Doc. XXII, n. 31




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di inchiesta parlamentare ha l'obiettivo precipuo di analizzare i meccanismi e le prassi amministrative che, favorendo l'insorgenza di fenomeni di corruzione e, più in generale, di condotte illecite generatrici di mala gestio nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, determinano condizioni di inefficacia e inefficienza nell'erogazione dei servizi di salute e sprechi di risorse pubbliche.
L'inchiesta parlamentare si reputa necessaria, specialmente per fare fronte alle numerose criticità presenti in seno all'intero apparato amministrativo del Servizio sanitario nazionale (aziende ospedaliere, personale medico-amministrativo, gestione dei servizi e altro), amaramente sempre più di frequente oggetto di inchieste giornalistiche e giudiziarie.
Un ulteriore scopo è quello di dare continuità e rinnovato impulso a una parte specifica del lavoro svolto dall'allora Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, al fine di valorizzarne così i risultati parzialmente ottenuti.
L'esito prematuro dei lavori della Commissione causato dall'interruzione anticipata della legislatura, non ha reso possibile analizzare adeguatamente l'ampia istruttoria svolta né, tantomeno, fornire indicazioni al legislatore relativamente ai provvedimenti conseguenti da adottare.
Il quadro più recente dei dati relativi all'impatto dei fenomeni di corruzione nell'ambito del Servizio sanitario nazionale è indubbiamente allarmante.
È la Commissione europea a dare nel corso dell'anno un primo forte segnale di allarme.
La prima relazione dell'Unione europea sulla lotta alla corruzione, pubblicata il 3 febbraio 2014, infatti, indica l'Italia tra i Paesi in cui il fenomeno è più grave, tanto che il giro degli affari relativo alla corruzione nel nostro Paese è valutato in circa 60 miliardi di euro l'anno, pari a circa il 4 per cento del prodotto interno lordo (PIL), evidenziando altresì criticità particolari soprattutto in alcuni settori, considerati particolarmente vulnerabili, come lo sviluppo urbano, l'edilizia e anche l'assistenza sanitaria.

Secondo la Commissione europea l'adozione nel nostro Paese della legge anticorruzione n. 190 del 2012 ha segnato «un importante passo avanti». Sono state infatti «rafforzate le politiche di prevenzione mirate a responsabilizzare i pubblici ufficiali e la classe politica e a bilanciare l'onere della lotta al fenomeno, che attualmente ricade quasi esclusivamente sulle forze dell'ordine e sulla magistratura». Tuttavia, secondo la Commissione, gli sforzi profusi dall'Italia, pur notevoli, non sono sufficienti. La stessa Commissione europea suggerisce infatti di potenziare il regime di integrità per le cariche pubbliche elettive introducendo codici etici e strumenti di rendicontazione del loro operato. L'Italia dovrebbe anche consolidare lo strumentario giuridico e istituzionale sul finanziamento ai partiti politici e risolvere con la massima urgenza le carenze del regime di prescrizione. La Commissione consiglia inoltre di estendere i poteri e di sviluppare la capacità dell'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) in modo che possa reggere saldamente le redini del coordinamento, garantire maggiore trasparenza degli appalti pubblici e adoperarsi ulteriormente per colmare le lacune della lotta anticorruzione nel settore privato: il conflitto di interesse, la trasparenza della situazione patrimoniale dei pubblici ufficiali e i dispositivi di controllo.
A livello nazionale, invece, è l'ultimo dossier del Corpo della guardia di finanza (aprile 2014), elaborato dopo una lunga e scrupolosa serie di controlli e verifiche, a riportare all'attenzione dei media nazionali il tema cruciale della corruzione nella sanità.
Il rapporto mostra come in Italia, solo nel 2013, si siano registrati frodi e danni erariali al Servizio sanitario nazionale per oltre 1 miliardo di euro.
Nel 2013 sono stati compiuti 10.333 controlli e 1.173 sono state le persone denunciate per un valore che supera i 23 milioni di euro. Ben più grave è il capitolo delle richieste di risarcimento avanzate dalla Corte dei conti: sono 177 le verifiche, 742 i funzionari pubblici sottoposti a procedimento, 1 miliardo e 5 milioni di euro il totale delle contestazioni.
Le verifiche dei primi due mesi del 2014 confermano questo andamento, considerato che fino al mese di febbraio scorso sono già state segnalate alla Corte dei conti 104 persone e che l'ammontare delle perdite supera i 150 milioni di euro. Sono decine le tipologie degli illeciti riscontrati e le più frequenti riguardano gli interventi di chirurgia estetica spacciati per operazioni a causa di gravi patologie, i finti ricoveri di pronto soccorso nelle strutture private e le iperprescrizioni di farmaci.
Cifre, queste, quotidianamente in aumento.
Il Libro bianco dell'Istituto per la promozione dell'etica in sanità (ISPE) riferisce addirittura di 23 miliardi di euro all'anno persi nella sanità a causa di sprechi e inefficienze, includendo nel dato reale anche episodi non sanzionati in seguito ai controlli del Corpo della guardia di finanza. Partendo dai 114 miliardi di euro di spesa sanitaria per il 2013, è stato rilevato che la corruzione incide per 6,4 miliardi, a cui vanno sommati 3,2 miliardi di inefficienze e 14 miliardi per sprechi, per un totale di 23 miliardi di corruption totale. A livello territoriale, analizzando il dato sulla corruzione, si rileva che il 41 per cento dei casi avviene al sud, il 30 per cento al centro, il 23 per cento al nord e il 6 per cento è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi.
Fenomeni diffusi di corruzione sono altresì rinvenibili nel settore specifico dell'assistenza previdenziale.
La realtà di indebite erogazioni di trattamenti di tutela assistenziali e previdenziali a ciechi civili, invalidi civili, sordi e disabili spesso concessi in base a giudizi tecnici poco rigorosi e non sempre coerenti con una normativa oggettivamente disorganica e talvolta perfino contraddittoria, ha finito in questi ultimi anni per ingenerare una forte reazione nell'opinione pubblica.
Numerosi sono stati i controlli straordinari da parte dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) nelle campagne, condotte ciclicamente, contro i cosiddetti falsi invalidi: 800.000 sono stati quelli straordinari effettuati dal 2009 al 2012 e altri 450.000 sono stati messi in programma dal 2013 al 2015 con l'unico obiettivo di contrastare le false invalidità per recuperare la spesa che deriva da pensioni indebitamente percepite.
Ciò nonostante, secondo i dati del Corpo della guardia di finanza, si attestano attorno ai 1.500 all'anno i veri falsi invalidi (solo lo 0,06 per cento dei percettori di pensioni di invalidità) individuati e denunciati alla fine delle procedure (visita di controllo, eventuale abbassamento della percentuale con sospensione della pensione, ricorso del disabile e giudizio della magistratura pro o contro il disabile). Alla reazione sociale è seguita la reazione dell'ordinamento giuridico, che ha dato luogo a numerosi procedimenti penali, a volte su impulso di privati o delle stesse pubbliche amministrazioni, a volte attraverso autonome indagini delle autorità giudiziarie in tutto il territorio nazionale.
Le indagini avviate dall'autorità giudiziaria e gli accertamenti già svolti in passato anche dalla Commissione interministeriale sui falsi invalidi hanno posto in luce una vasta gamma di irregolarità, alcune di ordine amministrativo altre, invece, inquadrabili nell'ambito di condotte penalmente rilevanti.
Una particolare attenzione ha ricevuto l'operato dei medici delle commissioni preposte all'accertamento dell'invalidità civile ai quali sono stati contestati sia i reati propri del pubblico ufficiale, qualifica che ad essi compete in quanto esercenti una pubblica funzione amministrativa (articolo 357 del codice penale), sia reati comuni, aggravati dalla posizione giuridica soggettiva dell'agente (articolo 61, numero 9) del codice penale).
Per fronteggiare tali anomalie, ormai sistematiche, si ritiene oltremodo opportuna l'adozione in tempi brevi di una normativa che disciplini la sussistenza di potenziali situazioni di incompatibilità o conflitti di interesse, per i medici componenti delle commissioni mediche e per i funzionari delle amministrazioni coinvolti, prevedendo per tali soggetti specifiche sanzioni, anche di carattere disciplinare e inibitorio, comminabili tramite intervento diretto dell'ANAC, i cui mezzi attualmente a disposizione, però, non le consentono di svolgere adeguatamente i controlli di competenza, limitandone così fortemente la capacità di incidere concretamente nella lotta contro la corruzione. Oltre alla carenza di personale, infatti, l'ANAC soffre anche di un deficit di competenze, trasferite negli ultimi due anni al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.
La normativa italiana non regolamenta il lobbismo: non è infatti previsto l'obbligo di registrare i lobbisti né di segnalarne i contatti con pubblici ufficiali.
Per tale ragione si ritiene indispensabile provvedere urgentemente all'adozione di una regolamentazione generale del fenomeno lobbistico, fonte anch'esso di numerosi episodi di corruzione, che sia certamente estesa, quantomeno, a tutti gli organi centrali dello Stato, allo scopo principale di dare un ordine preciso a un quadro estremamente confuso caratterizzato dall'assenza di una normativa specifica, nonché all'ulteriore fine di evitare fenomeni degenerativi tanto diffusi nel nostro Paese e di potenziare la connotazione democratica della legge attraverso una trasparente e corretta partecipazione dei diversi portatori di interessi.
Secondo il rapporto della Commissione europea, in Italia i legami tra politici, criminalità organizzata e imprese e lo scarso livello di integrità dei titolari di cariche elettive e di governo sono oggi tra gli aspetti più preoccupanti, come testimonia l'elevato numero di indagini per casi di corruzione, sia a livello nazionale che regionale (tra gli ultimi casi più eclatanti si citano quelli della Sicilia, Lombardia, Calabria, Veneto, Lazio, Campania e Piemonte).
Strettamente legato ai recenti numerosi scandali nella sanità pubblica, pressoché nella maggioranza dei casi, è invero il problema cruciale della scarsa applicazione della normativa anticorruzione da parte dei soggetti appartenenti alle amministrazioni pubbliche. Sarebbe soprattutto la corruzione diffusa nella sfera sociale, economica e politica ad attrarre i gruppi criminali organizzati e non già la criminalità organizzata a causare la corruzione. Secondo i procuratori italiani, i legami tra mafia e corruzione sono tuttora evidenti, anche nelle regioni non originarie dei gruppi criminali organizzati. Fenomeni di corruzione derivano altresì dall'attuale struttura federalista del Servizio sanitario nazionale che, purtroppo, non consente di ottemperare al meglio all'obbligo sancito dall'articolo 32 della Costituzione di tutelare la salute dei cittadini e di garantire equità nell'accesso alle cure indipendentemente dalla regione di residenza.
Allo stato attuale, infatti, a causa dell'indirizzo costituzionale che determina una piena autonomia decisionale delle regioni sul tema dell'organizzazione sanitaria, nel nostro Paese sono di fatto vigenti ventuno sistemi sanitari differenti.
Ciò determina una grande differenza territoriale che non può più essere tollerata, in quanto causa di sprechi e di interessi imprenditoriali, politici e del malaffare, certo al di fuori dei bisogni reali dei pazienti. Lo Stato deve, in accordo con le regioni, poter determinare delle linee di sviluppo, di applicazione di modelli di cura e di ripartizione dei fondi, atti a colmare le differenze tra le regioni e a organizzare un sistema sanitario omogeneo.
La riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione del 2002, nonostante abbia assegnato maggiori poteri alle regioni, le ha allo stesso tempo incatenate alla rigidità dei patti di stabilità interni, conducendole a rifugiarsi nella logica della minore spesa.
La sanità italiana, all'opposto, ha necessità immediata di essere sostenuta e riorganizzata per ritrovare quel senso di universalità costituzionalmente garantito di accesso alle cure.
Il servizio e l'offerta di cura devono essere omogenei così da abbattere il gap tra il nord e il sud Italia in termini di qualità di prestazioni erogate.
I problemi storici della sanità pubblica, se non in rari casi virtuosi, non hanno infatti trovato soluzione negli ultimi decenni e in alcuni casi si sono acuiti, in altri cronicizzati, complice anche la mancanza di una normativa ad hoc che disciplini il conflitto di interesse, a causa di gestioni improprie dei beni pubblici e di sistemi corruttivi che hanno determinato acquisti di beni e servizi, assunzioni di personale e nomine di dirigenti con il solo scopo di garantire clientele politiche o interessi contigui ad amministratori poco oculati o, peggio, complici di un sistema di corruzione a macchia di leopardo che attraversa da decenni il nostro Paese; situazioni, quelle descritte, che non di rado giungono perfino a configurare la fattispecie dell'associazione per delinquere.
La riforma del citato titolo V, inoltre, di fatto, complica l'attuazione dei costi standard e della centralizzazione degli acquisti, che ad oggi non trova ancora rapida ed efficace applicazione. Non esiste giustificazione alcuna per cui un presidio sanitario di uso comune debba avere differenze di prezzo, anche nella misura di cinque volte, da una regione all'altra della nazione. Sistemi europei di centralizzazione degli acquisti per la pubblica amministrazione sono attivi da anni e hanno dimostrato di essere il metodo più efficace e rapido per ridurre la spesa sui beni e servizi nella pubblica amministrazione e per garantire la qualità dei prodotti.
La mancata applicazione in Italia di tali processi, anche a causa delle reticenze delle regioni e degli enti locali, determina uno sperpero di denaro pubblico ingiustificabile, che deve al più presto essere interrotto.
In tale direzione si auspica da più parti una ri-centralizzazione del Servizio sanitario nazionale nel suo complesso e, in particolare, del Fondo sanitario nazionale, per colmare il divario creatosi in questi anni all'interno del territorio nazionale, in termini di accesso alle cure, erogazione dei servizi e gestione delle risorse.
Si sottolinea inoltre come negli ultimi anni, proprio in ragione della generale mancanza di controllo e monitoraggio nel settore della sanità pubblica da parte degli organi statali centrali, numerosi gruppi di privati cittadini, organizzazioni di volontariato e, più in generale, rappresentative del terzo settore, (solo per citarne alcune, Transparency International, ISPE e Riparte il futuro), hanno portato avanti ammirevoli campagne di sensibilizzazione e contrasto del fenomeno della corruzione nel nostro Paese, non solo attraverso molte petizioni che hanno raccolto migliaia di firme di cittadini che si sono impegnati a rendere più efficace la nuova legge anticorruzione, ma iniziando altresì a raccogliere e integrare autonomamente dati settoriali relativi al fenomeno, giungendo perfino a elaborare autorevoli studi altamente tecnici e dettagliati, colmando di fatto un'ormai intollerabile inerzia da parte delle istituzioni su un tema tanto atavico quanto preoccupante.
In conclusione, corruzione e sprechi nella sanità costituiscono un enorme buco nero che corrode il nostro sistema di welfare in quasi tutte le sue ramificazioni e, fino a quando non ci sarà una ferma volontà politica di contrastare fattivamente tali fenomeni, il Servizio sanitario nazionale non sarà efficiente, civile e rispondente alle esigenze del cittadino.
Si reputa dunque opportuno ribadire con forza l'estrema necessità e l'importanza di una seria presa in carico del fenomeno da parte di un ceto politico dimostratosi, purtroppo, fin troppo spesso coinvolto in tali illeciti piuttosto che impegnato nel loro contrasto.
In tal senso l'auspicata istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta si ritiene che possa senz'altro rappresentare un segnale netto nonché un valido primo passo per tentare di riscattare la credibilità e l'onorabilità della classe politica, restituendo allo stesso tempo fiducia ai cittadini con un deciso messaggio di responsabilità.


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