Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023
Riferimenti: AC N.2022/XIX
Serie: Progetti di legge   Numero: 348
Data: 24/09/2024
Organi della Camera: X Attività produttive, VIII Ambiente

 

 

Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023

 

A.C. 2022

 

 

24 settembre 2024

 

 

 

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Dossier n. 355

 

 

 

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Progetti di legge n. 348

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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AP0154.docx

 


I N D I C E

 

 

Premesse

La disciplina della legge annuale per il mercato e la concorrenza.................. 3

La disciplina della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, le riforme previste dal PNRR e le segnalazioni dell’AGCM.................................................................. 6

Capo I – Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

Sezione I: Finalità E Ambito Di Applicazione

Articolo 1 (Ambito di applicazione, finalità e definizioni)............................ 17

Sezione II: Aggiudicazione delle concessioni autostradali

Articolo 2 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)................. 22

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali).......... 23

Articolo 4 (Bando di gara e criteri di aggiudicazione)................................. 25

Sezione III: Affidamenti in house

Articolo 5 (Affidamento in house delle concessioni autostradali)............... 27

Sezione IV: Contratto di concessione

Articolo 6 (Oggetto del contratto di concessione).......................................... 31

Articolo 7 (Criteri di remunerazione della concessione).............................. 35

Articolo 8 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)....................... 36

Articolo 9 (Approvazione e aggiornamento delle convenzioni di concessione e dei relativi piani economico-finanziari)........................................................................................ 39

Articolo 10 (Durata delle concessioni)............................................................ 43

Articolo 11 (Estinzione del contratto di concessione)................................... 45

Sezione V: Tariffe autostradali e piano degli investimenti

Articolo 12 (Tariffe autostradali e piano degli investimenti)....................... 49

Articolo 13 (Pianificazione e programmazione degli investimenti autostradali) 52

Sezione VI: Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali in essere

Articolo 14 (Disposizioni applicabili alle concessioni in essere)................ 53

Articolo 15 (Esternalizzazione delle concessioni autostradali).................... 55

Sezione VII: Disposizioni finali

Articolo 16 (Disposizioni di coordinamento normativo)............................... 57

Capo II – Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

Articolo 17 (Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi)) 58

Articolo 18 (Attività di rilevazione degli usi commerciali)........................... 64

Articolo 19 (Misure per favorire la concorrenza nel settore assicurativo) 66

Articolo 20  (Sistema informativo antifrode per rapporti assicurativi non obbligatori)  71

Articolo 21 (Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2005,
n. 206)
................................................................................................................... 73

Articolo 22 (Disposizioni in materia di trasporto pubblico
non di linea)
......................................................................................................... 74

Articolo 23  (Delega al Governo in materia di strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi)................................................................................................. 85

Capo III – Disposizioni in materia di start-up

Articolo 24 (Modifiche alla definizione di start-up innovativa)................... 94

Articolo 25 (Misura transitoria definizione start-up innovativa)............... 103

Articolo 26 (Modifiche alla definizione di incubatore certificato)............ 104

Articolo 27  (Contributo sotto forma di credito di imposta in favore degli incubatori certificati)          110

Articolo 28 (Disposizioni per favorire l’investimento istituzionale nelle start-up innovative)          113

Articolo 29 (Disposizioni per favorire l’investimento privato nelle start-up innovative) 116

Capo IV – Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

Articolo 30 (Disposizioni finanziarie)........................................................... 118

Articolo 31 (Entrata in vigore)....................................................................... 119


Premesse

La disciplina della legge annuale per il mercato e la concorrenza

 

L’adozione della legge annuale per il mercato e la concorrenza – il cui fine e? rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori – e? disciplinata dall’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99.

Ai sensi del citato articolo 47, comma 2, il disegno di legge e? presentato ogni anno, entro sessanta giorni dalla data di trasmissione al Governo della relazione annuale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), ai sensi dell’articolo 23 della legge n. 287/1990, dal Governo stesso, su proposta del Ministro delle imprese del made in Italy, sentita la Conferenza unificata, tenendo conto anche delle segnalazioni eventualmente trasmesse dalla citata Autorità ai medesimi fini.

 

Le competenze di advocacy dell’AGCM

 

La presentazione della relazione annuale da parte dell’AGCM e? prevista dall’articolo 23 della legge n. 287/1990. Detta relazione, presentata al Presidente del Consiglio dei Ministri entro il 31 marzo di ogni anno, ha ad oggetto l’attività svolta nell’anno precedente; il Presidente del Consiglio dei Ministri la trasmetta a sua volta entro trenta giorni al Parlamento.

 

L’articolo 21 della citata legge n. 287/1990 dispone circa il potere di segnalazione dell’AGCM, prevedendo che l’Autorità, allo scopo di contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del mercato, individui i casi di particolare rilevanza nei quali norme di legge o di regolamento o provvedimenti amministrativi di carattere generale determinino distorsioni della concorrenza o del corretto funzionamento del mercato che non siano giustificate da esigenze di interesse generale. L’Autorità segnala le situazioni distorsive derivanti da provvedimenti legislativi al Parlamento e al Presidente del Consiglio dei Ministri e, negli altri casi, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Ministri competenti e agli enti locali e territoriali interessati. Ove ne ravvisi l’opportunità, esprime parere circa le iniziative necessarie per rimuovere o prevenire le distorsioni e può pubblicare le segnalazioni ed i pareri nei modi più congrui in relazione alla natura e all’importanza delle situazioni distorsive.

 

Con riguardo alla legge annuale per concorrenza per il 2023, l’AGCM ha presentato le sue proposte di riforma concorrenziale nel giugno 2023 (AS AS1893)

 

Infine, l’articolo 22 della legge n. 287/1990 prevede che l’AGCM possa esprimere pareri sulle iniziative legislative o regolamentari e sui problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato quando lo ritenga opportuno, o su richiesta di amministrazioni ed enti pubblici interessati. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere il parere dell’AGCM sulle iniziative legislative o regolamentari che abbiano direttamente per effetto:

a) di sottomettere l’esercizio di una attività o l’accesso ad un mercato a restrizioni quantitative;

b) di stabilire diritti esclusivi in certe aree;

c) di imporre pratiche generalizzate in materia di prezzi e di condizioni di vendita.

 

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 47 della legge n. 99/2009, il disegno di legge per il mercato e la concorrenza deve recare, in distinte sezioni:

 

a)  norme di immediata applicazione, al fine, anche in relazione ai pareri e alle segnalazioni dell’AGCM ed alle indicazioni contenute nelle relazioni annuali dell’Autorità medesima e delle altre autorità amministrative indipendenti, di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche con riferimento alle funzioni pubbliche e ai costi regolatori condizionanti l’esercizio delle attività economiche private, nonché di garantire la tutela dei consumatori;

b)  una o più deleghe al Governo per l’emanazione di decreti legislativi, da adottare non oltre centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge, al fine di rimuovere gli ostacoli all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori;

c)  l’autorizzazione all’adozione di regolamenti, decreti ministeriali e altri atti, per le medesime finalità;

d)  disposizioni recanti i princìpi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano le proprie competenze normative, quando vengano in rilievo profili attinenti alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione;

e)  norme integrative o correttive di disposizioni contenute in precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, con esplicita indicazione delle norme da modificare o abrogare.

 

L’articolo 47, comma 4, prevede, infine, che il Governo alleghi al disegno di legge una relazione di accompagnamento che evidenzi:

a)  lo stato di conformità dell’ordinamento interno ai princìpi comunitari in materia di libera circolazione, concorrenza e apertura dei mercati, nonché alle politiche europee in materia di concorrenza;

b)  lo stato di attuazione degli interventi previsti nelle precedenti leggi per il mercato e la concorrenza, indicando gli effetti che ne sono derivati per i cittadini, le imprese e la pubblica amministrazione;

c)  l’elenco delle segnalazioni e dei pareri dell’AGCM, espressi ai sensi degli articoli 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, indicando gli ambiti in cui non si e? ritenuto opportuno darvi seguito.

 

Pur a fronte delle disposizioni richiamate, va tuttavia rilevato che la disciplina dettata dalla legge n. 99/2009 non ha trovato costante applicazione, né quanto al rispetto della cadenza annuale né quanto al rispetto dell’organizzazione dei contenuti della legge sulla concorrenza.

Nel corso della XVI e della XVII legislatura e? stato presentato alle Camere un solo disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, il 3 maggio 2015 (C. 3012), approvato in via definitiva il 2 agosto 2017 (legge n. 124/2017).

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), tuttavia, si legge che “la sua cadenza annuale va assicurata, essendo essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangono vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico”. Il PNRR considera infatti la tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale.

Il medesimo Piano prevede, quindi, una serie di misure da adottare con l’approvazione delle leggi annuali per il mercato e la concorrenza riferite agli anni dal 2021 al 2024.

 

Ø  Alcune misure contemplate dal PRNN sono state approvate nell’ambito della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021, legge n. 118/2022.

Ø  Altre misure del PNRR sono state approvate con la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022, legge n. 214/2023.

 

 


 

La disciplina della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, le riforme previste dal PNRR e le segnalazioni dell’AGCM

 

Il 9 agosto 2024 il Ministro delle imprese e del made in Italy e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti hanno presentato il disegno di legge recante la legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023 (A.C. 2022).

 

I 31 articoli del disegno di legge sono raccolti nei seguenti 4 capi:

 

Capo I

Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

Sezione I

Finalità e ambito di applicazione

Articolo 1

Sezione II

Aggiudicazione delle

concessioni autostradali

Articoli 2-4

Sezione III

Affidamenti in house

Articolo 5

Sezione IV

Contratto di concessione

Articoli 6-11

Sezione V

Tariffe autostradali e piano degli investimenti

Articoli 12-13

Sezione VI

Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali

in essere

Articoli 14-15

Sezione VII

Disposizioni finali

Articolo 16

Capo II

Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

Articoli 17-23

Capo III

         

Disposizioni in materia di
start-up

Articoli 24-29

Capo IV

Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

Articoli 30-31

 

Tra gli obiettivi PNRR da conseguire entro il 31 dicembre 2024, figura l’adozione della legge annuale per la concorrenza 2023, la quale dovrà comprendere alcune misure relative al settore autostradale, tra cui la previsione di un quadro normativo per le concessioni autostradali, all’interno del quale rendere obbligatorio lo svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendo il rinnovo automatico.

 

Più precisamente – ai sensi del decisione di esecuzione del Consiglio relativa all’approvazione della valutazione del PNRR italiano (SWD (2021) 165 final) e delle modifiche al PNRR approvate con decisione di esecuzione del Consiglio l’8 dicembre 2023 (per un inquadramento complessivo di traguardi e obiettivi del PNRR, così come per un monitoraggio del relativo stato di attuazione, si rimanda all’apposito tema curato dal Servizio Studi della Camera) – entro il quarto trimestre del 2024, la legge annuale sulla concorrenza per il 2023 deve comprendere almeno le seguenti misure (M1C2-11):

 

 

Misura prevista dal PNRR

Articolo del disegno di legge

A.C. 2022

 

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DEI TRASPORTI/AUTOSTRADE

i) Riguardo all’accesso alle concessioni e alla risoluzione del contratto, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali e garantire livelli di servizio adeguati agli utenti della strada, fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE[1]

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali) e articolo 4 (Bando di gara e criteri di aggiudicazione) del disegno di legge A.C. 2022

 

migliorare l’efficienza delle procedure amministrative decisionali relative ai contratti di concessione

La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni recate dal capo I sono “volte ad assicurare il raggiungimento delle milestone fissate nel quadro del PNRR relative al riordino delle concessioni autostradali, allo scopo di realizzare un modello di maggiore efficienza in linea con la visione europea”

richiedere una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione

Articolo 6 (Oggetto del contratto di concessione) del disegno di legge A.C. 2022

imporre alle autorità concedenti di designare le concessioni per tratte autostradali, assegnate mediante procedura pubblica, tenendo conto delle stime di efficienza di scala e dei costi dei concessionari autostradali elaborate dall’Autorità di regolazione dei trasporti (ART)

Articolo 2 disegno di legge A.C. 2022 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

rafforzare i controlli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sui costi e sull’esecuzione delle infrastrutture stradali;

Articolo 8 disegno di legge A.C. 2022 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione, anche attraverso un sostanziale miglioramento dell’efficienza gestionale di tutte le procedure tecnico-amministrative connesse all’aggiornamento periodico dei piani economici e finanziari e alla loro attuazione annuale e attraverso il divieto di utilizzare le procedure disciplinate dall’articolo 193 del codice dei contratti pubblici per l’aggiudicazione di contratti di concessione autostradale scaduti o in scadenza

Articolo 3 (Modalità di affidamento delle concessioni autostradali) e Articolo 10 (Durata delle concessioni) del disegno di legge A.C. 2022

semplificare/chiarire la regolamentazione delle condizioni di risoluzione e di annullamento del contratto, anche al fine di mantenere un livello adeguato di contendibilità delle concessioni per i mercati interessati

Articolo 11 disegno di legge A.C. 2022 (Estinzione del contratto di concessione)

attuare tempestivamente e pienamente il modello di regolamentazione dei diritti di accesso adottato tenendo conto:

i) degli aggiornamenti periodici della pianificazione economica e finanziaria pluriennale dei concessionari (quale approvata dall’Autorità di regolamentazione competente)

ii) dell’introduzione annuale di tali piani

 

per la risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesto al concessionario e una compensazione ragionevole per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge

Articolo 11 disegno di legge A.C. 2022

 (Estinzione del contratto di concessione)

ii) Riguardo al modello regolamentare di tariffazione, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

imporre ai concessionari di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello regolamentare di tariffazione dell’ART per il calcolo dei canoni di accesso

 

imporre ai concessionari di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello normativo dell’ART in materia di prezzi e procedure di gara delle subconcessioni per la fornitura di servizi di ricarica di veicoli elettrici e di altri servizi

Articolo 8 disegno di legge A.C. 2022 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

i diritti di accesso devono incentivare gli investimenti e basarsi su una metodologia di price cap sostenuta da un’analisi comparativa trasparente dei costi dell’intero settore economico, secondo criteri chiari, uniformi e trasparenti

Articolo 12 disegno di legge A.C. 2022

 (Fissazione e aggiornamento delle tariffe autostradali)

iii) Riguardo ai diritti degli utenti, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati.

Articoli 4, 6 e 8 disegno di legge A.C. 2022

 

iv) Riguardo all’esternalizzazione dei lavori di costruzione, la legge annuale sulla concorrenza deve almeno:

stabilire, ai sensi dell’articolo 186, paragrafo 2, del decreto legislativo n. 36/2023, l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50% e il 60% dei contratti di lavori, servizi e forniture. Le quote sono calcolate in base agli importi dei piani economici e finanziari allegati ai documenti di concessione e tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche economiche del concessionario, della durata residua, dell’oggetto e del valore economico della concessione e dell’importo degli investimenti effettuati.

 

Articolo 15 disegno di legge A.C. 2022 (Esternalizzazione delle concessioni autostradali)

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DEL COLD IRONING

v) Entrata in vigore di incentivi normativi per l’utilizzo dei servizi di cold ironing nei porti

N.A.

DISPOSIZIONI CON RIGUARDO ALL’ELENCO DEI SOGGETTI ABILITATI

ALLA VENDITA DI GAS NATURALE A CLIENTI FINALI

vi) Precisare i criteri e i requisiti in materia di accesso e permanenza delle imprese nell’elenco dei soggetti abilitati alla vendita di gas naturale a clienti finali istituito dall’articolo 17 del decreto legislativo n. 164/2000, al fine di migliorare la trasparenza e favorire la scelta dei consumatori nei mercati concorrenziali

N.A.

DISPOSIZIONI NEL SETTORE DELLE ASSICURAZIONI

vii) Entrata in vigore degli atti necessari per consentire la portabilità dei dati delle scatole nere tra assicuratori

Articolo 19 disegno di legge A.C. 2022

(Disposizioni per favorire la concorrenza nel

settore assicurativo)

DISPOSIZIONI CON RIGUARDO ALL’AVVIO DI UN’ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE

viii) Riesame e aggiornamento della legislazione in materia di start-up, PMI innovative e capitale di rischio al fine di razionalizzare la legislazione esistente, rivedere la definizione di start-up e promuovere gli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali.

Articoli 24-29 disegno di legge A.C. 2022

 

Entro il 31 dicembre 2024 deve poi entrare in vigore tutto il diritto derivato (se necessario), compresi tutti i regolamenti necessari per l’efficace attuazione e applicazione di tutte le misure derivanti dalla legge annuale sulla concorrenza 2023 (M1C2-12).

 

 


 

Di seguito un prospetto riepilogativo delle nuove proposte formulate dall’AGCM ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2023, con l’indicazione della norma di recepimento vigente o contenuta nel disegno di legge in commento.

 

 

 

Proposta AGCM per la legge sulla concorrenza 2023

Articolo del disegno di legge

A.C. 2022

 

DISPOSIZIONI IN TEMA DI RIORDINO DELLE CONCESSIONI AUTOSTRADALI

Svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendo il rinnovo automatico dei contratti di concessione

 

Articoli 3 e 10 disegno di legge A.C. 2022. V. anche l’articolo 178, comma 5, del d.lgs. n. 36/2023 (Nuovo codice dei contratti pubblici) che ha disposto esplicitamente il divieto di proroga per le concessioni scadute.

Introduzione di un obbligo di esternalizzazione di parte dei contratti affidati senza gara.

Articolo 15 disegno di legge A.C. 2022. V. anche l’articolo 186, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 (Nuovo codice dei contratti pubblici) che ha disposto l’affidamento mediante procedura ad evidenza pubblica di una quota tra il 50 e il 60% dei contratti di lavori, servizi e forniture per i titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici già in essere alla data di entrata in vigore del codice, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea.

Limitazione dell’affidamento sotto il profilo oggettivo, con riguardo particolare all’ambito di estensione.

Articolo 2 disegno di legge A.C. 2022 (Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

Svolgimento delle gare per l’affidamento dei servizi di ricarica dei veicoli elettrici su tratte autostradali.

Articolo 8 disegno di legge A.C. 2022 (Schema di convenzione a base dell’affidamento)

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CAMERE DI COMMERCIO

 

Circoscrizione dell’attività e delle modalità di rilevazione di prezzi e tariffe, tramite circoscrizione dell’ambito di applicazione della normativa di cui all’articolo 2, comma 2, lett. c), della legge n. 580/1993, in materia di rilevazione dei prezzi e delle tariffe, a prodotti espressamente individuati per i quali tale attività si renda ancora effettivamente necessaria e proporzionata rispetto agli obiettivi di interesse generale.

Articolo 17 disegno di legge A.C. 2022 (Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi)

 

Introduzione di misure sanzionatorie a carico delle Camere di Commercio in caso di violazione della disposizione di cui all’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006, che prevede che i rappresentanti di categorie aventi interesse diretto nella specifica materia oggetto di rilevazione, non possano far parte dei Comitati tecnici istituiti per la rilevazione degli usi.

Articolo 18 disegno di legge A.C. 2022 (Attività di rilevazione degli usi commerciali)

 

DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ASSICURAZIONE PER LA RESPONSABILITÀ CIVILE AUTOVEICOLI

 

Intervento normativo per consentire la portabilità tra compagnie assicurative dei dati telematici registrati dalle scatole nere dei veicoli

Articolo 19 disegno di legge A.C. 2022 (Misure per favorire la concorrenza nel settore assicurativo)

 

 

 


 

La Commissione europea ha ripetutamente evidenziato – nelle relazioni relative all’Italia, inerenti la valutazione dei progressi del nostro Paese in materia di riforme strutturali, prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici (c.d. Country Report) – gli ostacoli alla crescita della produttività e agli investimenti in Italia, sottolineando la necessità di affrontare le restrizioni alla concorrenza, specialmente nel commercio al dettaglio e nei servizi alle imprese.

Le leggi annuali sulla concorrenza sono parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) italiano, condizione per accedere alle risorse europee. Nel 2022, il Parlamento ha approvato la Legge sulla concorrenza 2021, mirando a eliminare ostacoli in vari settori pubblici e privati.

Il Country report 2023 della Commissione ha riconosciuto i progressi, ma ha anche evidenziato criticità persistenti, in particolare nel settore dei servizi: l’Italia, nonostante sia ben integrata nel mercato unico europeo, mostra ancora livelli di restrittività superiori alla media UE in diverse professioni regolamentate e nel commercio al dettaglio. Inoltre, permangono preoccupazioni riguardo l’assegnazione di concessioni marittime, lacustri e fluviali per attività turistico-ricreative.

Il Country report 2024 prevede che la competitività dell’Italia riceverà una spinta da forti investimenti pubblici e dallo slancio delle riforme nell’ambito del PNRR. L’Italia è relativamente aperta al commercio extra-UE, sebbene più nei beni che nei servizi. I principali fattori di competitività includono i tassi più elevati di adozione delle tecnologie cloud da parte delle imprese italiane rispetto ai loro omologhi in altri Paesi, anche se il tasso di adozione dei big data e dell’IA è inferiore.

La combinazione di riforme e investimenti inclusi nel PNRR in pubblica amministrazione e appalti, giustizia, istruzione, mercato del lavoro, concorrenza, sanità, energia, digitalizzazione, ricerca e innovazione, mobilità sostenibile e inclusione sociale ha il potenziale per migliorare la competitività dell’Italia.

 

Permangono le seguenti sfide per la competitività:

 

• C’è margine per migliorare l’efficacia della pubblica amministrazione per renderla più reattiva alle esigenze di imprese e cittadini, per potenziare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, e per migliorare l’attuazione degli investimenti e delle riforme. La Commissione europea ricorda in particolare le azioni previste per il 2024 per ridurre i tempi di pagamento delle autorità pubbliche a 30 giorni, affrontando una sfida critica per le PMI e la partecipazione agli appalti pubblici.

 

• Necessità di migliorare l’ambiente imprenditoriale. Diversi fattori contribuirebbero: ridurre i tempi delle sentenze nel sistema giudiziario incentiverebbe gli investimenti, soprattutto dall’estero, aumentando la certezza giuridica. Secondo la Commissione europea, la riforma dell’amministrazione fiscale in Italia, parte del PNRR, mira a migliorare la competitività attraverso l’incoraggiamento della conformità fiscale, la riduzione dei costi di adempimento per i contribuenti, e il rafforzamento delle “lettere di compliance” per prevenire l’evasione fiscale. Un progetto pilota di dichiarazioni IVA precompilate per 2,3 milioni di contribuenti dovrebbe ridurre i costi di conformità, digitalizzare i contatti con l’amministrazione fiscale e migliorare le pratiche contabili.

 

• L’Italia necessita di potenziare ricerca, innovazione e investimenti nella forza lavoro. Il PNRR e i fondi UE stanno mobilitando risorse significative (11 miliardi dal PNRR, 9,5 miliardi dalla politica di coesione) per R&I, crescita delle PMI e competitività. Tuttavia, la Commissione europea evidenzia un divario tra l’Italia e i migliori performer UE nell’allocazione di risorse agli uffici di trasferimento tecnologico. Ricordando che il PNRR sostiene la finanza non bancaria, ma sono necessarie ulteriori azioni per facilitare il finanziamento delle imprese attraverso i mercati dei capitali, la Commissione europea suggerisce di a) rafforzare il legame tra ricerca e imprese, b) migliorare la governance di università ed enti di ricerca, c) collegare la ricerca a programmi di incubazione e venture capital, d) allineare le priorità di ricerca alle esigenze industriali

 

• La Commissione europea rileva poi che l’Italia è altamente esposta ai cambiamenti climatici, esacerbati dalle attività umane. L’impatto dei cambiamenti climatici rappresenta un elevato onere per le imprese italiane, il governo e gli assicuratori, ad esempio a causa delle infrastrutture danneggiate. Secondo l’ISPRA, nel 2021 sono stati consumati 21 ettari/giorno di suolo, il dato più alto in 11 anni, con un costo annuo per l’ecosistema del suolo stimato fino a 5 miliardi di euro. Su questo fronte, il PNRR include misure come investimenti per sostenere start-up e venture capital attivi nella transizione ecologica, per aumentare la competitività delle PMI nel settore agroalimentare e azioni per aumentare la resilienza della rete elettrica. La Commissione ricorda come proposte di legge sulla riduzione del consumo di suolo siano attualmente all’esame del Parlamento italiano.

 

• Secondo la Commissione europea, l’Italia sta avanzando nella realizzazione della rete nazionale di telecomunicazioni ultra-veloce e 5G, riducendo il divario digitale. Il PNRR destina 5,3 miliardi di euro per questo scopo. Secondo la Commissione europea sono però necessari sforzi significativi per completare i progetti nei tempi previsti dal PNRR.

 

Secondo la Commissione europea, diversi settori italiani sono ancora sovra-regolamentati e protetti dalla concorrenza. In particolare:

 

- Le restrizioni alla concorrenza sono particolarmente elevate nel settore del commercio al dettaglio. L’indicatore di restrittività del commercio al dettaglio 2022 della Commissione europea colloca l’Italia tra gli Stati membri più restrittivi, in particolare per l’apertura di negozi e la gestione di promozioni di vendita. Sebbene le misure passate abbiano rimosso restrizioni significative, le normative regionali e locali impongono ancora condizioni rigorose nel processo di autorizzazione. Le aziende non sono ancora libere di gestire le proprie promozioni di vendita e permangono restrizioni sulla distribuzione di alcuni prodotti, compresi i farmaci da banco. Ridurre queste restrizioni permetterebbe alle aziende di adattare il loro modello di business alle preferenze dei consumatori e affrontare la concorrenza online.

 

- Le barriere all’ingresso rimangono particolarmente elevate per le professioni regolamentate. Secondo la Commissione europea, il livello di restrittività in Italia è superiore alla media UE per ingegneri, architetti, commercialisti, agenti immobiliari e, in una certa misura, avvocati brevettuali. In particolare, è importante trovare un equilibrio tra la necessità di proteggere le piccole attività professionali nelle relazioni contrattuali con clienti con forte potere contrattuale, come banche e compagnie assicurative, e permettere alle aziende più produttive di prosperare. Rimuovere le regole di “equo compenso” aprirebbe il mercato a imprese più produttive che potrebbero fissare tariffe più basse per aumentare la loro quota di mercato.

 

- La transizione verde beneficerebbe di un settore ferroviario più dinamico e competitivo. Nonostante il successo della liberalizzazione del mercato nei servizi ferroviari ad alta velocità, esistono significative barriere al trasporto regionale e ai servizi intercity (a lunga percorrenza), dove i contratti di servizio pubblico continuano ad essere assegnati direttamente all’operatore storico. Ciò rimuove gli incentivi ad aumentare l’efficienza e migliorare la qualità del servizio. Una migliore supervisione normativa da parte del gestore dell’infrastruttura (RFI) potrebbe rafforzare le decisioni di investimento e la rimozione di diverse barriere tecniche potrebbe migliorare l’accesso all’infrastruttura ferroviaria. Ad esempio, alcune aree mancano della tecnologia standardizzata necessaria per accedere alle strutture di manutenzione.

 

European Commission, Retail Restrictiveness Indicator (2022 update). 

 


 

Capo I Disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali

Sezione I: Finalità E Ambito Di Applicazione

 

Articolo 1
(Ambito di applicazione, finalità e definizioni)

 

 

L’articolo 1 individua (al comma 1) le finalità a cui mirano le disposizioni del capo I della presente legge e definisce il campo di applicazione delle disposizioni medesime. Viene inoltre precisato (al comma 2) che tali disposizioni integrano la disciplina generale delle concessioni autostradali recata dal Codice dei contratti pubblici e sono fornite (al comma 3) le definizioni dei termini utilizzati negli articoli che compongono il capo I.

 

Ambito di applicazione (comma 1)

Il comma 1 dell’articolo in esame chiarisce che il capo I della presente legge (costituito dagli articoli da 1 a 16) reca disposizioni di riordino normativo in materia di:

- affidamento delle concessioni autostradali,

- semplificazione e razionalizzazione delle procedure amministrative relative all’approvazione e revisione dei piani economico e finanziari,

- specificazione dei criteri di risoluzione dei contratti di concessione.

 

Finalità (comma 1)

Il comma 1 precisa che l’intento a cui mirano le disposizioni del capo I è quello di rafforzare gli strumenti di governance in capo al concedente nel quadro di una regolamentazione orientata alle seguenti finalità:

- alla promozione di condizioni di effettiva concorrenzialità tra gli operatori del settore;

- alla garanzia della contendibilità delle concessioni autostradali per i mercati di riferimento;

- alla tutela della sostenibilità economica e finanziaria dello strumento concessorio;

- al potenziamento degli strumenti preventivi e successivi di incentivazione e verifica degli adempimenti;

- alla tutela di livelli adeguati di servizio e di investimento a favore degli utenti.

 

La relazione illustrativa sottolinea che le disposizioni recate dal capo I del presente disegno di legge sono “volte ad assicurare il raggiungimento delle milestone fissate nel quadro del PNRR relative al riordino delle concessioni autostradali (si rinvia in proposito all’approfondimento “Il settore autostradale e gli obiettivi previsti dal PNRR” riportato in calce alla presente scheda, n.d.r.), allo scopo di realizzare un modello di maggiore efficienza in linea con la visione europea, che concepisca la concessione quale strumento contrattuale in grado di garantire un’efficace collaborazione tra la parte pubblica e la parte privata. La riforma intende così modellare la concessione alle esigenze del mercato, assicurando la realizzazione degli interventi necessari e la prestazione di un servizio efficiente all’utenza”.

 

Disciplina delle concessioni autostradali (comma 2)

Il comma 2 precisa che alle concessioni autostradali si applicano le disposizioni di cui al Libro IV, Parte II, del decreto legislativo n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici), come integrate e specificate dalle disposizioni del presente Capo, che costituiscono norme speciali di settore.

In altri termini, come sottolineato dalla relazione illustrativa, le norme recate dal capo I rappresentano disposizioni speciali volte ad integrare la disciplina generale delle concessioni autostradali recata dal citato Libro IV del Codice dei contratti pubblici.

 

Definizioni (comma 3)

Il comma 3 reca le definizioni dei termini utilizzati negli articoli del capo I della presente legge, in relazione – come evidenziato dalla relazione illustrativa – “sia agli elementi soggettivi (ad esempio: Autorità nazionale anticorruzione; ente concedente; concessionari; società in house) che a quelli oggettivi (ad esempio: convenzione; piano economico-finanziario)”.

La relazione illustrativa sottolinea che “rileva, in particolare, ai fini dell’ambito di applicazione delle disposizioni di cui al presente capo, la definizione di ‘manutenzione ordinaria’ e ‘manutenzione straordinaria’, al fine di assicurare un’omogeneità nella classificazione delle attività che il concessionario autostradale è tenuto a svolgere”.

Ai sensi della lettera m) del comma in esame, con l’espressione “manutenzione ordinaria” si fa riferimenti a “gli interventi che riguardano opere di riparazione, ripristino, rinnovamento e sostituzione di parti delle infrastrutture e gli interventi necessari a integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”, mentre, in base alla successiva lettera n), con l’espressione “manutenzione straordinaria” ci si riferisce a “gli interventi di manutenzione che non rientrano tra quelli di manutenzione ordinaria, come definita alla lettera m), finalizzati anche all’innalzamento dei livelli di sicurezza dell’infrastruttura e della durabilità della stessa nel tempo”.

Degna di rilievo è inoltre la definizione, recata dalla lettera h), di “concessioni in essere”, che sono “le concessioni che non hanno esaurito, alla data di entrata in vigore della presente legge, il periodo di durata della concessione come disciplinato nella relativa convenzione ovvero le concessioni autostradali che rientrano nell’ambito di applicazione di cui all’articolo 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici”.

Il comma 5 dell’art. 178 del D.Lgs. 36/2023 dispone che la durata dei contratti di concessione non è prorogabile, salvo per la revisione prevista, dall’art. 192, “al verificarsi di eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili, ivi compreso il mutamento della normativa o della regolazione di riferimento, purché non imputabili al concessionario, che incidano in modo significativo sull’equilibrio economico-finanziario dell’operazione” (art. 192, comma 1). Lo stesso comma 5 dispone inoltre che i contratti aggiudicati senza gara (di cui all’articolo 186, comma 2, del Codice; tale comma prevede specifici obblighi per i titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici già in essere alla data di entrata in vigore del Codice, di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, e non affidate conformemente al diritto dell’UE vigente al momento dell’affidamento o della proroga) non sono in nessun caso prorogabili. Il comma 5 prevede altresì che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

Degna di nota è altresì la definizione di “tratte autostradali” che, in base alla lettera t), sono “le strade di cui all’articolo 2, comma 2, lettera A del Codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, soggette a pedaggio”.

L’articolo 2, comma 2, del Codice della strada, classifica le strade, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi: A - Autostrade; B - Strade extraurbane principali; C - Strade extraurbane secondarie; D - Strade urbane di scorrimento; E - Strade urbane di quartiere; ecc.

Il comma 3 dispone, tra l’altro, che le strade di cui al comma 2, lettera A, cioè le autostrade, devono avere le seguenti caratteristiche minime: “strada extraurbana o urbana a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile, ciascuna con almeno due corsie di marcia, eventuale banchina pavimentata a sinistra e corsia di emergenza o banchina pavimentata a destra, priva di intersezioni a raso e di accessi privati, dotata di recinzione e di sistemi di assistenza all’utente lungo l’intero tracciato, riservata alla circolazione di talune categorie di veicoli a motore e contraddistinta da appositi segnali di inizio e fine. Deve essere attrezzata con apposite aree di servizio ed aree di parcheggio, entrambe con accessi dotati di corsie di decelerazione e di accelerazione”.

 

Lo stato delle concessioni autostradali in Italia

La rete autostradale italiana ha una lunghezza di circa 7.016,4 km di tratte in esercizio, ed è gestita tramite rapporti concessori con società concessionarie pubbliche e private. ln particolare – come evidenziato nella relazione illustrativa al disegno di legge in esame – “la rete a pedaggio è gestita tramite 26 rapporti concessori e si sviluppa per 6.077,1 chilometri in esercizio, mentre la rete autostradale non a pedaggio è gestita dall’ANAS Spa e si estende per 939,3 chilometri in esercizio”. Inoltre “per la maggior parte della rete, il concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, mentre, per la restante parte, soggetti concedenti sono le Regioni Veneto ed Emilia-Romagna e la società ‘Concessioni Autostradali Lombarde S.p.A.’ (CAL) (società del Gruppo Anas partecipata per il 50% da Anas S.p.A. e per il restante 50% dall’Azienda Regionale per l’innovazione e gli Acquisti S.p.A. (ARIA), partecipata al 100% dalla Regione Lombardia e che opera secondo il modello dell’organismo in house)”.

Sempre secondo quanto evidenziato dalla relazione illustrativa, “nell’ambito delle concessioni autostradali per le quali il concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 17 scadranno nei prossimi 15 anni e per queste sarà necessario procedere ad un nuovo affidamento”.

Per approfondimenti, sia sullo stato della rete autostradale sia sulle disposizioni normative emanate in relazione alle autostrade nel corso della presente legislatura si rinvia al tema “Strade e autostrade“.

 

Gli obiettivi previsti per il settore autostradale dal traguardo M1C2-11 del PNRR

Tra gli obiettivi del traguardo M1C2-11 del PNRR (relativo alla legge annuale sulla concorrenza), da conseguire entro il 31 dicembre 2024, viene prevista l’adozione di una serie di misure relative al settore autostradale. Tra queste, la relazione illustrativa al presente disegno di legge segnala la previsione di un quadro normativo per le concessioni autostradali all’interno del quale rendere obbligatorio lo svolgimento delle gare per i contratti di concessione autostradale, impedendone il rinnovo automatico, nonché di misure in materia di affidamenti in house e risoluzione del contratto.

Nel dettaglio, l’allegato alla decisione di esecuzione del Consiglio dell’Unione europea del 5 dicembre 2023, che modifica la decisione di esecuzione del 13 luglio 2021, relativa all’approvazione della valutazione del piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, prevede una lunga serie di obiettivi (all’interno del citato traguardo M1C2-11), per il settore autostradale, raggruppati in quattro insiemi relativi:

i) all’accesso alle concessioni e alla risoluzione del contratto (in questo ambito viene previsto, in particolare, che la legge annuale sulla concorrenza deve “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali e garantire livelli di servizio adeguati agli utenti della strada, fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE” e “migliorare l’efficienza delle procedure amministrative decisionali relative ai contratti di concessione”;

ii) al modello regolamentare di tariffazione (in particolare viene richiesto, alla legge sulla concorrenza, di garantire la piena e tempestiva attuazione del modello dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti - ART);

iii) ai diritti degli utenti (in proposito viene previsto che la legge annuale sulla concorrenza deve almeno garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati);

iv) all’esternalizzazione dei lavori di costruzione (in proposito viene richiesto alla legge annuale sulla concorrenza di stabilire almeno “l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50 % e il 60 % dei contratti di lavori, servizi e forniture”).

Specifici obiettivi sono inoltre previsti in relazione agli affidamenti in house (in particolare viene previsto che la legge sulla concorrenza richieda una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vieti l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house in assenza di tale verifica).

 

Si fa notare che l’allegato alla citata decisione del 5 dicembre 2023 è stato sostituito dall’allegato alla decisione del 7 maggio 2024. Tuttavia la parte del testo del traguardo M1C2-11 relativa alle concessioni autostradali non ha subito modifiche.

 


 

Sezione II: Aggiudicazione delle concessioni autostradali

Articolo 2
(Ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali)

 

 

L’articolo 2 dispone che le concessioni autostradali affidate ai sensi delle norme del Capo I (artt. 1-16) della presente legge tengono conto degli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali individuati ai sensi dell’art. 37, comma 2, lettera g-bis) del decreto-legge n. 201/2011.

 

Si fa notare che la citata lettera g-bis), introdotta dall’art. 16, comma 2, lettera b), della presente legge, prevede, tra l’altro, che l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) definisce “gli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, allo scopo di promuovere una gestione plurale sulle diverse tratte e di stimolare la concorrenza per confronto”.

La relazione illustrativa evidenzia che, con la delibera 23 giugno 2016, n. 70, l’ART “ha avuto modo di chiarire che costituiscono ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, in assenza di significative economie di scala, quelli corrispondenti ad una estesa chilometrica non inferiore, per singola concessione, a 180 km, e tendenzialmente ricompresa nell’intervallo tra 180 e 315 km: ciò, in quanto, per estese chilometriche inferiori a 180 km, si registrerebbe la presenza di significative inefficienze di costo, mentre, per estese chilometriche superiori ad un valore nell’intorno di 315 km, non si rileverebbe la presenza di ulteriori significative economie di scala. In tal modo, si provvede a correggere un’inefficienza dell’attuale sistema di affidamento delle tratte, in quanto l’individuazione di un ambito ottimale di gestione consente di prevenire elevati valori di subentro, che incidono sulle condizioni economiche delle gare, e di migliorare le condizioni di bancabilità dei piani di investimento alla base delle concessioni, ossia della loro sostenibilità finanziaria”.

La stessa relazione sottolinea che l’articolo in esame si pone come direttamente attuativo dell’obiettivo previsto dalla milestone M1C2-11 del PNRR relativo alla necessità di “imporre alle autorità concedenti di designare le concessioni per tratte autostradali, assegnate mediante procedura pubblica, tenendo conto delle stime di efficienza di scala e dei costi dei concessionari autostradali elaborate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART)”.

 

 

 


 

Articolo 3
(Modalità di affidamento delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 3 stabilisce che l’ente concedente, cioè il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT), aggiudica le concessioni autostradali secondo procedure di evidenza pubblica (comma 1). Sono inoltre individuati (al comma 2) i casi in cui è invece consentito l’affidamento diretto ed è stabilito (al comma 3) il divieto di project financing per gli affidamenti delle concessioni scadute o in scadenza.

 

 

La regola generale: le procedure di evidenza pubblica (comma 1)

Il comma 1 stabilisce che l’ente concedente (cioè, come evidenziato dalla relazione illustrativa, il MIT, v. infra) aggiudica le concessioni autostradali secondo procedure di evidenza pubblica, nel rispetto delle disposizioni relative al bando di concessione recate dell’art. 182 del Codice dei contratti pubblici.

L’art. 182 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 36/2023) dispone che gli enti concedenti che intendono aggiudicare una concessione rendono nota tale intenzione per mezzo di un bando di concessione e disciplina i contenuti del bando stesso (anche mediante rinvio a quanto previsto dall’allegato IV.1 al Codice medesimo).

In relazione al ruolo di ente concedente svolto dal MIT, la relazione illustrativa ricorda che l’art. 36 del D.L. 98/2011 ha istituito presso il predetto Ministero l’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali al fine di attribuire alla stessa le funzioni di concedente in luogo di ANAS S.p.A. Tali funzioni , data la mancata costituzione dell’Agenzia, sono state trasferite al MIT e “sono oggi esercitate dalla Direzione generale per le strade e la sicurezza delle infrastrutture stradali, in relazione alla rete stradale, e dalla Direzione generale per le autostrade e la vigilanza sui contratti di concessione autostradale, in relazione alla rete autostradale, in virtù dell’articolo 4, commi 3, lettera a), e 4, lettera a), del regolamento di riorganizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 ottobre 2023, n. 186”.

 

Casi in cui è consentito l’affidamento diretto (comma 2)

Il comma 2 dispone che l’affidamento diretto di concessioni autostradali è consentito, nel rispetto delle procedure di cui al successivo articolo 5, esclusivamente nelle seguenti ipotesi:

a) affidamento alla società Autostrade dello Stato S.p.A., costituita ai sensi dell’art. 2, comma 2-sexies, del D.L. 121/2021;

Si ricorda che il richiamato comma 2-sexies prevede che, per l’esercizio dell’attività di gestione delle autostrade statali in regime di concessione mediante affidamenti in house, è autorizzata la costituzione di una nuova società, interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze e soggetta al controllo analogo del Ministero delle infrastrutture. Tale società, denominata Autostrade dello Stato S.p.A., è stata istituita, in attuazione del citato comma 2-sexies, con il D.P.C.M. 9 aprile 2024.

b) affidamento ad una società in house, diversa dalla società di cui alla lettera a), anche appositamente costituita, secondo quanto previsto dall’articolo 186, comma 7, del Codice dei contratti pubblici.

L’art. 186, comma 7, del Codice dispone che, in caso di concessione autostradale relativa ad un’autostrada che interessa una o più regioni, la concessione può essere affidata dal MIT a società in house di altre amministrazioni pubbliche anche appositamente costituite. A tal fine il controllo analogo sulla predetta società in house può essere esercitato dal MIT attraverso un comitato disciplinato da apposito accordo, che eserciti sulla società in house i relativi poteri.

 

Si fa notare che le disposizioni recate dai commi 1 e 2 dell’articolo in esame si pongono – come sottolinea la relazione illustrativa, richiamando anche le disposizioni recate dall’art. 4 – come direttamente attuative di specifici impegni contenuti nella M1C2-11. Tale traguardo richiede infatti che la legge sulla concorrenza debba “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali (…), fatta salva la modalità in house entro i limiti stabiliti dal diritto dell’UE”.

 

Divieto di project financing per gli affidamenti delle concessioni scadute o in scadenza (comma 3)

Il comma 3 stabilisce che l’ente concedente non può procedere agli affidamenti delle concessioni autostradali scadute o in scadenza facendo ricorso alle procedure di cui all’art. 193 del Codice dei contratti pubblici, ovverosia facendo ricorso al project financing.

La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame “persegue una ratio antielusiva del divieto di proroga delle concessioni autostradali contenuto nell’articolo 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, in quanto è finalizzata ad evitare che, in sede di primo riaffidamento delle concessioni autostradali, i concessionari autostradali uscenti possano avere una posizione di vantaggio di fatto, quali proponenti nel project financing, giovandosi del diritto di prelazione previsto dall’articolo 193, commi 4 e 8, del citato Codice”.

Si fa notare che la disposizione in esame recepisce quanto richiesto dal traguardo M1C2-11 (v. supra), secondo cui la legge sulla concorrenza deve “impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione, anche attraverso (…) il divieto di utilizzare le procedure disciplinate dall’articolo 193 del codice dei contratti pubblici per l’aggiudicazione di contratti di concessione autostradale scaduti o in scadenza”.

Articolo 4
(Bando di gara e criteri di aggiudicazione)

 

 

L’articolo 4 disciplina (al comma 1) il contenuto dei bandi di gara relativi agli affidamenti effettuati con procedure di evidenza pubblica, e (al comma 2) pone in capo al concedente, ai fini dell’aggiudicazione, alcuni importanti obblighi.

 

 

Contenuto del bando (comma 1)

Il comma 1 disciplina il contenuto dei bandi di gara relativi agli affidamenti di cui all’art. 3, comma 1 (cioè degli affidamenti con procedure di evidenza pubblica), prevedendo che tali bandi disciplinano, in particolare:

a) l’oggetto del contratto di concessione per i servizi di gestione e manutenzione ordinaria, nonché per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dal concedente nel bando di gara, sulla base delle disposizioni di cui all’art. 6;

b) i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziari dei concorrenti, secondo le disposizioni del Codice dei contratti pubblici;

c) le modalità di presentazione dell’offerta, che indica distintamente gli elementi qualitativi e di costo o di prezzo relativi ai servizi di gestione e manutenzione ordinaria, tenuto conto di quanto previsto dalla lettera a) del comma 2 (cioè della ricognizione dello stato manutentivo dell’infrastruttura), nonché alla progettazione e all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria;

d) il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo ai sensi dell’articolo 108, comma 4, del Codice dei contratti pubblici[2], finalizzato a garantire una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’ente concedente. I criteri di aggiudicazione indicano i maggiori punteggi da attribuire alle offerte in relazione ai livelli di servizio e alle prestazioni di cui all’articolo 8, comma 1, della presente legge e possono comprendere, tra l’altro, aspetti qualitativi ambientali e sociali connessi all’oggetto della concessione o relativi all’innovazione;

e) la durata massima del contratto di concessione, che non può comunque superare i quindici anni, come previsto dal successivo articolo 10, comma 1.

 

Obblighi del concedente ai fini dell’aggiudicazione (comma 2)

Il comma 2 dispone che, per l’aggiudicazione dei contratti di concessione, l’ente concedente:

a) pubblica in allegato al bando di gara la ricognizione dello stato manutentivo dell’infrastruttura, predisposta dall’ente concedente sulla base degli elementi forniti dal concessionario uscente e delle verifiche sull’infrastruttura effettuate in proprio o tramite l’ANSFISA, ai fini della formulazione di offerte corredate di un piano di manutenzioni ordinarie;

b) pone a base di gara per la progettazione e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati in coerenza con i criteri di cui all’articolo 13, comma 2, almeno un progetto di fattibilità redatto sulla base dell’articolo 41, comma 6, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

Si ricorda che l’articolo 41, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, indica i contenuti del progetto di fattibilità tecnico-economica. In particolare tale progetto, secondo quanto previsto dalla lettera a) di tale comma, “individua, tra più soluzioni possibili, quella che esprime il rapporto migliore tra costi e benefici per la collettività in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e alle prestazioni da fornire”. La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame si pone in coerenza con quanto previsto dall’articolo 185 del Codice dei contratti pubblici in tema di concessioni, in base al quale per l’aggiudicazione dei contratti di concessione “l’ente concedente pone a base di gara almeno un progetto di fattibilità”.

 

 

La relazione illustrativa sottolinea che l’articolo in esame, unitamente al precedente articolo 3, consente di attuare alcuni degli obiettivi del traguardo M1C2-11. In particolare il riferimento è alla richiesta che la legge annuale sulla concorrenza deve “rendere obbligatoria la gara d’appalto per i contratti di concessione per le autostrade e rafforzare l’applicabilità del quadro normativo per il rilascio delle concessioni autostradali”, nonché “richiedere una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione” e garantire “la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di livelli di servizio adeguati”.


 

Sezione III: Affidamenti in house

Articolo 5
(Affidamento in house delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 5 reca disposizioni per l’affidamento in house delle concessioni autostradali. In particolare viene disciplinata la procedura da seguire per l’affidamento in house, che si conclude con l’approvazione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, della proposta definitiva di convenzione.

 

 

Ragioni che giustificano il ricorso all’in house (comma 1)

Il comma 1 prevede che, ai fini dell’affidamento in house di una concessione autostradale, l’ente concedente effettua preventivamente la valutazione delle ragioni che giustificano il ricorso a tale modalità di affidamento ai sensi dell’art. 7, comma 2, del Codice dei contratti pubblici.

Il comma 2 dell’art. 7 del Codice dispone, in particolare, che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti:

- possono affidare direttamente a società in house lavori, servizi o forniture;

- adottano per ciascun affidamento “un provvedimento motivato in cui danno conto dei vantaggi per la collettività, delle connesse esternalità e della congruità economica della prestazione, anche in relazione al perseguimento di obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità della prestazione, celerità del procedimento e razionale impiego di risorse pubbliche”.

Procedura da seguire per l’affidamento in house (commi 2-6 e 8)

Fase 1 – Elaborazione della documentazione (commi 2, 3 e 8)

Il comma 2 dispone che “nelle ipotesi di cui al presente articolo” (cioè ai fini dell’affidamento in house), l’ente concedente predispone una proposta di convenzione, con il relativo PEF, elaborato sulla base del modello di tariffazione predisposto dall’ART, che viene sottoposta all’affidatario per la relativa sottoscrizione entro i successivi 30 giorni.

La relazione illustrativa chiarisce che la sottoscrizione in questione deve avvenire entro trenta giorni dalla ricezione della proposta.

Si tratta di una precisazione che non si desume chiaramente dal testo della disposizione in esame.

Si valuti pertanto l’opportunità di riformulare il comma in esame al fine di chiarire quanto evidenziato dalla relazione illustrativa.

 

Il comma 8 precisa che la proposta di convenzione è redatta nel rispetto delle disposizioni relative al contratto di concessione recate dalla Sezione IV (articoli 6-11), in quanto compatibili.

 

Il comma 3 dispone che la proposta di affidamento, motivata sulla base delle valutazioni del comma 1, e corredata della proposta di convenzione e del relativo PEF, sottoscritta da entrambe le parti, è tempestivamente trasmessa dall’ente concedente all’ART e all’ANAC.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di fissare un termine per la sottoscrizione della proposta di affidamento.

 

Fase 2 – Pareri di ART e ANAC (comma 3)

Il comma 3, oltre a quanto illustrato in precedenza, dispone che ART e ANAC esprimono i pareri di relativa competenza, sulla documentazione ad essi trasmessa (proposta di affidamento, corredata della proposta di convenzione e del relativo PEF), entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione.

Lo stesso comma precisa che tale termine può essere differito, su richiesta dell’autorità competente, di ulteriori 15 giorni per eventuali motivate esigenze istruttorie e integrazioni documentali.

 

Fase 3 – Adeguamento della documentazione (comma 4, primo periodo)

Il primo periodo del comma 4 dispone che la proposta di convenzione e il relativo PEF, adeguati alle prescrizioni contenute nei pareri espressi da ART e ANAC, sono tempestivamente trasmessi dall’ente concedente al Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (ClPESS) con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno della prima seduta disponibile.

 

Fase 4 – Esame del CIPESS (comma 4, secondo periodo)

Il secondo periodo del comma 4 prevede una sorta di silenzio-assenso, stabilendo che l’esame del CIPESS si intende svolto positivamente in caso di mancata deliberazione entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, fatta salva la possibilità di chiedere un differimento del termine di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie c integrazioni documentali.

 

Fase 5 – Approvazione della proposta definitiva di convenzione (commi 5-6)

Il comma 5 dispone che l’ente concedente, tenuto conto delle eventuali osservazioni del CIPESS, trasmette all’affidatario, entro i successivi 30 giorni, la proposta definitiva di convenzione (PDC), con il relativo PEF, ai fini della sua sottoscrizione.

La sottoscrizione della PDC deve avvenire entro 30 giorni dalla ricezione della stessa.

Il comma 6 stabilisce che la PDC, così sottoscritta, è approvata con decreto ministeriale adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Si valuti, al riguardo, l’opportunità di fissare un termine per l’emanazione del decreto ministeriale in questione.

 

Mancata sottoscrizione della proposta definitiva di convenzione (comma 7)

Il comma 7 disciplina il caso di mancata sottoscrizione della proposta definitiva di convenzione con il relativo PEF da parte dell’affidatario entro il termine fissato dal comma 5.

Tale termine – come sottolineato dalla relazione illustrativa – “è da intendersi perentorio”: nel caso di inutile decorso del termine, il comma 7 impone che si proceda a un nuovo affidamento ai sensi dell’articolo 3.

Aggiornamento o revisione delle convenzioni (comma 9)

Il comma 9 dispone che all’aggiornamento o alla revisione delle convenzioni e dei relativi PEF si procede, secondo le modalità di cui al presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del Codice dei contratti pubblici in merito alla modifica e alla revisione dei contratti di concessione.

 

La relazione illustrativa evidenzia che l’articolo in esame si pone come direttamente attuativo delle richieste relative agli affidamenti in house contenute nel traguardo M1C2-11.

Si ricorda in proposito che tale traguardo prescrive, per gli affidamenti in questione, che la legge sulla concorrenza deve:

- “richiedere una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vietare l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house in assenza di tale verifica;

- conferire all’Autorità per la regolamentazione dei trasporti (ART) strumenti e poteri adeguati per eseguire le verifiche summenzionate e il sostegno (giuridico) dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);

- imporre l’installazione di un numero minimo di punti di ricarica elettrica, la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci e il pieno rispetto del quadro normativo elaborato dall’ART per la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di adeguati livelli di servizio, come criteri di aggiudicazione per nuove concessioni autostradali”.

In relazione a tale ultimo punto si fa notare che tali aspetti sono disciplinati dagli articoli della sezione IV della presente legge, ai quali fa rinvio il comma 8 dell’articolo in esame (tale comma, lo si ricorda, dispone che la proposta di convenzione è redatta nel rispetto delle disposizioni di cui alla Sezione IV, in quanto compatibili).


 

Sezione IV: Contratto di concessione

Articolo 6
(Oggetto del contratto di concessione)

 

 

L’articolo 6 definisce l’oggetto del contratto di concessione autostradale, prevedendo che includa l’attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale (lettera a) del comma 1) nonché, in relazione ai progetti posti a base di gara, la progettazione di fattibilità tecnico-economica, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dalla convenzione di concessione e dai relativi aggiornamenti (lettera b) del comma 1).

Lo stesso articolo dispone che sono a carico del concessionario i rischi operativi e reca disposizioni volte a disciplinare le attività e le opere rispettivamente indicate dalle lettere a) e b) del comma 1.

 

 

Oggetto del contratto e rischi operativi (commi 1 e 3)

In base al disposto del comma 1, il contratto di concessione autostradale ha ad oggetto:

a) l’attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale;

b) in relazione ai progetti di cui all’articolo 4, comma 2, lettera b) posti a base di gara, la progettazione di fattibilità tecnico-economica, per gli aspetti di cui all’articolo 41, comma 6, lettere b), c), d), e), f), g) del Codice dei contratti pubblici, la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria individuati dalla convenzione di concessione e dai relativi aggiornamenti, in coerenza con quanto previsto dallo schema di convenzione posto a base dell’affidamento.

Si ricorda che l’articolo 4, comma 2, lettera b), della presente legge, prevede che per l’aggiudicazione dei contratti di concessione, l’ente concedente pone a base di gara per la progettazione, l’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria almeno un progetto di fattibilità redatto sulla base dell’articolo 41, comma 6, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

Le lettere da a) a g) del comma 6 dell’art. 41 del Codice disciplinano il progetto di fattibilità tecnico-economica, stabilendo che lo stesso:

a) individua, tra più soluzioni possibili, quella che esprime il rapporto migliore tra costi e benefici per la collettività in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e alle prestazioni da fornire;

b) contiene i necessari richiami all’eventuale uso di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni;

c) sviluppa, nel rispetto del quadro delle necessità, tutte le indagini e gli studi necessari per la definizione degli aspetti di cui al comma;

d) individua le caratteristiche dimensionali, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare, compresa la scelta in merito alla possibile suddivisione in lotti funzionali;

e) consente, ove necessario, l’avvio della procedura espropriativa;

f) contiene tutti gli elementi necessari per il rilascio delle autorizzazioni e approvazioni prescritte;

g) contiene il piano preliminare di manutenzione dell’opera e delle sue parti.

 

La relazione illustrativa sottolinea che il comma 1 in esame, nel definire l’oggetto del contratto di concessione autostradale, dà specifica attuazione a quanto previsto dal traguardo M1C2-11, che richiede “una descrizione dettagliata e trasparente dell’oggetto del contratto di concessione”.

 

Il comma 3 dispone che, in relazione alle attività di cui al comma 1, sono a carico del concessionario i rischi operativi di cui all’articolo 177 del Codice dei contratti pubblici.

L’art. 177 del Codice dispone in particolare, al comma 1, che “l’aggiudicazione di una concessione comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda o dal lato dell’offerta o da entrambi”. In proposito la relazione illustrativa chiarisce che “il c.d. rischio operativo è da intendersi o quale ‘rischio della domanda’, legato alla maggiore o minore domanda dei servizi prestati ad opera degli utenti, o quale ‘rischio dell’offerta’, che si ha nel caso in cui la remunerazione dell’affidatario sia subordinata all’effettiva capacità di mettere l’opera o i servizi a disposizione dell’utenza o dell’ente concedente” e ricorda, altresì, che le linee guida n. 9, approvate dall’ANAC con la delibera n. 318 del 28 marzo 2018, in tema di trasferimento dei rischi al concessionario nei contratti di partenariato pubblico-privato, hanno espressamente sancito che “è necessario che sia trasferito in capo all’operatore economico, oltre che il rischio di costruzione, anche il rischio di disponibilità o, nei casi di attività redditizia verso l’esterno, il rischio di domanda dei servizi resi, per il periodo di gestione dell’opera”.

Disposizioni relative alle attività di gestione e manutenzione ordinaria (comma 2)

Il comma 2 prevede – in relazione alle attività di gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura autostradale (contemplate dalla lettera a) del comma 1) – che il concessionario assicura le condizioni di sostenibilità delle aree di servizio mediante la gestione diretta dei servizi comuni condivisi, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011.

Si ricorda, in proposito, che l’art. 37 del D.L. 201/2011 ha istituito e disciplinato l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART). In particolare, il comma 2 di tale articolo affida all’ART una serie di compiti di regolazione nel settore dei trasporti e dell’accesso alle relative infrastrutture.

Nell’ultima relazione annuale dell’ART trasmessa al Parlamento nell’ottobre 2023 (Doc. CCXVI, n. 1) viene sintetizzata, tra l’altro, l’attività regolatoria dell’ART svolta nei suoi dieci anni di attività. In particolare nella relazione citata viene ricordato che “avuto riguardo all’ambito autostradale, l’attività di regolazione è stata preliminarmente indirizzata alla definizione degli ambiti ottimali di gestione delle tratte autostradali, presupposto essenziale per la valutazione della ‘competizione per confronto’ individuata come canone dalle norme istitutive. Ad essa ha fatto seguito l’adozione del primo, innovativo sistema tariffario autostradale definito dall’Autorità per una nuova concessione” e che “è stata, inoltre, introdotta la previsione del pagamento di penali per i ritardi nella realizzazione degli investimenti. Di indubbio rilievo, tra gli atti di regolazione più recenti in questo settore, sono quelli recanti gli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari per l’affidamento dei servizi erogati sulla rete autostradale, rispettivamente per i servizi di ricarica elettrica e per i servizi di distribuzione dei carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative”. La medesima relazione ricorda inoltre che l’ART “dopo la conclusione di un’apposita indagine conoscitiva (…) ha avviato un procedimento finalizzato alla definizione del contenuto minimo dei diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali”.

 

Nell’illustrare il comma in esame, la relazione illustrativa ricorda che, riguardo ai diritti degli utenti, il traguardo M1C2-11 richiede alla legge annuale sulla concorrenza di “garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati.”

 

Disposizioni relative alle opere di cui al comma 1, lett. b) (commi 4-6)

Il comma 4 dispone che tra i lavori e le opere di cui al comma 1, lett. b), è compresa la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011.

In proposito la relazione illustrativa sottolinea come tale disposizione consenta di attuare quanto richiesto dal traguardo M1C2-11 circa la necessità di imporre “la realizzazione di aree di parcheggio e di sosta adeguate per gli operatori del trasporto merci”. Si fa notare che tale richiesta viene prevista, dal traguardo in questione, in relazione agli affidamenti in house.

 

Il comma 5 prevede che, per la realizzazione delle opere di cui al comma 1, lett. b), il concessionario è autorizzato ad espropriare in nome e per conto dell’ente concedente le aree di sedime necessarie, come individuate in sede di progettazione delle medesime opere.

Lo stesso comma dispone che:

- le espropriazioni e le occupazioni di terreni strettamente necessari per la realizzazione delle opere sono effettuate a cura del concessionario a valere sul quadro economico dell’opera;

- il rischio espropri, connesso a ritardi imputabili al concessionario o a maggiori costi di esproprio per errata progettazione imputabile al concessionario, è posto a carico del concessionario.

 

Il comma 6 dispone che le opere realizzate ai sensi del comma 1, lettera b), sono trasferite gratuitamente, libere da pegni e gravami, in proprietà all’ente concedente con devoluzione al demanio dello Stato, ramo stradale, ai sensi dell’art. 822 del Codice civile[3] all’esito della verifica da parte del concedente della corretta esecuzione dei lavori e del collaudo. Tale trasferimento avviene tramite sottoscrizione di apposito verbale di consegna, sottoscritto dall’ente concedente e dal concessionario, che costituisce titolo per la trascrizione, l’intavolazione e la voltura catastale dell’opera.


 

Articolo 7
(Criteri di remunerazione della concessione)

 

 

L’articolo 7 disciplina la remunerazione delle attività che formano oggetto del contratto di concessione. Sono inoltre recate disposizioni in merito agli oneri relativi alla progettazione e a quelli relativi all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria.

 

 

Il comma 1 dispone che le attività di cui all’art. 6, comma 1, cioè le attività che formano oggetto del contratto di concessione, sono remunerate mediante riscossione da parte del concessionario delle tariffe di pedaggio di cui all’articolo 12, comma 3, lettera a).

 

Il comma 2 dispone inoltre che gli oneri relativi alla progettazione sono a carico del concessionario fino alla definitiva approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica da parte dell’ente concedente.

 

Il comma 3 dispone infine che gli oneri relativi all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria non sono soggetti alle clausole di revisione prezzi di cui all’articolo 60 del Codice dei contratti pubblici in relazione ad eventuali variazioni in aumento o in diminuzione, del costo dei lavori, come individuati nella convenzione di concessione sulla base dei ribassi applicati al costo dell’opera quantificato sulla base dei prezzi rilevati al momento di approvazione del progetto di fattibilità tecnico-economica dal concedente.

La relazione illustrativa sottolinea che “tale previsione, in particolare, mira ad assicurare un contenimento dei prezzi in sede di aggiornamento degli atti convenzionali, anche alla luce della necessità di ridurre la durata massima delle concessioni”.

 


 

Articolo 8
(Schema di convenzione a base dell’affidamento)

 

 

L’articolo 8 individua i contenuti dello schema di convenzione che deve essere posto a base dell’affidamento di ogni concessione autostradale.

 

 

Il comma 1 dispone che per ciascuna concessione autostradale è posto uno schema di convenzione, a base dell’affidamento, che definisce:

a) con riferimento ai servizi di gestione e manutenzione dell’infrastruttura, i livelli adeguati di servizio, a tutela dei diritti degli utenti, nel rispetto delle misure di regolazione adottate dall’ART ai sensi dell’art. 37, comma 2, del D.L. 201/2011;

b) con riferimento all’installazione di punti di ricarica elettrica, le prestazioni a carico del concessionario in coerenza con le misure di regolazione adottate dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) ai sensi dell’art. 37, comma 2, lettere a) ed e), del D.L. 201/2011.

 

Il richiamato art. 37 del D.L. n. 201 del 2011 elenca le competenze dell’ART, individuando, tra le altre:

-          alla lettera a) quelle relative a garantire condizioni di accesso eque e non discriminatorie alle reti autostradali;

-          alla lettera e) quelle relative a definire in relazione ai diversi tipi di servizio e alle diverse infrastrutture, il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi e delle infrastrutture di trasporto e a dirimere le relative controversie.

Con delibera n. 130/2022 del 4 agosto 2022, l’Autorità ha approvato le misure per la definizione degli schemi dei bandi relativi alle gare cui sono tenuti i concessionari autostradali per gli affidamenti dei servizi di ricarica dei veicoli elettrici e in particolare, la Misura 15.9 dell’allegato A, ai sensi della quale il concessionario autostradale: “prevede nel corso delle procedure di affidamento, e nei documenti conseguenti, una apposita disposizione contenente il rinvio mobile alla regolazione che potrà essere adottata dall’Autorità nell’esercizio dei propri poteri, ivi inclusa la definizione del contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei” sub-concessionari (o dei soggetti da loro individuati per la fornitura dei servizi affidati all’utente finale, ove previsto). Con la delibera n. 16/2023 del 27 gennaio 2023 l’ART ha avviato un procedimento volto all’adozione di tali misure di regolazione per definire il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali, il cui termine , inizialmente fissato al 31 luglio 2023 è stato più volte prorogato, da ultimo al 30 settembre 2024, con la delibera 91 del 26 giugno 2024 con la quale l’Autorità ha indetto una consultazione pubblica sullo schema di atto di regolazione recante “Misure concernenti il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei concessionari autostradali e dei gestori dei servizi erogati nelle pertinenze di servizio delle reti autostradali”.

Si ricorda che nell’ambito del PNRR, la misura M2C2-28 prevede come traguardo al 31 dicembre 2024 l’aggiudicazione degli appalti per la costruzione di 7.500 punti pubblici di ricarica rapida in autostrada e almeno 9.055 in zone urbane (tutti i comuni). Con il decreto MASE 18 marzo 2024, n. 109 sono stati definiti i criteri e le modalità per la concessione dei benefici a fondo perduto per la realizzazione di 7.500 stazioni di ricarica superveloci in strade extraurbane.

 

La relazione illustrativa evidenzia in proposito che la disposizione è funzionale all’attuazione delle seguenti richieste previste dal traguardo M1C2-11: “garantire la piena e tempestiva attuazione del quadro normativo dell’ART per la tutela dei diritti degli utenti e per la fornitura di livelli di servizio adeguati” e “imporre l’installazione di un numero minimo di punti di ricarica elettrici (..) e il pieno rispetto del quadro normativo elaborato dall’ART per la tutela dei diritti degli utenti e la fornitura di adeguati livelli di servizio, come criteri di aggiudicazione per nuove concessioni autostradali” (si fa notare che tale seconda richiesta viene enunciata, nel traguardo in questione, in relazione ai soli affidamenti in house).

 

Il comma 2 dispone che lo schema di convenzione definisce, altresì:

a) i criteri per lo svolgimento delle attività di controllo e di monitoraggio dell’ente concedente nei confronti del concessionario al fine di potenziarne l’efficacia e di promuoverne la capillarità, anche avvalendosi del supporto operativo dell’ANSFISA;

b) il metodo di calcolo dell’eventuale valore di subentro, di cui all’articolo 1, comma 3, lettera u), tenendo conto della redditività della concessione e dell’applicazione di aliquote di ammortamento tecnico-regolatorie, parametrate alla vita utile degli asset reversibili;

La richiamata lettera u) definisce il “valore di subentro” come “l’indennizzo a carico del nuovo concessionario subentrante per gli investimenti relativi alle opere assentite che il concessionario uscente ha già eseguito e non ancora ammortizzato alla scadenza della concessione, pari al costo effettivamente sostenuto, al netto degli ammortamenti, dei beni reversibili non ancora ammortizzati come risultante dal bilancio di esercizio alla data dell’anno in cui termina la concessione, e delle variazioni eseguite ai fini regolatori”.

c) il metodo di calcolo degli oneri integrativi che il concessionario è tenuto a corrispondere all’ente concedente al fine di rafforzare i controlli sull’esecuzione degli interventi infrastrutturali nonché sui relativi costi di realizzazione;

d) le penali applicabili al concessionario in caso di inadempimenti relativi alle attività di manutenzione e gestione, nonché alla realizzazione degli investimenti e all’attuazione degli obblighi di manutenzione straordinaria, accertati nell’ambito delle attività di controllo e monitoraggio di cui alla lettera a), tenuto conto, altresì, dei meccanismi di penalità previsti dalle delibere dell’ART.

 


 

Articolo 9
(Approvazione e aggiornamento delle convenzioni di concessione e dei relativi piani economico-finanziari)

 

 

L’articolo 9 dispone (al comma 1) che la stipula del contratto di concessione avviene mediante sottoscrizione, da parte dell’ente concedente e dell’affidatario, di una convenzione corredata del piano economico-finanziario (PEF). Lo stesso articolo disciplina la procedura per l’approvazione della convenzione (commi 2-3), nonché l’ipotesi di mancata sottoscrizione della proposta di convenzione (comma 4) e l’aggiornamento o revisione delle convenzioni e dei relativi PEF (commi 5 e 6).

 

 

Stipula del contratto di concessione (comma 1)

Il comma 1 dispone che la stipula del contratto di concessione avviene mediante sottoscrizione, da parte dell’ente concedente e dell’affidatario (individuato ai sensi dell’art. 3, comma 1), di una convenzione, corredata del PEF.

Lo stesso comma precisa che tale convenzione è predisposta e approvata nel rispetto della procedura descritta nei successivi commi.

 

Procedura per l’approvazione della convenzione (commi 2-3)

I commi 2 e 3 disciplinano l’iter procedurale per addivenire all’approvazione della convenzione. Tale procedura ricalca, con alcune limitate differenze, quella prevista dall’articolo 5 per l’approvazione della proposta definitiva di convenzione ai fini dell’affidamento in house.

Di seguito si illustrano le varie fasi previste dai commi in esame, mantenendo la stessa scansione dei passaggi procedurali illustrata nella scheda relativa all’articolo 5.

Fase 1 – Predisposizione della proposta di convenzione e del relativo PEF (comma 2, primo periodo)

Il primo periodo del comma 2 dispone che, all’esito dell’affidamento della concessione, l’ente concedente predispone, sulla base dello schema di convenzione posto a base dell’affidamento (ai sensi dell’articolo 8), una proposta di convenzione, con il relativo PEF.

 

Fase 2 – Parere dell’ART e sottoscrizione della proposta (comma 2, primo periodo)

Il primo periodo del comma 2 dispone che la proposta di convenzione, con il relativo PEF, previa trasmissione (da parte dell’ente concedente) all’ART, che esprime il parere di competenza entro i 30 giorni successivi, è sottoposta all’affidatario per la relativa sottoscrizione entro i 30 giorni successivi.

 

Fase 3 – Adeguamento della documentazione (comma 2, secondo periodo)

Il secondo periodo del comma 2 dispone che la proposta di convenzione e il relativo PEF, adeguato alle eventuali prescrizioni contenute nel parere dell’ART, sottoscritti da entrambe le parti, sono tempestivamente trasmessi dall’ente concedente al CIPESS con richiesta di iscrizione all’ordine del giorno della prima seduta disponibile.

Si fa notare che l’utilizzo del termine “adeguato” sembra fare riferimento solamente al PEF, escludendo quindi l’adeguamento della proposta di convenzione. Si valuti pertanto l’utilizzo del termine “adeguati” in luogo di “adeguato”, in linea con quanto previsto dal primo periodo del comma 4 dell’art. 5.

 

Fase 4 – Esame del CIPESS (comma 2, terzo periodo)

Il terzo periodo del comma 2 prevede una sorta di silenzio-assenso, stabilendo che l’esame del CIPESS si intende assolto positivamente in caso di mancata deliberazione entro 30 giorni dalla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno, fatta salva la possibilità di richiedere un differimento del termine di ulteriori 15 giorni per motivate esigenze istruttorie c integrazioni documentali.

 

Fase 5 – Approvazione della proposta definitiva di convenzione (comma 2, quarto periodo, e comma 3)

Il quarto periodo del comma 2 dispone che l’ente concedente, tenuto conto delle eventuali osservazioni del CIPESS, trasmette all’affidatario, entro i successivi 30 giorni, la proposta definitiva di convenzione (PDC), con il relativo PEF, ai fini della sua sottoscrizione entro 30 giorni dalla ricezione della stessa.

 

Il comma 3 dispone che la proposta di convenzione (si valuti l’opportunità di precisare che si tratta della proposta definitiva di convenzione – PDC – in linea con quanto previsto dall’art. 5, comma 6), così sottoscritta, è approvata con decreto ministeriale adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Si fa notare che il comma in esame non fissa alcun termine per l’emanazione del decreto ministeriale in questione.

 

Mancata sottoscrizione della proposta di convenzione (comma 4)

Il comma 4 disciplina il caso di mancata sottoscrizione della proposta di convenzione con il relativo PEF da parte dell’affidatario entro i termini di cui al comma 2, primo periodo (relativo alla proposta di convenzione) o quarto periodo (relativo alla proposta definitiva di convenzione).

Tali termini – come sottolineato dalla relazione illustrativa –, previsti per la sottoscrizione della proposta e della PDC, sono da intendersi perentori. Infatti, nel caso di inutile decorso di tali termini, viene stabilito che l’affidatario decade dall’aggiudicazione del contratto e si procede allo scorrimento della graduatoria o a un nuovo affidamento (ai sensi dell’articolo 3), senza riconoscimento di alcun indennizzo o rimborso delle spese sostenute da parte dell’affidatario.

Aggiornamento o revisione delle convenzioni e dei relativi PEF (commi 5 e 6)

Il comma 5 dispone che all’aggiornamento o alla revisione delle convenzioni e dei relativi PEF si procede, secondo le modalità di cui al presente articolo, nei limiti di quanto stabilito dagli articoli 189 e 192 del Codice dei contratti pubblici in merito alla modifica e alla revisione dei contratti di concessione.

Il comma 6 dispone che gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni e dei relativi PEF di cui al comma 5, condivisi tra le parti, sono in ogni caso approvati con decreto ministeriale, adottato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. Tale decreto dà conto delle modalità di copertura finanziaria a valere sulle risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale di cui all’articolo 12, comma 5.

Viene infine stabilito che nei casi di cui al presente comma non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 192, comma 3, del Codice dei contratti pubblici che subordinano la revisione alla previa valutazione del DIPE sentito il NARS.

L’art. 192, comma 3, del Codice, prevede che nei casi di opere di interesse statale o finanziate “con contributo a carico dello Stato per le quali non sia già prevista l’espressione del CIPESS la revisione è subordinata alla previa valutazione del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentito il Nucleo di consulenza per l’attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), che emette un parere di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato”.

 

La relazione illustrativa evidenzia che il procedimento di aggiornamento o revisione previsto dall’articolo in esame “semplifica, con finalità di accelerazione” quello attualmente disciplinato dall’art. 43, commi 1 e 2 del D.L. 201/2011, “il quale, con riferimento alle convenzioni vigenti al dicembre 2011, prevede che: se gli aggiornamenti o le revisioni comportano variazioni o modificazioni al piano degli investimenti già previsto, sono sottoposti, sentita l’ART in merito all’individuazione dei sistemi tariffari, al parere del CIPESS, che, sentito il NARS, si pronuncia entro trenta giorni, e sono poi approvati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze; se, invece, l’aggiornamento o la revisione non comporta variazioni o modificazioni al piano degli investimenti, gli atti aggiuntivi sono approvati con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, senza l’intervento del CIPESS”.


 

Articolo 10
(Durata delle concessioni)

 

 

L’articolo 10 dispone (al comma 1) che la durata delle concessioni – affidate ai sensi della Sezione IV (artt. 6-11) del Capo I del disegno di legge in esame – è determinata dall’ente concedente in funzione dei servizi e dei lavori richiesti al concessionario e non può superare di regola i 15 anni. Al termine della concessione, l’ente concedente procede ad un nuovo affidamento (comma 2).

 

 

Il comma 1 dispone che la durata delle concessioni – affidate ai sensi della Sezione IV (artt. 6-11) del Capo I della presente legge – è determinata dall’ente concedente in funzione dei servizi e dei lavori richiesti al concessionario e non può superare i 15 anni. Tale termine è derogabile solo nel caso in cui il concedente intenda affidare in concessione la realizzazione di lavori di durata superiore ai quindici anni.

La relazione illustrativa sottolinea che la previsione del citato limite quindicennale di durata “si pone in continuità con quanto previsto dall’articolo 178 del Codice dei contratti pubblici, il quale prevede, infatti, che la durata dei contratti concessori deve essere parametrata dall’ente concedente all’oggetto contrattuale, tenendo in considerazione il periodo di tempo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati con un margine di ritorno sul capitale investito” (v. art. 178, commi 1 e 2, del Codice).

 

Il comma 2 dispone che, al termine della concessione, l’ente concedente procede ad un nuovo affidamento ai sensi dell’articolo 3.

Lo stesso comma precisa che resta fermo quanto previsto dall’art. 178, comma 5, del Codice dei contratti pubblici.

L’art. 178, comma 5, dispone che la durata dei contratti di concessione non è prorogabile (salvo per la revisione) e che non sono mai prorogabili i contratti di appalto affidati senza gara dai concessionari. Il terzo periodo del comma 5 dispone inoltre che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

Nel commentare la disposizione recata dal comma in esame, la relazione illustrativa evidenzia che “nelle more della procedura per l’affidamento della concessione resta comunque fermo quanto previsto dall’articolo 178, comma 5, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici”.

Alla luce di quanto affermato nella relazione illustrativa, si valuti l’opportunità di specificare anche nel testo della norma, così come nella relazione illustrativa, il riferimento al terzo periodo del comma 5 dell’art. 178 del Codice dei contratti pubblici.

 

Si segnala, infine, che la relazione illustrativa evidenzia che l’articolo in esame è funzionale all’attuazione dell’obiettivo, contenuto nel traguardo M1C2-11, di “impedire il rinnovo automatico dei contratti di concessione”.


 

Articolo 11
(Estinzione del contratto di concessione)

 

 

L’articolo 11 reca (come chiarito dal comma 1) una disciplina specificamente dedicata al settore autostradale, che integra quella recata dal Codice dei contratti pubblici per la generalità delle concessioni.

In particolare l’articolo 11 disciplina l’estinzione della concessione autostradale determinata da motivi di pubblico interesse (comma 2) o derivante da inadempimento del concessionario (commi 3-6) e individua la disciplina applicabile nelle more dell’affidamento a un nuovo concessionario (comma 7).

 

 

Norme applicabili in caso di estinzione (comma 1)

Il comma 1 dispone che alle ipotesi di estinzione di concessioni autostradali derivanti, in particolare, dall’attuazione di procedure di risoluzione o recesso della concessione si applicano le disposizioni dell’articolo 190 del Codice dei contratti pubblici (vale a dire la disciplina in materia di risoluzione e recesso prevista per la generalità delle concessioni), fatto salvo quanto previsto dal presente articolo che – come evidenziato dalla relazione illustrativa – “detta, in tal modo, norme speciali appositamente dedicate al settore delle concessioni autostradali”.

 

Estinzione determinata da motivi di pubblico interesse (comma 2)

In base al comma 2, quando l’estinzione della concessione è determinata da motivi di pubblico interesse, si applica l’articolo 190, comma 4, del Codice dei contratti pubblici.

L’art. 190, comma 4, del D.Lgs. 36/2023, dispone che se l’ente concedente recede per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario: a) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, oppure, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario; b) i costi sostenuti o da sostenere in conseguenza del recesso, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse; c) un indennizzo a titolo di mancato guadagno compreso tra il minimo del 2 per cento ed il massimo del 5 per cento degli utili previsti dal piano economico-finanziario, in base ad una valutazione che tenga conto delle circostanze, della tipologia di investimenti programmati e delle esigenze di protezione dei crediti dei soggetti finanziatori. In ogni caso i criteri per l’individuazione dell’indennizzo devono essere esplicitati in maniera inequivocabile nell’ambito del bando di gara ed indicati nel contratto, tenuto conto della tipologia e dell’oggetto del rapporto concessorio, con particolare riferimento alla percentuale, al piano economico-finanziario e agli anni da prendere in considerazione nel calcolo”.

 

Estinzione per inadempimento del concessionario (commi 3-6)

In base al comma 3, quando l’estinzione della concessione deriva da inadempimento del concessionario, si applica l’articolo 190, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.

Tale lettera prevede che spettano al concessionario “il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, oppure, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario”.

Il comma in esame precisa altresì che l’applicazione della citata lettera a) avviene anche in sostituzione delle eventuali clausole convenzionali, sostanziali e procedurali, difformi, anche se approvate per legge, da intendersi come nulle ai sensi dell’art. 1419, secondo comma, del codice civile, senza che possa operare, per effetto della presente disposizione, alcuna risoluzione di diritto.

Si fa notare che tale disposizione riproduce fedelmente, limitandosi ad aggiornare i riferimenti normativi nel frattempo mutati, quella recata dal quarto periodo del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019. Per tale motivo l’art. 16, comma 4, del presente disegno di legge, prevede tra l’altro che, dalla data della sua entrata in vigore, ogni richiamo all’art. 35, comma 1, quarto periodo, del D.L. 162/2019 si intende riferito al comma in esame.

 

Il comma 4 stabilisce che l’estinzione di una concessione autostradale per inadempimento del concessionario è disposta con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta dell’ente concedente, nei seguenti casi:

a) mancato assolvimento degli obblighi convenzionali relativi alla gestione e manutenzione ordinaria dell’infrastruttura che determinano seri e comprovati pericoli per la sicurezza della circolazione, per la corretta gestione del traffico e per la fruibilità autostradale o che compromettono lo stato di conservazione del patrimonio autostradale;

b) mancato assolvimento degli obblighi relativi alla progettazione o all’esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria consistente in ritardi nella realizzazione delle predette attività per cause non imputabili al concedente;

c) qualunque altro inadempimento delle obbligazioni convenzionali da parte del concessionario che comprometta la buona riuscita delle prestazioni.

 

Il comma 5 dispone che, ai fini dell’esercizio della facoltà di cui al comma 4 (cioè la facoltà di proporre l’estinzione per inadempimento del concessionario), l’ente concedente richiede preventivamente all’ANSFISA una verifica tecnica sullo stato dell’infrastruttura autostradale oggetto di concessione e sugli eventuali danni cagionati dal concessionario. Tale verifica tecnica può essere conclusa successivamente all’estinzione della concessione nelle sole ipotesi di somma urgenza e conclamato inadempimento, motivate dall’ente concedente nel decreto previsto dal precedente comma 4.

 

Il comma 6 dispone che, nei casi di estinzione di una concessione autostradale ai sensi del precedente comma 3 (cioè per inadempimento del concessionario), l’importo da corrispondere al concessionario ai sensi dell’art. 190, comma 4, lettera a), del Codice dei contratti pubblici (disposizione a cui fa rinvio il citato comma 3 del presente articolo) è determinato, entro 12 mesi dalla data di estinzione della concessione, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti adottato, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa verifica delle voci di bilancio e a seguito di asseverazione da parte di una primaria società di revisione.

Il comma 6 dispone altresì che è fatto salvo il diritto dell’ente concedente al risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento del concessionario, determinati anche sulla base delle risultanze della verifica tecnica effettuata dall’ANSFISA ai sensi del comma 5.

Si fa notare che le disposizioni recate dal comma in esame ricalcano sostanzialmente quelle previste dall’art. 7-bis, comma 1, del D.L. 68/2022, che conseguentemente viene abrogato dall’art. 16, comma 5, della presente legge.

 

Disciplina applicabile nelle more dell’affidamento a un nuovo concessionario (comma 7)

In base al comma 7, in caso di estinzione di una concessione autostradale, nelle more dello svolgimento delle procedure di affidamento a un nuovo concessionario, per il tempo strettamente necessario alla sua individuazione si applica l’art. 178, comma 5, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici.

Il terzo periodo citato dispone che “al termine della concessione, per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure di selezione del concessionario, la gestione delle tratte autostradali è affidata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in relazione alla specificità della tratta autostradale, per garantire adeguati standard di sicurezza e viabilità, valuta il modello più idoneo della gestione transitoria anche in relazione alle condizioni economiche”.

 

Il comma in esame dispone inoltre che sono fatte salve:

- le eventuali disposizioni convenzionali che escludano il riconoscimento di indennizzi in caso di estinzione anticipata del rapporto concessorio;

- e la possibilità per l’ente concedente di acquistare gli eventuali progetti elaborati dal concessionario previo pagamento di un corrispettivo determinato avendo riguardo ai soli costi di progettazione e ai diritti sulle opere dell’ingegno di cui all’art. 2578 del codice civile.

 

Si fa notare che le disposizioni del comma in esame ricalcano quelle che i primi due periodi del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019 prevedono – sempre nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l’affidamento a nuovo concessionario – per l’ANAS S.p.A. in caso di revoca, di decadenza o di risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio. Ciò spiega perché l’art. 16, comma 3, della presente legge sostituisca le parole “o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio” con le seguenti: “o di autostrade non sottoposte a pedaggio”. In tal modo viene infatti a delinearsi un doppio binario: per le autostrade non sottoposte a pedaggio continua ad applicarsi la disciplina recata dai citati periodi del comma 1 dell’art. 35 del D.L. 162/2019, mentre per quelle sottoposte a pedaggio si applica il comma in esame.

 

 

La relazione illustrativa sottolinea che l’articolo in esame è funzionale all’attuazione dei seguenti obiettivi previsti dal traguardo M1C2-11:

- “semplificare/chiarire la regolamentazione delle condizioni di risoluzione e di annullamento del contratto, anche al fine di mantenere un livello adeguato di contendibilità delle concessioni per i mercati interessati;

- per la risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesto al concessionario e una compensazione ragionevole per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge”.

 


 

Sezione V: Tariffe autostradali e piano degli investimenti

Articolo 12
(Tariffe autostradali e piano degli investimenti)

 

 

L’articolo 12, disciplina la procedura relativa alla fissazione e all’aggiornamento delle tariffe autostradali.

 

Per quanto attiene al tema della determinazione delle tariffe autostradali è utile ricordare come l’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha attribuito i compiti relativi alla determinazione delle tariffe all’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito ART).

In una fase iniziale, l’attività dell’Autorità era circoscritta alle future concessioni, ma, a seguito del crollo del viadotto Morandi a Genova, con il decreto-legge n. 109 del 2018 le facoltà esercitate dall’ART sono state estese anche alle concessioni in essere.

Nell’ambito del quadro normativo vigente, pertanto, al concedente, in sede di aggiornamento ovvero di revisione delle convenzioni di concessione, spetta soltanto il compito di verificare, sentita l’ART, la corretta applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe, anche con riferimento all’effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi nella tariffa.
In linea con i compiti affidati all’Autorità di regolazione del settore, con la delibera n. 16 del 2019 l’ART ha basato il sistema tariffario sul metodo del price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale, nell’intento di definire un contesto di riferimento stabile per ogni periodo regolatorio di durata quinquennale, in grado di fornire incentivi «di periodo» per il conseguimento di recuperi di produttività e la riduzione dei costi, a beneficio delle tariffe a carico dell’utenza finale.

L’Autorità ha successivamente definito, con le delibere da n. 64 a n. 79 del 2019, il sistema tariffario di pedaggio basato sul price cap, con determinazione dell’indicatore di produttività X a cadenza quinquennale, anche per ciascuna concessione in vigore, con l’obiettivo di ricondurre la redditività delle gestioni autostradali a livelli di mercato per assicurare il necessario riequilibrio del rispettivo posizionamento del concedente e della concessionaria nei rapporti contrattuali aventi a oggetto la gestione di tratte autostradali con, inoltre, benefìci per gli utenti, in termini di tariffe più eque, trasparenti e sostenibili.

 

Passando, quindi, all’illustrazione del contenuto dell’articolo in questione, si evidenzia che il comma 1 prevede, in relazione alle nuove concessioni autostradali, che con delibera dell’ART sia definito, nel rispetto dei criteri di cui al successivo comma 2, il sistema per l’individuazione delle tariffe autostradali, in base alla distanza percorsa sull’infrastruttura autostradale, ai flussi di traffico e all’indice inflativo stimato alla data di sottoscrizione o aggiornamento del PEF.

Il comma 2 stabilisce che tali tariffe, riferite a ciascuna concessione autostradale, sono determinate sulla base del predetto sistema tariffario, tenuto conto delle caratteristiche intrinseche del tracciato, delle infrastrutture e dei manufatti presenti. Il medesimo comma, inoltre, precisa che le tariffe sono indicate nello schema di convenzione da porre a base dell’affidamento e garantiscono l’integrale copertura dei seguenti oneri:

 

Ø  l’onere per il sistema infrastrutturale autostradale a pedaggio, finalizzato a recuperare i costi di costruzione, manutenzione, esercizio e sviluppo dell’infrastruttura;

Ø  l’onere per il recupero dei finanziamenti pubblici concessi per la realizzazione del sistema infrastrutturale autostradale a pedaggio, nonché dei costi delle opere di adduzione, sostenuti direttamente o indirettamente dal concedente, e degli impianti finalizzati al miglior funzionamento del sistema autostradale a pedaggio ai fini del decongestionamento del traffico;

Ø  l’onere volto a remunerare eventuali costi esterni, come definiti dall’articolo 2, paragrafo 1, numero 9), della direttiva 1999/62/CE, come modificata dalla direttiva (UE) 2022/362.

Il comma 3 prevede che, sulla base del sistema tariffario definito dall’ART, nello schema di convenzione posto a base dell’affidamento, il concedente indichi le tariffe da applicare alla tratta autostradale, garantendo in ogni caso la continuità del livello di tariffazione in essere, e le quote dei citati oneri, destinate, rispettivamente:

Ø  alla remunerazione delle attività di gestione e di manutenzione ordinaria e delle attività relative alla progettazione ed esecuzione dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria, tramite l’applicazione della componente tariffaria di gestione (Tg) e della componente tariffaria di costruzione (Tk), di competenza del concessionario;

Ø  al recupero degli oneri menzionati alla lettera b) del precedente comma 2, tramite l’applicazione della componente tariffaria per oneri integrativi (Toi), di competenza dell’ente concedente.

Il comma 4 stabilisce che le tariffe da pedaggio sono integralmente riscosse dal concessionario.

Il comma 5 prevede che ogni anno, con la legge di bilancio, nel rispetto degli obiettivi programmatici di finanza pubblica, sia definito, sulla base della previsione delle risorse della componente tariffaria per oneri integrativi che si stima di incassare nell’anno successivo, l’importo da destinare, per una quota, al Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale e, per una quota, al Fondo per il riequilibrio economico-finanziario delle concessioni, entrambi da istituire nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Il comma in esame, inoltre, prevede che l’utilizzo effettivo delle risorse iscritte nei Fondi in questione è subordinato al versamento all’entrata del bilancio dello Stato delle risorse della componente tariffaria di cui al primo periodo nei limiti dell’importo versato. Qualora, nel corso dell’anno, dal monitoraggio di cui al successivo comma 6 emerga che le risorse incassate dai concessionari possano risultare su base annua inferiori all’importo fissato nella legge di bilancio, gli stanziamenti iscritti nei Fondi di cui sopra sono corrispondentemente accantonati e resi indisponibili.

Il comma 6, come anticipato poco fa, dispone che, al fine di determinare l’importo da iscrivere, per quota, nei due Fondi, il Ministero delle infrastrutture trasmetta al Ministero dell’economia e delle finanze, entro il 31 luglio di ogni anno, la previsione delle risorse della componente tariffaria di cui al secondo periodo del comma 4 che si stima di incassare nell’anno successivo e, in corso d’anno, su base trimestrale, le informazioni di monitoraggio degli incassi dei singoli concessionari.

Da ultimo il comma 7 prevede che le risorse del Fondo nazionale per gli investimenti sulla rete autostradale siano ripartite, con decreti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 ottobre di ogni anno, per essere destinate alla realizzazione di interventi di miglioramento o di messa in sicurezza della viabilità locale di adduzione all’intero sistema autostradale nazionale o alla copertura degli eventuali maggiori costi degli investimenti rispetto alle previsioni poste a base degli affidamenti.


 

Articolo 13
(Pianificazione e programmazione degli investimenti autostradali)

 

 

L’articolo 13 prevede l’adozione del Piano nazionale degli investimenti autostradali al fine di individuare i lavori e le opere di manutenzione straordinaria da inserire nei bandi di gara delle nuove concessioni.

In base a quanto previsto dal comma 1 il Piano è adottato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Comitato interministeriale per lòa programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), ed è predisposto tenuto conto delle relazioni sugli investimenti trasmesse dai concessionari uscenti al termine della concessione. Il Piano ha durata decennale. All’aggiornamento del Piano si può procedere con cadenza biennale secondo la medesima procedura prevista per la sua adozione.

Il comma 2, inoltre, prevede che sulla base del Piano, nello schema di convenzione posto a base dell’affidamento per le concessioni scadute o in scadenza, sia individuato l’elenco dei lavori e delle opere di manutenzione straordinaria, nel rispetto dei seguenti criteri di priorità:

a) maturità progettuale delle opere;

b) rilevanza dell’intervento con riferimento all’incremento dei livelli di sicurezza della circolazione;

c) incidenza sulla viabilità delle cantierizzazioni, tenendo conto della necessità di assicurare volumi di traffico sostenibili per i percorsi alternativi, nel rispetto dei prescritti livelli di sicurezza della circolazione;

d) individuazione di aree di sosta adeguate per gli operatori del trasporto di merci.

 


 

Sezione VI: Disposizioni transitorie relative alle concessioni autostradali in essere

Articolo 14
(Disposizioni applicabili alle concessioni in essere)

 

 

L’articolo 14 disciplina la procedura di aggiornamento dei Piano economico finanziario (di seguito PEF) delle società concessionarie per le quali, alla data di entrata in vigore del decreto-legge 30 dicembre 2023, n. 215, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2024, n. 18, è intervenuta la scadenza del periodo regolatorio quinquennale.

A tale riguardo il comma 1 precisa che la procedura in questione  rimane quella delineata dall’articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 162 del 2019, il quale ha disposto l’obbligo, da parte delle società concessionarie, di procedere entro il 30 marzo 2024 alla predisposizione di una proposta aggiornata di PEF sviluppata in conformità alla regolamentazione dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (di seguito ART) nonché alle disposizioni rese dal concedente, e ha fissato al 31 dicembre 2024 il termine massimo per la conclusione della procedura di aggiornamento.

In merito alla sopra citata disciplina, è utile per completezza ricordare che, al fine di escludere il progressivo rinvio degli adeguamenti tariffari e la concentrazione in un unico anno di un adeguamento tariffario comprensivo anche delle annualità pregresse, la disposizione sopra richiamata aveva anche previsto il riconoscimento di un aggiornamento tariffario, dal 1° gennaio 2024, relativo alla sola componente dell’inflazione dell’anno 2024 e pari al 2,3 per cento, corrispondente all’indice d’inflazione indicato dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza deliberato dal Consiglio dei ministri il 27 settembre 2023.

Il comma 2 reca ulteriori disposizioni con cui si disciplina la procedura di aggiornamento dei PEF delle società concessionarie per le quali, a decorrere dalla data di entrata in vigore delle norme proposte, interviene la scadenza del periodo regolatorio quinquennale. Nel dettaglio, si prevede, in maniera del tutto simile a quanto previsto dal menzionato articolo 13, comma 3, del decreto-legge n. 162 del 2019, l’obbligo, da parte delle società concessionarie, di procedere, entro il 30 marzo dell’anno di scadenza del periodo regolatorio, alla predisposizione di una proposta aggiornata di PEF sviluppata in conformità alla regolamentazione dell’ART e nel rispetto dei requisiti prescritti dall’articolo 8, comma 1, per lo schema di convenzione a base dell’affidamento, e viene fissato al 31 dicembre del medesimo anno il termine massimo per la conclusione della procedura di aggiornamento, previo recepimento nelle proposte di aggiornamento dei PEF delle rettifiche richieste dall’ente concedente all’esito delle verifiche effettuate sui piani di investimento. Nelle more degli aggiornamenti convenzionali, si prevede, altresì, un incremento tariffario corrispondente all’indice di inflazione rilevato nei documenti di programmazione di finanza pubblica per il relativo anno. Si specifica, infine, che gli adeguamenti, in eccesso o in difetto, rispetto ai predetti incrementi tariffari, sono definiti in sede di aggiornamento dei PEF.

Il comma 3 prevede che il concedente, in sede di istruttoria sugli aggiornamenti dei PEF presentati dai concessionari nelle ipotesi summenzionate, sia chiamato a verificare l’ammontare degli investimenti da realizzare, distinguendo: 

a) la quota di oneri di investimento di competenza del concessionario, secondo quanto previsto nella convenzione; 

b) la quota di oneri di investimento da finanziare in sede di aggiornamento del PEF a valere sul gettito derivante dalle tariffe e sugli oneri di subentro;

c) la quota residua di oneri di investimento, di competenza del concessionario o da finanziare in sede di aggiornamento del PEF, che non può essere coperta nell’ambito di quanto previsto dalle lettere a) e b).


 

Articolo 15
(Esternalizzazione delle concessioni autostradali)

 

 

L’articolo 15, con una disposizione di rinvio, mira a confermare che alle concessioni autostradali in essere non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara di evidenza pubblica secondo il diritto dell’Unione europea, si applicano le disposizioni sull’affidamento mediante procedura di evidenza pubblica di una quota tra il 50 e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture, stabilita convenzionalmente dal concedente e dal concessionario ai sensi dell’articolo 186, del codice dei contratti pubblici, che ha introdotto un sistema flessibile di individuazione delle quote di lavori, servizi e forniture da affidare a terzi, da stabilire all’interno di un intervallo determinato e secondo parametri legislativamente previsti.



A tale riguardo è utile segnalare come il sopra citato articolo 186 prevede che, al fine di fissare la quota di esternalizzazione nell’intervallo tra il 50 e il 60 per cento, l’ente concedente deve tenere conto di una serie di parametri tra cui: le dimensioni economiche e i caratteri dell’impresa, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata residua, il suo oggetto, il suo valore economico e l’entità degli investimenti effettuati. Con specifico riferimento alle concessioni autostradali, le quote e i criteri di determinazione sono individuati sulla base degli importi risultanti dai Piani economici e finanziari (PEF) e si prevedono meccanismi di recupero in caso di mancato rispetto delle quote di affidamento.


Per quanto attiene all’applicazione dell’articolo 186 del Codice dei contratti pubblici può essere utile segnalare l’adozione della delibera dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) n. 265 del 20 giugno 2023 «Provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 186 commi 2 e 5, del decreto legislativo n. 36 del 31 marzo 2023, recante indicazioni sulle modalità di calcolo delle quote di esternalizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture da parte dei titolari di concessioni di lavori e di servizi pubblici non affidate conformemente al diritto dell’Unione europea».


Da ultimo si evidenzia che l’articolo in commento è funzionale all’attuazione del seguente impegno del PNRR: «Stabilire, ai sensi dell’
articolo 186, paragrafo 2, del decreto legislativo n. 36/2023, l’obbligo per i concessionari autostradali di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, tra il 50 per cento e il 60 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture. Le quote sono calcolate in base agli importi dei piani economici e finanziari allegati ai documenti di concessione e tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche economiche del concessionario, della durata dell’aggiudicazione, della durata residua, dell’oggetto e del valore economico della concessione e dell’importo degli investimenti effettuati».

 

 

 


 

Sezione VII: Disposizioni finali

Articolo 16
(Disposizioni di coordinamento normativo)

 

 

L’articolo 16 contiene una serie di disposizioni di coordinamento normativo.

In particolare, il comma 1, definisce l’ambito di applicazione delle disposizioni di cui alle sezioni I, II, III, IV e V del Capo I, dedicato alle disposizioni in tema di riordino delle concessioni autostradali.

Il comma in commento prevede l’applicazione delle disposizioni sopra richiamate alle procedure di affidamento avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge in questione, fatto salvo, in ogni caso, quanto specificamente disposto dai singoli articoli in merito all’applicabilità delle relative disposizioni anche alle concessioni in essere. Si prevede, inoltre, una esclusione dell’applicazione dell’articolo 10 (relativo alla durata delle concessioni) alle concessioni in essere.

I commi da 2 a 4, invece, introducono alcune modifiche alla normativa vigente che si rendono necessarie in un’ottica di coordinamento e di razionalizzazione della materia, anche mediante il ricorso alla tecnica dell’abrogazione differita, in modo da tenere conto dei tempi di attuazione delle nuove norme, comprendenti un periodo transitorio, a partire dal 2025, legato alla graduale scadenza delle concessioni in essere.

 


 

Capo II – Disposizioni in materia di rilevazione dei prezzi e degli usi commerciali e concernenti il settore assicurativo, i trasporti, le strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi e la concorrenza

 

Articolo 17
(Disposizioni in materia di monitoraggio e rilevazione dei prezzi))

 

 

L’articolo 17 integra la normativa in materia di compiti e funzioni delle Camere di commercio, specificando che la rilevazione di prezzi e tariffe è limitata solo a determinati prodotti indicati dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, attuata con modalità definite da apposite linee guida adottate dallo stesso Garante.

 

L’articolo 17, composto da un unico comma, interviene sull’articolo 2, comma 2, lettera c), della L. n. 580/1993, aggiungendo alcuni periodi alla disposizione.

 

Si ricorda che la legge n. 580/1993, di riordino della disciplina delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, all’articolo 2 specifica i compiti e le funzioni delle Camere di commercio. In particolare, il comma 2, che la norma qui in commento va a novellare, dispone che le Camere di commercio, singolarmente o in forma associata, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, svolgono le funzioni relative a:

a)      pubblicità legale generale e di settore mediante la tenuta del registro delle imprese, del Repertorio economico amministrativo, e degli altri registri ed albi attribuiti alle camere di commercio dalla legge;

b)      formazione e gestione del fascicolo informatico di impresa;

c)      tutela del consumatore e della fede pubblica, vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti e sugli strumenti soggetti alla disciplina della metrologia legale, rilevazione dei prezzi e delle tariffe, rilascio dei certificati di origine delle merci e documenti per l’esportazione in quanto specificamente previste dalla legge;

d)      sostegno alla competitività delle imprese e dei territori tramite attività d’informazione economica e assistenza tecnica alla creazione di imprese e start up, informazione, formazione, supporto organizzativo e assistenza alle PMI per la preparazione ai mercati internazionali nonché collaborazione con ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, SACE, SIMEST e Cassa depositi e prestiti; sono in ogni caso escluse dai compiti delle Camere di commercio le attività promozionali direttamente svolte all’estero;

d-bis) valorizzazione del patrimonio culturale nonché sviluppo e promozione del turismo, in collaborazione con gli enti e organismi competenti; sono in ogni caso escluse dai compiti delle Camere di commercio le attività promozionali direttamente svolte all’estero;

d-ter) competenze in materia ambientale attribuite dalla normativa nonché supporto alle piccole e medie imprese per il miglioramento delle condizioni ambientali;

e)      orientamento al lavoro e alle professioni anche mediante la collaborazione con i soggetti pubblici e privati competenti, in coordinamento con il Governo e con le Regioni e l’ANPAL[4]

f)       assistenza e supporto alle imprese in regime di libera concorrenza da realizzare in regime di separazione contabile[5];

g)      ferme restando quelle già in corso o da completare, attività oggetto di convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati stipulate compatibilmente con la normativa europea. Dette attività riguardano, tra l’altro, gli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e dei prodotti, del supporto al placement e all’orientamento, della risoluzione alternativa delle controversie. Le stesse possono essere finanziate con le risorse di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a) (dunque, le risorse del diritto annuale dovuto da parte di ogni impresa iscritta o annotata nei registri gestiti dalle Camere di commercio), esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50%.

 

I nuovi periodi inseriti dall’articolo qui in esame, in particolare, prevedono che la rilevazione di prezzi e delle tariffe da parte delle Camere di commercio sia limitata a determinati prodotti individuati dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, sulla base di valutazioni di necessità e proporzionalità in relazione al perseguimento di obiettivi di interesse generale, anche alla luce delle risultanze del monitoraggio di cui all’articolo 2, comma 199-bis, della citata legge finanziaria 2008.

Le modalità di rilevazione di prezzi e tariffe devono essere definite da apposite linee guida adottate dal Garante per la sorveglianza dei prezzi nel rispetto di una metodologia di tipo storico-statistico e di garanzia di imparzialità dei soggetti che procedono al rilevamento.

 

L’articolo in commento sembra riprendere quanto auspicato dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato (AGCM) all’interno del documento, datato giugno 2023, contenente “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2023“.

Ivi, l’AGCM ha suggerito di incidere sull’articolo 2 della L. n. 580/1993, circoscrivendo l’ambito di applicazione di tale normativa a “prodotti espressamente individuati per i quali tale attività si renda ancora effettivamente necessaria e proporzionata rispetto agli obiettivi di interesse generale”.

 

Il Garante per la sorveglianza dei prezzi è stato istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (oggi Ministero delle imprese e del made in Italy) ai sensi dell’articolo 2, commi 198-203 della legge finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244). La normativa istitutiva è stata successivamente modificata e integrata dall’articolo 5 del decreto-legge n. 112/2008, dall’articolo 23 della legge n. 99/2009, dall’articolo 7, commi 2-4 del decreto-legge n. 21/2022, dall’articolo 10 del D.L. n. 115/2022 (L. n. 142/2022), nonché dall’articolo 3 del D.L. n. 5/2023.

Il Garante, ai sensi del comma 198 della legge finanziaria, sovrintende alla tenuta ed elaborazione dei dati e delle informazioni segnalate agli “uffici prezzi” delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura[6]. Si rammenta che, ai sensi del comma 196 della medesima legge, ciascuna camera di commercio rende noto al pubblico il proprio «ufficio prezzi», il quale riceve segnalazioni e verifica le dinamiche concernenti le variazioni dei prezzi di beni e servizi praticati ai consumatori finali[7]. Nella sua azione, il Garante, ove necessario ai fini dei propri interventi di sorveglianza sul territorio, opera in raccordo con gli osservatori e con gli uffici regionali dei prezzi, sportelli o analoga denominazione, comunque denominati, qualora istituiti con legge regionale. 

Il Garante, inoltre, ai sensi del comma 198, verifica le segnalazioni delle associazioni dei consumatori riconosciute, analizza le ulteriori segnalazioni ritenute meritevoli di approfondimento e decide, se necessario, di avviare indagini conoscitive finalizzate a verificare l’andamento dei prezzi di determinati prodotti e servizi. I risultati dell’attività svolta sono messi a disposizione, su richiesta, dell’AGCM – Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Ai sensi del comma 199, per l’esercizio della propria attività il Garante si avvale dei dati rilevati dall’ISTAT, che sono messi a disposizione del Garante, su specifica istanza, nonché, secondo quanto qui introdotto, della sua collaborazione, e della collaborazione dei Ministeri competenti per materia, dell’Ismea, dell’Unioncamere, delle Camere di commercio, nonché del supporto operativo della Guardia di finanza per lo svolgimento di indagini conoscitive. La Guardia di finanza agisce con i poteri di indagine ad essa attribuiti ai fini dell’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette (si richiama a tal fine la relativa disciplina), ed in virtù dei compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di ogni interesse economico-finanziario nazionale o dell’Unione europea (art. 64, comma 2, lettera m), del decreto legislativo n. 68/2001).

L’articolo 7, comma 1 del D.L. n. 21/2022 ha integrato il testo del comma 199 prevedendo che il Garante possa:

·         convocare le imprese e le associazioni di categoria interessate al fine di verificare i livelli di prezzo dei beni e dei servizi di largo consumo corrispondenti al corretto e normale andamento del mercato e

·         richiedere alle imprese dati, notizie ed elementi specifici sulle motivazioni che hanno determinato le variazioni di prezzo.

Il mancato riscontro, entro 10 giorni dalla richiesta comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’1 per cento del fatturato e comunque non inferiore a 2.000 euro fino ad un massimo di euro 200.000 euro. Analoga sanzione si applica nel caso siano comunicati dati, notizie ed elementi non veritieri. La disposizione in esame, come si è detto, viene integrata dall’articolo 17 del disegno di legge qui in commento (cfr. supra).

Inoltre, l’articolo 3 del D.L. n. 5/2023 che:

·         nel caso in cui siano comunicati al Garante dalle imprese dati contabili e di bilancio non veritieri, si applichi, salvo che il fatto costituisca reato, una sanzione analoga a quella prevista in caso di mancato riscontro, entro dieci giorni, alle richieste del Garante di verifica dei livelli di prezzo di beni e servizi di largo consumo. Si rammenta, al riguardo, che la sanzione amministrativa pecuniaria prevista (per le imprese e le associazioni di categoria inadempienti) è pari all’1 per cento del fatturato e comunque non inferiore a 2.000 euro e non superiore a 200.000 euro.

·         le sanzioni amministrative previste in caso di mancato riscontro alle richieste del Garante o di comunicazione di dati non veritieri – salvo che il fatto costituisca reato – sono irrogate dalla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competente per il luogo in cui ha sede l’impresa che ha commesso la violazione (lett. b), n. 2 che, dopo il sesto, introduce un nuovo periodo del comma 199);

Lo stesso D.L. n. 5/2023 ha introdotto i commi 199-bis a 199-septies, i quali disciplinano il monitoraggio della dinamica dei prezzi dei beni di largo consumo.

In particolare, i commi in questione (dell’art. 2) dispongono:

·         l’istituzione della Commissione di allerta rapida di sorveglianza dei prezzi, che il Garante può convocare per coordinare l’attivazione degli strumenti di monitoraggio necessari alla individuazione delle ragioni dell’anomala dinamica dei prezzi nella filiera di mercato. Ai componenti ed ai partecipanti alle riunioni della Commissione non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati (comma 199-bis);

·         la composizione della Commissione, cui partecipano un rappresentante rispettivamente dell’ISTAT, di ciascuno dei Ministeri competenti per materia, dell’Ismea, dell’Unioncamere, delle Camere di commercio, della Guardia di finanza (si tratta dei soggetti indicati dal comma 199), i responsabili delle strutture direzionali del MIMIT di cui il Garante si avvale (ai sensi del comma 200), un rappresentante delle Autorità indipendenti competenti per settore, tre rappresentanti delle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’apposito elenco istituito presso il MIMIT ai sensi del Codice del Consumo (art. 137, D.lgs. 206/2005), nominati dal Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, e un rappresentante delle regioni e delle province autonome. Ove vengano in rilievo fenomeni relativi all’anomalo andamento dei prezzi delle filiere agroalimentari, alla Commissione partecipa, altresì, un rappresentante dell’Ispettorato centrale repressione frodi (ICQRF) del Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, fermo restando quanto previsto, in materia di contrasto ai fenomeni di andamento anomalo dei livelli di qualità e dei prezzi nelle filiere agroalimentari, la specifica disciplina vigente, contenuta nell’articolo 2 del D.L. n. 182/2005 (L. n. 231/2005) (comma 199-ter);

·         che il Garante, compatibilmente con le ragioni di urgenza connesse al fenomeno rilevato, può invitare alle riunioni della Commissione i rappresentanti delle associazioni delle categorie economiche e sociali interessate, nonché esperti del settore per acquisire valutazioni e contributi tecnici specialistici in relazione agli specifici argomenti analizzati (nuovo comma 199-quater);

·         che, qualora, dalle analisi condotte in seno alla Commissione o dalle indagini conoscitive, emergano fenomeni speculativi lungo la filiera di origine e produzione, ingrosso e distribuzione, nonché vendita e consumo, il Garante riferisce gli esiti delle attività al Ministro delle imprese e del made in Italy che ne informa, ove necessario, il Governo, per l’adozione di adeguate misure correttive o di ogni altra iniziativa ritenuta opportuna (nuovo comma 199-quinques).

I commi 199-sexies e 199-septies normano le funzioni di segreteria e dispongono circa la dotazione organica.

Ai sensi del comma 200 della legge finanziaria, il Garante è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, tra i dirigenti di prima fascia del Ministero dello sviluppo economico e si avvale per il proprio funzionamento delle strutture del medesimo Ministero. Il garante svolge i propri compiti istituzionali senza compenso e mantenendo le proprie funzioni. L’incarico ha la durata di tre anni.

Ai sensi del comma 201 della legge finanziaria 2008, il Garante riferisce le dinamiche e le eventuali anomalie dei prezzi rilevate al Ministro dello sviluppo economico, che provvede, ove necessario, alla formulazione di segnalazioni all’AGCM.

Ai sensi del comma 202, le informazioni riferite ai prezzi al consumo, anche nominative, sono in ogni caso sottratte alla disciplina di tutela in materia di riservatezza dei dati personali.

L’attività del Garante viene resa nota al pubblico attraverso il sito dell’Osservatorio dei prezzi del Ministero dello sviluppo economico.

Nel sito sono tempestivamente pubblicati ed aggiornati quadri di confronto, elaborati a livello provinciale, dei prezzi dei principali beni di consumo e durevoli, con particolare riguardo ai prodotti alimentari ed energetici.

 

 Ciò posto, la norma in esame demanda ad apposite linee guida adottate dal Garante, nel rispetto di una metodologia di tipo storico-statistico e data la necessaria garanzia di imparzialità dei soggetti che procedono al rilevamento, le modalità di rilevazione di prezzi e tariffe.

 

Invero, l’AGCM, nelle proposte sopra menzionate, ha anche indicato alcune auspicabili modifiche circa la modalità con cui avviene la rilevazione. In particolare, secondo i seguenti principi: (i) la periodicità della rilevazione sia specificamente motivata tenendo conto delle peculiarità dei singoli prodotti e mai tale da poter fornire un’indicazione di prezzo futuro, a tal fine, è necessario che sia adottata una metodologia di tipo storico-statistico; (ii) l’attività sia basata su informazioni e dati storici, certi e attendibili, facilmente verificabili da un soggetto terzo, estraneo alla filiera interessata; (iii) il servizio di deposito di listini e tariffe non sia più disponibile o comunque non consenta l’accesso a listini e tariffe da parte di soggetti terzi; (iv) essa sia svolta da soggetti terzi e indipendenti (quali esperti del settore e/o magistrati, unitamente ai membri interni delle Camere di commercio) e non dagli operatori attivi sui mercati locali, nominati per la gran parte dalle associazioni di categoria, con interessi ben lontani da quelli pubblicistici di monitoraggio del mercato.

Ciò posto, si valuti l’opportunità di meglio definire le metodologie utilizzabili dal Garante nelle sue rilevazioni, posto che l’indicazione di un metodo “storico-statistico” e la “necessaria garanzia di imparzialità” possono apparire di difficile individuazione nel caso concreto.


 

Articolo 18
(Attività di rilevazione degli usi commerciali)

L’articolo 18 introduce alcune misure di enforcement del divieto, previsto dall’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006, per i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi sono oggetto di rilevazione, di far parte dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la rilevazione degli usi commerciali.

 

L’articolo 18, composto da un unico comma, dispone, al fine di assicurare la trasparenza quanto alle modalità di rilevazione degli usi commerciali, che l’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006 sia integrato da tre ulteriori periodi.

 

Si ricorda che l’articolo 11, comma 5 del D.L. n. 223/2006, come modificato dalla relativa legge di conversione, L. n. 248/2006, stabilisce che i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi commerciali sono oggetto di rilevazione non possono far parte dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la rilevazione degli usi stessi.

Sul punto, occorre premettere che la raccolta di usi e consuetudini costituisce una importante funzione svolta dalle Camere di commercio, che oggi si connota con un rilievo del tutto particolare alla luce della legge n. 580/1993, di riforma degli Enti camerali, che valorizza in modo speciale il ruolo di garanzia e di controllo che le Camere di commercio sono chiamate ad assumere nell’ambito.

Invero, le attribuzioni sul monitoraggio degli usi agli enti camerali si rinvengono già con la L. n. 121/1910, poi confermate dal R.D. 20 settembre 1934, n. 2011 (artt. 34 – 40) e con il D.lgs. Lgt. 21 settembre 1944, n. 315[8]. Questi ultimi due provvedimenti ancora disciplinano la materia, definendo l’articolazione essenziale della procedura di accertamento (esperimento delle indagini necessarie da parte dell’ente e predisposizione dello schema della raccolta, invito alle associazioni professionali interessate a formulare eventuali osservazioni sullo schema predisposto, pubblicazione del testo definitivo e revisione almeno quinquennale della raccolta), insieme al D. Lgs. C.P.S. 27 gennaio 1947 n. 152. Invero, tale normativa è stata integrata, nel 1964, dalla circolare del Ministero dell’Industria e del Commercio n. 1695/C, che, con la finalità di uniformare sul territorio nazionale le modalità di rilevazione degli usi, ha fornito agli enti camerali indicazioni dettagliate quanto al modus procedendi.

Ciò posto, in ogni camera opera la Commissione provinciale degli usi e i Comitati tecnici competenti per l’accertamento e la revisione. Fanno parte della Commissione rappresentanti delle associazioni di categoria, degli ordini professionali ed esperti giuridici. Per ogni settore viene costituito un apposito Comitato tecnico composto da persone designate dalle associazioni di categoria e dalle associazioni dei consumatori.

 

Il primo periodo, introdotto dall’articolo qui in commento, impone alle Commissioni provinciali di assicurare il rispetto del divieto, per i rappresentanti di categorie aventi un diretto interesse nella materia i cui usi sono oggetto di rilevazione di esser membri dei Comitati tecnici istituiti presso le Camere di commercio.

Il secondo e terzo periodo dispongono, rispettivamente, che, in caso di violazione del predetto obbligo, il presidente della Commissione provinciale provvede a dichiarare la decadenza del Comitato tecnico, e che, in caso di inerzia della Commissione, la Camere di commercio provvede alla revoca della Commissione, d’ufficio o su segnalazione di chiunque via abbia interesse.

 

Si sottolinea che la normativa in commento riprende quanto auspicato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) all’interno del documento, datato giugno 2023, contenente “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2023“.

Nello specifico, l’AGCM ha sostenuto la necessità di introdurre specifiche misure sanzionatorie a carico delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in caso di violazione dell’articolo 11, comma 5, del D.L. n. 223/2006.


 

Articolo 19
(Misure per favorire la concorrenza nel settore assicurativo)

 

L’articolo 19 reca disposizioni volte a favorire la portabilità dei dati contenuti nelle “scatole nere”.

Nello specifico, vengono stabiliti:

- un divieto di inserire clausole che impediscono o limitano all’assicurato la disinstallazione gratuita dei dispositivi elettronici alla scadenza annuale del contratto ovvero che prevedono penali per la loro restituzione dopo tale scadenza, a pena di nullità delle stesse;

- un meccanismo di portabilità dei dati registrati dalle scatole nere;

- un meccanismo di compensazione monetaria per la messa a disposizione dei dati.

 

Il comma 1 vieta alle imprese assicuratrici la previsione di clausole contrattuali esclusive o limitative del diritto dell’assicurato di disinstallare, gratuitamente e alla scadenza annuale del contratto, i dispositivi elettronici per il monitoraggio dei dati dell’attività di circolazione dei veicoli a motore (c.d. “scatole nere” o equivalenti) di cui all’articolo 132-ter del decreto legislativo, 7 dicembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), nonché di clausole che stabiliscono penali per la restituzione degli stessi dopo tale scadenza.

A tal proposito, essendo le clausole suddette qualificabili come vessatorie, la disposizione presenta un meccanismo sanzionatorio analogo a quello previsto dall’articolo 36 del decreto legislativo, 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo) che disciplina la nullità di protezione. Nello specifico, in caso di contratto contenente tali clausole, la nullità colpisce esclusivamente queste ultime e non, invece, l’intero contratto, il quale rimane valido per la parte restante.

 

In merito, ai sensi del sopra citato articolo 36, le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Si rammenta che l’articolo 33, comma 1, del Codice del consumo definisce vessatorie, nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione, nonché alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.

 

Con legge, 4 agosto 2017, n. 124 si è provveduto a inserire nel Codice delle assicurazioni private l’articolo 132-ter.

Esso contiene la disciplina inerente alle diverse condizioni che danno luogo, in favore dell’assicurato, a uno sconto sul prezzo della polizza, in caso di stipulazione di un contratto r.c. auto. Specificamente:

- qualora, su proposta dell’impresa di assicurazione, i soggetti che presentano proposte per l’assicurazione obbligatoria accettino di sottoporre il veicolo a ispezione da eseguire a spese dell’impresa di assicurazione;

- qualora vengano installati, su proposta dell’impresa di assicurazione, o siano già presenti e portabili meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera” o equivalenti, ovvero ulteriori dispositivi;

- qualora vengano installati, su proposta dell’impresa di assicurazione, o siano già presenti, meccanismi elettronici che impediscono l’avvio del motore qualora sia riscontrato nel guidatore un tasso alcolemico superiore ai limiti stabiliti dalla legge per la conduzione di veicoli a motore.

  

L’IVASS, con proprio regolamento, definisce criteri e modalità della determinazione da parte delle imprese di assicurazione dello sconto da applicare sul premio.

Le imprese assicurative, in attuazione dei suddetti criteri, definiscono uno sconto significativo da applicare alla clientela a fronte della riduzione del rischio connesso al ricorrere di una o più delle condizioni summenzionate. Peraltro, le imprese medesime, sia in sede di preventivo sia nel contratto e in caso di accettazione da parte del contraente, specificano lo sconto praticato per ciascuna delle condizioni predette, in valore assoluto e in percentuale, rispetto al prezzo della polizza altrimenti applicato.

L’IVASS provvede a identificare, alla luce dei dati disponibili e delle indagini statistiche, la lista (aggiornata ogni due anni) delle province a maggiore tasso di sinistrosità e con premio medio più elevato.

Con medesimo regolamento, l’IVASS, in considerazione dei premi più elevati applicati nelle province a maggiore tasso di sinistrosità e di quelli praticati nelle altre province a più bassa sinistrosità ad assicurati con le medesime caratteristiche soggettive e collocati nella medesima classe di merito, definisce, altresì, i criteri e le modalità per la determinazione da parte delle imprese di assicurazione di uno sconto, aggiuntivo e significativo rispetto a quello già praticato, da applicare ai soggetti residenti nelle province predette, subordinatamente all’assenza di sinistri provocati con responsabilità esclusiva o principale o paritaria negli ultimi quattro anni, nonché all’installazione, a seguito della stipula del contratto, della “scatola nera”. Anche questo sconto aggiuntivo deve essere evidenziato dalle imprese assicuratrici, sia in sede di preventivo sia nel contratto, in caso di accettazione del da parte del contraente, in valore assoluto e in percentuale, rispetto al prezzo della polizza altrimenti applicato.

Il regolamento che l’IVASS è tenuto ad adottare:

- definisce i parametri oggettivi, tra cui la frequenza dei sinistri e il relativo costo medio, per il calcolo dello sconto aggiuntivo;

- prevede che non possano sussistere differenziali di premio che non siano giustificati da specifiche evidenze sui differenziali di rischio.

 

All’IVASS sono attribuiti poteri di vigilanza sul rispetto da parte delle imprese assicuratrici, nel processo di costruzione della tariffa e del ricalcolo del premio, dei criteri e delle modalità ai fini della determinazione dello sconto sul premio e dello sconto aggiuntivo. Tale potere viene esercitato attraverso periodiche verifiche a campione, anche in via ispettiva ovvero a seguito di circostanziata segnalazione da parte di terzi.

L’IVASS verifica, inoltre, che lo sconto aggiuntivo garantisca la progressiva riduzione delle differenze dei premi applicati sul territorio nazionale nei confronti di assicurati con le medesime caratteristiche soggettive e collocati nella medesima classe di merito.

 

Una delle predette condizioni ai fini dello sconto sul premio è costituita dall’installazione, su proposta dell’impresa di assicurazione, di meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, denominati “scatola nera”.

Come osserva la relazione illustrativa del Governo, sebbene non siano stati adottati i decreti attuativi sugli standard tecnologici volti ad assicurare la portabilità e l’interoperabilità dei dati registrati dai dispositivi elettronici, le “scatole nere” hanno comunque trovato diffusione sul mercato assicurativo, anche in virtù della scontistica di “benvenuto” praticata dalle assicurazioni per i nuovi clienti.

Nella relazione medesima viene riportata la segnalazione dell’Antitrust ad avviso della quale si rileva un concreto rischio di c.d. lock-in, ovvero di fidelizzazione “forzata”, derivante dalla applicazione della riduzione del premio dal secondo anno di installazione della scatola nera, a condizione che l’assicurato non cambi compagnia, con inevitabili effetti distorsivi della concorrenza, consistenti nell’imposizione di costi ai clienti per la disinstallazione dei dispositivi elettronici, nonché di clausole penali in caso di restituzione degli stessi, rafforzando di fatto il fenomeno di lock-in già citato.

Ne consegue che la finalità della norma in esame è rappresentata dall’incentivazione della mobilità della domanda in ambito assicurativo e la riduzione del fenomeno del cosiddetto lock-in.

 

Il divieto di inserimento delle predette clausole opera nelle more della piena interoperabilità dei dispositivi elettronici, la quale è regolata dall’articolo 145-bis, commi 2 e 3, del Codice delle assicurazioni private.

 

Il sopra citato articolo 145-bis, al primo comma, definisce il valore probatorio delle cosiddette “scatole nere” e degli altri dispositivi elettronici previsti dal citato articolo 132-ter, comma 1, lettere b) e c).

Specificamente, laddove uno dei veicoli coinvolti in un sinistro stradale risulti dotato di uno di tali dispositivi, le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo.

Il richiamato articolo 145-bis, peraltro, dispone che l’interoperabilità e la portabilità dei meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, anche nei casi di sottoscrizione da parte dell’assicurato di un contratto di assicurazione con un’impresa assicuratrice diversa da quella che ha provveduto a installare i meccanismi elettronici, sono garantite da operatori, i cosiddetti provider di telematica assicurativa, i cui dati identificativi sono comunicati all’IVASS da parte delle imprese di assicurazione che ne utilizzano i servizi.

 

Il comma 2 disciplina un meccanismo di portabilità dei dati registrati dalle “scatole nere”

Nello specifico, è prevista la facoltà per il consumatore di richiedere, tramite la compagnia assicurativa, all’impresa che gestisce i dispositivi elettronici, l’insieme dei dati registrati dal dispositivo elettronico durante la circolazione del veicolo assicurato, i quali vengono utilizzati dalla compagnia assicurativa ai fini del calcolo del premio del nuovo contratto stipulato con l’assicurato.

Tali dati ricomprendono:

§  la percorrenza complessiva;

§  la percorrenza differenziata in funzione delle diverse tipologie di strade percorse;

§  l’orario, diurno o notturno, di percorrenza negli ultimi dodici mesi.

 

La norma indica, altresì, le modalità con cui questi dati devono essere forniti.

Nello specifico, essi devono essere resi gratuitamente, in un formato strutturato, con modalità di uso comune e leggibile da dispositivo automatico.

 

Nella relazione illustrativa si osserva come la suddetta norma persegua la finalità di garantire la continuità del servizio di trattamento dei dati alla nuova compagnia assicurativa.

Nella relazione medesima, si evidenzia, altresì, che l’assunto per il quale i dati debbano essere forniti in modalità accessibile riprende l’articolo 30 del Regolamento (UE) 2023/2854, il quale, nel disciplinare gli aspetti tecnici del passaggio di dati, prevede che i fornitori di servizi di trattamento dei dati adottino tutte le misure ragionevoli in loro potere, anche alla luce del principio di buona fede, per far sì che il cliente raggiunga l’equivalenza funzionale nell’utilizzo dei dati richiesti in portabilità.

 

Infine, il comma 3 stabilisce un meccanismo di compensazione monetaria per la messa a disposizione dei dati.

In particolare, l’utilizzo dei dati sopra citati da parte della nuova compagnia assicurativa viene condizionato al versamento, da parte della stessa, di un compenso una tantum nella misura massima di 20 euro in favore dell’impresa che gestisce il dispositivo elettronico e che, quindi, ha fornito i dati.


 

Articolo 20
(
Sistema informativo antifrode per rapporti assicurativi non obbligatori)

 

 

L’articolo 20 riconosce alle imprese assicurative la possibilità di istituire un sistema informativo sui rapporti assicurativi non obbligatori, volto a contrastare comportamenti fraudolenti e posto sotto la vigilanza dell’IVASS.

 

Nello specifico il comma 1 prevede che le imprese assicurative possono istituire, per il tramite della relativa associazione, un sistema informativo sui rapporti assicurativi per rami diversi dalla responsabilità civile automobilistica, con la finalità di rendere più efficace la prevenzione e il contrasto di comportamenti fraudolenti. Si precisa che tale sistema è alimentato dai sistemi informativi delle singole imprese assicurative ed è sottoposto alla vigilanza dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) che vi provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Su tale aspetto la relazione tecnica precisa che l’IVASS già svolge attività di controllo a garanzia dell’adeguata protezione degli assicurati e della sana e prudente gestione delle imprese assicurative nell’ambito della loro trasparenza e correttezza nei confronti della clientela e dunque la previsione in commento non rappresenta un aggravio della normale attività dell’agenzia.

 

La norma specifica, inoltre, che le imprese assicurative possono utilizzare i dati del sistema informativo per finalità connesse con la liquidazione dei sinistri.

 

Il comma 2 indica i soggetti che sono tenuti a definire le modalità di attuazione della disposizione.

Nello specifico, si prevede che le modalità di alimentazione e di accesso al sistema informativo e le tipologie di dati da trattare, sono definiti dall’IVASS con proprio regolamento, da adottare sentiti il Garante per la protezione dei dati personale e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), previa consultazione delle imprese di assicurazione e della relativa associazione rappresentativa.

 

Il comma 3, in merito ai costi della misura in esame, stabilisce che i costi della realizzazione e della gestione del sistema informativo sono esclusivamente a carico delle imprese assicurative partecipanti e che comunque dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

 

Circa le finalità sottostanti all’intervento normativo, nella relazione illustrativa che accompagna il testo, il legislatore osserva che la disposizione, nel migliorare la trasparenza, la sicurezza e l’efficienza delle operazioni assicurative, mira a contrastare la frode assicurativa, proteggendo così gli interessi degli assicurati e preservando l’integrità del mercato assicurativo nel suo complesso, attraverso una stretta collaborazione tra le imprese assicurative, le autorità di regolamentazione e le istituzioni competenti.


 

Articolo 21
(Modifiche al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206)

 

L’articolo 21 introduce nel Codice di consumo un nuovo articolo 15-bis, che si pone come misura di contrasto alla pratica commerciale nota come “riporzionamento”.

In particolare, si prevede un obbligo informativo, mediante specifica etichetta, circa la riduzione di quantità e l’aumento del prezzo in percentuale, per un periodo di sei mesi dall’esposizione del prodotto in quantità ridotta.

 

L’articolo 21, composto da un unico comma, introduce, dopo l’articolo 15 del D. Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo), un articolo 15-bis la cui rubrica recita: “Misure di contrasto alla prassi commerciali di riporzionamento dei prodotti preconfezionati”.

 

La norma si riferisce al fenomeno del c.d. “Shrinkflation”, ossia la pratica dei produttori volta a ridurre la quantità di prodotto all’interno delle confezioni, mantenendo però il prezzo sostanzialmente invariato, se non aumentandolo.

 

In particolare, il primo comma del neo introdotto articolo impone ai produttori che mettono in vendita, anche mediante distributori operanti in Italia, un prodotto di consumo che, pur mantenendo inalterato il precedente confezionamento, ha subito una riduzione della quantità nominale con conseguente aumento del prezzo per unità di misura, di informare il consumatore dell’avvenuta riduzione.

Nello specifico, l’informazione deve rendere edotti della riduzione della quantità e dell’aumento del prezzo in termini percentuali.

A tal fine, si impone al produttore di apporre sulla confezione di vendita una specifica etichetta con apposita evidenziazione grafica.

Il comma 2 specifica che l’obbligo informativo di cui al comma 1 trova applicazione per un periodo di sei mesi, decorrenti dalla data in cui il prodotto è esposto nella sua quantità ridotta.

 


 

Articolo 22
(Disposizioni in materia di trasporto pubblico non di linea)

 

 

L’articolo 22 apporta modifiche al decreto-legge n. 135 del 2018, al fine di sanzionare la mancata iscrizione al registro informatico delle imprese esercenti l’attività di trasporto pubblico non di linea da parte di chi svolge il servizio di taxi o di noleggio con conducente (NCC) e di conferire ai Comuni competenze in materia di accesso al registro e di verifica della veridicità dei dati contenuti nello stesso. La disposizione riforma, altresì, l’apparato sanzionatorio definito agli articoli 85 e 86 del Codice della strada che disciplinano il servizio di taxi e NCC.

 

L’articolo 22, composto da tre commi, modifica l’apparato sanzionatorio previsto per le violazioni delle norme in materia di trasporto pubblico non di linea.

In particolare, il comma 1 modifica l’art. 10-bis, comma 3, del decreto-legge n. 135 del 2018 (recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione) che disciplina l’istituzione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT) di un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi e di quelle autorizzate allo svolgimento del servizio di noleggio con conducente (NCC) entrambi effettuati con autovettura, motocarrozzetta e natante.

Al fine di rendere effettivo l’obbligo di iscrizione al suddetto registro per i conducenti di taxi o gli esercenti il sevizio di NCC, la novella prevede per il caso di mancata iscrizione l’applicazione della sanzione di cui all’art. 11-bis, comma 1, lettera b), della legge n. 21 del 1992, ossia, della sospensione per due mesi dal ruolo di cui all’art. 6 della stessa legge.

 

In particolare, l’art. 6 della legge n. 21 del 1992 disciplina il ruolo dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea istituito presso la camera di commercio. L’iscrizione al ruolo, a norma del comma 5 del medesimo articolo, è requisito indispensabile per il rilascio della licenza per l’esercizio del servizio di taxi e per il rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.

Si ricorda inoltre che, a proposito dell’operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle licenze taxi e NCC e sulla conseguente regolazione del rilascio delle licenze, sono intervenute le sentenze della Corte costituzionale nn. 36 e 137 del 2024.

In particolare, con quest’ultima sentenza la Corte ha dichiarato illegittimo il divieto di rilascio di nuove licenze in mancanza dell’adozione del decreto istitutivo dell’archivio. Tale divieto si è risolto per oltre 5 anni in una “barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, compromettendo gravemente ”la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea”. La sentenza specifica, inoltre, che i servizi di autotrasporto non di linea concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, di cui all’articolo 16 della Costituzione: la notoria carenza dell’offerta di tali servizi, compromette “non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese”.

 

La disposizione, inoltre, al fine di assicurare la completezza e l’esaustività dei dati contenuti nel registro attribuisce ai Comuni determinate competenze. In particolare ai Comuni è garantito l’accesso al registro allo scopo di:

-         verificare la veridicità dei dati ivi contenuti;

-         effettuare la ricognizione dei dati quantitativi relativi al numero delle licenze e delle autorizzazioni per ciascun comune;

-         adottare i provvedimenti di competenza per i quali si renda necessario l’accesso ai dati contenuti nel registro.

I Comuni sono tenuti comunicare al MIT i dati sulla ricognizione del numero delle licenze per taxi e delle autorizzazioni per NCC per comune nonché gli eventuali provvedimenti di revoca o sospensione dei titoli abilitativi per il trasporto pubblico non di linea adottati.

 

Il comma 2 si compone di due lettere a) e b) e reca modifiche agli articoli 85 e 86 del decreto legislativo n. 285 del 1992.

Come precisato nella Relazione illustrativa, tale norma mira a razionalizzare ed equiparare le sanzioni nei confronti dei trasgressori delle norme di cui alla legge quadro n. 21 del 1992, in materia di trasporto pubblico non di linea, che si tratti sia di taxi sia di NCC, distinguendo le fattispecie di:

·        abusivismo in assenza di titolo abilitativo;

·        le violazioni sostanziali della citata legge;

·        le violazioni lievi.

 

In particolare:

·        La lettera a) novella l’art. 85 sostituendone i commi 4 e 4-bis e introducendo un nuovo comma 4-ter.

1)       Il nuovo testo del comma 4, come precisato nella Relazione illustrativa, riguarda i casi di esercizio abusivo dell’attività di NCC e tende a inasprire le sanzioni rispetto alla disciplina previgente e ad allinearle a quelle previste dall’art. 86 per l’esercizio abusivo dell’attività di taxi.

Nello specifico la norma applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1812 a euro 7249 a chiunque adibisce a NCC un veicolo non destinato a tale uso ovvero in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 8 della legge n. 21 del 1992.

 

Nel caso si tratti di autobus immatricolati a NCC la sanzione va da euro 1998 a euro 7993.

 

Al trasgressore è applicata altresì la sanzione della confisca del veicolo e della sospensione della patente di guida da 4 a 12 mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II.

 

La disposizione prevede inoltre che, ove lo stesso soggetto, in un periodo di tre anni, sia incorso per almeno due volte in tale violazione, all’ultima di esse consegue la sanzione accessoria della revoca della patente.

 

In chiusura, la norma, estende le suddette sanzioni anche a coloro ai quali sia stata sospesa o revocata l’autorizzazione

 

2)      Il nuovo testo del comma 4-bis, fa invece riferimento alle violazioni sostanziali della legge n. 21 del 1992. La disposizione individua le sanzioni amministrative da applicare al titolare dell’autorizzazione allo svolgimento del servizio di NCC nelle ipotesi di utilizzo del veicolo in violazione degli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992, anche nelle ipotesi di reiterazione degli illeciti.

 

Gli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992 trattano degli obblighi gravanti sui titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.

 

In particolare, il nuovo comma dispone che:

a)      alla prima violazione, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché la sospensione della carta di circolazione per un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I sezione II;

b)     alla seconda violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1010 e quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi;

c)      alla terza violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1344 e della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi;

d)     alla quarta violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano le sanzioni del pagamento di una somma da euro 528 a euro 2020 e della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi.

 

Infine, la lettera a) introduce il nuovo comma 4-ter che fa riferimento alle violazioni cosiddette lievi della disciplina sul trasporto non di linea.

In esso si stabilisce che, al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 4 e 4-bis, l’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 dell’articolo 85 del Codice della strada destinato a NCC in violazione delle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

 Ai sensi dell’art. 85, comma 2, possono essere destinati a effettuare servizio di NCC per trasporto di persone: i motocicli con o senza sidecar; i tricicli; i velocipedi; i quadricicli; le autovetture; gli autobus; gli autoveicoli per trasporto promiscuo o per trasporti specifici di persone; i veicoli a trazione animale.

 

La lettera b) sostituisce il comma 3 dell’art. 86 del Codice della strada e introduce un nuovo comma 3-bis.

 

Il nuovo testo del comma 3, che fa riferimento alle violazioni sostanziali della legge n. 21 del 1992, individua le sanzioni applicabili per l’inosservanza, anche reiterata, degli articoli 2, 12 commi 1 e 2, e 13, comma 1, commessa da parte di chi guida un taxi, anche se munito di licenza.

 

I suddetti articoli definiscono alcuni degli obblighi degli esercenti il servizio di taxi stabilendo, in particolare, che all’interno delle aree comunali o comprensoriali la prestazione è obbligatoria, che lo stazionamento avviene in luogo pubblico, che le autovetture sono munite di tassametro omologato dal quale è deducibile il corrispettivo da pagare, che eventuali supplementi tariffari devono essere portati a conoscenza dell’utenza mediante avvisi chiaramente leggibili posti sul cruscotto dell’autovettura. Infine, si dispone che il servizio di taxi si effettua dietro pagamento di un corrispettivo calcolato dal tassametro omologato sulla base di tariffe determinate dalle competenti autorità amministrative.

 

Nello specifico la norma stabilisce che si applicano al titolare della licenza:

a)      alla prima violazione le sanzioni del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

b)     alla seconda violazione le sanzioni del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1010, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi;

c)      alla terza violazione le sanzioni del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1344, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi;

d)     alla quarta violazione le sanzioni del pagamento di una somma da euro 884 a euro 2020, nonché quella accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi.

 

Il nuovo comma 3-bis fa riferimento alle violazioni lievi, che consistono nell’inosservanza delle condizioni indicate nella licenza per lo svolgimento del servizio taxi da parte del titolare della stessa. In tali ipotesi è prevista la sanzione del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

Infine, il comma 3 dell’articolo in commento introduce norme di carattere transitorio, prevedendo che le disposizioni di cui al comma 2 del medesimo articolo (ossia quelle che modificano gli articoli 85 e 86 del Codice della strada) entrano in vigore decorsi sei mesi dalla pubblicazione del decreto adottato in attuazione di quanto previsto dall’art. 11 della legge n. 21 del 1992.

Si tratta, in particolare, del decreto con cui il MIT individua le specifiche del foglio di servizio in formato elettronico (targa del veicolo, nome del conducente, orario di inizio servizio, ecc.) che il conducente che svolge il servizio di NCC ha l’obbligo di compilare e tenere.

 

 


 

 

Decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 22 dell’A.C. 2022

Art. 10-bis
(Misure urgenti in materia di autoservizi pubblici non di linea)

Art. 10-bis
(idem)

Commi 1 e 2   Omissis

Identici

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso il Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate le specifiche tecniche di attuazione e le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi. Agli oneri derivanti dalle previsioni del presente comma, connessi all’implementazione e all’adeguamento dei sistemi informatici del Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pari ad euro un milione per l’annualità 2019, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143. Alla gestione dell’archivio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, presso il Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è istituito un registro informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza per il servizio taxi effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante e di quelle di autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente effettuato con autovettura, motocarrozzetta e natante. Con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sono individuate le specifiche tecniche di attuazione e le modalità con le quali le predette imprese dovranno registrarsi. Agli oneri derivanti dalle previsioni del presente comma, connessi all’implementazione e all’adeguamento dei sistemi informatici del Centro elaborazione dati del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, pari ad euro un milione per l’annualità 2019, si provvede mediante utilizzo dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143. Alla gestione dell’archivio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In caso di mancata iscrizione al registro di cui al presente comma, nei confronti dei soggetti di cui al primo periodo, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 11 -bis, comma I, lettera b), della legge 15 gennaio 1992, n. 21. I comuni accedono al registro al fine di verificare la veridicità dei dati ivi contenuti e procedono alla ricognizione dei dati quantitativi relativi al numero delle licenze e delle autorizzazioni per ciascun comune, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all’esito della ricognizione dai medesimi effettuata. I comuni accedono al registro anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di competenza per i quali si renda necessario l’accesso ai dati contenuti nel registro e comunicano al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti i dati relativi agli eventuali provvedimenti di revoca o sospensione dei titoli abilitativi per il trasporto pubblico non di linea adottati.

Commi da 4 a 9    Omissis

Identici

 


Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285

 

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 22 dell’A.C. 2022

 

Art. 85
(Servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone)

Art. 85
(idem)

 

Commi da 1 a 3   Omissis

Identici

 

4. Chiunque adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero, pur essendo munito di autorizzazione, guida un’autovettura adibita al servizio di noleggio con conducente senza ottemperare alle norme in vigore, ovvero alle condizioni di cui all’autorizzazione, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 173 ad euro 694 e, se si tratta di autobus, da euro 430 ad euro 1.731. La violazione medesima importa la sanzione amministrativa della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a otto mesi, secondo le norme del capo I, sezione II, del titolo VI.

4. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 11-bis della legge 15 gennaio 1992, n. 21, chiunque adibisce a noleggio con conducente un veicolo non destinato a tale uso ovvero in assenza dell’autorizzazione di cui all’articolo 8 della legge n. 21 del 1992, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 1.812 a euro 7.249 e, se si tratta di autobus immatricolati a noleggio con conducente, da euro 1.998 a euro 7.993. La violazione medesima importa la sanzione amministrativa della confisca del veicolo e della sospensione della patente di guida da quattro a dodici mesi, secondo le nonne del titolo VI, capo I, sezione Il. Quando lo stesso soggetto è incorso, in un periodo di tre anni, in tale violazione per almeno due volte, all’ultima di esse consegue la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Le stesse sanzioni si applicano a coloro ai quali è stata sospesa o revocata l’autorizzazione.

 

4-bis. Chiunque, pur essendo munito di autorizzazione, guida un veicolo di cui al comma 2 senza ottemperare alle norme in vigore ovvero alle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 ad euro 338. Dalla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della carta di circolazione e dell’autorizzazione, ai sensi delle norme di cui al capo I, sezione II, del titolo VI.

4-bis. L’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 destinato a noleggio con conducente in violazione di quante disposto dagli articoli 3 e 11 della legge n. 21 del 1992, è soggetto alle seguenti sanzioni:

a) alla prima violazione, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 178 a euro 672, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione Il;

b) alla seconda violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1.010, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione 11;

c) alla terza violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1.344, nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

d) alla quarta violazione registrata sul medesimo veicolo, si applicano al titolare dell’autorizzazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 528 a euro 2.020 e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione Il.

 

 

4-ter. Al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 4 e 4-bis, l’utilizzo di un veicolo di cui al comma 2 destinato a noleggio con conducente in violazione delle condizioni di cui all’autorizzazione medesima è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

Art. 86
(Servizio di piazza con autovetture, motocicli e velocipedi con conducente o taxi)

Art. 86
(idem)

Commi 1 e 2    Omissis

Identici

 

3. Chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi senza ottemperare alle norme in vigore ovvero alle condizioni di cui alla licenza è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 ad euro 338.

3. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 11-bis della legge 15 gennaio 1992, n. 21, chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi in violazione di quanto disposto dagli articoli 2, 12, commi I e 2, e 13, comma I, della legge 15 gennaio 1992, n. 21, è soggetto alle seguenti sanzioni:

a) alla prima violazione, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 178 a curo 672 nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo di un mese, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

b) alla seconda violazione, si applicano al titolare della licenza .la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 264 a euro 1010 nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo compreso tra uno e due mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione II;

c) alla terza violazione, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 356 a euro 1344 nonché la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da due a quattro mesi, secondo le norme del titolo VI, del capo I, sezione II;

d) alla quarta violazione, si applicano al titolare della licenza la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 884 a euro 2.020 e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della carta di circolazione per un periodo da quattro a otto mesi, secondo le norme del titolo VI, capo I, sezione Il.

 

 

3-bis. Al di fuori delle ipotesi di cui ai commi 2 e 3, chiunque, pur essendo munito di licenza, guida un taxi senza ottemperare alle condizioni di cui alla licenza è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 86 a euro 338.

 

 

 

 


 

Articolo 23
(Delega al Governo in materia di strutture amovibili funzionali all’attività dei pubblici esercizi)

 

 

L’articolo 23 prevede una delega per il riordino delle norme sulla concessione di spazi pubblici di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili funzionali all’attività esercitata (c.d. dehors) (comma 1).

Il decreto legislativo deve seguire principi di ragionevolezza e proporzionalità, senza nuovi oneri finanziari, rispettando i principi e criteri direttivi dettati dal comma 2, che prevedono, tra l’altro, la non applicazione dei regimi autorizzatori previsti dal Codice dei beni culturali e la definizione di beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale.

Il decreto legislativo è adottato tramite un procedimento di co-proposta e concerto interministeriale, previo parere della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari competenti (comma 3).

Autorizzazioni e concessioni temporanee attualmente in vigore per l’uso del suolo pubblico vengono poi prorogate fino all’entrata in vigore del decreto legislativo, e comunque non oltre il 31 dicembre 2025 (comma 4).

 

Nello specifico, l’articolo 23 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo per il riordino e il coordinamento delle disposizioni concernenti la concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili (c.d. dehors) funzionali all’attività esercitata, previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42/2004), con specifico riferimento agli interventi soggetti ad autorizzazione, controllo e gestione dei beni soggetti a tutela e all’uso dei beni culturali interessati (comma 1).

 

Come meglio si dirà nel box di approfondimento che segue, la previsione in esame, riguardante i regimi concessori per l’installazione di c.d. dehors, insiste su una disciplina di rango primario composta da vari plessi normativi, sia di carattere generale e che di carattere speciale, col fine di armonizzarla e riordinarla, disponendo a tal fine una delega al Governo. In particolare:

         nell’ambito della disciplina di carattere generale, vengono in rilievo le previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), del testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001), e della normativa di semplificazione dei procedimenti in materia di beni culturali e paesaggistici (D.L. n. 183/2014 e D.P.R. n. 31/2017);

         per quel che la normativa di carattere speciale-derogatorio, si ricorda la legislazione emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, via via prorogata e ancora vigente, e in particolare: D.L. n. 34/2020, D.L. n. 137/2020, D.L. n. 41/2021, legge di bilancio 2022 (L. n. 234/2021), D.L. n. 228/2021, D.L. n. 21/2022, D.L. n. 144/2022, legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022), D.L. n. 198/2022, e, da ultimo, legge sulla concorrenza 2022 (L. n. 214/2023).

Inoltre la materia, in particolare quella relativa alle norme del Codice dei beni culturali e del paesaggio sul rilascio delle autorizzazioni da parte delle soprintendenze (articoli 21, 106 e 146), e? stata regolata negli anni da direttive ministeriali, che, insieme a norme e prassi edilizie che spesso variano significativamente da un comune all’altro, non sempre sono state ritenute idonee a garantire certezza agli enti locali e agli esercenti.

A ciò si aggiunga quanto rilevato anche dalla giustizia amministrativa secondo cui lo stesso concetto di “dehorsnon ha ancora ricevuto una definizione da parte del legislatore statale, mentre a livello locale se ne fa spesso menzione in regolamenti comunali, ingenerando cosi? un disallineamento rispetto alla normativa generale nazionale vigente in materia. Come evidenziato dal Consiglio di Stato (sent. Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489), infatti, nel gergo ormai di uso comune, piuttosto che giuridico, le strutture a corredo di attività commerciali vengono denominate con l’espressione di derivazione francese “dehor” (letteralmente, che sta fuori), che, in contrapposizione a “dedans” (che sta dentro), finisce per individuare proprio quei manufatti di varia tipologia che vanno ad ampliare le superfici di somministrazione di alimenti e bevande di bar, ristoranti e simili.

Il termine è stato traslato dalla prassi per lo più nei regolamenti comunali, che spesso ne fanno menzione finanche nell’oggetto, con conseguenti disallineamenti rispetto alla normativa nazionale quadro di riferimento – in primis, rispetto al D.P.R. n. 380/2001 e al D.M. 2 marzo 2018.

L’utilizzo del termine “dehor” da parte del legislatore nazionale si riscontra per la prima volta nella sola normativa emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, di cui si dirà più avanti nel box. Tale normativa non reca peraltro una definizione di “dehor”.

Il riordino della normativa in materia di dehors incide sull’ordinamento giuridico soprattutto per quel che riguarda la gestione dello spazio pubblico e le attività commerciali, collocandosi in un contesto normativo che interseca aree disciplinate dal diritto amministrativo (soprattutto urbanistico-edilizio) e dalla normativa fiscale. Quanto al primo, in particolare, viene in rilievo la classificazione dei dehors dal punto di vista edilizio, come detto ancora non definita dal legislatore statale, con particolare riferimento alla loro distinzione tra strutture temporanee e permanenti, alla necessita? o meno, per la loro installazione, di un titolo abilitativo (permesso di costruire o altre forme di autorizzazione), nonché alla disciplina in materia di sicurezza, accessibilità e impatto visivo.

Si osserva in proposito che, nonostante all’interno della relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge in esame si usi il termine “dehors”, nel testo dell’articolo 23 qui in commento lo stesso non viene mai impiegato, né viene delegato al Governo il compito di tracciare una definizione normativa di tale concetto.

 

Con riferimento alle strutture utilizzate dagli imprenditori commerciali per ampliare la superficie del proprio esercizio, proponendo in questa sede una disamina del quadro normativo vigente, si rileva che il legislatore nazionale ha cercato di porre dei “palettitemporali all’installazione di tali strutture amovibili, il superamento dei quali diviene chiaro indizio di tendenziale non stagionalità della struttura. A questo proposito vengono in rilievo le seguenti previsioni normative:

 

• Il c.d. Testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001), all’articolo 6, comma 1, lett. e-bis) – inserito dall’art. 3, comma 1, lett. b), n. 3), del D.lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (c.d. D.lgs. “Scia 2”) e successivamente sostituito dall’art. 10, comma 1, lett. c), del D.L. n. 76/2020, convertito con L. n. 120/2020 – consente di realizzare senza titolo abilitativo, in regime di attività di edilizia libera, «le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale».

Il Consiglio di Stato (sent. Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489) ha evidenziato che dalla lettura della citata lett. e-bis) emergono due elementi connotanti le strutture in questione: uno funzionale, consistente cioè nella finalizzazione alle esigenze dell’attività, che devono tuttavia essere «contingenti e temporanee», intendendosi per tali quelle che, in senso obiettivo, assumono un carattere ontologicamente temporaneo, quanto alla loro durata, e contingente, quanto alla ragione che ne determina la realizzazione, e che in ogni caso (cioè quale che ne sia la “contingenza” determinante) non superano comunque i centottanta giorni (termine che comprende anche i tempi di allestimento e smontaggio, riducendosi in tal modo l’uso effettivo ad un periodo inferiore ai predetti centottanta giorni); l’altro strutturale, ovvero l’avvenuta realizzazione con materiali e modalità tali da consentirne la rapida rimozione una volta venuta meno l’esigenza funzionale (e quindi al più tardi nel termine di centottanta giorni dal giorno di avvio dell’istallazione, coincidente con quello di comunicazione all’amministrazione competente).

La lett. e-quinquies) del medesimo comma 1 consente di realizzare in edilizia libera anche «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici».

Il comma 1 del succitato articolo 6 fa comunque salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, disponendo il rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, il rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42/2004.

 

• Quanto alle disposizioni contenute appunto Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), si rammenta che l’articolo 52 del Codice dispone che i comuni, sentito il Soprintendente, individuino le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio (comma 1).

Lo stesso articolo, al fine di assicurare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, dispone che i competenti uffici territoriali del Ministero, d’intesa con la regione e i comuni, adottino apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l’uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico (comma 1-ter).

L’articolo 21 del Codice prescrive, poi, che l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. L’autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell’intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione (commi 4 e 5).

L’articolo 106 del Codice, in materia di uso dei beni culturali, prevede che lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono concedere l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Ai sensi del comma 2-bis, per i beni che non siano in consegno al Ministero della cultura, la concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero, rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e sia assicurata la compatibilità della destinazione d’uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

L’articolo 146 del medesimo Codice assoggetta poi ad autorizzazione paesaggistica la realizzazione di interventi su un immobile o un’area tutelati dal punto di vista paesaggistico (ai sensi dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157 del Codice stesso). L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.

 

• Il D.P.R. n. 31/ 2017 – adottato in attuazione dell’articolo 146, comma 9 e dell’articolo 12, comma 2 del D.L. n. 183/2014 e ss. mod. e int. – ha individuato gli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata. Il D.P.R., alla voce “A.16” dell’allegato A, ha indicato, tra gli interventi “liberi”, l’occupazione temporanea anche di suolo pubblico o di uso pubblico «mediante installazione di strutture o di manufatti semplicemente ancorati al suolo senza opere murarie o di fondazione, per manifestazioni, spettacoli, eventi o per esposizioni e vendita di merci, per il solo periodo di svolgimento della manifestazione, comunque non superiore a 120 giorni nell’anno solare».

 

In tale quadro ordinamentale a regime, si è inserita la legislazione emergenziale legata alla pandemia da Covid-19, che è stata via via prorogata ed è tutt’ora vigente. Sull’assunto che, fornendo maggiori spazi, si sarebbe potuto garantire il prescritto distanziamento sociale senza ulteriormente penalizzare gli operatori del settore già duramente colpiti dalle misure restrittive adottate, si è introdotta una deroga di portata assai più generale, tanto dal titolo edilizio che dall’autorizzazione paesaggistica, seppure in via eccezionale e temporanea.

L’articolo 181 del D.L. n. 34/2020 (L. n. 77/2020) (c.d. “decreto sostegni”), ha dunque previsto, ai commi 3 e 4, che ai soli fini di assicurare il rispetto delle misure di distanziamento connesse all’emergenza da Covid-19, e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte dei soggetti di cui al comma 1 –  i pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande – di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, purché funzionali all’attività di somministrazione di alimenti e bevande, di cui all’articolo 5 della L. n. 287/1991, non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21 e 146 del Codice dei beni culturali. Si dispone inoltre che per la posa in opera di tali strutture amovibili è disapplicato il limite temporale di centottanta giorni di cui al già citato articolo 6, comma 1, lett. e-bis del D.P.R. n. 380/2001.

L’articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020 (L. n. 176/2020) ha riproposto, al comma 5, le previsioni di cui ai commi 3 e 4 citati, disponendo che esse trovassero applicazione fino al 31 marzo 2021 (si è trattato dunque di un differimento).

Il termine di applicazione del 31 marzo 2021 è stato successivamente portato al 31 dicembre 2021 dall’articolo 30, comma 1, lett. b) del D.L. n. 41/2021 (L. n. 69/2021) e poi più volte prorogato:

- fino al 31 marzo 2022, da parte dall’articolo 1, comma 706 della L. n. 234/2021 (legge di bilancio 2022);

- fino al 30 giugno 2022, dall’articolo 3-quinquies del D.L. n. 228/2021 (L. n. 15/2022);

- fino al 30 settembre 2022, dall’articolo 10-ter del D.L. n. 21/2022 (L. n. 51/2022);

- fino al 31 dicembre 2022, da parte dell’articolo 40 del D.L. n. 144/2022 (L. n. 175/2022);

- fino al 30 giugno 2023, dall’articolo 1, comma 815 della L. n. 197/2022 (legge di bilancio 2023);

- fino al 31 dicembre 2023, dall’articolo 1, comma 22-quinquies del D.L. n. 198/2022 (L. n. 14/2023);

- da ultimo, fino al 31 dicembre 2024, ad opera dell’articolo 11, comma 8 della legge n. 214/2023 (legge sulla concorrenza 2022).

La previsione di cui all’articolo 23 del disegno di legge qui in commento, al comma 4, dispone un’ulteriore proroga dei titoli ottenuti per l’installazione dei dehors ai sensi della predetta normativa emergenziale (in particolare ex articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020) fino all’entrata in vigore del decreto legislativo oggetto della delega prevista dallo stesso articolo 23, che deve essere esercitata entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. Tale proroga non può comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 2025.

 

Ancora in ottica emergenziale, il legislatore è intervenuto con l’articolo 181 del D.L. n. 34/2020 (L. n. 77/2020) disponendo, al comma 2, che, fino al 31 dicembre 2020, le domande di nuove concessioni per l’occupazione di suolo pubblico ovvero di ampliamento delle superfici già concesse fossero presentate in via telematica all’ufficio competente dell’ente locale, con allegata la sola planimetria, in deroga al D.P.R. n. 160/2010 e senza applicazione dell’imposta di bollo di cui al D.P.R. n. 642/1972.

Anche l’applicazione di tale previsione è stata differita al 31 marzo 2021 dall’articolo 9-ter, comma 4 del D.L. n. 137/2020, poi fino al 31 dicembre 2021 dall’articolo 30, comma 1, lett. b) del D.L. n. 41/2021 (L. n. 69/2021) e successivamente ulteriormente prorogata: fino al 31 marzo 2022 dall’articolo 1, comma 706 della L. n. 234/2021 (legge di bilancio 2021), indi al 30 giugno 2022 dall’articolo 3-quinquies del D.L. n. 228/2021 (L. n. 15/2022), e da ultimo al 30 settembre 2022, dall’articolo 10-ter del D.L. n. 21/2022 (L. n. 51/2022).

 

Infine, si segnala che, allo stato, è in corso di discussione presso la Commissione X della Camera dei deputati la proposta di legge recante “delega al Governo in materia di riordino delle norme relative alla concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l’installazione di strutture amovibili funzionali all’attività esercitata” (A.C. 1486), in merito alla quale si veda anche il dossier del Servizio Studi.

 


 

Il comma 2 dell’articolo 23 specifica che il decreto legislativo deve essere adottato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e secondo i princìpi di ragionevolezza a proporzionalità. Lo stesso comma 2 enuclea i seguenti princìpi e criteri direttivi:

a)      Liberalizzazione della procedura – escludendo l’applicazione delle autorizzazioni previste dal Codice dei beni culturali – per l’apposizione di dehors su spazi parti urbani di interesse artistico e storico (beni così individuati ai sensi dell’articolo 10, comma 4, lett. g) del Codice dei beni culturali). Tale liberalizzazione non si applica qualora i dehors insistano su spazi aperti urbani strettamente prospicienti i siti archeologici o altri “beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale”: in tal caso permangono i regimi autorizzatori previsti dal Codice, fatto salvo quanto indicato dai principi e criteri di cui alle lettere da c) a f) che seguono.
Le autorizzazioni da escludere sono quelle disciplinate delle seguenti previsioni del Codice dei beni culturali (per un approfondimento delle quali si rimanda al box di approfondimento):

§  articolo 21;

§  articolo 106, comma 2-bis;

§  articolo 146.

b)     Individuazione delle modalità di identificazione dei siti archeologici e dei suddetti “beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale” (in avanti anche “beni culturali di interesse eccezionale”).

Si segnala l’opportunità, in sede di redazione dei decreti legislativi attuativi della delega in commento, e con particolare riferimento al principio e criterio direttivo di cui alla lettera b), di coordinare quanto sarà ivi disposto in ordine alle modalità di individuazione dei siti archeologici e degli “altri beni culturali immobili di interesse artistico, storico o archeologico eccezionale”, con quanto già oggi disposto dal Codice dei beni culturali, il quale prevede, all’articolo 104, che, per quanto riguarda i beni culturali immobili o mobili di proprietà di soggetti privati, che rivestano interesse particolarmente importante dal punto di vista artistico, storico, archeologico o etnoantropologico oppure a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose, essi possano essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali ove, con atto del Ministero e sentito il proprietario, siano stati dichiarati di “interesse eccezionale”.

Quanto ai ”siti archeologici”, si segnala che il Codice dei beni culturali cita tra gli istituti e luoghi di cultura, cioè luoghi da destinare alla pubblica fruizione o comunque alla vista da parte del pubblico, le ”aree archeologiche” (siti caratterizzati dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici o di età antica) e i ”parchi archeologici” (ambiti territoriali caratterizzati da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzati come musei all’aperto). Ai sensi dell’articolo 20 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 marzo 2024, n. 57 (regolamento di organizzazione del Ministero della cultura), le aree e i parchi archeologici sono uffici periferici del Ministero. Ad alcuni dei parchi archeologici è attribuita, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, autonomia speciale.

c)      Applicazione del c.d. silenzio-assenso per l’autorizzazione all’installazione di dehors in aree vicine a siti archeologici o ai suddetti beni culturali di interesse eccezionale.

d)     Definizione dei criteri per valutare la compatibilità con la tutela culturale e paesaggistica di quegli interventi di installazione dei dehors che rimangono sottoposti ad autorizzazione (quelli cioè che insistono su aree vicine a siti archeologici o ai suddetti beni culturali di interesse eccezionale). Tale compatibilità dovrà basarsi sui seguenti parametri:

§  mantenimento della fruibilità del patrimonio culturale;

§  progettazione integrata con lo spazio circostante;

§  decoro e omogeneità degli elementi di arredo;

§  chiare delimitazione e perimetrazione degli elementi e delle strutture amovibili.

e)      Apponibilità del diniego dell’autorizzazione all’installazione dei dehors solo ove non si possano dettare prescrizioni di armonizzazione.

f)      Semplificazione delle procedure amministrative per aree vicine a siti archeologici o beni culturali di interesse eccezionale, anche prescindendo da regimi autorizzatori disciplinati da accordi, regolamenti o intese in materia di occupazione del suolo pubblico applicabili a livello territoriale;

g)     Previsione di procedure edilizie omogenee e semplificate su tutto il territorio nazionale.

h)     Definizione di un regime sanzionatorio adeguato per le violazioni.

i)       Applicabilità delle disposizioni attuative dei suddetti principi e criteri direttivi anche ai dehors installati in virtù dei regimi autorizzatori transitori finora vigenti (v. box di approfondimento), con apposita istanza da presentarsi entro novanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo.

j)        Definizione di criteri uniformi per i comuni al fine di garantire – nel caso di occupazione di marciapiedi da parte dei dehors – il passaggio di pedoni e persone con mobilità ridotta.

 

 

Ai sensi del comma 3, la delega deve essere esercitata:

• su proposta del Ministro delle imprese e del made in Italy e del Ministro della cultura;

• di concerto con il Ministro dell’interno, con il Ministro della giustizia, con il Ministro per la pubblica amministrazione, con il Ministro del turismo e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

• previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che è reso nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione dello schema del decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere.

Lo schema del decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla data di trasmissione.

 

Ai sensi del comma 4, è disposta un’ulteriore proroga dei titoli ottenuti per l’installazione di dehors ai sensi della normativa emergenziale (in particolare ex articolo 9-ter del D.L. n. 137/2020 – v. box di approfondimento) fino all’entrata in vigore del decreto legislativo oggetto della delega prevista dallo stesso articolo 23. La delega deve essere esercitata entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, ma tale e proroga non può comunque protrarsi oltre il 31 dicembre 2025.

 

 

 

 


 

Capo III – Disposizioni in materia di start-up

 

Articolo 24
(Modifiche alla definizione di start-up innovativa)

 

 

L’articolo 24 introduce alcune modifiche all’articolo 25, comma 2 del D.L. 179/2012, aggiungendo ulteriori requisiti qualificanti il concetto di start-up innovativa.

In particolare, l’unico comma dell’articolo specifica che la start-up innovativa debba essere una micro, piccola o media impresa e che entro il secondo anno dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese essa disponga di un capitale sociale pari ad almeno 20.000 euro, e impieghi almeno un dipendente. Inoltre, nell’ambito dei requisiti possibili per la definizione di start-up innovativa, viene specificato che la privativa industriale relativa a una invenzione industriale (brevetti marchi, modelli, ecc.), biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, oltre a essere direttamente afferente all’oggetto sociale, debba anche essere utilizzata dall’impresa.

 

Gli articoli da 24 a 29 del disegno di legge recano una serie di norme di riforma della disciplina in materia di start-up innovative e incubatori certificati intervenendo, in prevalenza, sull’articolo 25 del decreto-legge n. 179/2012 (c.d. Start-up Act), il quale reca la definizione di start-up innovativa e di incubatore certificato.

Tali definizioni vengono aggiornate (articoli 24-26) e viene modificato il regime di incentivi in materia di start-up e incubatori certificati (articoli 27-29).

Ai sensi della relazione illustrativa del governo, la riforma dà attuazione agli obiettivi previsti dalla missione 1, componente 2 del PNRR, che prevedono al punto M1C2-11, nell’ambito della legge annuale sulla concorrenza, il riesame e l’aggiornamento della legislazione in materia di start-up, PMI innovative e capitale di rischio, con lo scopo di razionalizzare la legislazione, rivedendo la definizione di start-up e promuovendo gli investimenti in capitale di rischio da parte di investitori privati e istituzionali.

L’articolo 24, composto da un unico comma, prevede una modifica dell’articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179/2012 (L. 221/2012), introducendo una serie di ulteriori requisiti necessari alla definizione di start-up innovativa[9].

Nello specifico, viene introdotto – tramite la nuova lettera a-bis) del D.L. n. 179/2012, aggiunta dalla lettera a) dell’articolo 24 qui in esame – il requisito secondo cui la start-up innovativa deve essere una micro, piccola o media impresa (MPMI), come definita dalla raccomandazione 2003/361/CE.

 

L’articolo 2 della raccomandazione 2003/361/CE specifica le soglie finanziarie che definiscono le categorie di imprese, prevedendo che la categoria delle microimprese, delle piccole imprese, e delle medie imprese (PMI) sia costituita da imprese che:

·         occupino meno di 250 persone;

·         il cui fatturato annuo non superi i 50 milioni di euro

oppure,

·         il cui totale di bilancio annuo non superi i 43 milioni di euro.

All’interno della categoria delle PMI si definisce piccola impresa un’impresa che:

·         occupi meno di 50 persone;

·         realizzi un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro.

Infine, si definisce microimpresa un’impresa che:

·         occupi meno di 10 persone;

·         realizzi un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.

 

Tramite la nuova lettera lettera g-bis) del D.L. n. 179/2012 – aggiunta dalla lettera b) dell’articolo 24 in commento – viene introdotto il requisito secondo cui entro il secondo anno dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese la start-up disponga di un capitale sociale pari ad almeno 20.000 euro ed impieghi almeno un dipendente.

Secondo la relazione illustrativa del governo, l’obiettivo di tale modifica è quello di escludere le imprese delle quali non sia avvenuta una reale nascita.

Secondo la relazione tecnica del Governo, dal punto di vista finanziario le modifiche alla definizione di start-up innovativa potrebbero determinare effetti restrittivi della platea di start-up innovative, senza determinare impatti negativi in termini di gettito.

 

Infine, la lettera c) del dell’articolo 24 qui in esame introduce una modifica alla lettera h), del D.L. n. 179/2012, la quale definisce tre requisiti ulteriori alternativamente necessari alla definizione di start-up innovativa.

In particolare il numero 3) della predetta lettera h) prevede ora che la start-up innovativa sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno un brevetto registrato oppure titolare di un programma per elaboratore originario registrato, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e siano utilizzate dall’impresa (e non solamente afferenti all’attività della stessa, come precedentemente disposto).

La relazione illustrativa del Governo afferma che tali modifiche danno attuazione agli obiettivi previsti dalla missione 1, componente 2 del PNRR che, come detto, prevedono, nell’ambito della legge annuale sulla concorrenza, l’inserimento di norme di riesame ed aggiornamento della legislazione in materia di start-up, PMI innovative e capitale di rischio (si v. supra tabella di raffronto con le misure del PNRR contenuta nelle premesse del presente dossier).

 

Si rileva che il 18 settembre 2024 il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 

Con il D.L. n. 179/2012 (legge n. 221/2012), il legislatore ha introdotto nell’ordinamento un quadro normativo di sostegno alla nascita ed alla crescita di nuove imprese innovative (c.d. start-up innovative) con l’esplicito obiettivo di favorire lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile.

Le misure consistono essenzialmente in semplificazioni alla costituzione di tali società, dunque in deroghe al diritto societario, nella riduzione degli oneri per l’avvio, in agevolazioni fiscali e di sostegno al lavoro (assunzioni di personale) e agevolazioni fiscali agli investimenti nel capitale di rischio delle start-up innovative.

In questo quadro, il legislatore, con il D.L. n. 179/2012, ha altresì introdotto un sostegno alle società di capitali – incubatori di start-up innovative – così definendo le società che forniscono attività di sostegno all’avvio e allo sviluppo di imprese innovative mediante l’offerta di servizi di incubazione fisica (come strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca).

In seguito, il legislatore è intervenuto non solo implementando le misure a sostegno delle start-up innovative introdotte nel 2012, ma anche introducendo una disciplina di sostegno alle PMI innovative “più mature”, non iscritte al registro speciale delle start-up innovative (D.L. n. 3/2015 e ss. mod. e int.).

 

La definizione di start-up innovativa, come visto, è contenuta nell’articolo 25, comma 2, del D.L. n. 179/2012. Ai sensi di tale norma, è start-up innovativa – e dunque accede agli incentivi per essa previsti dal citato D.L. n. 179 – la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, e che sono in possesso dei seguenti requisiti:

·         è una micro, piccola o media impresa (MPMI), come definita dalla raccomandazione 2003/361/CE (comma 2, lett. a-bis, introdotto dal provvedimento qui in esame);

·         è di nuova costituzione o comunque è stata costituita da non più di 5 anni (comma 2, lett. b);

·         ha sede principale in Italia, o in altro Paese membro dell’Unione europea, o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE), purché abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia (lett. c);

·         presenta (a partire dal secondo anno di attività) un valore annuo della produzione (risultante dall’ultimo bilancio approvato da non più di sei mesi) non superiore a 5 milioni di euro (lett. d);

·         non distribuisce e non ha distribuito utili (lett. e);

·         ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico (lett. f);

·         non è costituita da fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda (lett. g);

·         entro il secondo anno dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese dispone di un capitale sociale pari ad almeno 20.000 euro e impiega almeno un dipendente (lett. g-bis, introdotto dal provvedimento qui in esame);

·         possiede almeno uno dei tre seguenti ulteriori requisiti (lett. h):

1.      le spese in ricerca e sviluppo devono essere pari o superiori al 15% del valore maggiore tra fatturato (valore totale della produzione) e costo (il n. 1, lett. h);

2.      la forza lavoro complessiva è costituita per almeno 1/3 da dottorandi, dottori di ricerca o ricercatori in Italia e all’estero presso istituti pubblici o privati (in qualità di collaboratori o dipendenti), oppure per almeno 2/3 da soci o collaboratori a qualsiasi titolo in possesso di laurea magistrale;

3.      l’impresa è titolare, depositaria o licenziataria di un brevetto registrato (diritto di privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a topografia di prodotto a semiconduttori o nuova varietà vegetale) oppure titolare di programma per elaboratore originario registrato, purché tali privative siano riconducibili all’oggetto sociale e – come specifica la novella introdotta dall’articolo 24 del disegno di legge qui in commento – siano utilizzate dall’impresa.

 

Per quanto riguarda gli incubatori certificati, la disciplina dettata dall’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 viene modificata dal disegno di legge qui in esame (v. infra schede relative agli articoli 26 e 27).

In questa sede si ricorda che l’articolo 25, comma, 5 del D.L. n. 179/2012 definisce incubatore certificato di start-up innovative una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente fiscalmente in Italia (ex art. 73 TUIR- D.P.R. n. 917/1986) che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a. dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b. dispone di attrezzature adeguate all’attività delle startup innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c. è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d. ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e. ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative oppure nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative.

 

Per ulteriori approfondimenti in materia di start-up innovative si rimanda all’apposita pagina del sito istituzionale del Ministero delle imprese e del made in Italy.


 

Articolo 25, comma 2 del D.L. 179/2012

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 24 del disegno di legge A.C. 2022

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

2.    Ai fini del presente decreto, l’impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:

 

 

 

 

b)  è costituita da non più di sessanta mesi;

c)  è residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva o una filiale in Italia;

d)  a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall’ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;

e)  non distribuisce, e non ha distribuito, utili;

f)  ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;

g)  non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda;

 

 

 

 

 

 

 

h)  possiede almeno uno dei seguenti ulteriori requisiti:

1)  le spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. Dal computo per le spese in ricerca e sviluppo sono escluse le spese per l’acquisto e la locazione di beni immobili. Ai fini di questo provvedimento, in aggiunta a quanto previsto dai princìpi contabili, sono altresì da annoverarsi tra le spese in ricerca e sviluppo: le spese relative allo sviluppo precompetitivo e competitivo, quali sperimentazione, prototipazione e sviluppo del business plan, le spese relative ai servizi di incubazione forniti da incubatori certificati, i costi lordi di personale interno e consulenti esterni impiegati nelle attività di ricerca e sviluppo, inclusi soci ed amministratori, le spese legali per la registrazione e protezione di proprietà intellettuale, termini e licenze d’uso. Le spese risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa. In assenza di bilancio nel primo anno di vita, la loro effettuazione è assunta tramite dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa;

2)  impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270;

3)  sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa.

 

2. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a-bis): è una micro, piccola o media impresa (MPMI), come definita dalla raccomandazione 2003/361/CE;

b) Identico;

 

c) Identico;

 

 

 

 

 

 

 

 

d) Identico;

 

 

 

 

 

 

 

e) Identico;

 

f) Identico;

 

 

 

 

 

g) Identico;

 

 

 

g-bis) entro il secondo anno dall’iscrizione nella sezione speciale di cui al comma 8 dispone di un capitale sociale pari ad almeno 20.000 euro e impiega almeno un dipendente;

h) Identico;

 

1) Identico;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2) Identico;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3) sia titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale ovvero sia titolare dei diritti relativi ad un programma per elaboratore originario registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, purché tali privative siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e siano utilizzate dall’impresa.

 


 

Articolo 25
(Misura transitoria definizione start-up innovativa)

 

L’articolo 25 prevede che le start-up innovative iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese prevista dal D.L. n. 179/2012, hanno diritto di permanervi a condizione che dispongano di un capitale sociale pari ad almeno 20 mila euro e impieghino almeno un dipendente entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge.

 

Il primo e unico comma del presente articolo dispone che le start-up innovative che, alla data di entrata in vigore della presente legge, risultino iscritte nella sezione speciale del registro delle imprese istituito dall’articolo 24, comma 8, del D.L. n. 179/2012 (L. 221/2012), abbiano diritto di permanervi sulla base, alle condizioni e per il tempo previsto dalla normativa previgente. Esse hanno tuttavia il vincolo di adeguarsi, entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge, alle disposizioni dell’articolo 24, comma 1, lettera b) del disegno di legge in esame (alla cui scheda si rimanda) ovvero di disporre di un capitale sociale pari ad almeno 20 mila euro e impiegare almeno un dipendente.    

Secondo la relazione tecnica del Governo tale disposizione non determina effetti negativi dal punto di vista finanziario, prevedendo l’applicazione di misure restrittive alla platea di start-up già esistenti.

 

Si rammenta che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 


 

Articolo 26
(Modifiche alla definizione di incubatore certificato)

 

L’articolo 26 introduce modifiche al quadro definitorio delle start-up innovative e degli incubatori certificati previsto dal D.L. n. 179/2012 (c.d. start-up Act). In particolare, vengono incluse anche le attività di supporto e accelerazione in favore di start-up innovative tra i possibili requisiti ai fini della definizione di incubatore certificato. Tali attività restano tuttavia escluse dall’applicazione delle agevolazioni previste dallo Startup Act e dalla presente legge.

 

In particolare, il primo comma, alla lettera a), dispone modifiche dell’articolo 25, comma 5, del decreto-legge n. 179/2012 (L. 221/2012), introducendo il requisito dell’adeguata e comprovata esperienza anche nell’attività di supporto e accelerazione in favore di start-up innovative tra requisiti qualificanti il concetto di incubatore certificato (per ulteriori approfondimenti si rimanda al box contenuto supra nella scheda di lettura a commento dell’articolo 24).

Conseguentemente, la lettera b) dell’articolo 26 qui in esame reca modificazioni al comma 7 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012 allo scopo di introdurre anche l’attività di supporto o accelerazione di start-up tra gli indicatori considerati ai fini del possesso dei requisiti.

Infine, la lettera c) reca una modifica al comma 8 dell’articolo 25 del D.L. n. 179/2012, disponendo che gli incubatori certificati che svolgono attività di accelerazione di start-up siano iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese differente rispetto a quella prevista per le start-up innovative e per gli incubatori certificati.

 

 

Articolo 25, commi 5, 7 e 8 del D.L. 179/2012

Testo previgente

Modificazioni apportate dall’art. 26 del disegno di legge A.C. 2022

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

Art. 25
(Start-up innovativa e incubatore certificato: finalità, definizione e pubblicità)

5.    Ai fini del presente decreto, l’incubatore di start-up innovative certificato, di seguito: «incubatore certificato» è una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a)  dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b)  dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultralarga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c)  è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d)  ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e)  ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

 

 

 

 

7.    Il possesso del requisito di cui alla lettera e) del comma 5 è autocertificato dall’incubatore di start-up innovative, mediante dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale presentata al registro delle imprese, sulla base di valori minimi individuati con il medesimo decreto del Ministero dello sviluppo economico di cui al comma 6 con riferimento ai seguenti indicatori:

a)  numero di candidature di progetti di costituzione e/o incubazione di start-up innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno;

b)  numero di start-up innovative avviate e ospitate nell’anno;

 

c)  numero di start-up innovative uscite nell’anno;

d)  numero complessivo di collaboratori e personale ospitato;

 

 

 

e)  percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati rispetto all’anno, precedente;

f)  tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate;

 

g)  capitali di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate;

 

h)  numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.

 

 

 

8.    Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 e per gli incubatori certificati di cui al comma 5, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l’incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione.

5. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a) Identico;

 

 

 

 

 

b) Identico;

 

 

 

 

 

c) Identico;

 

 

 

 

 

d) Identico;

 

 

 

 

 

 

e) ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative oppure nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

 

7. Identico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a)  numero di candidature di progetti di costituzione o incubazione o accelerazione di start-up innovative ricevute e valutate nel corso dell’anno;

b)  numero di start-up innovative avviate e ospitate o supportate nell’anno;

c) Identico.

 

d) numero complessivo di collaboratori e personale ospitato o personale delle start-up innovative supportate;

e)  percentuale di variazione del numero complessivo degli occupati delle start-up innovative supportate rispetto all’anno precedente;

f)  tasso di crescita media del valore della produzione delle start-up innovative incubate o supportate;

g)  capitali di rischio ovvero finanziamenti, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, raccolti a favore delle start-up innovative incubate o supportate;

h)  numero di brevetti registrati dalle start-up innovative incubate o supportate, tenendo conto del relativo settore merceologico di appartenenza.

 

 

8.    Per le start-up innovative di cui ai commi 2 e 3 e per gli incubatori certificati di cui al comma 5, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura istituiscono una apposita sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 del codice civile, a cui la start-up innovativa e l’incubatore certificato devono essere iscritti al fine di poter beneficiare della disciplina della presente sezione. Gli incubatori certificati che svolgono attività di accelerazione di start-up sono iscritti in una sezione speciale del registro delle imprese diversa da quella di cui al periodo precedente.

 

 

Il comma 2 dell’articolo 26 qui in commento dispone che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge siano aggiornati i criteri minimi previsti dal D.M. 21 febbraio 2013 con riferimento allo svolgimento di attività di supporto e accelerazione di start-up innovative, differenti dall’attività di incubazione e sviluppo.

 

Si valuti l’opportunità di chiarire quali siano le modalità procedimentali – ad esempio, se con ulteriore decreto ministeriale – per l’adeguamento del decreto suindicato.

 

Infine, il comma 3 prevede l’esclusione degli incubatori certificati che svolgono l’attività di accelerazione di start-up dall’applicazione delle agevolazioni previste ai sensi dell’articolo 26, comma 8 e articolo 27 del D.L. n. 179/2012, nonché dell’“articolo 28” del disegno di legge qui in esame (alla cui scheda si rimanda per ulteriore approfondimento).

 

Si rileva, al riguardo, che l’articolo 28 del disegno di legge in esame non prevede agevolazioni in favore degli incubatori certificati, previste invece dall’articolo 27 della stessa. Si valuti l’opportunità di una riformulazione del rimando normativo.

 

L’articolo 26, comma 8 del D.L. n. 179/2012 prevede, per la start-up innovativa e per l’incubatore certificato, dal momento della loro iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, l’esonero dal pagamento:

Ø  dell’imposta di bollo;

Ø  dei diritti di segreteria dovuti per gli adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro delle imprese;

Ø  dal pagamento del diritto annuale dovuto in favore delle camere di commercio

L’articolo 27 del D.L. n. 179/2012 dispone che il reddito di lavoro derivante dall’assegnazione, da parte delle start-up innovative e degli incubatori certificati, ai propri amministratori, dipendenti o collaboratori continuativi di strumenti finanziari o similari, non concorra alla formazione del reddito imponibile dei suddetti soggetti.

 

La relazione tecnica fornita dal Governo afferma che dal punto di vista finanziario non si ascrivono effetti poiché per le attività di supporto all’accelerazione delle start-up non è stata prevista l’applicazione di agevolazioni fiscali.

 

Si ricorda, infine, che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 

 


 

Articolo 27
(Contributo sotto forma di credito di imposta in favore degli incubatori certificati)
 

 

 

L’articolo 27 introduce un contributo, sotto forma di credito d’imposta, a favore degli “incubatori certificati” che effettuino, direttamente o per il tramite di altri organismi specializzati, investimenti in start-up innovative. Il beneficio è riconosciuto, a decorrere dal periodo d’imposta 2025, nella misura dell’8 per cento della somma investita entro il limite massimo di 500.000 euro di investimento annuo, con obbligo di mantenimento dello stesso per almeno 3 anni, pena la decadenza dal beneficio con obbligo di restituzione di quanto fruito. Il contributo è inoltre concesso nel limite di spesa complessivo di 1.800.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025, nonché entro i limiti agli aiuti de minimis previsti dal Regolamento (UE) n. 2831/2023.

 

La norma è diretta ad incentivare l’investimento in start-up innovative attraverso il riconoscimento di un contributo, sotto forma di credito d’imposta, in favore degli “incubatori certificati”.

 Nello specifico, il comma 1 riconosce, a decorrere dal periodo d’imposta 2025, un contributo – sotto forma di credito d’imposta – a favore degli enti qualificati come “incubatori certificati”, ai sensi dell’articolo 25, comma 5, del decreto-legge n. 179 del 2012, nella misura dell’8 per cento dell’investimento nel capitale sociale di una o più start-up innovative fatto direttamente, ovvero per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che effettuano, prevalentemente, tali investimenti.

La norma definisce, inoltre, i limiti entro i quali il beneficio può essere riconosciuto:

§  in ciascun periodo d’imposta, l’investimento massimo sul quale calcolare il credito d’imposta non può eccedere l’importo di 500.000 euro;

§  l’investimento deve essere mantenuto per almeno 3 anni (c.d. “periodo di sorveglianza”);

§  l’eventuale cessione, ancorché parziale, dell’investimento nel corso del periodo di sorveglianza, comporta la decadenza dal beneficio ed il recupero dello stesso, maggiorato degli interessi legali.

In aggiunta, un ulteriore limite alla fruizione del beneficio è disposto dal comma 2, laddove si prevede la concessione del contributo nel limite di spesa complessivo di 1.800.000 euro annui a decorrere dall’anno 2025

La definizione dei criteri e delle modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, nonché la definizione delle relative modalità di verifica, controllo ed eventuale recupero dei crediti d’imposta non spettanti sono demandati, ai sensi del successivo comma 3, ad un decreto che il Ministro delle imprese e del made in Italy, dovrà adottare, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, entro 60 giorni dall’entrata in vigore dell’articolo in commento.

Trovano applicazione, per espressa previsione del comma 4, i limiti previsti dal regolamento (UE) n. 2831/2013 relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti di Stato de minimis (per un approfondimento sulla materia degli aiuti di Stato si rimanda al dossier di documentazione e ricerche del Servizio Studi della Camera del gennaio 2024: parte generale e parte speciale).

 

Il nuovo plafond agli aiuti “de minimis”, applicabile dal 1° gennaio 2024, è definito nell’ambito del regolamento della Commissione n. 2023/2831/UE del 13 dicembre 2023.

In particolare, ai sensi del comma 2 dell’articolo 3 (aiuti “de minimis”) del citato Regolamento, l’importo complessivo degli aiuti de minimis concessi da uno Stato membro ad un’impresa “unica” non può superare il limite di 300.000 euro nell’arco di 3 anni.

 

 

Il comma 5 dell’articolo 25 del decreto-legge n. 179 del 2012, nella versione vigente, definisce come incubatore di start-up innovative certificato o “incubatore certificato” una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, che offre servizi per sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up innovative ed è in possesso dei seguenti requisiti:

a)  dispone di strutture, anche immobiliari, adeguate ad accogliere start-up innovative, quali spazi riservati per poter installare attrezzature di prova, test, verifica o ricerca;

b)  dispone di attrezzature adeguate all’attività delle start-up innovative, quali sistemi di accesso in banda ultra-larga alla rete internet, sale riunioni, macchinari per test, prove o prototipi;

c)  è amministrato o diretto da persone di riconosciuta competenza in materia di impresa e innovazione e ha a disposizione una struttura tecnica e di consulenza manageriale permanente;

d)  ha regolari rapporti di collaborazione con università, centri di ricerca, istituzioni pubbliche e partner finanziari che svolgono attività e progetti collegati a start-up innovative;

e)  ha adeguata e comprovata esperienza nell’attività di sostegno a start-up innovative, la cui sussistenza è valutata ai sensi del comma 7.

Ai sensi dei successivi commi, un incubatore certificato deve essere iscritto in apposita sezione speciale del Registro delle Imprese, previa autocertificazione da parte del legale rappresentante circa il possesso di tali requisiti per l’identificazione.

Invero, l’articolo 26 del presente disegno di legge (alla cui scheda si fa rinvio per maggiori approfondimenti) introduce un’ulteriore categoria di “incubatore certificato” specializzato nell’attività di supporto e accelerazione di start-up innovative che dovrà iscriversi in altra sezione speciale del Registro delle Imprese.   

 

 


 

Articolo 28
(
Disposizioni per favorire l’investimento istituzionale nelle start-up innovative)

 

L’articolo 28 modifica la quota dell’attivo patrimoniale che gli enti di previdenza obbligatoria e le forme di previdenza complementare possono destinare agli investimenti qualificati (dal 10% all’8%) prevedendo tuttavia che un ulteriore 2% dell’attivo patrimoniale possa essere destinato agli investimenti qualificati previsti dal comma 89, lettera b-ter), ossia quelli in quote o azioni di Fondi per il venture capital.

 

Sostanzialmente la norma è diretta ad indirizzare il 2% dell’originaria quota dell’attivo patrimoniale del 10% ai fondi di venture capital.

In dettaglio, il comma 1 interviene sulle previsioni del comma 88, articolo 1, legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017), concernente la possibilità per gli enti di previdenza obbligatoria di destinare somme fino al 10 per cento del loro attivo patrimoniale, così come risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente, alle tipologie di investimenti qualificati dal comma 89, dell’articolo 1 della medesima legge.

Al fine di favorire gli investimenti istituzionali nelle startup innovative, ossia imprese giovani ad alto contenuto tecnologico e con potenziale di crescita elevato, l’articolo 28 dispone pertanto una modifica dal 10 all’8 per cento della quota dell’attivo patrimoniale che gli enti di previdenza obbligatoria possono destinare agli investimenti qualificati dal comma 89, prevedendo che tale quota possa essere incrementata di un ulteriore 2 per cento per gli investimenti qualificati specificamente previsti dal comma 89, lettera b-ter), ossia quelli in quote o azioni di Fondi per il venture capital residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo.

Il comma 2 dell’articolo 28, che modifica il comma 92, articolo 1, della medesima legge n. 232 del 2016, stabilisce che per le forme di previdenza complementare, sempre con riferimento agli investimenti in quote o azioni di Fondi per il venture capital residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, si applichino le medesime condizioni riservate agli enti di previdenza obbligatoria.

 

Si rammenta che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.

 

 

I commi 88 e 92 della legge di bilancio 2017 (n. 232 del 2016), dei quali tratta l’articolo 28 della legge annuale per il mercato e la concorrenza per il 2023, rientrano in una serie di previsioni normative inerenti alle agevolazioni per investimenti nel medio-lungo termine (almeno 5 anni). In particolare, i commi 88 e 92, nella formulazione oggi vigente consentono agli enti di previdenza obbligatoria (Casse di previdenza private) e alle forme di previdenza complementare di effettuare investimenti, fino al 10 per cento del loro attivo patrimoniale risultante dal rendiconto dell’esercizio precedente (nella formulazione originaria la percentuale era il 5%), nelle seguenti categorie specificamente indicate dal comma 89, articolo 1, della stessa legge n. 232 del 2016:

a)                  azioni o quote di imprese residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo;

b)                  azioni o quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio: ovvero Fondi comuni di investimento, Società di investimento a capitale variabile - Sicav, Società di investimento a capitale fisso - Sicaf, Fondi di investimento alternativi - FIA) residenti fiscalmente in Italia, nella UE o nello Spazio economico europeo che investono prevalentemente negli strumenti finanziati indicati dalla lettera a).

 

Sulle disposizioni contenute dal comma 89 sopra riportate è poi intervenuta la legge di bilancio 2018, legge n. 205 del 2017, prevedendo le seguenti altre possibilità di investimento ai sensi dei commi 88 e 92:

 

b-bis)   quote di prestiti, di fondi di credito cartolarizzati erogati od originati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali, gestite da società iscritte nell’albo degli intermediari finanziari tenuto dalla Banca d’Italia, da istituti di pagamento rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 114 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia o da soggetti vigilati operanti nel territorio italiano in quanto autorizzati in altri Stati dell’Unione europea;

b-ter) quote o azioni di Fondi per il Venture Capital residenti nel territorio dello Stato o in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo.

 

In considerazione del nuovo assetto normativo, pertanto, la quota massima teorica di risorse dell’attivo patrimoniale che gli enti di previdenza obbligatoria e le forme di previdenza complementare possono destinare agli investimenti qualificati può restare invariata oppure ridursi (nell’ipotesi nella quale uno o più enti che in precedenza destinavano agli investimenti nelle startup innovative quote inferiori al due per cento e ad altre aree di investimento quote superiori all’otto per cento, confermassero le loro strategie di investimento, con una mera riduzione fino all’otto per cento della quota destinata agli altri investimenti qualificati).

 

Alla luce di ciò si valuti l’opportunità di individuare un meccanismo di monitoraggio sull’effettiva destinazione delle scelte d’investimento degli enti di previdenza, con riguardo all’entità delle risorse investite in quote o azioni di Fondi per il venture capital nonché destinate agli altri investimenti qualificati, secondo quanto già previsto in altre fattispecie dalla normativa vigente.

 


 

Articolo 29
(Disposizioni per favorire l’investimento privato nelle start-up innovative)

 

 

L’articolo 29 modifica il Testo unico immigrazione al fine di favorire l’ingresso e il soggiorno di investitori stranieri anche nel caso di investimento nel capitale di fondi di venture capital.

 

 

In particolare, il comma 1, attraverso una modifica dell’ articolo 26-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), amplia le possibilità per gli investitori stranieri di ottenere permessi di ingresso e soggiorno in Italia al di fuori delle quote stabilite, prevedendo che tale possibilità sia concessa anche nel caso di investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di un fondo di venture capital, oltre che di una società come già previsto dalla normativa vigente.

 

Come riportato dal sito di Borsa italiana, a cui si rinvia per un approfondimento, con l’espressione venture capital si intende l’attività di investimento istituzionale in capitale di rischio di aziende non quotate, in fase di start up, caratterizzate da un elevato potenziale di sviluppo.

 

Il menzionato articolo 26-bis del Testo unico immigrazione (di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998) disciplina l’ingresso e il soggiorno per gli investitori.

In particolare, il comma 1 permette l’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi, al di fuori delle quote stabilite, a quegli stranieri che intendono effettuare:

a)      un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)      un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;

c)      una donazione a carattere filantropico di almeno euro 1.000.000 a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione dell’immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici.

I restanti commi dell’articolo 26-bis disciplinano le modalità di accertamento dei requisiti previsti dal comma 1 e di rilascio del permesso di soggiorno.

 

 

Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (D.Lgs. 286/98)

Testo vigente

Modificazioni proposte

dall’art. 29 dell’A.C. 2022

Art. 26-bis
(Ingresso e soggiorno per investitori)

Art. 26-bis
(Ingresso e soggiorno per investitori)

1. L’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi sono consentiti, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare, in nome proprio o per conto della persona giuridica che legalmente rappresentano:

a)  un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)  un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221;

1. L’ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi sono consentiti, al di fuori delle quote di cui all’articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare, in nome proprio o per conto della persona giuridica che legalmente rappresentano:

a)  un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b)  un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società, o di un fondo di venture capital, costituiti e operanti in Italia, mantenuto per almeno due anni ovvero di almeno euro 250.000 nel caso tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 25, comma 8, del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012;

 

Si rammenta che il 18 settembre 2024, il Senato ha approvato, con modificazioni, il disegno di legge A.S. 816-A recante “Disposizioni per la promozione e lo sviluppo delle start-up e delle piccole e medie imprese innovative mediante agevolazioni fiscali e incentivi agli investimenti”, per un’illustrazione del quale si rinvia al Dossier curato dai Servizi studi di Camera e Senato.


 

Capo IV – Disposizioni finanziarie ed entrata in vigore

Articolo 30
(Disposizioni finanziarie)

 

 

L’articolo 30 reca le disposizioni finanziarie per assicurare la copertura del provvedimento.

 

In particolare, il comma 1 stabilisce che dall’ attuazione delle disposizioni recate dal Capo I, Capo II e Capo III del provvedimento – salvo quanto previsto al successivo comma 2 – non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le relative attività sono svolte nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

Il comma 2 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’articolo 27 del provvedimento, che introduce un contributo sotto forma di credito di imposta in favore degli incubatori certificati, quantificato nel limite di spesa complessivo di 1,8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025.

A tali oneri si provvede mediante l’utilizzo delle risorse stanziate nel Fondo speciale di conto capitale, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, allo scopo utilizzando parzialmente l’accantonamento relativo al Ministero delle imprese e del made in Italy.

 


 

Articolo 31
(Entrata in vigore)

 

 

L’articolo 31 dispone l’entrata in vigore della legge il giorno seguente la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

L’articolo 31 prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

 

Si rammenta che, ai sensi dell’articolo 73, comma terzo della Costituzione, le leggi sono pubblicate subito dopo la loro promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e, di norma, entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse non dispongano un termine diverso.

 



[1] Per quanto riguarda gli affidamenti in house, la legge deve:

- richiedere una verifica ex ante obbligatoria della legalità dell’affidamento in house e vietare l’avvio della procedura di gara o degli affidamenti in house senza tale verifica;

- conferire all’ART strumenti e poteri adeguati per tali verifiche e il sostegno (giuridico) dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC);

- includere l’installazione di un numero minimo di colonnine di ricarica elettrica tra i criteri di aggiudicazione delle nuove concessioni autostradali.

Quanto alla risoluzione del contratto nell’interesse pubblico, la legge deve prevedere almeno una compensazione adeguata per consentire al concessionario di recuperare gli investimenti non completamente ammortizzati. Quanto alla risoluzione del contratto per grave inadempimento, la legge deve prevedere un giusto equilibrio tra risarcimento dei danni richiesti al concessionario e un’equa compensazione per gli investimenti non ancora recuperati. I casi di inadempimento grave devono essere esplicitamente individuati dalla legge.

[2] L’art. 108 del D.Lgs. 36/2023 disciplina i criteri di aggiudicazione degli appalti. In particolare il comma 4 dispone, tra l’altro, che “i documenti di gara stabiliscono i criteri di aggiudicazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto. In particolare, l’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, è valutata sulla base di criteri oggettivi, quali gli aspetti qualitativi, ambientali o sociali, connessi all’oggetto dell’appalto. La stazione appaltante, al fine di assicurare l’effettiva individuazione del miglior rapporto qualità/prezzo, valorizza gli elementi qualitativi dell’offerta e individua criteri tali da garantire un confronto concorrenziale effettivo sui profili tecnici”.

[3] L’art. 822 c.c. dispone, tra l’altro, che le strade e le autostrade, se appartengono allo Stato, fanno parte del demanio pubblico.

[4] Attraverso in particolare:

1.   la tenuta e la gestione, senza oneri a carico dei soggetti tenuti all’iscrizione, ivi compresi i diritti di segreteria a carico delle imprese, del registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro;

2.   la collaborazione per la realizzazione del sistema di certificazione delle competenze acquisite in contesti non formali e informali e nell’ambito dei percorsi di alternanza scuola-lavoro;

3.   il supporto all’incontro domanda-offerta di lavoro, attraverso servizi informativi per facilitare l’accesso delle imprese ai servizi dei Centri per l’impiego, in raccordo con l’ANPAL;

4.   il sostegno alla transizione dalla scuola e dall’università al lavoro, attraverso l’orientamento e lo sviluppo di servizi, in particolare telematici, a supporto dei processi di placement svolti dalle Università;

[5] Queste attività sono limitate a quelle strettamente indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali del sistema camerale e non possono essere finanziate al di fuori delle previsioni di cui all’articolo 18 comma 1 lettera b) della Legge n. 580/1993 (proventi derivanti dalla gestione di attività e dalla prestazione di servizi e quelli di natura patrimoniale).

[6]     Ai sensi del comma 197 dell’articolo 2 della legge, lo svolgimento delle attività di verifica dell’Ufficio prezzi può essere disciplinato da convenzioni non onerose stipulate fra le camere di commercio, i comuni e gli altri enti interessati e la prefettura-ufficio territoriale del Governo, che individuano anche le modalità di rilevazione e di messa a disposizione dei consumatori, anche in forma comparata, delle tariffe e dei prezzi rilevati.

[7]     Le Camere fanno fronte con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente (comma 203). Sul sito del MISE è pubblicato l’elenco dei Responsabili degli uffici prezzi delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.

[8] Con il D.lgs. Lgt. 21 settembre 1944, n. 315, i Consigli e gli Uffici provinciali dell’economia, già istituiti, vennero soppressi ed in ogni capoluogo di provincia venne ricostituita una Camera di commercio, industria e agricoltura e un Ufficio provinciale del commercio e dell’industria. Tale decreto ha disposto che la Camera di commercio «esercita le funzioni e i poteri demandatile dalla legge, sinora attribuiti ai soppressi consigli dell’economia» (art. 2).

[9] Per il dossier del Servizio Studi relativo al D.L. n. 179/2012 si rimanda al seguente link.