Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023
Riferimenti: AC N.2022/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 348/2
Data: 04/12/2024
Organi della Camera: X Attività produttive, VIII Ambiente

 


 

 

 

 

Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023

 

A.S. n. 1318

 

4 dicembre 2024

 

 

 

 

 

 

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Dossier n. 355/2

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 348/2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Premesse

La disciplina della legge annuale per il mercato e la concorrenza. 7

La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, le riforme previste dal PNRR e le segnalazioni dell’AGCM... 11

Schede di lettura

Capo I – Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

Sezione I: Finalità e ambito di applicazione

Articolo 1 (Ambito di applicazione, finalità e definizioni) 23

Sezione II: Aggiudicazione delle concessioni autostradali

Articolo 2 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali). 28

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali). 29

Articolo 4 (Bando di gara e criteri di aggiudicazione). 31

Sezione III: Affidamento in house

Articolo 5 (Affidamento in house delle concessioni autostradali). 33

Sezione IV: Contratto di concessione

Articolo 6 (Oggetto del contratto di concessione) 37

Articolo 7 (Criteri di remunerazione della concessione). 41

Articolo 8 (Schema di convenzione a base dell’affidamento). 42

Articolo 9 (Approvazione e aggiornamento delle convenzioni di concessione e dei relativi piani economico-finanziari). 45

Articolo 10 (Durata delle concessioni) 49

Articolo 11 (Estinzione del contratto di concessione) 51

Sezione V: Tariffe autostradali e piano degli investimenti

Articolo 12 (Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali). 55

Articolo 13 (Pianificazione e programmazione degli investimenti autostradali). 59

Sezione VI: Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali in essere

Articolo 14 (Disposizioni applicabili alle concessioni in essere). 60

Articolo 15 (Esternalizzazione delle concessioni autostradali) 62

Sezione VII: Disposizioni finali

Articolo 16 (Disposizioni di coordinamento normativo) 63

Capo II – Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

Articolo 17 (Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi). 64

Articolo 18 (Aggiornamento del regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in materia di portabilità dei numeri mobili). 70

Articolo 19 (Disposizioni in materia di attività di rilevazione degli usi commerciali e di informazioni fornite ai clienti finali delle società di vendita di energia al dettaglio)  73

Articolo 20 (Disposizioni per favorire la concorrenza nel settore assicurativo). 75

Articolo 21 (Sistema informativo antifrode per rapporti assicurativi non obbligatori)  79

Articolo 22 (Vigilanza sui contratti assicurativi a copertura dei danni alle imprese cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali). 81

Articolo 23 (Disposizioni in materia di riporzionamento dei prodotti preconfezionati)  83

Articolo 24 (Accesso dei clienti domestici vulnerabili al servizio a tutele graduali)  85

Articolo 25 (Disposizioni in materia di trasporto pubblico) 92

Articolo 26 (Delega al Governo in materia di strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi). 105

Articolo 27 (Modifiche agli articoli 221-bis e 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sistemi autonomi di gestione degli imballaggi  e dei rifiuti di imballaggio nonché di tariffa per la gestione dei rifiuti urbani). 113

 

Capo III – Disposizioni in materia di start-up e di attività di impresa

Articolo 28 (Modifiche alla definizione di start-up innovativa). 116

Articolo 29 (Disposizione transitoria concernente la definizione di start-up innovativa)  125

Articolo 30 (Modifiche alla definizione di incubatore certificato). 128

Articolo 31  (Ulteriori misure di incentivazione). 133

Articolo 32 (Contributo sotto forma di credito di imposta in favore degli incubatori e degli acceleratori certificati). 137

Articolo 33 (Disposizioni per favorire l’investimento istituzionale nelle start-up innovative) 140

Articolo 34 (Obbligo dei comuni di conformarsi alle nuove specifiche tecniche per il funzionamento dello sportello unico per le attività produttive) 144

Articolo 35 (Disposizioni per favorire l’investimento privato nelle start-up innovative)  148

Articolo 36 (Sospensione dell’efficacia delle disposizioni in materia di accreditamento e di accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale). 150

Articolo 37 (Disposizioni in materia di buoni pasto). 154

Articolo 38 (Disposizioni per la reciprocità nel sistema degli emoderivati). 157

Capo IV – Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

Articolo 39 (Disposizioni finanziarie). 159

Articolo 40 (Entrata in vigore). 160

 


Premesse

 

 

La disciplina della legge annuale per il mercato e la concorrenza

 

L’adozione della legge annuale per il mercato e la concorrenza – il cui fine e? rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, promuovere lo sviluppo della concorrenza e garantire la tutela dei consumatori – e? disciplinata dall’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

Ai sensi del citato articolo 47, comma 2, il disegno di legge e? presentato ogni anno, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione al Governo (ai sensi dell’articolo 23 della legge n. 287/1990) della relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), dal Governo stesso, su proposta del Ministro delle imprese e del made in Italy, sentita la Conferenza unificata, tenendo conto anche delle segnalazioni eventualmente trasmesse dalla citata Autorità ai medesimi fini.

 

Le competenze di advocacy dell’AGCM

 

La presentazione della relazione annuale da parte dell’AGCM e? prevista dall’articolo 23 della legge n. 287/1990. Detta relazione, presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri entro il 31 marzo di ogni anno, ha ad oggetto l’attività svolta nell’anno precedente; il Presidente del Consiglio dei Ministri la trasmetta a sua volta entro trenta giorni al Parlamento.

 

L’articolo 21 della citata legge n. 287/1990 dispone circa il potere di segnalazione dell’AGCM, prevedendo che l’Autorità, allo scopo di contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato, individui i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinino distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale. L’Autorità segnala le situazioni distorsive derivanti da provvedimenti legislativi al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, negli altri casi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri competenti e agli enti locali e territoriali interessati. Ove ne ravvisi l’opportunità, esprime parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire le distorsioni e può pubblicare le segnalazioni ed i pareri nei modi più congrui in relazione alla natura e all’importanza delle situazioni distorsive.

 

Con riguardo alla legge annuale per concorrenza per il 2023, l’AGCM ha presentato le sue proposte di riforma concorrenziale nel giugno 2023 (AS AS1893)

 

Infine, l’articolo 22 della legge n. 287/1990 prevede che l’AGCM possa esprimere pareri sulle iniziative legislative o regolamentari e sui problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato quando lo ritenga opportuno, o su richiesta di amministrazioni ed enti pubblici interessati. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere il parere dell’AGCM sulle iniziative legislative o regolamentari che abbiano direttamente per effetto:

a) di sottomettere l’esercizio di una attività o l’accesso ad un mercato a restrizioni quantitative;

b) di stabilire diritti esclusivi in certe aree;

c) di imporre pratiche generalizzate in materia di prezzi e di condizioni di vendita.

 

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 47 della legge n. 99/2009, il disegno di legge per il mercato e la concorrenza deve recare, in distinte sezioni:

 

a)  norme di immediata applicazione, al fine, anche in relazione ai pareri e alle segnalazioni dell’AGCM ed alle indicazioni contenute nelle relazioni annuali dell’Autorità medesima e delle altre autorità amministrative indipendenti, di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l’esercizio delle attività economiche private, nonché di garantire la tutela dei consumatori;

b)  una o più deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi, da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, al fine di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori;

c)  l’autorizzazione all’adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti, per le medesime finalità;

d)  disposizioni recanti i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano le proprie competenze normative, quando vengano in rilievo profili attinenti alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione;

e)  norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, con esplicita indicazione delle norme da modificare o abrogare.

 

L’articolo 47, comma 4, prevede, infine, che il Governo alleghi al disegno di legge una relazione di accompagnamento che evidenzi:

a)  lo stato di conformità dell’ordinamento interno ai princìpi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza;

b)  lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione;

c)  l’elenco delle segnalazioni e dei pareri dell’AGCM, espressi ai sensi degli articoli 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, indicando gli ambiti in cui non si e? ritenuto opportuno darvi seguito.

 

Pur a fronte delle disposizioni richiamate, va tuttavia rilevato che la disciplina dettata dalla legge n. 99/2009 non ha trovato costante applicazione, né quanto al rispetto della cadenza annuale né quanto al rispetto dell’organizzazione dei contenuti della legge sulla concorrenza.

Nel corso della XVI e della XVII legislatura e? stato presentato alle Camere un solo disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, il 3 maggio 2015 (C. 3012), approvato in via definitiva il 2 agosto 2017 (legge n. 124/2017).

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), tuttavia, si legge che “la sua cadenza annuale va assicurata, essendo essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangono vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico”. Il PNRR considera infatti la tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale.

Il medesimo Piano prevede, quindi, una serie di misure da adottare con l’approvazione delle leggi annuali per il mercato e la concorrenza riferite agli anni dal 2021 al 2024.

 

Ø  Alcune misure contemplate dal PRNN sono state approvate nell’ambito della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, legge n. 118/2022.

Ø  Altre misure del PNRR sono state approvate con la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022, legge n. 214/2023.

 


La Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, le riforme previste dal PNRR e le segnalazioni dell’AGCM

 

Il 9 agosto 2024 il Ministro delle imprese e del made in Italy e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti hanno presentato alla Camera il disegno di legge recante la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 (A.C. 2022).

In data 3 dicembre il disegno di legge è stato trasmesso al Senato (A.S. 1318) e assegnato alle Commissioni riunite 8a e 9a.

 

Il disegno di legge, originariamente costituito da 31 articoli, dopo l’esame alla risulta composto da 40 articoli, suddivisi in quattro Capi:

 

Capo I

Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

Sezione I

Finalità e ambito di applicazione

Articolo 1

Sezione II

Aggiudicazione delle

concessioni autostradali

Articoli 2-4

Sezione III

Affidamenti in house

Articolo 5

Sezione IV

Contratto di concessione

Articoli 6-11

Sezione V

Tariffe autostradali e piano degli investimenti

Articoli 12-13

Sezione VI

Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali

in essere

Articoli 14-15

Sezione VII

Disposizioni finali

Articolo 16

Capo II

Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

Articoli 17-27

Capo III

                       

Disposizioni in materia di
start-up

Articoli 28-38

Capo IV

Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

Articoli 39-40

 

Come visto, tra gli obiettivi PNRR da conseguire entro il 31 dicembre 2024, figura l’adozione della legge annuale per la concorrenza 2023, la quale dovrà comprendere alcune misure relative al settore autostradale, tra cui la previsione di un quadro normativo per le concessioni autostradali, all’interno del quale rendere obbligatorio lo svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendo il rinnovo automatico.

 

Più precisamente – ai sensi del decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del PNRR italiano (SWD (2021) 165 final) e delle modifiche al PNRR approvate con decisione di esecuzione del Consiglio l’8 dicembre 2023 (per un inquadramento complessivo di traguardi e obiettivi del PNRR, così come per un monitoraggio del relativo stato di attuazione, si rimanda all’apposito tema curato dal Servizio Studi della Camera) – entro il quarto trimestre del 2024, la legge annuale sulla concorrenza per il 2023 deve comprendere almeno le seguenti misure (M1C2-11):

 

Misura prevista dal PNRR

Articolo del disegno di legge

A.S. 1318

 

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DEI TRASPORTI/AUTOSTRADE

i) Riguardo all’accesso alle concessioni e alla risoluzione del contratto, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali e garantire livelli di servizio adeguati agli utenti della strada, fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE[1]

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali), articolo 4 (Bando di gara e criteri di aggiudicazione) e articolo 5 (Affidamento in house delle concessioni autostradali) del disegno di legge A.S.1318

 

migliorare l’efficienza delle procedure amministrative decisionali relative ai contratti di concessione

La relazione illustrativa, di accompagnamento all’A.C. 2022, sottolinea che le disposizioni recate dal capo I sono “volte ad assicurare il raggiungimento delle milestone fissate nel quadro del PNRR relative al riordino delle concessioni autostradali, allo scopo di realizzare un modello di maggiore efficienza in linea con la visione europea”

richiedere una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione

Articolo 6 (Oggetto del contratto di concessione) del disegno di legge A.S.1318

imporre alle autorità concedenti di designare le concessioni per tratte autostradali, assegnate mediante procedura pubblica, tenendo conto delle stime di efficienza di scala e dei costi dei concessionari autostradali elaborate dall’Autorità di regolazione dei trasporti (ART)

Articolo 2 disegno di legge A.S.1318 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

rafforzare i controlli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sui costi e sull’esecuzione delle infrastrutture stradali;

Articolo 8 disegno di legge A.S.1318 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione, anche attraverso un sostanziale miglioramento dell’efficienza gestionale di tutte le procedure tecnico-amministrative connesse all’aggiornamento periodico dei piani economici e finanziari e alla loro attuazione annuale e attraverso il divieto di utilizzare le procedure disciplinate dall’articolo 193 del codice dei contratti pubblici per l’aggiudicazione di contratti di concessione autostradale scaduti o in scadenza

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali) e Articolo 10 (Durata delle concessioni) del disegno di legge A.S.1318

semplificare/chiarire la regolamentazione delle condizioni di risoluzione e di annullamento del contratto, anche al fine di mantenere un livello adeguato di contendibilità delle concessioni per i mercati interessati

Articolo 11 disegno di legge A.S.1318 (Estinzione del contratto di concessione)

attuare tempestivamente e pienamente il modello di regolamentazione dei diritti di accesso adottato tenendo conto:

i) degli aggiornamenti periodici della pianificazione economica e finanziaria pluriennale dei concessionari (quale approvata dall’Autorità di regolamentazione competente)

ii) dell’introduzione annuale di tali piani

Articolo 12 disegno di legge A.S.1318 (Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali)

per la risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesto al concessionario e una compensazione ragionevole per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge

Articolo 11 disegno di legge A.S.1318

 (Estinzione del contratto di concessione)

ii) Riguardo al modello regolamentare di tariffazione, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

imporre ai concessionari di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello regolamentare di tariffazione dell’ART per il calcolo dei canoni di accesso

Articolo 12 disegno di legge A.S.1318 (Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali)

imporre ai concessionari di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello normativo dell’ART in materia di prezzi e procedure di gara delle subconcessioni per la fornitura di servizi di ricarica di veicoli elettrici e di altri servizi

Articolo 8 disegno di legge A.S.1318 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

i diritti di accesso devono incentivare gli investimenti e basarsi su una metodologia di price cap sostenuta da un’analisi comparativa trasparente dei costi dell’intero settore economico, secondo criteri chiari, uniformi e trasparenti

Articolo 12 disegno di legge A.S.1318

 (Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali)

iii) Riguardo ai diritti degli utenti, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati.

Articoli 4, 6 e 8 disegno di legge A.S.1318

 

iv) Riguardo all’esternalizzazione dei lavori di costruzione, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

stabilire, ai sensi dell’articolo 186, paragrafo 2, del decreto legislativo n. 36/2023, l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50% e il 60% dei contratti di lavori, servizi e forniture. Le quote sono calcolate in base agli importi dei piani economici e finanziari allegati ai documenti di concessione e tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche economiche del concessionario, della durata residua, dell’oggetto e del valore economico della concessione e dell’importo degli investimenti effettuati.

 

Articolo 15 disegno di legge A.S.1318 (Esternalizzazione delle concessioni autostradali)

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DEL COLD IRONING

v) Entrata in vigore di incentivi normativi per l’utilizzo dei servizi di cold ironing nei porti

N.A.

DISPOSIZIONI CON RIGUARDO ALL’ELENCO DEI SOGGETTI ABILITATI

ALLA VENDITA DI GAS NATURALE A CLIENTI FINALI

vi) Precisare i criteri e i requisiti in materia di accesso e permanenza delle imprese nell’elenco dei soggetti abilitati alla vendita di gas naturale a clienti finali istituito dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 164/2000, al fine di migliorare la trasparenza e favorire la scelta dei consumatori nei mercati concorrenziali

N.A.

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DELLE ASSICURAZIONI

vii) Entrata in vigore degli atti necessari per consentire la portabilità dei dati delle scatole nere tra assicuratori

Articolo 20 disegno di legge A.S.1318

(Disposizioni per favorire la concorrenza nel

settore assicurativo)

DISPOSIZIONI CON RIGUARDO ALL’AVVIO DI UN’ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE

viii) Riesame e aggiornamento della legislazione in materia di start-up, PMI innovative e capitale di rischio al fine di razionalizzare la legislazione esistente, rivedere la definizione di start-up e promuovere gli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali.

Articoli 28-33 disegno di legge A.S.1318

 

 

Entro il 31 dicembre 2024 deve poi entrare in vigore tutto il diritto derivato (se necessario), compresi tutti i regolamenti necessari per l’efficace attuazione e applicazione di tutte le misure derivanti dalla legge annuale sulla concorrenza 2023 (M1C2-12).

 

 

Di seguito un prospetto riepilogativo delle proposte formulate dall’AGCM ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 raffrontate alla norma vigente o contenuta nel disegno di legge in esame che ne darebbe recepimento.

 

Proposta AGCM per la legge sulla concorrenza 2023

Articolo del disegno di legge

A.S.1318

 

DISPOSIZIONI IN TEMA DI RIORDINO DELLE CONCESSIONI AUTOSTRADALI

Svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendo il rinnovo automatico dei contratti di concessione

 

Articoli 3 e 10 disegno di legge A.S.1318.

V. anche l’articolo 178, comma 5, del d.lgs. n. 36/2023 (Nuovo codice dei contratti pubblici) che ha disposto esplicitamente il divieto di proroga per le concessioni scadute.

Introduzione di un obbligo di esternalizzazione di parte dei contratti affidati senza gara.

Articolo 15 disegno di legge A.S.1318. V. anche l’articolo 186, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 (Nuovo codice dei contratti pubblici) che ha disposto l’affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica di una quota tra il 50 e il 60% dei contratti di lavori, servizi e forniture per i titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici già in essere alla data di entrata in vigore del codice, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea.

Limitazione dell’affidamento sotto il profilo oggettivo, con riguardo particolare all’ambito di estensione.

Articolo 2 disegno di legge A.S.1318 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

Svolgimento delle gare per l’affidamento dei servizi di ricarica dei veicoli elettrici su tratte autostradali.

Articolo 8 disegno di legge A.S.1318 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CAMERE DI COMMERCIO

 

Circoscrizione dell’attività e delle modalità di rilevazione di prezzi e tariffe, tramite circoscrizione dell’ambito di applicazione della normativa di cui all’articolo 2, comma 2, lett. c), della legge n. 580/1993, in materia di rilevazione dei prezzi e delle tariffe, a prodotti espressamente individuati per i quali tale attività si renda ancora effettivamente necessaria e proporzionata rispetto agli obiettivi di interesse generale.

Articolo 17 disegno di legge A.S.1318 (Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi)

 

Introduzione di misure sanzionatorie a carico delle Camere di Commercio in caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006, che prevede che i rappresentanti di categorie aventi interesse diretto nella specifica materia oggetto di rilevazione, non possano far parte dei Comitati tecnici istituiti per la rilevazione degli usi.

Articolo 19 disegno di legge A.S.1318 (Disposizioni in materia di attività di rilevazione degli usi commerciali e di informazioni fornite ai clienti finali delle società di vendita di energia al dettaglio)

 

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SERVIZI DI COMUNICAZIONE ELETTRONICA

 

Intervento normativo volto a vietare la discriminazione nelle condizioni tecnico-economiche basate sul fornitore di rete o servizio di comunicazione elettronica di provenienza.

Articolo 18 disegno di legge A.S.1318

(Aggiornamento del regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in materia di portabilità dei numeri mobili)

 

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ASSICURAZIONE PER LA RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOVEICOLI

 

Intervento normativo per consentire la portabilità tra compagnie assicurative dei dati telematici registrati dalle scatole nere dei veicoli

Articolo 20 disegno di legge A.S.1318 (Disposizioni per favorire la concorrenza nel settore assicurativo)

 

DISPOSIZIONI IN TEMA DI MODIFICHE AL TESTO UNICO AMBIENTALE

 

Intervento normativo volto a esplicitare la possibilità di costituire sistemi autonomi multi-filiera per il riciclo del materiale di imballaggio nonché l’esclusione, dalla corresponsione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, delle utenze non domestiche che hanno scelto di conferire al di fuori del servizio pubblico i rifiuti simili agli urbani.

Articolo 27 disegno di legge A.S.1318
(Modifiche agli articoli 221-bis e 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sistemi autonomi di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio nonché di tariffa per la gestione dei rifiuti urbani)

 

 

 

La Commissione europea ha ripetutamente evidenziato – nelle relazioni relative all’Italia, inerenti la valutazione dei progressi del nostro Paese in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici (c.d. Country Report) – gli ostacoli alla crescita della produttività e agli investimenti in Italia, sottolineando la necessità di affrontare le restrizioni alla concorrenza, specialmente nel commercio al dettaglio e nei servizi alle imprese.

Le leggi annuali sulla concorrenza sono parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano, condizione per accedere alle risorse europee. Nel 2022, il Parlamento ha approvato la Legge sulla concorrenza 2021, mirando a eliminare ostacoli in vari settori pubblici e privati.

Il Country report 2023 della Commissione ha riconosciuto i progressi, ma ha anche evidenziato criticità persistenti, in particolare nel settore dei servizi: l’Italia, nonostante sia ben integrata nel mercato unico europeo, mostra ancora livelli di restrittività superiori alla media UE in diverse professioni regolamentate e nel commercio al dettaglio. Inoltre, permangono preoccupazioni riguardo l’assegnazione di concessioni marittime, lacustri e fluviali per attività turistico-ricreative.

Il Country report 2024 prevede che la competitività dell’Italia riceverà una spinta da forti investimenti pubblici e dallo slancio delle riforme nell’ambito del PNRR. L’Italia è relativamente aperta al commercio extra-UE, sebbene più nei beni che nei servizi. I principali fattori di competitività includono i tassi più elevati di adozione delle tecnologie cloud da parte delle imprese italiane rispetto ai loro omologhi in altri Paesi, anche se il tasso di adozione dei big data e dell’IA è inferiore.

La combinazione di riforme e investimenti inclusi nel PNRR in pubblica amministrazione e appalti, giustizia, istruzione, mercato del lavoro, concorrenza, sanità, energia, digitalizzazione, ricerca e innovazione, mobilità sostenibile e inclusione sociale ha il potenziale per migliorare la competitività dell’Italia.

 

Permangono le seguenti sfide per la competitività:

 

• C’è margine per migliorare l’efficacia della pubblica amministrazione per renderla più reattiva alle esigenze di imprese e cittadini, per potenziare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, e per migliorare l’attuazione degli investimenti e delle riforme. La Commissione europea ricorda in particolare le azioni previste per il 2024 per ridurre i tempi di pagamento delle autorità pubbliche a 30 giorni, affrontando una sfida critica per le PMI e la partecipazione agli appalti pubblici.

 

• Necessità di migliorare l’ambiente imprenditoriale. Diversi fattori contribuirebbero: ridurre i tempi delle sentenze nel sistema giudiziario incentiverebbe gli investimenti, soprattutto dall’estero, aumentando la certezza giuridica. Secondo la Commissione europea, la riforma dell’amministrazione fiscale in Italia, parte del PNRR, mira a migliorare la competitività attraverso l’incoraggiamento della conformità fiscale, la riduzione dei costi di adempimento per i contribuenti, e il rafforzamento delle “lettere di compliance” per prevenire l’evasione fiscale. Un progetto pilota di dichiarazioni IVA precompilate per 2,3 milioni di contribuenti dovrebbe ridurre i costi di conformità, digitalizzare i contatti con l’amministrazione fiscale e migliorare le pratiche contabili.

 

• L’Italia necessita di potenziare ricerca, innovazione e investimenti nella forza lavoro. Il PNRR e i fondi UE stanno mobilitando risorse significative (11 miliardi dal PNRR, 9,5 miliardi dalla politica di coesione) per R&I, crescita delle PMI e competitività. Tuttavia, la Commissione europea evidenzia un divario tra l’Italia e i migliori performer UE nell’allocazione di risorse agli uffici di trasferimento tecnologico. Ricordando che il PNRR sostiene la finanza non bancaria, ma sono necessarie ulteriori azioni per facilitare il finanziamento delle imprese attraverso i mercati dei capitali, la Commissione europea suggerisce di a) rafforzare il legame tra ricerca e imprese, b) migliorare la governance di università ed enti di ricerca, c) collegare la ricerca a programmi di incubazione e venture capital, d) allineare le priorità di ricerca alle esigenze industriali

 

• La Commissione europea rileva poi che l’Italia è altamente esposta ai cambiamenti climatici, esacerbati dalle attività umane. L’impatto dei cambiamenti climatici rappresenta un elevato onere per le imprese italiane, il governo e gli assicuratori, ad esempio a causa delle infrastrutture danneggiate. Secondo l’ISPRA, nel 2021 sono stati consumati 21 ettari/giorno di suolo, il dato più alto in 11 anni, con un costo annuo per l’ecosistema del suolo stimato fino a 5 miliardi di euro. Su questo fronte, il PNRR include misure come investimenti per sostenere start-up e venture capital attivi nella transizione ecologica, per aumentare la competitività delle PMI nel settore agroalimentare e azioni per aumentare la resilienza della rete elettrica. La Commissione ricorda come proposte di legge sulla riduzione del consumo di suolo siano attualmente all’esame del Parlamento italiano.

 

• Secondo la Commissione europea, l’Italia sta avanzando nella realizzazione della rete nazionale di telecomunicazioni ultra-veloce e 5G, riducendo il divario digitale. Il PNRR destina 5,3 miliardi di euro per questo scopo. Secondo la Commissione europea sono però necessari sforzi significativi per completare i progetti nei tempi previsti dal PNRR.

 

Secondo la Commissione europea, diversi settori italiani sono ancora sovra-regolamentati e protetti dalla concorrenza. In particolare:

 

- Le restrizioni alla concorrenza sono particolarmente elevate nel settore del commercio al dettaglio. L’indicatore di restrittività del commercio al dettaglio 2022 della Commissione europea colloca l’Italia tra gli Stati membri più restrittivi, in particolare per l’apertura di negozi e la gestione di promozioni di vendita. Sebbene le misure passate abbiano rimosso restrizioni significative, le normative regionali e locali impongono ancora condizioni rigorose nel processo di autorizzazione. Le aziende non sono ancora libere di gestire le proprie promozioni di vendita e permangono restrizioni sulla distribuzione di alcuni prodotti, compresi i farmaci da banco. Ridurre queste restrizioni permetterebbe alle aziende di adattare il loro modello di business alle preferenze dei consumatori e affrontare la concorrenza online.

 

- Le barriere all’ingresso rimangono particolarmente elevate per le professioni regolamentate. Secondo la Commissione europea, il livello di restrittività in Italia è superiore alla media UE per ingegneri, architetti, commercialisti, agenti immobiliari e, in una certa misura, avvocati brevettuali. In particolare, è importante trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere le piccole attività professionali nelle relazioni contrattuali con clienti con forte potere contrattuale, come banche e compagnie assicurative, e permettere alle aziende più produttive di prosperare. Rimuovere le regole di “equo compenso” aprirebbe il mercato a imprese più produttive che potrebbero fissare tariffe più basse per aumentare la loro quota di mercato.

 

- La transizione verde beneficerebbe di un settore ferroviario più dinamico e competitivo. Nonostante il successo della liberalizzazione del mercato nei servizi ferroviari ad alta velocità, esistono significative barriere al trasporto regionale e ai servizi intercity (a lunga percorrenza), dove i contratti di servizio pubblico continuano ad essere assegnati direttamente all’operatore storico. Ciò rimuove gli incentivi ad aumentare l’efficienza e migliorare la qualità del servizio. Una migliore supervisione normativa da parte del gestore dell’infrastruttura (RFI) potrebbe rafforzare le decisioni di investimento e la rimozione di diverse barriere tecniche potrebbe migliorare l’accesso all’infrastruttura ferroviaria. Ad esempio, alcune aree mancano della tecnologia standardizzata necessaria per accedere alle strutture di manutenzione.

 

European Commission, Retail Restrictiveness Indicator (2022 update). 

 

 

 


Schede di lettura


Capo I – Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

 

Sezione I: Finalità e ambito di applicazione

 

 

Articolo 1
(Ambito di applicazione, finalità e definizioni)

 

 

L’articolo 1, modificato dalla Camera, individua (al comma 1) le finalità a cui mirano le disposizioni del capo I della presente legge e definisce il campo di applicazione delle disposizioni medesime. Viene inoltre precisato (al comma 2) che tali disposizioni integrano la disciplina generale delle concessioni autostradali recata dal Codice dei contratti pubblici e sono fornite (al comma 3) le definizioni dei termini utilizzati negli articoli che compongono il capo I.

 

Ambito di applicazione (comma 1)

Il comma 1 dell’articolo in esame chiarisce che il capo I della presente legge (costituito dagli articoli da 1 a 16) reca disposizioni di riordino normativo in materia di:

§  affidamento delle concessioni autostradali,

§  semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative relative all’approvazione e revisione dei piani economico e finanziari,

§  specificazione dei criteri di risoluzione dei contratti di concessione.

 

Finalità (comma 1)

Il comma 1 precisa che l’intento a cui mirano le disposizioni del capo I è quello di rafforzare gli strumenti di governance in capo al concedente nel quadro di una regolamentazione orientata alle seguenti finalità:

§  alla promozione di condizioni di effettiva concorrenzialità tra gli operatori del settore;

§  alla garanzia della contendibilità delle concessioni autostradali per i mercati di riferimento;

§  alla tutela della sostenibilità economica e finanziaria dello strumento concessorio;

§  al potenziamento degli strumenti preventivi e successivi di incentivazione e verifica degli adempimenti;

§  alla tutela di livelli adeguati di servizio e di investimento a favore degli utenti.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che le disposizioni recate dal capo I del presente disegno di legge sono “volte ad assicurare il raggiungimento delle milestone fissate nel quadro del PNRR relative al riordino delle concessioni autostradali (si rinvia in proposito all’approfondimento “Il settore autostradale e gli obiettivi previsti dal PNRR” riportato in calce alla presente scheda, n.d.r.), allo scopo di realizzare un modello di maggiore efficienza in linea con la visione europea, che concepisca la concessione quale strumento contrattuale in grado di garantire un’efficace collaborazione tra la parte pubblica e la parte privata. La riforma intende così modellare la concessione alle esigenze del mercato, assicurando la realizzazione degli interventi necessari e la prestazione di un servizio efficiente all’utenza”.

 

Disciplina delle concessioni autostradali (comma 2)

Il comma 2 precisa che alle concessioni autostradali si applicano le disposizioni di cui al Libro IV, Parte II, del decreto legislativo n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici), come integrate e specificate dalle disposizioni del presente Capo, che costituiscono norme speciali di settore.

 

In altri termini, come sottolineato dalla relazione illustrativa, le norme recate dal capo I rappresentano disposizioni speciali volte ad integrare la disciplina generale delle concessioni autostradali recata dal citato Libro IV del Codice dei contratti pubblici.

 

Definizioni (comma 3)

Il comma 3 reca le definizioni dei termini utilizzati negli articoli del capo I della presente legge, in relazione – come evidenziato dalla relazione illustrativa – “sia agli elementi soggettivi (ad esempio: Autorità nazionale anticorruzione; ente concedente; concessionari; società in house) che a quelli oggettivi (ad esempio: convenzione; piano economico-finanziario)”.

La relazione illustrativa sottolinea che “rileva, in particolare, ai fini dell’ambito di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo, la definizione di ‘manutenzione ordinaria’ e ‘manutenzione straordinaria’, al fine di assicurare un’omogeneità nella classificazione delle attività che il concessionario autostradale è tenuto a svolgere”.

Ai sensi della lettera m) del comma in esame, con l’espressione “manutenzione ordinaria” si fa riferimenti a “gli interventi che riguardano opere di riparazione, ripristino, rinnovamento e sostituzione di parti delle infrastrutture e gli interventi necessari a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”, mentre, in base alla successiva lettera n), con l’espressione “manutenzione straordinaria” ci si riferisce a “gli interventi di manutenzione che non rientrano tra quelli di manutenzione ordinaria, come definita alla lettera m), finalizzati anche all’innalzamento dei livelli di sicurezza dell’infrastruttura e della durabilità della stessa nel tempo”.

 

Degna di rilievo è inoltre la definizione, recata dalla lettera h), di “concessioni in essere”, che sono “le concessioni che non hanno esaurito, alla data di entrata in vigore della presente legge, il periodo di durata della concessione come disciplinato nella relativa convenzione ovvero le concessioni autostradali che rientrano nell’ambito di applicazione di cui all’articolo 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici”.

 

Il comma 5 dell’art. 178 del d.lgs. 36/2023 dispone che la durata dei contratti di concessione non è prorogabile, salvo per la revisione prevista, dall’art. 192, “al verificarsi di eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili, ivi compreso il mutamento della normativa o della regolazione di riferimento, purché non imputabili al concessionario, che incidano in modo significativo sull’equilibrio economico-finanziario dell’operazione” (art. 192, comma 1). Lo stesso comma 5 dispone inoltre che i contratti aggiudicati senza gara (di cui all’articolo 186, comma 2, del Codice; tale comma prevede specifici obblighi per i titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici già in essere alla data di entrata in vigore del Codice, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, e non affidate conformemente al diritto dell’UE vigente al momento dell’affidamento o della proroga) non sono in nessun caso prorogabili. Il comma 5 prevede altresì che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

 

Degna di nota è altresì la definizione di “tratte autostradali” che sono “le strade di cui all’articolo 2, comma 2, lettera A del Codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, soggette a pedaggio”.

 

L’articolo 2, comma 2, del Codice della strada, classifica le strade, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi: A - Autostrade; B - Strade extraurbane principali; C - Strade extraurbane secondarie; D - Strade urbane di scorrimento; E - Strade urbane di quartiere; ecc.

Il comma 3 dispone, tra l’altro, che le strade di cui al comma 2, lettera A, cioè le autostrade, devono avere le seguenti caratteristiche minime: “strada extraurbana o urbana a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia, eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di assistenza all’utente lungo l’intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione”.

 

Nel corso dell’esame alla Camera:

- è stata inserita la definizione di viabilità locale di adduzione alla tratta autostradale che comprende le tratte statali, regionali, provinciali e locali di connessione alla tratta autostradale;

- è stata modificata la definizione di concessionari. A differenza del testo iniziale – ove si prevede che per “concessionari” si intendono i soggetti ai quali l’ente concedente ha affidato, tramite contratto di concessione, la gestione e manutenzione ordinaria delle tratte autostradali, nonché l’esecuzione di lavori sulle medesime – la nuova definizione approvata dalla Camera precisa che il riferimento alla manutenzione è da intendersi non limitato alla sola manutenzione ordinaria e che, oltre alla gestione e alla manutenzione delle tratte autostradali, sono affidate al concessionario anche le attività di progettazione e realizzazione delle tratte medesime.

Lo stato delle concessioni autostradali in Italia

La rete autostradale italiana ha una lunghezza di circa 7.016,4 km di tratte in esercizio, ed è gestita tramite rapporti concessori con società concessionarie pubbliche e private. ln particolare – come evidenziato nella relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 – “la rete a pedaggio è gestita tramite 26 rapporti concessori e si sviluppa per 6.077,1 chilometri in esercizio, mentre la rete autostradale non a pedaggio è gestita dall’ANAS Spa e si estende per 939,3 chilometri in esercizio”. Inoltre “per la maggior parte della rete, il concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mentre, per la restante parte, soggetti concedenti sono le Regioni Veneto ed Emilia-Romagna e la società ‘Concessioni Autostradali Lombarde S.p.A.’ (CAL) (società del Gruppo Anas partecipata per il 50% da Anas S.p.A. e per il restante 50% dall’Azienda Regionale per l’innovazione e gli Acquisti S.p.A. (ARIA), partecipata al 100% dalla Regione Lombardia e che opera secondo il modello dell’organismo in house)”.

Sempre secondo quanto evidenziato dalla relazione illustrativa, “nell’ambito delle concessioni autostradali per le quali il concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 17 scadranno nei prossimi 15 anni e per queste sarà necessario procedere ad un nuovo affidamento”.

Per approfondimenti, sia sullo stato della rete autostradale sia sulle disposizioni normative emanate in relazione alle autostrade nel corso della presente legislatura si rinvia al tema “Strade e autostrade“.

 

Gli obiettivi previsti per il settore autostradale dal traguardo M1C2-11 del PNRR

Tra gli obiettivi del traguardo M1C2-11 del PNRR (relativo alla legge annuale sulla concorrenza), da conseguire entro il 31 dicembre 2024, viene prevista l’adozione di una serie di misure relative al settore autostradale. Tra queste, la relazione illustrativa segnala la previsione di un quadro normativo per le concessioni autostradali all’interno del quale rendere obbligatorio lo svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendone il rinnovo automatico, nonché di misure in materia di affidamenti in house e risoluzione del contratto.

Nel dettaglio, l’allegato alla decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea del 5 dicembre 2023, che modifica la decisione di esecuzione del 13 luglio 2021, relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, prevede una lunga serie di obiettivi (all’interno del citato traguardo M1C2-11), per il settore autostradale, raggruppati in quattro insiemi relativi:

i) all’accesso alle concessioni e alla risoluzione del contratto (in questo ambito viene previsto, in particolare, che la legge annuale sulla concorrenza deve “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali e garantire livelli di servizio adeguati agli utenti della strada, fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE” e “migliorare l’efficienza delle procedure amministrative decisionali relative ai contratti di concessione”;

ii) al modello regolamentare di tariffazione (in particolare viene richiesto, alla legge sulla concorrenza, di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti - ART);

iii) ai diritti degli utenti (in proposito viene previsto che la legge annuale sulla concorrenza deve almeno garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati);

iv) all’esternalizzazione dei lavori di costruzione (in proposito viene richiesto alla legge annuale sulla concorrenza di stabilire almeno “l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50 % e il 60 % dei contratti di lavori, servizi e forniture”).

Specifici obiettivi sono inoltre previsti in relazione agli affidamenti in house (in particolare viene previsto che la legge sulla concorrenza richieda una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vieti l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house in assenza di tale verifica).

 

Si fa notare che l’allegato alla citata decisione del 5 dicembre 2023 è stato sostituito dall’allegato alla decisione del 7 maggio 2024. Tuttavia la parte del testo del traguardo M1C2-11 relativa alle concessioni autostradali non ha subito modifiche.

 


Sezione II: Aggiudicazione delle concessioni autostradali

 

 

Articolo 2
(Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

 

 

L’articolo 2, modificato dal punto di vista formale dalla Camera, dispone che, ai fini dell’affidamento delle concessioni autostradali ai sensi delle disposizioni del Capo I (artt. 1-16) della presente legge, l’ente concedente tiene conto degli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali individuati ai sensi dell’art. 37, comma 2, lettera g-bis) del decreto-legge n. 201/2011.

 

Il testo iniziale dell’articolo in esame prevedeva che le concessioni autostradali affidate ai sensi del Capo I della presente legge tenessero conto degli ambiti ottimali succitati. Nel corso dell’esame alla Camera è stata operata una modifica volta a precisare che è l’ente concedente (e non le concessioni) che, ai fini dell’affidamento delle concessioni autostradali, deve tener conto degli ambiti ottimali.

 

Si fa notare che la citata lettera g-bis), introdotta dall’art. 16, comma 2, lettera b), della presente legge, prevede, tra l’altro, che l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) definisce “gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e di stimolare la concorrenza per confronto”.

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 evidenzia che, con la delibera 23 giugno 2016, n. 70, l’ART “ha avuto modo di chiarire che costituiscono ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, in assenza di significative economie di scala, quelli corrispondenti ad una estesa chilometrica non inferiore, per singola concessione, a 180 km, e tendenzialmente ricompresa nell’intervallo tra 180 e 315 km: ciò, in quanto, per estese chilometriche inferiori a 180 km, si registrerebbe la presenza di significative inefficienze di costo, mentre, per estese chilometriche superiori ad un valore nell’intorno di 315 km, non si rileverebbe la presenza di ulteriori significative economie di scala. In tal modo, si provvede a correggere un’inefficienza dell’attuale sistema di affidamento delle tratte, in quanto l’individuazione di un ambito ottimale di gestione consente di prevenire elevati valori di subentro, che incidono sulle condizioni economiche delle gare, e di migliorare le condizioni di bancabilità dei piani di investimento alla base delle concessioni, ossia della loro sostenibilità finanziaria”.

La stessa relazione sottolinea che l’articolo in esame si pone come direttamente attuativo dell’obiettivo previsto dalla milestone M1C2-11 del PNRR relativo alla necessità di “imporre alle autorità concedenti di designare le concessioni per tratte autostradali, assegnate mediante procedura pubblica, tenendo conto delle stime di efficienza di scala e dei costi dei concessionari autostradali elaborate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART)”.

 


Articolo 3
(Modalità di affidamento delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 3 stabilisce che l’ente concedente, cioè il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), aggiudica le concessioni autostradali secondo procedure di evidenza pubblica (comma 1). Sono inoltre individuati (al comma 2) i casi in cui è invece consentito l’affidamento diretto ed è stabilito (al comma 3) il divieto di project financing per gli affidamenti delle concessioni scadute o in scadenza.

 

La regola generale: le procedure di evidenza pubblica (comma 1)

 

Il comma 1 stabilisce che l’ente concedente (cioè, come evidenziato dalla relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022, il MIT, v. infra) aggiudica le concessioni autostradali secondo procedure di evidenza pubblica, nel rispetto delle disposizioni relative al bando di concessione recate dell’art. 182 del Codice dei contratti pubblici.

 

L’art. 182 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) dispone che gli enti concedenti che intendono aggiudicare una concessione rendono nota tale intenzione per mezzo di un bando di concessione e disciplina i contenuti del bando stesso (anche mediante rinvio a quanto previsto dall’allegato IV.1 al Codice medesimo).

In relazione al ruolo di ente concedente svolto dal MIT, la relazione illustrativa ricorda che l’art. 36 del D.L. 98/2011 ha istituito presso il predetto Ministero l’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali al fine di attribuire alla stessa le funzioni di concedente in luogo di ANAS S.p.A. Tali funzioni , data la mancata costituzione dell’Agenzia, sono state trasferite al MIT e “sono oggi esercitate dalla Direzione generale per le strade e la sicurezza delle infrastrutture stradali, in relazione alla rete stradale, e dalla Direzione generale per le autostrade e la vigilanza sui contratti di concessione autostradale, in relazione alla rete autostradale, in virtù dell’articolo 4, commi 3, lettera a), e 4, lettera a), del regolamento di riorganizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 ottobre 2023, n. 186”.

 

Casi in cui è consentito l’affidamento diretto (comma 2)

 

Il comma 2 dispone che l’affidamento diretto di concessioni autostradali è consentito, nel rispetto delle procedure di cui al successivo articolo 5, esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

a) Affidamento alla società Autostrade dello Stato S.p.A., costituita ai sensi dell’art. 2, comma 2-sexies, del D.L. 121/2021.

 

Si ricorda che il richiamato comma 2-sexies prevede che, per l’esercizio dell’attività di gestione delle autostrade statali in regime di concessione mediante affidamenti in house, è autorizzata la costituzione di una nuova società, interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e soggetta al controllo analogo del Ministero delle infrastrutture. Tale società, denominata Autostrade dello Stato S.p.A., è stata istituita, in attuazione del citato comma 2-sexies, con il D.P.C.M. 9 aprile 2024.

 

b) Affidamento ad una società in house, diversa dalla società di cui alla lettera a), anche appositamente costituita, secondo quanto previsto dall’articolo 186, comma 7, del Codice dei contratti pubblici.

 

L’art. 186, comma 7, del Codice dispone che, in caso di concessione autostradale relativa ad un’autostrada che interessa una o più regioni, la concessione può essere affidata dal MIT a società in house di altre amministrazioni pubbliche anche appositamente costituite. A tal fine il controllo analogo sulla predetta società in house può essere esercitato dal MIT attraverso un comitato disciplinato da apposito accordo, che eserciti sulla società in house i relativi poteri.

 

Si fa notare che le disposizioni recate dai commi 1 e 2 dell’articolo in esame si pongono – come sottolinea la relazione illustrativa, richiamando anche le disposizioni recate dall’art. 4 – come direttamente attuative di specifici impegni contenuti nella M1C2-11. Tale traguardo richiede infatti che la legge sulla concorrenza debba “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali (…), fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE”.

 

Divieto di project financing per gli affidamenti delle concessioni scadute o in scadenza (comma 3)

 

Il comma 3 stabilisce che l’ente concedente non può procedere agli affidamenti delle concessioni autostradali scadute o in scadenza facendo ricorso alle procedure di cui all’art. 193 del Codice dei contratti pubblici, ovverosia facendo ricorso al project financing.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che la norma in esame “persegue una ratio antielusiva del divieto di proroga delle concessioni autostradali contenuto nell’articolo 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in quanto è finalizzata ad evitare che, in sede di primo riaffidamento delle concessioni autostradali, i concessionari autostradali uscenti possano avere una posizione di vantaggio di fatto, quali proponenti nel project financing, giovandosi del diritto di prelazione previsto dall’articolo 193, commi 4 e 8, del citato Codice”.

 

Si fa notare che la disposizione in esame recepisce quanto richiesto dal traguardo M1C2-11 (v. supra), secondo cui la legge sulla concorrenza deve “impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione, anche attraverso (…) il divieto di utilizzare le procedure disciplinate dall’articolo 193 del codice dei contratti pubblici per l’aggiudicazione di contratti di concessione autostradale scaduti o in scadenza”.

 


Articolo 4
(Bando di gara e criteri di aggiudicazione)

 

 

L’articolo 4 disciplina (al comma 1) il contenuto dei bandi di gara relativi agli affidamenti effettuati con procedure di evidenza pubblica, e (al comma 2) pone in capo al concedente, ai fini dell’aggiudicazione, alcuni importanti obblighi.

 

Contenuto del bando (comma 1)

 

Il comma 1 disciplina il contenuto dei bandi di gara relativi agli affidamenti di cui all’art. 3, comma 1 (cioè degli affidamenti con procedure di evidenza pubblica), prevedendo che tali bandi disciplinano, in particolare:

a) l’oggetto del contratto di concessione per i servizi di gestione e manutenzione ordinaria, nonché per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dal concedente nel bando di gara, sulla base delle disposizioni di cui all’art. 6;

b) i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziari dei concorrenti, secondo le disposizioni del Codice dei contratti pubblici;

c) le modalità di presentazione dell’offerta, che indica distintamente gli elementi qualitativi e di costo o di prezzo relativi ai servizi di gestione e manutenzione ordinaria, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a) del comma 2 (cioè della ricognizione dello stato manutentivo dell’infrastruttura), nonché alla progettazione e all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria;

d) il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’articolo 108, comma 4, del Codice dei contratti pubblici[2], finalizzato a garantire una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’ente concedente. I criteri di aggiudicazione indicano i maggiori punteggi da attribuire alle offerte in relazione ai livelli di servizio e alle prestazioni di cui all’articolo 8, comma 1, della presente legge e possono comprendere, tra l’altro, aspetti qualitativi ambientali e sociali connessi all’oggetto della concessione o relativi all’innovazione;

e) la durata massima del contratto di concessione, che non può comunque superare i quindici anni, come previsto dal successivo articolo 10, comma 1.

 

Obblighi del concedente ai fini dell’aggiudicazione (comma 2)

 

Il comma 2 dispone che, per l’aggiudicazione dei contratti di concessione, l’ente concedente:

a) pubblica in allegato al bando di gara la ricognizione dello stato manutentivo dell’infrastruttura, predisposta dall’ente concedente sulla base degli elementi forniti dal concessionario uscente e delle verifiche sull’infrastruttura effettuate in proprio o tramite l’ANSFISA, ai fini della formulazione di offerte corredate di un piano di manutenzioni ordinarie;

b) pone a base di gara per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati in coerenza con i criteri di cui all’articolo 13, comma 2, almeno un progetto di fattibilità redatto sulla base dell’articolo 41, comma 6, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

 

Si ricorda che l’articolo 41, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, indica i contenuti del progetto di fattibilità tecnico-economica. In particolare tale progetto, secondo quanto previsto dalla lettera a) di tale comma, “individua, tra più soluzioni possibili, quella che esprime il rapporto migliore tra costi e benefici per la collettività in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e alle prestazioni da fornire”. La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame si pone in coerenza con quanto previsto dall’articolo 185 del Codice dei contratti pubblici in tema di concessioni, in base al quale per l’aggiudicazione dei contratti di concessione “l’ente concedente pone a base di gara almeno un progetto di fattibilità”.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che l’articolo in esame, unitamente al precedente articolo 3, consente di attuare alcuni degli obiettivi del traguardo M1C2-11. In particolare il riferimento è alla richiesta che la legge annuale sulla concorrenza deve “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali”, nonché “richiedere una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione” e garantire “la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di livelli di servizio adeguati”.

 

 


Sezione III: Affidamento in house

 

 

Articolo 5
(Affidamento in house delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 5, modificato dalla Camera, reca disposizioni per l’affidamento in house delle concessioni autostradali. In particolare viene disciplinata la procedura da seguire per l’affidamento in house, che si conclude con l’approvazione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, della proposta definitiva di convenzione.

 

Ragioni che giustificano il ricorso all’in house (comma 1)

 

Il comma 1 prevede che, ai fini dell’affidamento in house di una concessione autostradale, l’ente concedente effettua preventivamente la valutazione delle ragioni che giustificano il ricorso a tale modalità di affidamento ai sensi dell’art. 7, comma 2, del Codice dei contratti pubblici.

 

Il comma 2 dell’art. 7 del Codice dispone, in particolare, che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti:

§  possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture;

§  adottano per ciascun affidamento “un provvedimento motivato in cui danno conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche”.

 

Procedura da seguire per l’affidamento in house (commi 2-6 e 8)

Fase 1 – Elaborazione della documentazione (commi 2, 3 e 8)

Il comma 2 dispone che “nelle ipotesi di cui al presente articolo” (cioè ai fini dell’affidamento in house), l’ente concedente predispone una proposta di convenzione, con il relativo PEF, elaborato sulla base del modello di tariffazione predisposto dall’ART, che viene sottoposta all’affidatario per la relativa sottoscrizione entro i successivi 30 giorni.

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 chiarisce che la sottoscrizione in questione deve avvenire entro trenta giorni dalla ricezione della proposta.

Si tratta di una precisazione che non si desume chiaramente dal testo della disposizione in esame.

Si valuti pertanto l’opportunità di riformulare il comma in esame al fine di chiarire quanto evidenziato dalla relazione illustrativa.

 

Il comma 8 precisa che la proposta di convenzione è redatta nel rispetto delle disposizioni relative al contratto di concessione recate dalla Sezione IV (articoli 6-11), in quanto compatibili.

 

Il comma 3 dispone che la proposta di affidamento, motivata sulla base delle valutazioni del comma 1, e corredata della proposta di convenzione e del relativo PEF, sottoscritta da entrambe le parti, è tempestivamente trasmessa dall’ente concedente all’ART e all’ANAC.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di fissare un termine per la sottoscrizione della proposta di affidamento.

 

Fase 2 – Pareri di ART e ANAC (comma 3)

Il comma 3, oltre a quanto illustrato in precedenza, dispone che ART e ANAC esprimono i pareri di relativa competenza, sulla documentazione ad essi trasmessa (proposta di affidamento, corredata della proposta di convenzione e del relativo PEF), entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione.

Lo stesso comma precisa che tale termine può essere differito, su richiesta dell’autorità competente, di ulteriori 15 giorni per eventuali motivate esigenze istruttorie e integrazioni documentali.

 

Fase 3 – Adeguamento della documentazione (comma 4, primo periodo)

Il primo periodo del comma 4 dispone che la proposta di convenzione e il relativo PEF, adeguati alle prescrizioni contenute nei pareri espressi da ART e ANAC, sono tempestivamente trasmessi dall’ente concedente al Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (ClPESS) con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno della prima seduta disponibile.

 

Fase 4 – Esame del CIPESS (comma 4, periodi secondo e terzo)

Il testo iniziale del secondo periodo del comma 4 prevedeva una sorta di silenzio-assenso, stabilendo che l’esame del CIPESS si intendeva svolto positivamente in caso di mancata deliberazione entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, fatta salva la possibilità di chiedere un differimento del termine di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie e integrazioni documentali.

Nel corso dell’esame alla Camera tale periodo è stato riscritto al fine di eliminare il silenzio-assenso e stabilire che il CIPESS si esprime entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, prorogabili di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie e integrazioni documentali.

In sede di riscrittura è stato inoltre aggiunto un terzo periodo, in base al quale resta ferma per il CIPESS la facoltà di acquisire il parere del NARS (Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità) nei termini indicati al secondo periodo.

 

Fase 5 – Approvazione della proposta definitiva di convenzione (commi 5-6)

Il comma 5 dispone che l’ente concedente, tenuto conto delle eventuali osservazioni del CIPESS, trasmette all’affidatario, entro i successivi 30 giorni, la proposta definitiva di convenzione (PDC), con il relativo PEF, ai fini della sua sottoscrizione.

La sottoscrizione della PDC deve avvenire entro 30 giorni dalla ricezione della stessa.

Il comma 6 stabilisce che la PDC, così sottoscritta, è approvata con decreto ministeriale adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di fissare un termine per l’emanazione del decreto ministeriale in questione.

 

Mancata sottoscrizione della proposta definitiva di convenzione (comma 7)

 

Il comma 7 disciplina il caso di mancata sottoscrizione della proposta definitiva di convenzione con il relativo PEF da parte dell’affidatario entro il termine fissato dal comma 5.

Tale termine – come sottolineato dalla relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 – “è da intendersi perentorio”: nel caso di inutile decorso del termine, il comma 7 impone che si proceda a un nuovo affidamento ai sensi dell’articolo 3.

Aggiornamento periodico o revisione delle convenzioni e dei PEF (comma 9)

Il testo iniziale del comma 9 disponeva che all’aggiornamento o alla revisione delle convenzioni e dei relativi PEF si procedesse, secondo le modalità di cui al presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del Codice dei contratti pubblici in merito alla modifica e alla revisione dei contratti di concessione.

Tale comma è stato riscritto, nel corso dell’esame alla Camera, al fine di differenziare le procedure da seguire per l’aggiornamento e per la revisione delle convenzioni e dei relativi PEF.

In base al nuovo testo:

§  l’aggiornamento periodico è definito con apposito atto aggiuntivo alla convenzione, approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, acquisiti i pareri dell’ART e dell’ANAC ai sensi del comma 3;

§  la revisione è effettuata secondo le modalità di cui ai commi 2, 3 e 4 del presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del codice dei contratti pubblici.

 

La relazione illustrativa evidenzia che l’articolo in esame si pone come direttamente attuativo delle richieste relative agli affidamenti in house contenute nel traguardo M1C2-11.

 

Si ricorda in proposito che tale traguardo prescrive, per gli affidamenti in questione, che la legge sulla concorrenza deve:

§  “richiedere una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vietare l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house in assenza di tale verifica;

§  conferire all’Autorità per la regolamentazione dei trasporti (ART) strumenti e poteri adeguati per eseguire le verifiche summenzionate e il sostegno (giuridico) dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);

§  imporre l’installazione di un numero minimo di punti di ricarica elettrica, la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci e il pieno rispetto del quadro normativo elaborato dall’ART per la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di adeguati livelli di servizio, come criteri di aggiudicazione per nuove concessioni autostradali”.

In relazione a tale ultimo punto si fa notare che tali aspetti sono disciplinati dagli articoli della sezione IV della presente legge, ai quali fa rinvio il comma 8 dell’articolo in esame (tale comma, lo si ricorda, dispone che la proposta di convenzione è redatta nel rispetto delle disposizioni di cui alla Sezione IV, in quanto compatibili).

 

 


Sezione IV: Contratto di concessione

 

 

Articolo 6
(Oggetto del contratto di concessione)

 

 

L’articolo 6, modificato dalla Camera, definisce l’oggetto del contratto di concessione autostradale, prevedendo che includa l’attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale (lettera a) del comma 1) nonché, in relazione ai progetti posti a base di gara, la progettazione di fattibilità tecnico-economica, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dalla convenzione di concessione e dai relativi aggiornamenti (lettera b) del comma 1).

Lo stesso articolo dispone che sono a carico del concessionario i rischi operativi e reca disposizioni volte a disciplinare le attività e le opere rispettivamente indicate dalle lettere a) e b) del comma 1.

 

Oggetto del contratto e rischi operativi (commi 1 e 3)

 

In base al disposto del comma 1, il contratto di concessione autostradale ha ad oggetto:

a) l’attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale;

b) in relazione ai progetti di cui all’articolo 4, comma 2, lettera b) posti a base di gara, la progettazione di fattibilità tecnico-economica, per gli aspetti di cui all’articolo 41, comma 6, lettere b), c), d), e), f), g) del Codice dei contratti pubblici, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dalla convenzione di concessione e dai relativi aggiornamenti, in coerenza con quanto previsto dallo schema di convenzione posto a base dell’affidamento.

 

Si ricorda che l’articolo 4, comma 2, lettera b), della presente legge, prevede che per l’aggiudicazione dei contratti di concessione, l’ente concedente pone a base di gara per la progettazione, l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria almeno un progetto di fattibilità redatto sulla base dell’articolo 41, comma 6, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

Le lettere da a) a g) del comma 6 dell’art. 41 del Codice disciplinano il progetto di fattibilità tecnico-economica, stabilendo che lo stesso:

a) individua, tra più soluzioni possibili, quella che esprime il rapporto migliore tra costi e benefici per la collettività in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e alle prestazioni da fornire;

b) contiene i necessari richiami all’eventuale uso di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni;

c) sviluppa, nel rispetto del quadro delle necessità, tutte le indagini e gli studi necessari per la definizione degli aspetti di cui al comma;

d) individua le caratteristiche dimensionali, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare, compresa la scelta in merito alla possibile suddivisione in lotti funzionali;

e) consente, ove necessario, l’avvio della procedura espropriativa;

f) contiene tutti gli elementi necessari per il rilascio delle autorizzazioni e approvazioni prescritte;

g) contiene il piano preliminare di manutenzione dell’opera e delle sue parti.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che il comma 1 in esame, nel definire l’oggetto del contratto di concessione autostradale, dà specifica attuazione a quanto previsto dal traguardo M1C2-11, che richiede “una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione”.

 

Il comma 3 dispone che, in relazione alle attività di cui al comma 1, sono a carico del concessionario i rischi operativi di cui all’articolo 177 del Codice dei contratti pubblici.

 

L’art. 177 del Codice dispone in particolare, al comma 1, che “l’aggiudicazione di una concessione comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda o dal lato dell’offerta o da entrambi”. In proposito la relazione illustrativa chiarisce che “il c.d. rischio operativo è da intendersi o quale ‘rischio della domanda’, legato alla maggiore o minore domanda dei servizi prestati ad opera degli utenti, o quale ‘rischio dell’offerta’, che si ha nel caso in cui la remunerazione dell’affidatario sia subordinata all’effettiva capacità di mettere l’opera o i servizi a disposizione dell’utenza o dell’ente concedente” e ricorda, altresì, che le linee guida n. 9, approvate dall’ANAC con la delibera n. 318 del 28 marzo 2018, in tema di trasferimento dei rischi al concessionario nei contratti di partenariato pubblico-privato, hanno espressamente sancito che “è necessario che sia trasferito in capo all’operatore economico, oltre che il rischio di costruzione, anche il rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, il rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell’opera”.

 

Disposizioni relative alle attività di gestione e manutenzione ordinaria (comma 2)

 

Il comma 2 prevede – in relazione alle attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale (contemplate dalla lettera a) del comma 1) – che il concessionario assicura le condizioni di sostenibilità delle aree di servizio mediante la gestione diretta dei servizi comuni condivisi, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011.

 

Si ricorda, in proposito, che l’art. 37 del D.L. 201/2011 ha istituito e disciplinato l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART). In particolare, il comma 2 di tale articolo affida all’ART una serie di compiti di regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture.

Nell’ultima relazione annuale dell’ART trasmessa al Parlamento nell’ottobre 2023 (Doc. CCXVI, n. 1) viene sintetizzata, tra l’altro, l’attività regolatoria dell’ART svolta nei suoi dieci anni di attività. In particolare nella relazione citata viene ricordato che “avuto riguardo all’ambito autostradale, l’attività di regolazione è stata preliminarmente indirizzata alla definizione degli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, presupposto essenziale per la valutazione della ‘competizione per confronto’ individuata come canone dalle norme istitutive. Ad essa ha fatto seguito l’adozione del primo, innovativo sistema tariffario autostradale definito dall’Autorità per una nuova concessione” e che “è stata, inoltre, introdotta la previsione del pagamento di penali per i ritardi nella realizzazione degli investimenti. Di indubbio rilievo, tra gli atti di regolazione più recenti in questo settore, sono quelli recanti gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari per l’affidamento dei servizi erogati sulla rete autostradale, rispettivamente per i servizi di ricarica elettrica e per i servizi di distribuzione dei carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative”. La medesima relazione ricorda inoltre che l’ART “dopo la conclusione di un’apposita indagine conoscitiva (…) ha avviato un procedimento finalizzato alla definizione del contenuto minimo dei diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali”.

 

Nell’illustrare il comma in esame, la relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 ricorda che, riguardo ai diritti degli utenti, il traguardo M1C2-11 richiede alla legge annuale sulla concorrenza di “garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati.”

 

Disposizioni relative alle opere di cui al comma 1, lett. b) (commi 4-6)

 

Il comma 4 dispone che tra i lavori e le opere di cui al comma 1, lett. b), è compresa la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011.

 

In proposito la relazione illustrativa sottolinea come tale disposizione consenta di attuare quanto richiesto dal traguardo M1C2-11 circa la necessità di imporre “la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci”. Si fa notare che tale richiesta viene prevista, dal traguardo in questione, in relazione agli affidamenti in house.

 

Il comma 5 prevede che, per la realizzazione delle opere di cui al comma 1, lett. b), il concessionario è autorizzato ad espropriare in nome e per conto dell’ente concedente le aree di sedime necessarie, come individuate in sede di progettazione delle medesime opere.

Lo stesso comma dispone che:

§  le espropriazioni e le occupazioni di terreni strettamente necessari per la realizzazione delle opere sono effettuate a cura del concessionario a valere sul quadro economico dell’opera;

§  il rischio espropri, connesso a ritardi imputabili al concessionario o a maggiori costi di esproprio per errata progettazione imputabile al concessionario, è posto a carico del concessionario.

 

Il comma 6 dispone che le opere realizzate ai sensi del comma 1, lettera b), sono trasferite gratuitamente, libere da gravami, in proprietà all’ente concedente con devoluzione al demanio dello Stato, ramo stradale, ai sensi dell’art. 822 del Codice civile[3] all’esito della verifica da parte del concedente della corretta esecuzione dei lavori e del collaudo. Tale trasferimento avviene tramite sottoscrizione di apposito verbale di consegna, sottoscritto dall’ente concedente e dal concessionario, che costituisce titolo per la trascrizione, l’intavolazione e la voltura catastale dell’opera.

Si fa notare che il testo iniziale del comma in esame prevedeva che le opere fossero trasferite libere non solo da gravami ma anche da pegni. Il riferimento ai pegni è però stato eliminato durante l’esame alla Camera.

 

 


Articolo 7
(Criteri di remunerazione della concessione)

 

 

L’articolo 7 disciplina la remunerazione delle attività che formano oggetto del contratto di concessione. Sono inoltre recate disposizioni in merito agli oneri relativi alla progettazione e a quelli relativi all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria.

 

Il comma 1 dispone che le attività di cui all’art. 6, comma 1, cioè le attività che formano oggetto del contratto di concessione, sono remunerate mediante riscossione da parte del concessionario delle tariffe di pedaggio di cui all’articolo 12, comma 3, lettera a).

 

Il comma 2 dispone inoltre che gli oneri relativi alla progettazione sono a carico del concessionario fino alla definitiva approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica da parte dell’ente concedente.

 

Il comma 3 dispone infine che gli oneri relativi all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria non sono soggetti alle clausole di revisione prezzi di cui all’articolo 60 del Codice dei contratti pubblici in relazione ad eventuali variazioni in aumento o in diminuzione, del costo dei lavori, come individuati nella convenzione di concessione sulla base dei ribassi applicati al costo dell’opera quantificato sulla base dei prezzi rilevati al momento di approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica dal concedente.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che “tale previsione, in particolare, mira ad assicurare un contenimento dei prezzi in sede di aggiornamento degli atti convenzionali, anche alla luce della necessità di ridurre la durata massima delle concessioni”.

 


Articolo 8
(Schema di convenzione a base dell’affidamento)

 

 

L’articolo 8, modificato durante l’esame alla Camera, individua i contenuti dello schema di convenzione che deve essere posto a base dell’affidamento di ogni concessione autostradale.

 

Il comma 1 dispone che per ciascuna concessione autostradale è posto uno schema di convenzione, a base dell’affidamento, che definisce:

a) con riferimento ai servizi di gestione e manutenzione dell’infrastruttura, i livelli adeguati di servizio, a tutela dei diritti degli utenti, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011;

b) con riferimento all’installazione di punti di ricarica elettrica, le prestazioni a carico del concessionario in coerenza con le misure di regolazione adottate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) ai sensi dell’art. 37, comma 2, lettere a) ed e), del D.L. 201/2011.

 

Il richiamato art. 37 del D.L. n. 201 del 2011 elenca le competenze dell’ART, individuando, tra le altre:

-          alla lettera a) quelle relative a garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle reti autostradali;

-          alla lettera e) quelle relative a definire in relazione ai diversi tipi di servizio e alle diverse infrastrutture, il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto e a dirimere le relative controversie.

Con delibera n. 130/2022 del 4 agosto 2022, l’Autorità ha approvato le misure per la definizione degli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per gli affidamenti dei servizi di ricarica dei veicoli elettrici e in particolare, la Misura 15.9 dell’allegato A, ai sensi della quale il concessionario autostradale: “prevede nel corso delle procedure di affidamento, e nei documenti conseguenti, una apposita disposizione contenente il rinvio mobile alla regolazione che potrà essere adottata dall’Autorità nell’esercizio dei propri poteri, ivi inclusa la definizione del contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei” sub-concessionari (o dei soggetti da loro individuati per la fornitura dei servizi affidati all’utente finale, ove previsto). Con la delibera n. 16/2023 del 27 gennaio 2023 l’ART ha avviato un procedimento volto all’adozione di tali misure di regolazione per definire il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali, il cui termine , inizialmente fissato al 31 luglio 2023 è stato più volte prorogato, da ultimo al 30 settembre 2024, con la delibera 91 del 26 giugno 2024 con la quale l’Autorità ha indetto una consultazione pubblica sullo schema di atto di regolazione recante “Misure concernenti il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali”.

Si ricorda che nell’ambito del PNRR, la misura M2C2-28 prevede come traguardo al 31 dicembre 2024 l’aggiudicazione degli appalti per la costruzione di 7.500 punti pubblici di ricarica rapida in autostrada e almeno 9.055 in zone urbane (tutti i comuni). Con il decreto MASE 18 marzo 2024, n. 109 sono stati definiti i criteri e le modalità per la concessione dei benefici a fondo perduto per la realizzazione di 7.500 stazioni di ricarica superveloci in strade extraurbane.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 evidenzia in proposito che la disposizione è funzionale all’attuazione delle seguenti richieste previste dal traguardo M1C2-11: “garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati” e “imporre l’installazione di un numero minimo di punti di ricarica elettrici (..) e il pieno rispetto del quadro normativo elaborato dall’ART per la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di adeguati livelli di servizio, come criteri di aggiudicazione per nuove concessioni autostradali” (si fa notare che tale seconda richiesta viene enunciata, nel traguardo in questione, in relazione ai soli affidamenti in house).

 

Il comma 2 dispone che lo schema di convenzione definisce, altresì:

a) i criteri per lo svolgimento delle attività di controllo e di monitoraggio dell’ente concedente nei confronti del concessionario al fine di potenziarne l’efficacia e di promuoverne la capillarità, anche avvalendosi del supporto operativo dell’ANSFISA;

b) il metodo di calcolo dell’eventuale valore di subentro, di cui all’articolo 1, comma 3, lettera u), tenendo conto, secondo il testo derivante dalle modifiche operate dalla Camera:

- dell'equilibrio economico-finanziario (e non della redditività della concessione, come prevedeva il testo iniziale);

- e dell’applicazione di aliquote di ammortamento tecnico-regolatorie, parametrate alla vita utile degli asset reversibili oppure (secondo l’integrazione operata nel corso dell’esame alla Camera) al tempo strettamente necessario per il recupero degli investimenti effettuati, se inferiore alla vita utile degli asset reversibili.

La richiamata lettera u) definisce il “valore di subentro” come “l’indennizzo a carico del nuovo concessionario subentrante per gli investimenti relativi alle opere assentite che il concessionario uscente ha già eseguito e non ancora ammortizzato alla scadenza della concessione, pari al costo effettivamente sostenuto, al netto degli ammortamenti, dei beni reversibili non ancora ammortizzati come risultante dal bilancio di esercizio alla data dell’anno in cui termina la concessione, e delle variazioni eseguite ai fini regolatori”.

c) il metodo di calcolo degli oneri integrativi che il concessionario è tenuto a corrispondere all’ente concedente al fine di rafforzare i controlli sull’esecuzione degli interventi infrastrutturali nonché sui relativi costi di realizzazione;

d) le penali applicabili al concessionario in caso di inadempimenti relativi alle attività di manutenzione e gestione, nonché alla realizzazione degli investimenti e all’attuazione degli obblighi di manutenzione straordinaria, accertati nell’ambito delle attività di controllo e monitoraggio di cui alla lettera a), tenuto conto, altresì, dei meccanismi di penalità previsti dalle delibere dell’ART.

 

 


Articolo 9
(Approvazione e aggiornamento delle convenzioni di
concessione e dei relativi piani economico-finanziari)

 

 

L’articolo 9, modificato durante l’esame alla Camera, dispone (al comma 1) che la stipula del contratto di concessione avviene mediante sottoscrizione, da parte dell’ente concedente e dell’affidatario, di una convenzione corredata del piano economico-finanziario (PEF). Lo stesso articolo disciplina la procedura per l’approvazione della convenzione (commi 2-3), nonché l’ipotesi di mancata sottoscrizione della proposta di convenzione (comma 4) e l’aggiornamento periodico o la revisione delle convenzioni e dei relativi PEF (commi 5 e 6).

 

Stipula del contratto di concessione (comma 1)

 

Il comma 1 dispone che la stipula del contratto di concessione avviene mediante sottoscrizione, da parte dell’ente concedente e dell’affidatario (individuato ai sensi dell’art. 3, comma 1), di una convenzione, corredata del PEF.

Lo stesso comma precisa che tale convenzione è predisposta e approvata nel rispetto della procedura descritta nei successivi commi.

 

Procedura per l’approvazione della convenzione (commi 2-3)

 

I commi 2 e 3 disciplinano l’iter procedurale per addivenire all’approvazione della convenzione. Tale procedura ricalca, con alcune limitate differenze, quella prevista dall’articolo 5 per l’approvazione della proposta definitiva di convenzione ai fini dell’affidamento in house.

Di seguito si illustrano le varie fasi previste dai commi in esame, mantenendo la stessa scansione dei passaggi procedurali illustrata nella scheda relativa all’articolo 5.

Fase 1 – Predisposizione della proposta di convenzione e del relativo PEF (comma 2, primo periodo)

Il primo periodo del comma 2 dispone che, all’esito dell’affidamento della concessione, l’ente concedente predispone, sulla base dello schema di convenzione posto a base dell’affidamento (ai sensi dell’articolo 8), una proposta di convenzione, con il relativo PEF.

 

Fase 2 – Parere dell’ART e sottoscrizione della proposta (comma 2, primo periodo)

Il primo periodo del comma 2 dispone che la proposta di convenzione, con il relativo PEF, previa trasmissione (da parte dell’ente concedente) all’ART, che esprime il parere di competenza entro i 30 giorni successivi, è sottoposta all’affidatario per la relativa sottoscrizione entro i 30 giorni successivi.

 

Fase 3 – Adeguamento della documentazione (comma 2, secondo periodo)

Il secondo periodo del comma 2 dispone che la proposta di convenzione e il relativo PEF, adeguato alle eventuali prescrizioni contenute nel parere dell’ART, sottoscritti da entrambe le parti, sono tempestivamente trasmessi dall’ente concedente al CIPESS con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno della prima seduta disponibile.

Si fa notare che l’utilizzo del termine “adeguato” sembra fare riferimento solamente al PEF, escludendo quindi l’adeguamento della proposta di convenzione. Si valuti pertanto l’utilizzo del termine “adeguati” in luogo di “adeguato”, in linea con quanto previsto dal primo periodo del comma 4 dell’art. 5.

 

Fase 4 – Esame del CIPESS (comma 2, periodi terzo e quarto)

Il testo iniziale del terzo periodo del comma 2 prevedeva una sorta di silenzio-assenso, stabilendo che l’esame del CIPESS si intendeva assolto positivamente in caso di mancata deliberazione entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, fatta salva la possibilità di richiedere un differimento del termine di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie c integrazioni documentali.

Durante l’esame alla Camera tale periodo è stato riscritto al fine di eliminare il silenzio-assenso e stabilire che il CIPESS si esprime entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, prorogabili di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie e integrazioni documentali.

In sede di riscrittura è stato inoltre aggiunto un quarto periodo, in base al quale resta ferma per il CIPESS la facoltà di acquisire il parere del NARS (Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità) nei termini indicati al terzo periodo.

 

Fase 5 – Approvazione della proposta definitiva di convenzione (comma 2, quinto periodo, e comma 3)

Il quinto periodo del comma 2 dispone che l’ente concedente, tenuto conto delle eventuali osservazioni del CIPESS, trasmette all’affidatario, entro i successivi 30 giorni, la proposta definitiva di convenzione (PDC), con il relativo PEF, ai fini della sua sottoscrizione entro 30 giorni dalla ricezione della stessa.

 

Il comma 3 dispone che la proposta definitiva di convenzione (l’aggettivo “definitiva”, che per un refuso non compariva nel testo iniziale, è stato inserito nel corso dell’esame alla Camera), così sottoscritta, è approvata con decreto ministeriale adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Durante l’esame alla Camera il comma in esame è stato modificato al fine di stabilire che l’approvazione deve avvenire entro 3 mesi.

 

Mancata sottoscrizione della proposta di convenzione (comma 4)

 

Il comma 4 disciplina il caso di mancata sottoscrizione della proposta di convenzione con il relativo PEF da parte dell’affidatario entro i termini di cui al comma 2, primo periodo (relativo alla proposta di convenzione) o quinto periodo (relativo alla proposta definitiva di convenzione).

Tali termini – come sottolineato dalla relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 –, previsti per la sottoscrizione della proposta e della PDC, sono da intendersi perentori. Infatti, nel caso di inutile decorso di tali termini, viene stabilito che l’affidatario decade dall’aggiudicazione del contratto e si procede allo scorrimento della graduatoria o a un nuovo affidamento (ai sensi dell’articolo 3), senza riconoscimento di alcun indennizzo o rimborso delle spese sostenute da parte dell’affidatario.

Aggiornamento periodico o revisione delle convenzioni e dei relativi PEF (commi 5 e 6)

Il testo iniziale del comma 5 disponeva che all’aggiornamento o alla revisione delle convenzioni e dei relativi PEF si procedesse, secondo le modalità di cui al presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del Codice dei contratti pubblici in merito alla modifica e alla revisione dei contratti di concessione.

Tale comma è stato riscritto, durante l’esame alla Camera, al fine di differenziare le procedure da seguire per l’aggiornamento e per la revisione delle convenzioni e dei relativi PEF. In base al nuovo testo:

§  l’aggiornamento periodico è definito con apposito atto aggiuntivo alla convenzione, approvato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (MEF), acquisito il parere dell’ART ai sensi del primo periodo del comma 2;

§  la revisione è effettuata secondo le modalità di cui al comma 2 del presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del codice dei contratti pubblici. Alla Camera è stato inoltre precisato che la revisione è approvata con decreto del MIT, di concerto con il MEF.

 

Il comma 6, riscritto dalla Camera, reca norme sulla copertura finanziaria e sull’applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici.

Il primo periodo del testo iniziale del comma 6 disponeva che gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni e dei relativi PEF di cui al comma 5, condivisi tra le parti, fossero in ogni caso approvati con decreto ministeriale, adottato dal MIT, di concerto con il MEF.

Tale periodo è stato soppresso in fase di riscrittura, poiché le disposizioni da esso recate sono state trasposte, alla Camera, nel testo del comma 5.

Il nuovo testo del comma 6 (che reca disposizioni sostanzialmente identiche a quelle dei periodi secondo e terzo del testo iniziale del comma in esame) dispone che:

§  i decreti ministeriali previsti dal comma 5 (con i quali sono approvati l’aggiornamento periodico o la revisione delle convenzioni e dei relativi PEF) danno conto delle modalità di copertura finanziaria a valere sulle risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale di cui all’articolo 12, comma 5;

§  nei casi di cui al presente comma non si applicano le disposizioni dell’art. 192, comma 3, del Codice dei contratti pubblici che subordinano la revisione alla previa valutazione del DIPE sentito il NARS.

L’art. 192, comma 3, del Codice, prevede che nei casi di opere di interesse statale o finanziate “con contributo a carico dello Stato per le quali non sia già prevista l’espressione del CIPESS la revisione è subordinata alla previa valutazione del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentito il Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), che emette un parere di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato”.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 evidenzia che il procedimento di aggiornamento o revisione previsto dall’articolo in esame “semplifica, con finalità di accelerazione” quello attualmente disciplinato dall’art. 43, commi 1 e 2 del D.L. 201/2011, “il quale, con riferimento alle convenzioni vigenti al dicembre 2011, prevede che: se gli aggiornamenti o le revisioni comportano variazioni o modificazioni al piano degli investimenti già previsto, sono sottoposti, sentita l’ART in merito all’individuazione dei sistemi tariffari, al parere del CIPESS, che, sentito il NARS, si pronuncia entro trenta giorni, e sono poi approvati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze; se, invece, l’aggiornamento o la revisione non comporta variazioni o modificazioni al piano degli investimenti, gli atti aggiuntivi sono approvati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, senza l’intervento del CIPESS”.

 


Articolo 10
(Durata delle concessioni)

 

 

L’articolo 10, modificato durante l’esame alla Camera, dispone (al comma 1) che la durata delle concessioni – affidate ai sensi della Sezione IV (artt. 6-11) del Capo I del disegno di legge in esame – è determinata dall’ente concedente in funzione dei servizi e dei lavori richiesti al concessionario e non può superare di regola i 15 anni. Al termine della concessione, l’ente concedente procede ad un nuovo affidamento (comma 2).

 

Il primo periodo del comma 1 dispone che la durata delle concessioni – affidate ai sensi della Sezione IV (artt. 6-11) del Capo I della presente legge – è determinata dall’ente concedente in funzione dei servizi e dei lavori richiesti al concessionario e non può superare i 15 anni.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che la previsione del citato limite quindicennale di durata “si pone in continuità con quanto previsto dall’articolo 178 del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede, infatti, che la durata dei contratti concessori deve essere parametrata dall’ente concedente all’oggetto contrattuale, tenendo in considerazione il periodo di tempo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati con un margine di ritorno sul capitale investito” (v. art. 178, commi 1 e 2, del Codice).

 

Il secondo periodo del comma in esame, riscritto dalla Camera, disciplina la derogabilità del termine quindicennale in questione.

A differenza del testo iniziale – che prevedeva la derogabilità solo nel caso in cui il concedente intendesse affidare in concessione la realizzazione di lavori di durata superiore ai quindici anni – il testo approvato dalla Camera prevede che la derogabilità è consentita solo nel caso in cui il programma dei lavori da affidare in concessione non consenta il recupero degli investimenti effettuati e il ritorno del capitale investito nel termine di quindici anni, tenuto altresì conto del tempo necessario ad ammortizzare le eventuali somme corrisposte a titolo di valore di subentro, determinato secondo i parametri stabiliti dall’ART.

 

Il comma 2 dispone che, al termine della concessione, l’ente concedente procede ad un nuovo affidamento ai sensi dell’articolo 3.

Lo stesso comma precisa che resta fermo quanto previsto dall’art. 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici.

 

L’art. 178, comma 5, dispone che la durata dei contratti di concessione non è prorogabile (salvo per la revisione) e che non sono mai prorogabili i contratti di appalto affidati senza gara dai concessionari. Il terzo periodo del comma 5 dispone inoltre che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

Nel commentare la disposizione recata dal comma in esame, la relazione illustrativa evidenzia che “nelle more della procedura per l’affidamento della concessione resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 178, comma 5, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici”.

 

Alla luce di quanto affermato nella relazione illustrativa, si valuti l’opportunità di specificare anche nel testo della norma, così come nella predetta relazione, il riferimento al terzo periodo del comma 5 dell’art. 178 del Codice dei contratti pubblici.

 

Si segnala, infine, che la relazione illustrativa evidenzia che l’articolo in esame è funzionale all’attuazione dell’obiettivo, contenuto nel traguardo M1C2-11, di “impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione”.

 

 


Articolo 11
(Estinzione del contratto di concessione)

 

 

L’articolo 11 reca (come chiarito dal comma 1) una disciplina specificamente dedicata al settore autostradale, che integra quella recata dal Codice dei contratti pubblici per la generalità delle concessioni.

In particolare l’articolo 11 disciplina l’estinzione della concessione autostradale determinata da motivi di pubblico interesse (comma 2) o derivante da inadempimento del concessionario (commi 3-6) e individua la disciplina applicabile nelle more dell’affidamento a un nuovo concessionario (comma 7).

 

Norme applicabili in caso di estinzione (comma 1)

 

Il comma 1 dispone che alle ipotesi di estinzione di concessioni autostradali derivanti, in particolare, dall’attuazione di procedure di risoluzione o recesso della concessione si applicano le disposizioni dell’articolo 190 del Codice dei contratti pubblici (vale a dire la disciplina in materia di risoluzione e recesso prevista per la generalità delle concessioni), fatto salvo quanto previsto dal presente articolo che – come evidenziato dalla relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 – “detta, in tal modo, norme speciali appositamente dedicate al settore delle concessioni autostradali”.

 

Estinzione determinata da motivi di pubblico interesse (comma 2)

 

In base al comma 2, quando l’estinzione della concessione è determinata da motivi di pubblico interesse, si applica l’articolo 190, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.

 

L’art. 190, comma 4, del d.lgs. 36/2023, dispone che se l’ente concedente recede per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario: a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, oppure, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario; b) i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse; c) un indennizzo a titolo di mancato guadagno compreso tra il minimo del 2 per cento ed il massimo del 5 per cento degli utili previsti dal piano economico-finanziario, in base ad una valutazione che tenga conto delle circostanze, della tipologia di investimenti programmati e delle esigenze di protezione dei crediti dei soggetti finanziatori. In ogni caso i criteri per l’individuazione dell’indennizzo devono essere esplicitati in maniera inequivocabile nell’ambito del bando di gara ed indicati nel contratto, tenuto conto della tipologia e dell’oggetto del rapporto concessorio, con particolare riferimento alla percentuale, al piano economico-finanziario e agli anni da prendere in considerazione nel calcolo”.

 

Estinzione per inadempimento del concessionario (commi 3-6)

 

In base al comma 3, quando l’estinzione della concessione deriva da inadempimento del concessionario, si applica l’articolo 190, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

Tale lettera prevede che spettano al concessionario “il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, oppure, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario”.

Il comma in esame precisa altresì che l’applicazione della citata lettera a) avviene anche in sostituzione delle eventuali clausole convenzionali, sostanziali e procedurali, difformi, anche se approvate per legge, da intendersi come nulle ai sensi dell’art. 1419, secondo comma, del codice civile, senza che possa operare, per effetto della presente disposizione, alcuna risoluzione di diritto.

Si fa notare che tale disposizione riproduce fedelmente, limitandosi ad aggiornare i riferimenti normativi nel frattempo mutati, quella recata dal quarto periodo del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019. Per tale motivo l’art. 16, comma 4, del presente disegno di legge, prevede tra l’altro che, dalla data della sua entrata in vigore, ogni richiamo all’art. 35, comma 1, quarto periodo, del D.L. 162/2019 si intende riferito al comma in esame.

 

Il comma 4 stabilisce che l’estinzione di una concessione autostradale per inadempimento del concessionario è disposta con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta dell’ente concedente, nei seguenti casi:

a) mancato assolvimento degli obblighi convenzionali relativi alla gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura che determinano seri e comprovati pericoli per la sicurezza della circolazione, per la corretta gestione del traffico e per la fruibilità autostradale o che compromettono lo stato di conservazione del patrimonio autostradale;

b) mancato assolvimento degli obblighi relativi alla progettazione o all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria consistente in ritardi nella realizzazione delle predette attività per cause non imputabili al concedente;

c) qualunque altro inadempimento delle obbligazioni convenzionali da parte del concessionario che comprometta la buona riuscita delle prestazioni.

Il comma 5 dispone che, ai fini dell’esercizio della facoltà di cui al comma 4 (cioè la facoltà di proporre l’estinzione per inadempimento del concessionario), l’ente concedente richiede preventivamente all’ANSFISA una verifica tecnica sullo stato dell’infrastruttura autostradale oggetto di concessione e sugli eventuali danni cagionati dal concessionario. Tale verifica tecnica può essere conclusa successivamente all’estinzione della concessione nelle sole ipotesi di somma urgenza e conclamato inadempimento, motivate dall’ente concedente nel decreto previsto dal precedente comma 4.

 

Il comma 6 dispone che, nei casi di estinzione di una concessione autostradale ai sensi del precedente comma 3 (cioè per inadempimento del concessionario), l’importo da corrispondere al concessionario ai sensi dell’art. 190, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici (disposizione a cui fa rinvio il citato comma 3 del presente articolo) è determinato, entro 12 mesi dalla data di estinzione della concessione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti adottato, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa verifica delle voci di bilancio e a seguito di asseverazione da parte di una primaria società di revisione.

Il comma 6 dispone altresì che è fatto salvo il diritto dell’ente concedente al risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento del concessionario, determinati anche sulla base delle risultanze della verifica tecnica effettuata dall’ANSFISA ai sensi del comma 5.

Si fa notare che le disposizioni recate dal comma in esame ricalcano sostanzialmente quelle previste dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 68/2022, che conseguentemente viene abrogato dall’art. 16, comma 5, della presente legge.

 

Disciplina applicabile nelle more dell’affidamento a un nuovo concessionario (comma 7)

 

In base al comma 7, in caso di estinzione di una concessione autostradale, nelle more dello svolgimento delle procedure di affidamento a un nuovo concessionario, per il tempo strettamente necessario alla sua individuazione si applica l’art. 178, comma 5, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici.

Il terzo periodo citato dispone che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

Il comma in esame dispone inoltre che sono fatte salve:

- le eventuali disposizioni convenzionali che escludano il riconoscimento di indennizzi in caso di estinzione anticipata del rapporto concessorio;

- e la possibilità per l’ente concedente di acquistare gli eventuali progetti elaborati dal concessionario previo pagamento di un corrispettivo determinato avendo riguardo ai soli costi di progettazione e ai diritti sulle opere dell’ingegno di cui all’art. 2578 del codice civile.

 

Si fa notare che le disposizioni del comma in esame ricalcano quelle che i primi due periodi del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019 prevedono – sempre nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l’affidamento a nuovo concessionario – per l’ANAS S.p.A. in caso di revoca, di decadenza o di risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio. Ciò spiega perché l’art. 16, comma 3, della presente legge sostituisca le parole “o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio” con le seguenti: “o di autostrade non sottoposte a pedaggio”. In tal modo viene infatti a delinearsi un doppio binario: per le autostrade non sottoposte a pedaggio continua ad applicarsi la disciplina recata dai citati periodi del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019, mentre per quelle sottoposte a pedaggio si applica il comma in esame.

 

La relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 sottolinea che l’articolo in esame è funzionale all’attuazione dei seguenti obiettivi previsti dal traguardo M1C2-11:

- “semplificare/chiarire la regolamentazione delle condizioni di risoluzione e di annullamento del contratto, anche al fine di mantenere un livello adeguato di contendibilità delle concessioni per i mercati interessati;

- per la risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesto al concessionario e una compensazione ragionevole per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge”.

 


Sezione V: Tariffe autostradali e piano degli investimenti

 

 

Articolo 12
(Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali)

 

 

L’articolo 12, modificato dalla Camera, disciplina la procedura relativa alla fissazione e all’aggiornamento delle tariffe autostradali.

 

Per quanto attiene al tema della determinazione delle tariffe autostradali è utile ricordare come l’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha attribuito i compiti relativi alla determinazione delle tariffe all’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito ART).

In una fase iniziale, l’attività dell’Autorità era circoscritta alle future concessioni, ma, a seguito del crollo del viadotto Morandi a Genova, con il decreto-legge n. 109 del 2018 le facoltà esercitate dall’ART sono state estese anche alle concessioni in essere.

Nell’ambito del quadro normativo vigente, pertanto, al concedente, in sede di aggiornamento ovvero di revisione delle convenzioni di concessione, spetta soltanto il compito di verificare, sentita l’ART, la corretta applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe, anche con riferimento all’effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi nella tariffa.

In linea con i compiti affidati all’Autorità di regolazione del settore, con la delibera n. 16 del 2019 l’ART ha basato il sistema tariffario sul metodo del price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale, nell’intento di definire un contesto di riferimento stabile per ogni periodo regolatorio di durata quinquennale, in grado di fornire incentivi «di periodo» per il conseguimento di recuperi di produttività e la riduzione dei costi, a beneficio delle tariffe a carico dell’utenza finale.

L’Autorità ha successivamente definito, con le delibere da n. 64 a n. 79 del 2019, il sistema tariffario di pedaggio basato sul price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale, anche per ciascuna concessione in vigore, con l’obiettivo di ricondurre la redditività delle gestioni autostradali a livelli di mercato per assicurare il necessario riequilibrio del rispettivo posizionamento del concedente e della concessionaria nei rapporti contrattuali aventi a oggetto la gestione di tratte autostradali con, inoltre, benefìci per gli utenti, in termini di tariffe più eque, trasparenti e sostenibili.

 

Passando, quindi, all’illustrazione del contenuto dell’articolo in questione, si evidenzia che il comma 1 prevede, in relazione alle nuove concessioni autostradali, che con delibera dell’ART sia definito, nel rispetto dei criteri di cui al successivo comma 2, il sistema per l’individuazione delle tariffe autostradali, in base alla distanza percorsa sull’infrastruttura autostradale, ai flussi di traffico e all’indice inflativo stimato alla data di sottoscrizione o aggiornamento del PEF.

Il comma 2 stabilisce che tali tariffe, riferite a ciascuna concessione autostradale, sono determinate sulla base del predetto sistema tariffario, tenuto conto delle caratteristiche intrinseche del tracciato, delle infrastrutture e dei manufatti presenti. Il medesimo comma, inoltre, precisa che le tariffe sono indicate nello schema di convenzione da porre a base dell’affidamento e garantiscono l’integrale copertura dei seguenti oneri:

 

Ø  l’onere per il sistema infrastrutturale autostradale a pedaggio, finalizzato a recuperare i costi di costruzione, manutenzione, esercizio e sviluppo dell’infrastruttura;

Ø  l’onere per il recupero dei finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale autostradale a pedaggio, nonché dei costi delle opere di adduzione, sostenuti direttamente o indirettamente dal concedente, e degli impianti finalizzati al miglior funzionamento del sistema autostradale a pedaggio ai fini del decongestionamento del traffico;

Ø  l’onere volto a remunerare eventuali costi esterni, come definiti dall’articolo 2, paragrafo 1, numero 9), della direttiva 1999/62/CE, come modificata dalla direttiva (UE) 2022/362.

Il comma 3 – come modificato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati – prevede che, sulla base del sistema tariffario definito dall’ART, nello schema di convenzione posto a base dell’affidamento, il concedente indichi le tariffe da applicare alla tratta autostradale e le quote dei citati oneri, destinate, rispettivamente:

Ø  alla remunerazione delle attività di gestione e di manutenzione ordinaria e delle attività relative alla progettazione ed esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria, tramite l’applicazione della componente tariffaria di gestione (Tg) e della componente tariffaria di costruzione (Tk), di competenza del concessionario;

Ø  al recupero degli oneri menzionati alla lettera b) del precedente comma 2, tramite l’applicazione della componente tariffaria per oneri integrativi (Toi), di competenza dell’ente concedente.

Il comma 4 stabilisce che le tariffe da pedaggio sono integralmente riscosse dal concessionario.

Il comma 5 – come modificato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati – prevede che ogni anno, con la legge di bilancio, nel rispetto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica, sia definito, sulla base della previsione delle risorse della componente tariffaria per oneri integrativi che si stima di incassare nell’anno successivo, l’importo da destinare, per una quota, al Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale e, per una quota, al Fondo per il riequilibrio economico-finanziario delle concessioni, entrambi da istituire nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Il comma in esame, inoltre, prevede che l’utilizzo effettivo delle risorse iscritte nei Fondi in questione è subordinato al versamento, da effettuarsi da parte di ciascun concessionario entro trenta giorni dall’approvazione del bilancio, all’entrata del bilancio dello Stato delle risorse della componente tariffaria di cui al primo periodo nei limiti dell’importo versato. Qualora, nel corso dell’anno, dal monitoraggio di cui al successivo comma 6 emerga che le risorse incassate dai concessionari possano risultare su base annua inferiori all’importo fissato nella legge di bilancio, gli stanziamenti iscritti nei Fondi di cui sopra sono corrispondentemente accantonati e resi indisponibili.

Il comma 6, come anticipato poco fa, dispone che, al fine di determinare l’importo da iscrivere, per quota, nei due Fondi, il Ministero delle infrastrutture trasmetta al Ministero dell’economia e delle finanze, entro il 31 luglio di ogni anno, la previsione delle risorse della componente tariffaria di cui al secondo periodo del comma 4 che si stima di incassare nell’anno successivo e, in corso d’anno, su base trimestrale, le informazioni di monitoraggio degli incassi dei singoli concessionari.

Da ultimo il comma 7, nel testo così come modificato nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, prevede che le risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale sono ripartite, con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 ottobre di ogni anno, per essere destinate prioritariamente agli eventuali maggiori costi degli investimenti rispetto alle previsioni poste a base degli affidamenti derivanti dagli eventi sopravvenuti, straordinari e imprevedibili, purché non imputabili al concessionario, di cui all’articolo 192, comma 1, primo periodo, del codice dei contratti pubblici, nonché, per la quota residua, alla realizzazione di interventi di messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione alla tratta autostradale, nel rispetto delle modalità individuate nel successivo comma 8 e dei criteri di cui ai commi 9 e 10. La disposizione in esame, inoltre, prevede che in nessun caso le risorse del Fondo possano essere ripartite in modo tale da alterare la concorrenza tra le tratte autostradali di competenza dell’ente concedente e quelle di competenza di soggetti diversi dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Si segnala, infine, che durante l’esame del provvedimento, presso la Camera dei deputati, sono stati inseriti gli ulteriori commi 8, 9 e 10.

In particolare il comma 8 prevede che i decreti annuali di riparto delle risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale di cui al comma 7 individuino, nel rispetto del criterio di destinazione prioritaria di cui al medesimo comma, gli interventi da ammettere al riparto delle risorse, nei limiti delle disponibilità del Fondo, dando evidenza per ciascun intervento delle valutazioni relative ai criteri di cui ai commi 9 e 10, compresa l’analisi costi-benefìci.

Il comma 9, invece, stabilisce che per la compensazione degli eventuali maggiori costi degli investimenti rispetto alle previsioni poste a base degli affidamenti derivanti dagli eventi sopravvenuti, straordinari e imprevedibili, purché non imputabili al concessionario, le risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale sono ripartite a favore delle concessionarie nei limiti delle risorse iscritte nell’accantonamento della componente tariffaria per oneri integrativi tenuto conto della rilevanza dell’intervento con riferimento all’incremento degli standard di sicurezza e del rapporto costi-benefìci dell’intervento da finanziare.

Infine. il comma 10 prevede che per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione alla tratta autostradale, le risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale sono ripartite a favore delle concessionarie tenute all’accantonamento della componente tariffaria per oneri integrativi, tenuto conto della rilevanza dell’intervento con riferimento all’incremento degli standard di sicurezza, della rilevanza dell’intervento con riferimento alla fluidificazione e al decongestionamento della viabilità locale di adduzione alla tratta autostradale e del rapporto costi-benefìci dell’intervento da finanziare.

 

 

 


Articolo 13
(Pianificazione e programmazione degli investimenti autostradali)

 

 

L’articolo 13 prevede l’adozione del Piano nazionale degli investimenti autostradali al fine di individuare i lavori e le opere di manutenzione straordinaria da inserire nei bandi di gara delle nuove concessioni.

In base a quanto previsto dal comma 1, il Piano è adottato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), ed è predisposto tenuto conto delle relazioni sugli investimenti trasmesse dai concessionari uscenti al termine della concessione. Il Piano ha durata decennale. All’aggiornamento del Piano si può procedere con cadenza biennale secondo la medesima procedura prevista per la sua adozione.

Il comma 2, inoltre, prevede che sulla base del Piano, nello schema di convenzione posto a base dell’affidamento per le concessioni scadute o in scadenza, sia individuato l’elenco dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria, nel rispetto dei seguenti criteri di priorità:

a) maturità progettuale delle opere;

b) rilevanza dell’intervento con riferimento all’incremento dei livelli di sicurezza della circolazione;

c) incidenza sulla viabilità delle cantierizzazioni, tenendo conto della necessità di assicurare volumi di traffico sostenibili per i percorsi alternativi, nel rispetto dei prescritti livelli di sicurezza della circolazione;

d) individuazione di aree di sosta adeguate per gli operatori del trasporto di merci.

 


Sezione VI: Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali in essere

 

 

Articolo 14
(Disposizioni applicabili alle concessioni in essere)

 

 

L’articolo 14, modificato dalla Camera, disciplina la procedura di aggiornamento dei Piano economico finanziario (di seguito PEF) delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, è intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale.

A tale riguardo il comma 1 precisa che la procedura in questione  rimane quella delineata dall’articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 162 del 2019, il quale ha disposto l’obbligo, da parte delle società concessionarie, di procedere entro il 30 marzo 2024 alla predisposizione di una proposta aggiornata di PEF sviluppata in conformità alla regolamentazione dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito ART) nonché alle disposizioni rese dal concedente, e ha fissato al 31 dicembre 2024 il termine massimo per la conclusione della procedura di aggiornamento.

In merito alla sopra citata disciplina, è utile per completezza ricordare che, al fine di escludere il progressivo rinvio degli adeguamenti tariffari e la concentrazione in un unico anno di un adeguamento tariffario comprensivo anche delle annualità pregresse, la disposizione sopra richiamata aveva anche previsto il riconoscimento di un aggiornamento tariffario, dal 1° gennaio 2024, relativo alla sola componente dell’inflazione dell’anno 2024 e pari al 2,3 per cento, corrispondente all’indice d’inflazione indicato dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza deliberato dal Consiglio dei ministri il 27 settembre 2023.

Il comma 2 reca ulteriori disposizioni con cui si disciplina la procedura di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, a decorrere dalla data di entrata in vigore delle norme proposte, interviene la scadenza del periodo regolatorio quinquennale. Nel dettaglio, si prevede, in maniera del tutto simile a quanto previsto dal menzionato articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 162 del 2019, l’obbligo, da parte delle società concessionarie, di procedere, entro il 30 marzo dell’anno di scadenza del periodo regolatorio, alla predisposizione di una proposta aggiornata di PEF sviluppata in conformità alla regolamentazione dell’ART e nel rispetto dei requisiti prescritti dall’articolo 8, comma 1, per lo schema di convenzione a base dell’affidamento, e viene fissato al 31 dicembre del medesimo anno il termine massimo per la conclusione della procedura di aggiornamento, previo recepimento nelle proposte di aggiornamento dei PEF delle rettifiche richieste dall’ente concedente all’esito delle verifiche effettuate sui piani di investimento. Nelle more degli aggiornamenti convenzionali, si prevede, altresì, un incremento tariffario corrispondente all’indice di inflazione rilevato nei documenti di programmazione di finanza pubblica per il relativo anno. Si specifica, infine, che gli adeguamenti, in eccesso o in difetto, rispetto ai predetti incrementi tariffari, sono definiti in sede di aggiornamento dei PEF.

Il comma 3 prevede che il concedente, in sede di istruttoria sugli aggiornamenti dei PEF presentati dai concessionari nelle ipotesi summenzionate, sia chiamato a verificare l’ammontare degli investimenti da realizzare, distinguendo: 

a) la quota di oneri di investimento di competenza del concessionario, secondo quanto previsto nella convenzione; 

b) la quota di oneri di investimento da finanziare in sede di aggiornamento del PEF a valere sul gettito derivante dalle tariffe e sugli oneri di subentro;

c) la quota residua di oneri di investimento, di competenza del concessionario o da finanziare in sede di aggiornamento del PEF, che non può essere coperta nell’ambito di quanto previsto dalle lettere a) e b).

Da ultimo si segnala che nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è stato inserito un comma 4 in base al quale alle procedure di aggiornamento dei PEF di cui ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni di cui al decreto-legge n. 201 del 2011 (articolo 43, commi 1, 2 e 2-bis) che disciplinano le procedure per la revisione o gli aggiornamenti delle convenzioni autostradali, così come modificato dall’articolo 16 del disegno di legge in esame.

 

 


Articolo 15
(Esternalizzazione delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 15, con una disposizione di rinvio, mira a confermare che alle concessioni autostradali in essere non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara di evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, si applicano le disposizioni sull’affidamento mediante procedura di evidenza pubblica di una quota tra il 50 e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture, stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario ai sensi dell’articolo 186, del codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un sistema flessibile di individuazione delle quote di lavori, servizi e forniture da affidare a terzi, da stabilire all’interno di un intervallo determinato e secondo parametri legislativamente previsti.

 

A tale riguardo è utile segnalare come il sopra citato articolo 186 prevede che, al fine di fissare la quota di esternalizzazione nell’intervallo tra il 50 e il 60 per cento, l’ente concedente deve tenere conto di una serie di parametri tra cui: le dimensioni economiche e i caratteri dell’impresa, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata residua, il suo oggetto, il suo valore economico e l’entità degli investimenti effettuati. Con specifico riferimento alle concessioni autostradali, le quote e i criteri di determinazione sono individuati sulla base degli importi risultanti dai Piani economici e finanziari (PEF) e si prevedono meccanismi di recupero in caso di mancato rispetto delle quote di affidamento.

 

Per quanto attiene all’applicazione dell’articolo 186 del Codice dei contratti pubblici può essere utile segnalare l’adozione della delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) n. 265 del 20 giugno 2023 «Provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 186 commi 2 e 5, del decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023, recante indicazioni sulle modalità di calcolo delle quote di esternalizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture da parte dei titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici non affidate conformemente al diritto dell’Unione europea».

 

Da ultimo si evidenzia che l’articolo in commento è funzionale all’attuazione del seguente impegno del PNRR: «Stabilire, ai sensi dell’articolo 186, paragrafo 2, del decreto legislativo n. 36/2023, l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture. Le quote sono calcolate in base agli importi dei piani economici e finanziari allegati ai documenti di concessione e tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche economiche del concessionario, della durata dell’aggiudicazione, della durata residua, dell’oggetto e del valore economico della concessione e dell’importo degli investimenti effettuati».

 

 


Sezione VII: Disposizioni finali

 

 

Articolo 16
(Disposizioni di coordinamento normativo)

 

 

L’articolo 16, modificato dalla Camera, contiene una serie di disposizioni di coordinamento normativo.

 

In particolare, il comma 1, definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni di cui alle sezioni I, II, III, IV e V del Capo I, dedicato alle disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali.

Il comma in commento prevede l’applicazione delle disposizioni sopra richiamate alle procedure di affidamento avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge in questione, fatto salvo, in ogni caso, quanto specificamente disposto dai singoli articoli in merito all’applicabilità delle relative disposizioni anche alle concessioni in essere. Si prevede, inoltre, una esclusione dell’applicazione dell’articolo 10 (relativo alla durata delle concessioni) alle concessioni in essere.

Nel corso dell’esame del provvedimento presso la Camera dei deputati, è stato introdotto un nuovo comma 3 in base al quale gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica, sono trasmessi al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previo adeguamento del testo convenzionale alle eventuali prescrizioni formulate dall’Autorità di regolazione per i trasporti.

I restanti commi introducono invece alcune modifiche alla normativa vigente che si rendono necessarie in un’ottica di coordinamento e di razionalizzazione della materia, anche mediante il ricorso alla tecnica dell’abrogazione differita, in modo da tenere conto dei tempi di attuazione delle nuove norme, comprendenti un periodo transitorio, a partire dal 2025, legato alla graduale scadenza delle concessioni in essere.

 


Capo II – Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

 

 

Articolo 17
(Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi)

 

 

L’articolo 17 integra la normativa in materia di compiti e funzioni delle Camere di commercio, specificando che la rilevazione di prezzi e tariffe è limitata solo a determinati prodotti indicati dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, attuata con modalità definite da apposite linee guida adottate dallo stesso Garante.

 

L’articolo 17, composto da un unico comma, interviene sull’articolo 2, comma 2, lettera c), della L. n. 580/1993, aggiungendo alcuni periodi alla disposizione.

 

Si ricorda che la legge n. 580/1993, di riordino della disciplina delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, all’articolo 2 specifica i compiti e le funzioni delle Camere di commercio. In particolare, il comma 2, che la norma qui in commento va a novellare, dispone che le Camere di commercio, singolarmente o in forma associata, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, svolgono le funzioni relative a:

a)      pubblicità legale generale e di settore mediante la tenuta del registro delle imprese, del Repertorio economico amministrativo, e degli altri registri ed albi attribuiti alle camere di commercio dalla legge;

b)      formazione e gestione del fascicolo informatico di impresa;

c)      tutela del consumatore e della fede pubblica, vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti e sugli strumenti soggetti alla disciplina della metrologia legale, rilevazione dei prezzi e delle tariffe, rilascio dei certificati di origine delle merci e documenti per l’esportazione in quanto specificamente previste dalla legge;

d)      sostegno alla competitività delle imprese e dei territori tramite attività d’informazione economica e assistenza tecnica alla creazione di imprese e start up, informazione, formazione, supporto organizzativo e assistenza alle PMI per la preparazione ai mercati internazionali nonché collaborazione con ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, SACE, SIMEST e Cassa depositi e prestiti; sono in ogni caso escluse dai compiti delle Camere di commercio le attività promozionali direttamente svolte all’estero;

d-bis) valorizzazione del patrimonio culturale nonché sviluppo e promozione del turismo, in collaborazione con gli enti e organismi competenti; sono in ogni caso escluse dai compiti delle Camere di commercio le attività promozionali direttamente svolte all’estero;

d-ter) competenze in materia ambientale attribuite dalla normativa nonché supporto alle piccole e medie imprese per il miglioramento delle condizioni ambientali;

e)      orientamento al lavoro e alle professioni anche mediante la collaborazione con i soggetti pubblici e privati competenti, in coordinamento con il Governo e con le Regioni e l’ANPAL[4]

f)       assistenza e supporto alle imprese in regime di libera concorrenza da realizzare in regime di separazione contabile[5];

g)      ferme restando quelle già in corso o da completare, attività oggetto di convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati stipulate compatibilmente con la normativa europea. Dette attività riguardano, tra l’altro, gli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti, del supporto al placement e all’orientamento, della risoluzione alternativa delle controversie. Le stesse possono essere finanziate con le risorse di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a) (dunque, le risorse del diritto annuale dovuto da parte di ogni impresa iscritta o annotata nei registri gestiti dalle Camere di commercio), esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50%.

 

I nuovi periodi inseriti dall’articolo qui in esame, in particolare, prevedono che la rilevazione di prezzi e delle tariffe da parte delle Camere di commercio sia limitata a determinati prodotti individuati dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, sulla base di valutazioni di necessità e proporzionalità in relazione al perseguimento di obiettivi di interesse generale, anche alla luce delle risultanze del monitoraggio di cui all’articolo 2, comma 199-bis, della citata legge finanziaria 2008.

Le modalità di rilevazione di prezzi e tariffe devono essere definite da apposite linee guida adottate dal Garante per la sorveglianza dei prezzi nel rispetto di una metodologia di tipo storico-statistico e di garanzia di imparzialità dei soggetti che procedono al rilevamento.

 

L’articolo in commento sembra riprendere quanto auspicato dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (AGCM) all’interno del documento, datato giugno 2023, contenente “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2023“.

Ivi, l’AGCM ha suggerito di incidere sull’articolo 2 della L. n. 580/1993, circoscrivendo l’ambito di applicazione di tale normativa a “prodotti espressamente individuati per i quali tale attività si renda ancora effettivamente necessaria e proporzionata rispetto agli obiettivi di interesse generale”.

 

Il Garante per la sorveglianza dei prezzi è stato istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (oggi Ministero delle imprese e del made in Italy) ai sensi dell’articolo 2, commi 198-203 della legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244). La normativa istitutiva è stata successivamente modificata e integrata dall’articolo 5 del decreto-legge n. 112/2008, dall’articolo 23 della legge n. 99/2009, dall’articolo 7, commi 2-4 del decreto-legge n. 21/2022, dall’articolo 10 del D.L. n. 115/2022 (L. n. 142/2022), nonché dall’articolo 3 del D.L. n. 5/2023.

Il Garante, ai sensi del comma 198 della legge finanziaria, sovrintende alla tenuta ed elaborazione dei dati e delle informazioni segnalate agli “uffici prezzi” delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura[6]. Si rammenta che, ai sensi del comma 196 della medesima legge, ciascuna camera di commercio rende noto al pubblico il proprio «ufficio prezzi», il quale riceve segnalazioni e verifica le dinamiche concernenti le variazioni dei prezzi di beni e servizi praticati ai consumatori finali[7]. Nella sua azione, il Garante, ove necessario ai fini dei propri interventi di sorveglianza sul territorio, opera in raccordo con gli osservatori e con gli uffici regionali dei prezzi, sportelli o analoga denominazione, comunque denominati, qualora istituiti con legge regionale. 

Il Garante, inoltre, ai sensi del comma 198, verifica le segnalazioni delle associazioni dei consumatori riconosciute, analizza le ulteriori segnalazioni ritenute meritevoli di approfondimento e decide, se necessario, di avviare indagini conoscitive finalizzate a verificare l’andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi. I risultati dell’attività svolta sono messi a disposizione, su richiesta, dell’AGCM – Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Ai sensi del comma 199, per l’esercizio della propria attività il Garante si avvale dei dati rilevati dall’ISTAT, che sono messi a disposizione del Garante, su specifica istanza, nonché, secondo quanto qui introdotto, della sua collaborazione, e della collaborazione dei Ministeri competenti per materia, dell’Ismea, dell’Unioncamere, delle Camere di commercio, nonché del supporto operativo della Guardia di finanza per lo svolgimento di indagini conoscitive. La Guardia di finanza agisce con i poteri di indagine ad essa attribuiti ai fini dell’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette (si richiama a tal fine la relativa disciplina), ed in virtù dei compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di ogni interesse economico-finanziario nazionale o dell’Unione europea (art. 64, comma 2, lettera m), del decreto legislativo n. 68/2001).

L’articolo 7, comma 1 del D.L. n. 21/2022 ha integrato il testo del comma 199 prevedendo che il Garante possa:

·         convocare le imprese e le associazioni di categoria interessate al fine di verificare i livelli di prezzo dei beni e dei servizi di largo consumo corrispondenti al corretto e normale andamento del mercato e

·         richiedere alle imprese dati, notizie ed elementi specifici sulle motivazioni che hanno determinato le variazioni di prezzo.

Il mancato riscontro, entro 10 giorni dalla richiesta comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’1 per cento del fatturato e comunque non inferiore a 2.000 euro fino ad un massimo di euro 200.000 euro. Analoga sanzione si applica nel caso siano comunicati dati, notizie ed elementi non veritieri. La disposizione in esame, come si è detto, viene integrata dall’articolo 17 del disegno di legge qui in commento (cfr. supra).

Inoltre, l’articolo 3 del D.L. n. 5/2023 che:

·         nel caso in cui siano comunicati al Garante dalle imprese dati contabili e di bilancio non veritieri, si applichi, salvo che il fatto costituisca reato, una sanzione analoga a quella prevista in caso di mancato riscontro, entro dieci giorni, alle richieste del Garante di verifica dei livelli di prezzo di beni e servizi di largo consumo. Si rammenta, al riguardo, che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista (per le imprese e le associazioni di categoria inadempienti) è pari all’1 per cento del fatturato e comunque non inferiore a 2.000 euro e non superiore a 200.000 euro.

·         le sanzioni amministrative previste in caso di mancato riscontro alle richieste del Garante o di comunicazione di dati non veritieri – salvo che il fatto costituisca reato – sono irrogate dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competente per il luogo in cui ha sede l’impresa che ha commesso la violazione (lett. b), n. 2 che, dopo il sesto, introduce un nuovo periodo del comma 199);

 

Lo stesso D.L. n. 5/2023 ha introdotto i commi 199-bis a 199-septies, i quali disciplinano il monitoraggio della dinamica dei prezzi dei beni di largo consumo.

In particolare, i commi in questione (dell’art. 2) dispongono:

·         l’istituzione della Commissione di allerta rapida di sorveglianza dei prezzi, che il Garante può convocare per coordinare l’attivazione degli strumenti di monitoraggio necessari alla individuazione delle ragioni dell’anomala dinamica dei prezzi nella filiera di mercato. Ai componenti ed ai partecipanti alle riunioni della Commissione non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati (comma 199-bis);

·         la composizione della Commissione, cui partecipano un rappresentante rispettivamente dell’ISTAT, di ciascuno dei Ministeri competenti per materia, dell’Ismea, dell’Unioncamere, delle Camere di commercio, della Guardia di finanza (si tratta dei soggetti indicati dal comma 199), i responsabili delle strutture direzionali del MIMIT di cui il Garante si avvale (ai sensi del comma 200), un rappresentante delle Autorità indipendenti competenti per settore, tre rappresentanti delle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’apposito elenco istituito presso il MIMIT ai sensi del Codice del Consumo (art. 137, d.lgs. 206/2005), nominati dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, e un rappresentante delle regioni e delle province autonome. Ove vengano in rilievo fenomeni relativi all’anomalo andamento dei prezzi delle filiere agroalimentari, alla Commissione partecipa, altresì, un rappresentante dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICQRF) del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, fermo restando quanto previsto, in materia di contrasto ai fenomeni di andamento anomalo dei livelli di qualità e dei prezzi nelle filiere agroalimentari, la specifica disciplina vigente, contenuta nell’articolo 2 del D.L. n. 182/2005 (L. n. 231/2005) (comma 199-ter);

·         che il Garante, compatibilmente con le ragioni di urgenza connesse al fenomeno rilevato, può invitare alle riunioni della Commissione i rappresentanti delle associazioni delle categorie economiche e sociali interessate, nonché esperti del settore per acquisire valutazioni e contributi tecnici specialistici in relazione agli specifici argomenti analizzati (nuovo comma 199-quater);

·         che, qualora, dalle analisi condotte in seno alla Commissione o dalle indagini conoscitive, emergano fenomeni speculativi lungo la filiera di origine e produzione, ingrosso e distribuzione, nonché vendita e consumo, il Garante riferisce gli esiti delle attività al Ministro delle imprese e del made in Italy che ne informa, ove necessario, il Governo, per l’adozione di adeguate misure correttive o di ogni altra iniziativa ritenuta opportuna (nuovo comma 199-quinques).

I commi 199-sexies e 199-septies normano le funzioni di segreteria e dispongono circa la dotazione organica.

Ai sensi del comma 200 della legge finanziaria, il Garante è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, tra i dirigenti di prima fascia del Ministero dello sviluppo economico e si avvale per il proprio funzionamento delle strutture del medesimo Ministero. Il garante svolge i propri compiti istituzionali senza compenso e mantenendo le proprie funzioni. L’incarico ha la durata di tre anni.

Ai sensi del comma 201 della legge finanziaria 2008, il Garante riferisce le dinamiche e le eventuali anomalie dei prezzi rilevate al Ministro dello sviluppo economico, che provvede, ove necessario, alla formulazione di segnalazioni all’AGCM.

Ai sensi del comma 202, le informazioni riferite ai prezzi al consumo, anche nominative, sono in ogni caso sottratte alla disciplina di tutela in materia di riservatezza dei dati personali.

L’attività del Garante viene resa nota al pubblico attraverso il sito dell’Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico.

Nel sito sono tempestivamente pubblicati ed aggiornati quadri di confronto, elaborati a livello provinciale, dei prezzi dei principali beni di consumo e durevoli, con particolare riguardo ai prodotti alimentari ed energetici.

 

Ciò posto, la norma in esame demanda ad apposite linee guida adottate dal Garante, nel rispetto di una metodologia di tipo storico-statistico e data la necessaria garanzia di imparzialità dei soggetti che procedono al rilevamento, le modalità di rilevazione di prezzi e tariffe.

 

Invero, l’AGCM, nelle proposte sopra menzionate, ha anche indicato alcune auspicabili modifiche circa la modalità con cui avviene la rilevazione. In particolare, secondo i seguenti principi: (i) la periodicità della rilevazione sia specificamente motivata tenendo conto delle peculiarità dei singoli prodotti e mai tale da poter fornire un’indicazione di prezzo futuro, a tal fine, è necessario che sia adottata una metodologia di tipo storico-statistico; (ii) l’attività sia basata su informazioni e dati storici, certi e attendibili, facilmente verificabili da un soggetto terzo, estraneo alla filiera interessata; (iii) il servizio di deposito di listini e tariffe non sia più disponibile o comunque non consenta l’accesso a listini e tariffe da parte di soggetti terzi; (iv) essa sia svolta da soggetti terzi e indipendenti (quali esperti del settore e/o magistrati, unitamente ai membri interni delle Camere di commercio) e non dagli operatori attivi sui mercati locali, nominati per la gran parte dalle associazioni di categoria, con interessi ben lontani da quelli pubblicistici di monitoraggio del mercato.

Alla luce di quanto sopra, si valuti l’opportunità di meglio definire le metodologie utilizzabili dal Garante nelle sue rilevazioni, posto che l’indicazione di un metodo “storico-statistico” e la “necessaria garanzia di imparzialità” possono apparire di difficile individuazione nel caso concreto.

 


Articolo 18
(Aggiornamento del regolamento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in materia di portabilità dei numeri mobili)

 

 

L’articolo 18, introdotto dalla Camera, modifica il codice delle comunicazioni elettroniche disponendo che l’AGCOM è tenuta ad aggiornare il regolamento sulla portabilità dei numeri per i servizi di comunicazioni mobili, al fine di introdurre modalità di monitoraggio e vigilanza che garantiscano un uso corretto delle informazioni acquisite dai fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica in occasione dei cambi di operatore da parte dei consumatori. Inoltre, prevede che l’Autorità dia conto di tali attività in una relazione annuale.

 

L’articolo 18, introdotto nel corso dell’esame alla Camera, si compone di un comma, e integra il comma 1-bis dell’articolo 98-duodecies del codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003), al fine di disporre che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) aggiorni, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il regolamento relativo alla portabilità dei numeri per i servizi di comunicazione mobili e personali, di cui alla delibera n. 147/11/CIR, prevedendo modalità di monitoraggio e vigilanza che garantiscono un utilizzo non discriminatorio delle informazioni acquisite dai fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica in occasione dei cambi di operatore da parte dei consumatori.

Il comma 1-bis dell’articolo 98-duodecies, del d.lgs n. 259/2003, stabilisce in particolare il divieto per i fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica di utilizzare le suddette informazioni allo scopo di formulare all’utente che intenda cambiare fornitore di rete o servizi di comunicazione elettronica offerte differenziate in ragione del fornitore di reti o servizi di provenienza.

La novella, pertanto, mira rendere effettivo e a rafforzare il divieto di pratiche discriminatorie nei confronti dei consumatori attraverso l’introduzione di misure di vigilanza e monitoraggio nel regolamento relativo alla portabilità dei numeri per i servizi ad opera dell’AGCOM.

 

Inoltre, il comma, così come modificato, prevede che l’AGCOM rediga una relazione annuale volta a sintetizzare tali attività di monitoraggio e vigilanza.

 

Tale novella fa seguito al punto 5 della segnalazione dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato (AGCM), in cui si rilevava la presenza di offerte commerciali aggressive, dette operator attack, praticate dagli operatori incumbent della telefonia mobile ai clienti provenienti dai concorrenti minori. Esse consistono nel proporre offerte differenziate in base all’operatore di provenienza, con prezzi assai bassi e/o di giga aggiuntivi specificamente “mirati” ai clienti dei cosiddetti MVNO (Mobile Virtual Network Operator – operatori di telefonia mobile che si appoggiano sulle reti dei principali operatori) o, comunque, clienti di operatori telefonia mobile entrati di recente sul mercato, e non destinate invece alla generalità dei clienti degli operatori concorrenti. Inoltre, è risultato che per formulare queste offerte selettive, gli operatori incumbent sono in grado di conoscere la rete di appartenenza dell’utente attraverso i dati del sistema di portabilità numerica (MNP), utilizzando queste informazioni per formulare offerte selettive. Al fine di impedire che tali condotte commerciali, rese possibili solo in virtù della conoscenza di informazioni disponibili per alcuni operatori, determinassero il progressivo deterioramento del livello di concorrenza nei servizi di telefonia mobile, l’AGCM suggeriva, nella citata segnalazione, di introdurre una norma volta ad evitare le discriminazioni basate sull’operatore di provenienza, integrando l’attuale divieto di discriminazione nell’articolo 98-duodecies del d.lgs. n. 207/2021, estendendolo alle condizioni tecnico-economiche legate al fornitore di rete di provenienza.

 

 

La prestazione di portabilità del numero mobile (mobile number portability - MNP) consente all’utenza di servizi mobili e personali di mantenere il proprio numero, richiedendo che il servizio sia svolto da un differente operatore mobile, anche nel caso vi sia una variazione tra la tecnologia utilizzata dall’operatore di origine (GSM o UMTS) e quella utilizzata dal nuovo operatore (GSM o UMTS).

I provvedimenti con i quali è stata introdotta la portabilità del numero mobile in Italia sono la delibera n. 12/01/CIR e la delibera n. 19/01/CIR, che stabilisce i diritti e i doveri degli operatori e degli utenti, oltre che le caratteristiche della prestazione.  La delibera n. 147/11/CIR, approvata dall’AGCOM il 10 novembre 2011, ha approvato il regolamento per la portabilità del numero mobile, con cui si stabiliscono le modalità e le condizioni per il trasferimento del numero telefonico mobile tra operatori diversi, garantendo ai consumatori il diritto di mantenere il proprio numero anche in caso di cambio dell’operatore; si riducono ulteriormente i tempi per l’espletamento della portabilità e si introduce la possibilità per il cliente di chiedere indennizzi nel caso di ritardi. Quest’ultima delibera è stata approvata in ottemperanza alla Direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, del 25 novembre 2009, recante la modifica della Direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica. 

Con delibera n.651/13/CONS è stato inoltre approvato l’Accordo quadro convenuto tra gli operatori mobili che, sulla base delle disposizioni della delibera n. 147/11/CIR, regola nel dettaglio le modalità di realizzazione della portabilità ed i rapporti tra i fornitori di servizi mobili. 

A seguito della consultazione pubblica di cui alla delibera n. 334/20/CIR, l’Autorità con la delibera n. 86/21/CIR ha definito le modalità da seguire per effettuare qualsiasi tipo di cambio SIM del cliente. 

Con la delibera n. 86/21/CIR, sono stati introdotti meccanismi di prevenzione e di contrasto a eventuali tentativi di truffa a danno degli utenti finali di telefonia mobile, anche modificando la delibera n. 147/11/CIR. 

Le modifiche al processo di portabilità riguardano sia la previsione di meccanismi che puntano al rafforzamento dei controlli effettuati nel corso della procedura, che l’introduzione di notifiche che garantiscono l’aggiornamento sullo svolgimento di eventuali attività di sostituzione della SIM (c.d. SIM Swap). In tal modo, l’utente sarà in grado di confermare o meno la prosecuzione dell’iter di sostituzione della scheda SIM, inclusa quella a seguito della richiesta di portabilità. 

 

Per maggiore chiarezza ed evidenza grafica delle modifiche normative apportate dal presente articolo, si rimanda al seguente testo a fronte.

 

Codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259/2003)

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 18 dell’A.S. 1318

Art. 98-duodecies
(Non discriminazione)

Art. 98-duodecies
(idem)

1. I fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica non applicano agli utenti finali requisiti o condizioni generali di accesso o di uso di reti o servizi che risultino differenti per ragioni connesse alla cittadinanza, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento dell’utente finale, a meno che tale differenza di trattamento sia oggettivamente giustificata.

Identico.

1-bis. I fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica non possono utilizzare le informazioni acquisite per il tramite del database per la portabilità dei numeri mobili, nonché quelle comunque acquisite per esigenze di carattere propriamente operativo, per formulare offerte agli utenti finali aventi a oggetto requisiti o condizioni generali di accesso o di uso di reti o servizi, comprese le condizioni tecnico-economiche, che risultino differenti in ragione del fornitore di rete o servizio di comunicazione elettronica di provenienza.

1-bis. I fornitori di reti o servizi di comunicazione elettronica non possono utilizzare le informazioni acquisite per il tramite del database per la portabilità dei numeri mobili, nonché quelle comunque acquisite per esigenze di carattere propriamente operativo, per formulare offerte agli utenti finali aventi a oggetto requisiti o condizioni generali di accesso o di uso di reti o servizi, comprese le condizioni tecnico-economiche, che risultino differenti in ragione del fornitore di rete o servizio di comunicazione elettronica di provenienza. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni aggiorna il Regolamento riguardante la portabilità dei numeri per i servizi di comunicazioni mobili e personali di cui alla propria delibera 147/11/CIR, prevedendo modalità di monitoraggio e vigilanza che garantiscano un utilizzo del database coerente con le disposizioni introdotte con il presente comma. L’Autorità redige inoltre annualmente una relazione atta a sintetizzare gli esiti delle attività di monitoraggio e vigilanza condotte nel rispetto del divieto introdotto con il presente comma.

 


Articolo 19
(Disposizioni in materia di attività di rilevazione degli usi commerciali e di informazioni fornite ai clienti finali
delle società di vendita di energia al dettaglio)

 

 

L’articolo 19 introduce, al comma 1, alcune misure di enforcement del divieto per i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi sono oggetto di rilevazione, di far parte dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la rilevazione degli usi commerciali.

Il comma 2, inserito nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, interviene sulle informazioni che le società di vendita al dettaglio di energia sono tenute a fornire al cliente finale, su sua richiesta: in virtù della novella, il cliente finale può esercitare l’opzione di ricevere in via elettronica oltre che informazioni sulla fatturazione e le bollette anche sul nome dell’intermediario con cui è stata sottoscritta l’offerta.

 

L’articolo 19, al comma 1, dispone, al fine di assicurare la trasparenza quanto alle modalità di rilevazione degli usi commerciali, che l’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006 sia integrato da tre ulteriori periodi.

 

Si ricorda che l’articolo 11, comma 5 del D.L. n. 223/2006, come modificato dalla relativa legge di conversione, L. n. 248/2006, stabilisce che i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi commerciali sono oggetto di rilevazione non possono far parte dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la rilevazione degli usi stessi.

Sul punto, occorre premettere che la raccolta di usi e consuetudini costituisce una importante funzione svolta dalle Camere di commercio, che oggi si connota con un rilievo del tutto particolare alla luce della legge n. 580/1993, di riforma degli Enti camerali, che valorizza in modo speciale il ruolo di garanzia e di controllo che le Camere di commercio sono chiamate ad assumere nell’ambito.

Invero, le attribuzioni sul monitoraggio degli usi agli enti camerali si rinvengono già con la L. n. 121/1910, poi confermate dal R.D. 20 settembre 1934, n. 2011 (artt. 34 – 40) e con il d.lgs. Lgt. 21 settembre 1944, n. 315[8]. Questi ultimi due provvedimenti ancora disciplinano la materia, definendo l’articolazione essenziale della procedura di accertamento (esperimento delle indagini necessarie da parte dell’ente e predisposizione dello schema della raccolta, invito alle associazioni professionali interessate a formulare eventuali osservazioni sullo schema predisposto, pubblicazione del testo definitivo e revisione almeno quinquennale della raccolta), insieme al D. Lgs. C.P.S. 27 gennaio 1947 n. 152. Invero, tale normativa è stata integrata, nel 1964, dalla circolare del Ministero dell’Industria e del Commercio n. 1695/C, che, con la finalità di uniformare sul territorio nazionale le modalità di rilevazione degli usi, ha fornito agli enti camerali indicazioni dettagliate quanto al modus procedendi.

Ciò posto, in ogni camera opera la Commissione provinciale degli usi e i Comitati tecnici competenti per l’accertamento e la revisione. Fanno parte della Commissione rappresentanti delle associazioni di categoria, degli ordini professionali ed esperti giuridici. Per ogni settore viene costituito un apposito Comitato tecnico composto da persone designate dalle associazioni di categoria e dalle associazioni dei consumatori.

 

Il primo periodo del comma 1 impone alle Commissioni provinciali di assicurare il rispetto del divieto, per i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi sono oggetto di rilevazione, di esser membri dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio.

Il secondo e terzo periodo dispongono, rispettivamente, che, in caso di violazione del predetto obbligo, il presidente della Commissione provinciale provvede a dichiarare la decadenza del Comitato tecnico, e che, in caso di inerzia della Commissione, la Camere di commercio provvede alla revoca della Commissione, d’ufficio o su segnalazione di chiunque via abbia interesse.

Si sottolinea che la normativa in commento riprende quanto auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) all’interno del documento, datato giugno 2023, contenente “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2023”.

Nello specifico, l’AGCM ha sostenuto la necessità di introdurre specifiche misure sanzionatorie a carico delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in caso di violazione dell’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006.

 

Nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati, è stato inserito il comma 2, il quale, al fine di assicurare la trasparenza per il consumatore finale, interviene sulla norma – articolo 9, comma 7, lett. b) del d.lgs. n. 102/2014 – che demanda ad ARERA di stabilire le modalità con cui le società di vendita di energia al dettaglio, indipendentemente dal fatto che siano installati o meno contatori intelligenti, provvedano affinché ai clienti finali sia offerta l’opzione di ricevere informazioni sulla fatturazione e bollette in via elettronica.

Il comma 2, novella la norma, al fine di prevedere che l’opzione offerta ai clienti finali sia quella di ricevere in via elettronica informazioni sulla fatturazione, le bollette e il nome dell’intermediario con cui è stata sottoscritta l’offerta.

Rimane fermo l’obbligo per le società di vendita al dettaglio di fornire ai clienti finali, su richiesta, una spiegazione chiara e comprensibile sul modo in cui la loro fattura è stata compilata.

 


Articolo 20
(Disposizioni per favorire la concorrenza nel settore assicurativo)

 

 

L’articolo 20, modificato nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, reca disposizioni volte a favorire la portabilità dei dati contenuti nelle “scatole nere”.

Nello specifico, vengono stabiliti:

§  un divieto di inserire clausole che impediscono o limitano all’assicurato la disinstallazione gratuita dei dispositivi elettronici alla scadenza annuale del contratto ovvero che prevedono penali per la loro restituzione dopo tale scadenza, a pena di nullità delle stesse;

§  un meccanismo di portabilità dei dati registrati dalle scatole nere;

§  un meccanismo di compensazione monetaria per la messa a disposizione dei dati.

 

Il comma 1 vieta alle imprese assicuratrici la previsione di clausole contrattuali esclusive o limitative del diritto dell’assicurato di disinstallare, gratuitamente e alla scadenza annuale del contratto, i dispositivi elettronici per il monitoraggio dei dati dell’attività di circolazione dei veicoli a motore (c.d. “scatole nere” o equivalenti) di cui all’articolo 132-ter del decreto legislativo, 7 dicembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), nonché di clausole che stabiliscono penali per la restituzione degli stessi dopo tale scadenza.

A tal proposito, essendo le clausole suddette qualificabili come vessatorie, la disposizione presenta un meccanismo sanzionatorio analogo a quello previsto dall’articolo 36 del decreto legislativo, 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo) che disciplina la nullità di protezione. Nello specifico, in caso di contratto contenente tali clausole, la nullità colpisce esclusivamente queste ultime e non, invece, l’intero contratto, il quale rimane valido per la parte restante.

 

In merito, ai sensi del sopra citato articolo 36, le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Si rammenta che l’articolo 33, comma 1, del Codice del consumo definisce vessatorie, nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione, nonché alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.

 

 

Con legge, 4 agosto 2017, n. 124 si è provveduto a inserire nel Codice delle assicurazioni private l’articolo 132-ter.

Esso contiene la disciplina inerente alle diverse condizioni che danno luogo, in favore dell’assicurato, a uno sconto sul prezzo della polizza, in caso di stipulazione di un contratto r.c. auto. Specificamente:

§  qualora, su proposta dell’impresa di assicurazione, i soggetti che presentano proposte per l’assicurazione obbligatoria accettino di sottoporre il veicolo a ispezione da eseguire a spese dell’impresa di assicurazione;

§  qualora vengano installati, su proposta dell’impresa di assicurazione, o siano già presenti e portabili meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera” o equivalenti, ovvero ulteriori dispositivi;

§  qualora vengano installati, su proposta dell’impresa di assicurazione, o siano già presenti, meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore qualora sia riscontrato nel guidatore un tasso alcolemico superiore ai limiti stabiliti dalla legge per la conduzione di veicoli a motore.

 

L’IVASS, con proprio regolamento, definisce criteri e modalità della determinazione da parte delle imprese di assicurazione dello sconto da applicare sul premio.

Le imprese assicurative, in attuazione dei suddetti criteri, definiscono uno sconto significativo da applicare alla clientela a fronte della riduzione del rischio connesso al ricorrere di una o più delle condizioni summenzionate. Peraltro, le imprese medesime, sia in sede di preventivo sia nel contratto e in caso di accettazione da parte del contraente, specificano lo sconto praticato per ciascuna delle condizioni predette, in valore assoluto e in percentuale, rispetto al prezzo della polizza altrimenti applicato.

L’IVASS provvede a identificare, alla luce dei dati disponibili e delle indagini statistiche, la lista (aggiornata ogni due anni) delle province a maggiore tasso di sinistrosità e con premio medio più elevato.

Con medesimo regolamento, l’IVASS, in considerazione dei premi più elevati applicati nelle province a maggiore tasso di sinistrosità e di quelli praticati nelle altre province a più bassa sinistrosità ad assicurati con le medesime caratteristiche soggettive e collocati nella medesima classe di merito, definisce, altresì, i criteri e le modalità per la determinazione da parte delle imprese di assicurazione di uno sconto, aggiuntivo e significativo rispetto a quello già praticato, da applicare ai soggetti residenti nelle province predette, subordinatamente all’assenza di sinistri provocati con responsabilità esclusiva o principale o paritaria negli ultimi quattro anni, nonché all’installazione, a seguito della stipula del contratto, della “scatola nera”. Anche questo sconto aggiuntivo deve essere evidenziato dalle imprese assicuratrici, sia in sede di preventivo sia nel contratto, in caso di accettazione del da parte del contraente, in valore assoluto e in percentuale, rispetto al prezzo della polizza altrimenti applicato.

Il regolamento che l’IVASS è tenuto ad adottare:

§  definisce i parametri oggettivi, tra cui la frequenza dei sinistri e il relativo costo medio, per il calcolo dello sconto aggiuntivo;

§  prevede che non possano sussistere differenziali di premio che non siano giustificati da specifiche evidenze sui differenziali di rischio.

 

All’IVASS sono attribuiti poteri di vigilanza sul rispetto da parte delle imprese assicuratrici, nel processo di costruzione della tariffa e del ricalcolo del premio, dei criteri e delle modalità ai fini della determinazione dello sconto sul premio e dello sconto aggiuntivo. Tale potere viene esercitato attraverso periodiche verifiche a campione, anche in via ispettiva ovvero a seguito di circostanziata segnalazione da parte di terzi.

L’IVASS verifica, inoltre, che lo sconto aggiuntivo garantisca la progressiva riduzione delle differenze dei premi applicati sul territorio nazionale nei confronti di assicurati con le medesime caratteristiche soggettive e collocati nella medesima classe di merito.

 

Una delle predette condizioni ai fini dello sconto sul premio è costituita dall’installazione, su proposta dell’impresa di assicurazione, di meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera”.

Come osserva la relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022, sebbene non siano stati adottati i decreti attuativi sugli standard tecnologici volti ad assicurare la portabilità e l’interoperabilità dei dati registrati dai dispositivi elettronici, le “scatole nere” hanno comunque trovato diffusione sul mercato assicurativo, anche in virtù della scontistica di “benvenuto” praticata dalle assicurazioni per i nuovi clienti.

Nella relazione medesima viene riportata la segnalazione dell’Antitrust ad avviso della quale si rileva un concreto rischio di c.d. lock-in, ovvero di fidelizzazione “forzata”, derivante dalla applicazione della riduzione del premio dal secondo anno di installazione della scatola nera, a condizione che l’assicurato non cambi compagnia, con inevitabili effetti distorsivi della concorrenza, consistenti nell’imposizione di costi ai clienti per la disinstallazione dei dispositivi elettronici, nonché di clausole penali in caso di restituzione degli stessi, rafforzando di fatto il fenomeno di lock-in già citato.

Ne consegue che la finalità della norma in esame è rappresentata dall’incentivazione della mobilità della domanda in ambito assicurativo e la riduzione del fenomeno del cosiddetto lock-in.

 

Il divieto di inserimento delle predette clausole opera nelle more della piena interoperabilità dei dispositivi elettronici, la quale è regolata dall’articolo 145-bis, commi 2 e 3, del Codice delle assicurazioni private.

 

Il sopra citato articolo 145-bis, al primo comma, definisce il valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e degli altri dispositivi elettronici previsti dal citato articolo 132-ter, comma 1, lettere b) e c).

Specificamente, laddove uno dei veicoli coinvolti in un sinistro stradale risulti dotato di uno di tali dispositivi, le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo.

Il richiamato articolo 145-bis, peraltro, dispone che l’interoperabilità e la portabilità dei meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, anche nei casi di sottoscrizione da parte dell’assicurato di un contratto di assicurazione con un’impresa assicuratrice diversa da quella che ha provveduto a installare i meccanismi elettronici, sono garantite da operatori, i cosiddetti provider di telematica assicurativa, i cui dati identificativi sono comunicati all’IVASS da parte delle imprese di assicurazione che ne utilizzano i servizi.

 

Il comma 2 disciplina un meccanismo di portabilità dei dati registrati dalle “scatole nere”

Nello specifico, è prevista la facoltà per il consumatore di richiedere, tramite la compagnia assicurativa, all’impresa che gestisce i dispositivi elettronici, l’insieme dei dati registrati dal dispositivo elettronico durante la circolazione del veicolo assicurato, i quali vengono utilizzati dalla compagnia assicurativa ai fini del calcolo del premio del nuovo contratto stipulato con l’assicurato.

Tali dati sono relativi:

§  alla percorrenza complessiva;

§  alla percorrenza differenziata in funzione delle diverse tipologie di strade percorse;

§  all’orario, diurno o notturno, alla percorrenza nonché agli eventi di guida ad alta velocità per tipo di strada negli ultimi dodici mesi.

 

La norma indica, altresì, le modalità con cui questi dati devono essere forniti.

Nello specifico, essi devono essere resi gratuitamente, in un formato strutturato, con modalità di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.

 

Nella relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 si osserva come la suddetta norma persegua la finalità di garantire la continuità del servizio di trattamento dei dati alla nuova compagnia assicurativa.

Nella relazione medesima, si evidenzia, altresì, che l’assunto per il quale i dati debbano essere forniti in modalità accessibile riprende l’articolo 30 del Regolamento (UE) 2023/2854, il quale, nel disciplinare gli aspetti tecnici del passaggio di dati, prevede che i fornitori di servizi di trattamento dei dati adottino tutte le misure ragionevoli in loro potere, anche alla luce del principio di buona fede, per far sì che il cliente raggiunga l’equivalenza funzionale nell’utilizzo dei dati richiesti in portabilità.

 

Infine, il comma 3 stabilisce un meccanismo di compensazione monetaria per la messa a disposizione dei dati.

In particolare, l’utilizzo dei dati sopra citati da parte della nuova compagnia assicurativa viene condizionato al versamento, da parte della stessa, di un compenso una tantum nella misura massima di 20 euro in favore dell’impresa che gestisce il dispositivo elettronico e che, quindi, ha fornito i dati.  Da ultimo, con una modifica introdotta nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, si dispone che, decorsi due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, sentito l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, si provvede all’eventuale aggiornamento dei dati di cui al comma 2 e dei compensi di cui al presente comma, in coerenza con i mutamenti intervenuti nelle condizioni di mercato.

 

 


Articolo 21
(
Sistema informativo antifrode per
rapporti assicurativi non obbligatori)

 

 

L’articolo 21 riconosce alle imprese assicurative la possibilità di istituire un sistema informativo sui rapporti assicurativi non obbligatori, volto a contrastare comportamenti fraudolenti e posto sotto la vigilanza dell’IVASS.

 

Nello specifico il comma 1 prevede che le imprese assicurative possono istituire, per il tramite della relativa associazione, un sistema informativo sui rapporti assicurativi per rami diversi dalla responsabilità civile automobilistica, con la finalità di rendere più efficace la prevenzione e il contrasto di comportamenti fraudolenti. Si precisa che tale sistema è alimentato dai sistemi informativi delle singole imprese assicurative ed è sottoposto alla vigilanza dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) che vi provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Su tale aspetto la relazione tecnica di accompagnamento all’A.C. 2022 precisa che l’IVASS già svolge attività di controllo a garanzia dell’adeguata protezione degli assicurati e della sana e prudente gestione delle imprese assicurative nell’ambito della loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela e dunque la previsione in commento non rappresenta un aggravio della normale attività dell’agenzia.

 

La norma specifica, inoltre, che le imprese assicurative possono utilizzare i dati del sistema informativo per finalità connesse con la liquidazione dei sinistri.

 

Il comma 2 indica i soggetti che sono tenuti a definire le modalità di attuazione della disposizione.

Nello specifico, si prevede che le modalità di alimentazione e di accesso al sistema informativo e le tipologie di dati da trattare, sono definiti dall’IVASS con proprio regolamento, da adottare sentiti il Garante per la protezione dei dati personale e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), previa consultazione delle imprese di assicurazione e della relativa associazione rappresentativa.

 

Il comma 3, in merito ai costi della misura in esame, stabilisce che i costi della realizzazione e della gestione del sistema informativo sono esclusivamente a carico delle imprese assicurative partecipanti e che comunque dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Circa le finalità sottostanti all’intervento normativo, nella relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022, il legislatore osserva che la disposizione, nel migliorare la trasparenza, la sicurezza e l’efficienza delle operazioni assicurative, mira a contrastare la frode assicurativa, proteggendo così gli interessi degli assicurati e preservando l’integrità del mercato assicurativo nel suo complesso, attraverso una stretta collaborazione tra le imprese assicurative, le autorità di regolamentazione e le istituzioni competenti.

 

 


Articolo 22
(Vigilanza sui contratti assicurativi a copertura dei danni alle imprese cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali)

 

 

L’articolo 22, introdotto nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, affida all’IVASS la gestione di un portale il cui scopo è consentire la comparazione trasparente dei contratti assicurativi stipulati a copertura dei danni cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali.

 

La disposizione in esame introduce un nuovo comma 105-bis alla legge di bilancio 2024 (legge 30 dicembre 2023, n. 213) volto a favorire la comparazione delle condizioni previste nei contratti a copertura dei danni alle imprese cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali offerti dalle imprese assicurative.

 

Si ricorda che l’articolo 1, ai commi 101-111, della richiamata legge di bilancio 2024, istituisce l’obbligo, per le imprese con sede legale o stabile organizzazione in Italia, tenute all’iscrizione nel relativo Registro, di stipulare, entro il 31 dicembre 2024, contratti assicurativi a copertura dei danni a terreni e fabbricati, impianti e macchinari, nonché attrezzature industriali e commerciali direttamente causati da eventi quali i sismi, le alluvioni, le frane, le inondazioni e le esondazioni.

 

L’inadempimento dell’obbligo di assicurazione viene considerato nell’assegnazione di contributi, sovvenzioni o agevolazioni di carattere finanziario a valere su risorse pubbliche. La polizza deve prevedere un eventuale scoperto o franchigia non superiore al 15 per cento del danno e l’applicazione di premi proporzionali al rischio. Tali valori possono essere aggiornati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro delle imprese e del made in Italy, con il quale possono essere altresì stabilite ulteriori modalità attuative e operative degli schemi di assicurazione. In caso di accertamento di violazione o elusione dell’obbligo a contrarre, incluso il rinnovo, IVASS provvede a irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 500.000 euro.

I commi da 108 a 110 recano norme finalizzate a contribuire all’efficace gestione del rischio da parte delle compagnie assicurative per la copertura dei danni in esame, autorizzando SACE S.p.A. a concedere una copertura fino al 50 per cento degli indennizzi (fino a un massimo di 5 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2024). Sulle obbligazioni di SACE S.p.A. derivanti da tali coperture è accordata di diritto la garanzia dello Stato a prima richiesta e senza regresso. Il comma 111 prevede infine che le disposizioni non siano applicabili agli imprenditori agricoli (di cui all’articolo 2135 del Codice civile), per le quali resta ferma la disciplina del Fondo mutualistico nazionale per la copertura dei danni catastrofali meteoclimatici alle produzioni agricole causati da alluvione, gelo-brina e siccità stabilita dall’articolo 1, commi 515 e seguenti della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022).

 

In particolare, la norma in esame stabilisce che al fine di favorire una scelta consapevole e informata da parte delle imprese soggette all’obbligo di stipula dei contratti assicurativi a copertura dei danni ai beni direttamente cagionati da calamità naturali ed eventi catastrofali, di cui al comma 101 della richiamata legge di bilancio, l’IVASS gestisce, anche attraverso la piattaforma informatica già disponibile per la comparazione delle offerte RC auto, un portale che consente di comparare in modo trasparente i contratti assicurativi offerti dalle imprese assicurative.

Si precisa, in proposito, che ciascuna impresa di assicurazione è tenuta a immettere sul portale il contratto assicurativo, strettamente coerente alla prescrizione di cui alla medesima legge di bilancio, indicando:

§  le condizioni generali;

§  l’estensione delle coperture e le eventuali esclusioni e limitazioni.

Si stabilisce, infine, con decreto del Ministero delle imprese e del Made in Italy, su proposta dell’IVASS, sono stabilite le disposizioni attuative della misura in esame.

 


Articolo 23
(Disposizioni in materia di riporzionamento
dei prodotti preconfezionati)

 

 

L’articolo 23, modificato alla Camera dei deputati, introduce nel Codice di consumo una misura che si pone come misura di contrasto alla pratica commerciale nota come “riporzionamento”, prevedendo un obbligo informativo, mediante specifica etichetta, circa la riduzione di quantità, per un periodo di sei mesi dall’immissione in commercio del prodotto in questione.

 

L’articolo 23, composto da tre commi, introduce, dopo l’articolo 15 del D. Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo), un articolo 15-bis la cui rubrica, come modificata alla Camera dei deputati, recita: “Misure in materia di riporzionamento dei prodotti preconfezionati”.

 

La norma si riferisce al fenomeno del cd. shrinkflation, ossia la pratica dei produttori volta a ridurre la quantità di prodotto all’interno delle confezioni, mantenendo però il prezzo sostanzialmente invariato, se non aumentandolo.

 

In particolare, il comma 1 dell’articolo articolo impone ai produttori che immettono in commercio, anche mediante distributori operanti in Italia, un prodotto di consumo che, pur mantenendo inalterato il precedente confezionamento, ha subito una riduzione della quantità nominale con conseguente aumento del prezzo per unità di misura da essi dipendente, di informare il consumatore dell’avvenuta riduzione.

Nello specifico, l’informazione deve rendere edotti della riduzione della quantità.

A tal fine, si impone al produttore di apporre nel campo visivo principale della confezione di vendita o tramite un’etichetta adesiva la dicitura “Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X (unità di misura) rispetto alla precedente quantità”.

Si fa presente che il testo dell’articolo nella sua prima formulazione prevedeva, al comma 1, un riferimento alla messa in vendita del prodotto e non alla sua immissione in commercio. Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è stato inoltre specificato che l’imposizione ai produttori è disposta quando l’aumento del prezzo per unità di misura è dipendente dalla riduzione della quantità nominale. È stato inoltre soppresso il riferimento all’informazione dell’aumento del prezzo in termini percentuali, rendendo edotto il consumatore della sola riduzione della quantità. Infine, è stato specificato il testo della dicitura da riportare sulla confezione di vendita.

Il comma 2 precisa che l’obbligo informativo di cui al comma 1 trova applicazione per un periodo di sei mesi, decorrenti dalla data di immissione in commercio del prodotto in questione.

Il comma 2, anch’esso riformulato in prima lettura presso la Camera dei deputati, nella sua formulazione iniziale prevedeva che l’obbligo informativo si applicasse dalla data in cui il prodotto fosse stato esposto nella sua quantità ridotta.

Infine il comma 3, introdotto alla Camera dei deputati, prevede che la disposizione in esame trovi applicazione a decorrere dal 1° aprile 2025.

 


Articolo 24
(Accesso dei clienti domestici vulnerabili
al servizio a tutele graduali)

 

 

L’articolo 24, inserito nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, prevede la facoltà per i clienti domestici vulnerabili dell’energia elettrica di chiedere, entro il 30 giugno 2025, l’accesso al servizio a tutele graduali. Si demanda ad ARERA di stabilire le modalità di attuazione del presente articolo, ivi incluse quelle per l’attestazione circa la sussistenza dei requisiti di vulnerabilità.

 

L’articolo 24, inserito alla Camera dei deputati e costituito di un unico comma, prevede che i clienti domestici vulnerabili di cui all’articolo 11, comma 1, del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 210, possano chiedere, entro il 30 giugno 2025, l’accesso al servizio a tutele graduali disciplinato con deliberazione dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA) 3 agosto 2023, n. 362/2023/R/eel, fornito dall’operatore aggiudicatario dell’area ove è situato il punto di consegna interessato.

L’articolo demanda ad ARERA di stabilire, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le modalità di attuazione del presente articolo, ivi incluse quelle per l’attestazione circa la sussistenza dei requisiti di vulnerabilità, dandone evidenza sul proprio sito internet istituzionale.

Per quanto attiene alla formulazione del testo, si valuti l’opportunità di prevedere che ARERA definisca le suddette modalità di accesso con propri provvedimenti.

 

Nel rinviare più diffusamente al box di approfondimento sul processo di liberalizzazione del mercato elettrico, qui si rileva che dal 1° luglio 2024 il cliente non vulnerabile che era in tutela e non ha scelto un contratto sul mercato libero, per garantire la continuità della fornitura, è passato automaticamente al servizio a tutele graduali (STG).

A inizio luglio 2024, circa 3,7 milioni sono stati i clienti domestici non vulnerabili in maggior tutela passati automaticamente al servizio a tutele graduali (cfr. ARERA, comunicato del 27 giugno 2024).

Dal 1° luglio 2024, il servizio di maggior tutela è disponibile per, e può essere scelto dai soli clienti vulnerabili (vedasi più approfonditamente box infra sul punto).

Ai sensi dell’articolo 11, comma 1 del d.lgs. n. 210/2021, sono vulnerabili gli over 75 anni, i percettori del bonus sociale disabile (L. 104/92), i residenti in un modulo abitativo di emergenza o su un’isola minore non interconnessa, ovvero utilizzatori di apparecchiature salva-vita.

Alla data del 24 settembre 2024, risultavano serviti nel sevizio di maggior tutela circa 3,4 milioni di clienti (cfr. comunicato del 27 settembre 2024).

Il servizio a tutele graduali viene erogato da venditori selezionati attraverso specifiche procedure concorsuali. Ogni area territoriale è servita da un solo fornitore, il quale può anche servire più aree contemporaneamente.

Per quanto riguarda le condizioni economiche, la durata del STG decorre dal 1° luglio 2024 fino al 31 marzo 2027. In mancanza di una scelta espressa, al termine di questo periodo, il cliente sarà rifornito sempre dallo stesso venditore sulla base della propria offerta di mercato libero più favorevole (si rinvia, più diffusamente, all’apposita pagina sulla “fine tutela elettricità” del sito istituzionale ARERA).

Quanto alle condizioni economiche, nel servizio a tutele graduali la voce di spesa per il trasporto e la gestione del contatore e quella per oneri di sistema non varia ed è analoga al mercato libero, mentre, la voce di spesa per la materia energia presenta delle differenze.

Su tali aspetti si è concentrata l’attenzione dell’ARERA la quale ha sollevato taluni rilievi. Si rinvia, in particolare, alle due memorie depositate nel corso dell’audizione del 5 marzo 2024 presso la X Commissione attività produttive della Camera dei deputati (disponibili qui). Come specificamente evidenziato da ARERA, per i clienti del STG, le condizioni economiche prevedono l’applicazione, in aggiunta alle componenti tariffarie regolate, di una componente di prezzo (in euro/kWh), a copertura dei costi di approvvigionamento di energia, basata sui valori consuntivi mensili del PUN (cd. PUN mensile ex post) e di una componente (cd. “parametro gamma”, espresso in euro/POD/anno) definita sulla base delle offerte formulate dagli operatori. Tale componente è uguale in tutto il territorio nazionale ed è determinata come media ponderata dei prezzi di aggiudicazione delle aste per il numero di clienti presenti in ciascuna area che si stima passeranno al servizio a tutele graduali. La componente in questione deve essere aggiornata annualmente sempre in funzione del numero di clienti riforniti nel servizio a tutele graduali delle diverse aree territoriali.

Sulla base delle simulazioni e in considerazione del corrispettivo di commercializzazione pagato a marzo 2024 per i clienti non vulnerabili serviti in maggior tutela, ARERA ha stimato, a marzo 2024, che il passaggio al 1° luglio 2024 dalla maggior tutela al servizio a tutele graduali comporti, per i clienti coinvolti, un risparmio complessivo per ogni punto di prelievo di circa 130 euro all’anno in relazione alla componente di commercializzazione. Considerando la spesa media annua della famiglia tipo con un consumo di 2700kWh, pari a circa 600 euro, questo risparmio – secondo ARERA – sarebbe quantificabile in più del 20% della bolletta[9].

Da ciò ARERA ha rilevato quanto segue: Le condizioni economiche che saranno praticate ai clienti vulnerabili nei servizi di tutela saranno quindi diverse e i prezzi risulteranno maggiori di quelli applicati ai clienti riforniti nel servizio a tutele graduali in questo primo triennio”. Fanno naturalmente eccezione i clienti in stato di bisogno economico, per i quali resta attivo il meccanismo automatico del bonus sociale. Nel 2024 il bonus elettricità (comprensivo della componente straordinaria prevista dal Legislatore per il I trimestre) varrà da 218 euro (per una famiglia con 2 componenti) a 315 euro (per famiglie con più di 4 componenti).

ARERA dunque ha evidenziato come sia opportuno “interrogarsi se effettivamente questa sia la configurazione che il Legislatore intendeva perseguire con l’emanazione dei relativi atti normativi e se, valutati positivamente gli esiti delle aste del servizio a tutele graduali, non siano da considerare interventi ulteriori e diversi in relazione ai clienti vulnerabili”.

Di seguito, per meglio comprendere la differenza tra le diverse situazioni, sono indicate le componenti di prezzo (al netto delle imposte) applicate in bolletta ai clienti del servizio a tutele graduali nel mese di ottobre 2024 e le componenti di prezzo applicate in bolletta per i clienti vulnerabili in maggior tutela nel periodo ottobre-dicembre 2024.

 

 

 

Poste queste premesse, e alla luce del quadro normativo di seguito descritto, si evidenzia in questa sede che l’intervento in esame si inserisce nel contesto di una disciplina articolata, in specie quella della vulnerabilità, secondo la quale, dal 1° luglio 2024, la maggior tutela opera come soluzione transitoria per la tutela dei clienti vulnerabili, nelle more delle gare. Peraltro – come rileva ARERA – le condizioni strutturali e la ratio che connotano il servizio di vulnerabilità sono molto diverse da quelle del STG: infatti, diversamente dal servizio a tutele graduali in cui, trascorsi i circa tre anni di durata del servizio, dunque, nel 2027 (cfr. infra), i clienti vengono trasferiti automaticamente al mercato libero, i clienti vulnerabili potranno rimanere nel servizio di vulnerabilità senza soluzione di continuità.

Per le ragioni esposte, potrebbe risultare opportuno valutare se tali elementi siano presi in considerazione con l’intervento in esame e se esso sia idoneo a fornire una soluzione strutturale ai rilievi problematici sollevati in ordine alle differenze economiche e di prezzo, coordinandosi anche con la disciplina della vulnerabilità.

 

 

La legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) ha previsto, all’articolo 1, comma 60, la cessazione dell’efficacia del regime dei prezzi regolati del mercato elettrico istituito dall’articolo 35, comma 2 del d.lgs. n. 93/2011 per i clienti finali civili e le imprese connesse in bassa tensione con meno di 50 dipendenti e un fatturato annuo non superiore ai 10 milioni di euro che non scelgano un fornitore sul mercato libero.  Inoltre, nel prevedere la cessazione del servizio di maggior tutela, ha affidato all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente ARERA il compito di adottare disposizioni per assicurare “un servizio a tutele graduali per i clienti finali senza fornitore di energia elettrica”, nonché specifiche misure per prevenire ingiustificati aumenti di prezzo e alterazioni delle condizioni di fornitura per tali clienti.

Nel regime di prezzi regolati, cd “servizio di maggior tutela”, ai sensi dell’articolo 1, comma 2 del D.L. n. 73/2007, il servizio elettrico è erogato dall’impresa di distribuzione, anche attraverso apposite società di vendita, ma la funzione di approvvigionamento è svolta da Acquirente Unico S.p.A.

Nel 2017, anno in cui è stata approvata la legge annuale per il mercato e la concorrenza, erano già passate al mercato libero il 38,8 per cento delle utenze domestiche e il 50,8 per cento delle altre utenze in bassa tensione.

Il completamento della liberalizzazione del segmento retail del mercato elettrico concorre all’attuazione del PNRR (Riforma M2C1-7). Il PNRR ha previsto quanto segue: “in materia di vendita di energia elettrica occorre completare il processo di piena liberalizzazione nel settore previsto per il 2023, attraverso l’adozione di regole finalizzate ad assicurare un passaggio consapevole e trasparente al mercato libero da parte della clientela domestica e delle microimprese, anche seguendo il modello già adottato per il servizio a tutele graduali, fissando tetti alla quota di mercato, e potenziando la trasparenza delle bollette per garantire maggiore certezza ai consumatori”.

Si tratta, effettivamente, di un processo pendente da anni. La legge n. 124/2017 aveva stabilito, inizialmente, un unico termine, il 1° gennaio 2019, a decorrere dal quale sarebbe cessato il regime dei prezzi regolati per microimprese e clienti civili. Il termine è stato successivamente più volte prorogato e, da ultimo, fissato al 1° gennaio 2021 per le piccole imprese ed al 1° gennaio 2023 per le micro imprese e i clienti domestici (art. 12, comma 9-bis del D.L. n. 183/2020).

Per i clienti domestici, tuttavia, il servizio di maggior tutela ha continuato ad applicarsi, secondo gli indirizzi definiti con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, nelle more dello svolgimento delle procedure concorsuali per l’assegnazione del servizio di vendita a tutele graduali, che avrebbe dovuto concludersi entro il 10 gennaio 2024, come stabilito dall’art. 16-ter, commi 1 e 2 del D.L. n. 152/2021.

Al fine di favorire l’ingresso consapevole dei clienti domestici nel mercato libero dell’energia elettrica e di garantire condizioni concorrenziali e una pluralità di offerte, il decreto 17 maggio 2023 del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha stabilito i criteri e le modalità per il passaggio al mercato libero dei clienti domestici non vulnerabili riforniti nel servizio di maggior tutela che, alla data della rimozione del servizio, non abbiano ancora stipulato un contratto per la fornitura dell’energia elettrica sul mercato libero, normando dunque il servizio a tutele graduali quale servizio cui tali soggetti accedono fino all’esercizio del diritto di scelta del fornitore (31 marzo 2027) (art. 2, comma 1).

In attuazione delle predette disposizioni legislative, con la delibera 3 agosto 2023, 362/2023/R/eel, l’Autorità ha regolato le condizioni economiche e contrattuali di erogazione del servizio a tutele graduali e le modalità di assegnazione dello stesso.

Riguardo alle modalità di assegnazione, il provvedimento ha attribuito ad Acquirente unico il compito di gestire le procedure concorsuali e di predisporre il relativo Regolamento di gara.

Sul finire dell’anno 2023, il D.L. n. 181/2023 (convertito in L. n. 14/2024), all’articolo 14, oltre a potenziare (con lo stanziamento di 1 milione di euro per il 2024) le campagne informative e le azioni già contemplate nel D.M. 17 maggio 2023, ha introdotto specifiche disposizioni circa la fornitura di energia elettrica ai clienti vulnerabili come definiti dall’articolo 11, comma 1 del d.lgs. n. 210/2021: over 75 anni, ovvero percettore del bonus sociale disabile (L. 104/92), ovvero residente in un modulo abitativo di emergenza o su un’isola minore non interconnessa, ovvero utilizzatore di apparecchiature salva-vita. L’articolo 14, comma 6 del D.L. n. 181/2023 è, in particolare, intervenuto sul succitato articolo 11, comma 2, del d.lgs. n. 210/2021, prevedendo un apposito “servizio di vulnerabilità” di cui ARERA è competente a stabilire le condizioni contrattuali, il prezzo applicato per la fornitura deve riflettere il costo dell’energia elettrica nel mercato all’ingrosso e i costi efficienti delle attività di commercializzazione del servizio medesimo, determinati sulla base di criteri di mercato.

In esito alle novità introdotte dal D.L. n. 181/23, con la delibera 9 dicembre 2023, 580/2023/R/eel, l’Autorità ha attuato le disposizioni di cui all’articolo 14, comma 6, del D.L. n. 181/2023 (L. n. 14/2024) differendo dall’11 dicembre 2023 al 10 gennaio 2024 la data di svolgimento delle aste per l’assegnazione del servizio a tutele graduali per i clienti domestici non vulnerabili del settore dell’energia elettrica.

Con la successiva delibera 19 dicembre 2023, 600/2023/R/eel, l’Autorità ha prorogato la data di attivazione del servizio a tutele graduali, che opera per i clienti domestici non vulnerabili, al 1 luglio 2024 (in luogo dell’1 aprile 2024), in coerenza con l’espressa finalità del decreto-legge di assicurare ai clienti finali un periodo di tempo adeguato per informarsi, attraverso le apposite campagne in capo al MASE, in ordine alla fine della tutela di prezzo e in ragione del nuovo termine di pubblicazione degli esiti delle procedure concorsuali per l’assegnazione del servizio a tutele graduali (fissato per il 6 febbraio 2024), da cui decorrono le tempistiche per l’esecuzione delle attività prodromiche all’operatività di detto servizio.

Quanto invece al servizio di vulnerabilità, ai sensi dell’articolo 14 del D.L. n. 181/2023, Acquirente unico S.p.A. ha il compito di svolgere, secondo le modalità stabilite dall’ARERA e basate su criteri di mercato, la funzione di approvvigionamento centralizzato dell’energia elettrica all’ingrosso per la successiva cessione agli esercenti il suddetto servizio. Il servizio di vulnerabilità è esercitato da fornitori iscritti nell’elenco dei soggetti abilitati alla vendita di energia elettrica al dettaglio di cui al D.M. n. 164/2022, e individuati mediante procedure competitive che devono essere svolte da Acquirente unico S.p.A.

Nelle more delle gare, dal 1° luglio 2024, la maggior tutela opera come soluzione transitoria per la tutela dei clienti vulnerabili. Le aste non si sono ancora svolte.

Come evidenzia ARERA, le condizioni strutturali che il Legislatore ha delineato per il servizio di vulnerabilità sono molto diverse da quelle per il servizio a tutele graduali. In particolare, la norma prefigura un obiettivo di allineamento dei corrispettivi ai costi del servizio e un quadro di protezione dei clienti da interferenze con le strategie commerciali dei venditori. A titolo di esempio, diversamente dal servizio a tutele graduali in cui, trascorsi i circa tre anni di durata del servizio, i clienti vengono trasferiti automaticamente al mercato libero, i clienti potranno rimanere nel servizio di vulnerabilità senza soluzione di continuità. Inoltre, trattandosi di un servizio del tutto separato dal mercato, ciascun fornitore dovrà svolgere l’attività in maniera disgiunta rispetto a ogni altra attività, per un periodo di quattro anni. I fornitori non potranno utilizzare il canale di commercializzazione del servizio di vulnerabilità per la promozione di offerte sul libero mercato e non potranno avvalersi di dati o di informazioni acquisite nello svolgimento del servizio di vulnerabilità medesimo per attività diverse da quella di commercializzazione del predetto servizio; non potranno neppure adoperare lo stesso marchio con cui svolgono attività al di fuori del servizio stesso. Giova segnalare però che, al tempo stesso, i consumatori che usufruiranno di questo servizio non godranno di una analoga tutela dall’attività commerciale degli altri fornitori del mercato libero.

Dopo il 1° luglio 2024, il cliente vulnerabile può entrare o uscire su richiesta dal servizio di maggior tutela in qualunque momento possedendo o avendo maturato i requisiti richiesti: per esempio, un cliente del libero mercato che raggiunga l’età di 75 anni potrà accedere al servizio di maggior tutela e nessun tipo di passaggio da un venditore all’altro comporta l’interruzione della fornitura e ogni cliente, vulnerabile o meno, può scegliere in ogni momento di entrare nel mercato libero.

Quanto invece al servizio a tutele graduali, potrà rientrare solo il cliente non vulnerabile che rimanga sprovvisto del venditore, come disposto dall’articolo 1, comma 60, della legge n. 124/17.

Sempre con riferimento ai clienti vulnerabili e alle procedure concorsuali per l’assegnazione del servizio di vulnerabilità, ARERA ha evidenziato che la disciplina contenuta nel D.L. n. 181/2023 e modificata in sede di conversione in legge del provvedimento (L. n. 11/2024) richiede tempi più lunghi che dovranno essere messi a disposizione dei partecipanti le procedure concorsuali.

 


Articolo 25
(Disposizioni in materia di trasporto pubblico)

 

 

L’articolo 25, modificato dalla Camera, apporta modifiche al decreto-legge n. 135 del 2018, al fine di sanzionare la mancata iscrizione al registro informatico delle imprese esercenti l’attività di trasporto pubblico non di linea da parte di chi svolge il servizio di taxi o di noleggio con conducente (NCC), nonché in caso di mancata presentazione dell’istanza di aggiornamento dei dati ivi inseriti, e di conferire ai Comuni competenze in materia di accesso al registro e di verifica delle eventuali incongruenze dei dati contenuti nello stesso. La disposizione riforma, altresì, l’apparato sanzionatorio definito agli articoli 85 e 86 del Codice della strada che disciplinano il servizio di taxi e NCC.

 

L’articolo 25, composto da 4 commi, modifica l’apparato sanzionatorio previsto per le violazioni delle norme in materia di trasporto pubblico non di linea.

In particolare, il comma 1 modifica l’art. 10-bis, comma 3, del decreto-legge n. 135 del 2018 (recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione) che disciplina l’istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) di un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi e di quelle autorizzate allo svolgimento del servizio di noleggio con conducente (NCC) entrambi effettuati con autovettura, motocarrozzetta e natante.

Al fine di rendere effettivo l’obbligo di iscrizione al suddetto registro per i conducenti di taxi o gli esercenti il servizio di NCC, la novella prevede per il caso di mancata iscrizione l’applicazione della sanzione di cui all’art. 11-bis, comma 1, lettera b), della legge n. 21 del 1992, ossia, della sospensione per due mesi dal ruolo di cui all’art. 6 della stessa legge.

 

In particolare, l’art. 6 della legge n. 21 del 1992 disciplina il ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea istituito presso la camera di commercio. L’iscrizione al ruolo, a norma del comma 5 del medesimo articolo, è requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e per il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.

Si ricorda inoltre che, a proposito dell’operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle licenze taxi e NCC e sulla conseguente regolazione del rilascio delle licenze, sono intervenute le sentenze della Corte costituzionale nn. 36 e 137 del 2024.

In particolare, con quest’ultima sentenza la Corte ha dichiarato illegittimo il divieto di rilascio di nuove licenze in mancanza dell’adozione del decreto istitutivo dell’archivio. Tale divieto si è risolto per oltre 5 anni in una “barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, compromettendo gravemente la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea. La sentenza specifica, inoltre, che i servizi di autotrasporto non di linea concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, di cui all’articolo 16 della Costituzione: la notoria carenza dell’offerta di tali servizi, compromette “non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese”.

 

Nel corso dell’esame alla Camera, la norma è stata modificata al fine di sanzionare altresì l’omessa presentazione dell’istanza di aggiornamento dei dati conferiti nel suddetto registro. Nello specifico, in questa ipotesi è prevista l’applicazione della sanzione di cui all’articolo 11-bis, comma 1, lettera a), della legge n. 21 del 1995 che dispone la sospensione di un mese dal ruolo di cui all’articolo 6 della medesima legge.

La disposizione, inoltre, al fine di assicurare la completezza e l’esaustività dei dati contenuti nel registro attribuisce ai Comuni determinate competenze. In particolare ai Comuni è garantito l’accesso al registro allo scopo di:

-       verificare le eventuali incongruenze dei dati ivi contenuti;

-       effettuare, in fase di prima applicazione del registro, la ricognizione dei dati quantitativi relativi al numero delle licenze e delle autorizzazioni per ciascun comune;

-       adottare i provvedimenti di competenza per i quali si renda necessario l’accesso ai dati contenuti nel registro.

I Comuni sono tenuti comunicare al MIT i dati sulla ricognizione del numero delle licenze per taxi e delle autorizzazioni per NCC per comune nonché gli eventuali provvedimenti di revoca o sospensione dei titoli abilitativi per il trasporto pubblico non di linea adottati.

 

Durante l’esame alla Camera, la facoltà di accedere al suddetto registro al fine di consultare i dati ivi contenuti è stata estesa alle regioni, province e città metropolitane, ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della legge n. 21 del 1992.

 

L’articolo 4, comma 2, della legge n. 21 del 1992 stabilisce che le regioni, definiti i criteri cui devono attenersi i comuni nel redigere i regolamenti sull’esercizio degli autoservizi pubblici non di linea, delegano agli enti locali l’esercizio delle funzioni amministrative inerenti al trasporto di persone mediante autoservizi pubblici, al fine anche di realizzare una visione integrata del trasporto pubblico non di linea con gli altri modi di trasporto, nel quadro della programmazione economica e territoriale.

 

Il comma 2 si compone di due lettere a) e b) e reca modifiche agli articoli 85 e 86 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della strada).

Come precisato nella Relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022, tale norma mira a razionalizzare ed equiparare le sanzioni nei confronti dei trasgressori delle norme di cui alla legge quadro n. 21 del 1992, in materia di trasporto pubblico non di linea, che si tratti sia di taxi sia di NCC, distinguendo le fattispecie di:

·      abusivismo in assenza di titolo abilitativo;

·      le violazioni sostanziali della citata legge;

·      le violazioni lievi.

 

In particolare:

·    La lettera a) novella l’art. 85 sostituendone i commi 4 e 4-bis e introducendo un nuovo comma 4-ter.

1)   Il nuovo testo del comma 4, come precisato nella Relazione illustrativa, riguarda i casi di esercizio abusivo dell’attività di NCC e tende a inasprire le sanzioni rispetto alla disciplina previgente e ad allinearle a quelle previste dall’art. 86 per l’esercizio abusivo dell’attività di taxi.

Nello specifico la norma applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1812 a euro 7249 a chiunque adibisce a NCC un veicolo non destinato a tale uso ovvero in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 8 della legge n. 21 del 1992.

 

Nel caso si tratti di autobus immatricolati a NCC la sanzione va da euro 1998 a euro 7993.

 

Al trasgressore è applicata altresì la sanzione della confisca del veicolo e della sospensione della patente di guida da 4 a 12 mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II.

 

La disposizione prevede inoltre che, ove lo stesso soggetto, in un periodo di tre anni, sia incorso per almeno due volte in tale violazione, all’ultima di esse consegue la sanzione accessoria della revoca della patente.

 

In chiusura, la norma, estende le suddette sanzioni anche a coloro ai quali sia stata sospesa o revocata l’autorizzazione

 

2)     Il nuovo testo del comma 4-bis, fa invece riferimento alle violazioni sostanziali della legge n. 21 del 1992. La disposizione individua le sanzioni amministrative da applicare al titolare dell’autorizzazione allo svolgimento del servizio di NCC nelle ipotesi di utilizzo del veicolo in violazione degli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992, anche nelle ipotesi di reiterazione degli illeciti.

 

Gli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992 trattano degli obblighi gravanti sui titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.

In particolare, il nuovo comma dispone che:

a)      alla prima violazione, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché la sospensione della carta di circolazione per un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I sezione II;

b)     alla seconda violazione, commessa nell’arco di 5 anni, registrata sul medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1010 e quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi;

c)      alla terza violazione, commessa nell’arco di 5 anni, registrata sul medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1344 e della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi;

d)     alle violazioni successive alla terza, commesse nell’arco di 5 anni, relative al medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 528 a euro 2020 e della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi.

 

Infine, la lettera a) introduce il nuovo comma 4-ter che fa riferimento alle violazioni cosiddette lievi della disciplina sul trasporto non di linea.

In esso si stabilisce che, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 4 e 4-bis, l’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 dell’articolo 85 del Codice della strada destinato a NCC in violazione delle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

Ai sensi dell’art. 85, comma 2, possono essere destinati a effettuare servizio di NCC per trasporto di persone: i motocicli con o senza sidecar; i tricicli; i velocipedi; i quadricicli; le autovetture; gli autobus; gli autoveicoli per trasporto promiscuo o per trasporti specifici di persone; i veicoli a trazione animale.

 

La lettera b) sostituisce il comma 3 dell’art. 86 del Codice della strada e introduce un nuovo comma 3-bis.

Il nuovo testo del comma 3, che fa riferimento alle violazioni sostanziali della legge n. 21 del 1992, individua le sanzioni applicabili per l’inosservanza, anche reiterata, degli articoli 2, 12 commi 1 e 2, e 13, comma 1, commessa da parte di chi guida un taxi, anche se munito di licenza.

 

I suddetti articoli definiscono alcuni degli obblighi degli esercenti il servizio di taxi stabilendo, in particolare, che all’interno delle aree comunali o comprensoriali la prestazione è obbligatoria, che lo stazionamento avviene in luogo pubblico, che le autovetture sono munite di tassametro omologato dal quale è deducibile il corrispettivo da pagare, che eventuali supplementi tariffari devono essere portati a conoscenza dell’utenza mediante avvisi chiaramente leggibili posti sul cruscotto dell’autovettura. Infine, si dispone che il servizio di taxi si effettua dietro pagamento di un corrispettivo calcolato dal tassametro omologato sulla base di tariffe determinate dalle competenti autorità amministrative.

 

Nello specifico la norma stabilisce che si applicano al titolare della licenza:

a)      alla prima violazione le sanzioni del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

b)     alla seconda violazione, commessa nell’arco di 5 anni, le sanzioni del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1010, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi;

c)      alla terza violazione, commessa nell’arco di 5 anni, le sanzioni del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1344, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi;

d)     alle violazioni successive alla terza, commesse nell’arco di 5 anni, le sanzioni del pagamento di una somma da euro 884 a euro 2020, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi.

 

Il nuovo comma 3-bis dell’art. 86 fa riferimento alle violazioni lievi, che consistono nell’inosservanza delle condizioni indicate nella licenza per lo svolgimento del servizio taxi da parte del titolare della stessa. In tali ipotesi è prevista la sanzione del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

Il comma 3 dell’articolo 25 qui in commento introduce norme di carattere transitorio, prevedendo che le disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo (ossia quelle che modificano gli articoli 85 e 86 del Codice della strada) entrano in vigore decorsi sei mesi dalla pubblicazione del decreto adottato in attuazione di quanto previsto dall’art. 11 della legge n. 21 del 1992.

Si tratta, in particolare, del decreto con cui il MIT individua le specifiche del foglio di servizio in formato elettronico (targa del veicolo, nome del conducente, orario di inizio servizio, ecc.) che il conducente che svolge il servizio di NCC ha l’obbligo di compilare e tenere.

 

Infine, il comma 4 dell’articolo 25, introdotto dalla Camera, modifica l’articolo 14, comma 5, del d.lgs. n. 422 del 1997 relativo alla programmazione del trasporto locale prevedendo che gli enti locali, al fine di favorire il decongestionamento del traffico e il disinquinamento ambientale, possono organizzare la rete dei trasporti di linea oltre che nelle aree urbane e suburbane, anche in quelle extraurbane a domanda debole, diversificando il servizio con l’utilizzazione di veicoli della categoria M1 di cui all’articolo 47 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della Strada).


 

Decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 25 dell’A.S. 1318

Art. 10-bis
(Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea)

Art. 10-bis
(idem)

Commi 1 e 2   Omissis

Identici

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso il Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate le specifiche tecniche di attuazione e le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi. Agli oneri derivanti dalle previsioni del presente comma, connessi all’implementazione e all’adeguamento dei sistemi informatici del Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pari ad euro un milione per l’annualità 2019, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143. Alla gestione dell’archivio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso il Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate le specifiche tecniche di attuazione e le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi. Agli oneri derivanti dalle previsioni del presente comma, connessi all’implementazione e all’adeguamento dei sistemi informatici del Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pari ad euro un milione per l’annualità 2019, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143. Alla gestione dell’archivio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. In caso di mancata iscrizione nel registro di cui al presente comma, ai soggetti di cui al primo periodo si applicano la sanzione di cui all’articolo 11-bis, comma 1, lettera b), della legge 15 gennaio 1992, n. 21, e in caso di omessa presentazione dell’istanza di aggiornamento dei dati inseriti nel medesimo registro si applica la sanzione di cui all’articolo 11-bis, comma 1, lettera a), della medesima legge n. 21 del 1992. I comuni accedono al registro al fine di verificare eventuali incongruenze dei dati ivi contenuti e procedono, in fase di prima applicazione del registro, alla ricognizione dei dati quantitativi relativi al numero delle licenze e delle autorizzazioni per ciascun comune, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all’esito della ricognizione effettuata. I comuni accedono al registro anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza per i quali si renda necessario l’accesso ai dati contenuti nel registro e comunicano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i dati relativi agli eventuali provvedimenti di revoca o sospensione dei titoli abilitativi per il trasporto pubblico non di linea adottati. Ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della citata legge n. 21 del 1992, l'accesso al registro, al fine di consultare i dati in esso contenuti, è altresì consentito alle regioni, alle province e alle città metropolitane

Commi da 4 a 9    Omissis

Identici


 


Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285

 

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 25 dell’A.S. 1318

 

Art. 85
(Servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone)

Art. 85
(idem)

 

Commi da 1 a 3   Omissis

Identici

 

4. Chiunque adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero, pur essendo munito di autorizzazione, guida un’autovettura adibita al servizio di noleggio con conducente senza ottemperare alle norme in vigore, ovvero alle condizioni di cui all’autorizzazione, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 173 ad euro 694 e, se si tratta di autobus, da euro 430 ad euro 1.731. La violazione medesima importa la sanzione amministrativa della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.

4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 11-bis della legge 15 gennaio 1992, n. 21, chiunque adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 8 della legge n. 21 del 1992, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.812 a euro 7.249 e, se si tratta di autobus immatricolati a noleggio con conducente, da euro 1.998 a euro 7.993. La violazione medesima importa le sanzioni amministrative accessorie della confisca del veicolo e della sospensione della patente di guida da quattro a dodici mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II, del presente codice. Quando lo stesso soggetto è incorso, in un periodo di tre anni, nella violazione di cui al presente comma per almeno due volte, all’ultima di esse consegue la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Le stesse sanzioni si applicano a coloro ai quali è stata sospesa o revocata l’autorizzazione.

 

4-bis. Chiunque, pur essendo munito di autorizzazione, guida un veicolo di cui al comma 2 senza ottemperare alle norme in vigore ovvero alle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 ad euro 338. Dalla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione e dell’autorizzazione, ai sensi delle norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI.

4-bis. L’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 destinato a noleggio con conducente in violazione di quante disposto dagli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992, è soggetto alle seguenti sanzioni:

a) alla prima violazione, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione Il;

b) alla seconda violazione commessa nell’arco di cinque anni relativa al medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1.010, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da uno a due mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

c) alla terza violazione commessa nell’arco di cinque anni relativa al medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1.344, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

d) alle violazioni successive alla terza commesse nell’arco di cinque anni relative al medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 528 a euro 2.020, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II.

 

 

4-ter. Al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 4 e 4-bis, l’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 destinato a noleggio con conducente in violazione delle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

Art. 86
(Servizio di piazza con autovetture, motocicli e velocipedi con conducente o taxi)

Art. 86
(idem)

Commi 1 e 2    Omissis

Identici

 

3. Chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi senza ottemperare alle norme in vigore ovvero alle condizioni di cui alla licenza è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 ad euro 338.

3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 11-bis della legge 15 gennaio 1992, n. 21, chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi in violazione di quanto disposto da alcuna delle disposizioni degli articoli 2, 12, commi 1 e 2, e 13, comma 1, della legge 15 gennaio 1992, n. 21, è soggetto alle seguenti sanzioni:

a) alla prima violazione, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 178 a curo 672 nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

b) alla seconda violazione commessa nell’arco di cinque anni, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1.010, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da uno a due mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

c) alla terza violazione commessa nell’arco di cinque anni, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1.344, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi, secondo le norme del titolo VI, del capo I, sezione II;

d) alle violazioni successive alla terza commesse nell’arco di cinque anni, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 884 a euro 2.020, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II.

 

 

3-bis. Al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 2 e 3, chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi senza ottemperare alle condizioni di cui alla licenza medesima è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 


 


Decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 25 dell’A.S. 1318

Art. 14
(Programmazione dei trasporti locali)

Art. 14
(idem)

Commi da 1 a 3   Omissis

Identici

4. Per l’esercizio dei servizi pubblici di trasporto locale in territori a domanda debole, al fine di garantire comunque il soddisfacimento delle esigenze di mobilità nei territori stessi, le regioni, sentiti gli enti locali interessati e le associazioni nazionali di categoria del settore del trasporto di persone, possono individuare modalità particolari di espletamento dei servizi di linea, da affidare, attraverso procedure concorsuali, alle imprese che hanno i requisiti per esercitare autoservizi pubblici non di linea o servizi di trasporto di persone su strada. Nei comuni montani o nei territori in cui non vi è offerta dei servizi predetti possono essere utilizzati veicoli adibiti ad uso proprio, fermo restando l’obbligo del possesso dei requisiti professionali per l’esercizio del trasporto pubblico di persone.

Identico

5. Gli enti locali, al fine del decongestionamento del traffico e del disinquinamento ambientale, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, e dell’articolo 18, comma 3-bis, possono organizzare la rete dei trasporti di linea nelle aree urbane e suburbane diversificando il servizio con l’utilizzazione di veicoli della categoria M1 di cui all’articolo 47 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Detti veicoli devono risultare nella disponibilità di soggetti aventi i requisiti per esercitare autoservizi pubblici non di linea o servizi di trasporto di persone su strada. L’espletamento di tali servizi non costituisce titolo per il rilascio di licenze o autorizzazioni. Gli enti locali fissano le modalità del servizio e le relative tariffe e, nella fase di prima attuazione, affidano per il primo anno in via prioritaria detti servizi, sempre attraverso procedure concorsuali, ai soggetti che esercitano autoservizi pubblici non di linea. I criteri tecnici e le modalità per la utilizzazione dei sopraddetti veicoli sono stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione.

5. Gli enti locali, al fine del decongestionamento del traffico e del disinquinamento ambientale, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, e dell’articolo 18, comma 3-bis, possono organizzare la rete dei trasporti di linea nelle aree urbane e suburbane, nonché nelle aree extraurbane a domanda debole ai sensi del comma 4, diversificando il servizio con l’utilizzazione di veicoli della categoria M1 di cui all’articolo 47 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Detti veicoli devono risultare nella disponibilità di soggetti aventi i requisiti per esercitare autoservizi pubblici non di linea o servizi di trasporto di persone su strada. L’espletamento di tali servizi non costituisce titolo per il rilascio di licenze o autorizzazioni. Gli enti locali fissano le modalità del servizio e le relative tariffe e, nella fase di prima attuazione, affidano per il primo anno in via prioritaria detti servizi, sempre attraverso procedure concorsuali, ai soggetti che esercitano autoservizi pubblici non di linea. I criteri tecnici e le modalità per la utilizzazione dei sopraddetti veicoli sono stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione.

Commi da 6 a 8   Omissis

Identici

 

 


Articolo 26
(Delega al Governo in materia di strutture amovibili
funzionali all’attività dei pubblici esercizi)

 

 

L’articolo 26, modificato dalla Camera, dispone una delega per il riordino delle norme sulla concessione di spazi pubblici di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili funzionali all’attività esercitata (c.d. dehors) (comma 1).

Il decreto legislativo deve seguire principi di ragionevolezza e proporzionalità, senza nuovi oneri finanziari, rispettando i principi e criteri direttivi dettati dal comma 2, modificato alla Camera dei deputati, che prevedono, tra l’altro, la non applicazione dei regimi autorizzatori previsti dal Codice dei beni culturali e la definizione di beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale.

Il decreto legislativo è adottato tramite un procedimento di co-proposta e concerto interministeriale, previo parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti (comma 3).

Autorizzazioni e concessioni temporanee attualmente in vigore per l’uso del suolo pubblico vengono poi prorogate fino all’entrata in vigore del decreto legislativo, e comunque non oltre il 31 dicembre 2025 (comma 4).

 

Nello specifico, l’articolo 26 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per il riordino e il coordinamento delle disposizioni concernenti la concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili (c.d. dehors) funzionali all’attività esercitata, previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42/2004), con specifico riferimento agli interventi soggetti ad autorizzazione, controllo e gestione dei beni soggetti a tutela e all’uso dei beni culturali interessati (comma 1).

 

Come meglio si dirà nel box di approfondimento che segue, la previsione in esame, riguardante i regimi concessori per l’installazione di c.d. dehors, insiste su una disciplina di rango primario composta da vari plessi normativi, sia di carattere generale e che di carattere speciale, col fine di armonizzarla e riordinarla, disponendo a tal fine una delega al Governo. In particolare:

·        nell’ambito della disciplina di carattere generale, vengono in rilievo le previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), del testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001), e della normativa di semplificazione dei procedimenti in materia di beni culturali e paesaggistici (D.L. n. 183/2014 e D.P.R. n. 31/2017);

·        per quel che la normativa di carattere speciale-derogatorio, si ricorda la legislazione emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, via via prorogata e ancora vigente, e in particolare: D.L. n. 34/2020, D.L. n. 137/2020, D.L. n. 41/2021, legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021), D.L. n. 228/2021, D.L. n. 21/2022, D.L. n. 144/2022, legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022), D.L. n. 198/2022, e, da ultimo, legge sulla concorrenza 2022 (L. n. 214/2023).

Inoltre la materia, in particolare quella relativa alle norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio sul rilascio delle autorizzazioni da parte delle soprintendenze (articoli 21, 106 e 146), e? stata regolata negli anni da direttive ministeriali, che, insieme a norme e prassi edilizie che spesso variano significativamente da un comune all’altro, non sempre sono state ritenute idonee a garantire certezza agli enti locali e agli esercenti.

A ciò si aggiunga quanto rilevato anche dalla giustizia amministrativa secondo cui lo stesso concetto di “dehorsnon ha ancora ricevuto una definizione da parte del legislatore statale, mentre a livello locale se ne fa spesso menzione in regolamenti comunali, ingenerando cosi? un disallineamento rispetto alla normativa generale nazionale vigente in materia. Come evidenziato dal Consiglio di Stato (sent. Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489), infatti, nel gergo ormai di uso comune, piuttosto che giuridico, le strutture a corredo di attività commerciali vengono denominate con l’espressione di derivazione francese “dehor” (letteralmente, che sta fuori), che, in contrapposizione a “dedans” (che sta dentro), finisce per individuare proprio quei manufatti di varia tipologia che vanno ad ampliare le superfici di somministrazione di alimenti e bevande di bar, ristoranti e simili.

Il termine è stato traslato dalla prassi per lo più nei regolamenti comunali, che spesso ne fanno menzione finanche nell’oggetto, con conseguenti disallineamenti rispetto alla normativa nazionale quadro di riferimento – in primis, rispetto al D.P.R. n. 380/2001 e al D.M. 2 marzo 2018.

L’utilizzo del termine “dehor” da parte del legislatore nazionale si riscontra per la prima volta nella sola normativa emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, di cui si dirà più avanti nel box. Tale normativa non reca peraltro una definizione di “dehor”.

Il riordino della normativa in materia di dehors incide sull’ordinamento giuridico soprattutto per quel che riguarda la gestione dello spazio pubblico e le attività commerciali, collocandosi in un contesto normativo che interseca aree disciplinate dal diritto amministrativo (soprattutto urbanistico-edilizio) e dalla normativa fiscale. Quanto al primo, in particolare, viene in rilievo la classificazione dei dehors dal punto di vista edilizio, come detto ancora non definita dal legislatore statale, con particolare riferimento alla loro distinzione tra strutture temporanee e permanenti, alla necessita? o meno, per la loro installazione, di un titolo abilitativo (permesso di costruire o altre forme di autorizzazione), nonché alla disciplina in materia di sicurezza, accessibilità e impatto visivo.

Si osserva in proposito che, nonostante all’interno della relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022 si usi il termine “dehors”, nel testo dell’articolo 26 qui in commento lo stesso non viene mai impiegato, né viene delegato al Governo il compito di tracciare una definizione normativa di tale concetto.

 

 

Con riferimento alle strutture utilizzate dagli imprenditori commerciali per ampliare la superficie del proprio esercizio, proponendo in questa sede una disamina del quadro normativo vigente, si rileva che il legislatore nazionale ha cercato di porre dei “palettitemporali all’installazione di tali strutture amovibili, il superamento dei quali diviene chiaro indizio di tendenziale non stagionalità della struttura. A questo proposito vengono in rilievo le seguenti previsioni normative:

 

• Il c.d. Testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001), all’articolo 6, comma 1, lett. e-bis) – inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3), del d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (c.d. d.lgs. “Scia 2”) e successivamente sostituito dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.L. n. 76/2020, convertito con L. n. 120/2020 – consente di realizzare senza titolo abilitativo, in regime di attività di edilizia libera, «le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale».

Il Consiglio di Stato (sent. Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489) ha evidenziato che dalla lettura della citata lett. e-bis) emergono due elementi connotanti le strutture in questione: uno funzionale, consistente cioè nella finalizzazione alle esigenze dell’attività, che devono tuttavia essere «contingenti e temporanee», intendendosi per tali quelle che, in senso obiettivo, assumono un carattere ontologicamente temporaneo, quanto alla loro durata, e contingente, quanto alla ragione che ne determina la realizzazione, e che in ogni caso (cioè quale che ne sia la “contingenza” determinante) non superano comunque i centottanta giorni (termine che comprende anche i tempi di allestimento e smontaggio, riducendosi in tal modo l’uso effettivo ad un periodo inferiore ai predetti centottanta giorni); l’altro strutturale, ovvero l’avvenuta realizzazione con materiali e modalità tali da consentirne la rapida rimozione una volta venuta meno l’esigenza funzionale (e quindi al più tardi nel termine di centottanta giorni dal giorno di avvio dell’istallazione, coincidente con quello di comunicazione all’amministrazione competente).

La lett. e-quinquies) del medesimo comma 1 consente di realizzare in edilizia libera anche «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici».

Il comma 1 del succitato articolo 6 fa comunque salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, disponendo il rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, il rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42/2004.

 

• Quanto alle disposizioni contenute appunto Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), si rammenta che l’articolo 52 del Codice dispone che i comuni, sentito il Soprintendente, individuino le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio (comma 1).

Lo stesso articolo, al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, dispone che i competenti uffici territoriali del Ministero, d’intesa con la regione e i comuni, adottino apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico (comma 1-ter).

L’articolo 21 del Codice prescrive, poi, che l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione (commi 4 e 5).

L’articolo 106 del Codice, in materia di uso dei beni culturali, prevede che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Ai sensi del comma 2-bis, per i beni che non siano in consegno al Ministero della cultura, la concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero, rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

L’articolo 146 del medesimo Codice assoggetta poi ad autorizzazione paesaggistica la realizzazione di interventi su un immobile o un’area tutelati dal punto di vista paesaggistico (ai sensi dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157 del Codice stesso). L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.

 

• Il D.P.R. n. 31/ 2017 – adottato in attuazione dell’articolo 146, comma 9 e dell’articolo 12, comma 2 del D.L. n. 183/2014 e ss. mod. e int. – ha individuato gli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata. Il D.P.R., alla voce “A.16” dell’allegato A, ha indicato, tra gli interventi “liberi”, l’occupazione temporanea anche di suolo pubblico o di uso pubblico «mediante installazione di strutture o di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie o di fondazione, per manifestazioni, spettacoli, eventi o per esposizioni e vendita di merci, per il solo periodo di svolgimento della manifestazione, comunque non superiore a 120 giorni nell’anno solare».

 

In tale quadro ordinamentale a regime, si è inserita la legislazione emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, che è stata via via prorogata ed è tutt’ora vigente. Sull’assunto che, fornendo maggiori spazi, si sarebbe potuto garantire il prescritto distanziamento sociale senza ulteriormente penalizzare gli operatori del settore già duramente colpiti dalle misure restrittive adottate, si è introdotta una deroga di portata assai più generale, tanto dal titolo edilizio che dall’autorizzazione paesaggistica, seppure in via eccezionale e temporanea.

L’articolo 181 del D.L. n. 34/2020 (L. n. 77/2020) (c.d. “decreto sostegni”), ha dunque previsto, ai commi 3 e 4, che ai soli fini di assicurare il rispetto delle misure di distanziamento connesse all’emergenza da Covid-19, e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1 –  i pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande – di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purché funzionali all’attività di somministrazione di alimenti e bevande, di cui all’articolo 5 della L. n. 287/1991, non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del Codice dei beni culturali. Si dispone inoltre che per la posa in opera di tali strutture amovibili è disapplicato il limite temporale di centottanta giorni di cui al già citato articolo 6, comma 1, lett. e-bis del D.P.R. n. 380/2001.

L’articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020 (L. n. 176/2020) ha riproposto, al comma 5, le previsioni di cui ai commi 3 e 4 citati, disponendo che esse trovassero applicazione fino al 31 marzo 2021 (si è trattato dunque di un differimento).

Il termine di applicazione del 31 marzo 2021 è stato successivamente portato al 31 dicembre 2021 dall’articolo 30, comma 1, lett. b) del D.L. n. 41/2021 (L. n. 69/2021) e poi più volte prorogato:

- fino al 31 marzo 2022, da parte dall’articolo 1, comma 706 della L. n. 234/2021 (legge di bilancio 2022);

- fino al 30 giugno 2022, dall’articolo 3-quinquies del D.L. n. 228/2021 (L. n. 15/2022);

- fino al 30 settembre 2022, dall’articolo 10-ter del D.L. n. 21/2022 (L. n. 51/2022);

- fino al 31 dicembre 2022, da parte dell’articolo 40 del D.L. n. 144/2022 (L. n. 175/2022);

- fino al 30 giugno 2023, dall’articolo 1, comma 815 della L. n. 197/2022 (legge di bilancio 2023);

- fino al 31 dicembre 2023, dall’articolo 1, comma 22-quinquies del D.L. n. 198/2022 (L. n. 14/2023);

- da ultimo, fino al 31 dicembre 2024, ad opera dell’articolo 11, comma 8 della legge n. 214/2023 (legge sulla concorrenza 2022).

 

La previsione di cui all’articolo 26 del disegno di legge qui in commento, al comma 4, dispone un’ulteriore proroga dei titoli ottenuti per l’installazione dei dehors ai sensi della predetta normativa emergenziale (in particolare ex articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020) fino all’entrata in vigore del decreto legislativo oggetto della delega prevista dallo stesso articolo 26, che deve essere esercitata entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. Tale proroga non può comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 2025.

 

Ancora in ottica emergenziale, il legislatore è intervenuto con l’articolo 181 del D.L. n. 34/2020 (L. n. 77/2020) disponendo, al comma 2, che, fino al 31 dicembre 2020, le domande di nuove concessioni per l’occupazione di suolo pubblico ovvero di ampliamento delle superfici già concesse fossero presentate in via telematica all’ufficio competente dell’ente locale, con allegata la sola planimetria, in deroga al D.P.R. n. 160/2010 e senza applicazione dell’imposta di bollo di cui al D.P.R. n. 642/1972.

Anche l’applicazione di tale previsione è stata differita al 31 marzo 2021 dall’articolo 9-ter, comma 4 del D.L. n. 137/2020, poi fino al 31 dicembre 2021 dall’articolo 30, comma 1, lett. b) del D.L. n. 41/2021 (L. n. 69/2021) e successivamente ulteriormente prorogata: fino al 31 marzo 2022 dall’articolo 1, comma 706 della L. n. 234/2021 (legge di bilancio 2021), indi al 30 giugno 2022 dall’articolo 3-quinquies del D.L. n. 228/2021 (L. n. 15/2022), e da ultimo al 30 settembre 2022, dall’articolo 10-ter del D.L. n. 21/2022 (L. n. 51/2022).

 

Infine, si segnala che, allo stato, è in corso di discussione presso la Commissione X della Camera dei deputati la proposta di legge recante “delega al Governo in materia di riordino delle norme relative alla concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili funzionali all’attività esercitata” (A.C. 1486), in merito alla quale si veda anche il dossier del Servizio Studi.

 

Il comma 2 dell’articolo 26, modificato alla Camera dei deputati, specifica che il decreto legislativo deve essere adottato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e secondo i princìpi di ragionevolezza a proporzionalità. Lo stesso comma 2 enuclea i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a)      ferma restando la disciplina in materia di occupazione di suolo pubblico e l’acquisizione del relativo titolo autorizzatorio – inciso inserito alla Camera dei deputati – si prevede la  liberalizzazione della procedura – escludendo l’applicazione delle autorizzazioni previste dal Codice dei beni culturali – per l’apposizione di dehors su spazi parti urbani di interesse artistico e storico (beni così individuati ai sensi dell’articolo 10, comma 4, lett. g) del Codice dei beni culturali). Tale liberalizzazione non si applica qualora i dehors insistano su spazi aperti urbani strettamente prospicienti i siti archeologici o altri “beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale”: in tal caso permangono i regimi autorizzatori previsti dal Codice, fatto salvo quanto indicato dai principi e criteri di cui alle lettere da c) a f) che seguono.
Le autorizzazioni da escludere sono quelle disciplinate delle seguenti previsioni del Codice dei beni culturali (per un approfondimento delle quali si rimanda al box di approfondimento):

§  articolo 21;

§  articolo 106, comma 2-bis;

§  articolo 146.

b)     Individuazione delle modalità di identificazione dei siti archeologici e dei suddetti “beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale” (in avanti anche “beni culturali di interesse eccezionale”).

Si segnala l’opportunità, in sede di redazione dei decreti legislativi attuativi della delega in commento, e con particolare riferimento al principio e criterio direttivo di cui alla lettera b), di coordinare quanto sarà ivi disposto in ordine alle modalità di individuazione dei siti archeologici e degli “altri beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale”, con quanto già oggi disposto dal Codice dei beni culturali, il quale prevede, all’articolo 104, che, per quanto riguarda i beni culturali immobili o mobili di proprietà di soggetti privati, che rivestano interesse particolarmente importante dal punto di vista artistico, storico, archeologico o etnoantropologico oppure a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose, essi possano essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali ove, con atto del Ministero e sentito il proprietario, siano stati dichiarati di “interesse eccezionale”.

Quanto ai “siti archeologici”, si segnala che il Codice dei beni culturali cita tra gli istituti e luoghi di cultura, cioè luoghi da destinare alla pubblica fruizione o comunque alla vista da parte del pubblico, le ”aree archeologiche” (siti caratterizzati dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica) e i “parchi archeologici” (ambiti territoriali caratterizzati da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzati come musei all’aperto). Ai sensi dell’articolo 20 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57 (regolamento di organizzazione del Ministero della cultura), le aree e i parchi archeologici sono uffici periferici del Ministero. Ad alcuni dei parchi archeologici è attribuita, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, autonomia speciale.

c)      Applicazione del c.d. silenzio-assenso per l’autorizzazione all’installazione di dehors in aree vicine a siti archeologici o ai suddetti beni culturali di interesse eccezionale.

d)     Definizione dei criteri per valutare la compatibilità con la tutela culturale e paesaggistica di quegli interventi di installazione dei dehors che rimangono sottoposti ad autorizzazione (quelli cioè che insistono su aree vicine a siti archeologici o ai suddetti beni culturali di interesse eccezionale). Tale compatibilità dovrà basarsi sui seguenti parametri:

§  mantenimento della fruibilità del patrimonio culturale;

§  progettazione integrata con lo spazio circostante;

§  decoro e omogeneità degli elementi di arredo;

§  chiare delimitazione e perimetrazione degli elementi e delle strutture amovibili.

e)      Apponibilità del diniego dell’autorizzazione all’installazione dei dehors solo ove non si possano dettare prescrizioni di armonizzazione.

f)      Semplificazione delle procedure amministrative per aree vicine a siti archeologici o beni culturali di interesse eccezionale, anche prescindendo da regimi autorizzatori disciplinati da accordi, regolamenti o intese in materia di occupazione del suolo pubblico applicabili a livello territoriale;

g)     Previsione di procedure edilizie omogenee e semplificate su tutto il territorio nazionale e, secondo quanto inserito alla Camera dei deputati, riduzione degli adempimenti;

h)     Definizione di un regime sanzionatorio adeguato per le violazioni.

i)       Applicabilità delle disposizioni attuative dei suddetti principi e criteri direttivi anche ai dehors installati in virtù dei regimi autorizzatori transitori finora vigenti (v. box di approfondimento), con apposita istanza da presentarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo.

l)        Definizione di criteri uniformi per i comuni al fine di garantire – nel caso di occupazione di marciapiedi da parte dei dehors – il passaggio di pedoni e persone con mobilità ridotta e, secondo quanto inserito alla Camera dei deputati, garantire sempre il passaggio dei mezzi di soccorso.

 

Ai sensi del comma 3, la delega deve essere esercitata:

• su proposta del Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro della cultura;

• di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro della giustizia, con il Ministro per la pubblica amministrazione, con il Ministro del turismo e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

• previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che è reso nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione dello schema del decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere.

Lo schema del decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

 

Ai sensi del comma 4, è disposta un’ulteriore proroga dei titoli ottenuti per l’installazione di dehors ai sensi della normativa emergenziale (in particolare ex articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020 – v. box di approfondimento) fino all’entrata in vigore del decreto legislativo oggetto della delega prevista dallo stesso articolo 26. La delega deve essere esercitata entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, ma tale e proroga non può comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 2025.


Articolo 27
(Modifiche agli articoli 221-bis e 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di sistemi autonomi di gestione degli imballaggi
e dei rifiuti di imballaggio nonché di tariffa
per la gestione dei rifiuti urbani)

 

 

L’articolo 27, introdotto durante l’esame alla Camera, reca modifiche al Codice dell’ambiente al fine di:

§  precisare che è sempre possibile costituire sistemi autonomi per il riciclo e il recupero dei rifiuti di imballaggi che siano relativi a più filiere (lett. a));

§  modificare, al fine di precisarne e ampliarne la portata, la disposizione che prevede l’esclusione, dalla corresponsione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, delle utenze non domestiche che hanno scelto di conferire al di fuori del servizio pubblico i rifiuti simili agli urbani (lett. b)).

 

La lettera a) integra la disposizione recata dall’art. 221-bis del Codice dell’ambiente, che disciplina la costituzione di sistemi autonomi per il riciclo e il recupero dei rifiuti di imballaggio.

L’integrazione in esame è volta a precisare che il progetto relativo alla costituzione di un nuovo sistema autonomo (che deve essere sottoposto per l’approvazione al Ministero dell’ambiente) può riguardare imballaggi relativi a una o più filiere, cioè, in altre parole, è volto a precisare che è sempre possibile costituire sistemi autonomi cd. multifiliera.

 

Si fa notare che nelle sue segnalazioni per la legge sulla concorrenza 2023, l’AGCM ha sollecitato modifiche al Codice dell’ambiente, proprio per esplicitare la possibilità di costituire sistemi autonomi multifiliera per la gestione degli imballaggi quando diventano rifiuti.

Si fa altresì notare che, come evidenziato nel parere dell’AGCM del 15 luglio 2022, nella disciplina dei sistemi autonomi recata dagli articoli 221 e 221-bis del Codice “non vi è nessuna previsione che faccia riferimento alla necessità che ogni sistema autonomo si occupi esclusivamente di un materiale di imballaggio”. Alla luce di tale parere, il Ministero dell’ambiente ha autorizzato il sistema autonomo Erion (v. decreto 547/2022) alla gestione delle filiere degli imballaggi provenienti dal canale industriale/commerciale e dal canale domestico, in carta, in plastica e in legno.

 

La lettera b) modifica l’articolo 238 del Codice, che disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.

Più precisamente, la lettera in esame apporta una serie di modifiche al comma 10 di tale articolo, che prevede l’esclusione delle utenze non domestiche (UND) che hanno scelto di conferire al di fuori del servizio pubblico i rifiuti simili agli urbani - e che abbiano dimostrato “di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” - dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti a soggetti privati.

Le modifiche in esame – come evidenziate anche nel testo a fronte riportato nel seguito – sono volte a:

§  precisare che il conferimento in questione può avvenire in tutto o in parte;

§  estendere l’ambito di applicazione della norma, al fine di riferirla non solo al recupero ma anche al riciclo.

 

Art. 238, comma 10, del d.lgs. 152/2006

Testo vigente

Nuovo testo

Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), numero 2, che li conferiscono

Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all’articolo 183, comma 1, lettera b-ter), numero 2, che li conferiscono, in tutto o in parte,

al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al

al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al riciclo o

recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di

recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di riciclo o

recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a due anni.

recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato per un periodo non inferiore a due anni.

 

Nelle succitate segnalazioni dell’AGCM viene ricordato che «in un parere rilasciato nel 2022 (AS 1858), l’Autorità ha contestato la posizione di un Comune che riteneva di applicare la richiamata novella, nel senso che le UND possono esercitare l’opzione di conferire al di fuori del servizio pubblico i rifiuti simili agli urbani che producono con riferimento all’insieme dei rifiuti simili prodotti e non anche con riguardo a loro singole frazioni. L’Autorità non ha ritenuto condivisibile la posizione espressa dal Comune perché idonea a privare di effettività la facoltà, riconosciuta alle UND, di conferire i propri rifiuti “urbani” al di fuori del servizio pubblico. Infatti, tutte le volte in cui nel territorio in cui operano le UND non fossero attivi soggetti industriali ai quali conferire tutte le frazioni di rifiuto simile all’urbano prodotto, esse sarebbero, di fatto, costrette ad aderire al servizio pubblico, pur in presenza di operatori privati potenzialmente più efficienti per il trattamento di singole tipologie di rifiuto, assicurando, per contro, al gestore del servizio di igiene urbana un’ingiustificata estensione della propria privativa. Anche l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA) ha espressamente previsto, nel “Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani”, la possibilità per le UND di conferire “in tutto o in parte” i propri rifiuti urbani al di fuori del servizio pubblico, al fine di ottenere una riduzione o un’esenzione della tariffa (cfr. Deliberazione ARERA del 18 gennaio 2022, recante “Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani”)».

Si fa inoltre notare che nel citato AS 1858, viene richiamata la circolare n. 37259 del 12 aprile 2021 dell’allora Ministero della transizione ecologica (oggi Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica) ove si sottolinea che la riduzione della tariffa rifiuti “deve essere riferita a qualunque processo di recupero, ricomprendendo anche il riciclo, al quale i rifiuti sono avviati”.

 

 

 

 


Capo III – Disposizioni in materia di start-up e di attività di impresa

 

 

Articolo 28
(Modifiche alla definizione di start-up innovativa)

 

 

L’articolo 28 – modificato ed integrato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputatiinterviene sulla disciplina della start-up innovativa dettata dal cd. Start-up Act. In particolare, il comma 1 aggiunge ulteriori requisiti qualificanti il concetto di start-up innovativa, introducendo il requisito secondo cui la start-up innovativa deve essere una micro, piccola o media impresa (MPMI) e specificando, nell’ambito del requisito secondo cui la start-up innovativa debba avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico, che la stessa non deve svolgere attività prevalente di agenzia e consulenza.

Il comma 2:

·        introduce dei requisiti specifici, essenzialmente provanti la dinamicità e l’evoluzione dell’impresa, ai fini della permanenza della start-up innovativa nella sezione speciale del registro delle imprese dopo la conclusione del terzo anno, fino ai cinque complessivi previsti;

·        consente di estendere il termine dei cinque anni complessivi per la permanenza della start-up innovativa nella sezione speciale del registro delle imprese per un periodo di due anni, sino a un massimo di quattro anni, per il passaggio alla fase di “scale-up e in presenza di requisiti specifici, essenzialmente ascrivibili allo sviluppo dell’impresa;

·        mantiene fermo, nei casi sopra commentati, quanto disposto in materia di detrazioni fiscali previste a favore degli investimenti in start-up innovative.

 

Il Capo III del disegno di legge in esame reca dagli articoli da 28 a 33 – modificati e integrati nel corso dell’esame alla Camera dei deputati – una serie di norme di riforma della disciplina in materia di start-up innovative e incubatori certificati intervenendo, in primo luogo, sull’articolo 25 del decreto-legge n. 179/2012 (c.d. Start-up Act)[10], che reca la definizione di start-up innovativa e di incubatore certificato.

Tali definizioni vengono aggiornate (articoli 28-30) e viene modificato il regime di incentivi in materia di start-up e incubatori certificati (articoli 31-33).

Ai sensi della relazione illustrativa di accompagnamento all’A.C. 2022, la riforma dà attuazione agli obiettivi previsti dalla missione 1, componente 2 del PNRR, che prevedono al punto M1C2-11, nell’ambito della legge annuale sulla concorrenza, il riesame e l’aggiornamento della legislazione in materia di start-up, PMI innovative e capitale di rischio, con lo scopo di razionalizzare la legislazione, rivedendo la definizione di start-up e promuovendo gli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali.

 

 

Con il D.L. n. 179/2012 (legge n. 221/2012), il legislatore ha introdotto nell’ordinamento un quadro normativo di sostegno alla nascita ed alla crescita di nuove imprese innovative (c.d. start-up innovative) con l’esplicito obiettivo di favorire lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile.

Le misure consistono essenzialmente in semplificazioni alla costituzione di tali società, dunque in deroghe al diritto societario, nella riduzione degli oneri per l’avvio, in agevolazioni fiscali e di sostegno al lavoro (assunzioni di personale) e agevolazioni fiscali agli investimenti nel capitale di rischio delle start-up innovative.

In questo quadro, il legislatore, con il D.L. n. 179/2012, ha altresì introdotto un sostegno alle società di capitali – incubatori di start-up innovative – così definendo le società che forniscono attività di sostegno all’avvio e allo sviluppo di imprese innovative mediante l’offerta di servizi di incubazione fisica (come strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca).

In seguito, il legislatore è intervenuto non solo implementando le misure a sostegno delle start-up innovative introdotte nel 2012, ma anche introducendo una disciplina di sostegno alle PMI innovative “più mature”, non iscritte al registro speciale delle start-up innovative (D.L. n. 3/2015 e ss. mod. e int.).

La definizione di start-up innovativa è contenuta nell’articolo 25, comma 2, del D.L. n. 179/2012 e per essa, integrata dalle modifiche che qui si propongono, si rimanda a quanto descritto nel testo della scheda di lettura.

Per quanto riguarda gli incubatori certificati, la disciplina dettata dall’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 viene modificata dal disegno di legge qui in esame (v. infra schede relative agli articoli 30 e 32).

In questa sede si ricorda che l’articolo 25, comma, 5 del D.L. n. 179/2012 definisce incubatore certificato di start-up innovative una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente fiscalmente in Italia (ex art. 73 TUIR- D.P.R. n. 917/1986) che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a. dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b. dispone di attrezzature adeguate all’attività delle startup innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c. è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d. ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e. ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative oppure nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative.

 

Per ulteriori approfondimenti in materia di start-up innovative si rimanda all’apposita pagina del sito istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy.

 

L’articolo 28, al comma 1, modifica l’articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179/2012 (L. 221/2012), introducendo una serie di ulteriori requisiti necessari alla definizione di start-up innovativa.

Nello specifico, il comma 1, alla lettera a), introduce il requisito secondo cui la start-up innovativa deve essere una micro, piccola o media impresa (MPMI), come definita dalla raccomandazione 2003/361/CE (nuova lettera a-bis) nel comma 2 dell’articolo 25).

 

L’articolo 2 della raccomandazione 2003/361/CE specifica le soglie finanziarie che definiscono le categorie di imprese, prevedendo che la categoria delle micro imprese, delle piccole imprese, e delle medie imprese (PMI) sia costituita da imprese che:

§  occupino meno di 250 persone;

§  il cui fatturato annuo non superi i 50 milioni di euro

§  oppure,

§  il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.

§  All’interno della categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che:

§  occupi meno di 50 persone;

§  realizzi un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro.

§  Infine, si definisce microimpresa un’impresa che:

§  occupi meno di 10 persone;

§  realizzi un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.

 

Il medesimo comma 1, alla lettera a-bis), inserita nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, interviene poi sul requisito che prescrive che l’impresa, per essere qualificata start-up innovativa, debba avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. L’intervento è finalizzato a specificare che la stessa non deve svolgere attività prevalente di agenzia e consulenza (modifica alla lett. f) del comma 2 dell’articolo 25).

 

Nel corso dell’esame in prima lettura presso la Camera, sono state soppresse le previsioni iniziali dell’articolo 28 qui in commento (contenute nelle lett. b) e c) originarie del comma 1), volte ad introdurre nella definizione di start-up innovativa:

§  il requisito secondo cui, entro il secondo anno dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, la start-up deve disporre di un capitale sociale pari ad almeno 20.000 euro ed impieghi almeno un dipendente;

§  la previsione per cui le privative di cui la start-up innovativa è titolare non debbano essere solo afferenti all’attività della stessa, ma anche da questa utilizzate.

§  In loro luogo, sono state inserite le disposizioni che di seguito si commentano.

 

Il comma 2, inserito nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, integra l’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 con l’aggiunta di ulteriori tre commi, da 2-bis a 2-quater.

Il nuovo comma 2-bis dell’articolo 25 dispone che la permanenza della start-up innovativa nel “registro di cui al comma 8” dell’articolo 25 dopo la conclusione del terzo anno, è consentita sino a complessivi cinque anni dalla data di iscrizione, in presenza di almeno uno dei seguenti requisiti:

a)      Incremento dal 15% al 25% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo.

Si rammenta che, per essere qualifica start-up innovativa, le spese in ricerca e sviluppo dell’impresa devono essere pari o superiori al 15% del valore maggiore tra fatturato (valore totale della produzione) e costo (cfr. n. 1, lett. h) del comma 2 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012).

b)     Stipula di almeno un contratto di sperimentazione con una pubblica amministrazione ai sensi della disciplina della procedura negoziata senza gara, di cui all’articolo 158, comma 2, lett. b), del Codice degli appalti pubblici (D.lgs. n. 36/2023).

Il Codice degli appalti, all’articolo 158, comma 2, lett. b) consente alle stazioni appaltanti o agli enti concedenti di ricorrere a una procedura negoziata senza indizione di gara quando un appalto è destinato solo a scopi di ricerca, di sperimentazione, di studio o di sviluppo e non per rendere redditizie o recuperare spese di ricerca e di sviluppo, purché la sua aggiudicazione non pregiudichi l’indizione di gare per appalti successivi che perseguano, segnatamente, questi scopi.

c)      Registrazione di un incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1 del conto economico (ricavi delle vendite di beni e delle prestazioni di servizi), di cui all’articolo 2425 del codice civile o dell’occupazione, superiore al 50% dal secondo al terzo anno;

d)     Costituzione di riserva patrimoniale superiore a 50 mila euro, attraverso ottenimento di un finanziamento convertendo, o aumento di capitale a sovrapprezzo che porti ad una partecipazione che non va oltre quella di minoranza, da parte di investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel ovvero attraverso equity crowfounding svolto tramite piattaforma autorizzata, e incremento dal 15% al 20% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo;

e)      Ottenimento di almeno un brevetto.

 

Si valuti l’opportunità di sostituire la locuzione “nel registro di cui al comma 8” con la seguente “nella sezione speciale del registro di cui al comma 8”.

Si rammenta, infatti, che il comma 8 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012, non fa riferimento al registro, bensì alla sezione speciale del registro delle imprese.

 

Il comma 8 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012, infatti, ha previsto la costituzione, presso la Camere di Commercio, industria e artigianato di una apposita sezione speciale del registro delle imprese, alla quale la start-up innovativa (e l’incubatore certificato), in possesso dei requisiti prescritti, devono iscriversi, al fine di poter beneficiare della disciplina agevolativa per essi prevista dal medesimo D.L. n. 179. Il successivo comma 16 dell’articolo 25 dispone poi che, entro sessanta giorni dalla perdita dei requisiti (di cui al comma 2 per la start-up innovativa e al comma 5 per l’incubatore certificato), la start-up innovativa e l’incubatore certificato sono cancellati dalla sezione speciale del registro delle imprese permanendo l’iscrizione alla sezione ordinaria del registro delle imprese.

Dunque, il richiamo, contenuto nel nuovo comma 2-bis dell’articolo 25, qui in commento, alla permanenza “nel Registro di cui al comma 8” appare fuorviante, posto che la start-up innovativa, che non possiede o non possiede più i requisiti prescritti, deve essere cancellata dalla sezione speciale del registro delle imprese, conservando comunque il diritto di permanere nello stesso Registro, ma nella sua Sezione ordinaria.

 

Il nuovo comma 2-ter dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 consente di estendere il termine di 5 anni complessivi per la permanenza nel “registro di cui al comma 8” (recte: nella sezione speciale del registro delle imprese) per ulteriori periodi di 2 anni, sino a un massimo di quattro anni complessivi, per il passaggio dalla fase di start-up alla fase di scale-up, ove intervenga almeno uno dei seguenti requisiti:

a)      Aumento di capitale a sovrapprezzo da parte di un OICR, di importo superiore a 1 milione di euro, per ciascun periodo di estensione;

Si ricorda che, secondo la definizione fornita dalla Banca d’Italia, per OICR (Organismi di investimento collettivo del risparmio) si intendono gli organismi il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di quote o azioni, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi, in base a una politica di investimento predeterminata. La voce comprende i fondi comuni di investimento, le Sicav, le Sicaf, gli OICVM, i FIA, gli ELTIF, gli EuSEF e gli EuVECA.

b)     Incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce Al del conto economico, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 100% annuo.

 

Nel contesto di questo ecosistema imprenditoriale, la scale-up rappresenta una fase evolutiva avanzata di una start-up innovativa che ha raggiunto una maturità tale da essere pronta per una crescita significativa e un’espansione su larga scala, con un impatto potenzialmente significativo sull’economia e sull’innovazione. 

In proposito si osserva che, a differenza di quanto avvenuto con il fenomeno delle start-up, l’ordinamento italiano è tuttora privo, anche a seguito dell’intervento normativo appena commentato, di una definizione giuridica di scale-up.

 

Il nuovo comma 2 -quater dell’articolo 25 dispone, infine, che, nei casi di cui al comma 2-bis e 2-ter, sopra commentati, resta fermo quanto disposto dall’articolo 29, comma 7-bis del D.L. n. 179/2012, relativamente all’aumento al 30%, a decorrere dall’anno 2017, delle aliquote delle detrazioni fiscali ivi previste a favore degli investimenti in startup-innovative.

Con riferimento al sopra citato articolo 29, comma 7-bis, si rinvia alla scheda relativa all’articolo 31 del disegno di legge in esame, volto a introdurre modifiche alla disciplina agevolativa prevista dal medesimo comma 7-bis.

 

Si segnala che il 18 settembre 2024 il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 

 

Articolo 25, comma 2 del D.L. 179/2012

Testo previgente

Testo modificato
dal DDL Concorrenza

(A.S. 1318)

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

2. Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:

2. identico

 

a-bis) è una micro, piccola o media impresa (MPMI), come definita dalla raccomandazione 2003/361/CE;

b) è costituita da non più di sessanta mesi;

identico

c) è residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;

identico

d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;

identico

e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili;

identico

f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;

f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e non svolge attività prevalente di agenzia e consulenza;

g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;

identico

h) possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:

1)      le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai princìpi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start up innovativa;

2)      impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

3)      sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa.

 

 

2-bis. La permanenza nel Registro di cui al comma 8, dopo la conclusione del terzo anno è consentita sino a complessivi 5 anni dalla data di iscrizione nel registro, in presenza di almeno uno dei seguenti requisiti:

a) incremento al 25 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo, come definite dal comma 2, lettera h), numero 1);

b) stipula di almeno un contratto di sperimentazione con una Pubblica Amministrazione ai sensi dell’articolo 158, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36;

c) registrazione di un incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1 del conto economico, di cui all’articolo 2425 del codice civile o dell’occupazione, superiore al 50 per cento dal secondo al terzo anno;

d) costituzione di riserva patrimoniale superiore a 50 mila, attraverso ottenimento di un finanziamento convertendo, o aumento di capitale a sovrapprezzo che porti ad una partecipazione che non va oltre quella di minoranza, da parte di investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel ovvero attraverso equity crowfounding svolto tramite piattaforma autorizzata, e incremento al 20 per cento della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo come definite dal comma 2, lettera h), numero 1);

e) ottenimento di almeno un brevetto.

 

2-ter. Il termine di 5 anni complessivi per la permanenza nel registro di cui al comma 8 può essere esteso per ulteriori periodi di 2 anni, sino a un massimo di 4 anni complessivi per il passaggio alla fase di “scale-up”, ove intervenga almeno uno dei seguenti requisiti:

a) aumento di capitale a sovrapprezzo da parte di un OICR, di importo superiore a 1 milione di euro, per ciascun periodo di estensione;

b) incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1 del conto economico, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 100 per cento annuo.

 

2-quater. Nei casi di cui al comma 2-bis e 2-ter resta fermo quanto disposto dall’articolo 29, comma 7-bis.


Articolo 29
(Disposizione transitoria concernente la definizione
di
start-up innovativa)

 

 

L’articolo 29 – modificato ed integrato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati prevede, al comma 1, che le start-up innovative iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese abbiano diritto di permanervi oltre il terzo anno a condizione che siano raggiunti, entro dodici o sei mesi, i nuovi requisiti prescritti dallo Start-up Act a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 28 del presente disegno di legge. Il comma 2, inserito nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, dispone che le imprese non più in possesso dei requisiti di start-up innovativa possano iscriversi, qualora ne abbiano i requisiti, nel registro delle PMI innovative.

 

Nello specifico, il comma 1 dispone che le start-up innovative che, alla data di entrata in vigore della presente legge, risultino iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese istituito dall’articolo 25, comma 8, del D.L. n. 179/2012 (L. 221/2012) (cd. Start-up Act), abbiano diritto di permanervi a condizione che sia raggiunto almeno uno dei seguenti requisiti previsti dall’articolo 25, comma 2-bis del D.L. n. 179/2012, ovvero:

a) incremento dal 15% al 25% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo;

b) stipula di almeno un contratto di sperimentazione con una pubblica amministrazione ai sensi della disciplina della procedura negoziata senza gara;

c) registrazione di un incremento dei ricavi derivanti dalla gestione caratteristica dell’impresa o comunque individuati alla voce A1 del conto economico (ricavi delle vendite di beni e delle prestazioni di servizi) o dell’occupazione, superiore al 50% dal secondo al terzo anno;

d) costituzione di riserva patrimoniale superiore a 50 mila euro, attraverso ottenimento di un finanziamento convertendo, o aumento di capitale a sovrapprezzo che porti ad una partecipazione che non va oltre quella di minoranza, da parte di investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel ovvero attraverso equity crowfounding svolto tramite piattaforma autorizzata, e incremento dal 15% al 20% della percentuale delle spese di ricerca e sviluppo;

e) ottenimento di almeno un brevetto.

Si ricorda che il comma 2-bis dell’articolo 25 viene introdotto dall’articolo 28 del presente disegno di legge, come integrato nel corso dell’esame alla Camera dei deputati (cfr. relativa scheda di lettura).

I suddetti requisiti devono essere raggiunti entro 12 mesi dalla scadenza dei tre anni qualora le start-up siano iscritte nel registro da oltre 18 mesi (lett. a)), ed entro 6 mesi dalla predetta scadenza qualora siano iscritte da meno di 18 mesi (lett. b)).

 

Si rileva che la formulazione utilizzata alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo in esame sembrerebbe far desumere che l’avvio dei termini ivi previsti decorra dalla mera iscrizione al registro delle imprese e non nella sezione speciale del registro stesso di cui all’articolo 25, comma 8, del D.L. n. 179/2012. Come osservato anche in relazione all’articolo 28 del disegno di legge in esame, si valuti dunque l’opportunità, anche in questo caso, di sostituire la locuzione “nel registro” con la seguente: “nella sezione speciale del registro di cui al comma 8”.

 

Secondo la relazione tecnica di accompagnamento all’A.C. 2022 tale disposizione non determina effetti negativi dal punto di vista finanziario, prevedendo l’applicazione di misure restrittive alla platea di start-up già esistenti.

 

Si rileva che, nel corso dell’esame in prima lettura presso la Camera dei deputati, sono state modificate le previsioni iniziali dell’articolo 29 qui in commento, che prevedevano la permanenza delle start-up innovative nella sezione speciale del registro delle imprese sulla base, alle condizioni e per il tempo previsto dalla normativa previgente, con il vincolo di adeguarsi, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, alle disposizioni dell’articolo 28, comma 1, lettera b) del progetto di legge in esame, a sua volta modificato nel corso dell’esame in prima lettura presso la Camera. Quest’ultimo prevedeva, nella sua formulazione iniziale, il requisito di disporre di un capitale sociale pari ad almeno 20 mila euro e impiegare almeno un dipendente.  

 

Il comma 2, aggiunto nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, dispone che, qualora le imprese non possiedano più i requisiti di start-up innovativa per effetto di quanto disposto dal citato articolo 25, comma 2-bis del D.L. n. 179/2012, esse possano iscriversi, ove ne abbiano i requisiti, nel registro delle PMI innovative.

 

La definizione di PMI innovative è contenuta all’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 3/2015 (L. n. 33/2015), il quale dispone che con tale dizione si faccia riferimento a PMI, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE, società di capitali, costituite anche in forma cooperativa, che possiedono i seguenti requisiti:

a)      la residenza in Italia (come definita dall’articolo 73 del TUIR, D.P.R. n. 917/1986) o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo, purché abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia;

b)      la certificazione dell’ultimo bilancio e dell’eventuale bilancio consolidato redatto da un revisore contabile o da una società di revisione iscritti nel registro dei revisori contabili;

c)      le loro azioni non sono quotate in un mercato regolamentato;

d)      l’assenza di iscrizione al registro speciale delle start-up e incubatori certificati, previsto all’articolo 25, comma 8, del D.L. n. 179/2012;

e)      il possesso di almeno due dei seguenti requisiti:

1.      volume di spesa in ricerca, sviluppo e innovazione in misura uguale o superiore al 3% del maggior valore fra costo e fatturato (valore totale della produzione) della PMI innovativa; vengono dettagliate modalità specifiche di computo delle spese;

2.      impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al 1/5 della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a 1/3 della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale;

3.      titolarità, anche quali depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale (relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale) o titolarità dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tale privativa sia direttamente afferente all’oggetto sociale e all’attività di impresa.

Quanto all’iscrizione delle PMI innovative presso il registro delle imprese, le modalità sono analoghe a quelle previste per le start-up innovative, prevedendosi infatti l’istituzione presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di una apposita sezione speciale del registro delle imprese cui le start-up e PMI innovative devono essere iscritte (articolo 4, comma 2, D.L. n. 3/2015).

Lo status speciale di PMI innovativa, introdotto dal decreto legge n. 3/2015, cui sono estese buona parte delle misure di supporto per le start-up innovative, si distingue per alcune differenze nei requisiti d’accesso: l’obbligo di certificazione del bilancio per le PMI innovative, l’ammontare del valore della produzione annuo che non può superare, per le start-up, i 5 milioni mentre per le PMI innovative il tetto è fissato a 50 milioni, ossia il valore massimo previsto dalla definizione europea di piccola e media impresa.

 

Si rammenta, infine, che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.


Articolo 30
(Modifiche alla definizione di incubatore certificato)

 

 

L’articolo 30, modificato nel corso dell’esame alla Camera dei deputati, introduce modifiche al quadro definitorio degli incubatori certificati previsto dal cd. Start-up Act. In particolare, vengono incluse anche le attività di supporto e accelerazione in favore di start-up innovative tra i possibili requisiti ai fini della definizione di incubatore certificato. Tali attività restano tuttavia escluse dall’applicazione delle agevolazioni previste dallo Start-up Act e dalla presente legge.

 

In particolare, il comma 1, alla lettera a), dispone modifiche dell’articolo 25, comma 5, del decreto-legge n. 179/2012 (L. 221/2012) (cd. Start-up Act), introducendo il requisito dell’adeguata e comprovata esperienza anche nell’attività di supporto e accelerazione in favore di start-up innovative tra requisiti qualificanti il concetto di incubatore certificato (per ulteriori approfondimenti si rimanda al box contenuto supra nella scheda di lettura a commento dell’articolo 28).

Conseguentemente, la lettera b) dell’articolo 30 qui in esame reca modificazioni al comma 7 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 allo scopo di introdurre anche l’attività di supporto o accelerazione di start-up tra gli indicatori considerati ai fini del possesso dei requisiti.

Infine, la lettera c), integrata nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati, reca una modifica al comma 8 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012, disponendo che gli incubatori certificati che svolgono attività di supporto e accelerazione di start-up siano iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese differente rispetto a quella prevista per le start-up innovative e per gli incubatori certificati. Prima dell’intervento integrativo presso la Camera dei deputati, l’attività degli incubatori considerata era solo quella di accelerazione (non, prima di tutto, anche di supporto) di start-up.

 


 

Articolo 25, commi 5, 7 e 8 del D.L. 179/2012

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 30 del disegno di legge A.S. 1318

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

5.    Ai fini del presente decreto, l’incubatore di start-up innovative certificato, di seguito: «incubatore certificato» è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a)  dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b)  dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c)  è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d)  ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e)  ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

 

 

 

7.    Il possesso del requisito di cui alla lettera e) del comma 5 è autocertificato dall’incubatore di start-up innovative, mediante dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale presentata al registro delle imprese, sulla base di valori minimi individuati con il medesimo decreto del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 6 con riferimento ai seguenti indicatori:

a)  numero di candidature di progetti di costituzione e/o incubazione di start-up innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno;

b)  numero di start-up innovative avviate e ospitate nell’anno;

c)  numero di start-up innovative uscite nell’anno;

d)  numero complessivo di collaboratori e personale ospitato;

e)  percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati rispetto all’anno, precedente;

 

f)  tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate;

g)  capitali di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate;

h)  numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.

 

8.    Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 e per gli incubatori certificati di cui al comma 5, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l’incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione.

5. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a) Identico;

 

 

 

 

b) Identico;

 

 

 

 

c) Identico;

 

 

 

 

d) Identico;

 

 

 

 

e) ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative oppure nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

 

7. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a) numero di candidature di progetti di costituzione o incubazione o accelerazione di start-up innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno;

b)  numero di start-up innovative avviate e ospitate o supportate nell’anno;

c) Identico.

d) numero complessivo di collaboratori e personale ospitato o personale delle start-up innovative supportate;

e)  percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati delle start-up innovative supportate rispetto all’anno precedente;

f)  tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate o supportate;

g)  capitali di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate o supportate;

h)  numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate o supportate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.

 

8.    Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 e per gli incubatori certificati di cui al comma 5, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l’incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione. Gli incubatori certificati che svolgono attività di supporto e accelerazione di start-up sono iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese diversa da quella di cui al periodo precedente.

 

Il comma 2 dell’articolo 30 qui in commento dispone che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge siano aggiornati i criteri minimi previsti dal D.M. 21 febbraio 2013 con riferimento allo svolgimento di attività di supporto e accelerazione di start-up innovative, differenti dall’attività di incubazione e sviluppo.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire quali siano le modalità procedimentali – ad esempio, se con ulteriore decreto ministeriale – per l’adeguamento del decreto suindicato.

 

Infine, il comma 3, integrato nel corso dell’esame in prima lettura alla Camera dei deputati, prevede l’esclusione degli incubatori certificati che svolgono l’attività di supporto e accelerazione di start-up dall’applicazione delle agevolazioni previste ai sensi dell’articolo 30, comma 8 e articolo 27 del D.L. n. 179/2012, nonché dell’articolo 31 del disegno di legge qui in esame (alla cui scheda si rimanda per ulteriore approfondimento).

L’articolo 26, comma 8 del D.L. n. 179/2012 prevede, per la start-up innovativa e per l’incubatore certificato, dal momento della loro iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, l’esonero dal pagamento:

Ø  dell’imposta di bollo;

Ø  dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese;

Ø  dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio

L’articolo 27 del D.L. n. 179/2012 dispone che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle start-up innovative e degli incubatori certificati, ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o similari, non concorra alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti.

 

La relazione tecnica di accompagnamento all’A.C. 2022 afferma che dal punto di vista finanziario non si ascrivono effetti poiché per le attività di supporto all’accelerazione delle start-up non è stata prevista l’applicazione di agevolazioni fiscali.

 

Si ricorda, infine, che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 

 


Articolo 31
(Ulteriori misure di incentivazione)

 

 

L’articolo 31, introdotto alla Camera, reca modifiche alle discipline agevolative previste in favore delle start-up innovative.

In particolare, viene delimitato l’ambito di applicazione degli incentivi all’investimento in start-up innovative, ivi inclusi quelli in regime de minimis, incrementando, in tale ultimo caso, la percentuale di detrazione dal 50 al 65 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start-up innovative.

Infine, viene indicato al 31 dicembre 2024 il termine ultimo ai fini della fruizione della detrazione del 50 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più PMI innovative.

 

Il comma 1 interviene sull’articolo 29 del decreto-legge n. 179 del 2012, disponendo che le agevolazioni per l’investimento in start-up innovative sono concesse per un massimo di cinque anni dalla data di iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del medesimo decreto. Tali agevolazioni non trovano applicazione nei seguenti casi:

§  qualora l’investimento generi una partecipazione qualificata superiore al 25 per cento del capitale sociale o dei diritti di governance;

§  qualora il contribuente sia anche fornitore di servizi alla start-up, direttamente, ovvero anche attraverso società controllata o collegata, per un fatturato eccedente il 25 per cento dell’investimento agevolabile.

 

A tal proposito, si ricorda che il citato articolo 29 reca disposizioni in materia di incentivi all’investimento in start-up innovative.

In particolare, si prevede una detrazione dell’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche pari al 19 per cento, per gli anni dal 2013 al 2016, e al 30 per cento a partire dall’anno 2017, della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in start up innovative. Si prevede, altresì, un limite all’investimento massimo detraibile pari, per ciascun periodo d’imposta, a 500 mila euro (innalzato a 1 milione di euro a partire dall’anno 2017), da mantenersi per almeno tre anni.

Peraltro, viene riconosciuta ai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, diversi da imprese start-up innovative una deduzione pari al 20 per cento per i periodi d’imposta dal 2013 al 2016 e al 30 per cento a partire dal 2017 della somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investano prevalentemente in start-up innovative. A tal fine, l’investimento massimo deducibile non può eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di 1,8 milioni di euro, il quale deve essere mantenuto per almeno tre anni.

Per le start-up a vocazione sociale, nonché per quelle che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico, la detrazione e la deduzione ammontano rispettivamente al 25 per cento e al 27 per cento della somma investita (30 per cento a partire dal 2017).

 

Il comma 2, lettere da a) a d), reca alcune novelle all’articolo 29-bis del medesimo decreto in materia di incentivi in regime de minimis all’investimento in start up innovative, il quale prevede, in alternativa a quanto previsto dal sopra citato articolo 29, ai fini IRPEF, una detrazione dall’imposta lorda pari al 50 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in start-up innovative.

Nello specifico, la lettera a), intervenendo sul comma 1, prevede l’esclusione del diritto alla detrazione nei seguenti casi:

§  qualora le somme investite producano una partecipazione qualificata superiore al 25 per cento del capitale sociale o dei diritti di governance;

§  qualora il contribuente sia fornitore di servizi alla start-up, direttamente, ovvero anche attraverso società controllata o collegata, per un fatturato superiore al 25 per cento dell’investimento portato a beneficio.

 

La lettera b) inserisce un nuovo comma 1-bis con cui viene elevata dal 50 al 65 per cento, a decorrere dal 1° gennaio 2025, la percentuale della detrazione di cui all’articolo 29-bis.

 

La lettera c) specifica al comma 2 che la medesima detrazione si applica alle sole start-up innovative sino al terzo anno di iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese.

 

Nel testo vigente l’applicazione della agevolazione fiscale è riconosciuta alle sole start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese al momento dell’investimento.

 

La lettera d) introduce una deroga alla decadenza dal beneficio fiscale in caso di cessione, anche parziale, dell’investimento antecedentemente al termine minimo di mantenimento di tre anni.

Specificamente, si stabilisce che tale decadenza non opera per i casi di cessione indipendente dalla volontà del contribuente.

Viene, altresì, previsto che la detrazione matura, in caso di investimenti in convertendo, a fare data dalla disposizione di bonifico alla start-up della somma investita con causale “versamento in conto aumento di capitale” e trascrizione in riserva patrimoniale.

Si ricorda che un investimento “convertendo” si caratterizza per il fatto che non può essere restituito o rimborsato, ma deve essere necessariamente convertito in azioni, con la conseguenza che il valore dell’investimento medesimo corrisponde al valore delle azioni quale risulta dalle valutazioni del mercato e non al costo sostenuto al momento dell’investimento medesimo.

A tale riguardo, l’Agenzia delle entrate, nella sintesi n. 1/2023, ha chiarito la natura degli strumenti “convertendi” assimilandoli alle azioni ai fini della individuazione del regime tributario applicabile. In particolare, si specifica che tali strumenti determinano in capo all’investitore una piena esposizione al rischio di perdita del capitale investito, non prevedendo alcun diritto al rimborso dell’apporto versato e con una previsione di partecipazione agli utili individuata esclusivamente una volta che il sottoscrittore avrà acquisito la qualifica di socio per effetto della conversione. Peraltro, l’apporto eseguito dal sottoscrittore degli strumenti “convertendi” non ha altra prospettiva all’infuori dell’acquisizione della qualità di socio dell’emittente. Tale apporto ha, dunque, natura di capitale di rischio, erogato a fronte dell’aspettativa di avere accesso ai risultati positivi generati in seguito dalla società destinataria dell’investimento.

 

Si valuti l’opportunità di introdurre una specifica definizione a livello normativo di tali strumenti di investimento.

 

Il comma 3 modifica l’articolo 4, comma 9-ter, del decreto-legge n. 3 del 2015, delimitando al 31 dicembre 2024 l’arco temporale di applicazione della detrazione pari al 50 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più PMI innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in PMI innovative.

 

In merito, si rammenta che il sopra citato comma 9-ter è stato introdotto dall’articolo 38, comma 8, del decreto-legge n. 34 del 2020.

Nello specifico, viene integrata la disciplina agevolativa delle PMI innovative di cui al richiamato articolo 4, introducendo per esse lo stesso regime agevolativo fiscale in regime de minimis.

Si prevede, in particolare, che a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione e a determinate condizioni, dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche si detrae un importo pari al 50 per cento della somma investita dal contribuente nel capitale sociale di una o più PMI innovative direttamente ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in PMI innovative; la detrazione si applica alle sole PMI innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese al momento dell’investimento ed è concessa ai sensi del Regolamento (UE) n. 1407/2013 sugli aiuti de minimis.

Infine, si segnala che è recentemente entrata in vigore la legge n. 162 del 2024, recante disposizioni ai fini della promozione e dello sviluppo delle start up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti.

In particolare, l’articolo 2 della legge medesima interviene sulla disciplina delle detrazioni riconosciute per gli investimenti in start up innovative e in PMI innovative ai sensi dei richiamati articoli 29-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e 4, comma 9-ter del decreto-legge n. 3 del 2015, prevedendo, in caso di eccedenza dell’importo della detrazione rispetto all’imposta lorda, la trasformazione di tale eccedenza in un credito di imposta utilizzabile nella dichiarazione dei redditi in diminuzione delle imposte dovute o in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. Tale agevolazione fiscale opera per gli investimenti effettuati a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023.

Inoltre, l’articolo 4 prevede l’esenzione fiscale delle plusvalenze derivanti da cessione di quote in imprese innovative, qualora ricorrano i seguenti presupposti:

·         plusvalenze realizzate da persone fisiche (presupposto soggettivo);

·         plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni al capitale di imprese innovative acquisite entro il 31 dicembre 2025, nonché possedute per almeno tre anni (presupposto oggettivo).

 

Per ulteriori approfondimenti sulla legge n. 162 del 2024 si rinvia al relativo dossier.


Articolo 32
(Contributo sotto forma di credito di imposta
in favore degli incubatori e degli acceleratori certificati)

 

 

L’articolo 32, modificato nel corso dell’esame parlamentare, introduce un contributo, sotto forma di credito d’imposta, a favore degli incubatori e degli acceleratori certificati che effettuino, direttamente o per il tramite di altri organismi specializzati, investimenti in start-up innovative. Il beneficio è riconosciuto, a decorrere dal periodo d’imposta 2025, nella misura dell’8 per cento della somma investita entro il limite massimo di 500.000 euro di investimento annuo, con obbligo di mantenimento dello stesso per almeno 3 anni, pena la decadenza dal beneficio con obbligo di restituzione di quanto fruito. Il contributo è inoltre concesso nel limite di spesa complessivo di 1.800.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025, nonché entro i limiti agli aiuti de minimis previsti dal Regolamento (UE) n. 2831/2023.

 

La norma è diretta ad incentivare l’investimento in start-up innovative attraverso il riconoscimento di un contributo, sotto forma di credito d’imposta, in favore degli incubatori e degli acceleratori certificati.

Nello specifico, il comma 1 riconosce, a decorrere dal periodo d’imposta 2025, un contributo – sotto forma di credito d’imposta – a favore degli enti qualificati come incubatori certificati, ai sensi dell’articolo 25, comma 5, del decreto-legge n. 179 del 2012, nonché, secondo una modifica introdotta alla Camera, degli acceleratori certificati, nella misura dell’8 per cento dell’investimento nel capitale sociale di una o più start-up innovative fatto direttamente, ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che effettuano, prevalentemente, tali investimenti.

La norma definisce, inoltre, i limiti entro i quali il beneficio può essere riconosciuto:

§  in ciascun periodo d’imposta, l’investimento massimo sul quale calcolare il credito d’imposta non può eccedere l’importo di 500.000 euro;

§  l’investimento deve essere mantenuto per almeno 3 anni (c.d. “periodo di sorveglianza”);

§  l’eventuale cessione, ancorché parziale, dell’investimento nel corso del periodo di sorveglianza, comporta la decadenza dal beneficio ed il recupero dello stesso, maggiorato degli interessi legali.

In aggiunta, un ulteriore limite alla fruizione del beneficio è disposto dal comma 2, laddove si prevede la concessione del contributo nel limite di spesa complessivo di 1.800.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025.

La definizione dei criteri e delle modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, nonché la definizione delle relative modalità di verifica, controllo ed eventuale recupero dei crediti d’imposta non spettanti sono demandati, ai sensi del successivo comma 3, ad un decreto che il Ministro delle imprese e del made in Italy, dovrà adottare, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, entro 60 giorni dall’entrata in vigore dell’articolo in commento.

Trovano applicazione, per espressa previsione del comma 4, i limiti previsti dal regolamento (UE) n. 2831/2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato de minimis (per un approfondimento sulla materia degli aiuti di Stato si rimanda al dossier di documentazione e ricerche del Servizio Studi della Camera del gennaio 2024: parte generale e parte speciale).

 

Il nuovo plafond agli aiuti “de minimis”, applicabile dal 1° gennaio 2024, è definito nell’ambito del regolamento della Commissione n. 2023/2831/UE del 13 dicembre 2023.

In particolare, ai sensi del comma 2 dell’articolo 3 (aiuti “de minimis”) del citato Regolamento, l’importo complessivo degli aiuti de minimis concessi da uno Stato membro ad un’impresa “unica” non può superare il limite di 300.000 euro nell’arco di 3 anni.

 

 

Il comma 5 dell’articolo 25 del decreto-legge n. 179 del 2012, nella versione vigente, definisce come incubatore di start-up innovative certificato o “incubatore certificato” una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a)  dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b)  dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultra-larga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c)  è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d)  ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e)  ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

Ai sensi dei successivi commi, un incubatore certificato deve essere iscritto in apposita sezione speciale del Registro delle Imprese, previa autocertificazione da parte del legale rappresentante circa il possesso di tali requisiti per l’identificazione.

Invero, l’articolo 30 del presente disegno di legge (alla cui scheda si fa rinvio per maggiori approfondimenti) introduce un’ulteriore categoria di “incubatore certificato” specializzato nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative che dovrà iscriversi in altra sezione speciale del Registro delle Imprese.


Articolo 33
(Disposizioni per favorire l’investimento istituzionale nelle start-up innovative)

 

 

L’articolo 33, interamente sostituito nel corso dell’esame alla Camera, reca delle norme dirette ad incentivare gli investimenti in start-up innovative. Nello specifico, stabilisce, quale condizione di accesso al regime di non imponibilità per i redditi derivanti da investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il venture capital effettuati dagli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) e dalle forme di previdenza complementare (Fondi pensione), che i suddetti investimenti siano almeno pari al 5 per cento (10 per cento a partire dall’anno 2026) del paniere di investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente. Con apposita clausola di salvaguardia, il beneficio fiscale è, in ogni caso, riconosciuto per gli investimenti qualificati effettuati da tali enti di previdenza prima dell’entrata in vigore delle disposizioni de quo.

Infine, stabilisce che il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese possa anche sostenere, con garanzia concessa a titolo oneroso, il capitale di rischio investito dagli organismi di investimento collettivo del risparmio chiusi, ivi inclusi quelli di venture capital.

 

Le norme contenute nell’articolo de quo sono dirette ad incentivare gli investimenti in start-up innovative, ossia in imprese giovani ad alto contenuto tecnologico e con potenziale di crescita elevato, attraverso delle modifiche alla disciplina degli investimenti qualificati effettuati dagli enti di previdenza, nonché prevedendo l’accesso al Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese costituito presso il Mediocredito Centrale.

 

Nello specifico, l’articolo 33, comma 1, lettere a) e b), modifica le condizioni di accesso al regime di non imponibilità per i redditi derivanti da investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il Venture Capital effettuati dagli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) e dalle forme di previdenza complementare (Fondi pensione).

Più precisamente, il comma 1, lettera a), modificando il comma 90 della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), stabilisce, quale ulteriore condizione (non prevista nella vigente formulazione) affinché i redditi derivanti da investimenti qualificati siano esentati dall’imposta sul reddito in capo alle Casse di previdenza private, che:

1.      gli investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il venture capital di cui al comma 89, lettera b-ter), siano almeno pari al 5 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente; e

2.      a partire dall’anno 2026, i medesimi investimenti siano almeno pari al 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente.

 

Allo stesso modo, il comma 1, lettera b), modificando il comma 94 della legge n. 232 del 2016, stabilisce, quale ulteriore condizione affinché i redditi derivanti da investimenti qualificati non concorrano alla formazione della base imponibile dell’imposta sostitutiva di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 252 del 2005 in capo ai Fondi pensione (non prevista nella vigente formulazione), che:

1.      gli investimenti qualificati in quote o azioni di Fondi per il venture capital di cui al comma 89, lettera b-ter), siano almeno pari al 5 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente; e

2.      a partire dall’anno 2026, i medesimi investimenti siano almeno pari al 10 per cento del paniere degli investimenti qualificati risultanti dal rendiconto dell’esercizio precedente.

 

Ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 252 del 2005, i fondi pensione sono soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 20 per cento, applicata sul risultato netto maturato in ciascun periodo d’imposta.

 

Il successivo comma 2 dell’articolo 32 reca una clausola di salvaguardia rispetto alle novità introdotte dal comma 1.

In particolare, tale norma fa salvo il riconoscimento del beneficio fiscale sui redditi finanziari derivanti dagli investimenti già effettuati, ai sensi delle vigenti disposizioni di cui all’articolo 1, commi 88-96, della legge n. 232 del 2016, dalle Casse di previdenza private e dai Fondi pensione alla data di entrata in vigore del presente disegno di legge.

Conseguentemente, il regime di non imponibilità è applicabile ai redditi finanziari derivanti da investimenti effettuati, prima della data di entrata in vigore di tali disposizioni, dalle Casse di previdenza private e dai Fondi pensione, a prescindere dalla composizione del paniere di investimenti qualificati risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente.

 

 

I commi 88 e 96 della legge di bilancio 2017 (n. 232 del 2016), dei quali tratta l’articolo 32 della legge annuale per il mercato e la concorrenza per il 2023, rientrano in una serie di previsioni normative concernenti le agevolazioni per investimenti nel medio-lungo termine (almeno 5 anni).

In particolare, i commi 88 e 92, nella formulazione vigente, consentono agli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) e alle forme di previdenza complementare di effettuare investimenti, fino al 10 per cento del loro attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente (nella formulazione originaria la percentuale era il 5%), nelle seguenti categorie specificamente indicate dal comma 89, articolo 1, della stessa legge n. 232 del 2016:

a)                  azioni o quote di imprese residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo;

b)                  azioni o quote di OICR residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo (organismi di investimento collettivo del risparmio: ovvero Fondi comuni di investimento, Società di investimento a capitale variabile - Sicav, Società di investimento a capitale fisso - Sicaf, Fondi di investimento alternativi – FIA, Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari – OICVM, Fondi europei per gli investimenti a lungo termine – ELTIF, Fondi europei per l’imprenditoria sociale  EuSEF – e Fondo europeo per il capital venture – EuVECA) che investono prevalentemente negli strumenti finanziati indicati dalla lettera a).

 

Sulle disposizioni contenute dal comma 89 sopra riportate è poi intervenuta la legge di bilancio 2018, legge n. 205 del 2017, prevedendo le seguenti altre possibilità di investimento ai sensi dei commi 88 e 92:

 

b-bis)   quote di prestiti, di fondi di credito cartolarizzati erogati od originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali, gestite da società iscritte nell'albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d'Italia, da istituti di pagamento rientranti nel campo di applicazione dell'articolo 114 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia o da soggetti vigilati operanti nel territorio italiano in quanto autorizzati in altri Stati dell'Unione europea;

b-ter) quote o azioni di Fondi per il venture capital residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell'Unione europea o in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo.

 

Secondo la vigente formulazione dei commi 90 e 94, si rende applicabile un regime di non imponibilità per i redditi derivanti dai suddetti investimenti qualificati effettuati dagli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) e dalle forme di previdenza complementare (Fondi pensione).

L’agevolazione prevede che i redditi finanziari, sia di capitale sia diversi, derivanti da investimenti qualificati, effettuati secondo le condizioni di cui sopra, non siano assoggettati all’imposta sul reddito, per le Casse di previdenza private, ovvero non concorrano alla formazione della base imponibile dell’imposta sostitutiva dovuta dai Fondi pensione.

Per poter beneficiare dell’agevolazione, gli strumenti finanziari oggetto di investimento qualificato devono essere detenuti per almeno cinque anni, ai sensi di quanto disposto dalla vigente formulazione dei commi 91 e 94.

A tale riguardo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che stante la finalità della norma agevolativa non possono beneficiare del regime di esenzione gli investimenti qualificati effettuati prima del 1° gennaio 2017, in quanto deve trattarsi di “nuovi” investimenti (Risposta n. 667 del 6 ottobre 2021).

 

 

Il comma 3, nel modificare l’articolo 8, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 70 del 2011, dispone che il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese può anche sostenere, con garanzia concessa a titolo oneroso, il capitale di rischio investito dagli organismi di investimento collettivo del risparmio chiusi, ivi inclusi quelli di venture capital (nella precedente formulazione si faceva riferimento ai fondi di investimento mobiliari chiusi).

 

Ai sensi dell’articolo 2, comma 100, lettera a), della legge n. 662 del 1996, è stato costituito, presso il Mediocredito Centrale S.p.A., un Fondo di garanzia con la finalità di agevolare l’accesso al credito per le piccole e medie imprese italiane, mediante rilascio di una garanzia pubblica che, sostituendo o affiancando garanzie di altra natura, riduce il rischio del soggetto finanziatore (banca) sull’importo garantito (fino all’80 per cento).

In altre parole, l'impresa che necessiti di un finanziamento, anche nella forma del leasing, può chiedere alla banca di garantire l’operazione con la garanzia pubblica, la cui attivazione è a rischio zero per la medesima banca. Pertanto, in caso di insolvenza dell'impresa, la banca viene risarcita dal Fondo di garanzia e, in caso di eventuale esaurimento di fondi di quest'ultimo, direttamente dallo Stato.

Al fine di migliorare l’accesso al credito e lo sviluppo delle piccole e medie imprese nonché gli interventi del Fondo di garanzia, la vigente formulazione dell’articolo 8, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 70 del 2011, prevede che il Fondo può anche sostenere, con garanzia concessa a titolo oneroso, il capitale di rischio investito da fondi comuni di investimento mobiliari chiusi.

 


Articolo 34
(Obbligo dei comuni di conformarsi alle nuove specifiche tecniche per il funzionamento dello sportello unico per le attività produttive)

 

 

L’articolo 34, aggiunto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, dispone che i Comuni, entro il 25 luglio 2025, provvedano a dotarsi di componenti informatiche per il funzionamento telematico dello sportello unico per le attività produttive (SUAP) conformi alle specifiche tecniche previste dall’allegato al D.M. 26 settembre 2023, ovvero provvedano, entro il medesimo termine, a delegare le funzioni del SUAP alla Camera di commercio territorialmente competente.

 

L’articolo 34, aggiunto nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, è esplicitamente finalizzato ad assicurare la semplificazione degli oneri amministrativi a carico delle imprese nei procedimenti relativi alle attività produttive, di cui al regolamento di riordino dello sportello unico per le attività produttive (SUAP).

L’articolo, in particolare, dispone che i Comuni provvedano, entro il termine di cui all’articolo 2, comma 2 del D.M. 26 settembre 2023 – quindi, entro il 25 luglio 2025a dotarsi di componenti informatiche per il funzionamento del SUAP conformi alle specifiche tecniche previste dall’apposito allegato al succitato D.M. 26 settembre 2023, ovvero provvedano, entro il medesimo termine, a delegare le funzioni del SUAP alla Camera di commercio territorialmente competente.

Le specifiche tecniche di cui al D.M. 26 settembre 2023 definiscono le modalità telematiche per la comunicazione e il trasferimento dei dati tra il SUAP e i soggetti coinvolti nel procedimento amministrativo.

 

 

Lo sportello unico per le attività produttive rappresenta un elemento cruciale nella gestione delle pratiche amministrative per le imprese in Italia.

È opportuno muovere dalla direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva servizi, o direttiva Bolkestein), che ha comportato una significativa semplificazione delle procedure amministrative. L’articolo 6 della direttiva servizi ha obbligato gli Stati membri a provvedere affinché i prestatori di servizi possano espletare tutte le procedure e le formalità necessarie per l’accesso alle attività e per l’esercizio delle stesse attraverso gli «sportelli unici», concepiti come interlocutori istituzionali unici dal punto di vista del prestatore di servizi, cosicché questi non abbia bisogno di contattare più autorità o enti competenti per raccogliere tutte le informazioni necessarie e per espletare tutte le procedure relative alla sua attività.

La direttiva servizi ha ricevuto, in primis, adempimento con l’articolo 38 del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, il quale, sotto la rubrica “impresa in un giorno” ha attribuito al Governo il potere di procedere, con regolamento di delegificazione, alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive (SUAP), già istituito e normato dal D.P.R. n. 447/1998, ma non ancora operativo su tutto il territorio nazionale[11].

Ulteriori criteri direttivi ai fini dell’adozione del regolamento governativo di semplificazione del SUAP sono stati poi dettati dal successivo decreto legislativo n. 59/2010 (articolo 25) di attuazione della direttiva servizi, il quale ha disposto, tra l’altro, l’espletamento in via telematica di tutte le procedure necessarie per poter svolgere le attività di servizi attraverso lo sportello unico per le attività produttive.

L’obbligo per il SUAP di erogare i propri servizi verso l’utenza in via telematica, è stato generalizzato con il (di poco) successivo decreto legislativo n. 235/2010.

In attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge n. 112/2008, nonché dell’articolo 25 del citato decreto legislativo n. 59/2010 e del citato decreto legislativo n. 235/2010, è stato emanato il D.P.R. n. 160/2010, recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”. La disciplina in questione è stata poi oggetto di modifiche ed integrazioni, sempre nell’ottica di introdurre ulteriori semplificazioni per le imprese.

Secondo tale regolamento, e per quanto qui rileva, le domande le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività ed i relativi allegati anche tecnici sono presentati esclusivamente in modalità telematica al SUAP competente per territorio in cui si svolge l’attività o è situato l’impianto e il SUAP provvede all’inoltro telematico della documentazione alle altre amministrazioni che intervengono nel procedimento, e anch’esse adottano modalità telematiche di ricevimento e di trasmissione (cfr. articolo 12, co. 5 e 6) (articolo 2, co. 2 e 3)

Il SUAP – che è dunque il tramite tra il soggetto richiedente e le amministrazioni coinvolte (articolo 4, co. 2), comprese quelle preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità – deve assicurare a quest’ultimo una risposta telematica unica e tempestiva (articolo 4, co. 1).

I Comuni possono esercitare le funzioni inerenti al SUAP in forma singola o associata tra loro, o in convenzione con le camere di commercio e salva diversa disposizione dei comuni interessati e ferma restando l’unicità del canale di comunicazione telematico con le imprese da parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le competenze dello sportello unico per l’edilizia produttiva (articolo 4, co. 5 e 6).

Il regolamento istituisce altresì il portale nazionale “Impresainungiorno.gov” (articolo 3) che costituisce lo strumento unico su scala nazionale per l’accesso ai front-end dei SUAP.

Nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) la milestone M1C1-60 individua gli ambiti delle 200 procedure critiche da semplificare e/o digitalizzare che interessano direttamente cittadini e imprese[12]. Nell’ambito dell’attuazione della sopra menzionata milestone (sub-investimento M1C2.2.3), il cui completamento è previsto entro il IV trimestre del 2024, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 3 dicembre 2021, il decreto interministeriale del 12 novembre 2021, recante “Modifica dell’allegato tecnico del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, in materia di specifiche tecniche e di riordino della disciplina sullo sportello unico della attività produttive (SUAP)”.

Tale decreto è stato successivamente superato con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 276 del 25 novembre 2023 del decreto interministeriale del 26 settembre 2023, recante “Modifiche dell’allegato tecnico del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160, in materia di specifiche tecniche e di riordino della disciplina sullo sportello unico delle attività produttive (SUAP)”, che, come sopra accennato, fissa le nuove specifiche tecniche di interoperabilità per la comunicazione e il trasferimento dei dati tra i SUAP e tutte le autorità competenti coinvolte nei procedimenti presentati dalle imprese.

Le specifiche redatte dal gruppo tecnico – istituito congiuntamente dal MIMIT e dal Dipartimento della funzione pubblica e coordinato dall’Agenzia per l’Italia Digitale – delineano l’insieme delle regole e delle modalità tecnologiche che i Sistemi informatici degli sportelli unici (SSU) devono adottare per la gestione ottimale dei procedimenti amministrativi riguardanti le attività produttive, conformemente alle disposizioni del D.P.R. n. 160/2010 e ss.mm.ii..

Con la pubblicazione del decreto interministeriale, il progetto è entrato nella fase operativa di adeguamento alle nuove specifiche tecniche di interoperabilità degli sportelli unici, adeguamento che deve perfezionarsi, ai sensi dell’articolo 2, comma 2 del D.M., entro 12 mesi dalla data di messa a disposizione del Catalogo del Sistema informatico degli Sportelli Unici - Catalogo SSU.

In data 26 luglio 2024, con la pubblicazione sul portale nazionale “Impresainungiorno.gov”, Unioncamere, per conto delle Camere di commercio, ha comunicato l’operatività della componente Catalogo SSU, pertanto, secondo quanto previsto dal citato art. 2, comma 2, decorrono, da tale data, i dodici mesi previsti per l’attuazione delle specifiche tecniche che individuano le modalità telematiche per la comunicazione e il trasferimento dei dati tra il SUAP e tutti i soggetti coinvolti nel procedimento che, a norma di legge, devono dotarsi di sistemi informatici che implementano rispettivamente le componenti informatiche di Front Office SUAP, Back Office SUAP e Back Office Enti Terzi conformi alle Specifiche tecniche stesse.

Al riguardo si segnala che, il 13 novembre 2024, sulla piattaforma PA digitale 2026 è stata pubblicata la seconda edizione dell’Avviso pubblico rivolto ai Comuni con piattaforma tecnologica SUAP, per facilitare l’adeguamento delle piattaforme tecnologiche SUAP comunali alle nuove “Specifiche tecniche di interoperabilità.

L’Avviso è esclusivamente rivolto ai Comuni che, dotati di piattaforma tecnologica SUAP o che utilizzano strumenti di comunicazione certificata, non hanno presentato domanda per il precedente Avviso del 10 luglio a valere sulla misura PNRR 2.2.3 o che non sono stati ammessi a finanziamento al termine dello stesso. Il finanziamento sarà erogato a seguito del raggiungimento dell’effettivo adeguamento delle piattaforme SUAP alle specifiche tecniche. Il progetto prevede che le Amministrazioni coinvolte nei procedimenti amministrativi SUAP, dovranno procedere all’aggiornamento dei rispettivi sistemi informativi entro il 25 luglio 2025 e potranno registrare le componenti di Front e Back office dei SUAP e degli Enti terzi coinvolti, nel Catalogo del Sistema Informatico degli Sportelli Unici gestito da Unioncamere nel rispetto delle specifiche tecniche e conformemente alla normativa in vigore in termini di accessibilità, disponibilità dei dati e neutralità tecnologica delle soluzioni.

 

 


Articolo 35
(Disposizioni per favorire l’investimento privato
nelle
start-up innovative)

 

 

L’articolo 35 modifica il Testo unico immigrazione al fine di favorire l’ingresso e il soggiorno di investitori stranieri anche nel caso di investimento nel capitale di fondi di venture capital.

 

In particolare, il comma 1, attraverso una modifica dell’ articolo 26-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), amplia le possibilità per gli investitori stranieri di ottenere permessi di ingresso e soggiorno in Italia al di fuori delle quote stabilite, prevedendo che tale possibilità sia concessa anche nel caso di investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di un fondo di venture capital, oltre che di una società come già previsto dalla normativa vigente.

 

Come riportato dal sito di Borsa italiana, a cui si rinvia per un approfondimento, con l’espressione venture capital si intende l’attività di investimento istituzionale in capitale di rischio di aziende non quotate, in fase di start up, caratterizzate da un elevato potenziale di sviluppo.

 

Il menzionato articolo 26-bis del Testo unico immigrazione (di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998) disciplina l’ingresso e il soggiorno per gli investitori.

In particolare, il comma 1 permette l’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote stabilite, a quegli stranieri che intendono effettuare:

a)      un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)      un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;

c)      una donazione a carattere filantropico di almeno euro 1.000.000 a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione dell’immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici.

I restanti commi dell’articolo 26-bis disciplinano le modalità di accertamento dei requisiti previsti dal comma 1 e di rilascio del permesso di soggiorno.

 

 

Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (d.lgs. 286/98)

Testo vigente

Modificazioni proposte

dall’art. 35 dell’A.S. 1318

Art. 26-bis
(Ingresso e soggiorno per investitori)

Art. 26-bis
(Ingresso e soggiorno per investitori)

1. L’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi sono consentiti, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare, in nome proprio o per conto della persona giuridica che legalmente rappresentano:

a)  un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)  un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;

1. L’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi sono consentiti, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare, in nome proprio o per conto della persona giuridica che legalmente rappresentano:

a)  un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)  un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società, o di un fondo di venture capital, costituiti e operanti in Italia, mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;

 

Si rammenta che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al Dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 


Articolo 36
(
Sospensione dell’efficacia delle disposizioni in materia di accreditamento e di accordi contrattuali
con il Servizio sanitario nazionale)

 

 

L’articolo 36, introdotto dalla Camera, è volto a sospendere l’efficacia di specifiche disposizioni in materia di accreditamento istituzionale, con particolare riferimento alla richiesta da parte di nuove strutture o all’avvio di nuove attività in strutture preesistenti, e di accordi contrattuali per l’erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie per conto e a carico del SSN.

La sospensione è prevista fino agli esiti delle attività del Tavolo di lavoro per lo sviluppo e l’applicazione del sistema di accreditamento nazionale che saranno sottoposti ad apposita intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome, fissando il termine di sospensione in ogni caso entro e non oltre il termine del 31 dicembre 2026.

 

Più in dettaglio, la sospensione è finalizzata a consentire una revisione complessiva della disciplina dell’accreditamento istituzionale e alla stipula degli accordi contrattuali per l’erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie in nome e per conto del Servizio sanitario nazionale.

 

Allo scopo è prevista la sospensione delle seguenti norme del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, attuativo della disciplina di riordino in materia sanitaria[13]:

 

-         articolo 8-quater, comma 7, in materia di richiesta di accreditamento da parte di nuove strutture o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti.

 

Per tali casi, si ricorda, l’accreditamento può essere concesso, in base alle modalità adottate con D.M. Salute 19 dicembre 2022, secondo la qualità ed i volumi dei servizi da erogare, nonché sulla base dei risultati dell’attività eventualmente già svolta, tenuto altresì conto degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie e degli esiti delle attività di controllo, vigilanza e monitoraggio per la valutazione delle attività erogate in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza.

 

-         articolo 8-quinquies, comma 1-bis, come modificato dall’articolo 15 della L. n. 118/2022 (Legge annuale per la concorrenza 2021), prevedendo il termine del 31 dicembre 2024 per l’adeguamento dei rispettivi ordinamenti alle specifiche innovazioni introdotte dalla citata legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, da parte di Regioni e province autonome (v. anche box).

 

Si ricorda in proposito che la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (L. 118/2022) ha introdotto specifiche innovazioni in materia di revisione e trasparenza dell’accreditamento e del convenzionamento delle strutture e dei soggetti privati, inserendo l’articolo 8-quinquies nel D. Lgs. n. 502/1992. Il comma 1-bis di tale articolo prevede che la stipula degli accordi contrattuali avvenga mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione da parte delle regioni di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, che valorizzino prioritariamente la qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare. La selezione deve essere effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche delle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete in convenzionamento e, per i soggetti già titolari di accordi contrattuali, dell’attività svolta; a tali fini si tiene conto altresì dell’effettiva alimentazione in maniera continuativa e tempestiva del fascicolo sanitario elettronico (FSE) ai sensi della normativa vigente in materia[14], nonché degli esiti delle attività di controllo, vigilanza e monitoraggio per la valutazione delle attività erogate, le cui modalità sono definite con il decreto ministeriale[15] previsto dall’articolo 8-quater, comma 7 dello stesso d. lgs. 502/1992 (comma modificato a sua volta dalla L. 118/2022).

 

-         D.M. Salute 19 dicembre 2022, adottato ai sensi dell’articolo 8-quater, comma 7, del predetto d.lgs. n. 502/1992 (v. ante). In base all’articolo 5, comma 1, del citato decreto, le regioni e le province autonome adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni di cui all’art. 8-quater, comma 7 e all’art. 8-quinquies, comma 1-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 entro il termine di nove mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, pubblicazione avvenuta nella G.U. n. 305 del 31 dicembre 2022. Successivamente, tale termine è stato prorogato al 31 marzo 2024 dal D.M. 26 settembre 2023[16].

 

Peraltro, l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, dei professionisti sanitari e delle organizzazioni, pubbliche e private, autorizzate per l’erogazione di cure domiciliari è sospeso[17] in caso di mancata stipulazione di accordi (nel caso dei summenzionati soggetti pubblici) o di accordi contrattuali (nel caso dei summenzionati soggetti privati). L’accreditamento istituzionale è subordinato, a sua volta, al rilascio dell’autorizzazione, la quale concerne la realizzazione di strutture e l’esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie, con regime di autorizzazione disciplinato dall’articolo 8-ter del citato d.lgs. n. 502/1992, e successive modificazioni.

 

La norma precisa, infine, che la sospensione è prevista fino agli esiti delle attività del Tavolo di lavoro per lo sviluppo e l’applicazione del sistema di accreditamento nazionale (TRAC) che saranno sottoposti ad apposita intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni e province autonome, fissando il termine di sospensione in ogni caso entro e non oltre il termine del 31 dicembre 2026.

 

Il Tavolo è volto alla definizione del cronoprogramma di adeguamento ai criteri, ai requisiti e alle evidenze del Disciplinare tecnico e all’individuazione dei criteri per il funzionamento degli organismi tecnicamente accreditanti (approvati con l’Intesa Stato-Regioni del 19.02.2015[18]), ed in particolare ad effettuare il monitoraggio periodico del percorso di adeguamento delle normative delle Regioni e delle Province autonome in materia di accreditamento istituzionale. Si sottolinea che l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) cura la tematica dell’accreditamento istituzionale (v. qui approfondimento) come strumento di promozione del miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie, oltre che dell’efficacia e dell’appropriatezza nella pratica clinica e nelle scelte organizzative.

Il sopra citato D.M. Salute 19 dicembre 2022 è stato emanato anche a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 15 della legge n. 118 del 2022 (legge annuale Concorrenza 2021) che ha inserito il comma 1-bis nell’art. 8-quinquies del D.Lgs 502/1992, attuativo del riordino della disciplina in materia sanitaria. Il decreto ha, in particolare, definito le modalità di valutazione in termini di qualità, sicurezza e appropriatezza delle attività erogate, da applicarsi in caso di richiesta di accreditamento di nuove strutture pubbliche e private o per l’avvio di nuove attività in strutture preesistenti (art. 2) e per la selezione dei soggetti privati ai fini della stipula degli accordi contrattuali (art. 3).

Si ricorda che gli ambiti modificati dal predetto comma 1-bis della legge di concorrenza 2021 riguardano più specificamente:

a) la disciplina sull’accreditamento istituzionale - da parte della regione - relativo a nuove strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, o a nuove attività in strutture preesistenti; tale novella, tra l’altro, sopprime la possibilità di un accreditamento provvisorio, con specifica integrazione dei criteri per l’accreditamento;

b) la disciplina sulla selezione dei soggetti privati - strutture sanitarie e socio-sanitarie, professionisti sanitari, organizzazioni autorizzate per l’erogazione di cure domiciliari -, titolari del suddetto accreditamento, ai fini della stipulazione degli accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale; la novella, tra l’altro, introduce la previsione di una selezione periodica, basata su criteri oggettivi, indicati in un avviso della regione - criteri in ogni caso conformi ai princìpi posti dalla medesima novella;

c) il mancato adempimento, nel termine indicato dalla relativa disciplina, degli obblighi di alimentazione del fascicolo sanitario elettronico (FSE), che costituisce grave inadempimento degli obblighi assunti mediante la stipulazione dell’accordo (tra il Servizio sanitario e una struttura pubblica o privata);

d) la materia di sanità integrativa, con riferimento alle prestazioni che possono essere erogate da parte dei fondi integrativi in senso stretto del Servizio sanitario nazionale - cosiddetti “fondi doc”-; all’istituzione dell’osservatorio sulle varie forme di sanità integrativa; e al monitoraggio da parte del Ministero della salute sulle medesime forme. Viene inoltre integrata la disciplina sugli obblighi di pubblicazione, sul sito internet istituzionale, relativi agli enti, aziende e strutture, pubblici e privati, che erogano prestazioni con accreditamento istituzionale da parte del Servizio sanitario nazionale, con pubblicazione anche dei bilanci certificati e dei dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull’attività medica svolta.

 


Articolo 37
(Disposizioni in materia di buoni pasto)

 

 

L’articolo 37, introdotto dalla Camera, reca disposizioni volte all’estensione del limite del 5% alle commissioni a carico degli esercenti (previsto dal Codice dei contratti pubblici) a tutti gli accordi, comunque denominati, stipulati dalle imprese che emettono i buoni pasto, in forma cartacea o elettronica, e gli esercenti (comma 1). Viene altresì stabilito che le clausole contrattuali contrarie sono nulle (comma 2). Tali disposizioni si applicano immediatamente agli esercenti non vincolati da alcun accordo, oppure a decorrere dal 1° settembre 2025 in caso di accordi in essere (comma 3). Sono inoltre recate disposizioni finalizzate a regolare i buoni pasto emessi entro il 1° settembre 2025 e a consentire il recesso alle imprese emittenti, per i contratti in corso, senza indennizzi o oneri (comma 4).

 

Il comma 1 reca disposizioni volte all’estensione, per i buoni pasto cartacei o elettronici, del limite del 5% alle commissioni a carico degli esercenti, previsto dall’art. 131, comma 5, lettera c), del d.lgs. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici).

 

L’art. 131, comma 5, del d.lgs. 36/2023, dispone che l’affidamento dei servizi sostitutivi di mensa avviene esclusivamente con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo. Lo stesso comma dispone inoltre che il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell’offerta pertinenti. Tra tali criteri, compare quello contemplato dalla lettera c), che prevede “lo sconto incondizionato verso gli esercenti, in misura non superiore al 5 per cento del valore nominale del buono pasto. Tale sconto incondizionato remunera altresì ogni eventuale servizio aggiuntivo offerto agli esercenti”.

 

Nel dettaglio, il comma in esame stabilisce che la norma recata dall’art. 131, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici, si applica a tutti gli accordi (cioè non solo quelli disciplinati dal citato articolo, ma anche quelli che non rientrano nell’ambito di applicazione del medesimo articolo 131), comunque denominati, stipulati dalle imprese che emettono i buoni pasto, in forma cartacea o elettronica, e gli esercenti.

Lo stesso comma dispone che, conseguentemente, tali accordi prevedono, quale corrispettivo richiesto agli esercenti da parte delle imprese emittenti i buoni pasto, un importo, che remunera anche ogni eventuale servizio aggiuntivo offerto agli esercenti, non superiore al 5% del valore nominale del buono pasto.

La finalità del comma in esame – evidenziata nel comma medesimo – è quella di assicurare una regolamentazione omogenea e di garantire condizioni che implementino lo sviluppo concorrenziale del mercato e il rispetto dei principi di parità di trattamento, ragionevolezza, equità e utilità sociale.

 

Si fa notare che la disposizione recata dal comma in esame recepisce quanto richiesto con l’ordine del giorno G/1138/8/9 (testo 2) accolto dal Governo nella seduta del 3 luglio 2024 della 9ª Commissione del Senato.

La necessità di estendere anche al settore privato le regole già previste per le gare pubbliche dal succitato art. 131, comma 5, lettera c), del d.lgs. 36/2023, è stata evidenziata nel documento trasmesso da FederDistribuzione nel corso delle audizioni svolte nell’ambito dell’esame alla Camera. In tale documento viene infatti sottolineato che “l’attuale sistema è oggi ancora caratterizzato da gravi elementi distorsivi, in netto contrasto con i principi di un mercato corretto, competitivo ed efficiente. Infatti, il primo paradosso sta nel fatto che chi richiede un servizio (ossia il datore di lavoro, che acquista i buoni pasto per offrire un servizio sostitutivo di mensa ai propri dipendenti) ottiene uno sconto; chi eroga questo servizio (ossia l’esercente convenzionato) deve pagare onerose commissioni alle società emettitrici dei buoni, le quali devono necessariamente rientrare dalle scontistiche esorbitanti concesse a monte ai datori di lavoro. Pertanto, le conseguenze economiche di un accordo commerciale che intercorre esclusivamente tra due soggetti (società emettitrice e datore di lavoro), ricadono su un terzo (esercente) del tutto estraneo a tale accordo e che non ha alcun potere di intervento negoziale (salvo l’uscita dalla rete degli esercizi convenzionati, con grave danno per le sue attività)”. Nel medesimo documento redatto da FederDistribuzione viene altresì evidenziato che “la gestione dei buoni pasto presenta inoltre ulteriori rilevanti criticità sotto il profilo concorrenziale” (si rinvia in proposito al documento medesimo).

Ulteriori considerazioni sulle disposizioni recate dall’art. 131 del Codice dei contratti pubblici si ritrovano nel documento trasmesso all’8a Commissione del Senato dall’ANSEB (Associazione Nazionale delle Società Emettitrici di Buoni Pasto) nel febbraio 2023, nell’ambito dell’esame dello schema del Codice (atto del Governo n. 19)

 

Il comma 2 dispone che le clausole contrattuali contrarie alle disposizioni del comma 1 sono nulle e sono sostituite di diritto da quanto previsto dal medesimo comma.

 

Il comma 3 disciplina l’applicabilità delle disposizioni recate dai commi precedenti, stabilendo che le stesse si applicano:

a) immediatamente, vale a dire a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, nei confronti degli esercenti che alla medesima data non sono vincolati da alcun accordo con imprese emittenti

b) a decorrere dal 1° settembre 2025 anche agli accordi in essere alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Il comma 4, per consentire un equilibrato riallineamento delle pattuizioni contrattuali che legano l’impresa emittente ai committenti datori di lavoro, reca disposizioni finalizzate a regolare i buoni pasto emessi entro il 1° settembre 2025 e a consentire il recesso alle imprese emittenti, per i contratti in corso, senza indennizzi o oneri. Più precisamente il comma in esame prevede che:

a) per i buoni pasto emessi entro il 1° settembre 2025 continuano ad applicarsi le condizioni concordate con gli esercenti prima della data di entrata in vigore della presente legge, in deroga al comma 3, lettera b), del presente articolo, comunque non oltre il 31 dicembre 2025;

b) fatta salva la rinegoziazione, le imprese emittenti, a decorrere dal 1° settembre 2025, possono recedere dai contratti già conclusi con i committenti datori di lavoro, senza indennizzi o oneri, in deroga all’articolo 1671 del codice civile.

 

Si ricorda che l’art. 1671 c.c. dispone che “il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”.

 


Articolo 38
(Disposizioni per la reciprocità nel sistema degli emoderivati)

 

 

L’articolo 38, introdotto dalla Camera, novella la normativa vigente sulle condizioni per la stipula di convenzioni con le aziende, da parte delle regioni e delle province autonome, ai fini della lavorazione del plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati. La disciplina vigente richiede che le predette aziende si avvalgano di stabilimenti ubicati in Stati membri dell'Unione europea o in Stati terzi che siano parte di accordi di mutuo riconoscimento con l'Unione europea e che nello Stato sede dello stabilimento sia previsto che il plasma ivi raccolto possa provenire esclusivamente da donatori volontari non remunerati. La novella in esame pone, in via aggiuntiva, la condizione che, secondo la disciplina dello Stato sede dello stabilimento, il plasma ivi raccolto sia lavorato in regime di libero mercato.

 

Più in dettaglio, l’articolo 15, comma 3, della L. n. 219/2005[19] (oggetto di novella), che ha riformato la disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati, prevede che, ai fini della stipula delle convenzioni con le regioni e le province autonome per la lavorazione del sangue raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati dotati di AIC (autorizzazione al commercio), le aziende produttrici di medicinali emoderivati si devono avvalere di stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione che presentino, in via congiunta, i seguenti requisiti: siano ubicati in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi che siano parte di accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea; siano ubicati in Stati il cui ordinamento richieda che il plasma raccolto nel relativo territorio provenga esclusivamente da donatori volontari non remunerati. La presente novella pone, in via aggiuntiva, la condizione che, secondo la disciplina dell’ordinamento statale estero, il plasma ivi raccolto è lavorato in regime di libero mercato.

Si ricorda che tali stabilimenti esteri devono essere autorizzati alla lavorazione, frazionamento del plasma e produzione di medicinali emoderivati dalle rispettive autorità nazionali competenti, secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni nazionali e dell’Unione europea.

Si ricorda altresì che ai fini dell’AIC dei medicinali derivati da donazioni di plasma umano raccolto in Italia, viene concesso un periodo transitorio in cui i titolari dell’AIC sono tenuti a presentare, in prima istanza, almeno le informazioni essenziali necessarie per la valutazione dell’origine, della qualità e della sicurezza del plasma nazionale utilizzato per la produzione di farmaci plasmaderivati. Tale contesto regolatorio è definito dal decreto ministeriale 12 aprile 2012 “Modalità transitorie per l’immissione in commercio dei medicinali emoderivati prodotti dal plasma umano raccolto sul territorio nazionale” che disciplina l’importazione ed esportazione del sangue umano e dei suoi prodotti.

 

 


Capo IV – Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

 

 

Articolo 39
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 39, modificato dalla Camera, reca le disposizioni finanziarie per assicurare la copertura del provvedimento.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che dall’attuazione delle disposizioni recate dal Capo I, Capo II e Capo III del provvedimento – salvo quanto previsto al successivo comma 2 – non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le relative attività sono svolte nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 2 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle seguenti norme:

§  articolo 31, comma 2, lett. b), che eleva dal 50 al 65 per cento, a decorrere dal 1° gennaio 2025, la percentuale della detrazione per gli investimenti nel capitale sociale di una o più start-up;

§  articolo 32, che introduce un contributo sotto forma di credito di imposta in favore degli incubatori certificati.

Gli oneri derivanti dall’articolo 31, comma 2, lett. b), sono quantificati in 12,7 milioni di euro per l’anno 2026 e in 7,2 milioni a decorrere dall’anno 2027. Gli oneri derivanti dall’articolo 32 sono quantificati in 1,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025.

A tali oneri si provvede:

a)      quanto a 1,8 milioni a decorrere dal 2025, mediante l’utilizzo delle risorse stanziate nel Fondo speciale di conto capitale, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, allo scopo utilizzando parzialmente l’accantonamento relativo al Ministero delle imprese e del made in Italy;

b)     quanto a 12,7 milioni per l’anno 2026 e a 7,2 milioni annui a decorrere dal 2027, mediante corrispondente utilizzo di quota delle maggiori entrate derivanti dagli articoli 28, comma 1, lett. b) (che restringe i criteri di individuazione delle start up innovative, escludendo che le stesse possano svolgere attività prevalente di agenzia e consulenza) e 31 (che delimita l’ambito di applicazione degli incentivi all’investimento in start up innovative).


Articolo 40
(Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 40 dispone l’entrata in vigore della legge il giorno seguente la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

L’articolo 40 prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 73, comma terzo della Costituzione, le leggi sono pubblicate subito dopo la loro promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e, di norma, entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse non dispongano un termine diverso.

 



[1] Per quanto riguarda gli affidamenti in house, la legge deve:

- richiedere una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vietare l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house senza tale verifica;

- conferire all’ART strumenti e poteri adeguati per tali verifiche e il sostegno (giuridico) dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);

- includere l’installazione di un numero minimo di colonnine di ricarica elettrica tra i criteri di aggiudicazione delle nuove concessioni autostradali.

Quanto alla risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesti al concessionario e un’equa compensazione per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge.

[2]     L’art. 108 del d.lgs. 36/2023 disciplina i criteri di aggiudicazione degli appalti. In particolare il comma 4 dispone, tra l’altro, che “i documenti di gara stabiliscono i criteri di aggiudicazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto. In particolare, l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto. La stazione appaltante, al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici”.

[3]     L’art. 822 c.c. dispone, tra l’altro, che le strade e le autostrade, se appartengono allo Stato, fanno parte del demanio pubblico.

[4]     Attraverso in particolare:

1.   la tenuta e la gestione, senza oneri a carico dei soggetti tenuti all’iscrizione, ivi compresi i diritti di segreteria a carico delle imprese, del registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro;

2.   la collaborazione per la realizzazione del sistema di certificazione delle competenze acquisite in contesti non formali e informali e nell’ambito dei percorsi di alternanza scuola-lavoro;

3.   il supporto all’incontro domanda-offerta di lavoro, attraverso servizi informativi per facilitare l’accesso delle imprese ai servizi dei Centri per l’impiego, in raccordo con l’ANPAL;

4.   il sostegno alla transizione dalla scuola e dall’università al lavoro, attraverso l’orientamento e lo sviluppo di servizi, in particolare telematici, a supporto dei processi di placement svolti dalle Università;

[5]     Queste attività sono limitate a quelle strettamente indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali del sistema camerale e non possono essere finanziate al di fuori delle previsioni di cui all’articolo 18 comma 1 lettera b) della Legge n. 580/1993 (proventi derivanti dalla gestione di attività e dalla prestazione di servizi e quelli di natura patrimoniale).

[6]     Ai sensi del comma 197 dell’articolo 2 della legge, lo svolgimento delle attività di verifica dell’Ufficio prezzi può essere disciplinato da convenzioni non onerose stipulate fra le camere di commercio, i comuni e gli altri enti interessati e la prefettura-ufficio territoriale del Governo, che individuano anche le modalità di rilevazione e di messa a disposizione dei consumatori, anche in forma comparata, delle tariffe e dei prezzi rilevati.

[7]     Le Camere fanno fronte con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente (comma 203). Sul sito del MISE è pubblicato l’elenco dei Responsabili degli uffici prezzi delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

[8]     Con il d.lgs. Lgt. 21 settembre 1944, n. 315, i Consigli e gli Uffici provinciali dell’economia, già istituiti, vennero soppressi ed in ogni capoluogo di provincia venne ricostituita una Camera di commercio, industria e agricoltura e un Ufficio provinciale del commercio e dell’industria. Tale decreto ha disposto che la Camera di commercio «esercita le funzioni e i poteri demandatile dalla legge, sinora attribuiti ai soppressi consigli dell’economia» (art. 2).

[9]     ARERA precisava come si trattasse di numeri puramente indicativi: il peso effettivo della componente di commercializzazione sulla spesa totale delle famiglie varia, infatti, in funzione del livello dei prezzi della materia prima e dei consumi.

[10]   Per il dossier del Servizio Studi relativo al D.L. n. 179/2012 si rimanda al seguente link.

[11]   I criteri per la semplificazione e il riordino del SUAP sono stati i seguenti (articolo 38, co. 3) :

•     rendere il SUAP l’unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti la sua attività produttiva al fine di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le PP.AA. comunque coinvolte nel procedimento, non solo con riferimento alle procedure e alle formalità per i prestatori di servizi di cui alla “Direttiva servizi”, ma anche con riferimento alla realizzazione e alla modifica di impianti produttivi di beni e servizi. In questi termini, dunque, la portata dell’intervento è stata più ampia di quella prescritta dal legislatore europeo (lett. a) e b), comma 3);

•     assicurare, anche attraverso apposite misure telematiche, il collegamento tra le attività relative alla costituzione dell’impresa e alla attività produttiva della stessa (lett. c), comma 3);

•     la possibilità di affidare a soggetti privati accreditati, le «Agenzie per le imprese», l’attestazione della sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione, la trasformazione, il trasferimento e la cessazione dell’esercizio dell’attività di impresa. Se si tratta di procedimenti che comportano attività discrezionale dell’Amministrazione, le Agenzie svolgono unicamente attività istruttorie in luogo e a supporto dello sportello unico; negli altri casi, la loro dichiarazione di conformità costituisce titolo autorizzatorio per l’esercizio dell’attività;

•     l’attività di impresa può essere avviata immediatamente nei casi in cui sia sufficiente la presentazione della SCIA allo sportello unico;

•     lo sportello unico, al momento della presentazione della dichiarazione attestante la sussistenza dei requisiti previsti per la realizzazione dell’intervento, rilascia una ricevuta che, in caso di SCIA, costituisce titolo autorizzatorio;

•     per i progetti di impianto produttivo eventualmente contrastanti con gli strumenti urbanistici, sono previsti trenta giorni per il rigetto o la formulazione di osservazioni ostative, ovvero per l’attivazione della conferenza di servizi per la conclusione certa del procedimento;

•     in caso di mancato ricorso alla conferenza di servizi, scaduto il termine previsto per le altre amministrazioni per pronunciarsi sulle questioni di loro competenza, l’amministrazione procedente conclude in ogni caso il procedimento prescindendo dal loro avviso.

[12]   In particolare, nella decisione di esecuzione del Consiglio (CID) relativa all’approvazione del PNRR sono state raggruppate le procedure statali e regionali anche nei seguenti settori:

1.   le autorizzazioni ambientali, le energie rinnovabili e l’economia verde;

2.   le licenze edilizie e la riqualificazione urbana;

3.   le infrastrutture digitali;

4.   le procedure commerciali.

      Nella CID inoltre sono stati annoverati altri settori critici quali:

1.   il diritto del lavoro e la sicurezza sociale;

2.   il turismo;

3.   l’agroalimentare.

      Infine, tale milestone raggruppa le procedure statali e regionali nei seguenti settori principali:

1. autorizzazioni ambientali ed energetiche;

2. edilizia e riqualificazione urbana;

3. infrastrutture digitali;

4. procedure commerciali;

5. altre procedure.

[13]   Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.

[14]   Articolo 12 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

[15]   Si veda il D.M. 19 dicembre 2022, recante “Valutazione in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza delle attività erogate per l’accreditamento e per gli accordi contrattuali con le strutture sanitarie”, pubblicato nella G.U. n. 305 del 31 dicembre 2022.

[16]   Proroga dei termini di cui all’art. 5, comma 1, del decreto 19 dicembre 2022, concernente «Valutazione in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza delle attività erogate per l’accreditamento e per gli accordi contrattuali con le strutture sanitarie», pubblicato nella G.U. 29 settembre 2023, n. 228.

[17]   Ai sensi del comma 2-quinquies del citato articolo 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992.

[18]   Rep. atti n. 32/CSR.

[19]   Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati.