 71, comma 1, del decreto legislativo n. 159 (c.d. codice antimafia) prevede un elenco di reati per i quali è prevista un’aggravante, se commessi da soggetti sottoposti con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale.

 

Il comma 2-quater introduce nel codice penale, all’articolo 421-bis, tra i delitti contro l’ordine pubblico, il reato di “Pubblica intimidazione con uso di armi”. In base al nuovo delitto, se il fatto non costituisce più grave reato, è punito con la reclusione da 3 a 8 anni chiunque fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti per incutere pubblico timore o suscitare tumulto o pubblico disordine o attentare alla sicurezza pubblica.

Il comma 2-quinquies prevede, conseguentemente alla introduzione nel codice penale dell’articolo 421-bis, l’abrogazione dell’articolo 6 della legge n. 895 del 1967, che disciplina analoga fattispecie di reato, punita, però con la reclusione da uno a otto anni.

 Il comma 2-sexies modifica quindi la lettera g) del comma 1 dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 159 del 2011, recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, inserendovi il riferimento al nuovo articolo 421-bis del codice penale. Nel testo vigente infatti il citato articolo 4 inserisce fra i soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dall'autorità giudiziaria, alla richiamata lettera g) del comma 1, anche coloro che sono stati “condannati per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n. 895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n. 497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d)”. La modifica è pertanto volto ad evitare che la fattispecie in questione risulti espunta da quelle contemplate dal citato articolo 4 per effetto del suo trasferimento all’interno del codice penale.

 

Il comma 3, modificando l’art. 73, comma 5, del T.U. stupefacenti (d.P.R. n. 309 del 1990) aumenta da quattro a cinque anni la pena massima della reclusione per i reati “di lieve entità” relativi alla produzione, al traffico e alla detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Giova qui segnalare che tale innalzamento della pena massima, da 4 a 5 anni, per lo spaccio di lieve entità, consentirà l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’articolo 280 del codice di procedura penale.

 

La novella non modifica la misura della multa che rimane quindi fissata da euro 1.032 a euro 10.329 per i reati di lieve entità.

Si ricorda che l’art. 73 del T.U. stupefacenti, come modificato dall'art. 4-bis, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 272 del 2005 (convertito dalla L. n. 49/2006), al suo comma 1 punisce con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000 chi, senza la prescritta autorizzazione rilasciata dal Ministero della salute, “fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo” sostanze stupefacenti o psicotrope, specificate dalla tabella I annessa al testo unico. Con le stesse pene è punito chiunque, privo della relativa autorizzazione ministeriale, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene le sostanze stupefacenti o psicotrope quando queste, per quantità o presentazione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale. A tale riguardo, il D.M. 11 aprile 2006 indica i limiti quantitativi massimi delle sostanze. È prevista la riduzione della pena da un terzo alla metà in relazione ai medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope (elencate nella tabella II, sezione A, annessa al testo unico) che eccedono il quantitativo prescritto. Il soggetto munito dell'autorizzazione, se illecitamente cede, mette o procura che altri metta in commercio le sostanze o le preparazioni indicate nelle tabelle I e II annesse al testo unico, è punito con la reclusione da sei a ventidue anni e con la multa da euro 26.000 a euro 300.000.

Su tale materia è peraltro intervenuta la sentenza della Corte costituzionale 12-25 febbraio 2014, n. 32 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato art. 4-bis del D.L. n. 272 del 2005, che ha modificato l’articolo 73 del testo unico. Inoltre, la sentenza della Corte 23 gennaio-8 marzo 2019, n. 40 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 1 dell’art. 73, nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni. Il dispositivo della sentenza fa riferimento alla pena minima edittale prevista dal citato comma nel testo precedente la modifica disposta dal suddetto art. 4-bis, D.L. n. 272/2005, dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 32/2014.

 

Al Senato si è intervenuti sul comma 3 dell’articolo in commento apportando un’ulteriore modifica al comma 5 dell’articolo 73 del T.U. stupefacenti di cui al citato D.P.R. n. 309 del 1990. In particolare al predetto comma 5 è stato aggiunto un secondo periodo, con il quale si è stabilito che chiunque commette uno dei fatti previsti dal precedente primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2500 a euro 10239, quando la condotta assuma caratteri di non occasionalità, in tal modo prevedendosi un innalzamento del minimo edittale rispetto al richiamato primo periodo (nel quale il minimo edittale è pari a sei mesi).

 

Sempre al Senato, con l’inserimento del comma 3-bis, è stato infine modificato anche l’articolo 85-bis del T.U. stupefacenti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990. Nel testo attualmente vigente tale disposizione prevede che nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti dall'articolo 73, esclusa la fattispecie di cui al comma 5, si applica l'articolo 240-bis del codice penale. La modifica approvata ha soppresso nel predetto articolo 85-bis l’esclusione delle ipotesi di cui al comma 5 dell’articolo 73 del T.U. stupefacenti. Conseguentemente anche in tali ipotesi si procederà alla confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, ai sensi del richiamato articolo 240-bis del codice penale[12].

Articolo 5
(Misure di prevenzione della violenza giovanile)

 

 

L’articolo 5 reca disposizioni in materia di avviso orale, ammonimento, divieto di utilizzare alcuni strumenti potenzialmente pericolosi, divieto di utilizzare strumenti informatici e telefoni cellulari, per i giovani responsabili di violenze di età ricompresa fra quattordici e diciotto anni nonché, per quanto riguarda l’ammonimento, anche per giovani di età fra dodici e quattordici anni, per condotte più gravi, per le quali inoltre si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria per il soggetto tenuto, nei confronti del minore, alla sorveglianza o all’assolvimento degli obblighi formativi.

 

L’articolo 5 detta disposizioni intese a costituire un ‘ventaglio’ di misure di prevenzione della violenza giovanile.

Un primo novero di previsioni concerne l’avviso orale, del quale si amplia l’ambito soggettivo di applicazione, includendovi i minori (dunque infra-diciottenni) che abbiano compiuto il quattordicesimo anno d’età.

Così il comma 1, lettera a), n. 1).

L’avviso orale di cui si tratta è misura di prevenzione personale applicata dal questore, disciplinata dall’articolo 3 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (recante il Codice delle leggi antimafia e, appunto, delle misure di prevenzione), qui oggetto pertanto di novellazione.

Il perimetro applicativo dell’avviso orale viene modificato solo per il riguardo soggettivo su indicato includendovi cioè i minorenni ultra-quattordicenni non anche per le condotte che ne costituiscono il presupposto, alla stregua di pericolosità sociale.

Si ricorda, per questo riguardo, che l’articolo 1 del Codice menzionato prevede, per la misura di prevenzione personale di cui si tratta, che essa si applichi a: a) coloro i quali debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; b) coloro i quali debbano ritenersi, per la condotta ed il tenore di vita, sulla base di elementi di fatto, vivere abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; c) coloro i quali per il loro comportamento debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto (comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa), dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

 

Pertanto la nuova disciplina dell’avviso orale, può commentarsi, verrebbe ad applicarsi anche a talune condotte perpetrate dalle cd. baby-gang, un fenomeno rilevato in via di incremento[13].

Con l’avviso orale secondo la disciplina posta dal citato articolo 3 del Codice antimafia e delle misure di prevenzione – il questore nella cui provincia la persona dimora, avvisa oralmente il soggetto di cui all'articolo 1 del medesimo Codice che esistono indizi a suo carico, indicandone i motivi, ed invita la persona a tenere una condotta conforme alla legge[14].

Secondo la novella disciplina ora introdotta, ai fini dell’avviso orale il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

Gli effetti dell’avviso orale al minore cessano comunque al compimento della maggiore età (a partire dalla quale, si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto-legge, per il medesimo minore “potrebbero dispiegarsi, in ipotesi, ulteriori e più rigorosi strumenti preventivi – come la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e penalistici”).

Con modifica introdotta al Senato, si prevede che il provvedimento di avviso orale sia comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.

Può rilevarsi, in sede di commento, come la novella disciplina dell’avviso orale al minore ultra-quattordicenne si aggiunga ad un novero di previsioni che sono andate definendosi in anni recenti (come misure interdittive), proprio a carico di tali minori: il divieto di accesso ai luoghi dove si svolgano manifestazioni sportive (cd. DASPO; per i minori, cfr. l’articolo 6, comma 1-bis, della legge n. 401 del 1989; comma introdotto dal decreto-legge n. 8 del 2007), il divieto di accesso a pubblici esercizi (cfr. l’articolo 13, comma 5, del decreto-legge n. 14 del 2017), il divieto di accesso a locali di pubblico spettacolo (cfr. l’articolo 13-bis, comma 3, ancora del decreto-legge n. 14 del 2017), l’ammonimento per cyberbullismo (cfr. l’articolo 7 della legge n. 71 del 2017). E per altra fattispecie, si veda supra l’articolo 3, comma 1, lettera a) del presente decreto-legge.

 

Una seconda previsione – comunque connessa a quella relativa all’avviso orale – concerne il divieto di possesso e utilizzo di una serie di oggetti potenzialmente strumentali alla commissione di atti di violenza, del quale si amplia del pari l’ambito soggettivo di applicazione, includendovi, nel caso il questore ritenga di imporlo, i minori che abbiano compiuto il quattordicesimo anno d’età, se destinatari di un avviso orale e definitivamente condannati per delitti non colposi.

Così il comma 1, lettera a), n. 2).

Ad essere novellato dal decreto-legge – mediante coordinamento normativo – è il comma 4 dell’articolo 3 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.

Esso disciplina un avviso orale cd. “rafforzato”. Prevede infatti che con l’avviso orale il questore possa imporre, alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi, il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, una serie di strumenti:

ü  qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente (ma su questo si veda infra la sentenza n. 2 del 2023 della Corte costituzionale);

ü  radar e visori notturni;

ü  indumenti e accessori per la protezione balistica individuale;

ü  mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, o comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia;

ü  armi a modesta capacità offensiva; riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi;

ü  altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone (come lo spray al peperoncino);

ü  prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme;

ü  programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.

Con modifica aggiunta al Senato (modificativa dell’articolo 3, comma 6 del decreto legislativo n. 159 del 2011) si prevede che il provvedimento di divieto di utilizzo e possesso di siffatti strumenti, se emesso nei confronti di un minorenne, sia opponibile davanti al tribunale dei minorenni.

 

Alcune altre previsioni concernono un ‘divieto di cellulare’ nonché un ‘divieto di internet’.

A porle è il comma 1, lettera a), n. 3).

Invero, il citato articolo 3, comma 4 del Codice antimafia e misure di prevenzione già prevede, si è ricordato, che il questore possa, con l’avviso orale, imporre alle persone che risultino definitivamente condannate per delitti non colposi il divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi “apparato di comunicazione radiotrasmittente”.

Tuttavia l’inclusione, in tale divieto questorile di possesso o utilizzo, del telefono cellulare è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (per contrasto con l’articolo 15 della Costituzione) dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 2 del 2023.

Secondo la Corte, la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione limitative della libertà di comunicazione (protetta dall’articolo 15 della Costituzione) è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di legalità e alla “esistenza della garanzia giurisdizionale”. Ebbene, se “esigenze di prevenzione e difesa sociale ben possono giustificare misure restrittive, anche incidenti su diritti fondamentali, ciò deve avvenire nel rispetto delle garanzie costituzionali, il che non avviene nel caso della disposizione impugnata, perché la misura limitativa non è disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria, bensì, direttamente, dall’autorità amministrativa, cui è attribuito perciò un potere autonomo e discrezionale, senza nemmeno la necessità di successiva comunicazione all’autorità giudiziaria”. Pertanto, secondo la Corte, se al questore può essere attribuito il potere di proporre che a un determinato soggetto sia imposto il divieto di possedere o utilizzare un telefono cellulare, tuttavia il rispetto dell’articolo 15 della Costituzione impone che la decisione debba essere dell’autorità giudiziaria, “con le procedure, le modalità e i tempi che compete al legislatore prevedere”, nel rispetto della riserva di legge prevista dalla Costituzione.

Per dar seguito a tale indicazione giurisprudenziale costituzionale, interviene ora una novellazione introduttiva dei commi 6-bis, 6-ter e 6 quater entro l’articolo 3 del Codice citato. Essi da un lato ampliano ai minori ultra-quattordicenni l’ambito di applicazione del divieto, dall’altro procedimentalizzano la sua irrogazione (a qualsiasi soggetto, anche non minore) ponendola in capo all’autorità giudiziaria.

Vale evidenziare che il divieto di cui qui specificamente si tratta – che permane connesso all’avviso orale, del quale ‘rafforza’ gli effetti – può avere un duplice contenuto:

ü  divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati;

ü  divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari, altri dispositivi per le comunicazioni dati e voce o qualsiasi altro apparato di comunicazione radio trasmittente.

Il divieto concerne il possesso o utilizzo di strumenti, qualora essi siano stati impiegati per la realizzazione e divulgazione delle condotte che hanno determinato l’avviso orale.

L’avviso orale permane dunque l’atto presupposto perché il divieto possa essere imposto.

Sono al contempo necessarie alcune altre condizioni, ossia che il destinatario dell’avviso orale risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, per uno o più delitti: contro la persona; o contro il patrimonio; o inerenti alle armi; o inerenti alle sostanze stupefacenti.

Qualora si verifichino le condizioni sopra ricordate, il questore può proporre l’applicazione del divieto, “al tribunale in composizione monocratica”, secondo l’originaria previsione del decreto-legge. Essa è stata oggetto di modifica al Senato, affinché si tratti del tribunale dei minorenni.

Al destinatario dell’avviso orale, si viene a prevedere, è notificata la proposta questorile ed è data notizia della facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per l’applicazione del divieto – il quale delibera sentito il pubblico ministero, aggiunge modifica introdotta al Senato.

Il giudice provvede, con decreto motivato, entro trenta giorni dal deposito della proposta. Il suo eventuale rigetto non ha effetto sull’avviso orale emesso dal questore.

Il divieto è disposto dal giudice per una durata non superiore a due anni.

La disposizione del divieto si accompagna all’individuazione di modalità applicative compatibili con le esigenze di salute, famiglia, lavoro o studio del destinatario del provvedimento.

Il divieto (rectius, il decreto motivato che lo dispone) è ricorribile per cassazione (senza che il ricorso ne sospenda l’esecuzione).

Riguardo alla sanzione in caso di violazione del divieto, è prevista – dal comma 1, lettera b) del presente articolo del decreto-legge – consistere nella reclusione da uno a tre anni e multa da 1.549 a 5.164 euro.

Tale determinazione è introdotta mediante novella all’articolo 76, comma 2, del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, che già prevede tale sanzione per la violazione del cd. avviso orale ‘rafforzato’ (nonché per la violazione dell’analogo ‘rafforzamento’ di cui sia munita la sorveglianza speciale, quando la persona risulti definitivamente condannata per delitto non colposo).

Per effetto della novella, inoltre, si estende al caso di violazione del divieto sopra descritto la previsione che gli strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati, siano confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne facciano richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto.

 

Ulteriore ordine di previsioni recata da questo articolo del decreto-legge, nei suoi commi 2, 3 e 4, concerne l’estensione dell’applicazione dell’ammonimento quale finora previsto per gli atti persecutori (cd. stalking), ai minori ultra-quattordicenni che si siano resi responsabili di taluni atti di violenza nei confronti di altro minorenne.

Si tratta della procedura di ammonimento disciplinata dall’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 11 del 2009 (il quale, all’articolo 7, ha altresì introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis, relativo appunto agli atti persecutori).

Secondo tali previsioni, la persona offesa può esporre (fino a quando non sia proposta querela per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale) i fatti all'autorità di pubblica sicurezza, avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore, il quale (assunte, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti) ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge (e redigendo processo verbale, copia del quale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito). Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni[15].

Siffatta procedura di ammonimento, ora si prevede, diviene applicabile ai minori ultra-quattordicenni responsabili di violenze nei confronti di altro minorenne. Questo, fino a quando non sia proposta querela o presentata denuncia, per taluno dei reati cui quelle violenze siano riconducibili. Sono i reati di cui agli articoli 581 (percosse), 582 (lesione personale), 610 (violenza privata), 612 (minaccia) e 635 (danneggiamento) del codice penale.

Secondo la novella disciplina, ai fini dell’ammonimento il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale. Gli effetti dell’ammonimento cessano comunque al compimento della maggiore età.

Con modifica introdotta al Senato, si prevede che il provvedimento di ammonimento sia comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.

In tale materia, si ricorda la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, Sez. I, Giuliano Germano c. Italia, n. 10794/12, 22 giugno 2023, la quale sottolinea alcuni elementi, quali l’ascolto dell’interessato prima dell’adozione del provvedimento di ammonimento e la formulazione delle motivazioni di quest’ultimo, necessari perché non si delinei una collisione con l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, relativi ai limiti dell’ingerenza dell’autorità pubblica nell’esercizio del diritto individuale al rispetto della vita privata e familiare. Si valuti l’opportunità di considerare la disposizione alla luce della giurisprudenza europea richiamata.

 

Il medesimo ammonimento secondo ulteriori disposizioni, dettate dai commi 5, 6 e 7diviene applicabile altresì per i minori da dodici a quattordici anni[16] in caso tuttavia di violenze di significativa portata, vale a dire qualora il fatto commesso da tali minori sia configurato dalla legge come delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

Anche in tal caso, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale, e gli effetti dell’ammonimento cessano comunque al compimento della maggiore età.

Ed anche in tal caso, secondo modifica introdotta al Senato, si prevede che il provvedimento sia comunicato al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.

A tale fattispecie di ammonimento si ‘aggancia’ (ed è connessione più puntualmente esplicitata con modifica introdotta al Senato) la previsione, al comma 8, di una sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti del “soggetto tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi”.

La sanzione è determinata in un importo ricompreso tra 200 a 1.000 euro, e si applica salvo che l’interessato non provi di non aver potuto impedire il fatto[17].

L’autorità competente all’irrogazione della sanzione – specifica infine il comma 9 – è il prefetto.

Si applicano, in quanto compatibili, le “pertinenti” disposizioni di cui alla legge n. 689 del 1981, la quale disciplina (al capo I) le sanzioni amministrative.

 

Si ricorda che analoga previsione è contenuta nell’articolo 2 dell’A.S. n. 349 in corso d’esame, in sede redigente, in Commissione giustizia del Senato, che prevede l’applicabilità della procedura di ammonimento di cui all’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge. n. 11 del 2009 per i delitti per i quali sia prevista una pena nel massimo non inferiore a cinque anni commessi da minorenni di età compresa tra i dodici e i quattordici anni. L’unica differenza rispetto a quanto previsto dal presente decreto riguarda l’autorità competente per l’irrogazione della sanzione amministrativa, compresa sempre tra i 200 e i 1.000 euro, nei confronti del soggetto tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi, che nel caso dell’A.S. n. 349 è il questore.


 

Articolo 6
(Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori)

 

 

L’articolo 6, come modificato al Senato, reca alcune modifiche alla disciplina del processo penale minorile di cui al d.P.R. n. 448 del 1988.

 

Al Senato, è stata introdotta nel comma 1 dell’articolo in commento la lettera 0a) volta a sostituire l’articolo 6 del d.P.R. n. 448, relativo ai servizi minorili di cui si avvale l’autorità giudiziaria nell’ambito del processo minorile. La nuova formulazione dell’articolo 6 stabilisce che, in ogni stato e grado del procedimento, l'autorità giudiziaria si avvale, oltre che – come già attualmente previsto - dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e dei servizi di assistenza (rispetto ai quali la modifica approvata specifica che sono inclusi sia quelli sociali sia quelli sanitari) istituiti dagli enti locali, anche del servizio sanitario nazionale, senza che da questo derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

 

Il comma 1, lett. a) modifica poi l’articolo 18-bis, il quale disciplina l’istituto dell’accompagnamento a seguito di flagranza.

 

L'accompagnamento in stato di flagranza è, insieme all’arresto e al fermo, una delle misure precautelari applicabili ai minori in base alla disciplina del processo minorile. Secondo quanto previsto dall’articolo 18-bis del d.P.R. n. 448, nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in conversione, prima condizione di legittimità dell’accompagnamento è lo stato di flagranza, consistente nell’averlo colto commettere il reato, ovvero se sia inseguito dalla polizia giudiziaria o dalla persona offesa o da altre persone, subito dopo aver commesso il reato, ovvero sia sorpreso con cose o tracce, dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (art. 382, comma 1, c.p.p.). Si deve inoltre procedere per un delitto non colposo punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. In seguito alla Sentenza della Corte costituzionale n. 168 del 1994, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli articoli 17 e 22 del codice penale, “nella parte in cui non escludono l’applicazione della pena dell’ergastolo al minore imputabile”, il riferimento ai delitti puniti con l’ergastolo, contenuto nel comma 1 dell’articolo 18-bis, non assume più nessun rilievo nella individuazione dei presupposti dell’accompagnamento. Anche per l’applicazione di questa misura precautelare gli organi procedenti devono assumere le proprie determinazioni in relazione alla gravità del fatto, all’età e alla personalità del minorenne (comma 5 dell’art. 18-bis nella parte in cui richiama l’articolo 16, comma 3). L’istituto dell’accompagnamento consiste nel condurre il minore presso gli Uffici della PG e trattenerlo per il tempo necessario, non superiore alle 12 ore alla sua consegna all’esercente della responsabilità genitoriale, all’affidatario ovvero ad un suo tutore, nel caso in cui sia impossibile provvedervi perché le stesse appaiono manifestamente inidonee ad adempiere ai propri obblighi di custodia e vigilanza, il PM tempestivamente notiziato dalla PG dispone che il minorenne venga condotto immediatamente presso un centro di prima accoglienza ovvero presso una comunità pubblica o autorizzata, che provvede ad indicare (art. 18-bis, comma 4, D.P.R. 448/88). 

È importante sottolineare che la misura precautelare dell’accompagnamento è alternativa all’arresto, infatti, qualora il minore si allontani dal luogo ove è stato accompagnato non risponde di evasione ex art. 385 c.p. che è attribuibile solo a chi si sottrae all’arresto.

 

Il decreto-legge interviene sui presupposti dell’accompagnamento in flagranza, ampliandone l’ambito di applicazione.

 Si può applicare tale misura allorquando si procede:

·        per un delitto non colposo punito con la pena della reclusione non inferiore a tre anni,  

·        nonché per i seguenti reati:

o   lesione personale, furto, danneggiamento aggravato e alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti (art. 381, comma 2, lettere f), g), h), m) c.p.)

o   porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere (art 699 c.p. e art.4 della legge 18 aprile 1975, n. 110.)

 

Con riguardo agli articoli 699 c.p. e 4 della legge n. 110 del 1975 (e all’inasprimento sanzionatorio) si veda la scheda di lettura relativa all’articolo 4.

 

In concreto il d.P.R. – nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge in conversione - delinea un sistema graduale per il quale:

·         per i reati puniti con pena che non superi nel massimo 5 anni non è mai consentita l'adozione di misure cautelari:

·         per i delitti puniti (con l'ergastolo) o con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni può essere giustificata l'adozione di misure restrittive diverse dalla custodia cautelare (comma 4 dell’art. 19);

·         per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni è consentita l'adozione della misura custodiale (art. 23, vedi infra per le modifiche).

 

La lett. b) del comma 1 novella l’articolo 19, comma 4, del d.P.R. n.448, riducendo da cinque a quattro anni il limite edittale previsto per l’applicazione delle misure cautelari diverse dalla custodia cautelare.

 

Le misure cautelari applicabili ai minori sono tassativamente indicate dal d.P.R. stesso e sono distinguibili in:

·         misure a carattere obbligatorio (prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità) e

·         misure coercitive in senso tecnico (la custodia in carcere).

Il comma 1 dell’articolo 19 del d.P.R. n. 448 circoscrive la tipologia delle misure applicabili (in ossequio al principio di tassatività-tipicità) ai minori.

I criteri che debbono orientare l’esercizio del potere cautelare del giudice sono fissati nel comma 2 dell’articolo 19. Oltre al rispetto dei principi di non obbligatorietà, della massima flessibilità e gradualità, il procedimento de libertate nei confronti di imputati minorenni deve garantire che non vengano interrotti i processi educativi in atto e deve assicurare il computo della diminuente della minore età ai fini della determinazione della pena. La norma richiama espressamente l'articolo 275 c.p.p. fatta eccezione per il terzo comma secondo periodo (che prevede l’obbligatorietà della custodia in carcere per reati in tema di associazione a delinquere di stampo mafioso sovversivo o terroristico) e nello stesso tempo aggiunge un ulteriore criterio. Nel disporre la misura il giudice deve tenere conto infatti anche dell'esigenza di non interrompere i processi educativi in atto.

Disposta la misura cautelare, il giudice affida l'imputato ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, i quali svolgono attività di sostegno e controllo in collaborazione con i servizi di assistenza istituiti dagli enti locali (comma 3 dell’art. 19 d.P.R n. 448).

Con riguardo alla determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari, la normativa minorile prevede criteri più stringenti rispetto alla disciplina dettata dall'articolo 280 del codice di rito con riguardo agli imputati “adulti”. Oltre ad essere previste soglie minime di pena più alte oltre le quali il provvedimento cautelare si giustifica, vengono individuati tetti edittali differenziati per le varie misure. In concreto il d.P.R. – nella formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto legge in conversione - delineava un sistema graduale per il quale:

·         per i reati puniti con pena che non superi nel massimo 5 anni non era mai consentita l'adozione di misure cautelari:

·         per i delitti puniti (con l'ergastolo) o con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni poteva essere giustificata l'adozione di misure restrittive diverse dalla custodia cautelare (comma 4 dell’art. 19);

·         per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 9 anni era consentita l'adozione della misura custodiale (art. 23, vedi infra per le modifiche).

 

Nella determinazione della pena agli effetti della applicazione delle misure cautelari si tiene conto, oltre che dei criteri indicati nell'articolo 278 (ovvero si deve avere riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato e non si deve tenere conto della continuazione, della recidiva e delle circostanze del reato, fatta eccezione per quella prevista al n. 5 dell’art. 61 c.p. e per la diminuente di cui all’art. 62, n. 4 c.p., nonché delle circostanze aggravanti e attenuanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale), anche della diminuente della minore età, di cui all’art. 98 c.p.

Al Senato, con l’inserimento della lettera b.bis), è stata apportata un ulteriore modifica all’articolo 19 del D.P.R. n. 448, sopprimendo nel comma 5 di tale articolo, le parole “salvo che per i delitti di cui all'articolo 73, comma 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309, e successive modificazioni”

 

Sempre al Senato – con l’inserimento delle lettere b-ter e b-quater - sono state approvate alcune modifiche relative all’articolo 22, comma 4, del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448.

È stato soppresso il limite massimo di un mese per la durata della misura della custodia cautelare, disposta a seguito delle gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni derivanti dalla misura del collocamento in comunità disciplinata dal medesimo articolo 22, limite contenuto nel vigente comma 4. Tale previsione si applica alle misure cautelari eseguite a far data dalla entrata in vigore del decreto-legge in conversione. Si è poi prevista la riduzione da cinque a quattro anni del limite edittale per l’applicazione della custodia cautelare, nell’ipotesi di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni connesse alla predetta misura del collocamento in comunità.

 

L’intervento mira ad allineare il limite edittale di cui all’articolo 22 con quello previsto dall’articolo 19 del medesimo DPR n. 448/1988, riformulato dal presente decreto legge in conversione, che ha ridotto da cinque a quattro anni il limite edittale previsto per le misure cautelari diverse dalla custodia in carcere.

 

Si è inoltre introdotto nell’articolo 22 del d.P.R. n. 448 il comma 4-bis, il quale dispone che qualora le esigenze cautelari risultino aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può disporre la sostituzione della misura del collocamento in comunità con quella della custodia cautelare, nei casi consentiti dall’articolo 23 del medesimo D.P.R.

 

La sostituzione della misura del collocamento in comunità con la custodia cautelare potrà quindi essere disposta, sia nell’ipotesi di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni connesse al collocamento in comunità, sia nell’ipotesi di aggravamento delle esigenze cautelari.

 

La lett. c) del comma 1 apporta modifiche, infine, all’art. 23 del d.P.R. n. 448, che disciplina le ipotesi di applicazione della custodia cautelare.

 

L’articolo 23 del d.P.R., nella sua formulazione vigente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in conversione, riservava la custodia cautelare a quei delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, nonché ai delitti contemplati all'articolo 380, comma 2, lettere e) (furto aggravato), f) (rapina ed estorsione), g) (delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo), h) (delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope puniti a norma dell'art. 73 del  D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ad eccezione delle ipotesi di cui al comma 5) c.p.p. e al “delitto di violenza carnale”.

 

Il decreto-legge, modificando il comma 1 dell’articolo 23 del d.P.R. n. 448, da un lato, abbassa da 9 a 6 anni la soglia edittale che consente di applicare la misura detentiva, e, dall’altro, amplia il catalogo di reati per i quali è applicabile la custodia cautelare. È così consentita l’applicazione della custodia cautelare anche per i delitti di:

·        furto in abitazione e del furto con strappo (art. 380 c.p.p. lett. e-bis che richiama per l’appunto il delitto di cui all'articolo 624-bis del codice penale, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62 primo comma, numero 4), del codice penale);

 

Al riguardo occorre rilevare come l’intervento legislativo d’urgenza sia volto a porre fine a un contrasto giurisprudenziale sorto in seguito alla riforma dei reati di furto operata dalla legge n. 128 del 2001. Tale legge infatti, dopo aver reso autonome le fattispecie di reato del furto in abitazione e del furto con strappo di cui all'articolo 624 bis c.p., è intervenuta sull'articolo 380 comma 2, c.p.p. introducendo la lettera e-bis che consente, nel processo per gli adulti, l'arresto in flagranza nei casi di furto di cui all'articolo 624-bis, salvo che ricorra la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, comma 1, numero 4 c.p. La stessa legge n. 128 tuttavia aveva lasciato immutata la previsione dell'articolo 23 del d.P.R.n. 448 (vedi supra) con la conseguenza che si erano formati due diversi indirizzi interpretativi: il primo ancorato ad un’esegesi testuale della norma respingeva il ricorso alla misura custodiale nelle ipotesi di furto con strappo e in abitazione (si vedano Cass. pen., sez. IV, 21 dicembre 2004, n. 9126, nonché Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2003, n. 6581, la quale, oltre a negare l’applicabilità ai minorenni della custodia cautelare per il reato di furto in abitazione, ha altresì escluso di dover sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 per l’evidente irrazionalità dell’omesso adeguamento delle disposizioni minorili alle modifiche introdotte con la legge n. 128 del 2001. La Cassazione ha ricordato infatti nell’occasione che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, in materie riguardanti i diritti inviolabili dell’uomo non è possibile l’intervento additivo della Consulta mediante l’estensione di norme derogatorie di principi fondamentali come quello di inviolabilità della libertà personale), il secondo, invece, al contrario affidandosi ad una interpretatio legis basata sul principio di continuità normativa ammetteva la più grave forma di restrizione (si veda Cass. pen., sez. IV, 16 gennaio 2003, n. 6581);

 

·        Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.).

 

L’art. 336 c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio (primo comma).  La pena è della reclusione fino a tre anni, quando il fatto è commesso per costringere il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa (secondo comma).

Per quanto concerne le misure cautelari personali, la custodia cautelare in carcere per gli indagati adulti è consentita con riferimento al solo primo comma, mentre è esclusa per le condotte sussumibili nel secondo comma dell’articolo 336 c.p.

A tal proposito, si evidenzia come uno dei principi cardine della giustizia minorile sia proprio quello di residualità della detenzione, per il quale la carcerazione è intesa come l’ultima e residuale misura da applicarsi (c.d. extrema ratio) nel caso di minorenni. Peraltro, la Corte costituzionale, in generale, con la sua giurisprudenza ha in più occasioni ribadito la assoluta preminenza della finalità rieducativa della pena nel caso di minorenni. Tale finalità rieducativa si spinge fino a dissolvere la polifunzionalità della pena (che ricomprende la componente retributiva e general-preventiva) riservabile agli adulti. (si vedano fra le altre C. cost., sent. 19 luglio 1983, n. 222 e Corte cost., sent. 18 febbraio 1998, n. 16).

Al fine di equiparare il regime cautelare dei minori a quello previsto in via generale per gli adulti, al Senato, si è deciso di circoscrivere l’applicazione della custodia cautelare alle sole ipotesi contemplate dal primo comma dell’articolo 336 del codice penale.

 

·        Resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.)

 

L’art. 337 c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza. L’art. 381 c.p.p. consente l’arresto facoltativo se vi è flagranza di reato e se l’arresto è giustificato dalla gravità del fatto, ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità e dalle circostanze oggettive del fatto. È altresì consentita l’adozione di misure cautelari personali, compresa la custodia cautelare in carcere. L’art. 339 c.p. prevede infine alcune circostanze aggravanti.

 

·        Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’articolo 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

 

Con riguardo alle modifiche apportate dall’articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto-legge, prima descritte, nella relazione illustrativa si evidenzia che l’esperienza investigativa e giudiziaria ha mostrato come con l’attuale formulazione dell’art. 23, che richiede per l’arresto in flagranza e l’applicazione di misure cautelari la commissione da parte di un minorenne di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni (oltre ad altre ipotesi tassativamente previste dal comma 1, secondo periodo, dello stesso articolo 23), sfuggano all’arresto facoltativo in flagranza di reato e alle potenziali misure cautelari una serie di delitti, perpetrati di frequente da soggetti minorenni, come i maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.), la violenza, minaccia o resistenza a un pubblico ufficiale (artt. 336 e 337 c.p.), lo spaccio di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990).

 

Al Senato è stato inserito nella lettera c) del comma 1 dell’articolo 6 il numero 1-bis volto ad aggiungere la lettera a-bis) all’articolo 23, comma 2, del D.P.R. n. 448 del 1988, in materia di presupposti per l’adozione della misura della custodia cautelare, ai sensi della quale la custodia cautelare può essere disposta se l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che si dia alla fuga.

Si osserva che, in tal modo, si ripristina il contenuto della lett. b) del testo originario dell’art. 23, c. 2, del DPR 448/1988, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 359 del 2000, per eccesso di delega.

 

Ai sensi del comma 2 dell’art. 23, la custodia cautelare può essere disposta a tutela dell’acquisizione o genuinità della prova (lett. a) o nel caso di pericolo di commissione di gravi delitti (lett. c).

Come già ricordato, il testo originario del comma 2 prevedeva altresì fra i presupposti la fuga o il pericolo di fuga (lett. b), ma tale disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale per eccesso di delega, in quanto i criteri direttivi contenuti nella legge delega prevedevano, quali presupposti per l’applicazione della custodia cautelare a carico di minorenni, gravi e inderogabili esigenze istruttorie o gravi esigenze di tutela della collettività (art. 3, comma 1, lett. h L. 81/1987), non anche – diversamente da quanto previsto per gli imputati adulti (art. 274, comma 1, lett. b, c.p.p. conformemente ai criteri direttivi di cui all’art. 2, comma 1, direttiva n. 59 della medesima legge delega 81/1987) – la fuga o il pericolo di fuga.

 

Si rileva che la previsione di cui alla lettera a-bis) era già contenuta nella lettera a), comma 1, dell’articolo 8 del presente decreto legge in conversione, che è ora stata conseguentemente soppressa.

 

Il n. 2) del comma 1 dell’articolo 6 modifica infine il comma 3 dello stesso art. 23, concernente i termini di durata massima della custodia cautelare, che per i minorenni sono attualmente ridotti della metà per i reati commessi da minori degli anni diciotto e dei due terzi per quelli commessi da minori degli anni sedici.

Anche in questo caso, come precisa la relazione illustrativa, nell’ottica di valorizzare i profili di responsabilità di soggetti legalmente minorenni ma sostanzialmente e tendenzialmente sempre più precoci e sviluppati sul piano psico-fisico e comportamentale-relazionale, la durata massima dei citati termini di custodia cautelare, in ossequio al principio del favor minoris, viene mantenuta “attenuata” rispetto ai maggiorenni, ma la riduzione diviene di un terzo per i reati commessi da minori degli anni diciotto e della metà per quelli commessi da minori degli anni sedici.

La previsione si applica alle misure cautelari eseguite a far data dalla entrata in vigore del presente decreto in conversione.

 

È opportuno rilevare che la disposizione opera anche per le misure della permanenza in casa e del collocamento in comunità, essendo equiparate alla custodia in carcere ai fini del computo della durata massima (artt. 21, comma 4 e art. 22, comma 3).

 

Nel corso dell’esame al Senato è stata altresì aggiunta al comma 1 dell’articolo 6 la lettera c-bis), la quale, aggiungendo il comma 5-bis all’articolo 28 del DPR 22 settembre 1988, n. 448, esclude la possibilità di accedere all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova per una serie di reati di particolare gravità, quali l’omicidio aggravato, la violenza sessuale e di gruppo, limitatamente alle aggravanti di cui all’articolo 609-ter c.p., la rapina aggravata dalle circostanze di cui all’articolo 628, comma 3, n. 2 (fatto commesso ponendo taluno in stato di incapacità di volere o agire), 3 (fatto commesso da persona che fa parte di un’associazione di tipo mafioso) e 3-quinquies (fatto commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne) del codice penale.

 

L’istituto della sospensione del processo con messa alla prova è stato introdotto nel processo minorile con l’art. 28 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488, e riguarda un’ipotesi di giustizia riparativa che prescinde dalla sentenza di condanna, intervenendo nel corso del processo penale. Con il provvedimento di messa alla prova il processo è sospeso e il minore è affidato ai Servizi della Giustizia Minorile che, anche in collaborazione con i Servizi degli Enti locali, svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo nello svolgimento di un programma di risocializzazione e rieducazione elaborato sulla base delle risorse personali, familiari e ambientali del minore. In caso di esito positivo, deciso dal giudice sulla base di una valutazione della personalità del minorenne al termine del periodo di messa alla prova, viene pronunciata l’estinzione del reato, al contrario l’esito negativo comporta la ripresa del processo dove era stato interrotto.

Prima della modifica introdotta con il presente decreto legge in conversione, la sospensione del processo poteva essere disposta per qualunque tipo di reato, indipendentemente dalla pena astrattamente prevista.

L’applicabilità della misura non era infatti compromessa né dall’eventuale esistenza di precedenti penali né dalla tipologia di reato per cui si procedeva. Nel decidere l’adozione della misura, il giudice valutava esclusivamente le caratteristiche personali del minore.

Articolo 7
(Misure anticipate relative a minorenni coinvolti in reati di particolare allarme sociale)

 

 

L’articolo 7, come modificato al Senato, prevede che, quando, durante le indagini nell’ambito di procedimenti per reati di associazione di stampo mafioso o finalizzata al traffico di droga, emerge una situazione di pregiudizio che interessa un minore, il PM deve informare il procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni, per le eventuali iniziative di competenza in materia di potestà genitoriale. L’articolo modifica inoltre il primo comma dell’articolo 609-decies del codice penale sostituendo in tale disposizione il riferimento al tribunale per i minorenni con il riferimento al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.

 

Più nel dettaglio il comma 1 dell’articolo 7 prevede che quando, durante le indagini nell’ambito di procedimenti per reati di associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) o finalizzata al traffico di droga (art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990), emerge una situazione di pregiudizio che interessa un minore, il PM che procede deve informare il procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, per le eventuali iniziative di competenza in materia di potestà genitoriale (ex articolo 336 c.c.). Al Senato il riferimento al procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie è stato sostituito con quello al procuratore della repubblica presso il tribunale per i minorenni.

 

La potestà genitoriale, disciplinata dal Titolo IX del Libro Primo del Codice Civile agli artt. 315-337, comprende quel complesso di diritti e di doveri che la legge riconosce ai genitori verso i figli minori nel loro esclusivo interesse. I procedimenti de potestate sono disciplinati dagli articoli 330 e ss. del codice civile. L’art. 336 c.c. – nella sua formulazione antecedente alla riforma Cartabia (vedi infra) dettava le regole procedurali comuni alle fattispecie ablative o limitative della potestà genitoriale, prevedendo, fra le altre, la necessaria presenza di un difensore. L'art. 336 è stato significativamente modificato, fin dalla sua rubrica, riformulata in Legittimazione ad agire dal decreto legislativo n. 149 del 2022 ("Attuazione della L. 26.11.2021, n. 206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata", c.d. Riforma Cartabia). All'evidenza non si fa più riferimento all'intero procedimento, ora regolato dalle disposizioni del nuovo rito unitario (artt. 473-bis ss. c.p.c., in attuazione del principio di delega sull'unicità del rito contenuto nell'art. 1, 23° co., lett. a). L’art. 336, come modificato dalla riforma Cartabia, disciplina i criteri attributivi della legittimazione ad agire: i provvedimenti potranno essere richiesti, al giudice competente (a seconda dai casi, il tribunale ordinario o quello per i minorenni), non solo dal pubblico ministero o dai genitori, ma anche dal curatore speciale del minore, se nominato. La riforma ha lasciato inalterato l’obbligo di assistenza del difensore per i genitori e per il minore.

Ai sensi dell’art. 330 c.c. quando il genitore vìola o trascura i doveri inerenti la responsabilità genitoriale o abusa dei relativi poteri, con grave pregiudizio del figlio può essere pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale. In tale caso, e per gravi motivi, il giudice può altresì ordinare l’allontanamento dalla residenza familiare del genitore o convivente reo di maltrattamenti o abusi. La giurisprudenza ha avuto modo di tratteggiare un ampio spettro di comportamenti che sono stati ritenuti gravemente pregiudizievoli verso la prole e, dunque, motivo di decadenza dalla potestà genitoriale. Secondo parte della giurisprudenza (principalmente il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria) costituisce motivo di decadenza dalla responsabilità genitoriale il sistematico indottrinamento del figlio a disvalori criminali, facendolo assistere ad attività delinquenziali, esponendolo all’uso delle armi e rendendolo edotto degli scopi criminosi di una organizzazione criminale cui il genitore appartiene. Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria a partire dal 2012 ha, quindi, adottato diversi provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e seguenti c.c. e di allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare appartenente ad organizzazioni malavitose di stampo ‘ndranghetista (si vedano a titolo esemplificativo Tribunale minorenni Reggio Calabria, decreto 8 marzo 2016 e Tribunale minorenni Reggio Calabria, decreto 17 maggio 2016). E’ opportuno peraltro ricordare che nell’ottobre 2017 il CSM ha approvato all’unanimità, la risoluzione della Sesta Commissione del CSM, in materia di “tutela dei minori nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata”. Nella risoluzione si rileva come “La famiglia mafiosa agendo in spregio ai propri doveri di educazione e salvaguardia del minore, finisce per essere una ‘famiglia maltrattante’, nei cui confronti deve essere operata una vera e propria censura”.

 

Occorre altresì rammentare che le disposizioni del Capo IV, sezione VII, art. 30 ss. del già richiamato decreto legislativo n. 149 (c.d. Riforma Cartabia), istitutive del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie hanno effetto, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del medesimo d. lgs. 149, decorsi due anni dalla data di pubblicazione del decreto legislativo medesimo (il decreto è stato pubblicato il 17 ottobre 2022). Pertanto, al momento, tali disposizioni non hanno ancora effetto. Il successivo articolo 50 del medesimo decreto legislativo n. 149 prevede inoltre che, a decorrere dalla data di efficacia delle disposizioni di cui alla predetta sezione VII del capo IV, le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie

 

Si ricorda inoltre che ai sensi del comma 3-bis dell’articolo 1 del decreto -legge n. 7 del 2015 (conv. Legge n. 43 del 2015) la condanna per i reati di terrorismo di cui agli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1 e 270-quinquies del codice penale comporta la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale quando sia coinvolto un minore. La disposizione suddetta similmente a quella del decreto-legge in conversione non specifica in quali termini si sostanzi il coinvolgimento del minore. Si deve ritenere comunque che, nel caso si tratti di delitto di arruolamento, possa ritenersi integrato tale coinvolgimento in tutti i casi in cui l'arruolato sia minore, ancorché eventualmente non imputabile.

 

Sempre con riguardo alla sanzione accessoria della perdita della potestà genitoriale è necessario rammentare che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (si veda la sentenza n. 7 del 2013) non può ritenersi comunque legittima nessuna forma di automatismo nella applicazione della sanzione accessoria della perdita della potestà genitoriale.

 

Al Senato è stato, infine, aggiunto all’articolo in commento il comma 1-bis che interviene sul primo comma dell’articolo 609-decies del codice penale.  Il richiamato primo comma prevede attualmente che, quando si procede per taluno dei delitti previsti dagli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies del medesimo codice  commessi in danno di minorenni, ovvero per il delitto previsto dall'articolo 609-quater o per i delitti previsti dagli articoli 572 e 612-bis, se commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori di un minorenne in danno dell'altro genitore, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni.  La modifica approvata sostituisce il riferimento al tribunale per i minorenni con il riferimento al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni.


 

Articolo 8
(Modifiche al processo minorile in materia di custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore)

 

 

L’articolo 8, modificato al Senato, introduce alcune modifiche al D.P.R. 448/1988 (disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), prevedendo, nel caso di reati non gravi, la definizione anticipata del procedimento con sentenza di non luogo a procedere ed estinzione del reato nel caso di esito positivo di un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale del minore.

 

L’articolo 8, comma 1, lett. a), nel corso dell’esame al Senato, in ragione di una sua più corretta collocazione all’articolo 6 (comma 1, lett. c) del presente provvedimento (alla cui scheda si rinvia), è stata soppressa.

 

 

Il comma 1, lett. b), oggetto di modifiche al Senato, introduce nel medesimo D.P.R. 448/1988 l’art. 27-bis (Percorso di rieducazione del minore).

 

Si ricorda che gli artt. 28 e 29 del DPR 448/1988, nel testo attualmente vigente, disciplinano l’istituto della messa alla prova.

Ai sensi di tale disciplina, il giudice, sentite la parti, qualora ritenga di dover valutare la personalità del minorenne all’esito della prova, può disporre - con ordinanza ricorribile per cassazione da parte del pubblico ministero, dell’imputato o del difensore - la sospensione del processo (fino a tre anni nel caso di delitto punito con la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni, fino a un anno negli altri casi) e l’affidamento del minore ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno, impartendo eventualmente prescrizioni volte a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa o invitando il minore a partecipare a programmi di giustizia riparativa, ove ne ricorrano le condizioni (art. 28, commi 1-3).

La sospensione del processo non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio immediato o abbreviato (art. 28, comma 3)

La sospensione è revocata nel caso di gravi e ripetute trasgressioni alle prescrizioni imposte (art. 28, comma 4).

Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza l’estinzione del reato se, tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della sua personalità, ritiene che la prova abbia dato esito positivo. Diversamente, si procede al giudizio con le modalità ordinarie (art. 29).

 

Il nuovo articolo prevede che, durante le indagini preliminari, nel caso di reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni, o con la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva, se i fatti non rivestono particolare gravità, il pubblico ministero possa notificare al minore e all'esercente la responsabilità genitoriale istanza di definizione anticipata del procedimento subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e di rieducazione civica e sociale. Detto percorso prevede, sentiti i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e compatibilmente con la legislazione sul lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a otto mesi (comma 1).

 

Il programma del percorso rieducativo, redatto in collaborazione anche con i servizi dell'amministrazione della giustizia, è depositato da parte dell'indagato o del suo difensore entro sessanta giorni dalla notifica della proposta del pubblico ministero, il quale lo trasmette al giudice (comma 2).

 

Il giudice, sentiti l’imputato e l’esercente la responsabilità genitoriale, valutata la congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, delibera l’ammissione del minore al percorso con ordinanza con la quale sono altresì stabiliti la durata del percorso e la relativa sospensione del procedimento. Inoltre, durante tale periodo è altresì sospeso il corso della prescrizione (comma 3).

 

In caso di interruzione o mancata adesione al percorso i servizi minorili informano il giudice, che fissa l'udienza in camera di consiglio e, sentite le parti, adotta i provvedimenti conseguenti (comma 4).

 

Nei casi di rifiuto o di interruzione ingiustificata del percorso da parte del minore il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dai casi previsti (art. 453 c.p.p.). Inoltre, si specifica che l'ingiustificata interruzione è valutata nel caso di una successiva istanza di sospensione del processo con messa alla prova (comma 5), (v. supra).

 

Nel caso di esito positivo del percorso, il giudice dichiara con sentenza l’estinzione del reato, mentre invece nel caso di esito negativo restituisce gli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dai casi previsti (art. 453 c.p.p.), (comma 6).

 

L’articolo 453 c.p.p. disciplina i casi e i modi del c.d. “giudizio immediato”, ovvero quel giudizio nel quale non si svolge l’udienza preliminare passando direttamente all’udienza dibattimentale, prevedendo che esso sia chiesto dal PM quando la prova appare evidente, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini, se la persona sottoposta alle indagini è stata sottoposta ad interrogatorio ovvero, se a seguito di invito a presentarsi, la stessa abbia omesso di comparire.

 

Si osserva che l’istituto introdotto con il decreto in esame costituisce una versione “semplificata” dell’istituto della messa alla prova (vedi supra) per i reati di minore gravità. Difatti, esso si differenzia dalla messa alla prova per la minore durata (da uno a otto mesi, mentre la messa alla prova è disposta fino a un anno, e fino a tre anni per i reati di maggiore gravità) e per l’attribuzione dell’iniziativa di promuovere il percorso al pubblico ministero anziché al giudice.

L’avvio del percorso risulterebbe pertanto rimesso al pubblico ministero e all’imputato con il coinvolgimento del giudice nella fase di deliberazione dell’ammissione del minore al percorso, ferma restando l’attribuzione al medesimo della valutazione finale dell’esito del percorso ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere e di dichiarazione dell’estinzione del reato.

Infine è opportuno segnalare che l’introduzione della disciplina relativa al percorso di rieducazione del minore all’art. 27-bis del D.P.R n. 448/88 è prevista anche dall’art. 1 lett. b) del disegno di legge a prima firma Romeo (A.S. 349), in corso d’esame, in sede redigente, in Commissione giustizia.

Si rileva inoltre che il disegno di legge (Dori e altri – A.S. 866), già approvato dalla Camera dei deputati e assegnato alle commissioni riunite 2ª e 10ª in sede referente, all’articolo 2, prevede, seppure con una diversa collocazione sistematica (art. 25 R.D.L n. 1404/1934), la possibilità, su impulso del procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali, di disporre un progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa in caso di condotte aggressive del minore di anni diciotto, anche in gruppo e per via telematica.

Articolo 9
(
Disposizioni in materia di sicurezza degli istituti penali per minorenni)

 

 

L’articolo 9, novellando il d.lgs. n. 121 del 2018, che disciplina l’esecuzione delle pene nei confronti dei minorenni, stabilisce che il detenuto ultraventunenne internato in un istituto penale minorile per reati commessi da minorenne possa essere trasferito in un istituto carcerario per adulti qualora si renda responsabile di comportamenti che provocano turbamento dell’ordine e della sicurezza dell’istituto minorile, ovvero usi violenza e minacce o ancora generi uno stato di soggezione negli altri detenuti. La norma si applica anche al detenuto maggiore di 18 anni che tenga tutti i comportamenti sopra indicati.

 

L’articolo in commento inserisce un ulteriore articolo nel Capo III del d.lgs. n. 121 del 2018, segnatamente dopo l’art. 10, relativo all’estensione dell'ambito di esecuzione delle pene secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni, cui il nuovo articolo risulta strettamente collegato.

 

L’art. 10 del d.lgs. 121/2018 dispone che, quando nel corso dell'esecuzione di una condanna per reati commessi da minorenne sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva per reati commessi da maggiorenne, il pubblico ministero sospende l'ordine di esecuzione e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza per i minorenni. Quest’ultimo, tenuto conto del percorso educativo in atto e della gravità dei fatti oggetto di cumulo, dispone la prosecuzione dell’esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni anche per il nuovo titolo; in caso contrario, dispone la cessazione della sospensione e restituisce gli atti al pubblico ministero per l'ulteriore corso dell'esecuzione.

Contro la decisione del magistrato è proponibile ricorso al tribunale di sorveglianza competente per territorio da parte dell’interessato, del difensore e del p.m. Si procede direttamente all’esecuzione secondo le norme e con le modalità previste per i maggiorenni quando l'ordine di esecuzione per il reato commesso da maggiorenne non può essere sospeso o se il condannato per reati commessi da minorenne abbia fatto ingresso in un istituto per adulti in custodia cautelare o in espiazione di pena per reati commessi dopo il compimento del diciottesimo anno di età.

 

Il nuovo articolo 10-bis, rubricato Trasferimento presso un istituto penitenziario per adulti, introduce la possibilità di trasferire in un istituto carcerario per adulti il detenuto che abbia compiuto i 21 anni di età e stia scontando in un istituto per minorenni una pena per reati commessi prima del compimento della maggiore età, la cui condotta sia incompatibile con le esigenze di ordine e sicurezza all’interno dell’istituto minorile.

 

Si ricorda che l'art. 24 del d.lgs. n. 272 del 1989, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni - come modificato dall’art. 5 del decreto-legge n. 92 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 117 del 2014 - ha innalzato da 21 a 25 anni il limite di età che consente l'esecuzione dei provvedimenti limitativi della libertà personale secondo le norme e con le modalità previste per i minorenni, sempre che non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice.

 

In particolare, il comma 1 identifica tale condotta con i seguenti tipi di atti:

a) tenere comportamenti che compromettono la sicurezza ovvero turbano l'ordine negli istituti;

b) fare uso di violenza e minaccia per impedire le attività degli altri detenuti;

c) avvalersi dello stato di soggezione ingenerato negli altri detenuti.

 

È sufficiente che la condotta del detenuto ricada in una delle tipologie di atti sopraindicati se ultraventunenne.

 

Il comma 2 estende la possibilità di trasferimento anche ai detenuti che hanno compiuto i 18 anni di età, ma in tal caso si richiede che sussistano tutte e tre le tipologie di comportamento.

La richiesta di trasferimento viene avanzata dal direttore dell’istituto al magistrato di sorveglianza per i minorenni, mentre l’individuazione del carcere più idoneo nel quale trasferire il detenuto è demandata al Dipartimento della amministrazione penitenziaria.

Il magistrato di sorveglianza può concedere oppure negare il nulla osta al trasferimento presso l’istituto indicato dal DAP, ove sussistano comprovate ragioni di sicurezza, anche riguardanti lo stesso detenuto (comma 3). Si osserva che la norma nulla dispone in ordine all’eventuale possibilità per il DAP, in caso di diniego del nulla osta, di proporre il trasferimento presso un diverso istituto carcerario.

 

Si riporta di seguito la tabella riepilogativa dei detenuti presenti negli IPM alla data del 31 agosto 2023, suddivisi per fasce d’età.

 

 

Fonte: Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità – Analisi statistica dei dati relativi ai minorenni e giovani adulti in carico ai Servizi minorili riferiti al 31 agosto 2023

 

 

L’esecuzione penale minorile è attualmente regolamentata dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121 che, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, commi 82, 83 e 85, lett. p), della legge 23 giugno 2017, n. 103, reca la disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni.

Fino a tale intervento, ai minorenni si applicava la stessa normativa in vigore per gli adulti, ovvero quella dettata dalla legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/1975). L'articolo 79, primo comma, O.P. prevedeva, infatti, che “Le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge" e all'interno della stessa legge erano rinvenibili solo poche previsioni specifiche per i detenuti minorenni (a titolo di esempio si segnalano l'articolo 30-ter che, al comma 2, consente ai minorenni di fruire di permessi premio per un periodo di tempo superiore a quello riservato ai condannati di maggiore età e l'articolo 47-ter, che estende la detenzione domiciliare anche alla persona minore degli anni 21 per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia).

 

I principi ispiratori della disciplina dettata dal citato d.lgs. n. 121/2018 sono volti al riconoscimento della peculiarità delle esigenze che caratterizzano i condannati minorenni, di cui si intende favorire, in misura ancora maggiore rispetto ai maggiorenni, la responsabilizzazione e la preparazione alla vita libera, mediante specifici percorsi di istruzione, formazione professionale, educazione alla cittadinanza attiva e responsabile e la partecipazione ad attività di utilità sociale, culturali e sportive. Allo stesso tempo, attraverso tali percorsi, si intende perseguire lo scopo di prevenire la commissione di ulteriori reati e il pieno reinserimento sociale dei giovani (v. art. 1, comma 2).

I richiamati principi si pongono nel solco tracciato da alcune pronunce della Corte costituzionale (si ricorda, fra tutte, una recente decisione - Sentenza n. 90 del 2017) con la quale la Corte costituzionale - nel censurare l’art. 656 c.p.p. - ha affermato l'importanza dell’individualizzazione del trattamento e della rieducazione del minore condannato, ribadendo che l’esecuzione penale minorile deve abbandonare ogni rigido automatismo e favorire il ricorso alle misure alternative risocializzanti, in linea con le indicazioni internazionali, convenzionali ed europee), nonché dei principali atti internazionali ed europei sottoscritti dall’Italia (le Regole minime sull’amministrazione della giustizia dei minori – c.d. “Regole di Pechino” (Risoluzione ONU 40/33 1985), la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori). In particolare, nel contesto europeo si richiamano le Regole europee per i minorenni autori di reato, allegate alla Raccomandazione (2008)-11 e adottate dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 2008, che impongono agli Stati membri, nell'applicazione e nell'esecuzione di sanzioni e misure penali, di tenere in prioritaria considerazione il superiore interesse del minorenne, con riguardo all'età, alla salute psichica e mentale, alla maturità e alla situazione personale; inoltre esse stabiliscono che il ricorso alla detenzione debba essere sempre residuale e della più breve durata possibile. Nella medesima direzione si pone la Direttiva UE 2016/800 sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali, che riafferma la preferenza da riservarsi alle misure alternative alla detenzione e alle modalità esecutive delle forme di privazione della libertà nel rispetto della particolare vulnerabilità dei minorenni.

 

Il decreto legislativo n. 121/2018 si componeva in origine di 26 articoli. Con la riforma del processo penale, di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. “Riforma Cartabia”), è stato introdotto un ulteriore articolo (art. 1-bis), che consente l’applicazione di programmi di giustizia riparativa in qualsiasi fase dell’esecuzione penale minorile; la partecipazione a tali programmi e l’eventuale esito riparativo raggiunto sono valutati dal giudice ai fini dell'adozione delle misure penali di comunità, delle altre misure alternative e della liberazione condizionale.

Il provvedimento è strutturato in 4 Capi:

·                       il Capo I (artt. 1-1-bis), reca le disposizioni generali, individuando i principi fondamentali dell'esecuzione penale nei confronti dei minori di età e di coloro che non hanno ancora compiuto i venticinque anni;

·                       il Capo II (artt. 2-8) interviene in materia di esecuzione esterna e misure penali di comunità, quali misure alternative alla detenzione qualificate dall'essere destinate ai condannati minorenni e giovani adulti (affidamento in prova al servizio sociale, l'affidamento in prova con detenzione domiciliare, la detenzione domiciliare, la semilibertà, l'affidamento in prova in casi particolari);

·                       il Capo III (artt. 9- 13) ha ad oggetto la disciplina dell'esecuzione delle pene detentive e delle misure penali di comunità e delle misure alternative alla detenzione;

·                       il Capo IV (artt. 14-26) contiene le disposizioni in tema di intervento educativo, in particolare prevedendo che all'ingresso nell'istituto penitenziario sia predisposto un programma di intervento rieducativo del minore da realizzarsi entro tre mesi dall'inizio dell'esecuzione della pena, e in materia di organizzazione degli istituti penitenziari per minorenni, con norme riguardanti la vita all’interno degli istituti (assegnazioni, camere di pernottamento, permanenza all’aperto, istruzione e formazione professionale all’esterno, colloqui e tutela dell’affettività, regole di comportamento).

 

Si ricorda, infine, che per quanto non disciplinato dal d.lgs. n. 121/2018 si applicano principalmente le disposizioni del d.P.R. n. 448 del 1988, sul processo penale a carico di minorenni, e del relativo regolamento di esecuzione di cui al decreto legislativo n. 272 del 1989, nonché la già ricordata legge sull’ordinamento penitenziario e il suo regolamento di attuazione, di cui al d.P.R. n. 230 del 2000.

Articolo 10
(Interventi a supporto delle istituzioni scolastiche del Mezzogiorno - «Agenda Sud»)

 

 

L’articolo 10, comma 1, autorizza le istituzioni scolastiche statali del primo e del secondo ciclo di istruzione delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia ad attivare incarichi temporanei di personale ATA a tempo determinato fino al 31 dicembre 2023 al fine di contrastare la dispersione scolastica e ridurre i divari territoriali e negli apprendimenti. Tale facoltà è esercitabile nel limite dell’incremento – disposto dal comma in esame - pari a 12 mln di euro per il 2023, delle risorse del fondo istituito per le assunzioni temporanee, fino al 31 dicembre 2023, di personale ATA di supporto alla realizzazione dei progetti finanziati dal PNRR. Il comma 2 autorizza per l'a.s. 2023/2024 la spesa di € 3.333.000 per il 2023 e di € 10.000.000 per il 2024 al fine di potenziare l'organico dei docenti per l'accompagnamento dei progetti pilota del piano «Agenda Sud». Il comma 3 autorizza la spesa di € 25 milioni a valere sulle risorse del Programma operativo complementare POC «Per la Scuola» 2014-2020 destinata alle istituzioni scolastiche statali, anche per progetti di rete, delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, individuate sulla base dei dati relativi alla fragilità negli apprendimenti, come risultanti dalle rilevazioni nazionali dell'INVALSI, al fine di ridurre i divari territoriali, contrastare la dispersione scolastica e l'abbandono precoce, nonché prevenire processi di emarginazione sociale. Al fine di rendere disponibili le predette risorse del POC "Per la Scuola" 2014-2020, il comma 4 modifica la copertura di parte degli oneri derivanti dai nuovi percorsi di formazione e aggiornamento permanente delle figure di sistema e dei docenti di ruolo, introducendo ora il rinvio alle risorse di cui al Programma nazionale PN "Scuola e competenze" 2021-2027. Il comma 5 incrementa, a decorrere dall'a.s. 2023/2024, di € 6 milioni il Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) per contenere e prevenire fenomeni di dispersione nelle istituzioni scolastiche in aree a forte rischio di abbandono, introducendo alcune misure incentivanti di ordine economico e di ordine premiale ai fini della carriera scolastica in favore dei docenti a tempo indeterminato presenti nelle zone più disagiate per garantirvi la continuità didattica. Il comma 6, oltre a recare la copertura degli oneri predetti, dispone che, per l'a.s. 2023/2024, le risorse aggiuntive assegnate dal comma 5 al Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) sono oggetto, in via eccezionale, di una specifica e separata sessione negoziale della contrattazione collettiva nazionale integrativa per l'individuazione dei criteri di riparto.

 

Nel dettaglio, il comma 1 introduce il nuovo comma 4-bis.1 all'articolo 21 del D.L. n. 75/2023 (L. n. 112/2023).

 

Al riguardo, si fa presente che il comma 4-bis dell’articolo 21 in questione ha previsto che le istituzioni scolastiche impegnate nell'attuazione degli interventi PNRR possono attingere alle graduatorie d'istituto per lo svolgimento di attività di supporto tecnico, finalizzate alla realizzazione dei progetti finanziati dal PNRR di cui hanno la diretta responsabilità in qualità di soggetti attuatori. A tal fine, le istituzioni scolastiche sono state autorizzate, nei limiti delle risorse ripartite del fondo di cui di seguito, ad attivare incarichi temporanei di personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) a tempo determinato fino alla data del 31 dicembre 2023. Per le predette finalità è stato quindi istituito nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione e del merito un fondo, con la consistenza iniziale di 50 milioni di euro per il 2023, da ripartire tra gli Uffici scolastici regionali con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito.

 

Come sopra segnalato, il nuovo comma 4-bis.1 autorizza le istituzioni scolastiche statali del primo e del secondo ciclo di istruzione delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia ad attivare incarichi temporanei di personale ATA a tempo determinato fino al 31 dicembre 2023, al fine di contrastare la dispersione scolastica e ridurre i divari territoriali e negli apprendimenti. L’attivazione di tali incarichi è ammessa nel limite dell’incremento, pari a € 12 mln per il 2023, delle risorse del fondo istituito dall'articolo 21, comma 4-bis, del D.L. n. 75/2023 (si veda sopra). Le risorse aggiuntive sono destinate prioritariamente alle istituzioni scolastiche individuate nell'ambito del piano "Agenda Sud" di cui al DM 176 del 30 agosto 2023 (al Senato, è stato inserito il riferimento a tale atto normativo in accoglimento del parere espresso dal Comitato per la legislazione nella seduta n. 24 del 3 ottobre 2023) sulla base dei dati relativi alla fragilità negli apprendimenti, come risultanti dalle rilevazioni nazionali dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), e da ripartire tra gli uffici scolastici regionali con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito.

 

Si veda la pagina Intervento straordinario finalizzato alla riduzione dei divari territoriali nei cicli I e II della scuola secondaria di secondo grado.

 

A tali oneri, pari a 12 milioni di euro per il 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione:

- quanto ad euro 9.825.264, del Fondo di cui all'articolo 5, comma 1, del D.L. n. 61/2023 (L. n. 100/2023);

 

Su tale disposizione si veda il comunicato del 18 settembre 2023.

 

Si rammenta, al riguardo, che l'articolo 5, comma 1, del D.L. n. 61/2023 (L. n. 100/2023) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione e del merito, il Fondo straordinario a sostegno della continuità didattica, con la dotazione di 20 milioni di euro per il 2023, finalizzato, tra l'altro, all'acquisizione di beni, servizi e lavori funzionali a garantire la continuità didattica e a potenziare e supportare la didattica a distanza, nonché di attrezzature, arredi, servizi di pulizia, interventi urgenti di ripristino degli spazi interni ed esterni, servizi di trasporto sostitutivo temporaneo, locazione di spazi e noleggio di strutture temporanee. La finalità è quella di consentire la tempestiva ripresa della regolare attività didattica nelle istituzioni scolastiche statali e paritarie che hanno sede nei territori interessati dagli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023, per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza con delibere del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2023, del 23 maggio 2023 e del 25 maggio 2023. Con decreto del Ministro dell'istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è definito il riparto delle risorse di cui al presente comma tra le istituzioni scolastiche statali e paritarie interessate dall'emergenza.

 

quanto ad euro 2.174.736, del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi, di cui alla L. n. 440/1997.

 

Il comma 2 autorizza per l'a.s. 2023/2024 la spesa di € 3.333.000 per il 2023 e di € 10.000.000 per il 2024 al fine di potenziare l'organico dei docenti per l'accompagnamento dei progetti pilota del piano «Agenda Sud».

 

Si veda il comunicato del 31 agosto 2023.

Al riguardo, si ricorda che il DM 176 del 30 agosto 2023, all’articolo 1, ha autorizzato la spesa complessiva di euro 34.300.000 in favore delle scuole statali primarie, secondarie di primo e di secondo grado delle regioni del Mezzogiorno di cui all’Allegato 1, per iniziative formative da realizzare negli anni scolastici 2023/2024 e 2024/2025. Le scuole beneficiarie sono quelle del primo e del secondo ciclo di istruzione, individuate da INVALSI, sulla base dei relativi dati. La finalità è quella di contrastare la dispersione scolastica e ridurre i divari territoriali e negli apprendimenti. A ciascuna delle istituzioni scolastiche beneficiarie è assegnato l’importo complessivo di euro 140.000, a carico, in quota parte, del PNRR, del PON “Per la scuola” 2014-2020 o del PN “Scuola e competenze” 2021-2027. Le risorse sono a valere:

-      per euro 17.220.000 per n. 123 istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado delle regioni del Mezzogiorno individuate da Invalsi, di cui all’Allegato 1, con le risorse della Missione 4 – Componente 1 – Investimento 1.4 del PNRR, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU;

-      per euro 17.080.000, di cui euro 8.540.000,00 a valere sul Programma operativo nazionale “Per la scuola” 2014-2020 per l’anno scolastico 2023-2024 ed euro 8.540.000,00 a valere sul Programma nazionale “PN Scuola e competenze 2021-2027” – Obiettivo specifico ESO4.5 per l’anno scolastico 2024-2025, per le n. 122 scuole primarie delle regioni del Mezzogiorno individuate da Invalsi, di cui all’Allegato 1.

L’articolo 2 autorizza altresì, al fine di superare i divari territoriali, potenziare le competenze di base e contrastare la dispersione scolastica, la spesa complessiva di euro 184.800.000 in favore delle 1.906 scuole statali primarie delle regioni del Mezzogiorno, di cui all’Allegato 2. Le risorse sono a valere:

- per euro 92.400.000 a valere sul Programma operativo nazionale “Per la scuola” 2014-2020 per l’anno scolastico 2023-2024;

- per euro 92.400.000 valere sul Programma nazionale “PN Scuola e competenze 2021-2027” – Obiettivo specifico ESO4.5 per l’anno scolastico 2024-2025.

Le suddette risorse sono ripartite sulla base dei dati degli apprendimenti Invalsi e del numero di studenti fragili, assegnando a ciascuna istituzione scolastica ricompresa nell’Allegato 2 una quota proporzionale per fascia di importo. Al fine di realizzare nell’ambito dell’Agenda SUD un progetto pilota nei contesti con maggiore disagio educativo, affinché le scuole siano poli educativi e presidio di sviluppo dei territori, in rete con altre scuole, enti, istituzioni, associazioni del terzo settore per ridurre i divari territoriali, è autorizzata, in aggiunta all’autorizzazione disposta dall’articolo 2, la spesa complessiva di euro 15.000.000 a valere sul Programma operativo complementare 2014-2020. L’Autorità di gestione del PON 2014-2020 e del PN 2021-2027 presso l’Unità di missione per il PNRR provvede all’individuazione delle aree per la realizzazione del progetto pilota, sulla base dei dati Invalsi, dei dati sull’abbandono scolastico e della dispersione scolastica e dei dati di contesto, nonché di altri dati disponibili nelle banche dati del Ministero dell’istruzione e del merito, e all’adozione delle relative procedure di autorizzazione, ammissione a finanziamento e attuazione, nel rispetto dei regolamenti comunitari, del sistema di gestione e di controllo e del manuale delle procedure adottate dall’Autorità di gestione.

 

“Agli oneri di cui al primo periodo” (nel corso dell’esame al Senato, è stata introdotta, in accoglimento del parere espresso dal Comitato per la legislazione nella seduta n. 24 del 3 ottobre 2023, la suddetta locuzione in luogo dell’originario riferimento “all'attuazione del presente comma”), si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi, di cui alla L. n. 440/1997.

La 5ª Commissione permanente del Senato, nella seduta pomeridiana n. 132 dell’11 ottobre 2023, ha reso il proprio parere “nel presupposto che, in relazione all'articolo 10, comma 2, l'affidamento degli incarichi ivi previsti avvenga con decorrenza non anteriore al 1° novembre 2023, in linea con quanto affermato nella relazione tecnica”.

 

L’articolo 1, comma 1, ha istituito nello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione (ora Ministero dell’istruzione e del merito), a decorrere dall'esercizio finanziario 1997, un fondo denominato "Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi" destinato alla piena realizzazione dell'autonomia scolastica, all'introduzione dell'insegnamento di una seconda lingua comunitaria nelle scuole medie, all'innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico, alla formazione del personale della scuola, alla realizzazione di iniziative di formazione post-secondaria non universitaria, allo sviluppo della formazione continua e ricorrente, agli interventi per l'adeguamento dei programmi di studio dei diversi ordini e gradi, ad interventi per la valutazione dell'efficienza e dell'efficacia del sistema scolastico, alla realizzazione di interventi perequativi in favore delle istituzioni scolastiche tali da consentire, anche mediante integrazione degli organici provinciali, l'incremento dell'offerta formativa, alla realizzazione di interventi integrati, alla copertura della quota nazionale di iniziative cofinanziate con i fondi strutturali dell'Unione europea.

Il comma 3 autorizza la spesa di € 25 milioni a valere sulle risorse del Programma operativo complementare POC «Per la Scuola» 2014-2020, destinata alle istituzioni scolastiche statali, anche per progetti di rete, delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, individuate sulla base dei dati relativi alla fragilità negli apprendimenti, come risultanti dalle rilevazioni nazionali dell'INVALSI, al fine di ridurre i divari territoriali, contrastare la dispersione scolastica e l'abbandono precoce, nonché prevenire processi di emarginazione sociale.

 

Il Programma operativo complementare "Per la Scuola. Competenze e ambienti per l'apprendimento" 2014 – 2020 è stato approvato con la deliberazione del CIPE n. 21 del 28 febbraio 2018 e modificato con la deliberazione n. 30 del 20 maggio 2019.

 

Per le suddette finalità sono adottate le seguenti azioni e iniziative:

a) rafforzare le competenze di base degli studenti;

b) promuovere misure di mobilità studentesca per esperienze fuori dal contesto di origine;

c) promuovere l'apprendimento in una pluralità di contesti attraverso modalità più flessibili dell'organizzazione scolastica e strategie didattiche innovative;

d) promuovere il supporto socio-educativo anche con il coinvolgimento attivo degli enti del terzo settore disciplinati dal relativo codice (d.lgs. n. 117/2017); tale riferimento è stato inserito al Senato.

 

Al riguardo, la RT fa presente, con riferimento al comma 3, che la copertura finanziaria di euro 25 milioni è assicurata a valere sulle risorse residue e ancora disponibili del Programma operativo complementare POC “Per la scuola” 2014-2020. Le risorse sono finalizzate prioritariamente a contrastare l’abbandono scolastico, il disagio minorile e giovanile, la povertà educativa e la dispersione scolastica con servizi e interventi dedicati; strutturare attività stimolanti, motivanti, formative e che valorizzino il saper fare in ambienti collaborativi e volti allo sviluppo di un sistema valoriale positivo e con ricadute durature nel tempo specificamente calibrato ai territori interessati dall’intervento normativo.

 

d-bis) potenziare l'offerta culturale anche attraverso la promozione di biblioteche di quartiere intese come luoghi di aggregazione sociale e di confronto interculturale; la lettera d-bis) è stata inserita al Senato.

 

Il comma 4 novella l'articolo 16-ter, comma 10, lettera b), del d.lgs. n. 59/2017.

 

Si rammenta al riguardo che l'articolo 16-ter del d.lgs. n. 59/2017, inserito dall'articolo 44, comma 1, lett. i), del D.L. n. 36/2022 (L. n. 79/2022), al comma 1 ha introdotto, a partire dall’anno scolastico 2023/2024, anche con riferimento al benessere psicofisico degli allievi con disabilità e ai bisogni educativi speciali, nonché le pratiche di laboratorio e l'inclusione, un sistema di formazione e aggiornamento permanente delle figure di sistema di cui al comma 3 e dei docenti di ruolo, articolato in percorsi di durata almeno triennale. Tale formazione si inquadra nell'ambito dell'attuazione del PNRR, con riguardo alle metodologie didattiche innovative e alle competenze linguistiche e digitali, e mira a consolidare e rafforzare consolidare l'autonomia dell'istituzioni scolastiche. La disposizione fa salva la formazione obbligatoria comprensiva delle competenze digitali e dell’uso critico e responsabile degli strumenti digitali. Fra le attività presenti in detti percorsi, sono esplicitamente menzionate le attività di progettazione, tutoraggio, accompagnamento, guida allo sviluppo delle potenzialità degli studenti, volte a favorire il raggiungimento di obiettivi scolastici specifici e di attività di sperimentazione di nuove modalità didattiche. Siffatte attività formative, volte a rafforzare sia le conoscenze sia le competenze applicative, sono svolte dal docente in ore aggiuntive rispetto a quelle di didattica in aula previste a normativa vigente. La contrattazione collettiva definisce le modalità di partecipazione alle attività formative dei percorsi, la loro durata e le eventuali ore aggiuntive; la partecipazione alle attività formative dei percorsi si svolga al di fuori dell'orario di insegnamento ed è retribuita anche a valere sul fondo per il miglioramento dell’offerta formativa (MOF), fermo restando quanto disposto dall'articolo 1, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 59/2017.

 

Il comma 10 dell’articolo 16-ter in questione provvede alla copertura degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1, relativi all'erogazione della formazione e dell’aggiornamento.

Nella previgente formulazione, la lettera b), che qui si novella, prevedeva che si provvedesse alla copertura di parte degli oneri, quanto a complessivi euro 41.218.788 per gli anni 2023 e 2024 e a complessivi euro 87.713.044 per gli anni 2025 e 2026, alle «a valere sulle risorse di cui al Programma operativo complementare POC "Per la Scuola" 2014-2020».

Nella nuova formulazione, tale copertura è fornita «a valere sulle risorse di cui al Programma nazionale PN "Scuola e competenze" 2021-2027, nel rispetto delle procedure e dei criteri di ammissibilità dei programmi delle politiche di coesione europee».

 

Al riguardo, la RT precisa che il comma 4 si limita a trovare una diversa copertura finanziaria, liberando risorse del Programma operativo complementare POC “Per la scuola” 2014-2020 necessarie all’attuazione del comma 3.

In particolare, in luogo di una copertura a carico del POC 14-20, si individua una copertura a carico del PN 21-27, FSE+, che prevede per l’obiettivo specifico ESO 4.5 uno stanziamento complessivo, in base al Programma approvato con decisione della Commissione C (2022)9045, pari a euro 184.878.010,00 integralmente disponibili.

 

Il comma 5 incrementa, a decorrere dall'a.s. 2023/2024, di 6 milioni di euro annui il Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) di cui all'articolo 40 del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto istruzione e ricerca - Triennio 2016-2018, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 141 del 20 giugno 2018, per le seguenti finalità:

a) contenere e prevenire fenomeni di dispersione nelle istituzioni scolastiche in aree a forte rischio di abbandono, individuate sulla base dei dati relativi alla fragilità negli apprendimenti, come risultanti dalle rilevazioni nazionali dell'INVALSI, e ampliare l'offerta formativa delle medesime istituzioni scolastiche mediante l'attivazione di progetti specifici, anche in ambito extracurricolare, con l'eventuale coinvolgimento degli attori sociali e istituzionali dei territori interessati e anche con il coinvolgimento degli enti del terzo settore disciplinati dal relativo codice (d.lgs. n. 117/2017); tale riferimento è stato inserito al Senato;

b) valorizzare la professionalità dei docenti delle istituzioni scolastiche di cui alla lettera a) che garantiscono l'interesse degli alunni e degli studenti alla continuità didattica.

Per le suddette finalità, una quota pari al 50 per cento dell'incremento del Fondo è riservata ai docenti a tempo indeterminato secondo criteri che tengano conto degli anni di permanenza nella stessa istituzione scolastica. Come specificato al Senato, rientrano nell'applicazione della misura di cui alla presente lettera i docenti in sovrannumero negli anni “presi in considerazione ai fini dell'applicazione stessa”, destinatari di mobilità d'ufficio e che abbiano presentato domanda di mobilità condizionata. La formulazione originaria faceva rinvio ai docenti in sovrannumero negli anni “di riferimento”, destinatari di mobilità d'ufficio e che avevano presentato domanda di mobilità condizionata, i quali non rientravano “nella esclusione dalla valorizzazione”.

Ai medesimi docenti a tempo indeterminato, nel caso di mancata presentazione di domanda di mobilità territoriale o professionale, di assegnazione provvisoria o di utilizzazione e che non abbiano accettato il conferimento di supplenza per l'intero anno scolastico per altra tipologia o classe di concorso, è altresì attribuito un punteggio aggiuntivo, nella misura individuata dalla contrattazione collettiva nazionale, a conclusione di un triennio di permanenza nella stessa istituzione scolastica e per ogni anno di permanenza dopo il triennio, ai fini delle graduatorie per la mobilità volontaria e d'ufficio, per le assegnazioni provvisorie e le utilizzazioni, nonché ai fini delle graduatorie d'istituto. Come specificato da una modifica introdotta al Senato è stata sostituita l’originaria formulazione secondo cui il punteggio aggiuntivo da attribuire ai predetti docenti era espressamente fissato nella misura di 10 punti, a conclusione del triennio, effettivamente svolto, e di ulteriori 2 punti per ogni anno di permanenza dopo il triennio.

 

Il comma 6 dispone che, per l'a.s. 2023/2024, le risorse aggiuntive assegnate dal comma 5 al Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa (MOF) sono oggetto, in via eccezionale, di una specifica e separata sessione negoziale della contrattazione collettiva nazionale integrativa per l'individuazione dei criteri di riparto.

Ai relativi oneri, pari a 6 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione e del merito. Il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Articolo 10-bis
(Abolizione del limite numerico minimo di alunni per classe nelle istituzioni scolastiche del Mezzogiorno - "Agenda Sud")

 

 

L’articolo 10-bis – introdotto al Senato - dispone, al comma 1, che a decorrere dall'anno scolastico 2024/2025, i dirigenti degli uffici scolastici regionali, con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative del primo e del secondo ciclo di istruzione, site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche, nei contesti di disagio giovanile o caratterizzate dalla presenza di alunni con fragilità negli apprendimenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia, possono derogare al numero minimo di alunni per classe previsto dal regolamento di cui al DPR n. 81 del 2009, nei limiti dell'organico dell'autonomia assegnato a livello regionale. 

 

Nello specifico, l’art. 10-bis, al comma 1, prevede che, a decorrere dall'anno scolastico 2024/2025, i dirigenti degli uffici scolastici regionali di cui all'art. 75, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative del primo e del secondo ciclo di istruzione (ossia dalla scuola primaria, ex scuola elementare, alla scuola secondaria di secondo grado), site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche, nei contesti di disagio giovanile o caratterizzate dalla presenza di alunni con fragilità negli apprendimenti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sardegna e Sicilia, possono derogare al numero minimo di alunni per classe previsto dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 nei limiti dell'organico dell'autonomia assegnato a livello regionale. 

 

Si ricorda che il suddetto art. 75, comma 3, del decreto legislativo n. 81 del 2009 prevede che, relativamente alle competenze in materia di istruzione non universitaria, il ministero (dell’istruzione e del merito) ha organizzazione periferica, articolata in uffici scolastici regionali di livello dirigenziale o dirigenziale generale, in relazione alla popolazione studentesca della relativa regione, quali autonomi centri di responsabilità amministrativa, che esercitano tra le funzioni residuate allo Stato in particolare quelle inerenti all'attività di supporto alle istituzioni scolastiche autonome, ai rapporti con le amministrazioni regionali e con gli enti locali, ai rapporti con le università e le agenzie formative, al reclutamento e alla mobilità del personale scolastico, ferma restando la dimensione provinciale dei ruoli del personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliare, alla assegnazione delle risorse finanziarie e di personale alle istituzioni scolastiche. Ai fini di un coordinato esercizio delle funzioni pubbliche in materia di istruzione è costituito presso ogni ufficio scolastico regionale un organo collegiale a composizione mista, con rappresentanti dello Stato, della regione e delle autonomie territoriali interessate, cui compete il coordinamento delle attività gestionali di tutti i soggetti interessati e la valutazione della realizzazione degli obiettivi programmati. Alla organizzazione degli uffici scolastici regionali e del relativo organo collegiale si provvede con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988. A decorrere dalla entrata in vigore del regolamento stesso, sono soppresse le sovrintendenze scolastiche regionali e, in relazione all'articolazione sul territorio provinciale, anche per funzioni di servizi di consulenza e supporto alle istituzioni scolastiche, sono contestualmente soppressi i provveditorati agli studi.

 

Il comma 2 del medesimo articolo 10-bis prevede che, all'attuazione di quanto disposto sopra, si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

In relazione al quadro normativo vigente, si ricorda che la disciplina del numero di alunni per classe (cosiddetto dimensionamento scolastico) è oggi stabilita, in via generale, dal citato decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).

 

Il DPR in questione ha natura giuridica di regolamento di delegificazione, ex art. 17, comma 2, della L. 400/1988 , ai sensi del quale con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri,  sentito  il  Consiglio  di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti  in materia, che si pronunciano entro trenta  giorni  dalla  richiesta, sono emanati i regolamenti  per  la  disciplina  delle  materie,  non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando  l'esercizio  della potestà regolamentare del Governo, determinano  le norme  generali regolatrici della materia  e  dispongono  l'abrogazione  delle  norme vigenti,   con   effetto   dall'entrata   in   vigore   delle norme regolamentari.

 

Il DPR è stato adottato, in sede attuativa, sulla base dell'autorizzazione disposta, a suo tempo, dall'art. 64, comma 4, del D.L. 112/2008 (legge n. 133 del 2008).

 

Si ricorda che l'art. 64, comma 1, del D.L. 112/2008 ha disposto il ridimensionamento delle dotazioni organiche dei docenti attraverso l'incremento graduale, fino al raggiungimento di un punto, a partire dall'a.s. 2009-2010 ed entro l'a.s. 2011-2012, del rapporto alunni/docente, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei, tenendo anche conto delle esigenze degli alunni diversamente abili. Per la realizzazione, tra l'altro, di tale finalità, i commi 3 e 4 dello stesso articolo hanno previsto la predisposizione di un piano programmatico di interventi e misure e la conseguente adozione, a fini attuativi, di regolamenti recanti, per quanto qui interessa, la revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi, nonché di quelli relativi alla determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA. In base al comma 6 dello stesso art. 64, quanto disposto dal comma 1 concorre, a decorrere dal 2009, alla realizzazione di economie di spesa per il bilancio dello Stato.

 

Per ciò che qui rileva, il DPR 81/2009 individua come segue il numero di alunni per classe:

 

 

Già nella disciplina del DPR 81/2009 – come si vede – il limite di alunni per classe trova dei congegni di flessibilità:

• in via generale, l'art. 4 stabilisce che al fine di dare stabilità alla previsione delle classi, riducendo al massimo gli scostamenti tra il numero delle classi previsto ai fini della determinazione dell'organico di diritto e quello delle classi effettivamente costituite all'inizio di ciascun anno scolastico, è consentito derogare, in misura non superiore al 10 per cento, al numero minimo e massimo di alunni per classe previsto, per ciascun tipo e grado di scuola, dal presente regolamento. I dirigenti scolastici possono disporre incrementi del numero delle classi dell'istruzione primaria e dell'istruzione secondaria solo in caso di inderogabili necessità legate all'aumento effettivo del numero degli alunni rispetto alle previsioni, previa autorizzazione del dirigente preposto all'Ufficio scolastico regionale, secondo i criteri ed i parametri di cui al presente regolamento;

• con specifico riferimento (anche) alle fattispecie considerate nella proposta di legge in esame, l'art. 8, in relazione a scuole «in situazioni disagiate», dispone che nelle scuole funzionanti nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle zone abitate da minoranze linguistiche, nelle aree a rischio di devianza minorile o caratterizzate dalla rilevante presenza di alunni con particolari difficoltà di apprendimento e di scolarizzazione, possono essere costituite classi uniche per anno di corso e indirizzo di studi con numero di alunni inferiore a quello minimo e massimo stabilito dagli articoli 10, 11 e 16. In tali casi le regioni e gli enti locali interessati stipulano, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, convenzioni con il Ministero dell'istruzione, e del merito per consentire, in situazioni particolarmente svantaggiate, l'istituzione di centri scolastici digitali collegati funzionalmente alle istituzioni scolastiche di riferimento, mediante l'utilizzo di nuove tecnologie al fine di migliorare la qualità dei servizi agli studenti e di garantire una maggiore socializzazione delle comunità di scuole.

Interventi normativi successivi hanno poi configurato ulteriori casi e forme di deroga ai limiti in parola. Si ricordano fra l'altro:

- la previsione di cui all'art. 1, comma 84, della L. 107/2015, a tenore della quale il dirigente scolastico, nell'ambito dell'organico dell'autonomia assegnato e delle risorse, anche logistiche, disponibili, riduce il numero di alunni e di studenti per classe rispetto a quanto previsto dal regolamento di cui al DPR 81/2009, allo scopo di migliorare la qualità didattica anche in rapporto alle esigenze formative degli alunni con disabilità (cfr. il relativo dossier per approfondimenti);

- la facoltà per i dirigenti degli Uffici scolastici regionali (prevista dall'art. 18-bis del D.L. 189/2016 sin dall'anno scolastico 2016/2017, successivamente estesa all'anno scolastico 2023/2024 dall'art. 5, comma 9, del D.L. 198/2022) e, da ultimo, all'anno scolastico 2028/2029 dall’art.  3-novies del decreto-legge n. 3 del 2023 (legge n. 21 del 2023), che reca “Misure per le istituzioni scolastiche nei comuni colpiti dal sisma” (cfr. il relativo dossier per approfondimenti), di derogare al numero minimo e massimo di alunni per classe previsto, per ciascun tipo e grado di scuola, dal DPR 81/2009, con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative situate nelle aree colpite dagli eventi sismici verificatisi nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, nonché nei comuni di Casamicciola Terme, Forio e Lacco Ameno dell'Isola di Ischia;

- la previsione di cui all'art. 1, commi 344-347 della L. 234/2021 (legge di bilancio 2022: cfr. il relativo dossier per approfondimenti) che, al fine di favorire l'efficace fruizione del diritto all'istruzione anche da parte dei soggetti svantaggiati collocati in classi con numerosità prossima o superiore ai limiti previsti a normativa vigente, autorizza il Ministero dell'istruzione [e oggi, del merito] a istituire classi in deroga alle dimensioni previste dal DPR 81/2009. La predetta deroga opera nelle scuole caratterizzate da valori degli indici di status sociale, economico e culturale e di dispersione scolastica individuati con decreto del Ministro dell'istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il mese di febbraio precedente all'anno scolastico di riferimento, e nel limite delle risorse strumentali e finanziarie e della dotazione organica di personale scolastico disponibili a legislazione vigente. Si ricorda che, in sede attuativa, sono stati adottati, anzitutto, il decreto interministeriale 90 del 2022, che ha stabilito per il 2022/2023 in 8.741 unità la quota massima dell'organico del personale docente da destinare alle classi costituite in deroga alle dimensioni individuate DPR 81/2009; poi, il decreto del Ministero dell'istruzione 220/2022 che ha stabilito gli indici di status sociale, economico e culturale e di dispersione scolastica.

 

Da ultimo, sono stati adottati:

 a) il decreto ministeriale n. 70 del 19 aprile 2023, con il quale è stata definita la consistenza complessiva delle dotazioni organiche dei dirigenti scolastici per l’anno scolastico 2023-2024;

 b) il decreto ministeriale n. 90 del 19 maggio 2023 che ha indicato: il limite massimo dell'organico del personale docente da destinare alle classi costituite in deroga alle dimensioni previste dal DPR n. 81 del 2009 (art. 1); le deroghe alle dimensioni previste dal medesimo DPR (art. 2); gli indicatori di status sociale, economico e culturale, di dispersione scolastica e di spopolamento (art. 3); le soglie degli indicatori per la deroga alle dimensioni previste dal medesimo DPR (art. 4); i parametri per la costituzione delle classi in deroga alle dimensioni previste dallo stesso DPR n. 81 del 2009 (art. 5).

Articolo 11
(Ulteriore piano per asili nido finalizzato all'incremento dei posti per la prima infanzia nella fascia di età 0-2 anni)

 

 

L’articolo 11, modificato al Senato, al fine di assicurare il rispetto del target del PNRR - Missione 4 - Componente 1 - Investimento 1.1 «Piano per asili nido e scuole dell'infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia», autorizza un ulteriore piano per asili nido per l'incremento dei posti per la prima infanzia nella fascia di età 0-2 anni.

 

Il comma 1 dell’articolo 11, nell’autorizzare l’ulteriore piano per asili nido volto al rispetto del target PNRR della M4.C1.I.1.1, prevede che gli interventi in questione siano individuati con uno o più decreti del Ministro dell'istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, anche tenendo conto dei dati di copertura del servizio e della popolazione esistente nella fascia di età 0-2 anni.

L’intervento normativo – come suggerito anche dalla relazione tecnica – sembra doversi leggere alla luce del pacchetto di Proposte per la revisione del PNRR e capitolo REPower EU sottoposto dal Governo alla Commissione europea a fine estate e a oggi ancora in  corso di negoziazione. Il documento, con riguardo proprio alla Missione 4 – Componente 1 – Investimento 1.1., dopo aver evidenziato alcune criticità peraltro già emerse dalla terza Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR (tabella a pag. 128) legate essenzialmente all’aumento dei prezzi e a problematiche amministrative, «mira a rivedere l’obiettivo intermedio dell’aggiudicazione di tutti gli interventi previsto dalla quarta rata con l’aggiudicazione di un primo insieme di interventi e l’impegno a lanciare un nuovo bando per raggiugere l’obiettivo finale della misura alla luce delle circostanze oggettive intervenute. La modifica introdotta, quindi, non definanzia nessun intervento ma, per raggiungere l’obiettivo finale, impegna il Governo a emanare un nuovo bando di selezione degli interventi» (p. 23). Per un’analisi più approfondita cfr. infra l’apposito Focus.

 

La relazione tecnica argomenta che dalle stime effettuate in base ai precedenti avvisi pubblici su asili nido e scuole dell’infanzia, prevedendo in media un importo di 2.400 euro/mq e una superficie media per alunno pari a 10 mq, si ipotizza di creare circa 30.000 posti in più sulla base delle economie da accertare sul medesimo Investimento 1.1 della Missione 4 – Componente 1 più le risorse di cui all’articolo 1, comma 59, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, relative all’annualità 2026, pari a 200 milioni.

 

Per la finalità sopra delineata, il comma 2 dell’art. 11 prevede la possibilità di attingere a una serie di risorse:

a)      anzitutto, le economie non assegnate dell'Investimento 1.1 della Missione 4 - Componente 1 del PNRR da accertare con i decreti di cui al comma 1, rappresentate, secondo la relazione tecnica, da risorse per interventi infrastrutturali che non sono state assegnate per carenza di fabbisogno ovvero per successive rinunce o definanziamenti;

b)     le risorse di cui all’art. 1, comma 59, della L. 160/2019. Come rammenta la relazione tecnica, anche queste risorse hanno già il medesimo vincolo di destinazione. Infatti, ai sensi del DM 6 agosto 2021, i progetti c.d. “in essere” dell’Investimento 1.1 della Missione 4 – Componente 1 sono a valere proprio sulle risorse di cui all’art. 1, comma 59, della L.160/2019 per le annualità dal 2021 al 2025. Peraltro, il DPCM 30 dicembre 2020 prevede espressamente, all’art. 1, comma 2, che “per il quinquennio 2026-2030, in assenza di emanazione di un successivo decreto […], sono applicate le disposizioni del presente decreto”. Con la norma in questione – secondo la relazione tecnica – si definisce l’utilizzo delle suddette risorse sull’Investimento 1.1, in coerenza con i progetti “in essere” già autorizzati, anche delle risorse per l’annualità 2026.

c)       le risorse ancora disponibili di cui all’art. 47, comma 5, del D.L. 36/2022, già destinate al raggiungimento di obiettivi, target e milestone del PNRR. Per approfondimenti, cfr. il dossier predisposto dal Servizio studi;

d)      eventuali ulteriori risorse che si dovessero rendere successivamente disponibili nella rimodulazione dei piani di investimento europei, ai fini del raggiungimento del target. Non possono essere utilizzate in ogni caso le economie formatesi a seguito delle integrazioni finanziarie del Fondo opere indifferibili di cui all'art. 26 del D.L. 50/2022. Per approfondimenti, cfr. il dossier predisposto dal Servizio studi.

 

La relazione tecnica precisa in ogni caso che la quota di risorse necessarie dipenderà dalla rinegoziazione del target e dai nuovi obiettivi concordati in sede di revisione del PNRR.

 

Il comma 2-bis, introdotto al Senato, ha poi previsto, al fine di assicurare l'attuazione della Missione 2-Componente 3-Investimento 1.1 del PNRR (“Piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica”), che all'art. 24, comma 5, del D.L. 13/2023 le parole: "4 milioni" sono sostituite, ovunque ricorrono, con le parole "8 milioni", prevedendosi in aggiunta che tali risorse sono assegnate tutte in anticipazione, salvo successivo monitoraggio, agli enti locali individuati per le esigenze relative alla continuità didattica nell'anno scolastico 2023-2024. Cfr. per approfondimenti il relativo dossier predisposto dal Servizio studi.

 

 

 Focus: le vicende attuative del PNRR, Missione 4 - Componente 1 - Investimento 1.1 «Piano per asili nido e scuole dell'infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia»

 

All’interno del PNRR, il Piano asili nido della Missione 4, Componente 1, Investimento 1.1 mira a innalzare il tasso di presa in carico dei servizi di educazione e cura per la prima infanzia prevedendo €4,6 miliardi per gli asili nido e le scuole dell’infanzia. Il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 6 agosto 2021 di assegnazione delle risorse PNRR specifica che 1,6 miliardi sono per progetti in essere, 2 miliardi per nuovi progetti e 1 miliardo del FSC (Fondo per lo sviluppo e  la coesione). Lo stesso decreto individua, per l’intervento in parola, le seguenti scadenze:

30 giugno 2023milestone: aggiudicazione dei contratti di lavoro per la costruzione, la riqualificazione e la messa in sicurezza di asili nido, scuole dell'infanzia e servizi di educazione e cura della prima infanzia;

31 dicembre 2025target: attivazione di oltre 264.000 nuovi posti per servizi di educazione e cura per la prima infanzia (fascia 0-6 anni).

Come rilevato nello stesso PNRR e nella seconda relazione sullo stato di attuazione del Piano presentata dal Governo alle Camere il 6 ottobre 2022 (p. 151, da cui è tratta la citazione), «attualmente, l’offerta di asili nido e scuole per l’infanzia in Italia copre circa 1/4 della popolazione nella fascia di età interessata (0-6), collocandosi al di sotto della media europea (35% circa) e dell’obiettivo di copertura minimo individuato dall’UE (33%). La scarsità di tali servizi alimenta alcuni dei fattori che indeboliscono il potenziale di crescita del nostro paese, quali la denatalità e la bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Con questa linea di investimento si intende aumentare l’offerta educativa nella fascia 0-6 su tutto il territorio nazionale, attraverso la costruzione di nuovi asili nido e nuove scuole dell’infanzia o la messa in sicurezza di quelli esistenti, in modo da migliorare la qualità del servizio, facilitare la gestione familiare e quindi il lavoro femminile, incrementare il tasso di natalità. L’obiettivo della misura è la creazione di strutture in grado di offrire oltre 260 mila nuovi posti (oltre i due terzi dei quali destinati alla fascia 0-3), per favorire il raggiungimento dell’obiettivo di copertura europeo relativo ai servizi per la prima infanzia, colmando il divario oggi esistente sia per la fascia 0-3 che per la fascia 3-6 anni, riconoscendo a bambine e bambini il diritto all’educazione fin dalla nascita e garantendo un percorso educativo unitario e adeguato alle caratteristiche e ai bisogni formativi di quella fascia d’età, anche grazie a spazi e ambienti di apprendimento innovativi. Tale misura affianca il fondo “Asili nido e scuole dell'infanzia”, istituito presso il Ministero dell’Interno dalla legge di bilancio 2020 e con risorse per 2,5 miliardi nel 2021-2034 complessivi, di cui 700 milioni nel quinquennio 2021-2025».

L’art. 24 (rubricato «Progettazione di scuole innovative») del D.L. 152/2021, al comma 6-bis, dispone che il termine massimo per l'aggiudicazione degli interventi a valere sulle risorse di cui all'art. 1, comma 59, della L. 160/2019, che rientrano nel Piano nazionale di ripresa e resilienza è fissato con decreto del Ministro dell'istruzione, di concerto con il Ministro dell'interno, non oltre il 31 maggio 2023 (ora, in forza della novella apportata dall’art. 7 del D.L. 51/2023, non oltre il 30 giugno 2023) al fine di poter rispettare gli obiettivi del Piano.

In sede attuativa, è stato adottato il decreto del Ministero dell’istruzione n. 343 del 2.12.2021, che ha definito i criteri di riparto, su base regionale, delle risorse del PNRR e le modalità di individuazione degli interventi.

A esso ha fatto poi seguito l'Avviso pubblico 48047 del 2/12/2021, finalizzato a consentire la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza degli asili nido e delle scuole dell’infanzia al fine di migliorare l’offerta educativa sin dalla prima infanzia e offrire un concreto aiuto alle famiglie, incoraggiando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra vita familiare e professionale (cfr. art. 1). La dotazione finanziaria complessiva dell’Avviso è pari ad € 3 miliardi, di cui € 2,4 miliardi destinati al potenziamento delle infrastrutture per la fascia di età 0-2 anni ed € 600 milioni al potenziamento delle infrastrutture per la fascia di età 3-5 anni (art. 2, comma 1). Il 55,29% delle risorse per il potenziamento delle infrastrutture per la fascia di età 0-2 anni e il 40% delle risorse per il potenziamento delle infrastrutture per la fascia di età 3-5 anni sono destinati a candidature proposte da parte di enti locali appartenenti alle Regioni del Mezzogiorno (art. 2, comma 3).

La scadenza dei termini per le candidature era fissata dall’Avviso pubblico al 28 febbraio 2022. Successivamente sono state poi disposte due proroghe "settoriali": 1) i termini per la presentazione delle candidature, esclusivamente per la «realizzazione di asili nido e servizi integrativi, comprese le sezioni primavera», sono stati differiti al 31 marzo 2022; 2) i termini per la presentazione delle candidature, esclusivamente per la “realizzazione di asili nido e servizi integrativi, comprese le sezioni primavera”, per i comuni delle Regioni del Mezzogiorno con priorità per Basilicata, Molise e Sicilia sono, stati differiti al 31 maggio 2022.

È intervenuto poi – in forza di quanto disposto dall’art. 7 del D.L. 51/2023 – l’avviso pubblico di proroga del termine per l’aggiudicazione al 20 giugno 2023.

Successivamente, nella terza Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR, nella tabella a pag. 128, si evidenzia che questo investimento presenta 2 elementi di debolezza emersi nel corso del monitoraggio sull’attuazione del Piano, così sintetizzati: aumento costi e/o scarsità materiali; difficoltà normative, amministrative, gestionali, ecc.. La medesima Relazione – oltre a descrivere l’investimento alle pagg. 309 e 310 – rileva, tra l’altro (a pag. 71), che la misura – che prevede, entro il 30 giugno 2023, l’aggiudicazione di tutte le gare di appalto dei lavori per gli interventi ammissibili - ha «scontato una difficile fase di avvio legata alle criticità gestionali e amministrative. Il bando originario – prosegue la Relazione - prevedeva la conclusione della fase di selezione degli interventi entro marzo 2022. La necessità di assicurare il 40 per cento delle risorse al Sud e l’incremento dei costi delle materie prime hanno dapprima rallentato la conclusione della selezione degli interventi e successivamente l’avvio della progettazione degli stessi. Il Governo in carica è intervenuto prorogando la data di affidamento dei lavori da marzo 2023 a maggio 2023 e successivamente, con decreto -legge 10 maggio 2023, n. 51, articolo 7, alla scadenza del termine di aggiudicazione previsto dagli obiettivi del Piano, con importanti azioni a supporto degli enti locali per accompagnarli nelle procedure di affidamento dei lavori nonché con norme di semplificazione e di deroga e con l’inserimento dei poteri commissariali di sindaci e presidenti di provincia sull’edilizia scolastica per velocizzare le procedure amministrative. Allo stato, i comuni, soggetti attuatori degli interventi, stanno procedendo con la conclusione della fase di progettazione e hanno avviato la fase di avviamento dei lavori (…) L’obiettivo del Ministero dell’istruzione e del merito e del Governo è quello di aggiudicare, entro giugno, il numero massimo di interventi e, eventualmente, proporre per quelli in ritardo misure di attuazione rafforzata per consentire, comunque, il rispetto del predetto target finale».

L’ultimo sviluppo è rappresentato dal pacchetto di Proposte per la revisione del PNRR e capitolo REPower EU sottoposto dal Governo alla Commissione a fine estate.

In esso si rileva che «l’amministrazione centrale responsabile ha segnalato l’incremento dei costi delle materie prime intervenuto tra luglio 2022 e maggio 2023, rispettivamente data di valutazione delle proposte e conclusione della progettazione, che ha inciso sugli obiettivi finali della misura. Molti interventi selezionati in tale quadro non hanno consentito di raggiungere gli obiettivi previsti e pertanto si rende necessario individuare nuove risorse e procedere con la pubblicazione di un nuovo bando di selezione degli interventi. In relazione al target finale della misura, in linea con gli orientamenti della Commissione, sarà valutato l’impatto dell’incremento dei costi con riferimento al numero dei nuovi posti da rendicontare» (cfr. p. 81). Da qui la proposta di modifica al PNRR sottoposta alla Commissione europea che« mira a rivedere l’obiettivo intermedio dell’aggiudicazione di tutti gli interventi previsto dalla quarta rata con l’aggiudicazione di un primo insieme di interventi e l’impegno a lanciare un nuovo bando per raggiugere l’obiettivo finale della misura alla luce delle circostanze oggettive intervenute. La modifica introdotta, quindi, non definanzia nessun intervento ma, per raggiungere l’obiettivo finale, impegna il Governo a emanare un nuovo bando di selezione degli interventi» (cfr. p. 23).

Per approfondimenti, cfr. la pagina dedicata del Ministero dell’istruzione e del merito.

Sulle vicende attuative degli investimenti in materia di asili nido cfr. altresì, fra l’altro, l’approfondimento predisposto dall’Ufficio parlamentare di bilancio «Piano asili nido e scuole dell’infanzia: prime evidenze dall’analisi delle graduatorie», la deliberazione 20/2022  resa dalla Corte dei conti in sede di controllo concomitante e la relazione sullo stato di attuazione del PNRR predisposta dalla stessa magistratura contabile nel marzo 2022.

Si segnala infine la scheda predisposta dal Servizio studi in riferimento all’art. 1, commi 791-798 della legge di bilancio 2023, in materia di disciplina della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), fra cui rientra anche il servizio degli asili nido.

Per il monitoraggio più generale degli investimenti e delle riforme in materia di cultura previste dal PNRR cfr. il portale dedicato del Servizio studi.

Articolo 12, comma 01
(Vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione)

 

 

L’articolo 12, comma 01, inserito al Senato, sostituisce integralmente l’articolo 114 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione (d.lgs. n. 297/1994), dettando una nuova disciplina in relazione all’esercizio dei poteri dei sindaci e dei dirigenti scolastici, ai fini della vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione. Resta immutata la disciplina attualmente vigente in materia di giustificazione delle assenze degli alunni dalla scuola per motivi di appartenenza religiosa.

 

Nell’attuale formulazione, l’articolo 114 del d.lgs. n. 297/1994 prevede che il sindaco ha l'obbligo di trasmettere ogni anno, prima della riapertura delle scuole, ai direttori didattici l'elenco dei fanciulli che per ragioni di età sono soggetti all'obbligo scolastico, con l'indicazione del nome dei genitori o di chi ne fa le veci (co. 1). Iniziato l'anno scolastico, l'elenco degli obbligati è confrontato con i registri dei fanciulli iscritti nelle scuole al fine di accertare chi siano gli inadempienti (co. 2). L'elenco degli inadempienti viene, su richiesta dell'autorità scolastica, affisso nell'albo pretorio per la durata di un mese (co. 3). Trascorso il mese dell'affissione di cui al comma 3, il sindaco ammonisce la persona responsabile dell'adempimento invitandola ad ottemperare alla legge (co. 4). Ove essa non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l'assenza dei fanciulli dalla scuola pubblica, o non ve li presenti entro una settimana dall'ammonizione, il sindaco procede ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale. Analoga procedura è adottata in caso di assenze ingiustificate durante il corso dell'anno scolastico tali da costituire elusione dell'obbligo scolastico (co 5).

La disposizione richiamata, disciplinante la procedura per la denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio, prevede, al comma 1, che, salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. In base al comma 2, la denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. Ai sensi del comma 3, quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto. Il comma 4 prevede infine che, se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l'autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero.

Infine, il comma 6 dell’articolo 114 rinvia alle seguenti disposizioni in quanto individuanti altrettante cause di giustificazione delle assenze dalla scuola:

- articolo 17, comma 4, della L. n. 516/1988 (intesa tra lo Stato italiano e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno), per effetto del quale si considerano giustificate le assenze degli alunni avventisti dalla scuola nel giorno di sabato su richiesta dei genitori o dell'alunno se maggiorenne;

- articolo 4, comma 4, della L. n. 101/1989 (intesa tra lo Stato italiano e l'Unione delle Comunità ebraiche italiane), secondo cui si considerano giustificate le assenze degli alunni ebrei dalla scuola nel giorno di sabato su richiesta dei genitori o dell'alunno se maggiorenne.

 

Il nuovo articolo 114 al comma 1 richiama innanzitutto la finalità di garantire l'adempimento dell'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622, della legge finanziaria 2007 (L. n. 296/2006).

 

Per la puntuale illustrazione della disposizione sopra richiamata si rinvia alla scheda di lettura relativa all’articolo 12, commi 1-3, del provvedimento in esame.

 

Per la predetta finalità, il sindaco, mediante accesso all'Anagrafe nazionale dell'istruzione (ANIST) istituita dall'articolo 62-quater del codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005), individua i minori non in regola con il predetto obbligo e ammonisce senza ritardo il responsabile dell'adempimento dell'obbligo medesimo invitandolo ad ottemperare alla legge.

 

Si ricorda in proposito che l'articolo 39-quinquies, comma 1, del D.L. n. 77/2021 (L. n. 108/2021) ha aggiunto al capo V, sezione II, del codice dell'amministrazione digitale gli articoli 62-quater e 62-quinquies, dedicati, rispettivamente, all'istituzione dell'ANIST e dell'ANIS.

Per approfondimenti sulla disciplina relativa all’ANIST si rinvia al dossier predisposto in occasione della discussione dell’AS 2332/XVIII, vol. II, pp. 89-93.

 

Il comma 2 prevede che i dirigenti scolastici, nelle more dell'attivazione dell'ANIST, ai medesimi fini di cui al comma 1, trasmettono al sindaco, entro il mese di ottobre, i dati relativi ai minori, soggetti all'obbligo di istruzione di cui al predetto articolo 1, comma 622, della L. n. 296/2006, regolarmente iscritti presso le proprie istituzioni scolastiche.

Il comma 3 demanda a un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione e del merito, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali e sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la definizione, ai fini del comma 2, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, dei soggetti cui possono essere comunicati i dati personali, le operazioni di trattamento, le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti degli interessati, nonché le misure di sicurezza di cui al regolamento (UE) 2016/679 (GDPR).

 

Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) protegge le persone quando i loro dati sono trattati dal settore privato e dalla maggior parte del settore pubblico. Il trattamento dei dati da parte delle autorità competenti ai fini dell’applicazione della legge è invece soggetto alla direttiva sulla protezione dei dati nelle attività di polizia e giudiziarie (LED) (si veda la sintesi). Consente alle persone di avere un maggiore controllo sui loro dati personali. Modernizza e unifica le norme che consentono alle aziende di ridurre la burocrazia e di godere di una maggiore fiducia da parte dei consumatori. Istituisce un sistema di autorità di controllo completamente indipendenti incaricate di monitorare e garantire il rispetto delle norme. Fa parte della riforma della protezione dei dati dell’Unione europea (Unione), insieme alla direttiva sulla protezione dei dati nelle attività di polizia e giudiziarie e al regolamento (UE) 2018/1725 sulla tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione (si veda la sintesi).

Il GDPR rafforza i diritti esistenti, prevede nuovi diritti e dà alle persone un maggiore controllo sui loro dati personali. Esso prevede: un migliore accesso ai propri dati, compresa la fornitura di maggiori informazioni su come i dati vengono trattati e la garanzia che tali informazioni siano chiare e comprensibili; un nuovo diritto alla portabilità dei dati, che agevola la trasmissione dei dati personali tra prestatori di servizi; un più chiaro diritto alla cancellazione (diritto all’oblio). Quando un soggetto non vuole più che i suoi dati vengano trattati e non vi è alcuna ragione legittima per conservarli, i dati saranno cancellati; il diritto di sapere se i propri dati personali sono stati violati. Le aziende e le organizzazioni sono tenute a informare l’autorità di controllo competente in materia di protezione dei dati e, in caso di violazione dei dati grave, anche gli interessati.

Il GDPR crea condizioni di parità per tutte le aziende che operano nel mercato interno dell’Unione, adotta un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico e stimola l’innovazione attraverso una serie di passi, tra cui: un unico complesso di norme a livello di Unione. Una sola legge per la protezione dei dati a livello di Unione rafforza la certezza del diritto e riduce gli oneri amministrativi; un responsabile della protezione dei dati. Le autorità pubbliche e le imprese che trattano dati su larga scala o la cui attività principale è il trattamento di categorie speciali di dati, come i dati relativi alla salute, devono designare una persona responsabile della protezione dei dati; uno sportello unico. Le imprese devono confrontarsi con una sola autorità di controllo (nello Stato membro dell’Unione in cui hanno il loro stabilimento principale); le autorità di controllo pertinenti cooperano nel quadro del comitato europeo per la protezione dei dati per i casi transfrontalieri; norme dell’Unione per le aziende extra unionali. Le aziende con sede al di fuori dell’Unione devono applicare le stesse norme quando offrono servizi o beni, o quando monitorano i comportamenti delle persone all’interno dell’Unione; norme favorevoli all’innovazione. Una garanzia del fatto che la protezione dei dati sia incorporata nei prodotti e nei servizi fin dalle primissime fasi di sviluppo (protezione dei dati fin dalla progettazione e per impostazione predefinita); tecniche rispettose della privacy. È incoraggiato ad esempio il ricorso alla pseudonimizzazione (quando i campi identificativi all’interno di un set di dati sono sostituiti da uno o più identificatori artificiali) e alla cifratura (quando i dati sono codificati in modo tale che possano leggerli solo gli utenti autorizzati), al fine di limitare l’invasività del trattamento; eliminazione delle notifiche. Il GDPR ha eliminato la maggior parte degli obblighi di notifica e i costi ad essi associati. Uno degli obiettivi è quello di rimuovere gli ostacoli che condizionano la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione. In questo modo, per le aziende sarà più facile espandersi nel mercato unico digitale; valutazioni d’impatto sulla protezione dei dati. Le organizzazioni dovranno effettuare valutazioni d’impatto qualora il trattamento dei dati presentasse un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone; tenuta dei registri. Le piccole e medie imprese non sono tenute alla registrazione delle attività di trattamento dei dati, a meno che il trattamento sia abituale o possa comportare un rischio per i diritti e le libertà della persona i cui dati sono in fase di elaborazione o riguardi categorie di dati sensibili; un moderno pacchetto di strumenti per il trasferimento internazionale dei dati. Il GDPR offre vari strumenti per trasferire i dati al di fuori dell’Unione, tra cui le decisioni in materia di adeguatezza adottate dalla Commissione europea laddove il paese terzo offra un adeguato livello di protezione, clausole contrattuali (tipo) pre-approvate, norme vincolanti d’impresa, codici di condotta e certificazione.

 

In base al comma 4, il dirigente scolastico verifica la frequenza degli alunni soggetti all’obbligo di istruzione, individuando quelli che sono assenti per più di 15 giorni, anche non consecutivi, nel corso di tre mesi, senza giustificati motivi. Nel caso in cui l'alunno non riprenda la frequenza entro 7 giorni dalla comunicazione al responsabile dell'adempimento dell'obbligo d'istruzione, il dirigente scolastico avvisa entro 7 giorni il sindaco affinché questi proceda all'ammonizione del responsabile medesimo invitandolo ad ottemperare alla legge. In ogni caso, costituisce elusione dell'obbligo di istruzione la mancata frequenza di almeno un quarto del monte ore annuale personalizzato senza giustificati motivi.

Il comma 5 dispone che, in caso di violazione dell'obbligo di istruzione di cui al comma 1, il sindaco procede ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale, il quale disciplina la denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio (si veda sopra), se la persona responsabile dell'adempimento dell’obbligo, previamente ammonita, non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, la mancata iscrizione del minore presso una scuola del sistema nazionale di istruzione o non ve lo presenti entro una settimana dall'ammonizione. Parimenti il sindaco procede ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale in caso di elusione dell'obbligo di istruzione di cui al comma 4.

Il contenuto del comma 6 è identico, come precedentemente anticipato, al comma 6 dell’articolo 114 attualmente in vigore (si veda sopra).

Il comma 7 prevede le disposizioni recate dal nuovo articolo 114 si applicano a tutti i soggetti responsabili della vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622 della L. n. 296/2006.

Il comma 8 reca la clausola d’invarianza finanziaria.

 

Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (D.Lgs. 297/1994)

Testo vigente

Modifiche proposte

Art. 114
(Vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico)

Art. 114
(Vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione)

1. Il sindaco ha l'obbligo di trasmettere ogni anno, prima della riapertura delle scuole, ai direttori didattici l'elenco dei fanciulli che per ragioni di età sono soggetti all'obbligo scolastico, con l'indicazione del nome dei genitori o di chi ne fa le veci.

1.         Al fine di garantire l'adempimento dell'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, il sindaco, mediante accesso all'Anagrafe nazionale dell'istruzione (ANIST) di cui all'articolo 62-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, individua i minori non in regola con il predetto obbligo e ammonisce senza ritardo il responsabile dell'adempimento dell'obbligo medesimo invitandolo ad ottemperare alla legge.

2. Iniziato l'anno scolastico, l'elenco degli obbligati è confrontato con i registri dei fanciulli iscritti nelle scuole al fine di accertare chi siano gli inadempienti.

2.         Nelle more dell'attivazione dell'Anagrafe nazionale dell'istruzione (ANIST), ai medesimi fini di cui al comma 1, i dirigenti scolastici trasmettono al sindaco, entro il mese di ottobre, i dati relativi ai minori, soggetti all'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, regolarmente iscritti presso le proprie istituzioni scolastiche.

3. L'elenco degli inadempienti viene, su richiesta dell'autorità scolastica, affisso nell'albo pretorio per la durata di un mese.

3.         Con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione e del merito, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono definiti, ai fini del comma 2, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente disposizione, i soggetti cui possono essere comunicati i dati personali, le operazioni di trattamento, le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti degli interessati, nonché e le misure di sicurezza di cui al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.

4. Trascorso il mese dell'affissione di cui al comma 3, il sindaco ammonisce la persona responsabile dell'adempimento invitandola ad ottemperare alla legge.

4.         Il dirigente scolastico verifica la frequenza degli alunni in obbligo di istruzione individuando quelli che sono assenti per più di 15 giorni, anche non consecutivi, nel corso di tre mesi, senza giustificati motivi. Nel caso in cui l'alunno non riprenda la frequenza entro 7 giorni dalla comunicazione al responsabile dell'adempimento dell'obbligo d'istruzione, il dirigente scolastico avvisa entro 7 giorni il sindaco affinché questi proceda all'ammonizione del responsabile medesimo invitandolo ad ottemperare alla legge. In ogni caso, costituisce elusione dell'obbligo di istruzione la mancata frequenza di almeno un quarto del monte ore annuale personalizzato senza giustificati motivi.

5. Ove essa non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l'assenza dei fanciulli dalla scuola pubblica, o non ve li presenti entro una settimana dall'ammonizione, il sindaco procede ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale. Analoga procedura è adottata in caso di assenze ingiustificate durante il corso dell'anno scolastico tali da costituire elusione dell'obbligo scolastico.

5.         In caso di violazione dell'obbligo di istruzione di cui al comma 1, il sindaco procede ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale se la persona responsabile dell'adempimento dell'obbligo e previamente ammonita non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, la mancata iscrizione del minore presso una scuola del sistema nazionale di istruzione o non ve lo presenti entro una settimana dall'ammonizione. Parimenti il sindaco procede ai sensi dell'art. 331 del codice di procedura penale in caso di elusione dell'obbligo di istruzione di cui al comma 4.

6. Si considerano giustificate le assenze dalla scuola di cui all'art. 17, comma 4, della legge 22 novembre 1988, n. 516 e all'art. 4, comma 4, della legge 8 marzo 1989, n. 101.

6.         Identico.

 

7.         Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a tutti i soggetti responsabili della vigilanza sull'adempimento dell'obbligo di istruzione di cui all'articolo 1, comma 622 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

 

8.         Le attività previste dal presente articolo si svolgono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 12, commi 1-3
(Modifiche al codice penale in materia di reato di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori)

 

 

L’articolo 12, commi 1-3, modificato al Senato, modifica il codice penale in materia di reato di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori, trasformando il predetto reato da contravvenzione in delitto, con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatorio.

 

L’articolo 12, comma 1, prevede l’inserimento nel codice penale dell’art. 570-ter, concernente il delitto di inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori.

In virtù del primo comma del nuovo art. 570-ter c.p. il responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico che non abbia iscritto il minore all’inizio dell’anno scolastico, e che, ammonito dal sindaco ai sensi dell’art. 114, comma 1, del D. Lgs. 297/1994 (il riferimento è alla versione novellata di tale articolo introdotta dal provvedimento in esame, su cui v. infra), non prova di procurare in altro modo l’istruzione del minore, non giustifica la mancata iscrizione del minore presso una scuola del sistema nazionale di istruzione con motivi di salute o altro grave impedimento o non presenta il minore a scuola entro una settimana, è punito con la reclusione fino a due anni.

Ai sensi del secondo comma del medesimo art. 570-ter il responsabile dell’adempimento dell’obbligo d’istruzione che, ammonito dal sindaco ai sensi del medesimo art. 114, comma 4, del D. Lgs. 297/1994, per assenze ingiustificate durante il corso dell'anno scolastico tali da costituire elusione dell'obbligo d’istruzione, non prova di procurare altrimenti l’istruzione del minore, non giustifica l’assenza del minore con motivi di salute o altro grave impedimento o non presenta il minore a scuola entro una settimana, è punito con la reclusione fino a un anno.

 

L’art. 114 del D.Lgs. 297/1994 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), nella versione attualmente in vigore, reca disposizioni sulla vigilanza dell’adempimento dell’obbligo d’istruzione. A tal proposito si ricorda che il comma premissivo 01 del medesimo articolo 12 del provvedimento in commento (alla cui scheda del presente dossier si rinvia), introdotto al Senato, riscrive interamente il citato articolo 114.

Nella versione attualmente vigente, il comma 1 prevede l'obbligo a carico del sindaco di trasmettere ogni anno, prima della riapertura delle scuole, ai direttori didattici l'elenco dei fanciulli che per ragioni di età sono soggetti all'obbligo scolastico, con l'indicazione del nome dei genitori o di chi ne fa le veci.

Il comma 2 prevede che venga effettuato il riscontro tra l’elenco di cui al comma 1 e gli iscritti alle scuole per verificare le eventuali inadempienze dell’obbligo scolastico.

Il comma 3 prevede l’affissione all’albo pretorio, su richiesta dell’autorità scolastica, dell’elenco degli inadempienti per il periodo di un mese.

Ai sensi del comma 4, trascorso il mese il sindaco ammonisce il responsabile dell’adempimento dell’obbligo ad ottemperare alla legge.

Il comma 5 prevede un obbligo di denuncia a carico del sindaco qualora il responsabile dell’adempimento dell’obbligo non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l'assenza dei fanciulli dalla scuola pubblica, o non ve li presenti entro una settimana dall'ammonizione, nonché nel caso di assenze ingiustificate durante il corso dell'anno scolastico tali da costituire elusione dell'obbligo scolastico.

Ai sensi del comma 6, si considerano giustificate le assenze per le festività religiose di cui alle intese con l'Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (art. 17, c. 4, L. 516/1988) e con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane (art. 4, c. 4, L. 101/1989).

 

Ai sensi dell’art. 113 del medesimo D. Lgs. 297/1994 sono responsabili dell’adempimento dell’obbligo scolastico i genitori dell'obbligato o chiunque a qualsiasi titolo ne faccia le veci.

 

Il comma 2 della disposizione in esame prevede che il pubblico ministero quando acquisisce la notizia dei reati di cui all’art. 570-ter c.p. ne informi senza ritardo il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, per le eventuali iniziative di competenza ai sensi dell’art. 336 c.c.

 

L’art. 336 c.c. attribuisce al pubblico ministero la legittimazione ad agire per ottenere l’adozione dei provvedimenti a tutela del minore previsti dagli artt. 300 ss. fra cui l’allontanamento del minore dalla casa familiare e la decadenza dalla responsabilità genitoriale

 

Si ricorda che nell’ambito della riforma del processo civile introdotta dal D. Lgs. 149/2022 (cd. “riforma Cartabia”) è stata prevista (Capo IV, sezione III, art. 30 ss.) l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, destinato a sostituire l’attuale tribunale per i minorenni

Secondo quanto previsto dall’art. 30, che reca modifiche all’ordinamento giudiziario di cui al RD 12/1941, il nuovo tribunale avrà giurisdizione: in primo e in secondo grado, in materia civile nei procedimenti aventi ad oggetto lo stato e la capacità delle persone, ivi compresa la materia tutelare, la famiglia, l'unione civile, le convivenze, i minori; in primo grado in materia penale e nella materia della sorveglianza minorile.

Il tribunale sarà costituito in ogni sede di corte d’appello (o di sezione distaccata di corte d’appello) e sarà articolato in una sezione distrettuale, avente sede nel capoluogo del distretto, con giurisdizione su tutto il territorio della corte d’appello (o della sezione distaccata di corte d’appello) e in una o più sezioni distaccate circondariali, costituite in ogni sede di tribunale ordinario del distretto, con giurisdizione sul circondario.

La riforma distingue poi le materie che dovranno essere trattate dalla sede distrettuale del tribunale (tutta la materia penale e il secondo grado della materia civile trattata dalla sezione circondariale; alcune questioni civili in primo grado) e quelle di competenza della sede circondariale e conferma nella sezione di corte d’appello la competenza a trattare le impugnazioni avverso le decisioni della sezione distrettuale del tribunale.

Le richiamate disposizioni della riforma sul tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avranno effetto, ai sensi dell’art. 49, comma 1, del citato d. lgs. 149, decorsi due anni dalla data di pubblicazione del decreto legislativo medesimo (il decreto è stato pubblicato il 17 ottobre 2022). Pertanto, al momento, tali disposizioni non hanno ancora effetto.

 

Il comma 3 prevede, conseguentemente all’introduzione dell’art. 570-ter prevista dal comma 1, l’abrogazione dell’art. 731 c.p. concernente la contravvenzione di inosservanza dell’obbligo scolastico.

 

Si ricorda che attualmente l’art. 731 c.p. punisce con l’ammenda fino a 30 euro chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza di un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare.

Si tratta, dunque, di una contravvenzione, che può essere commessa da genitori, tutori, adottanti, affidatari, responsabili degli istituti di assistenza, pervenendo, in sostanza, ad una coincidenza tra i soggetti destinatari dell'obbligo penalmente sanzionato e i soggetti responsabili dell'adempimento dell'obbligo scolastico che, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 76 del 2005 sono «i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci».

La condotta può essere posta in essere soltanto attraverso un'omissione e – data la natura contravvenzionale – non rileva l'elemento soggettivo che può essere, indifferentemente, il dolo o la colpa. Il reato è attribuito alla competenza del giudice di pace (art. 4, co. 1, lett. b) del d.lgs. n. 274 del 2000).

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della norma penale, la disposizione abrogata utilizzava tanto nella rubrica, quanto nel testo, l'aggettivo "elementare".

Ciononostante, fino al 2010, la contravvenzione si applicava anche per l’inosservanza dell’obbligo di frequenza della scuola media in virtù dell’art. 8 della legge n. 1859 del 1962 (Istituzione e ordinamento della scuola media statale), che prevedeva in caso di violazione dell’obbligo scolastico l’applicazione delle «sanzioni previste dalle vigenti disposizioni per gli inadempimenti all'obbligo dell'istruzione elementare».

Con l’abrogazione di questa norma da parte del d.lgs. n. 212 del 2010, nessuna norma penale puniva quindi l'inosservanza dell'obbligo scolastico della scuola media anche inferiore, sicché l'eventuale estensione dell'art. 731 a detta ipotesi si sarebbe risolto in un'inammissibile interpretazione analogica in malam partem. In questo senso si è espressa la Corte di cassazione (Sez. III, sentenza n. 4520 del 2017), affermando che l'art. 731 non ha contenuto meramente sanzionatorio dell'obbligo scolastico previsto da varie leggi di ordine pubblico che si sono succedute nel tempo (v. infra) e prevede una specifica condotta costituita dall'inosservanza non del generico obbligo scolastico ma di quello specifico dell'istruzione elementare (nello stesso senso anche Sez. III, sentenza n. 4523 del 2017).

 

Si rileva infine che l’art. 5 del d.d.l. a prima firma Romeo (A.S. 349), in corso d’esame, in sede redigente, in Commissione giustizia, presso il Senato, propone invece una modifica dell’art. 731 c.p., prevedendo la contravvenzione dell’ammenda fino a 1.000 euro per chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, ometta, senza un giusto motivo, di impartirgli o fargli impartire l’istruzione obbligatoria fino ai primi due anni della scuola secondaria di secondo grado. Si prevede inoltre la sanzione accessoria della sospensione, per un massimo di tre anni, di qualunque beneficio o agevolazione economica a carico della finanza pubblica eventualmente percepito dai responsabili.

 

Rispetto alla disciplina vigente, quindi, le disposizioni in commento:

· trasformano il reato da contravvenzione in delitto, con conseguente inasprimento del trattamento sanzionatorio;

· ne estendono l’ambito di applicazione dalla sola istruzione elementare all’istruzione obbligatoria.

 

La base legislativa dell’obbligo scolastico (o meglio di istruzione, in quanto non deve essere necessariamente assolto a scuola, come si dirà meglio in seguito) si rinviene nell’art. 1, comma 622 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007).

Esso prevede che l’istruzione impartita per almeno dieci anni (dai 6 ai 16 anni) è obbligatoria (e gratuita) ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'adempimento dell'obbligo di istruzione deve consentire, una volta conseguito il titolo di studio conclusivo del primo ciclo, l'acquisizione dei saperi e delle competenze previste dai curricula relativi ai primi due anni degli istituti di istruzione secondaria superiore. L'obbligo di istruzione si assolve anche nei percorsi di istruzione e formazione professionale di cui al Capo III del decreto legislativo n. 226 del 2005.

Inoltre, l’art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 76 del 2005 prevede che la Repubblica assicura a tutti il diritto all'istruzione e alla formazione, per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Tale diritto (che dopo i 16 anni non è più anche un obbligo, come chiarito informalmente dai competenti uffici del Ministero dell’istruzione e del merito) si realizza nelle istituzioni del primo e del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione, costituite dalle istituzioni scolastiche e dalle istituzioni formative accreditate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano.

L’art. 1, comma 2 del decreto ministeriale n. 139 del 22 agosto 2007, ribadisce che l’adempimento dell’obbligo di istruzione è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18° anno di età, con il conseguimento dei quali si assolve il diritto/dovere di cui al citato decreto legislativo n. 76 del 2005.

Ai sensi – da ultimo - della circolare ministeriale n. 33071 del 30 novembre 2022 (pag. 13) - l’obbligo di istruzione, che riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni, “si assolve dopo l’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione, attraverso una delle seguenti modalità:

?       frequenza del primo biennio di uno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado nelle scuole statali e paritarie (Licei, Tecnici, Professionali) o in uno dei percorsi triennali e quadriennali dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) erogati dai centri di formazione professionale accreditati dalle Regioni e dagli istituti professionali in regime di sussidiarietà;

?       sottoscrizione e successivo adempimento, a partire dal quindicesimo anno di età, di un contratto di apprendistato, ai sensi dell’art. 43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fermi restando i compiti e le responsabilità che gravano in capo al datore di lavoro e all’istituzione formativa previsti dal decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 12 ottobre 2015, attuativo dell’art. 46, comma 1, del citato decreto legislativo n. 81 del 2015;

?       istruzione parentale. In questo caso, ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62 e del decreto ministeriale 8 febbraio 2021, n. 5,  gli studenti sostengono annualmente l’esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria, fino all’assolvimento dell’obbligo di istruzione. I genitori e gli esercenti la responsabilità genitoriale che intendano avvalersi dell’istruzione parentale devono effettuare annualmente la comunicazione preventiva (art. 23 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62) al dirigente scolastico del territorio di residenza, entro il termine di presentazione delle iscrizioni on line, inviando contestualmente il progetto didattico-educativo che si intende seguire in corso d’anno.

I dirigenti scolastici delle scuole primarie e secondarie di primo grado – prosegue la circolare ministeriale n. 33071 del 30 novembre 2022 - al termine delle procedure di iscrizione, verificano se tutti gli alunni frequentanti le classi terminali del proprio istituto hanno prodotto domanda di iscrizione al percorso di istruzione successivo. Qualora risultino alunni non iscritti, i dirigenti scolastici sono tenuti a contattare i genitori e gli esercenti la responsabilità genitoriale per verificare se abbiano presentato domanda di iscrizione presso una scuola paritaria o non paritaria ovvero presso centri di formazione professionale regionali ovvero se intendano provvedere all’assolvimento dell’obbligo attraverso l’istruzione parentale. Tali informazioni vanno puntualmente verificate e inserite nell’Anagrafe nazionale degli studenti. Al riguardo, si rammenta ai dirigenti scolastici l’importanza del costante e continuo aggiornamento dell’Anagrafe, per consentire il monitoraggio dei percorsi scolastici degli alunni e dell’assolvimento dell’obbligo di istruzione”.

Si veda anche l’apposita sezione del sito web del Ministero dell’istruzione e del merito.

Articolo 12, commi 4 e 4-bis
(Assegno di inclusione)

 

 

L’articolo 12, comma 4, – modificato al Senato - reca novelle a disposizioni del decreto-legge n. 48 del 2023, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, in materia di assegno di inclusione, introducendo, in primo luogo, la fattispecie della esclusione dal diritto al beneficio del nucleo familiare in caso di mancata documentazione dell’adempimento dell’obbligo di istruzione dei componenti minorenni del nucleo medesimo e, in secondo luogo, la fattispecie della sospensione del beneficio, in caso di condanna definitiva per il delitto di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori, fino alla ripresa della regolare frequenza scolastica del minore, documentata con certificazione rilasciata dal dirigente scolastico, ovvero, in mancanza di tale certificazione, per un periodo di due anni. Il comma 4-bis - introdotto al Senato - dispone che si provveda all’attuazione della suddetta nuova fattispecie di esclusione con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione e del merito, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

 

Nel dettaglio, l’articolo 12  – che, nel suo complesso, reca interventi per il rafforzamento del rispetto dell’obbligo scolastico – interviene, nel punto qui in esame riferito al comma 4, a novellare gli articoli 2 e 8 del decreto-legge n. 48 del 2023, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, allargando il novero dei casi di esclusione e di sospensione del diritto all’assegno di inclusione in relazione alla frequenza scolastica del componente minorenne del nucleo familiare.

 

Giova ricordare che il richiamato articolo 2 del D.L. 48/2023 è volto a delineare la platea dei beneficiari dell’Assegno per l’inclusione, individuando una serie di requisiti, il cui possesso consente l’accesso al beneficio.

In particolare, per l’accesso al beneficio devono concorrere, tra i diversi requisiti, - per quanto concerne il profilo di interesse in relazione alla disposizione in commento - quello della mancata sottoposizione a misura cautelare personale, a misura di prevenzione, e alla mancanza di sentenze definitive di condanna.

L’articolo 8 del dl 48/2023 concerne, invece, il quadro sanzionatorio per la repressione delle indebite percezioni del beneficio dell’assegno di inclusione e del supporto per la formazione e il lavoro e reca interventi in materia di sospensione di tali benefici e in materia di revoca e decadenza dall’Assegno di inclusione.

 

La lettera a) del comma 4 in commento reca modifica di coordinamento, conseguente a quanto previsto dalla successiva lettera c), numero 1).

In particolare, si interviene sull’articolo 2, comma 2, lettera d) del dl 48/2023, che - come sopra ricordato - concerne specificamente il requisito che deve essere posseduto ai fini della fruizione del beneficio dell’assegno di inclusione relativo alla mancata sottoposizione a misura cautelare personale, a misura di prevenzione, e mancanza di sentenze definitive di condanna.

Si prevede, quindi, in raccordo con le novelle introdotte dalla lettera c) del comma 4 qui in commento, che, ai fini della fruizione del beneficio, vi sia la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, a misura di prevenzione, nonché la mancanza di sentenze definitive di condanna o adottate ai sensi degli articoli 444 e seguenti del codice di procedura penale intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, come indicate nel comma 3 e nel nuovo comma 3-bis dell’articolo 8 (introdotto dalla norma qui in commento).

 

Con modifica apportata dalla lettera b) del comma 4, si introduce – per effetto dell’inserimento del comma 3-bis all’articolo 2 del D.L. 48/2023 - un ulteriore caso (rispetto a quello previsto nel comma 3 nel testo del decreto-legge) di esclusione dal diritto al riconoscimento dell’assegno di inclusione a carico del nucleo familiare per i cui componenti minorenni non sia documentato l’adempimento dell’obbligo di istruzione nell'ambito del patto per l'inclusione. Il requisito della documentazione dell’adempimento dell’obbligo di istruzione, introdotto al Senato, sostituisce l’originaria locuzione, riferita alla documentazione della regolare frequenza della scuola dell’obbligo.

Tale modifica – che avendo carattere ordinamentale non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica - si è resa necessaria principalmente alla luce dell’evoluzione normativa registratasi in materia di obbligo di istruzione[18].

 

Si ricorda che il citato comma 3 dell’articolo 2 del D.L. 48/2023 stabilisce che non ha diritto al beneficio il nucleo familiare in cui un componente - sottoposto agli obblighi di adesione e alla partecipazione attiva a tutte le attività formative, di lavoro, nonché alle misure di politica attiva, individuate nel progetto di inclusione sociale e lavorativa - risulta disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa nonché la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Il comma 4-bis dell’articolo 12, introdotto al Senato, dispone che all’attuazione delle previsioni del comma 3-bis dell’articolo 2 del decreto-legge n. 48 del 2023 si provvede con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’istruzione e del merito, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

La lettera c) del comma 4 apporta modifiche all’articolo 8 del decreto-legge 48/2023, prevedendo, in particolare, l’introduzione del nuovo comma 3-bis.

Tale nuovo comma contempla un’ulteriore ipotesi di sospensione del beneficio conseguente a condanna definitiva per il delitto di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori (introdotto dal comma 1 dell’articolo in commento, vedi sopra), fino alla ripresa della regolare frequenza scolastica del minore, documentata con certificazione rilasciata dal dirigente scolastico o, in mancanza, per un periodo di due anni (lettera c, numero 1).

In particolare, la sospensione del beneficio consegue alla condanna in via definitiva o alla sentenza definitiva adottata ai sensi dell’art. 444 ss. c.p.p. (applicazione della pena su richiesta delle parti, cd. “patteggiamento”), con espressa deroga alla previsione di cui all’art. 445, comma 1-bis, c.p.p.

 

Ai sensi dell’art. 445, comma 1-bis, c.p.p. se non sono applicate pene accessorie non producono effetto le disposizioni di legge diverse da quelle penali che equiparano la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti alla sentenza di condanna.

 

Considerato che l’articolo 8 del D.L. 48/2023  - che è oggetto di novella – reca disposizioni in materia di sanzioni e di responsabilità penale, contabile e disciplinare con riferimento sia all’assegno di inclusione, sia al supporto per la formazione e il lavoro, si valuti l’opportunità di chiarire se il nuovo comma 3-bis, introdotto dal comma 4, lettera c) , numero 1), in cui si utilizza la locuzione “sospensione del beneficio”  riguardi esclusivamente l’assegno di inclusione – come apparirebbe evincersi dalla relazione illustrativa che si riferisce espressamente alla sola misura dell’assegno di inclusione – o entrambi i benefici dell’assegno di inclusione e del supporto per la formazione e il lavoro.

 

I numeri 2 e 3 della lett. c) recano modifiche di coordinamento, conseguenti a quanto previsto dal numero 1, al medesimo articolo 8.

 

Il numero 2, in particolare, interviene sull’articolo 8, comma 4, del D.L. 48/2023, il quale prevede che le decisioni che comportano la decadenza dal beneficio ai sensi del comma 3 (vale a dire a seguito di condanna in via definitiva o applicazione di misura cautelare al beneficiario) e la sospensione del beneficio ai sensi del nuovo comma 3-bis (vale a dire a seguito di condanna definitiva per il delitto di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori) debbano essere comunicate dalla cancelleria del giudice all’INPS entro quindici giorni dal passaggio in giudicato della sentenza o dall’applicazione della misura di prevenzione con provvedimento definitivo.

Il numero 3 interviene sull’articolo 8, comma 5, del D.L. 48/2023, il quale stabilisce - ferme restando le previsioni di cui al comma 3 (immediata decadenza dal beneficio per condanna in via definitiva o applicazione di misura cautelare al beneficiario) e di cui al nuovo comma 3-bis (sospensione del beneficio relativo all’assegno di inclusione per condanna in via definitiva per il delitto di inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori) - l’immediata revoca dell’Assegno di inclusione quando l’INPS accerti la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento dell’istanza ovvero l’omessa o mendace successiva comunicazione di qualsiasi intervenuta variazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare dell’istante. La revoca ha efficacia retroattiva, con il conseguente obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite.


 

Articolo 13, commi 1-8 e 8-ter
(Applicazioni di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica)

 

 

I commi da 1-8 dell’articolo 13 recano norme intese ad assicurare la possibilità di fruizione, gratuita, di applicazioni per il controllo parentale dei dispositivi di comunicazione elettronica; tale possibilità viene garantita mediante la previsione di obblighi, in via immediata a carico dei fornitori (anche con riferimento, secondo la previsione di cui al comma 7, ai dispositivi già oggetto di fornitura prima dell’entrata in vigore del presente decreto) e, a regime, a carico dei produttori; per la violazione di tali obblighi sono comminate sanzioni amministrative pecuniarie. Per le offerte di servizi di comunicazione elettronica dedicate ai minori di età viene confermata la disciplina già vigente, la quale prevede per il fornitore l’obbligo di preattivazione (anch’essa gratuita) di un’applicazione di controllo parentale (disapplicabile da parte di chi esercita la responsabilità genitoriale). Sono inoltre previste norme in materia di informazione degli utenti e in materia di tutela dei dati personali. Il comma 8-ter – inserito al Senato – reca le clausole di invarianza degli oneri di finanza pubblica.

 

Più in particolare, il comma 2 del presente articolo prevede, in primo luogo, che, in via immediata, i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica assicurino la disponibilità di applicazioni per il controllo parentale nell’ambito dei contratti di fornitura dei servizi inerenti ai dispositivi di comunicazione elettronica individuati dal comma 1[19]; questi ultimi sono: smartphone, computer, tablet e, ove compatibili, consolli di videogiochi e altri possibili oggetti connessi, che consentano l’accesso ai browser, quali televisori, orologi, assistenti vocali, sistemi di domotica e di «Internet delle cose» (il riferimento ai browser è stato inserito al Senato). In secondo luogo, si dispone che, entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto (quindi, entro il 16 settembre 2024), i produttori assicurino, all’atto dell’immissione sul mercato dei suddetti dispositivi, che i sistemi operativi ivi installati consentano l’utilizzo di applicazioni per il controllo parentale (incluse nei medesimi sistemi).

In base alla definizione di cui al comma 1, le applicazioni di controllo parentale, ai fini della disciplina di cui al presente articolo 13, commi da 1 a 8, sono costituite da elementi esterni ai suddetti dispositivi di comunicazione elettronica, da soluzioni a livello di rete o da applicazioni o software per i medesimi dispositivi di comunicazione elettronica, facilmente comprensibili e accessibili agli utenti e che consentano l’esercizio del controllo parentale. Il controllo parentale è a sua volta definito (nel medesimo comma 1) come la possibilità, per i genitori o per coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, di controllare e limitare l’accesso alla rete o ai contenuti (diffusi tramite la stessa) da parte dei minori, mediante la scelta degli spazi digitali e dei tempi di utilizzo.

Riguardo alle varie nozioni di cui al comma 1, una modifica operata al Senato ha specificato che esse concernono anche l’applicazione del successivo articolo 14.

Il comma 4 del presente articolo 13 prevede che il servizio, richiesto dall’utente, di attivazione di un’applicazione di controllo parentale sia garantito gratuitamente nell’ambito dei contratti di fornitura del servizio principale; il comma 5 specifica che, per le offerte di servizi di comunicazione elettronica dedicate ai minori di età, resta ferma la normativa già vigente, la quale: prevede l’obbligo, a carico del fornitore, di preattivazione (anch’essa gratuita) di un’applicazione di controllo parentale; ammette che quest’ultima sia disattivata solo su richiesta di chi esercita la responsabilità genitoriale. Si ricorda che tale normativa è posta dal richiamato articolo 7-bis del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2020, n. 70. Essa, in base all’applicazione seguita dalla delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 9 del 25 gennaio 2023, si applica alle sole offerte (di servizi di comunicazione elettronica) dedicate ai minori di età.

Riguardo alle offerte diverse da queste ultime, il summenzionato comma 4 prevede altresì che, per la definizione dei contenuti da filtrare ovvero bloccare e delle modalità di realizzazione tecnica del filtro o del blocco, si applichino, fino a nuove determinazioni da parte della suddetta Autorità, quelle poste dalla citata delibera del 25 gennaio 2023.

Il comma 3 del presente articolo 13 richiede che i produttori dei suddetti dispositivi di comunicazione elettronica, anche per il tramite dei distributori operanti in Italia, informino l’utente sulla possibilità e sull’importanza di utilizzare applicazioni di controllo parentale (quest’ultima norma è stata così riformulata al Senato, mentre il testo originario faceva riferimento all’importanza dell’installazione delle applicazioni, anziché all’importanza dell’utilizzo); tale adempimento deve essere garantito entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto (quindi, entro il 16 dicembre 2023) e può essere effettuato anche tramite l’inserimento, nelle confezioni di vendita, di uno specifico foglio illustrativo o tramite l’apposizione sulla confezione di uno specifico supporto adesivo che, con apposita evidenziazione grafica, segnali, con chiarezza e semplicità, l’esistenza delle applicazioni suddette, potenzialmente attivabili, rinviando per maggiori informazioni ai siti internet istituzionali del Dipartimento per le politiche per la famiglia[20] e dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Il successivo comma 6 esclude che i dati personali, raccolti o generati durante l’attivazione delle applicazioni di controllo parentale, possano essere utilizzati per scopi commerciali e di profilazione.

Riguardo ai dispositivi summenzionati che siano stati già oggetto di fornitura prima della data di entrata in vigore del presente decreto, il comma 7 dispone che i fornitori dei servizi di comunicazione elettronica inviino, entro 30 giorni dalla medesima data di entrata in vigore (quindi, entro il 16 ottobre 2023), una comunicazione ai propri clienti riguardo alla possibilità e all’importanza dell’installazione (o comunque della richiesta di installazione) delle applicazioni di controllo parentale.

Il comma 8 specifica che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigila sulla corretta applicazione del presente articolo e, previa diffida ai soggetti obbligati, irroga le sanzioni di cui all’articolo 1, comma 31, della L. 31 luglio 1997, n. 249, e successive modificazioni. Quest’ultimo comma prevede, per i soggetti che non ottemperino agli ordini e alle diffide della suddetta Autorità, la sanzione amministrativa pecuniaria (irrogata dalla medesima Autorità) da 10.329 euro a 258.228 euro[21].

Si ricorda che la normativa già applicata per le offerte di servizi di comunicazione elettronica dedicate ai minorenni – e confermata, come detto, dal precedente comma 5 per la stessa fattispecie – prevede altresì la restituzione delle eventuali somme ingiustificatamente addebitate agli utenti nonché l’indicazione, nella diffida dell’Autorità, di un termine non inferiore a sessanta giorni entro cui l’operatore deve effettuare gli adempimenti oggetto della stessa diffida (adempimenti relativi, in ipotesi, anche alla suddetta restituzione). Si valuti l’opportunità di chiarire se l’inclusione, nell’ambito del contenuto delle diffide, dell’ordine di restituzione delle eventuali somme ingiustificatamente addebitate concerna ora, in virtù del principio di gratuità di cui al comma 4 e sempre con riferimento alle applicazioni di controllo parentale, anche le offerte (dei dispositivi summenzionati) diverse da quelle dedicate ai minorenni.

Si ricorda che il comma 4 del successivo articolo 14 prevede che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni predisponga, entro il 31 gennaio di ciascun anno, per l’Autorità politica con delega alle politiche per la famiglia, una relazione sull’impatto dell’attuazione del presente articolo 13, con particolare riferimento all’uso delle applicazioni di controllo parentale, nonché sull’impatto dell’attuazione dell’articolo 13-bis (riguardo a quest’ultimo, cfr. la relativa scheda); tale relazione, ai sensi del comma 5 dell’articolo 14, viene utilizzata dalla suddetta Autorità politica, al fine della predisposizione della relazione annuale al Parlamento sull’attuazione del presente articolo 13 e dei suddetti articoli 13-bis e 14 (l’oggetto delle due summenzionate relazioni è stato così precisato al Senato).

Il comma 8-ter – inserito al Senato – reca le clausole di invarianza degli oneri di finanza pubblica.

Articolo 13, comma 8-bis
(Classificazione delle opere cinematografiche)

 

 

L’articolo 13, comma 8-bis, inserito al Senato, introduce una specificazione nell’ambito della classificazione delle opere cinematografiche, equiparando ad esse tutte le opere visive e audiovisive in qualsiasi forma e modalità di riproduzione, comprese quelle digitali su piattaforme streaming o social.

 

Si ricorda in proposito che, secondo l’articolo 2 della L. n. 220/2016:

a) l’opera audiovisiva è la registrazione di immagini in movimento, anche non accompagnate da suoni, realizzata su qualsiasi supporto e mediante qualsiasi tecnica, anche di animazione, con contenuto narrativo, documentaristico o videoludico, purché opera dell'ingegno e tutelata dalla normativa vigente in materia di diritto d'autore e destinata al pubblico dal titolare dei diritti di utilizzazione;

b) il film ovvero l’opera cinematografica sono l'opera audiovisiva destinata prioritariamente al pubblico per la visione nelle sale cinematografiche; i parametri e i requisiti per definire tale destinazione sono stabiliti con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo.

 

A tal fine, è aggiunto un ulteriore periodo all'articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 203/2017.

 

Al comma 1 l’articolo oggetto di novella stabilisce che il d.lgs. 203/2017 provvede alla riforma, al riassetto e alla razionalizzazione delle disposizioni legislative in materia di tutela dei minori nella visione di opere cinematografiche e audiovisive, ispirandosi ai principi di libertà e di responsabilità degli imprenditori del settore cinematografico e audiovisivo e dei principali agenti educativi, tra i quali in primo luogo la famiglia.

Ai sensi del comma 2, il medesimo d.lgs. 203/2017 detta, in particolare, disposizioni in materia di classificazione delle opere cinematografiche, con riguardo ai profili organizzativi, procedimentali e sanzionatori.

L’articolo 2 del provvedimento sopra richiamato dispone altresì che la classificazione delle opere cinematografiche è finalizzata ad assicurare il giusto e equilibrato bilanciamento tra la tutela dei minori e la libertà di manifestazione del pensiero e dell'espressione artistica. La classificazione è proporzionata alle esigenze della protezione dell'infanzia e della tutela dei minori, con particolare riguardo alla sensibilità e allo sviluppo della personalità propri di ciascuna fascia d'età e al rispetto della dignità umana. A tal fine, le opere cinematografiche sono classificabili, in base al pubblico di destinazione, nel modo seguente: a) opere per tutti; b) opere non adatte ai minori di anni 6; c) opere vietate ai minori di anni 14; d) opere vietate ai minori di anni 18. Per le opere di cui alle lettere c) e d), il minore non può assistere agli spettacoli di opere cinematografiche per cui non ha conseguito l'età prevista per la visione, salvo che non sia accompagnato da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale e abbia compiuto almeno, rispettivamente, 12 e 16 anni.

Articolo 13-bis
(Disposizione per la verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici)

 

 

L’articolo 13-bis detta disposizioni al fine di tutelare il benessere psico-fisico dei giovani non maggiorenni rispetto all’accesso e alla fruizione di contenuti audiovisivi e multimediali di tipo pornografico. Allo stesso modo, per rendere effettivo lo scopo di cui sopra, viene incaricata l’Autorità indipendente competente in materia (AGCom) ad obblighi di vigilanza circa l’opportuna esecuzione della norma, nonché ad eventuali obblighi sanzionatori nei confronti dei soggetti che violino le nuove disposizioni introdotte con l’articolo in esame.

 

Il comma 1 dispone il divieto di accesso, ai minori degli anni diciotto, a contenuti multimediali di carattere pornografico, in quanto gli stessi minano la dignità dei giovani e ne compromettono il benessere psico-fisico, provocando una questione rilevante a livello di tutela della salute pubblica.

 

Il comma 2 prevede in incipit una clausola di salvaguardia, facendo riferimento agli effetti delle norme di cui all’art. 42, D. lgs. 8 novembre 2021, n. 208, dettato in materia di misure di tutela nell’ambito della diffusione di contenuto audiovisivo e multimediale.

 

In particolar modo, tale decreto legislativo, recante Testo Unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell'evoluzione delle realtà del mercato, risponde all’esigenza di recepire la direttiva UE/2018/1808, che si preoccupa di tutelare i fruitori delle piattaforme multimediali da determinati tipi di contenuti, quali quelli pornografici, quelli violenti e di istigazione, e quelli la cui circolazione, a qualsiasi altro titolo, costituisce reato.

 

Nello specifico, il comma de quo prevede che i gestori delle piattaforme pornografiche verifichino la maggiore età dei fruitori che accedono ai contenuti.

 

Il comma 3 invece stabilisce che l’Autorità garante delle comunicazioni (di seguito: AGCom) statuisca, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, con proprio provvedimento e previo confronto con il Garante per la protezione dei dati personali, le modalità tecniche e il processo che i soggetti di cui al comma 2, ossia i gestori delle piattaforme pornografiche, devono osservare affinché possano correttamente verificare la compiuta maggiore età dell’utente.

 

Il comma 4 prevede che, entro sei mesi dalla data del provvedimento di cui al comma 3 (ossia, il provvedimento dell’AGCom), i soggetti di cui al comma 2 debbano dotarsi di efficaci sistemi di verifica della maggiore età, in ottemperanza al predetto provvedimento dell’Autorità garante.

Il comma 5 prevede che l’AGCom vigili sulla corretta applicazione del presente articolo e, in caso di inadempimento, contesti anche ex officio la violazione applicando l’art. 1, comma 31, del decreto legislativo n. 249 del 1997 e li diffida ad adeguarsi entro venti giorni. In caso di reiterata inottemperanza alla diffida, l’AGCom blocca il sito o la piattaforma fino al ripristino delle condizioni idonee all’adeguamento ai contenuti della diffida.

 

Si ricorda che, nello specifico, l’art. 1, comma 31, del decreto legislativo n. 249 del 1997, recante disposizioni sull’istituzione dell’Autorità garante per le comunicazioni, dispone che “i soggetti che non ottemperano agli ordini e alle diffide dell'Autorità, impartiti ai sensi della presente legge, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.329 (lire venti milioni) a euro 258.228 (lire cinquecento milioni)”.

Articolo 14
(Alfabetizzazione digitale e mediatica a tutela dei minori e campagne informative)

 

 

L’articolo 14 – modificato al Senato - dispone, al comma 1, che il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri promuova studi ed elabori linee guida rivolte ai fruitori di dispositivi di comunicazione elettronica e di applicazioni di controllo parentale. Ai sensi del comma 2, i Centri per la famiglia offrono consulenza e servizi in merito alla alfabetizzazione mediatica e digitale dei minori. Il comma 3 prevede, poi, che il medesimo Dipartimento per le politiche della famiglia e il Ministero delle imprese e del made in Italy avviino annualmente campagne di informazione sull’uso consapevole della rete e sui rischi connessi. Secondo il comma 4, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni predispone, entro il 31 gennaio di ciascun anno, una relazione per l’Autorità politica con delega alle politiche per la famiglia sull’impatto dell’attuazione dell’art. 13 del provvedimento in esame (relativo alle applicazioni di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica), nonché – secondo quanto introdotto al Senatodel nuovo art. 13-bis, con particolare riferimento all’attuazione della misura di verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici. Il comma 5, poi, prevede che entro il 31 maggio di ciascun anno, l’Autorità politica con delega alle politiche per la famiglia presenti una relazione annuale al Parlamento sull’attuazione del precedente articolo 13, del nuovo art. 13-bis e del presente articolo 14 (e non sull’intero provvedimento, come originariamente previsto), sulla base, in particolare, della relazione di cui al precedente comma 4. Il comma 5-bis, infine - introdotto al Senato - contiene una clausola di invarianza finanziaria degli oneri dell’articolo.

 

Nel dettaglio, l’articolo in commento, al comma 1, prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia promuova studi ed elabori linee guida rivolte ai fruitori di dispositivi di comunicazione elettronica e di applicazioni di controllo parentale (le cui definizioni, presenti all’art. 13, comma 1, del presente provvedimento, sono applicabili anche all’articolo in esame), con particolare attenzione agli educatori, alle famiglie e ai minori stessi.

Ai sensi del comma 2 – modificato formalmente al Senato - i Centri per la famiglia di cui all’art. 1, comma 1250, lettera e), della legge n. 296 del 2006 offrono consulenza e servizi in merito alla alfabetizzazione mediatica e digitale dei minori, con particolare attenzione alla loro tutela rispetto all’esposizione a contenuti pornografici e violenti. A tal fine, il Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità realizza un’intesa in sede di Conferenza Unificata (di cui agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo n. 281 del 1997), avente ad oggetto i criteri e le modalità di attuazione dei servizi e delle prestazioni erogabili dai Centri per a famiglia, inclusi quelli di cui al presente comma 2 dell’art. 14.

 

Si ricorda che i Centri per la famiglia sono strutture costituite a livello locale - in via sperimentale già dagli anni ’90 – quali nodi della rete di servizi integrati a carattere sociale, socio-sanitario ed educativo per l’attuazione delle politiche dei servizi alla famiglia e del lavoro di cura. Sono stati inseriti nel Piano Nazionale della Famiglia a partire dal 2012, intesi come luoghi fisici in cui convergono le risorse sul territorio per intercettare i bisogni delle famiglie.

In particolare, l’articolo 1, comma 1250, lettera e), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007) ha previsto la loro valorizzazione insieme ai consultori familiari, al fine di potenziare gli interventi sociali integrati in favore delle famiglie.

Nell’ambito dell’ultimo Piano nazionale per la famiglia, adottato il 10 agosto 2022 con l’intesa della Conferenza unificata Stato-città ed autonomia locali se ne prevede il rafforzamento con risorse del Fondo per le politiche della famiglia, sulla base di indicatori di risultato tra cui il numero di nuovi progetti attivati e la percentuale di servizi attivi per numero di abitanti residenti, oltre che il monitoraggio e la valutazione d’impatto. In base ai contenuti del Piano, l’integrazione della rete dei centri per le famiglie e la rete dei consultori è ancora in fase di piena attuazione.

 

Il comma 3 prevede che la citata Presidenza del Consiglio dei ministriDipartimento per le politiche della famiglia e il Ministero delle imprese e del made in Italy avviino annualmente campagne di informazione sull'uso consapevole della rete e sui rischi connessi, in particolar modo sui mezzi di prevenzione dall’accesso a contenuti potenzialmente nocivi per lo sviluppo armonioso dei minori.

A mente del comma 4 – modificato al Senato - l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni predispone, entro il 31 gennaio di ciascun anno, una relazione per l’Autorità politica con delega alle politiche per la famiglia sull’impatto dell’attuazione dell’art. 13 del provvedimento in esame (recante “Applicazioni di controllo parentale nei dispositivi di comunicazione elettronica”) alla cui scheda di lettura si rinvia, con particolare riferimento all’uso delle applicazioni di controllo parentale, nonché – secondo quanto introdotto in Senato – del nuovo art. 13-bis, con particolare riferimento all’attuazione della misura di verifica della maggiore età per l’accesso a siti pornografici (alla cui scheda di lettura si rinvia).

Il comma 5 – modificato nel senso già anticipato - prevede che, entro il 31 maggio di ciascun anno, l’Autorità politica con delega alle politiche per la famiglia presenti una relazione annuale al Parlamento sull’attuazione del precedente art. 13, del nuovo art. 13-bis e del presente art. 14, sulla base della relazione (dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) di cui al precedente comma 4 e degli ulteriori elementi acquisiti nell’ambito dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile (di cui all’art. 17, comma 1-bis, della legge n. 269 del 1998), (e) dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza (di cui - da ultimo - al DPR n. 103 del 2007), operanti presso il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri, e dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica (previsto dal comma 2-bis dell’art. 5 del decreto-legge n. 93 del 2013, inserito dall’art. 1, comma 149, lettera c) della legge n. 234 del 2021), operante presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il comma 5-bis, infine - introdotto al Senato a seguito di una condizione espressa dalla Commissione bilancio ai sensi dell’art. 81 della Costituzione - prevede che le amministrazioni interessate provvedano a dare attuazione alle disposizioni dell’articolo in esame nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Articolo 15
(Designazione del coordinatore dei servizi digitali in attuazione del Regolamento (UE) 2022/2065 sui servizi digitali)

 

 

L’art. 15 indica l’AGCom quale Coordinatore dei Servizi Digitali, ai sensi del Regolamento (UE) 2022/2065, relativo a un mercato unico dei servizi digitali (Legge sui servizi digitali o Digital Services Act).

Per l’esercizio delle nuove competenze, l’AGCom collabora con l’AGCM, il Garante per la protezione dei dati personali e ogni altra Autorità competente, svolgendo i propri compiti in modo imparziale, trasparente e tempestivo.

Le sono attribuiti poteri sanzionatori per la violazione degli obblighi derivanti dal citato Regolamento, con l’irrogazione di sanzioni pecuniarie entro limiti predeterminati, secondo princìpi di proporzionalità, adeguatezza e rispetto del contraddittorio, nel rispetto delle procedure che essa stessa stabilisce con regolamento, tenendo conto della gravità del fatto e delle conseguenze che ne sono derivate, nonché della durata e dell’eventuale reiterazione delle violazioni.

L’AGCom può, altresì, condannare al pagamento di penalità di mora, con la precisazione che, in ogni caso, per le sanzioni amministrative è escluso il beneficio del pagamento in misura ridotta.

Al fine di far fronte ai nuovi compiti, la pianta organica dell’AGCom è incrementata di 23 unità, di cui: 1 dirigente, 20 funzionari e 2 operativi, il che comporta una proiezione decennale di spesa che va da circa 4 milioni di euro nel primo anno (2024) a circa 5,69 milioni di euro a partire dal 2033. A tali oneri è previsto che si faccia fronte mediante un contributo, pari allo 0,135 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato dai prestatori dei servizi intermediari stabiliti in Italia, che, per il 2024 – anno di prima applicazione – dev’essere versato direttamente all’AGCOM entro il 1° marzo 2024. L’AGCOM può, con deliberazione motivata, modificare la misura e le modalità di contribuzione per gli anni successivi, nel limite massimo dello 0,5 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato; l’elenco dei soggetti tenuti al versamento del contributo è da essa individuato con la collaborazione dell’ISTAT e dell’Agenzia delle entrate.

Infine, a decorrere dal 2024, nelle more dei concorsi per l’assunzione del personale di cui sopra e fino al termine delle procedure di reclutamento, l’AGCOM provvede all’esercizio dei nuovi compiti servendosi di non più di 10 unità di personale posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo, aspettativa o analoghe posizioni. Tale personale, non rientrante nella pianta organica dell’AGCOM, è individuato a seguito di apposito interpello, cui possono aderire i dipendenti appartenenti ai ruoli delle amministrazioni pubbliche con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche. Il trattamento economico fondamentale resta a carico delle amministrazioni di appartenenza, compresa l’indennità di amministrazione, e l’AGCOM provvede agli oneri del solo trattamento economico accessorio mediante i predetti contributi.

 

L’articolo 15, comma 1, designa l’AGCOM – Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - quale Coordinatore dei Servizi Digitali (Digital Service Act Coordinator), figura prevista dall’articolo 49, comma 2, del Regolamento (UE) 2022/2065 relativo a un mercato unico dei servizi digitali (Legge sui servizi digitali o Digital Services Act - DSA).

 

Ai sensi del citato articolo 49 comma 2, il Coordinatore dei Servizi Digitali è responsabile di tutte le questioni relative alla vigilanza e all'applicazione del Regolamento nello Stato membro, a meno che lo Stato membro interessato non abbia assegnato determinati compiti o settori specifici ad altre autorità competenti. Il Coordinatore dei Servizi Digitali è comunque responsabile di garantire il coordinamento a livello nazionale in relazione a tali questioni e di contribuire alla vigilanza e all'applicazione efficaci e coerenti del Regolamento in tutta l'Unione.

A tal fine i Coordinatori dei Servizi Digitali cooperano tra loro, con le altre autorità nazionali competenti, con il comitato e con la Commissione, fatta salva la possibilità per gli Stati membri di prevedere meccanismi di cooperazione e scambi regolari di opinioni tra il Coordinatore dei Servizi Digitali e altre autorità nazionali, ove opportuno per lo svolgimento dei rispettivi compiti.

Se uno Stato membro designa una o più autorità competenti oltre al Coordinatore dei Servizi Digitali, provvede affinché i rispettivi compiti di tali autorità e del coordinatore dei servizi digitali siano chiaramente definiti e affinché essi cooperino strettamente ed efficacemente nello svolgimento dei loro compiti.

 

Come sottolinea la Relazione illustrativa, la scelta nella designazione dell’Autorità è ricaduta sull’AGCOM in forza delle competenze e delle funzioni già da essa svolte nel campo delle comunicazioni elettroniche, dei media e dei servizi digitali, come peraltro espresso dalla IX Commissione della Camera dei deputati (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni), nel parere reso il 23 giugno 2021 in occasione dell’esame della proposta legislativa europea.

I compiti assegnati all’AGCOM nella nuova veste di Coordinatore dei Servizi Digitali consistono nel garantire:

-         l’effettività dei diritti e l’efficacia degli obblighi stabiliti dal Regolamento stesso;

-         la relativa vigilanza e il conseguimento degli obiettivi previsti, anche con riguardo alla protezione dei minori in relazione ai contenuti pornografici disponibili on line, nonché agli altri contenuti illegali o comunque vietati, veicolati da piattaforme on line o altri gestori di servizi intermediari;

-         contribuire alla definizione di un ambiente digitale sicuro.

 

La finalità di rafforzare la tutela dei minori nello spazio cibernetico e rispetto all’offerta di contenuti e servizi on line, al fine di garantirne il benessere e il pieno sviluppo fisico e mentale figura, altresì, tra le valutazioni che – per come risulta dalla Relazione illustrativa - giustificano la straordinaria necessità e urgenza dell’intervento normativo.

In Italia, sia la legislazione sia la giurisprudenza costituzionale annettono particolare importanza alla tutela dei minori anche in ambiente digitale.

Si veda la legge n. 71 del 2017 sulla prevenzione del cyberbullismo[22] e il testo – approvato dalla Camera e trasmesso al Senato – volto alla sua modifica (a.C. 536 e abbinate, con relativo dossier). V. anche la sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2019.

 

Ai sensi del comma 2, per l’esercizio delle funzioni così attribuite all’AGCOM, sono chiamate a prestare ogni necessaria collaborazione, nell’ambito delle rispettive competenze, l’AGCM – Autorità garante della concorrenza e del mercato, il Garante per la protezione dei dati personali e ogni altra Autorità nazionale competente, anche sottoscrivendo protocolli di intesa per disciplinare gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione.

 

A sua volta (comma 3), l’AGCOM è chiamata a definire, con proprio provvedimento, le condizioni, le procedure e le modalità operative per l’esercizio dei poteri e delle funzioni quale Coordinatore dei Servizi Digitali, e a svolgere i nuovi compiti in modo imparziale, trasparente e tempestivo.

 

Tale prescrizione di indipendenza che deriva dai Considerando 111, 112 e 114 del Regolamento, che qui si riportano:

(111)

Il coordinatore dei servizi digitali e le altre autorità competenti designate a norma del presente regolamento svolgono un ruolo fondamentale nel garantire l'efficacia dei diritti e degli obblighi stabiliti dal presente regolamento e il conseguimento dei suoi obiettivi. È di conseguenza necessario far sì che tali autorità dispongano dei mezzi necessari, comprese le risorse finanziarie e umane, per vigilare su tutti i prestatori di servizi intermediari di loro competenza, nell'interesse di tutti i cittadini dell'Unione. Considerata la varietà di prestatori di servizi intermediari e il loro ricorso a tecnologie avanzate nella fornitura dei rispettivi servizi, è altresì essenziale che il coordinatore dei servizi digitali e le autorità competenti pertinenti dispongano del numero necessario di membri del personale e di esperti in possesso delle competenze specialistiche e dei mezzi tecnici avanzati e gestiscano in modo autonomo le risorse finanziarie per svolgere i rispettivi compiti. Inoltre, il livello delle risorse dovrebbe tenere conto delle dimensioni, della complessità e del potenziale impatto per la società dei prestatori di servizi intermediari di loro competenza, nonché del raggio d'azione dei loro servizi in tutta l'Unione. Il presente regolamento non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di istituire meccanismi di finanziamento basati su un contributo per le attività di vigilanza a carico dei prestatori di servizi intermediari a norma del diritto nazionale conforme al diritto dell'Unione, nella misura in cui sia imposto ai prestatori di servizi intermediari che hanno lo stabilimento principale nello Stato membro in questione, sia strettamente limitato a quanto necessario e proporzionato per coprire i costi per l'adempimento dei compiti conferiti alle autorità competenti a norma del presente regolamento, ad esclusione dei compiti conferiti alla Commissione, e sia garantita un'adeguata trasparenza per quanto riguarda l'imposizione e l'utilizzo di tale contributo per le attività di vigilanza.

 

(112)

Le autorità competenti designate a norma del presente regolamento dovrebbero inoltre agire in piena indipendenza da enti privati e pubblici, senza obbligo o possibilità di sollecitare o ricevere istruzioni, anche dai governi, e fatti salvi gli specifici doveri di cooperazione con le altre autorità competenti, i coordinatori dei servizi digitali, il comitato e la Commissione. D'altro canto, l'indipendenza di tali autorità non dovrebbe significare che esse non possano essere soggette, conformemente alle costituzioni nazionali e senza compromettere il conseguimento degli obiettivi del presente regolamento, a proporzionati meccanismi di assunzione della responsabilità riguardo alle attività generali del coordinatore dei servizi digitali, quali le loro spese finanziarie o la comunicazione ai parlamenti nazionali. Il requisito di indipendenza non dovrebbe inoltre impedire l'esercizio del controllo giurisdizionale oppure la possibilità di consultare altre autorità nazionali o di procedere a periodici scambi di opinioni con esse, comprese le autorità di contrasto, le autorità di gestione delle crisi o le autorità di tutela dei consumatori, ove opportuno, al fine di informarsi reciprocamente in merito alle indagini in corso, senza compromettere l'esercizio dei rispettivi poteri.

 

 

(114)

Gli Stati membri dovrebbero conferire al coordinatore dei servizi digitali e a qualsiasi altra autorità competente designata a norma del presente regolamento poteri e mezzi sufficienti a garantire indagini e attività di esecuzione efficaci, conformemente ai compiti ad essi conferiti. Ciò include il potere delle autorità competenti di adottare misure provvisorie ai sensi del diritto nazionale in caso di rischio di danno grave. Tali misure provvisorie, che possono comprendere l'emissione di ordini per far cessare la presunta violazione o per porvi rimedio, non dovrebbero andare oltre la misura necessaria a garantire che il danno grave sia evitato in attesa della decisione definitiva. I coordinatori dei servizi digitali dovrebbero in particolare poter cercare e ottenere informazioni situate nel loro territorio, anche nel contesto di indagini congiunte, tenendo in debito conto il fatto che le misure di vigilanza ed esecuzione riguardanti un prestatore soggetto alla giurisdizione di un altro Stato membro o della Commissione dovrebbero essere adottate dal coordinatore dei servizi digitali di tale altro Stato membro, se del caso in conformità delle procedure relative alla cooperazione transfrontaliera, o, ove applicabile, dalla Commissione.

 

Il comma 4 novella l’articolo 1 della legge istitutiva dell’AGCOM, n. 249 del 1997, per adeguarne il testo alle nuove funzioni ad essa attribuite, aggiungendovi un nuovo numero 14-ter) al comma 6, lettera c), e un nuovo comma 32-bis.

 

Più nel dettaglio, al comma 6, lettera c), relativo alle competenze del consiglio dell’AGCOM, è aggiunto un nuovo numero 14-ter), volto ad aggiungere l’esercizio della funzione di Coordinatore dei Servizi Digitali e dei relativi poteri previsti dal predetto Regolamento (UE) 2022/2065.

 

Il nuovo comma 32-bis – nel testo risultante dalle modifiche introdotte in corso di conversione al Senato – è, invece, volto a disciplinare l’apparato sanzionatorio predisposto per l’ipotesi di violazione degli obblighi previsti dagli articoli 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 30 e 45 del Regolamento (UE) 2022/2065.

 

Si tratta:

v  degli obblighi, stabiliti per i prestatori di servizi intermediari, di:

Ø  dar seguito all’ordine di contrastare uno o più specifici contenuti illegali impartito dalle autorità giudiziarie o amministrative nazionali competenti (articolo 9);

Ø  fornire alle autorità giudiziarie o amministrative nazionali competenti informazioni specifiche su uno o più singoli destinatari del servizio (articolo 10);

Ø  designare un punto di contatto unico per le comunicazioni con le autorità nazionali, la Commissione e il comitato (articolo 11), nonché con i destinatari del servizio (articolo 12), rendendo pubbliche le necessarie informazioni;

Ø  conferire, nel caso procedano a designare un rappresentante legale in uno degli Stati membri in cui offrono i propri servizi, i poteri e le risorse necessarie, nonché notificare al coordinatore dei servizi digitali e rendere accessibili al pubblico le informazioni di contatto di tale soggetto, il quale funge altresì da punto di riferimento per le istituzioni nazionali ed europee per le comunicazioni derivanti dall’esecuzione del regolamento (articolo 13);

Ø  includere, nelle condizioni generali di servizio, informazioni sulle restrizioni all’uso dei propri servizi per quanto riguarda le informazioni fornite dai destinatari del servizio stesso (articolo 14);

Ø  mettere a disposizione del pubblico, almeno una volta l’anno, relazioni chiare e facilmente comprensibili sulle attività di moderazione dei contenuti svolte nel periodo di riferimento (articolo 15);

v  degli obblighi aggiuntivi, previsti per i prestatori di servizi di memorizzazione di informazioni, comprese le piattaforme on line, di:

Ø  predisporre meccanismi, attivabili da chiunque, per la segnalazione della presenza di contenuti illegali nel servizio (articolo 16);

Ø  fornire ai destinatari del servizio interessati una motivazione chiara e specifica per le eventuali restrizioni imposte al servizio (articolo 17);

Ø  informare senza indugio le autorità nazionali competenti qualora vengano a conoscenza di informazioni relative all’avvenuta o probabile commissione di un reato che comporti una minaccia per la vita o la sicurezza di una o più persone (articolo 18);

v  degli obblighi specifici, gravanti sui fornitori di piattaforme on line, di:

Ø  fornire ai destinatari del servizio l’accesso a un sistema interno di gestione dei reclami efficace (articolo 20);

Ø  rendere pubbliche le informazioni relative alla possibilità di una risoluzione extragiudiziale delle controversie insorte con i destinatari del servizio (articolo 21);

Ø  adottare misure tecniche e organizzative necessarie per dare priorità e decidere senza ritardo le segnalazioni presentate dai segnalatori attendibili (articolo 22);

Ø  attivare misure contro gli abusi commessi dai destinatari dei servizi (articolo 23);

Ø  adottare modalità di comunicazione trasparente (articolo 24);

Ø  presentare in modo chiaro i contenuti che costituiscono pubblicità sulle interfacce on line (articolo 26);

Ø  garantire la trasparenza dei propri sistemi di raccomandazione (articolo 27);

Ø  assicurare la protezione on line dei minori (articolo 28);

v  degli obblighi, riferiti ai fornitori di piattaforme on line che consentono ai consumatori di concludere contratti a distanza con gli operatori commerciali, di:

Ø  consentire la tracciabilità degli operatori stessi (articolo 30);

v  infine, degli obblighi generali in materia di diligenza e, in particolare, dell’obbligo di:

Ø  partecipare all’elaborazione di codici di condotta, su impulso della Commissione e del comitato, per contribuire alla corretta applicazione del regolamento (articolo 45).

 

Nell’ipotesi in cui riscontri la violazione di alcuno dei suddetti obblighi, l’AGCOM applica sanzioni amministrative pecuniarie fino ad un massimo del 6 per cento del fatturato annuo mondiale nell’esercizio finanziario precedente alla comunicazione di avvio del procedimento al prestatore di un servizio intermediario rientrante nella propria sfera di competenza, anche nella sua qualità di Coordinatore dei Servizi Digitali, ai sensi del diritto nazionale ed europeo applicabile alla fattispecie di illecito.

L’applicazione della sanzione avviene nell’esercizio dei poteri attribuiti ai Coordinatori dei Servizi Digitali a mente del combinato disposto degli articoli 51 e 52 del Regolamento (UE) 2022/2065, secondo princìpi di proporzionalità, adeguatezza e rispetto del contraddittorio e nel rispetto delle procedure stabilite dall’AGCOM con proprio regolamento.

La sanzione amministrativa pecuniaria applicata dall’AGCOM è minore, fino ad un massimo dell’1 per cento del fatturato mondiale realizzato nell’esercizio finanziario precedente dal fornitore di un servizio intermediario o dalla persona interessata rientranti nella propria sfera di competenza, in caso di:

v comunicazione di informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti;

v mancata risposta o rettifica di informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti;

v inosservanza dell’obbligo di sottoporsi a un’ispezione.

L’importo massimo giornaliero delle penalità di mora che l’AGCOM può applicare è pari al 5 per cento del fatturato giornaliero medio mondiale del fornitore di un servizio intermediario interessato realizzato nell’esercizio finanziario precedente, calcolato a decorrere dalla data indicata nella decisione in questione.

 

Come specifica la Relazione illustrativa, il calcolo dell’ammontare delle sanzioni avviene facendo riferimento al fatturato mondiale annuo e non al reddito, in quanto il fatturato è una nozione in uso nella pertinente normativa di settore nazionale ed è il criterio individuato anche nelle relative norme del Digital Service Act.

 

Nell’applicazione della sanzione l’AGCOM tiene conto, in particolare, della gravità del fatto e delle conseguenze che ne sono derivate, nonché della durata ed eventuale reiterazione delle violazioni.

Per le sanzioni amministrative ivi previste è escluso il beneficio del pagamento in misura ridotta previsto dall’articolo 16 della legge n. 689 del 1981.

 

Il comma 5 della disposizione in commento ridefinisce la pianta organica dell’AGCOM, incrementandola in totale di 23 unità, di cui: 1 dirigente, 20 funzionari e 2 operativi.

 

La Relazione illustrativa richiama, al proposito, il contenuto dell’articolo 50 del citato Regolamento (UE), a mente del quale la previsione di una sufficiente dotazione finanziaria, tecnica e di risorse umane costituisce condizione necessaria per garantire la tempestività, l’imparzialità e la trasparenza dell’azione del coordinatore, oltre che per assicurarne la piena indipendenza.

 

Tale ampliamento organico, come sottolinea la Relazione tecnica, comporta una proiezione decennale di spesa che va da circa 4 milioni di euro nel primo anno (2024) a circa 5,69 milioni di euro a partire dal 2033.

 

Più nel dettaglio, gli oneri sono quantificati in euro:

§  4.005.457 nel 2024;

§  4.125.590 nel 2025;

§  3.903.136 nel 2026;

§  4.081.636 nel 2027;

§  4.267.375 nel 2028;

§  4.527.751 nel 2029;

§  4.737.357 nel 2030;

§  4.971.989 nel 2031;

§  5.434.808 nel 2032;

§  5.694.052 a decorrere dal 2033.

Al proposito, la Relazione tecnica riporta che, tra le singole voci di costo considerate nella stima finale, la principale è costituita dai costi del personale determinati considerando le competenze annuali ordinarie, le competenze accessorie e gli oneri a carico del datore di lavoro (cd. costo 6 aziendale). A ciò occorre aggiungere, solo per il primo anno, i costi relativi alle procedure di reclutamento, mentre, a regime, occorre considerare i costi dei sistemi informativi da realizzarsi a supporto delle nuove funzioni e i costi di amministrazione, cioè gli oneri sostenuti per le strutture necessarie alla gestione dell’AGCOM, come il servizio risorse umane, affari generali, gare e contratti, contabilità e bilancio, eccetera. Tali costi amministrativi gravano mediamente per il 30 per cento dei costi del personale direttamente implicato, come si vede nella tabella presente nella Relazione tecnica e che qui si riporta:

 

Alla copertura di tali spese si provvede mediante un contributo, pari allo 0,135 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato dai prestatori dei servizi intermediari stabiliti in Italia.

Ferme restando tutte le attuali forme di finanziamento e nel rispetto delle esenzioni previste dal Regolamento medesimo, in sede di prima applicazione, per l’anno 2024, il contributo è versato direttamente all’AGCOM entro il 1° marzo 2024 nella misura dello 0,135 per mille del fatturato realizzato nell’anno contabile 2022 secondo le modalità determinate dall’AGCOM stessa con propria deliberazione. Eventuali variazioni della misura e delle modalità di contribuzione, per gli anni successivi, possono essere adottate dall’AGCOM, con propria deliberazione motivata, nel limite massimo dello 0,5 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato.

L’AGCOM individua, con la collaborazione dell’ISTAT e dell’Agenzia delle entrate, l’elenco dei soggetti tenuti al versamento del contributo.

 

Come specifica la Relazione tecnica, i fornitori di servizi intermediari definiti dal Regolamento, tenuti al versamento contributivo, sono:

1)      mere conduit services (punti di scambio internet, punti di accesso wireless, reti private virtuali, voice over IP e altri servizi di comunicazione interpersonale, servizi DNS, registri di nomi di dominio);

2)      caching services (reti di distribuzione di contenuti, proxy inversi, proxy di adattamento dei contenuti);

3)      hosting services (servizi cloud computing, web hosting, social network/social media, piattaforme di condivisione video/VOD, piattaforme collaborative, marketplace/app store/e-commerce).

Nell’individuazione dei soggetti contribuenti, l’AGCOM è in particolare chiamata a considerare gli eventuali obblighi contributivi già presenti in altri settori di competenza, al fine di evitare una doppia imposizione.

Quanto all’aliquota contributiva dello 0,135 per mille del fatturato per l’anno 2024, essa si fonda su una stima del valore di riferimento del mercato di competenza di circa 35 miliardi di euro, corrispondente a circa 4,8 milioni di euro, pari ai maggiori oneri previsti. Per gli anni seguenti, ipotizzando una crescita dei ricavi del 5 per cento, la Relazione tecnica ipotizza la seguente variazione dell’aliquota:

Infine, il comma 6 stabilisce che, a decorrere dal 2024, nelle more delle procedure concorsuali per l’assunzione del personale di cui sopra e fino al termine delle procedure di reclutamento, l’AGCOM provvede all’esercizio dei compiti di Coordinatore dei Servizi Digitali servendosi di non più di 10 unità di personale posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo, aspettativa o in analoghe posizioni secondo i rispettivi ordinamenti, ai sensi dell’articolo 17, comma 14, della legge n. 127 del 1997.

 

Tale richiamo prevede che, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

 

Per la durata del collocamento fuori ruolo, è reso indisponibile un numero di posti nella dotazione organica dell’amministrazione di provenienza equivalente dal punto di vista finanziario.

Tale personale, non rientrante nella pianta organica dell’AGCOM, è individuato a seguito di apposito interpello, in cui sono specificati i profili professionali richiesti, cui possono aderire i dipendenti appartenenti ai ruoli delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche.

Il trattamento economico fondamentale che spetta a tale personale rimane quello delle amministrazioni di appartenenza, compresa l’indennità di amministrazione, e i relativi oneri restano a carico delle stesse; l’AGCOM provvede agli oneri del solo trattamento economico accessorio mediante i contributi previsti al comma 5.

Articolo 15-bis
(Disposizioni relative all’Agenzia per la cybersicurezza nazionale)

 

 

L’articolo 15-bis incrementa di 4 unità il numero massimo di uffici dirigenziali di livello generale (con decorrenza dal 2024) nonché di 10 unità il limite massimo per quelli dirigenziali di livello non generale (con decorrenza dal 2025) dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale. E reca disposizione procedimentale circa la rideterminazione della rimanente dotazione organica.

Inoltre dispone, per le autovetture di servizio dell’Agenzia, una deroga alle soglie di spesa e di numero di vetture, dettate dalle disposizioni vigenti.

 

L’articolo 15-bis – introdotto al Senato – reca disposizioni  relative al personale nonché alle autovetture di servizio dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale.

Essa è stata istituita dal decreto-legge n. 82 del 2021, per la tutela degli interessi nazionali nel campo della cybersicurezza. È agenzia dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e dotata di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria.

Di quel decreto-legge n. 82, l’articolo 6 prevede (al comma 1) che l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia siano definiti da un apposito d.P.C.m. (adottato previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e, per i profili di competenza, del COPASIR), che ne preveda, in particolare, l'articolazione fino ad un numero massimo di otto uffici di livello dirigenziale generale, nonché fino ad un numero massimo di trenta articolazioni di livello dirigenziale non generale, nell'ambito delle risorse finanziarie attribuite all’Agenzia.

Siffatta previsione è ora novellata, dalla lettera a) dell’unico comma di cui si compone l’aggiuntivo articolo qui in commento del decreto-legge, onde aumentare a dodici il numero massimo di uffici di livello dirigenziale generale, con decorrenza dal 2024, e a quaranta il numero massimo di uffici di livello dirigenziale non generale, con decorrenza dal 2025.

Ne risulta pertanto, con le decorrenze indicate, un incremento di quattro unità di uffici dirigenziali generali e di dieci unità di uffici dirigenziali non generali.

Siffatti uffici sono attivati – aggiunge la previsione ora dettata – direttamente con provvedimento del direttore generale, in attesa dell’adeguamento del regolamento (d.P.C.m.) di organizzazione dell’Agenzia.

La spesa annua complessiva che la relazione tecnica posta a corredo dell’emendamento governativo introduttivo di queste disposizioni quantifica in 883.699 euro per il 2024 (corrispondenti a 1,219 milioni quanto al lordo degli oneri per lo Stato) nonché in complessivi 2,262 milioni per l’anno 2025 e a regime (3,122 milioni quanto al lordo degli oneri per lo Stato) – è coperta avvalendosi delle risorse destinate al personale dell’Agenzia secondo le disposizioni vigenti.

Per questo riguardo, l’articolo 18 del citato decreto-legge n. 82 del 2021 ha destinato all’Agenzia (per gli anni che qui rilevano) complessivi 84 milioni per il 2024, 100 milioni per il 2025, 110 milioni per il 2026, 122 milioni dal 2027 (risorse che sono state incrementate di 2 milioni annui dall’articolo 1, comma 902, della legge n. 197 del 2023, legge di bilancio 2023).

Secondo la relazione tecnica che corredava quella disposizione del decreto-legge n. 82, la quota di tali risorse finalizzata alle spese di personale sarebbe stata di 58 milioni per il 2024, 74 milioni per il 2025, 83 milioni per il 2025, 95 milioni dal 2027.

Posto il bilancio dell’Agenzia per il triennio 2023-25 (approvato con d.P.C.m. del 19 dicembre 2022), l’incremento di uffici di livello dirigenziale che ora si viene a prevedere troverebbe capienti le allocazioni sopra ricordate.

 

Per quanto concerne il personale dell’Agenzia, si ricorda che, in sede di “prima applicazione”, l’articolo 12 del decreto-legge n. 82 del 2021 prevedeva (al comma 4) un numero di posti della dotazione organica dell'Agenzia nella misura complessiva di trecento unità, delle quali fino a un massimo di 268 personale non dirigenziale.

Per quest’ultimo riguardo, la lettera b) raccorda la previsione sopra ricordata di un incremento degli uffici dirigenziali (generali e non generali), con la vigente disposizione dettata dal medesimo articolo 12 del decreto-legge n. 82 (al comma 5) circa la rideterminazione della dotazione organica rimanente.

Essa è pertanto demandata a d.P.C.m. (di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze), da comunicare tempestivamente e con motivazione alle Commissioni parlamentari competenti e al COPASIR.

La rideterminazione permane consentita nei limiti delle risorse finanziarie destinate alle spese per il personale attribuite all’Agenzia. Ed è prevista dispiegarsi “progressivamente”, “in linea con il processo di crescita della capacità operativa dell’Agenzia”.

 

Infine la lettera c) dispone circa le autovetture di servizio dell’Agenzia utilizzate per i servizi istituzionali (di tutela della sicurezza nazionale e dell’interesse nazionale nello spazio cibernetico).

A tal riguardo, essa detta una deroga, sì che non si applichino loro le disposizioni recate dall’articolo 15, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 66 del 2014.

Queste ultime definiscono, rispettivamente, una soglia-parametro di spesa per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture o per l'acquisto di buoni taxi da parte delle amministrazioni pubbliche, nonché il numero massimo per le auto di servizio ad uso esclusivo (non superiore a cinque) e ad uso non esclusivo, di cui possa disporre ciascuna amministrazione centrale dello Stato.

Si tratta di una deroga tout court, senza demandare ad atto applicativo una (derogatoria) determinazione, di criteri o numerica.

Articolo 15-ter
(Ulteriori disposizioni urgenti in materia di prerogative dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni)

 

 

L’articolo 15-ter, introdotto al Senato, inserisce alcune modifiche alla legge n. 93 del 2023 che aveva introdotto delle disposizioni per la prevenzione e la repressione della diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore mediante le reti di comunicazione elettronica.

 

In particolare, le modifiche apportate dall’articolo in commento sono relative all’articolo 2 della sopracitata legge n. 93 del 2023.

 

A tale riguardo giova ricordare come quest’ultima legge aveva previsto che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni potesse ordinare ai prestatori di servizi digitali, compresi i prestatori di acceso alla rete, di disabilitare l’accesso a contenuti diffusi abusivamente mediante il blocco dei nomi di dominio e il blocco dell’instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP univocamente destinati ad attività illecite.

Lo stesso articolo 2 della legge in questione, inoltre, stabiliva che nei casi di gravità ed urgenza che riguardino la messa a disposizione di contenuti trasmessi in diretta, prime visioni di opere cinematografiche e audiovisive o programmi di intrattenimento, l’Autorità potesse ordinare ai prestatori di servizi, con un provvedimento cautelare adottato con procedimento abbreviato senza contraddittorio, di disabilitare l’accesso ai contenuti diffusi abusivamente.

Tanto premesso si evidenzia che l’articolo in esame modifica l’articolo 2 della legge n. 93 del 2023 prevedendo che l'Autorità, con proprio regolamento, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento d’urgenza in questione, disciplini il procedimento cautelare abbreviato, sopra richiamato, assicurandone la necessaria tempestività e garantendo strumenti di reclamo al soggetto destinatario del provvedimento.

L’articolo in esame, inoltre, prevede che il provvedimento di disabilitazione che l’Autorità può adottare, nei casi descritti in precedenza, debba essere notificato immediatamente ai prestatori di servizi di accesso alla rete, ai soggetti gestori di motori di ricerca e ai fornitori di servizi della società dell'informazione coinvolti a qualsiasi titolo nell'accessibilità del sito web o dei servizi illegali, nonché alla European Union Internet Referral Unit dell'Europol e al soggetto che ha richiesto l'adozione del provvedimento medesimo. I prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell'informazione ove coinvolti a qualsiasi titolo nell'accessibilità del sito web o dei servizi illegali debbono eseguire il provvedimento dell'Autorità senza alcun indugio e, comunque, entro il termine massimo di 30 minuti dalla notificazione, disabilitando la risoluzione del Domain Name System (DNS) dei nomi di dominio e l'instradamento del traffico di rete verso gli indirizzi IP o comunque adottando le misure tecnologiche e organizzative necessarie per rendere non fruibili da parte degli utilizzatori finali i contenuti diffusi abusivamente.

Si prevede, inoltre, che i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell'informazione ove non coinvolti nell'accessibilità del sito web o dei servizi illegali provvedono comunque ad adottare tutte le misure tecniche utili ad ostacolare la visibilità dei contenuti illeciti, tra le quali in ogni caso la deindicizzazione dai motori di ricerca di tutti i nomi di dominio oggetto degli ordini di blocco dell'Autorità.

Si segnala, da ultimo, che l’articolo in commento reca delle ulteriori modifiche alla già citata legge n. 93 del 2023 stabilendo che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame, l'Autorità, in collaborazione con l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, convoca un tavolo tecnico con la partecipazione dei prestatori di servizi, dei fornitori di accesso alla rete internet, dei detentori di diritti, dei fornitori di contenuti, dei fornitori di servizi di media audiovisivi, e delle associazioni maggiormente rappresentative preposte alla tutela del diritto d'autore e dei diritti connessi, al fine di definire i requisiti tecnici e operativi degli strumenti necessari a consentire una tempestiva ed efficace disabilitazione dei nomi di dominio o degli indirizzi IP, attraverso la definizione di una piattaforma tecnologica unica con funzionamento automatizzato per tutti i destinatari dei provvedimenti di disabilitazione.

Si prevede, infine che la piattaforma deve essere realizzata e resa operativa entro il termine massimo di tre mesi dalla convocazione del tavolo tecnico e che nelle more della piena operatività della piattaforma sono comunque applicabili le delibere in materia già adottate dall’Autorità di settore.

Articolo 15-quater
(Semplificazioni in materia di sperimentazione di nuove tecnologie televisive)

 

 

L’articolo, introdotto al Senato, demanda ad un decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, la definizione di modalità di assegnazione di risorse per favorire la sperimentazione di nuove tecnologie televisive, anche con riferimento al 5G.

 

La disposizione modifica il comma 1031-bis dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205 del 2017). Tale comma 1031-bis della legge di bilancio per il 2018 prevede l’assegnazione di ulteriore eventuale capacità trasmissiva disponibile in ambito nazionale e delle frequenze terrestri, aggiuntiva rispetto a quelle destinate alla conversione dei diritti d’uso e pianificate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel PNAF, mediante procedura onerosa con aggiudicazione all’offerta economica più elevata senza rilanci competitivi, indetta entro il 30 novembre 2019 dal Ministero dello sviluppo economico, in attuazione delle procedure stabilite, entro il 30 settembre 2019 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:

§  assegnazione della capacità trasmissiva in lotti di dimensione pari alla metà di un multiplex;

§  fissazione di un valore minimo delle offerte sulla base di quanto indicato dall’AGCOM, considerando il valore delle offerte economiche presentate;

§  garanzia della continuità del servizio, della celerità della transizione tecnologica, e della qualità delle infrastrutture di rete messe a disposizione dagli operatori nazionali di rete;

§  valorizzazione sia delle esperienze degli operatori nazionali di rete, sia dell’ottimale utilizzo dello spettro tenendo conto anche della capacità di assicurarne l’uso efficiente e dell’attuale diffusione di contenuti di buona qualità alla parte più vasta della popolazione italiana;

§  sfruttamento effettivo e tempestivo della capacità trasmissiva delle frequenze assegnate;

 

Il MEF è autorizzato a riassegnare su appositi capitoli di spesa nello stato di previsione del MISE per gli interventi finalizzati ad incentivare l'acquisto di apparecchiature televisive nonché “la sperimentazione di nuove tecnologie televisive” gli introiti derivanti dall’assegnazione della nuova capacità trasmissiva disponibile secondo modalità operative e procedure di erogazione stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

La modifica in esame propone di espungere il riferimento alla sperimentazione delle nuove tecnologie e, integrando il contenuto del comma 1031-bis citato, prevede che la riassegnazione di introiti sia destinata a la medesima sperimentazione di nuove tecnologie televisive anche con riferimento al 5G secondo modalità stabilite con decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.

Articolo 16
(Entrata in vigore)

 

 

L'articolo 16 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Il decreto-legge è dunque vigente dal 16 settembre 2023.

 

Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, quest'ultima legge (insieme con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 



[1]     Il comma citato prevede che “fino al 31 dicembre 2026, in deroga al comma 1, lettera a), i bandi di concorso per i profili non apicali possono prevedere lo svolgimento della sola prova scritta”.

[2]     Il citato articolo 30 prevede tra l’altro che le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità tra amministrazioni disciplinate dal medesimo articolo 30.

[3]              Il richiamato articolo 34-bis stabilisce che “1. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, con esclusione delle amministrazioni previste dall'articolo 3, comma 1, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, prima di avviare le procedure di assunzione di personale, sono tenute a comunicare ai soggetti di cui all'articolo 34, commi 2 e 3, l'area, il livello e la sede di destinazione per i quali si intende bandire il concorso nonché, se necessario, le funzioni e le eventuali specifiche idoneità richieste.

2.             La Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e le strutture regionali e provinciali di cui all' articolo 34, comma 3, provvedono, entro otto giorni dalla comunicazione, ad assegnare secondo l'anzianità di iscrizione nel relativo elenco il personale collocato in disponibilità ai sensi degli articoli 33 e 34. Le predette strutture regionali e provinciali, accertata l'assenza negli appositi elenchi di personale da assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso, comunicano tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica le informazioni inviate dalle stesse amministrazioni. Entro otto giorni dal ricevimento della predetta comunicazione, la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvede ad assegnare alle amministrazioni che intendono bandire il concorso il personale inserito nell'elenco previsto dall'articolo 34, comma 2. A seguito dell'assegnazione, l'amministrazione destinataria iscrive il dipendente in disponibilità nel proprio ruolo e il rapporto di lavoro prosegue con l'amministrazione che ha comunicato l'intenzione di bandire il concorso. L'amministrazione destinataria comunica tempestivamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e alle strutture regionali e provinciali di cui all'articolo 34, comma 3, la rinuncia o la mancata accettazione dell'assegnazione da parte del dipendente in disponibilità.

3.             Le amministrazioni possono provvedere a organizzare percorsi di qualificazione del personale assegnato ai sensi del comma 2.

4.             Le amministrazioni, decorsi quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al   comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica direttamente per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici non economici nazionali, comprese le università, e per conoscenza per le altre amministrazioni, possono procedere all'avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali non sia intervenuta l'assegnazione di personale ai sensi del comma 2. 

5.             Le assunzioni effettuate in violazione del presente articolo sono nulle di diritto. Restano ferme le disposizioni previste dall'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni

5-bis. Ove se ne ravvisi l'esigenza per una più tempestiva ricollocazione del personale in disponibilità iscritto nell'elenco di cui all'articolo 34, comma 2, il Dipartimento della funzione pubblica effettua ricognizioni presso le amministrazioni pubbliche per verificare l'interesse all'acquisizione in mobilità dei medesimi dipendenti. Si applica l'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 1995, n. 273.”.

[4]     Il comma citato prevede che “ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento:

      b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico;

      c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali. “.

[5]     Il comma richiamato stabilisce che l'ente locale, ai fini della riduzione delle spese, ridetermina la dotazione organica dichiarando eccedente il personale comunque in servizio in sovrannumero rispetto ai rapporti medi dipendenti-popolazione per classe demografica, fissati ai sensi dell’articolo 263 del citato decreto legislativo n. 267 del 2000 e validi per gli enti in condizione di dissesto, fermo restando l'obbligo di accertare le compatibilità di bilancio. La spesa per il personale a tempo determinato deve altresì essere ridotta a non oltre il 50 per cento della spesa media sostenuta a tale titolo per l'ultimo triennio antecedente l'anno cui l'ipotesi si riferisce.

[6]     Il comma citato stabilisce che i comuni possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale, e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione, sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente, al lordo degli oneri riflessi a carico dell'amministrazione, non superiore al valore soglia definito come percentuale, differenziata per fascia demografica, della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati, considerate al netto del fondo crediti dubbia esigibilità stanziato in bilancio di previsione. Il medesimo comma prevede poi le modalità procedurali per la determinazione dei valori soglia e delle relative fasce demografiche.

[7]     Si ricorda che, con riferimento all’Agenzia ora soppressa, la competenza concorrente del Ministro del lavoro e delle politiche sociali è stata soppressa ai sensi dell’articolo 1, commi 4 e 14, lettera a), del D.L. 16 maggio 2008, n. 85, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 luglio 2008, n. 121.

[8]     Cfr. il citato articolo 1, comma 14, lettera a), del D.L. n. 85 del 2008, norma richiamata dal comma 1 del presente articolo 55.

[9]              Dell’avvenuta nomina del Commissario straordinario è stata data notizia il 15 marzo 2023.

[10]            Il comma richiamato prevede che la nomina delle guardie particolari giurate deve essere approvata dal prefetto, previa verifica dell'esistenza di un rapporto di lavoro dipendente con un istituto di vigilanza autorizzato ai sensi dell'articolo 134 del richiamato testo unico ovvero con uno dei soggetti che è legittimato a richiedere l'approvazione della nomina a guardia giurata ai sensi dell'articolo 133 dello stesso.

[11]   Può valere ricordare come il decreto-legge n. 14 del 2017 abbia previsto – all’articolo 2 – che ferme restando le competenze esclusive dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (ad esclusione della polizia amministrativa locale, ex articolo 117, comma 2, lettera h) della Costituzione), le linee generali delle politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata siano adottate, su proposta del Ministro dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata, e siano rivolte, prioritariamente, a coordinare l'esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale, attraverso lo scambio informativo, l’interconnessione delle rispettive sale operative e la regolamentazione dell'utilizzo in comune di sistemi di sicurezza tecnologica finalizzati al controllo delle aree e delle attività soggette a rischio, nonché l’aggiornamento professionale integrato per gli operatori della polizia locale e delle forze di polizia. In attuazione, è intervenuto l’accordo stipulato il 24 gennaio 2018 in sede di Conferenza Unificata.

L’articolo 5 del medesimo decreto-legge n. 14 del 2017 ha previsto che, in coerenza le predette linee generali, appositi patti sottoscritti tra il prefetto ed il sindaco possano individuare interventi per la sicurezza urbana, tenuto conto anche delle esigenze delle aree rurali confinanti con il territorio urbano. Tali patti devono essere adottati nel rispetto di apposite linee guida (diverse dalle predette linee generali) adottate, su proposta del Ministro dell'interno, con accordo sancito in sede di Conferenza Unificata (in attuazione, cfr. l’accordo stipulato il 26 luglio 2018, in sede di Conferenza Unificata).

I patti per la sicurezza urbana perseguono, prioritariamente, i seguenti obiettivi: a) prevenzione e contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa e predatoria, anche attraverso l'installazione di sistemi di videosorveglianza; b) promozione e tutela della legalità, anche mediante mirate iniziative di dissuasione di ogni forma di condotta illecita; c) promozione del rispetto del decoro urbano; c-bis) promozione dell'inclusione, della protezione e della solidarietà sociale mediante azioni e progetti per l'eliminazione di fattori di marginalità.

[12]   Si rammenta che il citato articolo 240-bis prevede altresì che, quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità sopra indicate, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona.

[13]            Cfr. lo studio Le gang giovanili in Italia, mappatura a livello nazionale elaborata (ottobre 2022) da Transcrime (centro di ricerca sulla criminalità transnazionale, interuniversitario: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Alma Mater Studiorum di Bologna, Università degli studi di Perugia), su dati rilevati con il supporto del Servizio analisi criminale della Direzione centrale della Polizia criminale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno e con il Dipartimento di giustizia minorile del Ministero della Giustizia.

[14]         La persona alla quale è stato fatto l'avviso orale può in qualsiasi momento chiederne la revoca al questore, che provvede nei sessanta giorni successivi (rispetto alla data di redazione, da parte del questore, del processo verbale dell’avviso). Decorso detto termine senza che il questore abbia provveduto, la richiesta si intende accettata. Entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento questorile di rigetto, è ammesso ricorso gerarchico al prefetto.

[15]            Per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale (atti persecutori), l’ammonimento rileva inoltre in quanto si procede di ufficio, e la pena è aumentata, se il fatto sia commesso da persona già ammonita. (così i commi 3 e 4 dell’articolo 8 del decreto-legge n. 11 del 2009; tali commi non rientrano tra quelli richiamati dalla disposizione in commento nel testo, relativa all’estensione ai minori dell’ammonimento).

[16]            Non occorre rammentare che i minori infra-quattordicenni al momento della commissione del fatto non sono penalmente imputabili, ai sensi dell’articolo 97 del codice penale (il quale reca altro l’articolo 224, relativo ai minori non imputabili autori di delitti e pericolosi).

[17]            Riguardo ai profili della culpa in vigilando e della culpa in educando, l’articolo 2048 del codice civile (“Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte”) prevede: “[1] Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante. [2] I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. [3] Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”. Per i genitori, gli obblighi educativi radicano nell’articolo 147 del codice civile.

[18]            Infatti, l’obbligo scolastico viene sostituito dall’obbligo di istruzione, che è stato ridefinito dalla L. 296/2006, art.1, comma 622.

[19]            Riguardo all’ambito degli obblighi in materia, a carico dei fornitori, già previsti prima dell’entrata in vigore del presente decreto, cfr. le parti della scheda relative ai successivi commi 4 e 5; inoltre, riguardo ai dispositivi già oggetto di fornitura prima dell’entrata in vigore del presente decreto, cfr. il successivo comma 7.

[20]            Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri.

[21]            Sanzioni amministrative di entità diversa sono previste dal medesimo comma 31 per le violazioni in materia di: posizioni dominanti; equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online; diritto d'autore e diritti ad esso connessi.

[22]   Per casistica sull’applicazione della legge n. 71 del 2017, v. tribunale di Sulmona, 9 aprile 2018, e TAR Campania (NA), sez. IV, 8 novembre 2018, n. 6508.