XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 559 di lunedì 1 febbraio 2016

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 18 gennaio 2016.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Capelli, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Crippa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Gianluca Pini, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Zanetti e Zolezzi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della nomina di un Ministro.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 29 gennaio 2016, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, informo la Signoria Vostra che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, in data odierna, adottato su mia proposta, ha nominato Ministro senza portafoglio l'onorevole dottor Enrico Costa, il quale cessa dalla carica di Viceministro e di sottosegretario di Stato presso il Ministero della giustizia».

Annunzio della nomina di Sottosegretari di Stato.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente Consiglio dei ministri ha inviato, in data 29 gennaio scorso, la seguente lettera: «Informo la Signoria Vostra che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei Ministri, ha nominato i seguenti sottosegretari di Stato: alla Presidenza del Consiglio dei Pag. 2ministri, Tommaso Nannicini; per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Vincenzo Amendola; per la giustizia, Federica Chiavaroli e Gennaro Migliore; per lo sviluppo economico, Teresa Bellanova, la quale cessa dalla carica di sottosegretario al lavoro e le politiche sociali, e il senatore Antonio Gentile; per le infrastrutture e i trasporti, la senatrice dottoressa Simona Vicari, la quale cessa dalla carica di sottosegretario allo sviluppo economico; per i beni e le attività culturali e il turismo, l'onorevole dottoressa Dorina Bianchi e l'onorevole dottor Antimo Cesaro».

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti.

PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti il deputato Gaetano Piepoli in sostituzione del deputato Mario Marazziti, dimissionario.

Discussione della proposta di legge: S. 1556 – D'iniziativa dei senatori: Maturani ed altri: Modifica all'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali (Approvata dal Senato) (A.C. 3297); e delle abbinate proposte di legge: Marco Meloni ed altri; Centemero; Mucci ed altri (A.C. 1278-3354-3359) (ore 14,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 3297, d'iniziativa dei senatori Maturani ed altri: Modifica all'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali; e delle abbinate proposte di legge Marco Meloni ed altri; Centemero; Mucci ed altri, nn. 1278-3354-3359.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3297)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, deputato Andrea Mazziotti Di Celso.

ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO. Relatore. Presidente, intervengo come relatore, sostituendo l'onorevole Bianchi, che, come lei ha appena comunicato, è stata nominata sottosegretario di Stato e che ha svolto l'attività di relatrice sul provvedimento.
La proposta di legge d'iniziativa parlamentare n. 3297, che discutiamo oggi, è stata già approvata in prima lettura dal Senato e ha la finalità di dare attuazione ai principi costituzionali in tema di promozione dell'equilibrio di genere nelle assemblee elettive. Come è noto, l'articolo 51 della Costituzione, nel disporre che i cittadini hanno il diritto di accedere in condizioni di uguaglianza alle assemblee elettive, prevede, altresì, che la Repubblica promuova, con appositi provvedimenti, le pari opportunità tra uomini e donne. Allo stesso tempo, l'articolo 117 della Costituzione prevede che la normativa regionale debba intervenire per rimuovere ogni ostacolo che impedisca la piena parità di Pag. 3uomini e donne e promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
Essendo questo il contesto costituzionale, va richiamato anche l'articolo 122 della Costituzione, che attribuisce alle regioni il potere di legiferare in materia di sistema elettorale delle assemblee elettive regionali, riservando allo Stato la determinazione dei principi fondamentali. In quest'ambito si muove la proposta di legge che iniziamo ad esaminare.
La finalità della legge è quella di promuovere l'equilibrio di genere, seguendo un percorso, che è stato avviato nel 2012, con la legge n. 215 sulla rappresentanza negli enti locali, proseguito con la legge n. 65 del 2014, in materia di elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, e poi ancora con il cosiddetto «Italicum», con la legge n. 52 del 2015, che ha introdotto analoghe norme nel sistema di elezione della Camera dei deputati. La necessità di un intervento a livello regionale è stata riconosciuta da tutti, considerando che a livello regionale la presenza femminile è intorno al 18 per cento, a fronte di un 31 per cento nell'Assemblea, nel nostro Parlamento e del 32 per cento come media europea. Quindi, questa situazione di evidente squilibrio ha portato il Parlamento ad approvare, in prima lettura al Senato, la proposta di legge che oggi andiamo a esaminare e, poi, la Commissione ad approvare questo testo.
Entrando nel merito, la legge va a modificare la lettera c-bis) della legge n. 215 del 2012, che prevede, tra i principi, la promozione della parità tra uomini e donne attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive. A questa disposizione di carattere generale la legge unisce, accompagna delle disposizioni specifiche, prevedendo dei meccanismi di tutela, per l'appunto, del genere meno rappresentato, basati sui diversi sistemi elettorali. Così, nei sistemi elettorali che prevedono il voto di preferenza, vengono introdotti due meccanismi. Il primo prevede una rappresentanza nella lista minima del 40 per cento del genere meno rappresentato. Si prevede, poi, la doppia preferenza ai rappresentanti di un diverso genere, con la conseguenza, nel caso di violazione, della nullità di tutte le preferenze successive alla prima.
Per quel che riguarda i collegi uninominali, si prevede, anche in questo caso, la necessità di prevedere almeno il 40 per cento della rappresentanza di ciascuna lista nei diversi collegi al genere sottorappresentato e, nei sistemi a liste bloccate, ancora una volta, si prevede l'alternanza e il meccanismo di quote 60-40. Quindi, sostanzialmente si introducono dei meccanismi che sono finalizzati ad assicurare una presenza minima del 40 per cento. Non sono previste esplicitamente delle sanzioni e questo ha costituito oggetto di dibattito nella discussione in Commissione. Infatti, ad esempio, a livello nazionale e a livello europeo è prevista, invece, l'inammissibilità della lista che non rispetti le disposizioni. In questo caso, però, si tratta di una materia in cui, come abbiamo visto, la competenza legislativa sulle norme in materia di elezioni e di incompatibilità spetta alle regioni e, quindi, ci si aspetta che siano le regioni ad attuare la legge e i principi fondamentali dettati con questa legge, in modo tale da assicurare che alle norme venga data adeguata applicazione.
L'ultima considerazione da fare è che queste disposizioni non si applicano alle regioni a statuto speciale, che pure, in base alla legge costituzionale n. 2 del 2001, prevedono un impegno, diciamo un obbligo di promuovere, anche in questo caso, la parità di genere per l'accesso alle consultazioni elettorali.
La Commissione ha avviato l'esame di questa proposta il 1 ottobre 2015. Il 3 dicembre 2015 è stata proposta l'adozione, come testo base, del testo già approvato al Senato. Sono state svolte audizioni, sia di esperti sia della consigliera di parità della regione Calabria, l'avvocato Ciarletta. Dopodiché, anche la Commissione bilancio, nella seduta del 19 gennaio 2016, ha espresso il nulla osta e la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha Pag. 4espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 21 gennaio 2016. La Commissione ha conferito mandato al relatore a riferire all'Assemblea in senso favorevole sulla proposta di legge lo scorso 28 gennaio 2016.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.
È iscritta a parlare la deputata Fabrizia Giuliani. Ne ha facoltà.

FABRIZIA GIULIANI. Presidente, non voglio entrare ancora nel merito – lo ha già fatto, prima di me, il relatore –, ma vorrei soltanto soffermarmi su alcuni aspetti politici che sono legati al testo che abbiamo in discussione e che ritengo importante sottolineare e condividere in questa sede. In primis, il fatto che la linea giuridica e anche l'indirizzo politico che sostiene la linea che abbiamo fin qui tenuto è in sintonia con quanto viene affermato nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Volevo ricordare anche questo dato perché, sempre più, ci mettiamo su quella strada, giustamente, dove si afferma, non solo che la parità di genere deve essere assicurata in tutti i campi, ma che il principio di parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a sostegno del sesso sottorappresentato.
In secondo luogo, vorrei soffermarmi ancora sui provvedimenti che abbiamo approvato nel corso delle ultime due legislature, per promuovere l'equilibrio di genere all'interno delle assemblee elettive, sottolineando come questo sia un discorso ormai sempre più affermato e sostenuto a livello trasversale e stia anche portando a risultati importanti.
Nella scorsa legislatura è stata approvata – veniva ricordato poco prima – la legge n. 215 nel 2012, volta a promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali. Nella legislatura in corso, abbiamo introdotto misure per garantire la rappresentanza di genere nel sistema di elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, che ha dato frutti molto importanti, nonché le correzioni che sono state apportate all'Italicum: provvedimenti che, in qualche misura, stanno ottenendo dei risultati importanti e, quando si va su questo terreno, non si parla soltanto di rappresentanza. Sappiamo che si stanno ottenendo risultati importanti, se guardiamo anche agli indici del Gender Gap che sono stati pubblicati lo scorso novembre dal World Economic Forum, un indice che analizza e monitora la situazione dell'uguaglianza di genere in 145 Paesi. Queste misure hanno consentito all'Italia di raggiungere il sessantanovesimo posto e di passare dal sessantanovesimo al quarantunesimo, confermando il trend positivo di miglioramento registrato.
Leggendo i dati relativi all'indice, si scopre che uno dei settori, nei quali le donne italiane hanno fatto il balzo in avanti più importante, è esattamente quello del potere politico, un miglioramento che è stato reso possibile nelle ultime elezioni politiche ed europee e che ha consentito al nostro Paese di raggiungere i Paesi europei più moderni.
Nel febbraio del 2013 sono state elette infatti 198 deputate, pari al 31,4 per cento degli onorevoli, contro il 16,3 per cento del 2006, il 20,2 per cento del 2008; mentre, alle ultime elezioni europee – mi riferisco naturalmente al 25 maggio del 2014 – le donne elette nella delegazione italiana sono state il 39,7 per cento, contro il 22,2 per cento del 2000. Questo cambiamento è stato reso possibile, non solo da una volontà politica più orientata al rispetto di una reale democrazia paritaria, ma anche dalla nuova legge elettorale che abbiamo appena ricordato.
Se però volgiamo lo sguardo ai numeri delle assemblee elettive regionali – come è stato fatto poco fa dal relatore – questo entusiasmo inevitabilmente si smorza, perché qui, in media, le donne sono rappresentate in misura anche inferiore al 18 per cento, che ricordavo.
Come è noto, il sistema di elezione dei consigli regionali è demandato alle scelte delle singole regioni, tenute però a muoversi Pag. 5entro il parametro tracciato dal legislatore statale, cui compete di fissare i principi della materia.
Ora, come ricordavo in precedenza, già nel 2012 il legislatore aveva rimesso mano alla legge n. 165 del 2004, al fine di aggiungere tra i principi fondamentali cui si devono attenere i legislatori elettorali regionali il principio di pari opportunità.
Per essere più precisi, la legge, da allora, dispone che le regioni, nell'elaborazione delle proprie leggi elettorali, siano vincolate anche al principio della promozione della parità tra uomini e donne nell'accesso alle cariche elettive, attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l'accesso al genere sottorappresentato.
Come si può facilmente comprendere, siamo tuttavia in presenza di una formulazione ancora generica, che si limita, di fatto, a ripetere quanto già è stabilito e non è un caso se gli effetti della modifica, introdotta ormai quattro anni fa, non abbia prodotto i risultati sperati.
Dati alla mano, escluse le esperienze dell'Emilia Romagna, che raggiunge il 34,7 per cento, della Toscana (27,5 per cento) del Piemonte (26 per cento), tutte le altre regioni faticano a raggiungere una presenza di donne che rappresenti almeno un quarto del consiglio, con regioni come la Sardegna che si attestano intorno al 7 per cento, l'Abruzzo, al 3,4 per cento, la Calabria, al 3,3 per cento: qui non arriviamo neanche a sfiorare il 10 per cento. Non vorremmo poi neanche menzionare casi come quello della Basilicata, che non ha eletto alcuna donna all'interno del proprio consiglio. È evidente, dunque, che, quando si parla di democrazia paritaria, non si tratta di quote o di tutela di una minoranza, come purtroppo, ancora troppe volte, viene ribadito, ma di sgombrare quegli ostacoli che consentano davvero al merito di correre, perché si fa fatica a pensare che regioni, come la Basilicata, o altre che ho citato, non dispongano di donne in grado di accedere a questa carica.
Questi dati e queste statistiche acquisiscono un valore ancora più allarmante, se si pensa al ruolo cruciale che le regioni e i consiglieri regionali avranno nel nuovo Senato – questa mi sembra poi la materia che andremo a discutere, quando andremo in Aula – e l'impatto che avrà questa norma elettorale rispetto al nuovo impianto costituzionale ed istituzionale.
Come cercavo di spiegare in precedenza, il cammino che il nostro Paese ha intrapreso negli ultimi anni per raggiungere l'obiettivo di una democrazia paritaria, che è cosa diversa dalle quote – lo voglio ribadire ancora – ma è un criterio che consente a uomini e donne di vedersi riconosciuta pari dignità, non soltanto nella sfera privata, ma anche in quella pubblica, ha fatto segnare passi avanti all'intero Paese.
Il miglioramento che abbiamo prima riportato, a proposito appunto dell'ambito politico che ci circoscrivevano gli indici del Gender Gap, non può rappresentare un elemento di piena soddisfazione o coprire i principali problemi che le donne italiane affrontano quotidianamente, soprattutto in ambito economico e lavorativo.
Nonostante appunto gli indubbi miglioramenti, non dobbiamo dimenticarci che l'Italia resta nelle ultime posizioni, se la si confronta con altri Paesi europei, e che il cammino verso una reale uguaglianza, che riconosca le differenze, è ancora purtroppo lungo e pieno di ostacoli, basti pensare che il Fondo monetario internazionale, nel suo ultimo rapporto sui danni del sessismo, ha certificato che l'Italia potrebbe crescere di ben il 15 per cento in più, se solo riuscisse a liberarsi dai lacci delle discriminazioni di genere. Non parliamo, dunque, soltanto di rappresentanza, ma anche di equilibrio economico, benessere complessivo, sviluppo, insomma.
Il nostro Paese, anche attraverso le riforme portate avanti da questo Governo, si sta mettendo sulla via, si sta avviando man mano a diventare una democrazia moderna e matura e il Parlamento più rosa della Repubblica italiana ha il dovere di fare la propria parte per adottare i provvedimenti necessari a facilitare e ad accompagnare questo cambiamento.Pag. 6
Per questo motivo, non posso che auspicare che le norme che stiamo discutendo qui oggi in Aula, che incidono direttamente ed in maniera positiva sulla qualità della nostra democrazia, possano ricevere, anche in quest'Aula, il consenso più ampio e trasversale possibile.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Nicchi. Ne ha facoltà.

MARISA NICCHI. La legge n. 215 del 2012 era tesa a promuovere il riequilibrio della rappresentanza di genere nei consigli comunali e anche circoscrizionali, per ciò che riguarda i comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, e nelle giunte comunali. Quella legge si è attestata, per quanto riguardava le regioni che hanno la potestà di disciplinare le leggi regionali sul sistema di elezione del presidente della giunta regionale e dei consiglieri regionali, a disposizioni, diciamo, di principio: il richiamo era alla promozione – così è scritto – della parità tra uomini e donne, nell'accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettevano di incentivare l'accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive.
Questo era l'aggancio generico nella legge, proprio perché allora il legislatore ritenne di non dovere calcare la mano per non incorrere in un conflitto di potestà, perché sappiamo tutti che spetta ai consigli regionali il potere di determinare le proprie leggi elettorali. Si astenne allora dal disporre misure più penetranti, più precise, proprio paventando un conflitto costituzionale. Oggi l'orientamento della proposta di legge, che stiamo esaminando e che stiamo per votare, è un altro: si indicano, in questo testo di legge al nostro esame, disposizioni più analitiche, più prescriventi, naturalmente sempre con l'impostazione di principi fondamentali, per far sì che le leggi regionali dovranno seguire dei principi ispiratori, appunto proprio per affrontare questo tema dell'equilibrio della rappresentanza. Dunque, il testo di legge prevede tre tipi di intervento: quello stabilito qualora la legge elettorale regionale preveda l'espressione di preferenze; quello che si deve seguire qualora la legge elettorale non preveda l'espressione di preferenze; quello che si deve seguire nel caso in cui la legge elettorale regionale preveda i collegi uninominali. Su queste tre possibilità si indicano delle misure, per riequilibrare la presenza delle donne, in una percentuale che non deve superare il 60 per cento rispetto al totale.
Noi consideriamo questo passaggio verso delle misure più precise un fatto positivo. Ne condividiamo l'impianto, anche se abbiamo presentato una serie di emendamenti che vorremmo discutere, perché pensiamo che vogliamo contribuire a precisare meglio il testo e anche ad affrontare una questione che è rimasta irrisolta, cioè quella delle eventuali sanzioni nel caso in cui quelle misure, a tutela del riequilibrio, non siano rispettate. Discuteremo e valuteremo qual è la strada migliore. Noi, comunque, condividiamo gli obiettivi del provvedimento; riteniamo inaccettabile che si possa perpetuare una situazione di sottorappresentazione delle donne nei consigli regionali, fino ad arrivare a consigli regionali in cui non c’è una donna eletta (rigidamente monosessuali). Lo consideriamo un fatto importante, anche in vista del ruolo che i consigli regionali svolgeranno nella formazione del nuovo Senato e nella malaugurata ipotesi – io aggiungo – che venga confermato l'impianto della riforma costituzionale, quindi con un Senato espresso dai consigli regionali, da consigli regionali che magari sono composti, tutti o anche soltanto prevalentemente, da uomini, darebbe un esito buio anche per il Senato, un nefasto effetto collaterale, oltre allo stravolgimento dell'impianto della democrazia parlamentare che si sta perpetuando con la legge di riforma della Costituzione, con il passaggio da una democrazia parlamentare ad un premierato assoluto.
Noi vogliamo affrontare – e questo è un impegno unanime anche di tante forze politiche trasversali – il nodo della partecipazione delle donne alla vita istituzionale. Lo facciamo per due ragioni: in primo luogo per una questione democratica Pag. 7– questa sì democratica –, perché una democrazia che esclude le donne, che esclude, cioè, l'altra metà della popolazione, è una democrazia incompiuta (le storiche direbbero una democrazia zoppicante e studi precisi vanno in questo senso).
La affrontiamo anche per una questione simbolica: perché è necessario dare conto, nelle istituzioni, di come sia cambiata la vita delle donne, che non si vedono più seconde a nessuno, che non sono più subordinate a niente e pur dovendosi misurare con vite precarie, con la difficoltà di destreggiarsi tra vita e lavoro, tra desideri e condizioni materiali e pur dovendo fare i conti con il persistere dei pregiudizi e degli ostacoli, hanno conquistato autonomia e forza.
È un paradosso, ed è un paradosso che ha un effetto sulla democrazia che vede, da una parte, la vita delle donne che è cambiata – cambiata radicalmente – e istituzioni in cui la presenza delle donne è sostanzialmente sottorappresentata, a parte qualche sprazzo di novità che è rappresentato, per esempio, anche da questo Parlamento, che ha visto una maggiore presenza di donne (ma non certamente come dovrebbe, sebbene sia sicuramente un fatto positivo). Quindi, c’è un paradosso tra la vita delle donne, che è tanto cambiata, e quella delle istituzioni, in cui, invece, la presenza delle donne continua ad essere sempre sottorappresentata.
Questa è una discrasia, un paradosso che qualche volta è stato aggirato, ad esempio, con il cosiddetto potere di nomina: si nominano gli assessori da parte dei sindaci; si nomina un Governo con pari rappresentanza – allora, quando fu nominato, mentre oggi i numeri sono diversi –, un Governo che viene nominato con metà donne e metà uomini. Questo potere di nomina, però, che è un potere personale e discrezionale, va ad agire sul principio di fedeltà e non su quello di autonomia delle donne. Io credo che questo ultimo tema sia la grande questione aperta del nostro Paese, cioè la questione dell'autonomia politica delle donne che nessun meccanismo elettorale automatico potrà mai garantire e che si potrà garantire solo attraverso un rilancio della politica tra donne, con un'autorevolezza e con una forza che si può costruire nella relazione con tante donne.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. Io interverrò senza utilizzare tutto il tempo a mia disposizione e, per esempio, non mi attarderò nella descrizione della proposta di legge, dato che altri colleghi lo hanno fatto prima di me. Poi, l'articolato è così semplice che non merita di essere descritto ancor più nel dettaglio.
Io intervengo perché ritengo che ogni strumento che va nella direzione di realizzare una democrazia più paritaria possibile sia uno strumento che va inquadrato con favore e questa proposta di legge, nella misura in cui si propone di dare concreta attuazione a ciò che prescrive la nostra Costituzione, ma anche a ciò che il Parlamento ha fatto nel 2012, discutendo un provvedimento simile che stabiliva più o meno le stesse cose in ordine ai consigli comunali e ai consigli provinciali, deve essere giudicata con favore, soprattutto se si considera che l'indice di parità è in qualche modo – se guardiamo a ciò che avviene in Europa – connesso all'indice di civiltà di una democrazia: nei Paesi dove c’è un livello di democrazia più maturo non c’è neanche bisogno di parlare di democrazia paritaria, perché è realizzata nei fatti.
Quindi, vanno bene iniziative che si propongono di realizzare questo fine, un fine che è condivisibile, che io condivido. Attenzione, però, a non ritenere che queste iniziative legislative risolvano un problema che è ben più complesso, perché assicurare la democrazia paritaria significa soprattutto rimuovere quelle barriere che impediscono ad una parte della nostra popolazione, alle donne soprattutto in alcune regioni, di poter competere allo stesso modo con gli uomini.
Sarebbe allora ipocrita se si ritenesse che con una legge si possa risolvere un Pag. 8problema che probabilmente ha implicazioni nel nostro modello di welfare. Provengo da una regione che è indicata fra le regioni con il grado di civiltà democratica meno alta, se questo grado lo misuriamo dalla democrazia paritaria, perché c’è solo una donna nel consiglio regionale della mia regione. Ma è forse un caso che in questa regione, che è la Calabria, c’è anche la percentuale di asili nido più bassa d'Italia ? È forse un caso che in questa regione ci sia una traduzione ancora peggiore del welfare che a livello nazionale, visto che sicuramente non è un welfare a misura di donna ? Sarebbe dunque opportuno che questioni come quelle che discutiamo oggi si avesse la capacità di affrontarle andando davvero all'origine, alle cause che determinano i problemi: alle barriere, agli ostacoli che impediscono alle donne di competere alla pari, quando si devono misurare per dare il loro contributo alle istituzioni politiche.
Non posso pensare che nella mia regione le donne siano meno capaci che in altre regioni, dove hanno invece una rappresentanza maggiore; o che in Italia le nostre donne siano meno meritevoli di assumere incarichi pubblici. Evidentemente abbiamo un Paese costruito con una sorta di ritardo nell'approccio culturale, ma anche nel modo di intendere il welfare.
Leggi allora che vanno nella direzione di abbattere queste barriere, sono leggi da guardare con assoluto favore. Questa legge però si limita semplicemente a ripetere un percorso già sperimentato in passato: si limita nella sostanza a stabilire delle quote. Il rischio è che se non si va all'origine, quando si stabiliscono delle quote per la rappresentanza, queste quote vengano impegnate non per dare la possibilità alle donne più meritevoli di svolgere un incarico, ma semplicemente per cooptare le donne più gradite a chi decide. C’è quindi una condivisione del fine che questa legge si propone, ma c’è qualche dubbio sul fatto che questo sia lo strumento principale per realizzare l'obiettivo, e per realizzarlo nel modo più appropriato.
C’è poi anche qualche riserva sul testo. La nostra preoccupazione è che una legge, che ha l'ambizione di stabilire un principio di carattere generale (perché non potrebbe essere questa una legge che va ad intervenire su una materia che appartiene alla potestà legislativa delle regioni), voglia stabilire questo principio generale con norme troppo dettagliate, con un livello di dettaglio che alla fine fa diventare questo non più un principio generale, ma un principio sul quale si potrebbe anche rilevare qualche margine di incostituzionalità per il livello esagerato di dettaglio: penso per esempio alla percentuale già fissata per la rappresentanza di uno dei sessi.
C’è poi un altro aspetto che vorrei evidenziare, e che riguarda ciò che la legge stabilisce laddove per esempio ci dovessero essere leggi elettorali che prevedessero dei collegi. Dice la legge: qualora siano previsti i collegi uninominali, la legge elettorale disponga l'equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.
Ora, non ho una grande passione per alcuni strumenti praticati da altre parti politiche per la selezione dei candidati nei collegi uninominali: penso per esempio alle primarie, o penso anche ai metodi di selezione dei candidati da parte del MoVimento 5 Stelle per i collegi uninominali. Ebbene, nel caso ci fossero delle primarie, quelli che fanno le primarie cosa dicono agli elettori ? Attenzione, perché in questo collegio potete scegliere un uomo, nell'altro dovete per forza scegliere una donna. Si tratta, dunque, di un testo su cui forse bisognava meglio riflettere in questa parte, perché, atteso che alcuni partiti scelgono i propri candidati attraverso le primarie, sarebbe difficile adeguare le primarie alla lettera del testo che oggi discutiamo.
Poi anche noi siamo convinti che forse sarebbe stato necessario dare un termine alle regioni per adempiere alla revisione dei loro statuti e delle leggi elettorali, e soprattutto che forse sarebbe stato utile pensare anche ad una sanzione per le regioni inadempienti: altrimenti potrebbe Pag. 9generarsi il dubbio che questa sia in qualche modo una legge che il Parlamento approva – e per carità, il Senato l'ha approvata col consenso unanime di tutti i gruppi parlamentari – più per appuntarsi una stelletta, per dimostrare che si legifera su una materia di grande impatto in termini di comunicazione, su una materia assolutamente popolare. Più insomma per dimostrare che si legifera in maniera per così dire politicamente corretta, ma scegliendo magari la strada più breve, più facile, non quella più tortuosa ma più giusta, di abbattere davvero le barriere, gli ostacoli che determinano un deficit di democrazia paritaria nel nostro Paese.
Ecco, queste sono alcune perplessità su uno strumento che è uno strumento che, nella misura in cui diventa una parte di un insieme di politiche per realizzare la democrazia paritaria, può essere guardato con favore, sì, però senza toni trionfalistici, perché questo dovrebbe essere giudicato solo come un segnale, come un primo passo.
Per inciso, poi, vorrei segnalare che è davvero singolare che si discuta dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica, per le istituzioni in questo ramo del Parlamento, mentre nell'altro ramo del Parlamento si discute di unioni civili: l'idea delle differenze di genere assume un connotato in un ramo, un altro in un altro ramo. Ma mi consentirà, Presidente, era giusto una battuta per dimostrare come spesso l'approccio del legislatore sia più orientato a realizzare, a rispondere ad un'ansia di legiferare seguendo ciò che è popolare, anziché orientato alla necessità di rimuovere ostacoli, barriere che impediscono di realizzare gli obiettivi, anche quelli che questa legge si propone.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – A.C. 3297)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e la rappresentante del Governo si riservano di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Grassi ed altri; Argentin ed altri; Miotto ed altri; Vargiu ed altri; Binetti ed altri; Rondini ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (A.C. 698-1352-2205-2456-2578-2682-A) (ore 14,42).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge n. 698-1352-2205-2456-2578-2682-A: Grassi ed altri; Argentin ed altri; Miotto ed altri; Vargiu ed altri; Binetti ed altri; Rondini ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 698-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Elena Carnevali.

ELENA CARNEVALI, Relatrice. Signor Presidente, rappresentante del Governo e colleghi, nel lessico della disabilità con l'espressione «dopo di noi» ci si riferisce Pag. 10al periodo di vita delle persone successivo alla scomparsa dei genitori o dei familiari.
È un termine che richiama immediatamente il desiderio di una parte dei genitori di assicurare al proprio figlio tutte le cure e l'assistenza di cui necessita dopo la loro morte, la volontà e l'apprensione di veder garantito quel progetto di vita costruito negli anni, e con fatica, ma anche la soddisfazione di vedere crescere i legami di solidarietà, l'amicizia, l'affetto, tempo per le esperienze occupazionali, il senso di un'esistenza non solo dignitosa ma compiuta appieno. Progetti di vita, quelli delle persone con disabilità, che oggi si realizzano esclusivamente grazie agli sforzi dei genitori, delle famiglie che si associano ma che devono trovare il necessario supporto dentro la rete dei servizi del territorio, dentro le comunità in cui vivono. Sono stati anni di attesa per molte persone con disabilità, per molte famiglie, di attesa della politica e di attesa del Parlamento. Già nella legislatura precedente una proposta di legge di Livia Turco ed altri arrivò al vaglio della Commissione bilancio, ma a quel punto il progetto si interruppe.
Oggi, dopo diciotto mesi di lavoro condiviso con tutte le forze politiche in Commissione, ampie audizioni, l'accoglimento di tutti i pareri favorevoli delle sette Commissioni con due sole condizioni, possiamo realizzare la speranza di un cambio di direzione.
Dico soprattutto un cambio di direzione perché, come dimostra lo studio europeo sulla deistituzionalizzazione e il vivere in comunità del 2008, l'asse portante delle politiche per la residenzialità per adulti in Italia, in particolare per la disabilità intellettiva, è l'istituzionalizzazione in servizi che hanno più di trenta posti, che rappresentano l'86 per cento dell'offerta. Altre soluzioni alternative sono una percentuale residuale, il 3,7 per cento, e inizialmente si rivolgono soprattutto alla disabilità lieve e moderata.
Certo, qualcosa in questi otto anni è cambiato in termini di offerta, ma soprattutto quello che è cambiato è l'approccio culturale nei confronti della disabilità ed è a questa che dobbiamo corrispondere.
La necessità e l'urgenza di normare, incentivare e sostenere la creazione di soluzioni alternative e la necessità di incrementare i livelli di sostegno non sono quindi più prorogabili.
Il provvedimento in esame è composto da dieci articoli, è frutto della sintesi di sei proposte di legge presentate da diverse forze politiche, rispettivamente a prima firma Grassi, Argentin, Miotto, Vargiu, Binetti e Rondini. Esso si pone l'obiettivo di corrispondere ad uno degli impegni contenuti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, in particolare il comma 1 dell'articolo 19, che si riferisce al diritto di scegliere liberamente, sulla base del principio di uguaglianza, dove e con chi vivere, ovvero non essere obbligati a vivere in una particolare sistemazione, come purtroppo ancora oggi avviene con il ricorso alle RSA.
Questa non è una proposta di legge esclusivamente dedicata a supporto della vita indipendente; la risposta a questa esigenza, per quanto non soddisfacente, è stata la legge n. 162, che ha modificato la legge n. 104, introducendo la norma per disciplinare e garantire il diritto ad una vita indipendente.
È vero, oggi agiamo ancora per via sperimentale attraverso i bandi del Ministero che promuove un modello a supporto della vita indipendente, ma non c’è un sistema strutturato; ci sono molte disomogeneità territoriali e, ahimè, dico anche un po’ di disimpegno da parte di alcune regioni.
A fronte di questo però dobbiamo sottolineare invece un dato: è per il secondo anno che noi garantiamo 400 milioni di euro per il Fondo nazionale della non autosufficienza, una parte del quale è dedicata proprio alla sperimentazione e alla messa in atto di progetti per la vita indipendente, e con un emendamento della collega Argentin abbiamo avuto un altro incremento di 5 milioni di euro nella fase emendativa.
Un provvedimento quello che discutiamo oggi che è centrato sulle persone Pag. 11con disabilità, è finalizzato a favorire il loro benessere, l'inclusione sociale e l'autonomia, come recita l'articolo 1, a favorire quella piccola rivoluzione copernicana dunque, una rivoluzione che è già partita in molte parti del Paese grazie ad alcuni enti locali lungimiranti, alle associazioni, a gruppi di famiglie, alle cooperazioni e alle fondazioni, che sperimentano modelli di accoglienza e di promozione per l'autonomia, di solidarietà, di accoglienza diffusa, di emancipazione della famiglia di origine, programmando e costruendo questi progetti già durante l'esistenza e la crescita in famiglia.
Definire la platea, quella a cui fa riferimento il comma 2 dell'articolo 1, è stato tra i vari passaggi che ha dovuto affrontare il Comitato ristretto, istituito presso la XII Commissione, quello più delicato. Tenere insieme le ragioni di bilancio con l'aspetto più delicato che è quello sociale, in particolare della disabilità adulta intellettiva, è stato a mio giudizio il modo per non vedere replicato un nuovo insuccesso, un atto di responsabilità.
Questa legge identifica con le persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento delle persone, da patologie connesse con la senilità, prive di sostegno familiare o a cui i genitori non sono in grado di sostenere la responsabilità dell'assistenza, la platea di riferimento.
Correggiamo un'altra stortura nelle prassi adottate fin qui, ovvero la definizione per categorie che determina l'accesso ai servizi. Al compimento del sessantacinquesimo anno non si è più disabili adulti, si diventa anziani non autosufficienti con il rischio di essere espulsi dai servizi e quindi di essere confinati esclusivamente nelle residenze sanitarie per anziani.
Qualificante l'attuazione dell'articolo 14 della legge n. 328, che riguarda il piano assistenziale personalizzato, o meglio, sarebbe utile chiamarlo progetto di vita delle persone. «Nulla su di noi senza di noi», recita uno slogan efficace adottato dal mondo associativo. Il progetto di vita si costruisce durante l'esistenza, la crescita, la fase adulta, tenendo conto della capacità di autodeterminazione, quando possibile, della volontà dei genitori, dell'amministratore di sostegno, delle inclinazioni, delle aspirazioni. Il progetto è di per sé dinamico, flessibile, mutevole e sta proprio qui, è questa la sfida a cui sono chiamati la rete dei servizi pubblici e del privato sociale, a questa prova, è l'unica strada che dobbiamo perseguire. È esplicitato nella legge che questa non sostituisce i livelli essenziali di assistenza o altri benefici che sono previsti per legge, è un richiamo doveroso perché così si fugano dubbi ed incertezze.
La legge agevola anche le erogazioni di soggetti privati, la costruzione del trust, uno degli istituti che è nel nostro ordinamento già adottato nelle prassi in quanto di utilità indiscussa, purché finalizzati in favore delle persone con disabilità grave e alle condizioni previste dall'articolo 6.
L'articolo 2 disciplina le modalità di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in campo sociale da garantire su tutto il territorio nazionale, nella costituzione quindi dei livelli essenziali delle prestazioni sociali. Questa definizione avviene nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che ha rimesso alla legge statale la determinazione dei livelli essenziali di assistenza da garantire sul territorio nazionale nelle materie diverse dalla sanità, prendendo a riferimento altre aree di intervento, stabilendo per ciascuna macroarea costi e fabbisogni standard, nonché le metodologie di monitoraggio e di valutazione dell'efficienza e dell'appropriatezza dei servizi offerti.
Viene comunque stabilito che, nelle more del completamento del procedimento di cui al citato articolo 13, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e previa intesa in Conferenza unificata, da emanarsi entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, vengono definiti gli obiettivi di servizio da erogare ai soggetti che abbiamo definito nell'articolo 1.
L'articolo 3, per le finalità quindi degli articoli 1 e 2, istituisce presso il Ministero Pag. 12del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare. L'accesso alle misure di assistenza, cura e protezione del Fondo è subordinato alla presenza di requisiti da individuare con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dalla legge, di concerto con quello dell'economia, previa intesa in sede di Conferenza unificata, intesa così come è stato chiesto dalle regioni. Le regioni definiscono i criteri per l'erogazione dei finanziamenti, la verifica dell'attuazione dell'attività svolta e le ipotesi di revoca dei finanziamenti medesimi.
Il Fondo a mio giudizio ha un valore, e il valore sta nella corresponsabilità tra i livelli istituzionali e il principio di sussidiarietà. In questo anno e mezzo di lavoro ho avuto l'occasione di incontrare, visitare, discutere, conoscere e raccogliere moltissime delle esperienze che sono ormai attive in Italia. Quelle realizzate dalle associazioni, da gruppi di famiglie, da fondazioni, da cooperazioni insieme agli enti locali, per creare non solo un ambiente favorevole per le persone con disabilità, ma le opportunità di partecipazione, di inclusione sociale, permettendo loro di vivere nel contesto familiare vissuto e conosciuto.
In più, il Fondo ha una caratteristica: essere triennale. La relazione tecnica ci dice: in tre anni, più di 150 milioni.
Voglio enfatizzare con forza questa cosa, perché chi siede in quest'Aula e ha provato l'esperienza di essere un amministratore locale sa quanto sia il valore per poter consentire di fare una programmazione strutturata. Progettare con e per le persone con disabilità, così come tutte le attività rivolte alla persona, è un esercizio di costruzione di reti di prossimità dentro le comunità in cui si vive. Si deve garantire sì una buona assistenza, ma, soprattutto, deve riguardare tutti gli aspetti della vita; solo così si realizza compiutamente l'attenzione alla dignità e all'integralità della persona. Un segno distintivo di questo Governo è dato dall'attenzione con la quale il Premier Renzi e la Ministra Boschi, insieme alla sottosegretaria Biondelli, hanno sostenuto con determinazione e con forza questo provvedimento in esame.
Le finalità del Fondo di cui all'articolo 4 mirano, attraverso gli obiettivi di servizio, a giungere progressivamente alla definizione di un nuovo livello essenziale di assistenza, in un contesto in cui, dalla pubblicazione della legge n. 328 del 2000, i Liveas non sono ancora stati definiti, realizzando quel percorso che deve tendere a garantire l'esigibilità del diritto. Questo è uno dei nostri obiettivi che vogliamo recuperare attraverso questa proposta di legge.
Riguardo alle finalità del Fondo, favorire e potenziare la deistituzionalizzazione non è una crociata contro le residenze sanitarie per disabili: in molte di esse c’è una qualità della cura, una qualità progettuale; in molte di esse ci sono molti ragazzi e ragazze che vivono serenamente, con molte e forti relazioni all'esterno e senso di appartenenza, ma ho visitato anche strutture di 120 posti che riproducono modelli organizzativi ospedalieri in reparti di venti, con la vita che si consuma nei corridoi e in piccole stanze per le attività comunitarie.
Noi questo non lo possiamo più accettare, noi questo non vogliamo più che si realizzi nel nostro Paese. Noi vogliamo che le persone abbiano la possibilità di scegliere, e questo oggi è possibile solo in rari casi. Per molti disabili l'alternativa si pone, come detto con chiarezza anche da molti rappresentanti, in questo periodo, del mondo associativo, tra il ricovero, spesso indifferibile, dato dalle norme, a volte in strutture non adeguate, e un'assistenza domiciliare, che, però, non per tutti può rappresentare o rappresenta una soluzione ideale.
Con questa proposta di legge, vogliamo avviare programmi, realizzare interventi innovativi di residenzialità che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa famiglia, sostenere le esperienze di gruppi in appartamento, un modello di micro accoglienza diffusa, valorizzando la mutualità tra le famiglie, le associazioni, Pag. 13gli attori pubblici e privati, anche al fine di evitare l'isolamento delle persone con disabilità, ma anche l'isolamento delle famiglie stesse.
Implementiamo un sistema di residenzialità per le persone con disabilità grave, tenendo conto del valore delle potenzialità delle nuove tecnologie per facilitare loro una vita in autonomia. Finanziamo l'abilitazione e lo sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia, perché non c’è «dopo di noi», se non attraverso quei progetti di distacco dalla famiglia, di sperimentazioni progressive che si realizzano esclusivamente durante noi, cioè durante la vita in famiglia delle persone con disabilità.
Al finanziamento di questi programmi e di questi interventi possono concorrere le regioni, gli enti locali, gli organismi del terzo settore, nonché i soggetti di diritto privato. L'esito delle audizioni che abbiamo svolto, e dico molte, molte audizioni, e anche alcune proposte di legge che sono confluite nel testo unificato, ci hanno portato a introdurre anche due articoli: uno riguarda le assicurazioni, sempre a favore delle persone con disabilità, e la regolamentazione, oltre che alcune lievi agevolazioni, di uno degli strumenti giuridici, che è il trust, all'articolo 6.
Per le assicurazioni viene aumentata la detraibilità da 530 a 750 euro e sono previste, invece, più cogenti condizioni per l'attivazione di un trust in favore delle persone con disabilità; l'esenzione di un'imposta di successione, dell'imposta fissa e di un'imposta di registro catastale e ipotecaria avviene solo nel rispetto delle finalità e delle condizioni che sono ben descritte nell'articolo 6. Si tratta, sostanzialmente, di eventuali minori entrate per lo Stato, rispetto alle quali, a mio giudizio, sarebbe utile verificare l'effettiva fruizione ed identificare in futuro un meccanismo che preveda che gli eventuali risparmi ottenuti possano essere quindi utilizzati per rafforzare e incrementare il fondo pubblico.
Signor Presidente, signora sottosegretaria e colleghi, penso che possiamo essere orgogliosi del traguardo e dell'ambizione che vogliamo raggiungere; possiamo colmare un gap che da troppi anni questo Paese ha soprattutto nei riguardi delle politiche in favore della disabilità, onorando quell'impegno assunto per favorire delle risposte che da troppo tempo migliaia di famiglie attendono e sono sicura che questo Parlamento non si sottrarrà a questo importante compito (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire in replica.
È iscritta a parlare la deputata Piazzoni. Ne ha facoltà.

ILEANA CATHIA PIAZZONI. Signor Presidente, signora sottosegretaria, onorevoli colleghi, in questi giorni il Parlamento e l'opinione pubblica sono fortemente impegnati nel dibattito sui diritti civili, una discussione che pone finalmente al centro la necessità che la politica si occupi del cambiamento della società, della sua cultura e della sua organizzazione. Sarebbe bene che anche per gli altri temi si ragionasse sempre a partire dalla fotografia della realtà, dando alle statistiche e agli studi sui cambiamenti sociali, che avvengono il più delle volte a prescindere dalle scelte politiche, la giusta centralità.
Se ci atteniamo a questo metodo, nella discussione sul tema della disabilità dobbiamo partire necessariamente dal forte ritardo del nostro Paese verso una riforma del welfare che tenga conto dell'attuale struttura sociale e delle esigenze di cura e benessere molto diverse rispetto a qualche decennio fa. Il modello di welfare italiano, incentrato sulla delega alle famiglie, è in profonda crisi, ora che i mutamenti sociali e demografici hanno stravolto i rapporti di cura che legavano in un circuito virtuoso, di reciproca assistenza, nonni, figli e nipoti.
Se questo vale per tutte le famiglie, ancor più riguarda le famiglie che hanno al loro interno persone con disabilità gravi, per le quali, oltre alla fatica quotidiana, si aggiunge l'angoscia per il futuro, Pag. 14nel momento in cui coloro che danno cure e assistenza non ci saranno più. Questa proposta di legge nasce dalla volontà di dare una risposta a questa angoscia e spostare le preoccupazioni del «dopo» dalla famiglia all'intero contesto sociale. È la collettività tutta che deve farsi carico dei diritti delle persone disabili e trovare delle risposte adeguate ed è tanto più necessario e urgente in quanto il progresso medico e tecnologico ha fatto sì che la vita delle persone con disabilità, anche grave, si sia allungata di molto e che molte opportunità sconosciute si aprono alla possibilità di vita autonoma anche per chi è costretto alla non autosufficienza da handicap di grande impatto.
La proposta non nasce nel chiuso delle Aule parlamentari: raccoglie e fa tesoro delle buone prassi, delle tante esperienze che si sono organizzate negli anni sul territorio, grazie al lavoro e alla creatività di straordinari operatori e imprenditori sociali e al coraggio e all'intraprendenza di molti genitori. Grazie alla collaborazione tra ente pubblico e privato, genitori, risparmi di privati, finanziamenti pubblici e del terzo settore, sono state realizzate tantissime iniziative, che possono vantare ottimi risultati.
Sarebbe bene conoscere approfonditamente questi dati di realtà, invece di dipingere qualsiasi iniziativa come finalizzata al lucro senza scrupoli. Le comunità, le fondazioni, le case famiglia e le comunità alloggio sono esperienze che nascono dalla conoscenza diretta delle esigenze dei disabili e delle loro famiglie ed hanno come obiettivo quello di consentire il più possibile la realizzazione di percorsi di vita autonoma o assistita con la massima cura; una cura che metta al centro i bisogni affettivi e di socializzazione delle persone con disabilità, prima ancora di quelli sanitari.
Esattamente il contrario, dunque, del pericolo, ventilato da alcune opposizioni, che questa legge possa favorire l'istituzionalizzazione in strutture di stampo sanitario; anzi, alla base del provvedimento c’è proprio la volontà di uscire dalla logica emergenziale che costringe a scelte di istituzionalizzazione nel momento della scomparsa del genitore o nel momento del venir meno della loro possibilità di cura.
E, ancor più importante, si badi, si parte dall'idea di un percorso centrato sul progetto individuale, che deve iniziare dalla progressiva presa in carico della persona interessata già durante l'esistenza in vita dei genitori: il «durante noi», quindi, che significa passare dalla logica della situazione di emergenza a quella del diritto di tutti ad avere una casa, in cui poter esprimere il proprio modo di vivere e la propria individualità di cittadino adulto; una casa intesa come sistemazione abitativa adeguata, stabile, consona alle aspirazioni, che realizzi anche la possibilità di emanciparsi dalla famiglia d'origine, come è naturale per ciascuno di noi.
Noi vogliamo dare alle famiglie e alle persone con disabilità la possibilità di progettare il proprio futuro, mettendo a disposizione strumenti e risorse che non vogliono certo imporre un percorso standard – altrimenti che libertà di scelta ci potrebbe essere ! –, ma tanti possibili percorsi tra cui scegliere quello più rispondente alle esigenze e alle preferenze della famiglia.
Non mi convince, poi, l'idea, avanzata da alcuni, che non ci sia bisogno di questa legge, perché basterebbe garantire alle persone con disabilità quanto già previsto dalla normativa resistente. Troppo spesso alle persone con disabilità vengono assicurate attività e iniziative per riempire il tempo, senza un progetto di futuro. Questa legge riconosce che le persone con disabilità grave crescono, concludono i loro percorsi educativi e hanno diritto a spazi tipici della vita adulta. È un cambio di paradigma fondamentale e costringe ad uscire dalla logica di progetti finanziati per un lasso limitato di tempo, per concentrarsi su progetti di vita a lungo termine; non è un percorso semplice, le famiglie sentono il peso della cura, ma contemporaneamente sono schiacciate dalla paura di affidare il figlio disabile ad altri.
È molto difficile il percorso di crescita e di autonomia del figlio disabile e questa difficoltà, spesso, comporta la permanenza Pag. 15del disabile nel nucleo familiare, anche quando non sarebbe strettamente necessario. La disabilità, anche a causa dello stigma sociale di cui la nostra cultura è ancora troppo permeata, produce isolamento e solitudine, sia per la persona disabile, che per la sua famiglia.
L'importanza di questa legge, dunque, sta anche nel favorire ad abituare le famiglie alla cooperazione e a uscire dall'isolamento, perché naturalmente la questione del dopo, per un genitore, non è tanto sul dove vivrà il figlio disabile, ma è sul chi si occuperà di lui; è la necessità che la funzione di sostegno, per tutte le cose che il figlio non riesce a fare da solo, sia assicurata da qualcun altro in cui si possa riporre fiducia.
Per questo ritengo un elemento fondamentale della legge gli incentivi all'istituto giuridico del trust, accompagnati da condizioni molto precise a tutela del disabile e di coloro che intendono avvalersi di questo strumento per garantire il rispetto delle proprie volontà anche dopo la propria scomparsa. Il trust è un bene vincolato con un corollario di regole e indicazioni a cui la persona affidataria, il trustee dovrà rigorosamente attenersi. Desideri e progetti dei genitori diventano legge e le violazioni saranno perseguibili davanti al giudice e, anche qui, si tratta di una scelta che va fatta «durante noi», quando i genitori sono nelle condizioni di pensare e progettare il futuro del figlio disabile.
Infine, un cenno a un'altra importante previsione della legge, cioè l'aumento del tetto di detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave. Chi straparla di favore alle lobby e alle compagnie di assicurazioni dimostra di non avere conoscenza della struttura del welfare degli altri Paesi europei, quelli, per intenderci, dove la protezione sociale è molto più elevata che nel nostro Paese. La diffusione di coperture assicurative specifiche, infatti, non va di pari passo a una riduzione del welfare, accompagna, anzi, lo sviluppo della civiltà in direzione di un'attenzione verso i disabili molto maggiore rispetto al passato, oltre che all'allungamento della vita media degli stessi, di cui ho parlato prima, che porta le famiglie a cercare tutti gli strumenti possibili per assicurare una vita dignitosa ai propri figli con disabilità anche dopo la loro morte. L'incentivo previsto dalla legge sostiene le famiglie che possono permetterselo in scelte utili ad assicurare una maggiore tranquillità e maggiori garanzie per la vita futura dei figli disabili, senza che questa venga ovviamente considerata l'unica via perseguibile dalle famiglie. Polemiche, quindi, del tutto fuori luogo, che sono certa non riusciranno davvero a oscurare il grande risultato di una legge attesa da tantissimi anni e che inciderà direttamente e concretamente nella vita di migliaia di famiglie.
Forte è la volontà del Partito Democratico e del Premier Matteo Renzi affinché il 2016 sia l'anno dei diritti; diritti che non hanno bisogno di retorica, ma di leggi pratiche che li promuovano e li proteggano, hanno bisogno di politiche concrete e dallo sguardo profondo, come questa proposta di legge, una volta approvata, sono certa, dimostrerà sul campo di saper fare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza del collega Massimo Baroni iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunziato.
È iscritta a parlare la deputata Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membro del Governo, il fenomeno della disabilità interessa circa il 15 per cento delle famiglie italiane, ciò nonostante non esiste attualmente a livello internazionale una univoca definizione del termine disabilità, anche se il concetto di disabilità è stato dibattuto in occasione di numerose conferenze internazionali promosse da organismi quali l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Io ho sintetizzato questa mia relazione che ha occupato, dall'inizio della legislatura, come una sorta di dorsale, tutto il lavoro della nostra Commissione a conferma Pag. 16di quello che diceva la relatrice, di un interesse trasversale, ampio e forte, in piena condivisione, peraltro, con il Governo, su un tema di diritti su cui io credo che non ci siano eccezioni da parte di nessuno. L'ho sintetizzata in otto punti e cercherò di essere precisa.
Primo punto: si tratta di un preciso diritto delle persone. La mancanza di una definizione chiara e integrata del doppio concetto di disabilità e di gravità rende difficile effettuare una quantificazione esaustiva dei soggetti aventi diritto alle disposizioni previste dalla proposta di legge. In realtà, si va facendo sempre più strada l'idea che l'attenzione debba concentrarsi sui fattori di natura sociale e soggettiva che determinano il quadro funzionale da cui poi, in definitiva, dipende il grado di autonomia del soggetto. Sono tutti elementi che rendono unico ogni caso, sia per il quadro psicofisico, che per il contesto socio-familiare in cui è inserito.
Ciò che è assolutamente chiaro è che non si tratta di misure di beneficenza dettate dalla magnanimità di un sistema politico ed economico in collaborazione con la creatività tipica del volontariato; si tratta – pur riconoscendo valore a tutte queste componenti, in particolare, al volontariato stesso – di precisi diritti di persone che non sono più autonome e alle quali è venuta meno, per una serie complessa di ragioni, la rete del supporto familiare. È il diritto a veder rispettato il proprio diritto alla vita e alle cure necessarie che esige risposte concrete e che rappresenta un dovere a tutti i diversi livelli istituzionali.
L'Assemblea generale dell'ONU ha approvato, il 25 agosto del 2006, in occasione dell'adozione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, resa poi in Italia esecutiva dalla legge n. 18 del 2009, un importante documento finale, che pone l'accento sul diritto del soggetto affetto da grave disabilità a una serie di interventi che gli consentano di vivere una vita il più indipendente possibile, rispettando fino in fondo la sua volontà e le scelte che intende fare.
Sotto il profilo del riconoscimento dei diritti dei disabili, la sensibilità è andata mutando negli ultimi anni e dalla Dichiarazione di Madrid, promulgata nel 2002, in occasione dell'Anno internazionale della disabilità, dove già si spostava l'asse di interesse da una visione eminentemente medico-scientifica ad una prettamente sociale, si è arrivati alla citata Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. La Convenzione si richiama esplicitamente a diversi principi della Dichiarazione universale dei diritti umani: non discriminazione, uguaglianza, pari opportunità e rispetto dell'identità individuale.
Il secondo punto che voglio sottolineare, in qualche modo, è venuto fuori anche nella relazione delle colleghe che mi hanno preceduto ed è l'intersezione indispensabile fra i due tipi di welfare che questa legge, in qualche modo, realizza. È un problema sociale di ampio respiro dai profondi risvolti etici che si pone nello snodo tipico in cui il welfare verticale incrocia il welfare orizzontale, analogamente a quanto accade nell'intersezione tra la sussidiarietà verticale e quella orizzontale.
La famiglia e lo Stato non possono, in nessun caso, venire meno alle loro responsabilità e, pur cercando di rendere il più sinergiche possibili le loro iniziative, ognuno deve fare quanto di propria competenza. Diritti e doveri creano un gioco di specchi reciproci, in cui è possibile ad ognuno comprendere meglio il senso della propria mission e non sottrarvisi proprio quando la situazione si fa più tesa e difficile.
Il mondo della disabilità ha progressivamente vissuto profonde trasformazioni e, a partire ancora dagli anni Settanta, c’è stata un'azione di rinnovamento dei servizi e degli interventi a favore del disabile. Questa fase di mutamenti coincide con l'inizio di un progressivo decentramento delle competenze, che dallo Stato sono passate alle regioni.
Il processo di inserimento dei portatori di handicap oggetto delle politiche sociali si è andato via via affinando, fino a Pag. 17diventare, oggi, un processo di integrazione con le realtà territoriali sempre più dinamico e creativo.
Ma la vera metamorfosi, più che nell'ampiezza dei servizi messi a disposizione delle persone disabili, si è avuta nel cambio di prospettiva che si è creata a vari livelli, sintetizzabile in tre passaggi chiave: non più una semplice inclusione sociale per le persone disabili, ma una vera e propria integrazione; non più un approccio di tipo medicale, con l'accento posto sul deficit del soggetto, ma un approccio bio-psico-sociale, con l'accento posto sulla valorizzazione delle competenze del soggetto e sulla loro spendibilità sociale; non più un approccio paternalistico, sostitutivo nei processi decisionali, ma piena valorizzazione del diritto del soggetto a ottenere quanto serve al suo piano di sviluppo.
Terzo punto, quindi, il passaggio dall'inclusione all'integrazione. Tra i due termini, «inclusione sociale» e «integrazione sociale», va fatta un'importante distinzione: l'inclusione sociale può essere definita come la situazione in cui le disparità tra le persone, con una serie di interventi multidimensionali, consentono agli individui di vivere secondo le proprie possibilità, i propri valori e le proprie scelte, migliorando le loro condizioni di vita; per integrazione sociale si intende qualcosa di più profondo, come l'inserimento delle persone, con le loro stesse disabilità, in un contesto in cui non ci siano discriminazioni di alcun tipo, come accade con la più recente legge, il decreto legislativo n. 151 del 2015, a proposito, per esempio, del collocamento mirato.
L'integrazione è, quindi, un processo più complesso, che coinvolge l'intero tessuto sociale, e il processo di integrazione si realizza attraverso un equilibrio interno al sistema, che mette in movimento numerosi e variegati processi di cooperazione sociale e di coordinamento tra i ruoli e le istituzioni, nessuno escluso.
Quanto al concetto di gravità, vale la pena tenere presente che, qualche anno fa, alcune persone disabili hanno avuto l'acuta e orgogliosa intuizione di sottolineare come, anche in presenza di una menomazione importante, riescano a produrre, a realizzare ed essere competitive con il resto del mondo, il che è vero. Per definire questa condizione hanno coniato il neologismo di «diversamente abili». Ci sono persone, però, più di quanto si creda, la cui principale e vitale esigenza non è quella di trovare un lavoro o un collocamento mirato, ma quella di assicurarsi un servizio di assistenza che renda meno gravosa l'insostenibile pesantezza del quotidiano per i loro familiari, a cui è delegata in toto, da distretti, comuni e servizi sociali, la loro stessa sopravvivenza. Sono le persone con handicap gravissimo, che potremmo definire diversamente ospedalizzate; sono portatori di esigenze particolari, che sono tanto più gravi in quanto meno trovano risposta.
Quarto punto, quindi, la diagnosi funzionale dell'OMS e il ruolo della famiglia. L'OMS, nell'arco di vent'anni, è passata da una definizione della disabilità, che partiva dalla condizione di disagio e di patologia del soggetto, a una definizione che ribalta completamente la valutazione del disagio, mettendo in primo piano il livello di salute e di autonomia del soggetto.
La classificazione internazionale delle disabilità oggi appare superata, perché non teneva sufficientemente conto che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può anche esserlo solo temporaneamente. Negli anni Novanta l'OMS ha riformulato, quindi, la classificazione, tenendo conto dell'aspetto dinamico della disabilità e ha creato una nuova classificazione, l'ICF, cioè la classificazione internazionale di funzionalità o classificazione dello stato di salute. La nuova classificazione definisce lo stato di salute delle persone con disabilità piuttosto che le limitazioni e, di fatto, introduce anche una classificazione dei fattori ambientali che maggiormente influiscono sul benessere bio-psico-sociale del soggetto; tra questi ovviamente include anche gli aspetti familiari, intesi sia come rete di affetti e, quindi, come legami duraturi nel tempo, sia la loro capacità effettiva di farsi carico del soggetto con disabilità nelle diverse fasi della sua vita.Pag. 18
Il concetto di disabilità, quindi, identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale. I fattori biomedici non sono più gli unici ad essere presi in considerazione, ma si considera anche e soprattutto l'interazione sociale e l'approccio diventa multi-prospettico: biologico, personale e sociale.
Questa nuova classificazione è coerente con un diverso modo di valutare la persona, cioè una valutazione che è anche una valorizzazione di ciò che essa è e di ciò che essa può fare. Ogni fattore interagisce con gli altri e i fattori ambientali e personali non sono meno importanti dei fattori organici.
Ciò che fondamentalmente è diverso è l'ambito di applicazione della nuova visione della disabilità: mentre l'ICIDH si limitava al semplice ambito della disabilità, l'ICF descrive vari gradi di funzionalità, partendo dall'interazione tra i suoi fattori. Quinto punto: la legge e il pesante divario tra le politiche sociali e le politiche sanitarie. Se tutto ciò risulta ampiamente acquisito a livello scientifico e nell'elaborazione culturale in cui nascono e si sviluppano i programmi di formazione per le persone disabili e per le figure professionali che devono offrire loro e alle loro famiglie il sostegno necessario, è molto meno ovvio e operativo a livello di politiche per la disabilità, dove persiste ancora un'eccessiva distinzione tra politiche sanitarie e politiche sociali. Le prime conservano una loro oggettiva consistenza a carico del servizio sanitario nazionale mentre le seconde sono state fatte oggetto di tagli sempre più drammatici in questi anni di crisi, sottraendo al soggetto e alla sua famiglia quanto era davvero essenziale per tutti loro. Più volte, infatti, si è cercato di introdurre il concetto di livello essenziale di assistenza socio-sanitaria, coniando il neologismo LEAS, ma senza riuscire a renderli realmente applicabili. Eppure, il dibattito che ha portato l'OMS a passare dell'ICIDH all'ICF fa perno proprio sulla rilevanza sociale che bisogna prestare alla disabilità sul piano diagnostico e sul piano dell'intervento socio-terapeutico. La Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, all'articolo 1, che ne definisce lo scopo, promuove tutti i diritti delle persone disabili, al fine di assicurare loro uno stato di uguaglianza, mentre l'articolo 3 indica i principi entro i quali la Convenzione si muove, elencandoli con chiarezza: il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione, la non discriminazione, l'integrazione sociale, l'accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile, il rispetto delle pari opportunità e dell'uguaglianza tra uomini e donne, l'accessibilità, il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili. In questo senso un'attenzione particolare merita proprio il riferimento alla famiglia delle persone con disabilità. Per il disabile, il sostegno familiare è da sempre la più immediata e completa delle soluzioni ai bisogni assistenziali e ai problemi dell'integrazione sociale. Il 68,2 per cento degli aiuti ricevuti dai disabili proviene infatti da parenti più o meno stretti, anche se una situazione simile, tuttavia, rischia di produrre situazioni di netto svantaggio per tutti i membri della famiglia. Spesso, infatti, per accudire e assistere il disabile o il convivente essi riducono la quantità di tempo dedicata al lavoro, con una conseguente diminuzione del reddito, oppure decidono di affidarsi a quelle figure che ormai da tempo rappresentano la prima fonte di sostegno e assistenza per gli individui non più autosufficienti, le cosiddette badanti, a cui però occorre dedicare una formazione specifica nel loro ruolo di assistenza, mentre attualmente ci si limita solo ad una generica buona volontà, supportata nel migliore dei casi da un sano buonsenso. Negli ultimi decenni le associazioni dei familiari sono state, con gli operatori e le organizzazioni del terzo settore, elemento di stimolo alle istituzioni ed hanno espresso con continuità un'azione che ha contribuito a promuove importanti cambiamenti normativi, dalla legge n. 118 del 1971 alla n. 517 del 1977, sull'integrazione scolastica, alla legge n. 18 del 1980, sull'indennità di accompagnamento, alla n. 104 del 1992, legge quadro in materia di assistenza ed integrazione Pag. 19sociale, fino alla legge n. 68 del 1999 sull'inserimento lavorativo. Si tratta sicuramente di un complesso di leggi che hanno promosso un rilevante processo di integrazione sociale e che hanno contribuito a sviluppare una rete di servizi e di opportunità. Il vero punto debole, però, sta nel fatto che non affrontano quello che viene definito il problema del dopo. Infatti, ciò che da sempre preoccupa maggiormente i genitori di persone disabili riguarda il dopo, il momento in cui essi diventano anziani e non possono più assistere un figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana e soprattutto il momento in cui genitori non ci saranno e il figlio disabile dovrà trovare chi lo assiste. Numerose associazioni, spesso promosse dai genitori o da familiari di persone disabili, anche in collaborazione con gli enti locali, hanno cercato di dare risposta a queste situazioni in cui fragilità e precarietà reclamano a gran voce soluzioni efficaci. Il risultato, però, è quello di una rete di iniziative fortemente disomogenea, poco capace di mettere in luce le migliori best practice sul piano nazionale. Le ragioni di eccellenza dell'una o dell'altra iniziativa sembrano risiedere più nella forza motivazionale di chi le propone che non nel modello organizzativo in se stesso, per cui risultano spesso non replicabili. Settimo punto: l'esigenza di una legge come quella che stiamo discutendo. Il problema del «dopo di noi», dopo la nascita di un bambino disabile, dopo il trattamento riabilitativo, dopo la scuola, dopo la morte dei genitori (dopo, dopo, dopo...) è giustamente sentito dei genitori come un problema che va affrontato consapevolmente insieme alle istituzioni e a quanti si faranno carico delle persone con disabilità.
Si tratta di attivare un processo di affrancamento graduale che prende in considerazione tutti gli aspetti, da quelli economici a quelli socio-organizzativi, da quelli relazionali e affettivi a quelli più pragmatici e concreti: tutto va fatto «durante noi» ossia mentre i genitori sono in vita e possono partecipare fattivamente a questo processo creativo di reti di servizio su misura per il proprio figlio. Ma questo pensiero lungo, che non si accontenta di soluzioni a breve termine e in cui le responsabilità si scolpiscono per rimanere a garanzia dei diritti di chi potrebbe non essere in grado di farsi valere, spesso ha rallentato il dialogo tra le famiglie, lo Stato e le organizzazioni sociali preposte; ha generato tensioni, chiusure, regressioni, una forzata ricerca di soluzioni individuali che spesso si sono rivelate inadeguate, costose e a volte del tutto negative. Manca, infatti, ad oggi un quadro complessivo di norme e di agevolazioni che consentano alle famiglie prima di tutto e alle istituzioni locali di definire, programmare e attuare percorsi individualizzati e questo è l'obiettivo del provvedimento in esame. Questo, rispetto al quale io stessa sono prima firmataria di uno dei testi che hanno contribuito a creare una proposta unitaria, si muoveva in tale prospettiva. Individuava cinque obiettivi fondamentali: individuare le risorse finanziarie necessarie per incrementare il sistema di protezione sociale e di cura per le persone affette da gravi disabilità, prive del sostegno familiare, attraverso regimi fiscali agevolati per le erogazioni liberali; secondo, favorire l'attivazione di progetti che abbiano come obiettivo principale la vita indipendente delle persone affette da gravi disabilità integrando le possibili risorse a cui hanno diritto; terzo, sostenere progetti volti alla creazione di famiglie-comunità e di case-famiglia in cui inserire progressivamente le persone affette da gravi disabilità; quarto, istituire un Fondo per l'assistenza alle persone affette da gravi disabilità prive del sostegno familiare; quinto, infine, prevedere e disciplinare l'istituzione di fondi di sostegno a favore delle persone affette da gravi disabilità attraverso la tutela del patrimonio familiare che si vuole destinare con regimi fiscali agevolati per la costituzione del Fondo stesso; adottare iniziative normative volte ad agevolare la sottoscrizione di polizze previdenziali e assicurative finalizzate alla tutela delle persone affette da gravi disabilità, in particolar modo appunto nel momento del «dopo di noi». Il Pag. 20testo unificato, come è stato sintetizzato dalla relatrice, elaborato in modo davvero ampiamente discusso, dettagliato, preciso, puntuale, tornando e ritornando sugli aspetti che sembravano meno chiari, interagendo costantemente anche con le associazioni che si occupano di questi problemi, è quello di favorire benessere, inclusione e autonomia delle persone con disabilità grave prive del sostegno dei genitori, realizzando una progressiva presa in carico del soggetto disabile. Le nuove norme includono i LEA e tutti gli altri benefici già previsti dalla normativa; non si pongono in modo sostitutivo ma in modo integrativo in favore del disabile, facilitando l'erogazione da parte di soggetti privati, e prevedono la costituzione di un trust proprio in favore delle persone con disabilità. I dieci articoli del provvedimento, come è stato già detto, riconoscono le radici di ciò che propongono in tre punti fondamentali: la nostra Costituzione, in particolare gli articoli 2, 30, 32 e 38; la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in particolare gli articoli 24 e 36; la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, in particolare gli articoli 3 e 19 come ho già citato.
L'articolo 2, come è stato già detto, stabilisce che i livelli essenziali delle prestazioni da garantire ai soggetti disabili sono definiti nell'ambito di un processo di determinazione attraverso gli obiettivi di servizio a cui rimanda l'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011. Il comma 2 dell'articolo 2 prevede che nelle more del provvedimento – proprio perché la nostra intenzione era che potesse andare in vigore nel 2015 – il Ministero del lavoro, di concerto con il Ministero dell'economia, sentita la Conferenza unificata, definisca transitoriamente, con proprio decreto, gli obiettivi di servizio da erogare nei limiti della disponibilità del Fondo. Questo per precisare che la volontà ferma della Commissione era quella di dare subito risposte, essendo totalmente consapevoli che troppo tempo è passato, troppo si è aspettato, e l'ansia di questi genitori, che, non dimentichiamo, sono i genitori che guardano i figli in attesa del proprio venir meno, veramente non permette ulteriori prolungamenti di tempo.
L'articolo 3 istituisce il Fondo, demanda ad un decreto del Ministero del lavoro l'individuazione dei requisiti per accedere alle misure di assistenza e stabilisce anche la ripartizione delle risorse del Fondo, mentre alle regioni sono demandate la modalità di concessione ed erogazione dei finanziamenti, la verifica delle attività svolte, la loro pubblicità e le ipotesi che possono configurare la revoca.
L'articolo 4 definisce le finalità del Fondo e in particolare fa riferimento ai programmi di supporto alla domiciliarità, la possibilità di realizzare interventi di permanenza temporanea in caso di emergenze familiari e la possibilità di realizzare interventi di residenzialità tesi a creare strutture alloggiative familiari. Il testo unificato, pur volendo mantenere un approccio generale, ha voluto evitare in ogni caso di essere generico e ha cercato di prendere in considerazione le tre possibilità cui può andare incontro una famiglia: dover in qualche modo, anche in via sperimentale, ottenere che il proprio figlio – quasi sempre si tratta di figli – possa essere collocato in una struttura e verificare la possibilità di adattamento alla struttura e la possibilità, invece, di intervenire positivamente a trasformare in una sorta di casa, in un contesto familiare, quel nuovo luogo, perché non sia un luogo estraneo ma sia un luogo a misura dei suoi bisogni. Tutto questo questa legge cerca di farlo, mettendo non solo molta testa, non solo stanziando risorse economiche individuate ma non dimenticandosi mai di mettere anche molto cuore.
Infine, nell'articolo 5 è aumentato il tetto della detraibilità delle spese, e passare da 530 euro a 750 non è poca cosa. Visto così si potrebbe dire: cosa sono 200 euro ? Ma sono i famosi 200 euro moltiplicati per tutta la platea dei disabili che costituiscono un onere non indifferente per lo Stato, forse non del tutto sufficiente a coprire i bisogni ma sicuramente un segnale positivo e concreto di attenzione.
L'articolo 6 guarda alle agevolazioni tributarie per i trust costituiti in favore Pag. 21delle persone affette da disabilità grave. Ci sembra molto importante questo articolo che prende in considerazione la formazione di questi trust, perché cerca di assicurare che siano dedicati esclusivamente a finalità assistenziali: quindi che non si possa creare in nessun caso conflitto d'interesse, che il beneficiario sia sempre la persona concreta a cui è indirizzato, che termini nel momento in cui la persona concreta viene meno e che contenga l'indicazione di chi si prenderà cura della gestione di questi, che sarà una sorta – non l'abbiamo voluto chiamare amministratore di sostegno – di garante di tutto l'istituto e a cui compete di stabilire che cosa si debba poi fare di questo capitale nel momento in cui la persona non ci sarà più. L'unica cosa che voglio sottolineare, a parte la relazione che dovrà essere fatta al Parlamento, è il fatto che è posta sotto la stretta amministrazione della Presidenza del Consiglio la campagna informativa sulle nuove disposizioni legislative per favorire proprio l'inclusione sociale del disabile. Su questa campagna informativa a noi piacerebbe che, nel momento stesso in cui la legge venisse approvata, la Presidenza del Consiglio dei ministri assumesse in toto questa responsabilità di comunicazione e di trasparenza, perché nello stesso tempo è una grande comunicazione di speranza e di servizio alle famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. Secondo un recente rapporto del Censis le persone con disabilità in Italia sono più di 4 milioni, dunque il 6,7 per cento della popolazione, e il Censis prevede che questo dato sia in costante crescita nel corso degli anni che verranno. Nel 2020 i disabili in Italia, secondo i calcoli fatti dall'Istituto, saliranno a circa 4,8 milioni, quindi il 7,9 per cento della popolazione, e raggiungeranno i 6,7 milioni nel 2040, quindi ben oltre il 10 per cento della popolazione. È evidente che per il disabile il sostegno familiare rappresenta da sempre la più efficace e completa delle soluzioni ai bisogni assistenziali e ai problemi dell'integrazione sociale e ben il 68,2 per cento degli aiuti ricevuti dai disabili proviene proprio dai parenti più o meno stretti.
Le famiglie che vivono situazioni di disabilità, dopo aver dedicato un'intera vita ad assistere familiari con disabilità gravi, vivono con angoscia il problema di come assicurare un futuro dignitoso a questi familiari, quando appunto le famiglie non saranno più in grado di provvedervi. È chiaro quindi che il perno del welfare per i disabili è rappresentato nel nostro Paese proprio dalle famiglie, sulle quali ricadono la responsabilità e il peso dell'assistenza della persona con disabilità, soprattutto in età adulta. I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle famiglie con sostegni istituzionali che purtroppo sono assai limitati. Dal confronto con gli altri Paesi europei emerge infatti che la spesa per prestazioni di protezione sociale per la disabilità è pari a 437 euro pro capite all'anno nel nostro Paese, ma la spesa media europea è di circa 535 euro, quindi quello che noi spendiamo per la disabilità è di molto inferiore alla media europea. E certamente una delle preoccupazioni più forti per i genitori di persone disabili riguarda il dopo, il momento in cui essi diventeranno anziani e non potranno più assistere un figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana e soprattutto il momento in cui i genitori non ci saranno più e il figlio disabile dovrà trovare chi lo assiste. Si tratta di una preoccupazione che riguarda naturalmente tutto il nucleo familiare e gli stessi figli disabili che si trovano a vivere una situazione di profonda sfiducia, una situazione di angoscia e di scoramento.
Ora, è per queste ragioni che una legge che si occupi compiutamente del «dopo di noi» è una legge che merita di essere condivisa, proprio perché risponde a questo senso di angoscia, rappresentando così un sostegno concreto e stabile per le famiglie. Non sfugge a nessuno l'estrema Pag. 22delicatezza delle situazioni personali e familiari che il provvedimento che ci apprestiamo ad esaminare è finalizzato a sostenere e ad alleviare. Le disabilità sono tante e di diverso tipo ma l'elemento senz'altro comune è la necessità di studiare programmi e modalità che siano condivisi dalla famiglia nel cosiddetto «durante noi», cercando di dar voce il più possibile a programmi individuali, come del resto prevedeva la legge n. 162 del 1998, che appunto disponeva la definizione di piani personalizzati di sostegno in favore di persone con handicap grave e riconosceva la possibilità di programmare interventi di sostegno alla persona e al familiare con prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti locali a favore delle persone con handicap di particolare gravità. Ma su questo fronte la legge è sostanzialmente rimasta inapplicata, lasciando il compito di accudire il disabile ad un altro familiare.
Ci sono state poi altre innovazioni legislative, per esempio l'articolo 14 della legge n. 328 del 2000, che ha specificato le tipologie di interventi individuali spettanti ai comuni d'intesa con le aziende sanitarie locali, volti alla realizzazione della piena integrazione delle persone disabili, individuandoli nelle prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, nei servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale.
Ora, come è evidente, anche dall'esame delle leggi che regolano questa materia, appare assolutamente ineludibile la circostanza che manchi nella normativa nazionale una legge, un contesto di norme che rechino misure specifiche per le persone disabili prive di sostegno familiare. Questo provvedimento arriva in Aula dopo un lungo, approfondito, anche travagliato iter, perché è durato quasi due anni ed è iniziato nella scorsa legislatura.
Ora il testo è finalmente in Aula. È una buona cosa: contiene delle previsioni normative assolutamente condivisibili, come l'incremento da 530 a 750 euro della detraibilità dei premi per le assicurazioni versati per i rischi di morte, la cancellazione dell'imposta di successione e di donazione per i beni oggetto di trust, costituito a favore dei disabili, la deducibilità delle erogazioni liberali, delle donazioni e degli altri atti a titolo gratuito, effettuati dai privati nei confronti dei trust; quindi tante buone cose che meritano secondo me una condivisione la più larga possibile da parte del Parlamento. Ci dispiace semplicemente che una legge come questa abbia visto, nel corso della discussione, estremamente ridotta la dotazione finanziaria.
Dal primo testo ad oggi si è progressivamente ridotto il contributo che si prevede lo Stato debba dare per finanziare questa legge; oggi si parla di 57 milioni circa per il 2016 ma di 66,8 milioni a regime dal 2017 in poi; è davvero poco se si considera che i comuni spendono circa 7 miliardi per la spesa sociale, circa il 20 per cento è riferibile a ciò che viene impegnato per la disabilità, quindi circa un miliardo e mezzo. Noi oggi stiamo di fatto aggiungendo una vera e propria elemosina perché si tratta soltanto di 66 milioni dal 2017 in poi; quindi è un peccato, un'occasione che poteva essere utilizzata meglio da parte della maggioranza ma anche da parte del Governo. Spesso si saluta la discussione di questi provvedimenti con toni trionfalistici nei confronti dell'atteggiamento del Governo ma anche sotto questo Governo purtroppo la spesa per il sociale, i trasferimenti erariali ai comuni per il sociale hanno visto una diminuzione, così come avviene purtroppo nel nostro Paese dal 2011 in poi e i comuni peraltro, spesso, oltre a patire queste diminuzioni, hanno anche dei vincoli determinati dal Patto di stabilità che impediscono loro di mettere in atto le misure che invece sarebbe utile mettessero in atto.
Vi è la piena condivisione su questo di testo di legge ma vi è l'auspicio che, nel corso della discussione, si voglia integrare il finanziamento a copertura delle iniziative previste dalla legge anche attraverso una maggiore sensibilità che il Governo potrebbe dimostrare da qui all'approvazione Pag. 23del testo. È con questo auspicio appunto che noi iniziamo la discussione su questo testo di legge, sperando che possa essere utilmente integrato per diventare uno strumento che davvero compiutamente si proponga di rispondere all'esigenza di costituire il «dopo di noi», così come nelle premesse di chi la legge ha proposto e che vorrebbe, come noi, fosse approvata.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Nicchi. Ne ha facoltà.

MARISA NICCHI. Grazie Presidente, con l'espressione del «dopo di noi» ci si riferisce al periodo di vita di chi è disabile, dopo la scomparsa dei genitori o dei familiari, o quando essi non saranno più in grado di assisterli. Si parla cioè della più lancinante preoccupazione dei genitori del «durante noi» perché è una preoccupazione che accompagna costantemente, vive costantemente nelle ansie dei genitori che assistono un disabile o una disabile.
L'ISTAT ha ricordato che in Italia ci sono 3,2 milioni di persone con disabilità. Lo ha ricordato nell'audizione, fra le tante che abbiamo fatto per approfondire questo importantissimo provvedimento. Circa 580 mila sono le persone fino a 64 anni di età con disabilità grave certificata con la legge n. 104 del 1992; 260 mila di queste vivono assieme a uno o a entrambi i genitori. Solo il 9,6 per cento, invece, vive da solo. Ecco, tra i disabili nella condizione di figlio o figlia, circa 86 mila vivono con genitori anziani. Considerando le prospettive di vita, si stima che il 64 per cento dei figli con disabilità grave, pari a 165 mila persone, sopravvivrà a genitori e fratelli. Queste sono cifre che ci danno, oltre alla dimensione umana, anche la dimensione materiale del significato di questo provvedimento, che è un provvedimento che rappresenta, seppure parzialmente, il tentativo di dare risposte a queste situazioni, per rispondere alla legittima ansia dei familiari per il momento, più o meno lontano nel tempo, in cui non potranno più garantire loro l'indispensabile aiuto ai figli disabili. Ricordiamo che per le persone con disabilità il sostegno familiare rappresenta ancora oggi la principale e più completa risposta ai propri bisogni assistenziali e sociali. C’è chi, io dico anche giustamente, nell'ambito del dibattito che si è aperto sulle norme che stiamo affrontando, ha sottolineato che quanto previsto da questa proposta di legge è o dovrebbe già essere garantito dalla normativa vigente, a partire dal rispetto e dall'attuazione di quelli che sono definiti i livelli essenziali di assistenza delle prestazioni sociali. Inoltre, che gli interventi del dopo di noi dovrebbero essere finanziati nell'ambito delle risorse attualmente a disposizione del Fondo nazionale per le politiche sociali e del Fondo per la non autosufficienza. Ecco, il condizionale è d'obbligo: «dovrebbe». E proprio l'uso del condizionale ci introduce ad alcune considerazioni generali. In Italia, l'accesso ai servizi per le persone, in particolare per gli adulti, con disabilità non è riconosciuto come un diritto esigibile – è anche in continuità in questo senso il Governo, anche se noi apprezziamo una serie di stanziamenti che sono stati fatti –, bensì è un diritto condizionato alle disponibilità delle risorse. I dati Eurostat dimostrano che l'ammontare della spesa rivolta alle persone con disabilità è in Italia al di sotto della media europea. E la situazione, che pure ha avuto dei segnali, non è cambiata. Le politiche pubbliche a favore delle persone con disabilità e in particolare per l'erogazione di servizi sono ancora sotto finanziate.
E un altro punto: molti studi mostrano che in Italia l'asse portante delle politiche per la residenzialità per gli adulti con disabilità, in particolare per la disabilità intellettiva grave, è l'istituzionalizzazione in servizi con oltre trenta posti, che rappresentano l'86 per cento dell'offerta. Le soluzioni alternative (case famiglia, piccole comunità alloggio) rappresentano solo il 3,7 per cento del totale dei servizi residenziali per gli adulti con disabilità. Inoltre, dobbiamo aggiungere che tali servizi, a causa della minore entità delle rette che non consentono il cosiddetto sostegno intensivo, Pag. 24sono per lo più accessibili alle persone con disabilità moderata e lieve. Sono dati. Sempre dalle audizioni dell'ISTAT, c’è un altro dato critico che è stato sottolineato: la falcidia delle risorse destinate ai comuni per poter garantire servizi fondamentali. I trasferimenti sono stati ridotti; ci sono i tagli; ci sono i vincoli stabiliti dal Patto di stabilità interno.
E questi sono elementi che hanno tagliato servizi fondamentali e sono intervenuti pesantemente nella vita di tanti cittadini. Il provvedimento che noi stiamo discutendo si inserisce, quindi, in questo contesto critico, che naturalmente è anche caratterizzato da un'eccessiva frammentazione. Troppo spesso molti interventi mal coordinati. Voglio ricordare, per ultimo, che si attende ormai dal 2000, l'anno di approvazione della legge n. 328, quella sulla riforma dei servizi sociali, il provvedimento che definisce i livelli essenziali di assistenza sociale, i LIVEAS, ossia quei livelli di prestazione in grado di garantire l'effettiva tutela di diritti sociali e di contrastare le diseguaglianze in tutti i territori. Quindi, il contesto programmatorio e finanziario entro cui si inserisce questo provvedimento rimane per noi critico, però noi vogliamo essere pragmatici e non vogliamo essere demagogici, né tantomeno ideologici, anche se le osservazioni generali che abbiamo fatto sono pregnanti. Noi vogliamo fare i conti e vogliamo rispondere a quelle preoccupazioni profonde e vitali che riguardano le famiglie che chiedono e aspettano questo provvedimento, che ha una lunga gestazione, come veniva ricordato. E, quindi, con questo spirito ci siamo confrontati nel merito nel lavoro della Commissione e con questo spirito vogliamo contribuire fino all'ultimo anche con la discussione d'Aula al suo miglioramento. Noi abbiamo apprezzato lo stanziamento compiuto nella legge di stabilità e vogliamo che si chiarisca come quel finanziamento si coordina e si lega a questa legge. Vogliamo ricordare che la ratifica della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità deve essere, anche in questa fase, come in questo provvedimento, la bussola da cui non allontanarsi. Qualunque norma che abbia un impatto sulla vita delle persone con disabilità deve uniformarsi ai principi di questa Convenzione e all'obbligo che ne deriva di garantire alle persone con disabilità il godimento di tutti i diritti e di sostenerne la piena ed effettiva partecipazione alla società sulla base dell'uguaglianza con gli altri. Ogni norma, politica, servizio, deve rispecchiare l'approccio alla disabilità basato sui diritti, non più sull'assistenzialismo o sull'idea che le persone con disabilità siano un peso, un costo per la società.
Il testo licenziato dalla Commissione e che noi discutiamo oggi è stato dal nostro punto di vista migliorato. Noi abbiamo apprezzato il lavoro svolto dalla Commissione. Alcuni dei nostri emendamenti sono stati approvati o comunque assunti nel loro significato e hanno consentito di specificare meglio le finalità e gli obiettivi finanziati dal fondo, con l'intento, per l'appunto, di escludere interventi di istituzionalizzazione e di favorire la domiciliarità. È molto importante, quindi, che la proposta di legge che ora stiamo esaminando sia ancorata, come abbiamo chiesto, all'obiettivo di sostenere la vita indipendente e di impedire la segregazione, promuovendo in tutti i modi e in tutti gli ambiti l'autonomia e il supporto, facendo specifico riferimento alla stessa lettera a), comma 1, dell'articolo 19 della Convenzione che è volta proprio a favorire il benessere, l'inclusione e l'autonomia delle persone con disabilità. Su questo decisivo aspetto, fondamentale per noi, vogliamo ancora migliorare il testo se ce ne sarà la possibilità, consapevoli comunque che la validità di questa legge si misurerà nella sua applicazione e se realizzerà effettivamente questi obiettivi e queste finalità, ossia escludere in maniera più netta qualunque intervento che porti all'istituzionalizzazione del disabile grave, ribadendo, invece, la necessità di puntare a percorsi di sostegno in contesti che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare, come ha detto bene nella relazione a questo proposito la relatrice.Pag. 25
L'obiettivo del «dopo di noi» deve essere quello di impedire che le persone con gravi disabilità, anche mentali, siano soggette a segregazione, in particolare evitando la residenza impropria o presso strutture che, per numero di ospiti e caratteristiche, non consentano la piena inclusione e che non riproducono le condizioni della casa familiare. Se questo obiettivo sarà raggiunto, si potrà dire davvero che è valsa la pena di questo lungo lavoro, ed è il senso di questa legge. I punti principali del provvedimento su cui noi vogliamo portare l'attenzione sono: la prima questione, la chiarezza sul fondo, che naturalmente noi vorremmo implementare di più; comunque, chiarire quali sono le risorse che finanziano questo fondo.
E, comunque, sempre sulle risorse, una cosa fondamentale: deve essere chiaro che sono fondi aggiuntivi, che sono fondi integrativi. Per capirsi, non ci può essere il gioco delle tre carte, per cui vengono sottratti da altri fondi. Seconda questione: chi sono i soggetti a cui si rivolgono le misure di assistenza, cura e protezione di questo testo ? Sono, si dice, le persone adulte con disabilità grave, prive di sostegno familiare, poiché, per bambini e adolescenti, deve essere privilegiato il sostegno alla famiglia di origine.
La scelta di persone con disabilità grave rappresenta un punto di discussione. Nella Commissione si è affrontata in modo diretto la complessità di questa affermazione, perché non esiste una definizione univoca di disabilità grave nella nostra legislazione, né, tanto meno, una disaggregazione del numero degli adulti con disabilità grave. Per di più, il concetto sociale della disabilità adottato dalla Convenzione ONU e nella classificazione internazionale del funzionamento della disabilità e della salute elaborata dall'Organizzazione mondiale della sanità ha dato una definizione che già si basa molto sul tema della complessità, e quindi della multidimensionalità della definizione.
Questo crea una discussione e la necessità di un approfondimento. Non si può nemmeno trascurare che disabilità non considerate tradizionalmente come gravi possono anch'esse generare dipendenza, segregazione, limitazione nell'abitare in autonomia. Inoltre, il riferimento a persone prive dell'assistenza familiare è sicuramente una scelta che permette di «mirare» questo provvedimento, e quindi di volgere a questa fattispecie il provvedimento, e quindi i fondi e le risorse a questo riguardo, ma non ci può far trascurare quegli interventi a favore di persone con disabilità che intendano avviare un percorso di autonomia personale al di fuori della famiglia di origine, anche se questa continua a vivere.
Per questo, noi, per esempio, riteniamo molto importante quelle misure nel testo che prevedono anche la progressiva presa in carico della persona disabile durante l'esistenza in vita dei genitori, con progetti individuali, per affermare il loro diritto a vivere, dove e con chi scelgono di vivere, non dando per scontato che chi ha bisogno di sostegno intenso debba restare in famiglia, assistito dai suoi familiari fino alla loro morte o al loro esaurimento.
Non è giusto questo, umanamente, anche per la famiglia, oltre che, naturalmente, perché il mantenimento a oltranza nella famiglia di origine degli adulti con disabilità non è accettabile nella prospettiva del diritto della persona alla vita indipendente. Ma non è giusto nemmeno per la famiglia, perché la delega dell'assistenza alla famiglia comporta, per chi fa questa assistenza, per i familiari, una condizione di isolamento sociale, spesso di perdita di lavoro per supplire alla mancanza di sostegno e di servizi, con conseguenze anche sulla loro salute, sulla loro condizione anche psichica, per i sovraccarichi di lavoro e di responsabilità senza soluzione di continuità.
In Italia sono più di 15 milioni le persone che assistono disabili, in particolare le donne che sono complessivamente impegnate. Noi vogliamo che questo lavoro venga valorizzato, riconosciuto, all'interno, appunto, di una nuova strategia, che metta al centro l'autonomia e i progetti individuali di autonomia. Terza questione: per noi, le finalità del fondo devono orientarsi Pag. 26alla deistituzionalizzazione, alla creazione di progetti di interventi innovativi di residenzialità che riproducano le condizioni abitative e relazionali della casa familiare, il supporto alla domiciliarità per programmi volti all'acquisizione di competenze per la gestione della vita quotidiana.
Il fondo deve essere riservato anche ad opzioni abitative innovative e inclusive, incentrate sulla persona e non sulla struttura; quindi, è prioritario – e siamo d'accordo, perché su questo, anche qui, la relatrice è stata ben chiara – realizzare la transizione dai servizi segreganti a soluzioni abitative di tipo familiare, inserite nella comunità. Quarta questione: si prevede che al finanziamento e all'attuazione dei programmi e degli interventi citati possano concorrere regioni ed enti locali, gli organismi del terzo settore, le stesse famiglie, nonché altri soggetti di diritto privato con esperienza in materia di assistenza a persone disabili.
Una norma che, per come è stata scritta, rischia di creare alcune confusioni di ruoli e poca trasparenza nell'assegnazione dei soggetti che partecipano all'attuazione delle misure; quindi, noi chiediamo, con alcuni emendamenti, la chiarificazione di questi ruoli. Quinta questione, e qui è una questione molto critica per noi: la detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave. Qui, poi, sono stati accolti emendamenti del PD, della Lega: una scelta che noi non condividiamo. Ne capiamo anche il sollievo contingente che può dare alle famiglie, ma rivela un altro tassello verso il secondo pilastro del welfare su cui si sta spingendo questo Governo: l'idea di una sostituzione dell'offerta pubblica, che sicuramente va migliorata, personalizzata, qualificata, con strumenti assicurativi, che certo non garantiscono il diritto per tutti. Noi abbiamo presentato un emendamento soppressivo.
Sesta questione: è molto importante sottolineare che le misure di assistenza e cura previste dal provvedimento sono comunque ancorate e subordinate alla predisposizione e all'aggiornamento di progetti individuali per le persone disabili, previsti dall'articolo 14 della legge n. 328 del 2000. Attualmente, questi programmi di aiuto alla persona con disabilità sono sostanzialmente gestiti e organizzati da enti territoriali, con spesso il supporto di associazioni, e possono essere realizzati attraverso varie tipologie. Tutti le conosciamo e non sto qui a ripeterlo: per noi questo aggancio è fondamentale.
Altra questione: si presentano agevolazioni tributarie per favore la costituzione di trust: noi siamo d'accordo, perché questi sono strumenti che possono permettere di dare un quadro alla creazione di fondi di partecipazioni che sono per noi il tramite per la creazione e la gestione di soluzioni residenziali inclusive e innovative, e sono, dunque, la risposta pubblica all'esperienza di numerose associazioni, comunità e fondazioni che si occupano del «dopo di noi», nate proprio dal bisogno. E il fatto di aver delegato tale risposta, in questi anni, alla spontanea iniziativa delle associazioni e delle famiglie ha finito con il generare un'estrema disomogeneità, che oggi, in qualche modo, trova, invece, un quadro organico.
Peraltro, questo numero di famiglie sappiamo che sarà in continua crescita, grazie anche ai progressi scientifici che hanno consentito di aumentare l'aspettativa di vita delle persone disabili; quindi, un fatto sicuramente positivo. Ultima questione: le tipologie di strutture e i servizi da implementare. Noi vogliamo puntare prioritariamente sui servizi residenziali per le persone, in particolare gli adulti, che non siano gli istituti.
Vogliamo puntare a favore di piccole strutture che si identificano con comunità di alloggio con non oltre otto ospiti, con le unità di vita con sostegno, ovvero quegli appartamenti ed altre unità abitative di proprietà della persona o della sua famiglia, in cui la persona con disabilità possa vivere da sola in condivisione con pochi altri, con il sostegno adeguato e appropriato alle sue necessità. Questo tipo di soluzioni abitative, oltre a corrispondere meglio ai principi della Convenzione ONU e alle linee guida europee sulla transizione Pag. 27verso servizi residenziali nella comunità, hanno anche l'ulteriore pregio di un impatto ambientale minore nella costruzione dei centri residenziali. Ecco, questi sono un po’ i temi che riaffronteremo nel corso della discussione in Aula; il Parlamento è chiamato a decidere su un provvedimento di primaria grandezza, di grande responsabilità. Noi non ci sottrarremo ad una battaglia per migliorarlo, perché ogni volta che un diritto in più si può affermare ci sarà sempre questo piccolo partito.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Argentin. Ne ha facoltà.

ILEANA ARGENTIN. Grazie, Presidente, colleghi, sottosegretario Biondelli, oggi è una grande giornata, a mio avviso e, credo, ad avviso di molte persone che vivono in una situazione di difficoltà e di deficit. Un pochino più di entusiasmo, mettiamoci, dietro a questo provvedimento; quando si parla di disabilità si ha sempre l'idea di qualcosa di molto pesante, non è così. Cominciamo con il dire che il «dopo di noi», questa proposta di legge, questo provvedimento che arriva oggi in Aula avrà lo scopo di dare tanti sorrisi a persone che dal momento che hanno messo al mondo un figlio hanno vissuto il senso di colpa ed il lutto di elaborare un limite che avevano creato; ora la gente questa cosa non la immagina, non la vede, ma dietro a tutto questo c’è anche tanta felicità e c’è anche tanto patrimonio, perché, vedete, la disabilità non è solo un limite, è anche un patrimonio e questo è importante che ce lo ricordiamo, perché altrimenti saremmo qui a legiferare, pensando soltanto a quanto assistere e non a quanto, invece, includere, che è un principio completamente diverso. Il «dopo di noi» è l'ansia del genitore, è la risposta all'ansia del genitore di lasciare il proprio figlio o la propria figlia un domani che non c’è più, ma è anche l'ansia del genitore ottantenne che non ce la fa più, che è un'altra storia e che noi mettiamo dentro la proposta di legge, perché quando si muore poi, alla fine, si muore, ma quando non ce la si fa più e si è anziani e non si può aiutare un proprio figlio credo che sia una delle sofferenze maggiori che un genitore, un fratello o una sorella che non ce la fanno, deve vivere. Quando parliamo di «dopo di noi», pensiamo sempre ai genitori, ma pensiamo anche ai fratelli e alle sorelle, Presidente, perché i fratelli e le sorelle sono coloro che hanno avuto la responsabilità, dal momento in cui sono nati, di avere un fratello o una sorella con disabilità. Questo non è giusto; per questo noi – io ringrazio infinitamente l'intera Commissione, in modo particolare la relatrice – abbiamo provato, tutti insieme, a trovare una soluzione che, probabilmente, non è la migliore che molti aspettavano, ma che vuole rispettare il senso della dignità del genitore che per tutta la vita ha assistito il proprio figlio, l'ha curato e amato e che, a un certo punto, non ce la fa più, perché siamo tutti esseri umani, anche i nostri genitori lo sono. C’è un po’ la paura di vederli per tutta la vita come dei gran «Wonder Man» o, comunque, delle persone che non hanno neanche il lusso di un'influenza, eppure, vi assicuro, loro ci sono, sono esseri umani, sono delle coppie di persone che si amano e che hanno procreato con la voglia di amare e di avere il meglio da quella procreazione. Ora si parla tanto, in questi giorni, delle coppie gay, di tutto ciò che ne viene dietro, degli affidamenti e così via, ma voi sapete che in Italia le adozioni di bambini disabili non esistono ?
O, meglio, non sono neanche lo 0,2 per cento. I bimbi disabili non vengono adottati. Diciamo, inoltre, che i genitori adottivi quando adottano un bimbo e scoprono, in un secondo momento, che il bambino magari ha un piedino valgo, oppure ha una miopia accentuata, lo riportano indietro, signori, sì, li riportano indietro. Il genitore naturale questo non lo può fare e non può neanche morire, perché non sa a chi lasciarlo. Ecco perché è importante il «dopo di noi» e il «durante noi»; poi si possono fare tanti giochi di pensiero, per cui si dice: ah, ma c’è la vita indipendente che vuol dire che la persona deve poter avere una continuità e Pag. 28un percorso di vita scelto; ma io sono e, quindi, scelgo, ma quando io sono, ma non ho la possibilità di scegliere, di che vita indipendente parliamo ? Quando parliamo di disabilità grave, non pensiamo soltanto a una persona a casa bloccata da un'immobilità, pensiamo ai ritardi mentali e ai ritardi cognitivi che impediscono al soggetto di scegliere il proprio futuro. È lì che il genitore ha più paura; è lì che la famiglia non sa come andare avanti, perché il problema vero non è del disabile motorio, anche se ovviamente non sto facendo una gara tra le disabilità, ma sto solo dicendo che nel caso di un deficit mentale, il genitore, o il tutore, o chi per lui ne ha la responsabilità non sa veramente a chi affidarsi; non sa veramente come continuare il percorso di vita del proprio figlio. È per questo che abbiamo tirato fuori le assicurazioni e i trust, che potranno sembrare una banalità per molti, ma che hanno questo senso; credetemi, non vogliamo veramente arricchire nessuno e se qualcuno lo pensa è perché è in malafede. Infatti, l'assicurazione post mortem, che non è l'assicurazione in vita, è una cosa completamente diversa, vuol dire che il genitore può dire che il ragazzo disabile mentale Marco – chiamiamolo così – il martedì vuole prendersi il gelato e all'interno della sua assicurazione scrive che quei soldi vengano applicati per il gelato il mercoledì; perché, se per tutta la vita questi genitori gli hanno dato il gelato, dopo non dovrebbero darglielo più ? È un'abitudine, perbacco, non possiamo negarla questa cosa, così come non possiamo negare che l'inserimento al lavoro è per tutti, perché tutti abbiamo pari opportunità, ma lì dove c’è una gravità che impedisce e, quindi, non c’è residua possibilità di collocamento al lavoro, dobbiamo fare i conti con un assistenzialismo al cento per cento e noi che cosa facciamo, dobbiamo per forza dire che i disabili sono tutti uguali e che non ci sono differenze ? Non è così, c’è il disabile di Tor Bella Monaca che è una borgata di Roma e c’è il disabile dei Parioli, che se voi permettete, anche se hanno lo stesso limite, hanno poi potenzialità economiche diverse, di base; quindi, vivere a Tor Bella Monaca con una distrofia muscolare è sicuramente diverso che vivere ai Parioli con una distrofia muscolare, perché, sì, è vero, il limite è lo stesso, ma, signori, quant’è diverso per un genitore che non ha soldi fare i conti con la vita del «dopo di noi» rispetto a un genitore che ha un suo bacino economico. È vero che i soldi non te li regala nessuno e non sono una colpa, però, signori, facciamo i conti con la realtà. Il «dopo di noi» va ad aiutare i gravissimi e quando parliamo di gravissimi non parliamo, soltanto, del limite più grave, parliamo di tutti i fattori anche endogeni, esterni che comportano e conducono al grande deficit del vivere senza un genitore. Ora, ho sentito dire che questo fondo per il dopo di noi non avrebbe senso se venissero applicati i levels.
Perfetto, ma vogliamo capire una volta per tutte che il piano di intervento non possiamo giocarcelo quando ci piace o quando non ci piace ? Se parliamo di vita indipendente, il piano di intervento presuppone che siano protagonisti – quindi all'interno dei levels – anche i genitori o anche lo stesso disabile, visto che parliamo di vita indipendente e di programma individuale. Ma il finanziamento di quello, cioè dei livelli assistenziali, che secondo me sistemerebbe tutto (non diciamo niente di nuovo) non permetterebbe mai di avere una specificità sui soldi e quindi sul fine vita del genitore nel momento in cui non ce la farà più, all'interno di un contesto familiare. Ad esempio, il trust, che cosa fa ? Crea un trustee, che è un garante (il fratello, quasi sempre, o – diciamoci la verità – le sorelle più che i fratelli), che permetterà di supportare la volontà di chi è stato precedente al fratello o alla sorella, cioè del padre e della madre, perché non solo si ha il senso della responsabilità verso il fratello o la sorella, ma verso anche i genitori che non ci sono più. Per cui, ci si trova in una situazione di enorme difficoltà. Con questo «dopo di noi» – lo dico come PD ma lo dico come Ileana Argentin prima di tutto – volevamo rispondere alle difficoltà ma, soprattutto, Pag. 29ripeto, alla dignità delle famiglie con disabilità. Ma volevamo anche, in qualche modo, continuare a dire una cosa che non si può negare: comunque il «dopo di noi» non è la legge per le non autosufficienze. Chiunque confonde questa cosa non ha capito il nesso del «dopo di noi»: il «dopo di noi» è la garanzia di un'assistenza che prosegue ma anche dell'abitabilità, del pagare la luce, il gas, il telefono. Cioè, non è solo assistenza ma è vita. Il «dopo di noi» è vita dopo mamma e papà. Chi non ha una disabilità – non lo dico perché sono disabile – non ha la sensazione di cosa significa aver sete di fronte ad un bicchiere pieno d'acqua e non poterlo prendere in mano. Faccio sempre questo esempio perché nella mia vita una delle sensazioni peggiori, come penso per tutti voi, è quando si ha sete e non si può bere. Allora immagino sempre questo bicchiere d'acqua gelata davanti a me e la mia impossibilità di arrivare al bicchiere d'acqua gelata o fresca che dir si voglia. Soltanto guardando negli occhi i miei genitori io posso avere la sicurezza di avere vicino alle mie labbra quel bicchiere; sapete per quale motivo ? Perché gli altri non capirebbero come darmela. Cioè, tutti pensano che dare un bicchiere d'acqua significa aiutare a bere avvicinandolo. Mia madre mi dà il bicchiere d'acqua per dissetarmi, così è il «dopo di noi». Cioè, non è l'assistenza perché muoiono mamma e papà, ma è il dopo mamma e papà garantito al meglio, con una qualità diversa, perché le RSA sono una vergogna del nostro Paese. Sono nate non per i disabili, signori: erano nate per gli anziani non autosufficienti e siccome non avevamo il capitolo di bilancio sul «dopo di noi» ce li abbiamo infilati i disabili, che è un'altra cosa, è un altro film, che non era quello giusto. Ringrazio questo Governo, perché ha fatto una cosa giusta, cioè si è occupato per una volta non del disabile come protagonista – perché a volte noi siamo spettatori della vita dei nostri genitori che ci trasmettono vita ed esistenza – ma i genitori diventano finalmente protagonisti. Quante volte ho sentito dire da colleghi politici: quella ha il figlio matto, beh è matta pure lei, prendiamola con le pinze. Lo dicono sempre. Lo dicono sempre: quella ha il figlio handicappato, poverella, cerchiamo di capirla.
Non è che noi siamo un'etichetta o abbiamo delle vite particolarmente diverse dagli altri. Certo, noi dobbiamo fare la pipì come gli altri, dobbiamo andare in bagno, dobbiamo mangiare, dobbiamo bere e, per fare questo, abbiamo bisogno delle nostre famiglie, ma soprattutto dei servizi pubblici, che non nego. Anzi, sono una che sostiene fino all'ennesima potenza quanto sia giusto ed importante il servizio pubblico, ma l'operatore, per quanto specializzato, per quanto formato, per quanto preparato, non ti disseterà mai come un genitore. Questo avviene anche per voi, non è solo roba nostra, anche perché la disabilità non è che sia un mondo parallelo, è parte del mondo. Non siamo un mondo a sé stante, noi siamo un mondo.

PRESIDENTE. Deve concludere.

ILEANA ARGENTIN. Quanto tempo ho ?

PRESIDENTE. Trenta secondi.

ILEANA ARGENTIN. Ho finito. Quindi, mi interrompo qui e dico che non ho voluto tediare nessuno, ma quello di cui sono convinta è che oggi stiamo facendo un passo civile importantissimo: stiamo dando a chi ci ascolta la possibilità di vivere al meglio e di dare una qualità e una risposta dignitosa alla vita dei propri figli. Credo che questo basti per dire che questa legislatura ha avuto un senso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC) e Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Di Vita. Ne ha facoltà.

GIULIA DI VITA. Presidente, a me purtroppo tocca forse spezzare questo clima idilliaco che si è creato attorno a questa proposta di legge, perché vorrei Pag. 30raccontare brevemente un po’ come sono andate le cose. Si chiama «dopo di noi» e sta per la classica e preoccupante domanda che si pongono tutti i genitori: cosa avviene a mio figlio disabile dopo la mia dipartita ? Così ha preso il via, diversi mesi fa, l'esame di alcune proposte di legge in tema di «dopo di noi» in Commissione affari sociali. Che dire ? L'intento è chiaramente nobile, chi mai non vorrebbe dare una risposta a questa lecita preoccupazione delle famiglie al cui interno vi è una persona disabile ? Solitamente si parte sempre da buoni propositi, ma poi saltano incomprensibilmente fuori bruttissime sorprese; andiamo a scoprire l'arcano di questo caso. Praticamente è partita come una bozza di legge semplicemente inutile, che doveva servire principalmente a fare vedere di essere impegnati e sensibili al tema. Infatti, le proposte presentate non facevano altro che ribadire quanto già previsto dalla legge, in particolare, per tutti coloro che hanno dimestichezza con la materia, la famosa legge n. 328 del 2000, che anche qui è stata citata diverse volte. Quindi, come MoVimento 5 Stelle, onestamente ci ha lasciato indifferenti, nel senso che, se come effetto avesse provocato un aumento degli stanziamenti economici per l'applicazione di quanto già scritto sulla carta, tanto di guadagnato per tutti, saremmo stati pienamente favorevoli. Tuttavia, poi succede che, in seguito alle audizioni dei soggetti interessati, tra cui diverse fondazioni, anche vicine al PD – pensiamo, ad esempio, proprio a un ex candidato nelle liste del PD, presidente di uno di queste, ovvero Enrico Sostegni, presidente della Fondazione «Dopo di noi» di Empoli –, il testo unificato delle proposte di legge cambia completamente natura e all'improvviso diventa in sostanza una proposta di legge per l'istituzione dei cosiddetti trust (articolo 6), che era completamente assente nelle originali proposte di legge. Il trust che cos’è ? È un istituto giuridico che non è pienamente riconosciuto nel nostro Paese. Per farla breve, si tratta di un accordo tra minimo due persone e il cosiddetto disponente, che decide di dare tutti o parte dei suoi beni al cosiddetto trustee, che può essere una persona o un ente, quindi associazioni, enti locali o terzo settore, con degli obiettivi precisi, in questo caso l'assistenza al proprio familiare disabile – che sarebbe il beneficiario del trust – una volta che il disponente muore. Questo ovviamente in estrema sintesi. È nato quindi, innanzitutto, un problema tecnico di competenza legislativa, in quanto, come accennato poc'anzi, esiste sul trust un vuoto normativo, dal momento che non è riconosciuto dalla legge italiana, ma in parte lo è solo tramite la Convenzione dell'Aja. Quindi, in sostanza, ufficialmente non esiste, però non è nemmeno vietato, pertanto attualmente in Italia è possibile costituire dei trust e infatti ne sono stati già stipulati diversi. Chiaramente, così facendo è cambiata proprio la natura della proposta di legge, che a questo punto sarebbe dovuta passare al vaglio della Commissione finanze o giustizia o quantomeno all'esame congiunto tra noi, Commissione affari sociali, e una di queste due Commissioni appena citate; richiesta che abbiamo fatto, ma che non è stata concessa. Quindi, in Commissione ci siamo ritrovati tutti noi commissari e i promotori della legge compresi a legiferare su un istituto senza averne le competenze, con relativi malumori da parte anche della Commissione finanze, alla quale è stato richiesto semplicemente un parere cosiddetto rinforzato.
Alla fine quindi è uscito fuori un testo che, secondo il nostro modo di vedere, possiamo giudicare penoso, in cui addirittura il Fondo previsto non andrebbe a finanziare quanto sancito sempre dalla legge n. 328 del 2000, ma anche l'istituzione di questi trust. Quindi prevede di finanziare con fondi pubblici iniziative private che per intenderci possono anche provenire da banche, fondazioni bancarie, istituti di credito, enti locali, eccetera. E inoltre sempre per i trust sono previste agevolazioni, detrazioni fiscali e addirittura le stesse agevolazioni per le donazioni da parte di privati come se fossero ONLUS anche se non lo sono. Quindi, piuttosto che andare a potenziare i servizi pubblici Pag. 31per l'assistenza alle persone disabili in carico alle ASL e ai servizi sociali, si va a facilitare e invogliare l'iniziativa privata tanto per cambiare: è una storia che già abbiamo visto con l'esame della legge delega per la riforma del Terzo settore. Tutto questo come se lo Stato non esistesse o desse solo qualche spicciolo alle famiglie dicendo ad esse: pensateci voi e arrangiatevi. A ciò si aggiunge anche un regaluccio per le assicurazioni, come se non bastasse mai, proposto dalla Lega e votato dalla maggioranza. Quindi la nostra posizione è sempre stata di massima contestazione del provvedimento. Con alcuni emendamenti siamo riusciti felicemente ad aggiustare un po’ il tiro, ad esempio a citare la legge che già esiste e che non viene applicata; abbiamo fatto aggiungere dei paletti stringenti per la costituzione del trust (mi sembra il minimo) anche se, come detto, c’è sotto proprio un vizio di competenza. Se fosse per noi, il provvedimento in esame andrebbe completamente cassato e andrebbe invece finanziato il Piano d'azione biennale per la disabilità riguardo al quale da tre anni ormai presentiamo innumerevoli emendamenti a qualsiasi provvedimento utile. Questo Piano non ce lo siamo inventati noi, ma è stato adottato dal Consiglio dei ministri nel 2013, quindi dal Governo Letta, e prevede sette linee di intervento. Quindi quello che si dovrebbe fare, a nostro avviso, è cominciare a finanziare questo Piano perché è inutile adottarlo se poi non lo si realizza. Per questo proponiamo di trasferire i 90 milioni dal Fondo per il «dopo di noi» alla linea 2 del Piano per la disabilità che riguarda le misure sulla vita indipendente che, guarda caso, raccoglie proprio le finalità che tutti potete leggere all'articolo 1 di questa proposta sul «dopo di noi». Come vedete, le leggi già esistono – lo ribadiamo per l'ennesima volta – e devono essere solo applicate, quindi finanziate e monitorate. Tutti capiscono che, dal punto di vista comunicativo, è difficile far capire gli inghippi senza sembrare di essere contro le famiglie con disabili gravi. Tuttavia, per fortuna, le associazioni non sono stupide e ci danno ragione. Quindi, una volta che queste si sono espresse, a noi viene molto più semplice veicolare il nostro messaggio. A mo’ di esempio cito semplicemente uno dei rappresentanti delle associazioni, Sergio Silvestre, Presidente di CoorDown, ovvero il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, che in un'intervista ha affermato: «Nel testo di legge quasi non si parla della persona con disabilità e dei suoi diritti, basta leggerlo, è sotto gli occhi di tutti che gli articoli dedicati alle assicurazioni e al trust sono incomparabilmente più minuziosi e dettagliati dei precedenti. E allora diciamocelo: che legge è ? È una legge sul «dopo di noi» o una legge per introdurre il trust ?». Ce lo chiediamo anche noi.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 698-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice e il rappresentante del Governo si riservano di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione sulle linee generali della mozione Ciprini ed altri n. 1-00730 concernente iniziative volte all'assunzione dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Ciprini ed altri n. 1-00730 concernente iniziative volte all'assunzione dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici (Vedi l'allegato A – Mozione).
La ripartizione dei tempi riservata alla discussione è pubblicata nel calendario (vedi calendario).

Pag. 32

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.
È iscritta a parlare la deputata Tiziana Ciprini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00730. Ne ha facoltà.

TIZIANA CIPRINI. Grazie, Presidente. Ampio è il contesto legislativo che auspica che le pubbliche amministrazioni, in assenza di proprie graduatorie vigenti, facciano ricorso all'assorbimento dei vincitori e idonei di concorso pubblico. Ai sensi della legge n. 350 del 2003, articolo 3, comma 61, le amministrazioni pubbliche possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate.
Il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, all'articolo 14, comma 4-bis, ha ribadito la possibilità per le amministrazioni pubbliche che non dispongano di graduatorie efficaci di utilizzare graduatorie efficaci di altre amministrazioni pubbliche nelle modalità previste all'articolo 3 della legge n. 350 del 2003. Sono tutte norme, quindi, nate in tempi di spending review; e poi, in tempi recenti, c’è il decreto-legge n. 111 del 2013, convertito, con modificazioni, con legge n. 125 del 2013, la cosiddetta «legge D'Alia», che ha introdotto una serie di disposizioni innovative in relazione all'immissione in servizio di idonei e vincitori di concorsi e di limitazioni a proroghe di contratti e all'uso del lavoro flessibile nel pubblico impiego.
In particolare, l'articolo 4, al comma 1, dispone modifiche all'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, restringendo ulteriormente le ipotesi per le quali è possibile fare ricorso a contratto a tempo determinato, che, pertanto, potranno essere stipulati solo per rispondere a esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. Il comma 2 dell'articolo 4 dispone che, per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni della legge, sottoscrivono contratti a tempo determinato con vincitori e idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato.
Il comma 3 stabilisce che, fino al 31 dicembre 2016, per le amministrazioni pubbliche che vogliano avviare procedure concorsuali per l'assunzione di personale l'autorizzazione sia subordinata alla verifica dell'avvenuta immissione in servizio presso l'amministrazione di tutti i vincitori di concorso collocati in graduatorie vigenti per assunzioni a tempo indeterminato, per qualsiasi qualifica, salvo comprovate necessità organizzative non temporanee ed adeguatamente motivate, e all'assenza di idonei collocati in graduatorie vigenti dal 1 gennaio 2007 relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza.
Il comma 3-ter prevede, altresì, l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge n. 350 del 2003, ovvero la legge finanziaria del 2004, ossia la possibilità di effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato. La ratio del provvedimento risponde, quindi, a esigenze sociali e di equità ed esonera l'amministrazione dalle spese, dai costi e dai tempi di attesa connessi a un nuovo concorso, secondo il principio costituzionale di economicità e di buon andamento.
Il «decreto D'Alia» ha configurato un vero e proprio diritto all'immissione in servizio in capo non solo ai vincitori collocati nelle graduatorie, ma anche agli idonei inseriti nelle graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1 gennaio 2007, e subordina espressamente l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali all'avvenuta immissione in servizio di tutti i vincitori collocati nelle graduatorie degli idonei presenti nelle graduatorie vigenti al 1 gennaio 2007. A ciò si aggiunge che Pag. 33anche la giurisprudenza di merito ha assunto un orientamento analogo al Consiglio di Stato, secondo il quale, a fronte di una graduatoria valida ed efficace, la pubblica amministrazione non può non considerare la sussistenza di soggetti qualificati come idonei, quantomeno in assenza di valide ragioni giustificatrici.
In questo senso si pongono le pronunce TAR Sardegna 19 ottobre 1999, n. 1228, Tar Lazio 30 gennaio 2003, n. 536, TAR Lombardia 15 settembre 2008, n. 4073, TAR Lazio 15 settembre 2009, n. 8743, TAR Sardegna 20 giugno 2013, n. 478 e n. 481. Il legislatore ha pertanto inteso svolgere un atto di giustizia e un segnale di rispetto per quei tanti italiani, la maggior parte dei quali giovani, che da anni attendono una collocazione nella pubblica amministrazione, dopo aver sostenuto e superato un regolare concorso: così si espresse l'ex Ministro D'Alia nel 2013.
Ebbene, gli esiti e i dati del monitoraggio condotto dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri sulla base delle previsioni dell'articolo 4, comma 5, del decreto-legge n. 101 del 2013 rappresentano una situazione allarmante circa il numero dei vincitori di concorso pubblico in attesa di assunzione sull'intero territorio nazionale, tra enti locali e amministrazioni dello Stato.
Nello specifico, i vincitori da assumere alla data del 16 gennaio 2016 sono 4.140, mentre gli idonei all'eventuale assunzione sono 147.351. Le linee programmatiche dichiarate in più occasioni dal Governo e dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione andrebbero nella direzione di promuovere un ricambio generazionale nell'ambito delle dotazioni organiche della pubblica amministrazione, anche attraverso riformulazioni del turnover e delle sue precedenti limitazioni e di prevenire fenomeni di precariato nelle pubbliche amministrazioni con il continuo ricorso a forme di lavoro flessibile, tant’è che all'articolo 3 e seguenti del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito poi dalla legge n. 114 del 2014, inserivano proprio tali normative: l'uno modifiche al turnover per l'accesso alla pubblica amministrazione innalzando l'aliquota e l'altro il divieto anche per le pubbliche amministrazioni, a partire dal 1 gennaio 2017, di stipulare contratti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro, cioè le cosiddette «Cococo».
Ebbene, sempre nell'ottica di favorire l'accelerazione del turnover e l'accesso nella pubblica amministrazione, anche la legge delega del 7 agosto 2015 n. 124 in materia di riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, all'articolo 17, comma, 1 lettera c, ha previsto l'introduzione di norme transitorie finalizzate esclusivamente all'assunzione dei vincitori di concorsi pubblici le cui graduatorie siano state approvate e pubblicate entro la data di entrata in vigore della legge.
Poi, il rapporto 2015 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, rivela: esaurita la fase più severa della crisi economica, al cui superamento hanno in parte contribuito anche le misure di contenimento della spesa per il personale pubblico, occorre, ad avviso della Corte, riprendere il percorso di definizione di una ordinaria politica del personale in grado di intervenire sulle debolezze e sulle criticità di sistema, in parte acuite da un approccio fortemente condizionato dall'esigenza di rispettare i vincoli di bilancio. La Corte spiega che il dimensionamento del personale va affrontato a regime, superando l'approccio in termini di tagli lineari, attraverso un'attenta valutazione dell'effettivo fabbisogno di attività amministrativa al centro e soprattutto sul territorio e la conseguente necessità di disporre di professionalità specifiche anche in relazione con l'auspicata ripresa di investimenti in nuove tecnologie. La magistratura contabile specifica inoltre che si tratta di considerazioni condivise dal rapporto finale dell'allora commissario per la revisione della spesa, che in un apposito paragrafo sottolinea come le misure Pag. 34di contenimento della spesa di personale siano adottate, quindi in riduzione del numero degli addetti, con congelamento dei trattamenti economici. Benché indubbiamente efficaci, queste non possono essere reiterate in condizioni normali e conseguentemente egli segnala l'urgenza di definire una strategia post crisi. Inoltre, nel citato rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica, la Corte evidenziava, in relazione ai vincoli assunzionali al prolungamento dell'età lavorativa, il progressivo invecchiamento dei dipendenti pubblici, che registrano, come sottolineato dalla Ragioneria generale dello Stato, un'età media ormai prossima a cinquant'anni. Secondo i dati diffusi dalla Ragioneria generale dello Stato, non considerando il personale impiegato con contratti flessibili rispetto al 2007, il totale degli occupati nella pubblica amministrazione si è ridotto del 5,1 per cento. Ciononostante, i più recenti provvedimenti normativi segnano una triste inversione di direzione e appaiono in contrasto con i precedenti interventi: da una parte con la legge di stabilità per il 2016, che prevede ai commi 227 e seguenti un drastico aumento della limitazione del turnover ora al 25 per cento, e dall'altra con il decreto-legge n. 210 del 2015, cosiddetto «milleproroghe», che non prevede nessuna proroga della vigenza della graduatoria di concorso attualmente in scadenza al 31 dicembre 2016.
Dunque per effetto di tali provvedimenti l'età media dei dipendenti pubblici rischia di crescere ancora a causa di questo blocco del turnover, ma anche per la stretta sull'accesso alla pensione. Nella pubblica amministrazione italiana gli ultrasessantenni, che sono oltre 372.000, sono molti di più di coloro che hanno meno di 35 anni, che sono 260.000, e questo non può che avere ripercussioni sull'attività, soprattutto in alcuni settori.
Ma non solo, sempre la legge di stabilità 2016, ai commi 213, 236 e 466, ha previsto limiti all'ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente a trattamento accessorio del personale, nonché uno stanziamento di appena 300 milioni annui, di cui 74 milioni per Forze armate e di polizia e 7 milioni per personale di diritto pubblico, per rinnovi contrattuali pari a 5 euro al mese, il cui blocco dal 2010 è stato dichiarato illegittimo dalla sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015.
Quindi, anziché valorizzare i dipendenti delle amministrazioni, tali norme appaiono improntate a logiche punitive. In tale contesto, non stupisce l'annuncio dell'avvio di una class action dei lavoratori del pubblico impiego per ottenere il risarcimento per il blocco illegittimo degli stipendi e il recupero della perdita patrimoniale subita. Quindi, allo stato dell'arte, dopo questa lunga e puntuale disamina normativa, risulta che il decreto-legge n. 101 del 2013, cosiddetto D'Alia, rimane praticamente lettera morta o con scarsa applicazione. Le graduatorie dei vincitori e degli idonei hanno efficacia fino al 31 dicembre 2016 e, nonostante l'intervento normativo di tale legge, è divenuta oramai insostenibile la situazione di attesa, che dura da diversi anni, per decine di migliaia di vincitori di concorsi pubblici, che non vedono riconosciuto un diritto soggettivo all'assunzione dopo aver espletato e vinto un concorso pubblico, bandito da amministrazioni statali ed enti locali, e la cui colpa è evidentemente quello di avere superato per merito un concorso pubblico.
Questo è, in sintesi, il contenuto della mia mozione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Miccoli. Ne ha facoltà.

MARCO MICCOLI. Grazie, Presidente, questa discussione o, meglio, questa vicenda che riguarda i vincitori e gli idonei dei concorsi della pubblica amministrazione a mio modo di vedere deve partire da un dato inequivocabile, cioè che, dopo anni di paralisi e di incertezza sulla missione e sul modello di organizzazione della pubblica amministrazione, questo Governo, attraverso l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della legge 7 agosto 2015, n. 124, sta portando avanti una profonda azione di ripensamento e ammodernamento della macchina amministrativa.Pag. 35
Questo processo si colloca all'interno di una complessiva riforma dello Stato, che, dopo la legge Delrio, vedrà il suo coronamento con la definitiva approvazione della riforma costituzionale: un intervento necessario per restituire credibilità ed efficacia al lavoro e alla professionalità dei dipendenti pubblici, che negli ultimi anni, a causa dei tagli, del blocco del turnover e soprattutto del blocco della contrattazione, hanno pagato un prezzo altissimo.
Non v’è dubbio, quindi, che tale processo di riorganizzazione si coniughi proprio con le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale della pubblica amministrazione, strumento, questo, straordinario per migliorare i servizi offerti a 60 milioni di italiani; un servizio più rapido, trasparente e uguale per tutti: un vero e proprio fattore di democrazia, prima ancora che di modernità.
La vicenda delle migliaia di vincitori e idonei di concorso pubblico si inserisce proprio in questo contesto. Parliamo di un'attesa che si protrae ormai da anni, del riconoscimento di un diritto soggettivo che permetta a migliaia di disoccupati, soprattutto disoccupati, di essere assunti.
L'annoso paradosso che oggi vivono i vincitori e gli idonei dei concorsi della pubblica amministrazione si è concretizzano nelle scelte che i Governi hanno fatto via via in questi anni. Il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, al fine di contenere la spesa per le strutture amministrative e di razionalizzazione nell'uso delle risorse umane ed economiche, ha prorogato l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici già espletati per assunzioni a tempo indeterminato fino al 31 dicembre 2016, relativa alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni: una scelta, questa, che all'epoca fu giusta e che andava incontro alla possibilità dello sblocco del turnover e ad esigenze di risparmio di spesa.
Ma le limitazioni introdotte negli ultimi anni, dall'assunzione di personale da parte delle pubbliche amministrazioni, hanno fatto emergere il problema di quanti, pur vincitori di concorso per l'accesso al pubblico impiego e con contratto a tempo indeterminato, non sono stati successivamente assunti dalle pubbliche amministrazioni che li hanno banditi.
Qui siamo di fronte al primo problema che riguardava proprio i vincitori di concorso. Con la legge di stabilità del 2015 si è introdotto l'obbligo per le regioni e gli enti locali di destinare, per gli anni 2015 e 2016, le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate entro il 1 gennaio 2015. Così, esaurita la graduatoria dei vincitori di concorso, le restanti posizioni aperte saranno destinate ad assorbire i dipendenti delle province che ancora non sono stati collocati. Questa decisione, prevedendo la mobilità dei dipendenti delle province appunto, non solo impedirà di assumere a tempo indeterminato i precari che, all'articolo 4, commi 6 e 8, del decreto-legge n. 101 del 2013 ci eravamo impegnati ad assumere, ma di fatto rischia di bloccare o meglio bloccherà per almeno due anni, per il 2015 e, quindi, per il 2016, la possibilità di scorrere le graduatorie dei concorsi, inibendo, dunque, il reclutamento degli idonei così come vorrebbe il decreto-legge n. 101 del 2013.
Questo processo complessivo di riforma della pubblica amministrazione quindi ha necessariamente l'obbligo di portare avanti un accurato monitoraggio delle corrispondenti esigenze di integrazione degli organici. È bene capire ciò di cui stiamo parlando in termini numerici. Sugli idonei i numeri sono tuttora ancora molto incerti rispetto a quelli che sono stati elencati prima di me dalla collega, ma parliamo comunque di decine di migliaia di persone e molte di queste decine di migliaia sono inserite nelle graduatorie che riguardano gli enti locali, altre in quelle della sanità e altre ancora in quelle che riguardano gli organi di pubblica sicurezza. E parliamo, in effetti, di 9.225 differenti graduatorie. Un dato, quindi, considerevole, che ci fa comprendere bene come nel suo complesso la pubblica amministrazione aveva Pag. 36ritenuto necessario l'inserimento nei propri organici di competenze diverse tra loro, di conoscenze che abbracciavano un'alta gamma di differenti qualifiche e professionalità. Pur non contestando le scelte che abbiamo ricordato, quelle relative alla stabilizzazione dei precari e alla redistribuzione dei lavoratori delle province, anche per non richiamare la cosiddetta guerra tra poveri, riteniamo, però, sia utile riflettere su un patrimonio umano così importante e che sarebbe a disposizione della pubblica amministrazione e dei servizi diversi che essa eroga. Abbiamo apprezzato le aperture del Ministro Madia durante il question time che si è svolto di recente in Commissione lavoro. In quella sede le abbiamo chiesto se ci fossero all'orizzonte dei provvedimenti di ulteriore proroga delle graduatorie. Il Ministro ha sottolineato che il Governo sta lavorando anche a questa prospettiva, sottolineando, però, in particolar modo la rilevanza che riguarda i vincitori di concorso a differenza di tutti gli altri idonei. Serve, quindi, per noi oggi, appunto, un impegno del Governo affinché adotti ogni misura utile per individuare le più appropriate soluzioni strutturali per superare questo annoso problema che riguarda decine di migliaia di vincitori e di idonei dei concorsi pubblici, riconoscendo così ad entrambe le categorie gli stessi diritti soggettivi acquisiti a seguito delle procedure di selezione pubblica. Si tratterebbe di prendere misure che non hanno costi per lo Stato; anzi, costituirebbero una voce di risparmio che eviterebbe l'impiego di risorse economiche per indire altri concorsi nel caso nei prossimi anni la pubblica amministrazione dovesse appunto proprio ritenere necessario fare nuove assunzioni. Abbiamo un'ottima opportunità alle porte, lo dico con tutta chiarezza. Il decreto milleproroghe è in discussione in Commissione in questi giorni. Lì abbiamo posto il tema e ci auguriamo che il Governo dia parere favorevole per una proroga, un'ulteriore opportunità a chi spera nei prossimi anni di essere appunto assunto nella pubblica amministrazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, Presidente. I vincitori di concorsi pubblici non assunti e gli idonei sono persone, spesso giovani, che pur avendo sostenuto una prova di concorso e avendola vinta, si trovano a non poter accedere al posto di lavoro per il quale hanno superato prove, hanno fatto sacrifici. Questa mozione non è il primo atto parlamentare che il Parlamento produce su questa materia. Voglio ricordare che già nel 2007 ci fu una mozione che impegnava il Governo ad assumere iniziative urgenti per l'assunzione dei vincitori e degli idonei. In quel caso fu proposta da questa parte politica.
Ma nel corso degli anni, poi, iniziative del genere sono state nell'attività parlamentare di più gruppi. E anche il Governo è intervenuto in più di un'occasione. Vorrei ricordare che nel giugno 2011 il Dipartimento della funzione pubblica aveva avviato, nei confronti di tutte le amministrazioni dello Stato, una rilevazione finalizzata a conoscere lo stato e l'effettività delle graduatorie vigenti per ogni singola amministrazione. E così anche dopo, a dicembre 2011, con un decreto-legge aveva previsto l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per le assunzioni a tempo indeterminato relative alle amministrazioni pubbliche e la proroga appunto di queste graduatorie fino al 2012. Nel decreto-legge n. 95 del 2012, quello conosciuto come spending review, si era addirittura prevista la possibilità che le pubbliche amministrazioni assumessero in regime di mobilità attingendo alle graduatorie di altre pubbliche amministrazioni, all'occorrenza. Insomma, nel corso degli anni c’è stato un orientamento giurisprudenziale, e anche di carattere legislativo, tendente a favorire l'utilizzo dello scorrimento delle graduatorie. Anzi, si è consolidata l'idea che, qualora si decida per nuove procedure concorsuali, si deve procedere a modalità di reclutamento diverse e per profili diversi e, in caso di selezione per il medesimo profilo, dovrà motivarsi adeguatamente il ricorso alla procedura Pag. 37concorsuale. Questo lo stabilisce, peraltro, il Consiglio di Stato, che qualifica anche la procedura concorsuale quasi come un'eccezione rispetto allo scorrimento della graduatoria.
Noi, nel corso della serata, produrremo alla Presidenza della Camera una nostra mozione nella quale, però, cercheremo di focalizzare l'attenzione sulle questioni che più nello specifico il Governo dovrebbe affrontare, perché, come è stato ripetuto da altri che mi hanno preceduto, l'intera materia riguarda circa 9 mila graduatorie. Anche noi esprimiamo l'auspicio che si possano adottare opportune iniziative legislative per rendere obbligatorio, per le pubbliche amministrazioni che non dispongono di graduatorie in corso di validità, effettuare assunzioni con le modalità previste dalla legge n. 350 del 2003, anche con riferimento ai vincitori di concorso presso altre amministrazioni. Ma vorremmo che la discussione su questa mozione potesse essere l'occasione anche perché il Governo assumesse degli impegni in ordine, per esempio, ad alcune questioni specifiche che saranno contenute nella nostra mozione. Per esempio, per garantire l'assunzione dei 170 uomini e delle 44 donne degli allievi di polizia penitenziaria di cui alla Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale – Concorsi ed Esami – n. 92 del 23 novembre 2012; oppure per adottare specifici atti normativi al fine di garantire la possibilità di scorrimento delle graduatorie dei concorsi per i vigili del fuoco o per assumere a tempo indeterminato i vincitori del concorso bandito qualche tempo fa per l'ICE.
In ultimo e non da ultimo, Presidente, nella mozione che proporremo vorremmo ci fosse un impegno da parte del Governo a valutare anche ciò che sta accadendo nel mondo dell'istruzione e ad adottare, cioè, specifici atti normativi al fine di garantire la possibilità di scorrimento delle graduatorie e, quindi, della durata delle graduatorie stesse concernenti i posti a concorso per la scuola dell'infanzia, di cui al decreto direttoriale MIUR n. 82 del 24 settembre 2012, ove le predette graduatorie non risultino esaurite. In sostanza, il precedente milleproroghe, quello del 2014, ha prorogato la validità di molti concorsi anche nel settore della scuola, ma non ha equiparato la situazione dei candidati utilmente inseriti nella graduatoria di merito della scuola dell'infanzia alle situazioni dei soggetti utilmente collocati nelle graduatorie per la scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado.
Noi vorremmo che la durata delle graduatorie in essere concernenti il concorso a posti per la scuola dell'infanzia fosse prorogata e che si potesse procedere all'immissione in ruolo di quanti hanno partecipato e sono inseriti utilmente in queste graduatorie prima dell'espletamento del bando di concorso che il MIUR intende espletare, per l'appunto. Ecco, noi vorremmo che la discussione su questa mozione, sulle varie mozioni che i diversi gruppi parlamentari presenteranno, potesse essere utile ad assumere un impegno di carattere generale sulla materia, ma anche a dare risposta alle questioni specifiche che ho sollevato, che il mio gruppo parlamentare ha sollevato, e peraltro lo ha fatto anche attraverso altre iniziative parlamentari, alcuni con emendamenti al milleproroghe, per rendere davvero utile una discussione che è guardata con particolare interesse, attese e speranze da tanti giovani, che vorrebbero che agli atti parlamentari che noi proponiamo e discutiamo conseguissero, poi, degli impegni concreti da parte del Governo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali della mozione.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

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Martedì 2 febbraio 2016, alle 9,30:

1. – Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.

(ore 11,30)

2. – Seguito della discussione delle mozioni Fassina ed altri n. 1-01090, Vezzali ed altri n. 1-01100, Morassut ed altri n. 1-01102, Polverini ed altri n. 1-01103, Brignone ed altri n. 1-01107, Simone Valente ed altri n. 1-01108, Buttiglione ed altri n. 1-01109, Rampelli ed altri n. 1-01110 e Saltamartini ed altri 1-01121 concernenti iniziative in relazione alla candidatura di Roma Capitale come sede delle Olimpiadi 2024, con particolare riferimento a forme di consultazione dei cittadini.

3. – Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale (previo esame e votazione delle questioni sospensive presentate):
S. 1289 – D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: Modifiche allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di enti locali, di elettorato passivo alle elezioni regionali e di iniziativa legislativa popolare (Approvata, in prima deliberazione, dal Senato) (C. 3224).
e dell'abbinata proposta di legge costituzionale: D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL FRIULI VENEZIA GIULIA (C. 2060).
Relatori: Gigli, per la maggioranza; Fedriga, di minoranza.

4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 1556 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: MATURANI ed altri: Modifica all'articolo 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, recante disposizioni volte a garantire l'equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei consigli regionali (Approvata dal Senato) (C. 3297).
e delle abbinate proposte di legge: MARCO MELONI ed altri; CENTEMERO; MUCCI ed altri (C. 1278-3354-3359).
Relatore: Mazziotti Di Celso.

5. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
GRASSI ed altri; ARGENTIN ed altri; MIOTTO ed altri; VARGIU ed altri; BINETTI ed altri; RONDINI ed altri: Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (C. 698-1352-2205-2456-2578-2682-A).
Relatrice: Carnevali.

6. – Seguito della discussione della mozione Ciprini ed altri n. 1-00730 concernente iniziative volte all'assunzione dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici.

La seduta termina alle 16,55.