Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento ambiente | ||||||||
Titolo: | Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 - Schede di lettura | ||||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 163 | ||||||||
Data: | 15/05/2014 | ||||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | VIII-Ambiente, territorio e lavori pubblici |
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Camera dei deputati |
XVII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Misure urgenti per
l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 D.L. 47/2014 – A.C. 2373 |
Schede di
lettura |
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n. 163 |
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15 maggio 2014 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Ambiente ( 066760-4548 / 066760-9253 – * st_ambiente@camera.it |
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La
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File:
D14047 |
INDICE
§ Articolo 1 (Finanziamento
fondi)
§ Articolo 3 (Misure
per la alienazione del patrimonio residenziale pubblico)
§ Articolo 4 (Programma
di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica)
§ Articolo 6 (Imposizione
sui redditi dell’investitore)
§ Articolo 7, commi 1 e 2 (Detrazioni fiscali IRPEF per il conduttore di alloggi sociali)
§ Articolo 7, commi 2-bis
e 2-ter (Detrazioni fiscali IRPEF per l’acquisto di mobili)
§ Articolo 8 (Riscatto
a termine dell’alloggio sociale)
§ Articolo 9 (Riduzione
dell'aliquota della cedolare secca per contratti a canone concordato)
§ Articolo 9-bis (IMU per immobili posseduti da cittadini
residenti all'estero)
§ Articolo 10 (Edilizia
residenziale sociale)
§ Articolo 10-ter
(Semplificazione in materia edilizia)
§ Articolo 10-quater (Modifiche
al decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122)
§ Articolo 11 (Verifica
dell’attuazione del provvedimento)
§ Articolo 12, commi 8-10 (Disposizioni in materia di raggruppamenti temporanei di imprese)
§ Articolo 13 (Disposizioni
urgenti per EXPO 2015)
§ Articolo 13-bis
(Clausola di salvaguardia)
§ Articolo 14 (Copertura
finanziaria)
§ Articolo 15 (Entrata
in vigore)
Articolo 1
(Finanziamento fondi)
L’articolo 1 aumenta di complessivi 325,92 milioni di euro gli stanziamenti di bilancio per il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e per il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, recentemente autorizzati dal decreto-legge n. 102 del 2013.
Il seguente prospetto sintetizza gli incrementi autorizzati e le risultanti risorse disponibili:
Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle
abitazioni in locazione |
2014 |
2015 |
anni successivi |
Stanziamento
art. 6, co. 4, D.L. 102/2013 |
50 |
50 |
|
Incremento
disposto dall’art. in esame |
50 |
50 |
|
Totale Fondo
locazioni (A) |
100 |
100 |
|
Fondo destinato agli |
2014 |
2015 |
anni successivi |
Stanziamento
art. 6, co. 5, D.L. 102/2013 |
20 |
20 |
|
Incremento
disposto dall’art. in esame |
15,73 |
12,73 |
197,46 |
Totale Fondo
inquilini morosi (B) |
35,73 |
32,73 |
197,46 |
Totale
complessivo (A+B) |
135,73 |
132,73 |
197,46 |
Come si vede dalla tabella suesposta, l’incremento di risorse nel biennio 2014-2015 è pari a 128,46 milioni di euro, mentre per gli anni successivi (2016-2020), per i quali finora non erano state stanziate risorse, si ha uno stanziamento, per il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, di 197,46 milioni. In particolare, per quest’ultimo Fondo, lo stanziamento per gli anni successivi al 2015 è così ripartito: 59,73 milioni di euro per l’anno 2016, 36,03 milioni di euro per l’anno 2017, 46,1 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 e 9,5 milioni di euro per l’anno 2020.
Si fa notare che mentre il comma 1 dell'articolo in esame opera il rifinanziamento testé descritto mediante una modifica del comma 4 dell’art. 6 del D.L. 102, il comma 2 invece contiene una disposizione aggiuntiva.
Con riguardo al comma 2,
andrebbe valutata l’opportunità di riformularlo come novella al comma 5
dell’articolo 6 del D.L. 102/2013, che ha istituito il Fondo destinato agli
inquilini morosi incolpevoli.
Di seguito si illustra brevemente la normativa relativa ai fondi rifinanziati dall'articolo in esame.
Il Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione – istituito dalla legge n. 431/1998, relativa alla disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo – è destinato alla concessione di contributi integrativi a favore dei conduttori appartenenti alle fasce di reddito più basse per il pagamento dei canoni di locazione.
La dotazione di tale fondo, che non ha ricevuto finanziamenti nel biennio 2012-2013[1], è stata reintegrata, per il 2014 e per il 2015, dal comma 4 dell’art. 6 del D.L. 102/2013, che ha destinato a tale scopo la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
Si ricorda che, ai sensi del comma 5 dell’art. 11 della L. 431/1998, le risorse del Fondo vengono ripartite, entro il 31 marzo di ogni anno, tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, mediante decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sulla base dei criteri fissati dal D.M. 14 settembre 2005 ed in rapporto alla quota di risorse messe a disposizione dalle singole regioni e province autonome. L’ultimo riparto, relativo all’annualità 2011 e per una somma complessiva di 9,9 milioni di euro, è stato effettuato con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 4 agosto 2011 (G.U. 17 ottobre 2011, n. 242). T
La tabella seguente riporta la serie storica degli stanziamenti per il “Fondo locazioni” a cui vengono aggiunti gli importi del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli (indicati tra parentesi), dato che esso persegue una finalità analoga:
Importo |
|
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2001 |
335,7 |
|
2002 |
249,2 |
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2003 |
246,5 |
|
2004 |
248,3 |
|
2005 |
230,1 |
|
2006 |
310,7 |
|
2007 |
211,0 |
|
2008 |
205,6 |
|
2009 |
181,1 |
|
2010 |
141,3 |
|
2011 |
9,9 |
|
2012 |
|
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2013 |
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2014 |
100 (35,7) |
|
2015 |
100 (32,7) |
Importi in milioni di euro
Il grafico evidenzia che, considerando anche il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli, gli stanziamenti per il 2014 e il 2015 si riportano ai livelli del 2010.
Il Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli è stato istituito dall’art. 6, comma 5, del D.L. 102/2013, con una dotazione di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Lo stesso comma disciplina le modalità di riparto del Fondo, stabilendo che le relative risorse siano ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e sentita la Conferenza Stato-Regioni. Quanto ai criteri di riparto, la norma assegna priorità alle regioni “che abbiano emanato norme per la riduzione del disagio abitativo, che prevedano percorsi di accompagnamento sociale per i soggetti sottoposti a sfratto, anche attraverso organismi comunali”. Viene altresì disposto che le risorse possono essere utilizzate nei comuni ad alta tensione abitativa dove sono stati già attivati bandi per l’erogazione di contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli.
All'aggiornamento
dell'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa provvede, ai sensi dell’art.
8, comma 4, della L. 431/1998, il CIPE con propria delibera, su proposta del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con i Ministri
dell'interno e della giustizia. Il CIPE ha aggiornato gli elenchi con una serie
di delibere e, da ultimo, con la delibera 13 novembre 2003, n. 87 e con il relativo allegato.
Articolo 2
(Modifica della disciplina del Fondo
nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e
agevolazioni per i comuni che acquisiscono in locazione immobili da privati per
contrastare l'emergenza abitativa)
Il comma 1 dell'articolo in esame modifica in più punti la disciplina del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione contenuta nell’art. 11 della legge n. 431 del 1998 al fine di:
§ prevedere il finanziamento, con le risorse del Fondo, di iniziative non solo comunali ma anche delle Regioni (comma 3);
§ aggiungere, al novero delle iniziative (comunali o regionali) finanziabili dal Fondo, anche la costituzione di fondi di garanzia (comma 3);
§ rendere possibile la stipula delle convenzioni, con le quali attuare le iniziative regionali/comunali, anche con imprese di costruzione ed altri soggetti imprenditoriali, e non solo con le cooperative edilizie per la locazione (modifica inserita durante l’esame al Senato).
§ chiarire che gli alloggi da concedere in locazione (reperiti attraverso le iniziative regionali o comunali anzidette), devono essere affittati a canoni concordati (il testo previgente del comma 3 si limitava a prevedere una locazione per periodi determinati) oppure, in base ad una apposita modifica introdotta al Senato, che si proceda alla rinegoziazione delle locazioni esistenti per consentire alle parti, con il supporto delle organizzazioni di rappresentanza della proprietà e degli inquilini, la stipula di un nuovo contratto a canone inferiore;
Relativamente al contratto di affitto a canone concordato (o calmierato), in estrema sintesi si ricorda che esso è un particolare tipo di contratto di locazione (contemplato dall’art. 2, commi 3-5, della L. 431/1998), che presenta due differenze fondamentali rispetto al contratto a canone libero: la prima riguarda la durata (è prevista una durata minima di 3 anni più altri 2 anni di rinnovo automatico alla prima scadenza, per tale motivo tale contratto è indicato comunemente con l’espressione “3+2”), la seconda il livello del canone, che è inferiore alla misura dei canoni correnti di mercato (le condizioni contrattuali, in particolare gli importi minimo e massimo del canone, sono infatti stabilite in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative). L’art. 4 della L. 431/1998 disciplina l’individuazione dei criteri generali da seguire nella stipula degli accordi o i parametri da utilizzare in mancanza della loro stipula.
§ inserire una norma che demanda alle regioni la definizione delle finalità di utilizzo del Fondo, al fine di ottimizzarne l’efficienza, anche in forma coordinata con il Fondo per gli inquilini morosi incolpevoli (testo aggiunto alla fine del comma 6). Nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito che la citata definizione deve avvenire sentiti i comuni;
§ modificare i criteri che le regioni devono seguire nel ripartire le risorse ai comuni (nuovo comma 7). Mentre il testo previgente prevedeva l’attribuzione delle risorse (sia quelle regionali che quelle statali del Fondo) ai comuni sulla base di parametri premianti “anche la disponibilità dei comuni a concorrere con proprie risorse alla realizzazione degli interventi”, il nuovo testo:
- prevede l’applicazione dei criteri di riparto
non al complesso delle risorse, ma solo
alle risorse destinate dalle regioni alla
costituzione di agenzie o istituti per la locazione o di fondi di garanzia
o alle attività di promozione in convenzione con cooperative edilizie per la
locazione o, secondo la modifica
approvata dal Senato, con imprese di
costruzione ed altri soggetti imprenditoriali. Sull’utilizzo delle risorse
(sia regionali che del Fondo nazionale) per la concessione, ai conduttori in
possesso dei requisiti previsti, di contributi integrativi per il pagamento dei
canoni di locazione sembra quindi che le regioni possano deliberare in
autonomia. Il nuovo comma 7 dell'articolo 11 della legge 431 del 1998
sembrerebbe, pertanto, introdurre un criterio di ripartizione solo per i fondi
destinati dalle regioni alla costituzione di agenzie o istituti per la
locazione o fondi di garanzia o alle attività di promozione in convenzione con
cooperative edilizie per la locazione, che rappresentano una parte delle
risorse del Fondo, mentre non sembra prevedere, a differenza della normativa
previgente, alcun criterio di ripartizione fra i comuni per le risorse
restanti, fra le quali rientrano anche quelle destinate direttamente alla
concessione ai conduttori di contributi integrativi. Si consideri, in proposito,
anche che il comma 6 dell’articolo 11 della legge 431/98, come modificato dalla
lettera b) del comma 1, dell’articolo in commento demanda alle regioni la
definizione delle finalità di utilizzo del Fondo e che, sulla base di una
modifica introdotta al Senato, tale definizione deve avvenire “sentiti i
comuni”;
- modifica i criteri di riparto, prevedendo premialità non più ancorate anche alla disponibilità dei comuni a concorrere con proprie risorse alla realizzazione degli interventi, ma basate su due criteri prioritari:
1. numero di abbinamenti tra alloggi a canone concordato e nuclei familiari provenienti da alloggi di edilizia residenziale pubblica (ERP) sovvenzionata o sottoposti a procedure di sfratto esecutivo;
La relazione illustrativa sottolinea che la premialità relativa ai nuclei provenienti da alloggi di ERP ha la finalità di liberare alloggi occupati a favore dei numerosi nuclei familiari attualmente in lista di attesa per un’assegnazione.
Con l’espressione “edilizia residenziale pubblica (ERP) sovvenzionata” si fa riferimento alla realizzazione di alloggi con finanziamenti a totale copertura del costo delle opere, da parte di Enti pubblici, in particolare, dagli organismi che , in gran parte delle regioni, hanno sostituito gli Istituti Autonomi Case popolari (IACP) e dai Comuni. Gli alloggi di edilizia sovvenzionata possono essere di nuova costruzione o acquistati. Gli alloggi di “ERP sovvenzionata” vengono assegnati, previo espletamento di procedure concorsuali, ai nuclei familiari più deboli, praticando canoni di locazione calcolati in base alla condizione economica ed al numero dei componenti del nucleo familiare assegnatario.
2. numero di contratti di locazione a canone concordato complessivamente intermediati nel biennio precedente.
- prevedere l’applicazione delle procedure previste per gli sfratti per morosità alle locazioni degli alloggi reperiti con le risorse del Fondo, precisando che tale applicazione opera anche nei casi di rilascio per finita locazione.
La previsione in esame, ad una prima lettura, parrebbe doversi intendere nel senso che sia ai rapporti di locazione in cui per il pagamento dei canoni sono utilizzati i contributi integrativi di cui al citato comma 3 dell'articolo 11 della legge n. 431 del 1998, sia ai rapporti di locazione a canoni concordati conseguenti alle iniziative di regioni e comuni previste dal medesimo comma 3, troveranno applicazione in ogni caso - e quindi anche nelle ipotesi di finita locazione - le disposizioni previste per gli sfratti per morosità (si vedano, in particolare, gli articoli 657 e seguenti del codice di procedura civile, gli articoli 3 e 6 della legge n. 431 del 1998, gli articoli 55 e 56 della legge n. 392 del 1978).
L’art. 657 c.p.c. infatti consente di intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto, se, in virtù del contratto stesso o per effetto di atti o intimazioni precedenti, è esclusa la tacita riconduzione (per escludere la quale occorre, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della L. 431/1998, un preavviso di almeno sei mesi);
Per effetto di tale previsione, quindi, ai medesimi rapporti di locazione, non dovrebbe applicarsi la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo, prevista dall'art. 1 del decreto-legge n. 158 del 2008 e valida, per effetto delle proroghe finora intervenute (l’ultima delle quali disposta dall'art. 4 del D.L. 150/2013), sino al 31 dicembre 2014.
Nel testo iniziale del decreto-legge la destinazione di somme del Fondo a sostegno delle iniziative regionali e comunali veniva resa non più subordinata rispetto alla finalità di concessione di contributi integrativi ai conduttori, mediante la soppressione della condizione "qualora le disponibilità del fondo lo consentano", contemplata dal testo previgente. Nel corso dell’esame al Senato tale condizione è stata reintrodotta, seppur in modo meno stringente. Il nuovo testo prevede che la destinazione alle iniziative regionali e comunali avvenga “tenendo conto anche della disponibilità del Fondo”.
Si segnala che nel testo iniziale del decreto è stato eliminato, nel comma 7, il riferimento alle province autonome di Trento e Bolzano.
Si ricorda, al riguardo,
l’abrogazione, operata dal comma 109 dell’articolo 2 della legge 23 dicembre
2009, n. 191 (finanziaria 2010), dell’articolo 5 della legge 30 novembre 1989,
n. 386, per cui non sono più dovute alle Province autonome di Trento e Bolzano
erogazioni a carico del bilancio dello Stato previste da leggi di settore[2]. Tale disposizione è richiamata nelle premesse del
decreto di riparto delle risorse del Fondo nazionale per il sostegno
all'accesso alle abitazioni in locazione relative all'annualita' 2011.
Nel corso dell’esame al Senato il riferimento alle province autonome è stato ripristinato.
Infine si fa notare che il nuovo testo del comma 7 non contempla più quelle disposizioni che, nel testo previgente, disciplinavano il caso in cui la Regione non provvedesse, nei termini stabiliti, a trasferire le risorse ai comuni.
Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame al Senato, prevede che l’applicazione, da parte dei comuni, delle disposizioni di cui all’articolo 11, comma 3, della legge n. 431 del 1998, al fine di contrastare l'emergenza abitativa, costituisce titolo di preferenza nell'assegnazione di contributi pubblici per qualsiasi tipo di edilizia economica e popolare.
L’inserimento del comma in esame è stato accompagnato, nel corso dell’esame al Senato, dalla modifica della rubrica dell’articolo in esame, che ora fa riferimento non solo alla disciplina del fondo locazioni ma anche alle agevolazioni per i comuni che acquisiscono in locazione immobili da privati per contrastare l'emergenza abitativa.
Si osserva che non appare
chiara la portata del comma in esame, che sembra finalizzato ad introdurre un
criterio di priorità nella ripartizione del Fondo locazioni.
Il comma 1-ter, introdotto durante l’esame al Senato, disciplina le modalità di erogazione dei contributi in favore di inquilini morosi incolpevoli, a valere sulle risorse del Fondo istituito dall’art. 6, comma 5, del D.L. 102/2013, rifinanziato dal decreto in esame.
Il comma prevede che tali contributi siano erogati dai Comuni in forme tali da assicurare la sanatoria
della morosità. A tal fine viene stabilito che i comuni possono erogare i contributi direttamente
al locatore interessato con attestazione dell’avvenuta sanatoria,
avvalendosi quindi della facoltà contemplata dal terzo periodo del comma 3
dell'art. 11 della L. 431/1998.
Ai sensi del citato periodo del comma 3 dell’articolo 11 della legge n. 431/98, i comuni possono, con delibera della propria giunta, prevedere che i contributi integrativi destinati ai conduttori vengano, in caso di morosità, erogati al locatore interessato a sanatoria della morosità medesima, anche tramite l'associazione della proprietà edilizia dallo stesso locatore per iscritto designata, che attesta l'avvenuta sanatoria con dichiarazione sottoscritta anche dal locatore.
Articolo 3
(Misure per la alienazione del patrimonio
residenziale pubblico)
L’articolo 3, comma 1, contiene una serie di disposizioni finalizzate da un lato ad accelerare il processo di definizione delle nuove regole di alienazione delle “case popolari” (vale a dire degli immobili di proprietà degli IACP o degli enti, comunque denominati che li hanno sostituiti), nonché degli immobili di proprietà dei comuni e degli enti pubblici anche territoriali, dall’altro a concedere contributi per l’acquisto di tali alloggi. I commi 1-bis e 1-ter, inseriti nel corso dell’esame al Senato, disciplinano i casi e le condizioni per cui è consentito, all’assegnatario degli alloggi destinati ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, di continuare ad usufruire di detti alloggi o di acquistarli prima dei termini.
In particolare la lettera a) riscrive le regole per la definizione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti Autonomi per le Case Popolari (IACP), al fine di dare maggiore certezza al processo di definizione delle nuove procedure.
Le nuove regole, introdotte mediante una riscrittura del comma 1 dell’art. 13 del D.L. 112/2008, prevedono, infatti, semplicemente l’emanazione di un decreto interministeriale, entro il 30 giugno 2014, che dovrà definire le nuove procedure di alienazione. Si tratta quindi di un’importante innovazione rispetto alle regole precedenti, che affidavano ai Ministri delle infrastrutture e per i rapporti con le regioni il compito di promuovere (entro il 31 dicembre 2011), in sede di Conferenza unificata, la conclusione di accordi con regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione.
Nel corso dell’esame al Senato la lettera a) è stata modificata al
fine di ampliare il suo campo di applicazione anche alla vendita degli
immobili di proprietà dei comuni e degli enti pubblici anche territoriali.
Prima di proseguire nell’analisi della lettera a) dell'articolo in esame, appare opportuno un approfondimento sui profili di compatibilità costituzionale della norma.
Con i primi due commi dell’art. 13 del D.L. 112/2008 sono state reintrodotte nell’ordinamento nazionale norme con finalità analoghe, nella sostanza, a quelle contenute nei commi 597-598 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 (n. 266/2005), dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 94 del 2007.
In particolare il comma 597 prevedeva che la valorizzazione degli immobili costituenti il patrimonio degli IACP avvenisse mediante una semplificazione delle procedure in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli istituti medesimi sulla base di modalità definite con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Secondo la Corte, il fine del comma 597 non era quello di dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, di competenza dello Stato, bensì “quello di regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione degli immobili”. Secondo la Corte, “si tratta quindi di un intervento normativo dello Stato nella gestione degli alloggi di proprietà degli IACP (o di altri enti o strutture sostitutivi di questi), che esplicitamente viene motivato dalla legge statale con finalità di valorizzazione di un patrimonio immobiliare non appartenente allo Stato, ma ad enti strumentali delle Regioni”. Tale norma configurava, pertanto, secondo la Corte, un’ingerenza nella potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. Di conseguenza “la fonte regolamentare, destinata dalla disposizione impugnata a disciplinare le procedure di alienazione degli immobili, è stata prevista in una materia non di competenza esclusiva dello Stato, in violazione del sesto comma del medesimo art. 117”[3].
Per superare tali censure, l’art. 13 del D.L. 112/2008 ha demandato l’individuazione delle modalità di semplificazione delle procedure di alienazione non più ad un D.P.C.M. (da emanare previo accordo con le regioni), bensì alla conclusione di accordi con regioni ed enti locali.
Come anticipato, la lettera a) del comma 1 dell’articolo in commento sostituisce il comma 1 dell’articolo 13 del D.L. 112/2008 prevedendo che, in luogo degli accordi con regioni ed enti locali, si proceda all’emanazione di un decreto di definizione delle nuove procedure di alienazione previa intesa della Conferenza unificata, onde garantire il rispetto delle competenze regionali in materia di ERP.
Si ricorda, in proposito, che con l’art. 93, comma 2, del D.P.R. n. 616/1977, sono state trasferite alle regioni le funzioni amministrative statali concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attività di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale e le funzioni connesse alle relative procedure di finanziamento, nonché le funzioni statali relative agli IACP, per cui tali istituti sono divenuti enti regionali.
Ai sensi del medesimo articolo 93 è stato altresì attribuito alle regioni il potere di organizzare il “servizio della casa” in conformità ai principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali (riforma attuata successivamente, con l’approvazione della legge n. 142/1990, poi trasfusa nel d.lgs. n. 267/2000). Ciò ha innescato un processo che ha portato, in numerose regioni, alla trasformazione degli IACP in nuovi enti, con moduli organizzativi e denominazioni diverse da regione a regione, tra cui la più comune è forse quella di Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale (ATER). Alcune regioni non si sono invece avvalse della facoltà conferita dal citato art. 93, per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria[4].
Andrebbe, pertanto, valutata
la portata della disposizione alla luce di quanto previsto dalla sentenza della
Corte costituzionale n. 94 del 2007.
Proseguendo l’esame della lettera a), una novità degna di nota, rispetto al testo previgente, è caratterizzata dalla parte della disposizione che consente, nella definizione delle procedure di alienazione, di derogare alle norme vigenti in materia di alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica dettate dalla legge n. 560/1993.
Benché sul punto la relazione illustrativa non dica nulla, una delle motivazioni che sembra soggiacere a tale disposizione sembra essere quella di superare i limiti, posti dalla legge n. 560/1993, alla vendita degli immobili vincolati ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004); una motivazione che sta alla base anche della proposta di legge C. 791, di riforma dell'articolo 1 della citata legge n. 560, che ripropone le disposizioni dell’A.C. 1074 della XVI legislatura.
Un’ulteriore innovazione alla disciplina vigente viene apportata mediante l’aggiunta di un periodo finalizzato a destinare le risorse derivanti dalle alienazioni ad un programma straordinario di realizzazione e di manutenzione straordinaria di alloggi di ERP.
Nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito:
§ che tale destinazione deve avvenire in via esclusiva al citato programma;
§ che il programma può anche riguardare, oltre alla realizzazione e alla manutenzione straordinaria, anche l’acquisto di alloggi.
Nel corso dell’esame al Senato è stato introdotto un periodo in
base al quale il suddetto piano di alienazione dovrà tenere conto anche della
possibilità di favorire la dismissione
degli alloggi collocati:
§ nei condomini misti dove la proprietà pubblica è inferiore al 50%;
§ oppure in situazioni abitative estranee all'ERP.
La finalità della disposizione, secondo quanto in essa esplicitato, è il conseguimento di una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale.
La lettera b) del comma 1 dell'articolo in esame introduce tre nuovi commi dopo il comma 2 dell’art. 13 del D.L. 112/2008.
In particolare, il comma 2-bis istituisce, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo destinato alla concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti per l’acquisto degli alloggi di proprietà degli IACP, comunque denominati, venduti in base alle regole di alienazione previste dal nuovo comma 1.
Si consideri, in proposito,
che la platea degli immobili interessati da tale disposizione è stata ampliata
nel corso dell’esame al Senato (v. supra).
Nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito che i contributi sono destinati a finanziare l’acquisto degli alloggi da parte dei conduttori.
Nel corso dell’esame al Senato è stato altresì introdotto un periodo in base al quale ai citati contributi hanno accesso anche i soci assegnatari di alloggi di cooperative edilizie a proprietà indivisa per l'acquisizione dell'alloggio, posto in vendita a seguito di procedure concorsuali.
Il fondo istituito dal comma 2-bis:
§ opera attraverso un conto corrente di tesoreria, secondo i criteri, le condizioni e le modalità stabilite da un apposito decreto interministeriale, che dovrà essere emanato (di concerto dai Ministri delle infrastrutture e dell’economia) entro 30 giorni dall’entrata in vigore della disposizione (come chiarito nel corso dell’esame al Senato);
§ ha una dotazione massima di 18,9 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020.
Il comma 2-quater, al fine esplicitato nella norma di aumentare le disponibilità del Fondo e rendere diffuso sull’intero territorio nazionale il relativo accesso, prevede la stipula di apposite convenzioni, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e le istituzioni finanziarie nazionali o dell'Unione europea o con le relative associazioni di rappresentanza, per disciplinare forme di partecipazione finanziaria e nella gestione del Fondo.
Il comma 2-ter amplia la platea dei beneficiari del Fondo di garanzia per la prima casa, includendovi anche i conduttori di alloggi di proprietà degli IACP o degli enti, comunque denominati, che li hanno sostituiti.
Tale modifica viene operata mediante una novella alle norme del comma 48 della legge di stabilità 2014, che viene inserita come comma aggiuntivo .
Andrebbe, pertanto, valutata
l'opportunità di novellare direttamente la legge di stabilità 2014, senza
novellare il decreto-legge 112/2008.
Il comma 3-bis dell'articolo 13 del D.L. 112/2008, a partire dal 1° settembre 2008, ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della gioventù, un Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli i cui componenti non risultano occupati con rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Relativamente alle risorse del Fondo, era prevista una dotazione per il solo triennio 2008-2010 (4 milioni di euro per il 2008 e 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010).
L'art. 6, comma 3 del D.L. 102/2013 ha esteso, a decorrere dall'anno 2014, la platea dei beneficiari del suddetto Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa ai giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all'articolo 1 della legge n. 92 del 2012 ed ha incrementato la dotazione del Fondo di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015.
Il decreto interministeriale 17 dicembre 2010, n. 256,
modificato dal decreto 24 giugno 2013, n. 103, reca il Regolamento del Fondo,
che disciplina, per espressa previsione del citato comma 3-bis, i criteri per
l'accesso al Fondo e le modalità di funzionamento del medesimo.
Ai sensi
dell'articolo 2 di tale decreto, i mutui ammissibili alla garanzia del Fondo
non devono superare 200.000 euro. I mutuatari devono avere alla data di
presentazione della domanda di mutuo i seguenti requisiti:
- età inferiore a
35 anni (anche per le coppie coniugate tale requisito deve essere soddisfatto
da entrambi i componenti il nucleo familiare);
- reddito
complessivo rilevato dall'indicatore della situazione economica equivalente
(ISEE) non superiore a 35.000 euro e non più del 50% del reddito complessivo
imponibile ai fini IRPEF derivante da contratto di lavoro dipendente a tempo
indeterminato;
- non essere
proprietari di altri immobili ad uso abitativo, salvo quelli di cui il
mutuatario abbia acquistato la proprietà per successione a causa di morte,
anche in comunione con altro successore, e che siano in uso a titolo gratuito a
genitori o fratelli.
L'immobile da acquistare per essere adibito ad
abitazione principale non deve rientrare nelle categorie catastali A1, A8 e A9
(vale a dire, le abitazioni di pregio) e non deve avere una superficie
superiore a 90 metri quadrati. Nella concessione della garanzia viene data
priorità ai casi nei quali l'immobile sia situato in aree a forte tensione
abitativa e non deve avere le caratteristiche di abitazione di lusso.
Il comma 48, lettera c), della legge di stabilità 2014 (L. 147/2013), nell'ambito di un riordino generale del sistema delle garanzie per l'accesso al credito delle famiglie e delle imprese, prevede la sostituzione del Fondo in questione con un nuovo Fondo di garanzia per la prima casa, per la concessione di garanzie, a prima richiesta, su mutui ipotecari o su portafogli di mutui ipotecari.
A tale nuovo fondo, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, sono attribuite risorse pari complessivamente a 600 milioni di euro nel triennio 2014-2016 (200 milioni annui), nonché le attività e le passività del Fondo di cui all'articolo 13, comma 3-bis, del D.L. 112/2008. Quest'ultimo continuerà ad operare fino all'emanazione dei decreti attuativi necessari per rendere operativo il nuovo fondo, dopodiché sarà soppresso.
Per quanto riguarda la garanzia del nuovo Fondo, essa può essere concessa nella misura massima del 50% della quota capitale sui finanziamenti connessi all'acquisto e agli interventi di ristrutturazione e accrescimento dell'efficienza energetica, di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale. Rispetto al precedente fondo, quindi, viene ampliato il novero dei finanziamenti che possono essere assistiti da garanzia: non solo dunque quelli connessi all’acquisto della prima casa, ma anche quelli relativi alla ristrutturazione ed all’efficientamento energetico della stessa. Viene inoltre esteso l’ambito di applicazione soggettiva del Fondo: esso infatti acquista portata generale, ferma restando la priorità per l'accesso al credito da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, nonché dei giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico. Gli interventi del Fondo di garanzia per la prima casa sono assistiti dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza. Inoltre, la dotazione del Fondo può essere incrementata mediante versamento di contributi da parte delle regioni e di altri enti e organismi pubblici.
Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame al Senato, consente all’assegnatario degli alloggi destinati ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, di continuare ad usufruire di detti alloggi, anche in seguito alla cessazione del servizio, nei casi e per i periodi di tempo di seguito schematizzati:
Causa di cessazione dal servizio |
Prolungamento dell’assegnazione dell’alloggio |
assegnatario riformato totalmente o parzialmente per malattia, anche non dipendente da cause di servizio |
senza
termine |
pensionamento dell’assegnatario |
per un periodo di 3 anni dalla cessazione dell'incarico |
decesso
dell'assegnatario |
per un periodo di 3 anni dal decesso, su richiesta del coniuge o degli aventi diritto |
Si ricorda che la delibera CIPE 20 dicembre 1991 (pubblicata nella G.U. n. 15 del 20 gennaio 1992), attuativa dell’art. 18 del D.L. 152/1991 - con cui è stato avviato un programma straordinario di edilizia residenziale da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata - stabilisce, al punto 5, che “l'assegnazione decade automaticamente alla data di cessazione dell'incarico di servizio che ha determinato l'assegnazione medesima”.
Il comma 1-ter, introdotto durante l’esame al Senato, consente, agli enti proprietari, di vendere agli assegnatari gli alloggi finanziati in tutto o in parte nell’ambito del programma di ERP destinato ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, prima dei termini previsti.
I termini a cui la norma fa riferimento sono quelli indicati :
§ al punto 5 della Deliberazione 20 dicembre 1991 del CIPE;
Tale punto prevede che gli alloggi in questione siano destinati ad essere assegnati in godimento o in locazione per un periodo non inferiore a 12 anni, decorrente dalla data in cui il prefetto (che deve procedere all’assegnazione) riceve la comunicazione di disponibilità degli alloggi.
§ e, eventualmente, nelle convenzioni speciali concernenti i singoli interventi.
Nel caso l'assegnatario acquisti l'immobile, esso viene automaticamente liberato dal vincolo di destinazione.
Articolo 4
(Programma di recupero di immobili e
alloggi di edilizia residenziale pubblica)
L’articolo 4 prevede l’emanazione, con decreto interministeriale,
di criteri per la formulazione di un
Programma di recupero e di razionalizzazione degli immobili e degli alloggi
di edilizia residenziale pubblica, finanziato,
nel limite di 500 milioni di euro, con
le risorse provenienti da finanziamenti
revocati che erano stati in precedenza destinati alle infrastrutture strategiche.
Viene altresì previsto uno stanziamento di ulteriori 67,9 milioni di euro (che vengono prelevati da un nuovo Fondo destinato a raccogliere le risorse non utilizzate da alcuni programmi di edilizia residenziale) per il recupero di alloggi da assegnare, con priorità, agli inquilini appartenenti alle categorie meno abbienti che beneficiano della sospensione degli sfratti.
Lo stesso articolo disciplina le procedure per l’utilizzo delle risorse e il monitoraggio sull’attuazione del Programma.
Secondo l’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), allegata al disegno di legge di conversione, il Programma si propone di finanziare la ristrutturazione con adeguamento energetico, impiantistico e antisismico di 12.000 alloggi. La stessa AIR afferma che con l’ulteriore finanziamento di 67,9 milioni di euro saranno recuperati “ulteriori 2.300 alloggi destinati alle categorie sociali disagiate”. Si segnala, però, che l’AIR fa riferimento a uno stanziamento di 560 milioni di euro.
Si fa notare che rispetto al testo iniziale, che utilizza l’espressione “piano di recupero”, il testo approvato dal Senato usa il termine “programma”, in linea con quanto osservato nel parere dell’8 maggio della Conferenza delle regioni. Secondo le Regioni, infatti, è più opportuno riferirsi al termine “programma”, poiché la dizione “Piano di recupero” assume “specifica valenza urbanistica, derivante dall’art. 30 L.457/78”.
Si fa notare che, rispetto al testo iniziale del decreto-legge (che prevede che con il decreto interministeriale cui si è accennato si approvi direttamente un piano di recupero), il testo approvato dal Senato prevede semplicemente che il decreto interministeriale approvi i criteri per la formulazione di un programma.
Tale modifica accoglie quanto auspicato nel citato parere della Conferenza delle regioni. Secondo le Regioni in tal modo si favorisce lo snellimento delle procedure, mediante un procedimento che demanda al livello centrale il dettato degli obiettivi e criteri del Programma di recupero (in luogo della formulazione del Programma stesso), mentre le Regioni provvedono ad individuare gli interventi, approvano il programma regionale e assegnano le risorse ai comuni e agli ex IACP. Tale procedura, sempre secondo le Regioni, “permette, altresì, di creare sinergie con i programmi regionali e aumenta l'efficacia complessiva dell'intervento pubblico”.
In considerazione di tale
finalità, andrebbe valutata l’opportunità di fare riferimento ai criteri per la
formulazione, da parte delle regioni, di programmi di recupero.
Relativamente all’iter da seguire per l’emanazione dei citati criteri, il comma 1 stabilisce che essa deve avvenire:
§ con decreto interministeriale, approvato dai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti dell’economia e delle finanze e per gli affari regionali (sulla base di una modifica introdotta al Senato: il testo iniziale del decreto-legge prevede infatti l’emanazione del decreto da parte del Ministero delle infrastrutture di concerto con gli altri Ministeri);
§ d’intesa con la Conferenza unificata;
§ entro 4 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge. Tale termine è stato ridotto, nel corso dell’esame al Senato, rispetto a quello di 6 mesi inizialmente previsto.
Con riferimento alle finalità del Programma, il comma 1 dispone che esso deve essere finalizzato al recupero e alla razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP (o degli enti, comunque denominati, che li hanno sostituiti), sia attraverso il ripristino di alloggi di risulta sia per il tramite della manutenzione straordinaria degli alloggi anche ai fini dell’adeguamento energetico, impiantistico e statico e del miglioramento sismico degli immobili.
Nel corso dell’esame al Senato il comma è stato modificato al fine
di ampliare la portata del programma anche
agli immobili di proprietà:
§ dei comuni.
Si tratta di una modifica auspicata dall’ANCI nel documento consegnato nel corso delle audizioni informali, nonché nel parere della Conferenza delle regioni, reso in data 8 maggio 2014, ove si legge che “ciò appare coerente con il fatto che anche i Comuni, al pari degli ex IACP sono proprietari di alloggi di ERP”.
§ degli enti di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP.
Nel corso dell’esame al Senato è stato altresì chiarito, al fine di allineare il testo del comma alla rubrica dell’articolo, che gli immobili e gli alloggi cui fa riferimento il programma sono quelli di edilizia residenziale pubblica.
Sempre nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che l’ambito di applicazione comprende anche gli IACP (comunque denominati) costituiti in forma societaria.
Il comma 1-bis, introdotto durante l’esame al Senato, prevede la trasmissione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, da parte delle regioni, degli elenchi predisposti dai comuni e dagli IACP (o degli enti, comunque denominati, che li hanno sostituiti) delle unità immobiliari che, con interventi di manutenzione ed efficientamento di non rilevante entità, siano prontamente disponibili per le assegnazioni.
Per finanziare il Programma, il comma 2 prevede l’utilizzo:
§ delle risorse destinate alle infrastrutture strategiche, ma revocate dall'art. 32, commi 2 e 3, del D.L. 98/2011, nel limite massimo di 500 milioni di euro;
§ delle risorse che il comma 5 destina al recupero degli alloggi da assegnare alle categorie, che beneficiano della sospensione delle procedure di rilascio degli immobili, e che il comma 6 limita a complessivi 67,9 milioni di euro nel quadriennio 2014-2017.
Si fa notare che il riferimento ai commi 2 e 3 dell’art. 32 del D.L. 98/2011 è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato, in luogo di quello all’art.1, comma 79, della L. 147/2013 (stabilità 2014), contemplato dal testo iniziale.
I commi 2 e 3 dell’art. 32 del D.L. 98/2011 hanno disposto la revoca dei seguenti finanziamenti:
- quelli assegnati dal CIPE entro il 31 dicembre 2008 per la realizzazione di opere del PIS per le quali, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98/2011, non sia stato emanato il decreto interministeriale per l’utilizzo dei contributi pluriennali e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara. Restano esclusi dalla revoca i finanziamenti destinati alla tutela e agli interventi a favore dei beni e delle attività culturali approvati mediante decreto interministeriale ai sensi dell'art. 3, comma 2, del D.L. n. 72/2004 (comma 2);
- quelli assegnati dal CIPE per la realizzazione di opere del PIS i cui soggetti beneficiari, autorizzati al 31 dicembre 2008 all'utilizzo dei limiti di impegno e dei contributi pluriennali con il relativo decreto interministeriale, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 98/2011 non abbiano assunto obbligazioni giuridicamente vincolanti, non abbiano bandito la gara per l'aggiudicazione del relativo contratto di mutuo o, in caso di loro utilizzo mediante erogazione diretta, non abbiano chiesto il pagamento delle relative quote annuali al MIT e non sia stato pubblicato il relativo bando di gara (comma 3).
Il comma 79 della legge di stabilità 2014 (L. 147/2013) ha differito dal 2008 al 2010 le scadenze indicate per l’individuazione dei finanziamenti revocabili, determinando quindi un ampliamento della massa di tali finanziamenti.
Le risorse revocate confluiscono in un apposito Fondo (c.d. Fondo revoche) istituito, dal comma 6 del medesimo articolo 32, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il comma 2 stabilisce che le citate risorse destinate al finanziamento del Programma sono utilizzate anche per il finanziamento degli interventi di housing sociale contemplati dal successivo art. 10, comma 10.
Tale comma 10 pone un limite di utilizzo pari a 100 milioni di euro.
L’individuazione dei finanziamenti revocati è operata con decreti interministeriali, adottati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è tenuto a comunicare al CIPE i finanziamenti revocati.
Le quote annuali dei contributi revocati e iscritte in bilancio, ivi incluse quelle in conto residui, affluiscono ad un Fondo appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Ai sensi del comma 3 le somme revocate iscritte in conto residui, ad eccezione di quelle eventualmente conservate ai sensi dell’art. 30 della legge 196/2009, dovranno essere mantenute in bilancio e versate all'entrata dello Stato, secondo la cadenza temporale prevista nei decreti ministeriali che le hanno individuate, in modo da escludere effetti negativi sui saldi di finanza pubblica, per essere riassegnate sul Fondo di cui sopra.
Si ricorda che tale possibilità, concessa al Ministro
dell’economia e finanze limitatamente ai tre esercizi finanziari successivi a
quello in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 196/2009, vale a
dire negli esercizi 2011, 2012 e 2013, è stata poi estesa anche agli anni 2014
e 2015 ai sensi dell’articolo 9, comma 12, del D.L. n. 150/2013.
Il comma 4 prevede, nell’ambito del Programma di recupero contemplato dal comma 1, una sorta di “sottoprogramma” destinato al recupero di alloggi da assegnare alle categorie sociali meno abbienti che beneficiano della sospensione degli sfratti.
Nel corso dell’esame al Senato l’ambito applicativo della norma è stato ristretto ai soggetti, delle categorie sociali citate, collocati utilmente nelle graduatorie comunali per l'accesso ad alloggi di ERP.
Nel corso dell’esame al Senato è stato inoltre chiarito che la destinazione del “sottoprogramma” ai soggetti beneficiari della sospensione delle procedure di sfratto (come sopra definiti) non è esclusiva, come invece risulta dal testo iniziale, ma prioritaria.
Per l’individuazione degli inquilini beneficiari della sospensione degli sfratti la normativa vigente (art. 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007) stabilisce che devono verificarsi contemporaneamente tutte le seguenti condizioni:
§ reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27.000 euro;
§ presenza, nel nucleo familiare, di persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66% o figli fiscalmente a carico;
§ non possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza.
§ l’immobile che occupano deve essere ad uso abitativo e situato in uno dei seguenti comuni:
- comuni capoluoghi di provincia;
- comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti;
- comuni ad alta tensione abitativa, individuati dalla delibera CIPE 13 novembre 2003, n. 87 e dal relativo allegato.
Per tali inquilini l'art. 4, comma 8, del D.L. 150/2013 ha prorogato al 31 dicembre 2014 il termine di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili ad uso abitativo.
Per il finanziamento del “sottoprogramma” il comma 5 istituisce, dall'esercizio finanziario 2014 e fino al 31 dicembre 2017, nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un Fondo, denominato «Fondo per gli interventi di manutenzione e di recupero di alloggi abitativi privi di soggetti assegnatari», nel quale confluiscono le risorse, non utilizzate relative alle autorizzazioni disposte:
a) dall’articolo 36, della L. 457/1978, relativamente all’art. 2, lettera f) e all’art. 3, lettera q);
L’art. 36 della L. 457/1978 (Norme per l'edilizia residenziale), per la concessione di contributi agli interventi di edilizia residenziale fruenti di mutuo agevolato, ha autorizzato in ciascuno degli anni finanziari 1978, 1979, 1980 e 1981, il limite di impegno di lire 70 miliardi (pari a 36,2 milioni di euro).
L’art. 2, lettera f), della medesima legge (per chiarezza andrebbe esplicitato il riferimento alla medesima legge) prevede la determinazione di quote, per un importo non superiore all'1% dei finanziamenti di edilizia sovvenzionata ed al 3% dei finanziamenti di edilizia agevolata da destinare all'anagrafe degli assegnatari di abitazioni di edilizia residenziale comunque fruenti di contributi dello Stato e ad iniziative di ricerca, studi e sperimentazione nel settore dell'edilizia residenziale.
L’art. 3, lettera q), prevede una riserva del 2% dei finanziamenti complessivi per sopperire con interventi straordinari nel settore dell'edilizia residenziale alle esigenze più urgenti, anche in relazione a pubbliche calamità.
b) dall’articolo 3, comma 7-bis, del decreto-legge n. 12 del 1985;
L’art. 3 del D.L. 12/1985 (Misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa) ha destinato un limite di impegno di 30 miliardi di lire (pari a 15,5 milioni di euro) per l'avvio di un programma straordinario di edilizia agevolata, da realizzarsi a cura di imprese, cooperative e relativi consorzi.
c) dall’articolo 22, comma 3, della legge 11 marzo 1988, n. 67.
L’art. 22 della legge n. 67/1988 (finanziaria 1988) ha autorizzato, al comma 3, un limite di impegno di lire 150 miliardi (pari a 77,5 milioni di euro) per ciascuno degli anni dal 1988 al 1990, per il finanziamento di interventi previsti dalla L. 457/1978.
Il comma 6 disciplina le seguenti dotazioni annue massime del “Fondo per il recupero di alloggi privi di assegnatari”: 5 milioni per l'anno 2014, 20 milioni per il 2015, 20 milioni per il 2016 e 22,9 milioni per il 2017, per complessivi 67,9 milioni di euro nel quadriennio 2014-2017.
Il comma 7 prevede che alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dall'attuazione del comma 5, valutati complessivamente in 5 milioni di euro per il 2014, 20 milioni di euro per il 2015, 20 milioni di euro per il 2016 e 22,9 milioni di euro per il 2017 si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali, di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, e successive modificazioni.
Secondo quanto precisato nella relazione tecnica, le risorse che affluiscono al Fondo di cui al comma 5 sono disponibilità giacenti presso la Cassa depositi e prestiti relative a quote non utilizzate di limiti di impegno destinati a programmi di edilizia agevolata. L’utilizzo di tali giacenze di tesoreria comporta effetti negativi in termini di fabbisogno e di indebitamento netto che vengono compensati, appunto, mediante utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali.
Il Fondo per la compensazione degli effetti finanziari, istituito ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del D.L. n. 154 del 2008 nello stato di previsione del Ministero dell'economia (cap. 7593), è finalizzato a compensare gli effetti negativi scaturenti, in termini di cassa, da specifici contributi di importo fisso costante con onere a carico dello Stato, concessi in virtù di autorizzazioni legislative. Nel bilancio per il 2014-2016, il Fondo risulta dotato di 313,2 milioni nel 2014, di 324,7 milioni nel 2015 e a di 294,7 milioni nel 2016.
Il comma 8 stabilisce che i criteri di riparto tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, del “Fondo per il recupero di alloggi privi di assegnatari”, siano definiti dal medesimo decreto interministeriale con cui vengono approvati i criteri per la formulazione del Programma previsto dal comma 1 dell'articolo in esame.
Lo stesso comma 8 prevede che le Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano provvedano, entro 2 mesi all’assegnazione delle risorse ai Comuni e agli IACP (o agli enti, comunque denominati, che li hanno sostituiti), nonché agli enti di edilizia residenziale aventi le stesse finalità degli IACP. Tale termine è stato ridotto, nel corso dell’esame al Senato, rispetto a quello di 4 mesi inizialmente previsto. Anche il riferimento agli enti di edilizia residenziale aventi le stesse finalità degli IACP è stato introdotto nel corso dell’esame al Senato.
Il comma 9 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Il comma 9-bis, introdotto durante l’esame al Senato, introduce l’obbligo, per il Governo, di riferire alle competenti commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo:
§ decorsi 6 mesi dall’emanazione del decreto di cui al comma 1;
§ e successivamente ogni 6 mesi, fino alla completa attuazione del Programma.
Articolo 5
(Lotta all’occupazione abusiva di
immobili. Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di
locazione)
L’articolo 5 introduce una specifica disciplina di contrasto alle
occupazioni abusive di immobili.
La nuova disciplina è
volta ad impedire che chiunque occupi senza
alcun titolo un immobile possa chiedere la residenza e l’allacciamento ai
pubblici servizi (gas, luce, acqua ecc.); la disposizione stabilisce la nullità ex lege degli effetti degli
atti emessi in violazione della nuova normativa.
Si tratta, quindi, di un’occupazione abusiva per la quale possono essere distinte tre
ipotesi:
In tutte e tre le suddette ipotesi si ha una c.d. occupazione sine titulo in cui solo nella prima non è mai intercorso, fin dall’origine, alcun titolo in favore dell’occupante. Da ciò discendono importanti conseguenze in ordine, principalmente, al rito processuale applicabile. Quanto a quest’ultimo, infatti, nella prima delle ipotesi indicate non sarà possibile ricorrere al rito relativo alla locazione di cui all’art. 447-bis c.p.c..
L'ordinamento
giuridico prevede forme di tutela, sia
in sede civile che penale, di chi subisca l'occupazione abusiva del proprio
immobile.
In sede civile, il proprietario potrà esperire la cd. azione
di rivendicazione (articolo 948 c.c.), imprescrittibile, nei confronti
di chiunque possiede o detiene l’immobile. Il titolare dell’immobile potrà
agire in qualunque tempo, potendo richiedere anche il risarcimento dei danni
subiti anche quando, dopo la domanda giudiziale, il terzo abbia cessato per
fatto proprio di possedere o detenere la cosa. L’occupazione senza titolo dell’immobile è certificata dalla sentenza
di rilascio da parte del tribunale.
E' anche
possibile tutelarsi in via immediata ed urgente dall’occupazione abusiva, ricorrendo
al giudice per l’azione di reintegrazione
nel possesso (articolo 1168 c.c.). Quest'azione spetta non solo al
proprietario, ma anche a chi disponga ad altro titolo dell'immobile (ad esempio
l'usufruttuario o il conduttore in locazione dell'immobile); potrà essere
esercitata entro un anno dalla data dello spoglio violento o occulto del
possesso del bene; se lo spoglio è occulto il termine per chiedere la reintegra
decorre dalla data della scoperta dello spoglio.
In sede penale, è possibile tutelarsi attraverso la proposizione di una
denuncia alla Procura della Repubblica competente. In tali casi, infatti, è
principalmente ipotizzabile il reato di invasione di terreni od edifici
(articolo 633 c.p.), punito con la reclusione fino a 2 anni o con la multa da
103 a 1.032 euro; a tale illecito sono ricollegabili altri reati funzionalmente
collegati all’occupazione abusiva, quali il danneggiamento (articolo 635 c.p.)
e la violazione di domicilio (articolo 614 c.p.).
Si
ricorda come, in relazione all’occupazione abusiva di edifici, è stato a volte
invocato lo stato di necessità (art. 54 c.p.), la cui dimostrazione costituisce
scriminante del reato. Sul punto, la Cassazione (Sez. II, sentenza n. 35580 del
27 giugno 2007) ha - a tali fini - esteso il concetto di "danno grave alla persona" in armonia con quanto
stabilito dall'art. 2 della Costituzione, anche a quelle situazioni che
minacciano solo indirettamente l'integrità fisica del soggetto, riferendosi
alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali dev'essere
ricompreso il diritto all'abitazione. Secondo la Suprema Corte, l'esigenza di
un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona, fermo restando,
peraltro, che tale interpretazione estensiva del concetto di "danno grave
alla persona" importa la necessità di una più attenta e penetrante
indagine giudiziaria diretta a circoscrivere la sfera di azione dell'esimente
ai soli casi in cui siano indiscutibili gli elementi costitutivi della stessa -
necessità e inevitabilità - non potendo i diritti dei terzi essere compressi se
non in condizioni eccezionali, chiaramente comprovate. L’operatività
dell'esimente presuppone, peraltro (Cass.,sentt. nn. 7183/2008 e 8724/2011),
gli ulteriori elementi costitutivi dell'assoluta necessità della condotta, e
dell'inevitabilità del pericolo.
La norma in esame - si
legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione - mira al ripristino delle situazioni di legalità
compromesse dalla sussistenza di fatti penalmente rilevanti.
Si intende, quindi,
impedire che chi occupa un immobile abusivamente, e sia per questo denunciato
al giudice penale, possa, in relazione a tale immobile, ottenervi la residenza
o gli allacci delle utenze (ovvero la voltura del relativo contratto, se già
allacciate).
Si osserva che la formulazione dell’articolo 5 pare riguardare anche le
occupazioni abusive in relazione alle quali sia stata chiesta al giudice solo
tutela in sede civile.
Scopo della disposizione
è quello di “misurare” la legittimità della richiesta di residenza non dall’abitualità
della dimora nell'abitazione ma dalla regolarità del titolo di occupazione;
la dichiarazione di residenza dovrebbe essere, quindi, irricevibile dagli
uffici comunali qualora non fosse dimostrato che l'alloggio è occupato
legittimamente.
Si osserva, tuttavia, che la disciplina in materia anagrafica (DPR 223
del 1989) non prevede attualmente che la dichiarazione di residenza rivolta
agli uffici comunali sia condizionata all’esibizione di un atto che attesti la
legittimità dell’occupazione dell’alloggio (contratto di acquisto, di locazione
o comodato).
L’art. 5 in esame non prevede, in capo al richiedente la residenza,
obblighi di esibizione di documenti che comprovino il legittimo possesso o
detenzione dell’immobile, così come stabilito in relazione alla
somministrazione di utenze (v. ultra). Pare utile valutare in quale modo gli
uffici anagrafici possano verificare la
regolarità o meno del titolo di occupazione dell’alloggio.
Il secondo periodo del
comma 1 dell’art. 5 – introdotto dal
Senato - ha, invece, specifico riguardo alla nuova disciplina relativa agli
allacci delle utenze (acqua, luce, gas, telefono). Si stabilisce, a
decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto-legge, che i cd. contratti di somministrazione ovvero “gli
atti aventi ad oggetto l'allacciamento dei servizi di energia elettrica, di
gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione,
della volturazione, del rinnovo, sono
nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque adottati, qualora
non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la
proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell'unità immobiliare in favore della quale si richiede
l'allacciamento”. A fini di verifica da parte dei fornitori dei servizi, i
richiedenti sono tenuti a consegnare idonea documentazione in originale o copia
autentica o (in mancanza) a rilasciare dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà.
Dalla formulazione della disposizione sembra che la nuova disciplina
sia applicabile ai soli contratti stipulati, volturati o rinnovati dopo la data
di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge.
Tuttavia, pare debba essere chiarito il significato del riferimento testuale agli
“atti nulli” e (che) pertanto non possono essere stipulati o comunque
adottati”.
Riferirsi ad atti nulli (quindi “ontologicamente” ad atti già
stipulati) potrebbe dar luogo a problemi di interpretazione. Pare opportuno
chiarire:
§ se –
come sembra - il riferimento agli atti nulli vada inteso in relazione a quelli
stipulati in violazione degli obblighi di esibizione documentale dopo la data di
entrata in vigore della legge di conversione (che, quindi, colpisce i contratti
ab origine);
§ se
l’art. 5 introduca un obbligo di sanatoria - mediante l’esibizione dei titoli
che attestino la proprietà, la locazione, ecc. – di contratti già in corso alla
citata data di entrata in vigore.
Il comma 1-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato,
vieta a coloro che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale
pubblica la partecipazione alle
procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i successivi
cinque anni a decorrere dalla data di accertamento dell'occupazione
abusiva.
Da ultimo, il comma 1-ter, introdotto nel corso dell’esame al Senato,
prevede una clausola di salvaguardia,
fino al 31 dicembre 2015, degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici
sorti sulla base dei contratti di locazione
già registrati presso l'Agenzia delle entrate (art. 3, commi 8 e 9 del d.lgs.
23/2011), nei casi di mancata registrazione del contratto entro i termini di
legge, di indicazione di un affitto inferiore a quello effettivo e di
registrazione di un contratto di comodato fittizio. Tali contratti beneficiano
di un canone annuo pari al triplo della rendita catastale, ad essi si applica
la disciplina del cd. 4+4 (vale a dire che hanno durata di quattro anni
decorrenti dalla data di registrazione, volontaria o d’ufficio, e sono rinnovabili
di ulteriori quattro anni).
Tale disciplina (articolo 3, commi 8 e
9, del d.lgs. n. 23 del 2011) è stata
dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega, dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo. La Consulta ha affermato che la
disciplina oggetto di censura è sotto numerosi profili ‘rivoluzionaria’ sul
piano del sistema civilistico vigente. Allo stesso tempo, però, emerge con
chiarezza come si presenti del tutto priva di “copertura” da parte della legge
di delegazione.
Con il comma 1-bis sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli
effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di
locazione stipulati ai sensi della predetta disciplina, dichiarata
incostituzionale.
A seguito della modifica
introdotta dal Senato, la rubrica dell’art. 5 è integrata con riferimento
alla “Salvaguardia degli effetti di disposizioni in materia di contratti di
locazione”.
Articolo 6
(Imposizione sui redditi dell’investitore)
L’articolo 6 dispone che i redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova costruzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente di un alloggio sociale, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi né alla formazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura del 40 per cento (comma 1).
Tale previsione è valida fino all’eventuale riscatto dell’unità immobiliare da parte del conduttore e, comunque, per un periodo non superiore a dieci anni dalla data di ultimazione dei lavori di nuova costruzione o di realizzazione mediante interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente.
La disposizione si applica agli alloggi sociali, come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008.
L'articolo 1 del
DM citato definisce «alloggio sociale»
l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che
svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione
sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari
svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel
libero mercato. L'alloggio sociale si configura come elemento essenziale del
sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall'insieme dei servizi
abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie. Rientrano
nella predetta definizione gli alloggi realizzati o recuperati da operatori
pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche -
quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia,
agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per
almeno otto anni ed anche alla proprietà.
Ai sensi
dell'articolo 2 le regioni, in concertazione con le Anci regionali, definiscono
i requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale. Quanto al
canone di locazione dell'alloggio sociale, questo viene definito dalle regioni,
in concertazione con le Anci regionali, in relazione alle diverse capacità
economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle
caratteristiche dell'alloggio. L'ammontare dei canoni di affitto percepiti
dagli operatori deve comunque coprire i costi fiscali, di gestione e di
manutenzione ordinaria del patrimonio tenuto conto, altresì, della funzione
sociale dell'alloggio.
Come evidenziato dalla relazione tecnica, la non concorrenza alla formazione della base imponibile comporta l’indeducibilità delle spese sostenute a fronte di tali redditi ai sensi dell’articolo 109, comma 5, del TUIR.
Il comma 2 subordina l’efficacia delle disposizioni recate dall'articolo in commento all’autorizzazione della Commissione europea in relazione alla normativa sugli aiuti di Stato (ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, TFUE).
Si ricorda che
la normativa europea vieta gli aiuti di Stato alle imprese, in quanto
distorsivi del principio della libera concorrenza, tranne i casi esplicitamente
indicati. Le disposizioni che istituiscono regimi di aiuto devono essere
comunicate alla Commissione, che ne valuta la compatibilità. A tale proposito
l'articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea
(TFUE) (ex articolo 88, paragrafo 3, del trattato che istituisce la Comunità
europea, TCE) contempla l'obbligo di notificare gli aiuti di Stato alla
Commissione europea al fine di stabilirne la compatibilità con il mercato
comune sulla base dei criteri dell'articolo 107, par. 1 TFUE (ex articolo 87,
paragrafo 1, TCE).
Alcune categorie
di aiuti possono tuttavia essere dispensate dall'obbligo di notifica: si tratta
degli aiuti concessi su un periodo di tre anni (tre esercizi finanziari) e che
non superano la soglia dei 200.000 euro; questi aiuti non vengono considerati
aiuti di Stato ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 1, del TFUE (c.d. aiuti de minimis) e del regolamento UE n.
1407/2013.
Articolo 7, commi 1 e 2
(Detrazioni fiscali IRPEF per il conduttore
di alloggi sociali)
L’articolo 7, modificato
nel corso dell’esame al Senato, ai
commi 1 e 2 reca agevolazioni
fiscali per il triennio 2014-2016 in favore dei conduttori di alloggi sociali
adibiti ad abitazione principale.
Più in dettaglio, il comma 1 attribuisce, per il triennio 2014-2016, ai soggetti titolari di contratti di locazione di alloggi sociali adibiti a propria abitazione principale una detrazione pari, complessivamente, a:
· 900 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro;
· 450 euro, se il reddito complessivo è compreso tra i 15.493,72 e 30.987,41 euro.
Ai fini della definizione di “alloggi sociali” si applica il già richiamato decreto del Ministro delle infrastrutture 22 aprile 2008.
Le detrazioni in esame sono disciplinate al di fuori del TUIR (il cui articolo 16 è specificamente dedicato alle detrazioni per canoni di locazione), in considerazione della loro natura transitoria.
Il citato articolo 16 reca la disciplina delle detrazioni IRPEF che spettano ai soggetti titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale (stipulati o rinnovati ai sensi della disciplina delle locazioni contenuta nella L. 9 dicembre 1998, n. 431). In particolare, ai sensi del comma 01 dell’articolo 16, ai predetti soggetti spettano le seguenti detrazioni:
a) 300 euro , se il reddito complessivo non supera euro 15.493,71;
b) 150 euro, se il reddito complessivo supera euro 15.493,71 ma non euro 30.987,41.
Il richiamato articolo 16 reca specifiche agevolazioni per i lavoratori dipendenti fuori sede e per i giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni.
Il comma 2 prescrive che alle detrazioni in commento si applichi la disciplina della detrazione per canoni di locazione prevista dal decreto del Ministro dell’economia e delle finanze dell'11 febbraio 2008.
Tale decreto reca in particolare le modalità di corresponsione della detrazione da parte del sostituto d’imposta, specialmente nel caso (articolo 16, comma 1-sexies del TUIR) in cui la detrazione per canoni di locazione superi l'imposta lorda (diminuita delle detrazioni di cui agli articoli 12 e 13 del TUIR). In tale caso è riconosciuto al contribuente un ammontare pari alla quota di detrazione che non ha trovato capienza nella predetta imposta.
Articolo 7, commi 2-bis
e 2-ter
(Detrazioni fiscali IRPEF per l’acquisto
di mobili)
I commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 7, introdotti dal Senato intervengono sulla disciplina delle detrazioni IRPEF spettanti per le ristrutturazioni edilizie e l’acquisto di mobili, consentendo di usufruire della detrazione per le spese sostenute per l’acquisto di mobili anche ove dette spese superino quelle sostenute per i connessi lavori di ristrutturazione.
Il comma 2-bis, introdotto al Senato, modifica la disciplina delle detrazioni IRPEF spettanti per le
ristrutturazioni edilizie e l’acquisto
di mobili, consentendo di usufruire
della detrazione per le spese sostenute per l’acquisto di mobili anche ove dette spese superino quelle sostenute per i connessi
lavori di ristrutturazione.
Più in dettaglio, la norma modifica l’articolo 16, comma 2 del D.L. n. 63 del 2013, come da ultimo novellato dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 139, lettera d), punto 3).
Ai sensi del richiamato comma 2, i contribuenti che fruiscono delle detrazioni per ristrutturazioni edilizie fino al 2015 possono altresì usufruire di una detrazione del 50 per cento per le ulteriori spese, documentate e sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014, volte all'acquisto dei seguenti, prodotti finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione:
§ mobili;
§ grandi elettrodomestici di classe non inferiore alla A+;
§ forni di classe A.
Ai fini del riconoscimento della detrazione in oggetto, la norma fa riferimento ai contribuenti che fruiscono della detrazione di cui al comma 1, cioè a coloro che usufruiscono delle possibilità di detrarre - nel limite massimo di spesa di 96.000 euro - il 50 per cento delle spese di ristrutturazione edilizia sostenute nel periodo di tempo tra il 26 giugno 2012 e il 31 dicembre 2014. Essa, da ripartire tra gli aventi diritto in dieci quote annuali di pari importo, spetta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute ed è calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 10.000 euro.
Con la circolare n. 29/E del 18 settembre 2013 l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti su alcune questioni interpretative concernenti le detrazioni per interventi di efficienza energetica, di ristrutturazione edilizia, per acquisto di mobili per l’arredo e di elettrodomestici disposte dal decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63. La circolare tra l'altro ha fornito informazioni su modalità di pagamento, diritto alla detrazione, tipologia di mobili interessati e elettrodomestici.
L’ultimo periodo del vigente comma 2 dell’articolo 16 specifica che le spese per l’acquisto di mobili non possono essere superiori alle spese per i lavori di ristrutturazione a cui devono essere necessariamente collegate. La norma in commento, eliminando detta condizione, fa sì che le spese per l’acquisto di mobili potranno anche essere più elevate delle spese per i connessi lavori di ristrutturazione, fermo restando il tetto dei 10.000 euro.
Si rammenta che detta condizione era stata eliminata dall’articolo 1, comma 2, lettera a) del D.L. 30 dicembre 2013, n. 151, non convertito in legge.
Il comma 2-ter, anch’esso introdotto al Senato, sancisce che per il periodo compreso tra il 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2014 le richiamate spese per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici sono computate, ai fini della fruizione della detrazione di imposta, indipendentemente dall'importo delle spese sostenute per i lavori di ristrutturazione che fruiscono delle detrazioni per ristrutturazione edilizia.
La disposizione in esame, la cui portata normativa non appare chiara, sembra in sostanza chiarire che le spese per l’acquisto di mobili (con un tetto massimo di 10.000 euro) non debbano essere computate all’interno delle spese complessivamente detraibili per ristrutturazioni edilizie nel suindicato periodo (il cui massimale è pari a 96.000 euro).
Articolo 8
(Riscatto a termine dell’alloggio sociale)
L’articolo 8 prevede la facoltà di inserire la clausola di riscatto dell'unità immobiliare e le relative condizioni economiche, nelle convenzioni che disciplinano le modalità di locazione degli alloggi sociali, alle condizioni previste nella norma (comma 1).
E’ specificata la disciplina fiscale applicabile nelle ipotesi di riscatto dell’alloggio sociale (commi 2 e 3).
In particolare, il comma 2 concede al conduttore di imputare i corrispettivi pagati al locatore in parte in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio e in parte in conto affitto. In tali ipotesi, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, i corrispettivi si considerano fiscalmente quali canoni di locazione; ricorrendone le condizioni, tali corrispettivi sono parzialmente esenti da imposte sui redditi e da IRAP. Il comma 3 stabilisce che, ai fini fiscali (imposte dirette), in caso di riscatto dell'unità immobiliare, l’esercizio di competenza in cui si considerano conseguiti i corrispettivi derivanti dalla cessione è quello in cui avviene l’effetto traslativo della proprietà del bene; inoltre, le eventuali imposte correlate agli “acconti-prezzo” costituiscono un credito di imposta.
Infine, è prevista l’attuazione della disciplina di dettaglio con un decreto ministeriale (comma 4).
Il comma 5 prevede l'applicazione delle disposizioni dell’articolo in commento ai contratti di locazione stipulati successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, a partire quindi dal 29 marzo 2014.
Il riscatto dell’alloggio sociale
In particolare, durante l’esame al Senato, il comma 1 è stato modificato prevedendo la facoltà di inserire la clausola di riscatto dell'unità immobiliare e le relative condizioni economiche, nelle convenzioni che disciplinano le modalità di locazione degli alloggi sociali (comma 1).
La norma fa riferimento al
decreto ministeriale di attuazione dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 2007,
n. 9, ossia al decreto ministeriale 22 aprile 2008, che reca la definizione di
alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di
Stato.
Le
caratteristiche che definiscono l’alloggio
sociale in Italia sono indicate nel citato decreto ministeriale 22 aprile 2008 (D.M.), emanato in attuazione dell'articolo 5 della legge 8 febbraio 2007, n. 9.
L’articolo 1,
comma 3, del D.M. specifica che gli alloggi
sociali realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati sono destinati
alla locazione temporanea per almeno
otto anni ed anche alla proprietà.
In particolare,
l’articolo 2, comma 5 del D.M. stabilisce che le regioni, in concertazione con
le Anci regionali, fissino i requisiti per beneficiare delle agevolazioni per
l'accesso alla proprietà e stabiliscano modalità, criteri per la determinazione
del prezzo di vendita, stabiliti nella convenzione con il comune, per il
trasferimento dei benefici agli acquirenti, anche successivi al primo, tenuto
conto dei diversi sussidi accordati per l'acquisto, la costruzione o il
recupero.
In tema di social housing in Europa e di politiche abitative in Italia,
si consulti il seguente link.
L’esercizio del diritto di riscatto dell’immobile è consentito alle seguenti tre condizioni:
1) non prima di sette anni dall'inizio della locazione;
2) da parte dei conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare;
3) divieto di rivendere l'immobile prima dello scadere dei 5 anni.
Il testo originario del comma 1 prevede solo la possibilità di riscattare l'immobile assegnato, trascorsi almeno sette anni dalla stipula del contratto di locazione.
Si segnala che la previsione del comma 1 consente il riscatto dell’alloggio sociale dopo 7 anni dalla stipula del contratto di locazione, mentre l’articolo 10, comma 3, per le finalità dell’articolo (sulla base di quanto specificato nel corso dell’esame al Senato), definisce tra l’altro l’alloggio sociale, come l’unità abitativa destinata alla locazione, con patto di futura vendita, per un periodo non inferiore ad otto anni.
Le agevolazioni fiscali
Ai sensi del comma 2 il conduttore, fino alla data del riscatto dell’alloggio sociale, ha la facoltà di imputare i corrispettivi pagati al locatore:
· parte in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio
· parte in conto affitto.
Ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, i corrispettivi si considerano canoni di locazione, anche se imputati in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio, ricevendo dunque il medesimo trattamento fiscale.
A fini IRPEF, ad esempio, ove ne ricorrano le condizioni il conduttore potrà usufruire della detrazione per canoni di locazione prevista dall’articolo 7 del provvedimento in esame; a fini IRAP, le società personali e gli imprenditori individuali potranno dedurre dall’imponibile anche i costi dei canoni di locazione di beni strumentali.
A tali corrispettivi, inoltre, si applicano le disposizioni recate dal precedente articolo 6 del provvedimento in esame (ove ne ricorrano le condizioni); in particolare, i redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova costruzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente di un alloggio sociale, non concorrono alla formazione del reddito d’impresa ai fini delle imposte sui redditi né alla formazione del valore della produzione netta ai fini IRAP, nella misura del 40 per cento (si rinvia alla relativa scheda di lettura per approfondimenti).
Tale disposizione mira a ridurre gli oneri dell’eventuale acquisto per il conduttore, favorendo nel contempo l’erogazione del fabbisogno residuo al momento dell’atto di acquisto da parte degli intermediari finanziari.
Il comma 3 stabilisce che:
· ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi e dell’IRAP, i corrispettivi delle cessioni degli alloggi di edilizia sociale si considerano conseguiti alla data dell’eventuale esercizio del diritto di riscatto dell’unità immobiliare da parte del conduttore. In sostanza, ai fini fiscali, in caso di riscatto dell'unità immobiliare, l’esercizio di competenza in cui si considerano conseguiti i corrispettivi derivanti dalla cessione è quello in cui avviene l’effetto traslativo della proprietà del bene;
· le imposte relative alle somme percepite in conto del prezzo di acquisto futuro dell’alloggio, nel corso del contratto di locazione, costituiscono un credito d’imposta. Dunque le eventuali imposte correlate agli “acconti-prezzo” costituiscono un credito di imposta le cui modalità di determinazione e di fruizione sono fissate dal futuro provvedimento attuativo di cui al comma 4 dell’articolo in commento.
Le attuazioni
E’ prevista l’emanazione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata, che indichi (comma 4):
· la modalità di determinazione e di fruizione del credito d'imposta;
· le clausole standard dei contratti locativi e di futuro riscatto;
· le tempistiche e gli altri aspetti ritenuti rilevanti nel rapporto contrattuale.
Il comma
5 prevede l'applicazione delle
disposizioni dell’articolo in commento ai contratti di locazione stipulati
successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, a partire quindi
dal 29 marzo 2014.
Articolo 9
(Riduzione dell'aliquota della cedolare
secca per contratti a canone concordato)
L’articolo 9 stabilisce l’applicazione, per il quadriennio 2014-2017, di un’aliquota ridotta al 10% (in luogo del 15%) per la cosiddetta “cedolare secca” per i contratti a canone concordato stipulati nei maggiori comuni italiani (e nei comuni confinanti), negli altri capoluoghi di provincia o nei comuni ad alta tensione abitativa (comma 1).
Il comma 2 estende il regime della cedolare secca anche per le abitazioni locate a cooperative edilizie per la locazione (la specificazione “edilizie per la locazione” è stata aggiunta durante l’esame al Senato) o a enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei comuni con rinuncia all’aggiornamento del canone di locazione o assegnazione (sulla base di un’ulteriore modifica inserita nel corso dell’esame al Senato).
Si osserva che lo stesso comma (che si configura come novella al comma 6 dell’articolo 3 del d.lgs. 23/2011, v. infra) non specifica la misura dell’aliquota da applicare.
La misura ordinaria dell’aliquota della “cedolare secca sugli affitti” è pari al 21%. L’aliquota relativa ai contratti a canone concordato stipulati nei succitati comuni, inizialmente pari al 19%, è stata ridotta al 15% dall’art. 4 del D.L. 102/2013.
Riguardo ai maggiori comuni italiani in cui si applica l’aliquota ridotta del 10%, l’articolo in esame, tramite un rinvio all’articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del D.L. 551/1998, fa riferimento ai comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia.
L’elenco dei comuni ad alta tensione abitativa è invece aggiornato a cura del CIPE (ai sensi dell’art. 8, comma 4, della L. 431/1998), che vi provvede con propria delibera, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con i Ministri dell'interno e della giustizia. L’ultimo aggiornamento è stato effettuato con la delibera 13 novembre 2003, n. 87 e con il relativo allegato.
Riguardo alla disciplina della cosiddetta “cedolare secca sugli affitti”, istituita dall’articolo 3 del D.Lgs. 23/2011, si ricorda che essa prevede una specifica modalità di tassazione dei redditi derivanti dalla locazione di immobili adibiti ad uso abitativo: a partire dal 2011 si consente ai proprietari dei predetti immobili, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi derivanti dalla locazione, di optare per un regime sostitutivo (che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti) le cui aliquote sono quelle indicate in precedenza. Il locatore che opta per la cedolare secca non può richiedere aggiornamenti del canone.
Si ricorda infine che, prima dell’introduzione della “cedolare secca”, già l’art. 8 della L. 431/1998 aveva introdotto agevolazioni fiscali per i proprietari di alloggi dati in locazione a canone concordato ubicati nei comuni ad alta densità abitativa (di cui all'art. 1 del D.L. 551/1988).
Erano, inoltre, previste severe sanzioni in caso di omessa od irregolare registrazione: la conversione automatica del contratto a quattro anni rinnovabili e l’applicazione di un canone ridotto (triplo della rendita catastale più adeguamento Istat). Tuttavia la Corte Costituzionale con la sentenza n. 50 del 2014 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tali norme (articolo 3, commi 8 e 9, del D.L. 23/2011) per eccesso di delega.
Il comma 2-bis, introdotto durante l’esame al Senato, consente l’applicazione dell’aliquota ridotta al 10% della cedolare secca ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali sia stato deliberato, negli ultimi cinque anni (la norma precisa “precedenti l'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”), lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi.
La norma, nel riferirsi agli eventi calamitosi, fa riferimento a quelli contemplati dall’art. 2, comma 1, lett. c), della L. 225/1992, vale a dire le calamità naturali o le calamità connesse con l'attività dell'uomo “che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. Per tali calamità, e solo per queste, l’art. 5 della medesima legge n. 225 prevede l’emanazione della delibera dichiarativa dello stato di emergenza.
Il comma 2-ter, introdotto durante l’esame al Senato, impone al CIPE di provvedere all’aggiornamento dell'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
Si ricorda nuovamente che l’ultimo aggiornamento del citato elenco è stato effettuato con la delibera 13 novembre 2003, n. 87 e relativo allegato.
Il comma 2-quater, introdotto durante l’esame al Senato, disciplina la copertura degli oneri derivanti dai precedenti commi 2-bis e 2-ter, che sono valutati in 1,53 milioni di euro, per l'anno 2014, e 1,69 milioni di euro, a decorrere dal 2015.
Articolo 9-bis
(IMU
per immobili posseduti da cittadini residenti all'estero)
L’articolo 9-bis, introdotto durante l’esame del provvedimento al Senato, intende assoggettare ex lege, dal 2015, al regime IMU previsto per l’abitazione principale l'unità immobiliare posseduta dai cittadini italiani pensionati non residenti nel territorio dello Stato e iscritti all'Anagrafe degli Italiani residenti all'Estero (AIRE), a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, purché non locata o data in comodato d'uso. Su detti immobili la TARI e la TASI sono applicate nella misura agevolata.
In sostanza detti immobili godranno ex lege dell’esenzione da IMU, se non si tratta di immobili “di lusso” (categorie catastali A/1, A/8 ed A/9); altrimenti usufruiranno dell’aliquota agevolata allo 0,4 per cento e della detrazione di 200 euro prevista dalla legge.
Più in dettaglio, il comma 1
dell’articolo in commento interviene sull’articolo 13, comma 2 del D.L. n. 201
del 2011, ultimamente modificato dalla legge di stabilità 2014.
Si ricorda che l’assetto dell’IMU per il 2014 è stato profondamente mutato dall’istituzione, con la legge di stabilità 2014 (L. 147/2013, articolo 1, commi 639 e seguenti) dell'Imposta Unica Comunale (IUC), che si basa su due presupposti impositivi:
- uno costituito dal possesso di immobili e collegato alla loro natura e valore: si tratta dell'imposta municipale propria (IMU), di natura patrimoniale dovuta dal possessore di immobili, escluse le abitazioni principali;
- l'altro collegato all'erogazione e alla fruizione di servizi comunali: la componente riferita ai servizi, a sua volta si articola in un tributo per i servizi indivisibili (TASI), a carico sia del possessore che dell'utilizzatore dell'immobile; la tassa sui rifiuti (TARI), destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, a carico dell'utilizzatore.
Da tale assetto discende una conseguentemente modifica della disciplina IMU, che viene resa permanente, ma dal 2014 non si applicherà all’abitazione principale e alle relative pertinenze (purché non “di lusso”), nonché ad altre tipologie di immobili individuate ex lege.
I commi da 707 a 721 della legge di stabilità 2014 si occupano, in particolare, della disciplina dell’IMU.
Per quanto concerne l’abitazione principale e alle relative pertinenze, dal 2014 l’IMU a regime non si applicherà a tali immobili (nonché ad altre tipologie di beni individuati ex lege). Essa continuerà invece ad applicarsi agli immobili “di lusso”, classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (ovvero abitazioni di tipo signorile, ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici), con l’aliquota ridotta (0,4 per cento) e la detrazione di 200 euro. La detrazione si applica agli alloggi regolarmente assegnati dagli IACP o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli IACP.
L’abitazione principale viene invece assoggettata a TASI (articolo 1, comma 669 e seguenti della legge di stabilità 2014) con aliquota dell’1 per mille, modificabile dai comuni (per il 2014 il limite massimo è del 3,3 per mille, ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del D.L. n. 16 del 2014).
Ai sensi delle norme vigenti (articolo 1, comma 707 della legge n. 147 del 2013, che ha novellato l’articolo 13 comma 2 del D.L. n. 201 del 2011), i Comuni hanno la facoltà di assimilare all’abitazione principale alcune categorie di immobili, così estendendo ad essi il summenzionato regime agevolato (esenzione o riduzione di aliquota e detrazione): tra tali beni vi è anche l’immobile posseduto dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata.
La nuova disciplina introdotta dalle disposizioni in commento in primo luogo elimina dal testo dell’articolo 13, comma 2, la norma che concede la predetta facoltà ai Comuni; inoltre, aggiungendo un periodo al richiamato comma 13, equiparano ex lege all’abitazione principale un’unica unità immobiliare posseduta, a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, dai cittadini italiani non residenti nel territorio dello Stato, purché:
- detti soggetti siano iscritti all'Anagrafe degli Italiani residenti all'Estero (AIRE);
- siano pensionati nei relativi paesi di residenza;
- l’immobile, uno ed uno solo, non risulti locato o dato in comodato d'uso.
Rispetto alla formulazione vigente, dunque, viene introdotta un’agevolazione operante direttamente ex lege (e non più lasciata alla potestà decisionale di ciascun comune) ma vengono poste condizioni più stringenti e viene ristretta la platea di soggetti cui si applica. Il possessore deve infatti essere pensionato ed essere iscritto all’AIRE; l’agevolazione spetta per un solo immobile che, oltre a non essere locato, non deve neppure essere concesso in comodato d’uso.
Il comma 2 dell’articolo prevede un’ulteriore agevolazione per le sopra richiamate unità immobiliari: per detti immobili le imposte comunali TASI e TARI si applicano in misura “ridotta di due terzi”, dunque – secondo la lettera della disposizione - nella misura di un terzo.
In estrema sintesi si ricorda che la legge di stabilità 2014 ha destinato il già richiamato tributo per i servizi indivisibili comunali - TASI al finanziamento dei servizi comunali rivolti all’intera collettività. Soggetto passivo (articolo 1, commi 669 e seguenti della legge n. 147 del 2013) è il possessore o il detentore dell’immobile; la base imponibile è il valore dell’immobile rilevante a fini IMU. La TASI avrà un’aliquota base dell’1 per mille, che potrà essere azzerata o modificata dai Comuni.
Il D.L. n. 16 del 2014 ha introdotto la possibilità per i Comuni di aumentare l’aliquota massima TASI di un ulteriore 0,8 per mille innalzando il contributo statale di 125 milioni (in aggiunta agli originari 500 milioni destinati dalla legge di stabilità 2014) destinato al Fondo di solidarietà comunale.
Sono dichiarati esenti dalla TASI (articolo 1, comma 3 del richiamato D.L. n. 16 del 2014):
- gli immobili dello Stato, delle regioni e degli enti territoriali posseduti sul proprio territorio, nonché gli immobili dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
- gli immobili già esenti dall’ICI e cioè: stazioni, ponti, fabbricati destinati ad esigenze pubbliche, ecc.; i fabbricati con destinazione ad usi culturali, quelli per l'esercizio del culto e i fabbricati della Santa Sede; i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali; gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali per attività non commerciali.
Sono esclusi dalla TASI i terreni agricoli, mentre sono assoggettate a imposta le aree scoperte pertinenziali e le aree condominiali non occupate in via esclusiva.
Con l’istituzione della TARI è stato abrogato il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES), istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall'articolo 14 del decreto-legge n. 201 del 2011, a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, nonché dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni.
Analogamente a quanto previsto in precedenza dalla Tares, la TARI (articolo 1, comma 641 e ss.gg della già richiamata legge di stabilità 2014) è dovuta da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie di tutti i locali tassabili. Sono quindi soppressi tutti i previgenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.
Nella TARI vengono confermate le riduzioni tipiche già previste in materia di Tares, introducendo, tuttavia, una novità, rappresentata dall’eliminazione del limite per il comune della misura massima del trenta per cento fissato dall’articolo 14, comma 15, del decreto-legge n. 201 del 2011 per le riduzioni tariffarie. Il comune può inoltre prevedere riduzioni tariffarie ed esenzioni come nel caso di: abitazioni con unico occupante; abitazioni tenute a disposizione per uso limitato; fabbricati rurali ad uso abitativo, nonché deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni rispetto a quelle previste.
Il comma 3 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalle già commentate agevolazioni concesse per gli immobili dei contribuenti non residenti.
A tali oneri, quantificati in 6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015, di cui 2 a copertura delle minori entrate derivanti ai Comuni, si provvede mediante corrispondente riduzione degli stanziamenti di parte corrente iscritti, ai fini del bilancio triennale 2014-2016, nell'ambito dei fondi di riserva e speciali dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2014.
Articolo 10
(Edilizia residenziale sociale)
L’articolo 10 enuncia – al comma 1 - le finalità, alla base delle sue disposizioni, coincidenti con il perseguimento della riduzione del disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati attraverso l'aumento dell'offerta di alloggi sociali in locazione, senza consumo di nuovo suolo rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, favorendo il risparmio energetico e la promozione, da parte dei Comuni, di politiche urbane mirate ad un processo integrato di rigenerazione delle aree urbanizzate e dei tessuti edilizi esistenti attraverso lo sviluppo dell'edilizia sociale (le parole “urbanizzate” ed “edilizi esistenti” sono state inserite durante l’esame al Senato).
Lo stesso comma stabilisce che le norme dell'articolo in esame consentono di attuare l'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Si rammenta in proposito che l'articolo 117, secondo comma, riconosce allo Stato la legislazione esclusiva in varie materie, fra le quali, rientra, alla lettera m), la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Benché la materia dell’edilizia residenziale pubblica non sia contemplata dal citato articolo 117, nella sentenza n. 121/2010 la Corte ha ricordato che tale materia «si estende su tre livelli normativi»: «il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia “governo del territorio”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come precisato […] da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale» (sentenza n. 94 del 2007).
Il comma 5-bis, inserito durante l’esame al Senato, dispone che il presente articolo è finalizzato, altresì, alla creazione di quote di alloggi da destinare alla locazione temporanea :
§ dei residenti di immobili di edilizia residenziale pubblica (ERP) in corso di ristrutturazione;
§ o a soggetti sottoposti a procedure di sfratto.
Si fa notare che in tale comma sono state trasposte le disposizioni della lettera e) del comma 5, al cui commento si rinvia.
Il comma 3 definisce alloggio sociale l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale quando sia realizzata o recuperata da soggetti pubblici e privati, nonché dall’ente gestore comunque denominato, e da concedere in locazione, per ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi alle condizioni di mercato.
Nel corso dell’esame al Senato è stato specificato che gli alloggi sociali sono altresì destinati alle donne ospiti dei centri antiviolenza e delle case rifugio di cui all’art. 5-bis del D.L. 93/2013.
Si ricorda che in base al citato art. 5-bis, i centri antiviolenza e le case-rifugio, alle quali è garantito l'anonimato, possono essere promossi dagli enti locali – in forma singola o associata – nonché da associazioni e organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza, purché utilizzino personale specificamente formato. Queste strutture di accoglienza devono operare in maniera integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali.
Ai soli fini dell'articolo in esame, viene altresì considerato alloggio sociale l'unità abitativa:
§ destinata alla locazione, con vincolo di destinazione d’uso, comunque non inferiore a 15 anni, all'edilizia universitaria convenzionata;
§ destinata alla locazione con patto di futura vendita, per un periodo non inferiore ad 8 anni. Nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito che il patto può anche riguardare la futura assegnazione.
Per quanto concerne il contratto di locazione con patto di futura vendita si ricorda che in tale tipo di contratto, in estrema sintesi, locatore e conduttore prevedono che, al termine del periodo previsto per la locazione, oggetto del contratto, divenga di proprietà del conduttore. Riguardo alla natura giuridica della locazione con patto di futura vendita essa, secondo la giurisprudenza (Cass. 23/3/1992, n. 3587), sarebbe quella di un contratto atipico risultante dalla fusione delle cause di due contratti tipici: la vendita e la locazione. Si rammenta, tuttavia che il terzo comma dell’art. 1526 c.c. estende a questo rapporto la disposizione concernente la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà (cosiddetta vendita a rate). La locazione con patto di futura vendita riguardante appartamenti viene spesso applicata nel campo pubblicistico e dell’edilizia economica e popolare, per favorire l’accesso all’abitazione, a condizioni favorevoli.
Il comma in esame è stato modificato nel corso dell’esame al Senato. Nel testo iniziale del decreto-legge, infatti, anche la definizione generale di alloggio sociale ora fornita dal comma 3 era dettata ai soli fini dell'articolo in esame.
La nuova formulazione del
comma 3 introduce quindi nell’ordinamento nazionale una nuova definizione di
alloggio sociale, che non coincide con quella vigente dettata dal D.M. 22
aprile 2008.
Si ricorda che un'articolata definizione di alloggio sociale è contenuta nel D.M. 22 aprile 2008 recante "Definizione di alloggio sociale ai fini dell'esenzione dall'obbligo di notifica degli aiuti di Stato, ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità", in attuazione dell'art. 5 della legge 9/2007. L'art. 1 del D.M. definisce, infatti, quale "alloggio sociale" l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. Rientrano in tale definizione anche gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà. L'alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuita di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali. L'art. 2 demanda quindi alle regioni la definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale e la determinazione del relativo canone di locazione, in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell'alloggio. L'alloggio sociale deve poi essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli artt. 16 e 43 della legge 457/1978 (che prevedono una superficie massima delle nuove abitazioni non superiore a mq 95 ed alcune caratteristiche tecniche e costruttive). Nel caso di servizio di edilizia sociale in locazione si considera adeguato un alloggio con un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare - e comunque non superiore a cinque - oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. Infine, l'alloggio sociale dovrà essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.
Il comma 3, inoltre, esclude le aree in cui insistono gli immobili da destinare ad alloggi sociali e gli immobili stessi dal computo delle quantità minime inderogabili di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 aprile 1968, n. 1444.
Si ricorda in proposito che, ai sensi dell’art. 3 del D.M. 1444/1968, per gli insediamenti residenziali occorre assicurare, per ogni abitante insediato o da insediare, una dotazione minima, inderogabile, di mq. 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie. Tale quantità minima di spazi, definita in via generale, è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e variazioni stabilite dall’articolo 4 del medesimo decreto.
Con riferimento agli standard “inderogabili” previsti dal D.M. 1444/1968, si fa notare che l’art. 30, comma 1, lettera 0a), consente invece a regioni e province autonome di Trento e Bolzano di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al citato decreto.
Il comma 4 stabilisce che l'articolo in esame si applica, nei comuni ad alta tensione abitativa (di cui alla delibera CIPE 13 novembre 2003), al patrimonio edilizio esistente, ivi compresi gli immobili non ultimati e gli interventi non ancora avviati provvisti di titoli abilitativi rilasciati entro la data di entrata in vigore del presente decreto-legge (tale termine è stato modificato durante l’esame al Senato; nel testo pubblicato del decreto-legge figura la data del 31 dicembre 2013) ovvero regolati da convenzioni urbanistiche stipulate entro la stessa data e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
Si rammenta che all'aggiornamento
dell'elenco dei comuni ad alta tensione abitativa provvede, ai sensi dell’art.
8, comma 4, della L. 431/1998, il CIPE con propria delibera, su proposta del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di intesa con i Ministri dell'interno
e della giustizia. Il CIPE ha aggiornato gli elenchi con una serie di delibere
e, da ultimo, con delibera 13 novembre 2003, n. 87 e relativo allegato.
In base al comma 5, sono ammessi i seguenti interventi per la realizzazione di alloggi sociali:
a) ristrutturazione edilizia, restauro o risanamento conservativo, manutenzione straordinaria, rafforzamento locale, miglioramento o adeguamento sismico;
b) sostituzione edilizia mediante anche la totale demolizione dell'edificio e la sua ricostruzione con modifica di sagoma e diverso sedime nel lotto di riferimento, nei limiti di quanto previsto dall'art. 30 del D.L. 69/2013;
Tale disposizione è stata modificata nel corso dell’esame al Senato. Nel testo iniziale del decreto-legge si fa infatti riferimento alla “diversa localizzazione nel lotto di riferimento”. Inoltre il nuovo testo approvato dal Senato utilizza la congiunzione “e” (modifica di sagoma “e” diverso sedime).
Si fa notare che l’espressione “sostituzione edilizia”, benché di uso comune, non trova una definizione a livello nazionale (né nel T.U. edilizia né in altre disposizioni primarie). Il concetto è invece definito nella legislazione regionale.
Si ricorda ad esempio la definizione introdotta dall’art. 27, comma 3, della L.R. Piemonte n. 3/2013, secondo cui si ha sostituzione edilizia in presenza di interventi di integrale sostituzione edilizia dell'immobile esistente, ricadenti tra quelli di “nuova costruzione” contemplati dall'art. 3, comma 1, lettera e) del D.P.R. 380/2001, da attuarsi mediante demolizione e ricostruzione anche con diversa localizzazione nel lotto e con diversa sagoma". Un’altra definizione è contenuta nell’art. 9 della L..R. Liguria n. 9/2012, secondo cui si definiscono interventi di sostituzione edilizia quelli consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di edifici esistenti che necessitano di riqualificazione sotto il profilo urbanistico, paesistico, architettonico ed ambientale, comportanti eventuale incremento della volumetria originaria. Tali interventi sono disciplinati dallo strumento urbanistico generale alla stregua degli interventi di nuova costruzione se non si configurano come interventi di “demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato esistente, intendendosi per tale la ricostruzione che rispetti i volumi originari fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica e quelle previste come obbligatorie dalle normative tecniche di settore e, per gli immobili vincolati ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e successive modificazioni ed integrazioni, purché sia rispettata anche la sagoma dell'edificio preesistente”. La definizione utilizzata dalla Regione Liguria, che tiene conto delle modifiche apportate dal D.L. 69/2013 alla nozione di “ristrutturazione edilizia” (in quanto modificata dalla L.R. 40/2013) chiarisce come gli interventi di sostituzione edilizia vadano al di là dei limiti consentiti per la ristrutturazione edilizia, configurandosi quindi come interventi di nuova costruzione.
Con riferimento alla nuova definizione di ristrutturazione edilizia dettata dall’art. 30 del D.L. 69/2013 e al concetto di sagoma, che rappresenta un elemento cruciale nell’ambito della citata definizione, si fa notare quanto segue.
Secondo la giurisprudenza, la nozione di sagoma è strettamente collegata anche all’area di sedime del fabbricato.
In assenza di una definizione normativa di sagoma dell’edificio (non prevista dal D.P.R. 380/2001 – T.U. edilizia), autorevole giurisprudenza ha infatti affermato che è da intendersi per sagoma edilizia la “conformazione planivolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale” (Corte costituzionale, sentenza n. 309/2011) e “consequenzialmente, anche il rispetto della pregressa area di sedime” (Consiglio di Stato, sentenza n. 365/2013).
L’art. 30, comma 1, lettera a), del D.L. 69/2013 ha incluso nel novero degli “interventi di ristrutturazione edilizia” (elencati dalla lettera d) del comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001) quelli di demolizione e ricostruzione che comportano variazioni nella sagoma. Nella stessa lettera d) è stato inoltre introdotto un periodo che mira a ricomprendere nella ristrutturazione edilizia anche il ripristino/ricostruzione di edifici crollati o demoliti.
Il rispetto della medesima sagoma dell’edificio preesistente viene invece ancora considerato come elemento necessario per considerare l’intervento – sia di demolizione/ricostruzione, sia di ripristino/ricostruzione di edifici crollati/demoliti – come “di ristrutturazione edilizia” qualora l’immobile sia vincolato ai sensi del D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Ciò
premesso non appare chiaro il richiamo ai limiti dell’art. 30 del D.L. 69/2013,
che sono finalizzati a delimitare le fattispecie rientranti nella
ristrutturazione edilizia.
Nel corso dell’esame al Senato è stata altresì inserita la condizione che richiede che il nuovo sedime in cui viene ricollocato l’intervento sia comunque dotato di infrastrutture e servizi.
c) variazione della destinazione d'uso di edifici (la specificazione “di edifici” è stata aggiunta nel corso dell’esame al Senato) anche senza opere;
d) creazione di servizi e funzioni connesse e complementari alla residenza, al commercio con esclusione delle grandi strutture di vendita, necessarie a garantire l'integrazione sociale degli inquilini degli alloggi sociali. Nel corso dell’esame al Senato è stata eliminata la parte della disposizione che imponeva, per gli interventi in questione, di non superare il 20% della superficie complessiva comunque ammessa;
Secondo le regioni tale soppressione si giustifica alla luce del fatto che “il parametro urbanistico, superficie complessiva, non risulta indicato nella norma con la conseguenza che la percentuale del 20%, non riferibile ad alcun parametro, non è suscettibile di attuazione”.
e) creazione di quote di alloggi da destinare alla locazione temporanea dei residenti di immobili di ERP in corso di ristrutturazione o a soggetti sottoposti a procedure di sfratto. Tale lettera è stata soppressa nel corso dell’esame al Senato e, come auspicato nel parere della Conferenza delle regioni, ricollocata come finalità in un comma aggiuntivo 5-bis;
e-bis) edilizia abitativa con gestione collettiva dei servizi di pertinenza, di edilizia abitativa e dei relativi servizi finalizzati ad utenti di età maggiore di 65 anni (lettera introdotta durante l’esame al Senato);
e-ter) recupero di immobili fatiscenti o da dismettere esistenti nei centri storici e nelle periferie. Tale lettera, introdotta durante l’esame al Senato, fa riferimento ad un concetto, quello di recupero, che non trova una definizione normativa nel T.U. edilizia. Nella prassi, comunque, con recupero si intendono grosso modo quegli interventi che già sono contemplati dalla lettera a) del comma in esame. In tal caso la lettera in commento non estenderebbe il campo di applicazione della norma, anzi riguarderebbe un sottoinsieme di interventi della tipologia a) collocati nei centri storici e nelle periferie.
Il comma 8 stabilisce che gli interventi per la realizzazione di alloggi sociali previsti dal comma 5:
§ non possono riguardare edifici abusivi
o siti in aree ad inedificabilità assoluta;
§ non
sono ammessi nei centri storici qualora rientrino nelle tipologie di cui alle lettere b), c) e d) del comma 5.
Lo stesso comma dispone, limitatamente agli interventi di cui alle lettere b) e d), il divieto di autorizzazione in deroga agli strumenti urbanistici, regolamenti edilizi e destinazioni d'uso.
Le disposizioni testé illustrate sono state così modificate durante l’esame al Senato. Rispetto al testo iniziale il Senato ha operato due modifiche che operano in direzioni opposte. Da un lato, sembra essere infatti consentita la realizzazione di alloggi sociali anche nei centri storici, purché l’intervento non ricada nelle tipologie di “maggiore impatto” (vale a dire b), c) e d) del comma 5); dall’altro lato è stata modificata la parte della disposizione che consentiva di derogare agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi sancendo invece il divieto di deroga, limitatamente agli interventi di cui alle lettere b) e d).
Si osserva che, in
conseguenza della modifica apportata dal Senato, andrebbe riformulata la
restante parte della disposizione al fine di stabilire che devono altresì
essere rispettati le norme e i vincoli artistici, storici, archeologici,
paesaggistici e ambientali, nonché le norme di carattere igienico sanitario e
gli obiettivi di qualità dei suoli.
Il testo originario dello stesso comma prevede, infatti, la possibilità che tali interventi siano autorizzati in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi ed alle destinazioni d’uso, nel rispetto delle norme (comprese quelle di carattere igienico-sanitario) e dei vincoli (artistici, storici, …), nonché degli obiettivi di qualità dei suoli.
Nel corso dell’esame al Senato, oltre al rispetto delle citate norme, è stata altresì inserita una previsione in base alla quale è necessario rispettare anche la destinazione agricola dei suoli.
L’ultimo periodo del comma 8 prevede che gli interventi sono regolati da convenzioni sottoscritte dal comune e dal soggetto privato con la previsione di clausole sanzionatorie per il mancato rispetto del vincolo di destinazione d’uso.
Il comma 9 prevede che i progetti relativi agli interventi per la realizzazione di alloggi sociali elencati al comma 5, ad eccezione di quelli riguardanti il mutamento di destinazione d’uso senza opere, dovranno assicurare, tramite ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, la copertura del fabbisogno energetico necessario per l'acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento, nel rispetto delle quote previste dal decreto legislativo n. 28 del 2011, allegato 3.
Si ricorda che l'articolo 11, comma 1, e l'Allegato 3 del decreto legislativo n. 28 del 2011 prevedono determinati obblighi per i nuovi edifici o gli edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti in materia utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. In particolare dal 29 marzo 2011 nel caso di edifici nuovi o edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e percentuali della somma dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento che variano in relazione alla data del pertinente titolo edilizio.
Il comma 6 affida alle regioni - entro il termine di 90 giorni (erano 60 nel testo iniziale del decreto-legge) dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto - per gli ambiti non disciplinati da norme o da convenzioni già stipulate, la definizione:
§ dei requisiti di accesso e di permanenza nell’alloggio sociale;
§ dei criteri di regolamentazione dei canoni di locazione;
In proposito la norma richiama il D.M. 22 aprile 2008, attuativo della L. 9/2007. Tale decreto, tra l'altro, all’art. 2 demanda alle regioni, “in concertazione con le Anci regionali”, sia la definizione dei requisiti per l'accesso e la permanenza nell'alloggio sociale, sia i parametri per la determinazione del canone di locazione. In proposito l’art. 2 stabilisce che il canone deve essere fissato in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell'alloggio. L'ammontare dei canoni di affitto percepiti dagli operatori deve comunque coprire i costi fiscali, di gestione e di manutenzione ordinaria del patrimonio. Il comma 3 di tale articolo dispone che il canone di locazione dell'alloggio sociale non può superare quello “concordato”.
§ dei prezzi di cessione per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita.
Entro lo stesso termine le regioni definiscono la durata del vincolo di destinazione d’uso, ferma restando la durata minima di 15 anni per gli alloggi concessi in locazione e di 8 anni per gli alloggi concessi in locazione con patto di futura vendita o con patto di riscatto.
Si prevede la possibilità per le Regioni di introdurre norme di semplificazione per il rilascio del titolo abilitativo edilizio convenzionato e ridurre gli oneri di urbanizzazione per gli interventi di cui al presente articolo.
Il comma 7 affida una serie di compiti ai comuni, che devono essere assolti entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e comunque anteriormente al rilascio del primo titolo abilitativo edilizio.
Entro il citato termine i comuni:
§ approvano i criteri di valutazione della sostenibilità urbanistica, economica e funzionale dei progetti di recupero, riuso o sostituzione edilizia. Nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito che tale approvazione deve avvenire come integrazione dei regolamenti edilizi e che deve anche tener conto degli incentivi volumetrici a seguito del miglioramento delle prestazioni energetiche degli immobili o per interventi di recupero di aree ed immobili degradati o sottoutilizzati previsti dalla normativa e dagli strumenti urbanistici vigenti;
§ determinano le superfici che possono essere cedute ad altri operatori ovvero trasferite su altre aree di proprietà pubblica o privata, per le medesime finalità di intervento, con esclusione delle aree destinate all'agricoltura o non soggette a trasformazione urbanistica dagli strumenti urbanistici, nonché di quelle vincolate ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004). Nel corso dell’esame al Senato è stato precisato che tale attività deve comunque avvenire nel rispetto dei commi 1 e 4 dell'articolo in esame, che individuano le finalità e l’ambito di applicazione;
§ recepiscono le norme regionali di semplificazione adottate ai sensi del comma 6. Tale obbligo, introdotto nel corso dell’esame al Senato, sembra fare riferimento alle norme di semplificazione che, ai sensi dell’ultimo periodo del comma 6, le regioni possono introdurre riguardo al rilascio del titolo abilitativo edilizio convenzionato e per la riduzione degli oneri di urbanizzazione. Si consideri però che tale periodo prevede che tale semplificazione sia eventuale e non fissa un termine per la sua attuazione.
Il comma 2 ha una portata in parte ricognitiva, in parte enunciativa, laddove, oltre a ribadire la finalità dell'articolo 10 di aumentare l’offerta di alloggi sociali in locazione, stabilisce anche che i successivi commi prevedono tempi e modalità di adozione delle procedure idonee a garantire, anche attraverso lo stanziamento di risorse pubbliche e l’accelerazione dell’utilizzo delle risorse del c.d. “Piano casa”, l’incremento degli alloggi sociali.
Il piano nazionale di edilizia abitativa, cd. Piano casa, è stato introdotto dall’art. 11 del decreto-legge 112/2008, con l’obiettivo di “garantire su tutto il territorio nazionale i livelli minimi essenziali di fabbisogno abitativo per il pieno sviluppo della persona umana”. Esso ha previsto, infatti, una serie di misure (comma 3) rivolte all'incremento del patrimonio immobiliare – sia con nuove costruzioni che con il recupero di quelle esistenti - da realizzare con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, destinati alle categorie sociali svantaggiate[5].
Dal punto di vista degli stanziamenti, il comma 10 destina fino a 100 milioni di euro, delle risorse rese disponibili ai sensi dell’art. 4, comma 2, del presente decreto, al finanziamento dei seguenti interventi:
§ creazione di servizi e funzioni connesse e complementari alla residenza, al commercio con esclusione delle grandi strutture di vendita (comma 5, lettera d) dell'articolo in esame);
§ realizzazione di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, previste dal D.M. n. 1444/1968.
§ nonché per il raggiungimento dell’obiettivo di creare quote di alloggi da destinare alla locazione temporanea dei residenti di immobili ERP in corso di ristrutturazione o a soggetti sottoposti a procedure di sfratto (comma 5-bis) dell'articolo in esame);
Il testo iniziale del decreto-legge si riferisce alla lettera e), la quale però è stata soppressa nel corso dell’esame al Senato. Poiché le disposizioni contenute in tale lettera sono state ricollocate nel comma 5-bis, come finalità dell'articolo in esame, nel corso dell’esame al Senato è stato conseguentemente modificato il riferimento alla disposizione.
L'importo così finalizzato è ripartito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa della Conferenza unificata, tra le regioni che hanno ottemperato agli adempimenti procedurali previsti dal comma 6 (definizione dei criteri di accesso; dei canoni di locazione e dei criteri di riparto tra i Comuni) nei termini stabiliti dal medesimo comma.
La norma prevede altresì che l’intesa si perfezioni ai sensi dell'art. 8, comma 6, della L. 131/2003, cioè che debba obbligatoriamente essere raggiunta.
Il citato comma 6 consente al Governo di promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni; in tale caso è esclusa l'applicazione dei commi 3 e 4 dell'art. 3 del D.Lgs. 281/1997, che consentono al Governo (in casi di urgenza o di mancato raggiungimento dell’intesa nei termini prescritti) di procedere anche senza l’acquisizione dell’intesa.
Il comma 10-bis, introdotto durante l’esame al Senato, si propone di contribuire ad assicurare i mezzi finanziari per la completa e rapida realizzazione di programmi di alloggi sociali finanziati con fondi nazionali e regionali. Per tale finalità viene consentita, anche in deroga a quanto previsto dalle relative norme di finanziamento, la cessione o il conferimento ai fondi immobiliari o agli altri soggetti contemplati dal comma 3, lettera a) dell'art. 11 del D.L. 112/2008, di immobili residenziali (ultimati o in corso d'opera) realizzati da soggetti pubblici e privati con il concorso di un contributo pubblico, e destinati a concorrere all'aumento dell'offerta di alloggi sociali.
Tra gli strumenti previsti per l’attuazione del c.d. Piano casa dall’art. 11 del D.L. 112/2008, la lettera a) del comma 3 contempla la costituzione di fondi immobiliari destinati alla valorizzazione e all’incremento dell’offerta abitativa, ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati, articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale, per l’acquisizione e la realizzazione di immobili per l’edilizia residenziale.
L’art. 2, comma 2, lett. a), del D.P.C.M. 16 luglio 2009 ha destinato risorse per un importo massimo di 150 milioni di euro per la realizzazione del Sistema integrato di fondi immobiliari ("SIF"), costituito da un "fondo nazionale" e da una serie di "fondi locali".
Il D.P.C.M. 16 luglio 2009 prevedeva che il 90% del patrimonio del fondo dovesse essere destinato alle iniziative per incrementare il numero di alloggi in social housing attraverso la partecipazione in fondi immobiliari locali o altri veicoli di investimento entro il limite del 40% del loro valore. In attuazione di tali disposizioni è stata indetta una gara, per selezionare il gestore del fondo, vinta da Cassa Depositi e Prestiti Investimenti Sgr (CDPI Sgr), che ha creato un fondo comune di investimento immobiliare di tipo chiuso denominato "Fondo Investimenti per l'Abitare" (FIA), divenuto operativo in seguito all'approvazione del relativo regolamento di gestione da parte della Banca d'Italia con delibera n. 167 dell'11 marzo 2010.
Il limite del 40% inizialmente contemplato è stato reso superabile dal D.P.C.M. 10 luglio 2012, che ha reso così più flessibili le regole per il finanziamento dei progetti. Secondo quanto risulta dal sito web di CDPI Sgr, il limite è dell'80%.
Secondo quanto riportato nello stesso sito web, l’ammontare del FIA è di 2 miliardi e 28 milioni di euro, di cui: 1 miliardo sottoscritto da Cassa depositi e prestiti; 140 milioni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e 888 milioni da parte di gruppi bancari e assicurativi e di casse di previdenza privata.
Lo stesso comma 10-bis pone come condizione che, per tali immobili, vengano mantenuti i vincoli di destinazione previsti dalle norme di finanziamento.
Viene altresì imposto al soggetto subentrante di comunicare all'ente erogatore il finanziamento pubblico trasmettendo preventivamente lo schema dell'atto di cessione o conferimento, affinché il medesimo ente si esprima in merito alla conformità dell'impegno del subentrante a mantenere i vincoli di destinazione, in relazione a quanto previsto dalle norme di finanziamento.
L'aumento dell'offerta di alloggi sociali si intende realizzata anche quando, al fine di mantenere l'originale destinazione ad alloggio sociale e mitigare il disagio dei locatori, vengono ceduti o conferiti, con le medesime modalità, anche immobili privati realizzati con il concorso di contributi pubblici e destinati originariamente alla locazione, se, a seguito di procedure concorsuali, di cui al R.D. 267/1942, debbano essere destinati alla alienazione.
Il comma 10-ter, inserito durante l’esame al Senato, contiene disposizioni finalizzate a consentire l’utilizzo, per la realizzazione di alloggi sociali, di aree o diritti edificatori che dovevano servire per la costruzione di alloggi, nell’ambito del Programma di ERP destinato ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata (avviato dall’art. 18 della L. 152/1991), ma per i quali non si è avuta una copertura finanziaria.
Viene infatti previsto che tali aree/diritti possano essere ceduti dal soggetto attuatore, a titolo gratuito, a soggetti pubblici o privati che si impegnino a destinarli alla realizzazione di alloggi sociali, vincolati però alla locazione per un periodo di almeno 12 anni per le finalità del programma suddetto.
L’art. 18 del decreto-legge n. 152/1991 ha dato avvio ad un programma straordinario di edilizia residenziale (sovvenzionata ed agevolata) da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. La realizzazione degli interventi (tanto di recupero che di nuova costruzione) veniva affidata ai comuni, agli IACP, ad imprese di costruzione e loro consorzi e a cooperative e loro consorzi.
In merito agli alloggi realizzati con il finanziamento privato, l’art. 2, comma 6, della L. 166/2002, ha disposto che essi possono essere ceduti agli enti locali, agli IACP, comunque denominati, o agli enti assimilati. Lo stesso comma 6 dispone che “Nel caso in cui i predetti alloggi rimangano nella disponibilità del promotore, questi è tenuto, per un periodo di dodici anni, a destinarli alla locazione”, a canone concordato, in favore dei dipendenti pubblici impegnati nella lotta alla criminalità.
Sull’attuazione di tale programma è recentemente intervenuto l’art. 12, comma 7, del D.L. 83/2012, che ha previsto la possibilità di rilocalizzazione degli interventi edilizi nella stessa regione o in regioni confinanti (ma esclusivamente nei comuni capoluogo di provincia). L’art. 4, comma 8-bis, del D.L. 150/2013, ha prorogato al 31 dicembre 2016 il termine per la ratifica degli accordi di programma finalizzati alla rilocalizzazione.
Il comma 9 dell’art. 12 del D.L. 83/2012 ha chiarito, tra l’altro, che le norme finalizzate alla rilocalizzazione dettate dal precedente comma 7 si applicano anche ai programmi già finanziati e per i quali risulti già sottoscritta la convenzione attuativa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per i quali si renda necessario procedere ad aggiornarne i costi di realizzazione.
Le disposizioni introdotte al Senato modificano il comma 9 dell’art. 12 del D.L. 83/2012 al fine di configurare la nuova procedura di cessione di aree/diritti, come alternativa alle possibilità di cessione già contemplate dalla citata legge n. 166/2002. Tale nuova modalità di cessione, viene precisato, può operare anche in deroga alla convenzione siglata con il Ministero delle infrastrutture, attuativa del programma di ERP per i dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata.
Articolo 10-bis
(Definizione amministrativa e contabile degli
interventi di cui all’articolo 18 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152)
L’articolo 10-bis, introdotto nel corso dell’esame al Senato, prevede alcuni casi di revoca dei finanziamenti del Programma straordinario di edilizia residenziale destinato ai dipendenti statali impegnati nella lotta alla criminalità organizzata e disciplina il riutilizzo delle risorse.
L’art. 18 del decreto-legge n. 152/1991 (convertito dalla legge n. 203/1991) ha dato avvio ad un programma straordinario di edilizia residenziale (sovvenzionata ed agevolata[6]) da concedere in locazione o in godimento ai dipendenti delle amministrazioni dello Stato impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. La realizzazione degli interventi (tanto di recupero che di nuova costruzione) veniva affidata ai comuni, agli IACP, ad imprese di costruzione e loro consorzi e a cooperative e loro consorzi. Sotto il profilo finanziario, l’art. 18 prevedeva un finanziamento attraverso un limite di impegno di 50 miliardi di lire per l'edilizia agevolata, e un finanziamento di 900 miliardi di lire per l'edilizia sovvenzionata. Con la delibera CIPE n. 98/1991 si fissavano, quindi, i limiti di costo per l’attuazione del programma straordinario, mentre con D.M. del 17 gennaio 1992 si disciplinava il confronto pubblico concorrenziale per la realizzazione del programma.
Successivamente l’art. 11 della legge 136/1999 ha stabilito ulteriori modalità attuative del programma straordinario. Spetta al Ministro dei lavori pubblici - in qualità di Segretario generale del CER - comunicare ai Presidenti delle Giunte regionali interessate, entro i trenta giorni successivi alla data di entrata in vigore della stessa legge n. 136:
- l’elenco delle proposte di attuazione dei programmi straordinari di edilizia residenziale per la mobilità dei dipendenti pubblici, cui si riferiscono i procedimenti ancora pendenti;
- i soggetti attuatori o proponenti di tali proposte.
Compete, invece, al presidente della giunta regionale proporre al sindaco del comune territorialmente competente ed al soggetto attuatore o proponente la sottoscrizione di un accordo di programma, nell’ambito delle disponibilità delle somme accantonate. La ratifica di tale accordo da parte del consiglio comunale determina direttamente la immediata ammissione del programma al finanziamento. Lo stesso articolo 11 dispone però l’esclusione dal finanziamento per gli accordi di programma non ratificati entro il 31 dicembre 2007. Il successivo art. 12 ha, tra l’altro, previsto la possibilità di introdurre varianti ai programmi sulla mobilità dei dipendenti pubblici, impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, qualora questi siano già stati ammessi al finanziamento, siano stati approvati dal consiglio comunale e qualora dalla variante non derivino variazioni nel finanziamento pubblico o nel numero degli alloggi e l’esclusione dal finanziamento qualora la convenzione urbanistica con il comune per la realizzazione dei programmi non sia conclusa entro il 31 dicembre 2007.
L’art. 4, comma 150, della legge n. 350/2003 (legge finanziaria 2004) è intervenuto sulla disciplina delle procedure relative all’attuazione degli accordi di programma, prevedendo la rilocalizzazione del programma in altra regione, nel caso in cui la regione interessata non provveda all’attivazione degli accordi di programma entro trenta giorni dalla richiesta del soggetto proponente. La rilocalizzazione avviene su proposta del soggetto proponente, da comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ed ha luogo attraverso la sottoscrizione di un accordo di programma tra il presidente della giunta regionale e il sindaco del comune interessati alla nuova localizzazione. L’accordo di programma deve essere ratificato dal consiglio comunale entro diciotto mesi dalla sottoscrizione: termine da ultimo prorogato al 31 dicembre 2007 dall’art. 13, comma 2, del decreto legge n. 273/2005.
Si ricorda, inoltre, anche la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 453, della legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006) che, allo scopo di garantire maggiore elasticità nell’attuazione degli interventi previsti, ha abolito l’obbligo della contiguità delle aree di localizzazione degli interventi all’interno della stessa Regione che, tra l’altro, era stato già previsto dalla citata delibera CIPE n. 98/1991.
Sull’attuazione del programma è poi recentemente intervenuto l’art. 12, comma 7, del D.L. 83/2012, che, nel confermare la possibilità di rilocalizzazione dei programmi per i quali sia stato ratificato l'accordo di programma entro il 31 dicembre 2007 (ai sensi dell‘art. 13, comma 2, del decreto legge n. 273 del 2005), ha stabilito che tale rilocalizzazione deve avvenire nell’ambito della stessa regione oppure anche in regioni confinanti, ma esclusivamente nei comuni capoluogo di provincia, e che non può essere frazionata in più comuni. A tal fine il termine per la ratifica degli accordi di programma è stato fissato al 31 dicembre 2013. Tale termine è stato prorogato di tre anni, cioè fino al 31 dicembre 2016, dall’art. 4, comma 8-bis, del D.L. 150/2013.
Per gli interventi rilocalizzati, il comma 9 impone al soggetto attuatore di contribuire, con fondi propri,
all'incremento del finanziamento statale ai fini della completa realizzazione dell'intervento costruttivo.
Il comma 9 dell’art. 12 del D.L. 83/2012 ha altresì chiarito che le norme finalizzate alla rilocalizzazione dettate dal precedente comma 7 si applicano anche ai programmi già finanziati e per i quali risulti già sottoscritta la convenzione attuativa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e per i quali si renda necessario procedere ad aggiornarne i costi di realizzazione.
L'articolo in esame dispone la revoca del finanziamento statale qualora i soggetti attuatori non intendano concorrere al finanziamento medesimo ai fini della completa realizzazione dell'intervento di edilizia sovvenzionata, cioè nel caso in cui i soggetti attuatori non rispettino l’obbligo previsto dal succitato comma 9.
Le risorse così revocate sono assegnate ai comuni in cui ricade l'intervento, per la realizzazione di interventi di ERP.
Viene altresì previsto che, qualora per l'intervento di edilizia agevolata il titolo abilitativo non sia stato rilasciato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge, il relativo finanziamento statale decade.
Lo stesso articolo dispone che gli enti pubblici territoriali interessati che intendono procedere alla prevista trasformazione urbanistica anche in assenza del finanziamento statale possono fare salve le previsioni urbanistiche dell'accordo di programma sottoscritto tra Regione e comune reso esecutivo mediante ratifica del consiglio comunale entro la data del 31 dicembre 2007.
Si osserva infine che andrebbe
valutata l’opportunità di un coordinamento con le disposizioni del nuovo comma
10-bis dell’art. 10, che riscrivono il comma 9 dell’art. 12 del D.L. 83/2012, a
cui l’articolo in esame fa riferimento, al fine di prevedere una modalità di
riutilizzo delle aree alternativa a quella prevista dall’articolo in esame.
Articolo 10-ter
(Semplificazione in materia edilizia)
L’articolo 10-ter, introdotto durante l’esame al Senato, modifica il T.U. edilizia (D.P.R. 380/2001) al fine di escludere, dal novero degli interventi di nuova costruzione, i manufatti leggeri, anche prefabbricati e strutture di qualsiasi genere (quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni) che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee purché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti.
Tale modifica va nella direzione opposta rispetto a quella recentemente operata dall’art. 41, comma 4, del D.L. 69/2013, che ha integrato il disposto della lettera e.5) del comma 1 dell’art. 3 del D.P.R. 380/2001, al fine di ricomprendere tra gli interventi di nuova costruzione i manufatti citati anche nel caso in cui siano installati con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti. Più specificamente, la norma sostituisce la parola “ancorché”, introdotta dal D.L. 69/2013, con le parole “salvo che”.
La citata disposizione dettata dal decreto n. 69/2013 è stata criticata dalle regioni[7] che, in più di un caso, avevano in precedenza emanato normative che si sono ritrovate in contrasto con la nuova formulazione della citata lettera e.5). Si citano, a titolo di esempio, l’art. 7, comma 2, della L.R. Basilicata 6/2008 e l’art. 30, comma 6, della L.R. Veneto 33/2002. Nel caso del Veneto si è addirittura assistito all’approvazione di una legge regionale (L.R. n. 24/2013) che dispone la disapplicazione del decreto legge n. 69 del 2013 e stabilisce che “continua a trovare applicazione l’articolo 30 della legge regionale 4 novembre 2002, n. 33“.
In realtà la norma del D.L. 69/2013 si è limitata a chiarire quanto già era desumibile dal testo previgente[8] ed era stato esplicitato dalla giurisprudenza.
Si ricorda in proposito la sentenza n. 278/2010 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 9, della L. 99/2009 che considerava irrilevanti ai fini urbanistici, edilizi e paesaggistici “le installazioni e i rimessaggi dei mezzi mobili di pernottamento, anche se collocati permanentemente, per l’esercizio dell’attività, entro il perimetro delle strutture turistico-ricettive regolarmente autorizzate, purché ottemperino alle specifiche condizioni strutturali e di mobilità stabilite dagli ordinamenti regionali”.
Nella citata sentenza la Corte ha infatti affermato che “il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso”. Il concetto di “precarietà funzionale” è stato meglio articolato dalla successiva giurisprudenza amministrativa, secondo cui “la precarietà va esclusa tutte le volte in cui il manufatto stesso è destinato a recare un’utilità prolungata e perdurante nel tempo. In questo caso, infatti, esso produce una trasformazione urbanistica perché altera in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, senza che rilevino i materiali impiegati, l’eventuale precarietà strutturale e la mancanza di fondazioni, se tali elementi non si traducano in un uso contingente e limitato nel tempo, con l’effettiva rimozione delle strutture”; insomma la precarietà è esclusa qualora vi sia “perduranza negli anni delle medesime opere, ricavabile dai vari sopralluoghi via via succedutisi nel tempo”[9].
Articolo 10-quater
(Modifiche al decreto legislativo 20
giugno 2005, n. 122)
L’articolo 10-quater, introdotto nel corso dell’esame al Senato, novella gli articoli 5, 9 e 10 del D.Lgs 122 del 2005, recante la disciplina a tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire.
Il decreto legislativo122/2005 tutela sia tutti i promissari
acquirenti di un immobile, sia chi abbia acquistato un immobile ancora da
costruire, sia chi abbia stipulato un contratto (compreso quello di leasing)
che consenta il trasferimento della proprietà o della titolarità di un diritto
reale di godimento su un immobile da costruire. La tutela riguarda anche chi,
sebbene non socio, abbia assunto obbligazioni con una cooperativa edilizia per
ottenere l’assegnazione in proprietà di un immobile da costruire.
Fra gli strumenti di tutela viene
previsto l’obbligo di fideiussione a particolari condizioni e di assicurazione
del costruttore promittente, specifici contenuti obbligatori del contratto
preliminare, taluni limiti all’esperibilità dell’azione revocatoria
fallimentare, l’istituzione di un Fondo di solidarietà per gli acquirenti di
beni immobili da costruire che abbiano subito una perdita a seguito
dell’assoggettamento del costruttore a procedure che implicano una situazione
di crisi.
In particolare, è integrato il contenuto dell’art. 5: si prevede l’irrinunciabilità del diritto alle tutele apprestate dal D.Lgs 122/2005, sancisce la nullità di ogni clausola contraria, da intendersi eventualmente come non apposta.
Viene, inoltre, integrato il contenuto del comma 1 dell’art. 9, che attualmente prevede che, in caso l'immobile sia stato consegnato all'acquirente e da questi adibito ad abitazione principale per sé o per un proprio parente in primo grado, all'acquirente medesimo, anche nel caso in cui abbia escusso la fideiussione, è riconosciuto il diritto di prelazione nell'acquisto dell'immobile, in sede di espropriazione forzata, al prezzo definitivo raggiunto nell'incanto nonchè in esito alle eventuali offerte dopo l’incanto (ex art. 584 c.p.c.).
E’ precisato che il diritto di prelazione sussiste anche nel caso in cui l’immobile sia stato adibito ad abitazione principale per il proprio coniuge.
Analogamente, è modificato il comma 1 dell’art. 10 del D.Lgs 122 che sottrae all’azione revocatoria prevista dalla legge fallimentare gli atti a titolo oneroso che trasferiscono la proprietà (o altro diritto reale di godimento) di immobili da costruire, nei quali l'acquirente si impegni a stabilire, entro 12 mesi dalla data di acquisto o di ultimazione degli stessi, la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo grado, se posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del preliminare.
Il citato comma 1 è integrato anche in riferimento all’impegno di trasferire nell’immobile la residenza del proprio coniuge.
Articolo 11
(Verifica dell’attuazione del
provvedimento)
L’articolo 11 prevede
che con i provvedimenti di assegnazione
delle risorse del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni
in locazione (articolo 1), del Fondo destinato agli inquilini morosi
incolpevoli (articolo 1), del Fondo per gli interventi di manutenzione e di
recupero di alloggi abitativi privi di soggetti assegnatari (articolo 4),
nonché del Fondo per il piano di recupero di immobili e alloggi di edilizia
residenziale pubblica (articolo 10) siano
stabilite: le modalità di utilizzo
delle risorse assegnate, di monitoraggio
degli interventi e di applicazione delle misure di revoca.
La norma dispone che le risorse revocate restano destinate al contrasto del disagio abitativo e sono riprogrammate con decreto interministeriale.
In merito all’attuazione dei provvedimenti, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti riferisce al Consiglio dei Ministri e, come introdotto durante l’esame al Senato, alle competenti Commissioni parlamentari, entro il 31 dicembre 2014.
Articolo 12, commi 1-7
(Disposizioni urgenti in materia di
qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici)
I commi da 1 a 7 dell’articolo 12 recano disposizioni in materia di qualificazione delle imprese che hanno affidato lavorazioni in subappalto, al fine di colmare il vuoto normativo conseguente all’annullamento di alcune norme del D.P.R. 207/2010 (regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, d’ora in avanti regolamento) da parte del D.P.R. 30 ottobre 2013. Le disposizioni, in sintesi, provvedono a ridurre il numero delle categorie cosiddette “superspecialistiche” (comma 1) e delle categorie a qualificazione obbligatoria (comma 2), riproducendo di fatto nella sostanza le norme del decreto ministeriale 24 aprile 2014, che hanno individuato le categorie di lavorazioni che richiedono l’esecuzione da parte di operatori economici in possesso di specifica qualificazione, e che pertanto di fatto vengono “legificate”. Ulteriori norme recate dall’articolo 12 attengono all’applicabilità delle nuove disposizioni, all’abrogazione di alcune norme del Regolamento su cui incidono le disposizioni medesime, alla salvaguardia dei rapporti giuridici, dei bandi e degli avvisi pubblicati nei mesi passati.
La disciplina precedentemente introdotta sostituisce il comma 1 dell’articolo 12 del testo approvato dal Governo che, nelle more dell'emanazione, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, delle disposizioni regolamentari sostitutive delle disposizioni di cui agli articoli 107, comma 2, e 109, comma 2, del regolamento, annullate dal D.P.R. 30 ottobre 2013, demanda a un decreto ministeriale l’individuazione delle categorie di lavorazioni, che è stato già adottato e che è il citato D.M. 24 aprile 2014.
Prima di passare alla descrizione più dettagliata
delle modifiche introdotte dall’articolo in commento, merita dar conto
brevemente della vicenda che ha originato l’annullamento di alcune norme del regolamento.
Con il
D.P.R. 30
ottobre 2013,
pubblicato nella G.U. 29 novembre 2013, infatti, è stato parzialmente accolto -
sulla base delle motivazioni esposte
nel parere del Consiglio di Stato espresso nell’adunanza
del 16 aprile 2013 -
il ricorso straordinario al Capo dello Stato, promosso dall’Associazione
imprese generali (A.G.I.) e di altre imprese, che hanno chiesto l’annullamento
del regolamento limitatamente ad alcuni articoli. In particolare, per quanto
interessa in questa sede, è stata dedotta l’illegittimità dei seguenti
articoli:
§ art. 85, comma 1, lett. b), nn. 2 e 3, nella parte in
cui prevede particolari limiti di qualificazione per le imprese che abbiano
subappaltato più del 30 per cento di ciascuna categoria scorporabile a
qualificazione non obbligatoria o del 40 per cento nel caso di categoria
scorporabile a qualificazione obbligatoria;
§ artt. 109 comma 2, e 107, comma 2, oltre all’Allegato
A, e, in particolare, alla
«Tabella sintetica delle categorie», nella parte in cui tali
previsioni limitano la qualificazione e la capacità operativa delle imprese
generali a favore delle imprese speciali, in conseguenza dell’obbligo di
subappaltare o di rendere a qualificazione obbligatoria (con necessità di
creare un’associazione temporanea di impresa verticale) una serie numerosa di
lavori, diversi da quelli connotati da spiccata complessità tecnica.
In particolare, l’articolo 85 elenca i criteri cui devono attenersi le SOA (Società organismi di attestazione) ai fini della qualificazione delle imprese che hanno affidato lavorazioni in subappalto e delle imprese subappaltatrici, mentre l’articolo 107 individua le strutture, gli impianti e le opere speciali – corrispondenti alle categorie delle opere generali (OG) e specializzate (OS), il cui acronimo OG e OS è seguito dal numero identificativo della singola categoria - che sono individuate nell’Allegato A. L’articolo 109 disciplina i criteri di affidamento delle opere generali e delle opere specializzate non eseguite direttamente.
Riduzione delle categorie “superspecialistiche” (comma 1)
Passando a descrivere in dettaglio le singole modifiche, si segnala che il comma 1 dell’articolo 12 elenca le strutture, gli impianti e le opere per le quali trova applicazione il comma 11 dell’articolo 37 del Codice dei contratti pubblici. Si tratta delle lavorazioni che, in ragione dell’assoluta specificità strettamente connessa alla rilevante complessità tecnica o al notevole contenuto tecnologico, richiedono l’esecuzione da parte di operatori economici in possesso della specifica qualificazione. La disposizione provvede a ridurre tali categorie, cui si fa riferimento come categorie “superspecialistiche” proprio per le predette caratteristiche, da 24 a 13. Si tratta, in particolare, delle opere corrispondenti alle categorie individuate nell'allegato A del medesimo decreto con l'acronimo OG o OS di seguito elencate in cui rientrano le categorie afferenti ai beni culturali (OS 2-A-superfici decorate di beni immobili del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico, OS 2-B -beni culturali mobili di interesse archivistico e librario, OS 25 - scavi archeologici), la sicurezza strutturale e infrastrutturale (OS 11 - apparecchiature strutturali speciali, OS 12-A - barriere stradali di sicurezza, OS 13 - strutture prefabbricate in cemento armato, OS 18-A - componenti strutturali in acciaio, OS 18-B - componenti per facciate continue, OS 21 - opere strutturali speciali, la sicurezza impiantistica (OG 11- impianti tecnologici, OS 4 - impianti elettromeccanici trasportatori, OS 30 - impianti interni elettrici, telefonici, radiotelefonici e televisivi) ed il ciclo dei rifiuti (OS 14 - impianti di smaltimento e recupero di rifiuti).
La disposizione reca un contenuto analogo all’articolo 2 del D.M. 24 aprile 2014, che è stato emanato proprio ai sensi di quanto disposto dal testo originario dell’articolo 12 del decreto legge in commento, fatta eccezione per il fatto che non viene menzionata la categoria OS 32 (strutture in legno), che è stata invece inserita tra quelle “superspecialistiche” nel predetto decreto ministeriale.
Ai sensi del citato comma 11 dell’articolo 37 del Codice dei contratti pubblici, qualora nell'oggetto dell'appalto o della concessione di lavori rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali, e qualora una o più di tali opere superi in valore il 15% dell'importo totale dei lavori, se i soggetti affidatari non siano in grado di realizzare le predette componenti, possono utilizzare il subappalto con i limiti dettati dall'art. 118, comma 2, terzo periodo. Lo stesso comma 11, tra l’altro, rinvia al Regolamento per la definizione dell'elenco delle citate opere. Tale rinvio viene attuato dal comma 2 dell’art. 107, ai sensi del quale si considerano “strutture, impianti e opere speciali”, le opere generali e specializzate che lo stesso comma elenca (e che rientrano nelle classi di categoria individuate nell'allegato A con l'acronimo OG o OS), qualora siano di importo singolarmente superiore al 10% dell'importo complessivo dell'opera o lavoro oppure di importo superiore a 150.000 euro.
Riduzione delle categorie specializzate a qualificazione obbligatoria e
criteri di affidamento (comma 2)
La lettera a) del comma 1 dell’articolo 12 riproduce il comma 1
dell’articolo 109 del regolamento - che viene abrogato dal comma 3 del presente
articolo - ai sensi del quale l'affidatario, in possesso della qualificazione
nella categoria di opere generali ovvero nella categoria di opere specializzate
indicate nel bando di gara o nell'avviso di gara o nella lettera di invito come
categoria prevalente può eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si
compone l'opera o il lavoro, anche se non è in possesso delle relative
qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate
esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni. La norma
fa salvo quanto previsto dalla successiva lettera b), che riduce le categorie di opere specializzate individuate
nell’Allegato A del regolamento come categorie
a qualificazione obbligatoria da 33 a 23, analogamente a quanto previsto
dall’articolo 1 del D.M. 24 aprile 2014.
In particolare, la lettera b) del comma 2, riprendendo il contenuto del
comma 2 dell’articolo 109, prevede che non possono essere eseguite direttamente
dall'affidatario in possesso della qualificazione per la sola categoria
prevalente, se privo delle relative adeguate qualificazioni, le lavorazioni,
indicate nel bando di gara o nell'avviso di gara o nella lettera di invito, di
importo superiore ai limiti indicati dall'articolo 108, comma 3, del
regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 maggio 2010, n.
207, relative alle categorie di opere generali individuate nell'allegato A al
predetto decreto, nonché le categorie individuate nel medesimo allegato A con
l'acronimo OS, di seguito elencate: OS 2-A (superfici decorate di beni immobili
del patrimonio culturale e beni culturali mobili di interesse storico,
artistico, archeologico, etnoantropologico), OS 2-B (beni culturali mobili di
interesse archivistico e librario), OS 3 (impianti idrico-sanitario, cucine,
lavanderie), OS 4 (impianti elettromeccanici trasportatori), OS 5 (impianti
pneumatici e antintrusione), OS 8 (opere di impermeabilizzazione), OS 10
(segnaletica stradale non luminosa), OS 11 (apparecchiature strutturali
speciali), OS 12-A (barriere stradali di sicurezza), OS 13 (strutture
prefabbricate in cemento armato), OS 14 (impianti di smaltimento e recupero
rifiuti), OS 18-A (componenti strutturali in acciaio), OS 18-B (componenti per
facciate continue), OS 20-A (rilevamenti topografici), OS 20-B (indagini
geognostiche), OS 21 (opere strutturali speciali), OS 24 (verde e arredo
urbano), OS 25 (scavi archeologici), OS 28 (impianti termici e di
condizionamento), OS 30 (impianti interni elettrici, telefonici,
radiotelefonici e televisivi), OS 33 (Coperture speciali), OS 34 (Sistemi
antirumore per infrastrutture di mobilità), OS 35 (Interventi a basso impatto
ambientale).
La disposizione reca un contenuto identico all’articolo 1 del D.M. 24 aprile 2014, ma – anche in questo caso - non viene menzionata la categoria OS 32 (strutture in legno), che è invece citata nel decreto ministeriale.
Le premesse del citato decreto ministeriale fanno riferimento
all'”eliminazione di alcune categorie caratterizzate da minore complessità
tecnica quali le categorie OS 9 (impianti per la segnaletica luminosa e la
sicurezza del traffico), OS 12-B (barriere paramassi, fermaneve e simili), OS
15 (pulizia di acque marine, lacustri, fluviali), OS 16 (impianti per centrali
produzione energia elettrica), OS 31 (impianti per la mobilità sospesa), nonché
delle categorie OS 17 (Linee telefoniche ed impianti di telefonia), OS 19 (impianti
di reti di telecomunicazione e di trasmissioni e trattamento), OS 22 (Impianti
di potabilizzazione e depurazione), OS 27 (Impianti per la trazione elettrica)
e OS 29 (Armamento ferroviario) in quanto in generale afferenti a settori per i
quali il sistema di qualificazione è solo uno dei parametri che regola il
funzionamento del mercato e la selezione degli operatori economici”.
La lettera b) del comma 2 dell’articolo 12, sulla scorta di quanto
previsto dal comma 2 dell’articolo 109 del regolamento, prevede, inoltre, che
le categorie precedentemente elencate sono comunque subappaltabili ad
imprese in possesso delle relative qualificazioni. Riprendendo il contenuto del
comma 3 dell’articolo 109 del regolamento, che viene abrogato dal comma 3
dell’articolo in commento, si prevede che le categorie elencate nella medesima
lettera sono, altresì, scorporabili e sono indicate nei bandi di gara ai fini
della costituzione di associazioni temporanee di tipo verticale.
Viene confermato il contenuto del comma 2 dell’articolo 109
laddove resta fermo il limite di subappaltabilità nella misura del
trenta per cento (articolo 170, comma 1, del
regolamento), per le categorie di cui al comma 1 del presente articolo di
importo singolarmente superiore al quindici per cento e si applica l'articolo
92, comma 7, del regolamento medesimo.
L'articolo 92, comma 7, del regolamento stabilisce che, in
riferimento all'articolo 37, comma 11, del Codice, ai fini della partecipazione
alla gara, il concorrente, singolo o riunito in raggruppamento, che non
possiede la qualificazione in ciascuna delle categorie di opere generali e
specializzate (articolo 107, comma 2, del regolamento), per l'intero importo
richiesto dal bando di gara o dalla lettera di invito, deve possedere i
requisiti mancanti relativi a ciascuna delle predette categorie, e oggetto di
subappalto, con riferimento alla categoria prevalente. Il bando di gara, l'avviso di gara o la
lettera di invito, ove prevedano lavorazioni relative ad una o più categorie di
cui all'articolo 107, comma 2, di importo non superiore ai 150.000 euro e
singolarmente superiore al quindici per cento ai sensi dell'articolo 37, comma
11, del codice indicano per ciascuna di esse i requisiti di qualificazione ai
sensi dell'articolo 90.
Abrogazione di alcune norme del regolamento del Codice dei contratti
pubblici (comma 3)
Il comma 3 dispone l’abrogazione dei commi 1 e 3 dell’articolo 109 del regolamento e la soppressione:
- dell'ultimo periodo delle premesse dell'allegato A del predetto decreto, in base al quale le lavorazioni di cui alle categorie generali nonché alle categorie specializzate per le quali nell’allegata tabella «sintetica delle categorie» è prescritta la qualificazione obbligatoria, qualora siano indicate nel bando di gara o avviso di gara o lettera di invito, come categorie scorporabili, non possono essere eseguite dagli affidatari se privi delle relative adeguate qualificazioni;
- della tabella sintetica delle categorie del medesimo allegato.
Il comma 3 dispone, infine, che i richiami contenuti nelle disposizioni vigenti all'articolo 107, comma 2, del predetto regolamento, annullato dal decreto del Presidente della Repubblica 30 ottobre 2013, si intendono riferiti alle disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo, mentre il richiamo contenuto nell'articolo 108, comma 1, ultimo periodo, all'articolo 109, commi 1 e 2, del regolamento, si intende riferito al comma 2 del presente articolo.
Applicabilità delle disposizioni di cui commi da 1 a 3 (comma 4)
Il comma 4 prevede che le disposizioni di cui commi da 1 a 3 del
presente articolo si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali
si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché, in caso di
contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla data
di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non sono
ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
Emanazione delle norme regolamentari sostitutive (comma 5)
Il comma 5 prevede che, entro dodici mesi dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto, sono adottate le norme
regolamentari sostitutive delle disposizioni dettate dagli articoli 107, comma
2, e 109, comma 2, del regolamento, annullate dal citato D.P.R. 30 ottobre
2013, in base alla procedura prevista dall’articolo 5, comma 4, del Codice dei
contratti pubblici.
Tale procedura
prevede che anche alle successive modificazioni e integrazioni del regolamento
si provveda su proposta del Ministro delle infrastrutture, di concerto con i
Ministri delle politiche comunitarie, dell'ambiente, per i beni culturali e
ambientali, delle attività produttive, dell'economia e delle finanze, sentiti i
Ministri interessati, e previo parere del Consiglio superiore dei lavori
pubblici. Sullo schema di regolamento il Consiglio di Stato esprime parere
entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorsi i quali il
regolamento può essere emanato.
Il comma 5 prevede, inoltre, che, alla data di entrata in vigore delle predette
disposizioni regolamentari sostitutive, cessano di avere efficacia le
disposizioni dei commi da 1 a 4 del presente articolo.
Salvaguardia degli effetti (commi 6 e 7)
Il comma 6 dispone che restano validi gli atti e i provvedimenti
adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti
sulla base delle disposizioni del decreto del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti 24 aprile 2014.
Il comma 7, infine, fa salvi i bandi e gli avvisi di gara per
l'affidamento dei contratti pubblici relativi a lavori pubblicati a decorrere dalla
data di efficacia del D.P.R. 30 ottobre 2013, che ha annullato le disposizioni
regolamentari precedentemente indicate,
e fino alla data di entrata in vigore del D.M. 24 aprile 2014, nonché gli atti,
i provvedimenti e i rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi bandi e
avvisi. La salvezza riguarda i profili concernenti la qualificazione richiesta
per la partecipazione alle procedure di affidamento con riferimento alle
categorie di lavorazioni a qualificazione obbligatoria e alle categorie di cui
all'articolo 37, comma 11, del Codice di cui al decreto legislativo 12 aprile
2006, n. 163, ossia le cosiddette categorie “superspeciali”.
Articolo 12, commi 8-10
(Disposizioni in materia di
raggruppamenti temporanei di imprese)
I commi da 8 a 10 dell’articolo 12, introdotti nel corso dell’esame al Senato, recano disposizioni in materia di raggruppamenti temporanei di imprese (RTI) volte, per un verso, a sopprimere il principio di corrispondenza tra quote di partecipazione e quote di esecuzione dei lavori affidati a un raggruppamento e, per l’altro, a ridefinire la disciplina dei requisiti minimi di qualificazione che devono essere posseduti dagli operatori economici riuniti in raggruppamento temporaneo o in un consorzio estendendola al settore dei servizi e delle forniture. Ulteriori modifiche di carattere generale consentono, per un verso, di stabilire le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio entro i limiti permessi dai requisiti di qualificazione e, per l’altro, di far eseguire i lavori da parte dei concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta.
In particolare, il comma 8 dell’articolo 12 sopprime il comma 13 dell’articolo 37 del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, ai sensi del quale, nel caso di lavori, i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento. La soppressione di tale disposizione anche per il settore dei lavori pubblici sembra consentire una maggiore flessibilità nell’esecuzione dei lavori.
L’operatività
della norma è stata circoscritta al solo ambito dei lavori dalla lettera a) del
comma 2-bis dell’articolo 1 del D.L. 95/2012; sul punto, peraltro, è
intervenuta la sentenza n. 7 del 2014 del Consiglio di Stato in adunanza plenaria che ha
precisato che il comma 13 dell’articolo 37 del Codice - pur integrando un
precetto imperativo capace di imporsi anche nel silenzio della legge di gara
come requisito di ammissione dell’offerta a pena di esclusione - non esprime un
principio generale desumibile dal Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea ovvero dalla disciplina dei contratti pubblici di appalto e come tale,
a mente dell’art. 30, comma 3, del medesimo Codice, non può trovare
applicazione ad una selezione per la scelta del concessionario di un pubblico
servizio.
Il comma 9 dell’articolo 12 modifica, inoltre, il comma 2 dell’articolo 92 del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al D.P.R. 207/2010 (d’ora in avanti regolamento), che disciplina i requisiti dei raggruppamenti temporanei di imprese e dei consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettere d), e) ed f), del Codice di tipo orizzontale.
Si ha
raggruppamento orizzontale quando tutte le imprese sono in possesso di
un’identica specializzazione e tra di loro vi è una suddivisione quantitativa
del medesimo lavoro.
Nello specifico le modifiche apportate dalla disposizione in commento prevedono che:
- la disciplina riguardante i requisiti minimi di qualificazione economico–finanziari e tecnico–organizzativi richiesti –nel bando di gara per l’impresa singola (il riferimento all’impresa singola è inserito dalla norma in esame - alla mandataria o a un’impresa consorziata (quaranta per cento) e alle mandanti e alle altre imprese consorziate (ciascuna nella misura minima del dieci per cento) venga estesa ai servizi e alle forniture. La norma in commento provvede ad estendere ai servizi e alle forniture tali regole sopprimendo nel testo vigente il riferimento all’”importo dei lavori” con riguardo alle predette percentuali minime dei requisiti;
- le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio, indicate in sede di offerta, possono essere liberamente stabilite entro i limiti consentiti dai requisiti di qualificazione posseduti dall'associato o dal consorziato. L’introduzione di tale principio di carattere generale consegue alla predetta soppressione del citato comma 13 dell’articolo 37 del Codice, che prevede una corrispondenza tra le quote di esecuzione dei lavori e le quote di partecipazione al raggruppamento o consorzio;
- i lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti secondo le quote indicate in sede di offerta, fatta salva la facoltà di modifica delle stesse, previa autorizzazione della stazione appaltante che ne verifica la compatibilità con i requisiti di qualificazione posseduti dalle imprese interessate. Il testo vigente prevede, invece, che I lavori sono eseguiti dai concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo nella percentuale corrispondente alle quote di partecipazione, nel rispetto delle percentuali minime fissate nel presente comma. Resta ferma la norma in base alla quale, nell’ambito dei propri requisiti posseduti, la mandataria in ogni caso assume, in sede di offerta, i requisiti in misura percentuale superiore rispetto a ciascuna delle mandanti con riferimento alla specifica gara.
Il comma 10 dell’articolo 12 prevede l’applicazione delle precedenti disposizioni anche alle procedure ed ai contratti i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara risultino già pubblicati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure ed ai contratti in cui, alla suddetta data, siano già stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
Articolo 12, comma 11
(Proroga delle norme transitorie per
l’affidamento delle attività di verifica dei progetti )
Il comma 11 dell’articolo 12, introdotto nel corso dell’esame al Senato, proroga di due anni la norma transitoria in base alla quale è consentito comprovare i requisiti di partecipazione alle gare richiesti alle società operanti nell’attività di verifica dei progetti anche con attività di progettazione, direzione dei lavori o collaudo.
In particolare, la disposizione modifica il comma 19 dell’articolo 357 del Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui al D.P.R. 207/2010 (d’ora in avanti regolamento), che contiene una norma transitoria riguardante i requisiti economico-finanziari e tecnico organizzativi di partecipazione alle gare, per l’affidamento del servizio di verifica dei progetti, che le stazioni appaltanti devono definire con riguardo agli elementi indicati alle lettere a) e b) dell’articolo 50 del medesimo regolamento.
Più specificamente, il comma 19 consente di riferire anche ad attività di progettazione, direzione lavori o collaudo il requisito di cui al comma 1, lettera a) dell’articolo 50 concernente il fatturato globale per servizi di verifica, realizzato negli ultimi cinque anni, per un importo da determinare in una misura non inferiore a due volte l'importo stimato dell'appalto del servizio di verifica.
Il comma 19, inoltre, prevede che il requisito di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 50 concernente l’avvenuto svolgimento, negli ultimi cinque anni, di almeno due appalti di servizi di verifica di progetti relativi a lavori - di importo ciascuno almeno pari al cinquanta per cento di quello oggetto dell'appalto da affidare e di natura analoga allo stesso - possa essere soddisfatto attraverso la dimostrazione di almeno quattro servizi analoghi di progettazione, direzione dei lavori o collaudo per un importo complessivo almeno pari a quello oggetto della verifica da affidare.
La disposizione in commento proroga da tre a cinque anni – dalla data di entrata in vigore del regolamento - le predette norme transitorie di cui al comma 19 dell’articolo 357 del regolamento di fatto consentendo alle società che partecipano alle gare per l’affidamento delle attività di verifica dei progetti, di avvalersi di regole più favorevoli per la dimostrazione dei requisiti per la partecipazione alle gare medesime. E’ la medesima norma a precisare che la proroga è finalizzata a” garantire adeguate condizioni di concorrenza nella qualificazione degli operatori economici alle procedure di affidamento di incarichi di verifica dei progetti di opere pubbliche”.
Il regolamento
ha attuato gli articoli 93 e 112 del Codice dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture di cui al d.lgs. 163/2006 stabilendo criteri, contenuti e
momenti di verifica tecnica dei vari livelli di progettazione (preliminare,
definitiva ed esecutiva).
L’articolo 45
del regolamento, rubricato “finalità
della verifica, stabilisce che la verifica è finalizzata ad accertare la
conformità della soluzione progettuale prescelta alle specifiche disposizioni
funzionali, prestazionali, normative e tecniche contenute nello studio di
fattibilità, nel documento preliminare alla progettazione ovvero negli elaborati
progettuali dei livelli già approvati.
Relativamente
alla data di entrata in vigore del
regolamento, ai sensi dell’art. 359, la maggior parte delle disposizioni in
esso contenute è entrata in vigore 180 giorni dopo la pubblicazione (8 giugno
2011).
Articolo 13
(Disposizioni urgenti per EXPO 2015)
L’articolo 13 prevede
una serie di misure riguardanti la
realizzazione del grande evento EXPO 2015, al fine di prorogare al 2015 la
disciplina concernente l’utilizzo dei proventi delle concessioni edilizie e delle
sanzioni (comma 1) e di consentire
alla società EXPO 2015 S.p.A. di derogare alla disciplina vigente sui contratti pubblici, con
riguardo ai contratti di
sponsorizzazione e alle concessioni
di servizi (comma 2).
Con il comma 3, modificando l’articolo 10, comma 4, del d.lgs. n. 23 del 2011, si confermano le agevolazioni fiscali già previste dalla legge n. 3 del 2013 di ratifica dell’accordo internazionale stipulato tra Italia e Bureau International des Expositions (BIE), sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015.
Il comma 4, infine, prevede un contributo per l’anno 2014 di 25 milioni di euro a favore del comune di Milano, a titolo di concorso agli oneri che il medesimo comune sostiene per la realizzazione dell’EXPO 2015. Tale contributo è escluso dal patto di stabilità interno per l’anno 2014 del comune di Milano.
In particolare, il comma 1 proroga all’anno 2015, limitatamente al Comune di Milano, l’applicazione della disciplina prevista dall’articolo 2, comma 8, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) concernente l’utilizzo dei proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Tale norma ha consentito di utilizzare, dal 2008 fino all’anno in corso, i predetti proventi per una quota non superiore al 50% per il finanziamento di spese correnti e per una quota non superiore ad un ulteriore 25% esclusivamente per spese di manutenzione ordinaria del verde, delle strade e del patrimonio comunale.
La norma finalizza la proroga della disciplina prevista dalle predette disposizioni alla realizzazione del grande evento EXPO 2015.
Premesso
che il D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia) ha sostituito la nozione di concessione
edilizia con quella di permesso di costruire, si segnala che in base all’art.
12 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, abrogato dal medesimo testo unico, i
proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni in materia edilizia erano
considerati quali risorse vincolate a destinazione specifica, in quanto erano
versati su conti correnti speciali presso le tesorerie comunali ed erano
destinati alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria, al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici,
all'acquisizione delle aree da espropriare, nonché, nel limite massimo del 30%,
a spese di manutenzione ordinaria del patrimonio comunale. Si ricorda che il
rilascio del permesso di costruire da parte di un’amministrazione comunale
comporta per il privato "la corresponsione di un contributo commisurato
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione" (art. 16, comma 1, del D.P.R. 380/2001).
Nel corso
degli anni sono state adottate alcune norme
volte a disciplinare l’utilizzo dei predetti proventi al fine di destinarli, tra l’altro, in misura prevalente
alle spese correnti. L’articolo 1, comma 43, della legge 30 dicembre 2004, n.
311 (finanziaria 2005), aveva stabilito la possibilità di destinare i proventi
delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal T.U. edilizia al
finanziamento di spese correnti entro il limite del 75% per il 2005 e del 50%
per il 2006.
L’articolo
2, comma 8, della legge n. 244 del 2007[10] ha disciplinato il regime
di utilizzo dei proventi dal 2008 fino al 2012. Da ultimo, è intervenuto il comma 4-ter dell’articolo 10
del decreto-legge n. 35 del 2013,che ha modificato il citato comma 8
dell’articolo 2 disponendo l’applicazione
- anche per gli anni 2013 e 2014 - della disciplina sull’utilizzo dei proventi
delle concessioni edilizie e delle sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380 ivi prevista.
In tale ambito è
intervenuto anche l’articolo 4, comma 3, della legge 14 gennaio 2013, n. 10 (norme
per lo sviluppo degli spazi verdi urbani) che ha introdotto a regime una norma in
base alla quale “le maggiori entrate derivanti dai contributi per il rilascio
dei permessi di costruire e dalle sanzioni previste dal testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia sono destinate
alla realizzazione di opere pubbliche di urbanizzazione, di recupero
urbanistico e di manutenzione del patrimonio comunale in misura non inferiore
al 50 per cento del totale annuo”.
Il comma 2 consente alla società EXPO 2015 S.p.A di derogare, purché in assenza di intermediazioni, come stabilito durante l’esame al Senato, alle norme riguardanti i contratti di sponsorizzazione (articolo 26) e le concessioni di servizi (articolo 30) del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (decreto legislativo 163/2006).
Il comma 1 dell’articolo 26 del Codice dei
contratti pubblici prevede che ai contratti di sponsorizzazione e ai
contratti a questi assimilabili, di cui siano parte un'amministrazione
aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore e uno sponsor che non sia
un'amministrazione aggiudicatrice o altro ente aggiudicatore, aventi ad oggetto
i lavori di cui all'allegato I, nonché gli interventi di restauro e
manutenzione di beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici
sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
ovvero i servizi di cui all'allegato II, ovvero le forniture disciplinate dal
presente codice, quando i lavori, i
servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura e a spese dello sponsor
per importi superiori a quarantamila euro, si applicano i principi del Trattato
per la scelta dello sponsor nonché le disposizioni in materia di requisiti di
qualificazione dei progettisti e degli esecutori del contratto. Ai
contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi e forniture aventi ad oggetto
beni culturali si applicano altresì le disposizioni dell'articolo 199-bis del presente Codice.
La concessione di servizi è definita
dall’articolo 3, comma 12, del Codice come un contratto che presenta le stesse
caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che
il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di
gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
Secondo quanto
prevede l’articolo 30, nella concessione di servizi la controprestazione a
favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire
funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio. Il soggetto
concedente stabilisce in sede di gara anche un prezzo, qualora al
concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi
inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e
dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al
concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico - finanziario degli
investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio
da prestare.
Il comma 2
dell’articolo 30 prevede che la scelta
del concessionario deve avvenire nel rispetto dei principi desumibili dal
Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in
particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non
discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità,
previa gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se
sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all'oggetto della
concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi.
La deroga in esame viene introdotta attraverso una modifica all’articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, in cui sono state previste diverse deroghe alla normativa vigente in materia di procedure contrattuali in relazione allo svolgimento dell’evento EXPO 2015. Si rammenta, in proposito, che le disposizioni previste dalla citata lettera c) del comma 1 si possono applicare anche alle stazioni appaltanti per le seguenti opere:
§ Interconnessione Nord Sud tra la SS 11 all'altezza di Cascina Merlata e l'Autostrada A4 Milano-Torino;
§ Linea Metropolitana di Milano M4;
§ Linea Metropolitana di Milano M5;
§ Strada di Collegamento SS 11 e SS 233 Zara - Expo;
§ Parcheggi Remoti Expo;
§ Collegamento SS 11 da Molino Dorino ad Autostrada dei Laghi - lotto 1 da Molino Dorino a Cascina Merlata; lotto 2 da Cascina Merlata a innesto a A8; Adeguamento Autostrada dei Laghi tra il nuovo svincolo Expo e lo svincolo Fiera
Per approfondire la tipologia delle deroghe previste dall’articolo
5 del D.L. 43/2013 si rinvia alla relativa scheda di
commento
Il comma 3 modifica l’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), con il quale è dettata la disciplina dei tributi applicabili ai trasferimenti immobiliari, al fine di confermare le agevolazioni fiscali già previste dalla legge n. 3 del 2013 di ratifica dell’accordo internazionale stipulato tra Italia e Bureau International des Expositions (BIE), sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015.
Si ricorda in sintesi, che il comma 1 dell'articolo 10
citato (intervenendo sull’articolo 1 della tariffa, parte prima, allegata al
Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro) prevede che,
a decorrere dal 2014, l'imposta di registro si applichi nella misura fissa del
9 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni
immobili in genere e agli atti traslativi o costitutivi di diritti reali
immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, ai
provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e ai trasferimenti
coattivi. Se il trasferimento ha per oggetto la prima casa di abitazione, ad
eccezione di quelle di categoria catastale A1, A8 e A9, l'aliquota è del 2 per
cento. Il comma 2 prevede che nei casi sopra elencati l'imposta non può,
comunque, essere inferiore a 1.000 euro.
Il richiamato comma
4 prevede, in relazione agli atti di cui ai commi 1 e 2, la soppressione di
tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se previste in leggi
speciali. Successivamente l'articolo 1, comma 608, della legge n. 147 del 2013
(legge di stabilità 2014) modificando il comma 4 dell'articolo 10 citato, ha
escluso dalla soppressione delle esenzioni e delle agevolazioni vigenti le
disposizioni recate dall’articolo 2, comma 4-bis, del decreto-legge 30 dicembre
2009, n. 194, con cui sono state disposte le agevolazioni per la piccola
proprietà contadina.
In tale quadro si inserisce il comma 3 in esame, che novella il citato articolo 10, comma 4, del decreto legislativo n. 23 del 2011 al fine di confermare le agevolazioni fiscali previste dagli articoli 19 e 20 dell’Accordo tra la Repubblica italiana e il BIE sulle misure necessarie per facilitare la partecipazione all’Esposizione universale di Milano 2015, ratificato con legge 14 gennaio 2013, n. 3.
Si ricorda che la legge n. 3 del 2013 ha ratificato
l’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il BIE sulle misure necessarie
per facilitare la partecipazione all'Esposizione Universale di Milano del 2015,
fatto a Roma l'11 luglio 2012.
Si tratta di un “accordo di sede” tra il Governo
italiano e il BIE finalizzato a determinare i meccanismi che faciliteranno la
partecipazione di Stati, Organizzazioni Internazionali, soggetti pubblici e
privati di tutto il mondo all’Expo Milano 2015, anche garantendo loro le
necessarie condizioni fiscali e operative secondo la prassi già invalsa in
precedenti edizioni. In particolare, l'articolo 19 dell'Accordo individua le
agevolazioni fiscali per l’Organizzatore; tra queste, il comma 4 dispone
l’esenzione dall’IRES per i contributi erogati dallo Stato e da enti pubblici;
il comma 5 prevede la riduzione dei prelievi per l’occupazione di spazi e aree
pubbliche e diffusione di messaggi pubblicitari; il comma 6 stabilisce
l’esenzione da imposte di bollo, registro, ipotecarie e catastali, per atti e
transazioni concernenti terreni e fabbricati necessari all’Organizzatore per la
realizzazione dell’Expo. L'articolo 20 individua le agevolazioni fiscali per il
Proprietario (ossia la Società AREXPO spa, titolare delle aree del sito
espositivo di Expo Milano 2015 sulle quali è costituito un diritto di
superficie a favore dell’Organizzatore).
Il comma 4 prevede un contributo per l’anno 2014 di 25 milioni di euro a favore del comune di Milano, a titolo di concorso agli oneri che il medesimo comune sostiene per la realizzazione dell’EXPO 2015.
Tale contributo è escluso dalle entrate finali rilevanti ai fini del computo del saldo finanziario del patto di stabilità interno per l’anno 2014 del comune di Milano.
Ai sensi del comma 3 dell’articolo 31 della
legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012), che reca la disciplina del patto
di stabilità interno per gli enti locali, il saldo finanziario rilevante per il
patto di stabilità è calcolato
quale differenza tra entrate finali e
spese finali, espresso in termini di competenza mista (criterio contabile
che considera le entrate e le spese in termini di competenza, per la parte
corrente, e in termini di cassa per la parte degli investimenti, al fine di
rendere l'obiettivo del patto di stabilità interno più coerente con quello del
Patto europeo di stabilità e crescita), al netto delle entrate derivanti dalla
riscossione di crediti e delle spese derivanti dalla concessione di crediti,
come riportati nei certificati di conto consuntivo.
Si ricorda che una analoga deroga al patto di stabilità è stata disposta, in favore del comune di Milano, con riferimento alle risorse ad esso attribuite nell’anno 2013 per le medesime finalità, nel medesimo importo di 25 milioni di euro. Il finanziamento per Expo 2015 e la sua esclusione dal computo del saldo rilevante ai fini del patto di stabilità del comune di Milano sono stati disposti dai DD.LL. nn. 126 e 151 del 2013, decaduti, i cui effetti sono fatti salvi dall’articolo 1, comma 2, della legge di conversione del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (legge n. 68/2014).
Si ricorda, altresì, che disposizioni di deroga ai vincoli del patto di stabilità interno, per agevolare la realizzazione degli interventi previsti per l'Esposizione universale di Milano, sono state introdotte in favore del Comune di Milano (art. 1, co. 103, della legge n. 220/2010, legge di stabilità 2011) nonché della Provincia di Milano (art. 2, co. 37, del D.L. n. 225/2010) anche per l’anno 2011, con riferimento alle risorse provenienti dallo Stato e alle relative spese sostenute nell’anno 2011 per la realizzazione dell'Expo Milano 2015.
Per l’anno 2012, la legge di stabilità n. 183/2011 ha disposto, in via straordinaria, l'attenuazione delle sanzioni previste per il mancato rispetto del patto di stabilità interno nei confronti della provincia e del comune di Milano, coinvolti nell'organizzazione del grande evento EXPO Milano 2015 (art. 33, co. 37, legge n. 183/2011, legge di stabilità per il 2012).
Posto che tale contributo al comune di Milano è escluso dai vincoli del patto di stabilità, esso determina effetti onerosi, per 25 milioni di euro per l’anno 2014, in soli termini di saldo netto da finanziare, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante il versamento all’entrata del bilancio dello Stato, nel medesimo anno, delle somme iscritte in conto residui relative alle seguenti autorizzazioni di spesa:
§ quanto a 10 milioni di euro, dell’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 251, della n. 266/2005, relativa al Fondo istituito per favorire l’assunzione a tempo indeterminato nelle pubbliche amministrazioni (cap. 3032/Economia);
§ quanto a 13 milioni di euro, dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 527, della legge n. 296/2006, relativa al Fondo istituito a decorrere dal 2008 per favorire ulteriori assunzioni di personale a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione (cap. 3042/Economia);
§ quanto a 2 milioni di euro, dell’autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 97, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, relativa al Fondo per la stabilizzazione dei rapporti di lavoro pubblici, finalizzato alla realizzazione di piani straordinari per l'assunzione a tempo indeterminato di personale già assunto o utilizzato attraverso tipologie contrattuali non a tempo indeterminato (cap. 3033/Economia).
Si ricorda, infine, che l'articolo 5 del D.L. 43/2013 contiene una serie di disposizioni straordinarie, finalizzate ad accelerare la realizzazione delle opere essenziali e connesse di Expo Milano 2015. A tale fine, ai sensi del comma 1, lettera a) dell’art. 5 del D.L. n. 43/2013 è stato emanato il D.P.C.M. 6 maggio 2013, che disciplina la riorganizzazione degli organismi per la gestione delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 e semplifica le procedure ed i processi volti alla infrastrutturazione e all'allestimento del sito espositivo, delle opere connesse e degli interventi funzionali all'Evento inseriti nelle programmazioni comunali, provinciali e regionali.
L’art. 7 del D.P.C.M. 6 maggio 2013 dispone che i finanziamenti pubblici statali[11] previsti dall'articolo 14, comma 1, decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, possono essere assegnati e utilizzati per il Commissario Unico delegato del Governo per Expo Milano 2015 e per il Commissario Generale di Sezione per il Padiglione Italia nei limiti strettamente necessari per il loro funzionamento, nonché per fronteggiare esigenze non altrimenti risolvibili e sempre che non sussistano altre dotazioni e risorse finanziarie, sia di tipo straordinario sia di origine territoriale.
Salvo questa limitata quota, i finanziamenti in oggetto sono erogati direttamente in favore della Società EXPO 2015 p.a.[12]. o dei soggetti attuatori degli interventi che la stessa Società o il Tavolo Lombardia individuano in accordo con il Commissario Unico, in conformità a quanto è stato previsto nel dossier di candidatura presentato al BIE e successive modificazioni e secondo il piano finanziario allegato al decreto medesimo.
Per un approfondimento sull’evento Expo 2015 si rimanda al sito internet di Expo 2015.
Articolo 13-bis
(Clausola di salvaguardia)
L’articolo 13-bis, introdotto durante l’esame al Senato, prevede la cosiddetta clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano.
Conseguentemente, le
disposizioni della stessa legge sono
inapplicabili agli enti a statuto speciale ove siano in contrasto con gli
statuti e le relative norme di attuazione.
Le
disposizioni del decreto-legge non modificano il quadro delle competenze
definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale) e dalle
relative norme di attuazione; esse si applicano pertanto in quegli ordinamenti
solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.
L’esplicitazione di questo principio è stata introdotta in passato
principalmente nelle leggi finanziarie per evitare che regioni e province
autonome, nel dubbio sull’effettiva estensione di disposizioni che incidono
sulle materie di loro competenza, ritenessero necessario chiedere una pronuncia
alla Corte costituzionale. La Corte costituzionale ha più volte ribadito, in
passato, in una serie di pronunce concernenti le leggi finanziarie, che «simili
clausole, formulate in termini generici, non hanno l'effetto di escludere una
lesione della potestà legislativa regionale»[13].
Tuttavia, in più recenti pronunce, la Corte costituzionale, in ragione della presenza della clausola di salvaguardia, ha dichiarato non fondate le questioni sollevate in merito a norme che, proprio perché in contrasto con lo statuto speciale e le norme di attuazione della regione ricorrente, non sono applicabili alla regione stessa[14].
La norma in esame fa inoltre riferimento alla legge costituzionale n 3 del 2001, che ha riformato il titolo V della parte seconda della Costituzione. In particolare l'articolo 10 ha disposto la possibile applicazione delle disposizioni della legge costituzionale alle regioni a statuto speciale «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite», fino all’adeguamento dei rispettivi statuti. La legge costituzionale 3/2001, infatti, ha riformato il sistema delle autonomie lasciando inalterata la distinzione tra autonomie ordinarie e speciali. In ragione della norma contenuta nell'art. 10 (cosiddetta clausola di maggior favore), la Corte costituzionale valuta in relazione a ciascuna questione di legittimità, se prendere a parametro l’articolo 117 Cost. anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa dall’articolo 117 medesimo conferita nella materia oggetto della questione assicura una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.
Articolo 14
(Copertura finanziaria)
L’articolo 14 reca la clausola di copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli interventi previsti nel decreto-legge.
Si tratta, in particolare, degli oneri derivanti:
- dall’articolo 1, che incrementa gli stanziamenti del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione e del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli;
- dall’articolo 3, comma 1, lettera b), che istituisce il Fondo per la concessione di contributi in conto interessi sui finanziamenti per l'acquisto degli alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari comunque denominati;
- dall’articolo 6, relativamente alle minori entrate derivanti dalla non concorrenza alla formazione del reddito d’impresa, ai fini delle imposte sui redditi, e dalla non concorrenza alla formazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive, nella misura del 40 per cento, dei redditi derivanti dalla locazione di alloggi sociali, di nuova costruzione o per i quali sono stati realizzati interventi di manutenzione straordinaria o di recupero su un fabbricato preesistente di un alloggio sociale;
- dall’articolo 7, relativamente alle minori entrate derivanti dalle detrazioni fiscali per i conduttori di alloggi sociali;
- dall’articolo 8, relativamente alle minori entrate correlate alle agevolazioni fiscali concernenti la cessione degli alloggi sociali;
- dall’articolo 9, relativamente alle minori entrate derivanti dalla riduzione al 10% dell'aliquota della cedolare secca per contratti a canone concordato.
In particolare, gli oneri derivanti dalle predette disposizioni ammontano complessivamente a: 97,71 milioni di euro per l’anno 2014; 184 milioni di euro per l’anno 2015; 152,70 milioni di euro per l’anno 2016; 129 milioni di euro per l’anno 2017; 86,85 milioni di euro per l’anno 2018; 83,52 milioni di euro per 2019; 46,92 milioni di euro per l’anno 2020;18,52 milioni di euro a decorrere dall’anno 2021.
Alla copertura finanziaria degli oneri, si provvede
- quanto a 5,9 milioni di euro per l’anno 2014 e a 3 milioni di euro per l’anno 2015, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’ articolo 36, comma 1, della legge 5 agosto 1978, n. 457, riguardante la concessione di contributi agli interventi di edilizia residenziale fruenti di mutuo agevolato (lettera a);
-
quanto a 21,94
milioni di euro per gli anni 2014, 2015 e 2016, 8,19 milioni di euro per l’anno
2017, 8,2 milioni di euro per gli anni 2018 e 2019 mediante corrispondente
riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 3, comma 7-bis, del decreto-legge 7 febbraio 1985,
n. 12, concernente la concessione di contributi per i mutui previsti per il programma
straordinario di edilizia residenziale agevolata in favore delle imprese
edilizie, cooperative e relativi consorzi (lettera
b);
-
quanto a 56,81
milioni di euro, per gli anni dal 2014 al 2019, e a 28,4 milioni di euro per l’anno 2020, mediante corrispondente
riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 22, comma 3, della
legge 11 marzo 1988, n. 67, concernente la concessione di contributi in favore
delle imprese edilizie, cooperative e relativi consorzi, per interventi di
edilizia agevolata (lettera c);
-
quanto a
102,25 milioni di euro, per l’anno
2015, 73,95 milioni di euro per l’anno
2016, 24 milioni di euro per l’anno
2017, 5,94 milioni di euro per l’anno
2018, 18,51 milioni di euro per l’anno 2019, 18,52 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020 mediante corrispondente
riduzione del Fondo per
interventi strutturali di politica economica (lettera d);
Il Fondo è stato istituito dall'articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282/2004, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze (cap. 3075) viene utilizzato in modo flessibile ai fini del reperimento delle risorse occorrenti a copertura di interventi legislativi recanti oneri finanziari. La dotazione del Fondo ISPE risulta rideterminata nel bilancio 2014-2016 (legge n. 148/2013 e D.M. di ripartizione in capitoli del 27 dicembre 2013) in 44,3 milioni per il 2014, in 360,5 milioni nel 2015 e in 173,6 milioni nel 2016. Sugli stanziamenti indicati dalla legge di bilancio 2014-2016, sono tuttavia intervenuti, in senso riduttivo, una serie di interventi legislativi che ne hanno utilizzato le risorse a copertura finanziaria.
-
quanto a
5 milioni di euro per l’anno 2014 e a 40 milioni di euro per l’anno 2017 mediante
corrispondente riduzione del Fondo di riassegnazione delle risorse provenienti da
norme abrogate, di cui all’articolo 2, comma 616, della legge n. 244 del 2007
(legge finanziaria 2008), cap. 1451 istituito nello stato di previsione del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con una dotazione pari a 45,7
milioni di euro per il 2014(lettera e);
-
quanto a 6,295
milioni di euro per l’anno 2014 mediante corrispondente riduzione della
dotazione del Fondo, istituito dal comma 515 dell’articolo 1 della legge n. 228
del 2012, finalizzato ad escludere dall'ambito di applicazione dell'IRAP le
persone fisiche esercenti attività commerciali, ovvero arti e professioni, che
non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano, anche
mediante locazione, beni strumentali entro un ammontare predefinito. Si segnala
che il Fondo è stato soppresso dalla
legge di stabilità 2014 a decorrere dal 2015 (art. 1, comma 407, L. 27 dicembre
2013, n. 147) (lettera f);
-
quanto a
1,765 milioni di euro per l'anno 2014,
mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo per il rimborso delle trattenute operate per
il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici di
importo elevato (lettera g);
Tale Fondo, istituito dall’articolo 1, comma 287, della L. 147/2013, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, ai fini del rimborso delle trattenute operate in base al contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici di importo elevato di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del D.L. 98/2011 (contributo dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 3-5 giugno 2013), presenta una dotazione di 20 milioni di euro per il 2014 e di 60 milioni di euro per il 2015.
-
quanto a
15,9 milioni di euro per l’anno 2018
mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dall’articolo 7 in
materia di detrazioni fiscali IRPEF per il conduttore di alloggi sociali.
E’ previsto il definanziamento dei programmi straordinari di edilizia agevolata assegnatari di risorse ai sensi delle disposizioni indicate alle lettere a), b) e c) del comma 1 per i quali non sono stati attivati i relativi mutui (comma 2).
Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio (comma 3).
Il piano
decennale di edilizia residenziale disposto dall’articolo 1 della legge n. 457 del 1978 ha riguardato:
a) gli interventi di edilizia sovvenzionata diretti alla costruzione di abitazioni e al
recupero del patrimonio edilizio degli enti pubblici;
b) gli interventi di edilizia convenzionata e agevolata
diretti alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio
esistente;
c) l'acquisizione e l'urbanizzazione di aree destinate
agli insediamenti residenziali;
La legge prevede
diversi finanziamenti per il piano decennale, in particolare, per gli
interventi di edilizia sovvenzionata (articolo 35) e per l'edilizia convenzionata-agevolata (articolo 36).
Per quest’ultimo
intervento, è stata prevista la concessione
di mutui agevolati (articolo 36,
comma 1 della legge n. 457 del 1978), per gli anni 1978, 1979, 1980 e 1981,
nel limite di impegno di lire 70 miliardi di lire, a favore di enti pubblici,
cooperative e privati.
Per l’immediato
avvio del programma di edilizia residenziale pubblica 1986-87, l’articolo 3 del D.L. n. 12 del 1985 ha rifinanziato i programmi di edilizia sovvenzionata ed agevolata.
Nell’ambito del
programma di edilizia convenzionata e agevolata, l’articolo 3, comma 7-bis, del
D.L. n. 12 del 1985 ha previsto un limite di impegno di 30 miliardi di lire per
l'avvio di un programma straordinario di
edilizia agevolata per la costruzione di abitazioni e il recupero del
patrimonio edilizio esistente, da realizzarsi a cura di imprese, cooperative e relativi consorzi, attraverso mutui
agevolati.
La legge n. 67 del 1988 (articolo 22, comma 3) ha rifinanziato, in favore delle imprese
edilizie, cooperative e relativi consorzi, i contributi per i mutui agevolati
(art. 16 della legge, n. 457 del 1978, per interventi di edilizia agevolata,
ivi compresi i programmi di recupero di cui all'articolo 1, primo comma,
lettera b), della legge n. 457 del 1978, per un limite di impegno di lire 150
miliardi per ciascuno degli anni dal 1988 al 1990 e in tale ambito riservando
50 miliardi di per il programma
straordinario di edilizia agevolata di cui al citato comma 7-bis dell’articolo 3 del D.L. n. 12 del
1985.
Successivamente,
l'articolo 61 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, a decorrere dal 1° gennaio
1999, ha trasferito le relative competenze e le risorse alle singole regioni
Articolo 15
(Entrata in vigore)
L’articolo 15 disciplina l’entrata in vigore del presente decreto, che è avvenuta il 29 marzo 2014, giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
[1] Il finanziamento del c.d. Fondo locazioni era stato inserito tra le possibili destinazioni previste dall’art. 1, comma 270, della L. 228/2012 (legge di stabilità 2013), istitutivo del Fondo per il finanziamento di esigenze indifferibili con una dotazione di 16 milioni di euro. Tuttavia il successivo decreto di riparto (D.P.C.M. 15 febbraio 2013, pubblicato nella G.U. n. 180/2013) ha assegnato l’intero stanziamento alle misure per favorire l’attività lavorativa dei detenuti.
[2] Si ricorda in particolare che il comma 1 dell’art. 5 disponeva che “Le province autonome partecipano alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalità per gli stessi previsti”, mentre il comma 2 stabiliva che “I finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore, con riscontro nei conti consuntivi delle rispettive province”.
[3] Nella sentenza n. 121/2010 la Corte ricorda di aver già precisato che la materia dell’edilizia residenziale pubblica, non espressamente contemplata dall’art. 117 Cost., «si estende su tre livelli normativi»: «il primo riguarda la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti. In tale determinazione – che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. – si inserisce la fissazione di principi che valgano a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dalla sentenza n. 486 del 1995. Il secondo livello normativo riguarda la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia “governo del territorio”, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come precisato […] da questa Corte con la sentenza n. 451 del 2006. Il terzo livello normativo, rientrante nel quarto comma dell’art. 117 Cost., riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale» (sentenza n. 94 del 2007).
[4]
Per una analisi approfondita delle
riforme attuate, a livello regionale, degli enti di edilizia residenziale
pubblica si veda Federcasa, Le riforme
degli enti di edilizia residenziale pubblica (1 dicembre 2010), al link www.federcasa.it/documenti/archivio/Riforma_testo_2010-12-01.pdf.
[5]
Per una trattazione approfondita si
rinvia al paragrafo “Il Piano casa” della scheda intitolata “I piani casa e i
piani città" contenuta nel dossier di inizio della XVII legislatura, al
link www.camera.it/leg17/1050?appro=671&I+”piani+casa”+e+i+”piani+città”#paragrafo3164.
[6] Si ricorda in proposito che fanno parte dell’edilizia residenziale pubblica sia l’edilizia residenziale "agevolata" (dove per "agevolazioni" si intendono i contributi a parziale copertura del conto interesse dei mutui bancari), sia l’edilizia residenziale "sovvenzionata" (dove per "sovvenzioni" si intende la copertura dei costi in conto capitale per la realizzazione dell’opera).
[7] Si veda ad es. il comunicato della Regione Friuli-Venezia Giulia del 10 agosto 2013.
[8] Secondo il TAR di Salerno (ordinanza 24 gennaio 2014, n. 283) la modifica operata dal D.L. 69/2013 “non ha carattere innovativo dei contenuti della originaria previsione normativa, costituendo invece specificazione interpretativa di un contenuto normativo del principio fondamentale già ricavabile dalla originaria formulazione della legge”.
[9] TAR Lazio, Latina, sentenza n. 1626 dell’1 ottobre 2010; TAR Lombardia, Milano, Sezione II, sentenza n. 2377 del 6 ottobre 2011.
[10] La norma
riproduceva di fatto, per il triennio 2008-2010, quanto disposto per il solo
2007 dal comma 713 dell’art. 1 della legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre
2006, n. 296). L’articolo 2, comma 41, del D.L. 225/2010, ha prorogato gli
effetti di tale norma fino al 2012.
[11] Per la realizzazione delle opere e delle
attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015 in
attuazione dell'adempimento degli obblighi internazionali assunti dal Governo
italiano nei confronti del Bureau
International des Expositions (BIE) è autorizzata la spesa di 30 milioni di
euro per l'anno 2009, 45 milioni di euro per l'anno 2010, 59 milioni di euro
per l'anno 2011, 223 milioni di euro per l'anno 2012, 564 milioni di euro per
l'anno 2013, 445 milioni di euro per l'anno 2014 e 120 milioni di euro per
l'anno 2015.
[12] Istituita con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri 22 ottobre 2008. Sono soci fondatori della Società EXPO
2015, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del citato D.P.C.M. 6 maggio 2013, il
Ministero dell'economia e delle finanze, il comune di Milano, la regione
Lombardia, la provincia di Milano e la Camera di commercio di Milano, secondo
le quote stabilite dal Ministero dell'economia e delle finanze. Altri enti
locali o organismi di diritto pubblico, secondo le procedure previste dalla
normativa vigente sulle società per azioni, possono aderire alla Società EXPO
2015 p.a. Nel mese di luglio 2011, va segnalata la sottoscrizione, dell’Accordo
di programma, promosso ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267
(Testo Unico degli Enti Locali) concluso tra Comune di Milano, Regione
Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Rho, Società Poste Italiane S.p.A., e
con l’adesione della Società Expo S.p.A. e della Società Arexpo S.p.A.,
finalizzato a consentire la realizzazione dell’Esposizione Universale del 2015,
anche attraverso la definizione di idonea disciplina urbanistica.
[13] Si vedano le numerose sentenze a riguardo come la n. 326 del 2008, le nn. 165, 162 e 105 del 2007 e nn. 234, 118 e 88 del 2006.
[14] In due casi si trattava di un insieme omogeneo di norme: con la sentenza n. 64 del 7/3/2012, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione sollevata dalla Regione siciliana su alcune norme del D.Lgs. 23/2011 (federalismo fiscale municipale) in quanto le norme censurate non si applicano alla Regione siciliana, come desunto dalla clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 14, comma 2 del medesimo decreto legislativo; nell'altro caso si tratta delle misure dirette ad agevolare interventi edilizi su costruzioni private, recate dall'art. 5 D.L. 70/2011 (sentenza n. 184 del 4/7/2012). In un altro caso (sentenza n. 241 dell'ottobre 2012), invece, la clausola di salvaguardia agisce in relazione alle disposizioni recate dal decreto legge 138 del 2011 (uno dei due decreti legge della cosiddetta 'manovra estiva 2011). Da ultimo, con la sentenza n. 23 del 13 febbraio 2014, la Corte dichiara non fondate e inammissibili le questioni di legittimità poste dalle regioni Sardegna e Friuli Venezia Giulia avverso le disposizioni dell'art. 2, commi da 1 a 5, del D.L 174 /2012 che dispongono il taglio dell'80% dei trasferimenti erariali alle regioni che non abbiano adottato una serie di misure di risparmio elencate al comma 1. La Corte verifica preliminarmente - e positivamente - la validità della clausola di salvaguardia contenuta all'art. 2, comma 4, «per la quale le disposizioni statutarie assumono la funzione di generale limite (le norme sono applicabili solo in quanto compatibili con gli statuti)» e – in mancanza di una specificazione della natura dei trasferimenti da tagliare - ne dà una interpretazione «conforme alla Costituzione», vale a dire che i tagli ai trasferimenti non possono riguardare le spettanze delle regioni a statuto speciale, poiché esse sono definite dagli statuti e dunque neanche ledere alcun interesse specifico; per tale motivo la questione è inammissibile.